Il Giudizio Di Ottemperanza

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Il giudizio di ottemperanza

di VINCENZO NERI*

1. Brevi considerazioni introduttive. 2. La natura giuridica del giudizio di ottemperanza. 3. Il


giudicato a formazione progressiva. 4. Profili specifici. La “particolarità” del giudicato
amministrativo. 5. Profili specifici. I poteri del giudice dell’ottemperanza e la discrezionalità
amministrativa. 6. Profili specifici. Le sopravvenienze. 7. Profili specifici. Effettività della
tutela giurisdizionale e “penalità di mora”. 8. Profili specifici. Concorrenza e alternatività tra
esecuzione civile e ottemperanza.

1. Brevi considerazioni introduttive. Prima dell’entrata in vigore del codice del


processo amministrativo la disciplina del giudizio di ottemperanza era affidata agli
artt. 90 e 91 del r.d. 17 agosto 1907 n. 642. Si trattava di poche norme che avevano
posto numerosi problemi di tipo interpretativo risolti nel tempo dalla giurisprudenza.
Con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il giudizio di
ottemperanza è stato disciplinato in modo puntuale e moderno. Gli articoli 112 e
segg. c.p.a. dettano numerose norme che, per un verso, recepiscono quanto elaborato
dalla giurisprudenza e, per altro verso, introducono novità interessanti.
L’articolo 112 c.p.a. afferma che i provvedimenti del giudice amministrativo devono
essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti.
Al secondo comma del predetto articolo si stabilisce che l'azione di ottemperanza può
essere proposta per conseguire l'attuazione:
a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;1
b) delle sentenze esecutive2 e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice
amministrativo; 3
c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati
del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica
amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;4
d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati
per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere
l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla
decisione;

* Testo della relazione tenuta il 20 gennaio 2015 presso la Scuola Superiore della Magistratura.
1
Per la particolare ipotesi relativa all’esecuzione della sentenza amministrativa che accolga una istanza di accesso
anche se il soggetto obbligato all'ostensione abbia natura privata, si veda Cons. St., a. p., 5 settembre 2005 n. 5.
2
Tale disposizione riprende quanto introdotto dall’articolo 10 l. 205/200. Prima di allora, per la giurisprudenza, per
proporre ricorso per ottemperanza era necessario il passaggio in giudicato della sentenza. Si veda sul punto Maruotti,
Trattato di diritto amministrativo, Il nuovo diritto amministrativo, Cedam, 2015, p. 1029-1030.
3
Sulla questione, ormai risolta in senso positivo, relativa all’attivazione del rimedio dell’ottemperanza nei confronti dei
decreti decisori del ricorso straordinario al Capo dello Stato, si veda Cass., s.u. 28 gennaio 2011, n. 2065 in Urb. App.,
2011, fasc. 5, p. 541 e segg.; per la giurisprudenza amministrativa, Cons. St., a.p., 5 giugno 2012 n. 18; Cons. St., a. p.,
6 maggio 2013 n. 9; Cons. St., a. p., 14 luglio 2015 n. 7.
4
Per l’ottemperanza relativa alle ordinanze di assegnazione del credito ex articolo 553 c.p.c., si veda Cons. St., a. p., 10
aprile 2012 n. 2.

1
e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l'adempimento
dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il
caso deciso, al giudicato.
Quanto al rito, va ricordato che l'azione si propone, anche senza previa diffida, con
ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio
definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta (articolo 114 c.p.a.).
Molto interessante è la norma che, facendo leva sulla copiosa giurisprudenza
esistente in materia, ha stabilito che l'azione si prescrive con il decorso di dieci anni
dal passaggio in giudicato della sentenza.
Una volta proposto il ricorso per l’ottemperanza, il giudice decide con sentenza in
forma semplificata e in caso di accoglimento del ricorso:
a) ordina l'ottemperanza, prescrivendo le relative modalità, anche mediante la
determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l'emanazione dello
stesso in luogo dell'amministrazione;
b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato;
c) nel caso di ottemperanza di sentenze non passate in giudicato o di altri
provvedimenti, determina le modalità esecutive, considerando inefficaci gli atti
emessi in violazione o elusione e provvede di conseguenza, tenendo conto degli
effetti che ne derivano;
d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta;
e) salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative,
fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni
violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del
giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo.
Il provvedimento conclusivo è la sentenza a meno che sia chiesta l'esecuzione di
un'ordinanza perché in tale ultimo caso il giudice provvede con ordinanza.
Numerose sono le novità che il legislatore del 2010 ha introdotto.
Va innanzitutto ricordato che è stato eliminato l’obbligo di diffidare preventivamente
la pubblica amministrazione, istituto questo che risultava scarsamente compatibile
con la configurazione di un diritto soggettivo all’esecuzione del giudicato.
In coerenza con tale qualificazione è stato espressamente previsto un termine
decennale per la prescrizione dell’azione.5
Sono state stabilite, inoltre, delle regole maggiormente rispettose dell’articolo 24
Cost. per l’introduzione del giudizio. Ed invero, prima dell’entrata in vigore del
codice del processo amministrativo, il ricorso si proponeva con domanda diretta al
presidente (depositando copia del giudicato) ed era poi la segreteria che ne dava
immediata comunicazione al Ministero competente, il quale, entro venti giorni dalla
ricevuta comunicazione, poteva trasmettere le sue osservazioni; spirato il termine, il
presidente designava il consigliere per farne relazione alla sezione e dunque si
decideva. Oggi, invece, come già detto, l'azione si propone, anche senza previa
diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del
giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta. Il rito
5
Prima dell’entrata in vigore del codice, la giurisprudenza era pacifica in tal senso; si veda , tra le tante, Cons. St., V,
16 marzo 1999 n. 274.

2
previsto è quello camerale con conseguente applicazione degli articolo 87, commi 2-
3, c.p.a.
Altra novità rilevante è l’esplicita individuazione degli atti suscettibili di
ottemperanza e la disciplina specifica dei poteri del giudice dell’ottemperanza. A tale
ultimo riguardo, va segnalato che il giudice, oltre ai poteri stabiliti dall’articolo 114,
comma 4, c.p.a. conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza, nonché, tra le
parti nei cui confronti si è formato il giudicato, di quelle inerenti agli atti del
commissario ad acta. Avverso gli atti del commissario ad acta le stesse parti possono
proporre, dinanzi al giudice dell'ottemperanza, reclamo, che è depositato, previa
notifica ai controinteressati, nel termine di sessanta giorni.

2. La natura giuridica del giudizio di ottemperanza. La funzione tipica ed


essenziale del giudizio di ottemperanza è quella di adeguare la realtà giuridica e
materiale ad un ben preciso giudicato.6
La Corte Costituzionale, con soluzione condivisa in dottrina e giurisprudenza, ha
stabilito che il giudizio di ottemperanza ricomprende una pluralità di configurazioni.
In alcuni casi assume natura di semplice giudizio esecutivo - come tale assoggettabile
alle limitazioni proprie delle "azioni esecutive" - e quindi qualificabile come rimedio
complementare che si aggiunge al procedimento espropriativo del codice di
procedura civile. In altri casi, invece, può essere diretto a porre in essere operazioni
materiali o atti giuridici di più stretta esecuzione della sentenza. In altri ancora ha
l'obiettivo di conseguire una attività provvedimentale dell'amministrazione ed anche
effetti ulteriori e diversi rispetto al provvedimento originario oggetto della
impugnazione. Può essere utilizzato, inoltre, in ipotesi di materia attribuita alla
giurisdizione amministrativa, anche in mancanza di completa individuazione del
contenuto della prestazione o attività cui è tenuta l'amministrazione, laddove invece
l'esecuzione forzata attribuita al giudice ordinario presuppone un titolo esecutivo per
un diritto certo, liquido ed esigibile.7
Sempre per il Giudice delle leggi “il giudizio di ottemperanza non deve
necessariamente (sotto il profilo costituzionale) modellarsi, anche nei presupposti, al
processo esecutivo ordinario, attese le peculiarità funzionali del giudizio
amministrativo (esteso al merito) con potenzialità sostitutive e intromissive
nell'azione amministrativa, non comparabili con i poteri del giudice dell'esecuzione
nel processo civile. Infatti, non esiste un principio (costituzionalmente rilevante) di
necessaria uniformità di regole processuali tra i diversi tipi di processo (civile e
amministrativo), potendo i rispettivi ordinamenti processuali differenziarsi sulla base
di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del
processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, naturalmente a condizione
che non siano vulnerati i principi fondamentali di garanzia ed effettività della tutela”.8
In coerenza con il quadro tracciato dalla Corte Costituzionale, per la giurisprudenza
amministrativa il giudice - nell’esercizio della sua giurisdizione di merito - ben può
6
Cons. St., a. p., 26 luglio 2001 n. 6.
7
Corte Cost. 12 dicembre 1998 n. 406.
8
Ancora Corte Cost. 12 dicembre 1998 n. 406.

3
sindacare in modo pieno l’attività posta in essere dall’amministrazione o anche il suo
comportamento omissivo, adottando tutte le misure (direttamente o per il tramite di
un commissario) necessarie ed opportune per dare esatta ed integrale esecuzione alla
sentenza e per consentire una corretta riedizione del potere amministrativo.9 Si è
inoltre precisato che il giudice dell’ottemperanza può adottare, in sede di
interpretazione integrativa del precetto racchiuso nella sentenza da eseguire, una
statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di
cognizione, risolvendo eventuali problemi interpretativi che sarebbero comunque
devoluti alla propria giurisdizione. Analoghi poteri di integrazione non possono,
invece, esercitarsi allorché la sentenza di cui si chieda l'ottemperanza sia stata
adottata da un giudice appartenente a un diverso ordine giurisdizionale.10
In conclusione risulta chiara «la attuale polisemicità del “giudizio” e della “azione di
ottemperanza”, dato che, sotto tale unica definizione, si raccolgono azioni diverse,
talune meramente esecutive, altre di chiara natura cognitoria, il cui comune
denominatore è rappresentato dall’esistenza, quale presupposto, di una sentenza
passata in giudicato, e la cui comune giustificazione è rappresentata dal dare
concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale, tutelato dall’art. 24 Cost.». 11
Conferma di questo si rinviene nel codice. Trattandosi di giurisdizione estesa al
merito (articoli 7, comma 6, 133, comma 1, lett. a) e 134 c.p.a.), il giudice
amministrativo può sostituirsi all'amministrazione adottando un nuovo atto ovvero
modificando o riformando quello impugnato (articolo 34, comma 1, lett. d), c.p.a.). Il
ricorso può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle
modalità di ottemperanza (articolo 112, comma 5, c.p.a.) e gli atti possono essere
adottati dal giudice dell'ottemperanza o dal suo ausiliario, ossia dal commissario ad
acta (articolo 114, comma 6, c.p.a.).

3. Il giudicato a formazione progressiva. Poiché la sentenza del giudice


amministrativo si inserisce nel complesso rapporto che intercorre tra la pubblica
amministrazione e il privato, spesso nel giudizio di ottemperanza avverso le decisioni
del giudice amministrativo (e non di altri giudici) si discorre di giudicato a
formazione progressiva.
Per meglio comprenderne il contenuto, va ricordato che nel giudizio impugnatorio
classico la sentenza, annullando l’atto amministrativo, ha effetti costitutivi
rimuovendo l’atto impugnato ex tunc.12 Dalla sentenza del giudice amministrativo
scaturisce, inoltre, anche il c.d. “effetto ripristinatorio”13 consistente nell’obbligo per
9
Cons. St., a.p., 30 luglio 2008 n.9; in tal modo, il giudice amministrativo può realizzare il contenuto conformativo
della sentenza, di per sé riferibile alla fase pubblicistica successiva all’annullamento, ed emanare tutti i provvedimenti
idonei ad assicurare al ricorrente vittorioso il bene della vita effettivamente perseguito.
10
Cons. St., 17 gennaio 1997 n. 1.
11
Cons. St., a.p., 5 gennaio 2013 n. 2.
12
Per la possibilità di pronunciare sentenza che annullano l’atto illegittimo solo con effetti ex nunc o che si limitano ad
accertare l’illegittimità dell’atto senza annullarlo imponendo all’amministrazione di provvedere nuovamente in modo
legittimo, si veda Cons. St., VI, 10 maggio 2011 n. 2755).
13
Sull’effetto ripristinatorio nel caso di annullamento degli atti della procedura espropriativa, si veda Cons. St., a. p., 29
aprile 2005 n. 2.

4
l’amministrazione “di adeguare lo stato di fatto a quello di diritto, ponendo in essere
la necessaria attività materiale”14 e ripristinando per quanto possibile lo status quo
ante. In altri termini, all’annullamento dell’atto si aggiunge la possibilità di compiere
tutte le attività necessarie volte a rimuovere i pregiudizi, e comunque tutti gli effetti,
prodotti dall’atto illegittimo.
È nota ormai l’esistenza anche dell’effetto conformativo, ossia il vincolo che il
giudice della cognizione pone all’amministrazione nella riedizione del potere.15
È chiaro che gli effetti prodotti dalla sentenza sono diversi a seconda che nel giudizio
siano stati fatti valere interessi di tipo oppositivo o di tipo pretensivo perché nella
prima ipotesi, annullato l’atto illegittimo, già solo con l’effetto ripristinatorio il
privato consegue nuovamente il bene della vita che gli era stato sottratto dall’atto
illegittimo. Nel secondo caso, invece, l’effetto ripristinatorio non sarà in grado di
garantire al privato il bene della vita cui aspira perché è necessaria un’ulteriore
attività della pubblica amministrazione che dovrà essere svolta nel rispetto di quanto
stabilito nella parte “conformativa” della sentenza. In tal senso l’articolo 34, comma
1, lett. e), c.p.a. stabilisce che il giudice, in caso di accoglimento del ricorso, tra
l’altro, dispone le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle
pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta. Va, infine,
precisato che la reale latitudine del potere conformativo dipende dai motivi di ricorso
e, dunque, dall’ampiezza dell’oggetto del ricorso proposto davanti al giudice
amministrativo.
Ritornando ora al concetto di giudicato a formazione progressiva, per la
giurisprudenza in sede di ottemperanza, e soltanto laddove le ottemperande decisioni
siano state rese dallo stesso plesso giurisdizionale amministrativo e non da giudice di
altro plesso,16 il giudice dell'ottemperanza adito può arricchire, integrare e specificare
il giudicato; tuttavia ciò può avvenire unicamente nell'ipotesi in cui si renda
necessario e giammai modificando e/o stravolgendo il contenuto del decisum.17
14
Maruotti, Trattato di diritto amministrativo, Il nuovo diritto amministrativo, Cedam, 2015, p. 1052,
15
La sentenza del giudice amministrativo, quando riconosce l'illegittimità di un provvedimento, non si limita al mero
annullamento dell'atto, ma evidenziando le ragioni dell’illegittimità, contiene anche l'esplicitazione della corretta regola
di condotta da seguire nell'agire amministrativo. Di conseguenza, l'effetto "conformativo" di essa non può limitarsi al
mero divieto di riedizione dell'atto ovvero di non reiterazione dell'attività sanzionata con l'annullamento giudiziale, ma
si estende anche all'obbligo di porre in essere una attività successiva conforme ai canoni di legittimità individuati dalla
pronunzia giurisdizionale tutte le volte in cui la riedizione del potere amministrativo (e, dunque, l'attività amministrativa
oggetto della pronuncia) sia obbligatoria (Cons. St., IV, 12 novembre 2015 n. 5154).
16
Sull’impossibilità, in sede di ricorso proposto per l'ottemperanza ad una sentenza della corte dei Conti che ha
riconosciuto il diritto ad un trattamento pensionistico, di emettere pronuncia integrativa della sentenza del giudice
contabile riconoscendo il diritto a rivalutazione monetaria e interessi sui relativi crediti, si veda Cons. St., a. p., 17
gennaio 1997 n. 1.
17
Cons. St., IV, 9 dicembre 2015 n. 5589. Si veda anche Cons. St., a.p., 5 gennaio 2013, n. 2:Il giudice
dell’ottemperanza è il giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle
obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto. Qualora in sede di
esecuzione sia stato emesso un ulteriore provvedimento sfavorevole per chi sia vincitore in un precedente giudizio di
annullamento, l’interessato può contestare l’atto sopravvenuto con un unico ricorso, proposto entro il termine di
decadenza previsto dall’art. 41 del codice del processo amministrativo, e può formulare sia censure di legittimità che
censure che ne lamentano la nullità per elusione del giudicato, spettando al giudice amministrativo la qualificazione
dell’attività amministrativa in rapporto al precedente giudicato. La commissione esaminatrice di una valutazione
comparativa per la copertura di un posto di professore universitario, qualora il giudice amministrativo abbia annullato le
sue valutazioni conclusive perché viziate rispetto ai criteri da essa previamente predisposti, incorre nella violazione del
giudicato se rinnova gli atti del procedimento modificando senza specifiche ragioni i medesimi criteri, perché solo nel

5
In altri termini il giudice dell'ottemperanza esercita gli ampi poteri conferiti dalla
legge integrando l'originario disposto della sentenza impugnata dinanzi ad esso, con
determinazioni che non ne costituiscono una mera "esecuzione", ma una "attuazione"
in senso stretto, esercitando poteri di natura non meramente esecutiva ma anche
cognitiva affinché, attraverso tale formazione progressiva del giudicato, recante la
compiuta determinazione del suo contenuto quale correttamente desumibile, sia
assicurata la realizzazione sostanziale del bene della vita perseguito con il giudizio.18
L’elasticità dell’istituto si presta a “recuperare” eventuali difformità della sentenza
rispetto al diritto comunitario. La Corte di Giustizia ha affermato che se le norme
procedurali interne applicabili glielo consentono, un organo giurisdizionale
nazionale, come il giudice del rinvio, che abbia statuito in ultima istanza senza che
prima fosse adita in via pregiudiziale la Corte di giustizia ai sensi dell'articolo 267
TFUE, deve completare la cosa giudicata costituita dalla decisione che ha condotto a
una situazione contrastante con la normativa dell'Unione in materia di appalti
pubblici di lavori oppure ritornare su tale decisione, per tener conto
dell'interpretazione di tale normativa offerta successivamente dalla Corte medesima.19
In questa sede, infine, merita di essere ricordata l’ordinanza della V sezione del
Consiglio di Stato che ha rimesso la questione all’adunanza plenaria «non
condividendo il tradizionale insegnamento in tema di "giudicato a formazione
progressiva" accolto dalla giurisprudenza amministrativa e dalla stessa Plenaria».20
Per la V sezione si deve verificare se, dopo la riforma del processo amministrativo
attuata con l'adozione del relativo codice e l'introduzione di azioni processuali prima
non riconosciute dal sistema processuale amministrativo, ha ancora senso fare
riferimento all'istituto in esame che è stato elaborato dalla giurisprudenza per
sopperire alle limitazioni proprie del processo amministrativo originario, incentrato
sulla sola azione di annullamento del provvedimento illegittimo, oppure se deve farsi
riferimento ad un concetto di giudicato omologo a quello civilistico ed basato sul
dictum contenuto nella sola sentenza di merito.21

4. Profili specifici. La “particolarità” del giudicato amministrativo. Nel rito civile


i concetti di giudicato in senso formale e di giudicato in senso sostanziale sono
stabiliti rispettivamente dall’articolo 324 c.p.c. e 2909 c.c.

caso in cui essi risultino illegittimi possono essere modificati. Prima ancora Cons. St., a.p., 3 dicembre 1982 n. 18;
Cons. St., IV, 25 settembre 1992 n. 794; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 23 giugno 1994 n. 209; Cons. St., V,
6 febbraio 1999 n. 134; Cons. St., VI, 3 marzo 2008 n. 796.
18
Cons. St., IV, 27 gennaio 2015 n. 362.
19
Corte U.E., 10 luglio 2014, causa c. 213/13 in Guida al Diritto, 2014, fasc. 31, p. 80 con commento di Clarich.
20
Cons. St., 17 luglio 2015 n. 3587.
21
Inoltre, per la V sezione, occorre approfondire il profilo relativo al rapporto tra le statuizioni della sentenza di
ottemperanza suscettibili di passare in giudicato (a formazione progressiva) e le mere misure esecutive per stabilire in
astratto uno o più criteri, certi e ripetibili, per definire il discrimine tra tali due concetti, tanto più che l'istituto in esame,
ossia il giudicato a formazione progressiva, non ha alcuna base normativa di carattere positivo ma è frutto di
un'elaborazione giurisprudenziale, consolidatasi via via nei decenni.

6
Nel giudizio amministrativo manca una nozione di giudicato in senso sostanziale22 e,
da tempo, la dottrina ha messo in evidenza l’esistenza di significative differenze con
il giudicato civile.
In via generale, come nel giudizio civile, l’effetto della pronuncia riguarda solo le
parti coinvolte. Tuttavia molto complessa è la questione relativa all’esistenza
dell’obbligo per l’amministrazione di estendere gli effetti favorevoli del giudicato a
soggetti rimasti estranei alla controversia. Sotto un primo profilo, si potrebbe dire che
il principio di buon andamento, ma soprattutto quello di imparzialità, dovrebbe
portare ad estendere gli effetti favorevoli a soggetti che, pur rimasti estranei al
giudizio, si trovano nelle medesime condizioni. Sotto altro profilo, invece, si
potrebbe ragionare in senso esattamente opposto proprio applicando quanto disposto
dall’articolo 2909 c.c. La giurisprudenza amministrativa rimette al potere
discrezionale della p.a., soprattutto in materia di pubblico impiego, l’estensione del
giudicato favorevole.23
La questione si pone in termini diversi, e più complessi, nel caso di atti aventi
efficacia normativa poiché la giurisprudenza è tendenzialmente dell’avviso che la
pronuncia abbia effetti erga omnes24 con soluzione estesa anche alle decisioni di
annullamento degli atti amministrativi generali25 e di quelli inscindibili26 – essendosi
in quest’ultimo caso in presenza di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario,
il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri –27 nonché al giudizio in
materia di operazioni elettorali.28
22
Per la ricostruzione storica si veda Maruotti, Trattato di diritto amministrativo, Il nuovo diritto amministrativo,
Cedam, 2015, p. 1021. La funzione del giudicato è quella di assicurare la stabilità delle decisioni giurisdizionali anche
se di recente in dottrina di è fatto riferimento alla «erosione del c.d. “mito del giudicato”» (Montedoro). Su tale profilo,
di recente Cons. St., a.p., 4 marzo 2015 n. 2 ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 106 c.p.a. e 395 e 396 c.p.c. in relazione agli artt. 117 comma 1, 111 e 24 Cost nella parte in
cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46 par. 1,
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva
della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Per la nozione di giudicato in senso formale nel giudizio amministrativo, si veda Cons. St., a. p., 3 luglio 2012 n. 24.
23
Cons. St., V, 19 dicembre 2012 n. 6526:Non sussiste a carico della p.a. un obbligo giuridico di estendere gli effetti
del giudicato a soggetti ad esso estranei, che non vantano nessun diritto soggettivo a tale estensione, né tale posizione
soggettiva può trovare fondamento nella disposizione di cui all'art. 22 d.P.R. 1 febbraio 1986 n. 13 che, nel dettare
norme sul procedimento volto all'estensione del giudicato, riconosce all'Amministrazione la potestà di attivare o non il
procedimento stesso. Per la materia del pubblico impiego e l’applicazione di alcune specifiche norme, si veda altresì
Cons. St., IV, 24 maggio 2013 n. 2826 e prima Cons. St., IV, 15 novembre 2004 , n. 7462. Ampi riferimenti in
Maruotti, Trattato di diritto amministrativo, Il nuovo diritto amministrativo, Cedam, 2015, p. 1047-1048.
24
Cons. St., VI, 12 giugno 2015 n. 2888
25
Cons. St., IV, 18 novembre 2013 n. 5459.
26
Cons. St., III, 20 aprile 2012 n. 2350.
27
Ancora Cons. St., IV, 18 novembre 2013 n. 5459; in Cons. St., VI 29 marzo 2013 n. 1850 si aggiunge che la
decisione di annullamento (che - per i limiti soggettivi del giudicato - esplica in via ordinaria effetti soltanto fra le parti
in causa) acquista efficacia "erga omnes" quando gli atti impugnati siano a contenuto generale inscindibile, poiché gli
effetti dell'annullamento in questo caso non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto
sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri.
28
Aggiunge Cons. St., V, 8 maggio 2013 n. 2500 che in tema di contenzioso elettorale il giudicato formatosi acquista
autorità ed efficacia erga omnes, non essendo compatibile con la natura popolare dell'azione, con il suo carattere
fungibile e con le sue funzioni e finalità, che gli effetti della pronuncia rimangano limitati alle sole parti del giudizio;
pertanto, ai sensi dell'art. 129, comma 1, c.p.a., l'unica specialità, quanto alla legittimazione attiva, del rito elettorale
preparatorio, riguarda la fase introduttiva del giudizio di primo grado in quanto, una volta incardinato il rapporto
processuale, tutti i soggetti legittimati possono contrastare il ricorso originario o appellare la sentenza di accoglimento
al fine di evitare la formazione di un giudicato a loro opponibile.

7
Diversa è la soluzione nel caso di atto plurimo. Per la giurisprudenza l’atto plurimo è
caratterizzato dal fatto di contenere una pluralità di autonome e separate
determinazioni amministrative, concernenti una pluralità di altrettanto specifici
destinatari, che si trovano occasionalmente riunite in unico provvedimento, ma che
avrebbero potuto assumere anche la veste di tanti separati provvedimenti quanti sono
i singoli destinatari29 con la conseguenza che gli effetti di un possibile annullamento
giurisdizionale non possono che riguardare coloro che hanno impugnato tale atto,
perché questo può essere scomposto in tanti provvedimenti individuali quanti sono i
suoi destinatari.

5. Profili specifici. I poteri del giudice dell’ottemperanza e la discrezionalità


amministrativa. Dopo l’annullamento, passato in giudicato, dell’atto amministrativo
sovente si pone il problema relativo ai limiti entro i quali l’amministrazione può
ulteriormente esercitare i suoi poteri soprattutto di tipo discrezionale.
Sembra a chi scrive che, in coerenza con un risalente insegnamento,30 non possa
essere data sempre la medesima risposta.
Sotto un primo aspetto non v’è dubbio che l’amministrazione non ha potere
valutativo alcuno sui fatti accertati con la sentenza passata in giudicato che
evidentemente non possono essere messi nuovamente in discussione nella fase
dell’esecuzione amministrativa della sentenza; stessa conclusione vale nel caso in cui
il giudizio si è concluso con la condanna dell’amministrazione all’adozione di un
determinato provvedimento a seguito di azione di adempimento (nei limiti in cui lo
permette l’articolo 34 c.p.a.) oppure in conseguenza di un giudizio sul silenzio
(sempre nei limiti in cui lo permette l’articolo 31 c.p.a.). Anche l’azione di condanna
al risarcimento del danno presuppone, a prescindere dalla natura del potere esercitato,
l’accertamento pieno del rapporto.31 In queste ipotesi la domanda di cognizione
proposta conduce alla formazione di un giudicato idoneo a produrre un vincolo
conformativo pieno sull’esercizio della successiva attività dell’amministrazione
ovvero a fare sorgere l’obbligo di pagamento della somma risarcitoria.32
In altri casi l’azione di cognizione conduce alla formazione di un giudicato che
contiene una regola incompleta lasciando priva di vincoli la futura attività
amministrativa che non è stata oggetto di sindacato giurisdizionale e l’eventuale
giudizio di ottemperanza ha, pertanto, come già detto, natura mista di cognizione e di
esecuzione imponendo al giudice di concorrere alla definizione della regola del caso
concreto aprendo le porte alla già esaminata formazione progressiva del giudicato.33
Fatta tale premessa deve ora distinguersi tra violazione e elusione del giudicato. La
prima ipotesi ricorre quando il nuovo atto riproduce gli stessi vizi già censurati in
sede giurisdizionale ovvero quando si pone in contrasto con precise e puntuali
statuizioni del giudice o con specifici accertamenti dei fatti. Ci si trova innanzi

29
Cons. St., V, 10 settembre 2014 n. 4587
30
Cons. St., a.p., 14 ottobre 1986 n. 12.
31
Cons. St., VI, 19 giugno 2012 n. 3569.
32
Ancora Cons. St., VI, 19 giugno 2012 n. 3569.
33
Ancora Cons. St., VI, 19 giugno 2012 n. 3569.

8
all’elusione del giudicato, invece, allorquando l'amministrazione, pur provvedendo
formalmente a dare esecuzione alle statuizioni della sentenza, persegue l'obiettivo di
aggirarle dal punto di vista sostanziale, giungendo surrettiziamente allo stesso esito
già ritenuto illegittimo.
Se invece la sentenza del giudice amministrativo, come spesso accade, lascia margini
di discrezionalità non può configurarsi né violazione né elusione del giudicato in
relazione ai profili per i quali l’amministrazione può decidere nuovamente, e
discrezionalmente, sull’assetto di interessi da realizzare, salvo il rispetto delle
statuizioni di natura conformativa derivanti dall'impianto motivazionale del giudicato.
In relazione agli aspetti discrezionali “una situazione di inottemperanza non è
neppure configurabile” perché “deve escludersi che qualunque ulteriore esercizio del
potere amministrativo, che sia collegato in qualunque modo ad una precedente
pronuncia giurisdizionale, sia sottoponibile al sindacato di merito del giudice
dell'ottemperanza”.34 Risulta chiaro, dunque, che se non v’è violazione o elusione del
giudicato, il rimedio esperibile dall’interessato potrà essere solo quello consistente
nell’attivazione dell’ordinario giudizio di cognizione,35 rimanendo preclusa
l’attivazione di un giudizio esteso al merito, qual è il giudizio di ottemperanza.
Per porre fine alla possibilità di infinite reiterazioni di atti amministrativi espressione
di poteri discrezionali, per un orientamento giurisprudenziale non unanimemente
condiviso, l’amministrazione può far valere nuove ragioni ostative al soddisfacimento
della pretesa azionata una sola volta dopo il giudicato; dopodiché l'adozione di un
secondo provvedimento negativo per il privato, successivo alla sentenza passata in
giudicato, deve essere ritenuto elusivo del giudicato con conseguente possibilità di
impugnarlo in sede di ottemperanza.36
La discrezionalità amministrativa sotto certi aspetti funge, dunque, da confine tra la
successiva azione di ottemperanza, possibile solo se c’è violazione o elusione di
giudicato, e il normale giudizio di cognizione.
Tali principi, di recente, sono stati affermati dalla giurisprudenza in relazione al
rapporto esistente tra provvedimento di acquisizione ex articolo 42 bis d.P.R.
327/2001 e giudizio di ottemperanza Per il Consiglio di Stato il giudice può essere
adito in sede di ottemperanza solo nell'ipotesi in cui l'amministrazione non restituisca
il bene immobile né provveda all'emanazione del provvedimento di acquisizione ma
non quando la stessa, all'esito di una rinnovata ed autonoma valutazione degli
interessi in conflitto, decida di acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene in
forza dei poteri espressamente riconosciutigli dall'ordinamento. Ne consegue che
delle contestazioni in ordine alla sua legittimità conosce il giudice della cognizione e
non quello dell'ottemperanza.37
Una volta individuato in linea teorica l’esatto confine, tuttavia, va precisato che non
sempre è facile scorgerlo con riferimento a fattispecie concrete. Così, ad esempio,
sull’ottemperanza a sentenze che hanno annullato provvedimenti di conferimento ad

34
Cons. St., V, 1 ottobre 2015 n. 4604.
35
Cons. St., V, 28 luglio 2015 n. 3713.
36
Cons. St., VI, 11 febbraio 2013 n. 769.
37
Cons. St., IV, 6 agosto 2014 n. 4203.

9
incarichi direttivi nella magistratura ordinaria, la Corte di Cassazione ha
affermato:«la speciale giurisdizione di ottemperanza affidata al giudice
amministrativo presenta però, com'è noto, caratteri affatto peculiari, in virtù dei
quali l'ingerenza del giudice nel merito dell'agire della pubblica amministrazione è
pienamente ammissibile.
Ed, infatti, al medesimo giudice amministrativo è in tal caso espressamente attribuito
un potere di giurisdizione anche di merito (artt. 7cod. proc. amm., comma 6, e art.
134 cod. proc. amm.), con possibilità sia di procedere alla "determinazione del
contenuto del provvedimento amministrativo" ed alla "emanazione dello stesso in
luogo dell'amministrazione" (art. 114 cod. proc. Amm., comma 4, lett. a), sia di
"sostituirsi all'amministrazione" (art. 7 cod. proc. amm., comma 6) nominando, ove
occorra, un commissario ad acta (art. 114 cod. proc. amm., comma 4, lett. d). Un
eccesso di potere giurisdizionale del giudice amministrativo, per invasione della
sfera riservata al potere discrezionale della pubblica amministrazione, non potrebbe
perciò essere certamente ravvisato nel fatto in sè che il giudice dell'ottemperanza,
rilevata la violazione od elusione del giudicato amministrativo, abbia adottato (o
ordinato di adottare) quei provvedimenti che l'amministrazione inadempiente
avrebbe dovuto già essa stessa attuare. Proprio in questo sta infatti la funzione de
giudizio di ottemperanza che, in ossequio al principio dell'effettività della tutela
giuridica e per soddisfare pienamente l'interesse sostanziale del soggetto ricorrente,
non può arrestarsi di fronte ad adempimenti parziali, incompleti od elusivi del
contenuto della decisione del giudice amministrativo (cfr. Sez. un. 19 agosto 2009, n.
18375; e 24 novembre 2009, n. 24673). Nè a ciò è di ostacolo la circostanza che
l'amministrazione cui viene imputata la violazione o delusione del giudicato sia,
come nel caso del Consiglio superiore della Magistratura, un organo di rilevanza
costituzionale (si veda Corte cost. 15 settembre 1995, n. 435).
Ma, se lo sconfinamento nel merito del giudice amministrativo oltre i limiti della sua
naturale giurisdizione di legittimità è sindacabile ad opera della Cassazione, nei
termini già dianzi ricordati, appare del tutto ragionevole dedurne che un analogo
sindacato sia esercitabile anche nel caso in cui, essendo invece un potere di
giurisdizione di merito espressamente conferito dalla legge al medesimo giudice
amministrativo, venga addebitato al Consiglio di Stato di avere ecceduto il limite
entro il quale quel potere gli compete: di avere, cioè, esercitato una giurisdizione di
merito in presenza di situazioni che avrebbero potuto dare adito solo alla normale
giurisdizione di legittimità, e quindi all'esercizio di poteri cognitivi e non anche
esecutivi (cfr. Sez. un. 31 ottobre 2008, n. 26302; 19 luglio 2006, n. 16469; e 9
giugno 2006, n. 13431), o che comunque non avrebbero potuto dare ingresso
all'anzidetta giurisdizione di merito. Si ripropone, in siffatti casi, l'identica tematica
dell'invasione non consentita, ad opera del giudice, della sfera di attribuzioni
riservata alla pubblica amministrazione; nè, inoltre, il potere integrativo del giudice
dell'ottemperanza può sottrarsi ai limiti esterni della giurisdizione propria del
giudice amministrativo quando la cognizione della questione controversa, la cui
soluzione sia necessaria ai fini della verifica dell'esatto adempimento
dell'amministrazione obbligata, risulti devoluta ad altro giudice in modo che soltanto
10
questi possa provvedere al riguardo (si vedano Sez. un. 20 novembre 2003, n. 17633;
e 19 luglio 2006, n. 16469)».38
L’articolo 2, comma 4, d.l. 24 giugno 2014 n. 90 ha stabilito che nel caso di azione di
ottemperanza, il giudice amministrativo, qualora sia accolto il ricorso, ordina
l'ottemperanza ed assegna al Consiglio superiore un termine per provvedere,
escludendo espressamente l’applicazione delle lettere a) e c) del comma 4
dell'articolo 114 c.p.a., ossia la possibilità di ordinare l'ottemperanza, prescrivendo le
relative modalità, anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento
amministrativo o l'emanazione dello stesso in luogo dell'amministrazione.

6. Profili specifici. Le sopravvenienze. Nel nostro ordinamento non v’è una


disciplina specifica delle sopravvenienze perché il legislatore ha preferito lasciare al
giudice del caso concreto la decisione sulla loro rilevanza e portata.39
In primo luogo occorre distinguere tra sopravvenienze di fatto e sopravvenienze di
diritto. Le sopravvenienze di fatto possono incidere nei limiti in cui non rendono più
possibile la c.d. tutela ripristinatoria, ferma restando la possibilità di attivare altri
rimedi di tipo risarcitorio. Le sopravvenienze di diritto essenzialmente coincidono
con il mutamento, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, del quadro
normativo.
In secondo luogo è necessario accertare, per la giurisprudenza, se le sopravvenienze
si sono verificate prima o dopo la notificazione della sentenza.
Su queste specifiche questioni non vi sono orientamenti giurisprudenziali univoci40
sia perché, per un verso, le soluzioni devono essere adattate alla specifica fattispecie
sia perché, per altro verso, le diverse interpretazioni oscillano tra la necessità di non
vanificare la funzione del giudicato e l’esigenza di adeguare la successiva azione
amministrativa al mutato contesto di fatto e di diritto. Per la dottrina il principio
generale per cui la tutela deve essere assicurata “come se non vi fosse distacco fra
domanda, pronuncia giudiziale e attuazione di questa” dovrebbe condurre a ritenere
irrilevanti le sopravvenienze.41 Se si prendono in considerazione le predette
sopravvenienze “si privilegiano invece le caratteristiche e le ragioni della potestà
amministrativa”.42
In relazione al c.d. jus superveniens, a fronte di un orientamento che reputava del
tutto irrilevante il mutamento del quadro normativo dopo la notificazione della
sentenza, più recentemente il Consiglio di Stato ha distinto, da un lato, le fattispecie

38
Cass., s.u., 9 novembre 2011, n. 23302.
39
Già trenta anni fa l’adunanza plenaria ha affermato questo principio rilevando che se la tutela giudiziale dei diritti e
degli interessi legittimi deve essere effettuata (art. 24 comma 1 cost.), nel senso che l'amministrazione, in via generale,
ha il preciso obbligo di conformarsi al giudicato per quanto riguarda il caso deciso (art. 27 n. 4 t.u. 26 giugno 1924 n.
1054 e 37 l. 6 dicembre 1971 n. 1034), d'altra parte l'attribuzione al giudice amministrativo di una giurisdizione anche
di merito in sede di ottemperanza sta a denotare come il legislatore abbia inteso affidare alla sensibilità di questo
giudice la valutazione di particolari casi in cui, per un preminente o sovrastante interesse pubblico, il giudicato non
debba essere applicato col normale rigore (Cons. St., a.p., 14 ottobre 1986 n. 12).
40
In dottrina si è parlato di problema “molto delicato” (Nigro, Giustizia Amministrativa, Il mulino, 2002, p. 320).
41
Nigro, Giustizia Amministrativa, Il mulino, 2002, p. 320.
42
Ancora Nigro, Giustizia Amministrativa, Il mulino, 2002, p. 320.

11
che consentono al giudice amministrativo, sulla falsariga di quanto avviene nel
processo civile, di svolgere, nell’ambito della sua giurisdizione di legittimità, un
sindacato pieno sul rapporto dedotto nel processo, dall’altro, quelle che non
permettono che il sindacato abbia una tale estensione. In quest’ultimo caso «la
normativa successiva, potendo occupare gli spazi lasciati liberi dal giudicato, realizza
normalmente una successione cronologica di regole di disciplina del potere pubblico.
La prevalenza del giudicato si ha soltanto nel caso in cui la predetta normativa
sovrappone, in relazione a quello specifico tratto della vicenda amministrativa
vincolato dalla sentenza, la propria regola giuridica a quella giudiziale al fine
esclusivo di correggere l’esercizio delle funzioni del giudice».43
Più sfumato è stato l’atteggiamento di una recente sentenza dell’adunanza plenaria
ove si è affermato che l’esigenza di certezza, propria del giudicato, ossia di un assetto
consolidato degli interessi coinvolti, non può proiettare l’effetto vincolante nei
riguardi di tutte le situazioni sopravvenute di riedizione di un potere, ove questo, pur
prendendo atto della decisione del giudice, coinvolga situazioni nuove e non
contemplate in precedenza.44

7. Profili specifici. Effettività della tutela giurisdizionale e “penalità di mora”.


L’articolo 114, comma 4, lett. e), c.p.a. stabilisce che il giudice, in caso di
accoglimento del ricorso, salvo che sia manifestamente iniquo, e se non sussistono
altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal
resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo
nell'esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo. L’articolo 1,
comma 781, lett. a), l. 28 dicembre 2015, n. 208, ha aggiunto che nei giudizi di
ottemperanza aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, la penalità di mora
di cui al primo periodo decorre dal giorno della comunicazione o notificazione
dell'ordine di pagamento disposto nella sentenza di ottemperanza; detta penalità non
può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi
legali.
Si tratta di un istituto già conosciuto nel diritto processuale civile45 che
opportunamente il legislatore ha inserito tra gli strumenti a disposizione del giudice

43
Cons. St., VI, 19 giugno 2012 n. 3569. Si veda altresì Lopilato, Trattato di diritto amministrativo, Il nuovo diritto
amministrativo, Cedam, 2015, p. 1101 e segg.
44
Cons. St., a.p., 5 gennaio 2013 n. 2. Più complessa è la situazione quando la riedizione del potere si concreti nel
valutare differentemente, in base ad una nuova prospettazione, situazioni che, esplicitamente o implicitamente, sono
state oggetto di esame da parte del giudice. In tal caso, sempre per l’adunanza plenaria, non può escludersi in via
generale la rivalutazione dei fatti sottoposti all’esame del giudice seppure con “precisi limiti e vincoli”, dovendosi
respingere la tesi che, facendo leva sul principio di effettività della giustizia amministrativa, prospetta la necessità di
pervenire all’affermazione del divieto di ogni riedizione del potere a seguito di un giudicato sfavorevole.
45
Il riferimento è all’articolo 614 bis, comma 1, c.p.c., che, prima delle modifiche apportate dall'art. 13, comma 1, lett.
cc-ter), d.l. 27 giugno 2015, n. 83 prevedeva che «con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia
manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o
inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento». Dopo la novella del 2014
l’istituto è stato limitato ai provvedimenti di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di
denaro.

12
dell’ottemperanza all’evidente scopo di scoraggiare le amministrazioni dal non
eseguire le sentenze di ottemperanza.
Per alcuni autori si tratterebbe di una forma di risarcimento forfettario e anticipato del
danno da quantificare sempre con riferimento all’accertamento di un effettivo
pregiudizio subito dal danneggiante. Per altri, invece, la disposizione in questione
dovrebbe essere più correttamente ascritta alla categoria dei danni punitivi con la
conseguente libertà del giudice di stabilire la somma da pagare senza essere vincolato
dal danno subito e subendo.
Per individuare la natura giuridica dell’istituto in questione, va ricordato che la
dottrina, prevalentemente di matrice civilistica, ha individuato nell’azione risarcitoria
lo strumento per ottenere il risarcimento del danno collegato all’inadempimento di
un’obbligazione (c.d. responsabilità contrattuale) o all’esistenza di un danno ingiusto
cagionato da un fatto doloso o colposo ex articolo 2043 c.c. che deve essere allegato e
provato.46 Diverso invece è il concetto di pene private che, per autorevole dottrina,
sono quelle minacciate e applicate dai privati nei confronti di altri privati e che
trovano la loro fonte o in un contratto – come per le misure disciplinari applicate
dall’associazione agli associati o dal datore di lavoro ai lavoratori – oppure in uno
status, come nel caso delle punizioni inflitte dai genitori ai figli minori. Con
riferimento a tale categoria parte della dottrina ritiene che esse non possano trovare
riconoscimento nel nostro ordinamento perché sarebbero in contrasto con il principio
di uguaglianza, mentre altri autori, pur sottolineandone il carattere eccezionale,
reputano utile tale istituto perché idoneo ad integrare il sistema risarcitorio basato
esclusivamente sulla riparazione del pregiudizio effettivamente subito e
tendenzialmente impermeabile a qualsiasi valutazione di tipo sanzionatorio.
Seppure non sempre tale distinzione è emersa chiaramente in dottrina, giova
rammentare che gli studiosi hanno elaborato anche la categoria delle sanzioni civili
indirette qualificate come misure afflittive di carattere patrimoniale previste dalla
legge ed applicate dall’autorità giudiziaria. Le sanzioni civili indirette, così come le
pene private, presuppongono la violazione di una regola ma le prime si distinguono
dalle seconde perché la sanzione viene inflitta dal giudice e non dalla stessa parte
privata (come invece avviene per le pene private).
Infine, appare necessario qualche breve cenno alla categoria dei danni punitivi, che
negli ordinamenti di stampo anglosassone hanno lo scopo di punire il danneggiante
per un fatto grave e riprovevole aggiungendosi alle somme riconosciute al
danneggiato per risarcire il pregiudizio effettivamente subito. In questo caso nel
giudizio risarcitorio il giudice, dopo avere accertato l’esistenza di un effettivo pre-
giudizio subito dal danneggiato, condanna l’autore dell’illecito al pagamento di una
somma ulteriore a titolo “punitivo” sia per sanzionare il suo comportamento sia per
dissuadere gli altri consociati dal tenere condotte analoghe (la c.d. funzione general-
preventiva svolta dalla pena nel diritto penale). Come è noto l’opinione tuttora
prevalente esclude che nel nostro ordinamento possano avere cittadinanza giuridica i
danni punitivi e conseguentemente la Corte di cassazione ha sempre rigettato le

46
Cass., su, 11 novembre 2008 n. 26972.

13
istanze di delibazione delle sentenze straniere che prevedevano una condanna al
pagamento di somme di denaro a tale titolo.47
Per tale ragione la tesi che riconduce l’articolo 114, comma 4, lett. e) c.p.a. alla
categoria dei danni punitivi non convince sia perché, per le ragioni prima esposte, è
dubbio che siffatta tipologia di danni possa trovare ingresso nel nostro ordinamento
sia perché, anche negli ordinamenti di stampo anglosassone, la condanna a titolo di
danni punitivi è limitata ai casi di dolo o colpa grave, laddove la norma in questione
nulla prevede al riguardo.
La previsione in questione più correttamente va inquadrata tra le sanzioni civili
indirette (anche perché in tema di esecuzione di giudicato è pacifico che la posizione
è di diritto soggettivo) e conseguentemente permette (ed impone) al giudice di
riferirsi nella sua determinazione anche alla posizione vantata dal ricorrente.
Alla luce di tale inquadramento, la giurisprudenza ha ammesso, ancora prima del
legislatore del 2015, la possibilità di applicare l’istituto anche nel caso in cui
l’inadempimento riguardi la corresponsione di somme di denaro.48

8. Profili specifici. Concorrenza e alternatività tra esecuzione civile e


ottemperanza. È insegnamento consolidato che l'esecuzione forzata ordinaria,
secondo le norme del codice di procedura civile, e l’ottemperanza sono rimedi
concorrenti, nel senso che entrambi possono essere esperiti, anche contestualmente,
affinché la pretesa creditoria trovi puntuale adempimento in via coattiva. Per la
giurisprudenza amministrativa l'improcedibilità del ricorso per ottemperanza può
intervenire solo all'esito completamente satisfattivo della procedura esecutiva
ordinaria.49
Va precisato che sovente il creditore della pubblica amministrazione attiva il giudizio
di ottemperanza, per eseguire una sentenza emessa dal giudice ordinario, perché i
poteri riconosciuti al giudice amministrativo, e per il suo tramite al commissario ad
acta, consentono una più rapida soddisfazione del diritto rispetto all’ordinaria
procedura esecutiva innanzi al giudice civile.50
Per esperire il giudizio di ottemperanza non è necessaria l'apposizione della formula
esecutiva (articolo 115, comma 3, c.p.a.).
Più complesso è il tema relativo alla possibilità di eseguire le sentenze del giudice
amministrativo con le forme del processo di esecuzione civile. Il codice del processo
amministrativo ha testualmente stabilito che le pronunce del giudice amministrativo
che costituiscono titolo esecutivo sono spedite, su richiesta di parte, in forma
esecutiva (articolo 115, comma 1, c.p.a.). Come è noto, ai sensi dell’articolo 475
c.p.c. le sentenze e gli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria, per valere come
titolo per l’esecuzione forzata, debbono essere muniti della formula esecutiva.
47
Cass., 19 gennaio 2007 n. 1183; Cass., 8 febbraio 2012 n. 1781.
48
C.G.A., 30 aprile 2013 n. 424 in Giur. Italiana, 2013, p. 2380; si trova anche in Corr. Merito, 20143, fasc. 8-9, p. 895
e segg. Successivamente Cons. St., a.p., 25 giugno 2014 n. 15.
49
Cons. St., VI, 29 gennaio 2002 n. 480.
50
Va rammentato che l’ottemperanza è possibile solo nei confronti delle sentenze passate in giudicato del giudice
ordinario:Cons. St., V, 11 dicembre 2015 n. 5645 e Corte Cost.,8 febbraio 2006 n. 44.

14
L’articolo 115, comma 2, c.p.a conseguentemente aggiunge che i provvedimenti
emessi dal giudice amministrativo che dispongono il pagamento di somme di denaro
costituiscono titolo anche per l'esecuzione nelle forme disciplinate dal Libro III del
codice di procedura civile e per l'iscrizione di ipoteca.
Oggi, dunque, che al giudice amministrativo è consentita la condanna della pubblica
amministrazione al risarcimento dei danni da lesioni di interessi legittimi, il privato,
in alternativa al giudizio di ottemperanza, ha la possibilità di attivare il processo di
esecuzione nelle forme del rito civile. Tale possibilità può essere utilizzata in
presenza di un titolo esecutivo, per un diritto certo liquido ed esigibile (articolo 474
c.p.c.) e previa spedizione in forma esecutiva a prescindere dal passaggio in giudicato
della relativa statuizione. Si tratta di possibilità che l’interessato utilizzerà raramente
in considerazione del fatto che il rito dell’ottemperanza, nella maggior parte dei casi,
è più idoneo a tutelare la posizione giuridica soggettiva.

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