Riassunto Conso Grevi (Proce. Penale)

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CAPITOLO 1 – I SOGGETTI

Il primo libro del codice di procedura penale si occupa dello sviluppo della vicenda processuale a partire dal momento
in cui viene acquisita una notizia di reato.
Si apre con un capitolo dedicato al GIUDICE, consentendo di mettere in risalto la centralità della giurisdizione
nell'ambito di un processo concepito come sistema di garanzie.
Nel primo libro vengono presi in considerazione anche il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l'imputato, la
parte civile con il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa dal reato, il
difensore.
Restano esclusi l'ausiliare del giudice e del pubblico ministero, il testimone, il perito e il consulente tecnico.
→ “Soggetto” è termine diverso da “parte”, quest’ultima qualifica chi vanta il diritto ad una decisione giudiziale in
rapporto ad una pretesa fatta valere nel processo.
IL GIUDICE

Giurisdizione
L'art. 102 Cost. → attribuisce la funzione giurisdizionale a “magistrati ordinari istituiti e regolati
dalle norme sull'ordinamento giudiziario”.

■ Art. 1 C.p.p. “La giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di
ordinamento giudiziario secondo le norme di questo codice.”

Soltanto il giudice può essere titolare di funzioni giurisdizionali penali. Il giudice è una creazione delle norme
dell'ordinamento giudiziario.

■ Art. 178 C.p.p. “E' sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni
concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per
costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario
; b) l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale e la sua partecipazione al procedimento; c)
l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio
della persona offesa dal reato e del querelante”
Prevede che sia sempre prescritta, a pena di nullità, l'osservanza delle disposizioni relative alle condizioni di capacità
del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario.

■ Art. 33 C.p.p.
1.Le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi sono stabiliti
dalle leggi di ordinamento giudiziario.
2.Non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici
giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e
giudici.

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■ Art. 7-ter ordinamento giudiziario “Criteri per l'assegnazione degli affari e la sostituzione
dei giudici impediti”
Stabilisce che l'assegnazione degli affari è operata dal dirigente dell'ufficio alle singole sezioni e dal presidente della
sezione ai singoli collegi o giudici sulla base di criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale dal Consiglio
superiore della magistratura.
In caso di revoca di una precedente assegnazione, copia del relativo provvedimento motivato deve essere comunicata
al presidente della sezione o al magistrato interessato.

Le disposizioni relative alla FORMAZIONE DEI COLLEGI, non considerabili attinenti alla capacità del giudice,
riguardano le disposizioni che regolano la composizione dell'organo giudicante nel caso di assegnazione di un numero
di giudici superiore a quello necessario per la costituzione dell'ufficio e le disposizioni relative alle supplenze e alle
applicazioni.

Le disposizioni sulla DESTINAZIONE DEL GIUDICE ALL'UFFICIO sono invece riconducibili al concetto di
capacità. Prescindendo dalla mancanza di conferimento delle funzioni giudiziarie, l'unico attributo rilevante ai fini di
un'eventuale incapacità del giudice sembra quello della qualifica richiesta per l'esercizio delle funzioni giudiziarie che
è chiamato a svolgere. Quindi il vizio di difetto di qualifica ricade nell'ambito di operatività dell'art. 178, originando
una nullità assoluta.

Secondo l'art. 33 comma 3 C.p.p. “l'attribuzione degli affari al giudice in composizione collegiale o monocratica non
si considera attinente alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire” → NO nullità
assoluta, perché sono disposizioni che
attengono all'organizzazione interna del tribunale.

Profili ordinamentali
Importante è la distinzione tra:

a) GIUDICI STRAORDINARI, istituiti successivamente al fatto da giudicare,

● GIUDICI SPECIALI, estranei alla legge di ordinamento giudiziario, ≠ GIUDICI MINORILI: giudici ordinari specializzati.
Art. 102 Cost. vieta di istituire giudici straordinari o speciali, ma ammette l'istituzione di giudici specializzati (es.
tribunale per i minorenni).
Sono esclusi dal divieto (artt. 103 ,134 Cost.): i tribunali militari in relazione ai reati militari commessi da
appartenenti alle forze armate, e la Corte costituzionale, con riferimento alle accuse contro il Presidente della
Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.

b) GIUDICI ORDINARI, che traggono la loro legittimazione dall'ordinamento giudiziario.


• giudice di pace: giudice onorario e monocratico;
• giudice per le indagini preliminari: monocratico;
• giudice dell'udienza preliminare: monocratico;
L'art. 7-ter ord. giud. stabilisce che il giudice dell’udienza preliminare debba essere diverso dal gip (giudica indagini
preliminari) dello stesso procedimento.
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Al fine di assicurare un'elevata qualificazione professionale, si richiede che abbiano svolto per almeno 2 anni la
funzione di giudice del dibattimento o di giudice dell'udienza preliminare.
Per creare le migliori premesse di terzietà è fissata la regola della temporaneità delle funzioni: si esclude che tali
funzioni possano essere esercitare per un periodo superiore a quello determinato
dal Consiglio superiore della magistratura con proprio regolamento tra un minimo di 5 ed un massimo di 10 anni.
Tuttavia, qualora alla scadenza del termine sia in corso il compimento di un atto, l'esercizio delle funzioni è
prorogato, limitatamente al singolo procedimento, sino al compimento dell'attività in questione. Fuori da tali
disposizioni sono previste deroghe solo per esigenze di servizio imprescindibili e prevalenti.
COMPOSIZIONE:
● TRIBUNALE ORDINARIO: a seconda della gravità del reato o delle caratteristiche del reato, giudica in
composizione monocratica o in composizione collegiale, decidendo con il numero invariabile di 3 componenti;
● CORTE D'ASSISE: giudice collegiale composto da 8 magistrati, di cui 2 togati (magistrati professionali,
stabilmente appartenenti all'ordine giudiziario come magistrati di carriera) e 6 laici (magistrati onorari,
temporaneamente facenti parte dell'ordinamento giudiziario, scelti fra i cittadini con determinati requisiti);
● CORTE D'APPELLO: giudice collegiale composto da 3 magistrati;
● CORTE D'ASSISE D'APPELLO: giudice collegiale composto da 2 magistrati togati e 6 giudici popolari;
● MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA: monocratico;
● TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA: giudice collegiale composto da 4 magistrati, 2 togati e 2 laici;
● CORTE DI CASSAZIONE: giudice di legittimità, divisa in 7 sezioni, ognuna giudica con 5 componenti, 9 quando
si pronuncia a sezioni unite.
Per meriti insigni sono chiamati all'ufficio di consigliere della corte di cassazione professori ordinari di università in
materie giuridiche e avvocati che abbiano 15 anni d'esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni
superiori.
● GIUDICI MINORILI: giudici ordinari specializzati.
La giurisdizione penale è una giurisdizione autosufficiente: ha cognizione autonoma su tutte le questioni strumentali
alla pronuncia finale.
Questioni pregiudiziali e sospensione del processo.
Art. 2 - Cognizione del giudice.
Il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito. La
decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha
efficacia vincolante in nessun altro processo.
L’articolo stabilisce il dovere del giudice penale di risolvere ogni questione che si ponga come antecedente logico-
giuridico della decisione di cui è investito.
La questione logicamente prioritaria viene risolta con una pronuncia incidentale che può avere natura civile,
amministrativa o penale, ed ha rilevanza solo all'interno del procedimento in cui è inserita, senza alcuna efficacia
vincolante in nessun altro processo. Risponde all'esigenza di accelerare i tempi necessari per pervenire alla decisione
definitiva.
→ CLAUSOLA DI SALVEZZA
È possibile che siano previste eccezioni: da un lato in caso di controversia sulla proprietà delle cose sequestrate o
confiscate, si devolve la relativa risoluzione al giudice civile, dall'altro vi sono disposizioni che, occupandosi delle
questioni da cui dipende la decisione definitiva, disciplinando i presupposti e le modalità dell'eventuale sospensione e
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l'efficacia della decisione intervenuta in sede extrapenale; si tratta delle ipotesi in cui è ritenuto opportuno consentire
che sulla questione pregiudiziale intervenga una vera e propria decisione, idonea a stabilizzarsi con la formazione del
giudicato, e non un accertamento incidentale suscettibile di essere contraddetto da ulteriori accertamenti di segno
opposto.

Sospensione del processo

Art. 3 - Questioni pregiudiziali.

1. Quando la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il
giudice, se la questione è seria e se l'azione a norma delle leggi civili è già in corso, può sospendere il processo fino
al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione. 2. La sospensione è disposta con ordinanza
soggetta a ricorso per cassazione (camera di consiglio). 3. La sospensione del processo non impedisce il compimento
degli atti urgenti .
4. La sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza ha
efficacia di giudicato nel procedimento penale.

Questioni pregiudiziali relative allo stato di famiglia o di cittadinanza il giudice penale può sospendere il processo
quando ricorrano 3 condizioni:

• deve sussistere effettivamente un rapporto di pregiudizialità tra la risoluzione della controversia sullo stato di
famiglia o di cittadinanza e la decisione della regiudicanda penale.

• la questione pregiudiziale deve essere seria, quindi non manifestamente infondata o artificiosa;
• deve già esser proposta l'azione a norma delle leggi civili o amministrative.

Se manca una di queste condizioni il giudice deve decidere in via incidentale senza sospendere il processo penale.
Sarà il giudice a stabilire di volta in volta se, nonostante la ricorrenza di tutti i presupposti, sia preferibile o meno
risolvere autonomamente la questione pregiudiziale.
In caso di sospensione viene pronunciata ordinanza, impugnabile in cassazione senza che si produca effetto
sospensivo.
Sono legittimate al ricorso tutte le parti in quel momento presenti al processo.
La sospensione del processo non impedisce il compimento degli atti urgenti, purché tali atti non riguardino la
questione che ha sollevato la sospensione.
Alla sentenza irrevocabile intervenuta in sede extrapenale viene riconosciuta efficacia di giudicato. Il giudicato civile
o amministrativo ha efficacia vincolante sia se si è formato anteriormente all'inizio del

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processo penale, sia se, risolta incidenter tantum la questione pregiudiziale nell'ambito del processo penale, è
sopraggiunto mentre questo era ancora in corso. Nel caso la decisione extrapenale sia divenuta irrevocabile dopo la
conclusione del processo penale, la sentenza penale potrà essere soggetta a revisione.
Art. 479- Questioni civili o amministrative.
1.Fermo quanto previsto dall'articolo 3, qualora la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di
una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento
presso il giudice competente, il giudice penale, se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione
soggettiva controversa, può disporre la sospensione del dibattimento, fino a che la questione non sia stata decisa
con sentenza passata in giudicato.
2.La sospensione è disposta con ordinanza, contro la quale può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso
non ha effetto sospensivo.
3.Qualora il giudizio civile o amministrativo non si sia concluso nel termine di un anno, il giudice, anche di ufficio,
può revocare l'ordinanza di sospensione.

Altro caso di sospensione del processo penale a causa di una questione pregiudiziale, cioè qualora la questione da
risolvere in via prioritaria verta su una questione di competenza del giudice civile o amministrativo. Tale sospensione
può essere disposta solo nel corso del dibattimento ed è necessario che:
• la soluzione della controversia condizioni la decisione sull'esistenza del reato;

• la controversia risulti particolarmente complessa;


• il procedimento davanti al giudice civile o amministrativo sia già in corso, altrimenti potrebbe darsi il caso di
un'inerzia incorreggibile.
● È anche necessario che la legge civile o amministrativa non ponga limitazioni alla prova della situazione soggettiva
controversa.

La sospensione anche in questo caso è disposta con ordinanza impugnabile in cassazione da tutte le parti. È escluso
che l'impugnazione abbia effetto sospensivo.
Al giudice è consentito di revocare, anche d'ufficio, l'ordinanza di sospensione qualora il giudizio civile o
amministrativo non si sia concluso nel termine di 1 anno.
In questo caso di sospensione è esclusa l'efficacia vincolante della sentenza extrapenale: la sentenza fa parte del
materiale probatorio destinato a costituire la base per la formazione del convincimento del giudice, il quale può
disattenderla motivando le ragioni di divergenza.

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La competenza: per materia, per territorio, per connessione.
La competenza è l'insieme di regole giuridiche che consentono di attuare una distribuzione delle regiudicande
penali, in modo che risulti predeterminato il giudice legittimato a conoscere di ogni procedimento.

Regole per la determinazione della competenza.


1. Per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o
tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle
circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di
quelle ad effetto speciale.
L'articolo dispone che per determinare la competenza bisogna tener conto della pena (del massimo della pena, criterio
quantitativo) stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato.
È esclusa l'incidenza della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, salvo che si tratti di aggravanti
per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa o di quelle ad effetto speciale (comportanti un aumento della
pena superiore ad un terzo).

→ Competenza per materia


Il codice ha tracciato la suddivisione tenendo conto sia del tipo di reato (criterio qualitativo), sia
del livello della pena edittale (criterio quantitativo).
■ La competenza della CORTE D'ASSISE è specificata all’art. 5 secondo cui risultano affidati alla stessa:

• i delitti puniti con l'ergastolo o con reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, esclusi i
delitti, comunque aggravati, di omicidio, rapina, estorsione, associazione di tipo mafioso
anche straniera, nonché in materia di stupefacenti.
È stata esclusa la competenza della corte d'assise per il delitto di associazione mafiosa: tale
disposizione si applica ai procedimenti relativi ai delitti anche quando siano già in corso
alla data di entrata in vigore del decreto 10/2010, eccettuata l'ipotesi in cui, prima di tale
data, sia stato dichiarato aperto il dibattimento davanti alla corte d'assise;
• i delitti consumati di omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio, omicidio
preterintenzionale;
• ogni delitto doloso, qualora dal fatto sia derivata la morte di una o più persone, escluse le
ipotesi di morte come conseguenza non voluta di altro reato, di morte a seguito di rissa e di
morte derivante da omissione di soccorso;
• i delitti di riorganizzazione del partito fascista, delitti di genocidio e delitti contro la
personalità dello Stato puniti con pena edittale non inferiore nel massimo a 10 anni.
Sono sottratti i delitti di riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi, acquisto e
alienazione di schiavi (risultano attribuiti al tribunale in composizione collegiale) (vedi d.l.
12/2010);
• i delitti consumati o tentati di associazione a delinquere ex art. 416 co 6 c.p ., associazione
diretta a commettere i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, tratta di
persone, acquisto e alienazione di schiavi, i delitti con finalità di terrorismo a condizione
che sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 10 anni.

■ La competenza del TRIBUNALE si ricava per sottrazione, dall'art. 6: è competente per i reati
che non sono di competenza della corte d'assise o del giudice di pace.

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→ Competenza per territorio

■ Art. 8 - Regole generali.


1. La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato.
2. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del
luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione.
3. Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio
la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone.
4. Se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo
atto diretto a commettere il delitto.

La regola fondamentale per determinare la competenza per territorio è quella del luogo in cui il
reato è stato consumato.
Vi sono regole di carattere generale che derogano al criterio del luogo del delitto in ragione della
particolare configurazione della fattispecie delittuosa e regole suppletive che consentono
l'individuazione del giudice territorialmente competente quando non è possibile applicare le regole
generali.
- Nel caso in cui il fatto abbia cagionato la morte di una o più persone, la competenza spetta
al giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione.
- Nei casi in cui il reato sia permanente si segue il criterio del luogo in cui ha avuto
inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone.
- Nel caso di delitto tentato si segue il criterio del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo
atto diretto a commettere il delitto.

■ Art. 9 - Regole suppletive.


1. Se la competenza non può essere determinata a norma dell'articolo 8, è competente il giudice
dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione.
2. Se non è noto il luogo indicato nel comma 1, la competenza appartiene successivamente al
giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato.
3. Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appartiene al giudice
del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere
la notizia di reato nel registro previsto dall'articolo 335.
Quando non è possibile applicare le regole generali, subentra l'art. 9 che prevede il criterio del
luogo in cui è avvenuta una parte dell'azione o dell'omissione. Se tale luogo non è conosciuto, la
competenza spetta al giudice del luogo della residenza, dimora o domicilio dell'imputato; se non è
determinabile neanche in tal modo, la competenza spetta al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio
del pubblico ministro che ha provveduto a iscrivere la notizia del reato nel registro.

■ Art. 10 - Competenza per reati commessi all'estero.


1. Se il reato è stato commesso interamente all'estero, la competenza è determinata successivamente
dal luogo della residenza, della dimora, del domicilio, dell'arresto o della consegna dell'imputato.
Nel caso di pluralità di imputati, procede il giudice competente per il maggior numero di essi.
2. Se non è possibile determinare nei modi indicati nel comma 1 la competenza, questa appartiene al
giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a
iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall'articolo 335.
3. Se il reato è stato commesso in parte all'estero, la competenza è determinata a norma degli
articoli 8 e 9.

Se il reato è stato commesso in parte all'estero, si applicano le regole degli art. 8 e 9.


In caso di reato commesso interamente all'estero la competenza viene determinata dal luogo di
residenza, dimora o domicilio, dell'arresto o della consegna dell'imputato, ed in caso di più imputati
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prevale il giudice competente per il maggior numero di imputati. Come regola residuale, si
privilegia il giudice del luogo in cui è avvenuta la prima iscrizione nel registro dell'art. 335.

DEROGHE al “locus commissi delicti” traggono legittimazione dell’art. 210 disp. att. stabilisce
che continuano ad osservarsi disposizioni di legge o decreti disciplinanti la competenza per
territorio sulla base dei criteri non coincidenti con quello fissato all'art. 8.
Altre deroghe sono riconducibili a leggi successive alla pubblicazione del codice.
● Deroga espressa, anche se parziale, è prevista all'art. 328 che riguardano i procedimenti
relativi ai delitti art. 51 co 3-bis, 3-quater, 3-quinques: in questi casi le funzioni del gip,
nonché quelle del gup, sono esercitate da un magistrato appartenente al tribunale del
capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
● L'art. 11 prevede un'altra deroga nel caso di procedimento penale in cui un magistrato
assuma la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, e la
competenza, in relazione al fatto per cui si procede, spetterebbe ad un ufficio giudiziario
ricompreso nel distretto di corte d'appello in cui lo stesso magistrato esercita le proprie
funzioni, ovvero le esercitava al momento del fatto: in questi casi la competenza per i
procedimenti spetta al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel
capoluogo del distretto di corte d'appello determinato dalla legge, in base al criterio della
circolarità.
Lo spostamento di competenza riguarda anche i procedimenti connessi con quello in
cui è coinvolto il magistrato.
Art. 11-bis la stessa regola si applica nel caso in cui il magistrato appartenga
alla direzione nazionale antimafia.

→ Competenza per connessione


La connessione è un criterio autonomo di attribuzione della competenza, e comporta l'automatico
confluire davanti ad un unico giudice di procedimenti che in base alle regole sulla competenza per
materia e per territorio spetterebbero a giudici diversi.
Per adeguare il codice alle direttive dell'art. 111 Cost, sono state escluse dalla competenza
per connessione le ipotesi di competenza occasionale (per reati commessi in occasione di
altri) e della connessione strumentale (reati commessi per conseguire o assicurarne al
colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto e l'impunità), recuperate però dall'art.
371 nell'ambito del collegamento investigativo tra diversi uffici del pm.

L'art. 12 dispone che si ha connessione di procedimenti quando:


a) il reato per cui si procede è stato connesso da più persone in concorso o (per i reati colposi)
in cooperazione tra loro, ovvero se più persone, con condotte indipendenti, hanno determinato
l'evento;
b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso
formale) ovvero con più azioni od omissioni esecutive di uno stesso disegno criminoso (reato
continuato);
c) se dei reati per cui si procede alcuni sono stati commessi per conseguire o occultare gli altri.

Art. 15 è prioritario il criterio del giudice superiore, dal quale discende che i procedimenti
di competenza del tribunale risultano automaticamente attribuiti alla corte d'assise.

Art. 16 riguardo alla competenza per territorio prevale il giudice competente per il reato più grave
o, in caso di pari gravità, quello competente per il primo reato.
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Al II comma è specificato che quando, nel corso di concorso di persone o di condotte
indipendenti, le azioni o le omissioni sono state commesse in luoghi diversi e dal fatto è derivata
la morte di una persona, si attribuisce la competenza al giudice del luogo in cui si è verificato
l'evento.

Art. 13 in caso di competenza concorrente tra Corte costituzionale e giudice ordinario, prevale la
competenza del giudice speciale, mentre nel rapporto tra giudice militare e giudice ordinario la
competenza spetta al giudice ordinario quando il reato comune è più grave di quello militare .
Art. 14 per i procedimenti relativi ad imputati che, al momento del fatto, erano minorenni, e
procedimenti relativi ad imputati maggiorenni, la connessione non opera. Non opera neanche tra
procedimenti per i reati commessi dall'imputato ancora minorenne e procedimenti relativi a reati
commessi dopo il compimento della maggiore età.

→ Competenza funzionale
La competenza funzionale non è prevista nel codice, ma i giudici si diversificano in ragione
della funzione che svolgono nell'ambito dello stesso procedimento.
Partendo dalla suddivisione per gradi è possibile distinguere tra:
• giudice di pace, tribunale ordinario e corte d'assise come giudici di primo grado;
• tribunale in composizione monocratica, corte d'appello e corte d'assise d'appello come giudici di
secondo grado;
• corte di cassazione come giudice di legittimità sulle decisioni assunte nei gradi precedenti.

È possibile anche una suddivisione per fasi:


• fase anteriore al giudizio, vi si collocano le attività del giudice per le indagini preliminari e
quelle del giudice dell'udienza preliminare;
• fase del giudizio, sono competenti il tribunale, la corte d'assise, la corte d'appello, la corte
d'assise d'appello, la corte di cassazione;
• fase di esecuzione, competenti il giudice dell'esecuzione e il magistrato di sorveglianza (di primo
grado), ed il tribunale di sorveglianza (primo grado per determinate competenze in via esclusiva,
secondo grado per le decisioni del magistrato di sorveglianza).

Le “attribuzioni” del tribunale.


Stabilito che la competenza appartiene al tribunale, bisogna determinare se la composizione sia
monocratica o collegiale. Il criterio di riparto non è basato sulla competenza ma sull'attribuzione.

Art. 48-quater ord. giud. prevede che giudica in composizione MONOCRATICA il tribunale
della sezione distaccata, anziché quello ubicato nella sede principale, quando il luogo in base al
quale si determina la competenza per territorio ai sensi degli art. 8 e 9 rientra nella circoscrizione
della sezione.
In base al criterio quantitativo, sono devoluti al TRIBUNALE COLLEGIALE i delitti puniti
con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni, anche nell'ipotesi del tentativo (art. 33-bis
co 2).
Il limite dei 10 anni va calcolato con le regole dell'art. 4 (senza contare continuazione, recidiva e
circostanze).
Il criterio quantitativo va coordinato con quello qualitativo: sono sottratti al tribunale collegiale
alcuni delitti puniti con la reclusione superiore a 10 anni (es. delitti in materia di sostanze
stupefacenti qualora non vengano contestate le aggravanti art. 80), e gli vengono attribuiti reati
che, secondo il criterio quantitativo, dovrebbero essere giudicati dal tribunale in composizione
MONOCRATICA (art. 33-bis):
Competenza del collegiale anche se dovrebbero essere devolute al monocratico:
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• delitti commessi avvalendosi di associazioni di tipo mafioso o al fine di agevolare l'attività
delle associazioni di tipo mafioso, delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione
dell'ordinamento costituzionale, puniti con reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni o nel
massimo a 10 anni, delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in
vendita,
cessione, detenzione e porto in luogo pubblico di armi da guerra, esplosivi e armi comuni da sparo,
che non rientrino nella competenza della corte d'assise;
• delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, esclusi il rifiuto o ritardo di
obbedienza commesso da un militare o agente della forza pubblica; interruzione di un servizio
pubblico o di pubblica necessità, omissione dei doveri d'ufficio in occasione di abbandono di un
pubblico ufficio o di interruzione di pubblico servizio, sottrazione o danneggiamento di cose
sottoposte a sequestro penale o amministrativo, violazione colposa di doveri inerenti alla custodia
di cose sottoposte a sequestro penale o amministrativo;

• delitti di associazione a delinquere, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-


mafioso, attentato a impianti di pubblica utilità a cui siano conseguiti la distruzione o il
danneggiamento dell'impianto ovvero un'interruzione, anche momentanea del loro funzionamento,
danneggiamento di nave o aeromobile a cui siano conseguiti il naufragio, la sommersione o il
disastro, disastro ferroviario causato da danneggiamento, attentato alla sicurezza dei trasporti a cui
sia conseguito un disastro, attentato alla sicurezza degli impianti di energia elettrica, del gas o delle
pubbliche comunicazioni a cui sia conseguito un disastro, disastro ferroviario, naufragio, caduta di
aeromobile colposi, delitti colposi contro la salute pubblica, illecita concorrenza con minaccia o
violenza, incesto, prostituzione minorile, pornografia minorile;

• delitti previsti dal codice civile in materia di società e consorzi;


• delitto di nave sospetta di pirateria;
• delitti commessi dal presidente del Consiglio dei ministri e dai Ministri nell'esercizio delle loro
funzioni, nonché in concorso con gli stessi, da altre persone;
• delitti di bancarotta fraudolenta, fatti di bancarotta fraudolenta commessi dagli amministratori,
direttori generali, sindaci, liquidatori di società dichiarate fallite, interesse privato del curatore negli
atti del fallimento, esercizio abusivo di attività commerciale;
• delitto di associazione di carattere militare;
• delitti relativi al divieto di riorganizzazione del partito fascista, escluse le ipotesi riservate alla
corte d'assise, delitto di associazione a delinquere finalizzato al contrabbando di tabacchi lavorati
esteri;
• delitto di interruzione della gravidanza, provocata senza il consenso della donna;
• delitto di promozione o direzione di associazione segreta, di proselitismo a suo favore, e
partecipazione alla stessa;
• reati finanziari, valutari o societari commessi da persona sottoposta a misure di prevenzione
o da persona condannata, con sentenza definitiva, per il delitto di associazione di tipo mafioso;
• delitto di trasferimento fraudolento di valori;
• delitti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa;
• delitti di produzione ed uso di armi chimiche.
In base all'art. 33-ter il tribunale monocratico giudica sui reati non attribuiti al tribunale
collegiale dall'art. 33-bis o da altre disposizioni di legge.

L'art. 33-quater prevede che in caso di connessione tra procedimenti che appartengono alla
cognizione del tribunale collegiale e altri relativi al tribunale monocratico, si applicano le
disposizioni relative al procedimento davanti al giudice collegiale, cui sono attribuiti tutti i
procedimenti connessi. La connessione opera anche in rapporto alle indagini preliminari.

10
La disciplina della riunione e della separazione dei processi
Riunione e separazione sono istituti che operano dal momento in cui, a seguito dell'esercizio
dell'azione penale, il procedimento si è evoluto in processo.
L'art. 19 prevede che i provvedimenti di riunione e separazione sono disposti con ordinanza,
anche d'ufficio, sentite le parti.
■ La RIUNIONE dei processi determina la trattazione congiunta di processi in precedenza pendenti
davanti a diversi giudici, sezioni dello stesso ufficio giudiziario, preventivamente individuato in
base ai normali criteri di competenza.
In base all'art. 17, perché sia disposta la riunione è necessario che:
• i processi da riunire pendano davanti allo stesso ufficio giudiziario;
• tali processi si trovino nello stesso stato e grado;
• si faccia una previsione in base alla quale la riunione non determini un ritardo nella
definizione delle singole vicende processuali;
• sussista uno dei casi tassativamente indicati dalla legge.
La riunione può essere disposta quando:
• i processi pendenti siano connessi ex art. 12;
• nei casi previsti all'art. 371 co 2 lett. b):
- quando i processi pendenti siano relativi ai reati dei quali alcuni siano stati commessi
in occasione di altri, o per conseguire o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il
prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno
reciproco le une delle altre,
- se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato
o altra circostanza. (connessione probatoria)
→ Si ritiene che una volta esclusa la sussistenza di un ritardo, la riunione sia un atto dovuto.
Se alcuni dei processi pendono davanti alle due diverse composizioni dello stesso tribunale, viene
disposto l'accorpamento in capo al tribunale in composizione collegiale, che si pronuncerà su tutte
le regiudicande, anche nel caso in cui siano oggetto di un successivo provvedimento di separazione.
Quando i processi in grado di attrarre il processo pendente davanti al tribunale monocratico siano
più d'uno, sarà designato il giudice o la sezione collegiale cui è stato assegnato per primo uno dei
processi (art. 2 disp. att.).
■ Art. 18 la SEPARAZIONE si ha quando alcuni imputati o alcune imputazioni siano in attesa, mentre
per altri imputati o altre imputazioni sia possibile l'immediata trattazione.
Può succedere sia nella decisione conclusiva del dibattimento che all'udienza preliminare.
Si deve procedere alla separazione quando:
• sia stata disposta la sospensione del procedimento;
• in seguito ad incolpevole assenza in sede di udienza preliminare o in sede dibattimentale
di un imputato o del suo difensore, bisogna rinnovare la citazione o l'avviso;
• quando il processo abbia come protagonisti uno o più imputati chiamati a rispondere di
reati di elevata gravità, quando questi imputati siano prossimi ad essere rimessi in libertà
per scadenza dei termini massimi per la custodia cautelare, data la mancanza di altri titoli di
detenzione.
→ La separazione è esclusa qualora il giudice ritenga che la riunione sia assolutamente
necessaria per l'accertamento dei fatti.
La separazione può essere disposta anche sulla base di un accordo tra le parti, se il giudice la ritiene
utile sotto il profilo della speditezza (art. 18 co 2).

11
I procedimenti di verifica della giurisdizione e della competenza
■ Art. 20 statuisce sul DIFETTO DI GIURISDIZIONE, ravvisabile sia quando un giudice
ordinario si ritenga competente in ordine ad un reato su cui dovrebbe pronunciarsi un giudice
speciale, sia quando nessun giudice penale, ordinario o speciale, è fornito della potestà
giurisdizionale relativamente ad una determinata fattispecie.
Può essere rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.
Se il difetto di giurisdizione è rilevato durante le indagini preliminari, il giudice provvede
con ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pm, la sua ordinanza non risolve
definitivamente la questione.
Dopo la chiusura delle indagini preliminare e in ogni stato e grado del processo, il
giudice pronuncia sentenza e ordina che gli atti vengano trasmessi all'autorità
competente.

■ Art. 21 l''INCOMPETENZA PER MATERIA può essere rilevata in ogni stato e grado del
processo (non prima che sia esercitata l'azione penale).
Derogano due casi:
• Art. 23 quando il giudice conosce di un reato che appartiene alla cognizione di un giudice di
competenza inferiore, l'incompetenza deve essere rilevata d'ufficio o eccepita, a pena di
decadenza, entro il termine dell'art. 491, cioè subito dopo aver compiuto per la prima volta
l'accertamento della costituzione delle parti;
• Art. 21 comma 3 nel caso di incompetenza per materia derivante da connessione, che deve essere
eccepita o rilevata, a pena di decadenza, entro gli stessi termini stabiliti per l'incompetenza per
territorio.

■ L'INCOMPETENZA PER TERRITORIO e PER CONNESSIONE deve essere rilevata o


eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa
manchi, ovvero se l'eccezione venga respinta in sede di udienza preliminare, entro il termine ex
art. 491 per la trattazione delle questioni preliminari.

Art. 22 durante le indagini preliminari, il giudice che riconosca la propria


incompetenza pronuncia ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pm.

Art. 23 dopo la chiusura delle indagini preliminari e in sede di dibattimento di primo grado,
il giudice dichiara con sentenza la propria incompetenza e ordina la trasmissione degli atti al
pm presso il giudice competente.

Art. 24 in grado d'appello, se il giudice rileva che su un reato di competenza della corte
d'assise ha giudicato il tribunale, o che su un reato di competenza del tribunale ha giudicato
un giudice di pace, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al
pm presso il giudice di primo grado <-- (incompetenza per difetto); nel caso opposto il
giudice d'appello, salvo la decisione sia inappellabile, pronuncia nel merito, 
(incompetenza per eccesso) anche quando l'eccezione di incompetenza, ritualmente
formulata in primo grado ex art. 23, sia stata riproposta con i motivi d'appello.
In caso di incompetenza per territorio o per connessione, è prevista la pronuncia di una sentenza di
annullamento da parte del giudice d'appello e la trasmissione degli atti al pm presso il giudice di
primo grado. È indispensabile che l'incompetenza per territorio o per connessione, dopo esser stata
eccepita in primo grado nei termini (prima della conclusione delle indagini preliminari), sia stata
denunciata con i motivi d'appello, altrimenti il giudice d'appello, nonostante l'incompetenza del
giudice di primo grado, deve pronunciare nel merito.

12
Nel giudizio davanti alla corte di cassazione questa è tenuta a dichiarare, anche d'ufficio,
l'incompetenza per materia derivante dall'aver il tribunale giudicato un reato di competenza della
corte d'assise; può essere eventualmente dichiarata l'incompetenza per territorio o per connessione,
purché la relativa eccezione, tempestivamente proposta in primo grado e riproposta in appello, sia
ulteriormente riproposta nei motivi del ricorso per cassazione.

● Art. 25 la decisione della cassazione sulla giurisdizione o sulla competenza è vincolante nel corso
del processo, può esser superata solo nel caso in cui risultino nuovi fatti che, incidendo sulla
definizione giuridica, implichino la modificazione della giurisdizione o la competenza del giudice
superiore.
● L'art. 26 prevede che il mancato rispetto delle norme sulla competenza non determina l'inefficacia
delle prove acquisite, con la sola eccezione delle dichiarazioni rese al giudice incompetente per
materia che, se ripetibili, possono essere utilizzate solo in sede di udienza preliminare e per le
contestazioni ex art. 500 e 503.
● L'art. 27 stabilisce che le misure cautelari disposte dal giudice dichiaratosi incompetente
contestualmente o successivamente alla loro pronuncia, cessino di avere efficacia se entro 20 giorni
dall'ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente non siano da questo confermate.

Il CONFLITTO è la situazione che si determina quando, in qualsiasi stato e grado del processo,
due o più giudici contemporaneamente prendono o rifiutano di prendere cognizione dello stesso
fatto attribuito alla stessa persona.
Si ha CONFLITTO DI GIURISDIZIONE quando il contrasto intercorre tra uno o più
giudici ordinari e uno o più giudici speciali, si ha CONFLITTO DI COMPETENZA quando
sono coinvolti uno o più giudici ordinari.
È esclusa la possibilità di conflitto tra il giudice dell'udienza preliminare e quello
del dibattimento, in quanto prevale sempre il giudice del dibattimento.
Tutti i casi analoghi non espressamente previsti dalla legge sono riconducibili all'art. 28 co 1.
È escluso che nel corso delle indagini preliminari possa esser proposto conflitto positivo per
ragioni di competenza territoriale determinata da connessione. Il pm presso il giudice competente
per il reato meno grave o commesso per ultimo, è libero di svolgere le indagini concernenti tale
reato o, in seguito alla riconosciuta esistenza del vincolo connettivo, di trasmettere gli atti
all'ufficio del pm presso il giudice competente ex art. 16.
Art. 30 il procedimento di conflitto nasce con una denuncia di parte o una
rilevazione d'ufficio del giudice. Non ha effetti sospensivi sul processo in corso.
Art. 32 la risoluzione del conflitto spetta alla corte di cassazione, che decide con sentenza
in camera di consiglio, ex art. 127.
Art. 29 il conflitto cessa per effetto dell'iniziativa di uno dei giudici che dichiari, anche
d'ufficio, la propria competenza, in caso di conflitto negativo, o la propria incompetenza,
in caso di conflitto positivo.
Se questo non si verifica si attende la pronuncia della cassazione: sentenza
vincolante tranne che in caso di modificazione derivante da fatti nuovi.

Gli atti compiuti dal giudice incompetente rimangono efficaci in base al principio di
conservazione degli atti ex art. 26 e 27. Nel caso di provvedimenti cautelari però il termine di 20
giorni decorre dalla comunicazione della sentenza della corte al giudice che ha disposto la misura
cautelare.

13
Il controllo sul corretto riparto di “attribuzioni” fra tribunale “monocratico” e tribunale “collegiale”

Art. 33-quinquies
“l'inosservanza delle disposizioni sull'attribuzione di un reato ad una determinata composizione del
tribunale e le disposizioni processuali collegate a tale attribuzione deve essere rilevata o eccepita, a
pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare ovvero, quando questa
manchi, entro il termine previsto per la trattazione delle questioni preliminari ex art. 33-sexies”

Art. 33-sexies
“In sede di udienza preliminare il giudice che ritenga di procedere a citazione diretta a giudizio
dispone con ordinanza che gli atti vengano trasmessi al pubblico ministero affinché provveda ad
emettere decreto di citazione in giudizio”.
La lettura dell'ordinanza equivale a notificazione per le parti presenti e, per quanto concerne
la formazione del fascicolo per il dibattimento, la trasmissione degli atti al giudice
dibattimentale e l'eventuale assunzione di atti urgenti, vale quanto disposto dagli artt. 553 e
554.

Art. 33-septies
Quando l'inosservanza delle regole sull'attribuzione del reato venga rilevata nel corso del
dibattimento di primo grado, il giudice procede diversamente a seconda che il dibattimento
sia instaurato in seguito ad udienza preliminare o a decreto di citazione diretta a giudizio:
• nel caso di UDIENZA PRELIMINARE è sufficiente la trasmissione degli atti, con ordinanza, al
giudice competente a decidere sul reato contestato;
• nel caso di DECRETO DI CITAZIONE diretta a giudizio deve essere disposta, con ordinanza,
la trasmissione degli atti al pm, per consentirgli di esercitare l'azione penale tramite la richiesta
di rinvio a giudizio.
L'ordinanza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono
essere considerati presenti.

Art. 33-octies
Il giudice d'appello che ritenga dovesse giudicare il tribunale in composizione collegiale,
pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al pm presso il giudice di
primo grado, purché l'erronea attribuzione sia tempestivamente eccepita e quindi denunciata nei
motivi d'appello.
Il giudice d'appello pronuncia sul merito quando ritenga che il reato appartenesse alla
cognizione del tribunale in composizione monocratica.

Quando è la CORTE DI CASSAZIONE a pronunciare sentenza di annullamento, bisogna distinguere:


• se l'attribuzione è viziata per difetto, pronuncia sentenza di annullamento e trasmissione degli atti
al pm, purché il vizio sia stato tempestivamente eccepito in primo grado e la relativa eccezione
proposta nei motivi d'appello, e quindi riproposta nel ricorso;
• nel caso di attribuzione viziata per eccesso si applica la stessa regola, purché il ricorso riguardi una
sentenza inappellabile o un ricorso per saltum ex art. 569. Fuori da tali casi l'errore di attribuzione
è irrilevante.

14
Art. 33-nonies
Sono pienamente utilizzabili le prove acquisite, né è inficiata la validità degli atti compiuti,
sempre che non si tratti di atti affetti da vizi indipendenti dall'inosservanza delle norme sulla
composizione del tribunale.

Art. 163-bis disp. att.


In caso di violazione della normativa di ordinamento giudiziario, che consente di ripartire tra sede
principale e sezioni distaccate o tra diverse sezioni distaccate i procedimenti per i quali il
tribunale giudica in composizione monocratica, la violazione può essere rilevata fino alla
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Il giudice che la ritenga sussistente o che ritenga anche solo non manifestamente infondata
la questione, rimette gli atti al presidente del tribunale affinché si pronunci in proposito con
decreto motivato e non soggetto ad impugnazione.

Cause personali di estromissione del giudice:


Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice

L'esistenza di una situazione di incompatibilità costituisce un motivo di ricusazione, che la


parte interessata deve far valere tempestivamente qualora il giudice sospetto non abbia
ottemperato all'obbligo di astenersi.
Le cause di INCOMPATIBILITÀ sono stabilite dalle leggi di ordinamento giudiziario e
dal c.p.p. Le norme dell'ordinamento giudiziario attengono alla costituzione dell'organo
giudicante e assicurano che l'organo giudicante sia ed appaia imparziale.

L'art. 19 ord. giud. prevede che non possano far parte della stessa corte, dello stesso
tribunale e dello stesso ufficio i magistrati legati tra loro da un vincolo di parentela o
di affinità fino al secondo grado oppure dal vincolo di coniugio o di convivenza.

L'art. 35 nello stesso procedimento non possano esercitare funzioni, anche separate o
diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado.

L'art. 34 prevede incompatibilità data da atti compiuti nel procedimento:


• il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del
procedimento non può esercitare funzioni di giudice in altri gradi, né partecipare al
giudizio di rinvio dopo l'annullamento da parte della corte di cassazione o al giudizio di
revisione;
• non può partecipare al giudizio il giudice che ha pronunciato un provvedimento conclusivo
dell'udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di
condanna, né quello che ha deciso dell'impugnazione contro la sentenza di non luogo a
procedere, pronunciata dal giudice dell'udienza preliminare;
• il giudice che in un determinato procedimento ha esercitato le funzioni di giudice per le
indagini preliminari non può nello stesso procedimento emettere il decreto penale di
condanna né partecipare al giudizio; è anche incompatibile alla funzione di giudice
dell'udienza preliminare.
22

15
È prevista una deroga che esclude l'incompatibilità quando il giudice delle indagini preliminari si
sia limitato ad adottare, nello stesso procedimento, un provvedimento ritenuto inidoneo a
determinare una situazione di pregiudizio: il provvedimento con cui si autorizza il trasferimento in un
luogo esterno di cura dell'indagato sottoposto a custodia cautelare in carcere e quello con cui lo si autorizza
ad essere visitato da un sanitario di fiducia, i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla
corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza, concernenti l'indagato sottoposto a
custodia cautelare in carcere, il provvedimento con cui si accoglie o rigetta la richiesta di permesso di uscita
dal carcere in presenza di imminente pericolo di vita di un familiare o del convivente della persona
sottoposta ad indagini o in presenza di altri eventi di particolare gravità inerenti la sua famiglia, il
provvedimento con cui una parte o un difensore vengono restituiti in un termine stabilito a pena di
decadenza, il provvedimento con cui viene dichiarata la latitanza dell'indagato;

• chi, nello stesso procedimento, ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti
di polizia giudiziaria ovvero un altro ruolo (difensore, testimone, perito, consulente
tecnico) idoneo a comprometterne l'imparzialità; chi ha proposto la notizia di reato e chi ha
deliberato o ha concorso a deliberare l'autorizzazione a procedere.
Non costituisce motivo di ricusazione il caso in cui sussistano non meglio precisate gravi ragioni di
convenienza; non costituisce motivo di astensione la manifestazione indebita da parte del giudice,
nell'esercizio delle sue funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, del proprio convincimento sui
fatti oggetto dell'imputazione, essendo tale ipotesi esclusiva della ricusazione. Tutti gli altri motivi
sono comuni ai due istituti, quindi quando l'astensione viene accolta, si considera la ricusazione non
proposta (art. 39).

Art. 36 e 37 co 1 lett. a), i casi di RICUSAZIONE e ASTENSIONE sono tassativi, deve quindi
astenersi o essere ricusato il giudice che:

• abbia interesse nel procedimento;


• sia tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private ovvero sia prossimo
congiunto del difensore, procuratore o curatore di una delle parti;
• abbia dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dall'esercizio
delle funzioni giudiziarie;
• sia, egli stesso o un suo prossimo congiunto, in rapporto di grave inimicizia con una delle parti
private;
• qualora qualcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato
o parte privata;
• quando un prossimo congiunto, suo o del coniuge, svolge o ha svolto nello stesso procedimento
funzioni di pm;
• quando il giudice si trova in una delle situazioni di incompatibilità degli art. 34 e 35 e delle leggi di
ordinamento giudiziario.

Art. 36 prevede che la dichiarazione di astensione sia presentata al presidente della corte o
del tribunale, che decide con decreto senza formalità.

L'art. 38 la ricusazione inizia con la presentazione di una dichiarazione nella cancelleria del
giudice competente e con il deposito di una copia di questa nella cancelleria del giudice ricusato.

16
Art. 37 ne deriva il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza fino a che non
sia intervenuta ordinanza di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione stessa.
L'art. 38 fissa i termini per la presentazione della domanda di ricusazione e le modalità, sanciti
a pena di inammissibilità.
In base all'art. 40 è competente a decidere sull'istanza di ricusazione di un giudice del tribunale,
della corte d'assise o della corte d'assise di appello la corte d'appello; per la ricusazione di un
giudice della corte d'appello o della corte di cassazione  una sezione diversa della stessa corte
a cui appartiene il giudice ricusato.
Il tribunale o la corte competente a decidere sulla ricusazione pronuncia ordinanza di
inammissibilità, sia per mancanza di legittimazione soggettiva e per inosservanza di forme
e termini che per manifesta infondatezza dei motivi addotti.
È possibile proporre ricorso per cassazione, a cui sono legittimate tutte le parti.
La corte di cassazione decide in camera di consiglio seguendo il procedimento
semplificato, ex art. 611
Art. 41 ritenuta ammissibile la questione, la corte decide, in camera di consiglio, sul merito della
ricusazione, assunte, se necessario, le opportune informazioni. La corte può disporre, con
ordinanza, che il giudice ricusato sospenda temporaneamente tutte le attività processuali o si limiti
al compimento di atti urgenti.
Art. 42, il giudice chiamato a decidere sull'astensione o sulla ricusazione ha il potere
discrezionale di dichiarare, in caso di accoglimento dell'istanza, quali atti precedentemente
compiuti dal giudice conservino efficacia, ferma la rilevanza della violazione dell'obbligo
ex art. 124 ai fini della responsabilità disciplinare a carico del giudice che non abbia
osservato tale divieto.
La sola presentazione della dichiarazione di ricusazione non comporta alcuna limitazione ai
poteri del giudice nello svolgimento dei compiti istituzionali, né l'insorgere di un obbligo di
astensione.
Unico divieto imposto dalla legge al giudice ricusato è non pronunciarsi, né concorrere a
pronunciare, sentenza fino a che non sia intervenuta ordinanza che dichiara inammissibile o
rigettata la ricusazione, anche se per tale divieto non è prevista alcuna sanzione.

Art. 43 con l'accoglimento della dichiarazione di astensione o ricusazione si ha il divieto


assoluto per il giudice di compiere qualsiasi atto del procedimento, la sostituzione del giudice
con altro magistrato dello stesso ufficio nominato secondo le leggi di ordinamento giudiziario,
ovvero l'investitura del giudice ugualmente competente per materia ex art. 11.
Tutte le ordinanze che si pronunciano sul merito, emesse dal giudice competente a decidere sulla
ricusazione, sono immediatamente eseguibili.

Art. 44 l'ordinanza di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione o di rigetto può


prevedere una condanna facoltativa ad una pena pecuniaria.

17
Rimessione del processo
Si ha rimessione del processo quando questo viene spostato da una sede ad un'altra in presenza di
turbative ambientali che possono compromettere il suo regolare svolgimento. Serve a salvaguardare
l'imparzialità dell'organo giudicante nel suo complesso (a differenza di astensione e ricusazione che
riguardano l'imparzialità del magistrato come persona). L'istituto della remissione in teoria
interferisce con il principio di giudice naturale ex art. 25 Cost.
Perché sia possibile la rimessione è necessario che intercorra un nesso causale tra le gravi
situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, e il
conseguente pregiudizio alla libera determinazione delle persone che partecipano al processo
ovvero alla sicurezza o all'incolumità pubblica.

È ammessa la rimessione del processo anche nel caso in cui le gravi situazioni locali determinino
motivi di LEGITTIMO SOSPETTO. Sulla base del legittimo sospetto è consentito lo spostamento
del processo quando sussiste il ragionevole dubbio che la gravità della situazione locale possa
portare il giudice a non essere imparziale o sereno. Visto però il carattere non eccezionale
dell'istituto emergono perplessità per contrasto con il giudice naturale precostituito per legge.

Art. 45 consente che la rimessione sia richiesta in ogni stato e grado del processo di merito
dall'imputato, dal procuratore generale presso la corte d'appello e dal pubblico ministero presso il
giudice civile. Non è legittimata la parte civile.
Ai sensi dell'art. 46 la richiesta di rimessione proveniente dall'imputato deve essere
sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore speciale, a pena di
inammissibilità, e dopo esser stata depositata nella cancelleria del giudice con i documenti
che la giustificano va notificata, entro 7 giorni, a cura del richiedente alle altre parti.
Depositate richiesta e documentazione relativa sono immediatamente trasmesse alla corte
di cassazione ad opera del giudice procedente, al quale è consentito formulare proprie
osservazioni aggiuntive.

Art. 47 lo stesso giudice procedente, a seguito della presentazione della richiesta, può disporre con
ordinanza inoppugnabile, la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l'ordinanza di
inammissibilità o di rigetto. Analogamente, dopo esser stata investita della richiesta, la corte di
cassazione può disporre la sospensione. Si ritiene che la sospensione sia concessa sulla base del
fumus boni iuris e del periculum in mora.
All'art. 48 è prevista la sospensione obbligatoria nel caso in cui, non avendo il presidente
della corte di cassazione rilevato, nell'ambito dell'esame preliminare, alcuna causa di
inammissibilità tale da giustificare l'investitura della sezione filtro , è avvenuta
l'assegnazione della richiesta ad una delle sezioni della corte o alle sezioni unite. In seguito
a tale comunicazione, il giudice procedente deve sospendere il processo prima dello
svolgimento delle conclusioni (in sede di udienza preliminare) o della discussione (in sede
dibattimentale), e resta preclusa la pronuncia sia del decreto che dispone il giudizio, sia della
sentenza.
La sospensione dura fino a che non sia pronunciata ordinanza della corte che dichiari
inammissibile o rigetti la richiesta.
L'art. 47 comma 2 esclude la sospensione quando la richiesta non è fondata su elementi
nuovi rispetto a quelli di una precedente richiesta rigettata o dichiarata inammissibile.

18
Al comma 4 prevede che, finché dura la sospensione, restano sospesi i termini della prescrizione del
reato e, se la richiesta di rimessione proviene dall'imputato, anche i termini di durata massima della
custodia cautelare.
Tali termini riprendono il loro corso a partire dal giorno in cui la corte dichiara
inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione o, in caso di accoglimento, dal giorno in
cui il processo perviene allo stesso stato in cui si trovava al momento in cui è intervenuta la
sospensione.
È ammesso il compimento di atti urgenti.

La corte di cassazione decide con ordinanza in camera di consiglio ex art. 127, eventualmente dopo
aver acquisito le necessarie informazioni.
L'ordinanza potrà essere di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento.
Se è di accoglimento deve contenere l'indicazione del nuovo giudice, individuato ex art. 11, ed è
immediatamente comunicata al giudice designato e al giudice originariamente competente, il quale
è tenuto a trasmettere al primo gli atti del processo e a disporre che l'ordinanza della corte venga
comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti private.

Quando RIGETTA O DICHIARA INAMMISSIBILE la richiesta di rimessione la corte può


condannare l'imputato al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende.

In base all'art. 48, ferma restando l'utilizzabilità degli atti validamente compiuti davanti al giudice
a quo, in quanto inseriti nel fascicolo dibattimentale, il giudice designato procede alla
rinnovazione degli atti quando una qualsiasi delle parti ne faccia richiesta. Sono previste due
eccezioni:
a) si tratti di atti di cui è impossibile la ripetizione;
b) si versi in una situazione ex art. 190-bis: in presenza di uno dei delitti ex art. 51 sia
richiesto l'esame di un testimone che abbia reso dichiarazioni in sede di incidente
probatorio o in dibattimento in contraddittorio con la persona contro cui ha reso le
dichiarazioni, l'esame è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi; o nei casi al
co 1-bis.
Le parti esercitano gli stessi diritti e facoltà a loro riservati davanti al primo giudice.

L'art. 49 disciplina l'ipotesi di una NUOVA RICHIESTA DI RIMESSIONE, sia quando sia
diretta ad ottenere un ulteriore spostamento del processo, sia quando miri ad ottenere per la
prima volta il relativo provvedimento, già negato da un'ordinanza di rigetto o di inammissibilità.
L'ulteriore spostamento del processo può essere richiesto quando nella sede designata si
ripresenta una situazione ex art. 45 ovvero sono venute meno nella sede originaria le ragioni
che avevano indotto a sollecitare l'intervento della cassazione, creando le premesse per una
revoca del provvedimento di rimessione.
In questo caso bisogna distinguere: in presenza di un'ordinanza di rigetto della precedente
richiesta o abbia dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza, l'ulteriore richiesta,
per non esser dichiarata inammissibile, deve esser fondata su elementi nuovi.
Si ha inammissibilità per manifesta infondatezza anche nel caso in cui la stessa,
priva di elementi di novità rispetto ad una precedente richiesta di rimessione già
rigettata o dichiarata inammissibile, provenga da un altro imputato dello stesso
processo o di un processo ad esso separato.
La richiesta ritenuta inammissibile per motivi diversi dalla manifesta
infondatezza può sempre essere riproposta.

19
IL PUBBLICO MINISTERO

La posizione di parte del pubblico ministero e la sua funzione tipica.


Il pubblico ministero riveste la qualità di parte nel processo e costituisce allo stesso tempo un
organo dell'apparato statale incaricato di vegliare all'osservanza delle leggi, alla pronta e regolare
amministrazione della giustizia, di iniziare ed esercitare l'azione penale.
Il pubblico ministero esercita, sotto la vigilanza del Ministro della giustizia, le funzioni che
la legge gli attribuisce. Gode di una posizione di indipendenza rispetto a tutti gli altri poteri
costituzionali.
Art. 104. Cost.
La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della
Repubblica.
Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione.
Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti
alle
varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di
università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.
Il Consiglio elegge un vice presidente fra i componenti designati dal Parlamento.
I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente
rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte
del Parlamento o di un Consiglio regionale.
L'art. 104 Cost. concepisce la magistratura come ordine autonomo ed indipendente da ogni
altro potere, riferendosi anche alla magistratura requirente, che gode anche dell'elettorato
attivo e passivo dell'organo di autogoverno (Csm).
Art. 108 Cost.
Le norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge.
La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero
presso di esse, e degli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia.
L'art. 108 comma 2 Cost. attribuisce alla legge il compito di assicurare l'indipendenza del
pubblico ministero presso le giurisdizioni speciali, a maggior ragione assicura
l'indipendenza al pm presso le giurisdizioni ordinarie.

Art. 109 Cost.


L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.
Art. 112 Cost.
Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale.

L'art. 109 Cost. statuisce che l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.
L’art. 112 Cost. statuisce l'obbligatorietà dell'azione penale.
Fra i compiti del procuratore della Repubblica c'è l'assicurare il corretto, puntuale ed
uniforme esercizio dell'azione penale; a riguardo il procuratore generale presso la Corte
d'appello ha un potere di controllo.
L'indipendenza non tollera interferenze esterne né quando il pm decide in ordine
all'esercizio dell'azione penale, né durante la fase anteriore delle indagini preliminari.
Il pubblico ministero risponde del suo operato solo di fronte alla legge, godendo delle stesse
garanzie attribuite al giudice circa il reclutamento, l'inamovibilità della sede e la soggezione
al potere di controllo del Csm.

20
Il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, e viceversa, è disposto, a seguito di
concorso, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e subordinatamente ad
un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Csm, su parere del
Consiglio giudiziario.
Tale passaggio non è consentito all'interno dello stesso distretto o in altro distretto della
stessa regione.
I magistrati, al termine del tirocinio, non possono essere destinati a svolgere funzioni requirenti o
funzioni giudicanti monocratiche anteriormente al conseguimento della prima valutazione di
professionalità, effettuata al termine del primo quadriennio dalla data di nomina.
Art. 50 c.p.p. Azione penale.
1. Il pubblico ministero esercita l'azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta
di archiviazione.
2. Quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere, l'azione
penale è esercitata di ufficio.
3. L'esercizio dell'azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente
previsti dalla legge.
□ L'art. 50 conferisce al pubblico ministero la titolarità dell'azione penale.
L'art. 231 disp. att. sancisce il monopolio dell'azione penale in capo al
pm.
Nel nostro sistema non trovano spazio né l'azione penale privata né l'azione penale popolare.
Inoltre viene enunciato il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, con l'unico limite
della richiesta di archiviazione.
□ Al comma 2 ribadisce l'ufficialità dell'azione penale, circoscrivendo l'efficacia delle condizioni di
procedibilità alle figure richiamate: querela, richiesta, istanza ed autorizzazione a procedere. Non è
un elenco esaustivo.
Sono CONDIZIONI DI PROCEDIBILITÀ:
• la presenza del reo nel territorio dello Stato per i delitti comuni del cittadino e dello
straniero commessi all'estero (art. 10 c.p.);
• l'assenza di una sentenza o di un decreto penale irrevocabili pronunciati nei confronti della
stessa persona per lo stesso fatto (art. 694).
In mancanza di tali fatti il pm non può agire validamente, quindi le condizioni di
procedibilità in concreto potrebbero collidere con il principio dell'obbligatorietà
dell'azione penale, in quanto fanno dipendere da una volontà esterna agli organi
giudiziari l'attivazione-obbligo in capo al titolare dell'accusa.

□ Art. 50 comma 3 principio dell'irretrattabilità dell'azione penale: una volta esercitata, questa esce
dalla sfera del suo autore e comporta l'insorgere di un dovere decisorio in capo al giudice.
L'oggetto del processo penale è indisponibile, questo implica che le cause di sospensione o
interruzione dell'azione penale siano tassative.
Sono previste CAUSE DI SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO
(inteso come fase delle indagini preliminari):
• dichiarazione di ricusazione del giudice;
• art. 71 l'accertata incapacità della persona sottoposta alle indagini di partecipare
coscientemente al procedimento;
• insorgere di indizi del reato di false informazioni rese dal pm o di false dichiarazioni al
difensore.

21
L’organizzazione e la distribuzione del lavoro tra gli uffici: loro rapporti.
Secondo l'art. 51 comma 1 lett. a) le funzioni del pubblico ministero nelle indagini preliminari e
nei procedimenti di primo grado sono esercitate dai magistrati della procura della Repubblica
presso il tribunale.
Art. 71 ord. giud. alle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere
addetti magistrati onorari in qualità di viceprocuratori per l'espletamento delle funzioni ex
art. 72.
Art. 71-bis ord. giud. il procuratore della Repubblica può stabilire che i vice procuratori
addetti al suo ufficio esercitino le funzioni di pubblico ministero soltanto presso la sede del
tribunale o presso una o più sezioni distaccate, ovvero presso la sede principale e una o più
sezioni distaccate.
L'art. 72 ord. giud. prevede una deroga consentendo al procuratore della Repubblica presso
il tribunale, nei casi in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, di delegare
nominativamente determinate funzioni, da precisarsi di volta in volta, a magistrati ordinari in
tirocinio, a vice procuratori onorari addetti all'ufficio, a personale in quiescenza da non più
di 2 anni che nei 5 anni precedenti abbia svolto le funzioni di polizia giudiziaria, ovvero a
laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola di specializzazione
per le professioni legali.

L'art. 51 comma 1 lett. b) prevede che i magistrati della procura della Repubblica presso la corte
d'appello esercitano le funzioni di pubblico ministero nei soli giudizi di impugnazione .
La partecipazione al giudizio d'appello del rappresentante dell'ufficio presso il giudice di primo
grado, che abbia presentato le conclusioni e ne abbia fatto richiesta nell'atto di appello, può essere
disposta dallo stesso procuratore generale presso la corte d'appello, con una delega nominativa, e
alla corte d'appello spettano i relativi avvisi (art. 570).
Al procuratore generale presso la corte d'appello spetta sempre il potere di proporre ricorso in
cassazione contro le sentenza d'appello. È privo del potere di svolgere le indagini preliminari
anche nel caso in cui la notizia di reato pervenga direttamente dal suo ufficio (potere di
autosostituzione).
Il procuratore generale non può controllare la mancata attivazione dei procuratori della Repubblica
del suo distretto nei confronti di informazioni che non assurgano al rango di notizia di reato:
queste infatti non impongono il decreto di archiviazione qualora non siano state iscritte, per la loro
indeterminatezza, nel registro ex art. 335. Tuttavia nulla impedisce al procuratore generale di
svolgere indagini di natura amministrativa dirette ad apprendere la notizia di reato (art. 330).
Durante la fase delle indagini preliminari, tra procure della Repubblica e relative procure generali
presso la corte d'appello si aprono canali informativi. Il procuratore generale presso la corte
d'appello ha il potere di riunire i procuratori della Repubblica che procedono ad indagini collegate,
qualora il coordinamento investigativo non sia stato promosso o non risulti effettivo.
La segreteria del pubblico ministero trasmette ogni settimana al procuratore generale
l'elenco delle notizie di reato contro persone note, tutte le volte in cui non sia stata esercitata
l'azione penale, né sia stata richiesta l'archiviazione, entro il termine previsto dalla legge o
prorogato dal giudice.
L'unico caso in cui il procuratore generale presso la corte d'appello subentra, nella titolarità delle
indagini preliminari, al procuratore della Repubblica del proprio distretto è in caso di
AVOCAZIONE, nei casi tassativamente previsti.

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L'avocazione
opera automaticamente quando:
a) si verifichi l'impossibilità di provvedere, nell'ambito dell'ufficio della procura della
Repubblica, alla tempestiva sostituzione del magistrato designato a seguito di astensione o
di incompatibilità (art. 372);
b) nel caso di omessa tempestiva sostituzione del magistrato da parte del capo dell'ufficio,
ricorrendo alcune fattispecie che avrebbero imposto al giudice di astenersi e consentito alle
parti di ricusarlo;
c) in caso di omessa presentazione, nei termini stabiliti, della richiesta di archiviazione o
di omesso esercizio dell'azione penale (art. 412).

■ Si ha avocazione facoltativa:
a) quando il giudice delle indagini preliminari fissa l'udienza in camera di consiglio, non
avendo accolto la richiesta di archiviazione;
b) quando il giudice ritiene ammissibile l'opposizione all'archiviazione proposta dalla
persona offesa;
c) quando il giudice dell'udienza preliminare abbia indicato al pm le ulteriori indagini
da svolgersi ad integrazione di quelle già svolte, ma ritenute incomplete.
→ L'art. 372 prevede che il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni, dispone, con
decreto motivato, l'avocazione delle indagini preliminari per una serie di delitti di criminalità
organizzata quando, trattandosi di indagini collegate, non risulti effettivo il coordinamento ex art.
371 e non abbiano dato esito le riunioni disposte o promosse dal procuratore generale, anche
d'intesa con gli altri procuratori generali interessati.

Oltre al decreto motivato, copia del provvedimento con cui il procuratore generale presso la corte
d'appello dispone l'avocazione delle indagini preliminari è sempre trasmessa al Csm ed ai
procuratori della Repubblica interessati, consentendogli in questo modo di proporre reclamo al
procuratore generale presso la corte di cassazione. Questo, se accoglie il reclamo, revoca il decreto
di avocazione e dispone la restituzione degli atti.
Gli effetti dell'avocazione disposta nel corso delle indagini preliminari
perdurano nell'udienza preliminare e durante tutto il processo di primo grado.
Il pubblico ministero trae la propria legittimazione in modo riflesso dalla competenza del giudice
del dibattimento presso il quale è istituito: l'art. 238 disp. att. dispone che nel corso delle indagini
preliminari e nell'intero processo di primo grado la legittimazione spetta al procuratore della
Repubblica territorialmente competente secondo i criteri degli art. 8, 9, 10 e 16, ancorché nel
relativo circondario non abbia sede la corte d'assise.

■ Art. 54 c.p.p. se il pubblico ministero ritiene che la competenza a conoscere il reato spetti ad un
giudice diverso da quello presso cui esercita le sue funzioni, trasmette tempestivamente gli atti
all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente.
L'ufficio che ha ricevuto gli atti, ove dissenta, non può ritrasmetterli al mittente, ma demanda la
risoluzione del contrasto negativo al procuratore generale presso la corte d'appello o a quello
presso la corte di cassazione, qualora appartenga ad un diverso distretto.
Trasmette anche tutti gli atti del procedimento in originale o in copia.
Il procuratore generale può nominare un ufficio diverso da quelli tra loro in contrasto.

23
La statuizione del procuratore generale vale solo all'interno della fase delle indagini preliminari
ed unicamente nei confronti degli appartenenti all'ufficio del pubblico ministero.
In presenza di elementi sopravvenuti il vincolo cade automaticamente, quindi al pm
sottordinato tocca trasmettere gli atti al pm ritenuto competente. Gli atti compiuti prima
della trasmissione o della designazione conservano l'efficacia loro propria.
Le misure cautelari non cessano di avere effetto.

■ Art. 54-bis c.p.p. , il contrasto positivo tra uffici del pubblico ministero si può avere in caso di
accertamenti tecnici non ripetibili e le indagini preliminari abbiano ad oggetto lo stesso fatto storico
e siano a carico della stessa persona.
Quando il pubblico ministero procedente riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso
tali indagini preliminari, ne informa senza ritardo il pubblico ministero presso questo ufficio,
richiedendogli la trasmissione degli atti. A sua volta il pm che ha ricevuto la richiesta, ove non
ritenga di aderirvi, ne informa il procuratore generale presso la corte d'appello ovvero, qualora
appartenga ad un diverso distretto, il procuratore generale presso la corte di cassazione.
Assunte le necessarie informazioni, il procuratore determina con decreto motivato, secondo le
regole per la competenza del giudice, quale ufficio debba procedere, dandone comunicazione agli
uffici interessati.
Nel caso in cui, prima della designazione operata dal procuratore generale, uno degli uffici
procedenti desista, trasmettendo gli atti all'altro, gli atti di indagine preliminare
precedentemente compiuti dal pubblico ministero non legittimato sono utilizzabili nei casi e
nei modi previsti dalla legge.
Quando invece due giudici per le indagini preliminari siano investiti contemporaneamente
di una richiesta relativa allo stesso fatto, si verifica un conflitto positivo di competenza che
sarà risolto dalla corte di cassazione. Tuttavia l'art. 28 co 3 nega l'ammissibilità nel corso
delle indagini preliminari di un conflitto positivo di competenza per territorio generato da
connessione: contrasti positivi del genere non sarebbero, a priori, configurabili tra pm,
anche se la giurisprudenza della procura generale presso la corte di cassazione è incline ad
ammetterli.
■ L'art. 54-quater c.p.p. prevede un controllo sulla legittimazione del pubblico ministero a svolgere
le indagini preliminari riguardo alla competenza per territorio e per connessione.
Possono promuovere tale controllo:
a) la persona sottoposta alle indagini che abbia avuto conoscenza delle indagini a suo
carico tramite comunicazione dell'iscrizione del suo nominativo nel registro delle
notizie di reato o l'invio dell'informazione di garanzia,
b) la persona offesa,
c) i rispettivi difensori.
La richiesta di trasmettere gli atti al corrispondente ufficio istituito presso il giudice competente è
depositata presso la segreteria del pm procedente, a pena di inammissibilità, corredata dalle ragioni
poste a sostegno dell'indicazione del diverso giudice ritenuto competente.
Il pubblico ministero, nel termine perentorio di 10 giorni, deve scegliere se accogliere
la richiesta, trasmettendo gli atti al pubblico ministero istituito presso il giudice ritenuto
competente, o rigettarla.

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In caso di rigetto, il richiedente ha il potere di investire, nei successivi 10 giorni, della questione
il procuratore generale presso la corte d'appello o presso la corte di cassazione, qualora il giudice
ritenuto competente appartenga ad un diverso distretto.
Entro 20 giorni dal deposito della richiesta il procuratore generale, assunte le necessarie
informazioni e, se del caso, ottenuta la trasmissione di copia degli atti del procedimento,
provvede con decreto motivato dandone comunicazione al richiedente e agli uffici
interessati.
Se si tratta di uno dei reati per i quali la legittimazione a procedere spetta alla direzione
distrettuale antimafia, il procuratore generale si uniforma al dettato dell'art. 54-ter.
Il provvedimento del procuratore generale non è suscettibile di alcuna impugnazione
in quanto privo di natura giurisdizionale.
La richiesta non può essere riproposta, a pena di inammissibilità, salvo che si fondi su fatti nuovi
e diversi: la decisione è resa rebus sic stantibus.
I termini di durata delle indagini preliminari continuano a decorrere, gli atti compiuti prima
della trasmissione degli atti sulla base della prima richiesta o della comunicazione del decreto
del procuratore generale possono essere utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge.

L’ astensione

Art. 52 - Astensione.
1. Il magistrato del pubblico ministero ha la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di
convenienza.
2. Sulla dichiarazione di astensione decidono, nell'ambito dei rispettivi uffici, il procuratore della
Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale.
3. Sulla dichiarazione di astensione del procuratore della Repubblica presso il tribunale e del
procuratore generale presso la corte di appello decidono, rispettivamente, il procuratore
generale presso la corte di appello e il procuratore generale presso la corte di cassazione.
4. Con il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione, il magistrato del pubblico
ministero astenuto è sostituito con un altro magistrato del pubblico ministero appartenente al
medesimo ufficio. Nondimeno, quando viene accolta la dichiarazione di astensione del procuratore
della Repubblica presso il tribunale e del procuratore generale presso la corte di appello, può
essere designato alla sostituzione altro magistrato del pubblico ministero appartenente all'ufficio
ugualmente competente determinato a norma dell'articolo 11.

L'art. 52 c.p.p. prevede l'istituto dell'astensione, non obbligatoria sotto il profilo processuale, si
fonda genericamente su gravi ragioni di convenienza.
L'astensione presuppone una dichiarazione motivata, è decisa dal capo dell'ufficio o dal procuratore
generale presso la corte d'appello o presso la cassazione, se riguarda i capi degli uffici.
La sostituzione è effettuata con un magistrato appartenente allo stesso ufficio, ma se si tratta del
capo ufficio la regola è derogabile e può esser nominato alla sostituzione un altro magistrato del
pubblico ministero appartenente ad un diverso ufficio, egualmente legittimato per materia, ma
individuato secondo i parametri all'art. 11.

→ Il pubblico ministero non può essere ricusato.

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I rapporti all’interno dell’ufficio

Ogni ufficio del pubblico ministero si COMPONE di:

a) titolare: procuratore generale presso la corte di cassazione o presso la corte d'appello,


procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario;
b) sostituti procuratori, cioè magistrati addetti all'ufficio;
c) procuratori aggiunti, istituiti presso i tribunali ordinari in proporzione all'organico dell'ufficio;
d) avvocati generali, alla dipendenza del procuratore generale, si trovano nelle procure
collocate presso le sezioni distaccate delle corti d'appello.
Art. 70 ord. giud. i titolari dirigono l'ufficio a cui sono preposti e ne organizzano l'attività, secondo
i criteri di buon andamento e imparzialità. Esercitano la funzione di pubblico ministero quando non
designano uno degli altri magistrati dell'ufficio (secondo meccanismi automatici).
Il titolare può procedere a designazione congiunta (pool investigativo) in considerazione del numero
di imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento. Deve curare che, ove possibile, i
magistrati originariamente designati provvedano alla trattazione del procedimento per tutte le fasi
del relativo grado (art. 3 disp. att.).
Il pubblico ministero gode di piena autonomia rispetto al titolare dell'ufficio.
Gode di autonomia nell'udienza preliminare e nell'udienza per l'applicazione della pena nella fase
delle indagini preliminari (art. 447) o per il giudizio abbreviato (art. 441).
Ha il potere di rinunciare all'impugnazione, anche se è stata proposta da altro pubblico ministero.
Nella fase delle indagini la sostituzione operata dal titolare dell'ufficio non incontra i limiti ex art.
Il capo dell'ufficio può impartire direttive sulle premesse dell'udienza.

Le CAUSE DI SOSTITUZIONE sono circoscritte:


 cause che consentono una valutazione discrezionale da parte del capo dell'ufficio come il grave
impedimento e le rilevanti esigenze di servizio;
 situazioni in presenza delle quali il giudice sarebbe obbligato ad astenersi;
 sostituzione con il consenso del magistrato interessato, tra cui anche quelle legate a gravi
ragioni di convenienza che avrebbero potuto sorreggere una richiesta di astensione.

Nel caso in cui il capo dell'ufficio non abbia provveduto alla sostituzione in presenza una
situazione di astensione obbligatoria, la sostituzione è demandata al procuratore generale che
designa un magistrato del suo ufficio per le sole funzioni di udienza e per le attività che ne
seguono, sicché la sostituzione ha un'efficacia temporanea. La sostituzione opera successivamente
all'esercizio dell'azione penale, a differenza dell'avocazione che opera nella fase delle indagini
preliminari.

Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero gode dell'autonomia necessaria
per l'integrale attuazione del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Tuttavia il capo dell'ufficio può fissare regole generali per la miglior efficienza dell'ufficio,
nonché dettare singole direttive, e richiedere di essere informato dello sviluppo delle indagini.
Il magistrato che contravvenga a simili disposizioni può essere legittimamente sostituito, tramite un
provvedimento motivato che revochi l'ordinaria designazione.
Il magistrato designato che non intenda uniformarsi alle direttive può chiedere di essere sostituito.

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In base al d.lgs 106/2006 al procuratore della Repubblica, in quanto preposto all'ufficio del pm,
spetta la titolarità esclusiva dell'azione penale. Tale potere è esercitato personalmente o mediante
assegnazione a uno o più magistrati dell'ufficio, e riguarda la trattazione di uno o più procedimenti
o il compimento di singoli atti del procedimento.

Il procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi
nell'esercizio dell'attività assegnata e può revocare l'assegnazione di tutti i casi in cui il
magistrato non si attenga ai criteri fissati dal titolare dell'azione penale o si determini un
contrasto circa le modalità di esercizio delle funzioni.
Quando occorra disporre il fermo di un indiziato di delitto o richiedere una misura cautelare
personale o reale, il procuratore della Repubblica deve dare previamente assenso scritto, salve le
ipotesi in cui la richiesta del provvedimento cautelare sia contestuale alla richiesta di convalida
dell'arresto in flagranza o del fermo ovvero di quella di convalida del sequestro preventivo disposto
in caso di urgenza.
In caso di misure cautelari reali si può escludere la necessarietà dell'assenso scritto, con
riguardo al valore del bene oggetto della richiesta ovvero della rilevanza del fatto per il quale
si procede.
Il mancato assenso scritto del procuratore della Repubblica è condizione di validità dell'ordinanza
cautelare emessa dal giudice.
Solo il procuratore della Repubblica può intrattenere, personalmente o tramite magistrato
dell'ufficio delegato, rapporti con i mass-media. È fatto espressamente divieto ai magistrati
dell'ufficio di rilasciare dichiarazioni o notizie ad organi di informazione circa l'attività
giudiziaria dell'ufficio.

Uffici del pubblico ministero distrettuale

Nei casi previsti all'art. 51 comma 3-bis, cioè relativi ai DELITTI TENTATI o CONSUMATI di:
a) associazione di tipo mafioso;
b) sequestro di persona a scopo estorsivo;
c) delitti commessi avvalendosi di associazioni di tipo mafioso o al fine di agevolare l'attività
delle associazioni di stampo mafioso;
d) delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope;
e) delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri;
f) delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti;

Per questi delitti si ha una disciplina speciale: la legittimazione è dell'ufficio del pubblico
ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte di appello, nel cui ambito
ha sede il giudice competente.
Tale disciplina speciale è stata estesa dall'art. 51 comma 3-quater anche i delitti, consumati o
tentati, con finalità di terrorismo.
L'art. 51 comma 3-quinquies l'ha estesa anche ai reati in tema di sfruttamento sessuale di minori e
ai reati di criminalità informatica.

Art. 70-bis ord. giud. il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del
distretto costituisce, nell'ambito del suo ufficio, una direzione distrettuale antimafia per la
trattazione dei procedimenti relativi ai reati ex art. 51 comma 3-bis, nominando i magistrati che
devono farne parte per un tempo non inferiore a 2 anni.
Negli uffici delle procure distrettuali può essere istituito un posto di procuratore
aggiunto, per specifiche ragioni relative allo svolgimento dei compiti della direzione
distrettuale.

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Il procuratore distrettuale, o un suo delegato, è preposto all'attività della direzione e cura che i
magistrati ottemperino all'obbligo di assicurare la completezza e tempestività della reciproca
informazione sull'andamento delle indagini, eseguendo le direttive impartite per il coordinamento
delle investigazioni e per l'impiego della polizia giudiziaria.
Il procuratore distrettuale designa i magistrati addetti alla direzione (art. 70-bis ord. giud.).
Il procuratore generale presso la corte d'appello può però, per giustificati motivi, disporre che le
funzioni di pubblico ministero per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal
procuratore della Repubblica presso il giudice competente.

L'art. 54-ter c.p.p. prevede che se si verifica contrasto tra diverse direzioni distrettuali, la risoluzione
è affidata al procuratore generale presso la corte di cassazione, e al procuratore nazionale antimafia
è attribuita una funzione consultiva.
Se il contrasto insorge all'interno dello stesso distretto, la risoluzione è affidata al procuratore
generale presso la corte d'appello. Il procuratore nazionale antimafia diventa parte in causa.

L’art. 76-bis ord. giud. Afferma che alla procura nazionale antimafia presso la corte di
cassazione è preposto un magistrato di cassazione (il procuratore nazionale antimafia)
di spiccate attitudini organizzative e professionali, nominato con delibera del Csm con il
Ministro della giustizia.
Tale incarico dura 4 anni ed è rinnovabile una sola volta.
Alla direzione sono addetti come sostituti 20 magistrati con funzione di magistrati di corte
d'appello, nominati dal Csm sentito il procuratore nazionale antimafia, sulla base di
specifiche attitudini ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità
organizzata.
Al procuratore nazionale antimafia competono esclusivamente le funzioni ex art. 371-
bis, nei soli procedimenti per i reati ex art. 51 comma 3-bis. È quindi un ufficio del
pubblico ministero specializzato.

Art. 76-ter ord. giud. il procuratore generale presso la corte di cassazione sorveglia
il procuratore nazionale antimafia e la relativa direzione; tiene ogni anno una
relazione generale sull'amministrazione della giustizia comunicando l'attività svolta e
i risultati conseguiti dal procuratore nazionale e dalle direzioni nazionali e distrettuali
antimafia.

Il procuratore nazionale antimafia si avvale della Direzione investigativa antimafia (Dia) e dei servizi
centrali e interprovinciali delle forze di polizia, impartendo loro le direttive intese a regolarne l'impiego a
fini investi Art. 371-bis c.p.p., le funzioni del procuratore nazionale antimafia sono sostanzialmente due:

- impulso al coordinamento
Relativamente al coordinamento ha il compito di assicurare il collegamento investigativo
anche tramite i magistrati della Direzione nazionale antimafia. Il procuratore nazionale
antimafia ha il potere di impartire ai procuratori distrettuali specifiche direttive, alle quali
questi devono attenersi per prevenire e risolvere contrasti.
Il procuratore nazionale antimafia indice riunioni tra i procuratori distrettuali interessati per
risolvere contrasti che impediscano di rendere effettivo il coordinamento. Può ricorrere
all'avocazione.

- impulso alle investigazioni.


Relativamente all'impulso alle investigazioni, acquisisce ed elabora notizie, informazioni
e dati attinenti alla criminalità organizzata, anche ai fini della repressione dei reati.
Il procuratore nazionale antimafia è infatti abilitato sia a ricevere che a ricercare
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informazioni, gode di libero accesso ai registri delle notizie di reato, alle banche dati
presso le direzioni distrettuali antimafia.
Ha la facoltà di procedere a colloqui personali con detenuti ed internati, senza necessità di
autorizzazione; devono essergli comunicati i provvedimenti che autorizzano l'effettuazione
dei colloqui, da parte del personale della direzione investigativa antimafia e dei servizi
delle forze di polizia, con persone sottoposte alle indagini, imputate o condannate per i
reati ex art. 51 comma 3-bis e quater.

L'art. 371-bis prevede l'applicazione temporanea dei magistrati della Direzione nazionale antimafia
e delle direzioni distrettuali antimafia nei casi di procedimenti di particolare complessità o che
richiedono specifiche esperienze e competenze professionali, ovvero in caso di protratte vacanze di
organico, inerzia nella conduzione delle indagini o in caso di specifiche e contingenti esigenze
investigative o processuali.
Tale applicazione è disposta con decreto motivato dal procuratore nazionale
antimafia, sentiti i procuratori generali e i procuratori della Repubblica interessati.
Se l'applicazione riguarda la procura distrettuale con sede nel capoluogo dello stesso
distretto, il decreto è emesso dal procuratore generale presso la corte d'appello che lo
comunica al procuratore nazionale antimafia.
L'applicazione non può superare 1 anno, è rinnovabile per un periodo non superiore
ad un anno. Il decreto viene trasmesso al Csm per l'approvazione, e al Ministro
della giustizia.

Nel corso delle indagini preliminari non sono consentite sostituzioni, se non previste dall'art. 36
(casi di astensione del giudice).

POLIZIA GIUDIZIARIA

Le funzioni e i soggetti di polizia giudiziaria


Secondo l'art. 109 Cost. “l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”.
La polizia amministrativa ha il compito di impedire la commissione di illeciti penali o amministrativi.
L'attività della polizia giudiziaria è successiva alla commissione del reato, ed è svolta alle
dipendenze e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria.

Art. 55- Funzioni della polizia giudiziaria.


1. La polizia giudiziaria deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire
che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari
per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della
legge penale .
2. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall'autorità giudiziaria.
3. Le funzioni indicate nei commi 1 e 2 sono svolte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria.

In base all'art. 55 c.p.p., la polizia svolge, anche di propria iniziativa, l'attività :


a) informativa: acquisisce la notizia di reato, secondo le forme di apprensione diretta o della
ricezione, e la riferisce al pubblico ministero;
b) investigativa: ricerca l'autore del reato tramite il compimento di atti tipici ed atipici;
c) assicurativa: riferita alle fonti di prova.

Ha anche l'obbligo di raccogliere tutto quanto possa servire per l'applicazione della legge penale e
l'obbligo di impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori.
È escluso che possa avvalersi di atti preventivi atipici diversi dal sequestro
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preventivo. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall'autorità
giudiziaria.
□ Esempi di attività disposte dal pubblico ministero: esegue le notificazioni richieste dal
pm con riferimento ai soli atti di indagine o ai provvedimenti che la stessa polizia
giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire (art. 151); documenta, tramite
verbale o annotazioni, gli atti del titolare delle indagini (art. 373).
□ Esempi di attività disposte dal giudice: accompagnamento coattivo dell'imputato (art.
132) o di altre persone (art. 133); esegue le misure cautelari personali o reali; esegue
provvedimenti che dispongono mezzi di ricerca della prova come le ispezioni, le
perquisizioni, i sequestri.
Nei procedimenti con detenuti e davanti al tribunale del riesame, il giudice può disporre, in caso di
urgenza, che le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari
sono detenuti.
Art. 57 - Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria.
1. Salve le disposizioni delle leggi speciali, sono UFFICIALI DI POLIZIA GIUDIZIARIA:
a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato
ai quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;
b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, degli agenti
di custodia e del corpo forestale dello Stato nonché gli altri appartenenti alle predette forze di
polizia ai quali l'ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità;
c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando
dell'arma dei carabinieri o della guardia di finanza.
2. Sono AGENTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA:
a) il personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica
sicurezza riconosce tale qualità;
b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e, nell'ambito
territoriale dell'ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in
servizio. 3. Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono
destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti
attribuiscono le funzioni previste dall'articolo 55.

L'art. 57 distingue tra ufficiali ed agenti di polizia


giudiziaria. Sono UFFICIALI DI POLIZIA
GIUDIZIARIA:
a. i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovraintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato
ai quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce la qualità
di ufficiali di polizia giudiziaria;
b. gli ufficiali, superiori ed inferiori, il personale dei ruoli ispettori e sovraintendenti dell'Arma dei
carabinieri, della guardia di finanza, del corpo di polizia penitenziaria e del corpo forestale dello
Stato;
c. il sindaco dei comuni in cui non abbia sede un ufficio della polizia di Stato, né un
comando dell'arma dei carabinieri o della guardia di finanza.

Tra gli AGENTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA:


a. il personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della
pubblica sicurezza riconosce tale qualità;
b. i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti del corpo di polizia penitenziaria, le guardie
forestali, la polizia municipale nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e limitatamente
al tempo nel quale sono in servizio.

30
In forza della legislazione speciale, hanno compiti di polizia giudiziaria rispetto all'accertamento di
determinate fattispecie di reato o rispetto a determinati settori, nei limiti del servizio cui sono
destinati e secondo le rispettive attribuzioni, gli ispettori del lavoro, i dirigenti degli uffici di
cancelleria per quanto riguarda le disposizioni tributarie circa le loro funzioni, il personale
direttivo, gli ufficiali e i sottufficiali del Corpo dei vigili del fuoco, le autorità consolari.
Il personale della direzione investigativa antimafia è attinto dai ruoli della polizia di Stato,
dall'arma dei carabinieri e della guardia di finanza, oltre ad avere funzioni di investigazione
preventiva attinente alla criminalità organizzata, ha anche il compito di effettuare indagini di
polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o attinenti.
L’organizzazione della polizia giudiziaria e la sua dipendenza funzionale dall’autorità giudiziaria.

L'attribuzione di compiti di polizia giudiziaria a funzionari appartenenti alla pubblica


amministrazione, e quindi da questa controllati, consente ad organi estranei (superiori politici e
amministrativi) all'attività giudiziaria di condizionarne l'esercizio dei compiti giudiziari.
Secondo alcuni sulla scorta dell’art 109 cost, si dovrebbe istituire un vero e proprio corpo di polzia
giudiziaria alle dipendenze esclusive della magistratura. Tuttavia la corte cost ritiene che basta
distinguere la dipendenza funzionale (dall’autorità giudiziaria) da quella burocratica/gerarchica
(dalla pubblica amministrazione).

Art. 56 - Servizi e sezioni di polizia giudiziaria.


1. Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorità
giudiziaria:
a) dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge;
b) dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e composte con
personale dei servizi di polizia giudiziaria;
c) dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge
fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato.

L’ art. 56 afferma che tutte le funzioni di polizia giudiziaria sono sempre svolte alla dipendenza
e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria. Il legame che si instaura con l'autorità giudiziaria è
variabile, in quanto costituito in relazione ai diversi apparati amministrativi.
I servizi di polizia giudiziaria, come previsti dalla legge, prevedono l'istituzione e
l'organizzazione di unità da parte del dipartimento di pubblica sicurezza, nei contingenti
necessari.
Per collegare l'attività investigativa ai delitti di criminalità organizzata, il d.l. 152/91 ha
imposto alle amministrazioni interessate di costituire servizi centrali ed interprovinciali
della polizia di Stato, dell'arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza (Servizio
centrale operativo della polizia di Stato (SCO), Raggruppamento operativo speciale (ROS),
Reparto investigazioni scientifiche dell'arma dei carabinieri (RIS), il gruppo di
investigazione sulla criminalità organizzata della guardia di finanza (GICO) e servizio
centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (SCICO)).
In determinate regioni e a particolari circostanze tali strutture possono essere
costituite in servizi interforze. La l. 155/2005 ha introdotto l'unità antiterrorismo tra i
servizi.

Art. 12 disp. att. fanno parte dei servizi tutti gli uffici e le unità cui, dalle rispettive
amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge, sono affidate le funzioni di polizia
giudiziaria.
Sono comunicati periodicamente al procuratore della Repubblica il nome e il grado degli

31
ufficiali che dirigono i servizi di polizia giudiziaria, in modo da individuare con certezza e
tempestività i responsabili dei servizi.
Si ha uno sbilanciamento tra i poteri di gestione propri dell'autorità amministrativa rispetto a
quelli propri dell'autorità giudiziaria in quanto ai dirigenti della prima spetta in via esclusiva
la destinazione dei capi dei servizi.
Stretta dipendenza organizzativa e funzionale dall'autorità giudiziaria si ha nelle sezioni di
polizia giudiziaria, istituite presso ogni procura della Repubblica per garantire uno stretto
rapporto con l'organo che dirige le indagini preliminari.
Le sezioni sono composte da personale già facente parte dei servizi di polizia giudiziaria.
L'art. 5 disp. att. precisa che le sezioni sono composte da ufficiali ed agenti della
polizia giudiziaria appartenenti alla polizia di Stato, all'arma dei carabinieri ed alla
guardia di finanza, e consente l'applicazione temporanea ed anche in sovrannumero di
ufficiali ed agenti provenienti da altri organi di polizia giudiziaria.
L'art. 6 disp. att. prevede che il personale delle sezioni non sia inferiore al doppio dei
magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale, stabilisce il rapporto 2
ufficiali ogni 3 agenti.
Sono minimamente dipendenti dall'autorità giudiziaria i restanti ufficiali ed agenti di
polizia giudiziaria tenuti per legge a compiere indagini a seguito di una notizia di reato.
È una categoria molto eterogenea, quindi organizzata dagli enti di appartenenza.
Art. 58.- Disponibilità della polizia giudiziaria.
1. Ogni procura della Repubblica dispone della rispettiva sezione; la procura generale presso la corte
di appello dispone di tutte le sezioni istituite nel distretto.
2. Le attività di polizia giudiziaria per i giudici del distretto sono svolte dalla sezione istituita presso
la corrispondente procura della Repubblica.
3. L'autorità giudiziaria si avvale direttamente del personale delle sezioni a norma dei commi 1 e 2 e
può altresì avvalersi di ogni servizio o altro organo di polizia giudiziaria.
In base all'art. 58 si deduce che al magistrato è attribuita la disponibilità della polizia giudiziaria in
quanto titolare delle indagini preliminari o del processo, anche se al procuratore della Repubblica è
sempre consentito sostituirsi al magistrato nominato per le indagini preliminari nell'impartire ordini
alla polizia giudiziaria.
Ogni procura dispone della relativa sezione di polizia giudiziaria in modo diretto ed
immediato, non sottoposta né al filtro dei capi dell'organizzazione della polizia giudiziaria
né a quello del dirigente dell'ufficio del pubblico ministero.
Per i giudici del distretto le attività di polizia giudiziaria sono svolte dalle sezioni istituite presso
le corrispondenti procure della Repubblica, ma la disponibilità non è immediata in quanto si
prevede che il giudice possa richiederne l'intervento.
→ Qualsiasi autorità giudiziaria può avvalersi di sezioni, servizi o organi di polizia giudiziaria.

Infine L'art. 83 ord. giud. demanda al procuratore generale presso la corte d'appello l'esercizio
della sorveglianza sul rispetto delle norme in ordine alla diretta disponibilità della polizia
giudiziaria da parte dell'autorità giudiziaria.

I rapporti di subordinazione
Gli ufficiali e gli agenti di polizia restano sempre subordinati, in principio, agli enti
amministrativi di appartenenza, tuttavia l'art. 59 rileva un rapporto di subordinazione all'autorità
giudiziaria.
Le sezioni si pongono in rapporto di subordinazione nei confronti del procuratore della
Repubblica che dirige l'ufficio presso cui sono istituite, e gli ufficiali e gli agenti di polizia
32
giudiziaria non possono essere distolti dalla loro attività se non per disposizione del magistrato da
cui dipendono.
Tale esclusiva destinazione è derogabile solo in casi eccezionali o per necessità di
istruzione o di addestramento (art. 10 disp. att.), sempre previo consenso del capo
dell'ufficio della procura.
In caso di servizi, gli ordini dell'autorità giudiziaria sono mediati dalle gerarchie amministrative;
la responsabilità personale investe unicamente l'ufficiale preposto al servizio e ne sono oggetto
l'adeguata organizzazione del servizio, la sorveglianza sullo svolgimento delle attività di polizia
giudiziaria da parte del personale dipendente e le funzioni espletate dall'ufficio stesso.
Dal punto di vista disciplinare la responsabilità si pone solo nei confronti del
procuratore della Repubblica presso il tribunale, è escluso il procuratore generale
presso la corte d'appello.
Le singole amministrazioni hanno l'obbligo di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica presso il
tribunale o del procuratore generale presso la corte d'appello per allontanare, anche provvisoriamente, dalla
sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi (art. 14 disp. att.) e di vincolare le promozioni dei
dirigenti degli uffici al parere favorevole di tali magistrati (art. 15 disp. att.).
IMPUTATO

L’imputato e la persona sottoposta alle indagini


Nella fase delle indagini preliminari (procedimento) l'attribuzione del reato (c.d. imputazione
preliminare) è precaria, nella fase di esercizio dell'azione penale (processo vero e proprio)
l'addebito si cristallizza nella formulazione dell'imputazione, che si risolve nella richiesta
obbligatoria di accertamento giurisdizionale.

Art. 60 - Assunzione della qualità di imputato.


1. Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a
giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena a
norma dell'articolo 447 comma 1, nel decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio
direttissimo.
2. La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più
soggetta a impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la
sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna.
3. La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e
qualora sia disposta la revisione del processo.

L'art. 60 indica gli atti tipici dai quali deriva l'assunzione della qualità di imputato:

a) richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato e di decreto penale di condanna;


b) richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari;
c) decreto di citazione diretta nel giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica
emesso dal pm (art. 550) o, nel giudizio direttissimo, la contestazione orale dell'imputazione
in dibattimento o il decreto di citazione a giudizio se l'imputato è libero (art. 450, 451);
d) contestazione del reato connesso o del fatto nuovo nell'udienza preliminare o nel
dibattimento (art. 423);
e) formulazione coatta dell'imputazione quando la richiesta di archiviazione non sia stata
accolta dal gip (art. 409).
f) Accoglimento richiesta di sospensione procedimenti con messa alla prova.

La coincidenza tra inizio del processo e imputazione può implicare che le indagini si
33
concludano con l'archiviazione intervenuta dopo che sia stata applicata la custodia cautelare in
carcere.
La PERDITA DELLA QUALITÀ DI IMPUTATO può derivare solo da una
sentenza o da un provvedimento assimilabile:
a) sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione,
b) sentenza di proscioglimento o di condanna irrevocabili,
c) decreto penale divenuto esecutivo,
d) ordinanza che dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione,
e) sentenze che dichiarano il difetto di giurisdizione o di competenza.

La qualità di imputato risorge per effetto di revoca della sentenza di non luogo a procedere o
dell'emissione del decreto di citazione a dibattimento per il giudizio di revisione, essendo tale
richiesta ammissibile e non manifestamente infondata.
L’ art. 436 afferma che il prosciolto riacquista la qualità di imputato con l'ordinanza che fissa
l'udienza preliminare quando il pm abbia richiesto il rinvio a giudizio, essendo state acquisite
nuove fonti di prova; se invece tali fonti debbano ancora essere acquisite, l'ordinanza di riapertura
delle indagini non ha tale effetto ed il prosciolto riassume la qualità di imputato solo quando il pm,
a seguito delle indagini, formuli l'imputazione. Deve essere aggiunto il caso di rescissione del
giudicato ex 629bis (contumacia incolpevole con sentenza passata in giudicato), in cui gli atti del
processo vengono restituiti al primo grado.

Si estendono all’indagato (persona sottoposta a indagini preliminari) le garanzie e i diritti


attribuiti all’imputato.
L'estensione dei diritti e delle garanzie dell'imputato opera anche in rapporto ad atti non
documentabili come le notizie o le indicazioni assunte dagli ufficiali di polizia giudiziaria sul
luogo o nell'immediatezza del fatto, anche indipendentemente dall'effettiva iscrizione nel registro
delle notizie di reato o dell'invio dell'informazione di garanzia.

Si diviene persona sottoposta alle indagini a seguito di ricezione dalla polizia giudiziaria o dal pm
di una notizia qualificata di reato (denuncia, referto, querela, istanza, richiesta) contenente
un'incolpazione nei confronti del soggetto denunciato.
In caso di notizie non qualificate la persona può essere sottoposta alle indagini a
seguito di una valutazione di attendibilità delle notizie espressa dall'ufficiale o
agente o dal pm.
Quando la valutazione ha esito positivo scatta l'obbligo di riferire la notizia al pm, e a
questi di farla iscrivere immediatamente nel registro ex art. 335.
L'esecuzione dell'arresto in flagranza rientra nella valutazione, non rileva il fermo né
la richiesta di misure cautelari personali.
Alla persona sottoposta alle indagini preliminari sono estesi i diritti dell'imputato e
le garanzie, senza alcun limite.
L'art. 61 sancisce la regola per cui alla persona sottoposta alle indagini si estende
ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo espresse deroghe.

Le dichiarazioni rese dall’imputato


L'art. 62 c.p.p. prescrive che le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento
dall'imputato e dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di
testimonianza. Riguarda le dichiarazioni sollecitate ma anche quelle rilasciate di propria iniziativa.
Questa limitazione vale anche nei confronti di coloro a carico dei quali, per effetto delle
34
dichiarazioni rese, emergano indizi di reità e di coloro che, fin dall'inizio, dovevano essere sentiti
in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini.
Sono coperte dall'art. 62 le dichiarazioni rese davanti all'autorità giudiziaria, alla polizia
giudiziaria e ad altre persone abilitate a riceverle. In base all'interpretazione data dalla Corte
costituzionale, il divieto vale nei confronti di ogni altra persona che abbia inteso le
dichiarazioni che siano rese dall'imputato in occasione del compimento di un qualsiasi atto
della sequenza del procedimento.

Sono escluse le dichiarazioni rilasciate prima dell'avvio del procedimento o fuori da


questo. Il divieto a testimoniare è esteso anche a chi riferisca, avendolo appreso da altri, il
contenuto delle dichiarazioni dell'imputato o dei soggetti a lui assimilati.
→ In base all'art. 191, l'inosservanza del divieto ex art. 62 comporta l'inutilizzabilità della
testimonianza illegittimamente acquisita.
Art. 63 - Dichiarazioni indizianti.
1. Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una
persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo
carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali
dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un
difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha
rese.
2. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta
alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.

La disciplina delle dichiarazioni indizianti costituisce un'anticipazione della garanzia del


diritto al silenzio, operante in sede di interrogatorio, e nei confronti di chi è chiamato a deporre
davanti al giudice integra il principio per cui nessuno può essere obbligato a deporre su fatti dai
quali potrebbe emergere la propria responsabilità penale (art. 198).
Lo stesso vale per le informazioni assunte dal pm e dalla polizia giudiziaria.
La giurisprudenza costituzionale ritiene che l'operatività dell'art. 63 non scatta nei confronti
del giudice civile e del curatore fallimentare, e neanche nei confronti delle circostanze
indizianti emergenti dall'intercettazione di una conversazione telefonica o ambientale
ritualmente disposta ed eseguita: l'art. 63 riguarda chi abbia già commesso un reato.

Una volta profilatesi indizi di reità a carico della persona non imputata o non sottoposta alle
indagini che rende dichiarazioni, l'autorità procedente ha tre obblighi:
o obbligo di interrompere l'esame e l'eventuale assunzione di informazion i, la durata della pausa
è proporzionata al tempo necessario della nomina del difensore, potrà seguirne l'interrogatorio
o l'assunzione di sommarie informazioni ex art. 350 dalla polizia giudiziaria;
o obbligo di avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti per
effetto della mutata veste processuale; non è previsto l'obbligo di avvertire l'indiziato che le
sue dichiarazioni potranno essere utilizzate nei suoi confronti, il soggetto quindi non è
avvisato degli effetti sfavorevoli che potrebbero scaturire da ulteriori dichiarazioni rese prima
dell'inizio dell'interrogatorio o dalle sommarie informazioni ex art. 350;
o obbligo di invitare la persona che ha rilasciato le dichiarazioni indizianti a nominare un
difensore; coloro ai quali è attribuito un fatto in base ad una comune notizia di reato sono
invece invitati a nominarlo solo nell'informazione di garanzia, che però viene inviata solo
a partire dal primo atto cui il difensore ha diritto di assistere (art. 369).

L'art. 63 comporta il divieto di utilizzare, contro la persona autoindiziatasi, le dichiarazioni rese


prima dell'avvertimento, non si riferisce quindi ai reati commessi tramite le stesse dichiarazioni rese.
35
Al comma 2 si afferma che, se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato
o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate.
Si tende a disincentivare comportamenti contra legem intesi ad acquisire dichiarazioni
accusatorie a carico di terzi.

La giurisprudenza ha circoscritto il divieto d'uso delle dichiarazioni alle persone imputate in


procedimenti connessi o collegati: nelle altre ipotesi il dichiarante deve essere sentito in qualità di
persona informata sui fatti per cui si indaga, ovvero il testimone.
L’ interrogatorio
L’ESAME DELL'IMPUTATO (mezzo di prova) ed INTERROGATORIO della
persona sottoposta alle indagini e dell'imputato stesso sono diversi.

Nella fase delle indagini preliminari il pm procede all'interrogatorio:


• della persona sottoposta a misura cautelare (art. 294);
• dell'arrestato o del fermato (art. 388);
• di chi si trova a piede libero mediante invito a presentarsi (art. 375), anche tramite polizia
giudiziaria, ma se la persona non ottempera, l'accompagnamento coattivo è disponibile solo a
seguito dell'autorizzazione del giudice.

Il titolare delle indagini è libero di scegliere il momento in cui assumere l'atto, salvo si tratti di
persona sottoposta a custodia cautelare (e non di arresto in flagranza o a fermo indiziato di delitto):
in questo caso l'interrogatorio del giudice deve precedere quello del pm (art. 294).
Il titolare dell'indagine può anche non interrogare nel corso delle indagini preliminari: la richiesta
di archiviazione può essere formulata inaudita altera parte.
Ex art. 415-bis il pm che non intenda formulare richiesta di archiviazione è tenuto a notificare,
prima della scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, un avviso di conclusione
delle indagini indirizzandolo alla persona sottoposta alle indagini ed al difensore.
L'AVVISO deve contenere anche l'avvertimento che l'indagato ha la facoltà, entro 20 giorni,
di presentarsi per rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Se
il soggetto lo chiede il pm è tenuto a procedere all'interrogatorio.
Art. 416 se non viene dato avviso di tale possibilità la richiesta di rinvio a giudizio o il
decreto di citazione a giudizio del pm sono nulli.
Art. 453 il titolare dell'accusa che voglia innescare il giudizio immediato deve procedere
all'interrogatorio sui fatti dai quali emerge l'evidenza della prova, o deve disporlo ex art.
375 co 3, a meno che la persona sottoposta alle indagini non sia comparsa a causa di un
legittimo impedimento o sia risultata irreperibile.

Essendo il giudice per le indagini preliminari tendenzialmente privo di poteri ufficiosi, il


relativo interrogatorio è un'attività sempre doverosa.

Art. 294 in sede di UDIENZA DI CONVALIDA, l'interrogatorio dell'arrestato o del fermato che
non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire, e l'interrogatorio di chi sia sottoposto ad una
misura cautelare personale, hanno termini stretti: immediatamente e non oltre 5 giorni
dall'esecuzione in caso di custodia cautelare in carcere, non oltre 10 giorni dall'esecuzione o
dalla notificazione del provvedimento che dispone le altre misure cautelari, coercitive o
interdittive.
Il giudice può valutare nuovamente i presupposti per l'assoggettamento alla misura
cautelare sulla base degli elementi addotti dall'interrogato.
36
Se il pubblico ministero ne fa istanza di custodia cautelare, l'interrogatorio deve avvenire entro 48 ore.
Il giudice procede ad interrogatorio in rapporto alle MISURE CAUTELARI PERSONALI quando:

• il pm, nel corso delle indagini preliminari, gli ha richiesto di sospendere la persona sottoposta alle
indagini dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289);
• gli è richiesto di revocare o sostituire la misura applicata: è un atto facoltativo che diviene
obbligatorio se l'istanza è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati (art. 299
co 3-ter);
• quando il giudice proponga la custodia cautelare in carcere per esigenze probatorie (art. 301).

Esercitata l'azione penale, l'imputato è libero di sottoporsi ad interrogatorio in sede di


udienza preliminare (art. 421 e 422) o nel giudizio abbreviato.
L'interrogatorio condotto dal pm ha carattere investigativo ed è finalizzato alle
determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale; l'interrogatorio condotto dal giudice
è finalizzato al controllo e alla garanzia.

Il DIFENSORE ha il diritto di essere, anche in tempi brevi, avvisato del compimento dell'atto in
modo da potervi assistere; talvolta la sua presenza è condizione di validità in quanto la legge gli
impone di intervenire o perché l'interrogatorio è funzionalmente inserito nell'udienza di convalida o
nell'udienza preliminare. Quanto alla difesa personale ex art 64 65, l’interrogatorio deve garantire
una partecipazione libera e cosciente del soggetto. In quanto al luogo di svolgimento l’arrestato, il
fermato e l’imputato in stato di detenzione (esclusi arresti e detenzione domiciliari) devono essere
interrogati presso l’istituto penitenziario in cui si trovano. Inoltre il giudice, non parrebbe il pm,
sussistendo motivi eccezionali di necessità e urgenza può disporre il trasferimento davanti a sé dei
soggetti di cui sopra.

Sono EQUIPARATE ALL'INTERROGATORIO:

• le modalità di svolgimento di assunzione di sommarie informazioni che gli ufficiali di polizia


giudiziaria assumono ex art. 350 e
• le dichiarazioni degli imputati in un procedimento connesso o collegato; dette informazioni se
rese davanti ad un ufficiale di polizia giudiziaria, interrogatorio se rese davanti al pm o davanti
al giudice in sede di udienza preliminare.
• Le dichiarazioni rilasciate dalla persona sottoposta alle indagini a seguito di presentazione
spontanea al pm ex art. 374 sono assimilate all'interrogatorio.

L’ art. 64 c.p.p. (Regole generali per l'interrogatorio) stabilisce che la persona assoggettata al
regime di custodia cautelare o detenuta per altra causa, intervenga libera nell'interrogatorio, salve le
cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze, ponendo una regola di protezione
della personalità.
L'art. 22 disp. att. consente di non disporre l'accompagnamento o la traduzione,
sostituendoli con l'autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di arresto o di detenzione per il
tempo strettamente necessario.

37
L'art. 64 comma 2 nel corso dell'interrogatorio non possono essere impiegati, ancorché con il
consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di
autodeterminazione o ad alterare le capacità mnemoniche o valutative. È un divieto
indisponibile.
L'art. 64 comma 3 disciplina il diritto al silenzio della persona sottoposta ad interrogatorio.
Prima che inizi l'interrogatorio vero e proprio, l'organo procedente ha l'obbligo di avvertire la
persona interrogata che:
• le dichiarazioni che renderà potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
• a parte l'obbligo di fornire le proprie generalità, ha la facoltà di non rispondere ad alcuna
domanda, ma in ogni caso il procedimento proseguirà il suo corso. In caso di omissione, le
dichiarazioni eventualmente rese sono inutilizzabili, sia nei confronti dell'interrogato che
nei confronti di terzi.
• avvertimento che se renderà dichiarazioni sui fatti che concernono la responsabilità di altri
assumerà in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità a testimoniare ex
art. 197, nonché le garanzie circa la conduzione dell'esame testimoniale ed il regime di
utilizzabilità delle dichiarazioni contro chi le ha rese, ex art. 197-bis.

(c 3 bis) In caso di mancato avvertimento la persona interrogata non potrà assumere, in


ordine ai fatti riferiti e concernenti la responsabilità di altri l'ufficio di testimone, e le
dichiarazioni eventualmente rese contra alios non saranno utilizzabili nei confronti dei
terzi coinvolti, ferma restando la loro utilizzabilità nei confronti del dichiarante
(inutilizzabilità relativa).

A seguito della direttiva europea ex art 293 c1 si prescrive agli ufficiali e agli agenti di polizia
giudiziaria al momento in cui seguono l’ordinanza applicativa della custodia cautelare di
consegnare all’imputato comunicazione scritta, chiara e precisa (e tradotta), del diritto di
avvalersi della facoltà di non rispondere. Il giudice poi in sede di interrogatorio deve verificare
che all’imputato sia stata data la comunicazione. Inoltre ex art 386 c1 la stessa comunicazione
deve pervenire dagli stessi soggetti all’arrestato o al fermato salvo a farlo nell’immediatezza
oralmente. Nell’udienza di convalida il giudice deve verificarlo e nel caso completare la
comunicazione. La ratio, dato lo stress del soggetto, è quella di evitare a spingerlo a rendere
dichiarazioni avventate dato che possono essere utilizzate sia a fini contestativi che probatoria.
Dall'esercizio del diritto di non rispondere, cioè di non collaborare, l'organo procedente non
può ricavare alcuna conseguenza, in quanto insindacabile espressione del diritto di difesa
personale.
Una volta che il soggetto abbia dichiarato di voler rispondere entrano in gioco le prescrizioni
dettate per l’interrogatorio nel merito dell’articolo 65 per l’interrogatorio nel merito, per cui
l’autorità giudiziaria:
deve contestare alla persona sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è
attribuito,
deve renderle noti gli elementi di prova a suo carico e comunicargli le fonti;
in seguito, invita la persona ad esporre quanto ritiene utile per discolparsi (qui emerge
chiaramente la funzione dell’interrogatorio quale strumento di difesa) e le pone direttamente le
domande. Nel corso dell’interrogatorio deve essere redatto apposito verbale sottoscritto
dall’indagato, dal difensore e dall’autorità procedente.
Ricordiamo che l’interrogatorio può anche essere espletato nel corso dell’udienza preliminare
e, quindi, successivamente all’esercizio dell’azione penale, quando l’imputato ne faccia
richiesta.

38
Nell'interrogatorio le domande sono poste in via diretta dal solo organo procedente, a meno che in
sede di integrazione del quadro probatorio il giudice disponga, su richiesta di parte, che
l'interrogatorio sia reso nelle forme previste agli art. 498 e 499.

L’ identificazione e l’esistenza in vita dell’imputato

Art. 66 prevede che nel primo atto del procedimento in cui è presente l'imputato l'autorità
giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quanto può valere ad identificarlo,
ammonendolo sulle conseguenze cui si espone chi rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false.
Gli stessi inviti ed ammonizioni sono indirizzati dalla polizia giudiziaria alla persona sottoposta
alle indagini.
L'art. 21 disp. att. statuisce che l'autorità giudiziaria debba richiedere all'imputato o alla persona
sottoposta alle indagini, nel primo atto cui sono presenti, una serie di informazioni relative
all'identità personale, alla vita di relazione, alla posizione patrimoniale, agli eventuali ruoli
pubblici ricoperti e ai precedenti penali.
L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità è irrilevante in quanto non
pregiudica il compimento di alcun atto da parte della polizia giudiziaria o dell'autorità
giudiziaria, purché sia certa l'identità fisica della persona.

L'attribuzione di GENERALITÀ ERRONEE è trattata come un errore materiale, dà


luogo alla rettificazione mediante il relativo procedimento in camera di consiglio.
Tale correzione si ha anche nei confronti della persona sottoposta ad indagini preliminari qualora il
giudice sia chiamato ad emettere provvedimenti.
L'art. 66-bis prevede che l'autorità giudiziaria debba, in ogni stato e grado del procedimento,
comunicare all'autorità competente, ai fini dell'applicazione della legge penale la circostanza che
l'indagato o l'imputato sia già stato segnalato, magari sotto diverso nome, all'autorità giudiziaria
quale autore di un reato commesso antecedentemente o successivamente a quello per il quale si
procede.
L'identità fisica è la coincidenza tra la persona nei cui confronti è esercitata l'azione penale e quella
che in effetti è assoggettata al processo.
Spetta al pm, nella fase delle indagini preliminari, disporre gli accertamenti del caso, sulla base
dei quali saranno formulate le conseguenti richieste al giudice. Se il dubbio sorge nel processo, le
determinazioni in materia saranno tratte dal giudice dell'udienza preliminare o del dibattimento.

Art. 68- Errore sull'identità fisica dell'imputato.


1. Se risulta l'errore di persona, in ogni stato e grado del processo il giudice, sentiti il pubblico
ministero e il difensore, pronuncia sentenza a norma dell'articolo 129.
Art. 68 in caso di errore sull'identità fisica, quindi di errore di persona, che risulti nel corso
della fase delle indagini preliminari, al pm è consentito richiedere il decreto di
archiviazione. Se l'errore di persona risulta nel processo, il giudice, sentiti
obbligatoriamente il pm e l'imputato, pronuncia sentenza ex art. 129.
La sentenza resa ex art. 68, pur se divenuta irrevocabile, è sfornita di efficacia preclusiva: la
persona erroneamente estromessa dal processo torna ad esservi assoggettata quando, in seguito,
risulti essere il vero imputato.
L'incertezza circa l'età del minore imputato è sciolta dal giudice minorile con le
forme caratteristiche di tale rito.

Art. 67- Incertezza sull'età dell'imputato.


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1. In ogni stato e grado del procedimento, quando vi è ragione di ritenere che l'imputato sia
minorenne, l'autorità giudiziaria trasmette gli atti al procuratore della Repubblica presso il
tribunale per i minorenni.
Art. 67 quando l'autorità giudiziaria abbia ragione di ritenere che l'imputato o la persona
sottoposta alle indagini sia minorenne, trasmette gli atti al procuratore della Repubblica
presso il tribunale minorile.
Art. 69 (morte dell’imputato) la dichiarazione di morte presunta pronunciata dal giudice civile non
rileva; in caso di incertezza sull'esistenza in vita dell'imputato, se si ritiene che sia morto, il pm nel
corso delle indagini preliminari chiede l'archiviazione per estinzione del reato, mentre nel corso del
giudizio il giudice proscioglie.
L'accertata morte dell'imputato non impedisce al giudice, se già risulti evidente che il fatto non
sussiste, che l'imputato non l'ha commesso ovvero che il fatto non costituisce reato, di adottare la
formula di merito.
L'esito rileva ai fini dell'efficacia della sentenza di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo
di danno intentabile contro gli eredi (art. 652).
L'art. 69 comma 2 precisa che la sentenza erroneamente dichiarativa dell'estinzione del reato per
morte dell'imputato non impedisce un nuovo esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto a carico
della stessa persona, espressa deroga del principio del ne bis in idem.

Infermità mentale e partecipazione cosciente


Ogni persona fisica è di regola legittimata ad assumere la qualità di imputato, cioè è titolare della
capacità di essere parte nel processo penale.
Tale capacità difetta però negli infanti e negli immuni, da distinguersi in assoluti o relativi a
seconda che l’esenzione della giurisdizione valga per tutte, le imputazioni o solo per alcune. Per
l’immunità relativa il processo può ben instaurarsi al solo fine di verificare se il fatto è coperto
da privilegio.

La capacità processuale dell'imputato è l'idoneità ad esercitare, all'interno del processo, i diritti e le


facoltà ricollegati all'assunzione di tale qualità.
In generale coincide con la sua capacità di essere parte.
Esistono situazioni in cui capacità di agire e capacità giuridica non coincidono, ad esempio
l'imputato nel giudizio di cassazione è privo di capacità processuale, dovendo stare in
giudizio a mezzo del difensore, che assume le vesti del suo rappresentante; l'efficacia della
rinuncia all'impugnazione proposta dal difensore, ad opera dell'imputato sottoposto a tutela
o a curatela speciale, è subordinata al consenso del tutore o del curatore; ipotesi di infermità
mentale dell'imputato, antecedente o sopravvenuta, al fatto costituente reato.

Il presupposto dell'INFERMITÀ MENTALE dell'imputato è commisurato sull'idoneità del


soggetto a partecipare coscientemente al processo, sia nel caso in cui l'infermità mentale sia
sopravvenuta al fatto, sia quando sia risalente ma perdurante al tempo del processo, sempre che
non integri uno stato di totale incapacità di intendere e volere.
L'art. 70 riguarda situazioni in cui l'infermità di mente dell'imputato risulti solo diminuita
e non scomparsa, purché produca l'effetto di impedirne una consapevole partecipazione.
Sono irrilevanti le situazioni nelle quali l'esercizio di autodifesa è ostacolato da altre
cause, tra cui le infermità fisiche sopravvenute, cui pongono rimedio, anche se parziale,
istituti come la sospensione o il rinvio dell'udienza.
Una volta che non debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento
ex art. 129, la valutazione sull'esistenza dell'infermità di mente dell'imputato non è necessariamente
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subordinata all'esito di un'indagine peritale disponibile anche d'ufficio: il giudice può persuadersene
sulla base degli elementi ricavabili da perizie appena espletate o da manifestazioni conclamate.
Qualora venga disposta una perizia psichiatrica, nel tempo occorrente al suo svolgimento, l'attività
giudicante subisce consistenti limitazioni, si può parlare di paralisi parziale.
Il giudice, su richiesta del difensore, può assumere solo le prove che possono condurre al
proscioglimento dell'imputato e, su richiesta di parte, anche altre prove unicamente nel
caso di pericoli da ritardo.
Se la necessità di provvedere sorge durante le indagini preliminari, la perizia è disposta
dal giudice solo su richiesta delle parti con le forme dell'incidente probatorio, ed i
termini per le indagini preliminari restano sospesi, come effetto anticipato rispetto
all'eventuale ordinanza sospensiva emessa a seguito dell'esito positivo della perizia. Il
pm è abilitato a compiere solo gli atti che non richiedono la partecipazione cosciente
della persona sottoposta ad indagini.
Se si configura pericolo nel ritardo sono però assumibili le prove nei casi e nelle
forme dell'incidente probatorio.
→ Tale normativa non opera né in cassazione né nel procedimento di esecuzione o sorveglianza.
Accertato che lo stato psichico dell'imputato ne impedisce la cosciente partecipazione al
procedimento pur manifestando allo stato carattere reversibile, il giudice emette
ordinanza di sospensione del procedimento ex art. 71.
L'ordinanza è ricorribile per cassazione.
Tra gli effetti dell'ordinanza c'è l'obbligo di nominare un curatore speciale a favore
dell'imputato, designando preferibilmente l'eventuale rappresentante legale.
Il curatore speciale ha ampi diritti, tra i quali gli è consentito sia ricorrere in cassazione
contro l'ordinanza di sospensione, sia assistere agli atti disposti sulla persona dell'imputato,
nonché i diritti attribuiti all'imputato stesso.
Il giudice può assumere prove su richiesta del curatore speciale.
Se la sospensione interviene nel corso delle indagini preliminari, operano le limitazioni ex art.
70 comma 3.
Altro effetto consiste nell'obbligatoria separazione del processo e nell'inoperatività della regola ex
art. 75 comma 3 circa la sospensione obbligatoria del processo civile.
Il corso della prescrizione è sospeso quando il procedimento o il processo penale sia sospeso
per impedimento delle parti, salve le facoltà ex art. 71.
L'ordinanza di sospensione ha efficacia indeterminata, viene immediatamente revocata ex
art. 72 quando risultino integrati i presupposti di una sentenza di non luogo a procedere o di
proscioglimento, oppure sia acquisita la certezza che l'imputato è in grado di partecipare
coscientemente al procedimento.
L'art. 72 impone al giudice di verificare lo stato psichico dell'imputato con
frequenze periodiche semestrali mediante appositi accertamenti peritali.
In caso di inosservanza si ha causa di nullità.
1. Art.159 c.p. = inizialmente disponeva che il corso della prescrizione rimanesse sospeso
quando il procedimento / processo penale fosse sospeso, tra l’altro, x impedimento delle
parti, fatte salve le facoltà ex art.71.1 e 5.  dava vita alla figura dell’eterno giudicabile.
|
La corte cost, inizialmente, pur dichiarando non fondate le questioni di legittimità, affermava
con sentenza monito che non è tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine
al problema dell’eterno giudicabile.
Legislatore non interviene, quindi corte cost interviene e dichiara illegittimità cost dell’art.159
con riguardo alla disciplina della prescrizione in esame sotto un duplice profilo di
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irragionevolezza:
1. Incapacità irreversibile determina il venir meno dell’interesse della comunità alla
punizione del comportamento penalmente illecito e contrasta con il diritto all’oblio.
2. Incapacità irreversibile determina la frustrazione delle finalità delle norme processuali
e sostanziali.
Quindi  necessità di evitare che l’irreversibilità impedisca la decorrenza nel t prescrizionale
+ dovere del giudice di pronunciare sent di non luogo a procedere x intervenuta estinzione del
reato.
INFATTI INTRODOTTO NEL 2017 L’ART.72-BIS.
Art. 72-bis. Definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell'imputato
1. Se, a seguito degli accertamenti previsti dall'articolo 70, risulta che lo stato mentale
dell'imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è
irreversibile, il giudice, revocata l'eventuale ordinanza di sospensione del procedimento,
pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che
ricorrano i presupposti per l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.
Rimane un unico caso limite: l’imputato con incapacità irreversibile, a cui sia stato addebitato
un reato imprescrittibile, a cui sia stata applicata misura di sicurezza detentiva e nei confronti
del quale gli accertamenti periodici ne confermino la permanenza della pericolosità sociale,
può dirsi eternamente giudicabile.

Il giudice non ha il potere di disporre il ricovero dell'imputato in un'idonea struttura del servizio
psichiatrico ospedaliero.
Secondo l’ art. 73 vi provvede l'autorità competente (il sindaco) per l'adozione delle misure previste
dalla normativa sul trattamento sanitario delle malattie mentali, sulla scorta di un'informativa del
giudice comunicata col mezzo più rapido; solo se c'è pericolo nel ritardo, il giudice può ordinare,
anche d'ufficio, il ricovero provvisorio.
Se è già stata disposta o debba disporsi la custodia cautelare, il ricovero provvisorio in un'idonea
struttura del servizio psichiatrico ospedaliero è ordinato dal giudice adottando i provvedimenti
necessari per prevenire il pericolo di fuga ex art. 286.
Il ricovero diventa una misura alternativa alla custodia in carcere.

PARTE CIVILE

La parte civile: legittimazione, costituzione ed esodo dal processo


Tra le parti “eventuali”, quindi non necessarie al processo penale, c'è la parte civile, il cui
intervento è finalizzato ad ottenere le restituzioni o il risarcimento del danno ricollegabili al reato
oggetto di accertamento in sede penale (art. 185 c.p.).

Art. 74 - Legittimazione all'azione civile.


1. L'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all'articolo 185 del
codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato
danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell'imputato e del responsabile civile.
L'art. 74 stabilisce che l'azione civile dell'art. 185 c.p. può essere esercitata dal soggetto
(anche ente collettivo) che mira alle restituzioni o al risarcimento del danno (patrimoniale e
non patrimoniale) causato dal reato, o dai suoi successori universali (anche fra enti).
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Il danneggiato può costituirsi parte civile anche per mezzo di un procuratore speciale, con
procura conferita con scrittura privata autenticata.
Art. 76 - Costituzione di parte civile.
1. L'azione civile nel processo penale è esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale, mediante
la costituzione di parte civile.
2. La costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo.
Art. 76 una volta costituitosi, il danneggiato partecipa al processo in tutti i suoi
gradi, compreso l'eventuale giudizio di rinvio, senza dover assumere ulteriori
iniziative.
Qualora la capacità processuale del danneggiato sia carente dovrà essere rappresentato,
assistito o autorizzato nelle forme prescritte per l'esercizio delle azioni civili.

Se è carente la CAPACITÀ PROCESSUALE del danneggiato, questo sarà rappresentato,


assistito o autorizzato in base alle disposizioni per l'azione civile; l'art. 77 prevede:
o la nomina del curatore speciale, necessaria quando manchi la persona a cui spetterebbe la
rappresentanza o l'assistenza e ricorrano ragioni di urgenza, oppure sussista un conflitto di
interessi tra l'incapace e il suo legale rappresentante;
o in casi di assoluta urgenza, è consentito che il pubblico ministero eserciti l'azione civile
nell'interesse del minore o dell'infermo di mente finché non subentri il legale rappresentante o il
curatore speciale.
Art. 100 la parte civile può stare in giudizio solo con il ministero di un difensore
munito di procura speciale, conferita con atto pubblico o scrittura privata.
Per una regolare costituzione occorre che, oltre alla procura, sia depositata nella
cancelleria del giudice procedente, o sia presentata in udienza, una dichiarazione
contenente gli elementi all'art. 78 comma 1, a pena di inammissibilità:
o generalità della persona (o denominazione dell'associazione) che si costituisce parte civile e del
suo legale rappresentante;
o generalità dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione civile;
o nome e cognome del difensore e indicazione della procura;
o esposizione delle ragioni che giustificano la domanda (dal quale emerge fumus boni iuris);
o sottoscrizione del difensore.
Qualora la dichiarazione non sia stata presentata in udienza occorre che venga notificata, a cura
della parte civile, al pm e all'imputato, rispetto ai quali avrà effetto dal giorno dell'avvenuta
notificazione.

Art. 79 - Termine per la costituzione di parte civile.


1. La costituzione di parte civile può avvenire per l'udienza preliminare e successivamente, fino a che
non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484.
2. Il termine previsto dal comma 1 è stabilito a pena di decadenza.
3. Se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine previsto dall'articolo 468 comma 1, la
parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o
consulenti tecnici.
L'art. 79 stabilisce i termini per la costituzione di parte civile: deve avvenire per l'udienza
preliminare (quindi anche precedentemente), a partire dal deposito della richiesta di rinvio a
giudizio ex art. 416 (o dalla richiesta di giudizio immediato ex art. 453 o dalla presentazione
dell'imputato in udienza ex art. 449 in caso di giudizio direttissimo).
Nel corso delle indagini preliminari è esclusa la partecipazione del danneggiato, il quale

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può partecipare solo se è contemporaneamente l'offeso dal reato.
La costituzione deve avvenire, a pena di decadenza, entro il completamento degli
accertamenti relativi alla costituzione delle parti ex art. 484 da parte del giudice
dibattimentale di primo grado.
È preclusa la costituzione della parte civile una volta iniziata la trattazione
delle questioni preliminari regolate dall'art. 491.
Se la mancata costituzione è addebitabile al caso fortuito o alla forza maggiore non è
possibile invocare la restituzione del termine (essendo riservato a chi possiede la qualità di
parte); se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine perentorio ex art. 468, la
parte civile non può più avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o
consulenti tecnici.

Art. 80 - Richiesta di esclusione della parte civile.


1. Il pubblico ministero, l'imputato e il responsabile civile possono proporre richiesta motivata di
esclusione della parte civile.
2. Nel caso di costituzione di parte civile per l'udienza preliminare, la richiesta è proposta, a pena di
decadenza, non oltre il momento degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nella
udienza preliminare o nel dibattimento.
3. Se la costituzione avviene nel corso degli atti preliminari al dibattimento o introduttivi dello stesso,
la richiesta è proposta oralmente a norma dell'articolo 491 comma 1.
4. Sulla richiesta il giudice decide senza ritardo con ordinanza.
5. L'esclusione della parte civile ordinata nell'udienza preliminare non impedisce una successiva
costituzione fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484.

In base all'art. 80 la parte civile può essere esclusa a seguito di una richiesta motivata del pubblico
ministero, dell'imputato e del responsabile civile.
Il giudice procedente è tenuto a pronunciarsi senza ritardo con ordinanza inoppugnabile, ma la
valutazione del giudice non può andare oltre ad un accertamento diretto a verificare la mancanza
del fumus boni iuris.
L'eventuale esclusione della parte civile disposta in sede di udienza preliminare non è di ostacolo
rispetto alla sua successiva costituzione entro il termine dell'art. 79.
□ Se la parte civile si è costituita per l'udienza preliminare, la richiesta di esclusione va effettuata,
in forma scritta fuori dall'udienza o oralmente in sede di udienza preliminare o dibattimentale,
prima che siano terminati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.
Si ritiene che l'eventuale rigetto della richiesta di esclusione in sede di udienza
preliminare non ne precluda la riproposizione tempestiva in dibattimento.
□ Se la parte civile si è costituita nella fase degli atti preliminari al dibattimento o nel corso degli atti
introduttivi, la richiesta di esclusione deve essere avanzata in sede di trattazione delle questioni
preliminari ex art. 491, la proposizione è preclusa se la questione non viene proposta subito dopo
che è compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti.

Art. 81 c.p.p. → l'esclusione può essere disposta ex officio dal giudice che accerti l'inesistenza dei
requisiti stabiliti per la costituzione di parte civile entro l'apertura del dibattimento di primo grado,
indipendentemente dalla circostanza che sia stata precedentemente rigettata, in sede di udienza
preliminare, una richiesta di esclusione avanzata ex art. 80.
Le ordinanze con cui la parte civile viene ammessa o esclusa dal processo penale sono di carattere
meramente processuale.
L'ammissione della parte civile non pregiudica la successiva decisione sul suo diritto alla
restituzione e al risarcimento del danno e, reciprocamente, la sua esclusione è priva di riflessi
sull'esercizio dell'azione civile in sede propria.
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È possibile anche un recesso spontaneo del danneggiato che, espressamente o tacitamente, revoca
la costituzione di parte civile.

Art. 82 c.p.p.→ la revoca espressa può aver luogo in ogni stato e grado del procedimento e può
riguardare anche solo uno degli imputati, richiede un'apposita dichiarazione resa personalmente o
per mezzo di un procuratore speciale.
Tale dichiarazione può avere forma orale, se fatta in udienza, o essere contenuta in un atto
scritto, che va depositato nella cancelleria del giudice procedente e notificato alle altre parti.
La revoca tacita è tassativamente prevista dall'art. 82 comma 2 che menziona la mancata
presentazione, in sede di discussione dibattimentale, delle conclusioni riservate dall'art. 523
al difensore della parte civile e il promovimento dell'azione di danno davanti al giudice
civile.
La revoca della costituzione di parte civile non preclude il successivo esercizio
dell'azione aquiliana in sede civile (art. 82 comma 4).
Salve le eccezioni previste dalla legge, il giudizio civile resta sospeso finché, in sede
penale, non venga pronunciata la sentenza non più soggetta ad impugnazione.

I rapporti tra azione civile da reato e azione penale


Art. 75 - Rapporti tra azione civile e azione penale.
1. L'azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a
quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in
giudicato. L'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale
provvede anche sulle spese del procedimento civile.
2. L'azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata
quando non è più ammessa la costituzione di parte civile.
3. Se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile
nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino
alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste
dalla legge.
L'art. 75 c.p.p. disciplina la trasferibilità, nel processo penale, dell'azione civile che il danneggiato
dal reato abbia promosso davanti al giudice civile, subordinandola a due condizioni:
1) l'attore è vincolato alla sua scelta iniziale dopo la pronuncia in sede civile di una sentenza di
merito anche non definitiva (non ci sono preclusioni se la sentenza ha carattere
processuale);
2) non è consentito l'inserimento dell'azione civile nel processo penale una volta spirato il termine
finale dell'art. 79 comma 1 (accertamento della costituzione delle parti).

Il cambiamento di sede processuale comporta l'estinzione del giudizio civile per rinuncia agli atti
e la conseguente devoluzione al giudice penale della decisione sulle spese del processo civile
interrotto.
□ L'art. 75 comma 2 dispone che l'azione di danno, esercitata nella sede naturale, procede in
assoluta autonomia rispetto al parallelo processo penale.

Tale articolo deve essere coordinato con gli art. 651 e 652: nel caso in cui il processo penale
si concluda con una sentenza irrevocabile di condanna, il danneggiato può sfruttare nel
giudizio civile l'efficacia di giudicato riconosciutagli dall'art. 651, mentre in base all'art. 652
è esclusa l'efficacia di giudicato di una sentenza assolutoria.
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□ L'art. 75 comma 3 dispone che il processo civile rimanga sospeso in attesa di giudicato penale
quando l'azione sia stata proposta in sede civile dopo la sentenza penale di primo grado o dopo la
precedente costituzione di parte civile nel processo penale.
Sono salve le eccezioni previste dalla legge, quindi il processo civile prosegue senza interruzioni
il suo corso quando:
• il processo penale è stato sospeso per incapacità dell'imputato (art. 71 comma 6);
• vi è stata esclusione della parte civile (art. 88 comma3);
la parte civile ha abbandonato il processo penale in seguito alla sua mancata accettazione del
rito abbreviato (art. 441 comma 4);
• non risulta possibile notificare all’imputato assente l’avviso dell’udienza preliminare (420 quater c2)
• l'esodo della parte civile consegue alla pronuncia di una sentenza che applica la pena su richiesta
delle parti;
• il danneggiato, costituitosi parte civile, esercita l'azione civile in sede propria, dopo che il giudice
penale ha dichiarato estinto il reato per intervenuta oblazione.

IL RESPONSABILE CIVILE
Il soggetto danneggiato dal reato può agire, per le restituzioni e il risarcimento del danno, anche nei
confronti della persona fisica o dell'ente plurisoggettivo, che, ex art. 185, è tenuto, a norma delle
leggi civili, a rispondere per il fatto dell'imputato.
Questo soggetto è obbligato in solido con il protagonista del processo penale.
Es. art. 1784 c.c. responsabilità dell'albergatore per le cose consegnategli dai clienti; art.
2047 c.c. responsabilità della persona tenuta alla sorveglianza per il danno causato
dall'incapace; art. 2048 c.c. responsabilità dei genitori e dei tutori per i danni causati dal
fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette a tutela; art. 2049 c.c.
responsabilità dei padroni o committenti per i danni arrecato dal fatto illecito dei domestici
e commessi; art. 2053 c.c. responsabilità del proprietario di un edificio per i danni provocati
dalla sua rovina; art. 2054 co 3 c.c. responsabilità del proprietario dei veicoli per i danni
provocati dal conducente.
Fuori dal codice civile vi sono la responsabilità dell'armatore della nave e
dell'esercente l'aeromobile per i danni causati dall'equipaggio; responsabilità
dell'editore e del proprietario della pubblicazione per i reati commessi con il mezzo
stampa.

Non è ipotizzabile un intervento del responsabile civile prima della costituzione della parte
civile (art. 83 comma 6), né in caso di esclusione o recesso(85 c4).
Legittimati a chiedere la citazione sono solo la parte civile ed il pubblico ministero, limitatamente
al caso in cui, sul presupposto di una assoluta urgenza, abbia esercitato l'azione civile a favore
dell'infermo di mente o del minore (art. 77 comma 4).
Il ruolo di imputato è incompatibile con quello di responsabile civile (l'imputato se condannato è
comunque civilmente responsabile in solido con i coimputati). È tuttavia consentito chiedere la
citazione di un imputato come responsabile civile per il fatto dei coimputati.
L'art. 83 comma 2 stabilisce che la citazione del responsabile civile sia proposta al più
tardi per il dibattimento.

Il giudice, verificato il fumus boni iuris della richiesta, ordina la citazione con un DECRETO indicante:
• le generalità della parte civile,

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• l'indicazione delle domande avanzate nei confronti del responsabile civile,
• l'invito a costituirsi,
• la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario.
Nel codice non è indicata la fissazione della data e del luogo dell'udienza, ma si presumono necessari.

Copia del decreto è notificata a cura della parte civile (o del pm) alle parti che potrebbero avere
interesse all'estromissione del responsabile civile (imputato e pm).

Art. 83 comma 5 dispone che la citazione è nulla quando, per omissione o per erronea indicazione
di qualche elemento essenziale, il responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi
diritti nell'udienza preliminare o nel giudizio, ovvero qualora risulti nulla la relativa notificazione.
Art. 84 il responsabile civile regolarmente citato non è comunque tenuto ad intervenire nel
processo, ma può scegliere di rinunciare, non impedendo al giudice di attribuirgli in
sentenza la responsabilità per il fatto dell’imputato.
Può anche decidere di costituirsi assumendo la qualità di parte.

Il responsabile civile sta in giudizio col ministero di un difensore, può costituirsi in ogni stato e
grado del processo, anche per mezzo di procuratore speciale, depositando nella cancelleria del
giudice procedente o presentando in udienza una dichiarazione che contenga, a pena di
inammissibilità, gli elementi ex art. 84 comma 2:

• generalità del responsabile civile che si costituisce e del suo legale rappresentante;
• nome e cognome del difensore ed indicazione della procura;
• sottoscrizione del difensore.
Art. 23 disp. att. se la citazione è regolare, l'assenza del responsabile civile non causa la
sospensione o il rinvio del dibattimento; né una nuova fissazione dell'udienza preliminare,
tuttavia gli deve essere notificato l'estratto della sentenza unitamente all'avviso di deposito.

Art. 85 - Intervento volontario del responsabile civile.


1. Quando vi è costituzione di parte civile o quando il pubblico ministero esercita l'azione civile a
norma dell'articolo 77 comma 4, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel
processo, anche a mezzo di procuratore speciale, per l'udienza preliminare e, successivamente,
fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484, presentando una
dichiarazione scritta a norma dell'articolo 84 commi 1 e 2.
2. Il termine previsto dal comma 1 è stabilito a pena di decadenza. Se l'intervento avviene dopo la
scadenza del termine previsto dall'articolo 468 comma 1, il responsabile civile non può avvalersi
della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici.
3. Se è presentata fuori udienza, la dichiarazione è notificata, a cura del responsabile civile, alle altre
parti e produce effetto per ciascuna di esse dal giorno nel quale è eseguita la notificazione.
4. L'intervento del responsabile civile perde efficacia se la costituzione di parte civile è revocata o se
è ordinata l'esclusione della parte civile.

Art. 85 anche se non citato, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel processo
penale se c'è stata costituzione della parte civile o il pubblico ministero abbia agito come supplente
ex art. 77 comma 4.
Se non è stato citato non può esser pronunciata condanna nei suoi confronti e non
subisce l'efficacia extra penale di un eventuale giudicato di condanna.
L'art. 85 comma 3 impone, in caso di dichiarazione presentata fuori udienza, la notificazione
47
alle altre parti, a cura del responsabile civile, stabilendo che abbia effetto dal giorno della
rispettiva notificazione.
L'intervento volontario del responsabile civile deve essere espletato a pena di decadenza
entro l'effettuazione degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.
L'art. 85 comma 2 esclude la facoltà di presentare la lista dei testimoni, periti e
consulenti tecnici quando l'intervento volontario sia avvenuto oltre il limite
temporale dell'art. 468.

Sia la citazione che l'intervento del responsabile civile perdono efficacia in caso di revoca
della costituzione di parte civile o in caso di sua esclusione.
L'intervento del responsabile civile è anche ESCLUSO su richiesta di parte o d'ufficio.
Sono legittimate a proporre l'esclusione l'imputato, la parte civile e il pubblico ministero (art. 86).
Il responsabile civile, a seguito di citazione, può chiedere la propria esclusione per ragioni
attinenti la legittimazione o qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano
recare pregiudizio alla sua difesa, in relazione a quanto previsto dagli art. 651 e 654.
La richiesta motivata di esclusione, presentata a pena di decadenza non oltre il momento
degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell'udienza o nel dibattimento, è
decisa dal giudice con ordinanza, senza ritardo.
Fino a quando non sia dichiarato aperto il dibattimento di primo grado, al giudice è riservata
l'esclusione d'ufficio del responsabile civile.

In base all'art. 87 l'esclusione sarà disposta, con ordinanza inoppugnabile, sia quando venga
accertata la mancanza dei requisiti per la citazione o per l'intervento del responsabile civile, sia
quando venga accolta dal giudice la richiesta di giudizio abbreviato.
Se l'esclusione del responsabile civile è stata deliberata su richiesta della parte civile, il
danneggiato dal reato perde la possibilità di esercitare l'azione riparatoria ex delicto in
sede civile.

Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e l’ente responsabile per l’illecito amministrativo
dipendente da reato.

Nei casi previsti agli art. 196 e 197 c.p. una persona può essere assoggettata, in via sussidiaria ed
eventuale, ad un'obbligazione civile pecuniaria pari all'importo della multa o dell'ammenda
inflitta al condannato. → Non è prevista la possibilità di un intervento volontario.

■ Art. 89- Citazione del civilmente obbligato per la pena pecuniaria.


1. La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria è citata per l'udienza preliminare o per il
giudizio a richiesta del pubblico ministero o dell'imputato.
2. Si osservano in quanto applicabili le disposizioni relative alla citazione e alla costituzione del
responsabile civile. Non si applica la disposizione dell'articolo 87 comma 3.
Secondo l’articolo la persona civilmente obbligata può essere citata, per l'udienza preliminare o per
il giudizio, su richiesta del pubblico ministero o dell'imputato.
L'art. 89 rimanda alla normativa per il responsabile civile per disciplinare la citazione,
la costituzione e l'esclusione della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria,
escludendo l'applicabilità dell'esclusione d'ufficio in caso di giudizio abbreviato.

■ Il d.lgs 231/2001 ha previsto l'irrogazione di sanzioni amministrative, consistenti nella sanzione


pecuniaria, nelle sanzioni interdittive, nella confisca e nella pubblicazione della sentenza, a carico
degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di
personalità giuridica, qualora vengano accertati reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio
da parte di persone che rivestano funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione
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dell'ente, nonché di persone che ne esercitino, anche di fatto, la gestione e il controllo e di persone
sottoposte alla direzione o alla vigilanza di tali soggetti.
La responsabilità amministrativa e le relative sanzioni rilevano solo se espressamente previste da
una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.
La cognizione dell'illecito amministrativo addebitabile all'ente spetta al giudice penale competente
per il reato dal quale l'illecito amministrativo dipende.
Se l'ente intende partecipare al procedimento con il proprio rappresentante legale, deve costituirsi
depositando in cancelleria una dichiarazione contenente, a pena di inammissibilità:
• la denominazione e le generalità del legale rappresentante,
• il nome del difensore con l'indicazione della procura speciale,
• la sottoscrizione,
• la dichiarazione o l'elezione del domicilio.

La partecipazione dell'ente al processo penale è solo eventuale; in caso di mancata costituzione è


prevista un'apposita dichiarazione di contumacia.

PERSONA OFFESA DAL REATO

Par. 30 – La persona offesa dal reato


Con il nuovo codice, alla persona offesa dal reato è attribuita una maggiore incisività nella
fase delle indagini preliminari (al contrario della parte civile, che è legittimata alla
costituzione solo dopo l'esercizio dell'azione penale).
La persona offesa dal reato altro non è che il titolare dell’interesse protetto dalla norma
penale che si assume violata, in breve, la vittima del reato, cui non è attribuita la qualità di
parte, bensì quella di soggetto: ciò, tuttavia, non sminuisce l’importanza del suo ruolo. Infatti,
questa pur non essendo titolare di un’autonoma pretesa giuridica – poiché la pretesa punitiva
fa capo esclusivamente al pubblico ministero – è comunque portatrice di un interesse alla
punizione del colpevole(autore dell’offesa) ed è per questo che il legislatore gli attribuisce
una serie di diritti e facoltà (che si badi bene sono distinti da quelli che potrebbero essere
attribuiti allo stesso soggetto nella sua ulteriore ed eventuale qualità di soggetto danneggiato
dal reato: infatti, mentre il danneggiato per poter esercitare in sede penale diritti e facoltà
riconosciutegli dalla legge, deve necessariamente costituirsi parte civile, la vittima del reato
può provvedervi anche prima che il processo abbia inizio e cioè anche nella fase delle
indagini preliminari, senza però mai costituirsi come parte).
Lo status di persona offesa si è dilatato con recenti interventi legislativi sospinti anche dalle
fonti europee come ad esempio la direttiva 2012/29/UE = norme minime in materia di diritti,
assistenza e protezione delle vittime di reato x scongiurare fenomeno della vittimizzazione
secondaria.

Intervento legislatore italiano:


1. D.l. 93/2013  x il contrasto alla violenza di genere
2. D.lgs. 24/2014  x prevenzione e repressione della tratta di esseri umani + protezione
delle vittime. Introdotto art. 398.5-ter che consente di ricorrere all’incidente probatorio
protetto quando tra i soggetti interessati all’assunzione della prova figuri una persona
offesa che versi in condizioni di particolare vulnerabilità.
3. D.lgs. 9/2015  282-quater.1-bis riguardo facoltà di chiedere emissione di un ordine di
protezione europeo x estendere misure disposte x la sua tutela al territorio di un altro SM
nel quale la persona offesa risieda / voglia trasferirsi.
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4. D.lgs. 212/2015  norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle
vittime di reato. Introduzione art.90-quater (vedi dopo).
5. L. 122/2016  indennizzo da parte dello stato alle vittime di reato intenzionale violento, anche
se commesso in uno SM diverso da quello in cui risieda abitualmente x rifusione delle
spese mediche e assistenziali. Presupposti: 1. Reddito annuo non superiore a quello
previsto per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato; 2. Infruttuoso esperimento
dell’azione esecutivo vs l’autore del reato, salvo il caso in cui giudice penale l’abbia
dichiarato ignoto.

I diritti e le facoltà della persona offesa


L'art. 90 dispone che l'offeso dal reato è legittimato, in generale, a presentare memorie e, ad
esclusione del giudizio di cassazione, ad indicare elementi di prova.
La persona offesa è legittimata a presentare, durante tutto il procedimento, memorie, cioè
elaborati scritti di vario contenuto, con i quali avanzi istanze, illustri questioni o tocchi
temi rilevanti per il processo in corso.
Le memorie possono essere indirizzate al pubblico ministero (quando si vuole prospettare
una diversa ricostruzione del fatto criminoso o per sollecitare la richiesta di una misura
cautelare) o al giudice procedente. Non corrisponde un dovere a deliberare sulle memorie.
Art. 90 comma 3 se la persona offesa è deceduta a conseguenza del reato, le facoltà e i diritti
previsti dalla legge sono esercitati dai prossimi congiunti, individuati in base all'art. 307 co 4
c.p. (ascendenti, discendenti, coniuge, fratelli, sorelle, affini, zii, nipoti, la parte di unione
civile, ma anche persone che oltre ad essere legate ad una relazione affettiva convivano
stabilmente col medesimo).
Se invece la morte non è collegata al reato di cui è stata vittima la persona offesa, l'ingresso
dei prossimi congiunti è ammesso a patto che siano eredi del defunto e si costituiscano
parte civile (art. 74).
La persona offesa minore, interdetta o inabilitata esercita le sue facoltà e diritti secondo le
disposizioni di esercizio del diritto di querela ex art. 120 e 121 c.p.: i minori infra quattordicenni e
gli interdetti per infermità di mente devono essere rappresentati dai genitori e dal tutore, mentre la
legittimazione ad esercitare i diritti e le facoltà riconosciuti alla persona offesa spettano sia al
diretto interessato che ai genitori, al tutore e al curatore. È autorizzata la nomina di un curatore
speciale.

Art. 101 la persona offesa è autorizzata (non obbligata) a nominare un difensore, che deve ritenersi
legittimato a svolgere anche investigazioni difensive.

Art. 90-bis. Informazioni alla persona offesa

Diritto della persona offesa ad essere informata su una pluralità di profili della vicenda processuale che la
riguarda.
Parallelo con art.369-bis che prevede comunicazione a vantaggio dell’indagato di una serie di info sul
diritto di difesa.

Art. 90-ter. Comunicazioni dell'evasione e della scarcerazione

Per informare la persona offesa che l’imputato / condannato / internato non è più in vinculis.
3 condizioni:
1. Processo riguarda delitto commesso con violenza alla persona
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2. Che la persona offesa abbia fatto richiesta di essere informata
3. Che non vi sia pericolo concreto x autore del reato

Info elencate da art.90-bis + segnalazione art.90-ter = SE OMESSE non implicano nullità ma semplice
irregolarità.

Gli enti e le associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato


L'art. 91 prevede che gli enti e le associazioni con finalità di tutela degli interessi lesi da
reato possano esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti
alla persona offesa dal reato.
Se l'ente collettivo risulta direttamente danneggiato dal reato potrà costituirsi parte civile, altrimenti
potrà partecipare al processo in veste di accusatore privato al fianco della persona offesa disposta
ad accettare il suo intervento (art. 92), senza che questo comporti alcun trasferimento di poteri
dall'accusatore principale all'ente.
L'ente può presentare memorie ed indicare elementi di prova.

L'informazione di garanzia si invia però solo alla persona offesa, e non all'ente collettivo.
Al solo ente collettivo spetta la facoltà di assumere le iniziative ex art. 505 e richiedere la
lettura integrale degli atti nel fascicolo per il dibattimento.

Per la legittimazione dell'ente collettivo è necessario che :


a) non abbia scopo di lucro;
b) gli siano state riconosciute in forza di legge finalità di tutela degli interessi lesi dal reato;
c) il riconoscimento sia avvenuto prima della commissione del fatto per cui si procede.

È sempre necessario il costante consenso della persona offesa, da prestare con atto pubblico o
scrittura privata autenticata, ed è ammessa la revoca in qualsiasi momento dell'iter processuale.
Dopo l'eventuale revoca è assolutamente escluso che la persona offesa possa essere fiancheggiata
da un ente ex art. 91. Il consenso è unico, se sono più non sono efficaci.

Art. 93 è indispensabile che il difensore dell'ente collettivo, munito di procura speciale, presenti
all'autorità procedente un atto di intervento, da notificare alle parti quando la presentazione non
avvenga in udienza, che deve contenere, a pena di inammissibilità:
- individuazione dell'ente, la sede, la finalità di tutela, le generalità del legale rappresentante;
- indicazione del procedimento;
- nome e cognome del difensore e indicazione della procura;
- esposizione sommaria delle ragioni che giustificano l'intervento;
- sottoscrizione del difensore.

È necessario che venga presentata la dichiarazione di consenso della persona offesa e la procura al
difensore qualora questa sia stata conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
L'intervento produce i suoi effetti in ogni stato e grado del procedimento, salvo il caso di
successiva estromissione dell'ente collettivo.

Art. 94 c.p.p. l'intervento non può avvenire dopo la conclusione della fase del dibattimento dedicata
alla verifica della regolare costituzione delle parti, ma l'intervento dell'ente collettivo si può
collocare nella fase delle indagini preliminari.
51
L'ente collettivo può essere estromesso dal giudice con ordinanza in seguito ad un'opposizione di
parte o ex officio, quando si riscontri un motivo di inammissibilità o un vizio attinente alla
capacità processuale del soggetto intervenuto.
Art. 95 c.p.p. L'opponente, entro 3 giorni dalla data di notificazione, deve a sua volta far
notificare la dichiarazione scritta di opposizione al rappresentante legale dell'ente collettivo, in
modo da consentirgli di presentare, entro 5 giorni dalla notifica, le sue controdeduzioni.
Se l'intervento è avvenuto prima dell'esercizio dell'azione penale, la decisione è di
competenza del giudice per le indagini preliminari, mentre è competente il giudice
dell'udienza preliminare rispetto agli interventi verificatisi in udienza preliminare e il
giudice del dibattimento per gli interventi in dibattimento, fermo restando, per la
dichiarazione di opposizione, l'osservanza dei termini a pena di decadenza: in udienza
preliminare bisogna proporla prima che sia aperta la discussione; con l'udienza
dibattimentale subito dopo l'accertamento della costituzione delle parti.
Il giudice dispone l'estromissione ex officio quando accerta, in ogni stato e grado del processo, la
mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per l'intervento dell'ente collettivo. Nel corso delle
indagini preliminari l'estromissione dell'ente collettivo deve necessariamente essere collegata ad
un'opposizione di parte.

IL QUERELANTE

Par. 33 – Il querelante
Per alcuni reati, espressamente previsti dal legislatore, è previsto che l'esercizio dell'azione penale
da parte del pubblico ministero sia subordinato ad un'esplicita volontà della persona offesa o dai
soggetti agli art. 120 e 121 c.p., tenuti ad esprimerla nella forma della querela.
In questi casi la querela è una condizione di procedibilità.
La querela di regola deve essere presentata entro 3 mesi (6 in caso di delitti di violenza sessuale e
di atti sessuali con minori) dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato (art. 124 c.p.);
tuttavia se è necessaria la nomina di un curatore speciale, tenuto a valutare l'opportunità di
presentare querela, il termine decorre dal giorno in cui gli è notificato il decreto di nomina.
Il legittimato a sporgere querela non deve avervi rinunciato, né espressamente né
tacitamente.
La rinuncia opera nei confronti di tutti gli autori del reato.
Il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da
una sola delle persone offese (art. 122 c.p.) e nel caso di concorso di persone nel reato, la querela
contro una di esse si estende di diritto agli altri concorrenti (art. 123 c.p.) -> indivisibilità della
querela (attiva e passiva).
Il diritto di querela si estingue in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia
ancora esercitato, mentre se l'aveva esercitato la morte è irrilevante ai fini dell'estinzione del
reato.

In caso di REMISSIONE DELLA QUERELA si ha estinzione del reato, sempre che il querelato
non l'abbia espressamente o tacitamente ricusata (art. 155), e fermo restando che, se la querela è
proposta da più persone, affinché si produca l'effetto estintivo è necessaria la rimessione di tutti i
querelanti; se tra più persone offese dal reato solo una ha proposto querela, la sua remissione non
pregiudica il diritto di querela degli altri soggetti legittimati, è una revoca da effettuare prima che
sia divenuta irrevocabile la sentenza di condanna.
La rimessione può essere espressa (solo se extraprocessuale) o tacita (fatti incompatibili con
la volontà di persistere con la querela); non può essere sottoposta a termini o a condizioni,
pur essendo consentita al remittente la contestuale rinuncia al diritto alle restituzioni o al
risarcimento del danno e, in caso di concorso di persone nel reato, si estende a tutti i
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concorrenti fatta eccezione per chi l’abbia ricusato.
Nei reati per i quali è prevista la citazione diretta davanti al tribunale in composizione
monocratica la remissione può conseguire al tentativo di conciliazione tra il querelato e la persona
offesa esperito con successo dal giudice in sede di udienza di comparizione.
Dal 2017 è possibile ricollegare l’estinzione del reato alla messa in atto di condotte riparatorie,
circoscritta ai casi di procedibilità su querela e della quale sia ammessa la remissione.

IL DIFENSORE

Il difensore di fiducia dell’imputato


La difesa tecnica costituisce conseguenza logica dell'inviolabilità del diritto di difesa ex art. 24
Cost. Nonostante l’imputato possa intervenire e partecipare al processo, esercitando i diritti e le
facoltà espressamente attribuitegli dalla legge, è categoricamente esclusa la possibilità di una sua
esclusiva autodifesa.
L'art. 96 riconosce all'imputato il diritto di nominare non più di due difensori di fiducia.
Art. 24 disp. att. si ritiene senza effetto l'investitura di ulteriori difensori finché non sia stata
revocata la nomina di quelli precedenti che risultino in eccedenza.

Sono possibili tre modalità di nomina:


A) dichiarazione orale resa dall'interessato all'autorità procedente;
B) dichiarazione scritta consegnata all'autorità procedente dal difensore;
C) documento di nomina trasmesso all'autorità procedente con raccomandata, senza che sia
necessaria l'autenticazione o la certificazione da parte del difensore dell'autografia della
sottoscrizione.
→Non sono ipotesi tassative. Atto a forma libera.
In base all'art. 391-nonies la nomina del difensore può essere fatta in via preventiva, per
l'eventualità che si instauri un procedimento penale. In questo caso il mandato difensivo, da
rilasciare con sottoscrizione autenticata, deve contenere l'indicazione del difensore e quella dei fatti
ai quali si riferisce.

□ Il praticante avvocato può patrocinare davanti al giudice di pace e al tribunale in composizione


monocratica, nei soli processi con oggetto i reati ex art. 550 per i quali si procede con citazione
diretta a giudizio.
□ L'avvocato può svolgere il ruolo di difensore nei processi davanti ad ogni giudice penale, ad
eccezione della cassazione; l'avvocato iscritto allo speciale albo può difendere anche davanti
alla corte di cassazione.
La mancanza dei requisiti professionali per assistere e rappresentare l'imputato nel processo a suo
carico è un vizio equiparabile alla mancanza del difensore.

La prestazione del difensore di fiducia è l'oggetto di un contratto, è quindi


indispensabile l'accettazione, anche solo implicita, del nominato.
Art. 26 disp. att. l'imputato può orientare liberamente la sua scelta, senza limite dato
dall'appartenenza etnica o linguistica del difensore.
La nomina produce i suoi effetti, salvo che intervengano cause risolutive del rapporto
contrattuale, per tutto il processo di cognizione, ed è prevista una proroga automatica
dell'investitura per il processo di cognizione in caso di concessione di misura extracarceraria
Art. 96 comma 3 c.p.p. non si parla di libera scelta del difensore in relazione all'imputato sottoposto
alla restrizione della sua libertà personale. La legge legittima i prossimi congiunti della persona
arrestata, fermata o sottoposta a custodia cautelare in carcere ad attivarsi in vece sua .
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Gli è consentito nominare un difensore di fiducia che cessa di operare quando l'interessato
manifesti una diversa volontà di nomina.
Art. 25 disp. att. agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria, a tutti i dipendenti
dell'amministrazione penitenziaria è vietato dare consigli sulla scelta del difensore di
fiducia.

Il difensore d’ufficio

Art. 111 Cost.: il contraddittorio tra le parti deve svolgersi in condizioni di parità; la persona
accusata deve disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa.

Art. 97 c.p.p. se l'imputato non nomina un difensore di fiducia o ne resti privo deve essere assistito
da un difensore d'ufficio.
Il difensore d'ufficio è sussidiario al difensore di fiducia: cessa le sue funzioni non appena
l'imputato proceda alla nomina. Il difensore d'ufficio, a differenza di quello di fiducia, ha l'obbligo
di prestare il patrocinio salvo che in presenza di giustificato motivo.
L'art. 29 disp. att. stabilisce i requisiti necessari per poter essere iscritti nell'elenco alfabetico
dei difensori d'ufficio, predisposto da ogni consiglio dell'ordine forense , tenuto ad
aggiornarlo almeno ogni 3 mesi:

o aver conseguito un'attestazione di idoneità rilasciata dall'ordine forense di appartenenza


(in seguito a frequenza di appositi corsi di aggiornamento professionale),
o in alternativa, dimostrare, con adeguata documentazione, di aver esercitato la
professione nel settore penale per almeno 5 anni consecutivi.
Presso l'ordine forense del capoluogo di ogni corte d'appello è istituito un ufficio che, mediante
linee telefoniche dedicate, fornisce, sulla base di selezione automatica, il nominativo di un difensore
d'ufficio ogni volta pervenga la richiesta da parte dell'autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria.
I consigli dell'ordine forense stabiliscono i criteri per la nomina degli iscritti in base
alle competenze specifiche, alla prossimità della sede del procedimento e della
reperibilità.
È consentito non far ricorso alla procedura informatizzata nel caso in cui la
materia oggetto della notitia criminis riguardi competenze specifiche, ma non
seguono indicazioni su come procedere alla nomina.

Nel caso in cui si debba compiere un atto per il quale è richiesta la presenza del difensore e
questo non sia stato reperito o non sia comparso o abbia abbandonato la difesa, l'iniziativa è
assunta dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, che procedono con l'attivazione
della procedura informatizzata.
Nei casi di urgenza è consentita la designazione di un difensore, discrezionalmente
individuato dall'organo procedente, che sia immediatamente reperibile, fermo restando
l'obbligo della preventiva adozione di un provvedimento motivato che indichi le ragioni
dell'urgenza. Tale provvedimento non è impugnabile, ma se manca o è insufficiente la
motivazione l'atto compiuto senza l'assistenza del difensore nominato secondo legge è nullo.
Se il difensore, ritualmente nominato, non è reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa,
al giudice è consentito nominare come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile.
Se la necessità di nominare il sostituto si verifica nel corso del giudizio, la reperibilità è
secondaria: può esser nominato sostituto solo un difensore che risulti iscritto nell'elenco dei
difensori d'ufficio del competente consiglio dell'ordine.

Ex art. 369-bis, la persona sottoposta alle indagini è tempestivamente informata del fatto che non
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le è consentito fare a meno del difensore e dell'OBBLIGO DI RETRIBUZIONE del difensore
d'ufficio qualora non sussistano le condizioni per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato.
L'art. 116 d.p.r. 115/2002 statuisce che il difensore d'ufficio si deve far carico della
procedura esecutiva per il recupero del credito professionale nei confronti dell'assistito
inadempiente, fermo restando che in questo usufruisce dell'esenzione da bolli, imposte e
spese; qualora sia in grado di dimostrare che la procedura esecutiva sia risultata infruttuosa,
il difensore viene retribuito dallo Stato nella misura e secondo le modalità del d.p.r.; a meno
che l'assistito non chieda ed ottenga l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, questo
surroga il difensore nel suo credito verso il soggetto assistito.

L'art. 117 d.p.r. prevede che nel caso in cui l'assistenza sia prestata a favore di un soggetto
irreperibile, il difensore venga retribuito senza che sia necessaria una sua preventiva
attivazione per il recupero del credito professionale.

Patrocinio dei non abbienti e poteri del difensore

Art. 24 comma 3 Cost. “lo stato assicura ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti
ad ogni Giurisdizione”.

La disciplina generale del patrocinio dei non abbienti è contenuta nel t.u. delle
disposizioni legislative e regolamentari sulle spese di giustizia d.p.r. 115/2002.
Il soggetto ammesso al patrocinio dello stato sceglie il proprio difensore tra i liberi professionisti,
ed il compenso viene poi liquidato dall'autorità giudiziaria ed è a carico dello Stato.
L'art. 81 d.p.r. 115/2002 contempla l'istituzione presso ogni consiglio dell'ordine di un elenco di
avvocati idonei ad essere nominati difensori di colui che è ammesso al patrocinio a spese dello
Stato. Sull'inserimento nell'elenco, rinnovato entro il 31 gennaio di ogni anno, delibera il
consiglio dell'ordine, che valuta alcuni requisiti, tra cui:
• necessaria un'esperienza professionale specifica, dovendo distinguersi tra processi civili, penali,
amministrativi, contabili, tributari ed affari di volontaria giurisdizione;
• sufficiente l'iscrizione all'albo degli avvocati da almeno 2 anni.

È possibile anche nominare un difensore di un altro distretto, ed in questo caso non sono dovute le
spese e le indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale.
L'elenco con i nominativi degli avvocati al patrocinio a spese dello Stato è messo a
disposizione degli utenti presso tutti gli uffici giudiziari situati nel territorio della provincia.
La soglia di reddito annuale, imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito delle
persone fisiche, che consente di usufruire del patrocinio a spese dello Stato è di € 11. 493,82.
La persona offesa dai reati di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza
sessuale di gruppo può usufruire del patrocinio statale anche se il suo reddito è superiore
alla soglia fissata dal legislatore.
In base all'art. 96 d.p.r. 115/2002 l'istanza di ammissione al patrocinio è respinta quando il tenore di
vita, le condizioni personali e familiari del richiedente, le attività economiche che svolge, offrano al
giudice fondati motivi per ritenere, anche in base alle verifiche della guardia di finanza, che il
reddito superi il tetto stabilito dalla legge.

Nei casi in cui si proceda per i reati all'art. 51 comma 3-bis (associazione di tipo mafioso; sequestro
di persona a scopo estorsivo; delitti commessi avvalendosi di associazioni di tipo mafioso o al fine
di agevolare l'attività delle associazioni di stampo mafioso; delitto di associazione finalizzata al
traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope; delitto di associazione per delinquere finalizzata al
contrabbando di tabacchi lavorati esteri; delitto di attività organizzate per il traffico illecito di
55
rifiuti) ovvero nei confronti di persona sottoposta a misura di prevenzione, il giudice non ha
discrezionalità e deve chiedere preventivamente al questore, alla direzione investigativa antimafia e
alla direzione nazionale antimafia le informazioni necessarie e utili ai fini della decisione
sull'ammissibilità al beneficio.

L'art. 76 d.p.r. (comma 4bis aggiunto nel 2008) ha stabilito che nel caso il soggetto già condannato
con sentenza definitiva per certi delitti, il livello di reddito richiesto ai fini dell'ammissione al
patrocinio si ritiene superato: associazione a delinquere di stampo mafioso (e delitti collegati),
associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o al contrabbando di
tabacchi lavorati esteri. → È una preclusione assoluta, non importa neanche a quando risale nel
tempo tale condanna.

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la disposizione ammettendo la


prova contraria.

Rientra nel patrocinio gratuito a spese dello stato anche l'assistenza relativa alle procedure che si
svolgono davanti agli organi giurisdizionali internazionali, davanti alla Corte europea dei diritti
dell'uomo.
L'art. 101 d.p.r. 115/2002 stabilisce che il difensore del soggetto ammesso al patrocinio può
nominare sia un sostituto sia un investigatore privato autorizzato.
L'art. 102 d.p.r. stabilisce che il soggetto ammesso al patrocinio possa nominare un consulente
tecnico di parte. Tale scelta è consentita anche al di fuori dell'ambito distrettuale, ed in questo caso
non sono dovute le spese di trasferta.
Art. 106 d.p.r. esclude dalla liquidazione le spese per le consulenze tecniche che, all'atto del
conferimento, apparivano irrilevanti o superflue ai fini della prova.

L'ammissione al patrocinio non è più ostacolata dalla natura contravvenzionale del reato per cui si
procede. Nelle ipotesi in cui l'imputato o il condannato partecipino al procedimento penale a
distanza, è ammessa la nomina di un secondo difensore limitatamente agli atti che si compiono a
distanza. In tutti gli altri casi la nomina di un secondo difensore implica che gli effetti
dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato cessino.

Art. 99 c.p.p. al difensore spettano le facoltà e i diritti spettanti all'imputato stesso , a meno che non
siano riservati personalmente all'imputato. È salva la possibilità per l'imputato di togliere effetto,
con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore, purché prima della pronuncia
del giudice sull'atto controverso.

Il difensore delle parti eventuali, della persona offesa e degli enti rappresentativi.

Art. 100 c.p.p. la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena
pecuniaria stanno in giudizio col ministero di un solo difensore munito di procura speciale, cioè
relativa al processo in corso, che si presume conferita per un determinato grado di giudizio a meno
che nell'atto sia espressa diversa volontà.
La procura può essere ammessa in calce o a margine degli atti con i quali avviene
l'ingresso della parte nel processo penale, l'autografia della sottoscrizione è certificata dal
difensore. Può essere conferita anche con atto pubblico o scrittura privata autenticata
(anche dal difensore).
Il difensore può compiere e ricevere tutti gli atti del procedimento tranne quelli che la legge riserva
espressamente al rappresentato, il cui domicilio si intende automaticamente eletto ad ogni effetto
presso il difensore.
56
In assenza di una procura ad hoc, il difensore non può compiere atti implicanti disposizione
del diritto in contesa.
Questa disciplina opera anche nei confronti degli enti rappresentativi degli interessi lesi
dal reato, obbligati a stare in giudizio col ministero di un difensore.

Per la persona offesa dal reato la nomina di un solo difensore è invece facoltativa.
Al difensore spetta l'esercizio dei diritti e delle facoltà riconosciute alla persona offesa, e il potere
di presentare memorie e richieste in ogni stato e grado (art. 121 e 367).

Il sostituto del difensore

L'art. 102 c.p.p. → legittima il difensore a nominare un sostituto.


La designazione deve essere portata a conoscenza dell'autorità procedente con le modalità per la
nomina del difensore dell'imputato: spetta al difensore nominare il sostituto (ad eccezione dei casi
ex art. 97 co 4, dove cioè, nei casi di urgenza e con decreto motivato, provvede il giudice, o nei
casi in cui provvede il pm o la polizia giudiziaria).
Rileva solo la volontà del difensore, non è più richiesto un caso di impedimento.
La sostituzione non incide sulla titolarità dell'incarico difensivo, tuttavia il difensore sussidiario
esercita i diritti ed assume i doveri del difensore impedito. Questa traslazione non vale per le
situazioni soggettive processuali aventi come fonte una procura speciale conferita dalla parte al
difensore sostituito.
Le garanzie di libertà del difensore
L'art. 103 c.p.p. prevede che le ispezioni e le perquisizioni negli uffici dei difensori siano
consentiti in due sole ipotesi:
• quando il difensore o altre persone che svolgono stabilmente la loro attività nel suo ufficio sono
imputati o indagati, fermo restando che tali atti devono essere esclusivamente finalizzati
all'accertamento del reato attribuito a tali soggetti:
• quando si tratta, a prescindere da chi sia l'imputato, di rilevare tracce o altri effetti materiali del
reato ovvero di ricercare cose o persone specificamente predeterminate.

Presso i difensori, gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento,


i consulenti tecnici, le carte e i documenti relativi all'oggetto della difesa sono sottoponibili a
sequestro solo quando costituiscano corpo del reato.

L'autorità giudiziaria deve comunicare, a pena di nullità, al locale consiglio dell'ordine l'avviso
delle ispezioni e delle perquisizioni, in modo da consentire al presidente o ad un suo delegato di
presenziare alle operazioni; su richiesta dell'intervenuto deve essergli consegnata copia del
provvedimento.
Il giudice, durante le indagini preliminari, o il pubblico ministero, devono agire in prima
persona, senza possibilità di delegare l'atto alla polizia giudiziaria.

La CORRISPONDENZA tra l'imputato, anche se detenuto, e il proprio difensore, non è


sottoponibile a sequestro e ad ogni altra forma di controllo, sempre che la corrispondenza sia
riconoscibile grazie a indicazioni precise e l'autorità giudiziaria non abbia fondato motivo di
ritenere che si tratti di corpo del reato.
È vietata l'intercettazione, in ogni forma, delle conversazioni (dialoghi) e delle comunicazioni
57
che difensori, investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento,
consulenti tecnici e loro ausiliari effettuino tra di loro o con i loro assistiti.
Non è preclusa la captazione delle conversazioni integranti un reato.
→ In caso di inosservanza di queste disposizioni i risultati delle operazioni
compiute non possono essere utilizzati, neanche le intercettazioni illegittime
possono essere trascritte neppure sommariamente.

Le garanzie dell'art. 103 si estendono agli assistenti sociali iscritti all'albo professionale e, in
quanto applicabili, ai dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze e a coloro che
operano presso gli enti, centri e associazioni o gruppi che hanno stipulato convenzioni con le unità
sanitarie locali.
Il colloquio del difensore con l’imputato privato della libertà personale.

Art. 104. Colloqui del difensore con l'imputato in custodia cautelare.


1. L'imputato in stato di custodia cautelare ha diritto di conferire con il difensore fin
dall'inizio dell'esecuzione della misura.
2. La persona arrestata in flagranza o fermata a norma dell'articolo 384 ha diritto di conferire con il
difensore subito dopo l'arresto o il fermo.
3. Nel corso delle indagini preliminari, quando sussistono specifiche ed eccezionali ragioni di cautela,
il giudice su richiesta del pubblico ministero può, con decreto motivato, dilazionare, per un tempo
non superiore a cinque giorni, l'esercizio del diritto di conferire con il difensore.
4. Nell'ipotesi di arresto o di fermo, il potere previsto dal comma 3 è esercitato dal pubblico
ministero fino al momento in cui l'arrestato o il fermato è posto a disposizione del giudice.
4-bis. L'imputato in stato di custodia cautelare, l'arrestato e il fermato, che non conoscono
la lingua italiana, hanno diritto all'assistenza gratuita di un interprete per conferire con il
difensore a norma dei commi precedenti. Per la nomina dell'interprete si applicano le
disposizioni del titolo IV del libro II. A seguito direttiva UE2010

L'art. 104 prevede che il soggetto sottoposto a custodia cautelare o la persona in stato di fermo o di
arresto, ha il diritto di conferire con il difensore subito dopo che è stato privato della libertà
personale. Di conseguenza il difensore, di fiducia o d'ufficio, deve essere immediatamente avvisato
dell'avvenuta esecuzione della misura restrittiva, e gli è attribuito il diritto di accedere ai luoghi in
cui la persona è fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare si trova detenuta.
In presenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, è consentito dilazionare il
colloquio con il difensore per un tempo non superiore a 5 giorni. A seguito della riforma
del 2017 (orlando) tale eccezione opera solo nella fase delle indagini preliminari e per
quei delitti elencati dall’art 51 comma 3bis e 3quater (in contrasto con la direttiva UE che
ammette il ritardo solo per lontananza geografica)
Nel caso in cui la privazione della libertà sia l'effetto di un'ordinanza cautelare, la
decisione sull'eventuale differimento del colloquio spetta al giudice per le indagini
preliminari che deve provvedere con decreto motivato, inoppugnabile, su richiesta del
pubblico ministero; nel caso in cui la privazione della libertà consegua ad una misura pre-
cautelare (es. arresto in flagranza) provvede direttamente il pubblico ministero che può
dilazionare il colloquio fino al momento in cui l'arrestato o il fermato è posto a
disposizione del giudice.
Dopo tale periodo (che può estendersi massimo 48 ore) non vi sono ostacoli per l'esercizio
del diritto al colloquio, salvo che intervenga una proroga (massimo 5 giorni, tenendo conto
della durata del divieto imposto al pm) da parte del giudice per le indagini preliminari. In
caso di difetto o insufficienza di motivazione si ha nullità (intermedia) suscettibile di
estendersi agli atti successivi.
58
L’abbandono della difesa e il rifiuto della difesa d’ufficio.
L'art. 105 c.p.p. disciplina l'ABBANDONO DELLA DIFESA, sia d'ufficio che di fiducia, e il
rifiuto all'incarico difensivo da parte del difensore d'ufficio. Il procedimento disciplinare è di
competenza esclusiva del consiglio dell'ordine forense ed è escluso che il procedimento penale in
cui è avvenuto l'abbandono o il rifiuto possa essere pregiudiziale rispetto al procedimento
disciplinare.
□ Nel caso di abbandono o rifiuto motivati dalla violazione dei diritti di difesa, il consiglio
dell'ordine, quando ritenga giustificato il comportamento del difensore, non applica la sanzione
disciplinare neanche in presenza di una sentenza irrevocabile che escluda la violazione.
L'autorità giudiziaria si limita svolgere ruoli di informativa, è tenuta a comunicare al
consiglio professionale i casi di abbandono e di rifiuto della difesa d'ufficio, i
comportamenti integranti violazione da parte dei difensori dei doveri di lealtà e probità, sia
la violazione del divieto di assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni
accusatorie nei confronti di altro imputato.
□ Nel caso di abbandono della difesa da parte del difensore di fiducia dell'imputato si determina una
stasi processuale fino a quando non si nomina un nuovo difensore di fiducia ovvero alla nomina di
un difensore d'ufficio. Si ha nomina d'ufficio anche tutte le volte in cui si abbia rifiuto della difesa
d'ufficio.
□ In caso di abbandono della difesa delle altre parti private, della persona offesa e degli enti o
associazioni all'art. 91, non viene ostacolata l'immediata prosecuzione del procedimento, ma tali
soggetti, se non provvedono ad una nuova nomina, perdono la possibilità di essere attivi nel
processo.

Incompatibilità, non accettazione, rinuncia e revoca del difensore.


L'art. 106 c.p.p. ammette che un difensore assista una pluralità di imputati, a condizione che le
diverse posizioni degli assistiti non siano tra loro incompatibili. Condizione indispensabile è
l'inconciliabilità (non la semplice diversità) delle posizioni degli imputati.
È possibile la spontanea rimozione dell'incompatibilità quando l'imputato revochi la nomina
del difensore o questo rinunci alla difesa.
Nel caso in cui questo non avvenga interviene il giudice, o durante le indagini preliminari
il pubblico ministero, che fissa un termine per la rimozione del difensore da parte dei
diretti interessati, indicata la situazione di incompatibilità ed esposti i motivi che la
fondano.
In caso di mancata attivazione degli interessati, il giudice emette ordinanza con cui
dichiara l'incompatibilità e, sentite le parti interessate, procede alle necessarie
designazioni dei difensori d'ufficio.

□L'art. 106 comma 4-bis preclude la difesa da parte dello stesso difensore di più imputati che, pur
trovandosi in posizioni processuali dalle quali non scaturisce un conflitto d'interessi, abbiano reso
dichiarazioni accusatorie nei confronti di un altro soggetto, imputato nello stesso procedimento
o in un procedimento connesso o collegato.
Una sentenza delle Sezioni unite della cassazione ha statuito che l'inosservanza di tale norma non è
causa di nullità né di inutilizzabilità delle dichiarazioni, ma è necessaria una verifica particolare
sulla loro attendibilità.

L'art. 107 c.p.p. si riferisce al DIFENSORE DI FIDUCIA: nella revoca il soggetto agente è
l'assistito, la non accettazione e la rinuncia sono iniziative del difensore, che non necessitano di
motivazione.
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Il difensore che non accetti l'incarico o vi rinunci ha l'obbligo di darne subito
comunicazione all'autorità procedente e a chi la ha nominato.
La non accettazione ha effetto dal momento in cui perviene la relativa comunicazione
all'autorità procedente, con l'eventualità di possibili vuoti di copertura difensiva.
La rinuncia e la revoca sono invece prive di effetto fino a quando la parte non risulti
assistita da un nuovo difensore. Il nuovo difensore può richiedere un termine a difesa, in
questo caso diventano efficaci solo a partire dalla sua scadenza.
Art. 108 c.p.p.il difensore ha diritto ad un termine che, di regola, non può essere inferiore a 7 giorni.
Il termine può essere inferiore, fermo restando il limite invalicabile di 24 ore, solo se:
a) c'è il consenso dell'imputato o del suo difensore;
b) vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione
dell'imputato;
c) ricorrono specifiche esigenze processuali che possono determinare la prescrizione del reato.

GLI AUSILIARI

Gli ausiliari del giudice e del pubblico ministero.


Oltre ai soggetti visti troviamo gli AUSILIARI, cioè coloro che affiancano il giudice o il
pubblico ministero svolgendo vari compiti, strumentali rispetto alla funzione della figura cui
ineriscono.
Come ausiliare si intende il coadiutore istituzionale, cioè colui la cui presenza è continua
ed ordinaria: il cancelliere, il segretario, l'ufficiale giudiziario e il direttore degli istituti
penitenziari.

□ Il CANCELLIERE assiste a tutti gli atti posti in essere dal giudice, salvo la legge preveda
altrimenti (art. 126); documenta, redige il processo verbale (art. 135); autentica gli atti; custodisce
le cose sequestrate, rilascia copie, notifica l'atto di impugnazione.

□ Presso l'ufficio del pubblico ministero c'è la SEGRETERIA, che opera come ausiliario analogo al
cancelliere: ha funzioni di assistenza, redige il verbale e le annotazioni degli atti posti in essere
dal magistrato inquirente, autentica controfirmandoli i suoi atti, provvede alla custodia delle cose
sequestrate, comunica gli atti del pubblico ministero e riceve quelli a lui destinati.

□ L'UFFICIALE GIUDIZIARIO cura principalmente l'esecuzione delle notificazioni, ha quindi


attività ausiliaria sia rispetto al giudice che al pubblico ministero. Redige la relazione di
notificazione, documentando l'attività svolta con riferimento all'atto da notificare. Ha compiti
funzionali al corretto svolgimento dell'udienza, in particolare impedisce che i testimoni da
esaminare comunichino con quelli già esaminati o con estranei, vigila che non assistano al
dibattimento.

Il DIRETTORE DELL'UFFICIO PENITENZIARIO opera come ausiliario sia del giudice che del pubblico
ministero: riceve ed inoltra immediatamente, dopo averli iscritti nell'apposito registro, l'atto di
impugnazione e gli altri atti contenenti dichiarazioni e richieste destinate all'autorità giudiziaria che gli
vengano presentati dal soggetto detenuto o internato.

60
CAPITOLO 2 –ATTI
Disposizioni Generali
L'atto giuridico si distingue dal fatto giuridico (con l'attitudine a produrre effetti giuridici) a causa
di una componente psichica minima: la volontarietà.
Anche per i comportamenti omissivi è talvolta prescritta la volontarietà dell'omissione, in
tal caso vanno trattati come veri e propri atti giuridici.
I comportamenti umani si distinguono in dichiarazioni (di volontà o di scienza) e operazioni
(esperimenti giudiziari e ispezioni).
Il legislatore spesso utilizza il termine “atto” per indicare il risultato dell'attività.
L'atto processuale penale si definisce sul piano soggettivo in quanto è posto in essere da soggetti
del procedimento (anche i soggetti privati realizzano atti processuali).
Sono a tutti gli effetti atti processuali penali quelli relativi al procedimento di esecuzione
ed al procedimento di sorveglianza.
□ La fase delle indagini preliminari è quella che precede l'esercizio dell'azione penale e compone
la sequenza degli atti del procedimento, mentre ciò che segue fa parte del processo (dall'udienza
preliminare alla sentenza definitiva).
Nella fase delle indagini preliminari manca un giudice investito del procedimento vero e proprio in
quanto l'intervento del giudice per le indagini preliminari è meramente eventuale, ed è circoscritto
al provvedimento richiesto.
□ Durante il processo opera invece un giudice investito della pienezza delle proprie
funzioni giurisdizionali ed abilitato a pronunciare sentenze.

→ Con l'espressione “atti del procedimento” si intendono sia gli atti anteriori all'esercizio \
dell'azione penale che quelli ad essa successivi.
Gli atti posti in essere prima che la notizia di reato sia venuta ad esistenza non possono mai
costituire atti del procedimento, anche quando siano stati compiuti da persone che, come ad
esempio gli incaricati di funzioni di polizia giudiziaria, siano suscettibili di assumere la
qualità di soggetti del procedimento.
Il primo atto del procedimento coincide con quello immediatamente successivo alla
ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del pubblico ministero
istituito presso il tribunale.
Gli atti nei quali la notizia si sostanzia (denuncia, referto, querela, istanza o
richiesta) sono al di fuori della sequenza del procedimento penale.

La notizia di reato appresa di iniziativa propria dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero
non trova mai consacrazione originaria in un atto tipico, ma è sempre frutto di un giudizio operato
dall'organo procedente circa l'attitudine indiziante di informazioni comunque conosciute.
61
Se la notizia è stata acquisita dal pubblico ministero, scattando l'obbligo di
iscriverla nell'apposito registro, da tale iscrizione ha inizio il procedimento.
Se invece la notizia di reato viene formata dalla polizia giudiziaria, è escluso che la
successiva informativa al pubblico ministero valga allo scopo.
In mancanza di un atto tipico, il primo atto del procedimento sarà quello cronologicamente
anteriore tra gli atti compiuti dopo l'acquisizione della notizia di reato.
L'atto finale del procedimento si individua in vari modi:
a. nelle indagini preliminari sarà il provvedimento di archiviazione, benché si debba
considerare l'eventualità di una riapertura delle indagini;
b. se l'azione penale è esercitata, il momento finale del processo sarà l'esecutività della sentenza di
non luogo a procedere e l'irrevocabilità nelle sentenze pronunciate in giudizio e del decreto
penale di condanna (nonostante siano passibili di revoca).

La lingua degli atti


L'art. 109 c.p.p. prevede che, di regola, gli atti del procedimento siano compiuti in lingua
italiana; non sono però previste sanzioni amministrative per chi, pur sapendo esprimersi in
italiano, usi un'altra lingua.
Il comma 2 eleva altre lingue al rango di lingue del procedimento, accanto ed alla pari
di quella italiana, assicurando al cittadino appartenente ad una minoranza linguistica
riconosciuta il diritto di impiegare nei rapporti con l'autorità giudiziaria la propria
madrelingua, a prescindere dalla sua conoscenza della lingua italiana.
Questo vale sia per l'imputato e le altre parti private che per i testimoni, i periti, i consulenti
tecnici e coloro che vengono in contatto con il procedimento penale.

L'uso di una lingua diversa è subordinata ad alcuni requisiti:


a. sia una lingua cui una legge, anche regionale, riconosca la qualità di lingua minoritaria;
b. tale tutela è circoscritta ai soli procedimenti che si svolgano davanti ad un'autorità avente
competenza di primo o secondo grado sul territorio dove, anche in parte, sia insediata la
minoranza linguistica;
c. onere del soggetto alloglotto di richiedere sempre l'uso della lingua minoritaria, in forma scritta
o orale, opzione sempre revocabile.

Il cittadino italiano ha diritto ad essere interrogato od esaminato nella lingua materna.


Il verbale è redatto, oltre che in italiano, anche nella lingua minoritaria.
Al cittadino alloglotto spetta la traduzione di tutti gli atti del procedimento a lui indirizzati.
Sono salvi i diritti stabiliti da convenzioni internazionali o da leggi speciali, gli standard
codicistici possono essere travalicati da norme più garantiste.

L'inosservanza di tali regole comporta:


a) inosservanza del comma 1 una nullità relativa;
b) in caso di violazione del comma 2 se il vizio riguarda una parte privata si ha l'inosservanza di
una disposizione attinente al suo intervento, quindi l'assorbimento della tutela linguistica in
quella del diritto di difesa comporta, di regola, una nullità a regime intermedio, ma può
verificarsi anche una nullità assoluta quando si tratti di citazione dell'imputato.

L'art. 26 disp. att. fa salvo in ogni caso il diritto dell'imputato e delle altre parti private di
nominare il proprio difensore a prescindere dall'appartenenza etnica o linguistica; al comma 2
prevede che l'autorità giudiziaria, nell'indicare il difensore d'ufficio o designare il sostituto, deve
62
tener conto dell'appartenenza etnica o linguistica dell'imputato.
Analogamente, l'art. 119 c.p.p. prevede che tutte le volte in cui un sordo, un muto o un sordomuto
voglia o debba fare dichiarazioni, sono previste particolari modalità di comunicazione che si
avvalgono della parola o dello scritto.
In tali casi, anche indipendentemente dalla circostanza che la persona in discorso non sappia
leggere o scrivere, l'autorità procedente provvede a nominargli uno o più interpreti scelti di
preferenza fra le persone abituate a trattare con lui.

La sottoscrizione e la data
■ L'art. 110 c.p.p. prevede le regole relative alla SOTTOSCRIZIONE degli atti, e non dei
documenti. È interdetto l'impiego di mezzi meccanici o di segni diversi dalla scrittura , equiparati
ad una mancata sottoscrizione (comma 2).
Il raggiungimento della finalità alla quale è preordinata la sottoscrizione rimane conseguibile in
altro modo quando chi deve firmare non sia in grado di scrivere, ad esempio perché analfabeta,
ovvero permanentemente o temporaneamente impedito.
Per alcuni atti dei soggetti privati il codice prevede che siano muniti di un'attestazione relativa
all'autenticità della firma.
L'art. 39 disp. att. prevede che sono abilitati ad autenticare la sottoscrizione di atti il
funzionario di cancelleria, il notaio, il difensore, il sindaco, un funzionario delegato
dal sindaco, il segretario comunale, il giudice di pace, il presidente del consiglio
dell'ordine forense o un consigliere da lui delegato.
La sottoscrizione illeggibile non produce nullità quando la provenienza dell'atto sia ricavabile
in altro modo (es. apposizione di un timbro o intestazione del supporto cartaceo).

■ L'art. 111 c.p.p. prevede che quando sia richiesta la DATA di un atto, sia indicato anche il luogo di
formazione dell'atto, e di regola è sufficiente che sia indicato il giorno, il mese e l'anno; talvolta è
richiesta anche l'indicazione dell'ora.
La mancata indicazione della data, quando sia prescritta a pena di nullità, comporta l'invalidità solo
nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza sulla base di elementi tratti dall'atto stesso o
da atti a questo connessi.

Se la documentazione di un atto, per qualsiasi causa, è stata distrutta, smarrita o sottratta, o non è
possibile recuperarla, ma sia necessario fare uso di tale atto, il codice prevede alcuni rimedi:
• art. 112 c.p.p. prevede la surrogazione all'originale di una copia autentica; la competenza
funzionale spetta al presidente della corte o del tribunale, che provvedono, anche d'ufficio,
all'emissione di un decreto che ordina al soggetto che detiene una copia di consegnarla in
cancelleria; sarà compito di tale ufficio attestare sulla copia autentica la particolare efficacia in
tal modo attribuitale (art. 40 disp. att.);
• art. 113 c.p.p., quando non sia possibile procedere con la surrogazione, prevede come extrema
ratio la ricostituzione: previo un giudizio di necessità e di possibilità, è disposta con ordinanza
(inoppugnabile ma non irrevocabile) che ne prescrive le modalità (non le forme, che sono
predeterminate dalla legge); spetta al giudice, se del caso, indicare gli altri atti che devono essere
rinnovati, perché presupposto di validità dell'atto mancante: la rinnovazione della sentenza resa al
termine del dibattimento di primo grado implica lo svolgimento di un nuovo giudizio. Giudice
della rinnovazione è il giudice davanti al quale pende il procedimento o il giudice dell'esecuzione.

Il divieto di pubblicazione
Art. 114 - Divieto di pubblicazione di atti e di immagini
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1. E' vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro
mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto.
2. E' vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non
siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.
3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del
fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli
del fascicolo del pubblico ministero , se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello.
E' sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni.
4. E' vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei
casi previsti dall'articolo 472 commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il
divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto
di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi
di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è
autorizzata dal ministro di grazia e giustizia.
5. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di
pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon
costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto
nell'interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti
private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del comma 4.
6. E' vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone
offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la
pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione
dei suddetti minorenni (1). Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il
minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione.
6-bis. E' vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa
mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione
fisica, salvo che la persona vi consenta.
7. E' sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.

Il legislatore ha concepito due tipi di DIVIETO DI PUBBLICAZIONE con il mezzo della


stampa o con altro mezzo di diffusione, che si distinguono in ragione del loro oggetto:
a) divieto di “pubblicazione di atti”, intesa come la riproduzione totale o parziale dell'atto,
ossia dell'atto quale risulta dalla documentazione procedimentale;
b) divieto di pubblicazione di quanto l'atto esprime dal punto di vista concettuale, sicché rileva
la pubblicazione fatta anche solo in modo riassuntivo o meramente informativo.

L'art. 114 comma 1 correla la disciplina del divieto di pubblicazione con gli atti coperti dal
segreto d'ufficio: è un divieto assoluto, investe sia la riproduzione pubblica dell'atto, parziale o
totale, sia il contenuto dell'atto. Il divieto di pubblicazione opera per tutta la durata delle
indagini preliminari, finché restano ignoti i potenziali autori del reato, cadrà solo con la chiusura
della fase.
Tale divieto non investe le indagini difensive. Nel momento in cui è individuata la
persona sottoposta alle indagini, il divieto si modella in funzione del regime di
conoscenza di ogni singolo atto.
Il divieto di pubblicazione viene meno con:
a. il deposito degli atti ai quali avrebbero avuto diritto di assistere i difensori,
b. nel caso di richiesta di archiviazione seguita dalla fissazione dell'udienza in camera di consiglio,
c. nel caso in cui il pubblico ministero intenda richiedere il rinvio a giudizio.

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■ Esistono tuttavia atti, come l'informazione di garanzia, che sorgono senza divieto assoluto di
pubblicazione (ex art. 114 comma 1).
Il divieto di pubblicazione subisce una variazione per effetto dei decreti motivati del
pubblico ministero relativi alla desegretazione, ovvero alla segretazione di singoli atti,
nonché all'imposizione di un autonomo divieto di pubblicazione con riguardo ad atti o notizie
non più coperti da segreto.
La tutela della riservatezza della persona sottoposta a tali atti non assumeva rilievo. A seguito
della prassi di diffondere informazioni (captate attraverso le intercettazioni) del tutto estranee alla
vicenda processuale specie se relative a dati sensibili e a seguito dell’emanazione da parte del Csm
di linee guida che imponevano al pm il compito di espungere dal materiale probatorio le
intercettazioni non rilevanti, il legislatore del 2017 si è mosso su un duplice versante. Da un lato
introduce il comma 1-ter all’art 291 che impone al pm di inserire nella richiesta di ordinanza
cautelare soltanto i “brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate”, divieto che
vale anche per il giudice nella riproduzione e nella successiva trascrizione dell’ordinanza.
Dall’altro deroga, modificando il comma 2 dell’art 114, il divieto di pubblicazione dell’ordinanza
cautelare.

Gli atti delle indagini preliminari che non sono stati mai coperti dal segreto o per i quali questo
è caduto, non sono o non divengono per questo pubblicabili.

■ L'art. 114 comma 2 prevede che, se non si procede a dibattimento, cada il divieto di pubblicazione:
- o tramite la conclusione delle indagini preliminari
- o con il termine dell'udienza preliminare.

■ L'art. 114 comma 3 prevede invece che se si procede a dibattimento, è necessario distinguere tre
categorie di atti:

o gli atti che alla fine del dibattimento risultavano inseriti nel fascicolo per il dibattimento,
senza che ne fosse stata data lettura in udienza, sono ora pubblicabili sin dalla relativa
formazione (art. 431);
o se però l'atto viene trasferito dal fascicolo per il dibattimento a quello del pubblico ministero,
essendosi accolta la relativa questione preliminare ex art. 491, il divieto di pubblicazione si
ripristina automaticamente, e lo stesso nel caso in cui l'atto sia poi letto in una porzione di
dibattimento tenuto a porte chiuse;
o gli atti che, terminato il dibattimento, risultano collocati nel fascicolo del pubblico
ministero sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado; sono
tuttavia immediatamente pubblicabili gli atti già posti in questo fascicolo, in quanto siano
stati utilizzati per le contestazioni.

Il legislatore ha escluso che possa derivare un effettivo pregiudizio dalla pubblicazione di


meri riassunti o di informazioni.
Per gli atti compiuti in sede di udienza dibattimentale la regola è la libera pubblicazione dell'atto;
eccezioni sono introdotte solo per il dibattimento tenuto a porte chiuse nei casi previsti dall'art.
472, relativamente alla riproduzione pubblica dell'atto.

■ I commi 4 e 5 dell'art. 114 introducono due divieti di pubblicazione di un atto o di una sua parte,
disposti dal giudice sentite le parti per evitare offese al buon costume e diffusione di notizie
segrete per l’interesse dello Stato e per la privacy delle parti private:

65
o divieto di pubblicazione degli atti già utilizzati per le contestazioni, quando sia scattato il
divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento, essendosi questo svolto a porte chiuse;
o divieto di riproduzione pubblica, anche parziale, degli atti non segreti dei procedimenti
speciali privi della fase dibattimentale, che sarebbero risultati di per sé pubblicabili con
la chiusura delle indagini preliminari o al termine dell'udienza preliminare.

■ Il comma 6-bis prevede il divieto di pubblicazione dell'immagine di chi si trovi sottoposto a


restrizione della libertà personale, qualunque ne sia la causa, qualora sia ripresa mentre si trova
sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica: il divieto copre
la ripresa dell'immagine della persona in stato di arresti domiciliari o di colui il quale è tenuto
saldamene da due agenti di polizia penitenziaria mentre è condotto all'udienza di convalida
dell'arresto.
Tale norma è idonea a sopportare l'evoluzione normativa vedi braccialetti
elettronici.
Il divieto cade se è la stessa persona a prestare il consenso alla ripresa.
Art. 42-bis ord. pen. prevede che il soggetto tradotto sia protetto dalla curiosità del
pubblico e da ogni specie di pubblicità.
Il comma 6 prevede il divieto di pubblicazione di dati che potrebbero causare pregiudizio alla
personalità del minore, consentendone l'identificazione. Il divieto è riferito solo alla
pubblicazione delle generalità o dell'immagine del minore che assuma la qualità di testimone,
persona offesa o danneggiato.

Art. 115- Violazione del divieto di pubblicazione.


1. Salve le sanzioni previste dalla legge penale, la violazione del divieto di pubblicazione previsto
dagli articoli 114 e 329 comma 3 lettera b) costituisce illecito disciplinare quando il fatto è
commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una
professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.
2. Di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone indicate nel comma 1 il
pubblico ministero informa l'organo titolare del potere disciplinare.

L'art. 115 c.p.p. prevede un apposito titolo di RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE a carico


degli impiegati dello Stato o di altri enti pubblici, ovvero degli esercenti una professione per la
quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato (sono inclusi i giornalisti professionisti e i
pubblicisti, gli operatori di giustizia) che violino il divieto di pubblicazione.
Di regola la sanzione disciplinare concorre con quella penale, salve le ipotesi in cui la
sanzione disciplinare ha carattere esclusivo, data l'irrilevanza penale dei divieti di
pubblicazione conseguenti ad un ordine di segretazione impartito dal pubblico ministero o
dal giudice.
L'art. 684 c.p. pone una riserva assoluta di legge, rendendo tali divieti un limite ad
un diritto costituzionalmente tutelato, come la libertà di manifestazione del pensiero
sotto forma di cronaca giudiziaria.

La circolazione di copie e di informazioni

Art. 116 - Copie, estratti e certificati.


1. Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il
rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti.
2. Sulla richiesta provvede il pubblico ministero o il giudice che procede al momento della
presentazione della domanda ovvero, dopo la definizione del procedimento, il presidente del
collegio o il giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione o la sentenza.
66
3. Il rilascio non fa venire meno il divieto di pubblicazione stabilito dall'articolo 114.
3-bis. Quando il difensore, anche a mezzo di sostituti, presenta all'autorità giudiziaria atti o
documenti, ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito, anche in calce ad una
copia.

L'art. 116 c.p.p. dispone che chiunque vi abbia interesse può ottenere, a proprie spese, il rilascio di
copie, estratti o certificati di singoli atti, compresi quelli incorporati su supporti non cartacei.
Tale rilascio non può essere ottenuto quando si tratti di atti ancora coperti dal segreto sulle indagini
o divenuti oggetto di un decreto di segretazione (art. 329).
È possibile anche che il divieto di pubblicazione sia sganciato da un sottostante segreto,
tuttavia per giurisprudenza consolidata il diniego dell'autorizzazione non è impugnabile,
in quanto atto amministrativo ampiamente discrezionale.
L'art. 43 disp. att. esplicita che non è dovuta nessuna autorizzazione nei casi in cui è
riconosciuto espressamente al richiedente il diritto al rilascio di copie, estratti o certificati di
atti. Questo vale nei confronti delle sentenze emanate in nome del popolo, di persone o
uffici coinvolti nel procedimento ma anche delle parti private e dei loro difensori.
Ai sensi dell'art. 116 comma 3-bis il difensore che presenti all'autorità giudiziaria atti o
documenti ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito. Riguarda tutti gli atti di
impulso processuale, non solo la presentazione di elementi di prova da acquisire al procedimento.

Gli art. 117 e 118 hanno natura speciale rispetto all'art. 116, agevolando l'attività di investigazione e
l'attività di prevenzione dei reati.
Nell'attività investigativa la trasmissione di informazioni svolge un compito essenziale.

■ Ai sensi dell'art. 117 c.p.p. l'organo legittimato a presentare la richiesta di copie di atti relativi ad
altri procedimenti è unicamente il pubblico ministero che procede, escludendo gli organi delegati;
sono esclusi anche i difensori delle parti, che possono giovarsi solo dell'art. 116.
Oggetto della richiesta sono sia le copie degli atti di un procedimento che le
informazioni scritte sul loro contenuto.

■ Ai sensi dell'art. 118 c.p.p. il Ministro dell'interno può accedere alle fonti informative, anche se gli
è consentito di avvalersi, con apposita delega, di un ufficiale di polizia o del personale delle
Direzione investigativa antimafia per formulare materialmente la richiesta.
Analogo potere è previsto all'art. 118-bis al presidente del Consiglio dei ministri, che
può avvalersi del direttore generale del Dipartimento delle informazioni di sicurezza.
Per determinare l'OGGETTO e lo SCOPO della richiesta bisogna distinguere:

o nell'art. 117 la richiesta del pubblico ministero deve essere finalizzata al compimento delle
proprie indagini, circoscrivendone l'ambito temporale. L'art. 371 delimita la portata
dell'art.117: la circolazione di copie ed informazioni troverà spazio quando manchino i
presupposti del coordinamento informativo ed investigativo, ovvero vi sia dissenso tra gli
uffici del pubblico ministero sulla gestione delle indagini, a meno che si tratti di procedimenti
per reati di criminalità organizzata o quando le indagini non risultino collegate, nonostante
l'ampiezza dei parametri fissati dal legislatore, o quando l'altro procedimento non si trovi più
nella fase delle indagini preliminari.
o Nell'art. 118 invece la richiesta del Ministro dell'interno è indirizzata all'adempimento di un
fine istituzionale dell'esecutivo, la prevenzione dei reati, limitatamente ai soli delitti che
impongono l'adozione dell'arresto obbligatorio in flagranza. Ai fini di prevenzione, l'autorità
giudiziaria può autorizzare il Ministro dell'interno, anche tramite un ufficiale di polizia
67
giudiziaria o il personale della Direzione investigativa antimafia, ad accedere direttamente al
registro delle notizie di reato, anche se tenuto in forma automatizzata.
o Nell'art. 118-bis la richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del presidente del
Consiglio dei ministri è tesa a ricevere notizie indispensabili per lo svolgimento delle
attività connesse alle esigenze del Sistema di informazione per la sicurezza della
Repubblica.

Verificata senza ritardo la propria competenza e quella dell'organo da cui proviene la richiesta
motivata, l'autorità può rigettarla o accoglierla.
La rigetterà, oltre che per ragioni di ordine rituale, per la riconosciuta esigenza di preservare
il segreto ex art. 329; il rigetto deve essere obbligatoriamente motivato, ma non è comunque
sanzionato dalla legge processuale.
È possibile rinnovare la richiesta.

Nell'art. 117 è previsto che la trasmissione vale solo per il compimento delle indagini da parte del
pubblico ministero, è quindi escluso ogni impiego in chiave probatoria.
L'art. 117 comma2-bis e l'art. 118-bis comma 3 conferiscono al procuratore nazionale
antimafia e ai funzionari delegati del direttore generale del Dipartimento delle informazioni
per la sicurezza il potere, nell'ambito delle rispettive funzioni, di accedere al registro delle
notizie di reato tenuto presso la procura della Repubblica e, relativamente al procuratore
nazionale antimafia, anche alle banche dati istituite presso le direzioni distrettuali antimafia
realizzando collegamenti reciproci.
L'accesso del procuratore nazionale antimafia ai registri individua non solo
fattispecie di coordinamento non attuate, ma anche l'esistenza stessa di procedimenti
ex art. 51 comma 3-bis.

68
Memorie, richieste e dichiarazioni delle parti

Art. 121 - Memorie e richieste delle parti.


1. In ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice
memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria.
2. Sulle richieste ritualmente formulate il giudice provvede senza ritardo e comunque, salve
specifiche disposizioni di legge, entro quindici giorni.

L'art. 121 prevede che le parti e i loro difensori, nonché i consulenti tecnici, usufruiscono del potere
di presentare memorie o richieste scritte al giudice in ogni stato e grado del procedimento, anche
al giudice delle indagini preliminari durante la relativa fase, tramite deposito nella relativa
cancelleria. Sono escluse dalla norma la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa, ma gli
art. 61 e 90 le includono comunque.
L'art. 367 prevede che i difensori abbiano la facoltà di presentare al pubblico ministero
durante le indagini preliminari memorie e richieste scritte.
→Non c'è invece un obbligo generale di comunicare le richieste e le memorie alle altre parti.
L'art. 121 comma 2, riguardo alle sole richieste, impone al giudice di provvedere entro massimo 15
giorni; alcune disposizioni speciali stabiliscono termini più brevi.
L'obbligo scatta solo in dipendenza di una richiesta ritualmente formulata.

Art. 122 - Procura speciale per determinati atti.


L'art. 122 disciplina la PROCURA SPECIALE, diversificando i ruoli tra difensore e procuratore
speciale. La procura deve essere rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata dai
soggetti abilitati all'autentica della sottoscrizione, tra cui il difensore il quale ha espressamente il
potere di autenticare in ordine alla sottoscrizione della procura speciale.
La procura deve essere specifica e non generica, deve contenere la determinazione dell'oggetto per
cui è stata conferita e dei fatti a cui si riferisce.

Art. 123 - Dichiarazioni e richieste di persone detenute o internate.


L'art. 123 dispone che l'imputato detenuto o internato abbia facoltà di presentare impugnazioni,
dichiarazioni o richieste con atto ricevuto dal direttore dell'istituto. Queste, dopo l'iscrizione
nell'apposito registro, sono comunicate all'autorità competente immediatamente, ed hanno
efficacia come se fossero ricevute direttamente dall'autorità giudiziaria.
L'imputato custodito fuori dall'istituto ha la stessa facoltà: l'atto è ricevuto da un ufficiale della
polizia giudiziaria, che ne cura l'immediata trasmissione all'autorità competente.
L'efficacia è la stessa di quella dell'atto ricevuto direttamente dall'autorità giudiziaria.
L'art. 44 disp. att. prevede che le impugnazioni, le richieste e le altre dichiarazioni sono
comunicate nel giorno stesso o al più tardi in quello successivo all'autorità giudiziaria competente
con estratto, copia autentica o raccomandata, ma in casi di speciale urgenza ci si può avvalere di
strumenti più veloci come il telegramma confermato da raccomandata o di altri mezzi tecnici
idonei, sempre confermati da raccomandata.

69
La garanzia della legalità

Art. 120 - Testimoni ad atti del procedimento.


1. Non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento:
a) i minori degli anni quattordici e le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di
manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope. La capacità si
presume sino a prova contraria;
b) le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione.

L'art. 120 disciplina l'intervento del testimone ad atti del procedimento, tendendo ad assicurare la
regolare effettuazione dell'atto e a precostituire una fonte di prova personale distinta ed aggiuntiva
rispetto al relativo verbale.
Sono oggetto di prova anche i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali ed
il testimone è collocato ad atti del procedimento tra coloro che sottoscrivono il verbale.
L'art. 120 enuncia tassativamente le CAUSE DI INCAPACITÀ, distinguendole tra naturali e
giuridiche; non possono intervenire come testimoni:
a. i minori di anni 14, le persone palesemente affette da infermità mentale o in stato di manifesta
ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope;
b. le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione.

Tale norma è richiamata dall'attività di assistenza ex art. 245 in tema di ispezione personale,
dall'art. 249 in tema di perquisizione personale, dall'art. 250 in tema di perquisizione locale, senza
che a priori possa distinguersi se giovino all'imputato, alle altre parti private o a soggetti diversi.
Se l'imputato o le altre parti private non sono state avvisate della facoltà loro accordata o ne
è stato precluso l'esercizio, si verifica una nullità a regime intermedio, se invece le stesse
ipotesi riguardano un altro soggetto, si ha una mera irregolarità.

Art. 124 - Obbligo di osservanza delle norme processuali.


1. I magistrati, i cancellieri e gli altri ausiliari del giudice, gli ufficiali giudiziari, gli ufficiali e gli
agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a osservare le norme di questo codice anche quando
l'inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale.
2. I dirigenti degli uffici vigilano sull'osservanza delle norme anche ai fini della
responsabilità disciplinare.

L'art. 124 dispone che, indipendentemente dalla comminatoria di forme sanzionatorie


endoprocessuali, le norme del codice devono essere osservate dai magistrati, dai cancellieri e dagli
altri organi ausiliari del giudice, compresa la polizia giudiziaria.

Gli atti del Giudice

Le forme dei provvedimenti


70
Il codice contrappone:
a) gli atti compiuti nel procedimento, inteso come fase delle indagini preliminari, questi
sarebbero caratterizzati da forme libere, senza una previsione analitica su come procedere,
prevale il raggiungimento dello scopo-
L'amorfismo degli atti delle indagini preliminari è un'affermazione di facciata: viene in
gioco la tutela di valori costituzionali come la libertà personale o la libertà domiciliare, la
cui compressione è sempre subordinata dalla Costituzione all'osservanza dei casi e modi
legislativamente predeterminati; l'esigenza di assicurare la libertà morale della persona
sottoposta alle indagini e di predisporre moduli idonei all'esercizio della difesa tecnica.
Gli atti delle indagini preliminari sono impiegati a fini decisori sia nel dibattimento,
a seguito di lettura, sia nei giudizi speciali che amputano la fase di lettura; ne deriva
un'irrigidimento delle forme.
b) gli atti posti in essere nel processo, avrebbero forme vincolate o tassative, in quanto non
ammettono equivalenti.

Nel codice predominano atti a forma vincolata, pur non essendoci una disciplina unitaria della
forma. Solo per gli atti posti in essere dal giudice si ha un struttura tipica, in quanto compiuti da un
organo dello Stato nell'esercizio di un potere.
L'art. 125 prevede tre modelli:
■ SENTENZA
Le sentenze sono caratterizzate dall'idoneità a chiudere uno stato o un grado del procedimento, in
quanto contengono una decisione sulla regiudicanda; sono pronunciate in nome del popolo italiano.
Possono essere:
o SENTENZE DI CONDANNA, considerate uno degli esiti tipici del dibattimento, ma anche al
termine del giudizio abbreviato; vale come sentenza di condanna il decreto penale, mentre la
sentenza che si applica su richiesta delle parti è equiparabile ad una sentenza di condanna ex art.
445 comma 1-bis;

o le SENTENZE DI PROSCIOGLIMENTO, sono una categoria ampia, includono:


 le sentenze di assoluzione pronunciate alla fine del dibattimento con le formule: il fatto
non sussiste, l'imputato non l'ha commesso, il fatto non costituisce reato o non è previsto
dalla legge come reato, il reato è stato commesso da persona non imputabile o non
punibile per un'altra ragione (art. 530).
Le sentenze di assoluzione quando diventano irrevocabili acquistano l'autorità di cosa
giudicata, godendo di efficacia nel giudizio civile e amministrativo di danno (art. 652)
e nel giudizio per responsabilità disciplinare (art. 653).
Si ha sentenza di assoluzione anche a seguito di giudizio abbreviato, ma dalla loro
irrevocabilità non discende l'efficacia nel giudizio di danno, a meno che la parte
civile abbia accettato il rito abbreviato.
 Altre sentenze di proscioglimento: sentenze di non luogo a procedere pronunciate
al termine dell'udienza preliminare. Quando non sono più soggette ad impugnazione
acquistano forza esecutiva, ma non godono dell'irrevocabilità.
 Residuano le sentenze di non doversi procedere, emesse negli altri stati e gradi del
procedimento: le sentenze predibattimentali pronunciate con le formule per cui l'azione
penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero il reato è estinto
(art. 469); le sentenze dibattimentali fondate sulle stesse formule, nonché quelle
pronunciate al termine del giudizio abbreviato (art. 442).
Vi rientrano anche le sentenze che riconoscono non doversi procedere per l'esistenza di
71
un segreto di Stato ovvero d una violazione del divieto di ne bis in idem. Essendo
sentenze meramente processuali, non implicano un approfondimento di merito: pur
divenendo irrevocabili sono sempre prive di efficacia in sede extra penale.

o SENTENZE DICHIARATIVE, verificano l'esistenza di determinate fattispecie, hanno natura


processuale ma sfornite della portata liberatoria propria delle sentenze di non luogo a
procedere e di proscioglimento; es. sentenze di annullamento, sentenze che pronunciano sulla
giurisdizione e sulla competenza (non sono impugnabili e, se pronunciate dalla Corte di
cassazione, godono di particolare efficacia ex art. 25);

o SENTENZE COSTITUTIVE, creative di effetti giuridici; es. sentenze emesse dal tribunale
per i minorenni che concedono il perdono giudiziale, le sentenze di riabilitazione, le
sentenze che riconoscono efficacia alle sentenze penali straniere.

o le SENTENZE DI MERITO risolvono la questione relativa al dovere di punire,


comprendono le sentenze di condanna e di assoluzione, nonché le sentenze che dichiarano
l'estinzione del reato;
o le SENTENZE PROCESSUALI sciolgono meri nodi processuali, come le sentenze di
annullamento, sentenze sulla competenza, sentenze che dichiarano l'improcedibilità
dell'azione.
o Sentenze di proscioglimento per particolare tenuità del fatto: collocazione particolare.
Introdotte nel 2015. È una causa di NON punibilità avente natura soggettiva che produce una
sorta di depenalizzazione in concreto.

Subordinate all’avveramento di 4 condizioni sostanziali ex art.131-bis c.p.:


. Accertamento che l’imputato ha posto in essere un fatto storico rientrante in una fattispecie
incriminatrice.
. Pena, se detentiva, non deve superare nel massimi di 5 anni
. per la particolare tenuità contano le modalità della condotta, l’esiguità del danno / del pericolo.
. Comportamento non deve assumere carattere abituale.
È idonea a divenire irrevocabile se pronunciata a seguito di giudizio e gode di efficacia extra penale
ma solo se pronunciata all’esito del dibattimento / giudizio abbreviato. Non se alla fine della fase
predibattimentale. Una volta iscritta nel casellario giudiziale va eliminata dopo 10 anni.
Accertando un fatto storico questo è un procedimento pienamente cognitivo lontano dal
procedimento applicativo della pena su richiesta delle parti.

■ ORDINANZA
Le ordinanze servono a governare l'andamento del processo, pur essendocene alcune in grado di
concluderlo (es. ordinanza che dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione).
Di regola le ordinanze sono revocabili; talvolta è impugnabile per espressa deroga legislativa.

■ DECRETO.
I decreti esprimono un comando dell'autorità procedente, assumendo natura prevalentemente
amministrativa. Sono assoggettati al regime della revoca, compreso il decreto penale di condanna,
assimilabile per requisiti ed effetti alle sentenze.

72
Di regola, ha forma di ordinanza il provvedimento emesso a seguito dell'instaurazione del
contraddittorio tra le parti. Caso tipico è l'archiviazione: accolta la relativa richiesta, l'atto è un
decreto motivato; qualora invece l'archiviazione venga pronunciata dopo il procedimento in camera
di consiglio, il corrispondente provvedimento è un'ordinanza.
L'atto che il giudice dispone a seguito dell'udienza preliminare assume la forma del decreto per
evitare l'esistenza di un apparato giustificativo che pregiudichi la posizione dell'imputato in
dibattimento.
Art. 125 - Forme dei provvedimenti del giudice.
1. La legge stabilisce i casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza,
dell'ordinanza o del decreto.
2. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano.
3. Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di nullità. I decreti sono motivati, a pena di
nullità, nei casi in cui la motivazione è espressamente prescritta dalla legge.
4. Il giudice delibera in camera di consiglio senza la presenza dell'ausiliario designato ad assisterlo
e delle parti. La deliberazione è segreta.
5. Nel caso di provvedimenti collegiali, se lo richiede un componente del collegio che non ha espresso
voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l'indicazione del
dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso e dei motivi dello
stesso, succintamente esposti. Il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del
collegio e sottoscritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente in plico sigillato
presso la cancelleria dell'ufficio.
6. Tutti gli altri provvedimenti sono adottati senza l'osservanza di particolari formalità e, quando
non è stabilito altrimenti, anche oralmente.

Art. 125 c.p.p. i decreti non necessitano, se non è diversamente disposto, di motivazione.
È comminata la nullità per la mancanza di motivazione nelle sentenze, nelle ordinanze e,
ove prescritta, nei decreti, per dare piena attuazione all'art. 111 comma 6 Cost.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la motivazione per relationem (quella in cui si riporti al
contenuto di un altro atto) non è nulla tutte le volte in cui il secondo atto sia conosciuto o
facilmente conoscibile dalla parte, ad esempio per effetto del deposito in cancelleria; in questo
modo, tramite l'esame dell'altro atto, è data alla parte la facoltà di controllare l'adeguatezza e la
congruità del ragionamento giustificativo del giudice. La giurisprudenza ammette l'uso di
moduli prestampati purché siano adeguatamente completati tramite le argomentazioni che
specifichino le ragioni concrete della decisione adottata.
Vi sono anche dei provvedimenti adottati senza formalità ed esternabili anche oralmente, ad
esempio i provvedimenti emessi dal presidente del collegio.

L'art. 125 si occupa anche della DELIBERAZIONE IN CAMERA DI CONSIGLIO, caratterizzata


per l'immediatezza rispetto alla chiusura della trattazione, per l'immutabilità dei giudici rispetto
alla trattazione e per la continuità delle operazioni.
Dalla fase deliberativa è escluso, per espresso divieto, oltre alle parti, l'ausiliario che di
regola assiste il giudice in tutti gli atti ai quali procede, in conformità alla regola all'art.
126.

□ Il comma 4 prevede il segreto sulla deliberazione, penalmente tutelato dagli art. 326 e 685.
□ Al comma 5 prevede un'eccezione: in caso di provvedimenti collegiali, e purché lo richieda un
componente del collegio che non abbia espresso voto conforme alla decisione, è compilato verbale
sommario contenente l'indicazione del dissenziente ed i motivi del dissenso, succintamente esposti.
Il verbale, redatto dal meno anziano tra i componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti gli
altri, viene conservato, a cura del presidente, in plico sigillato presso la cancelleria dell'ufficio,
servirà a chi ha dissentito, liberandolo da ogni eventuale responsabilità, se i componenti del
73
collegio saranno chiamati a rispondere del loro operato in sede civile.

Il procedimento in camera di consiglio
L’art. 127 del codice di rito delinea un modello valido per tutti i procedimenti che si
svolgono in camera di consiglio (c.d. riti camerali) così adempiendo ad una duplice
funzione:
da un lato realizza un apprezzabile economia normativa, dispensando dal compito di
predisporre per ogni singola ipotesi di procedimento in camera di consiglio le relative
forme;
dall’altro assicura il contraddittorio tra le parti e più in generale, il diritto di difesa dei
soggetti interessati.
Quanto alle modalità di realizzazione del contraddittorio, una garanzia più intensa (cd
modello forte) vale nell’area dei procedimenti in cui è imposta la partecipazione
necessaria del difensore della persona sottoposta alle indagini, dell’imputato o
dell’interessato, nonché del pubblico ministero.
Si faccia riferimento: (a) udienza per l’espletamento di incidente probatorio; (b) udienza
preliminare; (c) udienza di proscioglimento predibattimentale; (d) udienza di convalida
dell’arresto o del fermo.
Mentre vi sono delle ipotesi in cui non essendo richiesta la partecipazione necessaria di tali
soggetti, il contraddittorio è assicurato in forma meramente cartolare.
Il procedimento ex art. 127 non deve sempre essere adottato quando il giudice assume una
deliberazione in camera di consiglio. L'art. 127 distingue tra:
a) forme da seguire quando si procede in camera di consiglio
b) l'adozione di un provvedimento senza le formalità di procedura in ordine
all'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento.
L'attuazione del contraddittorio è scandita dall'obbligo, a pena di nullità, di dare avviso alle parti
private, al pm, alle altre persone interessate ed ai difensori; l'avviso deve essere notificato (o
comunicato al pm) almeno 10 giorni prima della data fissata per l'udienza (comma 1); e
dall'obbligo di provvedere a nominare un difensore d'ufficio all'imputato che ne sia privo.
È possibile presentare memorie in cancelleria fino a 5 giorni prima dell'udienza (comma 2).
Il procedimento si svolge nell'udienza; non è ammessa in aula la presenza del pubblico (comma
6). La Corte costituzionale ha stabilito che il verbale può essere redatto sia in forma integrale che
in forma riassuntiva ex art. 134 comma 2.
Compiuti gli atti introduttivi e accertata la regolare costituzione delle parti, nei procedimenti
davanti ad organi collegiale la relazione orale è svolta da uno dei componenti del collegio,
previa designazione del presidente (art. 45 disp. att.).
Il pubblico ministro, gli altri destinatari dell'avviso ed i difensori sono sentiti, a pena di
nullità, se compaiono; non è quindi prescritta la partecipazione necessaria del pubblico
ministero e del difensore della persona sottoposta alle indagini, dell'imputato e
dell'interessato.
L'interessato detenuto o internato in luogo situato fuori dalla circoscrizione del
giudice procedente, se ne fa richiesta, deve, sempre a pena di nullità, essere sentito
prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui è
ristretto.
Nel caso in cui l'imputato o il condannato abbia richiesto di essere sentito
personalmente e non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha
sede il giudice, la sentenza costituzionale 98/1982 ha previsto che il giudice, se
sussista un legittimo impedimento, deve disporre, a pena di nullità, il rinvio
dell'udienza.

74
La giurisprudenza precisa che anche nei procedimenti in camera di consiglio la violazione del
principio di immutabilità del giudice nel corso della trattazione o nella deliberazione è causa
di nullità assoluta, perché investe la capacità del giudice.
L'art. 127 disciplina la forma del provvedimento finale (in genere un'ordinanza), la sua
comunicazione al pubblico ministero e la correlativa notificazione alle parti private, alle persone
interessate ed ai difensori, la ricorribilità per cassazione, nonché l'esclusione dell'effetto sospensivo.
È impregiudicato il potere del giudice di disporre diversamente con decreto motivato.
L'art. 127 comma 9 prende in considerazione i provvedimenti deliberati in camera di
consiglio conseguenti all'inammissibilità dell'atto introduttivo, le cui cause sono
individuate dall'art. 591.
I provvedimenti emessi a seguito di procedimento in camera di consiglio entrano a far parte
dell'ordinamento tramite il deposito.

L'art. 128 eccettuati sia i provvedimenti emessi nell'udienza preliminare, sia quelli emessi
nel dibattimento, gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati entro 5 giorni
dalla deliberazione.
Nel caso in cui il provvedimento sia suscettibile di impugnazione, l'avviso di deposito, in cui è
contenuto il solo dispositivo, deve esser comunicato al pubblico ministero e a tutti i titolari del
diritto di impugnazione.

L’immediata declaratoria di cause di non punibilità e la correzione degli errori materiali.


Sono manifestazioni di un potere di iniziativa ufficiosa del giudice l'immediata declaratoria
di determinate cause di non punibilità e la procedura per la correzione di errori materiali.

Art. 129 - Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.
1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che
l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come
reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di
ufficio con sentenza.
2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non
sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto
dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere
con la formula prescritta.

■ L'IMMEDIATA DECLARATORIA DI DETERMINATE CAUSE DI NON PUNIBILITÀ è prevista


all'art. 129, che impone di arrestare lo svolgimento del processo e di far cadere la qualità di
imputato appena maturi la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento.
L'art. 129 considera le formule terminative secondo un ordine di priorità improntato alla tutela
dell'innocenza dell'imputato: è conferita autonomia alle formule per cui “il fatto non costituisce
reato” ovvero “non è previsto dalla legge come reato”.
Il riferimento alla mancanza di una condizione di procedibilità è da interpretarsi in
senso estensivo, comprendente anche la mancanza di una causa di proseguibilità.
Lo stesso si ha nel caso di violazione del divieto di bis in idem.
La norma va integrata in via analogica per dar modo al giudice di sindacare la pena
illegalmente irrogata in contrasto con l'art. 1 c.p.

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L'immediata declaratoria opera solo nel contesto del processo; nella fase delle indagini preliminari
un compito equivalente è svolto dall'istituto dell'archiviazione: soccorre infatti l'art. 408 che
disciplina l'archiviazione della notizia infondata, e l'art. 411 che contempla la mancanza di una
condizione di procedibilità, l'estinzione del reato o l'essere il fatto non previsto dalla legge come
reato nonché la non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La norma non è applicabile neanche nel corso dei procedimenti incidentali, mancando un giudice
investito della cognizione del fatto per il quale la causa di non punibilità dovrebbe operare.
L'art. 129 comma 1 subisce limiti applicativi dipendenti dalla struttura del processo, in
particolare riguardo alle sentenze di non luogo a procedere emesse al termine dell'udienza
preliminare, le relative formule non coincidono con quelle in discorso.
Residuano nell'art. 425 le sentenze che dichiarano trattarsi di persona non punibile per
qualsiasi causa. L'art. 425 comma 3 abilita il giudice ad emettere sentenza di non luogo a
procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o non
idonei a sostenere l'accusa in giudizio.
Oltre a questo caso, la declaratoria di non punibilità per le formule indicate dall'art. 129 trova un
limite nella funzione dell'udienza preliminare: secondo la Corte costituzionale, nel caso in cui in
tale sede la prova risulti insufficiente o contraddittoria, la sentenza di non luogo a procedere verrà
pronunciata nei soli casi in cui è fondato prevedere che l'eventuale istruzione dibattimentale non
possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria,
diversamente dovrà emettersi il provvedimento di rinvio a giudizio.

Nei PROCEDIMENTI SPECIALI gli art. 444 e 459 e 464quater richiamano l'art. 129, la cui
applicazione impedisce l'accoglimento della richiesta di applicazione della pena o di emissione
del decreto penale, e richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.
Il silenzio sul giudizio abbreviato e sul giudizio direttissimo non pongono ostacoli applicativi,
che invece si pongono per la richiesta di giudizio immediato: in questo caso al giudice è concessa
solo una delibazione sulla scelta del rito, escludendo l'operatività dell'art. 129.

Negli ATTI PRELIMINARI del dibattimento, in ragione degli scopi organizzativi di tale fase e della
scarsezza del fascicolo trasmesso al collegio, il proscioglimento anticipato è regolato appositamente
dall'art. 469: è ammessa la declaratoria con le sole formule relative all'improcedibilità dell'azione ed
all'estinzione del reato, sempre che per accertarne l'esistenza non sia necessario procedere a
dibattimento, diversamente il giudizio prosegue.

Nei gradi di impugnazione l'applicabilità d'ufficio dell'art. 129 configura una deroga all'effetto
parzialmente devolutivo dell'appello e al controllo di legittimità vincolato ai motivi del giudizio
in cassazione. In tale sede, la declaratoria che il fatto non è previsto dalla legge come reato, che
il reato è estinto o che l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita si risolve in un
annullamento senza rinvio.
Sono adottabili anche le formule per cui il fatto non sussiste e l'imputato non lo ha commesso.

L'art. 129 comma 2 dispone il PROSCIOGLIMENTO NEL MERITO, anche in presenza di una
causa estintiva del reato, con esclusivo riferimento alle sentenze di assoluzione o di non
luogo a procedere.
Prevale di regola la formula di merito su quella estintiva, e tale prevalenza deve risultare
evidente agli atti: la prova della sussistenza dei presupposti per la pronuncia della formula di
merito deve già essere stata acquisita quando si accerta la causa estintiva, in termini tali da
poter esser facilmente constatata, non essendo necessario che sia percepibile a prima vista

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Per le sentenze di assoluzione prevale il merito anche quando manca, è insufficiente o è
contraddittoria la prova che il fatto sussista o che l'imputato l'abbia commesso, che il fatto
costituisca reato o che il reato sia stato commesso da persona non imputabile.
Lo stesso vale per le sentenze di non luogo a procedere.
La morte dell'imputato non impedisce l'emissione di una sentenza assolutoria o di non luogo a
procedere nel merito. Nella fase degli atti preliminari al dibattimento non si pongono questioni
perché il proscioglimento anticipato nel merito non trova spazio, non potendosi in tale sede
pronunciare sentenze di assoluzione: la clausola di salvezza dell'art. 129 comma 2 contenuta
nel 469, impone il passaggio al giudizio, anche se dagli atti già sia evidente la prova
dell'innocenza dell'imputato.

Nel dibattimento poiché il giudice, di fronte alla causa estintiva, non potrebbe che dichiararla,
l'imputato si vedrebbe sottratta la possibilità di ottenere, tramite l'acquisizione probatoria
dibattimentale, la pronuncia di una formula assolutoria.
A chi ritiene applicabile l'art. 129 comma 2 in sede dibattimentale residua la considerazione
che l'imputato ha diritto a rinunciare all'amnistia sopravvenuta, nonché alla prescrizione nel
frattempo maturata, rendendo inoperante l'obbligo di immediata declaratoria delle
corrispondenti cause estintive.

Nel GIUDIZIO DI CASSAZIONE si può pronunciare la formula di merito quando il giudice di primo
grado o di secondo grado abbia applicato una causa estintiva. È richiesto che l'evidenza della prova
risulti dalla motivazione.
Altri richiami all’art 129 sono fatti da:
420 quater c2 ->sospensione del processo per assenza dell’imputato per impossibilità di notifica-
contumacia), il giudice deve valutare che non possa essere pronunciata sentenza ai sensi del 129.
420 quinquies c2 lettera d -> il giudice può revocare l’ordinanza di sospensione, se deve essere
pronunciata sentenza ex 129. I casi più frequenti sono quelli di declaratoria di estinzione del reato
per sopravvenuta prescrizione e morte dell’imputato.
464-quater, riguarda la messa alla prova: il giudice se sussistono prove sufficienti per prosciogliere
l’imputato applica il 129.
Per la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto non è applicabile il dettato
dell’art.129, tale sentenza comporta una serie di valutazioni che risultano incompatibili con
l’immediatezza richiesta dal 129.

Art. 130 - Correzione di errori materiali.


1. La correzione delle sentenze, delle ordinanze e dei decreti inficiati da errori od omissioni che non
determinano nullità, e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto, è
disposta, anche di ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato, e
l'impugnazione non è dichiarata inammissibile, la correzione è disposta dal giudice competente a
conoscere dell'impugnazione.
2. Il giudice provvede in camera di consiglio a norma dell'articolo 127. Dell'ordinanza che ha
disposto la correzione è fatta annotazione sull'originale dell'atto.

■ L'art. 130 disciplina la correzione degli errori materiali, richiedendo tre presupposti:
a) sono oggetto di correzione solo gli atti del giudice riportabili al modello delle
sentenze, ordinanze e decreti;
b) l'errore materiale o l'omissione non deve essere ricollegata ad una previsione di nullità.
Secondo un'opinione corrente, l'errore deve essere una difformità tra il pensiero del
giudice e la sua formulazione, mentre l'omissione deve riguardare un comando che
discenda automaticamente dalla legge; ci sono però casi, come l'omessa declaratoria
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sulla falsità di un documento accertata con sentenza di condanna, non riparabili ex
art. 130: il rimedio consiste nell'impugnazione del relativo capo;
c) l'eliminazione dell'errore o dell'omissione non deve comportare una modificazione
essenziale dell'atto; sono escluse quindi le correzioni incidenti sul dispositivo, mentre è
consentito correggere un provvedimento dove compaia il nome di un magistrato diverso da
quello che ha fatto parte del collegio.
Competente a procedere, anche d'ufficio, alla correzione è il giudice autore del fatto, ma se è stata
proposta impugnazione tocca al giudice ad quem, salvo che dichiari inammissibile l'impugnazione
stessa.
Il procedimento si svolge in CAMERA DI CONSIGLIO, quindi l'ordinanza conclusiva del
procedimento deve essere notificata per intero ed è ricorribile per cassazione anche quando sia
stata rigettata o dichiarata inammissibile la richiesta di correzione.
L'ordinanza che dispone la correzione è annotata sull'originale dell'atto.

Le condizioni poste dall'art. 130 possono essere superate:


a) in tema di erronea attribuzione delle generalità all'imputato;
b) di omessa condanna alle spese;
c) di correzione della sentenza se occorre completare la motivazione o se mancano o sono
incompleti altri requisiti ex art. 546, esclusa la mancanza di motivazione, la mancanza o
incompletezza del dispositivo, la mancata sottoscrizione del giudice, trattandosi di cause di
nullità;
d) di condanna di una persona in luogo di un'altra per errore di nome, quando sia stata citata
in giudizio come imputato anche sotto altro nome.

In forza di un'espressa esclusione tale procedura non è applicabile quando la corte di cassazione
abbia omesso di dichiarare nel dispositivo di annullamento parziale quali parti della sentenza
diventino irrevocabili (art. 624).
In questo caso all'omissione si pone rimedio con ordinanza pronunciata d'ufficio o, a seguito
di domanda, presentata senza formalità, del giudice competente per il rinvio, del pubblico
ministero presso quel giudice o della parte privata interessata.
Le Sezioni unite hanno ritenuto che il procedimento di correzione degli errori materiali operi pure
nel giudizio di cassazione; si è quindi ritenuta riparabile l'omessa sottoscrizione della sentenza da
parte del giudice estensore, purché involontaria e accompagnata dalla sottoscrizione del presidente
del collegio, o la omessa trascrizione del dispositivo in calce all'originale della sentenza deliberata
in camera di consiglio.
La rettificazione della sentenza impugnata, cui provvede la Corte di Cassazione, ex art. 619 è istituto
autonomo dalla correzione. L’art. 130 c1-bis, inserito con la riforma Orlando, ricalca il secondo comma
del art.619 stabilendo che per le sentenze applicative per la pena su richiesta delle parti, ove tocchi
rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione
è disposta anche d’ufficio dal giudice che ha emesso il provvedimento. La ratio dell’inserimento di
questo comma (130 comma 1-bis) è quello di deflazionare il ricorso per Cassazione lasciando rimediare
all’errore il giudice di merito.

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I poteri coercitivi.

Art. 131 - Poteri coercitivi del giudice.


Il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può chiedere l'intervento della polizia giudiziaria e,
se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro ordinato
compimento degli atti ai quali procede.
L'articolo si occupa dei poteri coercitivi del giudice, che assumono natura tipicamente
amministrativa. → Il giudice deve avvalersi della polizia giudiziaria e, solo se questa non è in
grado
di provvedere, ricorre alla forza pubblica.

Tra gli atti che sono manifestazione del potere coercitivo rientra l'ACCOMPAGNAMENTO
COATTIVO, restrizione della libertà personale resa necessaria dall'indispensabile acquisizione di
un contributo probatorio. È collocato tra i provvedimenti del giudice e tra le attività espletabili dal
pubblico ministero in quanto le misure coercitive personali sono rigidamente regolate.
L'accompagnamento coattivo può essere adottato anche per reati di minima entità per i
quali non è consentita l'emissione di una misura coercitiva personale.
La collocazione della norma in questo libro esclude che le misure coercitive personali, in
particolare la custodia in carcere, possono essere strumentalizzate per la realizzazione degli
scopi cui è demandato l'accompagnamento coattivo, istituto che impone sempre una
tempestiva restituzione della libertà personale.

Art. 132 - Accompagnamento coattivo dell'imputato.


1. L'accompagnamento coattivo è disposto, nei casi previsti dalla legge, con decreto motivato, con il
quale il giudice ordina di condurre l'imputato alla sua presenza, se occorre anche con la forza.
2. La persona sottoposta ad accompagnamento coattivo non può essere tenuta a disposizione oltre il
compimento dell'atto previsto e di quelli conseguenziali per i quali perduri la necessità della sua
presenza. In ogni caso la persona non può essere trattenuta oltre le ventiquattro ore.

L'art. 132 è dedicato all'accompagnamento coattivo dell'imputato, dettando in modo sommario un


procedimento e rinviando per il resto ai casi previsti dalla legge.
L'accompagnamento coattivo deve essere preceduto, a seconda dei casi, da una avviso notificato o
da un decreto di citazione rimasti senza effetto; può essere disposto in sede di incidente probatorio
o nel dibattimento, con esclusione, in forza della riserva assoluta di legge vigente in tema di
restrizioni della libertà personale, dell'udienza preliminare, dove non si assumono prove.
DESTINATARI dell'accompagnamento coattivo sono la persona sottoposta alle
indagini, l'imputato e gli imputati di un procedimento connesso.
SCOPO dell'accompagnamento coattivo è l'assunzione di prove diverse dall'esame, ad
eccezione dell'esame della persona imputata in un processo connesso.
Il decreto motivato di accompagnamento è un atto dall'efficacia temporale predeterminata: non è
consentito protrarre la messa a disposizione davanti al giudice oltre il compimento dell'atto previsto
e di quelli conseguenziali, la durata massima è stabilita esser pari a 24 ore. Il provvedimento è
soggetto a ricorso per cassazione ex art. 568 comma 2.

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Art. 133 - Accompagnamento coattivo di altre persone.
1. Se il testimone, il perito, la persona sottoposta all’esame del perito diversa dall’imputato ( 1), il
consulente tecnico, l'interprete o il custode di cose sequestrate, regolarmente citati o convocati,
omettono senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti, il giudice
può ordinarne l'accompagnamento coattivo e può altresì condannarli, con ordinanza, a
pagamento di una somma da euro 51 a euro 516 a favore della cassa delle ammende nonché alle
spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa.
2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 132.

L'art. 133 prevede l'accompagnamento coattivo di testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e
dei custodi di cose sequestrate. Questi sono passibili di accompagnamento solo se, regolarmente
citati o convocati, omettano di comparire nel luogo e nel tempo stabiliti senza addurre un legittimo
impedimento. Possono essere condannati ad una sanzione pecuniaria ed alle spese causate dalla
mancata comparizione, ma la condanna è revocata con ordinanza quando il giudice ritenga fondate
le giustificazioni addotte dall'interessato (art. 47 disp. att.).

I principi in materia di documentazione degli atti


La documentazione è il meccanismo con cui un atto viene inserito e conservato nella sequenza
procedimentale, affinché il giudice e le parti possano controllarne la regolarità e averne memoria ai
fini della decisione di primo grado e nei giudizi di impugnazione.
L'espressione è utilizzata per antonomasia per le esternazioni realizzate con dichiarazioni verbali e
per le operazioni. Solo in tali casi rileva rispetto all'attività volta a confezionare l'atto, l’attività
intesa a documentarne l’avvenuta confezione.
L'autore dell'atto documentato non coincide, di regola, con l'autore della documentazione.
L'attività di documentazione produce come risultato un documento.
Vi sono diverse tecniche documentative.

Le modalità della documentazione


Art. 134 - Modalità di documentazione.
1. Alla documentazione degli atti si procede mediante verbale.
2. Il verbale è redatto, in forma integrale o riassuntiva, con la stenotipia o altro strumento
meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, con la scrittura
manuale.
3. Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva è effettuata anche la riproduzione fonografica.
4. Quando le modalità di documentazione indicate nei commi 2 e 3 sono ritenute insufficienti,
può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva se assolutamente indispensabile.

L'art. 134 è dedicato alle singole modalità di documentazione.


□ Il comma 1 enuncia il principio generale per cui la documentazione degli atti del giudice si
effettua mediante verbale.
È escluso che la documentazione sia fatta per semplice annotazione, essendo questa
praticabile solo per gli atti del pubblico ministero o della polizia giudiziaria.
È escluso che la documentazione degli atti del giudice con strumenti di
riproduzione fonografica o audiovisiva sia pari al verbale.
Fuori dal processo penale, il verbale, in quanto atto pubblico, continua a godere dell'efficacia ex art.
2700 c.c., cioè della presunzione di veridicità. Nel processo penale la funzione del verbale risulta
ridimensionata: ha il compito di fornire non già una fonte di prova, ma soltanto svolgere una
funzione rappresentativa e conservativa degli atti che si compiono nel procedimento.
□ Il comma 2 prevede le forme e i mezzi della documentazione: il verbale può essere redatto in
forma riassuntiva o in forma integrale: a parte alcune fattispecie particolari, per le quali si esige
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la riproduzione integrale dell'atto, la scelta tra le due forme è rimessa di regola al giudice.
La sentenza costituzionale 529/90 ha esteso questa disciplina anche ai verbali del
procedimento in camera di consiglio e dell'udienza del procedimento di esecuzione.
La scelta del giudice è indirizzata dal legislatore verso la forma riassuntiva quando gli atti
da verbalizzare abbiano contenuto semplice o limitata rilevanza ovvero quando si verifica
una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici.
Art. 420 nell'udienza preliminare, di regola, il verbale è redatto in forma riassuntiva, ma
su richiesta di parte il giudice dispone la riproduzione fonografica o audiovisiva ovvero la
redazione del verbale con stenotipia.
Nel dibattimento davanti al tribunale in composizione monocratica, l'adozione del
verbale riassuntivo è rimessa alla concorde volontà delle parti, sempre che il giudice non
ritenga necessaria la redazione in forma integrale.
→ È escluso che dall'inosservanza di queste disposizioni derivi qualche invalidità,
salvo quanto previsto dall'art. 141-bis.
Tra i mezzi di documentazione sono posti sullo stesso piano la stenotipia o altro strumento
meccanico, mentre è posto in posizione subordinata, perché adottabile solo se sia impossibile il
ricorso agli altri mezzi, la scrittura manuale.

□ Il comma 3 prevede la regola della riproduzione fonografica in caso di redazione del verbale in
forma riassuntiva, anche se non è prescritta a pena di nullità.
L'art. 140 però apporta un'eccezione in caso di contenuto degli atti di limitata rilevanza o
quando si abbia indisponibilità di strumenti di riproduzione.

□ Il comma 4 prevede che, se le modalità di documentazione appaiano al giudice insufficienti, può


essere aggiunta la riproduzione audiovisiva se assolutamente indispensabile.
Ha una mera funzione aggiuntiva.

Gli art. 135, 136 e 137 sono applicabili ai verbali redatti con stenotipia o con altro
mezzo meccanico, e ne disciplinano la redazione, il contenuto e la sottoscrizione.
□ Art. 135 prevede che redige il verbale l'ausiliario del giudice che, se sfornito delle necessarie
competenze, può essere autorizzato a farsi assistere sia da personale tecnico facente parte
dell'amministrazione sia da personale esterno.
□ Art. 136 prevede che il contenuto del verbale si sostanzia nei riferimenti a luogo, anno, mese,
giorno, se necessario dell'ora, nonché l'indicazione delle generalità delle persone intervenute e
nell'indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti
intervenire.
L'ausiliario è tenuto ad indicare quanto ha fatto o constatato, quello che è avvenuto in sua
presenza. Il pubblico ufficiale deve menzionare le dichiarazioni ricevute da lui o da altro
pubblico ufficiale che egli assiste, deve indicare in modo analitico tutti quegli elementi
che possano influire sulla credibilità delle dichiarazioni stesse, come la loro spontaneità, la
dettatura da parte del dichiarante, la consultazione di note scritte.

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□ L'art. 137 prevede la sottoscrizione del verbale previa lettura: la firma (valgono anche le sole
iniziali del nome o una sigla) è apposta alla fine di ogni foglio da parte del pubblico ufficiale che
l'ha redatto, dal giudice e dalle persone intervenute, anche quando le operazioni non siano esaurite
e vengano rinviate ad altro momento.
Se qualche intervenuto non vuole o non è in grado di sottoscrivere, ne viene fatta menzione
nel verbale indicandone i motivi, ma l'atto resta pienamente valido.
L'art. 483 e l'art. 401 prevedono una disciplina semplificata per il verbale del dibattimento e per
quello dell'incidente probatorio, come pure in tutti i casi in cui è impiegato uno strumento
meccanico che non comporti l'immediata impressione di caratteri comuni di scrittura.

La trascrizione e le riproduzioni

■ Art. 138 -Trascrizione del verbale redatto con il mezzo della stenotipia.
1. Salvo quanto previsto dall'articolo 483 comma 2, i nastri impressi con i caratteri della stenotipia
sono trascritti in caratteri comuni non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati formati.
Essi sono uniti agli atti del processo, insieme con la trascrizione.
2. Se la persona che ha impresso i nastri è impedita, il giudice dispone che la trascrizione sia affidata
a persona idonea anche estranea all'amministrazione dello Stato.
L'art. 138 prevede che i nastri impressi con i caratteri della stenotipia siano trascritti in caratteri
comuni non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati formati.
Il termine non è perentorio per il verbale del dibattimento, che deve essere trascritto non
oltre 3 giorni dalla sua formazione (art. 483).
Se chi ha impresso i nastri è impedito a svolgere la trascrizione, il giudice dispone che
sia affidata a persona idonea anche estranea all'amministrazione dello Stato.

■ Art. 139- Riproduzione fonografica o audiovisiva.


L'art. 139 prevede che la riproduzione fonografica o audiovisiva, effettuata da personale tecnico
anche estraneo all'amministrazione dello Stato, ma sempre sotto la direzione dell'ausiliario del
giudice, sia trascritta, senza limiti di tempo, a cura del personale tecnico giudiziario .
□ Il comma 4 dispone che il giudice può affidare tale compito a persone idonee estranee
all'amministrazione dello Stato.
□ In base al comma 5 se le parti vi consentono, il giudice può disporre l'omissione della
trascrizione.
L'art. 528 prevede che il giudice possa sospendere la deliberazione della sentenza
per procedere alle operazioni necessarie per la lettura del verbale d'udienza redatto
con la stenotipia, ovvero per l'ascolto o la visione di riproduzioni fonografiche o
audiovisive di atti del dibattimento.
L'ausiliario o il tecnico incaricato della documentazione sono ammessi
in camera di consiglio.
Le registrazioni fonografiche o audiovisive e le relative trascrizioni,
se effettuate, sono accluse al fascicolo del procedimento.
□ Il comma 2 prevede che tutte le volte in cui è effettuata la riproduzione fonografica, nel
verbale sia indicato il momento di inizio o di cessazione delle operazioni di riproduzione.
□ In forza del comma 3 se una parte della riproduzione, per qualsiasi causa, non abbia
avuto esito o non sia chiaramente intellegibile, fa prova il verbale redatto in forma
riassuntiva.

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■ L'art. 140 c.p.p. disciplina le MODALITÀ DI DOCUMENTAZIONE IN CASI PARTICOLARI,
introducendo una documentazione simile al verbale riassuntivo ma consistente nella sola redazione
manuale e contestuale, e quindi sintetica, del verbale, senza l'accompagnamento della riproduzione
fonografica.
Presupposti sono:
a) il contenuto semplice dell'atto,
b) la sua limitata rilevanza o una situazione di contingente indisponibilità di strumenti
di riproduzione o di ausiliari tecnici.

Il comma 2 stabilisce che se è redatto solo il verbale in forma riassuntiva, al giudice spetta
l'obbligo di vigilare affinché sia riprodotta nell'originaria genuina espressione la parte essenziale
delle dichiarazioni e siano descritte le circostanze nelle quali esse sono rese, se questo serva a
valutarne la credibilità. Nella prassi è lo stesso giudice ad intervenire nella redazione, dettando
all'ausiliario il riassunto delle dichiarazioni rese davanti a lui.

Art. 140 - Modalità di documentazione in casi particolari.


1. Il giudice dispone che si effettui soltanto la redazione contestuale del verbale in forma riassuntiva
quando gli atti da verbalizzare hanno contenuto semplice o limitata rilevanza ovvero quando si
verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici.
2. Quando è redatto soltanto il verbale in forma riassuntiva, il giudice vigila affinché sia riprodotta
nell'originaria genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni, con la descrizione
delle circostanze nelle quali sono rese se queste possono servire a valutarne la credibilità.

■ L'art. 142 c.p.p. riconduce le CAUSE DI NULLITÀ relativa del verbale a:


a) incertezza assoluta sulle persone intervenute,
b) alla mancata sottoscrizione da parte del pubblico ufficiale che ha redatto il verbale.
Sono irrilevanti l'omessa sottoscrizione del verbale da parte del giudice, la mancata
sottoscrizione in calce ad ogni singolo foglio, la mancata trascrizione delle
registrazioni. Anche l'inosservanza delle prescrizioni ex art. 109 comma 1 e 2 produce
nullità.
Sono salve le particolari disposizioni di legge, in particolare le ricognizioni: la mancata
menzione nel verbale di determinati adempimenti e dichiarazioni, nonché delle relative
modalità di svolgimento, determina la nullità del mezzo di prova. La documentazione dell'atto
funge da condizione di validità del suo contenuto.

Art. 142 - Nullità dei verbali.


1. Salve particolari disposizioni di legge, il verbale è nullo se vi è incertezza assoluta sulle persone
intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto.

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La documentazione dell’interrogatorio del detenuto

Art. 141-bis. Modalità di documentazione dell'interrogatorio di persona in stato di detenzione.


1. Ogni interrogatorio di persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, e che non si
svolga in udienza, deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di
riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di
riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia, ovvero della
consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La
trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti.

L'art. 141-bis disciplina la documentazione dell'interrogatorio, svoltosi fuori udienza, di chi sia in
stato di detenzione: deve essere documentato integralmente con mezzi di riproduzione fonografica
o audiovisiva.
Condizioni perché possa applicarsi tale disciplina sono:
• l'interrogatorio, è inteso come comprensivo anche dell'interrogatorio della persona
sottoposta alle indagini o dell'imputato, dell'imputato in un procedimento per reato
connesso o collegato a quello per cui si procede ex art. 371.
Tale norma non vale per le dichiarazioni introdotte a titolo diverso come le informazioni
assunte da persone informate dei fatti per cui si procede, come quelle che la polizia
giudiziaria assume dalla persona sottoposta alle indagini, nonché agli interrogatori delegati,
perché interdetti nei confronti di chi non si trovi in stato di libertà;
• l'interrogato deve essere, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione; opera anche nei confronti
di chi sia sottoposto a custodia cautelare per un altro procedimento o stia espiando una pena
detentiva per un altro reato; chi sia assoggettato a custodia in carcere, a custodia in luoghi
diversi dagli istituti penitenziari, agli arresti domiciliari, nonché nei confronti di coloro i
quali sono a disposizione della polizia giudiziaria in attesa che il tribunale in composizione
monocratica, che al momento non sieda in udienza, fissi udienza di convalida.
Secondo le Sezioni unite non contano le condizioni della persona soggetta agli
arresti domiciliari, del minore obbligato alla permanenza in casa, dell'affidato in
prova al servizio sociale, del semilibero o del condannato in licenza o in permesso
premio.
• La norma non vale per gli interrogatori assunti durante l'udienza: sono esclusi quelli svolti
in sede di convalida di arresto in flagranza o del fermo o nell'udienza preliminare.
Tale norma è volta a rafforzare la determinazione della persona sottoposta ad
interrogatorio ad avvalersi della facoltà di non rispondere in situazioni in cui il
suo esercizio, già indebolito per l'accresciuta soggezione psicologica conseguente
alla compressione della libertà personale, potrebbe essere esposto a sollecitazioni
qualora il difensore non sia presente.

L'art. 398 comma 5-bis richiama l'art. 141-bis con riferimento all'incidente probatorio nell'ambito di
procedimenti concernenti determinate ipotesi di reato in materia di violenza sessuale, poi esteso ad
altre fattispecie: quando tra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni
16, le testimonianze assunte tramite incidente probatorio in tali procedimenti devono essere sempre
documentate con le modalità ex art. 141-bis.
Se sussistono i presupposti dell'art. 141-bis nasce il vincolo di disporre la riproduzione
fonografica o audiovisiva integrale, cioè per intero e senza interruzioni.

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Quando siano indisponibili gli appositi strumenti o il personale tecnico idoneo, il giudice o
il pubblico ministero può provvedere, rispettivamente, tramite le nomina di un perito o di
un consulente tecnico; l'organo procedente è abilitato a liquidare i compensi.

La trascrizione non è obbligatoria ma avviene solo su richiesta delle parti.


Si ritiene che la disposizione della trascrizione rientri tra i poteri ufficiosi del giudice.

La documentazione integrale dell'atto è condizione di validità del relativo contenuto,


l'inutilizzabilità prevista dall'art. 141-bis copre ogni impiego dell'interrogatorio, sia in sede
dibattimentale che nei riti alternativi al processo ordinario, ovvero ai fini dell'adozione della
misura cautelare, sia nei confronti della persona che rende le dichiarazioni sia nei confronti di
terzi.
Scatta una sanzione ogni qual volta in motivazione si faccia significativo impiego
probatorio dell'atto viziato e non quando lo stesso serva da mero antecedente storico di un
altro atto del procedimento.
La regola all'art. 63 prevede che le dichiarazioni precedentemente rese siano impiegate
come materiale suscettibile di fornire notizia di reato.

La combinazione degli art. 294 e 302, prescindendo da ogni obbligo motivazionale, non
impedisce all'interrogatorio documentato in difformità dall'art. 141-bis di valere come fatto
giuridicamente rilevante, non determinando quindi l'effetto estintivo della custodia cautelare.
Solo un'eventuale previsione di nullità dell'interrogatorio assunto ex art. 294, in
violazione dell'art. 141-bis, determinando un effetto equivalente alla omissione dell'atto,
sarebbe idonea a provocare la caducazione della custodia cautelare, poiché la declaratoria
di tale invalidità opera con effetto ex tunc.

La partecipazione a distanza
La PARTECIPAZIONE A DISTANZA mira a realizzare obiettivi di economia processuale
riducendo le traduzioni dei detenuti ed i tempi del dibattimento.
L'ESAME A DISTANZA invece tende a garantire la sicurezza personale del dichiarante.
È escluso che la videoconferenza o il telesame siano la stessa cosa dell'assistenza personale
o della dichiarazione tipiche del contesto spaziale e temporale della pubblica udienza.

L'art. 146-bis disp. att. disciplina la partecipazione a distanza, attivabile con 2 presupposti:
a. deve trattarsi di un dibattimento relativo ad uno dei reati ex art. 51 co 3-bis (es. associazione di
tipo mafioso) o ex art. 407 co 2 lett. a) n. 4 (es. delitti con finalità di terrorismo o eversione
dell'ordinamento costituzionale);
b. l'imputato deve trovarsi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere; conta il solo fatto
obbiettivo della detenzione carceraria, non è richiesto che tragga titolo dai reati ex art. 51 co 3-
bis; non rileva che la detenzione dipenda dall'applicazione della custodia cautelare o dalla
espiazione di una pena.

Nasce l'obbligo per il giudice di valutare se sia integrata una delle due ipotesi enunciate
all'art. 146 bis disp. att.:
i. gravi ragioni di sicurezza e di ordine pubblico;
ii. allo scopo di evitare il turismo giudiziario.

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La partecipazione a distanza non sarà attivabile in dipendenza di semplici difficoltà organizzative,
valgono invece fattori come il numero degli imputati o delle imputazioni, il numero e la natura
delle prove da assumere. Deve valutarsi se nei confronti dello stesso imputato siano
contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie.

Ai sensi dell'art. 146-bis comma 1-bis disp. att. si ha una terza ipotesi di partecipazione a
distanza con riferimento alla sottoposizione alle misure ex art. 41-bis comma 2 ord. pen.: il
turismo giudiziario è impedito per evitare che sia sfruttato dall'imputato per mantenere contatti
con le organizzazioni criminali, vanificando gli effetti del regime ex 41-bis.
Quindi tale partecipazione scatta senza che tali detenuti siano imputati, nel processo, di una
delle fattispecie ex art. 51 co 3-bis o 407 comma 2.
Ai sensi dell'art. 146-bis comma 7 disp. att. la videoconferenza può interrompersi, con il
conseguente ripristino della partecipazione fisica dell'imputato, se occorra procedere a confronto o
ricognizione dell'imputato od altro atto che implichi l'osservazione della sua persona, sempre che il
giudice, sentite le parti, ritenga indispensabile la presenza dell'imputato, per il tempo necessario al
compimento dell'atto.

La partecipazione a distanza va disposta, anche d'ufficio, dal presidente prima dell'inizio della
prima udienza dibattimentale per evitare che questa si tenga con l'imputato presente e, al contempo,
per rendere più agevole l'opera di difesa chiamata ad affrontare i profili organizzativi scaturenti
dall'attivazione del collegamento a distanza.
In assenza di contraddittorio, il provvedimento assume forma di decreto motivato che deve
essere comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti almeno 10 giorni liberi
prima della data fissata per l'udienza.
La partecipazione a distanza può essere disposta anche nel corso dello svolgimento dell'udienza
dibattimentale. Divenuto funzionalmente competente il collegio, il provvedimento assume, a
seguito dell'instaurazione del contraddittorio, la forma di ordinanza, ma alla difesa è concesso un
termine adeguato per fronteggiare la mutata situazione.
L'ordinanza può essere appellata insieme con la sentenza.

L'art. 146-bis comma 3 disp. att. impone l'adozione di uno standard tecnico più elevato di quello
necessario, di regola, per l'esame a distanza dove non è imposta la reciprocità: il collegamento nella
partecipazione a distanza deve essere contestuale, reciproco ed effettivo.
Il comma 5 equipara la postazione remota all'aula di udienza, estendendogli le
regole dettate per il contesto spaziale e temporale dell'udienza dibattimentale.
Ne segue che al presidente del collegio è affidato, anche rispetto alla postazione remota, il
potere di direzione del dibattimento, compreso quello di decidere, senza formalità, sulle
questioni relative alle modalità del collegamento audiovisivo, nonché il potere di
disciplina dell'udienza. Anche i reati commessi nella postazione remota sono soggetti alle
regole proprie dei reati commessi in udienza.
La persona incaricata di stare nella postazione remota è, di regola, un ausiliario abilitato ad assistere
il giudice in udienza e nominato dal giudice stesso o, in caso di urgenza, dal presidente. Durante il
tempo in cui non si procede all'esame dell'imputato, al posto dell'ausiliario può essere nominato un
ufficiale di polizia giudiziaria, scelto tra coloro che non svolgono né hanno svolto attività di
investigazione o di protezione con riferimento all'imputato o ai fatti da lui riferiti.

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La scelta dipende anche dalla natura delle funzioni demandate all'ausiliario: questo è chiamato ad
attestare l'identità dell'imputato, a dare atto dell'osservanza delle norme relative alle modalità del
collegamento a distanza (in particolare sulla effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti
in entrambi i luoghi) nonché della riservatezza delle consultazioni tra l'imputato e i suoi difensori.
In caso di esame è chiamato a dare atto delle cautele adottate per assicurarne la regolarità
con riferimento al luogo ove si trova, potendo interpellare, quando occorra, l'imputato o il
suo difensore.

Oltre al verbale del dibattimento redatto dall'ausiliario del giudice che siede nell'aula di udienza,
si avranno tanti altri verbali quante sono le postazioni remote. Tali ulteriori verbali investono solo
le attività svolte personalmente dall'ausiliario del giudice nella postazione remota.
La documentazione delle dichiarazioni, richieste ed eccezioni e quanto provenga dalle
persone presenti nella postazione remota, confluirà necessariamente nel verbale tenuto
dall'ausiliario del giudice che siede nell'aula di udienza, per evitare il pericolo di contrasto
tra i diversi verbali.
L'equiparazione della postazione remota all'aula di udienza esclude la necessità che
l'imputato debba essere assistito da due difensori, uno nell'aula di udienza e l'altro nella
postazione remota.
È tuttavia opportuno che accanto all’ imputato ci sia un difensore, è quindi nata
la figura di sostituto (art. 102).

L'art. 146-bis comma 4 disp. att. ha stabilito che il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di
udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei. Il
collegamento è realizzato tramite l'installazione di apposite linee telefoniche assolutamente non
intercettabili.

Art. 45-bis disp. att. la partecipazione a distanza dell'imputato al dibattimento è ammessa anche nei
procedimenti che si svolgono in camera di consiglio.
E' sufficiente la sottoposizione al regime ex art. 41-bis ord. pen. perché operi la
partecipazione a distanza.
È possibile la partecipazione a distanza anche nei procedimenti che si svolgano durante la fase delle
indagini preliminari.
Il riferimento al condannato vale per il procedimento di esecuzione e per quello di sorveglianza, non
in sede di prevenzione, dove il soggetto che partecipa all'udienza assume la qualifica di interessato.

L'art. 45-bis comma 2 disp. att. stabilisce che il provvedimento che dispone il collegamento a
distanza è comunicato e notificato con l'avviso ex art. 127, da intendersi nel significato generico di
sinonimo di avviso della data di fissazione dell'udienza camerale: la partecipazione a distanza
risulta disponibile anche nei procedimenti che si tengono in udienza camerale per i quali sia
stabilito un termine di comparizione inferiore a 10 giorni.
In base all'art. 134-bis disp. att. la partecipazione a distanza è attivabile anche nell'udienza in cui
si celebra il giudizio abbreviato.

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L'istituto della partecipazione a distanza si atteggia diversamente a seconda che la presenza
dell'imputato all'udienza sia prescritta come indefettibile o sia facoltativa:
a) INDEFETTIBILE, salvo rinuncia, l'attivazione della partecipazione a distanza non pone
problemi: nei procedimenti in camera di consiglio si segue il modello dell'art. 127: se
l'imputato risulta detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice e
ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di
sorveglianza del luogo; non è però esclusa la comparizione personale del detenuto fuori
dalla circoscrizione se questi ne abbia fatto richiesta o se il giudice lo ritenga, ex officio,
opportuno;
b) FACOLTATIVA, la partecipazione a distanza è stata estesa al riesame delle misure
coercitive e all'appello delle misure cautelari. La partecipazione a distanza è disponibile
tutte le volte in cui il giudice ritenga necessaria la presenza dell'imputato o del condannato,
anche a seguito di sua richiesta, anziché l'audizione ad opera del magistrato di sorveglianza
ex art. 127 co 3.

L’ esame a distanza
L'art. 147-bis disp. att. si occupa dell'esame di persone ammesse a programmi o a misure di
protezione nelle sole udienze dibattimentali. Non vi sono però ostacoli ad estenderla, per intero,
all'incidente probatorio.
Sono considerati anche coloro che fruiscono di programmi di protezione di tipo urgente o
provvisorio.
Il giudice o, in casi di urgenza, il presidente del tribunale o della corte d'assise possono determinare
l'esame a distanza di propria iniziativa.
Titolari del potere di richiesta sono, oltre alle parti, anche l'autorità che ha disposto il programma o
la misura di protezione.
L'art. 147-bis comma 1 disp. att. prevede l'adozione discrezionale dell'istituto quando l'adozione del
telesame, subordinata alla disponibilità di strumenti tecnici idonei, scatta a seguito di una
determinazione che il giudice o il presidente del collegio possono assumere d'ufficio, sentite le
parti.
Sono discrezionali anche le ipotesi al comma 5, dove il TELESAME non mira a garantire
l'incolumità del dichiarante ma a realizzare una semplificazione processuale rimessa ad una
richiesta delle parti.
L'art. 147-bis comma 3 disp. att. prevede le ipotesi di telesame obbligatorio, salvo il caso
in cui il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare
(riferita alla mancata disponibilità o al cattivo funzionamento momentaneo delle
apparecchiature tecniche, in questo caso però l'ordinanza può essere revocata).
Sono ipotesi obbligatorie:
a) quelle che investono persone ammesse a programmi o a misure di protezione nell'ambito di
un processo per taluno dei delitti ex art. 51 co 3-bis o 407 co 2. Si nega rilievo a programmi
o a misure di tipo provvisorio;
b) quando nei confronti della persona sottoposta ad esame è stato emesso il provvedimento di
cambio delle generalità; il telesame sarà condotto sotto le precedenti generalità quando si
proceda per fatti anteriori al provvedimento che le abbia cambiate, e dovranno essere
disposte le cautele idonee ad evitare che il volto della persona sia visibile.

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c) quando, nell'ambito di un processo per uno dei delitti ex art. 51 co 3-bis o 407 co 2 devono
essere esaminate le persone indicate all'art. 210 (imputato connesso) nei cui confronti si
proceda sempre per uno dei delitti di stampo mafioso o con finalità di terrorismo o di
eversione dell'ordinamento costituzionale.
Tende ad evitare che il coinvolgimento in più processi delle stesse persone possa
causare il rallentamento dell'istruzione dibattimentale.
È un'ipotesi residuale rispetto alla partecipazione a distanza: si ha quando l'imputato,
che non sia detenuto o, pur essendolo, non risulti sottoposto a misura di protezione,
sia implicato in uno dei delitti ex art. 51 co 3-bis o 407 co 2.

c-bis) quando devono essere esaminati ufficiali o agenti di polizia in ordine ad attività svolte
durante le operazioni sotto copertura; vengono disposte le cautele necessarie perché il volto
di tali soggetti non sia visibile.

Le modalità del telesame richiedono che il collegamento audiovisivo si limiti a garantire la


contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove la persona sottoposta ad esame si trova
(quindi lo standard tecnico è inferiore a quello richiesto per la partecipazione a distanza).
L'ausiliario del giudice ha il compito di documentare le operazioni effettuate e dà atto delle cautele
adottate per assicurare la regolarità dell'esame (es. il dichiarante non si può servire di appunti non
resi visibili dall'inquadratura delle telecamere).
Il telesame si converte in VIDEOCONFERENZA se la persona da esaminare deve essere assistita da
un difensore, ma sono ipotesi residuali rispetto alla partecipazione a distanza dell'imputato
detenuto. L'art. 147-ter ripristina le forme del contraddittorio tradizionale in caso di ricognizione
di persone nei cui confronti sia stato emesso il decreto di cambiamento delle generalità ovvero la
misura estrema di protezione.
Al giudice è rimessa una valutazione di indispensabilità tutte le volte in cui si tratti di procedere a
ricognizione o altro atto che comporti l'osservazione del corpo della persona; la durata
dell'accompagnamento coattivo è limitata al tempo necessario al compimento dell'atto, l'esclusione
della pubblicità immediata: da qui l'esigenza di coordinare con la disciplina della pubblicità mediata
realizzata con i mezzi audiovisivi.

L'art. 205-ter disp. att. dispone che la partecipazione all'udienza dell'imputato detenuto all'estero,
sempre che non possa esser trasferito in Italia, si realizza con collegamento audiovisivo, in quanto
previsto da accordi internazionali.
La partecipazione all'udienza di un testimone o di un perito che si trovi all'estero può avvenire a
distanza secondo le modalità e i presupposti previsti da accordi internazionali.

Traduzione degli atti


La traduzione non integra un mezzo di prova ma una semplice mediazione linguistica tra i
soggetti del procedimento, ed il suo impiego non si esaurisce nell'ambito probatorio.
■ L'art. 143 c.p.p. tipicizza le ipotesi in cui si deve ricorrere all'ausilio dell'interprete (cioè la persona
che riproduce in lingua italiana o in lingua diversa sia le dichiarazioni orali sia gli atti o i documenti
scritti):
a) quando l'imputato (o la persona sottoposta alle indagini) non conosca, perché non parla o
non comprende, la lingua italiana, intesa come padronanza della lingua (quindi una
conoscenza media esclude la necessità dell'interprete): l'imputato ha diritto di farsi assistere
gratuitamente da un interprete per comprendere l'accusa formulata contro di lui, in modo da
essere messo nella condizione di seguire il compimento degli atti cui partecipa.
Il diritto all'assistenza dell'interprete investe gli atti orali e quelli scritti, tutte le
volte in cui, fin dalle indagini preliminari, la mancata conoscenza della lingua
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0
italiana sia evidenziata dall'interessato o accertata dall'autorità procedente.
L'art. 111 comma 3 Cost dispone che la persona accusata di un reato deve
essere assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua
impiegata nel processo.
Il comma1 pone a carico del cittadino italiano una presunzione di conoscenza della
lingua italiana. Quando dagli atti risulti che l'imputato straniero che si trovi all'estero
non conosca la lingua italiana, l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio
dello Stato viene redatto nella lingua dello Stato dove è nato;
b) quando l'imputato sia sordo, muto o sordomuto;
c) quando si ha l'esigenza di tradurre uno scritto in lingua straniera o in dialetto non facilmente
intellegibile, oppure è necessario trasferire in lingua italiana una dichiarazione effettuata da
chi non conosce la lingua italiana. È un'ipotesi residuale.

L'interprete deve essere nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale
di polizia giudiziaria abbia personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
La prestazione dell'ufficio di interprete ha carattere obbligatorio, può quindi disporsi
l'accompagnamento coattivo dell'interprete ex art. 133.
■ L'art. 144 c.p.p. prevede ipotesi di incapacità e incompatibilità a svolgere la funzione di interprete, a
pena di nullità.
Se l'interprete interviene a favore dell'imputato si configura una nullità di ordine generale a
regime intermedio, essendo violata una disposizione circa l'assistenza dell'imputato stesso.
L'interprete non è collocabile tra i collaboratori del giudice, ma è una figura autonoma;
tuttavia i requisiti di capacità e le situazioni di incompatibilità sono costruiti sulla falsariga di quelli del perito.
Non possono fungere da interprete:
a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato, l'affetto da infermità di mente;
b) l'interdetto, anche temporaneamente, da uffici pubblici, l'interdetto o il sospeso da una
professione o da un'arte;
c) il sottoposto a misure di sicurezza personali o di prevenzione;
d) per incompatibilità, la persona esclusa dalla testimonianza o che goda della facoltà di
astenersi, chi sia chiamato a prestare ufficio di testimone o di perito ovvero sia stato
nominato consulente tecnico nello stesso processo o in un procedimento connesso.
→ Può assumere la qualità di interprete un prossimo congiunto del sordo, del muto o del sordomuto.
L'art. 145 c.p.p. dispone che l'interprete incapace o incompatibile sia ricusabile dalle parti private e,
per i soli atti compiuti o disposti da giudice, è ricusabile anche da pubblico ministero.
Se esiste un motivo di ricusazione, anche non proposto, oppure per gravi ragioni di convenienza per
astenersi, l'interprete è tenuto a dichiararle.
La dichiarazione di ricusazione o di astensione è decisa con ordinanza inoppugnabile.

Art. 52 disp. att. con il provvedimento di nomina l'interprete è citato a comparire tramite
notificazione e, in situazioni di urgenza, anche oralmente per mezzo dell'ufficiale giudiziario o
della polizia giudiziaria.
L'art. 146 prevede l'obbligo incondizionato di serbare il segreto, che comunque cade con
la chiusura delle indagini preliminari.
Se l'incarico riguarda traduzioni scritte che richiedono un LAVORO DI LUNGA DURATA, l'art. 147
abilita l'autorità procedente a prorogare, per giusta causa, il termine fissato una sola volta.
L'interprete che non abbia presentato la traduzione nel termine può essere sostituito e, dopo esser
stato citato a comparire per discolparsi, è passibile di condanna al pagamento di una somma a
favore della cassa delle ammende.
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1
Nel corso delle indagini preliminari è il pubblico ministero a chiedere al giudice di
applicare la sanzione.

Le linee di fondo del regime delle notificazioni


Nel processo penale gli atti contano in quanto siano portati a conoscenza dei soggetti diversi dal
loro autore. Allo scopo sono predisposte le NOTIFICAZIONI.
Dal punto di vista strutturale, il procedimento di notificazione è tradizionalmente distinto in 3 fasi:
a) impulso, consiste nell'ordine o nella richiesta di eseguire la notificazione e nella
consegna materiale dell'atto all'organo esecutivo;
b) esecuzione, di cui fanno parte la predisposizione dell'atto da notificare, l'attività di ricerca
del destinatario e la consegna dell'atto alla persona abilitata a riceverlo;
c) la documentazione dell'attività svolta dall'organo esecutivo.

Gli organi e le forme delle notificazioni disposte dal giudice o richieste dalle parti.
L'art. 148 c.p.p. disciplina le notificazioni disposte dal giudice.
L'organo investito in via primaria dell'attività di notifica è l'ufficiale giudiziario, in via
subordinata chi ne esercita le funzioni.
Tra gli organi che esercitano funzioni notificative rientrano anche i messi di conciliazione,
sia pure nell'ambito loro assegnato, e la polizia penitenziaria: nei procedimenti con detenuti
ed in quelli davanti al tribunale del riesame, caratterizzati da cadenze accelerate impresse da
termini la cui inosservanza comporta la perdita di efficacia dell'ordinanza che ha disposto la
misura coercitiva (art. 309), in presenza del requisito d'urgenza il giudice è abilitato a
disporre che le notificazioni siano eseguite tramite gli organi di polizia penitenziaria del
luogo in cui i destinatari sono detenuti.
Gli ufficiali ed agenti di polizia penitenziaria, a seguito del provvedimento del giudice,
diventano organi delle notificazioni a pieno titolo.
□ comma 2-bis prevede che l'autorità giudiziaria, quindi anche il pm, può disporre che le notificazioni
o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei. Unico vincolo per l'ufficio che invia
l'atto è l'attestazione, in calce all'atto, di aver trasmesso il testo originale. Non è necessario emettere
un decreto motivato.
□ comma 3, oggetto della notificazione è l'atto nella sua interezza, in casi tassativamente previsti è
ammessa la notificazione per estratto, cioè la riproduzione della sola parte essenziale dell'atto.
Art. 54 disp. att. l'ufficiale giudiziario a cui viene trasmesso l'atto da notificare provvede
a formarne un numero di copie eguale a quello dei destinatari della notificazione.
Le copie sono trasmesse con mezzi tecnici idonei e, quando l'ufficio che ha emesso l'atto
attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale, valgono come l'originale.
Se però la notificazione è eseguita tramite la polizia giudiziaria, trattandosi di un
organo privo di poteri certificativi, viene trasmesso all'ufficio di polizia
competente per territorio un numero di copie eguale a quello dei destinatari delle
notificazioni.
Se la notifica non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, l'ufficiale
giudiziario e la polizia giudiziaria consegnano la copia dell'atto dopo averla inserita
in una busta che provvedono a sigillare. Tale procedimento deve essere
documentato, ma non vale per le notificazioni al difensore o al domiciliatario.
□ comma 4: ha valore di notificazione a tutti gli effetti la consegna di una copia dell'atto
all'interessato da parte della cancelleria, se sull'originale sia annotata l'avvenuta consegna e la
relativa data.
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2
□ comma 5 prevede che la lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi dati
verbalmente dal giudice, nonché dal pm ex art. 151 comma 3, agli interessati in loro presenza,
sostituiscono le notificazioni, purché ne sia fatta menzione nel verbale.
comma 5-bis prevede che le comunicazioni, gli avvisi ed ogni altro biglietto o invito
consegnati non in busta chiusa a persona diversa dal destinatario deve recare solo le
indicazioni strettamente necessarie.
L'art. 149 c.p.p. (Notificazioni urgenti a mezzo del telefono e del telegrafo) disciplina le notificazioni a
mezzo del telefono, il cui presupposto è l'utilizzo in casi di urgenza.
Oggetto della notificazione a mezzo del telefono è l'avviso o la convocazione; destinatario è una
persona diversa dall'imputato. Tale notificazione è disposta dal giudice, anche su richiesta di parte,
ed è eseguita dagli addetti alla cancelleria e dalla polizia giudiziaria presso la casa di abitazione, la
sede di lavoro abituale, la dimora o un recapito.
La notificazione a mezzo del telefono è effettuata con chiamata telefonica nei luoghi
indicati, indipendentemente dalla loro inserzione in elenchi ufficiali.
Sull'originale dell'avviso o della convocazione sono annotati:
a) il numero telefonico chiamato,
b) il nome, le funzioni o le mansioni svolte dalla persona che riceve la comunicazione,
c) il rapporto di questa con il destinatario,
d) il giorno e l'ora della telefonata.
La comunicazione non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario o da persona che conviva anche
temporaneamente con lui; tuttavia le Sezioni unite hanno ammesso che le segreterie telefoniche
valgano allo scopo, anche se il difensore non abbia percepito il messaggio per difettoso
funzionamento dell'apparecchio o per mancato ascolto della registrazione.
La successiva comunicazione telegrafica per estratto è una forma costitutiva di tale procedimento di
notifica, anche se il momento in cui avviene la conoscenza è con la comunicazione telefonica.
Quando per qualunque causa non sia possibile far luogo alla notificazione a mezzo del telefono,
soccorre quella eseguita, per estratto, con telegramma.
Per le Sezioni unite l'invio del telegramma è indispensabile solo quando la legge imponga che
l'avviso sia stato dato e sia pervenuto personalmente nella sfera del destinatario, conta quindi la
conoscenza effettiva indipendentemente da quella legale.

■ L'art. 150 c.p.p. (“Forme particolari di notificazione disposte dal giudice.”)prevede la forma
notificativa innominata a persona diversa dall'imputato, realizzata tramite mezzi di
comunicazione non tradizionali, ma idonei a garantire la conoscenza dell'atto.
Tale notificazione è subordinata all'esistenza di particolari circostanze, nonché
all'indicazione, nel decreto motivato posto in calce all'atto, del mezzo tecnico prescelto e
delle modalità ritenute necessarie per portare l'atto a conoscenza del destinatario.

■ L'art. 151 c.p.p. disciplina le “notificazioni richieste dal pubblico ministero”: nel corso della fase
delle indagini preliminari sono eseguite dall'ufficiale giudiziario.
La polizia giudiziaria può provvedere nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la
stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire.
Si applicano anche in questo caso le forme telefoniche e telegrafiche ex art. 149, ma non
quelle ex art. 150.

■ L'art. 152 c.p.p. disciplina le “notificazioni richieste dalle parti private”: gli è infatti consentito
sostituire alle forme ordinarie l'invio di copia dell'atto effettuato dal difensore tramite lettera
raccomandata con avviso di ricevimento.
10
3
La notificazione può dirsi perfezionata con la ricezione della raccomandata, secondo le
regole fissate dall'ordinamento postale. L'art. 56 disp. att. impone al difensore di documentare
la spedizione con il deposito in cancelleria di:
a) copia dell'atto inviato,
b) l'attestazione di conformità all'originale,
c) l'avviso di ricevimento.
Il difensore resta libero di spedire l'atto in busta chiusa o in piego, ma per evitare future
contestazioni deve indicare quale dei due strumenti abbia utilizzato.

Le notificazioni all’ imputato

■ L'art. 156 c.p.p. disciplina le notificazione all'imputato detenuto in Italia, anche per una causa
diversa rispetto al procedimento in corso:
□ comma 1 prevede l'esecuzione della notifica mediante consegna in mani proprie nel luogo di
detenzione, materialmente può essere effettuata anche dall'agente di custodia;
□ comma 2 prevede l'ipotesi in cui l'imputato rifiuti di ricevere l'atto: se ne fa menzione nella
relazione di notifica e le copia è consegnata al direttore dell'istituto o a chi ne fa le veci.
Nel caso di imputato legittimamente assente perché usufruisce di un regime di semilibertà,
semidetenzione o di autorizzazione al lavoro esterno e nel caso di imputato che si trova
detenuto in luogo diverso dallo stabilimento penitenziario, si hanno modalità particolari di
notificazione.
□ comma 5 esclude che la notificazione all'imputato detenuto od internato possa effettuarsi con il
rito degli irreperibili.

■ L'art. 157 c.p.p. si occupa della prima notifica all'imputato libero: si accorda preferenza alla
consegna di copia dell'atto a mani proprie, ovunque l'imputato si trovi.
Se questo non è possibile, la notifica viene eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui il
soggetto esercita abitualmente l'attività lavorativa, consegnando la copia ad un convivente, anche
temporaneo, o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci.
La convivenza non è intesa come coabitazione, è quindi valido consegnatario chi
sia legato al destinatario da un rapporto di collaborazione, nell'espletamento di faccende in
ambito domestico.
Quando tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove
l'imputato ha temporanea dimora o recapito, mediante consegna ad una delle persone dette.
Il portiere provvede a sottoscrivere l'originale dell'atto notificato mentre l'ufficiale
giudiziario deve dare notizia al destinatario, mediante lettera raccomandata con
avviso di ricevimento, dell'avvenuta notifica (gli effetti decorrono comunque dal
ricevimento della raccomandata).
È vietato consegnare la copia ad un minore di 14 anni o a chi versi in stato di
manifesta incapacità di intendere o di volere.
□ Il comma 5 prevede che l'autorità giudiziaria disponga il rinnovo della notificazione quando la
copia sia stata consegnata alla persona offesa e risulti o appaia probabile che l'imputato non abbia
avuto effettiva conoscenza dell'atto notificato.

□ Il comma 6 prevede che, se la consegna è fatta nelle mani di persona diversa dal destinatario, il
plico deve essere consegnato chiuso, mentre la relazione della notifica deve essere effettuata
secondo del forme dell'art. 148.
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□ In base al comma 8 se la notificazione non è eseguibile nei modi previsti, l'atto è depositato nella
casa comunale dove l'imputato ha l'abitazione, o in subordine, dove esercita abitualmente la sua
attività lavorativa; un avviso di deposito è affisso sulla porta della casa d'abitazione o sul luogo di
esercizio dell'attività. L'ufficiale giudiziario dà comunicazione dell'avvenuto deposito all'imputato
con lettera raccomandata con avviso di ricevimento; solo dalla ricezione della raccomandata
ricorrono gli effetti della notificazione.
□ Il comma 8-bis disciplina le notificazioni all'imputato libero successive alla prima: se l'imputato
ha nominato un difensore di fiducia, le notificazioni sono effettuate mediante consegna a tale
difensore, sempre che l'imputato non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio.
Tale regola vale solo per il difensore di fiducia, ma gli si riconosce il potere di
dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la sua
notificazione.
Tale rifiuto deve essere immediato.
Tali notificazioni al difensore possono disporsi con le forme ex art. 148 comma 2-bis, cioè con
mezzi tecnici idonei.

■ L'art. 158 c.p.p. disciplina la prima notificazione ad imputato militare in servizio attivo, quando tale
status risulti agli atti. Se non è possibile la consegna in mani proprie, l'atto è notificato presso
l'ufficio del comandante del corpo; questo provvederà ad informare immediatamente l'interessato,
annotando data, ora e modalità in un apposito registro.
Se la prima notificazione non va a buon fine, si ha l'obbligo di un secondo accesso per
cercare l'imputato presso la casa d'abitazione ovvero presso la sede del lavoro abituale, o
presso i luoghi di dimora o di recapito.
Art. 59 disp. att. nella relazione di notifica vanno indicate le ore dei due accessi, il
secondo dei quali deve avvenire in un giorno successivo ed in orario diverso rispetto al
primo.

■ L'art. 165 c.p.p. disciplina le notificazioni all'imputato latitante od evaso, equiparando il


trattamento con quello relativo all'imputato irreperibile.
■ L'art. 166 c.p.p. disciplina le notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente: l'atto viene
notificato sia al soggetto che al tutore o curatore; per l'infermo di mente sono disposti precisi
accertamenti.
■ L'art. 169 c.p.p. disciplina le notificazioni all'imputato residente o dimorante all'estero,
distinguendo due ipotesi di fondo:
• se risulta dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all'estero (e l'imputato non
abbia dichiarato o eletto domicilio in Italia) sorge l'obbligo di inviare raccomandata con avviso di
ricevimento, contenente una specie di informazione di garanzia e l'invito a dichiarare o eleggere
domicilio nel territorio dello Stato. L'invito, ove risulti che l'imputato non conosca la lingua
italiana, è redatto o tradotto nella lingua ufficiale dello Stato in cui l'imputato risulta essere nato.
Se entro 30 giorni il soggetto non risponde in modo congruo all'invito, le notificazioni
sono eseguite mediante consegna al difensore. Tale forma di notificazione non si
accompagna all'emissione del decreto di irreperibilità, mancando il presupposto
fondamentale dell'irreperibilità stessa. La stessa disciplina vale nel caso in cui risulti che
l'imputato si sia trasferito all'estero dopo l'emissione del decreto di irreperibilità;
• se il giudice o il pubblico ministero non abbiano notizia del luogo di residenza all'estero, prima di
poter emettere il decreto di irreperibilità, devono disporre ricerche sia nel territorio dello stato sia
all'estero, nei limiti consentiti dalle convenzioni internazionali.
Lo stato di irreperibilità impedisce al pubblico ministero di chiedere il giudizio immediato
“ordinario” ed impone al giudice di revocare il decreto penale di condanna.
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L’ irreperibilità e i suoi effetti
Art. 159 - Notificazioni all'imputato in caso di irreperibilità.
1. Se non è possibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dall'articolo 157, l'autorità giudiziaria
dispone nuove ricerche dell'imputato, particolarmente nel luogo di nascita, dell'ultima residenza
anagrafica, dell'ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso
l'amministrazione carceraria centrale. Qualora le ricerche non diano esito positivo, l'autorità giudiziaria
emette decreto di irreperibilità con il quale, dopo avere designato un difensore all'imputato che ne sia
privo, ordina che la notificazione sia eseguita mediante consegna di copia al difensore.
2. Le notificazioni in tal modo eseguite sono valide a ogni effetto. L'irreperibile è rappresentato dal difensore.

Secondo l’ art. 159, condizione essenziale per far luogo alla dichiarazione di irreperibilità è
l'impossibilità di eseguire la notificazione secondo le forme dettate per la notifica dell'imputato non
detenuto.
Nel caso in cui la notificazione all'imputato non detenuto non abbia avuto effetto sorge, in capo al
giudice o al pubblico ministero, l'obbligo di disporre nuove ricerche a cui provvede la polizia
giudiziaria. Tali ricerche investono, in via successiva:
a) il luogo di nascita,
b) l'ultima residenza anagrafica,
c) l'ultima dimora,
d) il luogo dove il soggetto esercita abitualmente la sua attività lavorativa,
e) nonché presso l'amministrazione carceraria centrale.
→ L'elenco dei luoghi non ha carattere tassativo.
Se le ricerche non danno esito positivo, il giudice o il pubblico ministero emettono l'apposito
decreto con cui, qualora l'imputato sia privo di difensore, si provvede, in ogni caso, a designarne
uno d'ufficio.
La notificazione va eseguita con consegna di copia dell'atto al difensore, che assume così
la rappresentanza dell'irreperibile.
Le notificazioni eseguite in questo modo sono valide ad ogni effetto.

■ Secondo l'art. 160 c.p.p. l'irreperibilità dichiarata nel corso delle indagini preliminari perde la sua
efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l'udienza preliminare ovvero, se questa
manca, con la chiusura della fase delle indagini preliminari; quindi il decreto emesso dal pubblico
ministero vale per le notificazioni disposte dal giudice.
Il decreto emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell'udienza
preliminare ovvero i decreti relativi alla notificazione del provvedimento che dispone il
giudizio, emessi dal giudice o dal pubblico ministero in caso di citazione diretta a giudizio
davanti al tribunale in composizione monocratica e nel giudizio direttissimo con imputato
libero, cessano di avere efficacia con la pronuncia di primo grado: la notificazione dell'estratto
della sentenza all'imputato contumace comporta l'emissione di un nuovo decreto.
L'efficacia del decreto emesso dal giudice di secondo grado o di rinvio cessa con la pronuncia della
sentenza. Anche nel giudizio di cassazione possono sussistere i presupposti perché si faccia luogo
al decreto di irreperibilità.
Il DECRETO DI IRREPERIBILITÀ resta sempre sottoposto alla clausola rebus sic stantibus, in
quanto meramente dichiarativo di uno stato preesistente. Ogni decreto di irreperibilità deve
essere preceduto da nuove ricerche ex art. 159.
L’elezioni di domicilio
La leale collaborazione da parte del destinatario degli atti è una condizione imprescindibile. Ne
deriva l'onere per l'imputato di determinare il luogo dove dovranno essergli notificati gli atti, con
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un'apposita dichiarazione o elezione di domicilio: la notificazione avverrà non in un luogo
astrattamente ritenuto idoneo alla conoscenza, ma in uno indicato dallo stesso imputato.

È stato affermato il principio di diritto secondo cui la dichiarazione di domicilio prevale sulla
precedente elezione, anche se non espressamente revocata, in quanto con tale dichiarazione il
destinatario ha dimostrato in modo inequivocabile di voler ricevere gli atti in luogo diverso
dal domicilio eletto.

■ L'art. 161 c.p.p. dispone che nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle
indagini o dell'imputato, non detenuti né internati, il giudice, il pubblico ministero o gli ufficiali o
agenti di polizia giudiziaria li invitano a dichiarare o a eleggere domicilio per le notificazioni.
È anche rivolto l'avvertimento che ha l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio
dichiarato o eletto e che, in mancanza di tale comunicazione, o in caso di rifiuto di
dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al
difensore (c.d. domicilio legale).
Nel verbale dovrà darsi menzione della scelta effettuata dall'imputato o dalla persona sottoposta
alle indagini.

□ Il comma 2 prevede l'invito a dichiarare o a eleggere domicilio formulato con l'informazione di


garanzia o con il primo atto notificato per disposizione dell'autorità giudiziaria.
All'imputato è dato avvertimento che deve comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o
eletto e che, in mancanza, insufficienza o inidoneità della dichiarazione od elezione, le successive
notificazioni saranno eseguite nel luogo in cui il primo atto è stato notificato, essendosi tenuto
conto che la procedura già una volta è andata a buon fine (c.d. domicilio determinato).
Ne deriva che l'autorità giudiziaria non è chiamata a ripetere l'invito quando la dichiarazione
o l'elezione ovvero il relativo rifiuto siano avvenuti in un momento in cui l'addebito era
estremamente fluido, come quando il primo contatto sia avvenuto con la polizia giudiziaria.
Se la notificazione nel domicilio determinato ex art. 161 comma 2 diviene impossibile, si
provvede con consegna al difensore, che assume la veste di semplice consegnatario.
Lo stesso quando la dichiarazione o l'elezione di domicilio manchino o siano insufficienti o
inidonee, ma valgono le garanzie ex art. 157 e 159 qualora, per caso fortuito o forza maggiore,
l'imputato non sia stato in grado di comunicare il mutamento del luogo dichiarato eletto. La
consegna al difensore resta l'extrema ratio.

□ Il comma 3 prevede modalità analoghe per l'imputato scarcerato per una causa diversa dal
proscioglimento definitivo o dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza.
■ L'art. 162 c.p.p. fornisce un elenco tassativo delle forme con cui è comunicato il domicilio
dichiarato o eletto, consistono in:
a. una comunicazione all'autorità procedente,
b. dichiarazione raccolta a verbale, anche dalla cancelleria del tribunale fuori sede,
c. ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata muniti di sottoscrizione autenticata.
Tra i soggetti abilitati all'autentica c'è il difensore.
L'elezione, la dichiarazione o il mutamento di domicilio esplicano i loro effetti dal momento in
cui giungono a conoscenza dell'autorità giudiziaria procedente, nel frattempo restano valide le
notificazioni disposte nel domicilio precedentemente eletto.

■ L'art. 164 c.p.p. prevede che la determinazione del domicilio dichiarato o eletto vale per ogni stato
e grado del procedimento, salvo che l'imputato sia sottoposto, in seguito, a detenzione o che si tratti
di ricorso per cassazione.
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La notificazione a soggetti diversi dall’imputato

■ L'art. 153 c.p.p. ammette le parti e i difensori ad eseguire direttamente la notificazione al pubblico
ministero con la semplice consegna di copia dell'atto nella segreteria del pubblico ministero.
Il comma 2 equipara alla consegna della copia nella relativa segreteria alla diretta presa
visione dell'atto ad opera del pubblico ministero, seguita dalla sottoscrizione.

■ L'art. 154 c.p.p. disciplina la notificazione alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile
civile ed al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, per i quali valgono, in linea generale, le
forme prescritte per la prima notificazione all'imputato non detenuto.
Sono introdotte due DEROGHE alla disciplina delle notificazioni ex art. 157:
o una relativa alla tutela della riservatezza,
o l'altra relativa al doppio accesso da parte dell'ufficiale giudiziario, cui si aggiunge
una previsione circa i casi di irreperibilità, di resistenza o dimora all'estero.
In questi casi la notificazione si dà per avvenuta con il deposito in cancelleria (se
l'offeso, dall'estero, non abbia dichiarato o eletto domicilio nel territorio dello Stato).
Se la persona offesa si avvale, ex art. 101, della nomina di un difensore, questo, per
ragioni di economia e celerità, assume la funzione di domiciliatario ex lege. La revoca
della nomina del difensore non seguita da sostituzione con un altro, determina il ripristino
delle formule ex art. 154.
□ comma 4 le notificazioni alla parte civile, la quale deve nominare un difensore all'atto della
costituzione, vengono eseguite presso tale difensore, che cumula il ruolo di domiciliatario.
Lo stesso vale per il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria; se
questi, dopo esser stati citati non hanno provveduto a costituirsi, hanno l'onere di dichiarare o
eleggere il proprio domicilio nel luogo in cui si procede; diversamente le notificazioni sono
eseguite mediante deposito in cancelleria.
□ comma 3 prevede che se i destinatari sono pubbliche amministrazioni, persone giuridiche o
enti privi di personalità giuridica, le notificazioni seguono le regole del rito civile.
■ L'art. 155 c.p.p. disciplina i casi in cui per il numero elevato delle persone offese o per
l'impossibilità di identificarne alcune, la notificazione ex art. 154 è difficile, rimandando
all'autorità giudiziaria il potere di disporre l'impiego di un meccanismo simile a quello delle
notificazioni per pubblici proclami: la notificazione per pubblici annunci.
Questa è disposta dall'autorità giudiziaria, con decreto steso in calce all'atto dove sono
indicati i modi ritenuti opportuni per portare l'atto a conoscenza degli interessati.
Copia dell'atto è depositata nella casa comunale del luogo dove si trova l'autorità
procedente ed un estratto dell'atto è inserito nella Gazzetta Ufficiale.
La notificazione si ha per avvenuta quando l'ufficiale giudiziario deposita una copia
dell'atto nella segreteria o nella cancelleria dell'autorità procedente, con la relazione di
notifica e i documenti significativi.

■ L'art. 167 c.p.p. nei confronti dei difensori, testimoni, periti, interpreti, consulenti tecnici, custodi di
cose sequestrate, procuratori e curatori speciali, mantiene il richiamo alla disciplina della prima
notificazione all'imputato non detenuto, ma non operano le regole dettate per la riservatezza e per il
doppio accesso.

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La relazione di notificazione e le cause di nullità.

Art. 168 - Relazione di notificazione.


1. Salvo quanto previsto dall'articolo 157 comma 6, l'ufficiale giudiziario che procede alla notificazione scrive,
in calce all'originale e alla copia notificata, la relazione in cui indica l'autorità o la parte privata
richiedente, le ricerche effettuate, le generalità della persona alla quale è stata consegnata la copia, i suoi
rapporti con il destinatario, le funzioni o le mansioni da essa svolte, il luogo e la data della consegna della
copia, apponendo la propria sottoscrizione.
2. Quando vi è contraddizione tra la relazione scritta sulla copia consegnata e quella contenuta nell'originale,
valgono per ciascun interessato le attestazioni contenute nella copia notificata.
3. La notificazione produce effetto per ciascun interessato dal giorno della sua esecuzione.

■ L'art. 168 c.p.p. prevede che nella relazione, scritta in calce all'originale ed alle singole copie
notificate, l'ufficiale giudiziario indichi:
a. il richiedente,
b. le ricerche effettuate,
c. le generalità della persona a cui è stata consegnata la copia e, quando la notificazione non
avvenga in mani proprie, i rapporti tra destinatario e consegnatario, le funzioni e le mansioni
svolte da questo,
d. il luogo e la data della consegna.

Appone la propria sottoscrizione al fine di attestare la paternità dell'atto.


La relazione non fa prova, fino a querela di falso, di quanto l'ufficiale attesti di aver fatto o di
essere avvenuto in sua presenza: il giudice ne valuta liberamente il contenuto.
Quando si profili un contrasto tra la relazione scritta sulla copia consegnata e quella
sull'originale, valgono per ciascun interessato le attestazioni contenute nella copia
notificata.
□ Il comma 3 precisa che la notificazione produce effetto per ciascun interessato dal giorno della
sua esecuzione, ma vi sono eccezioni: se il termine per impugnare decorre diversamente per
l'imputato e per il suo difensore, vale per entrambi quello che scade per ultimo (art. 585).
L'art. 170 c.p.p. prevede le notificazioni effettuate con l'ausilio degli uffici postali, alternativa
ammessa nei modi stabiliti dalle relative leggi speciali.
Tale notificazione è valida anche se eseguita tramite un ufficio postale diverso da quello a
cui, inizialmente, il piego era diretto. Se l'ufficio postale restituisce il piego per irreperibilità
del destinatario, all'ufficiale giudiziario spetta provvedere secondo le forme ordinarie.

Art. 171 - Nullità delle notificazioni.


1. La notificazione è nulla:
a) se l'atto è notificato in modo incompleto, fuori dei casi nei quali la legge consente la notificazione per
estratto;
b) se vi è incertezza assoluta sull'autorità o sulla parte privata richiedente ovvero sul destinatario;
c) se nella relazione della copia notificata manca la sottoscrizione di chi l'ha eseguita;
d) se sono violate le disposizioni circa la persona a cui deve essere consegnata la copia;
e) se non è stato dato l'avvertimento nei casi previsti dall'art. 161 commi 1, 2, 3 e la notificazione è stata
eseguita mediante consegna al difensore;
f) se è stata omessa l'affissione o non è stata data la comunicazione prescritta dall'articolo 157 comma 8;
g) se sull'originale dell'atto notificato manca la sottoscrizione della persona indicata nell'articolo 157 .
3;
h) se non sono state osservate le modalità prescritte dal giudice nel decreto previsto dall'articolo 150 e l'atto
non è giunto a conoscenza del destinatario.

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■ L'art. 171 c.p.p. prevede le CAUSE DI NULLITÀ DELLE NOTIFICAZIONI, da integrarsi
comunque con quelle generali previste dall'art. 178, nonché con le ipotesi di inesistenza vera e
propria.
Sono causa di nullità:
a. l'atto notificato in modo incompleto, salvo che sia consentito l'estratto;
b. l'incertezza assoluta circa il richiedente o il destinatario;
c. il difetto nella relazione della copia notificata della sottoscrizione di chi l'ha eseguita;
d. la violazione delle disposizioni circa la persona a cui la copia deve essere
consegnata, secondo l'ordine prescritto;
e. la mancanza dell'avvertimento, da parte del giudice o del direttore dell'istituto, nei casi
ex art. 161, sempre che la notificazione sia stata eseguita con consegna al difensore;
f. dopo il deposito nella casa comunale, l'omessa affissione sulla porta dell'imputato o la
mancata comunicazione ex art. 157 co 8;
g. la mancanza sull'originale dell'atto notificato della sottoscrizione del portiere o di chi
ne fa le veci;
h. l'inosservanza delle modalità fissate dal giudice nel decreto motivato con cui è stata
disposta una forma particolare di notificazione, purché l'atto non sia giunto a
conoscenza del destinatario.
Se lo scopo conoscitivo viene raggiunto, l'invalidità non si verifica.
La mancata indicazione della data della consegna nella relazione dell'ufficiale giudiziario dà luogo a
responsabilità disciplinare.

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0
Le regole generali in materia di termini

I termini processuali assegnano dei limiti cronologici all'attività dei soggetti del procedimento
e determinano la cessazione degli effetti dell'atto (c.d. caducazione).
I termini possono classificarsi come:
 DILATORI, fanno si che un atto non possa compiersi o produrre effetti prima che il relativo
termine sia decorso, generano così un effetto inibitorio dell'attività dei soggetti del
procedimento; es. termine di comparizione. Se l'atto viene egualmente compiuto risulterà, di
regola, affetto da nullità;
 ACCELERATORI, stimolano l'evolversi del procedimento o di situazioni a questo collegate;
es. termine per proporre querela; predeterminano un periodo di tempo utile per il
compimento dell'atto o il mantenimento della sua efficacia.

Può capitare che uno stesso termine assuma un'efficacia diversa in funzione dell'attività dei soggetti
del procedimento cui si riferisce.
In base alle conseguenze ricollegate, i termini possono essere:
o ORDINATORI, quelli le cui conseguenze sono prive di rilevanza di natura processuale,
salvi restando eventuali riflessi disciplinari; es. termini per il deposito della sentenza;
o PERENTORI, i termini la cui scadenza comporta la perdita del potere di compiere l'atto al
quale ineriscono oppure la cessazione degli effetti dello stesso; l'inosservanza di questi
termini è riportata alla sanzione della decadenza dal corrispondente potere, salva la
restituzione nel termine scaduto.

A volte i termini sono stabiliti in relazione a determinati accadimenti, più spesso ad unità di tempo.

■ L'art. 172 c.p.p. detta le regole generali della disciplina dei termini.
La scadenza del termine in un giorno festivo comporta una proroga ex lege al giorno successivo.
Non hanno invece rilievo i giorni festivi durante il decorso del termine, salvo
sia diversamente disposto.
Nel computare i termini stabiliti ad ore o a giorni non si ha riguardo alla frazione di ora o giorno
immediatamente successiva all'avvenimento considerato, mentre si conteggia l'ultima ora o l'ultimo
giorno designato. Tale regola è comunque derogabile.
Se è stabilito solo il momento finale, le unità di tempo si computano intere e libere, non si tiene
conto né del dies a quo né del dies ad quem.
Il termine perentorio per fare dichiarazioni, depositare documenti o compiere altri atti in un ufficio
giudiziario si considera scaduto nel momento in cui, secondo gli appositi regolamenti, l'ufficio
viene chiuso al pubblico, a prescindere dall'orario di servizio del personale addetto.

Tale norma riguarda solo gli atti da compiere personalmente e non quelli che possono essere
trasmessi a mezzo di raccomandata o telegramma.
In base all'art. 583 l'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della
raccomandata o del telegramma.

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■ L'art. 173 c.p.p. prevede che i termini previsti a pena di decadenza siano indicati tassativamente
dalla legge.
Benché tra i motivi di ricorso per cassazione ex art. 606, la decadenza non si risolve in una specie
di invalidità degli atti del procedimento. La decadenza consiste nella perdita del potere di compiere
l'atto per l'avvenuto decorso del relativo termine.
Talvolta il legislatore ricollega alla decadenza l'inammissibilità dell'atto realizzato a termine
scaduto, altre volte pone, a pena di inammissibilità dell'atto l'osservanza degli stessi.
L'inammissibilità è un vizio dell'atto, integra una species del genus dell'invalidità.
Secondo la dottrina più autorevole, tra la previsione a pena di decadenza e quella a pena di
inammissibilità non corre differenza quanto alla loro natura, trattandosi di due aspetti dello
stesso fenomeno. Da qui l'espandersi agli atti inammissibili per l'inutile decorso del tempo
della disciplina operante per la decadenza, compresa la restituzione nel termine.

I termini stabiliti a pena di decadenza sono IMPROROGABILI, salve diverse disposizioni di legge:
a) proroghe accordate dal Ministro della giustizia in rapporto ad eventi di carattere
eccezionale,
b) proroga dei termini per le indagini preliminari e proroga dei termini per la
custodia cautelare, richieste dal pubblico ministero al giudice.
L'abbreviazione del termine è un istituto chiesto o consentito dalla parte a favore della quale è
stabilito, con dichiarazione ricevuta nella cancelleria o nella segreteria dell'autorità procedente.
La proroga è l'istituto che presuppone la pendenza di un termine già in corso, posticipandone la
relativa scadenza.
Il prolungamento dei termini di comparizione, ex art. 174, scatta invece fin dal momento
della fissazione del termine dilatorio ordinario, indipendentemente dalla circostanza che
questo sia o no prorogato.

■ L'istituto della SOSPENSIONE DEI TERMINI non è considerato nel Titolo VI del c.p.p.
Per la durata della fase delle indagini preliminari un caso di sospensione dei termini si ha:
o ex art. 70 comma 3, riguardo all'espletamento della perizia volta a stabilire se la persona
sottoposta alle indagini sia in grado di partecipare coscientemente al processo;
o ex art. 405 comma 4 con riguardo al tempo intercorrente fra la richiesta di autorizzazione a
procedere ed il momento in cui la stessa perviene al pubblico ministero.
o Per la durata della custodia cautelare i casi di sospensione sono previsti all'art. 304.
o Art. 240-bis disp. att. si ha sospensione dei termini processuali in materia penale durante il
periodo feriale, dal 1 agosto al 15 settembre di ogni anno.
Tale istituto si estende anche al procedimento di esecuzione e a quello di sorveglianza. Non
riguarda l'attività del giudice; nel periodo feriale può essere depositata la motivazione di un
provvedimento, ma il dies a quo per impugnarlo decorre dalla cessazione di tale periodo.

La sospensione dei termini procedurali (quindi comprensivi di quelli stabiliti per le indagini
preliminari) non opera nei procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare, qualora
essi o i loro difensori rinuncino inequivocabilmente ad avvalersene.
In ogni caso, la sospensione dei termini di durata delle indagini preliminari non scatta
nei procedimenti per reati di criminalità organizzata, investendo anche i termini delle
impugnazioni in materia di misure cautelari personali.

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Se si tratta di procedimenti per reati la cui prescrizione matura durante la sospensione feriale o nei
successivi 45 giorni, ovvero se durante tale termine scadono o sono prossimi a scadere i termini per
la custodia cautelare, il giudice che procede, anche d'ufficio, pronuncia ordinanza inoppugnabile,
ma revocabile, con cui è specificamente motivata e dichiarata l'urgenza del processo.
In tal caso i termini decorrono, anche nel periodo feriale, dalla data di notificazione dell'ordinanza.

La sospensione dei termini non opera nei casi ex art. 467, cioè in caso di atti non rinviabili
al dibattimento.
Se nel corso del dibattimento sospeso si presenta la necessità di assumere prove nel periodo
feriale, il presidente procede ex art. 467. Nel caso in cui la prova non fosse già stata
ammessa, il giudice provvede nella prima udienza successiva ex art. 495 e le prove
dichiarate inammissibili non possono essere utilizzate.

Durante le indagini preliminari, quando occorra procedere con la massima urgenza nel periodo
feriale al compimento di atti per i quali operi la sospensione di tali termini, il giudice per le
indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, della persona sottoposta ad indagini o del
suo difensore, pronuncia ordinanza nella quale sono specificatamente enunciate le ragioni
dell'urgenza e la natura degli atti da compiere.
Allo stesso modo provvede il pubblico ministero, con decreto motivato, quando deve procedere al
compimento di accertamenti tecnici non ripetibili.
In questi casi, gli avvisi notificati ai soggetti del procedimento ed ai difensori devono
menzionare l'ordinanza o il decreto, e i relativi termini decorrono dalla data di notificazione.
Deve trattarsi di atti per i quali operino le garanzie difensive.

La restituzione del termine


(e la soppressione del processo contumaciale)
L'art. 175 c.p.p. disciplina l'istituto della RESTITUZIONE DEL TERMINE, rimedio
eccezionale a situazioni in cui un impedimento abbia determinato l'estinzione di un potere,
essendo decorso il termine perentorio stabilito per il suo esercizio.
Alla base dell'istituto c'è l'interesse a far in modo che le parti possano esercitare
effettivamente i diritti loro attribuiti dalla legge.

I soggetti titolari del diritto ad ottenere la restituzione nel termine sono le parti ed i difensori.
La legittimazione del difensore a richiedere la restituzione può essere originaria o
dipendente dal mandato, in ragione della tipologia di situazioni.
Nella fase delle indagini preliminari si ritiene legittimata anche la persona offesa.
La giurisprudenza esclude che l'istituto possa essere invocato per presentare la
querela: l'aspirante querelante non è parte e la querela non è un atto del
procedimento, essendo anteriore al suo inizio.
In teoria è ammissibile la richiesta del querelante in vista dell'impugnazione del
capo di sentenza relativo alla condanna alle spese e ai danni.

La legge richiede la PROVA ASSOLUTA che non si è potuto osservare un termine stabilito a
pena di decadenza per caso fortuito o forza maggiore.

La restituzione nel termine si articola in due ipotesi della portata e soprattutto dalla matrice storica, ben
diverse.
1) La prima è quella per così dire ordinaria, e presuppone ai sensi dell’articolo 175 comma 1°, la prova
assoluta che non si è potuto osservare un termine stabilito a pena di decadenza per casofortuito o
forza maggiore. Il termine per proporre la richiesta di restituzione nel termine e, nei casi in parola,
di 10 giorni che decorrono in virtù del secondo periodo dell’articolo 175 comma 1°, da quello nel
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quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore.
2) La seconda ipotesi, nella versione originaria dell'articolo 175 comma 2°, scattava allorquando fosse
stata pronunciata sentenza contumaciale ovvero un decreto penale di condanna, prevedendosi il
diritto alla restituzione nel termine per proporre impugnazione od opposizione a favore dell’imputato
che avesse provato di non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento. A seguito della l.
67/2014 che ha eliminato la figura della contumacia nel nostro sistema, questo comma è stato
sostituito per cui ad oggi si prevede che può ottenere la restituzione nel termine l’imputato
condannato con decreto penale che non ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento.
□ Il comma 2-bis prevede che il termine per proporre la richiesta di restituzione sia, a pena di
decadenza, entro 30 giorni dal momento in cui l'imputato ha acquisito effettiva conoscenza del
provvedimento.
Se l'imputato deve essere estradato all'estero, il termine per la presentazione della
richiesta decorre dal giorno in cui l'imputato condannato è stato consegnato all'autorità
giudiziaria italiana.
Sono però passibili di illegittimità costituzionale il fatto che il diritto di ottenere la
restituzione nel termine non consegue al diritto di adire al giudizio abbreviato o di
richiedere l'applicazione della pena, trattandosi di procedimenti speciali non
praticabili nei giudizi di impugnazione: da qui emerge una disparità di trattamento
destinata a ripercuotersi sull'eventuale regime sanzionatorio.
Altro profilo passibile di illegittimità relativo al diritto di difesa è che il contumace
inconsapevole non gode, nel giudizio di appello, del diritto alla rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale.

□ Il comma 3 prescrive che la restituzione nel termine non può esser concessa più di una volta per
ciascuna parte in ciascun grado.
L'organo competente a pronunciarsi sulla richiesta di restituzione è :
a) nella fase anteriore all'esercizio dell'azione penale il giudice delle indagini preliminari;
b) esercitata l'azione penale, decide il giudice procedente ovvero, se è stata pronunciata
sentenza di condanna, il giudice che sarebbe competente sull'impugnazione o
sull'opposizione a decreto penale.
Si applica il procedimento camerale ex art. 127 ogni volta che la richiesta di restituzione nel
termine si inserisce in un procedimento principale in corso di svolgimento con rito camerale.

L'ordinanza che concede la restituzione nel termine è INOPPUGNABILE, salvo quella per
proporre impugnazione o opposizione: in questi casi l'impugnazione dell'ordinanza è differita,
perché congiunta a quella della sentenza che decide sull'impugnazione o sull'opposizione; se la
richiesta è respinta, è proponibile ricorso per cassazione.

Accolta la richiesta, il termine ricomincia a decorrere nella sua misura originaria: se


si trattava del termine per proporre impugnazione, il giudice ordina, quando occorra,
la scarcerazione dell'imputato.
Nei casi in cui la restituzione sia concessa ex art. 175 comma 2, è prevista una sorta
di neutralizzazione dei termini per la prescrizione del reato relativamente al tempo
intercorso fra la notifica del decreto di condanna e l'avviso di deposito all'imputato
dell'ordinanza che lo restituisce nel termine (art. 175 comma 8).

In base all'art. 176 c.p.p., gli effetti della restituzione nel termine non comportano regressioni di
rito. Gli atti, su richiesta di parte, sono rinnovati dal giudice che ha concesso la restituzione, se ciò è
possibile e sempre che si tratti di atti ai quali la parte avesse diritto ad assistere.

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Se la restituzione è accordata dalla corte di cassazione, questa può disporre la rinnovazione
dell'atto, ma al relativo adempimento provvederà il giudice di merito.

Invalidità degli atti

Nel processo penale gli atti sono, in maggioranza, a forma vincolata.


La perfezione dell'atto (cioè la conformità allo schema tipico) e la sua efficacia (cioè l'attitudine
a produrre effetti giuridici) si implicano reciprocamente.
In teoria, la mancanza anche di un solo elemento della fattispecie non dovrebbe consentire la
produzione dei relativi effetti, tuttavia l'ordinamento non decreta l'invalidità (e quindi l'inefficacia)
di ogni difformità, ritenendo che alcune di esse siano irrilevanti, e quindi delineando una mera
irregolarità. L'atto difficilmente può dirsi inefficace.

Vige il principio di conservazione degli atti imperfetti: l'atto, pur dando vita ad una diversa
fattispecie, diviene idoneo a produrre effetti, anche se questi assumono carattere precario, in
attesa di una sanatoria del vizio o di una declaratoria di invalidità dell'atto.
La sanatoria del vizio dà vita ad un'altra fattispecie, equivalente, relativamente agli effetti, a
quella viziata, ma integrata da altri fattori, detti cause di sanatoria, perché, verificandosi,
consolidano ex tunc gli effetti dell'atto.
Quando l'invalidità è dichiarata dal giudice, l'attività del giudice provoca, sempre ex
tunc, l'eliminazione degli effetti dell'atto.

Sono specie di invalidità:


A) inesistenza,
B) nullità, → ma non la decadenza.
C) inammissibilità,
D) inutilizzabilità , L'art. 191 comma 2 sancisce la rilevabilità in ogni stato e grado del
procedimento, anche d'ufficio, della inutilizzabilità.

INESISTENZA
L'inesistenza genera un vizio rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, compreso quello
di esecuzione, ma anche oltre, con un'azione di accertamento, in quanto la gravità di questo vizio
è tale da impedire la formazione del giudicato.
In caso di abnormità del provvedimento del giudice, l'atto è idoneo ad integrare lo schema
normativo minimo, ma il suo contenuto è estemporaneo, sul piano strutturale e su quello funzionale;
ad es. la trasmissione degli atti al pubblico ministero motivata dall'esigenza di rinnovare il
decreto di citazione a giudizio, che spetta allo stesso giudice del tribunale in
composizione monocratica.
L'inesistenza pone rimedio alla tassatività delle cause di nullità, l'abnormità pone invece rimedio
alla tassatività oggettiva delle impugnazioni, rendendo ammissibile un autonomo ricorso per
cassazione o la rilevazione ufficiosa da parte del giudice dell'impugnazione ritualmente
investito.
L'abnormità è assoggettata agli ordinari termini di impugnazione, sicché perde rilevanza
a seguito della formazione del giudicato a differenza dell’inesistenza.

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NULLITA’
Le disposizioni in tema di nullità sono caratterizzate dal principio di tassatività.
L'art. 177 riporta tale principio all'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del
procedimento, comprese quelle relative alla fase delle indagini preliminari, quindi anche agli
atti compiuti dal pubblico ministero.
All'interprete non è consentito ricorrere all'integrazione analogica, facendo leva sulle
disposizioni che creano ipotesi di nullità, e neanche, una volta accertata la causa di nullità,
valutare l'esistenza di un conseguente pregiudizio effettivo.
Essendo le nullità un sistema chiuso, fuori dalle ipotesi esplicitamente definite o
implicitamente definibili, non vi sono spazi residui per tale invalidità.
I vizi della volontà considerati dal c.c. non sono riferibili agli atti processuali penali data
l'autosufficienza del relativo sistema delle nullità: un atto, anche se inficiato da violenza o
minaccia, è processualmente valido. Al più gli interrogatori dell'imputato e le prove affette da vizi
della volontà conseguenti all'adozione di metodi o tecniche idonee ad influire sulla libertà di
autodeterminazione, rientrano nell'ambito dell'inutilizzabilità.
Caso diverso quando l'assoluto difetto sia conseguenza di una coazione fisica, essendo la
volontarietà il coefficiente psichico minimo di ogni atto processuale penale
inesistenza giuridica
Gli errores in iudicando non rientrano tra le nullità, per quanto motivi di autonomo ricorso per
cassazione, quindi la loro disciplina si ricava dai poteri di impugnazione delle parti e dei poteri di
annullamento conferiti al giudice dell'impugnazione stessa. Anche gli errores in iudicando entrano
a far parte delle cause di invalidità, dati i tempi, i modi in cui sono fatti valere, la loro sanabilità e la
natura degli effetti conseguenti la loro declaratoria.
Le altre difformità rientrano tra le mere irregolarità, produttive al più di conseguenze di natura
disciplinare ex art. 124 o ricavabili tramite altri rami dell'ordinamento, a meno che non rientrino
nelle invalidità date dall'inesistenza giuridica, che comprende vizi tali da indurre il legislatore a
non ipotizzarne neanche l'eventualità e l'interprete a negarne la collocazione tra gli atti giuridici.
L’errore materiale segue una propria disciplina ex art 130
INAMMISSIBILITA’
I requisiti la cui assenza produce l'inammissibilità sono vari: può derivare dal compimento dell'atto
nonostante la scadenza del relativo termine perentorio, dalla titolarità o dalla forma della domanda,
dall'omissione di alcuni contenuti della stessa, ovvero dalla sussistenza di un certo rapporto con un
altro atto.
L'inammissibilità è oggetto di un autonomo motivo di ricorso per cassazione ed è
dichiarabile d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, senza altra sanatoria se non il
giudicato, a meno che non siano espressamente previsti limiti temporali alla sua rilevazione.
L'inutilizzabilità non è disciplinata nel libro II, nonostante sia motivo di ricorso per
cassazione come la nullità e la decadenza.
L'inutilizzabilità non riguarda tutti gli atti del procedimento ma solo gli atti probatori e gli atti delle
indagini preliminari. Ogni ipotesi di inutilizzabilità è funzionale ad una esigenza di tutela della
legalità della prova. Non è stato enunciato un principio di tassatività relativamente
all'inutilizzabilità.
Si ritiene che le ipotesi di inutilizzabilità integrino un numero chiuso anche rispetto alla
fase dibattimentale, posto che la regola ex art. 526, secondo cui il giudice non può
utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite al
dibattimento, vale per tutte e sole le violazioni relative al procedimento di ammissione o di
assunzione della prova nella stessa fase dibattimentale.
L'inutilizzabilità è, solitamente, di natura assoluta perché proveniente da un vero e proprio divieto

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di ammissione o di acquisizione valido nei confronti di chiunque, mentre solo talvolta assume
natura relativa, in quanto riferita a determinate categorie di soggetti (intercettazioni di regola non
sono utilizzabili in un procedimento diverso da quello per cui sono state disposte).
Le Sezioni unite hanno recentemente ritenuto che la sanzione di inutilizzabilità operi anche nel
procedimento volto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, di conseguenza
l'inutilizzabilità della prova dichiarata nel procedimento di cognizione comporta il divieto di trarre
dalla stessa elementi circa il dolo o la colpa grave che possono impedire il riconoscimento al
prosciolto dell'equa riparazione ex art. 314, indipendentemente dalla natura civilistica o penalistica
assegnata al procedimento de quo.
È rilevabile in ogni stato e grado del procedimento.
Il principio di tassatività della nullità e la tecnica di previsione Non contrasta con il
principio di tassatività il fatto che alcune nullità siano ricavabili da una disposizione
generale che rinvia ad una serie di fattispecie altrove disciplinate.
L'art. 178 c.p.p. è dedicato alle nullità di ordine generale; prescrive a pena di nullità l'osservanza di
alcune disposizioni concernenti il giudice, il pubblico ministero, l'imputato (comprendente colui
che è sottoposto alle indagini), le altre parti private, i loro difensori e rappresentanti, nonché la
citazione a giudizio della persona offesa dal reato e del querelante.
Alle nullità di ordine generale si contrappongono le nullità speciali, stabilite da un'apposita
previsione legislativa. Non sempre però la previsione in termini specifici comporta, di per
sé, il regime consueto delle nullità speciali.
La distinzione tra nullità di ordine generale e nullità di ordine speciale allude alla
differenza tecnica di comminatoria adottata dal legislatore; quando si parla di nullità
assolute, intermedie o relative, si allude al regime di trattamento previsto dalla legge per le
diverse specie di nullità.
Le nullità assolute
Art. 179 - Nullità assolute.
1. Sono insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità previste
dall'articolo 178 comma 1 lettera a), quelle concernenti l'iniziativa del pubblico ministero
nell'esercizio dell'azione penale (lett b) e quelle derivanti dalla omessa citazione dell'imputato o
dall'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza.
2. Sono altresì insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità
definite assolute da specifiche disposizioni di legge.

Art. 179 c.p.p. le nullità assolute sono insanabili, anche se questo non è un carattere esclusivo di tali
nullità. Sono sottoposte alla forza preclusiva del giudicato, all'irrevocabilità della sentenza e
all'immutabilità dell'ordinanza o del decreto che chiude il procedimento.
L'art. 627 comma 4 prevede che non sono rilevabili nel giudizio di rinvio le nullità assolute
verificatesi anteriormente in forza del giudicato implicito; si deve quindi ritenere che ciò
che distingue le nullità assolute da tutte le altre sia il normale regime di insanabilità fino
all'irrevocabilità del giudicato.
Altra caratteristica delle nullità assolute è che sono rilevabili d'ufficio dal giudice in ogni stato
e grado del procedimento, anche se non è esclusiva delle nullità assolute, essendo comune
anche alle nullità a regime intermedio.
□ Le nullità assolute relative al GIUDICE coincidono con le nullità di ordine generale: è causa
di nullità assoluta l'inosservanza delle disposizioni circa le condizioni di capacità del giudice e
il numero dei giudici necessari a costituire i collegi giudicanti. Non sono nullità assolute i vizi
sulla nomina del giudice, ove non rientranti nell'ambito della capacità.
□ Le nullità assolute relative al PUBBLICO MINISTERO sono quelle, tra le nullità generali, circa
l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale. Sono riconducibili al regime
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delle nullità assolute :
a) le violazioni di disposizioni circa l'atto di promuovimento dell'azione penale, con
riferimento sia alla sua mancanza che alla sua invalidità (art. 405);
b) le nullità circa l'imputazione coatta e circa la contestazione in udienza del reato commesso o
del fatto nuovo,
c) nonché circa la citazione diretta a giudizio nel procedimento davanti al tribunale
in composizione monocratica.
Si ha nullità assoluta quando il giudice decide sul fatto nuovo emerso nell'udienza preliminare o nel
corso dell'istruzione dibattimentale senza che tale fatto sia stato formalmente contestato dal
pubblico ministero, oppure quando il fatto storico descritto nell'imputazione viene sostituito con un
altro fatto.
□ Tra le nullità assolute rientrano le violazioni delle disposizioni sulla capacità e sulla legittimazione
del rappresentante del pubblico ministero, purché si riflettano sulla sua iniziativa nell'esercizio
dell'azione penale.
Circa le violazioni della disposizione sulla capacità del rappresentante del pm, si
considerino ad esempio le norme sulla delega nominativa a svolgere le funzioni di
pubblico ministero nell'udienza dibattimentale davanti al tribunale in composizione
monocratica a favore di un uditore giudiziario, di un vice procuratore onorario addetto
all'ufficio o di personale in quiescenza da non più di due anni che nei 5 anni precedenti
abbia svolto le
funzioni di polizia giudiziaria, o di laureati in giurisprudenza che frequentino il secondo
anno della scuola biennale di specializzazione, sempre che uno di questi abbia compiuto un
atto di esercizio dell'azione penale.
Circa le violazioni delle disposizioni sulla legittimazione del rappresentante del pubblico
ministero, si consideri il promuovimento dell'azione davanti ad un giudice diverso da
quello presso cui l'ufficio del pubblico ministero è istituito.

L'intervento dell'imputato è garantito nei confronti delle nullità che derivano dall'omessa citazione
al dibattimento di primo grado, anche quando sia tenuto a seguito di giudizio direttissimo
instaurato nei confronti dell'imputato libero o in caso di giudizio immediato, e al dibattimento di
secondo grado.
Le Sezioni unite hanno ravvisato una nullità assoluta nell'omesso avviso per l'udienza preliminare.
□ Circa il DIFENSORE DELL'IMPUTATO, si ha nullità assoluta quando è assente dal dibattimento
di primo e di secondo grado, in modo da ribadire l'indefettibilità dell'assistenza tecnica nel giudizio
di merito, e in ogni altra ipotesi rispetto alla quale ne sia dichiarata obbligatoria la presenza; ad
esempio l'assenza del difensore all'interrogatorio di persona sottoposta a misura cautelare personale; le sommarie
informazioni che la polizia giudiziaria assume dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini;
l'interrogatorio e il confronto, delegati al pubblico ministero dalla polizia giudiziaria, cui partecipi la persona sottoposta
alle indagini che si trovi in stato di libertà; l'udienza di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo di indiziati;
l'udienza destinata allo svolgimento dell'incidente probatorio; l'udienza preliminare nonché quella in cui è celebrato il
giudizio abbreviato; l'udienza tenuta ai fini del proscioglimento prima del dibattimento; l'udienza tenuta in camera di
consiglio, nel giudizio d'appello, quando si rinnovi l'istruttoria dibattimentale; l'udienza nel procedimento di esecuzione
e di sorveglianza; l'udienza davanti alla corte d'appello nel procedimento di estradizione passiva.
In questi casi l'incapacità o l'incompatibilità del difensore dell'imputato genera una nullità assoluta.
□ comma 2 riconosce l'esistenza di nullità a previsione speciale, definite espressamente assolute.
Esempio è l'art. 525 comma 2, che stabilisce che alla deliberazione della sentenza devono
concorrere gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento, pena la nullità assoluta.
Le nullità intermedie
Art. 180 - Regime delle altre nullità di ordine generale.
1. Salvo quanto disposto dall'articolo 179, le nullità previste dall'articolo 178 sono rilevate anche di
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ufficio, ma non possono più essere rilevate né dedotte dopo la deliberazione della sentenza di
primo grado ovvero, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del
grado successivo.
L'art. 180 c.p.p. prevede altre nullità generali che non siano assolute, ma INTERMEDIE, in quanto in
posizione mediana rispetto al trattamento delle nullità assolute e quello delle nullità relative .
Le nullità intermedie sono rilevabili d'ufficio come le nullità assolute, ma sono sanabili in
un momento anteriore all'irrevocabilità della sentenza come le nullità relative.
Le nullità a regime intermedio non possono essere né rilevate né dedotte :
a) se verificatesi prima del giudizio, dopo la deliberazione della sentenza di primo grado,
b) se verificatesi nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo.
Il riferimento alla deliberazione implica che in camera di consiglio, al momento della
deliberazione, il giudice può rilevare una nullità la cui deduzione non è più consentita alle parti:
per le parti vale il termine della chiusura del dibattimento o della chiusura della discussione,
quando si proceda in camera di consiglio.
Vale il principio per cui una nullità, quando sia stata tempestivamente dedotta ma non
dichiarata dal giudice, risulta in via automatica devoluta al giudice dell'impugnazione,
senza che debba essere oggetto dei relativi motivi di impugnazione  perpetuatio
nullitatis.
Per ragioni sistematiche si propende ad applicare tale principio anche nei giudizi per
cassazione, nonostante la previsione ex art. 609 comma 2 secondo la quale la corte
conosce le sole questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo.
Ad esclusione delle nullità riferibili al giudice, che sono tutte assorbite nelle nullità assolute, le
nullità intermedie si ricavano per sottrazione delle nullità assolute ex art. 179 dalle nullità generali
ex art. 178. Non ci sono quindi nullità speciali sottoposte al regime delle nullità intermedie .
- Rientra tra le nullità intermedie l'inosservanza delle disposizioni circa la partecipazione del
pubblico ministero al procedimento, sempre che non rientrino nell'iniziativa all'esercizio
dell'azione penale; in particolare l'attività di prosecuzione dell'azione: rimane inficiata da
nullità intermedia l'inosservanza delle disposizioni circa la modifica dell'imputazione
nell'udienza preliminare o nel dibattimento, ovvero circa l'applicazione della pena richiesta
quando si prevede il necessario consenso del pubblico ministero.
- L'assenza del pubblico ministero in relazione a sequenze procedimentali in cui la sua presenza
è indefettibile genera una nullità a regime intermedio, quando, in costanza degli stessi
presupposti, questi sono causa di nullità assoluta per il difensore dell'imputato.
- Le nullità a regime intermedio possono riguardare anche l'inosservanza delle disposizioni
sull'intervento, assistenza e rappresentanza dell'imputato. Circa l'inosservanza delle disposizioni
sull'intervento si guarda alle ipotesi di diretta e personale partecipazione dell'imputato al
procedimento; circa l'inosservanza delle disposizioni sull'assistenza si guarda alle attività svolte
dal difensore al fine di far valere i diritti e gli interessi dell'imputato, dal consulente tecnico,
dall'interprete, dal curatore speciale; circa l'inosservanza delle disposizioni sulla rappresentanza
dell'imputato si guarda a fattispecie eterogenee, non riconducibili agli schemi civilistici.
Essendo l'inosservanza di tali disposizioni di intervento, assistenza e rappresentanza delle altre
parti private sempre tutelate da nullità intermedie, l'omessa citazione di tali soggetti risulta
sottoposta ad un regime più blando di quello previsto per l'omessa citazione dell'imputato.
Le nullità relative

Art. 181-Nullità relative.


1. Le nullità diverse da quelle previste dagli articoli 178 e 179 comma 2 sono dichiarate su eccezione di
parte. 2. Le nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari e quelli compiuti nell'incidente probatorio e
le nullità concernenti gli atti dell'udienza preliminare devono essere eccepite prima che sia pronunciato il
provvedimento previsto all'articolo 424. Quando manchi l'udienza preliminare , le nullità devono essere
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eccepite entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1.
3. Le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio ovvero gli atti preliminari al dibattimento devono
essere eccepite entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1. Entro lo stesso termine, ovvero con
l'impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, devono essere riproposte le nullità eccepite a
norma del primo periodo del comma 2, che non siano state dichiarate dal giudice.
4. Le nullità verificatesi nel giudizio devono essere eccepite con l'impugnazione della relativa sentenza.

L'art. 181 c.p.p. determina le NULLITÀ RELATIVE per esclusione, in quanto non generali,
oppure non definite come assolute da specifiche disposizioni di legge. Sono in ogni caso nullità
speciali, poiché la loro esistenza dipende da un'espressa comminatoria.
L'interprete di fronte ad una nullità a previsione speciale, dovrà tentare di ricondurla tra le
nullità generali, se ci riesce dovrà accertare se rientra tra le nullità assolute, se l'indagine dà
esito negativo dovrà farla rientrare tra le nullità intermedie.
Solo quando non riesca a collocare la nullità tra quelle generali, sarà autorizzato a
concludere che la nullità a previsione speciale è assoggettata al regime delle nullità relative.
Le nullità relative devono essere dichiarate dal giudice solo su eccezione della parte interessata.
Le nullità relative alle indagini preliminari o all'incidente probatorio o agli atti dell'udienza
preliminare devono essere eccepite in termini brevi, diversi a seconda che si tenga o meno l'udienza
preliminare:
a) se l'udienza preliminare si tiene, devono essere eccepite prima della pronuncia del
provvedimento conclusivo dell'udienza ex art. 424;
b) se l'udienza preliminare non si tiene, devono essere eccepite subito dopo aver compiuto per
la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti in giudizio, rendendo l'eccezione
di nullità oggetto di una questione preliminare.
Tale termine vale anche per le nullità relative al decreto che dispone il giudizio e per le nullità
concernenti gli atti preliminari al dibattimento; vale, qualora si proceda a giudizio, per le nullità
concernenti gli atti delle indagini preliminari e quelli compiuti nell'incidente probatorio e per le
nullità concernenti gli atti dell'udienza preliminare, che, già regolarmene eccepite, non siano state a
suo tempo dichiarate, mentre nel caso di sentenza di non luogo a procedere le stesse nullità devono
essere riproposte con la relativa impugnazione.
□ il comma 4 prevede che le nullità relative verificatesi nel giudizio debbano essere eccepite
tramite impugnazione della sentenza. Tale principio non vale per le nullità relative che si
sono verificate prima del giudizio e che il giudice non ha dichiarato in tale sede, pur essendo
state eccepite entro i termini loro assegnati.
Vi sono due fattispecie di nullità relative rilevabili anche d'ufficio:
a) circa l'indicazione delle esigenze cautelari quando vi sia pericolo per l'acquisizione
delle prove, è ricompreso nella seconda fattispecie
b) relativa al contenuto dell'ordinanza che dispone la misura cautelare.

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L'inquadramento sistematico di tali fattispecie non è agevole: la rilevabilità d'ufficio le accosta a
nullità a regime intermedio, mentre la considerazione che siano nullità diverse da quelle previste
dagli art. 178 e 179 le avvicina alle nullità relative.
Il carattere residuale le assegna alle nullità relative.
Il mancato esperimento delle specifiche impugnazioni consentite contro le ordinanze cautelari
provoca la sanatoria delle nullità che le affliggono entro i termini di presentazione delle stesse;
anche in sede di revoca della misura cautelare, il giudice non potrebbe rilevare ex officio una
di queste nullità.
In sede di riesame, la nullità della motivazione che dispone la misura coercitiva, anche se
rilevabile d'ufficio, non dovrebbe esplicare alcuna funzione a causa del potere del tribunale
di sovrapporre la sua decisione a quella del giudice di merito. Se anche si ritenesse che il
tribunale non possa integrare una motivazione carente, essendo tenuto ad annullare il
provvedimento impugnato, il giudice del riesame potrebbe comunque disporlo anche per
motivi diversi da quelli enunciati.
Stessa conclusione in sede di appello.
Solo in sede di ricorso per cassazione tale nullità dà luogo ad un effettivo ampliamento
della garanzia della motivazione, allorquando sia viziata la motivazione dell'ordinanza del
tribunale del riesame o quando la cassazione sia stata investita per saltum, benché tra i
motivi di ricorso non figuri quello della nullità della motivazione.
Per le nullità relative alle generalità dell'imputato, all'indicazione del fatto e delle norme violate,
nonché alla data ed alla sottoscrizione dell'atto la rilevabilità d'ufficio ha maggiore efficacia, ma
non nel caso di tribunale del riesame.
In sede di appello sulle ordinanze cautelari non coercitive, la rilevabilità anche d'ufficio rafforza
il controllo di legalità sul provvedimento, abilitando il giudice a travalicare l'ambito dei motivi
addotti.
La deducibilità e la sanatoria
L'istituto della sanatoria è un fatto successivo che, combinandosi con una fattispecie imperfetta,
determina un'equivalenza di effetti rispetto al corrispondente atto perfetto. Non è riferito ai casi in
cui sussiste un difetto di legittimazione a far valere la nullità.

Art. 182 -Deducibilità delle nullità.


1. Le nullità previste dagli articoli 180 e 181 non possono essere eccepite da chi vi ha dato o ha concorso a
darvi causa ovvero non ha interesse all'osservanza della disposizione violata.
2. Quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se
ciò non è possibile, immediatamente dopo. Negli altri casi la nullità deve essere eccepita entro i termini
previsti dagli articoli 180 e 181 commi 2, 3 e 4.
3. I termini per rilevare o eccepire le nullità sono stabiliti a pena di decadenza.

Art. 183 - Sanatorie generali delle nullità.


1. Salvo che sia diversamente stabilito, le nullità sono sanate:
a) se la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirle ovvero ha accettato gli effetti dell'atto;
b) se la parte si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l'atto omesso o nullo è preordinato.

Art. 184 - Sanatoria delle nullità delle citazioni, degli avvisi e delle notificazioni.
1. La nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni è sanata se la
parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire.
2. La parte la quale dichiari che la comparizione è determinata dal solo intento di far rilevare l'irregolarità
ha diritto a un termine per la difesa non inferiore a cinque giorni.
3. Quando la nullità riguarda la citazione a comparire al dibattimento, il termine non può essere inferiore a
quello previsto dall'articolo 429.
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■ Secondo l’ art. 182 c.p.p. la deducibilità delle nullità relative e delle nullità a regime intermedio ha
due LIMITI SOGGETTIVI, non può essere dedotta o eccepita :
a) né da chi vi ha dato o concorso a darvi causa;
b) né da chi non ha interesse all'osservanza della disposizione violata.
Il comma 2 prevede che la nullità sia eccepita prima del compimento dell'atto oppure, se questo
non è possibile, immediatamente dopo.
I termini per rilevare o eccepire le nullità sono stabiliti a pena di decadenza.

■ L'art. 183 c.p.p. disciplina le SANATORIE GENERALI, disponendo la conservazione degli


effetti precari prodotti dall'atto imperfetto.
Sono sanatorie generali:
a) l'ACQUIESCENZA, cioè la rinuncia espressa della parte interessata ad eccepire la nullità e
l'accettazione degli effetti dell'atto, cioè del suo risultato pratico; può essere tacita, cioè un
comportamento concludente da cui risulti una manifestazione di volontà della parte da cui si
presuppone la consapevolezza del vizio;
b) casi i cui la parte si sia avvalsa della facoltà al cui esercizio l'atto omesso è nullo o
preordinato, intesa come sanatoria per il raggiungimento dello scopo. È tuttavia escluso
l'atto equipollente che non sia stato seguito dall'effettivo esercizio di tale facoltà.
Si esclude che le sanatorie generali operino nei confronti delle nullità assolute, dichiarate
espressamente insanabili. Le sanatorie generali valgono invece sia per le nullità relative che per
quelle a regime intermedio.
■ L'art. 184 c.p.p. prevede una sanatoria speciale nei confronti del pubblico ministero, delle parti
private e dei loro difensori, quanto alla nullità di una citazione o di un avviso, nonché delle
relative comunicazioni e notificazioni.
- La comparizione deve essere personale, quindi la comparizione del difensore non
sana quella dell'imputato, né valgono presunzioni;
- la comparizione deve anche essere volontaria, non opera quindi come sanatoria
l'accompagnamento coattivo.
La comparizione opera come sanatoria anche quando la parte non abbia consapevolezza del
vizio o non sia intenzionata a sanarlo. La sanatoria della comparizione non è applicabile alla
nullità assoluta conseguente all'omessa citazione dell'imputato.
La parte che dichiari di essere comparsa con l'unico intento di far rilevare l'irregolarità non
impedisce il verificarsi della sanatoria, ma ha diritto ad un termine di difesa non inferiore a 5
giorni. Per la sola citazione a comparire al dibattimento il termine di difesa non può essere
inferiore a 20 giorni. Tale termine vale anche per il giudizio davanti al tribunale in composizione
monocratica.

Gli effetti della dichiarazione di nullità


Escluso che ricorrano limiti all'eccezione o alla deduzione della nullità o che si siano
verificate cause di sanatoria, il giudice dichiara la nullità dell'atto.
Art. 185 - Effetti della dichiarazione di nullità.
1. La nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo.
2. Il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e
possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave.
3. La dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato

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compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito.
4. La disposizione del comma 3 non si applica alle nullità concernenti le prove.

■ L'art. 185 c.p.p. disciplina gli effetti della dichiarazione di nullità:

a) invalidità degli atti consecutivi che dipendono dall'atto nullo, tale propagazione si riferisce solo
ad un rapporto di successione cronologica, tale da tradursi in un nesso di causalità necessaria, o
sul piano logico o sul piano giuridico. La giurisprudenza ritiene che l'omesso invio
dell'informazione di garanzia determina la nullità dell'atto per il quale doveva essere inviata e
che la nullità dell'udienza di convalida non si riverbera sull'ordinanza cautelare emessa in tale
sede dal gip. È esclusa l'eventualità di una propagazione a ritroso degli effetti della
dichiarazione di nullità ad un atto anteriore o contemporaneo;
b) il giudice che dichiara la nullità dispone la rinnovazione dell'atto solo quando sia necessaria
(quindi non si ha nullità assoluta) e possibile. Quando procede alla rinnovazione il giudice
ne pone le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave;
c) quando la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello in cui si è verificata si deve
distinguere: la dichiarazione di nullità comporta, indipendentemente dalla tipologia di nullità ,
la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, purché si
tratti di un atto di natura probatoria; se si tratta di nullità concernenti le prove, il giudice non
può avvalersi della regressione ma deve provvedere alla rinnovazione, sempre che questo sia
necessario ai fini della decisione e la prova sia ripetibile.

CAPITOLO 3 – LE PROVE

Il codice dedica il libro III alla disciplina dei mezzi di prova e dei mezzi di ricerca della prova.
L'idea di riunire in un unico contesto normativo, nel codice, la disciplina delle prove nasce da
una duplice esigenza:
- sottolineare la centralità del tema nell'ambito del processo di stampo accusatorio
- ripudiare l'impostazione frammentaria del codice del 1930, che ravvisava nella fase istruttoria
(e non in quella dibattimentale) il baricentro del processo.
Nel titolo I si ha una specie di catalogo dei principi guida da osservare in materia probatoria,
logicamente prioritari rispetto alla regolamentazione dei singoli mezzi e destinati ad essere applicati
ogni volta che, nel corso del processo, si ponga un problema di prova di fatti rilevanti ai fini della
decisione. Tali disposizioni tendono ad unificare il sistema delle prove e sono fortemente innovatori.
Il libro III non è l'unico luogo nel codice dove si possono trovare norme sulla prova (vedi libro
V sulle indagini e l'udienza preliminare e libro VII dedicato al giudizio), ma le disposizioni del
libro
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III trovano applicazione anche oltre le aree processuali tecnicamente destinate alla formazione della
prova, cioè la fase dibattimentale e la fase dell'incidente probatorio.
Riguardo alla fase dell'INCIDENTE PROBATORIO, per quanto concerne l'individuazione
dell'oggetto della prova, bisogna fare riferimento ad una imputazione che, nel momento
dell'incidente, non può ancora essere stata formulata: si dovrà quindi ripiegare su un'ipotesi di
imputazione risultante da altri adempimenti del pubblico ministero (informazione di garanzia), alla
quale dovranno raccordarsi specifiche disposizioni circa l'oggetto dell'incidente.
L'incidenza di tali disposizioni nelle fasi preliminari risulta problematica, non essendoci
disposizioni univoche. Il giudice in sede di udienza preliminare deve attenersi, di regola, a tali
norme, fermi ovviamente i limiti risultanti da specifiche disposizioni di natura derogatoria; ad
esempio dovrà osservare le disposizioni in tema di ammissione delle prove; dovranno essere
osservate le disposizioni in tema di acquisizione e di assunzione delle prove.
Al termine dell'udienza preliminare, anche sulla base delle prove ammesse ed assunte in questa
fase, il giudice può pronunciare sia un decreto di rinvio a giudizio o una sentenza di non luogo a
procedere, sia una sentenza di condanna in caso di giudizio abbreviato o una sentenza di
applicazione della pena su richiesta delle parti: per selezionare e valutare il materiale probatorio su
cui fonda la propria decisione, lo stesso giudice segue le norme ex art. 191 e 192 relative alla
formazione del convincimento giudiziale.
Stessa conclusione nei casi in cui il giudice sia chiamato ad intervenire nel corso delle
indagini preliminari, nell'adempimento del suo tipico compito di garanzia dei diritti e delle
libertà fondamentali: il giudice per le indagini preliminari, davanti agli elementi probatori
forniti a supporto delle relative richieste, può porre alla base del proprio provvedimento solo
quegli elementi il cui impiego non sia incoerente con la disciplina stabilita in materia di
prove.

Vi sono determinati atti del pubblico ministero (e della polizia giudiziale) per loro natura destinati
ad essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e quindi ad essere acquisiti con valore di prova
in tale sede, ed altri atti che possono assumere tale valore di prova per effetto del verificarsi di
determinate circostanze, o in conseguenza del loro impiego per le contestazioni dibattimentali, o a
seguito di lettura dei relativi verbali, in presenza di particolari situazioni o in forza di un accorto tra
le parti.
Dipende poi dal consenso delle parti che tutti gli atti di indagini preliminari compiuti dal pubblico
ministero siano utilizzati come prova alla base di una sentenza di merito idonea a definire il
procedimento prima del passaggio al dibattimento; ad esempio nel giudizio abbreviato e
nell'applicazione della pena su richiesta delle parti, posto che in entrambi i casi il giudice può
pronunciare sentenza sulla base degli atti disponibili al termine delle indagini preliminari, e solo
eventualmente integrati dagli atti compiuti in sede di udienza preliminare. Lo stesso in caso di
decreto di condanna, emesso dal giudice sulla base del fascicolo trasmesso dal pubblico ministero,
tutte le volte in cui l'imputato non presenti opposizione.
Ne deriva che se le indagini preliminari del pubblico ministero sono suscettibili di diventare
prove, contribuendo alla formazione del convincimento del giudice, non è pensabile che tali
indagini possano svolgersi fuori dalla disciplina del codice in materia probatoria; si deve anzi
ritenere che tale disciplina operi anche per tali indagini, in quanto compatibili, fermo restando il
principio che esclude l’ ordinaria utilizzabilità degli atti compiuti nelle fasi preliminari ai fini
della sentenza dibattimentale.
Le disposizioni generali devono quindi applicarsi anche nel corso delle indagini preliminari del
pubblico ministero e della polizia giudiziaria, entro i limiti consentiti dalla natura e dalle finalità
di tali disposizioni.
La disciplina dei MEZZI DI RICERCA DELLE PROVE PRECOSTITUITE dev'essere osservata
dal pubblico ministero e, per quanto di sua competenza, dalla polizia giudiziaria: tali norme infatti
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individuano come proprio destinatario l'autorità giudiziaria, non solo il giudice (come le norme sui
mezzi di prova).
Nel codice la regolamentazione delle attività del pubblico ministero nelle indagini preliminari
ha una sua autonomia, è distinta dalla disciplina dei mezzi di prova in senso proprio.
Gli atti del pubblico ministero, corrispondenti ai mezzi di prova facenti riferimento al
giudice, sono definiti con una nomenclatura differente: si parla di operazioni e di
accertamenti tecnici invece che di perizie; individuazione di persone e di cose invece che di
ricognizioni; assunzione di informazioni invece che di testimonianze; interrogatorio di
persona imputata in un procedimento connesso invece che di esame.
Questo sia per evidenziarne il diverso fine, sia per sottolineare la maggiore
snellezza formale che li caratterizza.

Le norme relative ai DIVERSI MEZZI DI PROVA non devono applicarsi quindi nel corso delle
indagini preliminari del pubblico ministero. Questo non significa che, fuori dagli espliciti rinvii
disposti dal legislatore, non si possa pervenire in sede interpretativa a ritenere applicabili le norme
dettate per i mezzi di prova anche in riferimento a particolari attività o situazioni riconducibili alle
indagini preliminari del pubblico ministero.

Disposizioni generali in tema di prove

L’ oggetto della prova

Art. 187 - Oggetto della prova.


1. Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della
pena o della misura di sicurezza.
2. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali.
3. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile
derivante dal reato.
■ L'art. 187 c.p.p. definisce l'OGGETTO DELLA PROVA, in modo da evitare che l'attività
probatoria possa arbitrariamente orientarsi verso qualunque obiettivo di verità storica,
circoscrivendone la destinazione verso temi coessenziali all'oggetto stesso del procedimento.
È stato fissato il requisito della pertinenza come criterio guida per lo sviluppo dell'attività probatoria
e per la definizione dei suoi confini.
Ne deriva l'elencazione dei fatti suscettibili di diventare oggetto dell'accertamento
probatorio:
a) i fatti che si riferiscono all'imputazione;
b) i fatti che si riferiscono alla punibilità dell'imputato;
c) il fatti relativi alla determinazione della pena o della misura di sicurezza.
Quando vi sia costituzione di parte civile il tema probatorio include anche le questioni
derivanti dall'esercizio dell'azione civile in sede penale: saranno oggetto di prova anche i fatti
relativi alla responsabilità civile da reato e quelli relativi ai danni prodotti dal reato.
L'oggetto della prova è esteso anche ai fatti dai quali dipende l'applicazione di norme
processuali (c.d. fatti processuali).
Il criterio di pertinenza dell'art. 187 costituisce il parametro di fondo per la verifica della rilevanza
della prova in vista della sua ammissione, sia la soluzione ai diversi problemi in sede di
assunzione di alcune prove, ad esempio circa l'esercizio del potere del presidente che assicurino la
pertinenza delle domande e il potere di decidere sulle relative opposizioni, in sede di esame e
controesame.
Si distingue tra :
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o PROVE DIRETTE, se si riferiscono immediatamente al thema probandum principale, ex
art. 187; hanno per oggetto il fatto da provare;
o PROVE INDIRETTE, hanno per oggetto un altro fatto, dal quale il giudice potrà risalite
al primo solo con un operazione mentale di tipo induttivo, fondata sulle regole della
logica o su massime d'esperienza. Sono dette anche prove indiziarie (diverse dagli indizi
richiesti come presupposto per l'adozione di misure cautelari o per l'autorizzazione ad
un'intercettazione telefonica, che non sono dotati di efficacia probatoria piena).
Altra classificazione possibile, e relativamente sovrapponibile, è tra:
o PROVE STORICHE: il fatto da provare viene descritto o riprodotto
immediatamente davanti al giudice;
o PROVE CRITICHE: è necessario l'intervento di inferenza del giudice, sulla base
di un itinerario logico-critico.
Tuttavia la coincidenza con l'altra classificazione non è totale: la prima fa riferimento all'eventualità
che la circostanza oggetto della prova si riferisca direttamente o no al tema da provare, la seconda fa
riferimento al processo logico seguito dal giudice per ritenere raggiunto il risultato probatorio sul tema.

Prove atipiche e garanzie per la libertà morale della persona

Art. 189 - Prove non disciplinate dalla legge.


1. Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea
ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice
provvede all'ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova.

■ Art. 189 c.p.p. non detta nessuna preclusione a priori contro le prove non disciplinate dalla legge,
ma attribuisce al giudice il compito di vagliare preliminarmente, caso per caso, l'ammissibilità di
tali prove. In ogni caso dovrà trattarsi di prove non vietate dalla legge, essendo escluso che con tali
prove si introducano nel processo prove contrarie ad espressi divieti legislativi, o difformi, per
difetto di qualche elemento della fattispecie, dal modello di una prova tipica.
Il giudice decide se la prova possa essere ammessa una volta verificati due presupposti:
a) la prova sia idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti;
b) tale prova non pregiudica la libertà morale della persona.

Se viene riconosciuta l'ammissibilità della prova nonostante sia atipica, è compito del
giudice definire in concreto le modalità della sua assunzione, sentite le parti allo scopo di
concordare le relative cadenze procedurali.

Art. 188 - Libertà morale della persona nell'assunzione della prova.


1. Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a
influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti .
■ L'art. 188 c.p.p. prevede che si eviti ogni pregiudizio per la libertà morale della persona: nessuna
prova può essere ammessa ex art. 189 quando possa derivarne una lesione alla libertà morale del
soggetto che vi è coinvolto.
È un'applicazione del principio secondo cui non possono essere utilizzati, neanche con il
consenso della persona interessata, tecniche o metodi probatori idonei ad influire sulla libertà di
autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti.
Nessuna prova può essere ammessa né assunta quando presupponga il ricorso a metodiche
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tali da vanificare o compromettere la normale attitudine della persona
all'autodeterminazione ed all'esercizio delle facoltà mnemoniche e valutative. La tutela della
libertà morale della persona ha valore prioritario rispetto all'accertamento processuale.

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Diritto alla prova e criteri di ammissione

Art. 190 - Diritto alla prova.


1. Le prove sono ammesse a richiesta di parte. Il giudice provvede senza ritardo con ordinanza escludendo le
prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti.
2. La legge stabilisce i casi in cui le prove sono ammesse di ufficio.
3. I provvedimenti sull'ammissione della prova possono essere revocati sentite le parti in contraddittorio.
■ Alle parti è riconosciuto un vero e proprio DIRITTO ALLA PROVA: le prove sono ammesse a
richiesta di parte, il giudice provvede, senza ritardo con ordinanza, alla delibazione di
ammissibilità che gli è demandata.
Il diritto alla prova riconosciuto alle parti implica :
- il diritto di richiedere l'ammissione di determinate prove (che si traduce in un onere di iniziativa),
- il diritto ad ottenere la prova richiesta, entro i limiti in cui la stessa possa essere ammessa, o ad
ottenere una tempestiva pronuncia sulla richiesta tempestivamente formulata.
L'art. 495 comma 2 prevede che l'imputato ha diritto ad ottenere l'ammissione delle prove a
discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico; il pubblico ministero ha il corrispondente
diritto in ordine alle prove a carico sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico. (diritto alla
controprova)
Art. 606 c.p.p. si ha uno specifico motivo di ricorso per cassazione in riferimento alla mancata
assunzione di una prova decisiva quando questa sia stata richiesta dalla parte, anche nel corso
dell'istruzione dibattimentale.

Nel pronunciarsi sull'ammissibilità della prova, il giudice risulta vincolato a due parametri:
a) nella VALUTAZIONE DI DIRITTO, il giudice dovrà escludere le prove vietate dalla legge,
cioè quelle per le quali esista un espresso divieto in ordine all'oggetto o al soggetto della
prova, ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria;
b) nella VALUTAZIONE DI FATTO, il giudice dovrà escludere le prove che risultino in
concreto e manifestamente superflue o irrilevanti.
La verifica sulla rilevanza della prova si risolve in un giudizio circa la sua riconducibilità
all'ambito oggettivo ex art. 187, cioè circa la sua pertinenza al thema probandum; la verifica
sulla non superfluità comporta un giudizio sulla potenziale utilità della stessa, sulla sua
attitudine a contribuire in termini positivi all'arricchimento della base su cui si forma il
convincimento del giudice. Il giudice si attiene a questi criteri anche quando provvede
sull'eventuale revoca dei provvedimenti di ammissione della prova, sentite le parti in
contraddittorio.

■ L'art. 190-bis è destinato ad operare nei soli procedimenti per i delitti di criminalità organizzata
ex art. 51 comma 3-bis; dispone che, nel corso di tali procedimenti, quando sia richiesto l'esame
di un testimone o di una persona imputata in un procedimento connesso, i quali abbiano reso
dichiarazioni:
a) in sede di incidente probatorio o in dibattimento, purché nel contraddittorio con la persona
nei cui confronti le dichiarazioni stesse dovranno essere utilizzate,
b) ovvero, all'interno di un altro procedimento, abbiano reso dichiarazioni i cui verbali siano
stati acquisiti ex art. 238, l'esame di tali soggetti è ammesso solo se riguarda fatti o
circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero quando il giudice
o una delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze.
Il comma 1-bis estende tale disciplina all'esame di un testimone minore di 16 anni nei processi per
tali delitti.
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Nessuna estensione nei processi per delitti aventi finalità di terrorismo, ex art. 51 comma 3quater.
Ne deriva una deroga ai criteri di ammissione della prova ex art. 190.
I principi ex art. 190 risultano applicabili nell'intero procedimento, anche nelle fasi anteriori
al dibattimento, entro i limiti di compatibilità con tali fasi.
Tali principi devono applicarsi in sede di incidente probatorio, dove si parla di diritto
alla prova in capo ai soggetti legittimati e del correlativo potere-dovere del giudice di
pronunciarsi sull'ammissibilità delle corrispondenti richieste.
Trovano applicazione anche in sede di udienza preliminare, nei limiti delle attività di
integrazione probatoria prevista dall'art. 422, tenendo conto delle modalità di assunzione
delle prove che vi sono stabilite e della specialità del criterio di ammissione che vi è
sancito, imperniato sul parametro della decisività (richiesta come evidente) delle prove in
vista della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere.
I principi generali del diritto alla prova trovano applicazione nella fase dibattimentale:
diritto di controprova (art. 468) ed esame diretto ed incrociato (art. 498 e 504).
Nella fase dibattimentale sono però previste anche vistose eccezioni all'iniziativa di parte
sul terreno probatorio.
Il codice prevede che determinati poteri di iniziativa probatoria siano esperibili ex
officio, attribuendoli ora al presidente del collegio, ora al giudice del dibattimento,
in base al criterio della assoluta necessità. L'attribuzione di un simile potere di
intervento suppletivo all'organo giurisdizionale ha un risalto secondario, non
compromette l'originaria impronta accusatoria.
Prove illegalmente acquisite e sanzione di inutilizzabilità
Art. 191 - Prove illegittimamente acquisite.
1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere
utilizzate. 2. L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del
procedimento.
■ L'art. 191 c.p.p. prevede la non utilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, cioè ammesse o
assunte in violazione dei divieti stabiliti dalla legge.
L'inutilizzabilità è intesa sia come vizio che come sanzione processuale nel caso di
violazione dei divieti probatori risultanti ex lege; è diretta a diversificare la sanzione
prevista per i vizi del procedimento di acquisizione della prova rispetto alla tradizionale
sanzione di nullità, riservata ai vizi di forma degli atti per i quali essa venga espressamente
comminata.
L'inutilizzabilità della prova è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del
procedimento, anche nell'ambito del giudizio in cassazione.
Tale norma opera in ogni ipotesi di inosservanza di un divieto sancito dalla legge processuale, per
via diretta o indiretta, in materia di ammissione o di acquisizione probatoria, comprese le ipotesi in
cui il divieto, per sua natura, emerge solo ex post rispetto al momento acquisitivo, e quindi si
concreti esclusivamente nel momento di valutazione della prova.
L'articolo opera come norma generale di previsione della sanzione di inutilizzabilità, destinata a
combinarsi con tutte le disposizioni che, pur sancendo un divieto probatorio, non prevedono alcun
riflesso sanzionatorio in caso di trasgressione; ed opera come norma generale di riferimento per il
regime normativo del vizio della inutilizzabilità, destinata a trovare applicazione tutte le volte in
cui singole disposizioni dichiarino inutilizzabili determinati atti probatori, oltre che nel caso in cui
venga esplicitamente richiamata.
La sanzione di inutilizzabilità opera in via generale nei confronti di tutte le prove acquisite
contra legem, cioè nell'inosservanza di un divieto di ammissione o di acquisizione stabilito per
legge; ad esempio nei confronti di tutte le prove acquisite senza esser state ritualmente
ammesse, ovvero ammesse d'ufficio fuori dai casi stabiliti dalla legge; in caso di prove ammesse
senza il rispetto di criteri generali legislativamente predeterminati.
La riforma del 2017 introduce il reato di tortura con conseguenza che nella disciplina processuale ex 191 c2 bis, sono
inutilizzabile le dichiarazioni ottenute mediante tale delitto. Comma superfluo dato il divieto già imposto dall’art 188
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Valutazione della prova e regole di convincimento del giudice.

Art. 192 - Valutazione della prova.


1. Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri
adottati. 2. L'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi,
precisi e concordanti.
3. Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un
procedimento connesso a norma dell'articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi
di prova che ne confermano l'attendibilità.
4. La disposizione del comma 3 si applica anche alle dichiarazioni rese da persona imputata di un
reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'articolo 371 comma 2 lettera
b).

■ L'art. 192 c.p.p. regola il regime di valutazione della prova, ribadendo il principio del libero
convincimento del giudice, affermato con esclusivo riferimento al momento di valutazione della
prova e non ai momenti anteriori del procedimento probatorio; tale valutazione può avere ad
oggetto solo prove legittimamente ammesse ed acquisite, quindi utilizzabili.
L'obbligo di motivazione dei provvedimenti costringe il giudice a rendere ragione della
razionalità dell'itinerario mentale seguito per giungere alla decisione e si configura come
premessa logica imprescindibile per l'esercizio del successivo controllo sulle linee di formazione
di tale convincimento. Il giudice dovrà in concreto ricostruire il percorso logico-conoscitivo che
lo abbia
indotto ad apprezzare le prove disponibili e a trarne determinate conclusioni.
Art. 546 nella motivazione dovranno essere indicate le prove poste a base
della decisione ma anche le ragioni per le quali il giudice ritiene non
attendibili le prove contrarie.
Il principio del libero convincimento del giudice incontra alcuni limiti di tipo normativo; art.
193 sono dichiaratamente irrilevanti gli sbarramenti probatori stabiliti dalle leggi civili, con
l'unica eccezione per quelli concernenti lo stato di famiglia e di cittadinanza.

L'art. 192 enuncia due regole di giudizio:


a) sul piano generale, si esclude che a tale fine possano esser utilizzati elementi di natura soltanto
indiziaria, a meno che gli stessi possano qualificarsi come gravi, precisi e concordanti: quando
si accertino tali indizi, questi assumono valenza di prova e diventano idonei ad integrare la
piattaforma di convincimento da cui si può desumere l'esistenza di un fatto;
b) con riferimento alla peculiare situazione dei coimputati dello stesso reato, ovvero degli imputati
in un procedimento connesso ex art. 12, si stabilisce che le dichiarazioni, di natura
sostanzialmente testimoniale, provenienti da una di tali persone non possano venire valutate ex
se, ma debbano esserlo unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità ;
lo stesso vale nei confronti delle dichiarazioni rese dall'imputato di un reato collegato a quello
per cui si procede, nel caso di collegamento probatorio ex art. 371, nonché nei confronti delle
dichiarazioni rese dall'imputato che abbia assunto l'ufficio di testimone: il codice configura una sorta
di presunzione relativa di inattendibilità di tali dichiarazioni, ammettendo che se ne possa tener conto solo quando
siano stati acquisiti altri elementi probatori idonei a comprovarne la credibilità, da soli o nell'ambito di una
valutazione congiunta di questi con le prime. Non si esclude l'utilizzabilità probatoria delle dichiarazioni rese dal
coimputato dichiarante sull'altrui responsabilità ma, imponendone una valutazione unitaria con altri elementi che ne
confermano l'attendibilità, finisce per subordinarla, nel momento valutativo, al concreto vaglio di tali elementi di
riscontro, rimesso all'apprezzamento del giudice. Nulla vieta che tali elementi di prova possano essere anche
dichiarazioni di un diverso coimputato, acquisite mediante contestazione o mediante lettura in sede dibattimentale.
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Al giudice viene imposto un preciso impegno di verifica.
Il libero convincimento emergerà dalla motivazione circa la sufficienza e l'attitudine di tali
elementi ad attestare l'attendibilità della prova così confermata.
Tale motivazione sarà suscettibile di censura in cassazione sia nel caso in cui le dichiarazioni
siano state utilizzate come prove nonostante l'assenza di adeguati riscontri, sia nel caso in cui non
ne sia stato fatto uso nonostante la possibilità di raggiungere i riscontri necessari.
Ulteriore ipotesi di LIMITE al principio del libero convincimento del giudice, limitato alla prova
della colpevolezza dell'imputato, è il divieto di valutazione ex art. 526 co 1-bis, che esclude che
tale prova possa essere ottenuta sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è
sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore.

MEZZI DI PROVA
I mezzi di prova (testimonianza, esami delle parti, confronti, ricognizioni, esperimenti
giudiziali, perizie, documenti) si caratterizzano per la loro attitudine ad offrire al giudice dei
risultati direttamente utilizzabili ai fini della decisione.
Assicurano la formazione della prova in sede processuale.
L'attenzione del legislatore si concentra sulle modalità di assunzione in giudizio della prova stessa.
I mezzi di ricerca della prova (ispezione, sequestri, perquisizioni, intercettazioni telefoniche) non
integrano da soli una fonte del convincimento giudiziale, ma risultano funzionalmente diretti a
permettere l'acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza
probatoria. I mezzi di ricerca della prova si caratterizzano in quanto diretti a favorire l'acquisizione
al processo di elementi probatori precostituiti rispetto allo stesso. Il legislatore si
concentra sul regime delle modalità di individuazione e di ingresso nel processo
di elementi preesistenti rispetto allo svolgimento processuale.

La Testimonianza
Art. 194 - Oggetto e limiti della testimonianza.
1. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova . Non può deporre sulla
moralità dell'imputato, salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità
in relazione al reato e alla pericolosità sociale.
2. L'esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il
testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per
valutarne la credibilità. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della
persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere valutato in
relazione al comportamento di quella persona.
3. Il testimone è esaminato su fatti determinati. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né
esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.

■ L'art. 194 c.p.p. stabilisce che oggetto della testimonianza siano i fatti che costituiscono oggetto di
prova. Il testimone è esaminato su fatti determinati, non può deporre su voci correnti tra il pubblico
né esprimere apprezzamenti personali (salvo siano inscindibili dai fatti).

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Art. 195 - Testimonianza indiretta.
1. Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta
di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre.
2. Il giudice può disporre anche di ufficio l'esame delle persone indicate nel comma 1.
3. L'inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili le dichiarazioni relative a fatti
di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti
impossibile per morte, infermità o irreperibilità.
4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle
dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere
a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo.
5. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche quando il testimone abbia avuto
comunicazione del fatto in forma diversa da quella orale.
6. I testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle persone indicate negli
articoli 200 e 201 in relazione alle circostanze previste nei medesimi articoli, salvo che le
predette persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.
7. Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o
la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame.

■ L'art. 195 c.p.p. regola la TESTIMONIANZA INDIRETTA, sancendo l'inutilizzabilità della


deposizione di chi non possa o non voglia indicare la persona o la fonte da cui abbia appreso la
notizia al centro dell'esame testimoniale (comma 7).
Ne deriva il divieto di acquisizione e di impiego delle notizie provenienti dagli
informatori confidenziali, dei quali gli organi di polizia e dei servizi di sicurezza non
abbiano rivelato i nomi, essendo espressamente autorizzati a tacerli anche davanti al
giudice ex art. 203.
Sono vietate le testimonianze di provenienza anonima.
□ I commi 1-3 prevedono che quando il testimone dichiari di aver preso conoscenza di fatti o
circostanze da persone diverse, queste possono essere chiamate a deporre sia d'ufficio dal giudice
sia su richiesta di parte, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni de relato qualora tale
richiesta venga disattesa.
È sempre consentito l'utilizzo di tali dichiarazioni quando l'esame del testimone
direttamente a conoscenza dei fatti risulti impossibile a causa di morte, infermità o di
irreperibilità.
Se non viene avanzata nessuna richiesta per ottenere l'esame del testimone diretto, le
dichiarazioni rese dal testimone indiretto saranno utilizzabili: la mancata richiesta è
interpretata come un tacito consenso delle parti all'utilizzabilità dei contenuti della
deposizione resa dal testimone per sentito dire.

□ Il comma 4 prevede il divieto, in capo agli ufficiali ed agli agenti di polizia giudiziaria, di
deporre sul contenuto di dichiarazioni rese da testimoni, limitatamente alle dichiarazioni
acquisite con le modalità ex art. 351 (sommarie informazioni) e 357 (documentazione
dell'attività di polizia giudiziaria).
Tale divieto non opera negli altri casi: l'ordinaria disciplina della testimonianza indiretta si applica
anche nei confronti di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria con riferimento ad ogni dichiarazione
proveniente da soggetti terzi ed appresa da tali organi, più o meno occasionalmente, al di fuori di
ogni rapporto dialettico formale interno al procedimento, ma anche alle dichiarazioni rese da tali
soggetti e correttamente acquisite e documentate con le modalità diverse da quelle ex art. 195
comma 4: ad esempio affermazioni rilasciate nel corso di attività investigative dirette ad altri scopi o non formalizzate,
di cui gli organi di polizia si siano limitati a redigere le annotazioni.

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Dovrà ritenersi operante il divieto all'art. 195 comma 4 nel caso in cui, pur ricorrendone le
condizioni, gli organi di polizia non abbiano provveduto alla redazione del prescritto
verbale, eludendo le ordinarie modalità di acquisizione stabilite dalla legge.

Art. 196 - Capacità di testimoniare.


1. Ogni persona ha la capacità di testimoniare.
2. Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l'idoneità fisica o
mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con
i mezzi consentiti dalla legge.
3. I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2, siano stati disposti prima dell'esame testimoniale
non precludono l'assunzione della testimonianza.
■ In base all'art. 196 ogni persona ha la capacità di testimoniare. Eventualmente il giudice, anche
d'ufficio, può ordinare gli accertamenti opportuni per valutare l'idoneità fisica o mentale a rendere
testimonianza.

Art. 197 - Incompatibilità con l'ufficio di testimone.


1. Non possono essere assunti come testimoni:
a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo
12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di
proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444; (1)
b) salvo quanto previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), le persone imputate in un procedimento
connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo
371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di
proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444; (1)
c)il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria;
d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o
loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno
formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'articolo 391-ter.

■ L'art. 197 c.p.p. disciplina le INCOMPATIBILITÀ CON L'UFFICIO DI TESTIMONE


DELL'IMPUTATO. L'incompatibilità è circoscritta in termini assoluti alla situazione di chi:
a. sia coimputato dello stesso reato o imputato in un procedimento connesso ex art. 12 comma 1
lett. a), salvo che nei suoi confronti sia già stata pronunciata sentenza irrevocabile di
proscioglimento ovvero sentenza irrevocabile di condanna o di applicazione della pena;
b. sia imputato di un procedimento connesso ex art. 12 co 1 lett. c), ovvero di un reato collegato ex
art. 371 co 2 lett. b), prima che nei suoi confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di
proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ex art. 444. Tale causa di
incompatibilità non opera quando all'imputato dichiarante sia stato dato l'avvertimento dell'art.
64 co 3 lett. c): in tali casi gli imputati assumono il ruolo di testimone in ordine ai fatti relativi
alla responsabilità altrui che siano stati oggetto delle proprie precedenti dichiarazioni; non così
gli imputati ex art. 197 lett. a) ai quali è riservata la disciplina ex art. 210.
■ L'art. 197-bis c.p.p. disciplina la posizione delle persone che, avendo la qualifica di imputato in un
procedimento connesso o collegato, possono ricoprire l'ufficio di testimone.
Sono sottoposti a tale disciplina:
a. tutti gli imputati che si siano trovati nelle situazioni ex art. 197 a) e b), quando nei loro
confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento (escluse le sentenze di
non luogo a procedere e il provvedimento di archiviazione), ovvero sentenza irrevocabile di
condanna, compresa la sentenza di patteggiamento;

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b. tutti gli imputati in un procedimento connesso ex art. 12 co 1 lett. c) o in un reato collegato ex
art. 371 co 2 lett. b), i quali in sede di interrogatorio abbiano reso dichiarazioni sull'altrui
responsabilità, essendo stati ritualmente preavvertiti ex art. 64 co 3 lett. c) circa le conseguenze
del rilascio di tali dichiarazioni in ordine all'assunzione dell'ufficio testimoniale.
Relativamente a questi testimoni dovranno osservarsi gli adempimenti relativi
all'introduzione della prova testimoniale, compresa la presentazione della lista ex art. 468
con le indicazioni delle circostanze oggetto dell'esame.
Tale testimone gode di particolari garanzie in ragione del suo status processuale:
a) viene assistito da un difensore (è detto testimone assistito), eventualmente, in caso di
mancata nomina del difensore di fiducia, si procede alla nomina di un difensore
d'ufficio. Il difensore non ha diritto di partecipare all'esame, tuttavia gli si riconosce il
diritto di presenziare all'esame dei testimoni sia di formulare richieste, osservazioni e
riserve, a tutela della posizione del testimone assistito e delle corrispondenti prerogative
circa i limiti al dovere testimoniale;
b) il testimone non può mai essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere
una sua responsabilità penale, ma, in base al comma 4, può anche legittimamente
rifiutarsi di rispondere alle relative domande quando dovrebbe deporre sui fatti per i quali
in giudizio sia stata pronunciata a suo carico sentenza irrevocabile di condanna, quando
nel procedimento aveva negato la propria responsabilità, ovvero non aveva reso alcuna
dichiarazione; in base al comma 2 il testimone è esonerato anche dall'obbligo di deporre
su fatti relativi alla propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è
proceduto nei suoi confronti;
c) il comma 5 prescrive che le dichiarazioni rese dall'imputato che abbia assunto l'ufficio
di testimone non possano essere utilizzate contro la persona da cui provengono né nel
procedimento a suo carico, ove ancora in corso, né nell'eventuale procedimento di
revisione della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti, né in qualsiasi altro
giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto di tali procedimenti o di tale
sentenza. È esclusa l'utilizzabilità processuale di tali dichiarazioni a danno dell'autore
essendo queste state rilasciate dallo stesso in adempimento dell'ufficio testimoniale, e
quindi sul presupposto di non potersi sottrarre alla relativa deposizione.

L'ultimo comma dell'art. 197-bis esige che le dichiarazione ex art. 197-bis, per assumere
pieno valore probatorio, debbano essere corroborate da altri elementi di prova che ne
confermano l'attendibilità.

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Art. 198 - obblighi del testimone.
1. Il testimone ha l'obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo
per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte.
2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua
responsabilità penale.

■ In base all'articolo il soggetto che assume la veste di testimone ha l'obbligo di presentarsi al


giudice, di attenersi alle prescrizioni e di rispondere veridicamente.
Il teste non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua
responsabilità penale.
Il testimone ha l'obbligo di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte, ma
sono previste delle DEROGHE come effetto dei segreti opponibili allo stesso giudice.
L'art. 199 prevede la facoltà di astensione dalla testimonianza dei prossimi
congiunti dell'imputato, salvo abbiano presentato denuncia, querela o istanza,
ovvero loro o i loro prossimi congiunti siano offesi dal reato.
L'art. 200 ammette l'astensione dal deporre, in base al segreto professionale,
di coloro che abbiano conosciuto il fatto a causa del proprio ministero,
ufficio o professione.
Limite a tale facoltà si ha quando tali soggetti hanno l'obbligo di
riferire all'autorità giudiziaria le notizie conosciute per tali ragioni; ad
esempio gli esercenti le professioni sanitarie in relazione all'obbligo
di referto ex art. 334.
Il giudice ha il potere di ordinare che il testimone deponga tutte le volte in cui
sia convinto, dopo i necessari accertamenti, della infondatezza della
dichiarazione di segretezza opposta dallo stesso per evitarsi di deporre.
In caso di giornalisti professionisti iscritti all'albo, relativamente ai nomi
delle persone che abbiano loro fornito notizie in via fiduciaria, è previsto un
regime particolare: gli viene estesa la normativa dettata per il segreto
professionale ma al giudice è sempre riservato il potere di obbligarli a
rivelare l'identità di tali persone quando tali notizie siano indispensabili per la
prova del reato, e la loro veridicità possa essere accertata solo con
l'identificazione della fonte fiduciaria.
L'art. 201 prevede una disciplina analoga per i pubblici ufficiali, i pubblici
impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio in relazione al segreto
d'ufficio: hanno l'obbligo di astenersi dal deporre sui fatti conosciuti per le
ragioni del loro ufficio che devono rimanere segreti.
Sono salvi i casi in cui tali soggetti hanno l'obbligo di riferirne
all'autorità giudiziaria; in tal caso prevale l'obbligo, funzionale
alle esigenze di giustizia, sugli ordinari doveri testimoniali.

■ L'art. 203 c.p.p. prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possano essere
obbligati a rivelare i nomi dei propri informatori confidenziali; fermo il divieto di acquisizione e di
utilizzo processuale delle informazioni provenienti da questi. Tale previsione di inutilizzabilità si
estende oltre il dibattimento, comprendendo le fasi di indagini preliminari o le udienze preliminari,
tutte le volte in cui gli informatori non sono stati interrogati né assunti a sommarie informazioni.

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Art. 202 - Segreto di Stato.
1. I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo
di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato.
2. Se il testimone oppone un segreto di Stato, il giudice ne informa il Presidente del Consiglio dei
Ministri, chiedendo che ne sia data conferma.
3. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il
giudice dichiara non doversi procedere per la esistenza di un segreto di Stato.
4. Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio
dei Ministri non dia conferma del segreto, il giudice ordina che il testimone deponga.

■ L'art. 202 c.p.p. prevede l'OPPOSIZIONE DEL SEGRETO DI STATO in sede testimoniale da
parte degli stessi soggetti tenuti ad opporre il segreto d'ufficio (pubblici ufficiali, pubblici
impiegati e incaricati di un servizio pubblico). È salvo l'obbligo di tali soggetti di astenersi dal
deporre su fatti coperti dal segreto di Stato.
L'autorità giudiziaria ha l'obbligo di rivolgersi al presidente del Consiglio di ministri per
chiedere conferma della sussistenza di tale segreto, sospendendo nel frattempo ogni iniziativa
volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto.
Se entro 30 giorni viene fornita conferma del segreto con atto motivato (anche in vista
dell'eventuale ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato), all'autorità
giudiziaria sarà vietata l'acquisizione e l'utilizzazione anche indiretta delle notizie coperte
dal segreto.
Se il giudice reputi essenziale, ai fini della definizione del processo, la conoscenza delle notizie
così inibite potrà solo dichiarare con sentenza di “non doversi procedere per l'esistenza del
segreto di Stato”. Fuori da questo caso, il processo potrà proseguire, non essendo all'autorità
giudiziaria
precluso di procedere in base ad elementi autonomi e indipendenti dagli atti, dai documenti e dalle
cose coperti dal segreto.
Il processo potrà proseguire quando il presidente del Consiglio dei ministri neghi la sussistenza
del segreto di Stato o non ne dia conferma entro 30 giorni dalla notificazione della corrispondente
richiesta, essendo previsto che l'autorità giudiziaria possa acquisire la notizia su cui era stato
opposto il segreto e provvedere per l'ulteriore corso del procedimento.
□ comma 7 prevede le varie ipotesi che conseguono qualora, alla conferma della sussistenza del
segreto di Stato da parte del presidente del Consiglio, venga sollevato, ad opera dell'autorità
giudiziaria, conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale (alla quale è in nessun caso
opponibile il segreto di stato):
a) se il conflitto viene risolto nel senso dell'insussistenza del segreto, il presidente del
Consiglio non può opporlo con riferimento allo stesso oggetto, quindi il procedimento
proseguirà senza altri intoppi;
b) se il conflitto viene risolto nel senso della sussistenza del segreto, l'autorità giudiziaria non
può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, gli atti o i documenti su cui è
stato opposto il segreto.
Analoga disciplina è nell'art. 41 l. 124/2007, che prevede un divieto di riferire riguardo a fatti
coperti dal segreto di Stato nel processo penale, in ogni stato e grado del procedimento, quando tale
segreto sia opposto, e il dovere dell'autorità giudiziaria di informarne il presidente del Consiglio dei
ministri per l'eventuale conferma.
Il divieto a non riferire è destinato ad operare nei confronti degli indagati e degli imputati
(rispetto a questi il divieto deve contemperarsi con l'esercizio del diritto di difesa,
riconducibile all'ambito della causa di giustificazione ex art. 51 c.p.).

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■ L'art. 204 c.p.p. vieta che possano essere opposti segreto d'ufficio o segreto di Stato su fatti, notizie
e documenti circa reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale; nonché sui delitti di
devastazione, saccheggio, strage, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico- mafioso
(salvo i nomi degli informatori), riservando al giudice, in caso di opposizione, il compito di definire
la natura del reato.
Del provvedimento di rigetto di tale eccezione viene data comunicazione al presidente del
Consiglio, allo scopo di consentirgli le opportune iniziative in caso di contrasto con le
valutazioni operate dal giudice.
Tale disposizione deve coordinarsi con l'art. 66 co 2 disp. att. che, in ipotesi simili,
attribuisce al presidente del Consiglio il potere di confermare il segreto con atto
motivato, quando ritenga che il fatto, la notizia o il documento coperto dal segreto di
Stato non riguardi il reato per cui si procede. In mancanza di tale conferma, nei 30
giorni successivi a tale comunicazione, il giudice potrà procedere al sequestro del
documento o all'esame del soggetto interessato.

Art. 207 - Testimoni sospettati di falsità o reticenza. Testimoni renitenti.


1. Se nel corso dell'esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti
con le prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rilevare rinnovandogli, se del caso,
l'avvertimento previsto dall'articolo 497 comma 2. Allo stesso avvertimento provvede se un
testimone rifiuta di deporre fuori dei casi espressamente previsti dalla legge e, se il testimone
persiste nel rifiuto, dispone l'immediata trasmissione degli atti al pubblico ministero perché
proceda a norma di legge.
2. Con la decisione che definisce la fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, il
giudice, se ravvisa indizi del reato previsto dall'articolo 372 del codice penale, ne informa il
pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti.

■ L'art. 207 c.p.p. disciplina il trattamento processuale della TESTIMONIANZA FALSA O


RETICENTE, escludendo ogni rapporto di pregiudizialità del relativo procedimento rispetto al
procedimento principale e prevedendo, in ogni caso, il divieto della possibilità di arresto del
testimone in udienza. Il giudice valuta la testimonianza e informa il pubblico ministero,
trasmettendogli gli atti, ove ne ricorrano gli estremi, solo con la decisione conclusiva della fase
processuale in cui il testimone ha deposto (in caso di rifiuto della testimonianza invece
l'informativa della notitia criminis sarà immediata), salva l'autonomia del pubblico ministero di
promuovere l'azione penale in ogni momento, anche prima di tali adempimenti.
Analoga disciplina è prevista all'art. 371-bis co 2 c.p. a proposito del delitto di false informazioni
al pubblico ministero: il relativo procedimento resta sospeso finché il procedimento principale,
nel corso del quale le informazioni siano state assunte, si sia concluso con sentenza di primo
grado, ovvero sia stato anteriormente definito.

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L’ esame delle parti

Diversamente dall'interrogatorio, l'esame delle parti è un mezzo di prova, anche se di natura


eventuale.
Art. 208 - Richiesta dell'esame.
1. Nel dibattimento, l'imputato, la parte civile che non debba essere esaminata come testimone, il
responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono esaminati se ne
fanno richiesta o vi consentono.

■ Art. 208 c.p.p. prevede che la sua esperibilità sia infatti subordinata alla volontà delle parti, le
quali sono sottoposte all'esame solo quando ne facciano richiesta o consentano alla richiesta
formulata da un'altra parte, compreso il pubblico ministero.
Una volta manifestata la propria volontà favorevole all'esame, la parte che vi è sottoposta perde la
possibilità di esercitare senza pregiudizio la strategia del silenzio.

■ L'art. 209 c.p.p. prevede che dell'eventuale rifiuto di rispondere sia data menzione nel verbale; tale
atteggiamento negativo assumerà valore anche sul piano probatorio, essendo tale verbale destinato
a confluire nel fascicolo dibattimentale, e quindi tra le prove destinate alla decisione: ciò sia ai fini
della valutazione di altre risposte fornite dalla stessa parte esaminata, sia ai fini della valutazione di
altre prove, o di altri elementi di prova, provenienti da soggetti diversi.
Rimane fermo il diritto della parte esaminata di non rispondere tutte le volte in cui dalla
risposta potrebbe emergere una sua responsabilità penale.
Le regole relative alla testimonianza indiretta sono richiamate solo riguardo
all'esame delle parti diverse dall'imputato.

■ L'art. 210 c.p.p. disciplina l'esame di persone imputate in un procedimento connesso, nei
confronti delle quali si proceda, o si sia proceduto, separatamente, e che non possono assumere
l'ufficio di testimone.
Si stabilisce che nei dibattimenti relativi a processi diversi da quello in cui rivestano formalmente
la qualità di imputati, essi vengano di regola esaminati su richiesta di parte o d'ufficio, quando agli
stessi si sia fatto riferimento nell'ambito di una testimonianza, o di un esame, di natura indiretta. Si
applicano le disposizioni ex art. 195 per le ipotesi della testimonianza de relato.
□ Il comma 5 fa riferimento agli art. 498, 499 e 500 per le forme di svolgimento dell'esame,
assumendo come modello base l'esame dei testimoni.
È previsto un obbligo di presentazione davanti al giudice e l'eventuale accompagnamento coattivo ;
la nomina di un difensore, d'ufficio quando manchi quello di fiducia; il difensore ha diritto di
partecipare all'esame.
Tali soggetti hanno il diritto al silenzio, in quanto imputati in un procedimento connesso,
allo scopo di tutelarli rispetto al rischio di dichiarazioni contra se che potrebbero essere
utilizzate a loro carico nel procedimento di provenienza.
Quando si proceda in via separata, lo stesso coimputato potrà essere sempre costretto a
soggiacere all'esame, salvo il diritto di essere avvertito della facoltà di non rispondere, come
se si trattasse di un interrogatorio.

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L'istituto opera per tutti i soggetti non ricompresi nell'area degli imputati che ex art. 197-bis
assumono l'ufficio di testimone, riguarda:
a) le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 co 1 lett. a) le quali
non possono assumere l'ufficio di testimone;
b) mentre per le persone imputate in un procedimento connesso ex art. 12 co 1 lett. c) o di un
reato collegato ex art. 371 co 2 lett. b) occorre distinguere sulla base della loro precedente
condotta processuale: il comma 6 prevede che la disciplina ex art. 210 si applichi anche ai
soggetti in questione, ma solo quando gli stessi non hanno reso in precedenza dichiarazioni
circa la responsabilità dell'imputato: questo comprende sia le ipotesi in cui tali persone non
siano mai state sentite da alcuna autorità interrogante, sia nei casi in cui, pur essendo state
interrogate, non abbiano reso in tale sede alcuna dichiarazione sull'altrui responsabilità;
vengono equiparate le situazioni in cui tali persone abbiano reso dichiarazioni sul fatto
altrui, nel corso dell'interrogatorio, ma senza aver ricevuto l'avvertimento ex art. 64 co 3,
con la conseguenza dell'inutilizzabilità di simili dichiarazioni.

È previsto che di regola la disciplina dell'art. 210 si applichi anche agli imputati non
precedentemente dichiaranti sull'altrui responsabilità; tuttavia si prevede che a tali soggetti, pur
chiamati per essere esaminati ex art. 210, venga dato l'avvertimento ex art. 64 co 3 lett. c), nel qual
caso, ove non si avvalgano della facoltà di non rispondere, assumeranno l'ufficio di testimone.
In tali casi al loro esame si applicheranno sia le disposizioni relative alla deposizione
testimoniale richiamate al comma 5 ai fini dell'esame, sia le disposizioni ex art. 197-bis
e 497, compreso l'avvertimento al testimone dell'obbligo di dire la verità.

Confronti , ricognizioni e esperimenti giudiziali

■ Confronti
Art. 211 - Presupposti del confronto.
1. Il confronto è ammesso esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, quando vi è
disaccordo fra esse su fatti e circostanze importanti.
L'art. 211 c.p.p. ammette i confronti esclusivamente tra persone già esaminate o interrogate, in
caso di dichiarazioni in contrasto su fatti e circostanze importanti.
Tale mezzo dovrebbe trovare largo impiego anche durante le indagini preliminari; il potere
di disporre il confronto è riconosciuto anche al pubblico ministero (art. 364).

Art. 212 - Modalità del confronto.


1. Il giudice, richiamate le precedenti dichiarazioni ai soggetti tra i quali deve svolgersi il
confronto, chiede loro se le confermano o le modificano, invitandoli, ove occorra, alle reciproche
contestazioni. 2. Nel verbale è fatta menzione delle domande rivolte dal giudice, delle dichiarazioni
rese dalle persone messe a confronto e di quanto altro è avvenuto durante il confronto.
L'art. 212 ne disciplina le modalità: il giudice richiama le precedenti dichiarazioni sulle quali i
soggetti ammessi al confronto sono risultati in disaccordo, e li invita alle reciproche
contestazioni quando le dichiarazioni siano state confermate.
Di tutto deve esser data menzione nel verbale.

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■ Ricognizioni
Le ricognizioni possono avere ad oggetto le persone o le cose.
Sono caratterizzate per l'accuratezza e l'analiticità della descrizione degli adempimenti preliminari e
dei modi di svolgimento dell'atto.
Art. 213 - Ricognizione di persone. Atti preliminari.
1. Quando occorre procedere a ricognizione personale, il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la
persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a
eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in
fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano
altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconoscimento.
2. Nel verbale è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese.
3. L'inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità della
ricognizione.
■ In base all'art. 213 la mancata menzione, in sede di verbale, dell'osservanza delle forme prescritte
per scandire la relativa procedura, dai suoi preliminari alla vera e propria attività ricognitiva, è
causa di nullità.

Art. 214- Svolgimento della ricognizione.


1. Allontanato colui che deve eseguire la ricognizione, il giudice procura la presenza di almeno due persone il
più possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi
quest'ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre, curando che si presenti, sin dove è possibile, nelle
stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata alla ricognizione. Nuovamente
introdotta quest'ultima, il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita
a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa.
2. Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o
altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia
compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima.
■ L'art. 214 comma 2 stabilisce il potere-dovere del giudice di adottare, anche in sede
dibattimentale, le necessarie cautele volte ad impedire che la persona chiamata ad effettuare la
ricognizione possa
subire intimidazioni da parte di quella sottoposta all'atto, disponendo che l'atto stesso sia compiuto
senza che questa possa vedere la persona chiamata ad effettuare la ricognizione.

■ L'art. 216 c.p.p. prevede la ricognizione di voci, suoni o di quanto altro possa essere oggetto di
percezione sensoriale, prevedendo l'ammissibilità di quelle ricognizioni che si discostano da
quelle esplicitamente regolate ex lege, e richiamando alcune delle disposizioni sancite per queste,
in quanto applicabili.
Sia nei confronti che nelle ricognizioni, la persona chiamata a compiere l'atto è nella condizione
di dover rilasciare dichiarazioni assimilabili, per il loro contenuto informativo, a quelle rese
dall'imputato in sede di interrogatorio ovvero di esame ex art. 503 o, rispettivamente, dal
testimone in sede di audizione ovvero di esame ex art. 500.
Quando si tratti dell'imputato vige il diritto di rifiutarsi di compiere l'atto e la facoltà di
non rispondere alle domande che gli vengono poste.
Le stesse garanzie valgono anche nei confronti dei coimputati dello stesso reato e degli imputati in un
procedimento connesso o di un reato collegato, sono comprese le ipotesi in cui a loro carico si proceda
separatamente, in conformità al disposto dell'art. 210, e tenendo conto dei rilievi già svolti a proposito di
tale disposizione.

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■ Esperimenti giudiziali
Art. 218. Presupposti dell'esperimento giudiziale.
1. L'esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in
un determinato modo.
2. L'esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o
si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso.
■ Gli esperimenti giudiziali servono ad accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un
determinato modo, attraverso al riproduzione di una situazione e la ripetizione delle modalità
relative al suo presumibile svolgimento.

Art. 219. Modalità dell'esperimento giudiziale.


1. L'ordinanza che dispone l'esperimento giudiziale contiene una succinta enunciazione dell'oggetto dello
stesso e l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo in cui si procederà alle operazioni. Con la stessa
ordinanza o con un provvedimento successivo il giudice può designare un esperto per l'esecuzione di
determinate operazioni.
2. Il giudice dà gli opportuni provvedimenti per lo svolgimento delle operazioni, disponendo per le rilevazioni
fotografiche o cinematografiche o con altri strumenti o procedimenti.
3. Anche quando l'esperimento è eseguito fuori dell'aula di udienza, il giudice può adottare i provvedimenti
previsti dall'articolo 471 al fine di assicurare il regolare compimento dell'atto.
4. Nel determinare le modalità dell'esperimento, il giudice, se del caso, dà le opportune disposizioni affinché
esso si svolga in modo da non offendere sentimenti di coscienza e da non esporre a pericolo l'incolumità
delle persone o la sicurezza pubblica.

■ L'art. 219 prevede che l'ordinanza che dispone l'esperimento contenga l'enunciazione
dell'oggetto dell'esperimento, l'indicazione del giorno, dell'ora e luogo in cui si procede alle
operazioni; la nomina dell'esperto incaricato dell'esecuzione. Il giudice dà gli opportuni
provvedimenti per lo svolgimento delle operazioni, dispone le rilevazioni fotografiche o
cinematografiche, e tutti i provvedimenti diretti ad assicurare un efficace e corretto svolgimento
dell'atto.
Il giudice ha l'obbligo di provvedere affinché l'esperimento possa regolarmente
svolgersi senza offendere sentimenti di coscienza e senza esporre a pericolo l'incolumità
delle persone o la sicurezza pubblica.

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La perizia

Art. 220 - Oggetto della perizia.


1. La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono
specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
2. Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse
perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la
personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.

■ L'art. 220 definisce l'oggetto della perizia, ammettendola in situazioni in cui occorre svolgere
indagini ovvero acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze tecniche,
scientifiche o artistiche.

Il d.p.r. 285/1990 (regolamento di polizia mortuaria) stabilisce che quando nel corso di un'autopsia
non ordinata dall'autorità giudiziaria emerga il sospetto che la morte sia dovuta a reato, il medico
settore deve sospendere le operazioni e darne immediata comunicazione all'autorità giudiziaria,
affinché questa possa disporre gli accertamenti peritali del caso.
Ipotesi particolare di perizia si trova nella Legge 16/1996 secondo la quale l'imputato di uno dei
delitti contro la personalità dei minori o contro la libertà sessuale deve essere sottoposto con le
forme della perizia ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili,
tutte le volte in cui la modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle
patologie stesse.
Ex. art. 224, quando il giudice accerti la sussistenza dei presupposti ex art. 220 comma 1, è
obbligato ad ammettere, e quindi a disporre, la perizia anche d'ufficio; l'ordinanza, oltre alla nomina
del perito, dovrà recare la sommaria enunciazione dell'oggetto delle indagini , ferme le tradizionali
esclusioni dell'ammissibilità della perizia in rapporto a determinati oggetti: sono vietate le perizie
circa il carattere e la personalità dell'imputato, le forme qualificate di pericolosità sociale e le sue
qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (art. 220 comma 2).

■ L'art. 221 c.p.p. regola la NOMINA DEL PERITO, che deve assicurare un livello di specifica
qualificazione della persona cui la perizia viene affidata, adottando come criterio principale per
la nomina del perito quello della sua iscrizione agli appositi albi professionali, eventualmente
ricorrendo ad altri esperti di particolare competenza.
In caso di perizia nulla il nuovo incarico dovrà essere affidato, se possibile, ad un diverso perito.
Il giudice deve disporre una perizia collegiale quando le indagini e le valutazioni risultano
di notevole complessità, ovvero quando le stesse richiedono distinte conoscenze in
differenti discipline.
■ In base all'art. 222 c.p.p., NON PUÒ PRESTARE UFFICIO DI PERITO, a pena di nullità:
a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente;
b) chi è interdetto dai pubblici uffici o interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o
di un'arte;
c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o misure di prevenzione;
d) chi non può essere assunto come testimone, ha facoltà di astenersi dalla testimonianza e è
chiamato a prestare ufficio di testimone o interprete;
e) chi è stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento
connesso.

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■ L'art. 223 c.p.p. prevede che se esiste un motivo di astensione, il perito ha l'obbligo di dichiararlo.
Il perito può esser ricusato dalle parti nei casi ex art. 36.
La dichiarazione di astensione o di ricusazione può esser presentata fino a quando non siano state
esaurite le formalità di conferimento dell'incarico, in caso di motivi sopravvenuti prima che il
perito abbia dato il proprio parere.
Sulla dichiarazione di astensione o ricusazione, il giudice che ha disposto la perizia
decide con ordinanza.

■ L'art. 224 comma 2 attribuisce al giudice il potere di adottare ogni altro provvedimento necessario
per l'esecuzione delle relative operazioni, escludendo da tale ambito le misure incidenti sulla libertà
personale dell'imputato o di terze persone, salve quelle specificamente previste nei casi e nei modi
dalla legge.

■ L'art. 224-bis c.p.p. disciplina i provvedimenti del giudice nel caso di perizie che richiedono il
compimento di atti idonei ad INCIDERE SULLA LIBERTÀ PERSONALE, prevedendo che,
quando si proceda per delitti di particolare gravità (delitti non colposi puniti con pena detentiva superiore
nel massimo a tre anni) e per l'esecuzione di una perizia sia necessario compiere atti idonei ad incidere
sulla libertà personale (come il prelievo di capelli, di peli o di mucosa orale, ai fini della determinazione del
DNA), e manchi il consenso della persona interessata, il giudice possa disporne sempre ex officio
con ordinanza l'esecuzione coattiva, se questa sia assolutamente indispensabile per la prova dei
fatti.
L'ordinanza che la dispone deve contenere:
a) le generalità della persona da sottoporre all'esame peritale,
b) l'indicazione delle ragioni che rendono assolutamente indispensabile sul terreno
probatorio l'effettuazione del prelievo o dell'accertamento,
c) l'avviso della facoltà riconosciuta alla persona di farsi assistere da un difensore o
da persona di fiducia.
Lo svolgimento di tali operazioni non può contrastare con espressi divieti di legge né potranno
mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona o del nascituro, né potranno
esser tali da provocare sofferenze di non lieve entità.
È salva l'esigenza del rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto.
Quando la persona, invitata a presentarsi per l'espletamento della perizia, non risulti comparsa
senza addurre un legittimo impedimento, il giudice può disporne l'accompagnamento coattivo,
mentre quando sia comparsa ma rifiuti di prestare il proprio consenso agli atti o agli accertamenti
da compiersi nei suoi confronti, il giudice potrà disporne l'esecuzione in forma coattiva, con l'uso
dei necessari mezzi di coercizione fisica, usati in modo proporzionale allo scopo, e per il solo
tempo strettamente necessario all'esecuzione del prelievo o dell'accertamento.
L'atto peritale è nullo quando la persona che vi è sottoposta non sia assistita dal difensore,
nonostante sia stato nominato.

■ Art. 226 c.p.p. il giudice conferisce l'incarico formulando i relativi quesiti.


■ Art. 228 c.p.p. per rispondere ai quesiti che gli sono proposti, il perito può essere autorizzato dal
giudice ad assistere all'esame delle parti e all'assunzione di altre prove, mentre potrà prendere
visione degli atti e delle cose prodotte dalle parti solo nei limiti in cui gli stessi siano acquisibili al
fascicolo dibattimentale. È consentito che il perito raccolga notizie dall'imputato, dall'offeso o da
altre persone, ma gli elementi così acquisiti potranno essere utilizzati solo ai fini dell'accertamento
peritale.

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■ In base all'art. 227 c.p.p. il perito procede immediatamente ai necessari accertamenti e risponde ai
quesiti in forma orale, con parere raccolto in verbale, salvo il potere del giudice di autorizzare
anche la presentazione di una relazione scritta, quando questa risulti indispensabile ad illustrare il
parere.
Quando il perito non sia in grado di fornire una risposta immediata, e se il giudice non ritenga di
sostituirlo, può essergli concesso un termine, non superiore a 90 giorni, prorogabile fino a 6 mesi
nel caso di accertamenti di particolare complessità, entro il quale il perito dovrà fornire il parere.

■ L'art. 225 c.p.p. prevede la partecipazione di CONSULENTI TECNICI, in numero non superiore
a quello dei periti, sia dal pubblico ministero sia dalle parti private, se del caso ricorrendo al
patrocinio statale per i non abbienti, durante l'intera durata dello svolgimento della perizia, fin dal
momento della formulazione dei quesiti.
□ Art. 501 sia i periti che i consulenti tecnici possono essere sottoposti ad esame, in sede
dibattimentale, secondo le disposizioni dell'esame dei testimoni.
□ Art. 230 i consulenti tecnici sono autorizzati ad assistere al conferimento dell'incarico
e quindi a partecipare a tutte le operazioni peritali, formulano osservazioni e riserve,
propongono al perito lo svolgimento di specifiche indagini, di cui sarà dato atto nella
relazione.
I consulenti tecnici possono sempre prendere visione delle relazioni e sono autorizzati dal giudice
ad esaminare le persone, le cose, i luoghi oggetto della perizia, purché non ne derivi ritardo
dall'esecuzione della perizia o al compimento di altre attività processuali.

■ Art. 231 c.p.p. dispone che il perito possa essere SOSTITUITO quando non fornisca il proprio
parere nel termine fissato o la richiesta di proroga non sia accolta, ovvero se svolge
negligentemente l'incarico affidatogli. L'ordinanza di sospensione, sentito il perito, è disposta
dal giudice salvo che il ritardo o l'inadempimento sia dipeso da cause a lui non imputabili.
Il perito sostituito può essere condannato dal giudice al pagamento di una somma a favore
della cassa delle ammende.

■ L'art. 233 c.p.p. prevede la possibilità di nomina ed intervento dei consulenti tecnici delle parti
anche nel caso in cui non sia stata disposta una perizia, con l'attribuzione a tali consulenti del
potere di esporre al giudice il proprio parere su singole questioni, eventualmente attraverso la
presentazione di memorie ex art. 121.
Quando, successivamente alla nomina del consulente tecnico, il giudice decidesse di
disporre la perizia, al consulente sarebbero riconosciuti i diritti e le facoltà ordinariamente
previsti ex art. 226 e 230.
Se invece la perizia non viene disposta il consulente tecnico può, di sua iniziativa, svolgere
le indagini e gli accertamenti consentitigli dall'oggettiva disponibilità delle persone, delle
cose o dei luoghi assunti come oggetto della consulenza, fornendo alla parte interessata gli
apporti tecnici necessari per gli ulteriori sviluppi processuali e ponendo il giudice nella
condizione di non poter prescindere dal contenuto del parere e delle eventuali memorie che
gli vengano presentate.

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La prova documentale
Si distingue tra:
a) documenti in senso stretto, formati fuori dall'ambito processuale, nel quale devono essere
introdotti perché acquistino rilevanza probatoria,
b) atti (verbali), formati all'interno del procedimento, rappresentativi di quanto vi sia accaduto.
→ Solo i documenti rientrano tra i mezzi probatori.

■ L'art. 234 c.p.p. prevede che sia consentita l'acquisizione degli scritti tradizionali, ma anche di ogni
altra cosa idonea a rappresentare fatti, persone o cose attraverso la fotografia, la cinematografia, la
fonografia e qualsiasi altro mezzo.
È esclusa la possibilità di acquisire documenti concernenti le voci correnti nel pubblico
intorno ai fatti, ovvero la moralità in generale delle parti o dei testimoni; è ammessa
l'acquisizione dei documenti necessari al giudizio sulla personalità dell'imputato e, se
del caso, della persona offesa dal reato, compresi quelli esistenti presso gli uffici
pubblici di servizi sociale e presso gli uffici di sorveglianza. Per i certificati del
casellario giudiziario le sentenza divenute irrevocabili anche straniere si ritiene che
possano essere acquisiti anche al fine di valutare la credibilità dei testimoni. È altresì
consentita ex art 234 bis l’acquisizione di documenti e dati informatici conservati
all’estero “anche se non pubblici” col consenso del legittimo titolare.
L'art. 235 prevede che i documenti costituenti corpo del reato debbano essere acquisiti qualunque
sia la persona che li abbia formati o li detenga, anche d'ufficio.

L'art. 236 c.p.p. prevede che i certificati del casellario giudiziale e le sentenze divenute
irrevocabili, nonché le sentenze straniere riconosciute, possano essere acquisiti anche al fine di
valutare la credibilità dei testimoni.

■ L'art. 237 c.p.p. dispone che i documenti provenienti dall'imputato siano sempre acquisibili, anche
d'ufficio, anche se si tratti di documenti sequestrati presso altri o da altri prodotti.
In base all'art. 239 ai fini della verifica, il documento viene sottoposto per il riconoscimento
alle parti private e ai testimoni.
■ In base all'art. 240 c.p.p. i documenti anonimi vengono esclusi, non potendo essere acquisiti né
utilizzati a meno che non costituiscano corpo del reato o provengano dall'imputato.
Tale esclusione è estesa ai documenti, ai supporti e agli atti concernenti dati e ai contenuti
di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico illegalmente
formati o acquisiti, nonché ai documenti formati attraverso la raccolta illegale di
informazioni: di tali documenti e supporti il pubblico ministero dispone l'immediata
secretazione e la custodia in luogo protetto, stabilendo che di essi sia vietato farne copia e
che il loro contenuto non può essere utilizzato, salva l'utilizzabilità come notizia del reato.
In termini brevi il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preliminari la
distruzione di tali materiali, e il giudice deve fissare un'apposita udienza camerale in contraddittorio
con le parti interessate, al termine della quale, accertati i presupposti, sarà pronunciato e subito
eseguito il relativo provvedimento di distruzione.
Di tali operazioni viene redatto verbale, nel quale dovrà darsi atto anche dell'avvenuta
intercettazione o detenzione o acquisizione illecita dei materiali, nonché dei mezzi usati e dei
soggetti interessati, senza alcun riferimento ai contenuti di tali materiali.
Tale disciplina è sospetta di incostituzionalità.

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■ L'art. 241 c.p.p. prevede che in caso di falsità dei documenti, a parte il caso in cui questa venga
accertata e dichiarata con la sentenza di condanna o di proscioglimento, il giudice, ove ritenga falso
uno dei documenti acquisiti, dopo la definizione del procedimento informa il pubblico ministero ,
trasmettendogli copia dei documenti per gli adempimenti di sua competenza.
Si riconosce al giudice penale il potere di accertare incidenter tantum l'eventuale falsità dei
documenti, in sede di valutazione complessiva delle prove.

■ L'art. 238 c.p.p. regola l'ingresso nell'ambito processuale dei verbali relativi alle prove di altri
procedimenti, considerati alla stregua di documenti in ragione della loro provenienza fuori dal
processo. L'acquisizione dei verbali di prove di altri procedimenti penali è ammessa senza altre
condizioni, secondo i normali criteri di legge, solo quando si tratti di prove assunte nell'incidente
probatorio o nel dibattimento, mentre tale regola non vale per i verbali di cui sia stata data lettura
in sede dibattimentale.
In caso di acquisizione dei verbali di prove ex comma 1 e 2, ove si tratti di verbali recanti
dichiarazioni, questi sono utilizzabili solo contro gli imputati i cui difensori abbiano partecipato
alla loro assunzione, ovvero nei cui confronti fa stato la sentenza civile.
È sempre ammessa l'acquisizione della documentazione di atti compiuti nel corso di
altri procedimenti penali, comprese le fasi preliminari, i quali, anche per cause
sopravvenute, non sono ripetibili.
In caso di impossibilità di ripetizione dovuta a fatti o circostanze sopravvenuti,
l'acquisizione della relativa documentazione è consentita solo quando questi fatti o
circostanze risultino imprevedibili.
Restano ferme le limitazioni previste in ordine agli atti non ripetibili compiuti dalla
polizia straniera e l'eventuale disciplina prevista da specifiche disposizioni.
Fuori dai casi espressamente previsti, l'acquisizione e la successiva utilizzazione dibattimentale
dei verbali di altri procedimenti contenenti dichiarazioni è ammessa solo nei confronti
dell'imputato che accontenta; in assenza di tale consenso, tali verbali potranno essere utilizzati
solo ai fini delle contestazioni in sede di esame dibattimentale.
Quando, a norma dell'art. 238, siano stati acquisiti verbali di dichiarazioni provenienti da altri
procedimenti, rimane fermo il diritto delle parti di ottenere, ex art. 190, l'esame delle persone che
abbiano reso le dichiarazioni, salvo l'art. 190-bis. Viene garantita alle parti la possibilità di escutere
direttamente nel contraddittorio dibattimentale le persone fonti delle dichiarazioni acquisite ex art.
238, i cui verbali devono essere letti in dibattimento.

Art. 238-bis - Sentenze irrevocabili.


Fermo quanto previsto dall'articolo 236, le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite
ai fini della prova dei fatti in esse accertati e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192,
comma 3.
■ L'art. 238-bis c.p.p. prevede che sia sempre consentita l'acquisizione delle sentenze divenute
irrevocabili, ai fini della prova dei fatti in esse accertati, nei limiti dei criteri di pertinenza ex art.
187, ma potranno valere come prova dei fatti accertati solo se confrontate da altri elementi
probatori di riscontro.
In base al combinato ex art. 495 e 515, dopo che siano stati ammessi su richiesta di parte ex
art. 495, i documenti dovranno essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e quindi
potranno considerarsi legittimamente acquisiti.

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Prima del dibattimento, assume rilievo la disciplina relativa all'AVVISO DI CONCLUSIONE
DELLE INDAGINI PRELIMINARI, specialmente all'udienza preliminare, in vista della quale è
stabilito che, una volta avvenuto il deposito in cancelleria del fascicolo del pubblico ministero,
contenente tutte le risultanze delle indagini preliminari, anche il difensore dell'imputato possa
produrre documenti, che dovranno essere ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione.
Allo stesso modo dovranno essere ammessi i nuovi documenti eventualmente prodotti a
seguito di ulteriori indagini ex art. 421-bis, come quelli acquisiti dal giudice in virtù dei
poteri di integrazione probatoria ex art. 422. Conclusasi l'udienza preliminare con il rinvio a
giudizio, tra i documenti acquisiti in precedenza sono destinati a confluire nel fascicolo per
il dibattimento ex art. 431 solo i certificati del casellario giudiziale e i restanti atti ex art.
236, i documenti costituenti corpo del reato o le cose pertinenti al reato, mentre tutti gli altri
documenti già raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini, o successivamente
prodotti ed ammessi ai fini dell'udienza stessa, entreranno nel fascicolo del pm formato ex
art. 433, utili quindi solo per le contestazioni ex 500 503

MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA

Ispezioni e perquisizioni

■ Ispezioni
Le ispezioni sono atti appartenenti alla sfera di competenza del giudice, ma anche del pubblico
ministero.
Art. 244 - Casi e forme delle ispezioni.
1. L'ispezione delle persone, dei luoghi e delle cose è disposta con decreto motivato quando occorre accertare le tracce e
gli altri effetti materiali del reato.
2. Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, o se questi sono scomparsi o sono stati cancellati o dispersi,
alterati o rimossi, l'autorità giudiziaria descrive lo stato attuale e, in quanto possibile, verifica quello preesistente,
curando anche di individuare modo, tempo e cause delle eventuali modificazioni. L'autorità giudiziaria può
disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica, anche in relazione a sistemi
informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad
impedirne
l’alterazione.
■ L'art. 244 prevede che l'ispezione è diretta ad accertare sulle persone, nei luoghi o nelle cose
tracce e altri effetti materiali del reato. L'ispezione può avere ad oggetto anche sistemi
informatici.
Il giudice dispone l'ispezione con decreto motivato.

■ L'art. 245 prevede l'ISPEZIONE PERSONALE: all'interessato è dato avviso della facoltà che
gli è riconosciuta di farsi assistere da persona di fiducia, purché reperibile ed idonea ex art.
120. L'ispezione deve compiersi personalmente ad opera dell'autorità procedente, ovvero anche
per mezzo di un medico, e deve essere eseguita nel rispetto della dignità e, se possibile, del
pudore della persona che vi è sottoposta.

■ L'art. 246 disciplina l'ISPEZIONE DI LUOGHI O COSE. Prima dell'inizio delle operazioni,
all'imputato e alla persona titolare della disponibilità dei luoghi, se presenti, viene consegnato il
decreto motivato che autorizza l'ispezione.

L'autorità giudiziaria può impedire l'allontanamento di una o più persone dai luoghi di
ispezione, prima della loro conclusione, e può farle ricondurre se del caso in forma coattiva, con
decreto motivato compreso nel verbale.
L'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici ed ogni altra
necessaria operazione tecnica.

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■ Perquisizioni
Art. 247 - Casi e forme delle perquisizioni.
1. Quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato, è
disposta perquisizione personale. Quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato
luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l'arresto dell'imputato o dell'evaso, è disposta perquisizione locale.
1-bis. Quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque
pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorchè protetto da misure di sicurezza, ne è
disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad
impedirne l’alterazione. (1)
2. La perquisizione è disposta con decreto motivato.
3. L'autorità giudiziaria può procedere personalmente ovvero disporre che l'atto sia compiuto da ufficiali di polizia
giudiziaria delegati con lo stesso decreto.
■ L'art. 247 prevede che la perquisizione sia diretta a ricercare il corpo del reato o cose pertinenti al
reato su persone o in luoghi determinati, ovvero ad eseguire in questi ultimi l'arresto dell'imputato o
dell'evaso. Può avere ad oggetto anche sistemi informatici o telematici.
L'autorità giudiziaria procede personalmente, salva la possibilità di delegarvi un ufficiale
di polizia giudiziaria.
■ L'art. 248 prevede il PRINCIPIO DELLA RICHIESTA DI CONSEGNA, come attività preliminare
rispetto alla perquisizione, quando si ricerchi una cosa determinata; quando sia presentata in
adesione all'invito dell'autorità procedente, la perquisizione stessa potrà essere evitata, se non si
ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini.
Una disciplina specifica si ha per gli atti, i documenti e la corrispondenza presso banche:
l'autorità giudiziaria, o per delega gli ufficiali di polizia giudiziaria, può procedere al loro esame,
eventualmente dopo aver chiesto l'esibizione, quando si tratti di rintracciare cose da sottoporre a
sequestro, ovvero di accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini.
Tuttavia tale disciplina non può applicarsi qualora i responsabili di tali istituti rifiutino il
loro consenso; in tal caso l'autorità giudiziaria dovrà necessariamente procedere a
perquisizione.
■ L'art. 250 prevede, in caso di PERQUISIZIONI DI LOCALI, la consegna del decreto e dell'avviso
della facoltà di assistenza nel corso delle operazioni.
I poteri dell'autorità giudiziaria procedente risultano estesi all'eventuale perquisizione delle persone
sopraggiunte, nonché all'adozione degli altri provvedimenti coercitivi temporanei previsti
relativamente alle ispezioni locali.

■ L'art. 103 disciplina le PERQUISIZIONI PRESSO GLI UFFICI DEI DIFENSORI,


definendo rigorosamente i presupposti in presenza dei quali può procedersi:
a) il giudice in persona, ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero,
b) sulla scorta di un decreto motivato autorizzativo del giudice competente per tale fase,
c) avvisato il locale consiglio dell'ordine forense, affinché il presidente o un consigliere
suo delegato possa assistere alle operazioni.
L'art 103 prevede modalità identiche anche in materia di sequestro: presso i difensori e i consulenti
tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo
che costituiscano corpo del reato.
Sono vietati il sequestro ed ogni altra forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato e il
proprio difensore, in quanto riconoscibile dalle apposite indicazioni, se l'autorità giudiziaria non
abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato; sono vietate le intercettazioni di
conversazioni e di comunicazione dei difensori, dei consulenti tecnici e dei loro ausiliari,
nonché quelle tra i difensori e i loro assistiti.

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I risultati delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri e delle intercettazioni eseguiti
in violazione delle disposizioni ex art. 103 non possono essere utilizzati, con l'unica
eccezione nel caso in cui costituiscano corpo del reato.

■ Sono poi previste alcune particolari figure di PERQUISIZIONE CONSENTITE AGLI ORGANI
DI POLIZIA GIUDIZIARIA da leggi speciali quando, nel corso delle operazioni dirette alla
prevenzione o alla repressione di determinati delitti, si verifichino situazioni di necessità ed
urgenza tali da non permettere un tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria; ad esempio,
quando tali operazioni riguardino il traffico illecito di stupefacenti, gli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria possono procedere di regola a perquisizioni, ove abbiano fondato motivo di ritenere
che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti; ad esempio, agli ufficiali ed agli agenti di
polizia giudiziaria, nell'ambito di operazioni relative ai delitti ex art. 416-bis, 648-bis e 648-ter,
ove abbiano fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenuti denaro o valori costituenti il
prezzo o il profitto di tali delitti, o da essi provenienti, ovvero armi ed esplosivi.
□ Gli organi di polizia hanno un generale potere, in situazioni di necessità ed urgenza, di
procedere ad immediata perquisizione sul posto di persone e di mezzi di trasporto al solo
fine di accertare l'eventuale possesso di armi, strumenti di effrazione ed esplosivi.
□ Gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno il potere di procedere a perquisizioni locali anche di
interi edifici o blocchi di edifici; tali perquisizioni, durante il cui svolgimento può essere
sospesa la circolazione di persone o di veicoli nelle aree interessate, possono essere disposte
quando vi sia fondato motivo di ritenere che in tali edifici si trovino armi, munizioni ed
esplosivi, ovvero che vi sia rifugiato un latitante o un evaso in relazione a taluno dei delitti
di criminalità organizzata, ex art. 51 comma 3-bis, ovvero ai delitti con finalità di
terrorismo.
□ Agli ufficiali di polizia giudiziaria è riconosciuto il potere di procedere anche di loro
iniziativa, qualora non sia possibile un tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, alla
perquisizione degli immobili, rispetto ai quali sussistano concreti elementi per ritenere che
l'autore se ne sia avvalso come luogo di riunione, di deposito o di rifugio, o per altre
attività connesse ai più gravi reati finalizzati alla discriminazione od alla violenza per
motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Delle operazioni compiute viene data tempestiva notizia al procuratore della Repubblica in
vista dell'eventuale convalida delle stesse, che dovrà sopravvenire entro le successive 48 ore,
affinché i risu ltati così acquisiti siano utilizzabili nel procedimento.

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Il sequestro
Art. 253 - Oggetto e formalità del sequestro.
1. L'autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al
reato necessarie per l'accertamento dei fatti.
2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne
costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
3. Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato
con lo stesso decreto.
4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all'interessato, se presente.

Oggetto dell'istituto del sequestro, ex art. 253, è il corpo del reato ed altre cose pertinenti al reato,
le quali risultino necessarie per l'accertamento dei fatti.
Il CORPO DEL REATO ricomprende sia le cose sulle quali o mediante le quali il reato è
stato commesso, sia quelle che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
Sono le stesse cose per la cui ricerca può essere disposta la perquisizione, sicché si instaura un
rapporto di logica consequenzialità tra perquisizione e sequestro.
In caso di perquisizione eseguita contra legem dovrebbe derivare l'inutilizzabilità del
sequestro; tuttavia le Sezioni unite hanno ritenuto che la sanzione di inutilizzabilità non
operi quando si tratti di sequestro ex art. 253 del corpo del reato o delle cose pertinenti al
reato, sulla base del rilievo che in tali casi debba reputarsi irrilevante il modo con cui
siano pervenuti e debba invece prevalere l'obbligo dell'autorità procedente di disporre il
sequestro.
Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria, ovvero un ufficiale di polizia
giudiziaria, con decreto motivato da consegnarsi in copia all'interessato, se presente.
Delle operazioni si deve dar conto nel relativo verbale.
■ L'art. 254 c.p.p. disciplina il SEQUESTRO DI CORRISPONDENZA: sono sequestrabili negli
uffici postali le lettere, i pieghi, i pacchi ed ogni altro oggetto presumibilmente spedito
dall'imputato o a lui diretto (esclusa la corrispondenza riconoscibile tra imputato e difensore), o
che comunque possa avere relazione con il reato.
Qualora proceda al sequestro un ufficiale giudiziario è fermo l'obbligo di consegnare gli oggetti
sequestrati al magistrato senza aprirli né alterarli e senza prendere in altro modo conoscenza del
loro contenuto.
Le carte e i documenti sequestrati che non rientrano tra la corrispondenza sequestrabile
sono immediatamente restituiti all'avente diritto e non possono essere utilizzati.
■ L'art. 254-bis disciplina il SEQUESTRO PRESSO FORNITORI DI SERVIZI INFORMATICI,
TELEMATICI O DI TELECOMUNICAZIONI, dei dati da questi detenuti: l'autorità giudiziaria può
stabilire che, per esigenze legate alla regolare fornitura degli stessi servizi, la loro acquisizione
avvenga mediante copia di essi su adeguato supporto, attraverso una procedura che assicuri la
conformità dei dati acquisiti a quelli originali e alla loro immodificabilità.
■ L'art. 255 regola il SEQUESTRO PRESSO BANCHE, prevedendo la possibilità che l'esecuzione di
tale atto venga delegata agli organi di polizia giudiziaria.
Possono essere sequestrati documenti, titoli, valori, somme ed ogni altra cosa, anche depositata o contenuta in cassette
di sicurezza, quando vi sia fondato motivo di ritenere la loro pertinenza al reato, indipendentemente dal fatto che
appartengano all'imputato o siano iscritti a suo nome; il segreto bancario non opera davanti al potere di sequestro
dell'autorità giudiziaria in sede penale.

142
■ L'art. 256 regola il RAPPORTO TRA SEQUESTRO E SEGRETI, ponendo come regola
generale il dovere di esibizione imposto alle persone ex art. 200 e 201, quando venga loro
richiesta dall'autorità giudiziaria la consegna di atti, documenti e di ogni altra cose di cui
abbiano la disponibilità per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, arte o professione, a
meno che tali persone oppongano, dichiarando per iscritto il vincolo derivante da un segreto
professionale, d'ufficio o di Stato.
□ Quando l'opposizione si riferisca all'esistenza di un segreto professionale o d'ufficio, e l'autorità
giudiziaria dubiti della fondatezza di tali dichiarazioni, ritenendo di non poter procedere senza
le corrispondenti acquisizioni, la stessa autorità può disporre i necessari accertamenti, a
conclusione dei quali il sequestro dovrà essere ordinato in caso di accertata infondatezza
dell'opposizione dei segreti.
□ In caso di opposizione del segreto giornalistico il sequestro dovrà essere ordinato anche
prescindendo dalla fondatezza o meno della relativa dichiarazione, quando le notizie fornite dalla
fonte fiduciaria del giornalista risultino indispensabili ai fini della prova del reato, e la loro
veridicità possa esser accertata solo attraverso l'identificazione di tale fonte.
□ È escluso che possano esser sottoposti a sequestro gli atti e i documenti contenenti i nomi
degli informatori confidenziali, dei quali gli organi di polizia giudiziaria o dei servizi di
sicurezza dichiarino di non voler rilevare l'identità.
□ Nel caso di opposizione del segreto di Stato, rispetto agli atti o documenti in questione, gli
adempimenti prescritti all'autorità giudiziaria corrispondono a quelli ex art. 202; alla sentenza
non deve procedersi in caso di conferma del segreto (al più tardi entro 60 giorni), da parte del
presidente del Consiglio dei ministri, su prova ritenuta dal giudice essenziale per la
definizione del processo; mentre quando tale conferma non sia tempestivamente fornita,
l'autorità giudiziaria potrà disporre il sequestro degli stessi atti o documenti.
Non è ammissibile l'opponibilità del segreto d'ufficio o di stato ex art. 201, 202, 203 su
fatti, notizie e documenti concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento
costituzionale, ovvero concernenti altri delitti ex art. 204 co 1.
■ L'art. 256-bis prevede che, per l'acquisizione, ad opera dell'autorità giudiziaria, di documenti,
ovvero atti o altre cose, presso le sedi dei servizi di informazione per la sicurezza, nel caso in
cui dai responsabili dei relativi uffici non venga eccepito il segreto di Stato, l'autorità giudiziaria,
dopo aver proceduto con uno specifico ordine di esibizione all'esame sul posto di tali documenti, e
dopo aver acquisito solo quelli strettamente indispensabili alle indagini, possa rivolgersi al
presidente del Consiglio dei ministri, sollecitandone una decisione, ove ritenga che i documenti
esibiti non siano quelli richiesti o siano incompleti.
Al presidente del Consiglio dovrà necessariamente rivolgersi l'autorità giudiziaria quando
intenda acquisire un documento originato da un organismo informativo estero e trasmesso
con vincolo di non divulgazione, essendo in tal caso prevista la sospensione dell'esame e
della consegna, nell'attesa che il presidente del Consiglio, assunte le necessarie iniziative
presso l'autorità estera, adotti le relative determinazioni, autorizzando l'acquisizione del
documento ovvero opponendo il segreto di Stato entro 60 giorni. (30 giorni nel caso di
testimonianza ex 202).
■ L'art. 256-ter prevede che se il responsabile dell'ufficio detentore dei documenti da acquisirsi
eccepisca il segreto di Stato, l'esame e la consegna di tali documenti debba esser sospesa per far
luogo alla loro immediata trasmissione al presidente del Consiglio dei ministri, che potrà o
autorizzare l'acquisizione di tali documenti ovvero dare conferma del segreto di Stato, salvo che
quando non si pronunci per la conferma del segreto entro 30 giorni da tale trasmissione, l'autorità
giudiziaria potrà procedere all'atto acquisitivo.

143
■ L'art. 257 prevede la RICHIESTA DI RIESAME, che richiama la procedura ex art. 324 con la
relativa richiesta contro i decreti di sequestro conservativo e preventivo.

L'estinzione del vincolo imposto con il sequestro, e quindi la restituzione delle cose ad
esso assoggettate dipende, in teoria, dal venire meno delle esigenze probatorie che avevano
determinato il provvedimento.
L'art. 262 dispone che se non è necessario mantenere il sequestro ai fini della prova, le cose
sequestrate devono essere restituite a chi ne abbia il diritto, anche prima della sentenza.
Tale regola è derogata dalla previsione di conversione del sequestro, da misura con
finalità probatoria a misura con finalità cautelare.
Venuto meno il presupposto probatorio del sequestro penale, il giudice, quando ne sia ritualmente
richiesto, potrà disporre il mantenimento del vincolo a titolo di sequestro conservativo o di
sequestro preventivo, anziché ordinare la restituzione delle cose sequestrate, soltanto quando abbia
verificato la sussistenza dei presupposti cautelari delle varie misure.
Quando tale verifica dia esito positivo, il giudice sarà tenuto a disporre il correlativo sequestro di
natura cautelare, mentre all'opposto, nel caso di perdita d'efficacia di un sequestro preventivo a
causa di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, poi impugnata dal pubblico
ministero, quando esistano più esemplari identici alla cosa sequestrata, e questa presenti interesse
ai fini della prova, il giudice sarà tenuto a disporre il sequestro penale di un solo esemplare della
cosa, ordinando allo stesso tempo la restituzione degli altri.

L'art. 263 regola la RESTITUZIONE, il provvedimento viene pronunciato quando non vi siano
dubbi sull'appartenenza delle cose sequestrate (ma in caso di sequestro presso una terza persona si
instaurerà sempre il contraddittorio), mentre quando sorga controversia sulla proprietà delle cose
la risoluzione sarà rimessa al competente giudice civile, fermo restando il vincolo del sequestro.
Nel corso delle indagini preliminari, sulla restituzione delle cose sequestrate provvede il
pubblico ministero con decreto motivato; dopo di che, contro il decreto che ha disposto la
restituzione, ovvero abbia respinto la relativa richiesta, gli interessati potranno proporre
opposizione sulla quale decide il GIP, ex art. 127.
Intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni
Art. 15 Cost.
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie
stabilite dalla legge.
Circa questo tema si sono sviluppate diverse polemiche per la troppa facile divulgazione sui media del
contenuto delle stesse. Numerose riforme hanno modificato il testo e da ultima quella Orlando del 2017 che
ha introdotto nuovi sistemi di garanzia per la tutela della riservatezza.
■ L'art. 266 c.p.p. definisce i LIMITI OGGETTIVI entro i quali è ritenuta ammissibile
l'intercettazione di conversazioni, comprendendo i colloqui tra presenti (anche nei luoghi di
domicilio, se del caso con appositi strumenti di ascolto, da autorizzare specificamente), ovvero
comunicazioni di ogni tipo.
L'intercettazione è consentita per i procedimenti relativi a:
a. delitti non colposi puniti con ergastolo o reclusione superiore a 5 anni;
b. delitti contro la PA puniti con reclusione superiore a 5 anni,
c. delitti circa sostanze stupefacenti o psicotrope,
d. delitti circa armi e sostanze esplosive,
e. delitti di contrabbando,
f. reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia con mezzo telefonico,
g. delitti di pornografia minorile.
Per effetto dell'art. 266-bis deve sempre ritenersi consentita, nei limiti degli ordinari presupposti di
legge, l'intercettazione di flusso relativo a sistemi informatici o telematici, tutte le volte in cui si
proceda per uno dei reati ex art. 266, nonché per i reati commessi con l'impiego di tecnologie
informatiche o telematiche.
Negli stessi casi si può procedere ad intercettazioni di colloqui tra presenti, intercettazioni
ambientali. La regola generale vuole però che nei luoghi di domicilio tale intercettazione è
consentita solo se risulta lo svolgimento dell’attività criminosa. Delicato è l’impiego dei
captatori informatici, cd trojan virus, che installati in un dispositivo connesso a internet
consentono di acquisire ogni sorta di dato in esso presenti, incluso la registrazione di suoni e
immagini. In generale l’uso dei captatori (cimici) per le intercettazioni ambientali è consentito
fuori dal domicilio, per i trojan invece si pone il problema che questi possano captare anche
conversazioni all’interno del domicilio. La corte cost con sent 152/91 consente l’utilizzo dei
captatori anche nel domicilio a prescindere dallo svolgersi dell’attività criminosa, tuttavia il
legislatore della riforma ne ha ristretto la portata e quindi l’utilizzo tout cour ai soli delitti di cui
all’art 51 comma 3 bis e quater. Negli altri casi occorre che nel decreto di autorizzazione siano
indicati i luoghi e il tempo in cui è consentito attivare il microfono.

■ L'art. 267c.p.p. prevede che, di regola, l'intercettazione possa esser disposta dal pubblico
ministero solo a seguito di autorizzazione da parte del giudice per le indagini preliminari, con
decreto motivato, quando, in presenza di gravi indizi di reato, non necessariamente a carico di una
determinata persona, l'intercettazione risulti assolutamente indispensabile per la prosecuzione
delle indagini, ovvero necessaria al fine di agevolare le ricerche del latitante.
Nei casi di urgenza, quando vi siano valide ragioni per ritenere che il ritardo
provocherebbe gravi pregiudizi alle indagini, si ammette che l'iniziativa di disporre
l'intercettazione possa venire direttamente assunta dal pubblico ministero con decreto
motivato, da convalidarsi entro 48 ore ad opera dello stesso giudice con decreto. In caso
di mancata tempestiva convalida, l'intercettazione non potrà essere proseguita e i risultati
eventualmente già ottenuti non potranno essere utilizzati.
La giurisprudenza delle Sezioni unite ha escluso la necessità di estendere all'acquisizione
dei tabulati attestanti il flusso del traffico telefonico relativo ad un'utenza, le garanzie
proprie delle intercettazioni telefoniche, essendo i tabulati limitati ad acquisire la
documentazione del fatto storico consistente nelle conversazioni intercorse tra determinati
soggetti in determinate circostanze.
Può quindi ritenersi sufficiente il provvedimento motivato dell'autorità
giudiziaria impersonata dal pubblico ministero.
→ Il d.lgs. 196/2003 regola la disciplina dell'ACQUISIZIONE DEI TABULATI RELATIVI AL
TRAFFICO TELEFONICO, stabilendo che i dati relativi a tale traffico debbano essere conservati
dal fornitore del servizio per 24 mesi dalla data della comunicazione per finalità di accertamento e
repressione dei reati. Il termine di conservazione è di 12 mesi rispetto al traffico telematico e 30
giorni rispetto ai dati relativi alle chiamate senza risposta.
Tali dati possono essere acquisiti dal pubblico ministero con decreto motivato, anche su
istanza dei difensori delle parti private. Il difensore dell'imputato può, in sede di indagini
difensive, richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al
proprio assistito.
Tornando alle intercettazioni il decreto del pubblico ministero stabilisce le modalità e la durata
delle corrispondenti operazioni; queste non possono prolungarsi oltre il termine di 15 giorni
(prorogabili dal giudice, con decreto motivato, e in permanenza dei presupposti richiesti
dall'inizio, per periodi successivi di 15 giorni) e devono essere eseguite dal pubblico ministero
personalmente o tramite un ufficiale di polizia giudiziaria.

Il d.l. 152/1991 disciplina le INDAGINI RELATIVE AI DELITTI DI CRIMINALITÀ


ORGANIZZATA, ovvero di
minaccia col mezzo del telefono, nonché i delitti ex art. 270-ter, 280-bis, 600-604 c.p. e i DELITTI
DI NATURA TERRORISTICA od eversiva ex art. 407 co 2, a questi vanno aggiunti i delitti dei
P.U. VS PA con pena reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni: quando l'intercettazione
risulti necessaria per lo svolgimento di tali indagini, questa può essere autorizzata dal giudice
anche solo in presenza di sufficienti indizi di reato.
La durata di queste operazioni non può di regola superare i 40 giorni, ma può esser
prorogata, con decreto motivato, dal giudice (in caso di urgenza dal pubblico ministero),
previa verifica della permanenza dei presupposti richiesti dalla legge, per periodi
successivi di 20 giorni.
Nel caso si tratti di intercettazioni di conversazioni tra persone presenti (ambientali), nell'ambito
di procedimenti per delitti di criminalità organizzata, nonché per gli altri delitti citati, l'operazione
può esser autorizzata e disposta, anche nei luoghi di domicilio, pur quando non vi è motivo di
ritenere che in tali luoghi si stia svolgendo attività criminosa. Questo vale anche per le
intercettazioni ambientali consentite allo scopo di agevolare le ricerche dei latitanti in relazione a
tali delitti, ex art. 295 co 3-bis.
Il pubblico ministero annota in apposito registro riservato, secondo il loro ordine cronologico,
tutti i decreti che abbiano disposto, autorizzato, convalidato o prorogato le intercettazioni, nonché i
tempi di inizio e di conclusione di ogni operazione.
Art. 90 disp. att. tali operazioni sono compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati
nella procura della Repubblica presso il tribunale, salvo in caso di insufficienza o inidoneità degli
stessi: in questo caso il pubblico ministero può autorizzare con decreto motivato l'uso di impianti di
pubblico servizio, ovvero di quelli in dotazione alla polizia giudiziaria, quando sussistano
eccezionali ragioni d'urgenza.

■ L'art. 268 comma 3-bis ammette che in caso di intercettazione di comunicazioni informatiche o
telematiche possa venire autorizzato anche l'impiego di impianti appartenenti a privati.
L'art. 268 stabilisce che le comunicazioni intercettate siano sempre registrate e che nel
relativo verbale venga trascritto, anche in modo sommario, il loro contenuto. La riforma
orlando ha introdotto l’espresso divieto di trascrivere nel verbale le comunicazioni irrilevanti,
divieto rivolto alla p.g. Il pm ha il potere di valutarne l’effettiva rilevanza e disporne la
trascrizione.
I verbali e le trascrizione sono trasmesse immediatamente al pm che può differire la
trasmissione in caso di indagini complesse. La novità più significativa della riforma è
l’istituzione di un archivio (presso l’ufficio del pm che ha richiesto le intercettazioni)
riservato dove vanno conservati verbali, registrazioni e ogni altro atto a esse relativo ex 269 c1.
Il procuratore della Repubblica ha il dovere di dirigere, sorvegliare e assicurarne la segretezza
finché il giudice non ne disponga l’acquisizione, infatti potranno accedervi successivamente
anche i difensori delle parti (previa annotazione e non possono estrarne copia).
I verbali e la registrazione (rilevanti) devono essere depositati in segreteria, entro 5 giorni dalla
conclusione definitiva delle operazioni, salva la possibilità di ritardo autorizzato dal giudice, non
oltre la chiusura delle indagini preliminari, quando potrebbe derivarne un grave pregiudizio per le
indagini stesse. In ogni caso il pm deve darne avviso ai difensori. Il pm entro i 5 giorni successivi
deve presentare richiesta al giudice dell’acquisizione delle intercettazioni depositate e i difensori,
entro 10 giorni dall’avviso, hanno facoltà di chiedere l’acquisizione delle intercettazioni per loro
rilevanti e eliminazioni di quelle inutilizzabili o di cui è vietata la trascrizione. Anche il pm può
chiedere l’eliminazione di quelle per cui è sopravvenuta l’irrilevanza. Ex 268 quater il giudice,
decorsi 5 giorni dalla presentazione delle richieste, con ordinanza in camera di consiglio (senza la
presenza delle parti o se necessario in un’udienza ad hoc) dispone l’acquisizione delle
intercettazioni escludendo quelle irrilevanti o inutilizzabili e gli atti sono inseriti nel fascicolo delle
indagini. Con l’ordinanza viene meno il segreto ergo i difensori possono estrarre copie delle
intercettazioni acquisite, quelle irrilevanti tornano in archivio e restano coperte da segreto. È quindi
previsto un doppio filtro prima dal pm e poi dal giudice senza contare la selezione fatta dalla p.g.

Può accadere che le intercettazioni debbano essere utilizzate prima della conclusione delle operazioni o comunque
senza l’acquisizione davanti al giudice, es richiesta di misura cautelare ex 291 il pm deve indicare gli elementi che
dimostrano la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. In questi casi la selezione delle intercettazioni rilevanti è
fatta dal pm che le inserisce direttamente nel fascicolo delle indagini per non rovinare l’effetto sorpresa. Al giudice
una volta adottata la misura non resta che restituire al pm gli atti che abbia ritenuto non rilevanti o inutilizzabili
perché li collochi nell’archivio riservato. Comunque sia, tanto nella richiesta quanto nell’ordinanza cautelare (atti
pubblici), si devono riportare soltanto i brani essenziali. Eseguita la misura cautelare, l’ordinanza, la richiesta del pm
e gli atti presentati con essa, vanno depositati in cancelleria. Da questo momento in poi ex nuova versione comma 3
art 293, il difensore ha diritto non solo di accedere ai verbali ma di ottenere la trasposizione delle registrazioni su
supporto idoneo.

■ Art. 269 c.p.p. i verbali e le registrazioni delle intercettazioni, anche non acquisiti, devono di
regola esser conservati integralmente presso un archivio del pubblico ministero che le
abbia disposte, fino al passaggio in giudicato della sentenza.
È ammesso che, quando la relativa documentazione non sia necessaria per il procedimento,
gli interessati, a tutela della propria riservatezza, possano chiederne la distruzione al
giudice, che provvede in camera di consiglio e, qualora la distruzione venga disposta, curerà
che sia eseguita sotto al suo controllo. Di tutto è redatto verbale.

■ L'art. 270 c.p.p. salva la possibilità di desumere eventuali notizie di reato anche da
intercettazioni disposte in altri procedimenti: queste intercettazioni sono utilizzabili solo quando
risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.
Questa disciplina è estesa anche ai captatori informatici con l’inserimento del comma 1bis dalla
riforma orlando.
Una volta trasmessi le registrazioni e i verbali correlativi all'autorità giudiziaria
competente, nell'ambito di tale procedimento deve assicurarsi il contraddittorio in ordine a
tale documentazione, attraverso le forme dell'art. 268.
Per evitare i rischi connessi ad una trasmissione solo parziale dei verbali e delle registrazioni
risultanti dalle intercettazioni compiute, il pubblico ministero e i difensori possono esaminare
l'intera documentazione, compresi i verbali e le registrazioni successivamente oggetto di stralcio,
così come depositata ex art. 268 nel procedimento per il quale le intercettazioni siano state all'inizio
autorizzate. Secondo le s.u. se la conversazione o comunicazione è essa stessa il corpo del reato
(integra e esaurisce la condotta criminosa, es rivelazione segreto di ufficio) è sempre utilizzabile.

La Legge 124/2007 regola i casi in cui l'autorità giudiziaria, con le intercettazioni, abbia acquisito
comunicazioni di servizio di appartenenti al sistema dei servizi di sicurezza.
■ L'art. 270-bis c.p.p., applicabile solo alle acquisizioni probatorie successive alla data di entrata in
vigore di tale legge, prevede che la relativa documentazione sia immediatamente secretata e
custodita in luogo protetto, prevedendo che la stessa autorità giudiziaria trasmetta al presidente del
Consiglio dei ministri copia di tale documentazione, nella parte contenente le informazioni di cui
intende avvalersi nel processo, allo scopo di accertare se alcuna di queste sia coperta da segreto di
Stato.
Se entro 60 giorni il presidente del Consiglio non opponga tale segreto, l'autorità
giudiziaria potrà acquisire la documentazione trasmessa e provvedere per il proseguimento
del procedimento, mentre in caso di opposizione del segreto di Stato, le sarà inibita
l'utilizzazione delle notizie coperte da segreto.
□ Il comma 3 dispone che prima che sopraggiunga la risposta del presidente del Consiglio, le
informazioni ad esso inviate possano esser utilizzate, sia pure limitatamente ad una prospettiva
cautelare, cioè solo se vi sia pericolo di inquinamento delle prove o pericolo di fuga, ovvero
quando sia necessario intervenire per prevenire o interrompere la commissione di un delitto.

■ L'art. 271 c.p.p. prevede l'INUTILIZZABILITÀ DELLE INTERCETTAZIONI ESEGUITE


CONTRA LEGEM: i relativi risultati non possono esser utilizzati sul piano probatorio quando
queste siano state effettuate senza osservare le disposizioni ex art. 267 e 268, o fuori dai casi
consentiti dalla legge.
Resta il divieto di intercettazioni circa le comunicazioni dei difensori e dei consulenti tecnici coi
loro assistiti. Altro divieto sorge per l’utilizzo delle comunicazioni rilevate durante le operazioni
preliminari all’inserimento del captatore informatico nel dispositivo.
Inoltre ex art 68 comma 3 cost per poter sottoporre i membri del parlamento ad intercettazione è
necessaria l’autorizzazione della camera di appartenenza.
Il divieto di utilizzazione ex art. 271 viene esteso fino a ricomprendere tutte le intercettazioni
riguardanti le comunicazioni delle persone ex art. 200, quando abbiano ad oggetto fatti conosciuti
per ragioni del loro ministero, ufficio o professione, salvo che tali persone abbiano deposto sugli
stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.
Tale normativa è dettata per i soli segreti professionali, ad esclusione del segreto d'ufficio, in
quanto non è posto a garanzia di un diritto fondamentale ma a tutela degli interessi della pubblica
amministrazione.
L'art. 271 prevede che le registrazioni e i verbali relativi alle intercettazioni riconosciute come
inutilizzabili, destinati ad esser stralciati anche d'ufficio, debbano essere distrutti per ordine del
giudice di ogni stato e grado del processo, appena ne sia stata dichiarata la non utilizzabilità, senza
contestazione ad opera delle parti, salvo costituisca corpo del reato.

Art. 68 Cost.
I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei
voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può
essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti
privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza
irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto
l'arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in
qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.
■ L'art. 68 comma 3 Cost. prevede la necessità di autorizzazione della Camera di
appartenenza per poter sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi
forma, di conversazioni o comunicazioni.
Tale autorizzazione deve essere richiesta dall'autorità che ha emesso il provvedimento da
eseguire.
Nel frattempo l'esecuzione di tale provvedimento deve rimanere sospesa; quindi ove le
intercettazioni venissero comunque eseguite, lo sarebbero fuori dai casi consentiti dalla
legge.
Analoga disciplina si ha nel caso in cui l'autorità giudiziaria debba acquisire tabulati
di comunicazioni nei riguardi di un parlamentare, esorbitando così dai confini
dell'art.
68 comma 3 Cost., dettando quindi una previsione sospetta di illegittimità per
ingiustificata disparità di trattamento a favore dei membri del Parlamento.

Caso particolare è quello dei verbali e delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni cui
abbiano preso parte dei membri del parlamento, le quali siano state regolarmente intercettate nel
corso di procedimenti riguardanti terze persone (intercettazioni indirette); fermo restando che nel
caso di intercettazioni preordinate a carico di un parlamentare trova applicazione l'art. 68 comma 3
Cost, sia che si tratti di intercettazioni disposte su utenze o in luoghi rientranti nella sfera di
appartenenza o di disponibilità dello stesso membro del Parlamento, sia che si tratti di
intercettazioni appartenenti a soggetti diversi, in quanto suoi interlocutori abituali, ovvero in luoghi
diversi, in quanto possano presumersi frequentati dal parlamentare.

La Legge 140/2003, in attuazione all'art 68 Cost. distingue a seconda che il giudice per le
indagini preliminari ritenga irrilevanti, ai fini del procedimento, i verbali e le registrazioni delle
conversazioni o comunicazioni intercettate nel corso di procedimenti riguardanti terzi, alle quali
abbiano occasionalmente preso parte dei membri del parlamento, ovvero che li ritenga rilevanti,
che ritenga quindi necessario utilizzare i risultati delle relative intercettazioni, su istanza di una
parte, sentite le altre parti, nei termini e nei modi previsti all'art. 268:
a) se li ritiene irrilevanti, i risultati devono essere integralmente distrutti ex art. 269;
b) se li ritiene rilevanti, il giudice, per poter utilizzare le intercettazioni così eseguite, deve
tempestivamente richiederne l'autorizzazione alla Camera di appartenenza del
parlamentare, le cui conversazioni siano state casualmente intercettate, trasmettendo con la
richiesta una copia integrale dei verbali e delle registrazioni.
Nel caso in cui tale autorizzazione sia negata, la documentazione delle intercettazioni
deve essere distrutta immediatamente, non oltre 10 giorni dal diniego.
Tutti i verbali e le registrazioni acquisiti in violazione di tale norma devono esser
dichiarati inutilizzabili ad opera del giudice in ogni stato e grado del procedimento.
Questa disciplina drastica per quanto giustificabile in relazione al parlamentare, non
trovava altrettanta giustificazione nel caso in cui dall’intercettazione emergessero risultati
rilevanti sulla posizione di terze persone che non ricoprivano la carica parlamentare e che
comunque godevano dell’estensione di tale immunità. Interviene la corte cost che
dichiara illegittima l’applicabilità di questa disciplina nei confronti di persone che non
abbiano la qualifica di parlamentare.
Vige il divieto assoluto di intercettare il Presidente della Repubblica e l’obbligo di
distruzione immediata di quelle accidentalmente registrate.

■ L'art. 226 disp. att. regola le INTERCETTAZIONI PREVENTIVE DI COMUNICAZIONI O DI


CONVERSAZIONI, comprese quelle tra soggetti presenti, anche all'interno del domicilio : su
iniziativa del Ministero dell'Interno o di un'autorità da lui delegata, a seguito di autorizzazione del
procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il
soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso in cui non sia determinabile, del distretto in cui
sono emerse le esigenze di prevenzione, quando le stesse risultino necessarie per l'acquisizione di
notizie circa la prevenzione dei delitti ex art. 407 e 51 co 3-bis e quater, ovvero quando tali
intercettazioni siano ritenute indispensabili per la prevenzione di attività terroristiche o di
eversione dell'ordinamento costituzionale, possono esser disposte anche su iniziativa dei direttori
dei servizi informativi e di sicurezza, in quanto delegati dal presidente del Consiglio dei ministri, e
a seguito di autorizzazione del procuratore generale presso la corte d'appello di Roma.
Gli elementi eventualmente acquisiti con queste intercettazioni preventive non possono esser
utilizzati nel procedimento penale, salvi i fini investigativi; in ogni caso tali attività di
intercettazione preventiva e le notizie acquisite a seguito di queste non possono esser menzionate
in atti di indagine né costituire oggetto di deposito né esser divulgate.
CAPITOLO 5 – INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE
1. Le indagini preliminari: finalità e caratteri essenziali
Il libro V intitolato “indagini preliminari e udienza preliminare” introduce la parte “dinamica” del
codice, disciplinando la fase del procedimento penale prodromica al giudizio. Chiamato ad attuare i
caratteri del sistema accusatorio il legislatore del 1988 ha preso le distanze dal vecchio modello
incentrato su una “istruzione” funzionale all’acquisizione di materiale direttamente utilizzabile nel
giudizio, adottando, in vista della centralità dell’accertamento dibattimentale, un’attività di indagine
meramente preparatoria, dai tempi definiti, da modalità di svolgimento degli atti non improntata a
forme rigide e a forme di documentazione essenziali; a ciò si aggiungeva l’assenza di un ruolo attivo
della difesa e la segretezza degli atti investigativi. L’art. 326 dispone infatti che le indagini preliminari
sono l’attività di ricerca e raccolta di informazioni che il PM e la PG, acquisita la notizia di reato,
svolgono per consentire allo stesso PM di decidere se esercitare o meno l’azione penale (l’esercizio
dell’azione penale, atto introduttivo del processo in senso stretto, è stato collocato a valle del tempo delle
indagini, indagini che servono ad assumere elementi necessari per l’azione ma sono privi di valore
probatorio per il giudizio).
A sottolineare poi l’idea di una netta separazione tra le fasi del procedimento, assumendosi l’esercizio
dell’azione penale quale linea di confine tra indagine e giudizio, il legislatore ha impiegato anche una
precisa terminologia nel distinguere il prima e dopo: si parla quindi di processo relativamente alla parte
del procedimento connotata dalla giurisdizione ed introdotta dall’imputazione; si parla di procedimento
con riguardo alla fase delle indagini (o, più onnicomprensivamente, all’intera sequenza composta da
indagini e giudizio); designando nella persona sottoposta alle indagini (cd. indagato) il protagonista del
primo scenario accusatorio ed individuando nell’imputato il soggetto destinatario dell’imputazione.
Senonché modello inquisitorio (prima del 1988), ponendo il PM al centro di un’azione investigativa
caratterizzata da una forte unilateralità dell’attività di indagine, disegnava degli squilibri deleteri per il
diritto di difesa. Una tale presa d’atto ha, quindi, condotto ad una sostanziale giurisdizionalizzazione
della fase di indagine, esigendo un rafforzamento delle garanzie e maggiori spazi difensivi e ponendo
fine al modello di inchiesta “leggera” solo tendenzialmente completa e da concludersi in tempi brevi
tutto ciò ha comportato una perdita di centralità del dibattimento, dovuta per altro alle rilevanti
modifiche approvate alla disciplina dell’udienza preliminare e al giudizio abbreviato.
Infatti, tenuto comunque a svolgere “ogni attività necessaria” (358), il PM è ora richiamato a irrobustire
il quadro probatorio per passare il vaglio dell’udienza preliminare; inoltre, non essendo sicuro di poter
contare sulla dialettica dibattimentale in funzione di corroborazione di elementi di prova già acquisiti,
l’organo dell’accusa è ora tenuto a svolgere indagini complete al fine di ottenere una piattaforma
probatoria sufficientemente convincente, in vista di una possibile richiesta dell’imputato di essere
giudicato allo stato degli atti in sede di giudizio abbreviato (quel rito consente all’imputato, solo se lo
richiede, di essere giudicato esclusivamente sul materiale conoscitivo raccolto nella fase preliminare: se
tale materiale fosse insufficiente o contraddittorio, l’imputato otterrebbe una facile impunità).
Da ciò si evince che l’art. 326 ha rappresentato fin dal principio una sineddoche normativa, illustrando,
cioè, solo parte degli usi dei risultati dell’indagine infatti tale dizione normativa lascia in ombra che gli
elementi di prova raccolti nelle indagini sono in realtà idonei a supportare una serie di rilevanti decisioni
da adottare all’interno della stessa fase o successivamente: basti pensare a quelle decisioni suscettibili di
incidere sui diritti fondamentali, sulla scorta di elementi acquisiti in sede di indagine: a cominciare
dalle ordinanze restrittive della libertà personale di natura cautelare, le quali, pur adottabili in ogni fase
del processo, sono più di frequente assunte nel contesto preprocessuale.
Né si può trascurare la circostanza che quegli stessi elementi erano suscettibili fin dal principio di
assumere valore probatorio nei giudizi speciali caratterizzati dall’essere privi di dibattimento (giudizio
abbreviato, applicazione della pena su richiesta e decreto penale), ed anche nel dibattimento, nelle
ipotesi specificatamente regolate dalle legge, oggi riconducibili ai tre ambiti di deroga al contraddittorio
nella formazione della prova, ex art. 111,5 Cost.
Art.326 cpp: il pm e la pg svolgono, nell’ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per
le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale.
2. I protagonisti dell’attività investigativa.
Protagonisti dell’attività di indagine preliminare sono il PM e la PG.
Sul PM, titolare dell’obbligo di esercitare l’azione penale, ricade la direzione delle indagini: egli compie
“personalmente” (370,1) “ogni attività necessaria ai fini indicati nell’art. 326”(358). Il carattere di
obiettività necessariamente caratterizzante la sua natura di organo pubblico impone altresì di compiere
“accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”.
Per quanto riguarda la PG, questa affianca il PM in un ruolo ancillare, che si colloca nel solco dell’art.
109 Cost. stando al quale l’AG (da intendersi in questo caso il PM) dispone direttamente della PG. In
particolare, l’art. 327 dispone, poi, che il PM dirige le indagini e dispone direttamente della polizia
giudiziaria. Va tuttavia segnalato che la subordinazione dell’una all’altro risulta ora in parte attenuata a
seguito di interventi normativi che hanno concesso alla prima margini di maggiore autonomia.
Ovviamente il dominus delle indagini rimane sempre il PM ma non c’è dubbio che a seguito della
rivisitazione dei ruoli, accanto al magistrato che indaga e dirige, si staglia la presenza di un soggetto
libero di esplicare l’attività investigativa secondo linee di azione non necessariamente asservite alla guida
dell’AG. L’allentamento del vincolo di dipendenza funzionale che lega i due organi trova un primo
riscontro già nelle disposizioni generali introduttive della disciplina della fase preliminare. Infatti,
nell’art. 327 si prevede che la PG anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a
svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli.

3. Il segreto sugli atti di indagine.


Per impedire che l’attività di individuazione e di raccolta degli elementi necessari per l’esercizio
dell’azione penale sia pregiudicata, l’art. 329,1 prevede che gli atti d'indagine compiuti dal PM e dalla
PG siano coperti dal segreto (penalmente sanzionato in diverse sfaccettature del codice penale) fino a
quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini
preliminari.
Tuttavia nonostante tali esigenze, è chiaro che il segreto sugli atti di indagine – nella sua dimensione
interna, destinata ad operare nei confronti dei protagonisti della vicenda processuale – rischia di
interporsi con ricadute negative sulle chances difensive: sicché la necessità di tutelare gli esiti
dell’indagine deve cedere davanti all’esigenza di garantire il diritto di difesa di cui all’art. 24,2 cost., che
si concretizza, anzitutto, nel diritto della persona sottoposta alle indagini ad essere informata
“riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico” e di disporre “del tempo e
delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa” di cui all’art. 111,3 Cost.
Come visto il segreto cade ogni qualvolta l’imputato possa o debba avere conoscenza dell’atto: ossia nei
casi in cui l’atto si formi necessariamente in sua presenza perché lo contempla quale protagonista dello
stesso (sommarie informazioni, interrogatorio, confronto, ispezione personale) ovvero perché l’atto
rientri nel novero di quelli cui lo stesso indagato o il suo difensore possono assistere, con diritto o senza
diritto di essere preavvisato; o ancora quando l’atto venga utilizzato a sostegno di una richiesta avanzata
dal PM al giudice in vista di una sua decisione endofasica (così nel caso di richiesta di una misura
cautelare ex art. 291).
Una seconda dimensione caratterizza il segreto d’indagine, inteso come esigenza di segretezza esterna
 con lo stesso divieto si vuole impedire che la conoscenza dell’attività investigativa si diffonda anche
presso soggetti non direttamente coinvolti nel processo penale, e coerentemente con ciò, di questi stessi
atti è previsto un divieto di pubblicazione di carattere assoluto dall’art. 114,1
Tuttavia, esigenze di efficienza delle indagini possono consentire al PM di derogare a regime di
segretezza degli atti dettato dall’art.329,1. Infatti, al comma 2 si prevede che quando sia necessario per
la prosecuzione delle indagini, il PM possa, in deroga a quanto previsto dall'art.114, consentire, con
decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi (per esempio quando la pubblicazione
di un identikit o di un altro atto, appaia necessaria per dare impulso alle indagini). In tal caso, gli atti
pubblicati sono depositati presso la segreteria del PM. Il comma 3 prevede, al contrario, che anche
quando gli atti non siano più coperti dal segreto a norma del comma 1, il PM, in caso di necessità per la
prosecuzione delle indagini, possa disporre con decreto motivato:
a) l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto
può ostacolare le indagini riguardanti altre persone;
b) il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate
operazioni.

4. I diritti della difesa e il ruolo delle parti private.


Come visto la segretezza dell’impianto accusatorio in itinere è suscettibile di condizionare i diritti
difensivi della persona già raggiunta da indizi di reità. Tuttavia, se è vero che, salvi i diritti di
partecipazione espressamente previsti, la discovery degli atti può avvenire solo al termine delle indagini
(allorché il PM, deciso ad esercitare l’azione penale, invii l’avviso previsto dall’art. 415bis) l’esigenza di
segretezza della fase non si spinge, di regola, fino ad impedire all’imputato di avere notizia della
pendenza di un procedimento nei suoi confronti.
Ed è sulla premessa della possibilità di conoscere (quanto meno) l’ipotesi di reato provvisoriamente
elevata a suo carico che bisogna registrare come la centralità del PM, quale organo dominus della fase
preliminare, abbia subito una parziale attenuazione a beneficio della posizione del principale interessato,
essendo stata colmata l’assenza di un’apposita disciplina finalizzata a regolare i poteri di investigazione
del difensore, in un’ottica di parità delle armi. In tale ambito infatti è intervenuta la modifica dell'art.
111 Cost. ad opera della l. cost. 2/1999 e la l. 397/2000, che ha introdotto il titolo VI-bis nel libro V del
codice, rubricato “Investigazioni difensive”. Alla luce di dette innovazioni ex art.327bis, il difensore
(dell’imputato ma anche dell’offeso o delle costituende parti private), fin dal momento dell'incarico
professionale, risultante da atto scritto, ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare
elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme e per le finalità stabilite nel titolo VI-bis del
presente libro (327bis,1). Incarico che può essere attribuito, in ogni stato e grado del procedimento,
nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione (327bis,2). Inoltre, il difensore può
ricevere un apposito mandato che lo abiliti a svolgere indagini, con esclusione di quegli atti che
richiedano l’autorizzazione o l’intervento dell’AG, anche prima che si instauri un procedimento
penale e per la mera eventualità che ciò avvenga (391nonies,1).
Il difensore può procedere alle investigazioni personalmente o conferire apposito incarico ad un
sostituto, ad investigatori privati autorizzati e, quando siano necessarie specifiche competenze, a
consulenti tecnici (327bis,3). Ai soggetti chiamati a collaborare con il difensore nell’attività
investigativa sono riconosciute le stesse garanzie di libertà accordate al difensore dall’art.103 commi 2
e 5. Particolari requisiti sono imposti al fine di garantire la professionalità e il corretto esercizio della
attività degli investigatori privati, i quali devono essere autorizzati dal prefetto (222 disp. att.). Analoghe
garanzie non sono state previste per i consulenti tecnici del difensore, i quali non necessariamente
saranno scelti nell’albo dei periti dal quale è tenuto ad attingere il PM (73 disp. att.)
Da tutto ciò scaturisce che all’indagine ufficiale compiuta dal PM si sia giustapposta una vera e propria
attività di investigazione di carattere privato. Ovviamente non si tratta di attività perfettamente analoghe
laddove si pensa che il PM conservi un onere di obiettività che non può invece gravare sul difensore:
come sottolinea l’art.358, gli competono accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona
sottoposta alle indagini.
Diritti di informazione e partecipazione in certa misura analoghi a quelli riconosciuti alla persona
sottoposta alle indagini sono previsti per la persona offesa, soprattutto in virtù di recenti direttive
europee. Al contrario, non sono sulla scena delle indagini le parti eventuali, legittimate a costituirsi per
l’udienza preliminare (tuttavia nulla impedisce che avvalendosi dell’art.391nonies, e nei limiti ivi fissati,
i relativi difensori svolgano attività di indagine difensiva anche prima della loro formale costituzione, per
il caso che un procedimento possa essere instaurato).
D’altro canto, un giudice presidia ogni snodo cruciale che si prospetti nel corso della fase investigativa,
tutelando i diritti fondamentali della persona e la correttezza delle dinamiche del procedimento: l’art.
328,1 prevede in tal senso che il giudice per le indagini preliminari provvede sulle richieste provenienti
dal PM, dalle parti private e dalla persona offesa dal reato.
5. Il ruolo del giudice per le indagini preliminari.
La presenza di un giudice nell’ambito di una fase non giurisdizionale come quella delle indagini
preliminari è resa necessaria dalla circostanza che gli atti di indagine sono suscettibili di incidere su
diritti costituzionalmente tutelati.
Tale giudice “senza fascicolo” (in quanto, non svolgendo indagini, non dispone di un fascicolo nel
quale la documentazione di questa viene raccolta) interviene, di regola, su richiesta del PM, delle parti
private e della persona offesa dal reato ed esclusivamente nei “casi previsti dalla legge”.
Tra i suoi compiti principali vi sono, in primo luogo, poteri di controllo in ordine a decisioni incidenti
sulle libertà fondamentali, sui diritti alla proprietà o alla disponibilità dei beni. In particolare, egli
può essere chiamato: a) ad emettere provvedimenti di natura cautelare concernenti la libertà personale
(292) ovvero analoghi provvedimenti di natura reale (317 e 321); b) a disporre la convalida delle misure
precautelari adottate dal PM o dalla PG (391); c) a disporre l’accompagnamento coattivo (376); d) ad
autorizzare atti che incidono sulla inviolabilità delle comunicazioni e sul domicilio, come
l’intercettazione di comunicazioni o conversazioni (267); e) a pronunciare provvedimenti concernenti
prelievi coattivi di campioni biologici (359bis); ed ancora f) a decidere sulla restituzione di cose
sequestrate, anche in sede di opposizione al diniego di sequestro da parte del PM (263) nonché sulla
richiesta di sequestro presentata da una parte privata e rispetto alla quale il PM non abbia ritenuto di
disporre il sequestro (368).
Su un differente versante, il giudice interviene allorché sia necessario tutelare diritti strettamente
collegati alla dinamica processuale. A tutela del diritto di difesa, egli è chiamato a: a) compiere
accertamenti sulla capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo (70 e 71); b) decidere
sulla dilazione del diritto dell’imputato privato della libertà di conferire immediatamente con il proprio
difensore (104 commi 3 e 4); in particolare, poi, allorché sia necessario compensare lo squilibrio tra
parte pubblica parte privata può C) autorizzare il difensore a conferire, ricevere dichiarazioni o
assumere informazioni da persona detenuta nel corso delle indagini difensive (391bis,7); d) decidere sulla
richiesta di un difensore di ottenere documenti dalla PA in caso di rifiuto di quest’ultima (391quater); e)
autorizzare il difensore all’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico (391septies). Infine, allorché
sia necessario anticipare l’acquisizione della prova, egli interviene per assicurare la formazione in
contraddittorio, con il potere di emettere e dirigere l’incidente probatorio (392-402).
A garanzia dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, vi sono poi alcune ulteriore ipotesi di
intervento dell’organo giurisdizionale. Di rilevanza vi sono i poteri di controllo attribuite al giudice: a)
sui tempi di svolgimento delle indagini (406 e 407); b) sui presupposti per il loro ulteriore sviluppo
(414, 415 e 434); c) nonché sulle determinazioni in materia del pubblico ministero, essendo
demandata all’organo giurisdizionale tanto la delibazione della scelta di non procedere (409) quanto la
verifica sull’esercizio dell’azione esercitata tramite richiesta di rinvio a giudizio (416 ss).
Infine, il medesimo giudice diviene organo del giudizio, allorché le parti si orientano verso una
procedura alternativa al dibattimento egli accede, infatti, in questi casi alla dimensione tipica della
giurisdizione essendo chiamato a definire il processo quando: a) il PM abbia richiesto il decreto penale
di condanna (461); b) le parti si siano accordate per l’applicazione della pena su richiesta (444 ss); c)
l’imputato abbia avanzato richiesta di giudizio abbreviato, nell’udienza preliminare ex art. 438 ss o in
seguito a conversione del giudizio immediato ex art. 458; d) lo stesso imputato abbia richiesto la
sospensione della pena con messa alla prova (464bis ss). Le funzioni di GIP sono svolte, di regola, da un
magistrato del tribunale nel cui circondario è stato commesso il reato.
Regole peculiari riguardano la competenza del GIP nel caso di procedimenti per alcuni gravi delitti:
ex 328,1bis quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'art. 51 commi 3bis e 3quater le
funzioni di GIP sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del
capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente; ex 328,1quater quando si tratta di
procedimenti per i delitti indicati nell’art. 51,3quinquies, le funzioni di GIP e le funzioni di GUP (viene
richiamato anche il GUP richiamo inutile perché il GUP è un magistrato dello stesso ufficio del GIP)
sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del
distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
Infine, si precisa che ex art. 7ter,1 ord.giu. le funzioni di GIP vanno attribuite ad un medesimo
magistrato infatti si prevede che nel determinare i criteri per l’assegnazione degli affari penali deve
stabilirsi la concentrazione, ove possibile, in capo allo stesso giudice del provvedimenti relativi al
medesimo procedimento. La stessa disposizione impone, inoltre, la designazione di un giudice diverso
per lo svolgimento delle funzioni di GUP il magistrato che ha svolto le funzioni di GIP non potrà cioè
svolgere, di regola, le funzioni di GUP.

6. L’avvio del procedimento: la notizia di reato.


II procedimento prende avvio a seguito dell’acquisizione di una notizia di reato, da intendersi ogni informazione
attendibile circa la commissione di un reato da parte di una o più persone non identificate (notizia generica) o
identificate (notizia specifica). Non è un atto processuale, ma un presupposto di fatto del procedimento penale, è il
veicolo di una informazione che può essere atipica o tipica.

L’art. 330 stabilisce che il PM e la PG prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di
reato presentate o trasmesse a norma degli articoli seguenti possono esserci:
1. Notizie qualificate: ossia la denuncia da parte di PU o incaricati di pubblico servizio, la denuncia da parte di
privati, il referto: sono le forme tipiche disciplinate dagli artt. 331-334bis.
2. Accanto a queste ultime, allorché la legge prevede come necessaria una condizione di procedibilità, le
dichiarazioni di querela, istanza, richiesta, nell’esprimere la volontà di rimuovere l’ostacolo alla procedibilità,
possono fungere altresì da veicolo per la notizia di reato, sempre che la stessa non sia già nella disponibilità
degli organi inquirenti.

Fuori da queste ipotesi, la notizia di reato può derivare da qualsiasi fonte che si palesa alle autorità inquirenti, anche
nell’attività loro riconosciuta di prendere notizia dei reati di propria iniziativa ricadono nel novero delle cd. notizie
non qualificate tutti gli eventi fenomenici idonei a prospettare la possibilità di commissione di un reato, come ad
esempio le notizie di fonte giornalistica, la constatazione diretta di un fatto, eventualmente accompagnata dall’arresto
in flagranza, o anche una informazione confidenziale, rilasciate ex art. 203 ovvero nel corso di colloqui investigativi
ex art. 18bis ord.pen.
È importante notare come la simmetria istituita dall’art. 330 fra PM e PG sia solo apparente: infatti rientra nelle
attribuzioni degli ufficiali e degli agenti di PG il dovere di prendere notizia dei reati e di riferirne all’AG (55,1)
l’agente o l’ufficiale di PG che abbia avuto comunque notizia di un reato e non abbia comunicato l’apposita
informativa nei casi in cui fosse obbligatorio è sanzionato penalmente (361,2 cp omessa denuncia di un pu). Al
contrario, il singolo magistrato non sembra gravato da analoghi obblighi l’art. 70,5 ord. giu., prevede che allorché
un magistrato addetto all’ufficio della procura, fuori dall’esercizio delle sue funzioni, venga a conoscenza di fatti che
possano determinare l’inizio dell’azione penale o di indagini preliminari, può segnalarli (mera facoltà) per iscritto al
titolare dell’ufficio. Spetterà a quest’ultimo se informato, adottare provvedimenti di natura formale conseguenti a
quella segnalazione: quest’ultimo quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione e non intende
procedere personalmente, provvede a designare per la trattazione uno o più magistrati dell’ufficio.
In linea generale, poi, l’attività che conduce ad individuare la notizia di reato non è priva di profili problematici. Il
profilo principiale è quello concernente la liceità nonché l’estensione dell’attività investigativa che venga compiuta
prima dell’acquisizione della notizia di reato attività pre-investigative di procacciamento della notizia di reato.
Secondo un’opinione giurisprudenziale consolidata, si tratta di attività lecita in quanto preordinata ad acquisire e
precisare gli estremi della notizia di reato, fino a che non incida su valori costituzionalmente protetti: devono
ritenersi quindi non consentiti, oltre ai provvedimenti di natura cautelare incidenti sulla libertà, tutti gli atti di indagine
di natura invasiva, quali perquisizioni e sequestri, ispezioni o intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.
Esistono possibilità di usare questi mezzi investigativi anche in assenza di una notizia di reato: possibilità contemplate
nelle leggi speciali (ECCEZIONI) e non nel nostro cpp. Es: art.41 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza:
per la ricerca di armi ed esplosivi (questo testo unico dunque deroga a quanto appena detto). In questo caso basta un
semplice fumus boni iuris. Altro esempio: leggi doganali. Noi subiamo perquisizioni anche qui da cui possono
scaturire delle notizie di reato. Per le investigazioni già viste esistono, ex art.226 disp.att., le investigazioni
preventive, che hanno una disciplina più ampia e più possibilità di essere attivate. Nel tentativo di prevenire possono
trovare qualcosa che sia reato, e quindi una notizia di reato.
Per la pg il problema è meno grave, perché la pg deve cercare la notizia di reato, ma per il pm non ci sarebbe questa
funzione, eppure qui viene in qualche modo ricordata. Il pm non può essere troppo proattivo, ma deve utilizzare molta
cautela.
7. l’iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335
Procedura di registrazione della notizia di reato: art.335 cpp. È un atto importante perché segna l’inizio
dell’indagine, ufficialmente. L’indagine comincia nel momento in cui viene iscritta la notizia di reato e il nominativo
del possibile autore in un registro tenuto presso l’ufficio del pm. L’indagine preliminare ha una durata, ed il termine è
un termine perentorio (la sua inosservanza comporta una sanzione processuale, e in questo caso tutti gli atti
investigativi compiuti fino a quel termine non sono più utilizzabili), è un termine prorogabile per un massimo di 2
volte per 6 mesi. Quindi l’indagine può durare al massimo 18 mesi. Art.407, comma 2, cpp: prevede un termine
iniziale di un anno prorogabile per due volte per 6 mesi. Sono casi particolari, come criminalità organizzata, omicidi,
in cui al massimo si può arrivare a 2 anni. I pm, da quando è stato immesso questo termine, che nel codice previgente
non esisteva, sono stati spiazzati (prima l’indagine durava anche tantissimi anni), e molti pm cercano di ritardare il
momento per guadagnare tempo. Non esiste un solo registro delle notizie di reato, esistono tre tipi di registro:

1. Modello 21: notizia di reato con persone note.


2. Modello 44: notizie di reato nei confronti di ignoti. Gli ignoti hanno una specie di binario a parte, hanno una
speciale forma di archiviazione che li riguarda. La materia degli ignoti è una materia particolare. Qui i pm
vengono accusati di fingere di non sapere chi è l’indagato.
3. Modello 45: ci finiscono notizie di fatti che non costituiscono notizie di reato. A cosa serve? Non si sa mai,
può essere che in futuro queste notizie possono essere utili. Es: la sentenza di fallimento è in molti casi un
preludio di una bancarotta fraudolenta. È un modello dunque particolare. Altro esempio: suicidio. Si può non
essere sicuri che sia stato un suicidio e quindi si iscrive. Altro esempio: persone scomparse (probabile
sequestro di persona). Esposto denuncia (si trova spesso sui giornali): la messa a disposizione del pm di
informazioni che non si sa bene se siano reati o no. Anche gli esposti-denuncia finiscono nel modello 45. Il
modello 45 non fa decorrere nessun termine, perché le notizie iscritte non costituiscono, almeno in un primo
momento, notizie di reato.

Art.335: segna il punto temporale che rimanda ad articoli quali l’artt.406 e 407.
Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto o questo risulta diversamente
circostanziato, il pm cura l’aggiornamento delle iscrizioni ex comma 1 senza procedere a nuova iscrizione (335,2)
si desume che in tutti gli altri casi, gli eventuali mutamenti dovranno determinare una nuova iscrizione.
È da quest’adempimento – di regola a partire della iscrizione nominativa – che devono essere computati il termine di
durata delle indagini (che definisce anche il momento per l’esercizio dell’azione penale, 405,2), scaduto il quale ogni
atto investigativo dovrà intendersi inutilmente compiuto (407,3), nonché il termine per la richiesta del giudizio
immediato (454,1), del decreto penale di condanna (459,1) e del giudizio direttissimo nei confronti dell’indagato che
ha reso confessione (449,5).
Nonostante l’obbligo di iscrizione a carico del PM, l’assenza di una sanzione specifica per il caso di inottemperanza
genera il rischio che, tra il momento in cui la notizia di reato viene acquisita ed il momento in cui la stessa sia
effettivamente iscritta, possa intercorre un lasso di tempo indefinito e incontrollato tale da vanificare gli interessi
per i quali il termine stesso è stato istituito con il conseguente aggiramento della sanzione di inutilizzabilità degli atti
compiuti dalla legge (407,3). La giurisprudenza aveva individuato, al riguardo, un possibile rimedio prospettando
l’eventualità di una retrodatazione del dies a quo di durata delle indagini, tutte le volte in cui fosse accertata la tardiva
iscrizione; senonché le SS.UU. hanno precisato, che, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità
disciplinari o addirittura penali nei confronti del PM negligente, l’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione
rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del PM ed è sottratto, in ordine all’an e al quando, al sindacato del
giudice. La legge n.103 del 2017 non ha inciso sui meccanismi codicistici nella prospettiva di scalzare
l’interpretazione riduttiva impostasi nella giurisprudenza di legittimità. L’intervento legislativo in materia è stato
invece limitato ad alcune modifiche alle norme di ordinamento giudiziario finalizzate a rafforzare i poteri di controllo
demandati ai dirigenti degli uffici requirenti: spetta al procuratore della Repubblica il compito di assicurare
l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato. Nell’ambito del potere di vigilanza a lui
spettante, inoltre, il procuratore generale presso la corte d’appello acquisisce dati e notizie dalle procure della
Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la corte di cassazione una relazione almeno annuale.
L’obbligo di iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 scatta peraltro solo nel caso di una
informazione dotata degli elementi per definirsi tale. Ove invece ci si trovi di fronte ad una pseudo-notizia di reato
(ad es. la notizia di un fatto lecito ovvero la notizia del tutto inverosimile di un fatto illecito) il PM dovrà scrivere la
stessa in un diverso registro (modello 45), esistente presso ogni procura della Repubblica, trasmettendo poi
direttamente gli atti all’archivio (cd. potere di cestinazione o di archiviazione dirette) senza richiedere al giudice su
di essa un formale provvedimento di archiviazione. Inutile dire che un tale potere di cestinazione può prestarsi a
disinvolte operazioni di deflazione del carico penale poiché sottrae al giudice il controllo sull’inazione. Quest’ultimo,
secondo la giurisprudenza, dovrà in ogni caso pronunciarsi nelle forme dell’art. 409, ove il PM abbia rivolto al
giudice la richiesta di archiviazione.
Il comma 3 dell’art 335 prevede poi che ad esclusione dei casi in cui si procede per uno dei delitti di cui all'art.
407,2 lett. a, le iscrizioni previste ai commi 1 e 2 sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla
persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta.
Il comma 3bis invece dispone che se sussistano specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il PM, nel
decidere sulla richiesta, possa disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non
superiore a 3 mesi e non rinnovabile.
Aggiunta lezione Orlandi: Nella metà degli anni ’90 il legislatore, volendo aggiungere garanzia all’indagare, ha dato
all’indagato il diritto di informarsi circa la pendenza di una iscrizione di una data notizia di reato. Esiste uno
strumento apposito per informare una persona su una data indagine: informazione di garanzia. L’informazione di
garanzia consente di difendersi già nella fase dell’indagine preliminare, viene inviata solo quando viene compiuto un
atto c.d. garantito (atti ai quali può assistere o deve assistere il difensore: l’interrogatorio, il confronto a cui partecipa
l’indagato, il sequestro, le perquisizioni. I primi due atti comportano anche un preavviso, gli altri non comportano
preavviso, però ammettono la presenza). Prima di compiere uno di questi atti va data l’info di garanzia, ma molti pm
non fanno questi atti per evitare di far partecipare l’indagato. Quindi oggi è possibile sapere se il nome di un assistito
è presente nel registro degli indagati. Questo non vale per delitti ex art.407, comma 2, lett.a (sono norme contenitore:
questa norma crea una sorta di binario speciale: si possono chiamare reati di criminalità organizzata e sono
compresi altri reati quali l’omicidio e reati di sangue in generale). Questo art.407 cerca di tutelare l’indagine, ma per
gli altri casi è possibile dal difensore ottenere l’informazione.
Esistono in Italia 140 procure della Repubblica, quindi non è molto facile trovare il pm che avrebbe potuto iscrivere la
notizia di reato. La registrazione è il momento ufficiale dell’inizio dell’indagine, che non sempre coincide con il
momento iniziale dell’indagine. Inizio ufficiale non significa inizio concreto e reale.
8: denuncia dei pubblici ufficiali, denuncia dei privati, referto
Vi sono due notizie nominate di reato: la denuncia, la quale prevede due ipotesi, e il referto.
La denuncia è la dichiarazione con cui una qualsiasi persona fisica non esercente una professione sanitaria, porta la
commissione di un reato perseguibile d’ufficio a conoscenza del PM o della PG.
Art. 331 cpp: prevede che “salvo quanto stabilito dall'articolo 347 (cioè l’informativa della PG che per compito
istituzionale deve prendere notizia dei reati ed informare il PM con le cadenze e modalità ivi previste), i pubblici
ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio
(altrimenti si applicherebbe l’art. 333 che prevede la facoltà per ciascun soggetto privato di denunciare), abbiano
notizia di reato perseguibile d’ufficio (non dunque per i reati procedibili a querela, richiesta o istanza), devono farne
denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito”.
Tra i pubblici ufficiali sono ricompresi anche i magistrati, infatti ex art. 331,4, se nel corso di un procedimento
civile o amministrativo, emerge un fatto del quale si può configurare un reato perseguibile d’ufficio, l’autorità che
procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al PM. In realtà anche lo stesso giudice penale, seppur non
richiamato, può essere soggetto tenuto all’informazione: la legge lo prevede espressamente in un caso, ossia quello in
cui di fronte ad un testimone che rifiuti di deporre, il giudice debba disporre “l’immediata trasmissione degli atti al
PM perché proceda a norma di legge” (207,1); quando invece ravvisi gli estremi del reato di falsa testimonianza, deve
informare il PM con la decisione che definisce la fase processuale (207,2). Quanto alla forma, la denuncia deve
essere redatta per iscritto, eventualmente con un unico atto proveniente e sottoscritto da più persone obbligate alla
denuncia per il medesimo fatto (331,3).
Art.332 cpp: elenca (l’oggetto): l’esposizione degli elementi essenziali del fatto con l’indicazione del giorno
dell'acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il
domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di
coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Quanto ai destinatari, ex
331,2 la denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al PM o a un ufficiale di PG, salvo quanto previsto al
comma 4.
Art.333 cpp: per quanto riguarda la denuncia dei privati, questa è facoltativa salvo i casi tassativamente elencati
dalla legge, i quali sono penalmente sanzionati in caso di omissione: in particolare nei casi di omessa denuncia di
un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo (364 cp); omessa
denuncia di cose provenienti da delitto (709 cp); omessa denuncia di materie esplodenti (679 cp) e di precursori di
esplosivi (679bis cp); omessa denuncia di furto smarrimento o rinvenimento di armi o di parti di esse o di esplosivi
(20 l. 110/1975); omessa denuncia in ordine a fatti o circostanze relative ad un sequestro di persona a scopo di
estorsione (3 d.l. 8/ 1991), salva la non punibilità di chi ha posto in essere le relative condotte in favore di congiunti.
La denuncia proveniente dal privato può essere presentata oralmente o per iscritto (se è presentata per iscritto, è
sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale), personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al PM
o a un ufficiale di PG il quale ha l’obbligo di rilasciare una ricevuta (utile sia per comprovare l’avvenuta
presentazione, nei casi in cui la denuncia si obbligatoria, sia ai fini della prova di rapporti giuridici di carattere extra
penale).
L’articolo 333,3, prevede, poi, che “delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto
dall’art. 240” (240: i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo
utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato) esse non valgono
come notitia criminis e non devono, pertanto, essere iscritte nel registro previsto dall’art. 335. Tuttavia, dalle denunce
anonime, delle quali è prevista l’iscrizione in un apposito registro (cd. modello 46) non è escluso che il PM o la PG
possano trarre spunto per la loro attività, attivandosi per verificare se dall’atto anonimo possano ricavarsi gli estremi
utili per l’individuazione di una notitia criminis.
Art.334 cpp: il referto, invece, è la denuncia cui sono obbligati gli esercenti una professione sanitaria che abbiano
prestato assistenza od opera in un caso che possa presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere
d'ufficio (365,1 cp). Vi sono tenuti coloro che svolgono una professione sanitaria principale (medici, farmacisti,
veterinari) o secondaria (infermieri, assistenti diplomati), non coloro che svolgono mestieri espressione della cd. arte
medica (ottici, odontotecnici). In quanto pubblici ufficiali, i medici che svolgono la propria professione in strutture
pubbliche non rientrano tra i soggetti obbligati al referto, ma sono sottoposti alla disciplina dettata dall’art.331.
L’obbligo di referto viene meno, e così la sanzione penale, allorché la notizia di reato esporrebbe la persona
assistita a conseguenze di carattere penalistico (365,2 cp), nel qual caso essi hanno solo la facoltà di presentare il
referto questo per evitare che il soggetto bisognoso di cure sia messo nella scomoda alternativa tra il precludersi
l’accesso all’assistenza sanitaria ovvero il sottoporsi alle cure con il rischio di essere incriminato.
Il referto - eventualmente in unico atto sottoscritto da tutti coloro che, avendo prestato la loro esistenza nella
medesima occasione ne sono tenuti (334,3) – deve essere presentato entro 48 ore dall’acquisizione della notizia o, se
vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al PM o ad un ufficiale di polizia del luogo in cui l’assistenza è stata
prestata o, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia più vicino (334,1).
Il referto (che nel silenzio della legge si presume abbia forma scritta dato il contenuto dettagliato) indica la persona
che è stata assistita e, se è possibile le sue generalità, il luogo dove essa attualmente si trova e quant’altro valga ad
identificarla, nonché il tempo, il luogo e le altre circostanze dell’intervento del sanitario. Inoltre, dà le notizie
che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con cui questo è stato commesso e gli effetti che esso ha
causato o può causare (334,2).
Infine, per garantire la massima esplicazione del diritto di difesa nel processo penale, il legislatore precisa che
all’art.334-bis “i difensori e gli altri soggetti di cui all’art. 391-bis non hanno obbligo di denuncia neppure
relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso dell’attività investigativa da essi svolte”.
9. Gli ostacoli alla progressione: le condizioni di procedibilità
L’esercizio dell’azione penale è appannaggio del pm ed è caratterizzato dai requisiti della obbligatorietà (art.112
cost.) e dell’ufficiosità (art 50 cpp), cioè la regola è che l’azione penale venga esercitata d’ufficio dal pm. Ci sono
però dei casi in cui l’esercizio dell’azione penale dipende invece dalla verificazione di alcuni eventi che sono
dichiarazioni di volontà nella maggior parte dei casi, in altri possono dipendere anche da eventi oggettivi. In questi
casi il sistema fa una sorta di bilanciamento tra le esigenze punitive e altri interessi comunque ritenuti meritevoli di
tutela.
Con riferimento alle condizioni di procedibilità queste sono 4: querela, istanza, richiesta ed autorizzazione a
procedere, ognuna di esse è sostenuta da alcune ragioni che l’ordinamento intende tutelare. Per le prime due gli
interessi che devono bilanciare derivano in parte dalla scarsa gravità del reato (si rimette alla volontà della persona
offesa la decisione se procedere o meno) oppure l’esigenza di tutelare la persona offesa che poi va incontro al
processo (reati attinenti alla libertà sessuale, molto gravi ma il fatto che siano procedibili a querela dipende dal fatto
che è rimessa alla scelta della vittima decidere di subire il processo come vittima). Per la richiesta e l’autorizzazione a
procedere gli interessi sottesi sono interessi di carattere pubblico con cui vengono bilanciate le esigenze punitive:
esigenza di garantire le prerogative e le funzioni istituzionali, la continuità dell’attività degli organi istituzionali.
Il fatto che per procedere nei confronti di determinati reati occorra una condizione di procedibilità non vuol dire che il
procedimento non possa essere iscritto prima che sopravvenga, intervenga, la condizione stessa. Esempio, reato
perseguibile a querela: legittimità a proporre querela spetta alla persona offesa dal reato che ha tre mesi per presentare
la querela. Ciò non toglie che la notizia di reato possa pervenire agli inquirenti in altro modo. In questo caso il pm è
tenuto comunque ad iscrivere la notizia di reato e ad avviare il procedimento nella consapevolezza però che quel
procedimento potrà andare avanti solo se interverrà la querela. Se questa non interviene, il pm dovrà avanzare
necessariamente una richiesta di archiviazione.
La mancanza di condizione di procedibilità è uno dei casi in cui il pm chiede l’archiviazione. Se il procedimento va
avanti senza la condizione di procedibilità, il giudice in ogni fase del procedimento in cui verifichi la mancanza deve
necessariamente emettere una sentenza di non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità.
Prima che intervenga la condizione, l’iscrizione del procedimento in mancanza della condizione, possono essere
comunque condotti atti di indagine e relativi atti, nella aspettativa che la condizione di procedibilità intervenga, per
evitare il rischio di dispersione delle prove.
Ci sono anche altre condizioni di procedibilità definite atipiche: art.345, comma 2, fa riferimento a “condizione
diversa da quella indicata nel comma 1” però non ci dà nessuna indicazione utile per individuare quali sono queste
condizioni di procedibilità diverse. Con sforzo di ricognizione lo possiamo trovare ad esempio quando sussista in
relazione al fatto per cui si precede un precedente giudicato: scatta il divieto di ne bis in idem che è una
improcedibilità, il giudice non potrebbe che emanare una sentenza di non doversi procedere. Oppure può rientrare nel
novero delle condizioni di procedibilità atipiche l’opposizione di un segreto di stato: se viene opposto segreto e
l’accertamento di quei fatti è indispensabile per giungere alla decisione, il giudice deve emettere sentenza di non
doversi procedere per opposizione del segreto di stato, è ostacolo al procedere. Altra, art.77: caso di conclusione del
processo con sentenza di non doversi procedere nel caso di accertata incapacità irreversibile dell’imputato a
partecipare al procedimento. Condizione di improcedibilità di carattere soggettivo, il soggetto non è in grado di
affrontare il processo. Può anche avvenire che la condizioni di procedibilità sopravvenga quando il procedimento si è
già chiuso in via definitiva con una sentenza di non doversi procedere per mancanza di condizioni di procedibilità: se
questa sopravviene in seguito, si delinea una delle due eccezioni al principio del ne bis in idem. Per sopravvenienza
della condizione di procedibilità il processo può essere riaperto.
10 Gli effetti sul procedimento e sul processo della mancanza della condizione di procedibilità
L’assenza della condizione di procedibilità non impedisce l’instaurazione del processo, tuttavia, l’azione promossa
in difetto della prescritta condizione è destinata ad un esito abortivo non appena realizza la sussistenza dell’ostacolo
alla prosecuzione, il giudice, non potendo accedere al merito, dovrà pronunciarsi in ogni fase del processo con una
decisione di non doversi procedere (perché l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere
proseguita).
Quest’ultima decisione sarà suscettibile di passare in giudicato, ma ciò non impedirà un nuovo processo per il
medesimo fatto (649,1): se la condizione sopravvenga in un secondo momento, o diventi superflua (per essere venuta
meno la condizione personale che rendeva necessaria l’autorizzazione), l’azione penale può essere nuovamente
esercitata nei confronti della medesima persona per il medesimo fatto. A maggior ragione, lo stesso avviene anche
nei casi in cui il non doversi procedere per difetto di una condizione di procedibilità sia stato dichiarato con
archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere, come impone l’art. 345,2, equiparando al riguardo le
condizioni atipiche e quelle espressamente nominate nel comma 1.
11 querela, istanza e richiesta di procedimento
Artt.336-340 cpp: la querela è una dichiarazione facoltativa (idonea a fungere da notitia criminis) con la quale la
persona offesa dal reato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale manifesta la volontà che si proceda in
ordine a un fatto previsto dalla legge come reato (336).
La querela trova gran parte della sua disciplina nel codice penale che agli artt. 120-126 e 152-156, regola gli aspetti
costitutivi del diritto, i relativi effetti e le cause estintive. Il codice di procedura penale si limita invece a dettare le
formalità di presentazione della querela (339) e quelle relative alle vicende estintive dello stesso diritto, ovvero
rinuncia e remissione espressa.
Premesso che la titolarità del diritto spetti ad ogni persona offesa dal reato per il quale non debba procedersi
d’ufficio, o su istanza o richiesta (120,1 cp), eventualmente rappresentata da un tutore (120, commi 2 e 3) o da un
curatore speciale, nominato con le forme e nei casi di cui agli artt. 121 cp e 338, la querela va presentata, di regola,
entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato (124,1 cp), con le modalità previste per la
denuncia e alle medesime autorità alle quali può essere presentata denuncia ovvero a un agente consolare all’estero
(337,1).
Dato che il diritto di querela è riservato al querelante o a un suo procuratore speciale, l’identificazione del proponente
è essenziale: infatti se recapitata da un incaricato o spedita per posta in piego raccomandato, essa deve recare la
sottoscrizione autentica del proponente (337,1); se proposta oralmente, il verbale in cui è ricevuta deve essere
sottoscritto dal querelante o dal procuratore speciale (337,2); la dichiarazione di querela proposta dal legale
rappresentante di una persona giuridica, di un ente o di un’associazione deve contenere l’indicazione specifica della
fonte dei poteri di rappresentanza (337,3).
In ogni caso l’autorità che riceve la querela provvede all’attestazione della data e del luogo della presentazione,
all’identificazione della persona che la propone e alla trasmissione degli atti all’ufficio del PM (337,4).
Il diritto non può più essere esercitato, e quindi la querela non può essere promossa, se l’avente diritto vi abbia
rinunciato (124,2 cp). La rinuncia può essere tacita, attraverso atti incompatibili con la volontà di querela (124,4
cp); ovvero espressa, ed in questo secondo caso essa assume le forme dell’art. 339 la rinuncia espressa alla querela
è fatta personalmente o a mezzo di un procuratore speciale, con dichiarazione sottoscritta, rilasciata all’interessato o
a un suo rappresentante ovvero con dichiarazione fatta oralmente a un ufficiale di PG o a un notaio, i quali, accertata
l’identità del rinunciante, redigono il verbale che deve essere sottoscritto dal dichiarante, pena l’assenza di effetti
(339,1). Si prevede poi che la rinuncia (che se è sottoposta a termini o condizioni non produce effetti ex 339) possa
estendersi anche all’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno (339,3).
Il diritto di querela si estingue, oltre che per la decadenza derivante dal suo mancato esercizio nel termine previsto
(124,1 cp), per la morte della persona offesa (126,1 cp), la quale, se la querela è stata già proposta, non estingue il
reato (126,2 cp). Una volta esercitato è possibile tuttavia rimettere la querela nei casi previsti dagli artt 152 ss cp
(remissione che può essere processuale o extra processuale, quest’ultima espressa o tacita). La remissione deve
intervenire prima della condanna (152,3 cp), non può essere sottoposta a termini o condizioni (152,4 cp) e, perché
abbia effetto, deve essere accettata (155 cp). Essa comporta, di regola, che le spese del procedimento siano a carico
del querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (340,4). In ipotesi specificatamente
previste dalla legge, la querela proposta è irrevocabile (609septies,3 cp in relazione ai reati di violenza sessuale ex
609bis e 609ter e al reato di atti sessuali con minorenni ex 609quater)
Le forme per la proposizione della remissione e per l’accettazione della stessa sono quelle previste dall’art. 339 per la
rinuncia espressa alla querela (340,2) entrambi gli atti devono essere presentati personalmente o a mezzo di
procuratore speciale, con dichiarazione ricevuta dall’autorità procedente o da un ufficiale di PG che deve trasmetterla
immediatamente alla predetta autorità (340,1).
Art.341 cpp: l’istanza di procedimento è ugualmente una dichiarazione di volontà con la quale si manifesta
l’intenzione di voler procedere nei confronti di un reato che però riguarda reati particolari:
- commessi all’estero dal cittadino italiano che siano puniti con la pena inferiore a 3 anni;
- per i reati commessi sempre all’estero da cittadino straniero in danno dello stato italiano o di un cittadino italiano,
purché puniti con pena non inferiore ad un anno.
la legge richiede tale condizione di procedibilità affinché il costo della celebrazione in Italia di un processo per
un reato commesso all’estero sia sopportato solo se lo richiede l’offeso. In relazione delitti contro la libertà
individuale e ai delitti contro la libertà personale di cui agli artt. 609bis, 609ter, 609quater, 609quinquies, 609octies e
609undecies cp, l’art. 604 cp, in ragione della peculiare offensività degli stessi, prevede che essi siano perseguibili
senza necessità dell’istanza della persona offesa, “quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano, ovvero
in danno di cittadino italiano, ovvero dallo straniero in concorso con cittadino italiano”.
L’istanza può essere proposta (130 e 128 cp) entro tre mesi dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del
fatto che costituisce il reato (o, secondo la giurisprudenza, della cittadinanza straniera del soggetto presunto reo) e
comunque non oltre tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato (128 cp). Ex 341 l’istanza
è proposta dalla persona offesa con le forme della querela risultano quindi applicabili le regole dettate dagli artt.
336 ss; inoltre, si estendono all’istanza le disposizioni relative alla querela concernenti la capacità e la rappresentanza
della persona offesa (130 cp). L’istanza, tuttavia a differenza della querela è irretrattabile (130 e 129 cp), perché
trattandosi di reati che, se commessi in territorio italiano sarebbero di regola perseguibili d’ufficio, si ritiene che, una
volta rimosso l’ostacolo alla procedibilità, il potere di ritrattare l’azione non possa essere demandato alla volontà di un
soggetto privato.
Art.342 cpp: la richiesta di procedimento è la dichiarazione discrezionale con cui un organo pubblico estraneo
all’organizzazione giudiziaria manifesta la volontà che il PM proceda per un determinato reato. Dichiarazione di
volontà che spetta ad un organo pubblico se si vuol procedere nei confronti di particolari reati:
1. in particolare, nel nostro sistema la richiesta spetta al Ministro della Giustizia per i reati previsti dagli artt.
8,9,10 c.p. (reati commessi all’estero);
2. spetta sempre a lui per i reati procedibili a querela che siano commessi in danno al Presidente della
Repubblica;
3. sempre al ministro della giustizia per i reati che abbiano recato offesa a bandiera o alla libertà dei capi esteri;
Come l’istanza di procedimento, la condizione di procedibilità in questione può essere proposta nei termini previsti
dall’art. 128 cp ed è irretrattabile nonché, si ritiene, irrinunciabile. Il cpp si limita a disciplinarne le forme,
stabilendo che essa è presentata al PM con atto sottoscritto dall'autorità competente: da intendersi come richiedente la
firma del ministro o di altra autorità politica espressamente delegata e non sostituibile da un funzionario dello stesso
dicastero.
12. Segue: autorizzazione a procedere ed autorizzazioni ad acta
Lezione su autorizzazione a procedere: confronta con paragrafo ed eventualmente studia solo su questa:
Autorizzazione a procedere: le istanze punitive abdicano a fronte di interessi pubblici ritenuti comunque meritevoli
di tutela che consentono di garantire la continuità delle funzioni amministrative e di governo.
Dobbiamo distingue tra l’autorizzazione a procedere in senso stretto e l’autorizzazione ad acta:
- autorizzazione a procedere: condizione a cui è subordinata l’instaurazione stessa del procedimento, e la sua
prosecuzione. Senza autorizzazione a procedere non si può svolgere il procedimento nei confronti di determinate
persone.
- ad acta: autorizzazione necessaria per il compimento di alcuni atti all’interno del procedimento, soprattutto quelli
che riguardano i diritti individuali della persona.
Con la modifica dell’art 68. cost. nel 1993, l’autorizzazione a procedere è rimasta solo in due casi: per i reati
commessi dai giudici della corte costituzionale, e quelli commessi dal presidente del consiglio e dai ministri
nell’esercizio delle loro funzioni. Solo questi soggetti e con le relative limitazione (es: solo nell’esercizio delle
funzioni) è richiesta l’autorizzazione. Non è invece più prevista nel confronti dei parlamentari, per i quali è rimasta
solo la richiesta di autorizzazione ad acta.
Chi la richiede e chi la deve concedere? La richiede l’autorità procedente.
Nel caso dei giudici è richiesta alla Corte costituzionale stessa; nel caso del presidente del consiglio e dei ministri è
richiesta alla camera di appartenenza oppure, se non sono parlamentari, è rilasciata dal Senato.
L’autorizzazione funge da duplice limite: è sia condizione per la stessa procedibilità, ossia affinché possa essere
avviato il procedimento. Può altresì sopravvenire a posteriori come esigenza ed in questo caso funge da limite al
compimento di qualsiasi atto processuale prima che intervenga la condizione.
Il codice ex artt.343-344 dice che la condizione di procedibilità deve essere richiesta dall’autorità procedente prima
del compimento dell’azione penale, viene chiesta dal pm quindi prima di compiere un qualsiasi atto che costituisca
esercizio dell’azione penale. E comunque entro 30 giorni dalla iscrizione della notizia del reato nel registro. Se
sopravviene la necessità quando il processo è già in corso, l’autorità procedente deve chiedere senza ritardo
l’autorizzazione e nel frattempo deve però sospendere il procedimento in attesa che sopraggiunga l‘autorizzazione.
Non possono essere compiuti atti se non quelli necessari alla tutela delle fonti di prova.
Nei confronti dei parlamentari invece vige solo un obbligo di richiedere una apposita autorizzazione ad acta, per il
compimento di determinati atti incidenti sui diritti individuali, ossia per disporre ad esempio una intercettazione,
perquisizione, sequestro di corrispondenza, ecc.
Il regime della autorizzazione ad acta di trova all’art. 68 cost. ed alla legge 140/2003.
Si è posto un problema rispetto a questa normativa: tra i soggetti che godono di questa guarentigia (i parlamentari)
non rientra il Pdr. Problema si è posto quando nel corso del processo sulla trattativa stato mafia il Pdr era stato
intercettato in via indiretta: problema di utilizzabilità. Intervenuta la Corte Costituzionale aveva affermato la radicale
inutilizzabilità nonostante non ci sia una norma di riferimento che la preveda, e che preveda a monte un divieto di
intercettare il Pdr.
La corte ha affermato che esiste una sorta di diritto non scritto ricavabile dal sistema di divieto di intercettare il Pdr.
La dottrina si divise sulla sentenza, chi la appoggiava e chi sosteneva che si fosse tratto un principio che non trova
riscontro in alcuna disposizione.
Libro: L’autorizzazione a procedere è la dichiarazione discrezionale con cui un organo pubblico estraneo
all’organizzazione giudiziaria, a richiesta del PM, consente che nei confronti di una data persona, o in
rapporto ad un determinato reato, l’AG proceda penalmente oppure compia taluni atti limitativi della libertà.
In particolare, l’autorizzazione a procedere, la quale una volta concessa non può essere revocata (343,5), è necessaria
per i reati commessi dal Presidente del Consiglio o dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni, nonché per i reati
commessi dai giudici della Corte costituzionale. Dopo la modifica dell’art. 68 cost. operata dalla l. cost. 3/1993 non
più soggetti ad autorizzazione i procedimenti interessanti i membri del Parlamento, per i quali residua una disciplina
di autorizzazioni legittimanti il compimento di singoli atti di natura istruttoria e cautelare. L’autorizzazione a
procedere è altresì necessaria per alcuni delitti contro la personalità dello Stato (313 cp).
Un duplice ordine di limiti si pone per il procedimento in assenza di autorizzazione a procedere, la quale rappresenta,
in primo luogo, un elemento condizionante l’esercizio dell’azione penale. Qualora ne risulti la necessità fin dal
momento delle indagini, l’autorizzazione deve essere richiesta dal PM prima di procedere a giudizio direttissimo, di
richiedere il giudizio immediato, il rinvio a giudizio, il decreto penale di condanna o di emettere il decreto di citazione
a giudizio, e, comunque, entro e non oltre 30 giorni dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome
della persona per la quale è necessaria l'autorizzazione (344,1). Se la persona è stata arrestata in flagranza, la
richiesta deve essere avanzata immediatamente e comunque prima dell’udienza di convalida (344,2). Può avvenire
tuttavia che la necessità dell’autorizzazione emerga solo una volta esercitata l’azione penale: in tal caso il processo
deve essere sospeso e l’autorizzazione deve essere richiesta senza ritardo (344,3). Per scongiurare che la sospensione
del processo possa pregiudicare l’assunzione della prova si prevede che se vi è pericolo nel ritardo, il giudice
provvede all’assunzione delle prove richieste dalle parti. Quando si procede nei confronti di più persone per
alcune delle quali soltanto è necessaria l’autorizzazione, affinché il ritardo determinato dalla procedura non si
riverberi sulle vicende concernenti altri imputati, è previsto che si possa procedere separatamente contro coloro per i
quali l’autorizzazione non è necessaria (344,4).
Un secondo ordine di limiti è connesso ai poteri di indagine del PM, il quale a pena di inutilizzabilità dei risultati
probatori (343,4), e salvo che il soggetto sia stato colto nella flagranza di uno delitti indicati nell'art. 380 commi 1 e 2
(per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza), non può, fin quando non sia stata concessa l’autorizzazione,
compiere alcun provvedimento suscettibile di incidere sui diritti fondamentali dell’indiziato: in particolare ex 343,2 è
fatto divieto di disporre il fermo e misure cautelari personali nei confronti della persona rispetto alla quale è prevista
l’autorizzazione medesima, nonché di sottoporla a perquisizione personale o domiciliare, a ispezione personale, a
ricognizioni, a individuazione, a confronto, a intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, mentre si può
procedere all’interrogatorio solo ove l’interessato lo richieda. Tali limiti, secondo l’art. 343, cadono una volta
concessa l’autorizzazione a procedere. Differenti e peculiari discipline, evocate dal comma 3 dell’art.343, sono
prescritte dalla Costituzione o da l cost. per alcune categorie di persone in tal caso devono applicarsi queste ultime
disposizioni e “in quanto compatibili con esse, quelli di cui agli artt. 344, 345 e 346” in effetti, la tutela prestata per
i soggetti titolari di prerogative funzionali dalle disposizioni sovraordinate rende sostanzialmente priva di
applicazione la normativa codicistica nei confronti di quegli stessi soggetti.
Particolare autorizzazioni ad acta concorrono con la richiesta di autorizzazione a procedere per i membri della
corte costituzionale e per i ministri. Nel primo caso, alla Corte deve essere rivolta la richiesta di autorizzazione se
un suo giudice ordinario o aggregato deve essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a
perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale obbligatorio il
mandato o l’ordine di cattura (da intendersi quest’ultimo riferimento ai delitti elencati nell’art. 380 commi 1 e 2). Alla
camera di appartenenza o al Senato (se non sono parlamentari) va richiesta invece autorizzazione per sottoporre il
Presidente del Consiglio dei ministri o un ministro, nonché gli altri inquisiti che siano membri del Senato o della
Camera, a misure limitative della libertà personale, a intercettazioni telefoniche o sequestro o violazione di
corrispondenza ovvero a perquisizione personali o domiciliari, salvo che siano colti nell’atto di commettere uno dei
delitti indicati nell’art.380 commi 1 e 2.
Caduta la necessità di autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari, è prevista solo la necessità di
autorizzazioni ad acta per il compimento di singoli atti che si riflettono sui diritti fondamentali di un membro del
parlamento. Più precisamente, alla Camera di appartenenza va richiesta autorizzazione per sottoporre i membri del
parlamento a perquisizione personale o domiciliare o a ispezione personale; per arrestarli o privarli altrimenti della
libertà personale, o mantenerli in detenzione, salvo che si tratti di dare esecuzione a sentenza irrevocabile di
condanna o il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è prevista l’arresto obbligatorio in
flagranza; per sottoporli a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni, ad acquisizione di
tabulati telefonici e a sequestro di corrispondenza. L’autorizzazione è richiesta dall’autorità che ha emesso il
provvedimento da eseguire (PM o giudice): in attesa dell’autorizzazione, l’esecuzione del provvedimento rimane
sospesa. Al componente del parlamento italiano è equiparato il membro italiano del Parlamento europeo.
13. L’attività di indagine della polizia giudiziaria: l’obbligo di riferire la notizia di reato ex art.347 cpp.
Cercheremo di capire dal punto di vista dinamico quali sono i poteri e gli atti che la pg può compiere, oltre che capire
in quale rapporto si pone con il pm relativamente alla dinamica delle indagini.
L’intenzione originaria del nuovo cpp (1989) era quella di ridurre notevolmente i poteri ed i margini di autonomia
della pg per evitare che la pg, la quale può essere destinataria della ricezione della notizia di reato ed il cui primo
compito ex art.347 è quello di informare il pm della ricezione, in questo lasso temporale (tra la ricezione e
l’informativa al pm) avesse troppo margine di iniziativa. La pg è sì obbligata a trasmettere la notizia al pm, ma in
realtà un minimo vaglio di fondatezza di questa notizia di reato la deve compiere: se gli arriva una notizia infondata
può anche non trasmetterla, però ha in questa fase un margine di discrezionalità. Mentre nel vecchio codice questo
margine era abbastanza ampio, la pg compiva una sorta di indagine parallela prima che iniziasse quella del pm, con il
nuovo codice questo margine si voleva in prima battuta comprimere.
Comma 1 e 2 dell’art.347: “acquisita la notizia di reato, la pg senza ritardo riferisce al pm, per iscritto (vanno bene
anche gli atti telematici ex art.108-bis disp.att), gli elementi essenziali del fatto e gli elementi sino ad allora raccolti,
indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione.
Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su
circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti”. Il comma 4 ci dice che con la comunicazione, la pg indica il giorno
e l’ora in cui ha acquisito la notizia di reato.
La formulazione originaria dell’art.347 prevedeva che la notizia di reato dovesse essere trasmessa al pm entro 48 ore
(un termine ristrettissimo per poter operare con una certa autonomia): si voleva circoscrivere il potere di iniziativa
della pg entro questo strettissimo margine temporale.
La norma però è stata modificata subito dopo l’entrata in vigore del codice, con una legge del 1992, ed attualmente
non si dice più che la notizia di reato debba essere trasmessa entro 48 ore, ma “senza ritardo”. La nuova unità
temporale insieme alla specificazione dell’attività che la pg può svolgere in questa fase hanno ampliato di molto il
margine di autonomia, infatti nella prassi la pg compie spesso una sorta di pre-indagine una volta ricevuta la notizia di
reato. Si torna a sviluppare quindi quella sorta di indagine parallela che viene compiuta senza sorveglianza del pm, al
di fuori quindi di una supervisione e di un coordinamento formale, oltre che senza autorizzazione per compiere
determinati atti. Rischio che i termini delle indagini preliminari si allarghino a dismisura. I 6 mesi ordinari di durata
decorrono dal momento in cui il pm iscrive la notizia di reato, ma se prima ci sono già stati 2 mesi di indagine della
pg (i cui risultati confluiscono nel fascicolo del pm) diventa un problema.
Queste cadenze sono sottoposte a due eccezioni, previste sempre dall’art.347:
il comma 2-bis impone che la pg trasmetta la notizia al pm entro 48 ore nel caso in cui debbano essere compiute
attività per le quali è prevista l’assistenza del difensore. Bisogna necessariamente coordinare le attività.
per i reati previsti dall’art.407, comma 2, lett. a): criminalità organizzata ed altri gravi reati. La notizia di reato deve
essere trasmessa immediatamente; ed in tutti i casi di urgenza.
(Termine ordinario: senza ritardo; per attività con assistenza di difensore: 48 ore; in casi di urgenza e per i
reati ex art.407: immediatamente).
Una regola speciale armonizza con l’obbligo imposto dall’art. 347 gli adempimenti conseguenti a una notizia di reato
non perseguibile d’ufficio quando ancora non sia sopravvenuta la condizione di procedibilità: la PG riferisce senza
ritardo – o immediatamente in forma orale se sussistono ragioni di urgenza o si tratta di reati ex 407,2 lett. a nn. 1-6 –
al PM “l’attività di indagine prevista dall’art. 346”, trasmettendo altresì la relativa documentazione ove detto organo
ne faccia richiesta (122. disp. att.).
Una deroga al regime informativo di cui all’art. 347, funzionale all’archiviazione delle notizie di reato cumulativa ex
art 415,4, è quella di cui all’art. 107bis disp.att., il quale prevede che le denunce a carico di ignoti, unitamente agli
eventuali atti di indagine svolti per l’identificazione dell’autore del reato, siano trasmesse all’ufficio di procura
competente con elenchi mensili.

14. le attività investigative tipiche e atipiche.


Comma 1 e 2 dell’art.348: “anche successivamente alla comunicazione della notizia di reato, la pg continua a
svolgere le funzioni indicate nell’art.55 raccogliendo in specie ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla
individuazione del colpevole. Procede, tra l’altro:
-alla ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato, nonché alla conservazione di esse e dello stato dei luoghi;
-alla ricerca delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti;
-al compimento degli atti indicati negli articoli seguenti.
Nel momento in cui la pg trasmette la notizia di reato al pm possiamo dire che la sua attività di indagine si articola in
tre momenti (art 347+348: da leggersi in combinato disposto):
1. nel momento in cui la pg ha trasmesso la notizia di reato al pm può continuare a svolgere attività di propria
iniziativa. Può svolgere funzioni che le sono proprie nella misura in cui queste siano utili all’accertamento del
fatto (attività che fanno riferimento all’art.55, che prevede in generale i poteri della pg).
2. quando il pm interviene assumendo il coordinamento delle indagini (la pg ha comunicato al pm la notizia di
reato, il pm l’ha iscritta ma comunque la pg continua ad operare in autonomia) il margine di autonomia della
pg si restringe. La pg può compiere gli atti che le sono specificamente delegati dal pm ex art.370. Però la pg
non agisce più in autonomia, compie un atto che le ha delegato il pm. Esegue inoltre le direttive del pm.
3. Tuttavia, può continuare a svolgere attività di propria iniziativa (quindi mantiene un certo margine di
autonomia) che però è temperata perché di queste attività è tenuta ad informare il pm (quindi c’è l’avvallo di
questo obbligo di informazione).
Se nel corso del compimento di queste attività ha bisogno di indagine di natura tecnica può avvalersi anche di
consulenti.
Problema rispetto all’attività della pg è che tracciato questo schema di massima, bisogna poi interrogarsi su quali
specifiche attività può compiere la pg, oltre quelle delegate dal pm. Nel codice gli artt. da 349 a 355 sono dedicati a
singole attività tipiche che la pg può svolgere: può identificare l’indagato; può raccogliere informazioni quindi
assumere in contenuto dichiarativo tanto dall’indagato quanto da persone informate sui fatti o da imputati in
procedimento connesso; può eseguire perquisizioni; può disporre sequestri ed assumere plichi e corrispondenza;
sequestro del corpo del reato e delle cose a questo pertinente; accertamenti urgenti sui luoghi o sulle persone. Si
hanno qui norme con contenuto dettagliato che ci dicono cosa la pg può fare. Però nella prassi la pg non compie solo
queste attività, ma svariate attività di natura atipica che non trovano una corrispondenza nelle norme del codice: a
volte urgenti e necessarie all’accertamento del fatto ma che non trovano un corrispondente normativo prefissato.
Quando però poi si tratta di stabilire l’utilizzabilità dei risultati di quella attività atipica si pongono problemi, quando
hanno la capacità di incidere su diritti fondamentali dei soggetti. La mancanza di un riferimento normativo crea qui un
problema perché siamo nell’ambito della limitazione di diritti fondamentali al di fuori dei casi legislativamente
previsti e permessi. Il problema quindi non è l’attività atipica a tutto tondo della pg (perché sono ammesse indagini
atipiche con riferimento normativo ex art.189), ma in assenza di regolamentazione diventa un problema se incide sui
diritti fondamentali.
Esempio: localizzazione di individui mediante gps. Non c’è una norma che disciplini la localizzazione, alcuni poi
dicono che incida sulla libertà di movimento e circolazione del soggetto. Le soluzione è rimessa alla Cassazione, o
giudici di merito se nel corso del processo viene in gioco l’utilizzabilità. La cassazione ha ammesso l’uso di questa
attività qualificandola come una forma atipica di pedinamento che non incide su alcun diritto fondamentale (ex
artt.13, 14, 15 cost).
Qualche problema in più sulle video riprese: altra tecnica di indagine che però non ha ancora una disciplina
normativa. Non è inserita nella disciplina sulle intercettazioni. Se vengono riprese immagini dentro un domicilio
privato si incide sull’art.14, quindi in teoria non si potrebbe fare. La cassazione ha risolto il problema con il Caso
Prisco, SSUU 2006: ha stabilito che le video riprese in luogo privato sono ammissibili solo se possono captare un
comportamento comunicativo. Se invece è diretta a riprendere delle vere e proprie azioni non è ammissibile e i
risultati non sono utilizzabili perché si tratta di attività atipica incidenti sulla libertà di domicilio senza normativa di
riferimento. Difficile inoltre distinguere tra contenuto comunicativo o meno.
15: l’identificazione della persona sottoposta alle indagini e delle altre persone ex art.349 cpp.
Una prima attività tipica di PG consiste nell'identificazione della persona sottoposta alle indagini e delle persone
che possono fornire informazioni sulle circostanze rilevanti per la ricostruzione del fatto (349,1) (ovviamente
quando tali persone sono fisicamente individuate, ma ne sono ignote le generalità). In questa attività, la PG osserva
innanzitutto le disposizioni dell'art. 66 e, cioè, invita l'indagato a dichiarare le proprie generalità e quant'altro
valga a identificarlo, ammonendolo sulle conseguenze cui si espone chi si rifiuta di fornirle o le fornisce false (496 e
651 cp); lo, invita, inoltre, a dichiarare o eleggere il domicilio per le notificazioni ai sensi dell'art. 161 (349,3).
La pg ha dei poteri di accertamento sull’identità delle persone. Non esiste il reato di false comunicazioni alla pg, a
meno che non tramuti in reato di favoreggiamento. C’è però una cosa che non si può dire falsamente alla pg, ossia le
proprie generalità. Esiste quindi il reato di false generalità alla pg. La norma distingue alcune attività che non sono
considerate limitative della libertà personale e quelle che lo sono. Comma 2: “alla identificazione della persona nei
cui confronti vengono svolte le indagine può procedersi anche eseguendo rilievi dattiloscopici, fotografici e
antropometrici nonché altri accertamenti”. Qui il pm interviene ma come magistrato, integrando. Questa del comma
2 è una eccezione. Riproduce una posizione della corte costituzionale, e c’è una sentenza, la numero 30 del 1962, che
esamina questo problema: qual è la linea che distingue le misure limitative della libertà e quelle che non lo sono? La
corte dice che fin tanto che si tratta di acquisire elementi esterni non si è davanti ad attività limitativa della libertà
personale. Le cose cambiano già con il comma 2-bis:
“Se gli accertamenti indicati dal comma 2 comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso
dell’interessato, la pg procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa
autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pm”. Nasce, questo comma 2-bis, dopo
un attentato alla metro di Londra. Prima vi era il prelievo ematico e la corte disse che fare un prelievo ematico
significava entrare nel corpo di un soggetto e togliergli qualcosa, quindi il prelievo ematico è limitativo della libertà
personale. Dal prelievo ematico si è passati a prendere saliva o peli, e in questi casi, a meno che non ci sia un
consenso (in questo caso non vi è compressione), se qualcuno di oppone e fa resistenza in quel caso si ha invasione
nella sfera della libertà personale e lì c’è bisogno di un organo che è il magistrato, che qui è il magistrato pm. Qui il
pm appare come magistrato che sorveglia le attività della pg.
Nei commi successivi, vediamo un’altra modalità: il fermo per identificazione. La polizia può tenere sotto controllo
una persona sospetta per non più di 12 ore, e anche qui va avvertito il pm. Queste ore possono essere raddoppiate in
caso di soggetti stranieri, quindi per loro non più di 24 ore, e qui per agevolare contatti con le autorità consolari e
capire bene chi sia la persona, perché molto spesso si danno nominativi falsi.
16 le sommarie informazioni
Altro principale compito della PG è quello di assumere informazioni dalla persona già raggiunta da indizi di reato,
da persone informate sui fatti e da imputati o indagati in procedimenti connessi o collegati. A regolare l’assunzione
delle informazioni provenienti dalla persona sottoposta ad indagini provvede l’art. 350, nel quale trovano luogo tre
differenti discipline che concernono altrettanti casi di assunzione di informazioni dal medesimo soggetto.
In primo luogo, gli ufficiali di PG (non gli agenti) possono assumere, con le modalità previste dall'art. 64 (avvisi e
divieto di metodi o tecniche lesivi dell’autodeterminazione), sommarie informazioni utili per le investigazioni dalla
persona nei cui confronti vengono svolte le indagini che non si trovi in stato di arresto o di fermo a norma
dell'art. 384, e nei casi di cui all'articolo 384bis  si tratta del “quasi-interrogatorio” (350,1). Prima di
procedere, la PG invita il soggetto a nominare un difensore di fiducia o provvede a procurargli un difensore d’ufficio
(350,2). Le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria assistenza del difensore, il quale ha l'obbligo di
presenziare al compimento dell'atto ed al quale la PG dà tempestivo avviso (350,3).
Qui è in gioco il diritto al silenzio e il diritto di difesa. Premessa: qui siamo in presenza di un momento molto delicato
dell’attività della pg, che è il primo contatto tra polizia e indagato, che è un momento talvolta anche violento. Il 350
nasce da un’antica esperienza che non si sarebbe dovuta ripetere: è sempre stato discusso il potere della pg in fase di
indagine. Il tema è quello dell’interrogatorio di polizia, che è quello che solitamente si faceva sotto il codice
previgente in assenza del difensore e quindi in maniera non sorvegliata. 50 anni fa è accaduto un fatto che ha
rappresentato un trauma: alla fine del 1969, all’epoca della strage di piazza Fontana dove muoiono 16 persone a
Milano per effetto di una bomba. Le indagini seguono la pista degli anarchici. Pochi giorni dopo viene interrogato un
anarchico (Pinelli) che durante l’interrogatorio si disse che si buttò dalla finestra e morì. Cosa sia accaduto non si sa,
anche se l’indagine ha portato ad una non responsabilità dei poliziotti presenti lì. Da lì partì una campagna garantista
per dire “non più interrogatori di polizia”. È stato poi creato un articolo simile all’art.350 di oggi, per evitare che il
primo contatto dell’indagato sia da solo con la pg, ma si vuole che il contatto sia sempre assistito dal difensore
(obbligo di presenza del difensore, che se non c’è si nomina di ufficio). Tutto questo è ciò che emerge dai primi 4
commi: la pg non può assumere sommarie informazioni da persone in vincolo, quindi in stato di cattività, e non può
acquisire sommarie informazioni in assenza del difensore. Quindi, la pg dovrà informare il pm il quale provvede a
nominare un difensore d’ufficio, se non ha un difensore. Nei primi 4 commi si ha la negazione dell’interrogatorio di
pg.
Il comma 5 inizia ad intromettere delle eccezioni: il comma 5 dice che tuttavia, sul luogo o nell’immediatezza del
fatto (se ci fosse stato “e” al posto di “o” si sarebbe di fronte alla flagranza di reato, con esito restrittivo. Il senso di
mettere la o significa poter dilatare il tempo un po’ oltre la flagranza. Il requisito spaziale viene spezzato da quello
temporale), la pg può assumere sommarie informazioni anche dalla persona arrestata o fermata al solo fine della
prosecuzione delle indagini. Queste informazioni possono essere usate al solo fine di proseguire le indagini e il
comma 6 ci dice che di queste informazioni è vietata ogni tipo di documentazione e utilizzazione, così che non
rimanga nessuna traccia ma che serva solo per proseguire nelle indagini, come ci dice il comma 5. L’indagine, in
questa maniera, può essere stravolta. Il comma 5 e 6 introducono delle parziali eccezioni rispetto ai primi 4 commi.
Qui risorge l’interrogatorio di polizia, con limitazione degli effetti e con divieto di utilizzazione.
Il comma 7 configura un’altra eccezione che riguarda le dichiarazioni spontanee: “la pg (anche gli agenti) può
ricercare dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è
consentita l’utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto l’art.503, comma 3” (se in dibattimento rendono
dichiarazioni diverse da quelle rese alla pg quelle dichiarazioni possono essere loro contestate, questo dice
l’art.503). Le dichiarazioni spontanee sono quelle che la persona sottoposta alle indagini intende rendere di sua
iniziativa. Di questa rimane traccia, tanto che mi può essere contestata ex art.503, comma 3, al contrario delle
informazioni ex comma 5 e 6, di cui non rimane traccia.
Art.351 cpp: altre sommarie informazioni. È una disposizione molto interessante, perché all’inizio constava di sole
due righe che dicevano: “la pg assume sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai
fini delle indagini”. Questa è una tipica attività prevista dalla legge ma per la quale non sono previste formalità. Il
legislatore è molto attento a non sprecare il termine testimonianza, sono potenziali testimoni ma non sono assunti con
le forme della testimonianza. Questo articolo fu poi arricchito di forme, e c’è stata una sorta di metamorfosi da una
attività tipica ma a forma libera a attività tipica formalizzata. Ora il comma 1 continua dicendo che “si applicano le
disposizioni del secondo e terzo periodo del comma 1 dell’art.362”. L’art.362 disciplina la stessa attività dell’art.351
ma quando è compiuta dal pm. Questa norma prevedeva già nella formulazione originaria che quando un soggetto
parlava davanti al pm questo doveva rispettare i limiti soggettivi del dovere testimoniale. Questo non era ripetuto per
la pg perché quelle norme che valgono per la testimonianza le si faceva valere per il pm perché esiste il reato di falsa
testimonianza davanti al giudice, esiste il reato di false dichiarazioni al pm o di reticente davanti al pm, esiste anche il
reato di false dichiarazioni al difensore quando svolge indagini private, ma non esiste il reato di falsa testimonianza
davanti alla pg. Quindi per il pm ha un senso aggiungere questo, perché la persona ha il diritto di non rispondere. Ora
lo si è fatto valere anche nei confronti della pg. Il primo elemento di formalità quindi è già stato aggiunto nella
parte seconda del comma 1. Altro rinvio all’art.362 è la tutela di una sorta di riservatezza rivolta all’indagine privata
(novità introdotta con una legge del 2000). Quindi se il difensore assume delle dichiarazioni da una persona disposta a
collaborare, da questa persona che poi viene sentita dalla pg, la pg non può sentire la persona sulle dichiarazione rese
nell’indagine privata.
Comma 1-bis: parla degli imputati in procedimento connessi e collegati. Questi soggetti possono trasformarsi in
testimoni se rinunciano al diritto al silenzio e decidono di rendere dichiarazioni. Questi soggetti che si presentano in
questa veste ibrida di imputati in procedimenti connessi e collegati devono sempre essere sentiti, anche quando si
presentano alla pg con il proprio difensore. Deve esserci sempre il difensore del soggetto che rende la dichiarazione,
questo per rendere effettivo il diritto a non autoaccusarsi.
Comma 1-ter: nasce dopo la conferenza di Istanbul per reati molto gravi, come quelli sessuali o legati a sfruttamento
di minori o a condizioni di servitù e simili. Questi soggetti, in particolare minorenni che siano vittime di reati sessuali,
ma anche di maggiorenni, praticamente sempre vengono sentiti come testimoni. Si cerca di evitare la vittimizzazione
secondaria, ma si devono sentire. Visto che si devono sentire, e visto che si tratta di persone vulnerabili, si sentono
con l’assistenza di uno psicologo o psicologo infantile, questo anche quando a procedere sia un ufficiale di pg.
Durante il caso Cogne non c’era questa disposizione, ma c’era una disposizione che riguarda l’incidente probatorio
(consentire una audizione protetta per vittime di reati sessuali o per minori costretti a rendere dichiarazioni perché
testimoni di fatti cruenti). In quel periodo, si vedeva spesso la scena di poliziotti che intervistavano il fratello rimasto
vivo e quindi ci si chiedeva perché non si andasse a tutelare anche questa persona. Si decise di introdurre sia per il pm
che per la pg il dettaglio dell’assistenza dello psicologo e psichiatra infantile.
Ricapitolando: parte come condotta tipica a forma libera ma viene infarcita nel tempo di forme. Il dovere della pg di
sentire con il difensore (se non c’è viene nominato d’ufficio) l’imputato in procedimento connessi o collegati, e il
dovere per la pg, nei confronti di soggetti offesi da reati gravi, di interrogare solo con esperti psicologi o psichiatri. Si
sta anche attenti ad evitare il contatto tra la persona offesa con la persona indagata e si evita che sia chiamata più volte
a rendere sommarie informazioni, salva l’assoluta necessità per le indagini.
17 perquisizioni, accertamenti urgenti, acquisizione di plichi
La perquisizione normalmente spetta al pm, la pg può eseguirla quando ricorrano motivi particolari di urgenza.
Art.352: dispone che nella flagranza del reato o nel caso di evasione (casi di necessità e urgenza in re ipsa) (vd.
art. 13 Cost), gli ufficiali di PG procedano a perquisizione personale o locale quando hanno fondato motivo di
ritenere che sulla persona si trovino occultate cose o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellate o disperse
ovvero che tali cose o tracce si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o
l'evaso.
Stando al comma 2 gli ufficiali potranno procedere all’esecuzione di un'ordinanza che dispone la custodia
cautelare o di un ordine che dispone la carcerazione nei confronti di persona imputata o condannata per uno dei
delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza ai sensi dell’art. 380, ovvero al fermo di una persona indiziata
di delitto ex art. 384; tuttavia in tali casi gli ufficiali potranno procedere solo se sussistano, oltre ai presupposti
indicati nel comma 1, anche particolari motivi di urgenza che non consentono l’emissione di un tempestivo decreto
di perquisizione.
Il comma 1-bis prevede poi la peculiare ipotesi della perquisizione informatica nella flagranza del reato, ovvero
nei casi di cui al comma 2 quando sussistono i presupposti e le altre condizioni ivi previsti, gli ufficiali di PG,
adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione,
procedono altresì alla perquisizione di sistemi informatici o telematici, ancorché protetti da misure di sicurezza,
quando hanno fondato motivo di ritenere che in questi si trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o
tracce comunque pertinenti al reato che possono essere cancellati o dispersi. Di regola, sono legittimati alla
perquisizione i soli ufficiali di PG, ma nei casi di particolare necessità e urgenza, ex art.113 disp.att. possono
procedervi anche gli agenti.
Con riguardo alle modalità di esecuzione, pur in assenza di un esplicito richiamo, ci si deve rifare alla normativa
contenuta nel libro III sulle prove. Una regola derogatoria viene specificatamente dettata per la perquisizione
domiciliare, la quale può essere eseguita anche fuori dei limiti temporali previsti dall’art. 251, quando il ritardo
potrebbe pregiudicare l’esito (352,3). Quanto al procedimento, in rispetto delle cadenze temporali costituzionalmente
previste, eseguita la perquisizione, la PG dovrà trasmettere il verbale delle operazioni compiute senza ritardo, e
comunque non oltre le 48 ore, al PM del luogo dove la perquisizione è stata eseguita, il quale se ne ricorrono i
presupposti, nelle 48 ore successive, convalida la perquisizione (352,4).
Art.354: alla PG compete anche il potere di compiere rilievi e accertamenti su persone e luoghi. In particolare, gli
ufficiali e gli agenti di PG devono curare che le tracce e le cose pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei
luoghi e delle cose non venga mutato prima dell'intervento del PM (354,1). Se vi è pericolo che tali cose, tracce e
luoghi indicati si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il PM non possa intervenire
tempestivamente, ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, i necessari accertamenti e rilievi sullo
stato dei luoghi e delle cose sono compiuti direttamente dai soli ufficiali (354,2). Similmente, ma in relazione ai dati,
alle informazioni e ai programmi informatici o ai sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della PG adottano,
altresì, le misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne
l’alterazione e l’accesso, provvedendo , ove possibile, alla loro immediata duplicazione su adeguati supporti,
mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità.
Ai sensi dell’art. 354,3 i soli ufficiali possono procedere ad accertamenti e rilievi sulla persona diversi dalla
ispezione personale si tratta di atti che si limitano ad osservare e a cogliere i particolari immediatamente visibili,
senza poter procedere ad operazioni minimamente invasive della sfera personale di un soggetto.
Tutte le volte in cui, nell’ambito dell’attività di indagine svolta, se ne presenti l’esigenza, la PG potrà procedere al
sequestro del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti (354,2 ultimo periodo). In tal caso, l’art. 355 dispone
che la PG enunci nel relativo verbale il motivo del provvedimento e ne consegni copia alla persona alla quale le cose
sono state sequestrate. Il verbale è trasmesso senza ritardo, e comunque non oltre le 48 ore, al PM del luogo dove il
sequestro è stato eseguito (355,1), il quale nelle 48 ore successive, con decreto motivato convalida (una cui copia è
immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate) il sequestro se ne ricorrono i
presupposti ovvero dispone la restituzione delle cose sequestrate (355,2). Contro il decreto di convalida, la persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e
quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre, entro 10gg dalla notifica del decreto ovvero dalla
diversa data in cui l'interessato ha avuto conoscenza dell'avvenuto sequestro, richiesta di riesame, anche nel merito,
a norma dell'art.324 (355,3), la quale non sospende l'esecuzione del provvedimento (355,4).
Art.353: acquisizione di plichi o di corrispondenza. Riguarda casi particolari di sequestro. Supponiamo che venga
un poliziotto in casa che cerca cose pertinenti al reato e che trovi sul tavolo un plico sigillato. Qui non è in gioco
soltanto il diritto di proprietà ma è in gioco anche l’art.15 cost. Mentre negli artt.13 e 14 esplicitamente si permette
alla pg di intervenire in casi di urgenza limitando la libertà personale e domiciliare, l’art.15 non dà questa possibilità,
ma dice che solo con atto motivato della Ag si può limitare il diritto della segretezza delle comunicazioni e della
corrispondenza. La pg può quindi qui telefonare al pm e ottenere anche in via orale il consenso di aprire il plico. Quel
che può accadere con il plico è che può essere aperto solo previa autorizzazione del pm, data anche oralmente.
Nel caso del plico in transito, già spedito che si trovi presso un corriere e la pg ritiene che dentro quel plico ci siano
cose interessante. Il pm potrebbe sequestrarlo ma la pg non può. A quel punto la pg può ordinare il blocco del transito,
avverte il pm che ha 48 ore di tempo per decidere se sequestrare o meno quel plico. Se entro 48 ore non avviene il
sequestro il plico sarà inoltrato.
Artt.356-357: il 356 parla dell’assistenza del difensore. Emergono i c.d. atti garantiti. “Il difensore della persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato,
agli atti previsti dall’artt.352 e 354 oltre che all’immediata apertura del plico autorizzata dal pm a norma dell’art.353
comma 2”. Questa norma va completata con la disposizione che impone, nel caso della pg, la presenza del difensore a
norma dell’art.350. Quando la pg assume sommarie info dalla persona sottoposta alle indagine la regola è che debba
esserci sempre il difensore. Valgono per la pg le stesse regole che valgono per il pm.
Il 357 parla della documentazione dell’attività di pg. Tutto quello che ha la pg deve essere documentato (ad
esclusione del sesto comma dell’art.350, visto ieri). Documentato come? Il primo comma evoca come forma di
documentazione non la verbalizzazione (che è la forma solenne di documentazione) ma la regola di carattere generale
è la annotazione (una forma di documentazione è molto più libera e ne parla l’art.115 disp.att.): è la forma di
documentazione caratteristica alle attività libere della pg. La verbalizzazione è la forma adeguata per le attività
formalizzate (infatti nel secondo comma si trovano le attività tipiche e formalizzate della pg: fa un riferimento
all’art.351, riferimento che prima non c’era ma fu aggiunto solo quando si infarcì di formalizzazioni di cui abbiamo
detto).
“La polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte
le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova.
Fermo quanto disposto in relazione a specifiche attività, redige verbale dei seguenti atti:
a) denunce, querele e istanze presentate oralmente;
b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le
indagini;
c) informazioni assunte, a norma dell'articolo 351 (altre sommarie informazioni);
d) perquisizioni e sequestri;
e) operazioni e accertamenti previsti dagli articoli 349, 353 e 354(identificazioni;plichi;accertamenti urgenti);
f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico ministero non ha impartito le
direttive per lo svolgimento delle indagini.
Il verbale è redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nelle forme e con le modalità previste dall'articolo 373.
La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è posta a disposizione del pubblico ministero. A disposizione
del pubblico ministero sono altresì poste le denunce, le istanze e le querele presentate per iscritto, i referti, il corpo del
reato e le cose pertinenti al reato”.
Se vediamo l’art.373 (riguarda la documentazione delle attività del pm) il discorso è capovolto, dove al primo comma
c’è la verbalizzazione e poi per altri atti non formalizzati la forma è quella dell’annotazione.
L’attività della pg finisce qui, ma in realtà verrà parzialmente ripresa nei paragrafi 26,27,28,29 e 30, avendoli Orlandi
trattati direttamente dopo le attività di pg in quanto collegati.
18. L’attività di indagine del pubblico ministero: atti diretti e atti delegati
Art.370 cpp: il PM compie personalmente ogni attività di indagine. Tuttavia, per esigenze di efficienza dovute
all’enorme carico di lavoro, egli può avvalersi della PG per il compimento di attività di indagine e di atti
specificamente delegati, ivi compresi gli interrogatori ed i confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini
che si trovi in stato di libertà, con l'assistenza necessaria del difensore. Tali atti compiuti su delega – le cui sorti sul
piano probatorio sono le medesime dell’atto compiuto personalmente dal magistrato – sono corredati dalle necessarie
garanzie difensive: delegata al compimento di singole attività la PG osserva le disposizioni degli artt.364, 365 e 373
(370,2).
Per singoli atti da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il PM, qualora non ritenga di procedere
personalmente, può delegare, secondo la rispettiva competenza per materia, il PM presso il tribunale
territorialmente competente (370,3). Quando ricorrono ragioni di urgenza o altri gravi motivi, il PM delegato a
norma del comma 3 ha facoltà di procedere di propria iniziativa anche agli atti che a seguito dello svolgimento di
quelli specificamente delegati appaiono necessari ai fini delle indagini.
Aggiunta codice: al pari di quanto previsto dall’art.350 cpp, il pm può delegare l’interrogatorio della persona
sottoposta alle indagini soltanto qualora questa non sia sottoposta a regime restrittivo della libertà personale; la
violazione di questa norma determina la inutilizzabilità patologica delle dichiarazioni dell’indagato ancorché si trovi
in stato di restrizione domiciliare cautelare.
19. Il coordinamento investigativo
Con il codice abrogato, l'esistenza di un vincolo di natura probatoria determinava la connessione tra i relativi
procedimenti. Questa soluzione aveva il torto di favorire le abnormi concentrazioni processuali che sono state
etichettate con il nome di maxiprocessi, che mortificavano i principi di immediatezza e concentrazione del
dibattimento. Il codice vigente ha offerto una soluzione al problema con lo slogan “no ai maxi processi, si alle maxi
indagini”. Con questa soluzione, competenti a giudicare i fatti di reato probatoriamente collegati sono i giudici
individuati secondo le normali regole della competenza per materia e per territorio (ex 371,3 “salvo quanto disposto
dall'art. 12, il collegamento delle indagini non ha effetto sulla competenza”), così pure, competenti a svolgere le
indagini sono i corrispondenti uffici del PM. Tali uffici diversi del pubblico ministero, tuttavia, al fine di favorire la
speditezza, l’economia e l’efficacia delle indagini medesime, sono tenuti a coordinarsi fra di loro e a tali fini
provvedono allo scambio di atti e di informazioni (obbligo di informazione reciproca), alla comunicazione delle
direttive rispettivamente impartite alla PG, nonché possono procedere congiuntamente al compimento di specifici
atti (facoltà di cooperazione) (371,1).
Le indagini di uffici diversi del pubblico ministero ex art. 371,2 si considerano collegate: a) se i procedimenti sono
connessi a norma dell'articolo 12; b) se si tratta di reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri,
o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati
commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua
circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un'altra circostanza; c) se la prova di più reati deriva, anche
in parte, dalla stessa fonte.
Si noti che l’ipotesi della lett.a, facendo riferimento a procedimenti connessi, sempre individuare reati per i quali le
indagini dovrebbero essere accentrate presso un unico ufficio del pubblico ministero (quello del giudice competente
ex art.16 e, dunque, essere oggetto di una indagine unica. Tuttavia, sembra potersi desumere dall’art.371,2 lett.a, che
gli organi di indagine, prima del momento di esercizio dell’azione penale, saranno liberi di optare per la
concentrazione dei procedimenti presso lo stesso ufficio ovvero di trascurare i vincoli che legano i reati e di indagare
sugli stessi separatamente, accedendo, se del caso, al meccanismo del coordinamento investigativo.
Tale disciplina che regola i rapporti tra i diversi uffici del pubblico ministero nel caso di indagini collegate ha, fin dal
principio, trovato scarsa applicazione di fronte alle resistenze collaborative degli organi di indagine. Di qui
l’introduzione di taluni correttivi. A tal proposito l’istituto introdotto nell’art.118bis disp.att. ha attribuito al
procuratore generale presso la corte d’appello, da solo o d’intesa con altri procuratori generali, il compito di
promuovere il coordinamento delle indagini per i delitti di cui all’art. 407,2 lett.a, nonché per i delitti di cui agli artt.
452bis, 452quater, 452sexies e 452octiesdel cp.
Art.371,1-bis: prevede che il procuratore generale presso la corte di appello, assunte le necessarie informazioni,
dispone altresì con decreto motivato l'avocazione delle indagini preliminari relative ai delitti previsti dagli artt.
270bis, 280, 285, 286, 289bis, 305, 306, 416 nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza e 422 cp quando,
“trattandosi di indagini collegate, non risulta effettivo il coordinamento delle indagini previste dall'articolo 371,1 e
non hanno dato esito le riunioni per il coordinamento disposte o promosse dal procuratore generale anche d'intesa con
altri procuratori generali interessati”. Ad un obiettivo analogo, ma attraverso un sistema più articolato, che individua
una struttura verticistica a livello nazionale – la quale, a sua volta, si innesta sulle forme organizzative di
accentramento delle indagini rappresentate dalle procure distrettuali – è indirizzato l’apparato normativo che incentra
in capo al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo i poteri di impulso e coordinamento (e, se del caso, di
avocazione) nei confronti dei procuratori distrettuali, per i reati di cui all’art. 51 commi 3-bis e 3-quater.

20: attività di indagine tipica e atipica


Anche l'attività del PM comprende atti tipici ed atti atipici, come per la PG.
Quanto ai primi, nel titolo dedicato alla “attività del PM” trova luogo solo la disciplina di alcuni tra gli strumenti
legislativamente previsti. Si tratta di una serie di atti investigativi, largamente corrispondente ai mezzi di prova
disciplinati nel titolo II del libro III, diversamente denominati per rimarcare la differenza di natura e di regime che
intercorre tra gli atti probatori compiuti davanti al giudice e quelli compiuti dal PM ad uso esclusivamente endofasico
(perizia→ accertamento tecnico (359-360); ricognizione→ individuazione (361); testimonianza→ assunzione di
informazioni (362); esame dell'imputato di un reato connesso→ interrogatorio di persone imputate in un
procedimento connesso (363). Essi sono stati concepiti come atti caratterizzati da tendenziale fluidità delle forme in
funzione della natura processuale delle indagini preliminari e della loro inconsistenza probatoria.
Non sono stati specificatamente disciplinati i confronti, i quali possono essere compiuti quali espressioni di attività
libera; mentre l’interrogatorio della persona sottoposta a indagini, che pure viene testualmente richiamato in diverse
disposizioni volte ad assicurare peculiari garanzie difensive, potrà essere assunto nel rispetto delle forme dettate dagli
artt. 64 e 65.
Il PM può procedere inoltre a ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni, mezzi di ricerca della prova che
trovano la loro disciplina nel titolo III del libro III. Quest’ultimi sono strumenti tipici della fase di indagine, la cui
titolarità è posta in capo all’AG (dizione comprensiva sia della figura del giudice che del PM), se non esclusivamente
– come nell’ipotesi di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – al PM (su autorizzazione del giudice) (267).
Nondimeno, in quanto idonei a fornire contributi conoscitivi originariamente irripetibili, e dunque deputati a confluire
nel fascicolo del dibattimento (431,1 lett. c), essi sono geneticamente predisposti per assumere un ruolo esorbitante
rispetto ad un’attività che si presenta, in linea di principio, a gittata endofasica.
Risulta evidente che tra le attività “necessarie” rispetto agli scopi perseguiti ai sensi dell’art.358, possano rientrare
attività non disciplinate dalla legge: nei medesimi limiti già denunciati con riguardo alle attività di PG – limiti che
riguardano i diritti fondamentali e il rispetto della legalità probatoria – il PM può svolgere attività di indagine
innominata o atipica

21. Gli accertamenti tecnici


(fatti su appunti lezioni, se vuoi guarda conso)

È il dominus delle indagini, può svolgere personalmente e può delegare alla pg, ma la responsabilità delle indagini
resta in capo al pm. Nel libro V del codice c’è un titolo interamente dedicato all’attività del pm, che parte con
l’art.358 cpp, e questa norma riassume con un’articolazione generica ciò che può svolgere il pm: ogni attività
necessaria ai fini dell’art.326 (se deve esercitare o meno l’azione penale, quindi le determinazioni per prendere questa
decisione). Anche l’attività del pm può essere un’attività di indagine tipica o atipica, con la precisazione che, con
riferimento all’attività atipica, valgono gli stessi limiti per la pg con riferimento alle attività che incidono sui diritti
individuali.
Con riferimento all’attività tipica, negli articoli successivi troviamo una serie di attività che il pm può compiere: se
guardiamo la nomenclatura delle attività, si parla di accertamenti, in particolare tecnici (art.359 e 360), poi ci sono le
individuazioni e poi c’è l’attività di raccolta di info da persone informate sui fatti o dall’indagato o imputato (art.361 e
362). Questi atti d’indagine, dal punto di vista contenutistico, corrispondono ad altrettanti mezzi di prova, perché gli
accertamenti tecnici corrispondono alla perizia, l’individuazione di cose luoghi o persone corrisponde alla
ricognizione e le sommarie info corrispondono alla testimonianza. Il lgs ha denominato diversamente atti che hanno
un contenuto corrispondente ad altri mezzi di prova: è una scelta legislativa, che fotografa la differenza tra atti
d’indagine e prove. Nel nostro sistema, che è tendenzialmente accusatorio, soltanto le prove assunte in dibattimento
o al limite nell’incidente probatorio, possono dirsi prove e assumono valore ai fini della decisione di merito,
laddove invece gli atti d’indagine, a formazione unilaterale (o li forma il pm o il pg o al limite il difensore), senza
instaurazione del contraddittorio, salve eccezioni. Sono atti la cui funzione è volta alle decisioni del pm nell’ambito
della fase investigativa: hanno valenza endofasica; al massimo valgono per i procedimenti speciali che vengono decisi
allo stato degli atti: solo qui assumono anche valore probatorio, altrimenti restano atti la cui funzione è quella di
aiutare il pm a scegliere cosa fare in ordine all’esercizio dell’azione penale. Per questi motivi la nomenclatura è tenuta
distinta dal legislatore.
Oltre agli atti menzionati, vi sono degli atti che rientrano nella pertinenza del pm, che sono mezzi di ricerca della
prova, che sono perquisizioni, ispezioni, sequestri e intercettazioni, e per queste ultime il potere del pm è solo il
diritto di chiedere l’autorizzazione ma è il gip che le dispone. Le ispezioni e perquisizioni possono essere disposti
direttamente dal pm perché le norme di riferimento evocano come soggetto che rientra nell’AG anche il pm. Il pm
può compiere anche l’interrogatorio dell’indagato o imputato, la cui disciplina sostanziale è la stessa già vista.
Artt.359 e 360: l’art.359 fa riferimento a rilievi e accertamenti come attività che può compiere il pm: la differenza
tra questi due tipi di operazioni attiene al contenuto. I rilievi sono attività di mera osservazione che non implica una
elaborazione critica, che invece caratterizza gli accertamenti. Nel compiere determinati accertamenti il pm può
avere la necessità di nominare consulenti: si parla quindi di accertamenti tecnici. I presupposti si ricavano
dall’art.220: l’accertamento tecnico richiede analisi che non rientrano nelle competenze del giudice sono tenuti a
nominare consulenti. Il pm può nominare consulenti quindi, che possono assistere allo svolgimenti di determinati atti
d’indagine, e questi non possono rifiutare la loro attività. È un accertamento di carattere ripetibile,
contrapponendosi all’art.360 che parla di accertamenti tecnici irripetibili. I primi sono quelli che vengono fatti in fase
d’indagine, perché il pm ne ha bisogno, ma possono essere ripetuti anche successivamente, quindi la valenza resta
limitata alla fase delle indagini. Questo fa sì che non siano richiesti particolari accorgimenti oppure una disciplina a
tutela dei soggetti, perché serve per le determinazioni del pm ma non è suscettibile di acquisire valore al di fuori delle
indagini.
Accertamenti tecnici irripetibili: sono quelli che o non possono essere rinviati (hanno ad oggetto cose o persone
che sono soggetti a modificazione): una volta compiuti saranno utilizzabili in dibattimento, proprio perché non
ripetibile in dibattimento, quindi c’è bisogno di cristallizzarlo. Sono anche quelli in cui è la stessa esecuzione
dell’accertamento che rende lo stesso non più ripetibile. Es: l’operazione stessa determina la modifica del suo oggetto.
Es: autopsia.
Proprio per le sue caratteristiche intrinseche, questo accertamento deve essere compiuto nel rispetto di determinate
garanzie, in primis bisogna assicurare l’intervento della difesa e quindi bisogna instaurare un contraddittorio, molto
particolare perché un contraddittorio tra le parti ma senza il giudice, gestito dal pm. Il pm quindi deve avvisare i
difensori delle parti della data e del luogo del conferimento dell’incarico al consulente. Il pm avvisa i difensori che il
giorno x conferirà l’incarico per compiere un accertamento al dottor Tizio e che i difensori sono invitati a partecipare
e che hanno diritto alla nomina di propri consulenti, formulare osservazioni e riserve. Questo contraddittorio è
importante perché i difensori se partecipano possono già arrivare al conferimento dell’incarico muniti di consulenti, e
possono formulare delle riserve già in sede di conferimento dell’incarico. La formulazione dei quesiti è molto
importante ai fini dell’accertamento che verrà poi compiuto. Le parti che intendono ampliare l’oggetto
dell’accertamento hanno questo potere perché in questa sede possono chiedere che l’oggetto dell’accertamento venga
scritto in un determinato modo. Es: spesso viene richiesto, nei procedimenti per usura bancaria (l’applicazione dei
tassi di interesse dipende da regolamenti interni della banca che vengono dettati dalle linee guida di Banca d’Italia),
delle consulenze per accertare se gli interessi sono di carattere usurario. Qui la formulazione del quesito è
fondamentale perché i risultati possono essere molto diversi: i metodi di calcolo degli interessi bancari sono differenti,
quindi i tassi escono in modo differenti. Quindi se il pm vuole applicare un dato metodo, la difesa può chiedere che se
ne utilizzi un altro. In questo esempio stride il fatto che non sia un accertamento tecnico irripetibile, però capita nella
prassi che la consulenza venga affidata in sede di accertamento irripetibile proprio per consentire il contraddittorio,
affinché l’accertamento risulti più completo.
È una disciplina obbligatoria se l’accertamento è intrinsecamente irripetibile, in altri casi viene per prassi utilizzato
non tanto per il carattere irripetibile dell’oggetto ma per la complessità dello stesso.
Inoltre, la difesa ha un altro diritto fondamentale che è il diritto di chiedere che l’accertamento si svolga nelle forme
dell’incidente probatorio: in questo caso si innesca la partecipazione del giudice. La difesa può chiedere che
l’accertamento sia fatto nelle forme più garantite dell’incidente probatorio (parentesi di contraddittorio nell’ambito
delle indagini). Per la difesa, che deve fare i conti con il risultato di prova, può richiederlo. L’accertamento, con
l’incidente probatorio, consente al consulente di essere sentito, come un vero e proprio interrogatorio, dovrà spiegare i
risultati della propria consulenza, e dovrà difendere i risultati a cui è giunto. Se la difesa formula la riserva di
incidente probatorio, il giudice è obbligato a subire questa richiesta, quindi il pm non può compiere l’accertamento
tecnico, a meno che vi siano esigenze di urgenza che non rendono possibile attendere i tempi dell’incidente
probatorio, altrimenti la prova potrebbe andare perduta. Se ricorre questa condizione il pm nonostante la richiesta
della difesa può comunque non prendere in considerazione questa richiesta e procedere all’accertamento tecnico. Se
questa condizione non ricorre ma il pm non si ferma i suoi risultati saranno inutilizzabili. Lì sarà onere della difesa
dimostrare che il pm ha svolto l’accertamento senza che ricorrano le condizioni di urgenza che lo avrebbero
legittimato a ricorrere in quel modo.
È stato aggiunto un comma nell’art.360, il comma 4-bis, con la riforma Orlando, proprio su questo punto: si tratta
della introduzione di un termine di 10gg, che la difesa deve rispettare per chiedere poi l’incidente probatorio, per
evitare i casi in cui a volte la difesa formulava questa riserva per perdere tempo ma poi non faceva richiesta di
instaurazione dell’incidente probatorio, quindi ora ha 10gg la difesa per instaurarlo, e se non lo fa la sua riserva perde
rilievo e il pm può procedere all’accertamento.

22. il prelievo coattivo di campioni biologici e le indagini genetiche


Nell’ambito degli accertamenti tecnici c’è anche la disciplina peculiare dell’art.359-bis, accertamenti tecnici di
prelievi di campioni biologici per l’estrazione del profilo del DNA o altri accertamenti medici. È coinvolto l’art.13,
ma anche un nucleo ancor più forte della libertà personale che è la libertà corporale. Il problema si pone quando
questi accertamenti devono essere compiuti senza il consenso dell’interessato. Oggi la disciplina si cerca in diverse
disposizioni del codice, l’art.224-bis si occupa della perizia biologica coattiva: disciplina gli accertamenti corporali
nell’ambito della perizia, quindi accertamento compiuto con fini probatorio. Art.349, comma 2-bis (introdotto nel
2005, nell’ambito di quella normativa antiterrorismo, per identificare soggetti che non forniscono le proprie generalità
e quindi bisogna ricorrere a questo tipo di accertamento. È meramente a fini identificativi): accertamenti compiuti a
meri fini identificativi da parte della pg. Art.359-bis: accertamenti corporali come atto d’indagine quindi ai fini delle
determinazioni del pm. A questo è stata aggiunta una disciplina per gli accertamenti compiuti in caso di omicidio
stradali o lesioni colpose stradali. In caso di rifiuto del soggetto di verificare il suo stato d’ebbrezza questo può essere
portato nell’ospedale più vicino affinché sia compiuto l’accertamento.
L’origine di questa disciplina, in particolare degli artt.359-bis e 224-bis, risale al 2009, a distanza della sentenza della
corte costituzionale del 1996, la numero 224, che aveva colpito l’art.220, comma 2, nell’ambito di un accertamento
peritale disposto in un procedimento di abuso della credulità popolare. L’articolo dichiarato incostituzionale era
quello che prevedeva che nell’ambito della perizia il giudice potesse compiere le operazioni necessarie ai fini
dell’accertamento peritale. Questa genericità aveva fatto sì che per fare l’accertamento era stato disposto un prelievo
di sangue, per capire a chi appartenesse il sangue della madonnina. I signori si opposero e fu disposto un
accertamento coattivo, utilizzando la norma che poi fu dichiarata incostituzionale. La difesa sosteneva che non vi
fosse una disciplina di copertura per fare questo accertamento e che dunque la forma fosse incostituzionale, e la corte
accoglie le teorie della difesa. Questa modalità atipica incideva sulla libertà personale e non si poteva procedere senza
una disciplina che prevedeva casi o modi, altrimenti si violava l’art.13 cost. Fino al 2009 non c’era rimedio a questo, e
la prassi giurisprudenziale si chiedeva se si potessero svolgere accertamenti o meno e con la l.85 del 2009 si è avuta
una disciplina che regolamentasse le ipotesi di accertamenti corporali sia nell’ambito dei mezzi di prova sia
nell’ambito delle indagini. La disposizione dichiarata incostituzionale è l’art.224, comma 2.

La l.85 del 2009 ha introdotto questa disciplina: la disciplina ricalca quell’art.224-bis. Affinché il pm possa procedere
ad accertamento corporale, se il soggetto non presta il consenso, sulla persona (chiunque nell’ambito di questi
accertamenti può essere sottoposto all’accertamento, non per forza l’imputato) il pm ha bisogno dell’autorizzazione
del giudice (perché siamo nell’ambito dell’art.13). Il pm chiede l’autorizzazione al gip che lo autorizza se ricorrono
determinati presupposti: che si proceda in relazione a determinati reati (non colposi, consumati o tentati, puniti con
l’ergastolo o con la pena superiore a 3 anni; per i reati colposi di omicidio stradale e lesioni colpose stradali). Questi
accertamenti devono essere necessari ai fini delle indagini. Nei casi d’urgenza, il pm può provvedere
autonomamente però entro 48h deve chiedere la convalida al giudice, il quale deve fornirla senza ritardo o
comunque entro le 48h successive. Che tipo di accertamenti si possono compiere? Si può rinviare all’art.224-bis, che
prevede come tipologia di accertamenti i prelievi di peli, capelli e saliva o accertamenti medici. Questa disciplina è
una disciplina che rispetta la riserva di giurisdizione e rispetta la riserva di legge, perché determina casi e modi. Un
profilo di debolezza è negli “accertamenti medici”, che è una locuzione un po’ generica, non si specifica nemmeno la
finalità, quindi cosa rientra nell’ambito degli accertamenti medici? Una radiografia, un prelievo ematico, tutti gli
esami diagnostici lo sono, ma si resta nel generico e in dottrina si sono avanzati dubbi sulla compatibilità di questa
disposizione nei confronti dell’art.13. la compatibilità la possiamo recuperare dopo, perché oltre a prevedere casi e
modi, prevede accortezze da rispettare nell’esecuzione: divieto di utilizzare tecniche che incidono sulla vita e
sull’integrità fisica della persona o nascituro (nel caso di accertamenti a donna incinta) o che comportino sofferenze
fisiche di un certo rilievo e nel rispetto della dignità e del pudore.
Nella scelta del tipo di accertamento da compiere bisogna rispettare un criterio di gradualità (l’invasività deve essere
minima, ma solo se necessario ricorrere ad accertamenti più invasivi). La norma prevede anche che le operazioni
vengano compiute nel rispetto della dignità e del pudore della persona sottoposta, a pena di nullità. Queste ultime
disposizioni valgono anche nel caso in cui il soggetto presta il consenso.
Per ciò che concerne i prelievi, cosa succede poi di questo campione biologico? Dal campione si deve estrapolare il
profilo di DNA, che è fatto da un consulente tecnico, un biologo genetista. Sul carattere ripetibile o meno c’è
contrasto dottrinale ma si tende a definirla come operazione ripetibile, perché il campione si conserva. Estratto il
profilo di Dna, solitamente questo profilo viene confrontato con quello estratto da alcuni reperti ritrovati sulla scena
del crimine. Può anche avvenire che il profilo di dna venga confrontato con dei reperti contenuti nella banca dati del
dna. La legge del 2009 aveva anche previsto la creazione di banche dati per la conservazione di reperti biologici e
profili già estratti di dna. Sono state rese attive nel 2016, e attualmente sono disciplinate queste banche dati. Anche
prima esistevano queste banche dati, ma erano situazioni non disciplinati, e la normativa oggi prevede quali reperti,
campioni e profili devono essere conservati e dispone anche i tempi di conservazioni (8 anni). Dei soggetti che
vengono sottoposti a misure cautelari o precautelari, i dna, nonché i reperti ritrovati nella scena del crimine,
vengono conservati, fino a che sia in atto il procedimento. Queste sono molto importanti nei crimini seriali perché si
possono trovare corrispondenze con profili già schedati. Il rischio è quello degli screening di massa; spesso avviene
che magari la gente si sottoponga spontaneamente ad accertamenti di questo tipo per escludersi subito da
coinvolgimenti delle indagini. Attualmente la disciplina offre delle garanzie sufficienti.

23 l’assunzione di informazioni e l’individuazione di persone e di cose


Art.362: prevede la possibilità per il PM di assumere informazioni dalle persone che possono riferire circostanze
utili ai fini delle indagini (c.d. persone che possono riferire circostanze utili). Si tratta di un atto di indagine
omologo alla testimonianza ma utilizzabile di regola ai soli fini previsti dall’art.326 e, in dibattimento, nei casi di
contestazione o di irripetibilità sopravvenuta.
Quando deve procedere ad atti che richiedono la presenza della persona offesa e delle persone in grado di riferire su
circostanze utili ai fini delle indagini, il PM la cita a comparire nelle forme dell’art.377 nello stesso modo
provvede alla citazione del consulente tecnico, dell’interprete e del custode delle cose sequestrate, attraverso un
decreto che contiene:
a) le generalità della persona;
b) il giorno, l'ora e il luogo della comparizione nonché l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi;
c) l'avvertimento che il pubblico ministero potrà disporre a norma dell'articolo 133 l'accompagnamento coattivo in
caso di mancata comparizione senza che sia stato addotto legittimo impedimento.
Anche qui, così come per le assunzioni di informazioni da parte della PG, si richiama sia la disciplina di garanzia
prevista per la testimonianza, sia la disciplina dei limiti imposti in funzione della tutela dell’attività difensiva, nonché
la disciplina di tutela dei soggetti deboli. Infatti alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto non possono
essere chieste informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date; si applicano le disposizioni degli artt. 197,
197bis, 198, 199, 200, 201, 202 e 203 (si applicano le norme stabilite in tema di incompatibilità a testimoniare, di
obblighi del testimone e di facoltà di costui di astenersi dal deporre); nei procedimenti per i delitti di cui all'art.351,1-
ter (reati di maltrattamento contro familiari e conviventi, sfruttamento sessuale di minori, riduzione in schiavitù, ecc),
il PM, quando deve assumere informazioni da persone minori, si avvale dell'ausilio di un esperto in psicologia o in
psichiatria infantile. Allo stesso modo provvede quando deve assumere sommarie informazioni da una persona offesa,
anche maggiorenne, in condizione di particolare vulnerabilità. In ogni caso assicura che la persona offesa
particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona
sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l'assoluta necessità per le
indagini.
La simmetria con la testimonianza dell’atto compiuto dal PM si spinge anche sul versante delle conseguenze che
raggiungono l’eventuale dichiarante renitente, reticente o mendace (profilo che, come abbiamo visto, interrompe la
medesima simmetria con l’atto di PG previsto dall’art.351) il soggetto che, in sede di assunzione di informazioni
davanti al PM rilascia dichiarazioni false, ovvero tace in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti su cui viene sentito
è punibile ai sensi dell’art.371-bis,1 cp. Un diverso trattamento riguarda però le due diverse condotte che configurano
quel reato, in punto di procedibilità: si prevede l’immediata procedibilità per il solo caso di rifiuto mentre il
procedimento per le false dichiarazioni resta sospeso fino a quando nel processo nel corso del quale sono state
assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente
definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere (371-bis,2). L’anomala ipotesi di sospensione si
spiega alla luce della considerazione che la valutazione della falsità delle dichiarazioni potrebbe essere sconfessata
dall’accertamento operato nel processo in cui le dichiarazioni sono rilasciate e inoltre dell’ulteriore circostanza che,
ove il soggetto ritrattasse non oltre la chiusura del dibattimento, non sarebbe punibile (376 cp) una sorta di
ravvedimento operoso. La regola concernente tale sospensione contempla tuttavia una deroga: prevede ora l’art. 384
cp che la sospensione non operi se i fatti di cui all’art. 371bis (la regola è estesa anche alle false informazioni al
difensore ex art. 371ter) sono commessi al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale
in relazione delitti di cui agli artt. 270, 270bis, 276, 280, 280bis, 283, 284, 285, 289bis, 304, 305, 306, 416bis, 416ter
e 422 o ai reati previsti dall’art. 2 l. 17/1982 (in materia di associazioni segrete vietate ex art. 18 Cost.), ovvero ai reati
concernenti il traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico e comunque in relazione ai reati
contemplati nell’art. 51,3bis.
Resta fermo, comunque, il divieto di arresto in flagranza ex art.381,4-bis garanzia che tende ad evitare il
pregiudizio all’autodeterminazione del potenziale testimone, il quale potrebbe essere intimidito dall’uso strumentale
della precautela.
Ai sensi dell’art. 363 il PM può interrogare le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art.
12, nonché le persone imputate di un reato collegato a quello per cui si procede, nel caso previsto dall'art. 371,2
lett.b., nelle forme previste dall'art.210 commi 2,3,4 e 6. L'interrogatorio di tali soggetti, si ritiene anche quando siano
ancora sottoposti ad indagine e non abbiano ancora assunto la veste di imputati, deve essere condotto dal PM nelle
forme previste dall'art.210 ciò significa che:
del dichiarante può essere disposto l'accompagnamento coattivo;
al dichiarante debba essere garantita l'assistenza di un difensore;
il dichiarante debba essere avvertito della facoltà di non rispondere alle domande nonché debba essere destinatario
dell’avviso di cui all’art. 64,3 lett c.
Altro istituto è quello disciplinato dall’art.361, ossia l’individuazione di persone o cose. In particolare, quando è
necessario per l’ immediata prosecuzione delle indagini, il PM procede alla individuazione di persone, di cose o di
quanto altro può essere oggetto di percezione sensoriale. Rispetto al suo omologo atto probatorio, ossia la
ricognizione, l’individuazione presenta forme più snelle in quanto funzionale alla sola prosecuzione delle indagini
(perplessità per le eventuali interferenze con la ricognizione) infatti il comma 2 dell’art.361 si limita a prevedere
che le persone, le cose e gli altri oggetti sono presentati ovvero sottoposti in immagine a chi deve eseguire l’
individuazione. È tuttavia fatto salvo il richiamo alla cautela prevista dall’art. 214,2 secondo cui se si ha fondata
ragione di ritenere che la persona chiamata alla individuazione possa subire intimidazione o altra influenza dalla
presenza di quella sottoposta a individuazione, il PM adotta le cautele previste dall'art. 214,2 quindi l’atto sarà
compiuto senza che i due soggetti possano vedersi. L’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica –
rappresentando una specie del più generale concetto di dichiarazione, è soggetta, alla stregua della deposizione
testimoniale, alle regole processuali che consentono l’utilizzabilità in dibattimento di dichiarazioni rese dalla
persona informata dei fatti nella fase delle indagini preliminari (le dichiarazioni di chi effettua l'individuazione
possono acquisire valore di prova sia ai fini dell'emanazione di misure cautelari, sia nell'ambito dei riti alternativi, sia
in fase dibattimentale nelle ipotesi ex artt.500 e 512).

24: l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini


Anche per il PM un'importante fonte cognitiva è l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, istituto che
può essere frutto dell'iniziativa dell'indagato o del magistrato inquirente. Tale interrogatorio, da esperirsi con le forma
disciplinate dagli artt.64 e 65, ha un doppio profilo funzionale: è sia una esplicazione di autodifesa dell’imputato, sia
un atto investigativo del PM. Proprio per tale ultimo profilo è il PM stesso a decidere se e quando compierlo
infatti un obbligo di sentire il soggetto che ne faccia richiesta è previsto solo in limine all’apertura del processo: a
seguito dell’avviso di conclusione delle indagini ex art.415bis,3, se l’indagato, avvertito delle facoltà che gli sono
riconosciute, fra cui quella di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad
interrogatorio, chieda di essere interrogato il PM deve procedervi.
Prima di quel momento, il soggetto nei cui confronti siano svolte le indagini può, tuttavia, presentarsi in ogni tempo al
PM per rilasciare dichiarazioni spontanee ex 374,1 chi ha notizia che nei suoi confronti siano svolte indagini, ha
facoltà di presentarsi al PM e di rilasciare dichiarazioni. Tale presentazione spontanea, in ogni caso, non
pregiudica l'applicazione di misure cautelari (374,3). Di fronte alla richiesta di essere sentito, proveniente dal
protagonista passivo delle sue indagini, al PM si offrirà un’alternativa: potrà limitarsi a raccogliere quando
l’indagato si dimostra interessato a comunicare, ovvero potrà contestare il fatto e convertire il colloquio in un atto
equivalente per ogni effetto all’interrogatorio (solo in questo caso le dichiarazioni possono essere utilizzate per le
contestazioni nel dibattimento ex art.503 co 5), che dovrà svolgersi con le forme degli artt.64 e 65 e con le garanzie
difensive dettate nell’art. 364 (374,2).
Se l'interrogatorio, invece, discende da una iniziativa del PM, questi deve inviarle un invito a presentarsi ex art.
375, eventualmente potendo disporne, su autorizzazione del giudice, l’accompagnamento coattivo ex 376. Il
pubblico ministero invita la persona sottoposta alle indagini a presentarsi.
L'invito a presentarsi (da inviarsi ogni caso in cui la presenza della persona sottoposta alle indagini sia necessaria per
il compimento di un atto di interrogatorio ma anche confronto, ispezione e individuazione) deve contenere:
a) le generalità o le altre indicazioni personali che valgono a identificare la persona sottoposta alle indagini; b) il
giorno, l'ora e il luogo della presentazione nonché l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi;
c) il tipo di atto per il quale l'invito è predisposto;
d) l'avvertimento che il PM potrà disporre a norma dell'art. 132 l'accompagnamento coattivo in caso di mancata
presentazione senza che sia stato addotto legittimo impedimento (375 commi 1 e 2). Quando la persona è chiamata a
rendere l'interrogatorio, l'invito contiene altresì la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a
quel momento compiute. L'invito può inoltre contenere, ai fini di quanto previsto dall'art.453,1, l'indicazione degli
elementi e delle fonti di prova e l'avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato (375,3).
L'invito a presentarsi è notificato almeno tre giorni prima di quello fissato per la comparizione, salvo che, per
ragioni di urgenza, il PM ritenga di abbreviare il termine, purché sia lasciato il tempo necessario per comparire
(375,4).

25. La documentazione degli atti della polizia giudiziaria e del pubblico ministero
Tutti gli atti d'indagine preliminare compiuti dalla PG e dal PM devono essere documentati.
Riguardo ai primi, di regola la PG procede ad annotazione secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini,
anche sommariamente, di tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova
(357,1). La PG (ufficiali e agenti) tuttavia procede alla redazione del verbale, nelle forme e con le modalità previste
dall'art. 373 (375,3), per una serie di atti, ossia: a) denunce, querele e istanze presentate oralmente; b) sommarie
informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; c)
informazioni assunte, a norma dell'art. 351(altre sommarie info); d) perquisizioni e sequestri; e) operazioni e
accertamenti previsti dagli artt. 349, 353 e 354; f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a
che il PM non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini (357,2).
La documentazione dell'attività di PG – insieme alle denunce, le istanze e le querele presentate per iscritto, i referti, il
corpo del reato e le cose pertinenti al reato – è posta a disposizione del PM e successivamente trova la sua
collocazione ordinaria nel fascicolo delle indagini (357 commi 4 e 5).
Con riguardo agli atti d’indagine del PM, alla loro documentazione si procede, di norma, soltanto mediante la
redazione del verbale in forma riassuntiva ovvero, quando si tratta di atti a contenuto semplice o di limitata
rilevanza, mediante le annotazioni ritenute necessarie (373,3).
Anche qui, tuttavia, si procede alla redazione di verbale, redatto secondo le modalità previste nel titolo III del libro II
per gli atti del giudice (373,2), per una serie di atti, ossia: a) delle denunce, querele e istanze di procedimento
presentate oralmente; b) degli interrogatori e dei confronti con la persona sottoposta alle indagini; c) delle ispezioni,
delle perquisizioni e dei sequestri; d) delle sommarie informazioni assunte a norma dell'art. 362 (assunzioni di info);
d-bis) dell'interrogatorio assunto a norma dell'art. 363; e) degli accertamenti tecnici compiuti a norma dell'articolo 360
(373,1).
Quanto alle modalità operative, gli atti sono documentati nel corso del loro compimento ovvero immediatamente
dopo quando ricorrono insuperabili circostanze, da indicarsi specificamente, che impediscono la documentazione
contestuale (373,4). L'atto contenente la notizia di reato e la documentazione relativa alle indagini sono conservati in
apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero assieme agli atti trasmessi dalla PG a norma dell'art. 357
(373,5). Alla redazione del verbale e delle annotazioni provvede l'ufficiale di PG o l'ausiliario che assiste il PM. Si
applica la disposizione dell'art. 142 (373,6) le cause di nullità del verbale: il verbale è nullo se vi è incertezza
assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto.

26. Le misure precautelari


Queste sono attività che il codice menziona tra le attività del pm ma di fatto, essendo collegate a motivi di urgenza
coloro che le eseguono di più sono gli agenti e ufficiali di pg.
Espressione di una deroga alla riserva di giurisdizione, tali provvedimenti – legittimi in quanto riconducibili ai
“casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge” ex art. 13 Cost. – si connotano per la
loro provvisorietà, essendo destinati a decadere se non convalidati attraverso una procedura assistita da rigide
cadenze temporali. Unica la procedura di convalida, per la quale competente solo giudice; essi sono distinti quanto
ai presupposti alla titolarità. L’ambito applicativo dei singoli strumenti è circoscritto rispetto a diverse fasce di
reati individuati, in parte, secondo un criterio qualitativo e, in parte, secondo un criterio quantitativo, a determinare il
quale valgono i criteri di computo della pena stabiliti dall’art. 278, in relazione all’applicazione delle misure
cautelari (379).
L’art. 385 detta poi una disciplina speculare a quella dell’art. 273,2, anticipando alle misure precautelari il divieto di
limitare la libertà personale in quei casi nei quali difetti un elemento essenziale per la punibilità. Il testo della
disposizione – applicabile anche all’art. 384-bis – si limita a prevedere che l’arresto o il fermo non sono consentiti
quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto “nell’adempimento di un
dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità” tuttavia
l’interpretazione sistematica conduce la dottrina ad allineare le due disposizioni, ritenendo precluso l’intervento
precautelare, ogniqualvolta sia interdetto quello cautelare. Deve ritenersi quindi illegittimo il provvedimento di
arresto, fermo o di allontanamento ex art.384-bis, eseguito in presenza di cause di giustificazione anche diverse da
quelle menzionate dalla previsione nonché di cause di estinzione del reato o della pena.

27. L’arresto in flagranza


Arresto in flagranza: ha due versioni:
1. 380: arresto obbligatorio: gli ufficiali e gli agenti di pg procedono all’arresto di chiunque è colto in
flagranza di un delitto non colposo consumato o tentato per il quale la legge stabilisce la pena all’ergastolo o
della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni o nel massimo a 20 anni. Il secondo comma parla di altri
reati (da non imparare) per i quali è comunque previsto l’arresto in flagranza anche se non rientra
nell’elencazione del comma 1 (leggi solo). Questi reati del comma 2 sono in continua evoluzione e narrano le
demagogie politiche circa una necessità di reprimere qualsiasi tipo di comportamento, tanto da inserirci
l’omicidio colposo stradale.
2. 381: arresto facoltativo. Gli ufficiali e gli agenti di pg hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in
flagranza di un delitto non colposo consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della
reclusione superiore a 3 anni o di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena non inferiore a 5
anni. Anche qui nel secondo comma vi è ampliamento di situazioni.
Se si tratta di delitto perseguibile a querela, l’arresto in flagranza può essere eseguito solo se la querela viene
proposta (può essere proposta anche oralmente; se l’avente diritto rimette la querela l’arrestato verrà posto
immediatamente in libertà).
Art.382: stato di flagranza. “è in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito
dopo il reato, è inseguito dalla pg, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce delle
quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima. Nel reato permanente lo stato di flagranza dura fino
a quando non è cessata la permanenza”. Se l’inseguimento dura un giorno si parla ancora di flagranza? Se non c’è
perdita di contatto sì. Nella seconda parte c’è una perdita di contatto, ma se c’è nesso la flagranza perdura.
In una legge speciale che riguarda il contrasto alla violenza nelle manifestazioni sportive si prevede una flagranza
differita (art.8 comma 1ter della l.401 del 1999), flagranza che occorre in qualche situazione di violenze, soprattutto
di partite di calcio. Qui il concetto di flagranza funziona sulla base di una video registrazione, che consente 48 ore di
tempo per assicurare la persona alla giustizia. La video registrazione è considerata alla stregua di un inseguimento.
Quindi esiste: 1) la flagranza propria, quando vi è contestualità tra la commissione del reato e l’intervento della
forza pubblica o dei privati; la flagranza impropria o quasi-flagranza nell’ipotesi di chi, subito dopo il reato è
inseguito dalla pg, dalla persona offesa o da altre persone, sia in quella di chi è sorpreso con cose o tracce dalle quali
appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima; la flagranza differita: nata per contrasto alla
violenza in manifestazioni sportive e poi ampliatasi a situazioni analoghe verificatesi anche al di fuori di
manifestazioni sportive compiute alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche.
In alcuni casi è previsto l’arresto anche fuori dai casi di flagranza: nel caso di evasione e ulteriori ipotesi
concernono le persone sottoposte a misure di prevenzione personale che commettano determinati reati o
contravvengano a obblighi inerenti alle misure e i cittadini stranieri o appartenenti a stati Ue che trasgrediscano
all’ordine di espulsione o allontanamento pronunciato dal giudice.
Art.383: facoltà di arresto da parte dei privati: “nei casi previsti dall’art.380 ogni persona è autorizzata a procedere
all’arresto in flagranza quando si tratti di delitti perseguibili d’ufficio. La persona che ha eseguito l’arresto deve
senza ritardo consegnare l’arrestato e le cose costituenti il corpo del reato alla pg la quale redige verbale della
consegna e ne rilascia copia”.

28: il fermo di indiziato di delitto


Art.384: fermo. Viene disposto al di fuori dei casi di flagranza. È una misura più delicata e viene disposta in prima
battuta dal pm: teoricamente spetterebbe solo al pm disporlo, previo assenso del procuratore della Repubblica, o di un
suo delegato, anche ove il soggetto si trovi in luogo posto al di fuori della competenza territoriale del giudice presso il
quale è incardinato. Solo nei casi d’urgenza può disporlo anche la pg, e in particolare solo prima che il pm abbia
assunto la direzione delle indagini o nelle particolari situazioni di urgenza delineate nell’art-384 comma 3:
a)qualora sia successivamente individuato l’indiziato;
b) quando sopravvengono specifici elementi, quali il possesso di documenti falsi, che rendano fondato il pericolo che
l’indiziato sia per darsi alla fuga e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del pm.
Ci sono degli aspetti più difficili anche sul piano giuridico. Mentre nella flagranza io ho una evidenza di un reato,
diverso è il discorso per il fermo perché i presupposti sono più difficili da afferrare sul piano fenomenico.
1. Ci deve essere pericolo di fuga per un fatto commesso qualche tempo prima, quando si ritiene che ci siano
gravi indizi su delitti di particolare gravità, delitti che presupporrebbero l’arresto in flagranza.
2. Che ci siano gravi indizi nei confronti della persona che deve essere fermata.
3. Delitti di una certa gravità.

29: l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare


Art.384-bis: allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. Viene evocato l’art.570 e anche il 571 del c.p., che
parlano della violazione degli obblighi di assistenza familiare e di abuso dei mezzi di correzione. Sono delitti per i
quali non sarebbe ammesso l’arresto in flagranza, ma viene ammessa la misura dell’allontanamento, che è a sua volta
una precautela perché prelude la misura cautelare che è l’allontanamento dalla casa familiare.
A livello procedurale è previsto che si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli artt. 385-391
(obblighi informativi e garanzie, cadenze temporali del procedimento di convalida e relativi esiti), nonché le
disposizioni di cui all'art. 381,3 qualora si intervenga per reati procedibili a querela (384bis,2).

30 il procedimento di convalida
dall’art.386 all’art.391 cpp (leggili tutti). Lezione orlandi p.16
Una volta eseguito l’arresto o il fermo, gli agenti egli ufficiali di PG sono tenuti ad operare contestualmente su un
duplice fronte, dovendo assicurare immediate garanzie al soggetto privato della libertà e compiere ogni atto
doveroso per il passaggio di consegne al PM, al quale spetta rivolgere al giudice le richieste conseguenti
all’esecuzione del provvedimento.
Art.386: gli ufficiali e gli agenti di PG che hanno eseguito l'arresto o il fermo o hanno avuto in consegna l'arrestato,
ne danno immediata notizia al PM del luogo ove l'arresto o il fermo è stato eseguito, ed altresì consegnano
all'arrestato o al fermato una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, se questi non conosce la
lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informano: a) della facoltà di nominare un
difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; b) del diritto di
ottenere informazioni in merito all'accusa; c) del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; d) del
diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; e) del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda l'arresto o il
fermo; f) del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; g) del diritto di accedere
all'assistenza medica di urgenza; h) del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria per la convalida entro
novantasei ore dall'avvenuto arresto o fermo; i) del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio
e di proporre ricorso per cassazione contro l'ordinanza che decide sulla convalida dell'arresto o del fermo. Qualora,
poi, tale comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'arrestato o al fermato,
le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo, comunicazione scritta
all'arrestato o al fermato (386,1-bis).
Art.387: la PG, con il consenso dell'arrestato o del fermato, deve senza ritardo dare notizia ai familiari
dell'avvenuto arresto o fermo. Inoltre, dell'avvenuto arresto o fermo gli ufficiali e gli agenti di PG devono informare
immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato dal PM ex
art.97 (386,2).
Assolti tali obblighi, gli ufficiali e gli agenti di PG devono porre l'arrestato o il fermato a disposizione del PM al più
presto e comunque non oltre 24 ore dall'arresto o dal fermo mediante la conduzione nella casa circondariale o
mandamentale del luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito, salvo quanto previsto dall'art.558 (386 commi 3
e 4). Il PM può disporre che l'arrestato o il fermato sia custodito, in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'art.284 o,
se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale o mandamentale (386,5)
Entro il medesimo termine deve essere trasmesso il relativo verbale, anche per via telematica, salvo che il PM
autorizzi una dilazione maggiore. Il verbale – che deve essere trasmesso ex 386,6 anche al PM che lo ha disposto, se
diverso da quello del luogo in cui è avvenuto – contiene l'eventuale nomina del difensore di fiducia, l'indicazione del
giorno, dell'ora e del luogo in cui l'arresto o il fermo è stato eseguito e l'enunciazione delle ragioni che lo hanno
determinato nonché la menzione dell'avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale fornita
ai sensi del comma 1-bis. Ex 386,7 l'arresto o il fermo diviene inefficace se non sono osservati gli adempimenti
previsti.
IL PM, entro 48 ore dall'arresto o dal fermo, qualora non ritenga che il soggetto debba essere immediatamente
scarcerato (art.389: “se risulta evidente che l’arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi
previsti dalla legge o se la misura dell’arresto o del fermo è divenuta inefficace ex art.386 comma 7 e 390 comma 3,
il pm dispone con decreto motivato che l’arrestato o il fermato sia posto immediatamente in libertà. La liberazione è
altresì disposta prima dell’intervento del pm dalla pg, che ne informa subito il pm del luogo dove l’arresto o il fermo è
stato eseguito”), richiede la convalida al GIP competente in relazione al luogo dove l'arresto o il fermo è stato
eseguito (390,1). Il gip ha a disposizione 96 ore (meno le ore impiegate da pm e pg).
La richiesta di convalida andrà comunque inoltrata, invece: quando non intenda chiedere una misura cautelare
personale, il PM deve disporre l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato ma, in questo caso, alla
liberazione dell’arrestato o del fermato deve fare seguito l’udienza di convalida. Questa volta in funzione di
garanzia, la giurisprudenza ritiene che il procedimento di convalida dell’arresto debba essere attivato in ogni caso,
poiché è sempre configurabile l’interesse all’accertamento giurisdizionale della legalità dell’arresto, essendo il
giudizio di convalida finalizzato alla verifica dei requisiti di legittimità dei provvedimenti sulla libertà personale,
adottabili dalla autorità di pubblica sicurezza solo nei casi eccezionali di necessità ed urgenza tassativamente indicati
dalla legge.
Nelle more della richiesta di convalida il PM, se lo reputi utile, può procedere all'interrogatorio dell'arrestato o del
fermato, dandone tempestivo avviso al difensore di fiducia ovvero, in mancanza, al difensore di ufficio (388,1).
Durante l'interrogatorio, osservate le forme previste dall'art.64, il PM informa l'arrestato o il fermato del fatto per cui
si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento comunicandogli inoltre gli elementi a suo carico e,
se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti (388,2).
Con la richiesta il PM trasmette al giudice il verbale di arresto o di fermo e copia della documentazione attestante che
l’arrestato o il fermato è stato tempestivamente condotto nel luogo di custodia; trasmette altresì il decreto di fermo
emesso a norma dell’art.384,1 (122 disp. att.). Il giudice fissa l'udienza di convalida al più presto e comunque entro
le 48 ore successive dandone avviso, senza ritardo, al PM e al difensore (390,2).
L’udienza di convalida si svolge nel luogo in cui l’arrestato o il fermato si trova custodito, salvo che nel caso di
custodia nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora. Tuttavia, quando sussistono eccezionali motivi di
necessità ed urgenza, il giudice con decreto motivato può disporre il trasferimento dell’arrestato o del fermato per la
comparizione davanti a sé (123 disp. att.).
Art.391: L'udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore
dell'arrestato o del fermato, il quale ha diritto di consultare ed estrarre copia dei documenti presentati per la convalida.
Se il difensore di fiducia o di ufficio non è stato reperito o non è comparso, il giudice provvede a norma dell'art.97,4.
Non è invece prevista come necessaria la presenza del PM, infatti ex 390.3-bis se non ritiene di comparire, trasmette
al giudice le sue richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi su cui le stesse si fondano; tuttavia se vi
compare indica i motivi dell’arresto o del fermo e illustra le richieste in ordine alla libertà personale (comma 3).
Dopo aver verificato, anche d'ufficio, che all'arrestato o al fermato sia stata data la comunicazione scritta di cui
all'art.386,1, o la comunicazione orale, e dopo aver provveduto, se del caso, a dare o a completare la comunicazione o
l'informazione (391,2), il giudice procede all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato, salvo che questi non abbia
potuto o si sia rifiutato di comparire; sente in ogni caso il suo difensore (391,3).
Il giudice, quando risulta che l'arresto o il fermo è stato legittimamente eseguito e sono stati osservati i termini
previsti dagli art. 386,3 e 390,1, provvede alla convalida con ordinanza, avverso la quale il PM e l'arrestato o il
fermato possono proporre ricorso per cassazione (391,4). In caso di mancata convalida, una decisione negativa
potrebbe preludere a conseguenze di natura disciplinare, nonché ad una eventuale riparazione per ingiusta
detenzione.
L'arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle 48 ore
successive al momento in cui l'arrestato o il fermato - a seguito della trasmissione della richiesta di convalida – è
stato posto a disposizione del giudice (391,7). Se il PM abbia richiesto l’applicazione di una misura cautelare
(abbiamo visto che può non ravvisarne la necessità) il giudice – in presenza delle condizioni di applicabilità previste
dall'art.273 e di almeno una delle esigenze cautelari previste dall'art 274 – dispone l'applicazione di una misura
coercitiva a norma dell'art.291 (391,5). Quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art.381,2,
ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dai casi di flagranza, l'applicazione della misura è
disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli art.274,1 lett. c e 280. Se non emette il provvedimento
restrittivo ex comma 5, il giudice dispone con ordinanza la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato (391,6).
Se pronunciate in udienza, le ordinanze conclusive dell’udienza di convalida sono comunicate al PM e notificate
all'arrestato o al fermato, se non comparsi; se non sono pronunciate in udienza, le medesime ordinanze sono
comunicate o notificate a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. I termini per l'impugnazione decorrono
dalla lettura del provvedimento in udienza ovvero dalla sua comunicazione o notificazione (391,7).

31. Il diritto di difesa nelle indagini: la conoscenza dell’accusa


L’articolo 111,3 cost. prevede che la legge debba assicurare che “la persona accusata di un reato sia, nel più breve
tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico”. Se, in linea
generale, la conoscenza dell’addebito è una premessa indefettibile per una risposta difensiva, la possibilità di
giocare proficuamente un ruolo attivo nella fase preliminare presuppone la tempestività dell’informazione. Tale
diritto dev’essere contemperato, tuttavia, con le esigenze di tutela dell’efficacia delle indagini, le quali potrebbero
essere pregiudicate dalla prematura conoscenza degli esiti delle stesse.
Per tale ultima ragione diversi istituti consentono che in alcune ipotesi l’intera fase di indagine possa svolgersi senza
che il diretto interessato ne sia a conoscenza: se le indagini terminano con l’archiviazione (sempre che al
provvedimento di archiviazione non si sia pervenuti a seguito di procedura camerale infatti se il GIP, d'ufficio o a
seguito di opposizione della persona offesa, fissa l'udienza in camera di consiglio, l'indagato viene a conoscenza del
procedimento a suo carico quando gli viene notificato l'avviso di fissazione dell'udienza camerale) il procedimento
può addirittura chiudersi senza che il soggetto indiziato venga mai a conoscenza di essere stato sottoposto ad indagini.
Nel caso in cui il PM, invece, si risolva ad esercitare l’azione penale, solo in limine rispetto alla fase processuale
(prima della scadenza del termine previsto dal comma 2 dell'art.405, anche se prorogato) vi è un preciso obbligo,
ineludibile a pena di nullità della seguente richiesta di rinvio a giudizio, di inviare un avviso della conclusione
delle indagini preliminari, da notificarsi alla persona sottoposta alle indagini e al difensore nonché, quando si
procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612bis cp, anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo,
alla persona offesa (415bis,1). Tale avviso contiene la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle
norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con l'avvertimento che la documentazione
relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l'indagato e il suo
difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia (415bis,2) cd. discovery degli atti investigativi.
[tale avviso deve essere inviato anche nel caso in cui in precedenza sia stata inviata l'informazione di garanzia o
l'indagato abbia avuto altrimenti conoscenza delle indagini a suo carico].
Come visto si tratta di una informazione tardiva, perché giunge proprio alla conclusione della fase preliminare,
quando il PM ha comunque già raccolto elementi sufficientemente significativi in chiave accusatoria per dare avvio al
processo. Tuttavia, essa assolve un ruolo decisivo consentendo all’indagato di instaurare un contraddittorio sulle
indagini prima che l’accusa sia formalizzata nella richiesta di rinvio a giudizio: reso edotto non solo della notizia di
reato ma dell’intera documentazione raccolta, può verificare e contraddire l’intero impianto accusatorio ma anche
lucrare un supplemento investigativo.
Infatti in questa prospettiva l'avviso contiene altresì l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di 20 gg,
di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore,
chiedere al PM il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di
essere sottoposto ad interrogatorio, e come già detto in precedenza, se l'indagato chiede di essere sottoposto ad
interrogatorio il PM deve procedervi (415bis,3). Nel caso in cui si chieda al PM il compimento di atti d’indagine
questo le dispone queste devono essere compiute entro 30 gg dalla presentazione della richiesta, prorogabili dal
GIP, su richiesta del PM, per una sola volta e per non più di 60 gg (4).
Prima di tale momento, la persona sottoposta alle indagini può avere conoscenza dell’esistenza di un procedimento a
suo carico in via solo eventuale: l’informazione potrà pervenirle o non pervenirle a seconda delle scelte di strategia
investigativa degli organi inquirenti.
Un ruolo centrale riveste l’istituto dell’informazione di garanzia (369): si tratta di un avviso che il PM invia (per
posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno salvo i casi ex 369,2), SOLO quando deve compiere un
atto al quale il difensore ha diritto di assistere (in questo modo si è inteso contenere nei limiti indispensabili il
pregiudizio all'immagine pubblica dell'indagato, anche se ciò riduce al minimo anche la portata garantistica
dell'istituto, alimentando dubbi di violazione dell'art.111 cost., il quale prevede che la persona accusata di un reato sia
informata nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell'accusa, per disporre del tempo necessario per
preparare la sua difesa), alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa. In questa informazione devono
essere indicati le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto e l’invito a esercitare la
facoltà di nominare un difensore di fiducia si noti che l’informazione di garanzia non illustra il fatto ma si
limita ad indicare gli estremi formali dell’addebito, sicché appare finalizzata più che a far conoscere l’accusa nei suoi
tratti sostanziali, a porre l’indagato in condizione di nominare un difensore di fiducia in grado di assistere all’atto di
indagine, in funzione del quale l’informazione è stata inviata. Tuttavia, il comma 1 bis dell’art.369 impone di
informare i medesimi destinatari anche del diritto alla comunicazione previsto dall’art.335,3: attivandosi con
un’apposita richiesta, la persona sottoposta alle indagini e il suo difensore potranno dunque conoscere ogni estremo
della notizia di reato, iscritto nell’apposito registro, con i limiti di cui si dirà tra breve.
Vi sono poi una serie di atti che, in quanto dotati dei medesimi requisiti informativi, tengono luogo
dell’informazione di garanzia, essendo dalla giurisprudenza considerati equipollenti alla stessa. Così: l’avviso che
il PM deve inviare nel caso in cui debba compiere un accertamento tecnico irripetibile (360) ovvero un interrogatorio
(375); del pari, lo stesso obbligo si ritiene assolto tramite la consegna dei decreti di perquisizione o di sequestro
all’imputato che sia presente e sia stato contestualmente invitato a nominare un difensore. A tal proposito, le SS.UU.
hanno, tuttavia, precisato che, ove la persona sottoposta alle indagini non abbia assistito all’atto, riemerge l’obbligo
del PM del tempestivo inoltro dell’informazione.
La notizia che si stanno svolgendo indagini a suo carico può poi pervenire all’indagato, che ne sia fino a quel
momento all’oscuro, nel corso di attività di indagine della PG che si svolgano in sua presenza (sommarie
informazioni; perquisizioni; accertamenti) ovvero in occasione di ulteriori atti che lo vedano come protagonista
passivo: così quando egli sia destinatario di un provvedimento cautelare o precautelare (293); o ancora quando si
debba svolgere un incidente probatorio richiesto dal PM (393) o vi sia una richiesta di proroga dei termini di
indagine (406,3)
È possibile infine che la conoscenza del procedimento derivi da una iniziativa del diretto interessato, il quale, per
attivarsi deve avere motivo di ritenere di essere sottoposto ad un procedimento presso un determinato ufficio
giudiziario (ovvero deve essere già destinatario di una informazione di garanzia, con il relativo avvertimento): l’art.
335,3 prevede infatti che l’iscrizione della notizia di reato e gli eventuali aggiornamenti della stessa di cui ai commi 1
e 2, siano comunicati alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne
facciano richiesta. La comunicazione è esclusa quando si procede per uno dei delitti di cui all'art. 407,2 lett.a.
In risposta alla richiesta dell’avente diritto, ogni qualvolta l’iscrizione non risulti o non possa essere comunicata, la
segreteria della procura della Repubblica risponderà con la formula: “non risultano iscrizioni suscettibili di essere
comunicate” (110bis disp.att.). Anche l’accesso a tale canale informativo, per giunta riconosciuto solo ad alcuni
imputati e negato ad altri, può subire restrizioni di carattere temporaneo: se sussistono specifiche esigenze attinenti
all’attività d’indagine, il PM, nel decidere sulla richiesta, può disporre, con decreto motivato, il segreto sulle
iscrizioni per un periodo non superiore a 3 mesi e non rinnovabile (335,3bis).
È stato aggiunto un comma 3-ter all’art.335 con la riforma Orlando, che dispone che “senza pregiudizio del segreto
investigativo, decorsi sei mesi dalla data di presentazione della denuncia, o dalla querela, la persona offesa dal reato
può chiedere di essere informata dall’autorità che ha in carico il procedimento circa lo stato del medesimo”.
Nonostante la volontà di ampliare i diritti delle vittime, la riforma non ha colpito nel segno in quanto il testo
normativo non sembra evocare una attuazione effettiva dei diritti della persona offesa. In particolare, non è specificato
quale sia il contenuto del dovere informativo gravante sul pm: non è chiaro cosa debba intendersi per stato del
procedimento, anche se potrebbe essere qualsiasi info sulle indagini e sulle determinazioni del pm. Non è previsto un
termine entro il quale il pm debba offrire un riscontro, né un diritto ad ottenere risposta; resta salvo, il segreto
investigativo.

32. la nomina del difensore e il ruolo della difesa tecnica


Il diritto alla difesa tecnica è irrinunciabile: se l’imputato non abbia già provveduto a nominare un difensore di
fiducia – e per il caso in cui non intenda procedervi – gli sarà nominato un difensore d’ufficio. Al riguardo una
particolare informativa è prevista dall’art. 369bis il quale dispone che al compimento del primo atto a cui il difensore
ha diritto di assistere e, comunque, prima dell'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi del combinato
disposto degli artt. 375,3, e 416, ovvero, al più tardi, contestualmente all'avviso della conclusione delle indagini
preliminari ai sensi dell'art. 415bis, il PM, a pena di nullità degli atti successivi, notifica alla persona sottoposta alle
indagini la comunicazione della nomina del difensore d'ufficio.
Tale comunicazione sul diritto di difesa deve contenere: a) l'informazione della obbligatorietà della difesa tecnica
nel processo penale, con l'indicazione della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle
indagini; b) il nominativo del difensore d'ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico; c) l'indicazione della facoltà
di nominare un difensore di fiducia con l'avvertimento che, in mancanza, l'indagato sarà assistito da quello
nominato d'ufficio; d) l'indicazione dell'obbligo di retribuire il difensore d'ufficio ove non sussistano le condizioni
per accedere al beneficio di cui alla lettera e, e l'avvertimento che, in caso di insolvenza, si procederà ad esecuzione
forzata; d-bis) l'informazione del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; e) l'indicazione delle
condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Il diritto alla difesa tecnica nel corso delle indagini preliminari si concretizza in 3 modi:
a) assistenza del difensore agli atti investigativi della PG e del PM il difensore è un comprimario della scena
investigativa pubblica a tutela dei diritti fondamentali della persona e della genuinità degli esiti probatori: ove la
legge lo preveda assiste al compimento degli atti di iniziativa altrui, presentando al PM “richieste, osservazioni e
riserve delle quali è fatta menzione nel verbale” (364,7). Non ha, nella stessa occasione, il potere però di indirizzare il
contributo del proprio assistito, né, comunque, gli è concesso influenzare i partecipanti: come ogni altra persona che
intervenga all’atto, gli è vietato fare segni di approvazione o disapprovazione (364,7).
c) presentazione di memorie o richieste al PM anche al di fuori delle ipotesi in cui la legge tipizza il suo
intervento, il difensore ha un generale potere di interlocuzione con il PMl’art. 367 prevede che nel corso delle
indagini “i difensori hanno facoltà di presentare memorie e richieste scritte al PM. Nessuna risposta sembra dovuta
al difensore richiedente, tuttavia in funzione specificativa, l’art. 368 stabilisce che il PM, non ritenendo di disporre il
sequestro richiesto dall’interessato, debba trasmettere la richiesta con il suo parere al GIP .
b) svolgimento di investigazioni difensive il difensore può compiere a sua volta una serie di atti investigativi per
la ricerca di elementi utili per la difesa del proprio assistito.

33: l'assistenza del difensore agli atti di indagine del PM e della PG


Con riguardo all'assistenza del difensore agli atti di indagine della PG e del PM la disciplina codicistica prevede un
triplice regime in correlazione alla potenziale proiezione dibattimentale delle conseguenti acquisizioni. La legge
processuale distingue tra atti a cui il difensore ha diritto di assistere essendo stato preavvisato del loro
compimento, atti a cui egli ha diritto di assistere senza essere stato preavvisato del loro compimento, e atti cui il
difensore non ha alcun diritto di assistere.
In primo luogo, il difensore ha facoltà di assistere all’atto con diritto di essere preavvertito, allorché la PG proceda
all’assunzione di sommarie informazioni dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ex art. 350 commi
1-4: in questo caso le sommarie informazioni sono assunte con la necessaria presenza del difensore, a pena di
nullità assoluta ex art 179,1. Nell’ambito dell’attività condotta dal PM, il diritto all’avviso è dovuto al difensore nel
caso di accertamenti tecnici urgenti, in relazione ai quali, il difensore deve essere avvisato senza ritardo dell’ora e
del luogo fissati per il conferimento dell’incarico della facoltà di nominare consulenti tecnici (360,1); ai sensi dell’art.
364, inoltre, allorché si debba procedere ad interrogatorio, ispezione o confronto al quale debba intervenire la
persona sottoposta alle indagini, il difensore deve essere avvisato con le cadenze temporali ivi previste. In linea di
principio, al difensore d’ufficio, o quello di fiducia in precedenza nominato, è dato avviso almeno 24 ore prima del
compimento degli atti di cui all’art. 364,1, nonché delle ispezioni a cui non deve partecipare la persona sottoposta alle
indagini. È prevista tuttavia una duplice deroga: nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere
che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il PM può procedere
all’interrogatorio, a ispezione o a confronto anche prima del termine fissato, dandone avviso al difensore senza ritardo
e comunque tempestivamente (364,5). L’avviso può essere invece del tutto omesso quando il PM procede a ispezione
e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce e gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati: anche in
questo caso, resta salva la facoltà del difensore di intervenire all’atto. Quando procede nei modi previsti dal comma 5,
il PM deve specificatamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell’avviso.
In secondo luogo, allorché si tratti di atti a sorpresa, la cui efficacia potrebbe essere posta a rischio ove se ne
fornisse una preventiva conoscenza, è prevista la facoltà del difensore di assistere all’atto senza diritto di essere
preavvisato. Tale ambito è regolato dagli art. 356 e 365 con riguardo rispettivamente agli atti della PG e del PM. Tra
gli atti ad iniziativa della PG vi rientrano le perquisizioni (352), gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e
sulle persone e i sequestri (354), nonché l’apertura immediata del plico di cui all’art. 353,2 (356). Quando procede
agli atti indicati nell’art. 356, la PG deve avvertire la persona sottoposta alle indagini della facoltà di farsi assistere dal
difensore di fiducia (114 disp. att.). Ove l’indagato non si avvalga di tale facoltà, in assenza di espliciti richiami
all’art. 97,3, la PG non ha nessun obbligo di affidare all'indagato un difensore d'ufficio e compie l'atto in assenza del
difensore.
Nell'ambito delle indagini condotte dal PM, il diritto all'assistenza senza preavviso è conferito al difensore per i soli
atti di perquisizione o sequestro. Nel corso dell'esecuzione di tali atti, il PM deve chiedere all'indagato se sia già
assistito da un difensore di fiducia e qualora ne sia privo dev’essere designato un difensore d'ufficio ex 97,3. Il
difensore, a questo punto, ha facoltà di assistere al compimento dell'atto, ferma la facoltà per l’indagato di farsi
assistere da persona di sua fiducia (365). In entrambi i casi finora illustrati, ove il difensore – legittimato ad assistere
con o senza preavviso – non si presenti, gli atti possono essere validamente compiuti, salvo la sua presenza sia
espressamente prevista dalla legge come necessaria come, ad esempio, avviene, per l'interrogatorio di garanzia o per il
prelievo coattivo di campioni biologici. Quindi, salvo tali ultimi casi, diritto di assistere e diritto di essere preavvisato
non equivalgono ad obbligatoria presenza del difensore.
In terzo luogo, la legge non prevede alcun diritto di assistere all'individuazione (361), all’assunzione di
informazioni da persone a conoscenza di notizie utili e al relativo confronto fra esse (362) all'interrogatorio di
persona imputata in un procedimento connesso (363): almeno per tabulas, i contenuti di quegli atti non sono
suscettibili di assumere valore probatorio in dibattimento, ma sappiamo, tuttavia, che essi possono finire per trapelare,
realizzandosene le condizioni, tramite gli istituti delle contestazioni e delle letture. E così può dirsi altresì per
l’assunzione di sommarie informazione ex art. 351,1bis che la PG può assumere con la presenza del difensore del
dichiarante, ma senza che la persona sottoposta a indagine sia assistita.
Il difensore che, avendone o non avendone facoltà, non abbia assistito all’atto può comunque accedere alla sua
documentazione subito dopo il suo compimento: salvo quanto previsto da specifiche disposizioni, i verbali degli atti
compiuti dal PM e dalla PG ai quali il difensore ha diritto di assistere, sono depositati entro 3 giorni dal
compimento nella segreteria del PM, dove restano per 5 gg a disposizione del difensore, che può esaminarli ed
estrarne copia. Costui, se non ha avuto avviso del compimento dell'atto, riceve immediatamente avviso del
deposito (366,1). In ogni caso il difensore ha anche facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si
trovano e, se si tratta di documenti, può estrarne copia.
Il PM, con decreto motivato, può disporre, per gravi motivi, che il deposito dei verbali e l'esercizio delle conseguenti
facoltà difensive siano ritardati per non oltre 30 giorni. Contro tale decreto può essere proposta, dalla persona
sottoposta alle indagine e dal suo difensore, opposizione al GIP, che provvede in camera di consiglio ex 127 (366,2).

34 : le investigazioni difensive
Un altro modo in cui si esplica l'attività difensiva nel corso delle indagini preliminari è rappresentata dall'attività di
indagine difensiva da parte del difensore dell'indagato. LA figura del difensore-investigatore è emersa nel nuovo
codice, il quale all'art.38 delle disp.att., oggi abrogato, consentiva ai difensori di svolgere investigazioni e di conferire
con le persone in grado di fornire informazioni, sia personalmente che a mezzo di sostituti, di consulenti tecnici e
anche di investigatori privati. Tuttavia, non era chiaro se questa attività doveva essere documentata e come, se fosse
esistito un dovere di collaborazione dei soggetti contattati dall’avvocato, se l’esito delle indagini avrebbe potuto
essere portato a conoscenza del giudice, e se gli atti del difensore erano atti del processo e, come tali, assoggettati alla
relativa disciplina. Su tale quadro normativo ha influito la modifica dell'art. 111 Cost. ad opera della l. cost. 2/1999 e
la l. 397/2000, che ha introdotto il titolo VI bis nel libro V del codice, rubricato “Investigazioni difensive” cha ha
prodotto una disciplina che rende l’attività del difensore equiparata a quella dell’organo dell’accusa. Alla luce di
dette innovazioni, ex 327bis il difensore, dal momento in cui riceve l'incarico professionale, con atto scritto, ha facoltà
di svolgere investigazioni, al fine di ricercare elementi di prova a favore del suo assistito. Tale mandato può essere
affidato in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione, Tali
attività investigative possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati
e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici.
Ovviamente tale equiparazione non vuol dire uguaglianza di finalità o di poteri. Con riguardo alle prime, l’organo
dell’accusa ha una finalità caratterizzata da oggettività mentre il difensore è orientato alla ricerca e alla individuazione
degli elementi di prova a favore del proprio assistito. Quanto ai secondi, dotato di minore autonomia, rispetto
all’organo dell’accusa, nel compimento di alcune attività – in particolare in quelle che, incidendo sui diritti altrui,
richiedano l’intervento dell’AG – egli è invece marcatamente più libero del primo con riguardo alle modalità di
svolgimento degli atti, a quelle di documentazione e alla possibilità di utilizzare gli elementi raccolti. Privo di poteri
coercitivi, il difensore dovrà ricorrere al giudice, o allo stesso organo di accusa, chiedendo che lo soccorrano di fronte
a fonti di prova renitenti (391bis commi 10 e 11) a PA resistenti (391quater,3); ovvero , si dovrà rivolgere al solo
giudice, quando si tratti di assicurare garanzie difensive a soggetti indiziati (391bis,4) od ottenere l’autorizzazione ad
ascoltare dichiaranti detenuti (391bis,7).

35: l'acquisizione di notizie dalle persone informate sui fatti


L'acquisizione di notizie da fonti dichiarative può avvenire con tre diverse modalità: il colloquio non documentato,
la richiesta e ricezione di una dichiarazione scritta documentata e l’assunzione di informazioni.
Al colloquio non documentato, il difensore ricorre per sondare l’attendibilità, la pertinenza e la rilevanza delle
conoscenze in possesso della persona contattata, ai fini della ricostruzione dei fatti è una interlocuzione informale
– cui sono legittimati anche il sostituto, gli investigatori privati autorizzati (222 disp.att.) e i consulenti tecnici – i
cui contenuti non possono acquisire valore probatorio.
Le altre due modalità, le quali sono riservate al difensore e al suo sostituto (391bis,2), essendo dotate di potenziale
valore probatorio, devono essere documentate ai sensi dell’art. 391ter e sono presidiate da una sanzione di
inutilizzabilità per la mancata osservazione delle modalità di svolgimento (391bis,6). In particolare, ove il difensore
ritenga di voler utilizzare le informazioni provenienti dalla persona con la quale conferisce, il colloquio dovrà essere
documentato attraverso le forme ordinarie di documentazione degli atti previste dagli artt. 134-142, in quanto
applicabili (391ter,3). Alla documentazione procede lo stesso difensore o un suo sostituto i quali possono avvalersi
per la materiale redazione del verbale di persona di loro fiducia (391ter).
Il difensore o il suo sostituto possono altresì chiedere alla persona informata sui fatti di rilasciare dichiarazione
scritta sulle circostanze utili di cui è a conoscenza. In tal caso la dichiarazione, sottoscritta dal dichiarante deve
essere autenticata dal difensore o da un suo sostituto ed allegata ad una relazione da lui stesso redatta nella quale
sono riportati: a) la data in cui ha ricevuto la dichiarazione; b) le proprie generalità e quelle della persona che ha
rilasciato la dichiarazione; c) l'attestazione di avere rivolto gli avvertimenti previsti dal comma 3 dell'art. 391bis; d) i
fatti sui quali verte la dichiarazione (391ter commi 1 e 2).
Tutte e tre queste forme di acquisizione di notizie utili per l’indagine da persone che ne siano a conoscenza devono
essere precedute dal composito elenco di avvertimenti di cui al comma 3 dell’art. 391bis, a pena di inutilizzabilità e
salve le conseguenze disciplinari (391bis,6). In particolare il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati
o i consulenti tecnici avvertono le persone indicate nel comma 1: a) della propria qualità e dello scopo del colloquio;
b) se intendono semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal
caso, le modalità e la forma di documentazione; c) dell'obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate
nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o
di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla PG o dal PM e le
risposte date; f) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione.
Quanto ai soggetti con i quali i difensori e i suoi ausiliari possono conferire, si tratta di ogni persona in grado di
riferire notizie utili. Al riguardo, espressamente richiamata, la disciplina delle incompatibilità a testimoniare ex
197,1 lett. c-d (391bis,1) interdice alla difesa di interloquire con i soggetti ivi considerati: il responsabile civile e la
persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria (lett. c); coloro che nel medesimo procedimento svolgono o
hanno svolto la funzione di giudice, di PM o loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di
investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni
assunte ai sensi dell’art. 391 ter (lett. d). Non si applica il disposto delle lettere a-b dello stesso art. 197: il difensore
può quindi acquisire informazioni da persona sottoposta alle indagini o imputata nello stesso procedimento, in un
procedimento connesso o per un reato collegato a quello del proprio assistito (391bis,5): in tal caso occorre (a
pena di inutilizzabilità e con le ulteriori conseguenze disciplinari ex 391bis,6) che egli ne dia avviso, almeno 24 ore
prima, al difensore di fiducia della persona, la cui presenza è necessaria. Se la persona è priva di difensore, il
giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difensore di ufficio ai sensi
dell'art. 97.
L’intervento del giudice è altresì necessario quando debba essere sentita una persona detenuta il difensore deve
munirsi di specifica autorizzazione dell’AG competente (se indagato, GIP; se imputato, giudice procedente; se
esecuzione di pena, magistrato di sorveglianza) che l’assume senza formalità ex 125,6, sentiti il suo difensore ed il
PM (391bis,7). Premesso che all'assunzione di informazioni non possono assistere la persona sottoposta alle
indagini, la persona offesa e le altre parti private (391bis,8) per evitare che il dichiarante possa subire indebite
influenze, sono previste delle apposite garanzie omologhe a quelle dettate con riguardo alla PG e al PM.
In primo luogo, si prevede che nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 351,1ter, il difensore, quando
assume informazioni da persone minori, si avvalga dell'ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile
(391bis,5). In secondo luogo, sulla falsariga dell’art. 63,1, l’art. 391bis,9 tutela il soggetto che rilascia dichiarazioni
auto-indizianti: qualora il dichiarante renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico, il
difensore o il sostituto interrompono l'assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della
persona non sottoposta ad indagini, e le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le
ha rese. Infine, il comma 4 dell’art. 391bis preclude al difensore e a chi lo affianchi nelle indagini, di richiedere alle
persone già sentite dalla PG o dal PM, notizie sulle domande formulate o sulle risposte date.
Per evitare, poi, che le indagini vengano pregiudicate da notizie che appare opportuno non siano divulgate l’art.
391quinquies prevede un potere di segregazione del PM se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di
indagine, il PM può, con decreto motivato, vietare alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto
dell'indagine di cui hanno conoscenza. Il divieto non può avere una durata superiore a 2 mesi. Il PM, inoltre, nel
comunicare tale divieto alle persone che hanno rilasciato le dichiarazioni, le avverte delle responsabilità penali
conseguenti all'indebita rivelazione delle notizie l’art. 379bis cp punisce con la pena della reclusione fino a 1 anno.
La persona informata sui fatti, se accetta di rendere dichiarazioni, è obbligata a dire la verità, come davanti al PM e
al giudice, e risponde penalmente dell'eventuale falsità ex371ter cp - “false dichiarazioni al difensore”. In alternativa,
la persona informata sui fatti (che deve essere avvertita al riguardo) può avvalersi della facoltà di non rispondere o
rendere dichiarazioni al difensore.
In tal caso, il difensore ha due possibilità, di cui la prima consiste nel chiedere al PM di disporre l'audizione della
persona informata sui fatti renitente, sempre che non si tratti di persone sottoposte a indagini nello stesso o in altro
procedimento nelle ipotesi previste dall’articolo 210 (391bis,10). L’audizione tramuta l’atto del difensore in un atto
del PM: essa si svolgerà alla presenza del difensore a cui per primo è concesso formulare le domande, con le forme
previste dall’articolo 362 per l’assunzione di informazioni davanti all’organo di accusa. Compiuto con queste forme,
l’atto confluirà nel fascicolo del PM, restando inderogabilmente inserito nel materiale probatorio: il difensore,
scegliendo questa via, otterrà la dichiarazione ma perderà la discrezionalità di non ostendere l’atto che non sia
favorevole alla propria strategia difensiva.
In alternativa a tale audizione – o allorché si tratti di persona sottoposta a indagini o imputata in altro procedimento ex
210 - il difensore (si ritiene sia quello della persona sottoposta a indagini sia quello della persona offesa) può chiedere
che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza o all'esame della persona che abbia
esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 392,1
(391bis,11).

36 la richiesta di documenti alla pubblica amministrazione e l’accesso ai luoghi


Le investigazioni difensive possono tendere anche ad acquisire elementi probatori di carattere reale. In primo
luogo l’articolo 391quater attribuisce ai fini delle indagini difensive (non è previsto uno specifico obbligo di
esplicitazione delle finalità perseguite tuttavia è lecito ritenere che il difensore debba indicare le circostanze che
rendono il documento rilevante ai fini dell’attività investigativa in quanto la consegna del documento non è un atto
dovuto dato che la PA può rifiutare l’accesso agli atti) al difensore (unico soggetto legittimato) la possibilità di
rivolgersi alla PA (si ritiene per iscritto) per prendere visione o acquisire copia, a sue spese, di documenti formati o
detenuti stabilmente dall’amministrazione stessa.
Nel caso in cui la PA abbia rifiutato, differito, limitato l’accesso ai documenti, o in caso di mancata risposta nel
termine di 30 gg dalla presentazione della richiesta, si prevede l’applicabilità degli art. 367 368: il difensore non
potrà rivolgersi direttamente al giudice, ma ha la possibilità di sollecitare il PM attraverso una richieste scritta ex art.
367 con cui il difensore potrà prospettare al PM la necessità di un provvedimento finalizzato al raggiungimento dello
scopo. Qualora il PM, però, non intenda dar corso alla richiesta, dovrà trasmettere la richiesta stessa, insieme ad un
suo parere, al GIP, il quale dovrà valutare se la richiesta sia fondata e se il mancato accoglimento da parte del PM
possa pregiudicare la difesa; tale valutazione verrà svolta in assenza del contraddittorio tra le parti secondo lo schema
procedurale previsto dall’art. 368.
In base a quanto previsto dagli articoli 391sexies e 391septies, il difensore, il sostituto e i suoi ausiliari possono
effettuare anche un accesso ai luoghi: tale facoltà, (una volta riservata solo al PM e alla PG) consente di osservare
direttamente l’ambiente in cui si sono svolti i fatti. Più precisamente il difensore, il sostituto e gli ausiliari (in
assenza di espliciti divieti si ritiene legittimato a partecipare anche la persona imputata o sottoposta alle indagini) una
volta effettuato l’accesso hanno la facoltà di prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose che potrebbero
risultare rilevanti ai fini delle indagini difensive, e procedere alla loro descrizione, anche servendosi di ogni mezzo
tecnologico per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi (391sexies,1). Tale attività è
un’attività meramente ricognitiva e non può causare modificazioni dello stato delle cose poiché non deve interferire
con l’attività degli organi dell’accusa.
Una specifica disciplina è dedicata all’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico e ai luoghi adibiti a privata
abitazione e alle relative pertinenze dall’art. 391septies. Per poter accedere ai luoghi privati o non aperti al pubblico al
fine di svolgere le attività indicate all’art. 391sexies, i soggetti della difesa devono ottenere il consenso del soggetto
che ha la disponibilità della cosa o del luogo. Ove tale consenso difetti, l’accesso deve essere autorizzato dal
giudice, su richiesta del difensore, con decreto motivato che ne specifichi le concrete modalità (391septies,1) in
presenza di tale autorizzazione la persona che ha la disponibilità del luogo non potrà impedire l’accesso al difensore e
ai suoi ausiliari, in base a quanto stabilito dall’art. 650 c.p.
Inoltre, la persona che ha la disponibilità del luogo, qualora sia presente al momento dell’accesso, deve essere
informata della possibilità di farsi assistere da una persona di fiducia, prontamente reperibile ai sensi dell’art.
120. È inoltre previsto che i soggetti della difesa debbano anche avvertire la persona che ha la disponibilità del luogo
della propria qualità, della natura dell’atto da compiere e della possibilità che, nel caso in cui non sia prestato il
consenso, l’atto sia autorizzato dal giudice tali avvertimenti devono essere documentati almeno mediante
annotazione. Ai sensi dell’art. 391septies,3, per eseguire i rilievi di cui all’art. precedente, i soggetti della difesa
potranno accedere ai luoghi di abitazione e alle loro pertinenze. In assenza del consenso del soggetto privato che ha la
disponibilità del bene, l’autorizzazione del giudice sarà concessa solo nel caso in cui vi sia la necessità di accertare le
tracce e gli altri effetti materiali del reato ossia i segni esteriori lasciati dalla condotta delittuosa, i quali potrebbero
avere un peso concludente nella valutazione del quadro indiziario.
L’art. 391sexies,1, prevede che il difensore, il sostituto e i loro ausiliari possano redigere il verbale, nel quale sono
riportati la data e il luogo dell’accesso, le proprie generalità e quelle delle persone intervenute, la descrizione dello
stato dei luoghi e delle cose e l’indicazione degli eventuali rilievi eseguiti, che costituiscono parte integrante dell’atto
e sono allegati ad esso. Tale atto, che deve essere sottoscritto dall’autore e dalle persone intervenute, non costituisce
adempimento obbligatorio rappresenta un onere per il difensore che intenda utilizzare i risultati dell’indagine in
chiave probatoria nel procedimento (391 decies,2).

37: gli atti irripetibili


Ex 391decies si ricava che in occasione dell'accesso ai luoghi, il difensore ed i suoi collaboratori possono compiere
anche rilievi irripetibili: si tratta di atti ricognitivi che non comportano un’attività invasiva o valutazioni proprie
degli accertamenti tecnici e che hanno ad oggetto cose o luoghi soggetti a modificazioni, i quali devono essere svolti
tempestivamente, al fine di evitare la dispersione degli elementi di prova. Il riscontro testuale, in tal senso, lo si
rinviene nell’art. 391decies,2 che disciplina l’utilizzabilità di quegli atti: fuori dei casi in cui è applicabile l’art. 234
(in tema di prova documentale), la relativa documentazione, presentata nel corso delle indagini preliminari o
nell’udienza preliminare, è inserita nel fascicolo del dibattimento. Il PM, in base a quanto stabilito dall’art.
391decies,3 secondo periodo, ha la possibilità di assistere al compimento di tali atti personalmente o per mezzo di una
delega alla PG (la legge non dice se debba esserne preavvertito); in tal caso, il verbale sarà inserito nel fascicolo del
difensore e in quello del PM e confluirà, in seguito, nel fascicolo del dibattimento (391decies,4), seguendo lo stesso
percorso del verbale degli accertamenti tecnici non ripetibili (391decies,3), di cui sotto.
Anche in occasioni diverse dall’accesso ai luoghi, il difensore può inoltre svolgere accertamenti tecnici ripetibili e
non lo si ricava dall’art. 327bis,3 che consente al difensore di avvalersi dell’aiuto di consulenti tecnici nel caso in
cui sia necessario svolgere attività investigative che richiedano particolari conoscenze di tipo tecnico, e dall’art.
391decies,3 che si riferisce agli accertamenti tecnici irripetibili, per disciplinarne procedura e valore probatorio,
ancora una volta sulla falsariga del corrispondente atto del PM.
L’art. 391decies,3 prevede, infatti, che il difensore, nel caso in cui decida di svolgere accertamenti tecnici irripetibili,
debba darne avviso, senza ritardo al PM per l’esercizio delle facoltà previste, in quanto compatibili, dall’art. 360. Per
tale via, il PM diviene destinatario di garanzie analoghe a quelle attribuite al difensore, in caso di accertamenti tecnici
irripetibili compiuti dalla parte pubblica saranno ad esempio compatibili e quindi applicabili al PM le disposizioni
inerenti al diritto di partecipare al conferimento dell’incarico e agli accertamenti, nonché il potere di formulare riserva
di incidente probatorio.
Il tenore letterale della disposizione sembra escludere che l’avviso sia dovuto anche alla persona offesa, tuttavia
l’art. 15 delle Regole di comportamento del penalista prevede che nel caso in cui si proceda ad accertamenti tecnici
irripetibili il difensore o il suo sostituto debbano dare avviso senza ritardo “a tutti coloro nei confronti dei quali l’atto
può avere effetto e dei quali si abbia conoscenza”. Si noti però che trattandosi di una regola di tipo deontologico,
l’eventuale omissione non riceverebbe alcuna sanzione.

38 : il valore probatorio delle investigazioni difensive


Come più volte detto le riforme degli ultimi decenni hanno cercato una parificazione la figura del difensore a quella
del PM, parificazione avente il suo nodo più intimo nell’equiparazione del valore probatorio degli elementi
scaturiti dalla relativa attività. Un ruolo centrale è rivestito dalla previsione di un fascicolo del difensore, funzionale a
raccogliere la documentazione degli atti compiuti, quale preludio ad una successiva utilizzabilità del materiale che vi
è conferito. Formato e conservato presso l’ufficio del GIP (391octies,3 primo periodo), esso è, di regola, “riservato”:
il PM non ha la possibilità di prendere visione del fascicolo del difensore in ogni momento delle indagini, ma solo
quando debba essere adottata una decisione su richiesta delle parti o con il loro intervento (391octies,3 secondo
periodo); nessuna previsione riguarda poi la possibilità di accesso per le altre parti private. Dopo la chiusura delle
stesse indagini, è inserito nel fascicolo del PM di cui all’art. 433 (391octies,3 terzo periodo), dove giace senza
perdere la sua autonomia, offrendo, se del caso, i propri contributi alla dialettica dibattimentale, nelle ipotesi è nelle
forme consentite. Si vedranno poi le modalità attraverso le quali quegli elementi trovano ampia utilizzazione, tanto
nella fase preliminare, quanto nell’udienza preliminare, anche quale sede dei riti speciali, e in dibattimento.
Tendenzialmente omogenei gli usi probatori degli atti in essi contenuti, i fascicoli rispettivamente previsti nell’art.
373,5 e nell’art. 391octies,3 si differenziano quanto ai rispettivi criteri di formazione: nel primo, sarà inserito ogni
atto compiuto; nel secondo, il difensore inserirà solo quanto vorrà sarà infatti libero di decidere, se, come e in quale
fase dell’arco procedimentale offrire i risultati investigativi alla conoscenza del giudice e della controparte; può
celarli, allorché siano inutili o controproducenti per la linea difensiva adottata. Ove voglia servirsene, avrà l’onere di
presentarli al giudice o al PM, con le forme previste dalla legge, ben sapendo, tuttavia, che una volta introdotto nel
procedimento, l’elemento conoscitivo cessa di essere nell’esclusiva disponibilità del soggetto privato per entrare a far
parte del materiale cognitivo del procedimento penale, svincolandosi, così, anche dallo scopo per il quale l’atto
investigativo era stato svolto.
L’art. 391octies,3 prevede che la documentazione dell’attività investigativa difensiva, presentata al giudice durante le
indagini preliminari o durante l’udienza preliminare ai sensi dei commi precedenti del medesimo articolo, debba
essere inserita nel fascicolo del difensore in originale, o in copia se il difensore ne richiede la restituzione. La
discrezionalità del difensore, nel produrre e nel selezionare il materiale da immettere nel procedimento, ha tuttavia un
limite, infatti questi non può spingersi ad un infedele verbalizzazione, per tacere le circostanze a carico dell’imputato,
né del pari, dopo aver verbalizzato integralmente, presentare soltanto parti di atti, per oscurare informazioni
sfavorevoli risponderebbe dei reati di falso ideologico in atto pubblico e di favoreggiamento atteso che le SS.UU.
qualificano come pubblico ufficiale il difensore che raccoglie informazioni ex 391bis e i verbali sono atti pubblici.
La disciplina che regola il valore probatorio dei verbali del difensore è contenuta nell’art. 391octies, con riguardo ai
relativi impieghi nella fase che precede il dibattimento, e dell’art. 391decies con riguardo al dibattimento. Il difensore
ha un’ampia possibilità di servirsi del materiale cognitivo raccolto, a partire dalle indagini preliminari, nelle quali
l’ostensione probatoria delinea, anzitutto, un dialogo tra difensore giudice. A quest’ultimo, possono essere
presentati elementi utili in funzione di una decisione che debba essere adottata con l’intervento della parte privata.
Ma il difensore può porre a disposizione del giudice ogni risultanza probatoria che ritenga utile, in via preventiva, per
il caso che siano adottate decisioni inaudita parte, come tipicamente sono quelle su materia cautelare.
L’art. 391octies,4 prospetta altresì un dialogo tra le parti, prevedendo che il difensore possa presentare gli elementi
di prova raccolti, direttamente al PM in modo da incidere a monte sulle opzioni di colui al quale è rimessa ogni
iniziativa per l’impulso processuale e per le decisioni giurisdizionali coercitive e interlocutorie. Secondo quanto
previsto dall’articolo 391octies,1, il difensore ha anche la possibilità di far pervenire gli elementi di prova raccolti al
giudice dell’udienza preliminare: prima dell’inizio della discussione (419,3 e 421,3), potranno essere presentati i
risultati ottenuti durante la fase delle indagini, ma non depositati in precedenza, ovvero i risultati dell’attività di
indagine suppletiva (419,3), svolte in seguito alla chiusura delle indagini preliminari. Si vedrà come quegli stessi
elementi andranno a rinsaldare una piattaforma cognitiva, sulla scorta della quale il GIP è chiamato a decidere delle
sorti del processo. Ove poi l’udienza preliminare rappresenti la scena per lo svolgimento di un rito speciale, tale
documentazione risulta utilizzabile, in quella sede, anche per il giudizio: così in caso di applicazione della pena su
richiesta delle parti (444 ss), di giudizio abbreviato (438 ss) e di sospensione del processo con messa alla prova
(464bis ss).
L’utilizzabilità degli elementi dell’investigazione difensiva nel giudizio abbreviato è tuttavia controversa: ove si
concordi che il contraddittorio, in quanto metodo di conoscenza, possa essere derogato solo ove le parti prestino
acquiescenza rispetto ad una diversa modalità di accertamento, non dovrebbe ritenersi ammesso che sia la stessa
parte che ha formato unilateralmente gli elementi di prova a poter consentire l’utilizzabilità degli stessi, al di
fuori del metodo dialettico. Questo è invece quanto avviene con riguardo al giudizio abbreviato, anche con l’avvallo
della Corte Cost. che vede il contraddittorio solo come garanzia disponibile dell’imputato: introdotto da una richiesta
dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti, con la prospettiva di un beneficio premiale in termini di
riduzione della pena, il rito viene ammesso sulla scorta di un vaglio solo formale da parte del giudice e senza che il
PM abbia un potere di veto. Ove l’imputato si sia avvalso della facoltà di depositare i risultati delle proprie
investigazioni difensive, egli realizza, con la sola richiesta di accesso al rito, una trasformazione dei propri elementi
di indagine, in prove utilizzabili dal giudice; le cadenze del rito escluderebbero inoltre la prova contraria in capo al
PM. Nonostante ciò, la corte costituzionale, facendo leva su un’interpretazione del contraddittorio come garanzia
disponibile all’imputato, ha escluso che la disciplina sia suscettibile di censura (sentenza n.184 del 2009). In questa
sede il legislatore è intervenuto attraverso la riscrittura dell’art.438 comma 4, la l.103 del 2017 (riforma Orlando),
rimodulando le prerogative delle parti dinanzi alla richiesta di giudizio abbreviato immediatamente successiva al
deposito delle investigazioni difensive. Un breve termine – non superiore a 60gg – spetta al pm per svolgere indagini
suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa; mentre all’imputato viene consentito un inedito discessus,
essendogli attribuita la facoltà di revocare la richiesta di giudizio abbreviato.
Complementare rispetto all’art.391octies, relativo al valore probatorio delle indagini delle parti private nella fase
preliminare e nell’udienza preliminare, l’art. 391decies regola invece il regime di impiego in fase dibattimentale
degli elementi raccolti dal difensore nella sua attività investigativa e sembra confermare l’intento del legislatore di
attuare una simmetria tra le indagini svolte dal PM o dalla PG e quelle svolte dai soggetti della difesa anche sul piano
dell’utilizzabilità. L’art. 391decies,1 in particolare prevede che le dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore
possano essere impiegate dalle parti per le contestazioni e per le letture, in tutti i casi in cui ciò è consentito in
relazione alle indagini preliminari svolte dall’accusa, secondo quanto stabilito dagli artt. 500, 512 e 513. Si è già
visto, infine, che gli atti irripetibili, compiuti in occasione dell’accesso ai luoghi ed immessi nel procedimento, sono
destinati a confluire, al pari di quelli compiuti dal PM e dalla PG, nel fascicolo per il dibattimento (391decies,2 e
431,1 lett.c). La stessa sorte riguarda gli esiti degli accertamenti tecnici non ripetibili di cui all’art. 391decies,3.
Un doppio regime connota tuttavia il percorso intermedio dei relativi verbali. In ogni caso, se si tratta di accertamenti,
ovvero solo ove il PM vi abbia assistito, se si tratti di altri atti, prima di accedere alla destinazione finale (fascicolo
del dibattimento), in base a quanto previsto dall’art. 431,1 lett. c essi sono inseriti nel fascicolo del difensore ed in
quello del PM (391decies,4). Questa duplice custodia consente che tali atti, per la loro rilevanza, restino a
disposizione anche dell’organo di accusa, il quale in assenza della detta puntualizzazione normativa, non avendo
libero accesso al fascicolo difensivo, non potrebbe disporne al momento di sciogliere l’alternativa che lo attende nella
fase conclusiva delle indagini.
39. L’intervento del giudice per la prova: incidente probatorio.
VEDI LEZIONE ORLANDI, APPUNTI PAG.25, LEZIONE DEL 5 MARZO 2019.
Il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto dell'incidente probatorio all’art. 392, nell'eventualità che
nel corso delle indagini preliminari si prospetti la necessità o l'opportunità di anticipare l'attività di acquisizione
probatoria. Quindi, l'incidente probatorio consente in una fase non giurisdizionale di assumere davanti a un giudice e
nel rispetto del contraddittorio, prove destinate ad avere piena efficacia nella fase del giudizio.
Il legislatore ha consentito l'acquisizione anticipata della prova per una serie di ragioni diverse per lo più riconducibili
alla preoccupazione di tutelare la conoscenza processuale di elementi conoscitivi labili, in quanto non rinviabili,
indifferibili, suscettivi di essere inquinati ovvero soggetti a deteriorabilità o comunque urgenti. In particolare, ex
392,1, nel corso delle indagini preliminari il PM e la persona sottoposta alle indagini possono chiedere al giudice che
si proceda con incidente probatorio:
a) all'assunzione della testimonianza di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà
essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento;
b) all'assunzione di una testimonianza quando, per elementi concreti e specifici, vi è fondato motivo di ritenere che la
persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità affinché non deponga o
deponga il falso;
c) all'esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri;
d) all'esame delle persone indicate nell'art. 210 per i soggetti sub c)↑ e d) si ha una presunzione legislativa di non
rinviabilità, in quanto tali soggetti, per il ruolo rivestito, avvalendosi della facoltà di non rispondere loro
riconosciuta, potrebbero essere indotti a non ripetere in dibattimento le dichiarazioni che erano disposti a rilasciare nel
corso delle indagini; con la l.2018 n.6 tra i soggetti il cui esame può essere fatto in incidente probatorio sono stati
aggiunti anche i testimoni di giustizia (prima era consentito solo ai collaboratori di giustizia).
e) al confronto tra persone che in altro incidente probatorio o al PM hanno reso dichiarazioni discordanti, quando
ricorre una delle circostanze previste dalle lettere a) e b);
f) a una perizia o a un esperimento giudiziale, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è
soggetto a modificazione non evitabile;
g) a una ricognizione, quando particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l'atto al dibattimento.
In altri casi, il ricorso all'incidente probatorio è stato previsto quando l'atto, se procrastinato alla fase dibattimentale,
fornirebbe esiti diversi. Quindi, si ricorre all'acquisizione anticipata della prova quando l'attività cognitiva:
coinvolga soggetti deboli che devono essere espulsi rapidamente dal circuito processuale; richieda tempi lunghi che
non si conciliano con la tempistica del dibattimento; comporti l'esercizio di poteri coercitivi sulla persona; e si
inscrive in procedure incidentali alla fase investigativa.
Il comma 1-bis dell’art. 392 prevede che nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 572, 600, 600bis, 600ter e
600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600quater.1, 600quinquies, 601, 602, 609bis,
609quater, 609quinquies, 609octies, 609undecies e 612bis cp il PM, anche su richiesta della persona offesa, o la
persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della
testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi
previste dal comma 1. In ogni caso, quando la persona offesa versa in condizione di particolare vulnerabilità, il
PM, anche su richiesta della stessa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con
incidente probatorio all'assunzione della sua testimonianza questo comma è mosso dalla ratio di offrire a tali
soggetti l’opportunità di deporre in un contesto protetto, sottraendoli alla pubblicità dibattimentale. Va comunque
osservato che, nonostante le previsioni in discorso consentano di assumere tali dichiarazioni conferendogli pieno
valore probatorio, non c’è una garanzia assoluta che il soggetto già sentito in quella sede non sia nuovamente citato in
dibattimento: vi è una discrezionalità in tal senso in capo giudice.
Il comma 2 prevede delle ipotesi peculiari, collocate in posizione autonoma per sottolinearne la particolare finalità,
ossia quella di evitare il sacrificio della concentrazione dibattimentale infatti il PM e la persona sottoposta alle
indagini possono altresì chiedere una perizia che, se fosse disposta nel dibattimento, ne potrebbe determinare una
sospensione superiore a 60 giorni ovvero che comporti l’esecuzione di accertamenti o prelievi su persona vivente
previsti dall’art. 224-bis in tale ultimo caso si aggiunge l’esigenza di contemperare l’esercizio dei poteri
coercitivi da parte del giudice.
Inoltre, come già visto, può farsi ricorso all’incidente probatorio anche fuori dei casi di cui all’art.392, quando si tratti
di supplire alla mancanza di poteri coercitivi del difensore nell’acquisire il sapere delle persone in grado di riferire
elementi utili ai fini difensivi (391bis,11).

40: il procedimento
Legittimati a chiedere l'incidente probatorio sono il PM e la persona sottoposta alle indagini. Salvo che nel caso di
cui all’art. 391bis,11, la persona offesa può soltanto chiedere al PM di promuovere l'incidente; se non accoglie la
richiesta, il PM pronuncia decreto motivato e lo fa notificare alla persona offesa (394). Secondo l’art.393 la richiesta
deve essere presentata entro i termini per la conclusione delle indagini preliminari e comunque in tempo sufficiente
per l'assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini, salva la possibilità di richiederne la proroga
finalizzata all’esecuzione dell’incidente (393,4). Tuttavia, tali limiti sono ormai solo apparenti a seguito di una
declaratoria di illegittimità degli artt. 392 e 393 l’incidente probatorio può essere richiesto anche in udienza
preliminare.
Quanto ai contenuti la richiesta deve indicare a pena di inammissibilità (393,3):
a) la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l'oggetto e le ragioni della sua rilevanza per la decisione
dibattimentale;
b) le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova;
c) le circostanze che, a norma dell'art. 392, giustificano l’incidente probatorio; nonché, quando è proposta dal PM,
anche i difensori delle persone interessate a norma del comma 1 lett. b), la persona offesa e il suo difensore. La
richiesta di incidente probatorio è depositata nella cancelleria del GIP, unitamente a eventuali cose o documenti, ed è
notificata a cura di chi l'ha proposta, secondo i casi, al PM e alle persone nei cui confronti si procede per i fatti
oggetto di prova; la prova della notificazione è depositata in cancelleria (395) (secondo la Corte cost. la richiesta di
incidente probatorio proposta dal PM va notificata anche al difensore della persona sottoposta alle indagini). La
richiesta di incidente probatorio di cui all'articolo 392,1bis (reati contro la personalità individuale o la libertà
sessuale), il PM deposita tutti gli atti di indagine compiuti fino a quel momento (393,2bis).
Tale notificazione costituisce la premessa per un contraddittorio, cartolare e a tempi ridottissimi, intorno
all’ammissibilità della richiesta: entro 2 gg dalla notificazione della richiesta, il PM ovvero la persona sottoposta alle
indagini può presentare deduzioni sull'ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta, depositare cose, produrre
documenti nonché indicare altri fatti che debbano costituire oggetto della prova e altre persone interessate alla prova
stessa (396). La persona sottoposta alle indagini deve depositare le proprie deduzioni anche nella segreteria del PM.
Venuto a conoscenza della richiesta presentata dalla persona sottoposta alle indagini, entro il medesimo termine di 2
giorni dalla notifica della richiesta, il PM può chiedere al giudice il differimento dell’incidente probatorio con le
forme previste dall’art. 397, quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagini preliminari. In ogni
caso il differimento non è consentito quando pregiudicherebbe l'assunzione della prova. La richiesta di
differimento deve indicare: a) l'atto o gli atti di indagine preliminare che l'incidente probatorio pregiudicherebbe e le
cause del pregiudizio; b) il termine del differimento richiesto.
Il giudice, se non dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio, provvede entro 2 gg con
ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile (se manchino i requisiti formali) o rigetta la richiesta di
differimento. L'ordinanza di inammissibilità o di rigetto è immediatamente comunicata al PM (397,3). Se invece
accoglie la richiesta di differimento il giudice fissa l'udienza per l'incidente probatorio, non oltre il termine
strettamente necessario al compimento dell'atto o degli atti di indagine preliminare che hanno giustificato il
differimento. L'ordinanza è immediatamente comunicata al PM e notificata per estratto alle persone indicate nell'art.
393,1 lett. b). La richiesta di differimento del PM e la relativa ordinanza di differimento sono depositate solo
all'udienza destinata all'incidente probatorio (397,4).
Scaduto il termine previsto dall’art. 396 per le deduzioni o quello successivo conseguente al differimento
dell’incidente probatorio (397), il giudice decide sulla richiesta con ordinanza non impugnabile: si tratterà di
un’ordinanza di inammissibilità, quando la richiesta non permette di capire quale sia la prova e la sua rilevanza, quali
siano le ragioni di urgenza, quali le persone interessate, compresi i difensori; di rigetto, per mancanza delle
condizioni di merito; di accoglimento negli altri casi. L'ordinanza di inammissibilità o di rigetto è immediatamente
comunicata al PM e notificata alle persone interessate (398,1).
Con l'ordinanza che accoglie la richiesta il giudice stabilisce: a) l'oggetto della prova nei limiti della richiesta e delle
deduzioni; b) le persone interessate all'assunzione della prova individuate sulla base della richiesta e delle
deduzioni; c) la data dell'udienza che non può essere disposta ad oltre 10 gg dal provvedimento (398,2). Il giudice,
quindi, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini, alla persona offesa e ai difensori avviso del giorno, dell'ora e
del luogo in cui si deve procedere all'incidente probatorio almeno 2 gg prima della data fissata con l'avvertimento che
nei due giorni precedenti l'udienza possono prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla
persona da esaminare. Nello stesso termine l'avviso è comunicato al PM (398,3).
Al contrario, nei procedimenti per reati elencati nell’art.392,1bis, all’obbligo del PM di depositare tutti gli atti
dell’indagine (393,2 bis), fa riscontro il diritto della persona sottoposta alle indagini e dei difensori delle parti di
ottenere copie degli atti depositati (398,3bis). Inoltre sempre al riguardo si prevede che nel caso di indagini che
riguardano ipotesi di reato previste dagli artt.572,600, 600bis, 600ter, anche se relativo al materiale pornografico di
cui all'articolo 600quater.1, 600quinquies, 601, 602, 609bis, 609ter, 609quater, 609octies, 609undecies e 612bis cp, il
giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minorenni, con l'ordinanza di cui al comma
2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando
le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in
luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in
mancanza, presso l'abitazione della persona interessata all'assunzione della prova. Le peculiarità riguardano anche la
documentazione: infatti le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di
riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di
personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell’interrogatorio è
anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti
(398,5bis).
L’applicabilità di tali ultime regole è poi estesa, su richiesta di parte, anche alle ipotesi in cui fra le persone interessate
all'assunzione della prova vi siano maggiorenni in condizione di particolare vulnerabilità, desunta anche dal tipo
di reato per cui si procede (398,5ter). In fine il comma 5quater. dell’art. 398 dispone che fermo quanto previsto dal
comma 5ter, quando occorre procedere all'esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare
vulnerabilità si applicano le diposizioni di cui all'articolo 498,4quater il quale prevede che il giudice, su richiesta
della persona offesa o del suo difensore deve adottare modalità protette.
Il comma 4 dell’art.398 prevede poi che se si debba procedere a più incidenti probatori, essi siano assegnati alla
medesima udienza, sempre che non ne derivi ritardo. Il comma 5 dispone invece che quando ricorrono ragioni di
urgenza e l'incidente probatorio non può essere svolto nella circoscrizione del giudice competente, quest'ultimo può
delegare il GIP del luogo dove la prova deve essere assunta.
L'udienza per l'incidente probatorio si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del PM e
del difensore della persona sottoposta alle indagini. Se il difensore non compare, il giudice nomina un sostituto (401
commi 1 e 2); la partecipazione del difensore della persona offesa è invece facoltativa. L'indagato e l'offeso hanno
diritto di assistere se si deve esaminare un testimone o altra persona. Negli altri casi possono assistere se autorizzati
dal giudice (401,3).
Instauratasi l’udienza non sono più ammesse questioni relative all’ammissibilità o alla fondatezza della richiesta
(401,4); l’assunzione della prova deve avvenire nella medesima udienza o, se non sia possibile in un’udienza che si
svolga nel giorno successivo non festivo, salvo che lo svolgimento dell’attività di prova richieda un termine maggiore
(401,7). Le prove sono assunte con le forme previste per l'assunzione dibattimentale (401,5): dunque, ove si tratti
di prove dichiarative, il soggetto verrà escusso attraverso l’esame ed il controesame; tuttavia, il difensore della
persona offesa può solo chiedere al giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame. Dopo
l’assunzione, i verbali, le cose e i documenti acquisiti nell’incidente probatorio sono trasmessi al PM e saranno inclusi
nel suo fascicolo, in attesa di transitare in quello del dibattimento (431,1 lett. e). I difensori hanno diritto di prenderne
visione ed estrarre copia (401,8).
Per regola espressa, la prova assunta in incidente probatorio può essere utilizzata in dibattimento esclusivamente
nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla relativa assunzione (403,1): non a caso il
giudice indica, nell’ordinanza, le persone interessate all’assunzione della prova, individuate sulla base delle
richiesta e delle deduzioni (artt. 398,2 lett. b e 393,1 lett. b). In linea di principio, è vietato estendere l’assunzione
della prova a fatti riguardanti persone diverse da quelle cui i difensori partecipano all’incidente probatorio, ed
in ogni caso verbalizzare dichiarazioni riguardanti tali soggetti (401,6). Ove se ne presenti la necessità è possibile,
tuttavia, chiedere un’estensione dell’incidente probatorio, ex art. 402: se il PM o il difensore della persona
sottoposta all’indagini chiede che la prova si estenda ai fatti o alle dichiarazioni previste dall’art. 401,6, il giudice, se
ne ricorrano i presupposti e sempre che il rinvio non pregiudichi l’assunzione della prova, dispone le necessarie
notifiche a norma dell’art. 398,3, rinviando l’udienza per il tempo strettamente necessario e comunque non oltre 3
gg.
IMPORTANTISSIMO: VEDI PAG.28 APPUNTI ORLANDI PER CAPIRE. In ogni caso, il divieto è presidiato
dalla sanzione dell’inutilizzabilità, ricavabile dall’art.403,1. Una sola eccezione è quella prevista dall’art.403,1bis:
le prove di cui al comma 1 non sono utilizzabili nei confronti dell’imputato raggiunto solo successivamente
all’incidente probatorio da indizi di colpevolezza se il difensore non ha partecipato alla loro assunzione, salvo che i
suddetti indizi siano emersi dopo che la ripetizione dell’atto sia divenuta impossibile.
Un analogo divieto presidia, nell’art.404, gli interessi della parte civile: la sentenza pronunciata sulla base di una
prova assunta con incidente probatorio a cui il danneggiato dal reato non è stato posto in grado di partecipare non
produce gli effetti previsti dall’art.652, salvo che il danneggiato stesso ne abbia fatta accettazione anche tacita.

41. La chiusura delle indagini preliminari: i tempi della fase preliminare e i limiti al potere
investigativo
L’obbligo di esercitare l’azione penale impone al PM uno sforzo di accertamento completo e rigoroso, dovendo essere
compiuta “ogni attività necessaria” allo scopo (358), tuttavia il suo operare non può protrarsi indefinitamente: vi si
oppongono sia istanze di tempestività delle indagini sia esigenze di tutela della persona che non può restare troppo a
lungo assoggettate all’intrusione di una inchiesta.
Il legislatore ha quindi fissato un tempo massimo perché il PM indaghi e decida: tempo diversamente graduato a
seconda della gravità dei reati (405,2); prorogabile anche più volte (406), entro un termine ultimo, pur esso modulato,
in relazione al tipo di reato e alla complessità dello scenario investigativo (407). Se il PM non dovesse rispettare i
limiti temporali fissati dalla legge, l’azione penale non sarà preclusa, ma eventuali operazioni investigative debordanti
sono sanzionate con l’inutilizzabilità degli atti compiuti oltre il termine (407,3). Attraverso la clausola “salvo quanto
disposto dall’art. 415bis”, l’art. 407,3 esclude, poi, dal rigoroso regime temporale il supplemento investigativo
conseguente all’avviso di conclusione delle indagini: richiesto al PM dalla persona sottoposta alle indagini, quel
prolungamento della fase preliminare (che non può superare i 30 gg, prorogabile dal giudice per non più di 60 ex
415bis,4) si sottrae al sospetto di accanimento inquisitorio. L’art. 415bis,5 rende esplicita tale regola puntualizzando
che le dichiarazioni rilasciate dall’indagato, l’interrogatorio del medesimo ed i nuovi atti di indagine del PM, previsti
dai commi 3 e 4, sono utilizzabili se compiuti entro il termine stabilito dal comma 4, ancorché sia decorso il termine
stabilito dalla legge o prorogato dal giudice per l’esercizio dell’azione penale o per la richiesta di archiviazione.
Qualora scaduto il termine, originario o prorogato, l’agenda investigativa indicasse la necessità di ulteriori
accertamenti, questi non potranno che essere rinviati. I possibili scenari sono due.
- Se gli elementi raccolti lo hanno comunque condotto a formulare l’imputazione, il PM potrà svolgere dopo la
richiesta di rinvio a giudizio, attività di indagine suppletiva. Dopo il decreto che dispone il giudizio potrà compiere le
indagini integrative ex 430 e continuare a indagare, anche nel corso del giudizio, con i limiti previsti dall’art 430bis.
- se, al contrario, il tempo non sarà stato sufficiente a consentirgli di individuare, entro il termine di chiusura delle
indagini, elementi idonei a giustificare una richiesta di rinvio a giudizio, ci potrà comunque essere un seguito: pur
costretto all’inazione egli potrà ancora indagare, ma dovrà richiedere al giudice un decreto di autorizzazione alla
riapertura delle indagini ex 414.
Inoltre, quale che sia la direzione imboccata dal PM, la incompletezza delle indagini è monitorata nel corso delle
procedure giurisdizionali che seguono la richiesta del PM. Poteri di controllo e di impulso da parte del giudice
presidiano correttezza ed efficacia delle investigazioni, preludendo, se del caso, ad un supplemento di indagini, tanto
nel corso del procedimento camerale, instaurato dalla richiesta di archiviazione, quanto nell’udienza preliminare,
incardinata a seguito della richiesta di rinvio a giudizio. Nel primo, ove l’impianto accusatorio appaia carente per
difetto di impegno investigativo, il giudice “se ritiene necessarie ulteriori indagini può indicarle con ordinanza al PM
(409,4); similmente, nella seconda, il giudice “se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini
(421bis,1). In entrambe le procedure è presente anche un controllo gerarchico: avvertito da apposita comunicazione
(409,3 e 421bis,1) il procuratore generale può intervenire, se del caso, avocando le indagini (412,2 e 421bis,2).
42 i termini di durata massima delle indagini e il procedimento di proroga
Art.405: l’azione deve essere esercitata, tramite richiesta di rinvio a giudizio entro 6 mesi dall’iscrizione del nome
della persona alla quale il reato è attribuito nel registro delle notizie di reato. Il termine è di 1 anno se si procede per
un uno dei reati ex art.407,2 lett. a (associazione a delinquere, mafia, terrorismo, ecc). Entro lo stesso termine dettato
dall’art.405 o in quello individuato successivamente dalle proroghe deve essere richiesta l’archiviazione (408,1). Nel
caso in cui il PM intenda esercitare l’azione, basta che, prima dello scadere del termine, venga inviato l’avviso di
conclusione delle indagini. Se si procede per un reato perseguibile a querela, istanza o richiesta, il termine decorre dal
giorno in cui tali condizioni di procedibilità pervengono al PM; se è necessaria l’autorizzazione a procedere, il
termine resta sospeso dal giorno in cui l’autorizzazione è richiesta e fino a quando essa non perviene. Inoltre, il
termine resta sospeso durante la perizia disposta in incidente probatorio per accertare l’attitudine dell’indagato a
partecipare coscientemente al processo e, salvo si tratti di procedimenti per reati di criminalità organizzata, è soggetto
alla sospensione feriale.
Il dato testuale desumibile dagli artt.405 e 408 deve essere coordinato con quanto ora previsto all’art.407 comma 3-
bis (introdotto con la riforma Orlando) che in larga parte lo smentisce. Alla luce della riforma, la coincidenza istituita
dal codice tra chiusura delle indagini e adozione delle determinazioni del pm sfuma in un nuovo assetto dai tratti
meno nitidi. Esaurito il tempo per investigare, residua un nuovo segmento temporale, pure ascrivibile alla fase
preliminare e variamente modulato, entro il quale il pm deve esercitare l’azione penale o richiedere l’archiviazione.
L’iscrizione del nome nel registro ex art.335 continua a rappresentare il dies a quo per il computo del tempo di durata
delle indagini, mentre il momento di decorrenza di un nuovo ed autonomo termine stabilito per l’esercizio dell’azione
penale deve essere rapportato allo scadere del tempo per le indagini. I limiti temporali entro i quali il codice costringe
il potere di indagine, fissati nella misura base dall’art.405 comma 2, sono suscettibili di essere estesi, anche più volte,
sia pur entro un tetto massimo e subordinatamente alla sussistenza di presupposti fissati dalla legge.
A richiesta del PM – da avanzarsi prima della scadenza del termine e contenente l’indicazione della notizia di reato e
l’esposizione dei motivi che ne giustificano la presentazione (406,1) – il giudice può concedere una proroga del
termine di indagine.
Per ottenere più tempo, al PM, in prima battuta, basta esibire una “giusta causa”, mentre ulteriori proroghe potranno
essere richieste “nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva impossibilità di concludere
entro il termine prorogato” (406,2). Ciascuna proroga non può essere eccedente i 6 mesi (406,2bis). Tuttavia, allo
scopo di accelerare le indagini, nei procedimenti per maltrattamenti contro familiari e conviventi, nei reati di omicidio
colposo e di lesioni personali colpose per violazione delle norme stradali o di sicurezza sul lavoro, atti persecutori ecc,
la proroga può essere concessa una sola volta. In ogni caso ex 407,1 la durata delle indagini preliminari non può
superare i 18 mesi. Tuttavia, ex 407,2 la durata massima è di 2 anni se le indagini preliminari riguardano:
a) i gravi delitti ivi indicati, tra cui alcune delle più gravi fattispecie di delitti di stampo mafioso o terroristico;
omicidio, rapina ed estorsione, sequestro di persona; delitti concernenti armi e stupefacenti; delitti contro la libertà
individuale e contro la libertà personale)
b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati
ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese;
c) indagini che richiedono il compimento di atti all'estero;
d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero ex art. 371.
Un contraddittorio esclusivamente cartolare prelude, di regola, alla ordinanza con cui il giudice concede la proroga: la
richiesta di proroga è notificata a cura del giudice, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che, nella
notizia di reato o anche successivamente, abbia chiesto di essere informata, con l’avviso della facoltà di presentare
memorie entro 5 gg dalla notifica. Entro 10 gg dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie il
giudice decide (406,3): se accoglie la richiesta, autorizza l’estensione delle indagini con ordinanza emessa in camera
di consiglio senza intervento del PM e dei difensori (406,4). Se invece il giudice ritiene, allo stato degli atti, di non
concedere l’estensione, il giudice deve far luogo ad un procedimento camerale nelle forme dell’art. 127: in tal caso,
entro il termine di 10 gg, deve fissare un’udienza, della quale fa notificare avviso al PM, all’indagato e all’offeso che
ne ha fatto richiesta. Al termine di quel procedimento può autorizzare il PM a proseguire le indagini (406,6) ovvero
respingere la richiesta di proroga, fissando un termine non superiore a 10 gg per la formulazione delle richieste
conclusive delle indagini (406,7) (quindi o chiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale).
Nessun tipo di contraddittorio (406,5bis) si realizza nel caso in cui si proceda per i delitti indicati negli artt. 51,3bis e
407,2 lett. a nn4-7bis (reati di schiavitù, associazione a delinquere, associazione mafiosa, ecc) il giudice decide de
plano entro 10 gg dalla presentazione della richiesta, dandone notizia al PM. Gli atti compiuti nelle more del
procedimento di proroga sono utilizzabili, salvo che, in ipotesi di diniego, gli stessi siano compiuti oltre lo spirare del
termine originariamente previsto per le indagini (in ossequio all’art. 407,3) (406,8).
43: Un nuovo ed autonomo termine “finale” per la chiusura della fase preliminare.
La riforma Orlando ha apportato rilevanti modifiche all’art.407 cpp, mediante l’inserimento del comma 3-bis con il
quale sancisce l’obbligo, per il pm, di chiedere l’archiviazione oppure esercitare l’azione penale, in ogni caso, entro
tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui
all’art.415-bis. Inoltre, qualora si prospetti la situazione di cui al comma 2, lettera b, vale a dire debbano essere
vagliate “notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro
collegato ovvero per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese”, il pm può chiedere al
procuratore generale presso la corte d’appello una proroga fino a ulteriori 3 mesi. Vi è di più: in relazione ai gravi
delitti di cui al comma 2, lettera a, nn. 1,2,3 e 4, sempre dell’art.407, il tempo lasciato all’autorità inquirente per
decidere è di 15 mesi. L’introduzione di tale previsione muove dall’esigenza di contenere quei casi in cui il pm, dopo
lo scadere dei termini delle indagini, pur non potendo compiere validamente ulteriori atti investigativi, resta inerte,
senza prendere alcuna decisione.
Strettamente collegata all’introduzione di tale termine imposto al pm è l’aggiornamento dei casi di avocazione
obbligatoria. Il legislatore ha sostituito il primo comma dell’art.412, stabilendo che il procuratore generale presso la
corte d’appello, se il pm non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine previsto ex comma 3-
bis, dispone, con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari. Ed invero, ove il pm non assuma le
proprie determinazioni secondo le scansioni temporali previste, è tenuto a darne immediata comunicazione al
procuratore generale presso la corte d’appello, che eserciterà il suo potere di avocazione obbligatoria.
L’impossibilità di far discendere conseguenze processuali dal ritardo nella scelta sull’esercizio dell’azione penale
eleva l’istituto dell’avocazione a unico strumento adeguato a rimuovere in via residuale la stasi processuale. Non vi è
alcuna previsione di sanzioni processuali, ma potrebbe applicarsi l’art.2 d.lgs. 109/2006, non senza perplessità in
termini di efficacia. La scelta appare coerente con il nostro modello processuale, e con l’obbligatorietà dell’azione
penale, diversamente accade nei paesi di common law, ove le prassi devianti configurano ipotesi di abuse of process.
La disciplina si applica ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell’apposito registro
successivamente alla data di entrata in vigore della legge 103 del 2017 (legge Orlando). Nella parte in cui si fa
espresso riferimento alla scadenza del termine massimo di durata delle indagini, si ritiene di poter affermare che il
computo del termine successivo di 3 mesi per la definizione del procedimento debba avere come dies a quo il
momento della scadenza dell’ultima proroga eventualmente richiesta dal pm ed assentita dal gip.
44. Le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale
Al termine delle indagini preliminari, l’art.405,1 dispone che il PM quando non deve chiedere l’archiviazione,
esercita l’azione penale. Con la richiesta di archiviazione il PM manifesta la propria volontà a non esercitare
l'azione penale con riferimento a una determinata notizia di reato→ il principio di obbligatorietà dell'azione penale
(112 Cost), infatti, non impone di esercitare sempre l'azione penale, ma di farlo dopo una preliminare valutazione di
fondatezza della notitia criminis. Un’azione azzardata sarebbe anche controproducente perché quell’esito sarebbe
presidiato da effetti preclusivi più robusti di quelli sprigionati dal provvedimento di archiviazione. Al riguardo spetta
al PM decidere se ricorrono i presupposti discrezionalità tecnica nel senso che al ricorrere delle condizioni
indicate dalla legge – in positivo o in negativo – deve conseguire una scelta di carattere vincolato. Quando non
sussistono quei presupposti che impongono di deflettere l’azione, il PM dovrà procedere, formulando l’imputazione
nei modi previsti dalla legge.
L’art. 405 li enumera, individuandoli con un richiamo agli atti introduttivi dei riti speciali considerati nei titoli II-VI
del libro VI e con la richiesta di rinvio a giudizio. Il catalogo è incompleto e non aggiornato: non contempla accanto
alla principale forma ordinaria di esercizio dell’azione penale, la citazione diretta a giudizio (specificatamente
disciplinata nel libro VIII con riguardo al procedimento monocratico privo di udienza preliminare [552]); non
vengono considerate nemmeno le forme di esercizio dell’azione penale che si insinuano in un procedimento già
avviato, le quali, rappresentando una deviazione rispetto all’ordinario iter processuale, sono regolate nella sede
propria (423 e 517 ss). Quanto alle modalità di avvio del processo nei riti alternativi, sono richiamate le
disposizioni concernenti l’applicazione della pena su richiesta delle parti (titolo II), il giudizio direttissimo (titolo III),
il giudizio immediato (titolo IV), il decreto penale (titolo V). Per un difetto di coordinamento non è richiamato il
titolo V bis del libro VI relativo alla sospensione del procedimento con messa alla prova.

45. L’archiviazione della notizia di reato: i presupposti


L’art.408,1 stabilisce che il PM debba presentare richiesta di archiviazione al giudice se la notizia di reato è
infondata. In particolare, ex 125 disp.att., il PM presenta al giudice richiesta di archiviazione quando ritiene
l’infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a
sostenere l’accusa in giudizio archiviazione per inidoneità probatoria essa dev’essere considerata la
traduzione in chiava accusatoria del principio di non superfluità del processo in particolare la Corte cost. ha
spiegato come la scelta del PM debba passare per un apprezzamento degli elementi raccolti nelle indagini, postulando
una prognosi da compiersi non nell’ottica del risultato dell’azione, ma in quella della superfluità o no
dell’accertamento: non dunque una prognosi di condanna, bensì la sussistenza di un quadro probatorio articolato
seppur non univoco, avrebbe dovuto convincere il PM ad agire in particolare, nei casi dubbi il PM avrebbe dovuto
tener conto, di fronte ad una piattaforma cognitiva incerta o contraddittoria, della possibilità di acquisire nuovi
elementi dopo la richiesta di rinvio a giudizio (419,3) o dopo la pronuncia del decreto che dispone il giudizio (430)
ovvero nel corso dell’udienza preliminare (422), oltreché dell’attività probatoria esperibile nel contesto della dialettica
dibattimentale.
Senonché oggi il PM deve agire con maggiore cautela. Non può non tener conto del mutato assetto, ad esempio, del
riformulato assetto del giudizio abbreviato sarebbe suicida la scelta di un PM che continuasse a contare sulla
possibilità di una corroborazione dibattimentale di elementi incerti, pur sapendo che la richiesta dell’imputato può
congelare – al momento della chiusura delle indagini preliminari – il materiale cognitivo sul quale l’accertamento
dovrà essere compiuto; d’altro canto una imputazione sfornita di solido supporto probatorio sarebbe destinata a non
passare il vaglio dell’udienza preliminare.
Definita l’infondatezza, come superfluità dell’accertamento processuale, ad essa possono essere ricondotte anche le
altre fattispecie di archiviazione che il legislatore considera all’art. 411: mancanza di una condizione di
procedibilità, estinzione del reato, fatto non previsto dalla legge come reato, nonché da ultimo per particolare
tenuità del fatto. Ipotesi a sé stante è poi l’archiviazione per essere ignoto l’autore del reato disciplinata
all’art.415.
Una peculiare disciplina, da inquadrarsi nel contesto dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere, concerne poi
l’archiviazione nel caso di trasferimento all’estero del procedimento penale, di cui all’art.746-quater (inserito
dall’art.10 della riforma Orlando), evenienza che può prospettarsi allorché il pm abbia notizia della pendenza di un
procedimento penale all’estero, per gli stessi fatti per i quali si è proceduto all’iscrizione ex 335.
Per completezza va fatto un cenno ad un ultimo elemento: il comma 1bis dell’art.405 imponeva al PM di formulare
richiesta di archiviazione, al termine delle indagini preliminari, anche quando la corte di cassazione, nell’ambito di un
incidente cautelare, si fosse “pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi
dell’art.273” e non fossero stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle
indagini” Con la sent.121/2009 la Corte cost. ne ha dichiarato l’illegittimità cost. per contrasto con gli artt.3 e 112
cost, osservando come la regola in esame rovesciasse “il rapporto fisiologico tra procedimento incidentale de libertate
e procedimento principale” e finisse per alterare irragionevolmente la logica dell’istituto dell’archiviazione, il quale
da controllo sull’inazione diveniva filtro rispetto all’azione penale inopportunamente esercitata, così anticipando una
valutazione propria dell’udienza preliminare.

46.: l’archiviazione per particolare tenuità del fatto


Un nuovo istituto concernente la non punibilità per particolare tenuità del fatto è stato recepito nel processo penale
ordinario ad opera del d.lgs.28/2015. L’art.131-bis c.p. ne circoscrive l’operatività ai soli “reati per i quali è prevista
la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena”,
secondo i criteri di determinazione della pena indicati nel comma 4. In particolare, l’art.131bis c.p. dispone che: “nei
reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola
o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del
danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il
comportamento risulta non abituale”.
L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi
abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle
condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha
cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il
comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per
tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di
particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad
eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle
ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di
bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la
legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”.
L’art. 411,1 prevede ora che la richiesta di archiviazione ed i conseguenti provvedimenti debbano essere adottati
quando risulta che la persona sottoposta alle indagini “non è punibile ai sensi dell’art. 131bis cp per particolare
tenuità del fatto”. Tale causa di non punibilità, in quanto tale, presuppone una prognosi di colpevolezza del
soggetto, ma una contestuale valutazione del carattere scarsamente lesivo del fatto. Al riguardo, poi, nonostante
alla nuova fattispecie si applichino gli artt. 408, 409 e 410 richiamati dall’art. 411,1, il nuovo comma 1bis dell’art.
411 delinea un particolare modulo procedurale. Si prevede infatti che la procedura si svolga in apposita udienza
camerale, solo ove vi sia in tal senso una richiesta degli interessati. Rispetto al regime ordinario risultano rafforzati i
poteri di intervento dell’offeso e della persona sottoposta alle indagini: ove la richiesta di archiviazione sia
avanzata per particolare tenuità del fatto all’offeso è dovuto l’avviso (indipendentemente da una previa richiesta di
esserne informato ed a pena di nullità della decisione) quale garanzia prodromica al diritto di opposizione da
esercitarsi, presa visone degli atti, entro 10 gg tramite atto in cui devono essere indicate, a pena di inammissibilità, “le
ragioni del dissenso rispetto alla richiesta”.
L’art. 411,1bis concede le medesime prerogative alla persona sottoposta alle indagini, cui viene conferito inedito
potere di opposizione in ragione delle conseguenze che la adottanda decisione potrebbe spiegare nei suoi confronti:
infatti fondata su un accertamento positivo di colpevolezza e suscettibile di essere iscritta nel casellario giudiziale,
essa potrebbe costituire una premessa per escludere nuovi giudizi di tenuità del fatto in successivi procedimenti
penali di qui l’interesse anche dell’indagato di interloquire nella prospettiva di ottenere archiviazione con formula
più favorevole.

47.: il procedimento di archiviazione.


L’inazione del PM è sottoposta al controllo del giudice. La richiesta di archiviazione avanzata dal PM, infatti,
dev’essere rivolta al giudice affinché valuti la sussistenza delle condizioni legittimanti l’inazione. Come visto l’art.
408,1 dispone che entro i termini già illustrati il PM, se la notizia di reato è infondata, presenta al giudice richiesta di
archiviazione. Della stessa dev’essere data notizia alla persona offesa (408 commi 2, 3 e 3bis), in funzione dei poteri
che questa può esercitare nella procedura di archiviazione. Con la richiesta di archiviazione, il PM trasmette al
giudice il fascicolo delle indagini contenente la notizia di reato, la documentazione delle indagini effettuate e i verbali
degli atti compiuti davanti al gip (408,1 secondo periodo). Sono previsti due moduli procedurali distinti:

1. Al giudice compete il potere di disporre l’archiviazione de plano (senza formalità di procedura) ove concordi
prima facie con la richiesta del PM: in tal caso dispone l’archiviazione con decreto motivato e restituisce gli
atti al PM (409,1). La necessità di notificare tale provvedimento anche alla persona sottoposta alle indagini
che sia stata sottoposta a custodia cautelare è da ricollegarsi al diritto alla riparazione per ingiusta
detenzione (409,1)
2. Nel caso in cui il giudice – o perché non sia convinto della sussistenza dei presupposti per l’inazione o perché
la persona offesa dal reato abbia presentato un atto di opposizione ammissibile – non accolga
immediatamente la richiesta di archiviazione, è tenuto a fissare l’udienza camerale di cui all’art.409,2.
Secondo la precisione introdotto nell’art.409 comma 2 dalla legge Orlando, l’udienza dovrà essere fissata
entro 3 mesi, ma il termine è ordinatorio, quindi non ci saranno conseguenze gravi se non rispettato. In questa
udienza, che si svolge nelle forme dell’art.127, si realizza il contraddittorio tra i soggetti interessati: della data
dell’udienza dev’essere dato avviso al PM, all’indagato, al suo difensore e alla persona offesa, e
comunicazione al Procuratore generale presso la corte d’appello (409,3) affinché questi possa
eventualmente disporre l’avocazione.

Sino al giorno dell’udienza, gli atti restano depositati in cancelleria a disposizione delle parti, con facoltà del
difensore di estrarne copia. Anche sulla scorta di quanto vi avviene, il giudice potrà convincersi ad esercitare i suoi
poteri di indirizzo che mirano a trattenere il procedimento nella fase preliminare attraverso l’imposizione di un
supplemento di indagine o a spingerlo oltre la soglia ultima di quella stessa fase, verso il giudizio. Se tali evenienze
non si realizzano, l’ordinario epilogo sarà una ordinanza di archiviazione; quest’ultima, già ricorribile per
cassazione, per difetto di contraddittorio, a seguito dell’abrogazione dell’art.409 comma 6, è ora suscettibile di
reclamo, secondo uno strumento di doglianza finora estraneo agli orizzonti del processo penale. Salvo che si pongano
le esigenze di natura investigativa indicate nel quarto comma dell’art.409, il giudice è tenuto ora a provvedere sulle
richieste entro 3 mesi, secondo la precisazione fatta dalla riforma Orlando, con l’intento di propiziare una sollecita
chiusura della fase di indagine, comunque questa sia suggellata: da un provvedimento di archiviazione o da un
provvedimento che dia l’avvio alla sequenza di atti del processo in senso stretto.

48.: l’opposizione dell’offeso dal reato alla richiesta di archiviazione.


In quanto titolare dell’interesse leso dal reato, alla persona offesa spetta il potere di opporsi alla richiesta di
archiviazione (art.410). A presidio dell’effettività del diritto così riconosciuto, è prevista ora una anticipazione della
tutela apprestata per questo soggetto: nell’ampia messe di informazioni dovute all’offeso sin da primo contatto con
l’autorità procedente, si stabilisce che egli debba essere avvisato della richiesta di archiviazione.
Il codice disciplina l’intervento dell’offeso sul presupposto degli oneri informativi dettati nell’art.408. L’art.408
comma 2 impone che l’avviso della richiesta debba essere notificato, a cura del pm, alla persona offesa, la quale abbia
dichiarato di voler essere informata circa la richiesta di archiviazione al momento della presentazione della notizia di
reato o anche successivamente. La titolarità del diritto alla opposizione spetta peraltro ad ogni persona offesa dal
reato, indipendentemente dalla ricezione dell’avviso: l’art.410 prevede infatti che la persona offesa dal reato possa
chiedere la prosecuzione delle indagini.

Nell’avviso è precisato che, nel termine di 20gg, la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare
opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini: il termine risulta così ampliato rispetto a quello di
10gg originariamente previsto, secondo quanto previsto dall’art.408 comma 3, come modificato dalla riforma
Orlando. Analoga modifica non ha interessato l’artt.411 comma 1-bis, sicché nel caso in cui l’archiviazione sia stata
richiesta per particolare tenuità del fatto, i titolari del diritto di opposizione continueranno a beneficiare di un termine
di 10gg.
Per i delitti commessi con violenza alla persona l’avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato, a
cura del pm, alla persona offesa e il termine di cui al terzo comma è elevato a 30gg. La disposizione, come hanno
precisato le sezioni unite della corte di cassazione, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e maltrattamenti contro
familiari o conviventi, perché l’espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza
di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario. Con
ulteriore modifica, operata sempre dalla riforma Orlando, il reato art 624bis cp di furto in abitazione e furto con
strappo, è stato accostato ai delitti commessi con violenza alla persona, con scelta legislativa scopertamente
demagogica e idonea a suscitare dubbi di legittimità costituzionale, in rapporto all’art.3 cost., in relazione ad ulteriori
fattispecie di reato escluse da analoga regolamentazione di favore. Con l’opposizione l’offeso dovrà esibire
argomento almeno ictu oculi idonei a giustificare l’incontro camerale: nell’atto di opposizione dovranno essere
indicati l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, a pena di inammissibilità. La ratio della
disposizione è che si vuole evitare un inutile dispendio di attività processuale.
Il diritto di opposizione si fonda esclusivamente sulla indicazione da parte dell’offeso di lacune investigative. A tal
proposito, nella giurisprudenza di legittimità, affiorano lectiones più o meno rigide: è necessario, secondo un indirizzo
consolidato, che emergano elementi di prova dotati del carattere di concretezza e specificità; a tratti, poi,
l’interpretazione concede al giudice valutazioni che sembrano travalicare i limiti della declaratoria di inammissibilità
per trasmodare in un vaglio di infondatezza.
Solo in difetto di tali requisiti, il giudice potrà archiviare de plano; viceversa, ove la richiesta appaia formalmente
ammissibile, egli dovrà convocare l’udienza ex art.409, comma 2, introducendo la variante partecipata del
procedimento di archiviazione. Se ciò avverrà, il seguito sarà quello ordinario: il giudice dovrà provvedere a norma
dell’art.409 commi 2,3,4 e 5 ma il contraddittorio avrà una minore estensione dal punto di vista soggettivo.
L’art.410 comma 3 prevede infatti che “in caso di più persone offese, l’avviso per l’udienza è notificato al solo
opponente”. Ed in relazione a quest’ultima prescrizione la decurtazione degli aventi diritto a partecipare all’udienza
risulta come una penalizzazione per il disinteresse manifestato non opponendosi. Nel caso di inammissibilità
dell’opposizione, invece, l’offeso avrà diritto quanto meno a che il giudice dia conto delle ragioni per le quali alle
doglianze dell’offeso non sia stato dato seguito, dedicandovi adeguata motivazione nel decreto di archiviazione.

49. il procedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto.


Si è visto che l’archiviazione per particolare tenuità del fatto trova la sua collocazione nell’art.411 comma 1 dove è
stata aggiunta alla triade già esistente: quindi anche a questa ipotesi si applicano gli artt.408, 409,410 e 410-bis.
L’art.411 è stato poi modificato con l’aggiunta di un comma, l’1-bis, recante i tratti specifici di un particolare modulo
procedurale: diritto all’avviso e il conseguente diritto di opposizione dell’indagato e della persona offesa; disciplina
del contraddittorio camerale; i vari epiloghi: un decreto quale sbocco di un iter mancante di contraddittorio; la
restituzione degli atti al pm tutte le volte in cui non si possa pronunciare un provvedimento di archiviazione. In quella
prescrizione introdotta ad hoc dunque si rinviene uno schema di riferimento dettagliato da coordinarsi al rito
ordinario.
Le peculiarità della fattispecie di particolare tenuità del fatto hanno indotto il lgs a introdurre alcune novità nel
procedimento: il nuovo comma 1-bis prevede che la procedura si svolga in una apposita udienza camerale, solo ove vi
sia una richiesta degli interessati. Rispetto al regime ordinario risultano rafforzati i poteri di intervento dell’offeso e
dell’indagato: ove la richiesta di archiviazione sia avanzata per particolare tenuità del fatto all’offeso è dovuto
l’avviso (indipendentemente da una previa richiesta di esserne informato ed a pena di nullità della decisione) quale
garanzia prodromica al diritto di opposizione da esercitarsi, presa visione degli atti, entro 10gg tramite atto in cui
devono essere indicate, pena l’inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta.
L’art.411 comma 1-bis concede inoltre le medesime prerogative alla persona sottoposta alle indagini, cui viene
conferito un inedito potere di opposizione in ragione delle conseguenze che la adottanda decisione potrebbe spiegare
nei suoi confronti: fondata su un accertamento di colpevolezza e suscettibile di essere iscritta nel casellario giudiziale,
essa potrebbe costituire una premessa per escludere nuovi giudizi di tenuità del fatto in successivi procedimenti
penali. Di qui, l’interesse della persona sottoposta a indagini di interloquire nella prospettiva di ottenere
un’archiviazione con una formula più favorevole.
L’iter decisorio prevede: a) un vaglio di ammissibilità del giudice circa eventuali opposizioni, limitato a verificare
che siano esposte le ragioni di dissenso, senza alcun apprezzamento del rilievo sostanziale delle stesse; b) un
contraddittorio camerale conseguente, esclusivamente, ad un atto di opposizione ammissibile, in alternativa ad una
procedura de plano, ove le eventuali opposizioni siano inammissibili o non siano state presentate; c) due epiloghi
alternativi: una decisione di archiviazione assunta con ordinanza o con decreto, a seconda che si sia svolta o non sia
svolta l’udienza camerale; o, la restituzione degli atti al pm, allorché il giudice ritenga di non accogliere la richiesta di
archiviazione.
La precisazione stando alla quale il giudice, in quest’ultimo caso, può eventualmente provvedere ai sensi dell’art.409
commi 4 e 5, prospetta due ulteriori varianti, la cui disciplina è mutuata dalla procedura ordinaria: non convinto della
sussistenza dei presupposti per l’archiviazione, nel restituire gli atti al pm, il giudice può indicargli con ordinanza
ulteriori indagini, fissando un termine per il loro compimento; o può disporre con ordinanza che il pm entro 10gg
formuli l’imputazione. Rimane da intendere se l’avverbio eventualmente sia solo una svista normativa o se con esso il
lgs volesse prospettare epiloghi ulteriori: come sarebbe se il giudice fosse tenuto a restituire gli atti al pm, pur
ritenendo di avere individuato altra causa di archiviazione. Secondo taluno dovrebbe considerarsi precluso al giudice
investito di una richiesta di archiviazione per tenuità del fatto archiviare per altra causa. Più ragionevole concordare
con chi non reputa dubbio che il giudice, richiesto di archiviare per tenuità del fatto, possa disporre l’archiviazione per
altre ragioni. L’ipotesi contraria impone maggiore cautela: richiesta di una archiviazione per infondatezza della
notizia di reato, il giudice non potrebbe archiviare per tenuità del fatto, ove non siano garantite le prerogative
riconosciute ai soggetti della relativa disciplina.

50. l’impugnazione del provvedimento di archiviazione.


Abrogato l’originario comma 6 dell’art.409 dalla riforma Orlando, il lgs ha riformato il regime dell’impugnabilità del
provvedimento di archiviazione, attraverso l’introduzione di un nuovo art.410-bis. In precedenza, sulla scorta della
scarna indicazione legislativa che individuava nella ordinanza di archiviazione il provvedimento ricorribile solo nei
casi di nullità previsti dall’art.127, comma 5, la giurisprudenza aveva definito i profili soggettivi e oggettivi
dell’impugnazione. Con riguardo all’oggetto dell’impugnazione l’impugnabilità era circoscritta ai soli
provvedimento dispositivi dell’archiviazione, restando escluso che analogo rimedio potesse essere proposto nei
confronti delle decisioni pure conseguenti ai diversi epiloghi dell’udienza camerale: inammissibile dunque il ricorso
avverso i provvedimenti rispettivamente disciplinati dal 4 comma (ordinanza con la quale vengono disposte indagini
coatte) e dal 5 comma (ordinanza che impone la formulazione dell’imputazione) dell’art.409.
Il ricorso era ritenuto esperibile invece avverso il decreto emesso ex art.409 comma 1, allorché fosse stato omesso
l’avviso della stessa richiesta di archiviazione alla persona offesa, che avesse chiesto di esserne informata nella
notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, come riconosciuto dalla corte cost. Quanto ai motivi di
doglianza ed ai soggetti legittimati, secondo la giuri, rientravano nella previsione normativa i casi di omesso avviso
dell’udienza prevista dall’art.409 comma 2 alla persona sottoposta a indagini e alla persona offesa dal reato. Nel
novero dei soggetti titolari del diritto di impugnazione era ricompreso anche il procuratore generale presso la corte
d’appello, allorché fosse stata omessa nei suoi confronti la comunicazione di cui all’art.409 comma 3. A seguito delle
modifiche, con riguardo all’ordinanza di archiviazione si continua a prevedere che la stessa sia nulla solo nei casi
ex art.127 comma 5. Una disciplina inedita e più dettagliata è dettata per il decreto.
Il nuovo testo dell’art.410-bis si preoccupa in primo luogo di fissare i casi di nullità del decreto di archiviazione,
stabilendo che il vizio ricorra quando questo sia emesso senza che la persona offesa dal reato sia posta in condizione
di presentare opposizione alla archiviazione o perché non avvertita della richiesta avanzata dal pm o perché il giudice
si sia pronunciato nelle more del termine a lei concesso per la presentazione dell’atto di opposizione. La stessa tutela
viene estesa anche all’ipotesi in cui, essendo stata presentata opposizione, il giudice omette di pronunciarsi sulla sua
ammissibilità o dichiara l’opposizione inammissibile, salvi i casi di inosservanza dell’art.410 comma 1.
La novità più significativa si registra con riguardo al tipo di rimedio e all’organo chiamato a decidere sui casi di
nullità del decreto e dell’ordinanza: in linea con l’intento di deflazionare i ruoli della corte di cassazione si attribuisce
la completezza ad esaminare eventuali doglianze avverso il procedimento di archiviazione, espresse in forma di
reclamo, al tribunale in composizione monocratica. Caratteristico del processo civile, il reclamo non era stato
finora registrato nella disciplina del procedimento di cognizione delineata dal cpp, nel quale sembra ora dover trovare
collocazione quale inedito strumento di impugnazione. L’organo monocratico, adito dall’interessato entro 15gg
dalla conoscenza del provvedimento, decide con ordinanza non impugnabile, a seguito di un procedimento
meramente cartolare: premesso che il procedimento si svolge senza intervento delle parti interessate, si precisa che
debba essere dato avviso, almeno 10gg prima, dell’udienza fissata per la decisione alle parti medesime, che possono
presentare memorie non oltre il quinto giorno precedente l’udienza. Il quarto comma dell’art.410-bis contempla le
alternative decisorie: il giudice, se il reclamo è fondato, annulla il provvedimento oggetto di reclamo e ordina la
restituzione degli atti al giudice che lo ha emesso: a quest’ultimo spetterà rimediare al difetto di contraddittorio, ove il
vizio concernesse la convocazione dell’udienza, essendo a lui imputabile, o rinviare gli atti a sua volta al pm, per
quanto di sua competenza.
Fuori dai casi di fondatezza, al giudice si prospettano le consuete alternative: una declaratoria di inammissibilità del
reclamo (le cui cause non sono esplicite ma si ricavano dalla disciplina in materia e dall’art.591, per quanto
applicabile); ovvero il rigetto dello stesso con la conferma del provvedimento. In entrambi i casi la parte privata che
lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento e, nel caso di inammissibilità, anche al
pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende nei limiti ex art.616 comma 1.

51. I poteri di controllo del giudice per le indagini preliminare sull’obbligo di agire.
L’esito della procedura camerale innestata dalla richiesta di archiviazione può condurre ad epiloghi differenti da
quelli fin qui considerati. Richiesto dell’archiviazione, il giudice deve esplicare il suo compito di tutore del principio
di obbligatorietà dell’azione: poiché l’elusione di quell’obbligo potrebbe essere determinata non solo da una
sottovalutazione degli elementi ma anche dalla insufficienza delle indagini, la sua verifica si articola lungo due
prospettive. Rispetto ad entrambe le valutazioni di sua competenza egli potrà dissentire ed è dotato di poteri coattivi,
speculari alle “mancanze” del pm che egli è tenuto a rilevare: da un canto, può imporre al pm di approfondire le
investigazioni; dall’altro, può ordinargli di formulare l’imputazione, per concorrere poi ad aprire la fase strettamente
processuale.
Sul fronte della verifica dello spettro investigativo, il potere del giudice si concreta nell’indicazione di nuove indagini,
la necessità delle quali può essere rilevata sulla scorta del fascicolo che il pm è tenuto a trasmettergli, dei risultati del
contraddittorio camerale, o dell’eventuale atto di opposizione della persona offesa dal reato. In ogni caso, il potere
sollecitatorio si incardina nell’udienza camerale di cui al comma 2 dell’art.409: in questa sede, il giudice, se reputa
che il quadro investigativo necessiti di approfondimento, indica al pm le ulteriori indagini, fissando un termine
indispensabile (in realtà sufficiente) per lo svolgimento delle stesse (409). Il termine è del tutto indipendente dai
termini di durata massima delle indagini previsti ex artt.405 e 407. Il contenuto dell’ordine del giudice, il suo carattere
vincolante per il pm e le conseguenze di una successiva inadempienza vanno desunti per interpretazione.
Quanto ai contenuti dell’ordine, è ragionevole che essi si conformino a seconda del quadro di indagine e delle lacune
individuate: non si può escludere che il giudice formuli osservazioni concernenti le necessità di specifici atti. Dunque,
il giudice dovrebbe indicare l’oggetto della prova e la direzione anche se nulla impedisce che egli fornisca più
dettagliate indicazioni, prospettando la necessità del compimento di atti determinati. In ogni caso, il potere del giudice
di indicare nuovi temi d’indagine non si estende sino al punto di coartare l’organo inquirente sulle modalità di
svolgimento delle investigazioni.
Quid iuris se nella analisi del materiale d’indagine emerga: la responsabilità di altri per lo stesso fatto o la
responsabilità del medesimo indagato o di altri per fatto diverso? Il tema è stato affrontato dalla giurisprudenza che
sembra aver pesato le diverse attribuzioni. Il giudice può conoscere e valutare autonomamente tutto quanto risulti dal
fascicolo e può suggerire al pm nuove indagini su fatti diversi o anche su persone diverse, a condizione che non
esorbiti dalle sue funzioni, interferendo con le funzioni del pm. Sarà possibile indicare nuove indagini, se del caso
imponendo la previa iscrizione nel registro delle notizie di reato di soggetti non già individuati, poiché negare al
giudice tale potere significherebbe lasciare all’arbitrio dell’organo procedente di definire l’ambito del controllo.
Risulta più difficile affrontare il tema del carattere vincolante dell’ordine giudiziale e dell’esito della procedura nel
caso in cui il pm appaia renitente ad ottemperare alle indicazioni del giudice. Qui il meccanismo presenta profili di
debolezza: che il pm debba adempiere non è dubbio. Tuttavia, le prospettive si aprono tanto ad esiti fisiologici quanto
a sviluppi patologici.
Sviluppo fisiologico: qui siamo nell’ipotesi in cui il pm torni ad assumere proprie determinazioni. Se nessun ulteriore
elemento di prova sembra mutare il quadro probatorio è ragionevole che reiteri la richiesta di archiviazione, e di
fronte a questa il giudice avrà di nuovo il potere-dovere di esercitare ex novo i poteri conferitigli dall’art.409. Se
invece il supplemento investigativo abbia fornito significativi elementi di novità egli potrà esercitare azione penale: se
così fosse l’epilogo acclarerebbe l’efficienza dell’impalcatura normativa poste a tutela dell’azione.
Scenari patologici:
1. Il pm potrà non adempiere le indicazioni e tornare ad assumere le determinazioni che gli sono imposte. Se
chiederà l’archiviazione, l’unico rimedio per risolvere l’impasse è l’avocazione. Al procuratore generale è
conferita una facoltà di avocazione e, a tal fine, con l’obiettivo di prevenire situazioni di stallo determinate
dal dissenso del giudice. Rispetto alla richiesta di archiviazione, l’art.409 comma 3 prescrive che egli debba
essere sempre informato di ogni procedura camerale. Si nota al riguardo che l’intervento in chiave suppletiva
del procuratore generale è solo eventuale e non destinato a larga applicazione a causa delle scarse risorse
operative degli uffici di procura generale. Resterebbe un’altra alternativa al giudice, non convinto della
irrilevanza dei fatti illustrati dal fascicolo, che si trovi nella situazione di dover fronteggiare un pm negligente
e un procuratore generale assente: egli potrebbe imporre la formulazione dell’imputazione, contando su
acquisizioni probatorie successive. Ma è chiaro che, in difetto di un quadro probatorio non definito e un pm
scarsamente convinto dell’accusa, l’esito rischierebbe di risultare deludente.
2. Se il pm, ignorando le sollecitazioni all’approfondimento delle indagini, optasse per l’esercizio dell’azione
penale, nessuna particolare sanzione potrebbe rimediare ad una iniziativa non sufficientemente fondata.
D’altro canto, è noto che nel suo complesso la procedura di archiviazione non ha la funzione di occuparsi
dell’azione avventata ma di scongiurare l’inazione. In tutti i casi di azione temeraria non può essere che il gup
a filtrare le domande per non dar corso al giudizio allorché ne difettino le premesse, dopo aver, se del caso,
attivato ogni possibile rimedio per compensare eventuali lacune del quadro probatorio.
Il giudice può sindacare la valutazione operata dal pm in punto di concludenza degli elementi di indagine, essendo
dotato di potere di impulso. In sede di controllo dei risultati delle indagini, nella udienza camerale di cui al comma 2
dell’art.409, o in seguito alle indagini suppletive, ove il pm insista nel riproporre l’archiviazione, il giudice, qualora,
dissentendo dal pm, si convinca che sussistano elementi che rendano obbligatorio l’esercizio dell’azione, potrà
disporre con ordinanza che, entro 10gg, il pm formuli l’imputazione. Così modulata la risoluzione del conflitto
insorto sull’apprezzamento delle risultanze delle indagini ai fini della instaurazione dell’azione, la formulazione
coatta dell’accusa costituisce una modalità di esercizio dell’azione penale sui generis, non contemplata tra quelle
annoverate nell’art.405: resta atto del pm ma è evidente che il meccanismo conferisce al giudice la decisione ultima in
ordine alla sussistenza degli elementi che obbligano ad agire.
Quest’ultimo può dunque imporre l’esercizio dell’azione; valuta il fascicolo ed ogni risultanza senza essere limitato
nella diagnosi della richiesta del pm ma non può tracimare dai suoi poteri: non potrebbe, ad esempio, ordinare la
formulazione coatta della imputazione per un fatto diverso o per un soggetto diverso, prima che il pm abbia
adempiuto le consuete attività; se lo facesse sarebbe atto abnorme secondo la corte di cassazione. Sempre la corte ha
riconosciuto la legittimazione a ricorrere, oltreché al pm, anche alla persona sottoposta alle indagini; né, il giudice
potrebbe disporre l’archiviazione nei confronti di soggetti e per fatti in ordine ai quali il pm non aveva formulato
alcuna richiesta.
È chiamato a supplire il pm rispetto a adempimenti che potrebbero vederlo non troppo solerte: spetta al giudice,
entro 2gg dalla formulazione dell’imputazione, fissare con decreto l’udienza preliminare, osservando in quanto
compatibili le disposizioni ex artt.418 e 419. Si prescinde qui da una richiesta di rinvio a giudizio: qualcuno ha
osservato che sarebbe contraddittorio obbligare il pm a chiedere il rinvio a giudizio quando questo sia contrario al suo
convincimento. D’altro canto, il pm non può esimersi dal dar corso all’ordine del giudice ed è ragionevole ritenerlo
vincolato alle indicazioni di carattere contenutistico che egli può desumere dell’ordinanza del giudice.

52. Il controllo sull’obbligatorietà dell’azione del procuratore generale presso la corte d’appello e il potere di
avocazione.
Un controllo della gestione dell’attività investigativa e delle conseguenti determinazioni è affidato al procuratore
generale presso la corte d’appello, al quale spetta insieme al potere di vigilanza, il potere di avocare le indagini. “Se il
pm non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine previsto dall’art.407 comma 3-bis”, il
procuratore generale “dispone con decreto motivato l’avocazione delle indagini”. Il legislatore del 2017 si è limitato a
adeguare il testo anteriore ai nuovi limiti temporali istituiti per la chiusura della fase preliminare, non discostandosi
per il resto dalla previgente disciplina: nell’art.412 comma 1 secondo periodo si prevede ancora, infatti, che, una volta
avocate le indagini, “il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste
entro 30gg dal decreto di avocazione”. Pure invariata resta la normativa attuativa che impone alla segreteria del pm
l’onere di dar notizia al procuratore generale di eventuali situazioni di stallo, trasmettendogli ogni settimana un elenco
delle notizie di reato contro persone note per le quali non è stata esercitata l’azione penale o richiesta l’archiviazione
“entro il termine previsto dalla legge o prorogato dal giudice”. La disposizione non è stata esplicitamente abrogata e
la sua convivenza con il nuovo onere informativo introdotto dall’art.407 comma 3-bis può suscitare qualche
perplessità, dal momento che la più recente interpolazione legislativa finisce per duplicare la previsione di un
medesimo adempimento. Tuttavia, le due formulazioni non coincidono; dalla norma di attuazione – che individua nel
pm il soggetto tenuto all’avviso – si desume un contenuto normativo eccedente rispetto alla norma di nuovo conio, là
dove regola le modalità di trasmissione delle informazioni alla procura generale. Sempre che non ci si risolva tout
court per una sua implicita abrogazione, l’art.127 disp.att. potrebbe essere tuttora funzionale a dare indicazioni sulle
concrete modalità attraverso le quali il pm deve dare “immediata comunicazione al procuratore generale”: indicando,
in particolare, che l’adempimento di cui è ora gravato debba essere compiuto tramite la segreteria e attraverso la
trasmissione “ogni settimana” degli elenchi delle notizie di reato per le quali non è stato possibile adottare le dovute
determinazioni nel termine indicato dalla legge o prorogato dal giudice. In ogni caso la manovra in tal modo operata
pare destinata a non grande successo: la lettera della legge sembra delineare come obbligatorio l’intervento del
procuratore generale nel caso appena illustrato, non diversamente dalla precedente dizione.
Facile pronostico è dunque che il meccanismo, per evitare un sovraccarico delle procure generali, opererà in funzione
di controllo, consentendo l’avocazione solo nei casi di macroscopica ingiustificata protrazione dell’inerzia
nell’esercizio dell’azione. In questo senso sembrano indirizzate le direttive del consiglio superiore di magistratura,
che riconducono il potere di avocazione a valutazioni incentrate su una discrezionalità selettiva, volta a distinguere i
casi di inerzia meramente apparente e comunque non addebitabile all’ufficio del pm, da quelli in cui l’inerzia appaia
effettiva: solo in relazione a questi ultimi l’intervento del procuratore generale dovrà intendersi come doveroso.
Alla luce delle medesime considerazioni andrà riguardata la disciplina dettata nell’art.413, là dove è attribuito un
potere di sollecitazione nei confronti del procuratore generale alla persona sottoposta alle indagini e alla persona
offesa dal reato. Entrambe possono chiedergli di disporre l’avocazione a norma dell’art.412 e aspettarsi di ottenere
quanto richiesto: prevede l’art.413 comma 2 che “disposta l’avocazione, il procuratore generale svolge le indagini
preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro 30gg dalla richiesta proposta a norma del comma 1”.
Informato tramite la richiesta delle parti dell’inosservanza da parte del pm dei già detti adempimenti, il procuratore
generale è tenuto a svolgere le medesime attività già contemplate nell’art.412 comma 1: muta però il dies a quo del
termine per adempiere, decorrente nel caso in esame non dal decreto di avocazione ma dalla richiesta avanzata ex
art.413 comma 1. Il compito di vigilanza del procuratore generale si estende peraltro non solo al rispetto dei tempi ma
anche alla gestione delle indagini e alle conseguenti valutazioni. Il secondo comma dell’art.412 sembra delineare a
questo riguardo un potere largamente discrezionale: il potere di avocazione delle indagini preliminari può essere
esercitato, a seguito della comunicazione ex art.409 comma 3, in tutti i casi in cui il giudice non accolga de plano la
richiesta di archiviazione e fissi l’udienza camerale. Qui la premessa non è quella di una acclarata disfunzione, quale
l’inutile decorso del tempo delle indagini. Il procuratore potrà avocare allorché ritenga negligente, insufficiente o
comunque malcondotta l’azione investigativa o non concordi sulla richiesta di archiviazione del pm (richiesta che egli
può anche revocare).

53: la riapertura delle indagini


Art.414 cpp: Tanto il decreto quanto l’ordinanza di archiviazione possono essere revocati con decreto motivato dal
gip in seguito a richiesta di riapertura delle indagini preliminari del PM che presenta l’esigenza di nuove
investigazioni. Autorizzata dal giudice la riapertura delle indagini con decreto motivato, il PM iscrive di nuovo la
notizia di reato nel registro delle notizie di reato a norma dell’art.335 (414,2) con conseguente nuova decorrenza dei
termini di durata delle indagini preliminari. Prima di quel provvedimento il PM non potrà compiere alcun atto di
indagine, né provvedere ad applicare una misura cautelare personale. Per quanto riguarda le esigenze di nuove
investigazioni c’è chi suppone una rilettura degli atti già acquisiti e chi ritiene che la preclusione sia superata soltanto
dalla emersione della necessità di assumere nuovi elementi. Criticabile la tesi accolta in giurisprudenza con riguardo
alla portata degli effetti preclusivi: secondo la Corte cost. (sentenza n.27 del 1995) e le SS.UU., la mancata
autorizzazione alla riapertura delle indagini “determina non solo la inutilizzabilità degli atti di indagine
eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione, ma anche la preclusione all’esercizio dell’azione
penale per quello stesso fatto-reato, oggettivante e soggettivamente considerato” una soluzione fin troppo drastica.

54.: l’archiviazione per essere ignoto l’autore del reato


Art.415 cpp: prevede che quando è ignoto l'autore del reato, e quindi si ha una notizia di reato generica, il PM, che
evidentemente non è ancora riuscito a trovare un possibile autore, entro 6 mesi dalla data della registrazione della
notizia di reato, presenta al giudice richiesta di archiviazione ovvero, se ritiene ancora possibile individuare un
indiziato, di autorizzazione a proseguire le indagini.
Ex 415,2, quando accoglie la richiesta di archiviazione ovvero di autorizzazione a proseguire le indagini, il giudice
pronuncia decreto motivato (non impugnabile) e restituisce gli atti al PM. Se ritiene che il reato sia però da attribuire a
persona già individuata ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato per cui le indagini
proseguiranno nei confronti di quest’ultimo l’intervento del giudice mira ad evitare prassi elusive.
Con la riforma Orlando è stato inserito un nuovo comma, il 2-bis, stando al quale il termine di cui al 2^ comma
dell’art.405 decorre dal provvedimento del giudice (si vogliono scongiurare manovre di dilazione dei tempi per
l’esercizio dell’azione penale).
Il comma 3 stabilisce che si osservano, in quanto applicabili, le altre disposizioni del titolo VIII del libro V (405-
414) deve ritenersi che la procedura di archiviazione conseguente a tale richiesta non differisca da quella
ordinaria: se il giudice dissente o la persona offesa si oppone, la decisione va adottata all’esito dell’udienza camerale
ex 409. Sono salvi i diritti dell’offeso del reato (408 e 410).
Si applicano anche i termini di indagine ordinari (405-407): secondo interpretazione diffusa e confermata dalle
SS.UU., quando indaghi nell’ambito di un procedimento contro ignoti, il PM dovrà non solo chiedere l’autorizzazione
a proseguire le indagini prevista dall’art.415, ma anche, nel momento in cui se ne presenti la necessità, la proroga
ordinaria dei termini di indagine. Poco coerentemente però le SS.UU. escludono, tuttavia, che, una volta disposta
l’archiviazione per essere ignoto l’autore del reato, ove il PM voglia tornare a indagare, debba chiedere la relativa
autorizzazione ex 414 di riapertura delle indagini.
Il comma 4 dell’art. 415 si occupa invece dell’ipotesi di una richiesta di archiviazione e del conseguente decreto
emanati contestualmente per più reati. Infatti, si dispone che nell'ipotesi di cui all'art. 107bis disp.att. (che consente
agli organi di polizia di trasmettere agli uffici della procura le denunce dei reati commessi da persone ignote,
unitamente agli atti di investigazione compiuti, elencate in apposito indice mensile) la richiesta di archiviazione ed il
decreto del giudice che accoglie la richiesta sono pronunciati cumulativamente con riferimento agli elenchi
trasmessi dagli organi di polizia con l'eventuale indicazione delle denunce che il PM o il giudice intendono
escludere, rispettivamente, dalla richiesta o dal decreto si appresta un meccanismo molto pragmatico al fine di
liberarsi di indagini abortite.

55. L’udienza preliminare: premessa


Posto di fronte all’alternativa che lo attende a conclusione delle indagini preliminari, fuori dai casi che lo dovrebbero
condurre ad una richiesta di archiviazione – e sempre che la sua iniziativa non si incanali verso un rito alternativo al
dibattimento – il PM deve formulare l’imputazione con la richiesta di rinvio a giudizio. La richiesta di rinvio a
giudizio costituisce di regola l’atto introduttivo dell’udienza preliminare segnando la soglia tra procedimento e
processo. Quest’udienza rappresenta il primo approdo del procedimento alla giurisdizione e ha lo scopo di evitare
dibattimenti iniqui per l’imputato e inutili per l’ordinamento. Un giudice – ossia il GUP – opera un controllo sul
corretto esercizio dell’azione penale, filtrando le imputazioni non sostenute da un impianto accusatorio
sufficientemente robusto per giustificare il dibattimento.
La decisione che ne scaturisce suppone un confronto orale tra le parti, preceduto da una discovery degli atti:
l’imputato (divenuto tale con l’esercizio dell’azione penale) potrà quindi articolare le proprie argomentazioni
difensive davanti ad un giudice, chiamato a dirimere l’alternativa tra instaurazione del dibattimento e il non luogo a
procedere. Tra le chances che l’udienza offre, potrà decidere anche di rifuggire dal dibattimento volgendo verso
procedure alternative, ovvero di anticiparne lo svolgimento, rinunciando alla discussione preliminare sulla necessità
dello stesso dibattimento.
Il contraddittorio tra le parti e la valutazione del giudice si sviluppano intorno agli esiti delle indagini, ormai
svelate, ma i termini del dibattito non sono definitivamente fissati al momento della richiesta introduttiva si ha una
sorte di work in progress PM e difensori potranno proseguire le investigazioni, anche oltre il momento
introduttivo dell’udienza e, nelle ipotesi consentite, chiedere di assumere prove con le forme dell’incidente
probatorio. Inoltre, originariamente tenuto ad una decisione da compiersi tendenzialmente allo stato degli atti, il
giudice – ora dotato di un armamento officioso più articolato – potrà addirittura imporre al PM di tornare ad
indagare e, in ultima analisi, potrà inscenare, anche d’ufficio, un interludio per la ricerca di elementi cognitivi che lo
convincano dell’inutilità del dibattimento.
Oggi l’istituto è molto diverso da quello originario. Si è proceduto ad una dilatazione dei margini operativi,
attribuendo all’udienza alcuni profili essenziali somatici del dibattimento. La progressiva ridefinizione dei criteri per
l’emissione della sentenza conclusiva della fase, l’ampliamento dei poteri probatori del giudice e il trasferimento in
questa fase del corposo apparato di accertamento della costituzione delle parti ne hanno mutato i connotati: pur
restando formalmente un vaglio di natura processuale, funzionale alla scelta tra il procedere o il non procedere,
l’epilogo dell’udienza preliminare ha assunto la pregnanza di un giudizio di merito il rischio è che l’imputazione,
sfuggita alle maglie oggi più strette della sentenza di non luogo a procedere, abbia già le sembianze di una condanna.
Si aggiunga che, come in passato, è rimasta dubbia l’efficacia drenante di tale udienza-filtro.

56: la richiesta di rinvio a giudizio e gli atti introduttivi


La richiesta di rinvio a giudizio dev’essere depositata dal PM nella cancelleria del giudice (art.416). Il termine per
l’adempimento in questione dovrebbe coincidere con quello già fissato dall’art.405,2 (letto alla luce delle clausole di
salvezza concernente l’art.415-bis). Tuttavia, tra la chiusura delle indagini e l’esercizio dell’azione penale, può
decorrere di fatto un termine imprecisato infatti la prassi, ferma restando l’inutilizzabilità degli atti compiuti oltre il
termine, sancita nell’art.407,3, un’iniziativa volta ad instaurare il processo, benché tardiva, non può dirsi invalida.
Il legislatore pone un’eccezione che sembra ampliare il termine ordinatorio fissato (anche se in realtà dovrebbe essere
funzionale a ridurlo): ex comma 2bis dell’art. 416 qualora si proceda per i reati di cui agli artt. 589,2 c.p. (omicidio
colposo commesso in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) e 589bis c.p. (omicidio
colposo stradale), la richiesta di rinvio a giudizio del PM dev’essere depositata entro 30 gg dalla chiusura delle
indagini preliminari. In vista del successivo contraddittorio, il PM con la richiesta trasmette il fascicolo contenente la
notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al GIP. Il
corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove.
Correlato a tali adempimenti vi è la facoltà dell’imputato e del suo difensore di prendere visione degli atti (419,2).
I requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio sono fissati dall’art.417. Essa deve contenere: a) le generalità
dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità della persona offesa dal
reato qualora ne sia possibile l'identificazione; b) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle
circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei
relativi articoli di legge ( l’ambiguità o la vaghezza di tali elementi secondo la dottrina dovrebbero comportare una
nullità a regime intermedio per violazione delle disposizioni sull’intervento dell’imputato [178,1 lett. c e 180],
constatata la quale dovrebbe esservi immediata regressione del processo alla fase precedente. Le SS.UU. sono tuttavia
meno rigorose ed impongono al giudice di sollecitare il PM a precisarla e solamente allorché quest’ultimo,
ritualmente richiesto di una integrazione dell’atto imputativo, rimanga inerte, il giudice potrà adottare un
provvedimento restitutorio che determini la regressione del processo onde consentire il nuovo esercizio dell’azione
penale); c) l'indicazione delle fonti di prova acquisite; d) la domanda al giudice di emissione del decreto che dispone
il giudizio; e) la data e la sottoscrizione.
La richiesta del PM innesca la sequenza giurisdizionale; tempi brevissimi (seppur ordinatori) cadenzano la
fissazione dell’udienza: entro 5gg dal deposito della richiesta, il GUP fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo
dell'udienza in camera di consiglio, provvedendo a nominare un difensore d’ufficio ex 97 qualora l'imputato sia privo
del difensore di fiducia (418,1), e tenendo conto che tra la data di deposito della richiesta e la data dell'udienza non
può intercorrere un termine superiore a 30gg (418,2).
L’art.419 ai primi quattro commi disciplina, poi, il dovere del giudice di dar notizia alle parti ai difensori
dell’udienza. In particolare: 1. Il giudice fa notificare all'imputato e alla persona offesa (domiciliata presso il suo
difensore se ne abbia nominato uno), della quale risulti agli atti l'identità e il domicilio, l'avviso del giorno, dell'ora e
del luogo dell'udienza, con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal PM e con l'avvertimento al (solo) imputato
che, qualora non compaia, si applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 420bis, 420ter, 420quater e 420quinquies
(419,1). Ex 419,4 gli avvisi sono notificati e comunicati almeno 10gg prima della data dell'udienza. Entro lo stesso
termine è notificata la citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena
pecuniaria.
Le disposizioni dei commi 1 e 4 sono previste a pena di nullità (419,7). L’omessa o erronea citazione dell’imputato,
nonché la mancata indicazione della data e del luogo dell’udienza, comporta, secondo le SS.UU. una nullità generale
a regime assoluto, riconducibile all’art.179,1, poiché l’adempimento in discorso ha natura sostanziale di citazione.
Nello stesso termine previsto dall’art.419,4 l'avviso è altresì comunicato al PM e notificato al difensore
dell'imputato con alcuni contenuti aggiuntivi, ovvero con l'avvertimento della facoltà di prendere visione degli
atti e delle cose trasmessi a norma dell'articolo 416,2 e di presentare memorie e produrre documenti (419,2).
L'avviso rivolto a tali ultimi soggetti contiene, inoltre, l'invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini
eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio (419,3) (l’invito riguarda un atto doveroso per il solo
PM; i difensori infatti hanno un mero onere di depositare la documentazione degli atti di investigazione in funzione
del loro interesse all’utilizzo di questi atti).
I contenuti dell’avviso dovuto al difensore dell’imputato tendono a favorire la conoscenza degli atti, depositati dal PM
ex 416,2. La portata di quest’ultima disposizione sembra più che ridimensionata: l’adempimento di cui all’art. 415bis
anticipa infatti la discovery ad un momento anteriore, costituendo tra l’altro necessario preludio alla presentazione
della richiesta di rinvio a giudizio: quest’ultima infatti è nulla se non è preceduta dall'avviso previsto dall'art.
415bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375,3, qualora la persona
sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui all'art. 415bis,3
(416,1). Tuttavia, l’ostensione degli atti, imposta al PM dall’art.416,2, è più ampia perché comprende anche le
indagini eventualmente espletate ai sensi dell’art.415bis, e può cmq giovare a quanti non fossero stati tra i destinatari
dell’avviso di conclusione delle indagini: a tal fine l’art.131 disp.att. dispone che durante il termine per comparire e
fino alla conclusione dell’udienza preliminare, le parti, la persona offesa e i difensori hanno facoltà di prendere
visione, nel luogo dove si trovano, degli atti e delle cose indicati dall’art.419 commi 2 e 3 e di estrarne copia. Per
contro, l’invito a depositare l’ulteriore attività di indagine (cd. indagini suppletive), compiuta a seguito della
richiesta di rinvio a giudizio (419,3), prelude a futuri ampliamenti della discovery: sarà sulla scorta di questi e di altri
possibili approfondimenti della piattaforma costituita dal fascicolo delle indagini e dell’ulteriore materiale depositato
ex 419,2 che le parti e il giudice perverranno nell’udienza alle rispettive determinazioni.
In particolare, l’imputato soppesati gli elementi di accusa, potrà scegliere se accedere ad un rito premiale che si
svolga nell’udienza preliminare: egli può aver interesse a richiedere il giudizio abbreviato, in vista della significativa
riduzione di pena che esso comporta, allorché il materiale di accusa sia a tal punto inequivocabile da poter essere
difficilmente contrastato in dibattimento o, in prospettiva del tutto opposta, quando l’impianto accusatorio sia così
labile da sconsigliare qualsiasi seguito che possa irrobustirne le premesse. Ragioni di uguale tenore potranno
orientarlo verso l’applicazione della pena, ovvero la sospensione del processo con messa alla prova. La mancanza di
pubblicità di questi riti è altra caratteristica suscettibile di indirizzare l’imputato verso percorsi alternativi al
dibattimento.
Nel momento, poi, nevralgico che precede l’udienza, all’imputato si apre una ulteriore via, pure deviante rispetto
all’iter ordinario: ex 419,5 l'imputato può rinunciare all'udienza preliminare e richiedere il giudizio immediato
con dichiarazione presentata in cancelleria, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, almeno 3 gg prima della
data dell'udienza e notificata al PM e alla persona offesa dal reato a cura dell'imputato. Preso atto della rinuncia di cui
si è appena detto, il giudice emette decreto di giudizio immediato (419,6).
Ci si potrebbe domandare quale interesse possa muovere l’imputato a rinunciare all’udienza, ove interloquendo con
argomenti adeguati – se ne avesse – potrebbe evitare il giudizio. Tuttavia, ad un imputato sicuro di essere assolto,
potrebbe apparire preferibile essere destinatario di una sentenza emessa in seguito a dibattimento, per la diversa
stabilità della medesima e per gli effetti dei relativi esiti nel giudizio civile o amministrativo. Se non vi avrà rinunciato
per accedere immediatamente al dibattimento e se nessuno dei riti alternativi gli apparirà appetibile, assistito dal suo
difensore, l’imputato potrà interloquire con le altre parti e con il giudice nella prospettiva dell’epilogo per lui più
favorevole.

57.: gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.


Art.420: L’udienza preliminare si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del PM e del
difensore dell’imputato se il difensore dell’imputato non è presente il giudice provvede a norma dell’art.97,4
(420,3). Il verbale è redatto di regola in forma riassuntiva a norma dell’art.140, salvo che il giudice, su richiesta di
parte, dispone la riproduzione fonografica o audiovisiva dell’udienza oppure la redazione del verbale con la stenotipia
(420,4). Chiusa la discussione il giudice potrà pervenire a due epiloghi: se il processo non dovrà essere instaurato il
giudice dovrà emettere sentenza di non luogo a procedere (con stabilità non definitiva), se il processo dovrà essere
instaurato dovrà pronunciare decreto con il quale dispone il giudizio. Originariamente caratterizzata da una
procedura snella, la fase introduttiva dell’udienza preliminare è ora gravata da una articolata procedura che interessa
le formalità di verifica dell’instaurazione del rapporto processuale: vi trovano infatti luogo regole tipiche della fase
dibattimentale concernenti il controllo sulla regolare costituzione delle parti.
Ex 420,2 in apertura d’udienza il giudice procede agli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti
ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la
nullità con riguardo alle parti private diverse dall’imputato la verifica concerne la parte civile, che può costituirsi
per l’udienza preliminare; il responsabile civile, e il civilmente obbligato.
Per l’imputato, tuttavia il dato formale della correttezza della citazione e della relativa notifica non esaurisce le
verifiche da compiersi per accertare le regolarità della sua costituzione. Come sappiamo con la l. 67/2014 il
legislatore è intervenuto estirpando radicalmente dal cpp l’istituto della contumacia, per impedire che il processo si
possa svolgere in assenza dell’imputato anche quando egli potrebbe non esserne a conoscenza.
In tale prospettiva, verificata la correttezza della notificazione è necessario accertare se l’assenza dell’imputato
possa essere la conseguenza di un impedimento, di una mancata conoscenza dell’addebito ovvero se derivi da un
suo disinteresse: solo in quest’ultimo caso il giudice potrà procedere. Nelle altre ipotesi, l’ordinamento impone di
accertare la sussistenza di cause ostative alla sua comparizione e, se del caso, attendere. Il giudice procederà senza la
presenza dell’imputato quando questi, libero o detenuto, non è presente all’udienza e, anche se impedito, ha
espressamente rinunciato ad assistervi (420bis,1).
Allorché non vi sia una rinuncia espressa, il giudice dovrà accertare se si versi nelle situazioni che provino o portino
a presumere ex lege la conoscenza del processo elencate nell’art. 420bis,2. Stando a quest’ultima disposizione, si
potrà procedere in assenza dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero
sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia,
nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza
ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente
sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo. L’art.420bis,2 fa salvo, però, quanto previsto
dall’art.420ter: ciò significa che non sarà possibile procedere quando l’imputato, anche se detenuto, non si presenti
alla prima udienza e risulti che l’assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza
maggiore o altro legittimo impedimento (420ter,1): in tali ipotesi il giudice con ordinanza, anche d’ufficio, rinvia ad
una nuova udienza e dispone che sia rinnovato l'avviso all'imputato, a norma dell'art.419,1 (mentre la lettura
dell'ordinanza che fissa la nuova udienza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono
considerarsi presenti [420ter,4]). Nello stesso modo il giudice deve provvedere quando appare probabile che
l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore tuttavia
tale probabilità è liberamente valutata dal giudice e non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di
impugnazione (420ter,2): tuttavia l’imputato è ora ammesso a dimostrare che la prova dell'impedimento è
pervenuta con ritardo senza sua colpa (420bis,4 ult.per.). Il giudice dovrà pure rinviare l'udienza, anche d'ufficio,
allorché ricorrono le condizioni previste dal comma 1 quando l'imputato, anche se detenuto, non si presenti alle
successive udienze: in tal caso deve fissare con ordinanza la data della nuova udienza e disporne la notificazione
all'imputato (420ter,3). Quando si procede in sua assenza, l'imputato è rappresentato dal difensore. È altresì
rappresentato dal difensore ed è considerato presente l'imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall'aula di
udienza o che, presente ad una udienza, non compare a udienze successive (420bis,3).
Le ipotesi di assenza previste dall’art.420bis,2 pongono una presunzione solo relativa del disinteresse
dell’imputato a partecipare al proprio processo e non ne ostacolano il suo tardivo ingresso: se egli compaia prima
della decisione, l'ordinanza che ha disposto di procedere in sua assenza è revocata anche d'ufficio (420bis,4 pr.per.).
Ove l'imputato sia, poi, in grado di ribaltare la presunzione sulla quale l’ordinanza era fondata, fornendo la prova che
– pur essendo a conoscenza del procedimento - l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza
della celebrazione del processo, viene rimesso in termine per esercitare il suo diritto alla prova infatti, il giudice
rinvia l'udienza e l'imputato può chiedere l'acquisizione di atti e documenti ai sensi dell'art.421,3 (420bis,4). Nel corso
del giudizio di primo grado, l'imputato ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell'art. 493 (420bis,4 ter.
per.). Ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, l'imputato può altresì
chiedere la rinnovazione di prove già assunte (420bis,4 qua. per); l’art. 489,2 lo rimette nel termine per formulare le
richieste di cui ali artt. 438 e 444. La tutela si estende ai gradi di giudizio successivi: l’art. 604,5bis e l’art. 623,2 lett.
b allestiscono altrettanti rimedi restitutori: quando l’imputato provi la sua incolpevole mancata conoscenza, del
processo dovrà essere nuovamente investito il giudice di primo grado, e dalla regressione riaffiorerà il suo diritto alla
scelta del rito.
Inoltre, la presunzione legislativa che consente al giudice di procedere anche nei casi in cui non vi sia la certezza del
disinteresse dell’imputato potrà essere ribaltata anche a seguito del passaggio in giudicato della sentenza
pronunciata in absentia. Il legislatore ha apprestato a tal fine anche un ulteriore rimedio di carattere straordinario:
nel caso in cui, solo una volta definito il processo, risulti che la mancata conoscenza del processo medesimo da parte
dell’imputato non fosse riconducibile a sua colpa egli può chiedere la rescissione del giudicato. Quest’ultimo
rimedio attribuisce a chi lo attiva il diritto ad un nuovo giudizio, poiché comporta, ove la sua richiesta venga accolta,
la trasmissione degli atti al giudice di primo grado (625ter,3) e, tuttavia, non garantisce del tutto il soggetto che sia
incorso nella vicenda in discorso. Esso, infatti, fa gravare sul diretto interessato l’onere della prova che l’assenza è
stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo ed è concesso solo al
condannato o al sottoposto a misure di sicurezza con sentenza passata in giudicato, nei cui confronti si sia
proceduto in assenza (non quindi al prosciolto eventualmente interessato ad ottenere un proscioglimento con formula
più favorevole).
Ogni tutela dettata per le ipotesi di assenza di cui all’art. 420bis deve ritenersi estesa, come già accennato, alle
vicende riconducibili all’art.420ter: lo dispone l’art.420bis,4 quinto periodo, per l’imputato che dimostri che versava
nell’assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova
dell’impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa (420bis,4 qui. per.). Il giudice revoca altresì l’ordinanza
con cui ha disposto di procedersi in assenza quando risulta che il procedimento doveva essere sospeso ai sensi
dell’art.420quater (420bis,5): in tal caso si osservano le disposizioni di cui agli artt. 420quater e 420quinquies di cui
si sta per dire.
Quando, compiuti tutti gli adempimenti di cui agli artt. 420bis e 420 ter, non sussiste alcuna prova che l’imputato sia
assente per sua volontà, il giudice deve compiere un ultimo tentativo per ottenere la presenza dell’imputato: a tal
fine, rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente ad opera della polizia
giudiziaria (420quater,1). Se non sarà stato possibile ottenere la presenza dell’imputato o la sua rinuncia espressa o
presunta, il giudice dovrà sospendere il processo, sempre che non debba essere pronunciata sentenza a norma
dell’art.129 (420quater,2 pr.per). Per evitare, però, che il decorso del tempo possa impedire l’acquisizione della prova,
durante la sospensione del processo, il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di
parte, le prove non rinviabili (420quater,3).
Inoltre, per circoscrivere gli effetti negativi scaturenti dalla sospensione, impedendo che si propaghino a soggetti
diversi dall’imputato irreperibile, si stabilisce, in primo luogo, che si possa procedere ex art.18,1 lett. b alla
separazione di eventuali procedimenti connessi per imputati per i quali la causa di sospensione non operi; in secondo
luogo che non debba applicarsi la sospensione del processo civile stabilita dall’art. 75,3:il danneggiato potrà quindi
trasferire l’azione civile nella sede propria in qualsiasi momento non essendovi impedito dal vincolo altrimenti
derivante da quest’ultima disposizione (420quater,2 sec.per.).
La stasi processuale dovrà essere monitorata a intervalli fissi: alla scadenza di un anno (e, finché il procedimento
non abbia ripreso il suo corso, ad ogni successiva scadenza annuale), o anche prima quando ne ravvisi l’esigenza, il
giudice dovrà disporre nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso (420quinquies,1). Il giudice dovrà
revocare l’ordinanza di sospensione in quattro casi: a) se le ricerche di cui al comma 1 hanno avuto esito positivo; b);
se l’imputato ha nel frattempo nominato un difensore di fiducia; c) in ogni altro caso in cui vi sia la prova certa che
l’imputato è a conoscenza del procedimento avviato nei suoi confronti; d) se dev’essere pronunciata sentenza a norma
dell’art.129 (420quinquies,2).
Con l’ordinanza di revoca della sospensione del processo, il giudice fissa la data dell’udienza, disponendo che
l’avviso sia notificato all’imputato e al suo difensore, alle altre parti private e alla persona offesa, nonché comunicato
al PM (420quinquies,3). Per espressa previsione, nell’udienza, l’imputato può accedere al giudizio abbreviato o
all’applicazione della pena su richiesta (420quinquies,4) (anche se nulla si dice circa la sospensione del processo con
messa alla prova non c’è ragione per negare l’accesso anche al rito in discorso).
Come si è già detto, la presenza del difensore dell’imputato è prevista come necessaria, ed ogni violazione di tale
garanzia è dunque sanzionata a pena di nullità assoluta, ai sensi dell’art.179,1. L’art.420,3 prevede che, se il difensore
dell’imputato non è presente, il giudice debba provvedere a norma dell’art. 97,4. Tuttavia, il giudice deve rinviare
l’udienza nel caso di assenza del difensore, quando un legittimo impedimento impedisca la sua partecipazione. La
causa ostativa alla comparizione del difensore che legittima il rinvio dell’udienza è serrata i limiti ristretti:
l’impedimento, oltre che prontamente comunicato, per essere legittimo, deve derivare da una impossibilità di
comparire assoluta. Inoltre, la disposizione non si applica se l’imputato non resterebbe comunque sfornito della
difesa fiduciaria perché assistito da due difensori, quando l’impedimento riguardi uno dei medesimi; ovvero quando
il difensore impedito ha designato un sostituto (le SS. UU. hanno escluso l’obbligo di nomina di un sostituto in caso
di grave malattia tempestivamente segnalata). Infine, l’imputato, più interessato alla speditezza del procedimento che
all’assistenza difensiva, può sempre consentire che si proceda in assenza del difensore impedito (420ter,5)
(ovviamente previa nomina di un sostituto). Con la riforma Orlando si è inserito il comma 5-bis, il quale, a tutela
della maternità e della funzione difensiva, prevede che agli effetti di cui al comma 5 il difensore che abbia comunicato
prontamente lo stato di gravidanza si ritiene legittimamente impedito a comparire nei due mesi precedenti la data
presunta del parto e nei 3 mesi successivi ad esso.
Non un’assoluta impossibilità ma una libera scelta, riconducibile alla libertà di associazione ex 18 cost., è quella che
determina l’astensione dall’udienza del difensore che intende aderire all’astensione proclamata dagli organismi
forensi in tali casi si impone il rinvio anche dell’udienze camerali. Tale rinvio trova attuazione senza alcun altro
limite oltre quelli calibrati dalle regole di autoregolamentazione: il bilanciamento tra tale diritto di rilievo
costituzionale e i contrapposti diritti e valori costituzionali dello Stato e dei soggetti interessati al servizio giudiziario
è stato realizzato in via generale, con la l. 146/1990 e dalle fonti secondarie ivi previste, alle quali è stata attribuita la
competenza in materia, mentre al giudice spetta normalmente il compito di accertare se l’adesione all’astensione
sia avvenuta nel rispetto delle regole fissate dalle relative disposizioni primarie e secondarie, previa la loro
corretta interpretazione.
58.: lo svolgimento dell’udienza e le integrazioni probatorie.
Art.421: Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, il giudice dichiara aperta la discussione. La
discussione si concreta in un sintetico confronto tra il PM e i difensori delle parti private e dell’imputato: in
particolare, il PM espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la
richiesta di rinvio a giudizio. Conclusa l’esposizione introduttiva del PM e prima che prendano parola i difensori,
l'imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, per il quale si
applicano le disposizioni degli artt.64 e 65. Su richiesta di parte, il giudice dispone che l'interrogatorio sia reso nelle
forme previste dagli art.498 e 499 (ossia nelle forme dell’esame incrociato) tale richiesta è da mettersi in
correlazione con l’art.514,1 che vieta di dare lettura dei verbali compiuti nella fase preliminare “a meno che
nell’udienza preliminare le dichiarazioni siano state rese nelle forme previste dagli artt. 498 e 499, alla presenza
dell’imputato e del suo difensore”. Prendono poi la parola, nell'ordine, i difensori della parte civile, del responsabile
civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato che espongono le loro difese. Il PM e
i difensori possono replicare una sola volta (421,2).
Al termine degli interventi e delle repliche, il PM e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni
utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell'articolo 416,2 nonché gli atti e i documenti
ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione (421,3) si tratta dei documenti depositati ex 419,2; di
eventuali atti di investigazione difensiva, che possono essere presentati direttamente al giudice (391octies,1); delle
indagini suppletive svolte successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio (419,3). Se il giudice ritiene di poter
decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione (419,4). Tuttavia, è possibile, che l’udienza preliminare
diventi la scena per ulteriori momenti acquisitivi, sollecitati dalle parti – le quali possono chiedere l’incidente
probatorio anche in questa sede – o dal giudice.
Infatti, quando non provvede ex 421,4 (quindi decidendo allo stato degli atti), il giudice, se le indagini preliminari
sono incomplete (quindi vi sono carenze investigative), indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro
compimento e la data della nuova udienza preliminare. Del provvedimento è data comunicazione al procuratore
generale presso la corte d'appello (421bis,1) il quale può disporre con decreto motivato l'avocazione delle indagini (si
applica, in quanto compatibile, la disposizione dell'art. 412,1) (421bis,2).
Questo potere di impulso investigativo costruito sulla falsariga di quello che trova luogo nella procedura di
archiviazione solleva non pochi problemi legati alla terzietà del giudice e del GUP in particolare: infatti mentre
compito del Gip, in sede di archiviazione, è quello di evitare l’elusione dell’obbligatorietà dell’azione penale, il che
giustifica il suo potere di individuare e imporre l’approfondimento di temi investigativi, il Gup, nell’udienza
preliminare, è chiamato a vagliare la sostenibilità in giudizio di un’accusa già formulata dall’organo competente,
impedendo il cammino di accuse processualmente infondate; il che, mal si concilia con ingerenze in chiave di
sollecitazione probatoria contra reum. Anche qui la completezza delle indagini è presidiata da un controllo affidato al
procuratore generale presso la corte d’appello, il quale a seguito della comunicazione prevista dal comma 1 può
disporre l’avocazione con decreto motivato. Problematico poi il rapporto tra le indagini iussu iudicius e le
investigazioni del difensore: essendo libero quest’ultimo di operare o non operare, di esibire o celare, sembrerebbe
non poter essere destinatario di un ordine del giudice.
Se non ritenga di investire il pm del compito di nuove indagini il giudice potrà dar luogo ad un’attività istruttoria da
lui stesso condotta. L’esercizio del potere di integrazione probatoria di carattere ufficioso è regolato da un criterio
marcatamente restrittivo: il giudice potrà disporre, anche d’ufficio, l’assunzione delle prove delle quali appare
evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere (422,1). Non potrebbe trattarsi di prove idonee a
corroborare un eventuale rinvio a giudizio, né di prove che non siano adeguate a indirizzarlo in definitiva verso
l’epilogo alternativo. Quanto a quest’ultimo, poiché anche un quadro contraddittorio deve convincere il giudice a
interrompere la sequenza processuale alle soglie del giudizio, ogni elemento di prova suscettibile di incrinare la
necessaria prognosi di resistenza dell’impianto probatoria rientra nel novero del 422.
Se non sia possibile procedervi nella medesima udienza, il giudice dovrà fissare la data della nuova udienza e disporre
la citazione dei testimoni, dei periti, dei consulenti e delle persone indicate ex art.210 di cui siano stati ammessi
l’audizione o l’interrogatorio. L’audizione e l’interrogatorio sono condotti dal giudice. Il pm e i difensori possono
porre domande, a mezzo del giudice, nell’ordine previsto dall’art.421,2; al termine, il pm e i difensori formulano e
illustrano le rispettive conclusioni. Anche nell’ambito dell’istruzione officiosa, l’imputato può chiedere di essere
sottoposto all’interrogatorio, che si svolgerà con le stesse modalità appena viste: si applicano, di regola, gli artt.64 e
65 ma, su richiesta di parte, il giudice dispone che l’interrogatorio sia reso nelle forme previste dagli artt.498 e 499.
La riforma Orlando ha inserito un nuovo comma, il 4-bis, che dispone che se la richiesta di cui al comma 1 ha ad
oggetto conversazioni o comunicazioni intercettate e non acquisite si applicano, in quanto compatibili, gli artt.268-ter
e 268-quater. (non si sa se questa disposizione valga ancora per effetto della sospensione della parte della riforma). La
titolarità del potere di iniziativa è affidata alle parti (su richiesta di parte), secondo l’incipit, il quale, collocato in una
disposizione che reca in rubrica attività di integrazione probatoria del giudice, lascia perplessità. Appaiono
sostanzialmente non applicabili le disposizioni concernenti i tempi e i modi dettati dall’art.268-ter per la
presentazione delle richieste, date le peculiarità del contesto, mentre sembra indubbio che il criterio di acquisizione
non possa essere quello della “non manifesta irrilevanza”, dettato dall’art.268 comma 4-quater, ma quello più
restrittivo proprio della fase: sicché il giudice dovrà esercitare i suoi poteri alla luce del parametro della “evidente
decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere”. Minore difficoltà di lettura sussiste quanto alla restante
disciplina, la quale sembra compatibile in rapporto ai diritti delle parti e alle altre disposizioni che regolano il segreto.

59.: la modifica dell’imputazione


Da quanto visto non è improbabile che nel corso dell’udienza preliminare risultino mutati i contorni
dell’addebito in tal caso l’imputazione deve essere nuovamente calibrata alla luce delle nuove emergenze.
Art.423: prevede quattro ipotesi di mutamento, le medesime scandite più dettagliatamente nella disciplina
dibattimentale (516-518). In particolare, ex 423,1 se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso (presentando lo
stesso nucleo storico ma qualche elemento dissimile) da come è descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato
connesso a norma dell'art. 12,1 lett. b, o una circostanza aggravante, il PM modifica l'imputazione e la contesta
all'imputato presente o, se questi è assente, la comunica al suo difensore, il quale rappresenta l'imputato ai fini della
contestazione (423,1). Ex 423,2 se, invece, risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo (in quanto si aggiunge al
precedente) non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne
autorizza la contestazione se il PM ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato.
Come visto la disciplina, seppur ordita sulla falsariga del più corposo rimedio dibattimentale, risulta piuttosto
essenziale e non adeguatamente provvista di garanzie. Al riguardo, i numerosi silenzi devono essere colmati in via
interpretativa: in particolare, pur in assenza di una norma analoga a quella espressa dall’art. 519 dovrebbe riconoscersi
il diritto dell’imputato ad un termine a difesa; inoltre, secondo la Corte cost., sebbene il principio di correlazione tra
imputazione e sentenza sia stato espressamente disciplinato soltanto con riferimento alla fase del giudizio, la
disposizione prevista dall’art. 521 deve trovare applicazione, in via analogica, anche con riferimento al GUP. Sulla
scorta di queste premesse viene riconosciuto al giudice il potere di dare al fatto una definizione giuridica diversa
da quella enunciata nell’imputazione. Si pensa sia doveroso anche il contraddittorio sulla imputazione riqualificata
che preceda l’epilogo della fase; applicabile anche il principio di cui all’art. 521,2: se accetta che il fatto è diverso
da quello enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, il giudice deve disporre la trasmissione degli atti al PM
perché eserciti ex novo l’azione penale: tuttavia, secondo le SS.UU., tanto può fare solo dopo una prima
sollecitazione di formulare l’imputazione che non sia stata raccolta dall’organo di accusa.

60.: la sentenza di non luogo a procedere e la sua revoca


Forme sintetiche ed essenziali e cadenze temporali ristrette regolano il momento deliberativo: il giudice procede
alla deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio subito dopo
che è stata dichiarata chiusa la discussione (424,1). Il giudice dà immediata lettura del provvedimento, la quale
equivale a notificazione per le parti presenti (424,2). Il provvedimento è, di regola, immediatamente depositato in
cancelleria e le parti hanno diritto di ottenerne copia (424,3). Al riguardo, una deroga è però prevista nel caso di
sentenza di non luogo a procedere; per questa, pur richiedendo la legge solo una sommaria esposizione dei motivi di
fatto e di diritto che la giustificano (426,1 lett.d) potrebbe non essere possibile per il giudice fornire una motivazione
immediata infatti qualora non sia possibile procedere alla redazione immediata dei motivi della sentenza di non
luogo a procedere, il giudice provvede non oltre il 30° giorno da quello della pronuncia (424,4).
Come visto l’art.424 definisce gli epiloghi ordinari dell’udienza preliminare: sentenza di non luogo a procedere o
decreto che dispone il giudizio. È tuttavia ipotizzabile anche un diverso finale: ritenendo la propria incompetenza, il
giudice dovrebbe dichiararla con sentenza, trasmettendo gli atti al PM, ai sensi dell’art.22,3. Fuori da quest’ultima
ipotesi, e salve le regressioni del procedimento dovute alla precisazione della contestazione il giudice dovrà optare per
uno degli epiloghi ordinari al riguardo è lo spettro di applicabilità della sentenza di non luogo a procedere, così
come definito dall’art.425, che delimita al rovescio il criterio-guida per la pronuncia del decreto che dispone il
giudizio, segnando il confine fra i due esiti decisori.
In particolare, ex 425,1, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel
dispositivo, se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o
non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto dalla legge come reato ovvero quando risulta che il fatto non
sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non
punibile per qualsiasi causa (quest’ultima può ricomprendere la nuova etichetta terminativa della non punibilità per
particolare tenuità del fatto).
Il catalogo anticipa in buna parte le formule della sentenza di assoluzione dibattimentale (530,1). Non è
autonomamente prevista la formula terminativa che impone il proscioglimento nel caso in cui il reato è stato
commesso da persona non imputabile. Si possono però desumere elementi per una soluzione affermativa al riguardo
dall’art.425,4, secondo cui il giudice non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere “se ritiene che dal
proscioglimento dovrebbe conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca” (425,4)
infatti ricorrendo ad una interpretazione a contrariis, che fuori dall’ipotesi interdetta, nei confronti del soggetto
incapace di intendere e volere potrebbe essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere, in quanto “persona non
punibile”, a condizione che, ritenuto non socialmente pericoloso, non debba essergli applicata una misura di sicurezza
personale.
Stabilisce l’art.425,2 che ai fini della pronuncia della sentenza di cui al comma 1, il giudice tiene conto delle
circostanze attenuanti, potendo effettuare il bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69 cp: si tratta di una
precisazione che introdotta per consentire la pronuncia di estinzione del reato per prescrizione, ha perso di significato
dopo la sostituzione dell’art. 157 cp (l’art. 157,2 cp esclude ora che per determinare il tempo necessario a prescrivere
la pena debba essere computata tenendo conto della diminuzione per le circostanze attenuanti. La vera novità sta nel
comma 3 dell’art.425 in cui si dispone che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli
elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio
(nella vecchia regola la sentenza poteva essere pronunciata soltanto quando una delle situazioni di proscioglimento in
fatto risultasse evidente).
Il criterio sembra restringere il varco attraverso il quale le imputazioni transitano al dibattimento, imponendo la
pronuncia del decreto che dispone il giudizio solo in presenza di un quadro nitido di colpevolezza: se così fosse,
tuttavia, il decreto costituirebbe una fortissima ipoteca sul convincimento del giudice dibattimentale. La disposizione
resta ambigua perché accosta ad una valutazione di insufficienza e contraddittorietà degli elementi, una prognosi
sulla loro idoneità ad essere corroborati dalla dialettica dibattimentale. La giurisprudenza comunque sia, tende a
preferire questo secondo profilo ritenendo che la regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere resta
qualificata da una deliberazione di tipo prognostico di sostenibilità dell’accusa in giudizio, sicché il giudice dovrebbe
proscioglier l’imputato non in qualunque situazione di incertezza, ma solo nell’ipotesi in cui il dubbio non appaia
superabile neppure a seguito del passaggio al giudizio, secondo la valutazione di “utilità” del dibattimento già
elaborata dalla Corte cost. con riferimento all’art. 125 disp.att.
Art.426: contenuti necessari della sentenza, ossia: a) l'intestazione «in nome del popolo italiano» e l'indicazione
dell'autorità che l'ha pronunciata; b) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a
identificarlo nonché le generalità delle altre parti private; c) l'imputazione; d) l'esposizione sommaria dei motivi di
fatto e di diritto su cui la decisione è fondata; e) il dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati; f) la
data e la sottoscrizione del giudice. In caso di impedimento del giudice, la sentenza è sottoscritta dal presidente del
tribunale previa menzione della causa della sostituzione (426,2). Tra questi requisiti, solo alcuni sono presidiati da
nullità: oltre che nel caso di mancanza della motivazione previsto dall'art. 125,3, la sentenza è nulla se manca o è
incompleto nei suoi elementi essenziali il dispositivo ovvero se manca la sottoscrizione del giudice (426,3).
Dichiarazione di falsità di atti o documenti e statuizioni di natura civile concernenti il querelante costituiscono
contenuti di natura eventuale della sentenza di non luogo a procedere. Essa può contenere la dichiarazione di falsità
di un atto o di un documento tutte le volte in cui venga accertata nel corso del processo: vi allude il rinvio alla
applicabilità dell’art. 537 contenuto nell’art 425,5.
Quando si tratti di reato per il quale si procede a querela della persona offesa, con la sentenza di non luogo a
procedere perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, il giudice condanna il querelante al
pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato (427,1), salvo (come ha specificato la Corte cost.) che
non emerga l’assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell'esercizio del diritto di querela. Con ulteriori
statuizioni di carattere civilistico, il giudice provvede, negli stessi casi di cui al comma 1, a richiesta di parte: quando
ne è fatta domanda, il giudice condanna inoltre il querelante alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato e, se il
querelante si è costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile citato o intervenuto. Quando
ricorrono giusti motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte (427,2), ma se il reato è estinto per
remissione della querela, si applica la disposizione dell’art. 340,4 secondo cui le spese del procedimento sono a carico
del querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (427,5). Nel caso di colpa grave, il
giudice può condannare il querelante a risarcire i danni all'imputato e al responsabile civile che ne abbiano fatto
domanda (427,3). Contro il capo della sentenza di non luogo a procedere che decide sulle spese e sui danni possono
proporre impugnazione il querelante, l’imputato e il responsabile civile (427,4).
La disciplina dell’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, modificata già con la l.46/2006, è stata
ancora riformata con la legge Orlando: prima appellabile, poi solo soggetta a ricorso per cassazione, ora nuovamente
soggetta ad appello. La disposizione concernente il regime di impugnabilità ex art.428 successivo al 2006 era stata
oggetto di perplessità: nel riversare sulla corte di cassazione valutazioni che potevano trovare migliore udienza
davanti ad un giudice di merito, la soluzione adottata appariva improvvida; tuttavia il giudice delle leggi aveva
ritenuto non ricorressero gli estremi per dichiararne l’illegittimità (con la sentenza n.242/2009: la corte cost. dichiara
che l’art.428 non può essere dichiarato inammissibile nella parte in cui non consente al pm di proporre appello contro
le sentenze di non luogo a procedere). La riforma Orlando ha reso nuovamente appellabile la sentenza in esame,
ripristinando un regime il larga parte coincidente con quello originariamente delineato dal codice.
Legittimati al ricorso sono il Procuratore della Repubblica e il procuratore generale (con riguardo a quest’ultimo
il d.lgs. n.11 del 2018 ha limitato la legittimazione ad appellare con riguardo ai “soli casi di cui all’art.593-bis, comma
2” e, più precisamente, soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato
acquiescenza al provvedimento. Legittimato è anche l’imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il
fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso (428,1). La persona offesa può proporre ricorso nei casi di
nullità di cui all’art.419 comma 7. Ai medesimi soggetti legittimati all’appello spetta peraltro l’alternativa del ricorso
per saltum, ex art.569.
Sull’impugnazione decide la corte di appello in camera di consiglio con le forme prevista dall’art.127 (428,3) si
tratta delle ordinarie forme della procedura camerale e non dunque con quelle proprie dell’appello ex art.599.
La nuova disciplina regola esplicitamente anche gli epiloghi del giudizio, a seconda dell’appellante: l’appello del pm
può preludere a una conferma della sentenza o ad una riforma: in particolare, se la corte d’appello avrà ritenuto
sussistenti gli elementi per il rinvio a giudizio, pronuncia immediatamente il decreto che dispone il giudizio; in tal
caso, è posto in capo alla stessa corte il compito di formare il fascicolo per il dibattimento secondo le disposizioni ex
artt.429 e 431; in caso contrario, l’esito potrà essere la conferma della sentenza di non luogo a procedere con formula
meno favorevole all’imputato. In realtà, nulla sembra impedire al giudice la pronuncia di una sentenza con formula
più favorevole, anche integralmente liberatoria, ricorrendone gli estremi. In caso di appello dell’imputato, la corte,
se non conferma la sentenza, pronuncia sentenza di non luogo a procedere con formula a lui più favorevole: più
difficile ritenere che, in assenza dell’appello del pm, la corte sia libera di disporre il rinvio a giudizio, in contrasto con
il divieto di reformatio in peius.
Secondo il nuovo comma 3-bis dell’art.428 contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata in grado di
appello può essere proposto il ricorso per cassazione, destinato a svolgersi con le forme semplificate previste
dall’art.611; legittimati al ricorso sono solo l’imputato e il procuratore generale (non il procuratore della Repubblica),
ed esclusivamente per i motivi di cui alle lett.a, b e c del comma 1 dell’art.606. Ne risultano esclusi i motivi di ricorso
previsti dalle lett. d ed e: il primo comunque destinato a non trovare applicazione in una fase anteriore al dibattimento;
il secondo, concernente il vizio di motivazione, con intento deflativo in funzione di un alleggerimento del carico di
lavoro della corte di cassazione.
Infine, un nuovo comma 3-quater, introdotto con il d.lgs. n.11 del 2018, prevede che siano inappellabili le sentenza
di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa:
sebbene nulla sia disposto, queste ultime saranno ricorribili per cassazione dall’imputato, dal procuratore generale e
dal procuratore della Repubblica.
Quando non è più soggetta a impugnazione la sentenza in discorso “acquista forza esecutiva” (650,2). Essa spiega
effetti preclusivi ma la sua stabilità è limitata, potendo essere sempre revocata, quando se ne ravvisino gli estremi. In
virtù della preclusione derivante dalla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere, è interdetto l’esercizio
dell’azione penale; gli atti d’indagine, in quanto espletati contra legem, sono inutilizzabili ex 191; inoltre non può
essere applicata una misura cautelare, per lo stesso fatto, nei confronti dell’imputato prosciolto prima che, emerse
nuove fonti di prova, sia pronunciata dal GIP la revoca della sentenza medesima. Al tal ultimo riguardo, se dopo la
pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole
o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio, il GIP, su richiesta del PM, dispone
la revoca della sentenza (art.434 cpp). Nella richiesta di revoca – da trasmettersi alla cancelleria del giudice con gli
atti relativi alle nuove fonti di prova (435,2) – il PM indica le nuove fonti di prova, specifica se queste sono già state
acquisite o sono ancora da acquisire e richiede, nel primo caso, il rinvio a giudizio e, nel secondo, la riapertura delle
indagini (435,1). Poiché l’efficacia preclusiva della decisione, impedisce che si svolgano indagini prima che sia
emesso il provvedimento di revoca, i nuovi elementi di prova acquisiti successivamente alla pronuncia della
sentenza di non luogo a procedere, come hanno precisato le SS.UU., possono essere utilizzati ai fini della revoca
della sentenza e della successiva applicazione di una misura cautelare personale nei confronti dell’imputato
prosciolto, a condizione che essi siano stati acquisiti aliunde nel corso di indagini estranee al procedimento già
definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e
comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi.
Il procedimento si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’art. 127: il giudice, se non dichiara
inammissibile la richiesta, designa un difensore all’imputato che ne sia privo, fissa la data dell'udienza in camera di
consiglio e ne fa dare avviso al PM, all'imputato, al difensore e alla persona offesa (435,3).
Sulla richiesta di revoca il giudice provvede con ordinanza (436,1); se non dichiara inammissibile o non rigetta la
richiesta, i provvedimenti conseguenti variano a seconda dell’iter segnato dalla domanda del PM. Se il PM ha chiesto
il rinvio a giudizio, il giudice fissa l'udienza preliminare, dandone avviso agli interessati presenti e disponendo per
gli altri la notificazione; se la richiesta preludeva a nuove indagini in ordine alle fonti di prova ancora da acquisire il
giudice ordina la riapertura delle indagini (436,2), stabilendo per il loro compimento un termine improrogabile non
superiore a 6 mesi (436,3). In questo caso il soggetto, già imputato, tornerà ad essere indagato e la nuova vicenda
potrà concludersi anche con una archiviazione (436,4). Qualora sulla base dei nuovi atti di indagine non debba
chiedere l'archiviazione, entro la scadenza del termine, il PM, trasmette alla cancelleria del giudice la richiesta di
rinvio a giudizio (436,4). Contro l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di revoca il PM può
proporre ricorso per cassazione solamente per i motivi indicati all'articolo 606,1, lett. b), d) ed e) (437). Nessun
rimedio è invece previsto avverso l’ordinanza che ammette il seguito.

61.: il decreto che dispone il giudizio e la formazione dei fascicoli


Se il gup ritiene che a carico dell’imputato sussistono elementi idonei a sostenere un’accusa in giudizio, emette il
decreto che dispone il giudizio. Tale provvedimento spiega due funzioni essenziali: cristallizza l’accusa,
eventualmente ridefinita nel rispetto delle regole fissate nell’art. 423, offrendo al giudice del dibattimento il thema
probandum, e contiene la vocatio in iudicium: è lo stesso GUP a fissare l’agenda del giudice dibattimentale, su sua
indicazione (132,2 disp.att.) e salvi i suoi possibili provvedimenti sul punto (465). In particolare, ex art.429 comma
1, il decreto che dispone il giudizio contiene:
a) le generalità dell'imputato e le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre
parti private, con l'indicazione dei difensori;
b) l'indicazione della persona offesa dal reato qualora risulti identificata;
c) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono
comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge;
d) l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono questo requisito sembra prospettare
una mera elencazione delle fonti di prova e dei fatti, senza richiedere alcuna elaborazione critica degli stessi, in
modo da preservare la neutralità del giudice dibattimentale, evitando il pregiudizio che deriverebbe da un
provvedimento motivato;
e) il dispositivo, con l'indicazione del giudice competente per il giudizio;
f) l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con l'avvertimento all'imputato che non
comparendo sarà giudicato in contumacia (il riferimento alla contumacia è una svista del legislatore dovrebbe
leggersi “non comparendo si applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 420bis, 420ter, 420 quater e 420
quinquies);
g) la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario che l'assiste.
Date le funzioni essenziali del decreto che dispone il giudizio (cristallizzare l’accusa e vocatio in iudicium), lo stesso
ex 429,2 è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno
dei requisiti previsti dal comma 1 lettere c) e f).
Un termine dilatorio riguarda l’intervallo tra decreto e dibattimento: tra la data del decreto e la data fissata per il
giudizio deve intercorrere un termine non inferiore a 20 gg (429,3). Per alcuni casi tuttavia si prevede un termine di
carattere acceleratorio: qualora si proceda per i reati di cui agli artt. 589,2 (omicidio colposo commesso in violazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) e 589bis (omicidio stradale) cp, il termine di cui al comma 3
non può essere superiore a 60 gg (429,3bis)
Il decreto letto in udienza per quanti sono o devono considerarsi presenti (424,2) deve essere notificato all’imputato
contumace (leggasi assente), nonché all'imputato e alla persona offesa (e alle altre parti private 133 disp.att.)
comunque non presenti alla lettura del provvedimento di cui al comma 1 dell'art. 424 almeno 20 gg prima della data
fissata per il giudizio (429,4). Immediatamente dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio – o se una delle
parti ne fa richiesta in apposita udienza fissata non oltre il termine di 15 gg – il giudice provvede nel contraddittorio
delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento (431,1) si tratta quindi di individuare e separare il
materiale che può essere conosciuto dal giudice dibattimentale da quello che, in quanto esito delle indagini di parte,
deve restare fuori dal circuito processuale il tutto è funzionale al sistema cd. del doppio fascicolo tale attività è
molto importante e delicata e per questo va condotta in contraddittorio, affinché le parti possano vigilare sulla qualità
degli atti che vi confluiscono.
Nel fascicolo per il dibattimento sono raccolti: a) gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale e all'esercizio
dell'azione civile; b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla PG; c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti
dal PM e dal difensore; d) i documenti acquisiti all'estero mediante rogatoria internazionale e i verbali degli atti non
ripetibili assunti con le stesse modalità; e) i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio; f) i verbali degli atti,
diversi da quelli previsti dalla lettera d), assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono
stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana; g) il certificato generale del
casellario giudiziario e gli altri documenti indicati nell'art. 236; h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato,
qualora non debbano essere custoditi altrove.
Le parti, inoltre, possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del
pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva (431,2). Il decreto
che dispone il giudizio, insieme al fascicolo del dibattimento e ai provvedimenti applicativi di misure cautelari in
corso di esecuzione, è trasmesso alla cancelleria del giudice competente per il giudizio (432), dove le parti ed i
difensori possono prenderne visione ed estrarne copia durante il predibattimento. Tutti gli atti che non rientrano nella
tassativa elencazione dell’art. 431,1 sono trasmessi al PM con gli atti acquisiti all'udienza preliminare unitamente al
verbale dell'udienza (433,1). I difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella segreteria del PM,
degli atti raccolti nel fascicolo (del pubblico ministero) formato a norma del comma 1 (433,2). Nel fascicolo del
pubblico ministero ed in quello del difensore è altresì inserita la documentazione dell'attività prevista dall'articolo 430
quando di essa le parti si sono servite per la formulazione di richieste al giudice del dibattimento e quest'ultimo le ha
accolte (433,3).

62. L’attività integrativa d’indagine


Come visto, nel corso dell’udienza preliminare, PM e difensori non sono tenuti ad interrompere la propria attività
investigativa la quale si estende anche oltre l’emissione del decreto che dispone il giudizio. Al riguardo l’art.430
dispone che “successivamente all'emissione del decreto che dispone il giudizio, il PM e il difensore possono, ai fini
delle proprie richieste al giudice del dibattimento, compiere attività integrativa di indagine; tuttavia la ricerca della
prova a processo instaurato conserva i crismi dell’eccezionalità, ragion per cui è “fatta eccezione degli atti per i quali
è prevista la partecipazione dell'imputato o del difensore di questo” (430,1). La documentazione relativa all'attività
indicata nel comma 1 è immediatamente depositata nella segreteria del pubblico ministero con facoltà delle parti di
prenderne visione e di estrarne copia (430,2). A tal fine la segreteria del pubblico ministero deve dare avviso del
deposito della documentazione, senza ritardo, ai difensori (18 reg. esec.). Proprio in quanto finalizzati a sostenere
richieste indirizzate al giudice del dibattimento, gli atti delle indagini integrative non confluiscono nel fascicolo di
parte, se non quando siano servite per formulare richieste al giudice e questo le abbia accolte (433,3) in altre parole
la documentazione dell’attività integrativa d’indagine è subito depositata nella segreteria del PM ed ai difensori è
notificato avviso della facoltà di prenderne visione ed estrarne copia. Essa è conservata in un terzo fascicolo, dal quale
viene trasferita in quello del PM solo dopo che in base ad essa le parti hanno fatto richieste di ammissione di prova al
giudice e questi le ha accolte. Una volta inserita nel fascicolo del PM, tale documentazione può essere impiegata in
dibattimento per tutti gli usi consentiti dalla legge agli atti propri di tale fascicolo.
L’art.430-bis pone ulteriori limiti alla attività di indagine al fine di evitare che le parti possano porre in essere
strategie sleali incrociate, cercando di sondare preventivamente le fonti di prova già citate a dibattimento dalle altre
parti o dal giudice. In particolare, è vietato al PM, alla PG e al difensore assumere informazioni dalla persona
ammessa ai sensi dell'art.507 o indicata nella richiesta di incidente probatorio o ai sensi dell'art. 422,2, ovvero
nella lista prevista dall'articolo 468 e presentata dalle altre parti processuali. Le informazioni assunte in violazione
del divieto sono inutilizzabili (430bis,1). Il divieto di cui al comma 1 cessa dopo l'assunzione della testimonianza e
nei casi in cui questa non sia ammessa o non abbia luogo (430bis,2).
N.B. La giurisprudenza ritiene che l’orizzonte delle indagini possa spingersi lungo tutto l’arco del dibattimento e pure
nel corso della discussione finale ex 523,6, eventualmente proiettandosi oltre, verso il giudizio di appello ed ai fini
della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che quella sede può accogliere (603,2).

CAPITOLO 4 – MISURE CAUTELARI


1. Premessa. Il sistema delle misure cautelari.
Alla disciplina delle misure restrittive per esigenze cautelari il codice dedica l’intero libro IV, il quale si compone di
due titoli: uno riferito alle misure cautelari personali, l’altro alle misure cautelari reali. Non rientrano in questo
libro, per evidenti ragioni di connessione con il regime delle attività di PG, la disciplina relativa all’arresto in
flagranza e del fermo, cui è riservata apposito titolo nel libro relativo ad “indagini preliminari e udienza
preliminare”. Non vi trova inoltre la disciplina dell’accompagnamento coattivo che viene costruito nel codice non
come atto rivolto a finalità cautelari bensì come atto strumentalmente diretto a soddisfare determinate esigenze di
indagine e di accertamento in rapporto allo svolgimento di attività per le quali sia necessaria la presenza di
determinati soggetti. Si deve poi notare che nel codice le disposizioni relative alle misure cautelari risultano, di
regola, dettate facendo riferimento all’imputato, pur essendo indubbio che la qualifica di imputato può riconosci
soltanto alla persona che, essendo destinatario di una formale imputazione, si trova in una delle situazioni descritte
dall’art.60,1. Nel corso delle indagini preliminari, invece, la persona a carico della quale venga disposta la misura
cautelare è una persona gravemente indiziata ex art.273, nei cui confronti si stanno svolgendo indagini preliminari,
ed a vantaggio della quale opera l’estensione dei diritti e delle garanzie previsti per l’imputato ex art.60.

2. Riserva di legge e riserva di giurisdizione in materia di misure cautelari personali.


Il sistema delle misure cautelari è basato e modellato sul principio di legalità sancito dall’art.272 (primo articolo del
libro IV), il quale stabilisce che «le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto
(principio di tassatività) a norma delle disposizioni del presente titolo”. Alle disposizioni dell’art.272, ed alla garanzia
che se ne ricava sotto il profilo della riserva di legge nel settore delle misure cautelari personali, fa riscontro la
disposizione dell’art.279, che è norma generale attributiva della competenza funzionale, nella quale si riflette la
garanzia della riserva di giurisdizione in ordine al medesimo settore. Stabilendo che sia sull’applicazione, sia sulla
revoca, sia sulle vicende modificative delle misure cautelari personali la competenza a provvedere spetta sempre al
giudice che procede, l’art.279 si riferisce al giudice competente all’esercizio della giurisdizione nelle diverse fasi del
procedimento (prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari). In tal modo
viene riservata all’organo giurisdizionale la titolarità esclusiva dei poteri in materia di restrizioni della libertà
personale, riconoscendo al PM unicamente il potere di disporre il fermo di indiziati (384,1).

3. I presupposti del fumus commissi delicti e del periculum libertatis.


In tema di presupposti concernenti le misure cautelari personali occorre far riferimento sia al profilo del fumus
commissi delicti (inteso anche in senso soggettivo) sia alla sfera del periculum libertatis.
A proposito del fumus commissi delicti l’art.273,1 individua quale “condizione generale” per l’applicabilità delle
misure in questione la sussistenza a carico del destinatario di «gravi indizi di colpevolezza». Tale previsione si
raccorda – sul terreno della concreta valutazione circa la “gravità” degli indizi – al comma 2 dell’art.273 che impone
alla competente autorità un sommario accertamento negativo circa la sussistenza di una delle cause di
giustificazione o di non punibilità, ovvero di estinzione del reato o della pena.
Venendo invece ai criteri di valutazione dei suddetti “gravi indizi” (indizi non come mezzi di prova ma come
elementi di colpevolezza), va segnalato il comma 1bis dell’art.273 secondo cui devono essere applicati a tali fini le
disposizioni degli articoli:
1. 195,7 non possono essere utilizzate le testimonianze indirette anonime;
2. 192 commi 3 e 4 il giudice potrà tener conto delle dichiarazioni provenienti da persone che siano
imputate dello stesso reato, o in un procedimento connesso, o di un reato collegato ex 371,2 lett. b, solo se
le medesime dichiarazioni risultino corredate da altri elementi probatori idonei a confermarne
l'attendibilità secondo le SS.UU. oltre ad essere intrinsecamente attendibili, devono essere corroborate da
riscontri estrinseci individualizzati circa l’ipotesi di attribuzione del fatto reato al medesimo soggetto. Dal
mancato richiamo anche al comma 2 del suddetto art.192 si ricava che il medesimo giudice non dovrà
ritenersi necessariamente vincolato dalla regola ivi prevista, per cui “l’esistenza di un fatto” non può essere
desunta sulla base di indizi salvo che gli stessi risultino “gravi, precisi e concordanti”.
3. 271,1 non possono essere utilizzate le intercettazioni telefoniche acquisite contra legem o qualora non
siano state osservate le disposizioni previste dagli artt.267 e 268 commi 1 e 3;
4. 203 divieto di testimonianza indiretta da parte della PG e dei servizi di sicurezza.

Dal disposto dell’art.273,1bis appare palese come la scelta legislativa si sia indirizzata nel senso di anticipare sul
terreno cautelare l'operatività di alcune regole dettate in tema di inutilizzazione probatoria e di valutazione della
prova quale risulta in particolare dal richiamo all’art.192 commi 3 e 4. Questo comporta due conseguenze per un
verso l'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza nel contesto cautelare viene irrigidito al punto da essere
equiparato a quello previsto per la prova della colpevolezza, con l’ulteriore conseguenza di restringere senza dubbio
la possibilità di adozione delle misure cautelari. Per altro verso non si può sottacere il rischio che, in tal modo, il
provvedimento applicativo di una misura cautelare assuma un peso assai gravoso sulla sorte processuale
dell'imputato, rispetto al quale sarà d’ora in poi difficile escludere l’incidenza negativa di quello che, almeno allo
stato degli atti, sembrerebbe ormai configurarsi nella sostanza come un anticipato giudizio di colpevolezza.
Quanto al versante del periculum libertatis, l'art.274 si preoccupa di predeterminare le «esigenze cautelari» che,
concorrendo con il presupposto rappresentato dai gravi indizi di colpevolezza, devono considerarsi di per sé idonee
a giustificare l'adozione delle misure cautelari personali. Al riguardo per l'adozione delle misure cautelari da un lato
è sufficiente la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari previste dall'art.274; dall’altro tali esigenze
devono risultare da elementi concreti che devono essere specificamente indicati nel provvedimento a pena di
nullità e non devono essere desunte (esclusione di qualsiasi automatismo) dalla sola gravità del reato o dalla
circostanza che la persona sottoposta alle indagini si sia avvalsa della facoltà di non rispondere.

4. Le diverse esigenze cautelari.


Art.274: dispone che le misure cautelari sono disposte:
a) “Quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede,
in relazione a situazioni di concre to ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova (cd. pericolo di
inquinamento delle prove), fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di
nullità rilevabile anche d'ufficio. Inoltre, le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate
nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata
ammissione degli addebiti” (confessione) In nessun caso l'esercizio del diritto al silenzio, da parte dell'imputato,
può essere posto a fondamento di una misura cautelare e, a maggior ragione, nessuna misura cautelare può essere
adottata allo scopo di indurre l'imputato a collaborare con l'AG questo profilo seppur richiamato, in maniera poco
felice, solo per la lett.a, vale per tutte le ipotesi in quanto desumibile dai principi generali del sistema.
b) “Quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga (cd. pericolo
di fuga), sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a 2 anni di reclusione. Inoltre, le
situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato
per cui si procede”;
c) Più delicato è il problema legato all'esigenza cautelare di “tutela della collettività” si volevano evitare richiami
troppo generici alla pericolosità sociale del pervenuto, censurabili sotto il profilo della determinatezza ex art. 13,2
Cost., e, dall’altro, assicurare il rispetto dell’art.27,2 Cost. dal quale si ricava l’illegittimità di qualunque finalismo
delle misure cautelari tale da presupporre la colpevolezza dell’imputato. Al fine di evitare tali inconvenienti la lett.c
recita:
“Quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini
o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e
attuale pericolo che questi commetta gravi delitti (cd. pericolo di commissione di delitti) con uso di armi o di altri
mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della
stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello
per cui si procede, le misure di custodia cautelare (arresti domiciliari) sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i
quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni ovvero, in caso di custodia cautelare in
carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni nonché per il
delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'art. 7 l. 195/1974 e successive modificazioni”. Anche qui, così
come sub b) si prevede che “le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità
dell'imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede”.
In nessun caso l’esercizio del diritto al silenzio, da parte dell’imputato, può essere posto a fondamento, sul terreno
del periculum libertatis, di una misura cautelare disposta a suo carico e quindi che nessuna misura cautelare può
venire adottata allo scopo di indurre l’imputato stesso a collaborare (illegittimità di qualsiasi provvedimento di
adozione delle misure cautelari che risulti esclusivamente finalizzato a conseguire la confessione dell’imputato;
inoltre, “non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere
dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti).

5. I princìpi di adeguatezza e di proporzionalità nella scelta delle misure.


Per quanto riguarda l'esercizio della discrezionalità del giudice, una volta accertata la sussistenza di almeno una
delle esigenze cautelari descritte dall'art.274, in ordine alla «scelta delle misure» da adottarsi nel caso concreto
l'art.275 detta alcuni «criteri» fondamentali, ispirati alla logica della adeguatezza e della proporzionalità. Viene
anzitutto enunciato il principio di adeguatezza, in forza del quale il giudice, nell'individuare «quale» misura debba
essere disposta, sarà obbligato a tener conto della «specifica idoneità di ciascuna», rapportandola «alla natura e al
grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto» (275,1) con l'ovvia conseguenza che dovrà essere
scelta la misura meno gravosa per l'imputato, tra quelle di per sé idonee a fronteggiare le suddette esigenze.
Al principio di adeguatezza si raccorda poi, con funzione integrativa, il principio di proporzionalità, stando al quale
ogni misura «deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione (in relazione al quantum) che sia stata o
si ritiene possa essere irrogata» (275,2).
Ad una logica in parte riconducibile a quelle del principio di proporzionalità si riferisce il comma 2bis dell'art.275,
introdotto con la riforma del 1995, il quale detta in capo al giudice un esplicito divieto di disporre la custodia
cautelare in carcere o gli arresti domiciliari quando ritenga che «con la sentenza di condanna possa essere
concessa la sospensione condizionale della pena»; divieto che per la sola custodia in carcere opera anche quando
“il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni”questa norma
traduce il lodevole intento del legislatore di rendere residuale ed eccezionale il ricorso alle più afflittive misure
privative della libertà, escludendole nei casi in cui sia prevedibile sin dall’inizio che l’eventuale condanna alla pena
detentiva potrà non essere scontata in carcere, grazie alla concessione del beneficio di cui all’art.163 cp o alla
possibilità di accesso del condannato alle misure alternative alla detenzione (oggi estesa, dopo il recente intervento
della corte costituzionale, anche ai casi di condanna a pena detentiva non superiore ai 4 anni). Peraltro, la
preclusione subisce alcuni limiti. La custodia in carcere può, anzitutto, essere disposta in sostituzione della misura
non carceraria quando siano state violate le connesse prescrizioni (in linea con quanto stabilito dall’art.276,1ter per
gli arresti domiciliari, e dall’art.280,3 per le misure cautelari “sottosoglia”). Inoltre, può farsi ricorso alla carcerazione
se, rilevata l’inadeguatezza di ogni altra misura, gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza di
un luogo idoneo per l’esecuzione ex 284,1. E ancora, il divieto non opera quando si procede per una serie (assai
eterogenea) di delitti: ovvero i reati di cui al comma 3 dello stesso art. 275, nonché quelli di cui agli artt. 423bis,
572, 612bis e 624bis c.p., nonché all'art. 4bis ord.pen. (ossia i delitti che, inibendo in linea di massima la concessione
dei benefici previsti dalla legge penitenziaria, non consentono la sospensione dell’ordine di esecuzione della
condanna) la preoccupazione del legislatore, qui, sembra essere quella di evitare che possa beneficiare della
“esenzione” dal carcere anche chi, in caso di condanna, non avrebbe titolo ad ottenere l’esecuzione extra muraria
della pena, posto che la concessione delle misure alternative alla detenzione non è automaticamente collegata
all’entità della pena, ed è anzi preclusa in una serie di casi, mentre il divieto di disporre la custodia cautelare in
carcere opera solo in ragione dell’entità della pena che il giudice ritiene probabile (o, se già è intervenuta sentenza
di condanna, che è stata irrogata). Tuttavia, l’opzione a favore della catalogazione delle fattispecie ostative risulta
assai discutibile: approssimata largamente per eccesso (riferendosi a situazioni che non sono sempre di per sé
incompatibili con la futura esecuzione extra muraria della pena), ma pure per difetto (visto che comunque non
contempla tutte le ipotesi in cui i benefici penitenziari sono preclusi), si espone al rischio di fondate censure di
illegittimità costituzionale. Meglio sarebbe stato assegnare al giudice il compito di stimare, con il quantum della
pena irrogabile, anche la possibile futura “meritevolezza” delle alternative al carcere, utilizzando, con gli
adattamenti del caso, i parametri dettati per la fase esecutiva.
Tornando al tema del principio di adeguatezza, il comma 1bis ed il comma 2ter dell'art.275 si occupano dei criteri
relativi alla scelta delle misure cautelari da disporre contestualmente ad una sentenza di condanna, dettando, il
primo, un criterio di carattere generale e, il secondo, un criterio specifico per il caso di condanna in appello.
A norma del comma 1-bis è previsto anzitutto che, contestualmente ad una sentenza di condanna, l'esame delle
esigenze cautelari debba essere «condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del
fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta sussistente o il
pericolo di fuga o la commissione di gravi reati o di reati della stessa specie di quello per cui si procede è evidente
la preoccupazione legislativa di vincolare il giudice – una volta intervenuta la sentenza di condanna – a tener conto
anche dei risultati del relativo accertamento, nonché di ogni altro elemento sopravvenuto, quali fattori rilevanti per
la valutazione delle suddette esigenze cautelari.
Il comma 2-ter dello stesso art. 275 stabilisce che qualora la condanna sia stata pronunciata in grado di appello, è
previsto che le misure cautelari personali debbano essere «sempre disposte, contestualmente alla sentenza,
quando, all'esito dell'esame condotto a norma del comma 1bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste
dall'art. 274 e la condanna riguarda uno dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza ex 380,1 e questo
risulta commesso da soggetto condannato nei cinque anni precedenti per delitti della stessa indole» Ciò significa,
in altri termini, che in deroga alla regola generale secondo la quale il giudice procedente applica le misure cautelari
su richiesta del PM (279 e 291,1), nel caso di sentenza di condanna pronunciata in secondo grado, contestualmente
alla sentenza, il medesimo giudice dovrà obbligatoriamente, anche in assenza di quest'ultima richiesta, valutare la
sussistenza delle esigenze cautelari e degli altri presupposti indicati nel suddetto comma 2ter, ed applicare
«sempre» la misura cautelare personale più adeguata, ogni qualvolta tale valutazione abbia dato esito positivo
(questa norma nasce per rispondere alle pressanti istanze di esecuzione anticipata delle sentenze di condanna,
peraltro non consentita dall’art.27,2 Cost.).
Quanto agli ulteriori sviluppi del principio di adeguatezza, una sua particolare specificazione è prevista dal comma 3
dell'art. 275, con riferimento alla misura della custodia cautelare in carcere, con cui si stabilisce che la medesima
«può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive ed interdittive, anche applicate cumulativamente,
risultino inadeguate» carcerazione come extrema ratio. Questa regola subisce, tuttavia, una cospicua eccezione
nello stesso comma 3 dell’art.275, il quale stabilisce che, quando sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine ai
delitti di cui agli artt. 270 (associazioni sovversive), 270bis (associazioni con finalità di terrorismo anche
internazionale o di eversione dell'ordine democratico) e 416bis c.p. (associazione di tipo mafioso), la misura
applicabile è sempre quella carceraria, salvo che siano acquisiti «elementi dai quali risulti che non sussistano
esigenze cautelari» si configura così in capo all'indiziato dei suddetti delitti una forte presunzione relativa del
periculum libertatis ed una vera e propria presunzione assoluta di adeguatezza della misura carceraria (si presume
la custodia cautelare come unica misura adeguata a neutralizzare la pericolosità dell'imputato). Ne deriva, inoltre, in
capo al giudice un vero e proprio onere di motivazione negativa nel caso non ritenga la sussistenza in concreto di
esigenze cautelari. In tal modo si viene a creare per il giudice una sorta di scudo normativo di fronte al rischio delle
minacce o dei condizionamenti cui lo stesso potrebbe venire sottoposto, soprattutto nei procedimenti per delitti di
criminalità organizzata. Tuttavia, non è difficile rendersi conto che un meccanismo normativo del genere –
risolvendosi in chiave di tendenziale obbligatorietà della misura carceraria – si collochi ai limiti della compatibilità
con il disposto dell’art. 13,2 Cost., nel quale l’atto motivato dall’AG è richiesto come garanzia ai fini dell’applicazione
(non del diniego) delle misure restrittive della libertà personale.
Questa presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere risultava applicabile anche ai procedimenti
relativi ad un elenco assai ampio di fattispecie: ossia tutti delitti di cui all’art.51 commi 3bis e 3quater, nonché agli
artt. 575, 600bis,1, 600ter, escluso il comma 4 e 600 quinquies cp, ed ancora ai delitti di cui agli artt. 609bis,
609quater e 609octies, salvo che ricorressero le circostanze attenuanti dagli stessi articoli contemplate. Tuttavia,
dapprima con una dichiarazione di illegittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale e poi con la riforma
del 2015 la presunzione da assoluta si è trasformata in relativa dato che, per tali ultimi delitti, si ha l’applicazione
della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze
cautelari (rimane ferma la presunzione relativa del periculum libertatis) o che, in relazione al caso concreto, le
esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
Si aggiunga che ex 275,3bis, lo stesso giudice, nel caso applichi la custodia cautelare in carcere, dovrà indicare le
ragioni per cui non ritiene idonea (quando possibile) nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con
l’utilizzo dei dispositivi di controllo di cui all’art.275bis.

6. Altre applicazioni del principio di adeguatezza.


A parte quella già enunciata, vi sono altre possibili applicazioni del principio di adeguatezza:
-art.275,4 non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di una donna
incinta, di una madre con figli minori di 6 anni, di un padre qualora «la madre sia deceduta o assolutamente
impossibilitata a dare assistenza alla prole» o di una persona che abbia superato i 70 anni, salvo (eccezione) che
sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (in tal caso, a parte l’ipotesi dell’ultra settantenne, si disporrà
la custodia attenuata ex 285bis).
- 89 commi 1 e 2 DPR 309/1990 qualora ricorrano i presupposti per la custodia in carcere, ma non sussistono
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, e si tratti di imputati tossicodipendenti o alcoldipendenti sottoposti a
programma terapeutico di recupero, deve essere disposta la misura degli arresti domiciliari, allorché l’interruzione
del programma in atto potrebbe pregiudicare il loro recupero. La stessa disciplina vale nei confronti dell’imputato
tossicodipendente o alcoldipendente, già assoggettato a custodia cautelare, il quale intenda sottoporsi ad un
programma terapeutico di recupero, essendo in tale ipotesi prevista la sostituzione della misura carceraria con
quella degli arresti domiciliari. Nelle situazioni descritte, tuttavia, quando si procede per i delitti di rapina aggravata
o di estorsione aggravata, o comunque quando sussistono “particolari esigenze cautelari”, il provvedimento
applicativo degli arresti domiciliari è subordinato all’individuazione di una struttura residenziale per lo svolgimento
del programma di recupero. In ogni caso, l’applicabilità delle disposizioni appena richiamate è esclusa con
riferimento all’imputato per uno dei delitti di cui all’art. 4bis ord.pen., ad eccezione di quelli previsti dagli articoli
628,3 e 629,2 c.p., sempreché non siano ravvisabili “elementi di collegamento con la criminalità organizzata o
eversiva”.
- art.275,4bis non può essere disposta o mantenuta la custodia carceraria per gli imputati affetti da Aids
conclamata, da grave deficienza immunitaria o «da altra malattia particolarmente grave, a causa della quale le loro
condizioni di salute sono incompatibili con lo stato di detenzione o comunque tali da non consentire cure adeguate
in carcere» anche in tali ipotesi vi sono delle eccezioni: infatti il comma 4ter dell’art.275, qualora sussistano
“esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”, dovrà farsi regolarmente luogo a custodia cautelare presso strutture
sanitarie penitenziarie, ameno che l’adozione di tal misura non risulti possibile “senza pregiudizio per la salute
dell'imputato” o per quella “degli altri detenuti,” (in queste ultime eventualità, il giudice dovrà disporre gli arresti
domiciliari presso una casa di cura o, trattandosi di imputati affetti da Aids conclamata o da grave deficienza
immunitaria, presso le unità operative o gli altri luoghi indicati nello stesso comma 4ter)
- art.275,4quater in generale, pur ricorrendo le situazioni appena descritte, allorché il soggetto risulti imputato o
sia stato sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall'articolo 380 (delitti per il quale sia
obbligatorio l’arresto in flagranza), relativamente a fatti commessi dopo l'applicazione delle misure disposte ai sensi
dei commi 4bis e 4ter il giudice potrà comunque disporre la custodia cautelare in carcere, evidentemente allo scopo
di evitare gli inconvenienti altrimenti derivanti, soprattutto in rapporto al pericolo di reiterazione di determinati
reati, dal sostanziale riconoscimento a tali soggetti di una sorta di “immunità” rispetto alla custodia carceraria.
Quando così avvenga il comma 4quater specifica anche che l'imputato debba essere condotto in un istituto dotato di
reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie.
- art.275,4quinquies (tuttavia anche nei casi di cui sopra) quando la malattia si trova in uno stato così avanzato
da non rispondere più ai trattamenti disponibili ed alle terapie curative, la custodia cautelare in carcere non può più
essere disposta o mantenuta.
- art.276,1 in caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre
(potere discrezionale e non automatico) la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell'entità, dei
motivi e delle circostanze della violazione ciò significa che non ogni trasgressione dell’imputato alle prescrizioni
impostegli dovrà necessariamente dare luogo ad un nuovo provvedimento in chiave sostitutiva o cumulativa, ma
soltanto le trasgressioni che, per le loro caratteristiche oggettive e soggettive, siano tali da far ritenere non più
sufficiente l’originaria misura a fronteggiare la mutata situazione cautelare. In questo quadro l’art.276,1 precisa che
ove la trasgressione riguardi le prescrizioni inerenti a una misura interdittiva, il giudice possa disporre la sostituzione
o il cumulo anche con una misura coercitiva (compresa, se del caso, la custodia cautelare).
Si aggiunga che il comma 1ter dell’art.276 prevede che in caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti
domiciliari concernenti il divieto di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora, il giudice
disponga la revoca della misura e la sostituzione con la custodia cautelare in carcere, salvo che il fatto sia di lieve
entità valutazione caso per caso.
Altra ipotesi particolare di applicazione del principio enunciato al comma 1 dell’art.276 viene disciplinata, infine, nel
comma 1bis con riguardo al caso dell'imputato che, trovandosi nelle condizioni di salute di cui all'art. 275,4bis, sia
stata disposta una misura diversa dalla custodia cautelare in carcere infatti in tali ipotesi ed in caso di
trasgressione delle prescrizioni inerenti alla diversa misura cautelare si prevede che il giudice possa disporre – in
deroga al suddetto divieto – anche la misura della custodia cautelare in carcere, salva la prescrizione che il
medesimo venga condotto in un istituto dotato di reparto attrezzato per la cura e l'assistenza necessarie.

7. La salvaguardia dei diritti della persona sottoposta a misura cautelare


Tipica norma di garanzia per la posizione soggettiva dell'imputato è l'art.277 il quale stabilisce che le “le modalità di
esecuzione delle misure devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia
incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto”.

8. I criteri di determinazione della pena ai fini dell'applicazione delle misure.


Art.278: determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure stesse. È quindi prescritto che “agli
effetti dell'applicazione delle misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o
tentato, senza tener conto né della continuazione, né della recidiva (neanche se recidiva reiterata secondo le
SS.UU.) né delle circostanze del reato, fatta eccezione della circostanza aggravante prevista al n. 5 dell'art.61 c.p.
(l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la
pubblica o privata difesa) e della circostanza attenuante prevista dall'art.62 n.4 c.p. (l'avere, nei delitti contro il
patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno
patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l'avere agito per conseguire o
l'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l'evento dannoso e pericoloso sia di
speciale tenuità) nonché delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella
ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (secondo le SS.UU. nel caso di concorso di più circostanze
aggravanti ad effetto speciale deve tenersi conto, oltre che della pena stabilita dalla legge per la circostanza più
grave, anche dell’ulteriore aumento complessivo di 1/3 previsto dall’art.63,4 c.p. per le altre omologhe aggravanti
meno gravi). Si noti che tali criteri dell’art.278 risultano richiamati, grossomodo, dall’art. 379 per quanto concerne la
determinazione della pena ai fini dell’arresto in flagranza e del fermo.

9. Misure coercitive e misure interdittive.


Art.280: Le misure cautelari coercitive possono applicarsi soltanto «quando si procede per i delitti per i quali la legge
stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni». Questa regola ha delle
eccezioni. A parte quelle dettate con specifico riferimento a determinate misure lo stesso art.280,1 fa “salvo quanto
disposto dai commi 2 e 3” per cuila custodia cautelare in carcere può essere applicata esclusivamente quando si
proceda per delitti «consumati o tentati, per i quali sia prevista, la pena della reclusione non inferiore nel massimo a
5 anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti» (per evitare il sovraffollamento carcerario). Questo limite,
tuttavia, non opera «nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare» 
sicché potrà applicarsi la custodia carceraria, in forza del meccanismo sostitutivo ex 276, anche con riferimento ai
delitti punibili con pena detentiva superiore nel massimo a 3 anni sebbene inferiore a 5 anni.
Un'altra eccezione è stabilita dal medesimo art.280,1, che fa salvo anche quanto disposto «dall'art. 391». Il richiamo
va riferito al comma 5 dell’art.391, dove, nel disciplinare in via generale la cd. conversione dell’arresto in flagranza
o del fermo in “una misura coercitiva a norma dell’art.291”, ivi compresa la custodia in carcere, si dispone
espressamente che tale conversione possa avere luogo “anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli artt.274,1
lett.c e 280”, quando l'arresto «è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art 381,2», ovvero «per uno dei delitti
per i quali l'arresto è consentito anche fuori dei casi di flagranza»: dunque anche con riferimento a determinati
delitti punibili “con la reclusione non inferiore nel massimo a 3 anni”.
Ciò significa che, in ordine alle ipotesi delittuose contemplate dall’articolo 381,2, l’applicazione di una misura di
coercizione personale potrà configurarsi soltanto a seguito di conversione dell’arresto in flagranza (e lo stesso vale
anche nel caso di arresto “fuori flagranza”, quando si tratti di delitti punibili con pena inferiore ai limiti previsti
dall’art. 280), mentre non potrà trovare base nel potere coercitivo originariamente spettante al giudice.
Fin qui, dunque, la sfera di operatività della clausola di salvaguardia contenuta nell’art.280,1 con riferimento al
disposto dell’art.391,5 parrebbe ineccepibile, ed infatti tale era stato fino all’intervento del legislatore del 1995, che
nel comma 2 del suddetto art.280 ha circoscritto l’applicabilità della custodia in carcere esclusivamente a delitti
punibili con la “reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni” (termine diventato oggi di 5 anni). A questa
innovazione, tuttavia, non ha fatto riscontro alcuna corrispondente modifica all’interno del predetto art.391,5, nella
cui parte finale è rimasta intatta la già ricordata previsione derogatoria riferita all’intero disposto dell’art. 280, senza
alcuna distinzione tra misure coercitive di natura custodiale o non custodiale, e senza alcuna modifica circa la
portata di tale deroga rispetto ai delitti di cui all’art.381. Per conseguenza, nelle ipotesi ivi previste, l’applicazione
della custodia carceraria a seguito di convalida dell’arresto in flagranza continua ad essere consentita – anche al di
fuori dei limiti di pena prevista dall’art.280, nonché dall’art.274,1 lett. c – nei soli casi in cui l’arresto sia stato
eseguito a norma dell’art.381,2 (quantunque i delitti ivi elencati siano tutti punibili con la reclusione “non inferiore
nel massimo a 3 anni”), mentre risulta preclusa nei casi in cui l’arresto sia stato eseguito a norma dell’art.381,1,
ogniqualvolta si tratti di delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione in misura bensì “superiore nel
massimo a 3 anni”, ma “inferiore nel massimo a 5 anni”.
In questi ultimi casi, infatti, a causa della mancata predisposizione di una clausola derogatoria analoga a quella
contenuta nell’art.391,5, non può non operare il limite di applicabilità sancito, per la custodia in carcere, dal comma
2 dell’art.280, richiamato dall’art.274,1 lett. c. Senonché tutto ciò è palesemente assurdo, poiché, per effetto di un
simile difetto di coordinamento legislativo, esiste oggi nel sistema una fascia di situazioni rispetto alle quali
(sebbene riferite a delitti più gravi di quelli cui allude l'art.381,2), pur dopo la convalida dell'arresto in flagranza, non
potrà essere applicata la misura custodiale nei confronti dell'arrestato, nonostante l'accertamento dei presupposti
cautelari idonei a legittimarne l'applicazione ex 391,5. Ne deriva una disparità di disciplina del tutto irragionevole ma
difficilmente superabile in via interpretativa.
Quanto al resto, non risultando ammessa nessuna ulteriore deroga, il limite stabilito dall'art. 280 deve ritenersi
operante per tutte le altre misure coercitive, ivi comprese le più blande, com'è ad esempio il divieto di espatrio.

10. La tipologia delle misure coercitive ed il principio di gradualità.


Tra le varie misure coercitive previste dal codice si instaura, in base al principio di gradualità, una ideale gerarchia
basata sulla progressiva afflittività delle stesse. Tra le misure coercitive si collocano il divieto di espatrio (281),
l'obbligo di presentazione periodica agli uffici di PG (282), l'allontanamento dalla casa familiare (anche con
braccialetto elettronico) (282bis), il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ovvero suoi
congiunti o conviventi (disposizione introdotta nel 2009, dopo l’introduzione del reato di atti persecutori, ossia di
stalking) (282ter), le misure del divieto e dell'obbligo di dimora, che consta nel divieto di non allontanarsi per alcune
ore dalla propria casa (283), e rappresenta l’attenuante degli arresti domiciliari.
Art.282-quater: prevede che le decisioni relative all’allontanamento dalla casa familiare e al divieto di
avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa siano comunicate all’autorità di pubblica sicurezza
competente nonché alla persona offesa e ai servizi socioassistenziali del territorio. Per contro, è altresì previsto
che il responsabile del servizio comunichi agli organi del procedimento cautelare (PM e giudice) l’esito positivo del
programma di prevenzione della violenza cui l’imputato si sia sottoposto, e ciò al fine di consentire la valutazione
della sussistenza delle condizioni per la sostituzione della misura ai sensi dell’art. 299,2. Con una previsione, poi, di
raccordo con la nuova disciplina dell’ordine di protezione europeo di cui al d.lgs. 9/2015, il comma 1bis dello stesso
articolo prevede che la persona offesa, con la comunicazione del provvedimento, sia informata della facoltà di
richiedere al giudice della cautela l’adozione di una decisione di estendere gli effetti della misura preventiva al
territorio di altro Stato dell’UE in cui la persona protetta risiede o soggiorni.
Con riguardo, invece, all'obbligo di dimora va sottolineata l’attribuzione al giudice del potere di imporre all'imputato
- oltre alla prescrizione tradizionale di non allontanarsi, senza la prevista autorizzazione, dal territorio del Comune di
dimora abituale, o di un comune di viciniore, ovvero da una frazione di tali comuni – anche quella di «non
allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno, senza pregiudizio per le normali esigenze di lavoro.
Quest’ultima prescrizione risulta analoga, seppur circoscritta entro limiti temporali piuttosto rigidi, a quella in cui si
sostanzia la misura degli arresti domiciliari (284), rispetto alla quale l'obbligo dell'imputato «di non allontanarsi dalla
propria abitazione», o dagli altri luoghi consentiti (ovvero un altro luogo di privata dimora, un luogo pubblico di
cura o assistenza ovvero, ove istituita, una casa famiglia protetta), può risultare attenuato soltanto dalla
autorizzazione del giudice «ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto, per il tempo strettamente
necessario» a provvedere ad «indispensabili esigenze di vita», ovvero per esercitare una attività lavorativa, nel
caso di «assoluta indigenza».
Nonostante le analogie con l’obbligo di dimora ed il relativo obbligo di non allontanarsi, solamente l'imputato agli
arresti domiciliari «si considera in stato di custodia cautelare» (284,5) soltanto quest'ultimo soggetto, costretto a
rimanere nella propria abitazione, potrà usufruire dei vantaggi derivanti dalla suddetta equiparazione: in particolare
con riferimento alla disciplina dei termini massimi di custodia, nonché al meccanismo di scomputo della durata
della misura domiciliare dalla durata della pena. Si noti, poi, che nell’attuale codice gli arresti domiciliari vengono
configurati quale autonoma misura di coercizione domiciliare alternativa alla custodia, anziché quale modalità
esecutiva extracarceraria della custodia cautelare, come nel sistema previgente.
Per quanto riguarda la concedibilità degli arresti domiciliari il comma 5-bis dell'art.284 prevede un limite soggettivo
i termini di divieto nei confronti degli imputati già condannati (con sentenza irrevocabile) per il reato di evasione
nei 5 anni precedenti al fatto per cui si procede, a meno che il giudice ritenga, sulla base di specifici elementi, che il
fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con tale misura.
Una recente disciplina, consacrata nell'art. 275bis, prevede la possibilità di subordinare la misura degli arresti
domiciliari all'assoggettamento dell'imputato a particolari «procedure di controllo» da attuarsi mediante «mezzi
elettronici o altri strumenti tecnici»: si allude al c.d. "braccialetto elettronico". Più precisamente, il giudice, nel
disporre la misura degli arresti domiciliari «anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere», può
prescrivere l‘adozione delle suddette «procedure di controllo» elettronico, salvo che le ritenga non necessarie in
relazione alle esigenze cautelari del caso concreto e sempre che vi sia la disponibilità della strumentazione da parte
della PG. Se l'imputato neghi il proprio consenso a sottoporsi ai relativi «mezzi e strumenti», il giudice applicherà la
custodia cautelare in carcere.

11. Le forme della custodia cautelare.


La custodia in carcere (285) non presenta grandi novità dal punto di vista dei contenuti, trovando base nel
provvedimento con cui il giudice dispone che l'imputato «sia catturato ed immediatamente condotto in un istituto
di custodia per rimanervi a disposizione dell'autorità giudiziaria» (285,1). A questo si aggiunge la garanzia per cui
“prima del trasferimento nell'istituto la persona sottoposta a custodia cautelare non può subire limitazione della
libertà, se non per il tempo e con le modalità strettamente necessarie alla sua traduzione” (285,2). Quando, poi, si
tratti di un imputato in stato di infermità di mente tale da incidere gravemente sulla sua capacità di intendere e di
volere, si prevede che il giudice possa disporne – in luogo della custodia carceraria – la custodia cautelare non
carceraria mediante ricovero provvisorio in una idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero, adottando
ogni accorgimento necessario per prevenirne il pericolo di fuga (286) (una tale disciplina potrebbe soddisfare anche
le esigenze dell’istituto dell’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza per le quali attualmente è prevista
una disciplina autonoma).
L’articolo 285bis, riferendosi alla situazione descritta dall’articolo 275,4 (ossia la sussistenza di esigenze cautelari di
eccezionale rilevanza che fanno venire meno il divieto, altrimenti operante, di disporre o mantenere la custodia
cautelare in carcere dell’imputato che sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a 6 anni con lei
convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla
prole), consente al giudice di disporre la custodia presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri,
sempre che le esigenze cautelari accertate nello specifico caso lo consentano.
Relativamente agli imputati che si trovino nelle gravi condizioni di salute descritte dall’art. 275,4bis, l’art. 286bis,3
stabilisce che il giudice può disporne il ricovero provvisorio in una adeguata struttura del SSN «per il tempo
necessario», adottando, nel contempo, ove occorra, i provvedimenti «idonei a evitare il pericolo di fuga». Dopo di
che, una volta cessate le esigenze del ricovero, il giudice provvederà ex 275 a seconda dei casi, o ripristinando la
custodia in carcere, o disponendo gli arresti domiciliari ex 275,4ter o pronunciando uno dei provvedimenti previsti
dall’art.299.
Tornando alle disposizioni comuni alle misure di custodia cautelare, sia in carcere sia in luogo di cura, va ricordato,
infine, il principio relativo alla computabilità per una sola volta della durata delle stesse (oltreché, in forza della
ricordata equiparazione, del periodo trascorso dall'imputato agli arresti domiciliari) ai fini della determinazione
della pena da eseguire ai sensi dell’art.657. E lo stesso principio viene espressamente esteso anche alle ipotesi di
custodia cautelare subita all’estero a seguito di una domanda di estradizione, ovvero nel caso di rinnovamento del
giudizio previsto dall’art.11 cp (285,3).
Deve infine ricordarsi che quando viene esercitata l'azione penale o venga applicata una custodia cautelare nei
confronti di pubblici impiegati o ecclesiastici o religiosi del culto cattolico, l'autorità procedente deve darne apposita
informazione alle autorità pubbliche, ovvero all'autorità ecclesiastica (129 disp. att.).

12. La tipologia delle misure interdittive.


Anche le misure interdittive, come quelle coercitive, possono essere applicate solamente quando si procede per
delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 3 anni. Tuttavia,
in tale ambito vi sono svariate deroghe in rapporto a quanto previsto da disposizioni particolari (287) ovvero a
quanto previsto dalle singole disposizioni concernenti le diverse misure, ovvero con riferimento a determinate
figure delittuose.
Circa la tipologia delle misure interdittive vengono disciplinate, in particolare, la sospensione dall'esercizio della
potestà dei genitori (288); la sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, peraltro non applicabile
agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare (289); ed infine il divieto temporaneo di esercitare
determinate attività professionali o imprenditoriali, ovvero determinati uffici direttivi delle persone giuridiche o
delle imprese (290) si riecheggia il modello di alcune pene accessorie
Quanto ai criteri di scelta delle misure interdittive, per le quali valgono, ovviamente, i soliti princìpi di adeguatezza e
di proporzionalità enunciati in via generale nell'art. 275, e le esigenze cautelari di cui all'art 274, va ricordata
l'ulteriore possibilità offerta al giudice di dare più specifica attuazione a tali principi – secondo la logica del
«sacrificio minimo» – attraverso la applicazione soltanto parziale della misura prescelta. Infatti, le diverse
disposizioni dettate al riguardo, facendo leva sulla formula «in tutto o in parte» (288-290), consentono che
l'incidenza della misura stessa possa essere in concreto limitata esclusivamente a una parte della potestà ovvero a
un settore o a una parte dell’attività. In tale ambito va ricordato nella prospettiva di un opportuno collegamento tra
l’iniziativa del giudice procedente e l’esercizio dei corrispondenti poteri attribuiti ad organi amministrativi, che ai
sensi dell’art. 293,4 ogni ordinanza che applichi una misura interdittiva dev’essere trasmessa in copia all’organo
eventualmente competente a disporre l’interdizione.

13. I profili formali dei provvedimenti cautelari.


Art.291 comma 1: viene ribadita la regola per cui la competenza a disporre le misure cautelari appartiene al giudice
(organo decidente), il quale provvede sempre su richiesta del PM (organo richiedente) (a parte quanto si è detto a
proposito dell'art.275,2ter, una iniziativa ex officio del giudice è prevista dall'art.299,3 soltanto in materia di
revoca o di sostituzione di misure già applicate). In particolare, il PM dovrà fornire al giudice non solo «gli elementi
su cui la richiesta si fonda», ma anche tutti gli altri «elementi a favore dell'imputato» (tra i quali rientrano sia quelli
acquisiti dallo stesso PM, sia quelli pervenutigli a seguito dell'attività investigativa eseguita dal difensore), nonché le
eventuali «deduzioni e memorie difensive già depositate».
Comma 2: viene previsto che nel caso in cui il giudice destinatario della suddetta richiesta riconosca per qualsiasi
causa la propria incompetenza, ma accerti comunque l'urgenza di provvedere sotto il profilo cautelare, egli stesso
dovrà disporre la misura richiesta con il medesimo provvedimento declinatorio di competenza la misura così
applicata sarà caducata qualora, entro 20gg dalla trasmissione degli atti al giudice competente, questi non la
«confermi» con proprio autonomo provvedimento (27).
La richiesta formulata dal PM, necessaria ad attivare l'esercizio del potere cautelare del giudice, non è tuttavia
vincolante per quel che concerne la tipologia della misura oggetto della richiesta stessa: il giudice può, infatti,
disporre anche una misura cautelare meno grave di quella richiesta; non, invece, una misura più grave, per la quale
mancherebbe qualunque iniziativa PM questo per rafforzare la posizione del giudice, quale organo decisorio in
materia de libertate, rispetto al PM.
Comma 2-bis: il PM – in caso di «necessità o urgenza» - può chiedere al giudice, nell'interesse della persona offesa,
l'applicazione di una delle «misure patrimoniali provvisorie» previste dall'art.282bis,3.
Essendo il provvedimento cautelare un tipico atto “a sorpresa”, il procedimento di adozione non prevede
l’instaurazione del contraddittorio con l’imputato sulle richieste del PM il giudice provvede infatti inaudita altera
parte. L’unica eccezione è rappresentata dalla sospensione dall’esercizio di un pubblico servizio o ufficio, per la
quale il codice prescrive al giudice di procedere, prima di provvedere, all’interrogatorio dell’indagato di un delitto
contro la PA (a meno che l’interdizione sia disposta in luogo di una misura coercitiva richiesta dal PM: 289,2). Al
riguardo la Corte costituzionale, chiamata a valutare la ragionevolezza del trattamento maggiormente garantito, qui,
rispetto a tutti gli altri interventi cautelari, ha escluso la sussistenza della denunciata violazione degli artt.3 e 24
Cost., ritenendo l’ampliamento delle tutele giustificato dal quid pluris dell’esigenza di verificare anticipatamente che
la sospensione non rechi pregiudizio, senza effettiva necessità, alla continuità della funzione del servizio pubblico.
Senonché si pongono 2 ordini di contraddizioni: la prima, allorquando le stesse esigenze non si pongono quando il
pubblico ufficiale incaricato di un pubblico servizio sia destinatario di una richiesta per altre misure coercitive che
ugualmente inibiscano lo svolgimento della funzione o del servizio; la seconda, nasce dalla poco giustificata
differenza relativa alla modulazione del procedimento, che non impone l’instaurazione del contraddittorio
“anticipato” in ogni ipotesi in cui si pervenga alla sospensione dall’esercizio di un pubblico esercizio o ufficio, ma solo
quando il PM avanzi la richiesta interdittiva e questa venga concessa (infatti non si dà luogo a contraddittorio nel
caso in cui il PM richieda una misura cautelare più severa [coercitiva] ed il giudice conceda poi quella minore
[interdittiva]).
Quanto agli aspetti formali del provvedimento del giudice, si tratterà, di regola, di una ordinanza, la quale dovrà
contenere a pena di nullità, anche rilevabile d’ufficio, una serie di requisiti elencati dall'art.292, ossia:
a) le generalità dell'imputato o quanto altro valga a identificarlo;
b) la descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate;
c) motivazionel'esposizione e l'autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari (periculum libertatis) e
degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta (fumus commissi delicti), con l'indicazione degli elementi
di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso
dalla commissione del reato (il richiamo all’autonoma valutazione è finalizzato all’evitare escamotages elusivi
dell’obbligo del giudice di compiere un effettivo apprezzamento delle ragioni della tutela espresse dal PM in sede di
richiesta: in sostanza, la norma esige che la motivazione del provvedimento dia conto, anche nel caso in cui il giudice
condivida le valutazioni della procura, del percorso argomentativo seguito “autonomamente” per giungere alla
decisione il che esclude il ricorso a pratiche (effettivamente diffuse) di compilazione dei provvedimenti con la
tecnica del “copia incolla” dei testi della richiesta cautelare [a loro volta spesso riproduttivi dei contenuti delle note
informative redatte dalla PG]le SS.UU. hanno tuttavia ammesso la motivazione per relationem purché il giudice
dimostri di aver preso cognizione delle ragioni dell’atto, di aver meditato su quelle ragioni e di averle ritenute
coerenti con la propria decisione);
c-bis) l'esposizione e l'autonoma valutazione (dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi
forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l'esposizione
delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all'articolo 274 non possono essere soddisfatte
con altre misure; questa lettera c-bis è stata inserita nel 1995, aggravando l’onere motivazionale. È stato inoltre
previsto che il giudice non possa limitarsi all’esposizione degli elementi sopra indicati, ma debba esplicitare la
propria autonoma valutazione degli stessi, per evitare tecniche di copia incolla dei testi della richiesta cautelare.
d) la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta
al fine di garantire l'esigenza cautelare di cui alla lettera a) del comma 1 dell'art. 274 (cioè l’acquisizione e la
genuinità della prova) tale prescrizione è evidentemente funzionale alla specifica disciplina della estinzione delle
misure disposte «per esigenze probatorie» e della loro eventuale rinnovazione ex art. 301 commi 1 e 2, oltreché al
peculiare regime della durata della custodia cautelare disposta per le medesime esigenze, quale risulta dai nuovi
commi 2bis e 2ter del predetto art. 301);
e) la data e la sottoscrizione del giudice.
Va ricordato che tra gli obblighi di motivazione rientra anche quello inserito nell’art.275,3bis – relativo alla scelta
della misura carceraria: il giudice deve infatti indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto
la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275bis,1.
Tutti i requisiti indicati nell’art.292,2 sono stabiliti a pena di nullità (non così quelli indicati nel comma 2bis e
neppure quello di cui all’art. 275,3bis) e questa nullità definita come rilevabile anche d’ufficio, in assenza di altre
specifiche disposizione deve ritenersi, per il resto, assoggettata alle regole generali di deducibilità e di sanatoria ex
art. 181-183. È indubbio, tuttavia, che l’eventuale verificarsi di una sanatoria non potrebbe mai precludere il
successivo funzionamento del meccanismo di revoca della misura applicata, ai sensi dell’art. 299, ogni qualvolta
fosse accertata la mancanza (originaria o sopravvenuta) delle condizioni di applicabilità o delle esigenze cautelari
prescritte a fondamento della misura stessa.
Un’altra nullità risulta prevista nel comma 2ter dell’art.292, con riferimento all’ipotesi dell’ordinanza che non
contenga la valutazione degli elementi “a carico e a favore dell’imputato”, questi ultimi individuabili come quelli “di
cui all’art. 358, nonché all’art. 327bis”. A ben vedere si tratta però di una previsione che nulla aggiunge sul piano
degli obblighi imposti al giudice, a quanto già prescritto dal precedente comma 2 lett.c e c-bis, mentre è quanto
meno singolare che il trattamento sanzionatorio si esprima attraverso la combinatoria di una nullità per la quale non
è sancita, diversamente dal 2 comma, la rilevabilità d’ufficio (scelta incomprensibile sul piano tecnico).
Tutto ciò premesso, occorre aggiungere che quanto precede va necessariamente coordinato con la successiva
disciplina del procedimento di riesame. Più precisamente con le previsioni dell’art. 309,6 (che non prescrive
l’allegazione di motivi a pena di inammissibilità della richiesta di riesame, consentendone altresì l’enunciazione
davanti allo stesso giudice del riesame), e, soprattutto, dell’art. 309,9 (secondo cui, tra l’altro, tribunale competente
per il riesame può annullare il provvedimento impugnato anche sulla sola base degli elementi addotti dalle parti nel
corso dell’udienza, e addirittura anche per motivi diversi da quelli enunciati). L’una e l’altra palesemente dirette, in
coerenza con la configurazione del riesame come strumento di controllo a tutto campo dei provvedimenti de
libertate, ad affrancare il tribunale da qualunque condizionamento nella declaratoria della nullità delle ordinanze
sottoposte a riesame (sempreché non si tratti di nullità sanabili dallo stesso tribunale, ad esempio attraverso
provvedimento di conferma dell’ordinanza impugnata, anche per ragioni diverse da quelle indicate nella
motivazione della medesima).

14. Gli adempimenti esecutivi e le garanzie difensive.


Una volta emessa, l'ordinanza che dispone una misura cautelare è trasmessa dalla cancelleria del giudice all'organo
che ne deve dare esecuzione, ossia, nella fase delle indagini preliminari, al PM, che ne curerà l'esecuzione. L'art.293
prevede tutti gli adempimenti diretti a dare esecuzione alle ordinanze in argomento e, in particolare, gli
adempimenti che assicurino l'esercizio della difesa.
Al riguardo per ottemperare alle prescrizioni della direttiva 2012/93/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti
penali, l’art.1 d.lgs. 101/2014 ha modificato il comma 1 dell’art.293, inserendovi l’obbligo per l'ufficiale o l'agente
incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare, di consegnare all'imputato (a meno che non
sia già detenuto in forza di altro titolo e quindi si applicherà l’art. 156 relativo alle notificazioni all'imputato
detenuto) copia del provvedimento unitamente a una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, per
l'imputato che non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informa dei suoi
diritti difensivi, cioè:
a) della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi
previsti dalla legge;
b) del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa;
c) del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali;
d) del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere;
e) del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento;
f) del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari;
g) del diritto di accedere all'assistenza medica di urgenza;
h) del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria non oltre 5gg dall'inizio dell'esecuzione, se la misura
applicata è quella della custodia cautelare in carcere ovvero non oltre 10gg se la persona è sottoposta ad altra
misura cautelare;
i) del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio, di impugnare l'ordinanza che dispone la
misura cautelare e di richiederne la sostituzione o la revoca.
Comma 1-bis: qualora la comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile
all'imputato, le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo,
comunicazione scritta all'imputato. Comma 1-ter: prevede inoltre che l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire
l'ordinanza informi immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio
designato a norma dell'art.97 e rediga verbale di tutte le operazioni compiute, facendo menzione della consegna
della comunicazione scritta o dell'informazione orale. Verbale che sarà immediatamente trasmesso al giudice che ha
emesso l'ordinanza e al PM.
Grande importanza assume altresì la disposizione contenuta nel comma 3 dell’art.293, dove si prevede che le
suddette ordinanze, una volta notificate o eseguite, siano depositate in cancelleria (sia ai fini di un più consapevole
esercizio del diritto di difesa nell’interrogatorio previsto dall’art.294, sia anche ai fini delle eventuali impugnazioni) –
e di tale deposito sia notificato avviso al difensore dell’imputato – insieme alla richiesta del PM e agli atti presentati
con la stessa a norma dell’art.291,1  in tal modo si è aperta una breccia, a favore della difesa, nella cortina di
segretezza che in precedenza ricopriva, anche dopo l’adozione del provvedimento, il complesso degli elementi
addotti dal PM a corredo della propria richiesta4 di conseguenza, ne risulta ampliata anche l’area di potenziale
esplicazione dell’attività difensiva a tutela dell’imputato sottoposto alla misura cautelare. Tanto più a fronte del
diritto riconosciuto allo stesso difensore non solo di prendere visione, ma anche di estrarre copia oltreché
dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, anche della suddetta richiesta del PM e degli atti presentati a
corredo della medesima; ed inoltre del diritto di ottenere copia delle registrazioni di conversazioni intercettate, le
quali siano state poste alla base del provvedimento cautelare, sebbene in precedenza non depositate insieme alla
relativa richiesta, e quindi nemmeno successivamente depositate a disposizione del difensore.
Mentre le ordinanze applicative della custodia cautelare vengono materialmente eseguite con la consegna
all'imputato di copia del provvedimento e con il suo immediato trasferimento, se del caso manu militari (“cattura”)
in un istituto di custodia a disposizione dell'AG, le ordinanze applicative delle misure cautelari non custodiali sono ex
art.293,2 semplicemente notificate all'imputato secondo i modi ordinari. Per quanto concerne, in particolare, le
ordinanze relative alla custodia cautelare viene inoltre espressamente stabilito che l'organo di polizia incaricato
dell'esecuzione avverta l'imputato della facoltà di nominare un difensore di fiducia, e quindi informi
immediatamente il difensore così nominato, ovvero quello designato d'ufficio ai sensi dell'art.97. Circa la procedura
da seguire nel caso in cui il destinatario della misura non venga rintracciato, l’art.295 prevede la redazione del
verbale di vane ricerche da parte del competente organo di polizia, e la successiva dichiarazione dello stato di
latitanza dell'imputato ad opera del giudice che tali ricerche abbia ritenuto esaurienti.
Quanto alla disciplina della latitanza (da intendersi quale volontaria sottrazione non solo ad un ordine di
carcerazione ovvero ad una misura di custodia cautelare, ma anche agli arresti domiciliari, all’obbligo di dimora ed al
divieto di espatrio), va ricordata nell’art. 296 la regola, di chiaro segno garantistico, volta a circoscrivere l’operatività
dei suoi effetti al solo “procedimento penale nella quale è stata dichiarata”.
La previsione di maggiore risalto, tuttavia, è quella che autorizza il giudice o il PM ad utilizzare lo strumento della
intercettazione di conversazioni o di comunicazioni telefoniche, nonché di altre forme di telecomunicazione, nei
limiti degli artt. 266 e 267, anche allo scopo di «agevolare le ricerche del latitante» (295,3).
Inoltre ex 295,3bis può farsi luogo anche alla intercettazione di comunicazioni tra persone presenti, quando si tratti
di latitanti in relazione ad uno dei delitti di criminalità mafiosa previsti dall'art. 51,3bis, ovvero ad uno dei gravi delitti
di natura terroristica od eversiva previsti dall'art. 407,2 lett. a n. 4; e in questo caso senza il limite previsto per le
intercettazioni ambientali nel domicilio dall’art. 266,2, trattandosi di limite già derogato in via generale con riguardo
ai delitti di criminalità organizzata. Allo stesso scopo, d'altro lato, si è stabilito che possa procedersi, anche ad
iniziativa di ufficiali di PG, alla perquisizione locale di interi edifici o di blocchi di edifici, dove vi sia fondato motivo di
ritenere che siano rifugiati dei latitanti in relazione ad uno dei suddetti delitti di criminalità mafiosa o per un delitto
commesso con finalità di terrorismo, salvo in ogni caso il successivo intervento di controllo da parte dell’AG, che
dovrà esserne informata al più tardi entro 12 ore dall’operazione.
Ancora in materia di adempimenti collegati alle misure di custodia cautelare deve tenersi presente la disciplina
speciale relativa alle “operazioni sotto copertura” dettata nell’art. 9 l. 146/2006 in particolare stando al comma 7,
l'AG può, con decreto motivato, ritardare l'esecuzione dei provvedimenti applicativi di una misura cautelare
(oltreché del fermo di indiziati, dell’ordine di esecuzione di pene detentive o dei decreti di sequestro) quando ciò sia
necessario per acquisire rilevanti elementi probatori in ordine a gravi delitti tipici della criminalità organizzata,
eversiva o terroristica, ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti concernenti sostanze
stupefacenti previsti dagli artt. 73 e 74 dal DPR 309/1990.
Quanto agli aspetti più propriamente operativi connessi all’esecuzione della misura di custodia, ed alla conseguente
traduzione di persone in stato detentivo l’art. 42bis,4 ord.pen. dispone che debba essere adottata ogni opportuna
cautela per proteggere tali persone dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare ad
esse inutili disagi: ad es. riprese televisive. In analogo ordine di idee l’art. 42bis,5 ord.pen. Stabilisce che, almeno
nelle traduzioni individuali, l’uso delle manette ai polsi sia obbligatorio soltanto quando lo richiedano la pericolosità
del soggetto, o il pericolo di fuga, o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione, mentre in ogni
diverso caso l’uso delle manette o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato.

Alla tematica degli adempimenti necessariamente successivi all'esecuzione della misura della custodia cautelare in
carcere appartiene anche l'istituto dell'interrogatorio dell'indiziato (cd. interrogatorio di garanzia). Interrogatorio
che l’art. 294,2 affida, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, al giudice che ha deciso sull'applicazione
della misura cautelare – sempreché il medesimo giudice non vi abbia già proceduto ex 391,3 nel corso dell'udienza
di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo – prescrivendone l’effettuazione «immediatamente e comunque
non oltre 5 giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia», a meno che l'indiziato stesso sia assolutamente
impedito (nel qual caso il giudice dovrà darne atto con decreto motivato, ed il termine decorrerà di nuovo dalla
notizia di cessazione dell’impedimento).
A parte il rilievo riduttivamente attribuito alle sole eventualità di “assoluto impedimento” relativo all’indiziato,
l’istituto rappresenta un pilastro delle garanzie previste per la persona colpita dal provvedimento di custodia. E
proprio questa peculiare funzionalità difensiva del corrispondente interrogatorio consente altresì di spiegare senza
difficoltà l’attribuzione della relativa competenza, con riguardo ai provvedimenti emessi prima dell’esercizio
dall’azione penale (279), al giudice delle indagini preliminari (in quanto, per l’appunto, organo di controllo e di
garanzia riguardo ai provvedimenti incidenti sulla libertà personale), anziché al PM, cui nel corso delle stesse
indagini sono conferiti compiti di natura eminentemente investigativa. Successivamente la medesima competenza
spetterà, se del caso, al giudice dell’udienza preliminare; mentre, qualora la misura cautelare sia stata disposta dalla
corte d’assise, ovvero dal tribunale (nelle ipotesi previste dall’art. 91 disp. att.), all’interrogatorio dovrà procedere,
ex art. 294,4bis, il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato.
In virtù del comma 1-bis dell'art.294 un analogo interrogatorio di garanzia è inoltre previsto nei confronti di
qualunque persona sottoposta a «misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva», diversa dalla custodia in carcere
con l'ulteriore precisazione che il predetto adempimento debba essere assolto «non oltre 10gg dall'esecuzione del
provvedimento o dalla sua notificazione». Anche in questo caso l’eventuale inosservanza di tale più ampio termine
produce la perdita di efficacia della corrispondente misura.

15. L’interrogatorio della persona in stato di custodia


Art.294: interrogatorio dell’indiziato è possibile fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento ed è
effettuato dallo stesso giudice che ha deciso sull’applicazione della misura cautelare (salva per il medesimo, nel caso
di interrogatorio da compiersi in altre circoscrizioni, la facoltà di richiederne l’assunzione al giudice del luogo). Tale
atto deve svolgersi secondo le regole generali previste (64 e 65), e deve essere ex 141bis documentato
integralmente (quando si tratti di persona in stato di detenzione) mediante appositi strumenti di riproduzione
fonografica o audiovisiva, a pena di inutilizzabilità probatoria dei risultati dell’atto l’interrogatorio non
documentato, se per il resto è valido, è cmq idoneo ad integrare tutte quelle fattispecie che lo configurano come
presupposto necessario per il prodursi di determinati effetti: es. evitare il verificarsi della caducazione della misura
custodiale, altrimenti sancita dall’art.302.
Quanto ai soggetti dell’interrogatorio, premesso che esso è condotto dal giudice, è prevista una facoltà di
intervento del PM e l’obbligo del difensore, ai quali viene dato tempestivo avviso.
L’interrogatorio deve essere effettuato immediatamente e comunque non oltre 5gg dall’inizio dell’esecuzione della
custodia (durante il quale il GIP dietro richiesta del PM può dilazionare l’esercizio del diritto a conferire col proprio
difensore in caso di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela]), a meno che l’indiziato stesso sia assolutamente
impedito (nel qual caso il giudice ex comma 2 dovrà darne atto con decreto motivato, ed il termine decorrerà di
nuovo dalla notizia della cessazione dell’impedimento). Ex 294,1bis se la persona è sottoposta ad altra misura
cautelare, sia coercitiva che interdittiva, l'interrogatorio deve avvenire non oltre 10 gg dalla esecuzione del
provvedimento o dalla sua notificazione.
Circa il contenuto di garanzia dell’interrogatorio, il quale dev’essere preceduto ex comma 294,1bis dalla verifica
che all'imputato in stato di custodia cautelare in carcere o agli arresti domiciliari sia stata data la comunicazione
scritta o cmq orale sui suoi diritti difensivi, dovendo il giudice in caso contrario provvedere a dare o a completare la
comunicazione o l'informazione in oggetto, il comma 3 dispone che il giudice deve valutare se permangono le
condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari richieste per l’assoggettamento a custodia ex 273,274 e 275, alla
luce degli elementi che gli vengono forniti dall’indiziato nuova valutazione in base ai risultati di tale controllo, il
giudice provvederà anche d’ufficio ex 299,3 alla revoca o alla sostituzione della misura disposta. Secondo le SS.UU.
tale interrogatorio è viziato da nullità (e quindi inidoneo ad evitare l’effetto caducatorio ex 302) allorquando non sia
preceduto dal deposito nella cancelleria del giudice, ex 293,3, dell’ordinanza cautelare e degli altri atti ivi indicati.
Questa configurazione dell’interrogatorio in chiave garantista spiega anche il meccanismo di caducazione
disciplinato dall’art.302 il quale stabilisce che la custodia cautelare disposta fino alla dichiarazione di apertura del
dibattimento perde immediatamente efficacia ogniqualvolta il giudice non procede all’interrogatorio entro il
termine ex 294 di 5gg lo stesso vale, dopo un intervento della Corte Cost. con riguardo alle altre misure coercitive
o interdittive con riguardo al termine di 10gg previsto in questi casi per effettuare l’interrogatorio. Lo stesso art.302
continua poi precisando che, una volta avvenuta la liberazione dell’indiziato, lo stesso potrà di nuovo essere
sottoposto a custodia cautelare, su richiesta del PM, sempreché ne ricorrano i presupposti, soltanto dopo che sia
stato interrogato in stato di libertà. Inoltre, la custodia può comunque essere ripristinata quando l’indiziato
stesso, dopo essere stato posto in libertà, si sia sottratto all’interrogatorio senza addurre alcun giustificato motivo.
Non sarà, invece, necessario il previo interrogatorio in caso di una nuova emissione di misura cautelare, a seguito di
dichiarazione di inefficacia di quella precedente, per il mancato rispetto dei termini del procedimento di riesame
infatti in questo caso a differenza di quello di cui all’art.302,2, l’imputato ha già avuto la chance dell’interrogatorio
nel corso della procedura esecutiva del primo provvedimento.
Tornando all’art.294 il nuovo comma 6 prevede ora che l’interrogatorio della persona in stato di custodia da parte
del PM non può precedere l’interrogatorio del giudice norma poco razionale salvo la spiegazione che il legislatore
diffidi dell’attività di indagine del PM tuttavia, al fine di compensare questo divieto di anticipazione, è previsto dal
comma 1ter che qualora il PM ne faccia istanza nel presentare la richiesta di custodia, il giudice è tenuto ad
effettuare l’interrogatorio entro 48 ore dall’inizio della custodia.
Difficilmente un tale accorgimento potrà giovare nell’effettiva urgenza non è azzardato immaginare che in
eventualità del genere i magistrati del pubblico ministero preferiranno ricorrere, appena se ne verifichino i
presupposti, allo strumento del fermo di indiziati a seguito del quale il PM continua ad essere legittimato ad
interrogare l’indiziato sottoposto a fermo (come pure la persona arrestata in flagranza ex 388), prima che il
medesimo possa essere interrogato dal giudice nell’ambito del successivo procedimento di convalida. È, infine, da
escludere che se il giudice non riesca ad effettuare il suddetto interrogatorio entro le 48 ore ne consegua la
caducazione della custodia cautelare ex 302, dovendosi tale conseguenza ricondurre solamente al mancato rispetto
del termine ordinario.
16. Il computo dei termini di durata delle misure
L’art.297 commi 1 e 2 dispone che gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura,
dell’arresto o del fermo, mentre gli effetti delle altre misure decorrono dal momento della notifica della relativa
ordinanza. L’art.297 disciplina l’ipotesi della pluralità di provvedimenti applicativi della medesima misura a carico
del medesimo imputato. Quando tali provvedimenti riguardano lo stesso fatto (anche se diversamente
circostanziato o qualificato), ex comma 3 i termini decorrono dal giorno in cui è stato eseguito o notificato il primo
provvedimento, ma sono commisurati in rapporto all’imputazione più grave tra quelle contestate con le diverse
ordinanze non si tiene quindi conto dell’eventualità che nel corso delle indagini, l’originaria imputazione sia stata
modificata in melius, con ovvie possibili ripercussioni sui termini di durata della custodia e delle altre misure
cautelari.
Tale regola della simultanea decorrenza dei termini di durata delle distinte misure cautelati applicate attraverso
successive ordinanze, è stata poi estesa anche all’ipotesi in cui le suddette ordinanze facciano riferimento a fatti
diversi, purché ricorrano 2 condizioni: tra tali fatti vi deve essere un rapporto di connessione descritto dall’art. 12
lett. b (caso del concorso formale di reati e del reato continuato) o dall’art. 12 lett. c (limitatamente al caso di reati
“commessi per eseguire gli altri”) e purché si tratti di fatti commessi anteriormente all’emissione della prima
ordinanza.
In ipotesi del genere, l’unica deroga alla retrodatazione del dies a quo per il computo dei termini di durata della
misura disposta con le ordinanze conseguenti alla prima è quella che si ricava dall’ultima parte del comma 3, stando
alla quale non si applica in rapporto alle ordinanze emesse per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a
giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione a norma del medesimo comma 3. Ne consegue che ,
per l’operatività delle regola in questione, è sufficiente che i “fatti diversi”, contestati con le ordinanze ulteriori,
applicative della medesima misura nei confronti dello stesso imputato, risultassero “desumibili dagli atti” nel
momento del rinvio a giudizio per il fatto contestato con la successiva ordinanza cautelare e ciò prescindendo dalla
circostanza che tali fatti ancora non fossero ex actis obiettivamente noti all’epoca dell’adozione (meglio richiesta)
della suddetta ordinanza, o, cmq, che a quell’epoca non fossero ancora stati acquisiti tutti gli elementi necessari per
l’applicazione della misura, poi soltanto in seguito applicata. Con tale norma il legislatore ha cercato di contestare
la prassi delle c.d. contestazioni a catena (prassi volta a dilazionare nel tempo l'adozione di misure cautelari
attraverso un artificioso differimento “a cascata” dei provvedimenti, in modo da far decorrere da momenti diversi i
corrispondenti termini di durata) spesso adottate in chiave elusiva dell’ordinaria disciplina dei termini delle misure
cautelari soprattutto con riguardo ai fatti che fossero già noti, e sulla base di elementi tali da giustificare l’adozione
dei provvedimenti cautelari contestuali fin dalla pronuncia della prima ordinanza una regola tuttavia che, andando
ben al di là della mera repressione di tali fenomeni, ha correlato, in maniera poco ragionevole, la regola della
retrodatazione ex 297,3 alla mera successione cronologica delle diverse ordinanze cautelari sulla base di una sorta di
presunzione assoluta di “colpevole inerzia” o di “artificioso ritardo” del PM, travolgendo così anche i casi in cui
obiettivamente non si registri un ritardo imputabile al PM. Per altro verso, secondo la Corte cost., la suddetta regola
di retrodatazione del termine deve applicarsi anche nell’ipotesi di misure cautelari relative a fatti diversi non
connessi, sempreché tuttavia gli elementi posti a base della successiva ordinanza risultassero “già desumibili dagli
atti al momento dell’emissione della precedente ordinanza”.
Ove la pluralità di ordinanze emesse nei confronti dello stesso imputato riguardi fatti diversi (connessi o meno, nel
senso appena chiarito) l’eventuale passaggio in giudicato della condanna per il fatto considerato nel primo
provvedimento cautelare non fa venire meno l’operatività della regola di retrodatazione del termine iniziale
disposta con la successiva ordinanza cautelare, non potendo evidentemente il giudicato produrre l’effetto di
azzerare il tempo della custodia già sofferta (viceversa, se la contestazione sequenziale fosse riferita allo stesso
fatto, si proietterebbe sulla fase incidentale, inibendo l’azione cautelare, il divieto di bis in idem ex 649.
Quanto all’ipotesi del cumulo tra un provvedimento cautelare ed uno di custodia per altro reato, ovvero di
detenzione o di internamento a titolo definitivo, ex 297,5 gli effetti della misura cautelare decorrono dal giorno della
notifica della relativa ordinanza, ove si tratti di misura compatibile con lo stato di detenzione o di internamento,
mentre nel caso contrario decorrono dalla cessazione di tale stato. Inoltre, ai soli effetti del computo dei termini di
durata massima, la custodia cautelare si considera compatibile con lo stato di detenzione per esecuzione di pena
o di internamento per misura di sicurezza, e lo stesso deve ritenersi, pur nel silenzio della legge, nell’ipotesi di
cumulo tra una misura cautelare detentiva ed un provvedimento di custodia già in atto a carico della medesima
persona per un diverso fatto di reato (salvo restando a quanto si è precisato a proposito del cumulo dei
provvedimenti di custodia per i “fatti diversi” contemplati dall’art. 297,3).
Infine, secondo l’art.298 l’esecuzione di un ordine di carcerazione nei confronti di un imputato sottoposto ad una
misura cautelare personale per un diverso reato determina la sospensione dell’esecuzione di quest’ultima, a meno
che gli effetti di tale misura risultino compatibili con l’espiazione della pena (anche qui si enuncia una presunzione di
“compatibilità” stabilendosi senza le necessarie distinzioni che la “sospensione non opera quando la pena è espiata
in regime di misure alternative alla detenzione”).
zione in via ordinaria.
17. I provvedimenti di revoca e di sostituzione
La revoca ex art.299.1 è una fattispecie estintiva delle misure cautelari personali che opera tutte le volte in cui
risultano carenti le condizioni di applicabilità delle stesse ex 273 ovvero le esigenze cautelari ex 274. Lo stesso
principio, in armonia con i criteri di scelta ex 275, vale nel caso in cui le esigenze cautelari si sono attenuate tanto da
far ritenere eccessivamente vessatoria la misura applicata, ovvero non più proporzionata all’entità del fatto o della
sanzione irrogabile. In eventualità del genere, il giudice deve sostituire la misura originaria con un’altra meno grave,
ovvero disporne l’applicazione con modalità meno gravose, salvo il limite dell’art. 275,3 (299,2). E, quando si tratti
della sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, è possibile autorizzare l’imputato a raggiungere
con i propri mezzi il luogo di esecuzione della misura, sempreché non risulti necessario disporne
l’accompagnamento per salvaguardare comprovate esigenze processuali o di sicurezza.
Quanto ai profili procedurali, si stabilisce che, durante le indagini preliminari, il giudice debba provvedere in ordine
alla revoca e alla sostituzione delle misure, di regola, solo dietro richiesta del PM o dell’imputato, ed entro 5 gg dal
deposito di tale richiesta. Un’iniziativa ex officio è invece riconosciuta al giudice in sede di udienza preliminare e in
giudizio. Tuttavia, anche nel corso delle indagini preliminari si ammette che il giudice possa assumere tale iniziativa
d’ufficio quando assuma l’interrogatorio dell’indiziato in stato di custodia cautelare ex 294, o quando sia richiesto
della proroga del termine per le indagini preliminari ex 406, ovvero quando proceda all’assunzione di un incidente
probatorio ex 392 e ss (299,3).
In ogni modo, Il giudice, prima di provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione delle misure coercitive e
interdittive, di ufficio o su richiesta dell'imputato, deve sentire il PM, il quale dovrà esprimere il proprio parere nei
2gg successivi, altrimenti in caso contrario il giudice potrà senz’altro procedere alla decisione (299,3bis). E la stessa
regola vale per l’ipotesi in cui la revoca o la sostituzione, o l’applicazione meno gravosa venga richiesta dall’imputato
dopo la chiusura delle indagini preliminari (299,4bis).
In tutte queste ipotesi, il comma 3ter dell’art.299 dispone che il giudice, dopo aver valutato gli elementi addotti a
fondamento della richiesta di revoca o di sostituzione, prima di provvedere possa sempre procedere
all’interrogatorio della persona sottoposta alla misura; interrogatorio che è, invece, obbligatorio, ove l’imputato lo
abbia richiesto, quando l’istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già
valutati (non solo su elementi fino ad allora non acquisiti, ma anche quelli acquisiti ma non valutati).
Una particolare attenzione è poi richiesta dal comma 2bis nel caso di revoca o sostituzione di determinate misure
coercitive applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona il
provvedimento deve essere immediatamente comunicato, a cura della PG, ai servizi socio-assistenziali e al
difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo non abbia provveduto a
dichiarare o eleggere domicilio; il difensore e la persona offesa potranno presentare nei 2 gg successivi alla notifica,
delle memorie al giudice, il quale procede decorso il predetto termine (299,3). Analoga previsione di contestuale
notifica della richiesta vale dopo la chiusura delle indagini preliminari, ai sensi dell’art. 299,4bis.
Fermo restando quanto previsto dall’art.276 (violazione delle prescrizioni) qualora, invece, le esigenze cautelari si
siano accresciute, il giudice, su richiesta del PM, deve sempre, ove sussistano i presupposti, sostituire la misura
originaria con un’altra più rigida, ovvero disporne l’applicazione con modalità più gravose (299,4); potendo altresì
disporre, in alternativa alla sostituzione in peius, l’applicazione, congiunta, a quella in esecuzione, di altra misura
coercitiva o interdittiva.
Con riferimento a tutti i provvedimenti ex 299 è stabilito, infine, che il giudice, quando si trovi nell’impossibilità di
decidere allo stato degli atti sulla richiesta di una parte, possa, in ogni stato e grado del procedimento, disporre
anche d’ufficio, e prescindendo da particolari formalità, i necessari accertamenti sulle condizioni di salute o sulle
qualità personali dell’imputato (299,4ter). Accertamenti da svolgersi con la massima celerità possibile e al più tardi
entro 15 gg dal deposito della richiesta.
A quest’ultimo proposito, si prevede anche che nel caso in cui la richiesta di revoca o di sostituzione della misura
carceraria sia fondata “sulle condizioni di salute particolarmente gravi dell’imputato ex 275,4bis, e qualora il giudice
non ritenga di accogliere la richiesta sulla base degli atti disponibili, devono disporsi gli accertamenti medici del
caso attraverso la nomina di un perito ad hoc, il quale dovrà tener conto del parere del medico penitenziario e
riferire al giudice antro 5 gg, ovvero, nel caso di rilevata urgenza, entro 2 gg dall’accertamento. In tutte le ipotesi
previste dall’art. 299,4ter, com’è ovvio, durante il periodo compreso tra il provvedimento che dispone gli
accertamenti e la scadenza del termine per il loro espletamento, il termine di 5 gg sancito per la pronuncia del
giudice è sospeso.
Si precisa infine che nelle situazioni appena viste, trova applicazione il disposto dell’art. 286bis,3 secondo il quale
qualora le esigenze diagnostiche non possano essere soddisfatte nell’ambito penitenziario, il giudice potrà disporre
il ricovero provvisorio dell’imputato in un’idonea struttura del servizio sanitario nazionale, adottando se del caso
adeguate cautele (299,4quater).

18. Particolari fattispecie di estinzione automatica delle misure


Mentre il fenomeno estintivo connesso agli istituti della revoca e della sostituzione presuppongono un
provvedimento giurisdizionale di valutazione ed accertamento dei relativi presupposti il codice da risalto anche ad
altre figure di estinzione caratterizzate dall’automatismo degli effetti, in quanto derivanti dal verificarsi di
determinati eventi. A parte l’ipotesi di estinzione della custodia cautelare ex 302 a causa dell’omesso interrogatorio
dell’indiziato entro il termine previstodall’art.294, qui, viene in evidenza anzitutto la prevista estinzione ipso iure di
tutte le suddette misure in conseguenza della pronuncia di determinati provvedimenti, sulla base delle disposizioni
emergenti dall’art.300 cpp.
Vi si stabilisce innanzitutto, nei commi 1 e 2, l’immediata perdita di efficacia delle misure applicate con
riferimento ad un certo fatto allorquando, per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona, viene disposta
l’archiviazione, ovvero venga pronunciata una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento (salvo, nel
caso queste ultime sentenze siano accompagnate dalla misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico
giudiziario, la sostituzione della custodia in carcere con la provvisoria applicazione di tale misura di sicurezza). Al
riguardo gli artt. 131bis e 154bis disp. att. dispongono che l’imputato detenuto debba essere immediatamente posto
in libertà subito dopo la lettura del dispositivo, e che per il disbrigo delle formalità, lo stesso debba essere
riaccompagnato in carcere separatamente dai detenuti e senza uso di mezzi di coercizione.
Laddove, invece, la sentenza sia di condanna, l’art.300 commi 3 e 4 prevede che le misure già in atto perdano
efficacia ogniqualvolta la pena irrogata viene dichiarata estinta o condizionalmente sospesa; e analogamente, la
custodia cautelare perda efficacia quando la durata della custodia pre sofferta è uguale o superiore all’entità della
pena irrogata, indipendentemente che contro la sentenza sia stata proposta impugnazione. In tutte queste ipotesi,
l’estinzione opera di diritto, sicché il giudice non può fare altro che adottare con ordinanza i provvedimenti
necessari per far cessare l’esecuzione delle misure ormai estinte (306, cui corrisponde, nel caso di proscioglimento
dibattimentale, il più specifico dettato dell’art. 532), disponendo per i conseguenti adempimenti operativi (98
disp.att.); quando, poi, la cessazione consegue ad una pronuncia della Cassazione, si applica il disposto dell’art.
626 la cancelleria ne comunica immediatamente il dispositivo al procuratore generale presso la Corte medesima
perché dia i provvedimenti occorrenti.
A quest’ultimo riguardo problemi interpretativi solleva l’infelice formula della disposizione dell’art.624bis, stando al
quale la Corte di Cassazione “nel caso di annullamento della sentenza di appello, dispone la cessazione delle misure
cautelari”. Ad evitare le aberranti conseguenze di una interpretazione letterale (si pensi al caso in cui, accogliendo il
ricorso del PM, la corte annulli con rinvio la sentenza di condanna di appello in senso sfavorevole all’imputato),
oltretutto inconciliabile con quanto previsto dall’art.303,2, l’interpretazione più corretta sembra quella di ritenere
che il disposto dell’art.624bis si applichi esclusivamente alle misure cautelari adottate “nei casi di condanna di
appello”, a norma dell’art.275,2ter, in presenza delle particolari situazioni ivi descritte. Resta fermo il principio per
cui non potrà farsi luogo alla “immediata liberazione” della persona sottoposta a custodia cautelare quando tale
custodia debba continuare per un altro reato, o la persona debba essere consegnata ad altra autorità.
Per quanto riguarda, poi, la peculiare situazione dell’imputato prima destinatario di una sentenza di
proscioglimento, o di non luogo a procedere, e successivamente condannato per il medesimo fatto, dispone
l’ultimo comma dell’art. 300, che nei suoi confronti possono essere adottate uno o più misure coercitive soltanto
quando vi è pericolo di fuga essendo stata irrogata una pena superiore a 2 anni di reclusione (274,1 lett.b), ovvero
pericolo di commissione dei gravi delitti (274.1 lett.c).
Ad analogo meccanismo estintivo deve ricondursi l’ipotesi di caducazione contemplata dall’art. 301 col prevedere
che la perdita d’efficacia delle misure applicate per esigenze cautelari di natura probatoria, allorquando alla
scadenza del termine fissato nel provvedimento applicativo, ex 292,2 lett. d, non ne venga ordinata la rinnovazione.
È questa una previsione generale che, in assenza di espresse deroghe, si applica a tutte le misure cautelari (ivi
compresa la custodia in carcere) adottate per la finalità probatoria di cui all’art. 274,1 lett. a. In particolare, la loro
rinnovazione, consistente in una nuova applicazione della medesima misura, attraverso una nuova ordinanza
applicativa, potrà essere disposta dal giudice su richiesta del PM (e solo dopo aver obbligatoriamente sentito il
difensore della persona destinataria della misura) anche per più di una volta, purché entro i termini massimi di
durata previsti per le corrispondenti misure, ex artt. 305,2 e 308.
I nuovi commi 2-bis e 2-ter dell’art.301 prevedono, poi, un particolare regime per quanto concerne la durata della
misura della custodia carceraria in carcere motivata da esigenze probatorie e ne sia stata prefissata la “data di
scadenza” a norma dell’art. 292,2 lett. d. Più precisamente – a parte le eccezioni costituite dalle ipotesi in cui si
proceda per uno dei delitti previsti dall’art.407,2 lett. A n. 1-6 (delitti di terrorismo, strage, mafia..), ovvero in
presenza di una delle situazioni investigative complesse descritte dal medesimo art. 407,2 lett.b e c – la disciplina
ordinaria dettata dall’art.301,2bis è nel senso che, per tutte le altre ipotesi, la custodia carceraria motivata da
esigenze probatorie non possa avere una durata superiore a 30gg. Tuttavia, tale termine può essere prorogato ad
opera del giudice, su richiesta del PM e previo interrogatorio dell’imputato, sulla base di un’ordinanza che dovrà
valutare le ragioni che hanno impedito il compimento delle indagini per le cui esigenze la misura era stata disposta.
Attraverso tale procedura, il termine inizialmente fissato potrà essere prorogato per non più di 2 volte e, comunque,
entro il limite complessivo di 90gg, che quindi si configura come soglia insuperabile per la durata della custodia
cautelare disposta con il provvedimento originario.
Nulla esclude, però, che, alla scadenza di questo termine, il PM possa chiedere, ed il giudice disporre, la
rinnovazione della custodia carceraria nei confronti dello stesso imputato, e sempre per esigenze probatorie.

19. I termini di durata massima della custodia cautelare


Tra le varie figure di estinzione automatica delle misure cautelari personali assumono un particolare risalto quelle
collegate alla disciplina dei termini di durata massima delle misure medesime. Cominciando dalla custodia
cautelare, l’art. 303 individua una serie di termini massimi di durata della stessa in relazione ai diversi stati o gradi
del procedimento, e con riferimento a ciascuna di tali fasi i suddetti termini intermedi sono stati quantitativament e
differenziati o in funzione della gravità dell’imputazione, o in funzione della pena applicata in concreto, quando già
vi sia stata sentenza di condanna.
Cominciando dalla fase preliminare, ex 303,1,la custodia perde efficacia allorché, dall’inizio della sua esecuzione, e
senza che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o l’ordinanza di giudizio abbreviato ex 438, ovvero
senza che sia stata pronunciata la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, siano decorsi i seguenti
termini:
- 3 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel
massimo a 6 anni;
- 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione superiore nel massimo a 6
anni;
- 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione non
inferiore nel massimo a 20 anni, oppure per uno dei delitti indicati nell’art. 407.2 lett. a (sempreché per questi ultimi
sia prevista la pena della reclusione superiore nel massimo a 6 anni).
Per quanto riguarda la fase del giudizio di primo grado, secondo il rito ordinario, la custodia perde efficacia quando
dal provvedimento che dispone il giudizio (o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa), e senza che sia
stata pronunciata sentenza di condanna di primo grado, la sua durata ha superato il termine di:
- 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel
massimo a 6 anni;
- 1 anno, quando si procede per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non superiore nel
massimo a 20 anni;
- 1 anno e 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione
superiore nel massimo a 20 anni.
Occorre poi aggiungere che, qualora si procede per uno dei delitti ex art. 407.2 lett. a, tali termini sono aumentati
fino a 6 mesi, e tale termine deve essere imputato al termine previsto per la fase precedente (ove non
completamente utilizzato), ovvero ai termini previsti per le fasi successive alla sentenza di condanna in appello, che
saranno perciò corrispondentemente ridotti.
Infine, per quanto riguarda la fase del giudizio abbreviato, la custodia perde efficacia allorché dall’ordinanza con cui
è stato disposto tale giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia, e senza che sia stata pronunciata
sentenza di condanna, la sua durata ha superato il termine di:
- 3 mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel
massimo a 6 anni;
- 6 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo
a 20 anni;
- 9 mesi, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore
nel massimo a 20 anni (sono termini dimezzati rispetto all’ordinario giudizio di primo grado).
Riguardo alle altre fasi del giudizio, la definizione dei termini massimi intermedi è stata operata facendo riferimento
alla pena concretamente irrogata in sede di condanna. Così, per quando riguarda la fase del giudizio di secondo
grado, la custodia cautelare perde efficacia quando dalla pronuncia della sentenza di condanna di secondo grado o
dalla sopravvenuta esecuzione della custodia stessa, e senza che sia sta pronunciata sentenza di condanna in
appello, è decorso il termine di:
- 9 mesi, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 3 anni;
- 1 anno, se vi è stata condanna alla pena della reclusione non superiore a 10 anni;
- 1 anno e 6 mesi se vi è stata condanna alla pena dell’ergastolo o della reclusione superiore a 10 anni.
Nel caso di condanna per più reati, per individuare i termini di fase inerenti alla durata della custodia cautelare,
bisogna poi far riferimento alla pena complessiva inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la misura custodiale, e
non già alle pene relative ai singoli reati.
La stessa disciplina si applica, inoltre, nelle fasi di giudizio successive alla pronuncia della sentenza di condanna in
appello, e finché la condanna non sia diventata irrevocabile. Tuttavia, quando vi sia già stata condanna anche in
primo grado (per lo stesso fatto storico doppia conforme), ovvero quando l’impugnazione sia stata proposta solo
dal PM, non bisogna più far riferimento ai termini intermedi di fase, ma bisogna applicare i termini di durata
complessiva della custodia.
Si aggiunga che, ai fini del computo dei termini intermedi di fase della custodia cautelare, previsti dall’articolo 303
commi 1, 2 e 3 (oltre che ai fini dei termini di durata complessiva, previsti dall’articolo 303,4), occorrerà tener conto
dei periodi di custodia subiti dall’imputato all’estero a seguito di domanda di estradizione (722), ovvero in
esecuzione di mandato d’arresto europeo, così come è stato precisato anche dalla corte costituzionale, nonché
recepito dal d.lgs con la riforma Orlando con il nuovo art.722.
Il quadro non sarebbe esauriente, tuttavia, se non si aggiungesse la previsione per cui, ex 303,2 nell’eventualità di
regresso del procedimento ad una diversa fase, o di rinvio dinanzi ad un diverso giudice, a partire dalla data del
correlativo provvedimento ovvero dalla sopravvenuta esecuzione della custodia, riprendono a decorrere ex novo i
termini stabiliti con riguardo a ciascun stato e grado del procedimento (salvo, come si vedrà il rispetto dei limiti
fissati negli artt. 303,4 e 304,6).
Un termine massimo di durata complessiva della custodia è stato individuato, dall’art.303,4, a3 livelli, a seconda
della gravità dell’imputazione:
- 2 anni, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo
a 6 anni;
- 4 anni, quando si procede per un delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione non superiore nel massimo
a 20 anni;
- 6 anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione
superiore nel massimo a 20 anni ovvero l’ergastolo. Tali limiti, di regola, non possono essere superati: né in forza
del meccanismo di proroga dei termini di custodia ex 305, né in forza della particolare previsione di neutralizzazione,
ex 297,4, dei giorni di udienza, nonché di quelli utilizzati per la deliberazione della sentenza nella fase del giudizio.
Dove, infatti, nell’escludere per implicito che i corrispondenti periodi di tempo debbano valutarsi in vista del
computo dei termini “intermedi”, relativi alle diverse fasi processuali (è questa la regola del cd. congelamento), ci si
preoccupa di specificare che di essi si dovrà tener conto “solo ai fini” della determinazione della durata complessiva
della custodia a norma dell’art. 303,4, salvo l’eventualità in cui possa trovare applicazione il disposto dell’art. 304,2:
nel qual caso non se ne dovrà tener conto nemmeno ai fini dei predetti termini complessivi.

20. Proroga e sospensione dei termini massimi di custodia


(la sospensione vedila da qualche altra parte)
Riguardo alla proroga, a prescindere dall’ipotesi connessa al compimento di una perizia psichiatrica, essa opera solo
nella fase delle indagini preliminari. Infatti, è previsto che, dietro richiesta del PM, i termini di custodia prossimi a
scadere in tale fase possono essere prorogati solo in presenza di gravi esigenze cautelari, le quali, rapportate ad
accertamenti particolarmente complessi, ovvero a nuove indagini, rendono indispensabile la prosecuzione della
custodia.
Nel caso di proroga legata all’esigenza di nuove indagini, la competenza a provvedere sulla richiesta (con ordinanza
appellabile) spetta al gip, il quale, dopo aver sentito il PM e il difensore della parte nell’ambito di un contraddittorio
semplificato ma effettivo, ove ne ricorrano i presupposti, potrà concedere una proroga, ed anche rinnovarla una sola
volta, fino al limite rappresentato dalla metà dei termini massimi di custodia previsti per la fase delle indagini
preliminari.
Alcuni problemi sorgono in rapporto alla disciplina della sospensione (art.304) dei termini di durata della custodia
cautelare, la quale può comportare, in alcuni casi, anche il superamento dei termini fissati per la durata complessiva
della custodia cautelare. L’art.304.1, dopo aver stabilito la competenza del giudice a provvedere, anche d’ufficio, con
ordinanza appellabile, ha individuato le fattispecie di sospensione facendo riferimento ad una serie di situazioni
tutte relative alla fase del giudizio, cioè con riguardo:
1. Alle ipotesi di sospensione o di rinvio del dibattimento per impedimento dell’imputato o del suo difensore,
ovvero dietro richiesta dei medesimi;
2. Alle ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento a causa della mancata presentazione,
dell’allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, qualora ne rimangano privi di
assistenza uno o più imputati;
3. All’ipotesi di sospensione dei termini di custodia, nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini
previsti per la redazione differita dei motivi della sentenza;
4. All’ipotesi di sospensione prevista qualora le situazioni appena descritte si verifichino nell’ambito del
giudizio abbreviato.
Durante l’udienza preliminare, i termini sono sospesi, anche d’ufficio e sempre con ordinanza appellabile, tutte le
volte in cui la stessa udienza viene sospesa o rinviata per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero a
causa della mancata presentazione o dell’allontanamento di uno o più difensori (art. 304.4). Le ipotesi di
sospensione non si applicano, all’interno del processo cumulativo, nei confronti dei coimputati cui le stesse non si
riferiscono, sempreché questi ultimi chiedano che nei loro confronti si proceda previa separazione dei processi.
Nelle ipotesi di particolare complessità dei dibattimenti o dei giudizi abbreviati relativi ai delitti indicati dall’art.
407.2 lett. a, il regime della sospensione può essere esteso anche ai periodi di tempo in cui sono tenute le udienze o
si delibera la sentenza nella fase del giudizio. La sospensione dei termini di custodia può essere disposta solo dietro
richiesta del PM; quindi, qualora manchi tale richiesta, o comunque non venga pronunciato il provvedimento
sospensivo, si verificherà in ogni caso ex lege almeno l’effetto di congelamento del decorso dei termini di custodia.
Un limite finale di durata dei termini di sospensione della custodia è stato previsto su 2 distinti livelli:
1. Da un lato, con riguardo alla durata della custodia nelle diverse fasi del procedimento, si stabilisce che la
sospensione non può in ogni caso superare il doppio dei termini intermedi di fase ex art.303;
2. Dall’altro, avendo riguardo alla durata complessiva della custodia, si stabilisce che tale durata non può
superare i termini sanciti dall’art.303.4 aumentati della metà, ovvero, qualora risulti più favorevole, il
tradizionale limite dei 2/3 del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in
sentenza.
Dei periodi di sospensione bisogna tener conto solo nel computo del limite relativo alla durata complessiva della
custodia, e non anche in quello riguardante il limite relativo alle diverse fasi del procedimento. Infine, la
sospensione o il rinvio del procedimento o del dibattimento hanno effetti sospensivi della prescrizione, anche
se l’imputato non è detenuto, in ogni caso in cui siano disposti per impedimento dell’imputato o del suo
difensore ovvero su loro richiesta, salvo quando siano disposti per esigenze di acquisizione della prova o in
seguito al riconoscimento di un termine a difesa.

21. I provvedimenti adottabili nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini
A carico dell’imputato scarcerato (libero) per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, il giudice deve,
innanzitutto, disporre le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti (ovviamente con esclusione degli arresti
domiciliari data l’equiparazione alla custodia), sempreché si accerti la permanenza delle esigenze che avevano
giustificato la sua sottoposizione alla custodia stessa (307,1). In particolare, poi, qualora si proceda per taluno dei
reati indicati nell'art.407,2 lett. a, il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli artt.281, 282 e 283 anche
cumulativamente (307,1bis). Tuttavia, si prevede che, anche successivamente alla scarcerazione per decorrenza dei
termini, la custodia cautelare, ove risulti necessaria ex art.275, debba essere rinnovata quando si verificano 2
situazioni (307,2):
1. se l'imputato abbia dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una delle misure cautelari
applicategli in luogo della custodia, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna
delle esigenze cautelari previste dall'art. 274;
2. contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre
l'esigenza cautelare prevista dall'art. 274,1 lett. b qualora il medesimo si sia dato alla fuga, ovvero si
accerti un concreto pericolo di fuga.
Con riferimento a tali ipotesi l’art. 307,3 prevede che in caso di ripristino della custodia, si applichi la regola della
decorrenza ex novo dei termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova, salvo il computo della custodia
anteriormente subita ai fini del termine di durata complessiva ex 303,4; e la stessa regola è sancita dall’art. 303,3
anche per il caso dell’imputato sottrattosi all’esecuzione della custodia cautelare mediante evasione.
Quanto alla situazione dell’imputato scarcerato che, trasgredendo alle prescrizioni della misura cautelare
applicatagli in via sostitutiva, ovvero quando ricorra l’ipotesi prevista dal comma 2 lett. b stia per darsi alla fuga,
l’art.307,4 prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia possano procedere al suo fermo del fermo è data notizia
senza ritardo, e comunque entro le 24 ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove il fermo
è stato eseguito. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto. Con il
provvedimento di convalida, il GIP, se il PM ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le
condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente.

22. I termini di durata massima delle misure cautelari non custodiali


Le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare (e dagli arresti domiciliari) perdono efficacia a seguito del
decorso di un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall’art.303 in rapporto alla custodia cautelare
(308,1). Per quanto riguarda le misure interdittive, esse non possono avere durata superiore a 12 mesi (prima della
l. 47/2015 erano 2 mesi) e perdono efficacia quando è decorso il termine fissato dal giudice nell'ordinanza. Quando
sono disposte per esigenze probatorie il giudice può disporne la rinnovazione entro il predetto limite di 12 mesi
(308,2). Tuttavia, al fine di ovviare al tuttora troppo rigido limite di durata massima, si prevede che la sopravvenuta
estinzione delle misure interdittive non può pregiudicare l’esercizio dei poteri attribuiti al giudice penale o ad altre
autorità in materia di pene accessorie, ovvero di misure interdittive di diversa natura (308,3) (si ricorda che ex
293,4 copia dell’ordinanza che dispone una misura interdittiva deve essere sempre trasmessa all’organo
eventualmente competente a disporre l’interdizione in via ordinaria).

23. Il procedimento di riesame dei provvedimenti coercitivi dinanzi al tribunale


Fra i rimedi contro i provvedimenti applicativi delle misure cautelari il codice appronta degli strumenti impugnatori
quali il riesame, l’appello ed il ricorso per cassazione, ovviamente riadattati all’insegna delle esigenze di efficienza e
tempestività dell’ambito in questione. Il riesame “anche nel merito” configurato dall’art. 309 è un mezzo di
impugnazione utilizzabile esclusivamente contro le ordinanze che hanno disposto una misura coercitiva, salvo si
tratti di ordinanze emesse dietro appello proposto dal PM.
• giudice competente → tribunale in composizione collegiale del capoluogo del distretto di corte d'appello in cui ha
sede l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza impugnata (la richiesta deve venire direttamente proposta alla
cancelleria di tale tribunale) • una volta presentata la richiesta di riesame, su avviso del tribunale, l'autorità
procedente deve trasmettere al medesimo tribunale gli atti correlativi entro il giorno successivo a quello dell'avviso,
e comunque non oltre il 5° giorno (in caso di mancato rispetto dei termini, la misura coercitiva disposta con
l'ordinanza assoggettata a riesame è immediatamente caducata, senza possibilità di rinnovo, salve eccezionali
esigenze) • atti da trasmettere → atti già presentati dal PM al giudice in vista dell'adozione del provvedimento e
tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini • con la richiesta di riesame possono
essere enunciati anche i motivi e l'imputato può chiedere di comparire personalmente; il proponente ha facoltà di
enunciare nuovi motivi davanti al giudice del riesame facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della
discussione.
Titolare del diritto al riesame è soltanto l’imputato o il suo difensore, salva la previsione per l’uno e per l’altro di un
diverso regime di decorrenza del termine di 10gg fissato per la proposizione della relativa richiesta (a pena di
decadenza) a norma dei primi tre commi dell’art.309 per l’imputato entro 10gg dall’esecuzione o notificazione del
provvedimento; per il difensore entro 10gg dalla notificazione dell'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la
misura. Ex comma 3bis viene tuttavia precisato che dal computo di tale termine, devono escludersi i giorni per i
quali sia stato disposto ex 104,3 il differimento del colloquio tra il difensore e l’imputato detenuto, data
l’importanza che il legislatore attribuisce a tale colloquio, fondamentale per la strategia difensiva di fronte al
provvedimento di custodia. Competente a decidere sul riesame è il tribunale in composizione collegiale del
capoluogo del distretto di corte d’appello in cui ha sede l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza impugnata.
Ex commi 4 e 5 la richiesta va direttamente proposta alla cancelleria del tribunale, ed una volta presentata, a
seguito dell’immediato avviso proveniente dal presidente del tribunale, l’AG procedente (quindi nel corso delle
indagini preliminari il PM) deve trasmettere al medesimo tribunale gli atti correlativi entro il giorno successivo a
quello dell’avviso, e comunque non oltre il quinto giorno quest’ultimo termine deve considerarsi decorrente dal
giorno stesso della presentazione della richiesta di riesame.
Quanto agli atti da trasmettere sono, anzitutto, quelli già presentati dal PM al giudice in vista dell’adozione del
provvedimento a norma dell’art. 291 (che corrispondono agli atti già depositati e a disposizione del difensore ex
293,3), nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini quindi tutti gli
elementi acquisiti dal PM , successivamente alla richiesta della misura oggetto di riesame, ex 358, ovvero
pervenutigli in virtù dell’attività investigativa del difensore ex 327bis sempre nel corso delle indagini preliminari.
Quanto al contenuto ex 309,6 la richiesta di riesame può recare anche l’enunciazione dei motivi, e al proponente è
riconosciuta la possibilità di enunciare nuovi motivi dinanzi al tribunale competente per il riesame purché ne venga
dato atto a verbale prima dell’inizio della discussione. Con la richiesta l’imputato può altresì chiedere di comparire
personalmente e, ove abbia espresso questa intenzione, ha diritto di presenziare di persona all’udienza (comma
8bis).
La caratteristica di rapidità emerge, poi, dai commi 8 e 9, laddove si prescrive che il tribunale emette la sua decisione
entro 10gg dalla ricezione degli atti trasmessigli ex comma 5 ne consegue che il procedimento di riesame
dovrebbe sempre concludersi, al più tardi, entro 15 gg dal giorno in cui la richiesta è pervenuta alla cancelleria del
tribunale l’art. 9bis tuttavia prevede una deroga nel disporre che su richiesta formulata personalmente
dall'imputato entro 2gg dalla notificazione dell'avviso, il tribunale differisca la data dell'udienza da un minimo di 5 ad
un massimo di 10 gg se vi siano giustificati motivi in tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito
dell'ordinanza sono prorogati nella stessa misura.
Quanto agli aspetti prettamente procedurali il tribunale provvede in camera di consiglio secondo il modello ex 127,
salva una necessaria abbreviazione (da 10 a 3 gg prima della data dell’udienza) del termine stabilito per il
corrispondente avviso al PM presso lo stesso tribunale, all’imputato e al suo difensore, ai fini della loro eventuale
comparizione. In ogni caso, in vista dell’esercizio del contradditorio, fino al giorno dell’udienza gli atti trasmessi al
tribunale devono rimanere depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia
(309,8).
In forza del richiamo all’art.127 i destinatari dell’avviso hanno il diritto di essere sentiti, se compaiono in udienza.
Come visto l’imputato ha diritto di partecipare all’udienza se ne ha fatto richiesta, e lo stesso vale anche per il caso
in cui questi sia detenuto o internato in luogo posto fuori della circoscrizione del tribunale.
L’esigenza del rispetto dei termini previsti dall’art.309 è ulteriormente sottolineata dal comma 10 in cui si prevede
che la misura coercitiva disposta con l’ordinanza assoggettata a riesame perda efficacia (altro caso di estinzione
automatica) e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non possa essere rinnovata, sia se la
trasmissione degli atti da parte del PM non avviene al massimo entro 5gg dal deposito dell’istanza di riesame, sia se
la decisione sulla richiesta di riesame non avvenga entro il termine di 10gg dal deposito di tali atti, o degli ulteriori
giorni di differimento dell’udienza chiesti dall’imputato, sia se il deposito dell'ordinanza del tribunale in cancelleria
non intervenga nei termini prescritti, ovvero entro 30 gg dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione
sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni, situazione in cui il giudice
può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il 45° giorno da quello della decisione.
In particolare, con riguardo alla trasmissione degli atti da parte del PM le SS.UU. ritengono che questo effetto
caducatorio si realizzi non già quando il termine in questione sia scaduto senza che gli atti siano stati inoltrati al
tribunale del riesame, bensì, secondo un criterio assai più rigido, quando entro suddetto termine tali atti non siano
ancora pervenuti al medesimo tribunale si tratta di una previsione molto drastica, che finisce per scaricare con
esito radicale anche sulla sorte della misura, anche gli eventuali ritardi di trasmissione dovuti ad una semplice
disfunzione organizzativa. Una interpretazione ragionevole parrebbe quella di circoscrivere la sanzione all’ipotesi in
cui non abbia avuto luogo nessuna tempestiva trasmissione di atti al tribunale, fermo restando il dovere di
quest’ultimo di decidere comunque, entro il termine di legge, sulla base degli atti che siano stati trasmessi non oltre
il quinto giorno, con ovvie ricadute sull’onere del PM e dell’imputato di produrre in udienza ex art. 309,9 gli altri
elementi in loro possesso. Ad ogni modo quale che sia la causa della decadenza del titolo cautelare, come visto,
l’art.309,10 dispone che la misura caducata per il mancato tempestivo intervento di controllo non possa essere
rinnovata (quindi decade anche il potere-dovere del tribunale di decidere) a meno che sussistano eccezionali
esigenze cautelari specificatamente motivate se da un lato tali dovrebbero essere solo le situazioni caratterizzate
da un elevatissimo livello di pericolosità cautelare, è però altrettanto evidente che il ricorso alla misura limitativa
della libertà personale deve sempre ritenersi eccezionale e che il rischio di considerare fisiologica la rinnovazione è
tutt’altro che remoto.
Per quanto concerne, poi, l’esercizio dei poteri decisori da parte del tribunale investito della richiesta di riesame,
premesso che al tribunale è attribuito il potere di provvedere, anche nel merito, senza particolari vincoli sul piano
della condizione o della decisione, riconoscendo con ciò alla richiesta di riesame la natura di un mezzo totalmente
devolutivo, l’art.309,9 definisce anzitutto la tipologia dei provvedimenti adottabili, con la precisazione che la
decisione potrà tener conto pure degli ulteriori elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza:
- declaratoria di inammissibilità della richiesta;
- annullamento dell’ordinanza sottoposta a riesame in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi da
quelli enunciati nella richiesta, o successivamente ad essa;
- riforma dell’ordinanza sottoposta a riesame (no riformata in peius) in senso favorevole all’imputato anche per
motivi diversi da quelli enunciati nella richiesta, o successivamente ad essa
- conferma dell’ordinanza sottoposta a riesame anche sulla base di ragioni diverse da quelle indicate nella sua
motivazione funzione integratrice;
- revoca.
Importante poi aggiungere che il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non
contiene l'autonoma valutazione, a norma dell'art.292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti
dalla difesa passibile di censura sarebbe quindi solo l’ordinanza che “non contiene” alcuna valutazione dei dati
rilevanti, mentre tutte le altre gravi (ben più frequenti) patologie della motivazione continuano ad essere
assoggettate alla “sanatoria” del tribunale, visto che dal testo dell’art.309,9 non è stato espunto il riferimento al
potere del collegio de libertate di confermare il provvedimento impugnato “per ragioni diverse da quelle indicate
nella motivazione del provvedimento stesso”funzione integratrice del tribunale, che anziché annullare, corregge.
24. La disciplina dell’appello e del ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali
L’appello è uno strumento residuale in quanto utilizzabile solo contro le ordinanze in materia di misure cautelari
personali diverse da quelle assoggettabili a riesame, e può essere utilizzato dall’imputato, dal suo difensore e dal
PM (310,1) per quest’ultimo è l’unica possibilità di impugnazione nel merito essendogli precluso il riesame. Per
quanto attiene alla proposizione dell’appello, viene richiamata la disciplina del riesame, salva la necessità della
contestuale enunciazione dei motivi. La competenza spetta anche qui (quale organo d’appello) al tribunale del
capoluogo del distretto in cui risiede il giudice che abbia emesso l’ordinanza appellata, il quale decide con rito
camerale ex art.127 entro 20gg dalla ricezione dell’ordinanza, nonché degli atti su cui la medesima si sia fondata.
Ordinanza ed atti devono essere trasmessi al tribunale, da parte dell’autorità procedente, entro il giorno successivo
all’avviso concernente la proposizione dell’appello, e devono rimanere depositati in cancelleria fino al giorno
dell’udienza, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Anche per il deposito in cancelleria
dell’ordinanza di appello il legislatore ha previsto un termine di 30gg dalla data della decisione con la possibilità per
il giudice di indicare nel dispositivo un termine maggiore, comunque non eccedente i 45gg, in caso di motivazione
particolarmente complesso (310,2),
Per il resto, deve ritenersi implicito il rinvio alla disciplina generale dell’appello, a cominciare dalla regola
dell’effetto limitatamente devolutivo ne deriva che il tribunale vedrà circoscritta la sua cognizione
(contrariamente al riesame) esclusivamente ai punti dell’ordinanza appellata cui si riferiscano i motivi
tempestivamente proposti. Si prevede, poi, che quando il tribunale, accogliendo l’appello del PM, dispone una
misura cautelare a carico dell’imputato, l’esecuzione di tale decisione rimane sospesa, finché la medesima non
diventa definitiva (310,3).
Avverso le ordinanze del tribunale a seguito di riesame ex art. 309, ovvero a seguito di appello ex art. 310, l’art.
311,1 ammette il ricorso per Cassazione riconoscendone la relativa titolarità al PM che ha richiesto l'applicazione
della misura, all'imputato e al suo difensore da esercitarsi entro 10gg dalla comunicazione o dalla notificazione
dell'avviso di deposito del provvedimento. Benché la norma espressamente preveda la legittimazione dell’imputato
a proporre ricorso, ad avviso delle sezioni unite della corte di cassazione il mezzo non può essere proposto
personalmente dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo
speciale della corte di cassazione (dovendosi riconoscere portata generale alla recente modifica apportata dalla
riforma Orlando). Il ricorso può essere proposto anche dal pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma
7 dell'articolo 309. Tuttavia, ex 311,2, l’imputato ed il suo difensore possono ricorrere in cassazione per violazione di
legge “direttamente” contro le ordinanze applicative di una misura coercitiva, prescindendo dalla previa richiesta di
riesame ed entro i termini sanciti per quest’ultimo ricorso per saltum (o ricorso omissio medio)ciò comporta
l’inammissibilità del riesame, eventualmente anche se già richiesto.
In ogni caso si tratta di ricorsi caratterizzati da ritmi piuttosto serrati ex 311,3 il ricorso dev’essere presentato
presso la cancelleria del giudice che ha emesso la decisione, e l’autorità procedente deve trasmettere alla corte,
entro il giorno successivo all’immediato avviso, gli atti su cui è fondata l’ordinanza impugnata. La corte decide in
camera di consiglio ex 127 entro 30 gg dalla ricezione degli atti (311,5).
Con riferimento ad entrambe le ipotesi di ricorso si stabilisce, poi, che i motivi debbano essere enunciati
contestualmente al ricorso, e il ricorrente ha la possibilità di enunciare nuovi motivi dinanzi alla corte prima
dell’inizio della discussione.
Altrettanto serrate sono le cadenze previste per il giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento, su ricorso
dell’imputato, di una ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva: il giudice del rinvio deve decidere
entro 10 gg dalla ricezione degli atti trasmessi dalla Corte di Cassazione e l’ordinanza deve essere depositata in
cancelleria entro 30 gg dalla decisione. Se la decisione ovvero il deposito dell'ordinanza non intervengono entro i
termini prescritti, l'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva perde efficacia (questo che vuol dire? che
l’annullamento della Cassazione non gli ha fatto già perdere efficacia?), salvo che l'esecuzione sia sospesa ai sensi
dell'articolo 310,3, e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata.
25. L’applicazione provvisoria di misure di sicurezza
La disciplina dell’applicazione provvisoria delle misure di sicurezza, resa necessaria dalla presenza nel sistema
dell’articolo 206 c.p., trova collocazione nel libro dedicato alle misure cautelari in forza di una scelta sistematica di
tipo analogico, essendo per il resto fuori discussione che tali misure presentano natura, presupposti e contenuti
diversi rispetto alle misure cautelari personali intese in senso proprio.
Ex 312, per quanto riguarda le condizioni di applicabilità provvisoria delle misure (consistenti nel ricovero in
riformatorio, ovvero in un ospedale psichiatrico giudiziario, ovvero in una casa di cura o di custodia), esse possono
essere disposte dal giudice procedente, in qualunque stato e grado del procedimento, e sempre su richiesta del PM,
sulla base di gravi indizi di commissione del fatto in capo all’imputato e in assenza di una delle cause di non
punibilità o di estinzione ex 273,2 quali condizioni negative delle misure cautelari personali. Si richiede poi al giudice
di accertare in concreto anche la pericolosità sociale del soggetto contro cui si sta procedendo (313). Tali soggetti
sono, a parte il minorenne, l’infermo di mente, l’ubriaco abituale, ovvero la persona dedita all’uso di sostanze
stupefacenti o in stato di cronica intossicazione da alcool o droghe.
La pronuncia del provvedimento applicativo della misura (forme dell’ordinanza ex 292) deve essere, di regola,
preceduta dall’interrogatorio dell’imputato; ove ciò non sia possibile si applicherà l’art.294 per cui l’indiziato
sottoposto provvisoriamente alla misura di sicurezza dovrà essere interrogato dal GIP non oltre 5gg. dall’inizio
dell’esecuzione della stessa (a pena di caducazione ex 302), e al termine di tale interrogatorio il giudice, dopo aver
valutato la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto della misura adottata, potrà anche disporne la revoca, ex
294 commi 3 e 4.
È questo, del resto, un corollario della disposizione generale in tema di revoca delle misure cautelari (a causa
dell’assenza, originaria o sopravvenuta, dei loro presupposti), dettata dall’art. 299,1 ed esplicitamente fatta salva
dall’art.313,2 con riferimento alle misure di sicurezza qui considerate. Tipica causa estintiva di queste misure di
sicurezza è, invece, quella evidenziata dall’art. 206,2 c.p., col prevedere la revoca delle stesse allorquando le
persone ad esse sottoposte “non siano più socialmente pericolose”.
Allo scopo di dare concretezza a questa previsione l’art. 313,2 impone al giudice di procedere anche d’ufficio, ovvero
su richiesta di parte, ad un riesame periodico circa la pericolosità sociale dell’imputato, prescrivendogli nuovi
accertamenti ex art.72, ovvero allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell’ordinanza (o anche prima), e ad ogni
scadenza semestrale. E questo vale, tra l’altro, anche nella particolare ipotesi che si verifica ex art.300,2 quando,
trovandosi già l’imputato in stato di custodia cautelare – ed essendo stata pronunciata nei suoi confronti una
sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per difetto di imputabilità, accompagnata dal ricovero in
ospedale psichiatrico giudiziario – a seguito dell’estinzione dello status custodia e per effetto di tale sentenza il
giudice abbia applicato al medesimo imputato la suddetta misura di sicurezza in via provvisoria ai sensi dell’art.312.
Per il resto dispone l’art.313,3 che, ai fini delle impugnazioni dei relativi provvedimenti, le misure di sicurezza
provvisoriamente applicate vengano equiparate alla custodia cautelare: con la conseguenza, tra l’altro, che le
ordinanze applicative di tali misure potranno essere sottoposte a riesame su richiesta dell’imputato o del suo
difensore ex 309, mentre le corrispondenti ordinanze di diniego potranno essere appellate dal PM ex 310. A
completamento di questa equiparazione tra le misure in questione e la custodia cautelare si stabilisce che anche a
riguardo delle prime debbano applicarsi le norme sulla riparazione per l'ingiusta detenzione.
26. La riparazione per ingiusta detenzione
Istituto inedito per la nostra tradizione codicistica, da coordinarsi con le ipotesi di risarcimento dei danni da
responsabilità civile dei magistrati in materia di provvedimenti concernenti la libertà personale. L’art.722-bis
prevede che la custodia cautelare all’estero subita in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo
Stato è computata ai fini della riparazione per ingiusta detenzione nei casi ex art.314 cpp. In tema di riparazione per
ingiusta detenzione l’art.314 ha individuato 2 diverse fasce di ipotesi di detenzione.
La prima fascia ex 314,1 riguarda la situazione dell’imputato che, dopo aver subito un periodo di custodia cautelare
– senza avervi dato causa per dolo o colpa grave – sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile per non aver
commesso il fatto, ovvero perché il fatto non sussiste, o non costituisce reato, ivi comprese l’eventualità del fatto
compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercito di una facoltà legittima, o ancora perché il fatto non è
previsto dalla legge come reato. Lo stesso vale ex 314,3 per la persona nei cui confronti siano stati pronunciati, al
termine delle indagini preliminari, una sentenza di non luogo a procedere, ovvero un provvedimento di
archiviazione (ciò vale anche con riferimento al caso dell’imputato condannato, nella misura in cui la durata della
custodia alla quale sia stato sottoposto abbia ecceduto l’entità della pena successivamente applicatagli in via
definitiva). Si tratta di ipotesi nelle quali il rapporto tra la natura della decisione liberatoria adottata e la restrizione
sofferta dall’imputato risulta sufficiente ad attestare ex post l’”ingiustizia” di tale restrizione. Alla disciplina
riparatoria si affianca, per coloro sottoposti a custodia carceraria o agli arresti domiciliari, il riconoscimento ex
102bis disp.att. del diritto di essere reintegrati nel posto di lavoro che occupavano prima dell’applicazione della
misura e dal quale siano stati licenziati a causa di tale “ingiusta detenzione”.
Le situazioni della seconda fascia sono definite ex 314,2, invece, con riguardo al caso dell’imputato già sottoposto a
custodia cautelare nel corso del processo, con riferimento alle ipotesi in cui sia stato accertato con decisione
irrevocabile che il relativo provvedimento era stato emesso, o mantenuto, senza che sussistessero le condizioni di
applicabilità previste dagli artt. 273 e 280. In ipotesi del genere non viene necessariamente in evidenza un profilo di
ingiustizia sostanziale della restrizione subita dall’imputato, ma risulta in re ipsa la sua illegittimità (per così dire la
sua ingiustizia formale).
Alla luce di una simile disciplina dei presupposti dell’Istituto ben si spiega anche la previsione contenuta nel comma
4 dell’art.314 secondo cui il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia stata
computata ex 657 ai fini della determinazione della misura di una pena, ovvero per il periodo in cui le limitazioni
siano state sofferte ex 297 e 298 in forza di un altro titolo. Quanto ai profili procedurali ex 315 la domanda di
riparazione (per un ammontare non superiore comunque a € 516.000 €) deve essere proposta, a pena di
inammissibilità, entro 2 anni dal giorno in cui sono divenute irrevocabili le sentenze rispettivamente del 1° e del 2°
comma dell’art.314, ovvero sia divenuta inoppugnabile la sentenza di non luogo a procedere, ovvero dal giorno in
cui il provvedimento di archiviazione è stato notificato al destinatario. Legittimato a proporre la domanda è il
soggetto interessato ovvero, in casi particolari, anche i suoi eredi. Per il resto, viene fatto rinvio, nei limiti della loro
compatibilità, alle norme sulla riparazione dell’errore giudiziario, previste dagli artt. 643-647. Circa l’individuazione
della corte d’appello competente, si osservano i criteri indicati nell’art. 102 disp.att.
27. Le misure cautelari reali: a) il sequestro conservativo; b) il sequestro preventivo; c) i rimedi
avverso i provvedimenti di sequestro
Il regime delle misure cautelari reali è contenuto in un apposito titolo in virtù della scelta sistematica diretta a
sottolineare lo specifico finalismo di tali misure, così da distinguerle rispetto ad altre, nelle quali l’imposizione di un
vincolo di indisponibilità sulla cosa non corrisponde ad un’esigenza cautelare in particolare, ad un’esigenza di
natura probatoria, come accade tipicamente nell’ipotesi del sequestro penale, non a caso disciplinato tra i mezzi di
ricerca della prova. Il codice individua due diverse specie di misure riconducibili a tale ambito, accomunate dalla
finalità cautelare, ma differenziate sul terreno delle esigenze cui l’una e l’altra rispettivamente si riferiscono: da un
lato la figura del sequestro conservativo, dall’altro la figura del sequestro preventivo, entrambi di regola affidati alla
competenza del giudice di merito, dietro richiesta del PM, od anche della parte civile nel primo caso (317 e 321).
A. La funzione del sequestro conservativo è quella di assicurare, attraverso il vincolo posto sui beni mobili o
immobili dell’imputato (si suppone già esercitata l’azione penale), nonché sulle somme o cose a lui dovute,
l’esecuzione della sentenza che potrebbe essere emessa, tutte le volte in cui vi sia fondato motivo di ritenere che
manchino o si disperdano le relative garanzie. Ciò sia sotto il profilo del pagamento della pena pecuniaria, delle
spese processuali e delle altre somme dovute all’erario statale, nell’ipotesi di iniziativa del PM (316,1), sia sotto il
profilo dell’adempimento delle obbligazioni civili da reato, nell’ipotesi di iniziativa della parte civile (o dello stesso
pm, a favore degli orfani per crimini domestici, come aggiunto dalla riforma Orlando), estensibile anche ai beni del
responsabile civile (316,2). Tra le novità si segnalano la possibilità di offrire una cauzione, in alternativa ex ante o in
sostituzione ex post al sequestro (319), e la conversione del sequestro in pignoramento quale conseguenza del
giudicato di condanna (320). A tal proposito si è avuto cura di precisare che l’estinzione della misura cautelare
patrimoniale, ed il contestuale fenomeno della sua conversione in pignoramento, non estingue il carattere
privilegiato dei crediti tutelati attraverso il sequestro, salva restando in ogni caso la priorità attribuita ai crediti della
parte civile rispetto a quelli dello Stato (del resto in coerenza con la riconosciuta estensione alla stessa parte civile
degli effetti del sequestro conservativo disposto a richiesta del PM, come emerge dall’articolo 316,3).
B. Riguardo al sequestro preventivo si prescrive che, anche prima dell’esercizio dell’azione penale, il giudice, su
richiesta del PM, deve disporre con decreto motivato il sequestro delle cose pertinenti al reato (comprese le cose
suscettibili di confisca), tutte le volte in cui la libera disponibilità delle stesse possa aggravare o protrarre le
conseguenze del reato medesimo, ovvero agevolare la commissione di altri reati (321,1, osservandosi a proposito la
normativa dettata per il sequestro probatorio (104 disp. att.). Al di fuori di questi presupposti, il sequestro delle cose
di cui è consentita la confisca è di regola rimesso alla discrezionalità del giudice, mentre diventa obbligatorio nel
corso dei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la PA (321 commi 2 e 2bis). Da notare che durante le
indagini preliminari, quando per l’urgenza delle circostanze non è possibile attendere il provvedimento del GIP, il
sequestro preventivo può essere disposto con proprio decreto dal PM, ed addirittura possono procedervi di loro
iniziativa anche ufficiali di PG, salva la necessaria trasmissione allo stesso PM del relativo verbale entro 48 ore. In tali
ipotesi il sequestro perde efficacia qualora entro le successive 48 ore (dal sequestro o, rispettivamente, dalla
ricezione del verbale) il PM non ne ha richiesto la convalida al giudice, ovvero qualora il giudice non emetta il
provvedimento di convalida entro 10 gg da tale richiesta (321 commi 3bis e 3ter). La misura viene invece revocata
dal giudice, su richiesta del PM o dell’interessato, ovvero, durante le indagini preliminari, dallo stesso PM (321,3),
quando viene accertata l’insussistenza delle esigenze di prevenzione che l’avevano giustificata. Con riguardo, infine,
alla perdita d’efficacia del sequestro preventivo conseguente alla pronuncia di determinate sentenze (323),vanno
sottolineate 2 specifiche previsioni relative al fenomeno della conversione del medesimo in altre figure di
sequestro:
1. da un lato, ci si riferisce all’ipotesi di conversione del sequestro preventivo in sequestro probatorio, tutte
le volte in cui il primo, avendo avuto per oggetto più esemplari identici della cosa sequestrata (c.d.
sequestro di massa), abbia perso efficacia a seguito di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a
procedere, poi impugnata dal PM: in tali casi, ove la cosa presenti nondimeno interesse probatorio, il giudice
ordinerà il mantenimento del sequestro a tale scopo probatorio su un solo esemplare della cosa,
disponendo la restituzione degli altri esemplari (323,2);
2. d’altro lato, ci si riferisce all’ipotesi di conversione conseguente alla pronuncia di una sentenza di condanna,
ovviamente quando non sia stata disposta la confisca delle cose sequestrate in via preventiva, nel qual caso
dovranno rimanere fermi gli effetti del sequestro (323,3). All’infuori di tale caso, e sempreché non permanga
l’esigenza cautelare ex 321, dovrà essere ordinata la restituzione di tali cose, ma il giudice potrà disporre la
conversione del sequestro preventivo in sequestro conservativo, ove ne sussistano i presupposti – e
naturalmente sulle cose appartenenti all’imputato o al responsabile civile - dietro richiesta del PM o della
parte civile (323,4): sia nell’ipotesi di sentenza di condanna, sia nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento o
di non luogo a procedere, in quanto soggette ad impugnazione.
Si tenga presente, in ogni caso, il diverso fenomeno della conversione del sequestro penale in una delle due figure
di sequestro cautelare, quale risulta dalla disciplina dettata in via ordinaria per la restituzione delle cose sequestrate
a fini probatori, quando si profili una situazione idonea ad integrare i presupposti del sequestro conservativo o del
sequestro preventivo (262 e 263). Più precisamente si prevede che, una volta maturate le premesse per tale
restituzione, essa tuttavia non debba venire disposta, allorché sussistano ai sensi degli artt. 316 e 321 gli estremi per
l’adozione di una misura cautelare reale: in ipotesi del genere giudice, anziché provvedere alle restituzione delle
cose sequestrate, dovrà ordinare che il sequestro sia mantenuto a titolo di sequestro conservativo (262,2) ovvero, a
seconda dei casi, di sequestro preventivo (262,3).
C. Per quanto invece riguarda il sistema dei rimedi contro i provvedimenti di sequestro, esso fa perno anzitutto sullo
strumento del riesame di fronte al tribunale in composizione collegiale sia contro l’ordinanza di sequestro
conservativo (318), sia contro il decreto di sequestro preventivo (322), dopo che analoga previsione era già stata
dettata con riferimento al decreto di sequestro per finalità probatorie (257 e 355 commi 3 e 4). Tuttavia, la richiesta
di riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento di sequestro. In tutti questi casi, il procedimento di
riesame è delineato dall’art. 324 sulla falsariga di quello descritto nell’art. 309 in materia di misure di coercizione
personale, ivi compresi i meccanismi del contraddittorio richiamati attraverso il rinvio alle forme dell’art.127, e con
l’ulteriore particolarità rappresentata dall’espressa previsione del deposito degli atti nella cancelleria del tribunale
“in composizione collegiale” competente su base provinciale, ancorché senza esplicito riferimento al diritto del
difensore (che comunque non dovrebbe essergli negato) di esaminarli e di estrarne copia. Da notare poi che, nel
caso di contestazione sulla proprietà delle cose sequestrate, il giudice del riesame dovrà rimettere la decisione della
controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo fermo il sequestro.
Quanto agli aspetti procedurali, converrà sottolineare come tra le disposizioni richiamate dall’art.324,7 vi siano
anche quelle dell’art.309 commi 9, 9bis e 10: donde l’interrogativo se il richiamo all’art.309 vada riferito alla
versione originaria della norma, ovvero se agli odierni commi 9 e 10 debbano ritenersi richiamati nella loro
interezza, cioè anche con riferimento alle previsioni inserite nella norma in oggetto dopo il varo del codice (ci si
riferisce, per un verso, alla previsione dell’annullamento dell’ordinanza per vizio di motivazione, e, per altro verso
all’ipotesi di caducazione provocata dalla mancata trasmissione degli atti nei termini di cui al precedente comma 5
ed al divieto di rinnovazione della misura adottata). Sulla questione le SS.UU. hanno stabilito, innanzitutto, che il
rinvio dell’art.324,7 al comma 10 dell’art.309 deve intendersi riferito alla formulazione codicistica originaria di
quest’ultima norma, e dunque non comporta l’applicazione, in materia di misure reali, né del congegno caducatorio
per omessa trasmissione degli atti, né del divieto di rinnovazione della misura; mentre la relatio ai commi 9 e 9bis
dell’art.309, al contrario, va riferita al testo attuale delle norme (con la precisazione che, quanto alla motivazione
dell’ordinanza cautelare, gli elementi la cui mancata autonoma valutazione ha rilievo ai fini dell’annullamento non
possono che essere quelli rilevanti in materia cautelare reale).
Si prevede infine che tutte le ordinanze emesse dal tribunale in sede di riesame intorno ai provvedimenti di
sequestro siano suscettibili di ricorso per cassazione. Tuttavia, si ammette che lo stesso ricorso possa altresì essere
proposto “direttamente” alla corte, con la conseguenza che in tal caso il ricorso rende inammissibile la richiesta di
riesame (325 commi 1 e 2). Il procedimento, in virtù dell’espresso rinvio al comma 5 dell’art.311 ora contenuto
nell’art.325 comma 3 (interpolato dalla riforma Orlando), è quello dettato dall’art.127.
A ciò si aggiunga che, fuori dei casi di riesame del decreto di sequestro preventivo previsti dall’art. 322, al PM,
all’imputato e alle altre persone interessate è comunque riconosciuto il diritto di proporre appello al tribunale in
composizione collegiale, contro le altre ordinanze in materia di sequestro preventivo (ad esempio le ordinanze che
abbiano respinto la richiesta di sequestro, ovvero la richiesta di restituzione delle cose sequestrate), nonché contro
il decreto di revoca eventualmente emesso dal PM, mentre nulla del genere si dice per quanto riguarda i
corrispondenti provvedimenti in materia di sequestro conservativo (322bis, ove si esclude l’effetto sospensivo di tale
appello, richiamandosi per il resto, in quanto compatibili, le disposizioni dell’art. 310). Naturalmente anche contro le
ordinanze emesse dal tribunale in sede di appello è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325,1.

CAPITOLO 6 – PROCEDIMENTI SPECIALI


1. Considerazioni introduttive sulla nozione di specialità.
Mentre il procedimento ordinario di primo grado è composto da 3 segmenti principali (indagini preliminari, udienza
preliminare e giudizio), il procedimento speciale si caratterizza per l’assenza di almeno uno di quei segmenti. Dal
momento che tali semplificazioni incidono su diritti costituzionali, la compressione di tali garanzie deve essere
espressamente autorizzata dalla legge e apparire ragionevole.
Il libro VI del cpp prevede 6 tipi di procedimento speciale: il giudizio abbreviato, l’applicazione di pena su richiesta
delle parti (cd. patteggiamento), il giudizio direttissimo, il giudizio immediato, il procedimento per decreto e la
sospensione del processo con messa alla prova. Tuttavia, vanno classificati come “speciali” anche: il procedimento
di oblazione (162 e 162bis c.p. e 141 disp.att.), che consente una chiusura anticipata del processo evitando la fase
dibattimentale con contestuale degradazione da illecito penale a illecito amministrativo; la estinzione del reato per
condotte riparatorie (introdotto dalla riforma Orlando); il giudizio immediato richiesto dall’imputato, che consente
di anticipare il dibattimento saltando l’udienza preliminare (419,5); i procedimenti che nascono da una
contestazione suppletiva nell’udienza preliminare (423)o nel dibattimento (517-518), i quali sono privi,
rispettivamente, dell’indagine preliminare e dell’intera fase preliminare al giudizio. Lo stesso discorso vale anche
per il procedimento davanti al giudice monocratico per i reati ex 550 che è privo dell’udienza preliminare. Discorso
analogo vale per il procedimento penale davanti al giudice di pace. Non rientrano in questo canone di specialità né il
ricorso immediato per Cassazione che comporta l’eliminazione di un grado di giudizio (569) in quanto la specialità
qui intesa riguarda il solo procedimento di primo grado e non le soluzioni tecniche – pur ispirate da esigenze di
economia processuale – che caratterizzano i gradi successivi del giudizio; né il non doversi procedere per particolare
tenuità del fatto (131bis c.p.) esso infatti consiste in un proscioglimento che può intervenire in ogni stato e grado
del procedimento penale, senza che ciò comporti modalità procedurali speciali; né tanto meno rientra nel concetto
di specialità il patteggiamento in appello.
2. Ragioni della “specialità”.
È possibile suddividere i procedimenti speciali in 3 gruppi: In un gruppo si collocano quei riti fondati su un requisito
soggettivo, quale la scelta volontaria di una o entrambe le parti (giustizia consensuale), ossia il giudizio abbreviato,
l’applicazione di pena su richiesta di parte (o patteggiamento), il procedimento di oblazione, l’estinzione del reato
per condotte riparatorie, la sospensione del processo con messa alla prova e il giudizio immediato richiesto
dall’imputato. In tali procedimenti le parti hanno la facoltà di disporre di taluni stati o situazioni processuali e sul
modo di formare la prova nonché sulle questioni attinenti alla qualificazione giuridica del fatto e alla quantificazione
della pena.
In un altro gruppo abbiamo i riti fondati su requisiti oggettivi (ad es. la scarsità del reato o l’evidenza dell’accusa)
imperativamente affermati dal magistrato penale (giurisdizione autoritativa), di cui fanno parte il giudizio
direttissimo, giudizio immediato, contestazione suppletiva del reato concorrente o del reato continuato (423,1
ult.pa. e 517). La semplificazione del rito si giustifica in forza di predefiniti presupposti processuali connotati da una
certa oggettività, la cui sussistenza è affermata dal PM e poi, di regola, vagliata e confermata dal giudice. In
particolare, il giudizio direttissimo e quello immediato si fondano su una asserita facilità di accertamento probatorio
talvolta dai confini netti (flagranza di reato o confessione), tal’ altra definita in maniera approssimativa (evidenza
della prova); la contestazione suppletiva si fonda invece sull’opportunità di cumulare il fatto emerso nell’udienza
preliminare o nel dibattimento, con quello già in precedenza contestato, al fine di facilitare il compito del giudice nel
calcolo della pena (81 c.p.).
Vi è infine un gruppo misto formato da quei procedimenti in cui la semplificazione è il risultato di una iniziale scelta
imperativa del magistrato penale, combinata col consenso dell’imputato o con l’accordo delle due parti principali del
processo penale. Vi fanno parte il procedimento per decreto (459-464), il giudizio direttissimo esperibile col
consenso delle parti (449,2 ult.pa.) e la contestazione suppletiva del fatto nuovo (423,2 e 518,2).

3. Rapporti fra i procedimenti speciali.


I procedimenti speciali non sono necessariamente incompatibili tra loro. La scelta, in particolare, si impone solo
all’interno del medesimo gruppo di riti speciali, nel senso che un procedimento del tipo “consensuale” esclude, di
regola, la trasformazione in altro procedimento appartenente al medesimo tipo. L’instaurazione di una procedura
consensuale è altresì incompatibile con qualsiasi semplificazione imperativa del procedimento. È invece sempre
consentito il passaggio inverso, ossia da un rito scelto ex auctoritate a uno dei riti consensuali. A rendere opportuna
e a volte doverosa questa trasformazione concorrono 2 ragioni: una di tipo economico, in quanto il rito premiale
realizza quasi sempre un risparmio di risorse ed è perciò “favorito” dal sistema; l’altra di tipo giuridico‐
costituzionale, in quanto l’accesso ai riti premiali (coi suoi sconti di pena) non può essere ostacolato
dall’instaurazione “autoritativa” di un procedimento speciale perché significherebbe esporre l’imputato ad una
irragionevole disparità di trattamento.
4. Giustizia “consensuale” e corrispondenti forme di “specialità”.
Il codice di procedura penale assegna ampio spazio alla c.d. giustizia consensuale, il ricorso alla quale priva le parti
della possibilità di giovarsi dei possibili vantaggi abbinati a determinate situazioni processuali tipiche del processo
ordinario. Quando rinuncia al dibattimento, l’imputato si priva della facoltà di contrastare l’accusa con tutti quegli
strumenti che la fase del giudizio offrirebbe, comportando un’accelerazione del processo, ma in modo da
avvantaggiare l’accusa. Ovviamente nessun imputato farebbe una scelta del genere se non in vista di un possibile
tornaconto: di qui il carattere premiale di tali procedimenti, che appunto “premiano” la rinuncia difensiva
dell’imputato con sensibili sconti di pena e altri considerevoli vantaggi. Diversa è invece la ragione che determina la
rinuncia all’udienza preliminare nel giudizio immediato richiesto dall’imputato, o all’intera fase preliminare del
processo nei casi di giudizio direttissimo consensuale: qui è assente qualsiasi tipo di premialità. In questi casi
l’imputato rinuncia sì a determinate chances difensive, ma allo scopo di tutelare meglio la propria posizione in vista
di un pronosticabile proscioglimento e non già per concedere qualcosa all’accusa in cambio di uno sconto di pena.
5. Procedimento di oblazione.
L’oblazione è una chiusura anticipata del processo, causata da una richiesta dell’imputato di regolare in denaro la
propria “pendenza penale”. Il rito è esperibile solo per reati contravvenzionali punibili con l’ammenda in astratto
(art.162 c.p.) e in concreto (art.162-bis c.p.). Le cose cambiano a seconda che la pena pecuniaria costituisca la
sanzione esclusiva per il reato o l’alternativa all’arresto: 1) nel primo caso (c.d. oblazione obbligatoria 162 c.p.), il
giudice è tenuto ad accogliere la richiesta se l’imputato l’ha presentata ritualmente entro il termine prescritto:
l’unica eccezione riguarda i casi di reato permanente, che la legge considera insuscettibili di oblazione. La somma da
pagare al fine di estinguere la contravvenzione è fissata in 1/3 del massimo dell’ammenda prevista in via edittale;
2) nel secondo caso (c.d. oblazione facoltativa 162bis) il giudice ha un certo margine di discrezionalità: egli deve
rigettare la richiesta quando ritiene di dover applicare la pena detentiva anziché quella pecuniaria; quando
considera grave il fatto commesso e quindi incongrua l’offerta dell’imputato (co. 4), oppure nei casi di recidiva,
abitualità e professionalità nel reato (co. 3). Qualora il giudice opti per l’oblazione, è previsto il pagamento della
metà della massima ammenda prevista.
Già durante le indagini preliminari, la richiesta di oblazione può essere presentata (dall’imputato o dal difensore
senza necessità di procura speciale) al PM, il quale la inoltra al giudice col fascicolo dell’indagine (141 disp.att.).
Iniziato il processo, la richiesta è presentata al giudice prima che sia aperto il dibattimento o prima che sia emesso
decreto penale di condanna. Quest’ultima eventualità pone un problema di informazione per l’imputato, in quanto
egli potrebbe persino ignorare l’esistenza di un procedimento a proprio carico di cui potrebbe venirne a conoscenza
dopo l’eventuale decreto di condanna. Per scongiurare tale eventualità, la legge prevede che il PM, all’atto di
chiedere il decreto penale, informi l’imputato sia della possibilità di essere ammesso all’oblazione, sia dei
vantaggiosi effetti conseguibili tramite la stessa (141,2 disp.att). Se il PM non adempie a tale dovere, l’avviso deve
essere fatto dal giudice, contestualmente all’emissione del decreto penale per il fatto oblazionabile (141,3 disp.att).
A parte ciò, il termine per la richiesta di oblazione è perentorio sicché andrebbe incontro ad una declaratoria
d’inammissibilità l’imputato tardivo; se però nel dibattimento fosse contestato un fatto diverso o un reato
concorrente suscettibile di oblazione, i termini per la richiesta si riaprirebbero ex 141,4bis disp.att. Accolta la
richiesta, il giudice dichiara di non doversi procedere per estinzione del reato, con sentenza appellabile. In caso di
rigetto, il rito è destinato a proseguire nella forma ordinaria o secondo le regole del procedimento per decreto, ma
l’imputato può rinnovare la richiesta d’oblazione anche nel corso del dibattimento di primo grado, fino all’inizio della
discussione finale quest’ultima possibilità è prevista espressamente per l’oblazione facoltativa, ma la
giurisprudenza ritenendolo principio generale la fa valere anche nei procedimenti di oblazione obbligatoria. La
richiesta potrebbe essere riproposta anche in limine al giudizio di secondo grado, sul presupposto di un erroneo
rigetto da parte del giudice di prima istanza. In tal caso, il giudice di appello concede un termine di 10gg entro i quali
l’imputato è ammesso al pagamento della sanzione pecuniaria.
6.Offerta riparatoria finalizzata alla declaratoria di estinzione del reato.
Art.162-ter c.p.: consente una chiusura anticipata del processo, promettendo l’estinzione del reato all’imputato che
ripara integralmente il danno procurato alla vittima. La regola trova applicazione per i soli reati perseguibili a
querela, purché sia soggetta a remissione. Sono esclusi i delitti di violenza sessuale per i quali la querela – quando ci
vuole – è irrevocabile. Si introduce così una particolare procedura che permette di giungere a un’estinzione del
reato, evitando il dibattimento, anche a prescindere dalla remissione della querela. È escluso, inoltre, il delitto di atti
persecutori che il d.l. del 2017, n.148 ha inteso sottrarre a questa definizione anticipata, benché perseguibile a
seguito di querela revocabile, quando le minacce non siano gravi e reiterate.
Quanto al presupposto per la definizione del rito e per l’estinzione del reato, non è essenziale che l’offerta
risarcitoria sia accettata dalla persona offesa. Il sintagma “condotte riparatorie” che compare nella rubrica
dell’art.162-ter rischia di essere fuorviante, giacché evoca scenari di mediazione tra autore e vittima estranei al rito.
È sufficiente che il giudice consideri l’offerta congrua e proporzionata al danno cagionato. Questo il senso da
attribuire alla richiesta agli artt.1208 ss c.c. sulla mora del creditore.
Sul piano procedurale, la legge contiene una scarna previsione circa il termine entro il quale formulare la proposta:
prima che sia dichiarato aperto il dibattimento di primo grado, come accade per l’oblazione. Non è previsto alcun
terminus a quo, ma è ragionevole ritenere che la richiesta possa essere avanzata già nel corso delle indagini
preliminari, in analogia con quanto previsto dall’art.141 disp.att., comma 1, a proposito dell’oblazione. Altrettando
opportuno sarebbe estendere anche il comma 2 dell’art.141 disp.att, secondo il quale l’indagato va avvertito dal pm
della possibilità di conseguire l’estinzione del reato, riparando il danno. Ciò acquisterebbe un significato pregnante
quando il pm si determinasse a chiedere il decreto penale di condanna, giacché tale rito speciale finirebbe col
precludere l’applicazione della procedura riparatoria: in sede di opposizione al procedimento per decreto non
sarebbe ammessa infatti la richiesta di riparare il danno, per conseguirne l’estinzione del reato.
Finché non interverrà il legislatore, converrà ispirarsi alle soluzioni prospettate dall’art.141 disp.att. per la procedura
di oblazione. Così, prima di chiedere un decreto penale di condanna per i reati considerati, sarebbe opportuno che il
pm avvertisse l’indagato o imputato della possibilità di attivare l’art.162-ter. E, in mancanza di questo avviso,
dovrebbe essere il giudice che accogliesse la richiesta del pm a menzionare nel decreto di condanna l’occasione
riparatoria finalizzata all’estinzione del reato, in maniera che l’imputato sia messo tempestivamente in condizione di
esercitare quel suo diritto opponendosi al decreto stesso. Occorre però tener presente che molti dei delitti cui
risulta applicabile l’art.162-ter possono ben essere estranei all’ambito applicativo del procedimento per decreto. Es:
la truffa semplice è punibile sia con pena detentiva che pecuniaria. Se questo fosse il caso, converrebbe ispirarsi alla
norma in tema di citazione diretta a giudizio, ove si prevede che, ricorrendone i presupposti, l’imputato sia avvisato
della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento o l’oblazione, sicché alla lista andrebbe aggiunta
anche la domanda di riparazione del danno. Anzi, considerando che bisogna sempre fare i conti con la persona
offesa, sarebbe opportuno che l’avviso fosse notificato anche alla persona offesa, sì da rendere effettiva
quell’audizione promessa ex art.162-ter.
L’ammissibilità della domanda è vagliata dal giudice destinatario della richiesta, alla stregua del criterio sopra
indicato: congruità della somma offerta a riparare il danno cagionato. Una statuizione che il giudice adotta dopo
aver sentito le parti e la persona offesa dal reato. I pareri, non vincolanti, proveniente dall’accusa, dalla difesa e dalla
vittima del reato servono a meglio orientare la valutazione del giudice circa la congruità della somma che l’asserito
autore del reato è disposto a pagare. L’accoglimento della richiesta apre la via alla declaratoria di estinzione del
reato, che sarà sancita con provvedimento di archiviazione, se l’offerta è presentata nel corso dell’indagine
preliminare, oppure con sentenza di non doversi procedere, quando la domanda di riparazione fosse successiva. Se,
infine, la richiesta di riparazione del danno fosse rigettata, si andrebbe verso il giudizio, ma si deve ritenere che una
nuova offerta riparatoria possa essere reiterata, fin tanto che non sia dichiarato aperto il dibattimento. Una
rimessione in termini è poi ragionevole che sia prevista nel caso di mutata qualifica giuridica del fatto, come
accadrebbe se, durante il dibattimento, l’imputazione di estorsione fosse derubricata in esercizio arbitrario delle
proprie ragioni mediante violenza sulle cose, perseguibile a querela ex art.392 c.p. In caso di rigetto dell’offerta
riparatoria resterebbe comunque aperta, per l’imputato, la possibilità di attivarsi con la richiesta di altro rito
alternativo.
7. Applicazione della pena su richiesta delle parti.
Il patteggiamento è esperibile per una serie di reati, identificati dall'art. 444,1 attraverso il riferimento alla sanzione
in concreto applicabile: vi rientrano i delitti e le contravvenzioni punibili con una pena pecuniaria, oppure con una
delle sanzioni sostitutive previste dalla L. 689/1981, o, infine, con una pena detentiva non superiore a 5 anni anche
congiunta ad una pena pecuniaria. La pena detentiva va determinata computando le eventuali circostanze previste
dalla legge penale e tenendo altresì conto della diminuzione di pena fino ad 1/3 per la scelta del rito speciale.
Pertanto, sono ammessi al patteggiamento reati puniti con pene che, in astratto, superano di gran lunga i 5 anni di
reclusione, anche se ne sono esclusi i delitti di criminalità organizzata (51,3bis), di terrorismo (51,3quater),
determinati delitti contro la personalità individuale o contro la libertà sessuale, nonché gli imputati che dovendo
rispondere di reati concretamente punibili con pena detentiva superiore ai 2 anni siano dichiarati delinquenti
abituali, professionali o per tendenza, oppure che risultino pluri recidivi (444,1bis). Recentemente per i reati
contro la P.A. (quali Peculato, concussione, corruzione per atti giudiziari, induzione, ecc.) l’ammissione al
patteggiamento è stato subordinato alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato (444,1ter). Lo
stesso accade per reati in materia di imposte dirette o indirette occorre pagare il debito tributario. Il rito in
questione è poi precluso nel procedimento minorile ed è incompatibile con la giurisdizione del giudice di pace.
Sussiste, inoltre, una differenza ragguardevole, quanto a contenuto punitivo, fra la sentenza che applica una pena
concordata fino a 2 anni e quella che applica una pena da 2 a 5 anni. Viene qualificato "maius" il patteggiamento
concernente i reati più gravi (cd. patteggiamento allargato), e "minus" il patteggiamento riguardante i reati meno
gravi (cd. patteggiamento ristretto). Nei procedimenti a carico di persone giuridiche il patteggiamento è ammesso
per tutti gli illeciti sanzionati con pena pecuniaria, ma per quelli sanzionati con altra pena il rito speciale è esperibile
a condizione che non debba essere applicata, in via definitiva, una sanzione interdittiva. Perno del rito è il necessario
accordo fra le parti principali del processo (imputato e PM) avente per contenuto il quantum di pena da applicare;
tuttavia tale accordo è necessario ma non sufficiente per l’applicazione del rito, poiché la legge impone al giudice di
verificare i presupposti di applicabilità dell’intesa raggiunta.
Dal punto di vista dell’imputato, l’accordo comporta una serie di rinunce a diversi diritti che gli spetterebbero in
base alle regole ordinarie processuali: rinuncia ad esercitare il diritto alla prova; rinuncia a controvertere sul fatto e
sulla relativa qualifica giuridica; rinuncia a controvertere sulla specie e sulla misura della pena da applicare. In
compenso, ottiene una serie di vantaggi, diversamente distribuiti secondo che si tratti di patteggiamento minus o
maius. Taluni vantaggi sono comunque comuni ai due tipi di rito speciale. Innanzitutto, lo sconto di pena: la
sanzione va diminuita “fino a 1/3”, dove la frazione indica l’entità dello sconto. Altro vantaggio comune è l’assenza
di effetti pregiudizievoli della sentenza che applica la pena concordata: essa, a parte un’eccezione che vedremo, non
è idonea a irradiare effetti vincolanti nei giudizi civili e amministrativi nei quali sia parte l’imputato che ha chiesto di
patteggiare (445,1bis). Infine, vi è assenza di pubblicità. Altri vantaggi sono invece collegati al solo patteggiamento
minus: l’affrancamento dell’imputato dall’obbligo di pagare le spese processuali; l’esenzione da pene accessorie e
misure di sicurezza (445,1), eccettuata la confisca; la non menzione della sentenza nel certificato generale del
casellario giudiziale richiesto dal privato. Fra i vantaggi rientra anche la possibilità che la pena concordata che non
superi i 2 anni di detenzione possa essere sospesa sub condicione e la relativa condanna possa sfociare in una
declaratoria di estinzione del reato se nei 5 anni successivi, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero nei 2
anni successivi, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l’imputato non commette un delitto ovvero una
contravvenzione della stessa indole (445,2).
Dal punto di vista dell’accusa, il patteggiamento comporta la rinuncia a controvertere sulle questioni di fatto e di
diritto connesse col tema dell’imputazione, realizzando però al contempo un risparmio di risorse. Tuttavia, il PM è
tenuto ad effettuare la propria scelta alla stregua di parametri obiettivi e non in base a valutazioni di opportunità. Si
ritiene che il PM debba esprimere il proprio consenso dopo aver appurato che il materiale d’indagine è sufficiente
per applicare la pena richiesta (altrimenti deve proseguire l’indagine oppure chiedere l’archiviazione o la sentenza
di non luogo a procedere); inoltre, deve verificare la corretta qualificazione giuridica assegnata al fatto
dall’imputato nella richiesta di patteggiamento o nell’atto di consenso; ancora, deve chiedersi se all’esperibilità del
rito speciale non ostino motivi di esclusione oggettiva o soggettiva menzionati nell’art. 444,1bis; infine, deve
interrogarsi sulla congruità della sanzione richiesta rispetto alla gravità del fatto e alla personalità del suo autore.
In realtà il consenso del PM non deve essere motivato, tuttavia ci penserà il giudice a vagliare se il rito speciale possa
aver luogo. Infatti, prima di pronunciare sul merito, il giudice deve condurre una verifica sull’ammissibilità della
richiesta, a meno che non ricorra una delle situazioni ex art.129 (declaratoria per cause sopravvenute), nel qual
caso egli sarebbe tenuto a pronunciare la corrispondente sentenza di proscioglimento. Il giudice verificherà quindi
che il reato rientri fra quelli suscettibili di essere patteggiati anche con riferimento alle esclusioni oggettive e
soggettive imposte dall’art. 444,1bis; verificherà la correttezza della qualificazione giuridica operata dalle parti;
valuterà che la pena indicata da queste sia congrua rispetto alle finalità che le sono proprie alla luce dell’art. 27,3
Cost. quanto all’eventuale incompletezza dell’indagine, il giudice deve assolvere l’imputato, se a suo carico non
risulta alcun elemento (444,2), sicché grava sul PM il dovere di negare il proprio consenso a fronte di una
imputazione non sufficientemente suffragata da elementi conoscitivi acquisiti nella fase preliminare, onde evitare
una indesiderata assoluzione. Il dissenso opposto alla richiesta dell’imputato dal PM deve, invece, essere sempre
motivato (446,6), in quanto esso impedisce la soluzione anticipata del processo che proseguirà normalmente;
tuttavia, ciò non preclude una tardiva applicazione della pena richiesta dall’imputato, ogniqualvolta il giudice del
dibattimento o dell’appello ritengano ingiustificato il dissenso stesso.

8. introduzione e svolgimento procedurale.


Atto introduttivo del patteggiamento è la richiesta presentata al giudice da una delle parti. Richiesta e consenso
possono essere formulati oralmente, se presentati in udienza, o avere forma scritta negli altri casi (446,2). Requisito
indispensabile, pena l’inammissibilità del rito speciale, è la volontarietà dell’atto, dunque vi deve essere consenso
tra le parti (il giudice deve d’ufficio accertare l’assenza di vizi al riguardo ex 446,5), per cui l’imputato deve agire
personalmente o tramite procuratore speciale. Per le persone giuridiche agisce il rappresentante legale, purché
questi non sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, nel qual caso dovrà essere nominato un
rappresentante ad hoc. La richiesta può essere avanzata già durante l’indagine preliminare (447,1), nonché nella
successiva udienza preliminare, fino a che le parti non abbiano concluso la relativa discussione (446,1). Altri termini
sono invece imposti nei procedimenti privi di udienza preliminare: nel procedimento monitorio, la richiesta va
proposta dall’imputato insieme all’opposizione contro il decreto di condanna (461,3). Negli altri procedimenti privi il
termine ultimo cade sempre nella fase predibattimentale:
- nel giudizio immediato, entro 15 gg dal corrispondente decreto di citazione (458,1);
- nel giudizio direttissimo e in quello conseguente a citazione diretta davanti al tribunale monocratico, prima che sia
dichiarato aperto il dibattimento (492).
Entro tali termini, la parte che non ha formulato la richiesta, ha facoltà di prestare il proprio consenso, benché in
precedenza, tale consenso fosse stato espressamente negato (446,4). Una speciale rimessione in termini assiste
l’imputato erroneamente processato in assenza, in grado di documentare l’incolpevole ignoranza del processo a suo
carico: il processo infatti, persino se definito con sentenza irrevocabile di condanna (629bis) retrocede alla fase
introduttiva del giudizio e all’imputato è riconosciuto il diritto di chiedere il patteggiamento in limine al dibattimento
(489,2). Una sorta di rimessione in termini a favore della difesa è ammessa, inoltre, a fronte di una contestazione
del fatto diverso, del reato concorrente o di una circostanza aggravante (516 e 517) quando all’imputato non possa
essere rimproverata l’omessa tempestiva richiesta di patteggiamento in ordine alle nuove imputazioni. La legge
processuale non precisa quale debba essere in contenuto della richiesta ma, dai criteri imposti al giudice per
verificarne l’ammissibilità, si ricava che essa deve indicare almeno il fatto da giudicare, la relativa qualificazione
giuridica e la pena ritenuta congrua. L’imputato può inoltre legare la sorte del patteggiamento alla possibilità di
usufruire della sospensione condizionale della pena (444,3).
Particolare è il caso della richiesta presentata dal PM durante l’indagine preliminare (così come il suo consenso
prestato nella medesima fase) questa coincide con l’esercizio dell’azione penale (405,1) sicché la richiesta o il
consenso provenienti dal PM devono contenere necessariamente l’atto d’imputazione; di conseguenza, il PM non
può presentare una richiesta di patteggiamento o prestare il proprio consenso quando l’indagine è ancora
incompleta, oppure quando l’esito investigativo è insufficiente per sostenere l’accusa in giudizio si considera che il
consenso dell’imputato è privo di valore probatorio e non equivale ad assunzione di responsabilità, per cui non è in
grado di colmare le incompletezze investigative. La richiesta è revocabile o modificabile dal proponente fino a
quando non interviene il consenso della controparte; l’unica eccezione è rappresentata dall’ipotesi in cui la richiesta
sia presentata durante l’indagine preliminare e il giudice abbia assegnato un termine alla controparte per esprimere
il proprio consenso  prima di tale termine la richiesta non può essere revocata o modificata (447,3).
L’intesa raggiunta obbliga il giudice a decidere sull’ammissibilità del rito speciale, attraverso una serie di verifiche:
anzitutto verificare l’insussistenza di cause di non punibilità che ex 129 lo obbligherebbero a prosciogliere
immediatamente l’imputato; poi deve appurare l’esistenza dell’accordo fra le parti e l’effettiva volontà delle stesse
di chiudere anticipatamente il processo; deve accertare che non sussista una delle esclusioni oggettive e soggettive
ex art. 444 commi 1, 1bis e 1ter; infine deve controllare la corretta qualificazione giuridica data al fatto dalle parti e
la congruità della pena proposta tutto ciò risolve il patteggiamento non come un accertamento positivo della
responsabilità penale, ma come un’esclusione dei possibili presupposti di proscioglimento alla stregua del materiale
di indagine. Quando accoglie la richiesta, il giudice deve applicare la pena esattamente nella specie e nella misura
quantificata nell’accordo (448,1) non una pena diversa, nemmeno se inferiore a quella dell’accordo.
Ne consegue che ove il giudice non condivida il “progetto di sentenza”, deve rigettare la richiesta, provocando la
prosecuzione del procedimento lungo il normale iter. Tuttavia, la dichiarazione di inammissibilità non preclude
nuove richieste di fronte allo stesso giudice finché è aperto il termine per la loro presentazione. Anche
l’inammissibilità dichiarata dal giudice primo destinatario della domanda è poi esposta, per una sola volta, al
successivo sindacato di altro giudice, se l’imputato ne fa richiesta: del giudice del dibattimento, qualora la richiesta
sia stata rigettata dal gip; del giudice d’appello, qualora invece la richiesta sia stata presentata per la prima volta e
rigettata dal giudice dibattimentale (vale a dire nei casi di giudizio direttissimo e di citazione diretta davanti al
tribunale monocratico; infine, del giudice di cassazione, nei casi di citazione diretta e direttissima aventi ad oggetto
reati che non ammettono l’appello (448,1 terza parte). Un particolare caso di inammissibilità è quello del dissenso
che il PM oppone alla richiesta dell’imputato; ciò tuttavia, come già detto, il dissenso preclude solo la procedura
patteggiata ma non anche l’applicazione, nella fase del giudizio, della pena richiesta dall’imputato quando il giudice
dibattimentale (o quello d’appello) reputi il dissenso privo di adeguata giustificazione per verificare la fondatezza
del dissenso o della declaratoria di inammissibilità, il giudice ordina l’esibizione degli atti contenuti nel fascicolo del
PM prima di dichiarare aperto il dibattimento e, se la verifica da esito negativo, dopo che gli atti sono stati inseriti
nel fascicolo dibattimentale, il medesimo giudice applica lo sconto di pena erroneamente escluso in precedenza.

9: La sentenza.
La sentenza di patteggiamento anziché un accertamento positivo sulla responsabilità penale, contiene un semplice
accertamento negativo della non punibilità, risolvendosi nella constatata insussistenza di cause di proscioglimento
ex 129,1. La sentenza che applica la pena su richiesta delle parti è stata equiparata a una pronuncia di condanna
(445,1bis seconda parte). Letteralmente, ciò impone di ravvisare nella sentenza di patteggiamento una condanna
penale, tutte le volte in cui la legge collega certi effetti all’esistenza di una sentenza di condanna. Tuttavia, in certi
casi la legge connette determinati effetti alla condanna in ragione non tanto del fatto che esiste una sentenza di quel
formale tenore, quanto piuttosto dell’accertamento di responsabilità che la sentenza stessa racchiude e
documenta. Talvolta, poi, è la stessa legge ad escludere che la sentenza di patteggiamento vada considerata come
decisione di condanna; infatti, è espressamente stabilito che, limitatamente alle ipotesi di patteggiamento minus, la
sentenza in questione non può applicare pene accessorie (445,1). Inoltre, è sancita la sua inidoneità a sortire effetti
vincolanti in sede civile risarcitoria (445,1bis prima parte), oltreché in sede amministrativa o in sede civile extra‐
risarcitoria (654). L’unica eccezione è rappresentata dall’effetto vincolante che la sentenza in questione può
produrre nel procedimento disciplinare. Talvolta è la stessa legge a mettere sullo stesso piano la sentenza di
condanna e quella di patteggiamento in tema di normativa speciale antimafia lo status di condannato ex 444 è
equiparato a quello di condannato con sentenza dibattimentale. Altro esempio è fornito dalla recente legge
emanata a tutela degli orfani per crimini domestici. La persona condannata per omicidio o tentato omicidio nei
confronti del coniuge o del convivente in unione civile subisce la perdita del diritto alla successione, quale effetto
penale della condanna. L’indegnità a succedere è dichiarata anche in presenza di quell’accertamento approssimativo
della responsabilità penale rappresentato dall’applicazione della pena su richiesta delle parti (art.444 comma 2
come emendato dalla l.n.4/2018).
In passato si negava natura condannatoria delle sentenze di patteggiamento ai fini del giudizio di revisione, tuttavia
la legge 134/2003 ha novellato l’art.629 includendo fra i provvedimenti suscettibili di revisione anche le sentenze
emesse ex 444,2  tale scelta però se da un lato avvicina le sentenze di patteggiamento a quelle di condanna,
dall’altro ribadisce l’irriducibilità delle prime nelle seconde perché altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di questa
apposita specificazione. Inizialmente, la giurisprudenza si è andata orientando nel senso di negare natura
condannatoria alla sentenza in questione, ogniqualvolta il giudicato di condanna è dalla legge considerato per la
affermazione di responsabilità che esso incorpora e non in ragione del suo esser titolo per eseguire una sanzione.
Questo spiega, ad esempio, perché la sentenza di patteggiamento non fosse considerata di condanna ai fini di quella
particolare ipotesi di revoca di diritto della sospensione condizionale della pena dipendente dall’aver commesso un
reato della stessa indole. L’atteggiamento mutò dopo l’entrata in vigore della l.134 del 2003 in relazione agli esiti di
un patteggiamento maius: sentenze che applicavano una pena superiore ai due anni sembravano prossime alla
condanna più di quelle che chiudevano un patteggiamento minus. Le si ritenne pertanto idonee a far revocare la
sospensione condizionale della pena in precedenza concessa. Senonché una distinzione a tal fine fra i due tipi di
sentenze non poteva sopravvivere a lungo. Essa fu solo una tappa sulla strada che ben presto avrebbe portato la
giurisprudenza a riconoscere la natura prevalentemente condannatoria di tutte le sentenze irroganti pene richieste
dalle parti. Va ricordato, al riguardo, il principio di diritto enunciato da una pronuncia delle sezioni unite risalente al
2005, secondo cui ogni sentenza di patteggiamento è idonea a determinare la revoca della sospensione condizionale
della pena. Più in generale, le sentenze ex art.444 sortiscono sempre gli ordinari effetti della condanna, salvo che
la legge vi deroghi espressamente.
Tali sentenze sono inappellabili lungo l’intero arco del procedimento di merito si preclude quindi il giudizio di
secondo grado. Non costituisce però un’eccezione il caso di appellabilità previsto a vantaggio del PM (448,2prima
parte), il quale può appellare la sentenza con la quale il giudice del dibattimento ha applicato la pena richiesta
dall’imputato, ritenendo ingiustificato il suo dissenso. A parte questo caso particolare, la sentenza di
patteggiamento è impugnabile col solo mezzo del ricorso per cassazione per uno dei motivi indicati nell’art. 606.
Errore in procedendo ed errore in iudicando possono infatti essere fatti valere, in sede di legittimità, anche con
riguardo ai punti della decisione su cui si formò l’accordo fra le parti (come ad esempio la qualificazione giuridica)
giacché spetta pur sempre alla Cassazione l’ultima parola sull’esatta applicazione della legge sostanziale e
processuale. Eventuali errori di denominazione della pena o di calcolo nella sua determinazione sono rimediabili con
la rapida e informale procedura di correzione, attivabile anche d’ufficio sia dal giudice che ha emesso il
provvedimento, sia dalla corte di cassazione.
Tuttavia, i ricorsi in cassazione contro le sentenze di patteggiamento devono fare i conti con la natura negoziale del
rito la giurisprudenza della Corte ha infatti elaborato dei criteri di ammissibilità molto rigorosi: ad esempio l’errata
qualificazione giuridica del fatto può essere fatta valere solo in presenza di un manifesto errore in iudicando che
dissimuli un’illegale trattativa sul nomen iuris, non invece di fronte ad una qualificazione che presenti oggettivi
margini di opinabilità. Analogamente la contestazione sul quantum di pena patteggiata è ammessa solo se l’accordo
appare illegale, essendosi formato senza rispettare i limiti edittali fissati dalla legge penale. Se ne ricava che
l’accordo delle parti, quando sia rispettoso dei parametri legali (sostanziali e processuali), è inattaccabile in
Cassazione, anche quando il suo contenuto appaia discutibile agli occhi del giudice di legittimità. Inammissibile,
infine, il ricorso per vizio di motivazione, che una giurisprudenza ormai consolidata era peraltro orientata a
escludere, per un’asserita carenza di interesse, posto che, in questa speciale procedura, entrambe le parti
raggiungono un accordo che non può essere rimesso in discussione nelle fasi successive del processo.

10: azione civile e patteggiamento.


Il danneggiato dal reato non può intervenire nel patteggiamento, né per esercitarvi l’azione risarcitoria, né per
opporsi alla definizione anticipata del giudizio. E se, nel precedente corso del processo, egli avesse già avuto
occasione di costituirsi parte civile, il sopravvenuto accordo tra le parti lo costringerebbe ad abbandonare la sede
penale, per far valere la propria pretesa innanzi al giudice civile in tale procedimento speciale l’azione civile è
preclusa ex 444,2 per via del carattere incompleto di questo tipo di accertamento penale. Al massimo, il danneggiato
costituitosi parte civile, può esigere dall’imputato il pagamento delle spese processuali fino a quel momento
sostenute. L’eventuale processo civile instaurato dal danneggiato uscito forzosamente dal processo penale non
sarebbe destinato a subire la sospensione prevista dall’art. 75,3 né sarebbe in alcun modo pregiudicato dall’esito
della procedura di patteggiamento (445,1bis prima parte). Non costituisce eccezione a tale regola il potere del
giudice dell’impugnazione di decidere sulla questione civile con la sentenza che applica la pena richiesta dalle parti
(448,3). Infatti, in questi casi il giudizio di primo grado si è svolto regolarmente, sicché il giudice dell’impugnazione
possiede gli atti di una completa istruzione dibattimentale, i quali sono sufficienti a fondare anche una decisione
sulla responsabilità civile.
11. Giudizio abbreviato.
Tutti i reati possono essere giudicati in forma abbreviata, vale a dire da un giudice monocratico, senza bisogno di
dibattimento e sulla base degli atti di indagine. Marginali le situazioni in cui il giudizio abbreviato non è esperibile a
causa del tipo di sanzione da applicare: accade nel processo a carico di persone giuridiche, quando il giudice ritenga
di dover irrogare la sanzione interdittiva perpetua. Evidentemente, l’esigenza generalpreventiva è qui avvertita in
misura così intensa e preponderante, al punto da risultare incompatibile con sconti di pena offerti in cambio di
parziali rinunce di difendersi provando. Il giudizio abbreviato è altresì precluso, alla stessa maniera del
patteggiamento, nella giurisdizione conciliativa del giudice di pace. La fase introduttiva del rito prevede due diversi
moduli procedurali, offerti alla scelta dell’imputato:
1. Primo modulo: richiesta semplice, con la quale l’imputato si limita a chiedere che il processo sia definito
all’udienza preliminare allo stato degli atti, come dice l’art.438 comma 1. Non c’è bisogno d’altro per
mettere il giudice nella condizione di dover statuire circa l’ammissibilità del giudizio abbreviato;
2. Secondo modulo: richiesta complessa (o condizionata). Nel chiedere il giudizio anticipato, l’imputato pone
come condizione che siano assunti taluni mezzi di prova, allo scopo di colmare un supposto deficit
conoscitivo intorno alla questione di merito, che si pretende insufficientemente chiarita dalla precedente
attività investigativa.
Complessa nella struttura, tale richiesta esige una controllo di ammissibilità altrettanto complesso e tale da
impegnare in misura assai elevata la discrezionalità del giudice. La richiesta è atto personalissimo, il che significa
che il difensore può presentare in vece dell’imputato solo se munito di procura speciale. Nei processi a carico di
persone giuridiche, provvede il legale rappresentante o, se questi fosse a sua volta imputato da reato da cui dipende
l’illecito attribuito all’ente, un diverso soggetto scelto per fungere da rappresentante processuale. L’imputato sa che
in cambio dello sconto di pena egli rinuncia a una serie di diritti:
1. Rinuncia al contraddittorio nella formazione della prova;
2. Rinuncia al diritto alla prova: la rinuncia è parziale nel caso di richiesta complessa, condizionata ad
un’integrazione probatoria; la rinuncia è totale nel caso di richiesta semplice;
3. Rinuncia ad eccepire vizi procedurali intercorsi in precedenza, se sanzionati con nullità relative o a regime
intermedio. La richiesta funge qui da causa di sanatoria di nullità non insanabili: assunto già fatto proprio
dalle sezioni unite (nel 2006) e ora espresso dall’art.438 comma 6-bis (legge Orlando);
4. Rinuncia a eccepire cause di inutilizzabilità della prova che non derivino dalla violazione di un divieto
probatorio: espressione da intendere nel senso di una irrilevanza delle sole sanzioni di inutilizzabilità
fisiologica, ossia quelle poste a tutela della formazione dibattimentale della prova;
5. Rinuncia a eccepire l’incompetenza territoriale dell’organo giudicante: questo sacrificio difensivo è l’unico
che non si presenta come cristallizzazione di un orientamento giurisprudenziale. Gli orientamenti della corte
di cassazione erano nel senso opposto, in quanto escludevano che chiedere il giudizio abbreviato implicasse
accettazione del foro territoriale, soprattutto quando la questione era già stata sollevata nel corso
dell’udienza preliminare.

12.: termini per la richiesta e decisioni sulla sua ammissibilità.


L’imputato (o il legale rappresentante dell’ente) che intende usufruire del giudizio abbreviato deve presentare la
richiesta durante l’udienza preliminare fino a che non siano presentate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422
(438,2). Espressione, questa, da intendere nel senso che la richiesta va presentata dopo le conclusioni del pm e, al
più tardi, quando il difensore formula le proprie conclusioni; in caso di più imputati, per ciascuno di essi il termine
coincide con l’argomentazione finale del rispettivo difensore quindi al più presto in limine all’udienza
preliminare, nonostante non sia espressamente previsto un termine iniziale. La facoltà di presentare la richiesta
deve essere garantita all’imputato anche nei procedimenti privi di udienza preliminare (ossia quelli ex auctoritate):
- Nel giudizio immediato (ma solo in quello promosso dal PM) l’imputato può presentare la richiesta al gip, dopo
che questi gli abbia notificato il decreto di citazione a giudizio e, precisamente, entro 15gg dall’ultima notifica del
decreto stesso all’imputato, o dell’avviso al difensore, della data fissata per il giudizio. La richiesta deve poi essere
comunicata al PM: benché non vi sia più bisogno di un suo consenso, il titolare dell’accusa va messo al corrente del
cambiamento di rotta che l’imputato intende imprimere al processo, sì da poter adeguatamente rappresentare le
ragioni del proprio ufficio nell’imminente udienza di giudizio abbreviato. Dell’udienza nella quale il giudizio
abbreviato si svolgerà il giudice deve dare avviso a tutti gli interessati (pm, imputato, difensore ed eventuale vittima
del reato) almeno 5gg prima, come prevede l’art.458 comma 2 (come novellato dalla riforma Orlando)
- In caso di giudizio direttissimo, e a seguito di citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica,
dove il rinvio a giudizio non è soggetto al vaglio preliminare di un organo giurisdizionale (gip o gup) la richiesta va
presentata al giudice dibattimentale, in udienza, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento (452,2 prima parte
e 556,2 cobinato con 558,2);
- Nel procedimento per decreto, l’opponente può chiedere il giudizio abbreviato al giudice che ha emesso la
condanna (461,3), il quale fissa anche l’udienza per il giudizio, dandone avviso a tutti gli interessati con almeno 5gg
di anticipo sull’udienza medesima, al fine di consentire un’adeguata preparazione del contraddittorio e
dell’eventuale integrazione probatoria (464,1 prima parte). Anche qui vi è la rimessione in termini ex 489,2 per
l’imputato erroneamente dichiarato assente.
Infine, la richiesta può essere presentata nel corso del dibattimento quando il PM abbia proceduto a nuove
contestazioni a norma degli artt. 516 e 517, sulla scorta di atti già presenti nel fascicolo dell’indagine preliminare.
Similmente a quanto accade per oblazione e patteggiamento, la contestazione tardiva del fatto diverso, del reato
connesso ex art. 12 lett. b, della circostanza aggravante già affiorata durante l’indagine preliminare, rimette
l’imputato in termini per accedere al rito abbreviato. Presentata la richiesta, il giudice ha il dovere di controllarne
l’ammissibilità. Il vaglio è condotto con criteri diversi a seconda che si tratti si richiesta semplice o complessa.
Nel caso di richiesta semplice, di regola, il giudice si limita ad un controllo meramente formale dell’atto se l’atto è
presentato nei termini prescritti (438,2); se sia riconducibile ad una scelta volontaria dell’imputato (438,3); se la
volontà di quest’ultimo di essere giudicato allo stato degli atti risulti espressa in forma inequivoca (438,1). Solo per
le richieste semplici provenienti dal rappresentante legale della persona giuridica il vaglio di ammissibilità implica
una valutazione discrezionale circa la meritevolezza della penala definitiva interdizione dell’ente da ogni traffico
giuridico è di ostacolo all’esperibilità del giudizio abbreviato. Quando dà esito positivo, il controllo sulla richiesta
semplice sfocia nell’ordinanza che ammette il rito speciale (438,4). In caso contrario, la richiesta va rigettata e non
può più essere riproposta né davanti al medesimo giudice, né davanti ad altro giudice.
Quando, invece, è presentata richiesta complessa, al controllo formale il giudice deve aggiungere un controllo sul
contenuto della domanda di parte. In particolare, il giudice deve verificare se le prove indicate dall’imputato siano
davvero necessarie (pertinenti e non superflue) per decidere il merito della causa e se la loro assunzione sia
compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento (438,5 seconda parte) vi è ampia
discrezionalità, soprattutto per quanto riguarda l’ultimo requisito la Corte cost. ha stabilito che è sindacabile dal
giudice del dibattimento il rigetto che il gip o il gup dovesse opporre alla richiesta complessa (cambiando opinione
rispetto all’opinione originaria). È invece insindacabile l’eventuale rigetto opposto dal giudice del dibattimento,
quando il rito abbreviato fosse chiesto a lui dopo l’instaurazione del giudizio direttissimo o nei processi a citazione
diretta (quindi primo destinatario della richiesta). In questi casi, non rimane che sperare nel giudice dell’appello, al
quale l’imputato può chiedere di censurare la decisione con la quale il giudice dibattimentale ha ingiustificatamente
rigettato la richiesta di integrazione probatoria. Tuttavia, tale intervento del giudice d’appello secondo la
giurisprudenza può essere anticipato dallo stesso giudice di primo grado che, al termine del dibattimento, si fosse
accorto di aver sbagliato nel rigettare la richiesta di giudizio abbreviato pertanto, l’imputato può legittimamente
pretendere lo sconto di pena all’esito del dibattimento, anche se non si è realizzata alcuna economia processuale.
Tornando ai compiti del gip o gup destinatario della prima richiesta, l’eventuale rigetto della domanda
(complessa)non impedisce la rinnovazione di una nuova richiesta (che avrà quindi un nuovo programma di
integrazione probatoria), davanti allo stesso giudice, fino a che sia in corso l’udienza preliminare (438,6). La nuova
richiesta sarà accolta se l’imputato avrà saputo riformularla in maniera rispondente ai criteri accennati: ciò
comporta una variazione nel programma di integrazione probatoria, sì da espungerne le prove che il giudice ha
ritenuto non necessarie o quelle la cui assunzione è reputata tanto dispendiosa, in termini di tempo, da risultare
incompatibile con le caratteristiche di celerità proprie del rito. Allo stesso risultato si può giungere anche
proponendo una richiesta semplice, dopo che quella complessa è stata rigettata per l’inadeguatezza
dell’integrazione probatoria inizialmente proposta. Da ciò si evince che per l’art. 438,6 è possibile presentare
simultaneamente più richieste, fra loro alternative; ed è altresì consentito il cumulo di una richiesta complessa con
una semplice, in modo da lasciar operare quest’ultima qualora la prima fosse rigettata. Qualsiasi dubbio al riguardo
è caduto, da quando la stessa legge ammette ora esplicitamente che, in subordine all’eventuale rigetto della
richiesta complessa, l’imputato ha facoltà di presentare una richiesta semplice o una richiesta di patteggiamento,
così assicurandosi l’accesso a uno dei due riti alternativi, ciò stabilisce il comma 5-bis dell’art.438 dopo la riforma
Orlando.
La richiesta semplice implica una rinuncia pressoché totale al diritto alla prova. In realtà, la difesa poteva superare le
difficoltà e i rischi conseguenti al possibile rigetto di una richiesta complessa, presentando documentazione
d’indagine privata, contestualmente a una richiesta semplice di giudizio abbreviato. L’escamotage consentiva di
introdurre surrettiziamente materiale probatorio, spesso a sorpresa, senza bisogno di ricorrere a una richiesta
complessa. Aleggiava su questa pratica difensiva un dubbio di legittimità anche per l’asserita disparità di
trattamento a danno del pm, costretto a subire il colpo a sorpresa della difesa, senza poter controbattere con
proprie richieste di prova: un dubbio che però la corte costituzionale ha fugato. La situazione ora è regolata dal
legislatore del 2017 con un intervento novellatore che rimodula la prassi. L’art.438 comma 4 ammette il deposito di
atti di indagine difensiva poco prima di presentare una richiesta semplice, ma impone una dilazione temporale alla
convocazione del giudizio abbreviato. L’attesa non può prolungarsi oltre 60gg: giusto il tempo per consentire al pm
di effettuare eventuali indagini suppletive, sui temi oggetto dell’investigazione privata. Una chance offerta al
magistrato requirente che può neutralizzare il vantaggio di quell’esibizione a sorpresa di atti difensivi. All’imputato
resta la facoltà di revocare la richiesta di giudizio abbreviato, qualora si veda in difficoltà nel difendersi dalle nuove
scoperte del pm.
Rigettata la richiesta, il procedimento prosegue lungo l’iter ordinario. L’ordinanza di rigetto influisce quindi sul
quantum di pena da irrogare in caso di condanna data l’impossibilità di attenuare la pena che la legge concede nel
caso in cui si abbrevi il rito. Tuttavia, l’imputato ha ora la facoltà di sottoporre all’esame del giudice dibattimentale
(e, se del caso, al giudice d’appello) il provvedimento che, negandogli l’accesso al rito, non può privarlo dello sconto
di pena, qualora ne sussistono i presupposti. L’esame ovviamente va condotto riportandosi alla situazione
processuale nella quale fu formulata la prima richiesta, e quindi tenendo conto anche degli atti allocati nel fascicolo
del PM, che di regola dovrebbero essere inaccessibili al giudice dibattimentale. Anche qui, infatti, trova applicazione
quell’art.135 disp.att. Che regola l’analoga situazione del giudice (dibattimentale o d’appello) alle prese con una
richiesta di patteggiamento ostacolata da un dissenso del PM o da un rigetto del giudice che l’imputato reputa
ingiustificati. Quando, invece, essa viene ammessa, il giudice dispone l’udienza di giudizio abbreviato, con
un’ordinanza che solo eccezionalmente potrà essere revocata.

13.: svolgimento procedurale.


Il rito si svolge in camera di consiglio senza la partecipazione del pubblico, salvo che l’imputato o gli imputati ne
facciano unanime richiesta (441,3 se.pa.). A questa condizione, la pubblicità del rito è ammessa solo nel
procedimento di primo grado (non in appello): ciò nell’esclusivo interesse degli imputati, i quali vantano un diritto
assistito da una semplice nullità relativa, suscettibile di essere limitato nei casi in cui si giustificherebbe il sacrificio
della pubblicità dibattimentale. All’udienza partecipano l’imputato, il difensore ed il PM e vi trovano applicazione
tutte le norme sul legittimo impedimento a comparire, l’assenza e irreperibilità che valgono per la fase introduttiva
dell’udienza preliminare. Non è esclusa la partecipazione della parte civile che, se già costituita in precedenza, può
ricusare l’accettazione del rito abbreviato, ma non di impedirne lo svolgimento. La non accettazione del giudizio
abbreviato comporta l’uscita dal processo penale del danneggiato e mette in discussione l’effetto vincolante che la
sentenza conclusiva del giudizio abbreviato altrimenti avrebbe nel separato giudizio civile risarcitorio (651,2 e
652,2) la pretesa risarcitoria sarà coltivata in sede propria.
Il danneggiato può costituirsi parte civile anche dopo che è stata accolta la richiesta di rito abbreviato, ma in tal caso
la legge non gli permette di tornare sui propri passi (441,2). Costituitosi dopo l’ordinanza che accoglie la suddetta
richiesta, il danneggiato dimostra di accettare una volta per tutte il giudizio abbreviato come sede per
l’accertamento della sua pretesa civilistica. Dal punto di vista procedurale, valgono le norme riguardanti l’udienza
preliminare, ma con qualche adattamento. L’art. 441,1 prevedrebbe un’eccezione in quanto non troverebbero
applicazione le disposizioni sull’assunzione di prove (422) e il mutamento dell’imputazione (423) nell’udienza
preliminare, dato che in passato il giudizio abbreviato era ammesso sul presupposto della definibilità “allo stato
degli atti” tuttavia adesso che l’eventualità di una modifica dell’imputazione diventa possibile a causa
dell’integrazione probatoria consentita tanto su richiesta di parte quanto per iniziativa diretta del giudice tale
eccezione perde di significato infatti gli ultimi due commi dell’art 441 riconoscono i poteri di integrazione probatoria
e di contestazione suppletiva. Il giudizio abbreviato ha svolgimenti in parte diversi, a seconda che sia scaturito da
una richiesta semplice o complessa.
Nel primo caso, il giudice si avvia verso una decisione sul merito verificando anzitutto se gli atti presenti nel fascicolo
a sua disposizione sono sufficienti a risolvere la questione di fatto. Se così non fosse, potrebbe assumere anche
d’ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione (441,5) potrebbe agire anche su richiesta dell’imputato, al
quale però non è riservato nessun diritto in tal senso proponendo una richiesta semplice egli ha accettato un
giudizio “allo stato degli atti” (438,1). Dal canto suo, il PM, privato a sua volta del diritto alla prova, perde il potere di
svolgere ulteriori indagini ex 430 a partire dal momento in cui la richiesta semplice viene accolta.
Tornando ai poteri istruttori del giudice, va detto che ogni mezzo di prova può essere qui assunto a prescindere dal
dispendio di tempo che questo comporta infatti, essendo irrevocabile l’ordinanza che ammette il rito speciale, la
decisione di merito dev’essere presa all’esito del giudizio abbreviato  ragion per cui il giudice deve esperire ogni
tentativo possibile per colmare le proprie lacune conoscitive, in modo non dissimile da quel che dovrebbe fare il
giudice dibattimentale ex 507. L’unica vera differenza col dibattimento sta nel modo di assumere la prova che, nel
giudizio abbreviato, segue le regole previste per l’udienza preliminare (422) quindi, nell’udienza di giudizio
abbreviato, eventuali testimoni, coimputati, periti o consulenti tecnici sono interrogati direttamente dal giudice e,
solo per il tramite di quest’ultimo, le parti possono partecipare alla formazione dei relativi mezzi di prova
proponendo le loro domande (422,3). L’imputato ha diritto di farsi interrogare, ma anche qui le domande le farà il
giudice eventualmente sollecitato dalle parti (422,4). Le cose vanno diversamente quando il rito speciale scaturisce
da una richiesta complessa. Tale richiesta deve indicare le circostanze di fatto che devono essere chiarite e i relativi
mezzi di prova dei quali l’imputato chiede l’assunzione. Ne consegue che il giudice, nonostante possa assumere
d’ufficio le prove indispensabili per emettere la sentenza, è vincolato al contenuto di tale richiesta (anche se deve
escludere le prove vietate) pena il venir meno ex post della condizione di efficacia della richiesta stessa ne
conseguirebbe che il processo dovrebbe regredire alla fase introduttiva del rito speciale, salvo che l’interessato non
rinunci a far valere la relativa eccezione o che non preferisca dedurla come motivo di impugnazione.
Dal canto suo, il PM ha non solo la possibilità di proseguire la propria indagine suppletiva, ma anche il diritto di
chiedere ed ottenere l’ammissione di prove contrarie a quelle indicate dall’imputato nella richiesta complessa
(438,5 terza parte) così come avviene ex 495 nel dibattimento tuttavia mentre la mancata assunzione di una prova
contraria ex 495 è motivo di annullamento della sentenza di merito (606,1 lett.d), la mancata assunzione di una
prova contraria chiesta dal PM nel giudizio abbreviato rimane senza conseguenze, se non la possibilità - come
vedremo limitata – di poter appellare le sentenze di un giudizio abbreviato.
Ogni tipo di integrazione probatoria rende probabile, poi, un mutamento dell’imputazione contestata nella richiesta
di rinvio a giudizio  Ora, fermo restando che lo svolgimento procedurale di tale rito deve seguire le regole dettate
per l’udienza preliminare - e quindi nel caso del mutamento dell’imputazione dovrebbe applicarsi l’art.423 - non si è
però tenuto conto che l’udienza preliminare ha per posta in gioco l’alternativa tra “rinvio a giudizio” e “non luogo a
procedere”. Nel contesto di tale udienza appare quindi ragionevole che, di fronte all’eventuale modifica dell’accusa,
l’imputato non sia assistito da tutte le garanzie che la legge è invece pronta a riconoscergli nell’analoga situazione
che venisse a verificarsi in dibattimento. Ma dove, come nel giudizio abbreviato, è in gioco l’assoluzione o la
condanna, quella limitazione di diritti difensivi (manca un termine a difesa, manca un diritto alla prova calibrato sulle
nuove imputazioni) appare irragionevole. Di qui l’inadeguatezza del semplice richiamo all’art.423 e la necessità di
arricchire il corredo di garanzie dell’imputato che subisce la nuova contestazione. Pertanto,l’art.441bis rimedia al
problema con riguardo alla contestazione di fatti diversi, circostanze aggravanti o reati concorrenti ex art. 12 lett.
b. Tale disposizione, oltre a garantire all’imputato, in ordine al nuovo addebito, il diritto alla prova e un termine a
difesa, gli da anche la possibilità di togliere effetto alla propria, precedente, richiesta di giudizio abbreviato,
provocando così la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie.
Per consentirgli di meditare sulla scelta, ma anche per permettergli di predisporre una linea difensiva in ordine al
nuovo addebito, il giudice deve assegnare all’imputato, su sua richiesta, un termine non superiore a 10gg (441bis,3).
A seguito di tale richiesta, ogni attività processuale resta sospesa. A questo punto, il processo potrebbe svolgersi in 2
modi diversi, a seconda della scelta dell’imputato (limitato potrebbe anche accettare le nuove contestazioni seduta
stante e rinunciare al termine di 10 gg). Se il termine assegnato scade senza che sia presentata richiesta di
procedere per le vie ordinarie, il giudizio abbreviato continua sulla base della nuova imputazione in tal caso il
termine avrà permesso all’imputato di riorganizzare la propria difesa. L’imputato può chiedere l’assunzione di altri
mezzi di prova oltre i limiti previsti dall’art. 438,5 (441bis,5), e altrettanto può fare il PM. Dal canto suo il giudice
deve valutare l’ammissibilità delle nuove prove richieste in base ai criteri analoghi a quelli dell’art. 190 (non
superficialità e utilizzabilità) dopo averne stabilito la pertinenza rispetto al fatto descritto nella nuova imputazione
non si applica il particolare criterio di economicità ex 438,5.
La richiesta di trasformazione del rito (atto personalissimo dell’imputato difensore solo con procura speciale)
(da abbreviato in ordinario), presentata subito dopo la nuova contestazione o, al più tardi, entro il termine
assegnato dal giudice ex 441bis,3, provoca una revoca dell’ordinanza ammissiva del rito speciale (441bis,4), il che
determina una regressione del processo alla fase e allo stato in cui fu presentata la richiesta del giudizio abbreviato.
A tale scopo, il giudice deve fissare l’udienza preliminare oppure disporne la prosecuzione. In particolare, il giudice
fissa l’udienza ogniqualvolta la trasformazione del rito sia stata preceduta da una richiesta di sospensione del
giudizio abbreviato; ordina invece la prosecuzione, quando l’imputato abbia chiesto il giudizio ordinario
immediatamente dopo la nuova contestazione in quest’ultimo caso l’esordio del giudizio abbreviato è idoneo a
surrogarsi alla fase introduttiva dell’udienza preliminare; mentre nel primo caso essa dovrebbe ricominciare da capo
per i necessari adempimenti (avvisi alle parti e verifica loro comparizione). Altrimenti vanno le cose quando la
trasformazione del rito avviene nei procedimenti sforniti di udienza preliminare:
- Se il rito abbreviato era scaturito da un giudizio direttissimo, il processo deve tornare alla fase predibattimentale e
il giudice è tenuto a fissare l’udienza di giudizio direttissimo (452,2);
- Se il rito abbreviato era stato chiesto per uno dei reati a citazione diretta ex 550, il giudice deve fissare l’udienza
per il giudizio (556,2);
- Il giudice deve invece fissare l’udienza di giudizio immediato dopo aver revocato il giudizio abbreviato chiesto a
norma dell’art 458;
- Infine, nel caso il rito abbreviato fosse stato chiesto durante il procedimento monitorio, il processo prosegue con
la fissazione dell’udienza normalmente provocata dall’opposizione proposta dall’imputato contro il decreto di
condanna (464,1).
Diversa la procedura quando si tratta di contestare un fatto nuovo a norma dell’art. 423,2. Qui la nuova
contestazione è subordinata a un provvedimento autorizzativo del giudice e a un esplicito consenso dell’imputato.
Tuttavia, questi due atti devono adeguarsi al contesto del giudizio abbreviato: da un lato, il consenso dell’imputato
va formulato come richiesta (semplice o connessa) di definizione anticipata del processo, anche in ordine al fatto
nuovo; dall’altro, l’autorizzazione del giudice ha per oggetto non solo la valutazione dell’opportunità di cumulare la
trattazione del fatto nuovo con quello già contestato, ma anche l’ammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato.
È chiaro che, se reputasse inammissibile l’atto di consenso-richiesta (ad esempio perché il programma probatorio
viene giudicato troppo dispendioso) il giudice sarebbe costretto a non autorizzare la contestazione suppletiva, salvo
che l’imputato non presenti una nuova richiesta di giudizio abbreviato tale da soddisfare le finalità economiche
proprie del rito speciale. L’ultimo atto dell’udienza che chiude il giudizio abbreviato è costituito dalle conclusioni
formulate dalle parti. L’esordio è riservato al PM, il seguito al difensore della parte civile che ha accettato il giudizio
abbreviato, mentre l’ultima parola spetta al difensore dell’imputato e all’imputato stesso, se ne fa richiesta. Non c’è
spazio per un intervento del responsabile civile, che il giudice, nell’atto di accogliere la richiesta di giudizio
abbreviato, deve escludere dal processo, anche d’ufficio.

14: la sentenza.
Terminata la discussione, il giudice si ritira per decidere il merito della causa. Nonostante il silenzio della legge per il
principio di immediatezza si ritiene che il giudice che emette la sentenza debba essere lo stesso che ha ammesso il
giudizio abbreviato, per la valenza del principio di immediatezza. Quanto a struttura e contenuto, la sentenza
conclusiva del giudizio abbreviato ha il suo modello nella sentenza dibattimentale, per cui valgono le regole di
giudizio ex 529 ss richiamate dall’art. 442,1. Quindi, se al termine della discussione il giudice non fosse certo della
colpevolezza dell’imputato, dovrebbe emettere sentenza di proscioglimento ex 530,2. Dovrebbe altresì
prosciogliere, con sentenza di non doversi procedere, nei casi di dubbio sull’esistenza di una condizione di
procedibilità (529,2) o di una causa di estinzione del reato (531,2).
La condanna presuppone quindi che la responsabilità penale dell’imputato sia dimostrata al di là di ogni
ragionevole dubbio (533,1) sia pure sulla scorta del materiale raccolto nella fase preliminare e di quello
eventualmente formato durante l’udienza di giudizio abbreviato. Fonti di convincimento giudiziale sono ex 442,1bis:
gli atti d’indagine preliminare (contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416,2), gli eventuali esiti dell’indagine suppletiva
del PM e del difensore (la documentazione di cui all’art. 419,3) e i verbali dell’attività d’integrazione probatoria
promossa dal giudice o richiesta dall’imputato (le prove assunte nell’udienza), nonché negli eventuali atti di
indagine difensiva presentati contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato contenuti nel fascicolo previsto
dall’art.391 octies.
Quando condanna, il giudice deve diminuire di 1/3 la pena quando procede per un delitto e della metà quando
procede per un reato contravvenzionale (secondo il nuovo comma 2 dell’art.442, modificato dalla riforma Orlando).
Lo sconto va applicato sulla pena in concreto considerata, vale a dire dopo averne determinato il quantum alla
stregua del calcolo di prevalenza o equivalenza delle eventuali circostanze attenuanti e aggravanti. Criterio
inadeguato quando la pena fosse l’ergastolo: per questo la legge fissa qui diversamente l’entità dello sconto,
convertendo l’ergastolo con isolamento diurno in ergastolo semplice, mentre l’ergastolo semplice viene sostituito in
30 anni di reclusione. Non è escluso che tale sentenza contenga dei capi civili riguardanti il risarcimento del danno
da reato, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato; inoltre, la sentenza penale, una volta divenuta definitiva,
produce effetti vincolanti nel separato giudizio civile di risarcimento del danno. In un caso, però, la mancata
accettazione del rito speciale non basta, da sola, a impedire che la sentenza del giudizio abbreviato faccia stato nel
giudizio civile: quando il giudicato è di condanna (cioè favorevole al danneggiato) la legge ne stabilisce l’effetto
vincolante per il giudice civile, salvo che non vi si opponga la parte civile che, a suo tempo, non aveva accettato il
giudizio abbreviato (652,2).
La sentenza è appellabile pur entro i limiti soggettivi ex 443. In particolare, le sentenze di proscioglimento sono
appellabili dal PM ma non dall’imputato. Unica eccezione è la sentenza di proscioglimento per vizio totale di mente
dato che può comportare l’applicazione di misure limitative della libertà personale. Le sentenze di condanna alla
pena dell’ammenda sono, invece, in linea generale sottratte al giudizio si secondo grado (593,3). Sono appellabili
dall’imputato le sentenze di condanna a sanzioni pecuniarie, a pene che non devono essere scontate, nonché a
sanzioni sostitutive, dunque ha affinità con la sentenza di condanna. Il PM non può proporre appello contro le
sentenze di condanna, salvo che queste riguardino un titolo di reato diverso da quello a suo tempo specificato dal
PM nell’imputazione (443,3), e ciò vale anche per l’appello incidentale infatti l’appello incidentale può essere
proposto solo dalla parte titolata a proporre appello in via principale in tal modo si evita che il PM possa aggirare
il limite di appellare profittando dell’appello incidentale.
Dubbia appariva l’appellabilità della sentenza conclusiva del giudizio abbreviato ad opera della parte civile. Con
riguardo ai mezzi di impugnazione esperibili, l’art.576, nella versione novellata della l.46 del 2006, ha inteso
separare il destino del danneggiato, fattosi parte nel processo penale, dalla posizione del pm. Ciò, nell’intento di
svincolare il primo dai limiti imposti al secondo circa l’appellabilità delle sentenze di proscioglimento. In difetto
d’una disposizione legislativa espressa, parrebbe che la parte civile non abbia alcun diritto di appellare codeste
sentenze: conclusione che troverebbe conferma nel principio di tassatività delle impugnazioni, il quale impone che
la legge indichi sia i provvedimenti impugnabili, sia i mezzi esperibili contro di essi. Ma, a questa lettura formalistica
si può fondatamente opporre l’argomento che l’accennata modifica dell’art.576 è avvenuta proprio al fine di
ampliare i diritti di impugnativa della parte civile rispetto a quelli del pm. Sarebbe quindi assurdo far discendere
dalla nuova versione del suddetto art.576 addirittura una riduzione dei rimedi esperibili dalla parte civile contro la
sentenza non gradita, rispetto a quelli di cui dispone il pm. Ma non è tutto. Bisogna ammettere che, privata della
facoltà di appellare, la parte civile subisce un’irragionevole compressione del suo diritto di difendersi nel processo
penale. Insomma, questo diritto va affermato, anche per evitare collisioni con i principi costituzionali e con la
ragionevole attuazione del diritto di difesa che va riconosciuto al danneggiato da reato, il quale, costituendosi parte
civile, ha scelto il giudizio abbreviato quale sede per l’accertamento del danno risarcibile. Al fine di superare
l’imbarazzo che l’interprete inevitabilmente prova di fronte all’infelice rimaneggiamento dell’art.576, sarebbe certo
opportuno un intervento legislativo sull’art.443 che, in un comma aggiunto, attribuisse espressamente alla parte
civile il diritto di appellare le sentenze di proscioglimento emesse a norma dell’art.442. Ma, già oggi, sul piano
interpretativo, appare lecito forzare il dato letterale dell’esistente, lacunosa normativa, per giungere alla
conclusione che la parte civile ha facoltà di appellare le sentenze emesse a norma dell’art.442. Così si sono espresse
le sezioni unite nel 2007.
Quando appellata una sentenza emessa a seguito di rito abbreviato, il relativo giudizio d’impugnazione si svolge in
camera di consiglio (senza pubblico, anche nel caso in cui in primo grado vi fosse stato), nel quale possono essere
assunte nuove prove entro i limiti ammessi dall’art. 603. Ma anche in tal caso, tale previsione deve essere adeguata
alla disciplina probatoria propria del rito speciale. In particolare, essa è condizionata dal tipo di richiesta all’origine
del giudizio abbreviato. In realtà, la questione si intreccia ora con l’orientamento della corte europea dei diritti
dell’uomo, che non ammette condanne in appello emesse sulla scorta della mera rivalutazione delle prove poste a
base di una sentenza assolutoria in primo grado, senza che siano stati riesaminati i testimoni. L’insegnamento della
corte di Strasburgo è stato fatto proprio dalla nostra giurisprudenza di legittimità anche con riguardo al giudizio
abbreviato. Le sezioni unite nel 2017 hanno infatti stabilito che l’imputato assolto in primo grado, all’esito di un esito
di un giudizio abbreviato, può essere condannato nel giudizio di appello solo a condizione che si sia proceduto
all’esame delle persone che avevano reso dichiarazioni ritenute decisive in prime cure. E questo a prescindere dal
tipo di richiesta introduttiva del rito.:
- Nel caso di richiesta complessa, l’imputato mantiene, anche in appello, il diritto alla riassunzione del mezzo di
prova già acquisito in primo grado, purché ciò sia necessario ai fini della decisione (603,3). A maggior ragione egli
può pretendere l’ammissione in seconda istanza di una prova che, pur indicata nella richiesta di giudizio abbreviato,
non è stata assunta dal giudice di primo grado. A sua volta il PM nei casi in cui risulta appellante, ha il diritto di
chiedere la riassunzione, o l’assunzione per la prima volta, delle prove contrarie a quelle che l’imputato aveva
dedotto nella richiesta di giudizio abbreviato.
- Nel caso di richiesta semplice, l’imputato ha rinunciato al diritto alla prova, e non può pretendere che tale diritto
sorga in appello. Allo stesso modo, nemmeno il PM appellante è qui titolare di un diritto alla prova. In tal caso,
l’integrazione probatoria è affidata esclusivamente al giudice, il quale può assumere tutti i mezzi di prova che
ritiene assolutamente necessari ai fini della decisione (603,3).

15. Sospensione del procedimento con messa alla prova.


L’imputato può chiedere già nel corso del procedimento penale l’affidamento in prova ai servizi sociali come
modalità per conseguire l’estinzione del reato. Si tratta di un rito di tipo consensuale regolato nel titolo V-bis del
libro riguardante i procedimenti speciali. La sua esperibilità è soggetta a limiti oggettivi e soggettivi. Sul piano
oggettivo può essere instaurato a fronte di reati di gravità medio-bassa: precisamente quelli punibili, in astratto, con
la sola sanzione pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo 4 anni (sola, congiunta o alternativa
alla pena pecuniaria), ai quali si aggiungono i reati elencati nel comma 2 dell’art. 550, assoggettati a sanzioni
detentive di poco più gravi (art. 168bis,1 c.p.). Si tratta, in sostanza, dei reati appartenenti alla passata competenza
pretorile, che hanno mantenuto una loro riconducibilità procedurale per il fatto di rientrare nel gruppo di quelli a
citazione diretta. Ma vi rientrano anche reati appartenenti alla competenza del giudice collegiale, pur se puniti con
sanzione detentiva inferiore a 4 anni (es: reati societari). Sul piano soggettivo, l’accesso a questo rito speciale è
precluso agli imputati che, avendo subito precedenti condanne, siano stati dichiarati delinquenti abituali,
professionali o per tendenza (168bis,5 c.p.). Inoltre, può essere chiesto per una sola volta (168bis,4 c.p.). L’istituto
rientra nell’ambito del movimento di fuga dalla sanzione detentiva. In realtà, però, se solo si ragionasse un po’ sulle
potenzialità applicative degli artt.464-bis ss, ci si rende conto che l’effetto decarcerizzante è pressoché nullo. I reati
che vi rientrano (art.550) prevedono, già in via edittale, pene difficilmente destinate ad essere eseguite con
detenzione carceraria. È sufficiente leggere l’art.656 comma 5, che fissa ora in 4 anni di pena detentiva il limite entro
il quale il condannato può ambire all’affidamento in prova al servizio sociale, per condanne subite in base alla
normativa sugli stupefacenti. Analoghi rilievi valgono per la carcerazione cautelare, oggi ammessa solo quando il
procedimento abbia ad oggetto delitti punibili con reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni. La sospensione del
procedimento con mezza alla prova ha avuto un lungo periodo di sperimentazione nell’ambito della giustizia
minorile. La l.67 del 2014 si è ispirata a quella esperienza positiva, che però ha caratteristiche sue proprie, in
considerazione degli effetti particolarmente gravi e pregiudizievoli che la vicenda giudiziaria può avere sulla
formazione e sulla crescita del minore imputato. Qui anche d’ufficio può disporre la misura il giudice, senza
limitazioni oggettive e soggettive, quindi bisogna fare attenzione a trovare analogie che potrebbero rilevarsi
ingannevoli.
Chiedendo la messa alla prova anticipata, l’imputato adulto persegue un duplice interesse: bloccare il processo e
guadagnare l’estinzione del reato. A fronte di questo interesse privato sta l’interesse pubblico alla deflazione
processuale e alla chiusura del processo senza passare per il dibattimento. Quindi alla base di questo nuovo rito
speciale, di tipo consensuale e alternativo al dibattimento, c’è una ragione di economia processuale. Tuttavia, alla
luce del principio della presunzione d’innocenza affiorano dei dubbi di costituzionalità dato che l’imputato si
sottopone volontariamente all’esecuzione della pena prima però di essere dichiarato colpevole di un reato, peraltro
destinato ad estinguersi. Chi – giustamente – solleva simili interrogativi deve aspettarsi la facile obiezione che fa leva
sulla segnalata esperienza del giudizio minorile. Lì la sospensione con messa alla prova è sistematicamente
applicata, senza scrupoli di costituzionalità. Rilievo ineccepibile, che però non considera quanto la posizione del
minore imputato in un processo penale sia diversa da quella dell’adulto. Per entrambi, l’esperienza ha conseguenze
traumatiche, ma solo per il minore quelle conseguenze rischiano di compromettere lo sviluppo di un soggetto
ancora in formazione. La posta in gioco è troppo alta e il danno sulla persona che un processo lungo e incerto
potrebbe produrre è troppo serio e socialmente rilevante per non deflettere dalla regola generale. Un allentamento
della presunzione di innocenza si giustifica qui nel quadro di un opportuno bilanciamento con l’esigenza di
proteggere la personalità del giovane in formazione. La sospensione del processo minorili ha lo scopo di
salvaguardare la dignità del giovane. Il probation processuale previsto per gli adulti, caratterizzato in senso
innegabilmente sanzionatorio, persegue invece un mero calcolo di economia processuale che ha sì rilievo ma sul
quale sarebbe scorretto far leva per derogare alla presunzione di innocenza. Aleggia una forte convinzione di
incostituzionalità su questo istituto.

16.: fase introduttiva.


La fase introduttiva è ricalcata sulla disciplina dettata per il patteggiamento. Si tratta di un rito consensuale, che
suppone una manifestazione di volontà dell’imputato condivisa dall’autorità pubblica. La richiesta di sospensione del
processo è atto personalissimo che l’imputato può compiere per il tramite del difensore munito di procura speciale.
Si distinguono due modalità introduttive, secondo che l’imputato si attivi prima o dopo il promovimento dell’accusa.
Nel primo caso, la richiesta può essere presentata durante le indagini preliminari, e può essere accolta solo se vi è il
consenso del PM, tenuto a motivare l’eventuale dissenso (464ter commi 1 e 4) al riguardo il PM può avvertire
l’imputato della facoltà d’essere ammesso alla prova per beneficiare dell’effetto estintivo (141bis disp.att.). Il
coinvolgimento del PM si rende necessario al fine di permettere, contestualmente al consenso, l’approdo al
processo attraverso l’esercizio dell’azione penale e la correlativa formulazione dell’imputazione (464ter,3). Nel
secondo caso (azione penale già esercitata), la richiesta va presentata, senza bisogno di previo consenso del PM
(464bis). Si rende invece necessaria un’intesa con l’ufficio locale per l’esecuzione penale esterna (UEPE), al quale
spetta elaborare un programma di trattamento, esplicitando le modalità di reinserimento sociale dell’imputato, il
decalogo da seguire nel periodo di prova, le eventuali prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità o all’attività
di volontariato e le possibili condotte riparatore in vista di una riappacificazione con l’eventuale persona offesa
(464bis,4).
A processo iniziato, la sospensione va chiesta in tempo utile per evitare il dibattimento, secondo le regole già
illustrate per le richieste di giudizio abbreviato e di patteggiamento, vale a dire, prima che il difensore formuli le
proprie conclusioni nell’udienza preliminare (464bis,2); oppure prima che si è dichiarato aperto il dibattimento,
nei casi di citazione diretta o direttissima; o, ancora, entro il quindicesimo giorno successivo alla notifica del decreto
che dispone il giudizio immediato; o, infine, con l’opposizione all’eventuale decreto penale di condanna (464bis,2).
Sulla richiesta di sospensione il giudice decide in camera di consiglio (127), sentite le parti e, se c’è, la persona offesa
dal reato. Richiesta che va rigettata, se la volontà dell’imputato risulta in qualche modo coartata; se la relativa
presentazione avviene fuori termine; se proviene da persona non legittimata a presentarla o non ammessa al
probation in ragione del suo curriculum criminale (abitualità, professionalità, tendenza a delinquere). Va rigettata,
quando v’è dissenso del pm (ove il suo consenso sia previsto), ma l’imputato può rinnovarla in limine al
dibattimento, nella speranza che un diverso giudice la accolga.
Va altresì rigettata sulla base di ragioni sostanziali. È tale quella che impedisce il probation processuale, quando il
giudice ritiene il programma di trattamento inidoneo al reinserimento sociale in base ai parametri di cui all’art.133
c.p., ma anche quella che impedisce al giudice di accogliere la relativa richiesta quando il fatto ipotizzato
nell’imputazione cade fuori dall’ambito di applicabilità dell’art. 168bis cp si pone al riguardo un problema di
corretta qualificazione giuridica del fatto, del quale è arbitro il giudice primo destinatario della richiesta. Ad esempio,
un’imputazione di favoreggiamento a uno sguardo più attento potrebbe apparire come il più grave concorso di
persone in un reato, punibile con reclusione molto più elevata di 4 anni: in casi del genere la sospensione non
potrebbe ovviamente essere concessa; lo stesso potrebbe accadere al contrario, passando da un reato più grave a
quello meno grave. Ciò che potrebbe accadere a seguito sia di contestazione del fatto diverso (516), sia di
riqualificazione del fatto (521,1) in tali casi l’imputato dovrebbe essere rimesso in termini per chiedere la
sospensione del processo con messa alla prova. Un’altra ragione può essere d’ostacolo all’accoglimento della
richiesta di probation processuale: se in atti vi fossero prove sufficienti per prosciogliere l’imputato, il giudice
dovrebbe chiudere il processo con una delle formule elencate nell’art.129 (464quater,1) qui, l’immediata
declaratoria delle cause di non punibilità ricorda quanto prescrive l’art.444,2 con riguardo all’analogo obbligo che
incombe sul giudice destinatario di una richiesta di patteggiamento. Tale richiamo all’art. 129 fissa la soglia minima
di accertamento della responsabilità penale oltre la quale risulta applicabile la messa alla prova in corso di processo.
Un accertamento incompleto, che non accerta la colpevolezza, ma si limita a constatare l’insussistenza di evidenti
cause di proscioglimento. Al contempo, tale richiamo vale ad escludere l’ in dubbio pro-reo delle situazioni qui
considerate. Infatti, in caso di incerta colpevolezza dell’imputato, così come si impone di applicare la pena
concordata fra le parti in caso di patteggiamento, qui si impone al giudice di accogliere la sospensione del processo
applicando la sanzione alternativa.
Il rigetto della richiesta non impedisce all’imputato di reiterare la stessa davanti al giudice del dibattimento, prima
della dichiarazione di apertura ex art. 492 (464quater,9). Reiterazione impensabile, se primo destinatario della
richiesta fosse lo stesso giudice del dibattimento: eventualità assai frequente, considerato che questa forma di
probation processuale è ammessa principalmente per reati a citazione diretta. Resta aperta in questi casi la via più
lunga e impegnativa del ricorso per cassazione contro il provvedimento negativo della richiesta. Con lo stesso mezzo
è impugnabile dal PM, su eventuale sollecitazione della persona offesa, anche il provvedimento che accoglie la
richiesta (464quater,7). Anche la persona offesa è legittimata al ricorso per cassazione, quando dovesse lamentare
di non essere stata coinvolta nell’udienza convocata per discutere circa l’ammissibilità della richiesta di sospensione
processuale. L’impugnativa di legittimità, tuttavia restringe le possibili censure ai soli motivi elencati nell’art.606 e
preclude censure su questioni di fatto (come ad esempio l’idoneità del programma trattamentale ad assicurare il
reinserimento sociale dell’imputato) di esclusiva competenza del giudice di merito. In caso di annullamento con
rinvio, gli atti dovranno essere restituiti al giudice del provvedimento impugnato, il quale si pronuncerà di nuovo
sulla richiesta, uniformandosi alla sentenza della corte di cassazione.
Il probation processuale è precluso a chi abbia già optato ad altro rito alternativo al dibattimento (giudizio
abbreviato; patteggiamento; oblazione). Trattandosi, infatti, di modalità alternative di chiudere il processo evitando
il dibattimento, la scelta dell’una esclude le altre. Affiora qui una diversità di disciplina con il probation processuale
in favore del minore, ammissibile anche quando l’imputato abbia chiesto il giudizio abbreviato (per le diverse finalità
dell’istituto che vuole limitare l’impatto del carcere per il minore). Niente impedisce, invece, che l’imputato possa
chiedere giudizio abbreviato, patteggiamento o l’oblazione, se la messa alla prova dovesse sortire esito negativo,
con conseguente reflusso nell’alveo dell’iter processuale ordinario. In altre parole: un rito consensuale non si può, di
regola, trasformare in altro rito consensuale; la procedura ordinaria, invece, può sempre trasformarsi in rito
alternativo consensuale, se solo sono rispettati i termini e i requisiti previsti dalla legge processuale per la relativa
richiesta.

17.: durata e vicende della sospensione del processo con messa alla prova.
Il periodo di probation ha una durata minima: 10 giorni, quando il programma di trattamento prevede il lavoro di
pubblica utilità (168bis,3 c.p.), e una durata massima: non più di 2 anni, quando si procede per reati punibili con
pena detentiva (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria); 1 anno, quando la pena fosse solo pecuniaria
(464quate,5). In questo arco temporale, che decorre dal giorno in cui è sottoscritto il verbale di messa alla prova,
l’imputato deve adempiere alle prescrizioni e gli obblighi fissati dal giudice nell’ordinanza di sospensione.
Prescrizioni e obblighi sono suscettibili di modifica anche in corso d’opera da parte del giudice, sentite le parti
(464quinquies,3). Sulla loro osservanza vigila l’ufficio locale per l’esecuzione penale esterna, quale spetta l’ulteriore
compito di proporre eventuali modifiche al programma di trattamento inizialmente concordato, e quello di redigere
la relazione sul decorso e sull’esito del periodo di prova (141ter commi 4 e 5 disp.att.). La sospensione blocca il
corso del processo ordinario e produce, al contempo, un effetto sospensivo sulla prescrizione del reato (168ter c.p.).
Durante l’affidamento in prova sono precluse, in linea generale, attività di carattere istruttorio volte a rintracciare
fonti di prova o ad acquisire elementi conoscitivi utili per l’accertamento della responsabilità penale. Tuttavia, dato
che il probation potrebbe fallire col risultato che il processo penale dovrebbe riprendere il suo corso ordinario, la
legge comprensibilmente ammette la possibilità di assumere prove dalle quali potrebbe scaturire un
proscioglimento dell’imputato o prove (anche a carico) che rischierebbero di andare disperse, con le modalità
stabilite per il dibattimento (464sexies). A questa speciale assunzione incidentale della prova procede, in camera di
consiglio, il giudice che ha emesso l’ordinanza di sospensione (gip, gup o giudice dibattimentale).
Il danneggiato, costituito parte civile, è invece praticamente costretto ad uscire dal processo sospeso per evitare i
tempi lunghi di attesa. Conviene pertanto coltivare le pretese risarcitorie in sede civile, destinato a proseguire senza
attendere l’esito del processo penale. Infatti, l’art.464quater,8 introduce una nuova eccezione alla regola che
paralizza l’azione civile finché è in corso il processo penale, ogniqualvolta il danneggiato costituitosi parte civile
abbandona la sede inizialmente scelta per soddisfare la propria pretesa risarcitoria. Evidentemente qui il
danneggiato è costretto ad abbandonare quella sede, a causa della svolta impressa alla vicenda processuale sul cui
andamento egli non ha potuto interloquire.

18.: decisioni conclusive.


Trascorso il periodo di sospensione, il giudice deve valutare se l’affidamento in prova ha avuto esito positivo o
negativo. Il materiale conoscitivo su cui fondare la decisione è fornito dall’ufficio per l’esecuzione penale esterna. In
caso di esito positivo, il processo si chiude con una sentenza che dichiara estinto il reato al termine di un’udienza (in
camera di consiglio) alla quale sono invitate le parti e la persona offesa. Singolare sentenza assolutoria che segue
l’esecuzione di una pena, pur non escludendo l’applicazione di sanzioni amministrative accessorie (168ter,2). Si
tratta di sentenza impugnabile? La legge non spende parole al riguardo. Ci si sarebbe aspettati una previsione di
inappellabilità, similmente a quanto prevede l’art. 448 con riguardo alle sentenze di patteggiamento. Invece no. Il
silenzio serbato sul punto fa apparire scontata l’appellabilità di questa particolare declaratoria di estinzione del
reato. Trattandosi di proscioglimento, la relativa sentenza cade sotto la previsione dell’art. 593,2, nella versione
corretta dalle sentenze della Corte costituzionale 26/2007 e 85/2008, nonché riscritta dal d.lgs. 11 del 2018:
appellabile, pertanto, sia dal PM, sia dall’imputato, salvo che si tratti di reati contravvenzionali puniti con l’ammenda
o con pena alternativa. Il primo potrebbe avvalersi di tale mezzo per mettere in discussione l’esito positivo della
messa alla prova. Il secondo potrebbe avere interesse a un proscioglimento nel merito, rivendicando l’applicazione
dell’art. 129,2. In entrambi i casi, la soluzione è quella imposta dall’art. 604,6: il giudice di appello annulla
l’estinzione del reato e decide nel merito dopo aver rinnovato, se occorre, il dibattimento. Il lato singolare di questa
situazione risiede nella circostanza che il dibattimento di secondo grado seguirebbe un primo grado chiuso con
sentenza in camera di consiglio, senza un previo giudizio dibattimentale e, altresì, senza possibilità per l’imputato –
riprecipitato nel giudizio ordinario – di chiedere un rito alternativo al dibattimento.
La sentenza in questione è altresì ricorribile per cassazione (111,7). Interessati a un possibile annullamento
potrebbero essere sia le parti sia la persona offesa dal reato. Gli spazi per censure in sede di legittimità sono
peraltro molto angusti, considerato che la sentenza in questione ha il suo fulcro nel giudizio riguardante l’esito del
periodo di prova, certamente insindacabile in cassazione. Residuano possibili doglianze riguardanti errore in
procedendo (ad esempio, omesso avviso alle parti o alla persona offesa per l’udienza decisoria), errore in iudicando
(ad esempio, errata qualifica giuridica del fatto) o l’illogicità della motivazione.
In caso di esito negativo, il giudice ordina che il processo riprenda il suo corso (464septies,2): ciò implica una tacita
revoca dell’ordinanza di sospensione. Una revoca, stavolta esplicita, atta a interrompere l’esperimento del probation
è possibile in presenza di condotte riprovevoli del sottoposto (trasgressioni gravi o reiterate al programma di
trattamento o alle prescrizioni imposte; rifiuto del lavoro di pubblica utilità, commissione di un delitto non colposo o
di un reato della stessa indole di quello che ha occasionato il processo in corso: 168quater cp).
La relativa decisione – ricorribile per cassazione – va presa dallo stesso giudice che ha disposto la sospensione,
dopo un’udienza in camera di consiglio, alla quale sono invitate a partecipare le parti e la persona offesa
(464octies,2). Essa produce effetti dal momento in cui diviene definitiva. E gli effetti consistono in ciò: l’istanza di
messa alla prova non può più essere reiterata (464novies) e il processo riprende il corso ordinario, verso il
dibattimento, con possibilità per l’imputato di optare per uno dei restanti riti alternativi (giudizio abbreviato,
patteggiamento, oblazione), presentando richiesta prima della dichiarazione di apertura. Nessuna norma stabilisce
espressamente quanto affermato. Tuttavia, ragioni sistematiche suggeriscono la soluzione interpretativa proposta.
Si intravede l’insorgere di possibili incompatibilità funzionali. Nessun problema quando a certificare l’esito negativo
della messa alla prova o a disporre la revoca dell’ordinanza di sospensione sia stato il GIP o il GUP. L’eventuale,
successivo dibattimento sarebbe condotto dal giudice (persona fisica) certamente diverso e, pertanto,
funzionalmente compatibile. Ma si supponga che il fallimento del probation processuale sia accertato, invece, dal
giudice del dibattimento (primo o secondo destinatario della richiesta di sospensione) e che lo stesso debba poi
occuparsi ancora del caso in vista, stavolta, della decisione di merito. Viene da chiedersi se possa davvero dare
adeguate garanzie di imparzialità, nell’imminente giudizio, quello stesso giudice che ha valutato negativamente
l’esito del periodo di prova. Al riguardo non soccorrono le incompatibilità stabilite dall’art. 34, tutte calibrate su
funzioni giurisdizionali collocate in diverse fasi o in diversi gradi del procedimento penale. Nel nostro caso saremmo
in presenza di funzioni esercitate in una medesima fase del processo, quella del giudizio di primo grado: funzioni che
sarebbe tuttavia opportuno attribuire a soggetti (persone fisiche) diversi occorre tuttavia un apposito intervento
legislativo o una declaratoria di incostituzionalità dell’art. 34 nella parte in cui non contempla questa inedita
situazione di improcedibilità.
Il giudizio seguente il fallito tentativo di probation processuale può chiudersi, ed è probabile che si chiude, con una
definitiva sentenza di condanna a pena detentiva. In tal caso, la pena andrà determinata tenendo conto
dell’eventuale periodo di affidamento in prova già trascorso: 3 gg di probation valgono 1 giorno di detenzione
ovvero 250 € di pena pecuniaria (657bis). Nessuna corrispondenza viene invece stabilita con riguardo alla nuova
tipologia di pene detentive (reclusione domiciliare, arresto domiciliare) che completeranno l’apparato
sanzionatorio. Un ultimo rilievo: come già accennato, la legge vieta nuove richieste di messa alla prova, in caso di
esito negativo del probation o di revoca della relativa ordinanza (464nonies). Nessun divieto esplicito sussiste invece
per il condannato, reduce dal fallito tentativo di messa alla prova, di chiedere al PM, in applicazione dell’art. 656
commi 5 e 6, uno dei benefici penitenziari volti a schivare la carcerazione (affidamento in prova, detenzione
domiciliare, semilibertà). È peraltro improbabile che il probation, non riuscito durante il processo di cognizione, sia
ammesso in sede esecutiva. Restano le altre due sanzioni alternative (detenzione domiciliare e semilibertà),
entrambe suscettibili di applicazione anche in assenza dei presupposti previsti per l’affidamento in prova ai servizi
sociali.
19. Giudizio immediato richiesto dall’imputato.
Fra i procedimenti speciali, espressione di giustizia consensuale, il giudizio immediato richiesto dall’imputato occupa
un posto a parte. Ne è conferma la circostanza che la relativa disciplina è collocata non nel libro VI ma nel libro V e in
particolare dall’art.419 cpp. Nel giudizio immediato richiesto dall’imputato, così come in ogni giudizio immediato, la
semplificazione procedurale riguarda il segmento intermedio del procedimento penale (l’udienza preliminare), non
quello finale (il dibattimento). Infine, la rinuncia esplicitata dall’imputato nella richiesta di questo rito sortisce un
effetto meramente processuale, giacché la legge non vi collega diminuzioni di pena, né altri vantaggi. Questo
giudizio anticipa il dibattimento, è un giudizio atipico rispetto al giudizio immediato regolato dagli artt.453 ss. La
parte può decidere di rinunciare alla chance difensiva dell’udienza preliminare. Presupposto del rito è la
dichiarazione con la quale l’imputato rinuncia all’udienza preliminare (atto personalissimo), rinuncia che può essere
esplicitata anche dal suo difensore munito di procura speciale.
Ulteriore requisito di ammissibilità dell’atto è il rispetto del termine per la sua presentazione, ossia 3gg prima della
data in cui dovrebbe tenersi l’udienza preliminare (non sono richiesti ulteriori presupposti). Il “vantaggio” di cui
potrebbe disporre l’imputato consiste nel fatto che se dispone di prove decisive della sua innocenza, egli in tal modo
può accelerare i tempi del suo proscioglimento dibattimentale, preferibile al proscioglimento provvisorio e
revocabile (non luogo a procede) col quale potrebbe concludersi l’udienza preliminare. La nuova formulazione
dell’art.422 vanifica un po’ questo vantaggio in quanto ora è possibile per il difensore, nell’udienza preliminare,
esibire gli esiti di proprie indagini, pur non aprendo spazi al diritto di prova. Presentata la dichiarazione, il giudice
non deve effettuare alcun vaglio di ammissibilità, salvo quello riguardante la legittimazione del richiedente e
l’osservanza del termine previsto. Appurato ciò, il giudice emette il decreto di giudizio immediato (419,6). In un solo
caso il giudice può astenersi dall’emettere il decreto ed imporre la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie,
ossia quando è in gioco una riunione di procedimenti che la richiesta ex 419,5 farebbe cessare. Evidentemente, le
esigenze efficientistiche prevalgono sulla volontà dell’imputato. Infine, optando per il giudizio immediato, l’imputato
si preclude la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato (459,3) e il patteggiamento (444), dopo che la riforma del
1999 ha modificato i termini per richiedere il patteggiamento, uniformandoli a quelli imposti per lo stesso giudizio
abbreviato. Il rinvio del novellato art.446 comma 1 al termine stabilito dall’art.458 concerne il solo giudizio
immediato promosso dal pm e non anche quello richiesto dall’imputato. Preclusa è anche la facoltà di chiedere la
sospensione del processo con messa alla prova. La legge non ammette, dunque, che a distanza di breve tempo
l’imputato revochi la scelta di anticipare il dibattimento, sostituendola con una scelta di segno opposto, volta invece
alla chiusura del processo prima del dibattimento.
20. Procedimenti speciali espressione di giustizia “autoritativa”.
I procedimenti speciali che si fondano su un atto imperativo del magistrato penale si caratterizzano per l’imposizione
alle parti private di una semplificazione procedurale, che coincide con l’amputazione autoritativa di uno o più
segmenti della fase preliminare del procedimento di primo grado. Tra le ragioni che giustificano tale semplificazione
vi è l’evidente fondatezza dell’accusa (si pensi alla sorpresa in flagranza o alla confessione), l’esigenza di pervenire
ad una decisione con esemplare celerità in ordine a reati percepiti come allarmanti, la scarsa gravità dei reati da
perseguire e l’opportunità di accorciare i tempi di definizione del rito penale. Talvolta, la legge combina anche scelte
imperative e consenso dell’imputato, dando vita a procedure speciali di carattere misto.
21. Giudizio immediato richiesto dal PM.
Presupposto da cui scaturisce l’obbligo per il PM di ricorrere a tale procedimento speciale ex art. 453,1 è l’evidenza
della prova; prova che deve riguardare la colpevolezza dell’imputato, in quanto, in caso contrario, il PM si sarebbe
dovuto attivare per l’archiviazione. A fronte di tale evidenza di colpevolezza, la legge ritiene ragionevole la
soppressione dell’udienza preliminare, salvo però che ciò pregiudichi gravemente le indagini (da intendere nel
senso di completezza, aggiunta fatta da una legge del 2008, prima il testo diceva “il pm può chiedere, ma di fatto il
pm al verificarsi di quei presupposti agiva comunque) in tal caso il PM è autorizzato a seguire la via ordinaria
nonostante l’apparente evidenza delle prove d’accusa. Non basta tuttavia che la prova sia evidente al PM, ma deve
apparire tale anche al giudice, al quale il PM deve rivolgersi per ottenere la citazione a giudizio immediato. Inoltre,
la legge pone condizioni ostative all’accoglimento della richiesta del PM, al fine di scongiurare un duplice rischio:
- per evitare che la scelta del rito speciale diventi un’ingiusta sperequazione ai danni dell’imputato, esso non può
essere disposto se non dopo che l’indagato sia stato messo in condizioni di interloquire, col PM, sui fatti dai quali
emerge l’evidenza della prova. Non è necessario però che la persona sia effettivamente interrogata, in quanto è
tuttavia sufficiente un semplice invito a comparire per l’interrogatorio, con un atto nel quale siano descritti i fatti
che rendono evidenti i termini dell’accusa: solo l’irreperibilità dell’imputato o un suo legittimo impedimento
sarebbero, a quel punto, d’ostacolo all’instaurazione del giudizio immediato. Si consideri anche che la procedura in
questione non prevede l’avviso di conclusioni delle indagini preliminari ex 415bis sicché se non fosse per l’invito a
comparire l’imputato rischierebbe di trovarsi rinviato a giudizio senza nemmeno aver saputo del processo a proprio
carico.
- sotto il profilo dell’economia processuale e dell’efficienza, il giudizio immediato potrebbe risultare
controproducente in caso di connessione, quando si procede cumulativamente anche per reati la cui prova “non
appare evidente”. In tali casi, la legge impone che il rito speciale segua il suo iter scindendosi dalle vicende connesse.
Tuttavia, se il giudice ritenesse indispensabile mantenere il cumulo processuale, dovrebbe rigettare la richiesta di
giudizio immediato del PM imponendo il rito ordinario per tutte le res iudicandae. (453,2)
Infine, la legge condiziona l’ammissibilità della richiesta all’osservanza di un limite temporale fissato in 90 gg dalla
registrazione della notizia di reato (454,1) quindi non bastano né l’evidenza né l’esclusione di pregiudizi per le
indagini se questi non affiorano nei primi tre mesi di indagini. L’imputato che si confessasse colpevole oltre questo
termine, provocherebbe certamente una situazione di evidenza probatoria, che tuttavia è inidonea a giustificare la
scelta del giudizio immediato. Dal punto di vista procedurale, va detto che l’instaurazione di questa specie di giudizio
immediato coincide sempre con l’esercizio dell’azione penale (405). Il PM formula l’imputazione con la richiesta
con la quale chiama in causa il gip, al quale va contestualmente trasmesso il fascicolo dell’indagine con la
corrispondente notizia di reato (454,2). L’iniziativa del PM impone al giudice di pronunciarsi sull’ammissibilità del
rito entro il termine ordinatorio di 5gg dalla richiesta. Se la prova non appare evidente o se manca una delle
condizioni di ammissibilità del rito (interrogatorio, invito equipollente e termine di 90gg) il giudice rigetta la richiesta
con decreto non motivato (455), comportando il ritorno degli atti al PM, il quale eserciterà diversamente l’azione
penale per le vie ordinarie. Privo di motivazione è anche il decreto col quale il giudice accoglie la richiesta di giudizio
immediato. Tale assenza di motivazione rende insindacabili entrambi i decreti; tuttavia non è esclusa una critica di
legittimità del decreto che accoglie la richiesta, quando questo viene emesso senza il previo interrogatorio
dell’indagato (o l’equipollente invito a comparire). In tal caso, la giurisprudenza è solita ravvisare una nullità a
regime intermedio (178 lett. c) che comporta l’invalidità del decreto di giudizio immediato (185,1), del quale il
giudice del dibattimento dovrebbe dunque constatare e dichiarare l’invalidità, restituendo poi gli atti al PM (185,3)
per l’ulteriore, regolare corso della procedura.
Col decreto che accoglie la richiesta del PM si apre il giudizio immediato esso ha identità di effetti e analogia di
contenuti col decreto, che in via ordinaria, dispone il giudizio: l’art. 456,1 contiene, infatti, un ampio rinvio all’art.
429 l’assenza di motivazione può spiegarsi anche alla luce del fatto di voler preservare l’imparzialità del giudice
dibattimentale proprio come accade col decreto emesso ex 429. Si entra così nella fase degli adempimenti
preliminari al dibattimento (465 ss). Tuttavia, il salto dell’udienza preliminare rende indispensabile qualche
adattamento. Disposto il giudizio immediato, innanzitutto, l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato, il
patteggiamento o la sospensione del processo con messa alla prova, ai quali va ora aggiunta l’offerta di riparazione
del danno ex 162-ter. In relazione a questi riti alternativi, la richiesta deve essere presentata, a pena di decadenza,
nei 15gg successivi alla notificazione del decreto di giudizio immediato (458,1 e 446,1). Inoltre, l’eventuale
inammissibilità di una di dette richieste non è d’ostacolo all’instaurazione di altro rito alternativo, per il quale
l’imputato potrebbe optare in via subordinata.
- Per il giudizio abbreviato, precisamente il termine decorre dall’ultima notificazione all’imputato o al difensore del
decreto che dispone il giudizio o, rispettivamente, dell’avviso della data fissata per il dibattimento; la richiesta
(semplice o complessa che sia) è sufficiente a mettere il giudice in condizione di doverne vagliare la fondatezza,
secondo i criteri già in precedenza illustrati.
- Per il patteggiamento, la richiesta di una parte non è presa in considerazione dal giudice, se manca il consenso
dell’altra. Il problema è che le norme da ultimo indicate non prevedono espressamente il termine entro il quale tale
consenso dev’essere prestato. Il legislatore è incorso in errore perché nell’intento di uniformale i termini per la
richiesta dei riti alternativi, è stata estesa al patteggiamento la norma che regola il passaggio dal giudizio immediato
al giudizio abbreviato: a tal fine è stato inserito nell’art.446 un semplice richiamo all’art.458. Senonché, nella sua
versione originaria, l’art.458 indicava sia il termine imposto all’imputato per chiedere il giudizio abbreviato, sia
quello all’epoca imposto al pm per prestare il proprio consenso. Caduta, con la riforma del 1999, la parte della
norma che riguardava il consenso del pm alla richiesta di giudizio abbreviato, è caduto anche il riferimento al
termine che l’art.458 istituiva per la prestazione di tale consenso. Oggi, la norma in questione vale anche per il
patteggiamento, ma non fornisce alcuna indicazione circa il termine entro il quale dovrebbe essere prestato il
consenso. Il problema si pone per entrambe le parti, considerato che la richiesta ex 444 può provenire tanto
dall’imputato, quanto dal pm. Di fronte al silenzio della legge, spetta al giudice assegnare un termine alla parte,
come accade anche nell’analoga situazione in cui il patteggiamento è chiesto da chi si oppone al decreto penale di
condanna. Quanto appena detto si applica anche per la richiesta di sospensione con messa alla prova, considerato
che l’art.464-bis comma 2 cade nello stesso errore di indicare il termine entro il quale la richiesta dell’imputato va
presentata con un semplice rinvio all’art.458. Nemmeno qui si capisce quale sia il termine per l’eventuale consenso
del pm, sicché conviene applicare in via analogica il citato art.464 comma 3, a meno di non voler riesumare quel
termine di 5gg (dalla notificazione della richiesta dell’imputato) che è stato cancellato dall’art.458. Lo stesso vale per
la riparazione del danno ex 162-ter c.p.
Competente a pronunciarsi sulla trasformazione del rito è il gip, il quale, se accoglie la relativa richiesta, fissa
l’udienza per uno dei riti alternativi che l’imputato ha voluto scegliere. In caso di rigetto della richiesta occorre
proseguire il processo lungo l’iter ordinario: il gip è tenuto a formare il fascicolo del dibattimento (431) che, assieme
col decreto di citazione, va subito trasmesso al giudice del dibattimento (457,1). Da questo momento, la procedura
speciale rifluisce in quella ordinaria. Tanto la richiesta di patteggiamento (448,1), quanto la richiesta complessa di
giudizio abbreviato, così come la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova (463ter,4) possono
essere tuttavia rinnovate davanti al giudice del dibattimento di primo grado, prima della dichiarazione di apertura ex
492.

22.: giudizio immediato “custodiale”


(art. 453 comma 1-bis).
Un nuovo caso di giudizio immediato è venuto ad esistenza per effetto del d.l. 92/2008. Questo deve essere
instaurato quando l’indagato si trova in stato di custodia cautelare (custodia in carcere, custodia in luogo di cura o
arresti domiciliari) e a condizione che la scelta del rito speciale non pregiudichi gravemente le indagini (453,1bis).
La richiesta va presentata quando i gravi indizi di colpevolezza abbiano acquisito una certa solidità e, cioè, quando il
tribunale del riesame abbia confermato la misura custodiale o sia decorso il termine per impugnare il
provvedimento che l'ha disposta (453,1ter). Se poi i gravi indizi vengono meno prima che il GIP decida sulla richiesta
di giudizio immediato, il provvedimento cautelare deve essere revocato (299) o annullato (309 e 311) e la richiesta
di rito speciale deve essere rigettata (455,1bis). La richiesta va rigettata anche quando il GIP ritiene l’instaurazione
del giudizio immediato pregiudizievole per le indagini in ragione ad esempio della loro incompletezza.
Il termine per la richiesta è di 180 giorni dalla data di esecuzione della misura custodiale (quindi non dalla
registrazione della notizia di reato). Per questo motivo tale rito non può essere richiesto per il latitante che si sottrae
all'esecuzione della misura. E questo rappresenta un paradosso, perché il latitante viene gratificato con un'udienza
preliminare.
La norma presta il fianco a dubbi sia sotto il profilo della sua opportunità, sia di legittimità costituzionale.
Dal primo punto di vista infatti occorre rilevare che se da un lato i gravi indizi di colpevolezza rilevanti ai fini cautelari
parrebbero risolversi in una situazione di “evidenza probatoria” è anche vero che l’incidente cautelare ha uno
svolgimento autonomo rispetto a quello principale sicché far dipendere la sorte del secondo dall’andamento del
primo riserva inevitabili imprevisti, complica lo svolgimento procedurale ed espone gli indagati o gli imputati a
censurabili sperequazioni. Inoltre, non è lodevole privare tali soggetti delle chances difensive esercitabili a seguito
dell’avviso di chiusura delle indagini. Dal secondo punto di vista, posto che il giudizio immediato comporta un
sensibile sacrificio del diritto di difesa, una sua instaurazione troppo disinvolta può violare l’art.24,2 Cost. La legge
infatti si preoccupa soltanto di tutelare la posizione di colui che, sottoposto a misura custodiale, riacquista la libertà
a seguito di revoca o annullamento dell’ordinanza cautelare, per il sopraggiungere di elementi tali da far apparire
insussistenti i “gravi indizi di colpevolezza”. Ma lo fa solo in parte perché si limita a stabilire che, in questi casi, il
giudice non ammette il rito speciale (455,1bis) ciò comporta che se però il giudizio immediato nel frattempo è
stato già ammesso, questo non può più essere revocato se il giudizio immediato si giustifica in presenza di una
misura custodiale erroneamente disposta, la sua instaurazione risulta non solo irrituale, ma altresì lesiva di un diritto
fondamentale. Es: caso in cui sia scaduto il termine per il ricorso al tribunale del riesame e si sia instaurato il giudizio
immediato; l’ordinanza custodiale è revocata o sostituita con altro provvedimento coercitivo non custodiale, per
essere venuti meno i gravi indizi di colpevolezza o per essere insussistenti o sussistenti in grado minimo le esigenze
cautelari la custodia sarebbe illegittima ma una volta instaurato il giudizio immediato non si potrebbe ritornare
indietro), l'imputato, oltre ad aver subito una misura cautelare non dovuta, subisce anche la beffa di un processo
senza avviso di chiusura delle indagini e privo di udienza preliminare. Analogo rilievo vale in presenza di errore in
iudicando, quando la misura custodiale fosse disposta per un titolo di reato rivelatosi poi sbagliato e censurato dalla
Corte di Cassazione.
23.: giudizio immediato “obbligatorio” (art.464 comma 1).
Nel caso di giudizio immediato imposto ex lege quando vi sia stata opposizione al decreto penale di condanna,
l’udienza preliminare è ritenuta superflua non solo perché l’accusa appare ancorata a fatti incontestabili, ma anche
perché essa ha per oggetto reati di scarsa gravità ovvero contravvenzionali. Dunque, alla base di questo caso di
giudizio immediato, vi è un criterio politico basato sulla tenuità della sanzione. Evidentemente il legislatore ha
ritenuto che le chances offerte dall’udienza preliminare possano essere sacrificate quando la posta in gioco è una
semplice pena pecuniaria. Si consideri poi che la maggior parte di questi reati contravvenzionali rientra già nel
settore di cognizione del giudice monocratico soggetto alle regole della citazione diretta (550), affidato ad un iter
procedurale di per sé privo di udienza preliminare. Ne segue che tale giudizio immediato obbligatorio ex lege
riguarderà una ristretta cerchia di reati di competenza del tribunale collegiale in cui i relativi processi sarebbero
altrimenti destinati a svolgersi nelle forme ordinarie, inclusa l’udienza preliminare. Es: delitti previsti dagli artt.2621
ss c.c. Le caratteristiche procedurali del giudizio immediato obbligatorio sono identiche a quelle del giudizio
immediato ordinario; l’unica differenza sta nell’atto introduttivo del rito: non una richiesta del PM, ma un decreto
di citazione emesso d’ufficio dal gip dopo aver constatato che ogni via ad una soluzione anticipata del processo è
ormai preclusa. Dunque, l’instaurazione di questo rito speciale non coincide con l’esercizio dell’azione penale ed è
incompatibile con ogni soluzione anticipata del giudizio (giudizio abbreviato, patteggiamento, sospensione del
processo con messa alla prova) ad eccezione dell’oblazione che può essere sempre richiesta prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento (162 e 162bis c.p.).
24. Giudizio direttissimo.
La specialità di questo rito consiste nella soppressione pressoché totale dell’intera fase preliminare e in una
semplificazione della fase predibattimentale. Ad esso si ricorre – unicamente per atto imperativo del PM - quando il
fondamento dell’accusa è talmente evidente da rendere superflua non solo la verifica dell’udienza preliminare, ma
anche la ricerca di mezzi di prova attuata nell’indagine preliminare evidenza qualificata. Rilevano in tale
procedimento la situazione di flagranza che legittima l’arresto (380 e 381) o l’allontanamento d’urgenza dalla casa
familiare (384bis) e la confessione resa a brevissima distanza dall’inizio dell’indagine. In tali casi il rito speciale va
sempre scelto (entro 30 gg dall’arresto o dall’inizio dell’indagine), salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini.
Per il pm la scelta del giudizio è doverosa e non sottoposta a discrezionalità, sempre che non si renda necessario un
supplemento di indagine incompatibile con i tempi stretti del giudizio direttissimo. Ora, le disposizioni del d.l. 92 del
2008 hanno enfatizzato questa situazione di doverosità, sostituendo l’espressione “può procedere” con “procede”
(espressione non molto felice riferibile alla necessità di salvaguardare le indagini del procedimento suscettibile di
sfociare nel giudizio direttissimo, non già anche ad indagini concernenti altri procedimenti connessi o collegati). A
guidare il pm nella scelta di questo rito è l’esigenza di assicurare la completezza dell’indagine, completezza che
sarebbe insensato sacrificare sull’altere della citazione direttissima. Un’importante modifica ha riguardato il limite
temporale di instaurazione del rito. Infatti, il d.l. 92 ha elevato il termine a 30gg (prima era di 15) entro il quale
presentare o citare a giudizio l’imputato. Ne deriva un considerevole ampliamento delle occasioni per instaurare il
rito stesso, giacché in quei 30gg sarà possibile compiere qualche indagine a conferma dell’addebito accusatorio. Vi
sono 2 modalità di svolgimento del giudizio direttissimo, a seconda che l’imputato sia privo della libertà personale o
sia invece libero:
1. L’imputato arrestato o in custodia cautelare - una volta chiusa l’udienza di convalida dell’arresto - è
presentato direttamente dal PM al giudice dibattimentale (450,1). Qui l’imputazione è contestata
oralmente in udienza, prima dell’apertura del dibattimento. Con la contestazione del fatto, il PM forma il
fascicolo del dibattimento ex 431 e lo consegna al giudice. Il predibattimento non esiste e i testimoni
possono essere presentati direttamente nell’udienza, senza bisogno di previa citazione (451,4). L’imputato
può chiedere un termine (non superiore a 10gg) per organizzare la propria strategia difensiva. Durante tale
termine, il dibattimento è sospeso e il difensore può prendere visione sia degli eventuali atti d’indagine
esistenti presso la segreteria del PM, sia degli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento e custoditi presso la
cancelleria del giudice;
2. L’imputato libero (quello rimesso in libertà dopo l’udienza di convalida o quello che, pur avendo confessato
la propria responsabilità penale entro 30 giorni dalla registrazione della notizia di reato, non si trova in stato
di custodia cautelare) è invece citato a comparire all’udienza di giudizio direttissimo, convocata dal PM
entro un termine dilatorio di 3gg (450,2). In questi casi, l’imputazione è contestata per iscritto nel decreto di
citazione a giudizio. Vi è inoltre il tempo per una breve indagine preliminare, che il PM può condurre fino al
decreto di giudizio direttissimo. In attesa del dibattimento, c’è anche spazio per qualche adempimento
predibattimentale: il fascicolo del dibattimento è formato dal PM subito dopo l’emissione del decreto
(450,4); il difensore ha diritto di essere avvertito della data fissata per il giudizio (450,5) e può vedere,
nonché acquisire copia, degli atti d’indagine esistenti presso la segreteria del PM (450,6) e di quelli confluiti
nel fascicolo dibattimentale presso la cancelleria del giudice.
È diritto dell’imputato (pena la nullità 178 lett.c) quello di essere avvertito della possibilità di chiedere il giudizio
abbreviato, il patteggiamento (451,5 e 446,1) o la sospensione del processo con messa alla prova (464bis,2), prima
che sia dichiarato aperto il dibattimento se vi fossero richieste in tal senso, il giudice dibattimentale dovrebbe
esaminarne l’ammissibilità. Peraltro, anche la richiesta di giudizio direttissimo subisce un vaglio di ammissibilità, per
cui se il giudice ritiene insussistente alcuna delle situazioni assunte dalla legge a presupposto del procedimento
speciale, quest’ultimo non può aver luogo, e il giudice deve restituire gli atti al PM (452,1). I sacrifici imposti alla
difesa trovano dunque una ragionevole giustificazione proprio nella situazione di qualificata evidenza probatoria,
che solitamente si accompagna allo stato di flagranza e alla confessione del reato intervenuta a breve distanza dalla
registrazione della notizia di reato. Inoltre, nei casi di arresto in flagranza, il giudizio direttissimo è subordinato
all’ulteriore condizione che l’imputato permanga in stato di limitazione della libertà personale, talché il rito speciale
resta precluso in assenza di un esplicito atto di consenso dell’imputato a piede libero. Con riguardo alla
compressione delle garanzie difensive ordinariamente associate al predibattimento la posta in gioco è tale da
esigere un controllo giurisdizionale sull’instaurazione del rito speciale. L’art.449, nella versione emandata dal d.l.
92/2008 ha reso, in linea di principio, doverosa la citazione direttissima dell’arrestato in flagranza (entro 30gg dalla
limitazione di libertà) o dell’imputato che abbia reso confessione entro 30gg dalla registrazione della notizia di reato.
Tuttavia, affinché il rito sia effettivamente introdotto, non è sufficiente che il pm presenti l’imputato direttamente in
giudizio o emetta decreto di citazione. Benché la legge non preveda una formale richiesta, l’atto col quale il pm
introduce il giudizio direttissimo costituisce un modo di esercitare l’azione penale, sul quale il giudice è chiamato a
esercitare il suo sindacato, così come del resto avviene con altri procedimenti speciali, la cui instaurazione realizza di
per sé una modalità di instaurazione del processo. Pertanto, se – a fronte di un’iniziativa del pm volta a promuovere
il giudizio direttissimo – il giudice ritiene insussistente alcuna delle situazioni assunte dalla legge a presupposto di
ammissibilità, quest’ultimo non può avere luogo. Se, ad esempio, l’imputato fosse presentato direttamente
all’udienza dibattimentale oltre il 30esimo giorno dall’arresto o in stato di fermo, il giudice non potrebbe ammettere
il giudizio. Per verità, non c’è traccia nel codice di un provvedimento di inammissibilità, anche perché manca qui una
formale richiesta del pm cui riferire la valutazione di ammissibilità o di inammissibilità. Semplicemente la legge
impone la restituzione degli atti al titolare dell’accusa, quando il giudice rileva che il rito speciale è stato promosso
fuori dai casi consentiti. Ed è chiaro che l’ordine (motivato, ma insindacabile) di restituire gli atti al pm contiene,
implicita, una statuizione d’inammissibilità. Ricevuti quegli atti, il pm eserciterà in altro modo l’azione penale, magari
chiedendo il giudizio immediato che ha il suo fondamentale presupposto in una generica evidenza del fatto descritto
nell’imputazione.
Un altro limite al promovimento del rito speciale discende dall’opportunità di mantenere riuniti diversi
procedimenti penali, quando fra questi ve ne sia alcuno che il PM intende definire per direttissima. In tali casi si
dovrebbe procede a separazione, tuttavia qualora la separazione sia sconsigliata per ragioni attinenti al buon esito
delle indagini, il giudice ordina che si proceda cumulativamente e nei modi ordinari in relazione a tutte le
regiudicande (449,6).

25.: giudizio direttissimo davanti al giudice monocratico.


Nella versione originaria, l’art.566 ammetteva con molta parsimonia il giudizio direttissimo. Era esclusa la possibilità
del giudizio speciale a seguito di arresto in flagranza intervenuto nei precedenti 15 (ora 30) gg o a seguito della
confessione del reato avvenuta nei primi 15 (ora 30) gg dall’avvio dell’indagine preliminare. Entrambi questi limiti
sono tuttavia incappati nella censura della corte costituzionale, che li ha rimossi ritenendoli irragionevoli. La l.479
del 1999 si è adeguata a tali pronunce, col novellato art.558 comma 9, sicché si può dire che ora il giudizio
direttissimo può essere promosso davanti al giudice monocratico per gli stessi casi per i quali risulta ammissibile
davanti a quello collegiale. Sopravvissuto alla furia novellatrice del d.l. 92 del 2008, l’art.558 comma 9 stabilisce che
il pm può altresì procedere a giudizio direttissimo nei casi previsti dall’art.449 commi 4 e 5. Ma, dopo le
osservazioni svolte nel paragrafo precedente, è chiaro che quel “può” vale un “deve”. Il giudizio direttissimo davanti
al giudice monocratico ex 558 può essere promosso per gli stessi casi per i quali risulta ammissibile davanti a quello
collegiale. Vi sono però alcune differenze nello svolgimento procedurale.
In tale procedimento, l’eventuale udienza di convalida dell’arresto si svolge davanti al giudice del dibattimento, se il
PM è in grado di presentare l’arrestato all’udienza entro 48 ore dall’atto coercitivo (558,4). Negli altri casi l’udienza
stessa è destinata a svolgersi davanti al gip con conseguente presentazione dell’imputato al giudice dibattimentale.
A norma dell’art.558 comma 7 l’imputato ha la facoltà di chiedere un termine a difesa di un massimo di 5gg (non
10), ma non ha diritto ad essere avvertito dal giudice della possibilità di avvalersi di tale facoltà come invece prevede
l’art.451,6. Nulla si dice degli adempimenti preparatori del dibattimento, né del modo in cui va esercitata l’azione
penale in questa speciale versione di giudizio direttissimo. Grazie al generale rinvio operato dall’art.549 trovano
applicazione le corrispondenti norme previste negli artt.450 e 451 e valgono dunque le osservazioni già svolte prima.

26.: giudizi direttissimi atipici.


In taluni casi, il giudizio direttissimo può essere promosso senza che ricorrano i presupposti indicati negli artt.459 e
558. Il fondamento dei giudizi direttissimi atipici sta nell’esigenza di giudicare con celerità reati percepiti come
gravi e allarmanti. L’urgenza repressiva in questi casi intacca il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla
legge. Previsti da leggi speciali hanno avuto la loro fioritura tra il 1974 e il 1979. La riforma del 1989 aveva soppresso
la maggior parte di questi giudizi, lasciando sopravvivere solo quelli che riguardavano i reati concernenti armi ed
esplosivi nonché i reati commessi con il mezzo della stampa. La norma di coordinamento fu poi dichiarata
incostituzionale, per un asserito contrasto con la direttiva della legge delega, del tutto esplicita nell’escludere
qualsiasi ipotesi atipica di giudizio direttissimo. Ciò non ha impedito al legislatore di reintrodurre codesto rito
speciale per reati concernenti armi ed esplosivi e di introdurre una cospicua serie di altri esemplari: reati di
discriminazione etnica, raziale e religiosa; reati commessi in occasione di manifestazioni sportive; reati collegati
all’illegale reingresso e permanenza degli stranieri nello stato. In tutti questi casi, il giudizio direttissimo costituisce
il modo ordinario di procedere, salvo il caso in cui siano necessarie speciali indagini (non si applica nel caso di
reingresso dello straniero espulso), per cui il PM può scegliere il normale iter processuale con atto insindacabile.
È invece sindacabile, da parte del giudice dibattimentale, l’apprezzamento negativo circa la necessità di speciali
indagini: in tal caso gli atti sono trasmessi al PM, il quale eserciterà in altro modo l’azione penale. Detto
diversamente, il giudice non può imporre al pm di promuovere il giudizio direttissimo, può però imporgli di
procedere in altra maniera, tutte le volte che l’instaurazione del giudizio direttissimo appaia ostacolata dalla
necessità di speciali indagini. La necessità di speciali indagini sussiste soltanto quando le investigazioni da compiere
sono incompatibili, per complessità e durata, con la completezza che deve pur contrassegnare questo rito speciale.
Ne consegue che l’indagine del PM potrebbe durare anche alcuni mesi prima di approdare al dibattimento; tuttavia,
una giurisprudenza di legittimità è incline a far valere per i giudizi direttissimi atipici gli stessi termini prescritti per
l’instaurazione dei direttissimi tipici: 30gg dall’arresto o dall’inizio dell’indagine.
Dal punto di vista procedurale, valgono le stesse regole previste per i giudizi direttissimi tipici (non essendoci norme
a riguardo) con le differenze di procedura già segnalate tra giudizi con imputati detenuti e giudizi con imputati liberi,
e anche questo rito può subire la trasformazione in giudizio abbreviato, in patteggiamento o in sospensione del
processo con messa alla prova la relativa richiesta va presentata prima che sia dichiarato aperto il dibattimento,
come stabilisce l’art.452 comma 2.
27. Contestazione suppletiva del reato concorrente e del reato continuato.
Pur estranea all’elenco di procedimenti contenuti nel libro VI, la contestazione suppletiva del reato concorrente e
del reato continuato presenta tutte le caratteristiche del giudizio speciale promosso ex auctoritate. Invero, quando
avviene nell’udienza preliminare essa realizza un singolare caso di esercizio dell’azione penale, senza previa
indagine preliminare. Quando, invece, avviene nel dibattimento essa comporta addirittura l’amputazione
dell’intera fase preliminare del processo, oltre che di quella predibattimentale. L’istituto della contestazione
suppletiva del reato concorrente e del reato continuato trova la sua spiegazione nell’opportunità di giudicare
cumulativamente le regiudicande connesse a norma dell’art. 12 lett. b. L’affiorare, in udienza preliminare o in
dibattimento, di un fatto che appaia in rapporto di continuazione o di concorso formale con quello già contestato
pone un problema di applicazione della legge penale. Se per tutti questi fatti fosse riconosciuta la responsabilità
dell’imputato, la relativa pena dovrebbe essere quantificata nel rispetto della proporzione stabilita dall’art. 81 c.p.
(pena aumentata fino al triplo) Uno svolgimento separato delle vicende processuali riguardanti tali regiudicande
renderebbe difficoltoso questo calcolo. È vero che la legge processuale offre un rimedio esperibile in sede esecutiva,
a norma dell’art.671, contro l’errore di commisurazione della pena, ma si capisce come sia preferibile prevenire
l’errore, piuttosto che porvi rimedio quando magari ha già cagionato dei guasti in pregiudizio del condannato.
Orbene, le disposizioni sulla contestazione suppletiva sono volte a rendere più agevole l’applicazione dell’art 81 c.p.,
quindi ad evitare questo errore. L’atto con il quale il PM contesta un reato concorrente o continuato comporta:
- la soppressione dell’indagine preliminare, se la nuova contestazione avviene nell’udienza preliminare (423,1);
- la soppressione dell’intera fase preliminare del processo e del predibattimento, se essa avviene nel dibattimento
(517).
Dato che l’atto del PM è imperativo e insindacabile, rischiano di essere lesi quei diritti dell’imputato che la legge
associa alle fasi soppresse (soprattutto per quanto riguarda la contestazione effettuata in dibattimento, rispetto alla
quale l’imputato non può avvalersi né delle facoltà di intervento e assistenza esercitabili nell’udienza preliminare, né
di quelle usufruibili nella fase degli atti preliminari del dibattimento). A compensare tale perdita, è riconosciuto, nei
casi ex art.519 comma 1, alle parti il diritto di ottenere una sospensione dell’udienza per preparare la difesa in
ordine al nuovo addebito, analogamente a quanto accade nel giudizio direttissimo, il quale a sua volta si caratterizza
per l’assenza della fase predibattimentale. Un termine a difesa, a richiesta dell’interessato, sarebbe inoltre
assicurato pure nel caso che la nuova contestazione dovesse intervenire nel corso di un giudizio abbreviato. Pure il
diritto alla prova è salvaguardato, col riconoscere a tutte le parti il diritto all’assunzione di nuove prove in ragione
della mutata regiudicanda. E un diritto alla prova è associato anche alla parallela ipotesi di una nuova contestazione
del reato concorrente o del fatto in rapporto di continuazione nel corso di un giudizio abbreviato. Infine, è fatto
salvo il diritto dell’imputato di essere ammesso all’oblazione per il reato concorrente contestato in dibattimento,
così come il diritto di accedere sia al patteggiamento sia al giudizio abbreviato in ordine al reato concorrente
contestato in dibattimento.
28. Procedure speciali di carattere misto.
Si tratta di quelle situazioni nelle quali la semplificazione procedurale deriva da un atto imperativo del magistrato
penale, ossia il PM, combinato con il consenso dell’imputato o con l’accordo delle parti. Sono il procedimento per
decreto (459-464); giudizio direttissimo su accordo delle parti (440,2 e 558,5); contestazione suppletiva del fatto
nuovo (423,2 e 518). Il rito speciale si applica solo se l’iniziativa del pm trova riscontro nel consenso della parte.
29. Procedimento per decreto.
Quando l’accertamento riguarda reati di lievissima entità, la legge ammette che il provvedimento di condanna
possa essere emesso al termine dell’indagine preliminare, senza dar luogo al dibattimento, e quindi senza previo
contraddittorio per questo la condanna assume la forma del decreto. Tale eliminazione della fase dibattimentale
è attuata in via autoritativa dal giudice, su richiesta del PM, alla stregua del parametro oggettivo identificato
nell’applicabilità (in concreto) di una pena pecuniaria. Il condannato (l’imputato o la persona civilmente obbligata
per la pena pecuniaria), tuttavia, può opporsi al decreto penale, provocando una prosecuzione dell’attività
processuale aperta a tutte le soluzioni. Può altresì accettare dunque l’esito del decreto. Il principio del
contraddittorio trova un’attuazione differita ed eventuale, subordinata alla scelta dell’imputato di opporsi al
provvedimento che lo condanna. È evidente l’analogia con i procedimenti monitori tipici della giurisdizione civile.
Il decreto penale è un utile strumento di deflazione processuale, che la legge tenda a potenziare. Anche gli illeciti
imputabili a persone giuridiche, in quanto sanzionabili con pena pecuniaria, possono essere definiti con questa
procedura sommaria. Oggi il suo campo applicativo comprende sia i reati perseguibili d’ufficio sia quelli perseguibili
a querela della persona offesa per i quali il PM ritiene doversi applicare soltanto la pena pecuniaria, anche in
sostituzione di pena detentiva. È previsto anche un incentivo “premiale” ossia una riduzione della pena sino alla
metà, rispetto al minimo edittale, per indurre l’imputato ad accettare la condanna per decreto astenendosi dal
proporre opposizione (459,2). Un incentivo per l’imputato ad accettare questa rapida definizione del processo viene
infine dalla riforma Orlando, che ha abbassato la pena pecuniaria da applicare in sostituzione della pena detentiva,
riducendo da 250 a 75 euro il valore giornaliero minimo per convertire in denaro la pena detentiva.

30.: fase introduttiva e svolgimento procedurale.


Atto introduttivo del rito è una richiesta che il PM presenta al gip entro 6 mesi dalla registrazione della notizia di
reato, allegandovi il fascicolo con gli esiti delle sue investigazioni. Tale richiesta, essendo atto di esercizio dell’azione
penale, deve contenere tutti i dati idonei a identificare l’imputato e la correlativa imputazione (459,1), nonché la
pena da applicare che può essere quantificata con una generosa diminuzione (fino alla metà del minimo della pena
edittale). Ricevuta la richiesta, il gip ne vaglia l’ammissibilità. La richiesta va rigettata se, dagli atti del fascicolo
d’indagine, risulta che l’imputato deve essere prosciolto con una delle formule ex 129,1: in tal caso il giudice emette
una sentenza (459,3) idonea a chiudere il processo, ma che può essere impugnata con il solo ricorso per cassazione,
posto che – come chiarito dalle sezioni unite – il giudice di appello sarebbe incompetente ad adottare il decreto di
condanna in caso di riforma di proscioglimento. In tutti gli altri casi, il rigetto della richiesta comporta la restituzione
degli atti al PM con atto insindacabile del giudice. Il rito speciale non è ammesso per ragioni procedurali, quando la
richiesta è stata presentata fuori termine, oppure quando riguarda reati punibili solo con pena detentiva.
L’inammissibilità può poi fondarsi anche sull’esigenza di assicurare l’esatta applicazione della legge penale, ossia
quando il giudice ritiene che vada applicata una misura di sicurezza personale che non può essere disposta con
decreto penale (459,4), oppure quando reputa incongrua la pena proposta nella richiesta al riguardo il giudice
non può modificare l’entità della pena (460,2), quindi o concorda o rigetta restituendo gli atti al PM. Se la richiesta
del PM viene accolta, il giudice emette decreto di condanna. Esso è caratterizzata da una motivazione sommaria
delle ragioni della decisione (meno solenne di una sentenza: manca l’incipit in nome del popolo italiano) (460,1
lett.c) ed è idoneo a divenire irrevocabile e a costituire titolo per eseguire la pena inflitta, a meno che la parte non
vi si opponga entro 15 gg dalla relativa notifica. A tal fine, il giudice, a pena di nullità (178 lett. c), deve inserire nel
decreto un avviso agli interessati per ricordargli ex 460,1 lett. e ed f, il diritto di opporsi al provvedimento di
condanna, e avvertirli che la mancata opposizione nel termine renderebbe esecutiva la condanna. Sempre a pena di
nullità, l’imputato va avvertito della facoltà di nominare un difensore (460,1 lett. g) il decreto assume una
funzione analoga all’informazione di garanzia l’imputato, infatti, potrebbe anche essere ignaro del procedimento
a suo carico, sicché si rischia che questi scopra di essere condannato solo alla scadenza dei termini per presentare
opposizione, anche perché l’emissione del decreto non presuppone la previa contestazione dell’addebito, che è
invece requisito di validità della richiesta di rinvio a giudizio.
Per evitare ciò, la legge vieta la notificazione del decreto penale (che quindi diventa un passaggio cruciale) secondo
la procedura seguita normalmente per l’imputato irreperibile (159): perciò, a fronte dell’impossibilità di
rintracciarlo, il giudice deve revocare il decreto di condanna e restituire gli atti al PM, per l’ulteriore prosecuzione
del processo nelle forme normali o con altro rito speciale (460,4). Lo stesso accade quando la notificazione del
decreto all’imputato risulti impossibile per inidonea o insufficiente dichiarazione di domicilio ex 161. A
completamento di tali garanzie la legge ha reso particolarmente agevole la restituzione in termini per proporre
opposizione, tutte le volte che l’interessato dimostri di non aver avuto conoscenza del decreto per ragioni non
imputabili a sua colpa. Ritualmente effettuata la notifica, la mancata opposizione al decreto equivale oltre
all’accettazione del rito anche ad accettazione della condanna.

31. Il decreto penale.


Scaduto il termine per l’opposizione, il decreto diventa definitivo e costituisce titolo per eseguire la condanna, salvo
che l’opposizione proposta da altri coimputati, condannati con decreto per il medesimo reato, produca l’effetto
estensivo ex 463,1 che può sfociare in una revoca del provvedimento di condanna. Sotto il profilo de ne bis in idem
(649) e ai fini del giudizio di revisione (629) il decreto è equiparato ad una normale sentenza di condanna; ma sotto
altri profili affiorano delle analogie con quell’ibrido della sentenza di patteggiamento ex 444 (la l.479 del 1999 ha
reso affini questi due provvedimenti di condanna). L’accertamento contenuto nel decreto è inidoneo a sortire
effetti vincolanti (ex 651-654) nei giudizi civili ed amministrativi (460,5) e non può culminare nell’applicazione di una
misura di sicurezza personale: anzi non potrebbe nemmeno essere instaurato o proseguito, se dall’accertamento
dei fatti risultasse una tale necessità. La riforma del 1999 ha modificato e completato la configurazione normativa
del decreto penale, accentuandone gli attributi premiali. Ciò contribuisce a rendere più frequenti atteggiamenti
remissivi dell’imputato. Il condannato per decreto non ha l’obbligo di pagare le spese processuali né gli possono
essere applicate le sanzioni accessorie previste dalla legge penale (460,5).
Inoltre, il reato oggetto del decreto è destinato ad estinguersi, nei 5 anni successivi (o 2 nel caso di illeciti
contravvenzionali), se l’imputato non ne commette un altro della stessa indole (460,5). In tali ipotesi, inoltre, il
decreto non ostacola una successiva sospensione condizionale della pena (164 cp), mentre può giustificare una
revoca della sospensione stessa (168 c.p.). Infine, la condanna inflitta con decreto, seppur iscritta nel casellario
giudiziale, non deve essere menzionata nei corrispettivi certificati richiesti dai privati. Insomma, l’imputato-
condannato ha un forte incentivo ad accettare la decisione fissata nel decreto: egli deve avere ragioni davvero solide
per opporvisi, rinunciando a tutti i vantaggi e col rischio di subire una condanna più grave.

32. Opposizione a decreto penale.


Opponendosi al decreto, l’imputato, personalmente o attraverso il proprio difensore (anche autonomamente)
(ovvero il civilmente obbligato per la pena pecuniaria o la persona giuridica per il tramite del suo rappresentante)
sospende l’esecuzione della condanna e impone che l’accertamento del fatto avvenga in forme diverse. L’atto di
opposizione ha perciò un duplice contenuto: vale come dissenso dell’interessato rispetto al rito speciale; e vale
altresì come impugnazione rispetto alla condanna inflitta. In quanto atto che ripudia l’esito del rito speciale,
l’opposizione è prerogativa dell’imputato oltre che degli altri soggetti menzionati. Ciò spiega perché la legge
attribuisca principalmente a questi ultimi la facoltà di manifestare la loro contraria volontà. Essi, tuttavia, possono
agire anche attraverso il proprio difensore, anzi a mezzo del difensore eventualmente nominato, come recita
l’art.461, con un’espressione che la giurisprudenza di legittimità è inclina a interpretare in senso ampio, tanto da
vedervi incluso pure il difensore d’ufficio. Sussiste quindi un’autonoma facoltà del difensore di proporre
opposizione, analogamente a quel che accade nella generale disciplina delle impugnazioni.
In quanto atto d’impugnazione, l’opposizione presenta alcuni tratti peculiari. Anzitutto, essa è priva del c.d. effetto
devolutivo, poiché una volta proposta il processo proseguirà innanzi al giudice di primo grado e non davanti a quello
di grado superiore. Inoltre, l’opponente non deve necessariamente indicare i motivi della doglianza, giacché è
sufficiente che, nella relativa dichiarazione, indichi gli estremi del provvedimento di condanna insieme con la data
dello stesso, e che identifichi il giudice del decreto. Benché corredata dai motivi, l’opposizione sarebbe cmq idonea
ad attribuire all’organo giurisdizionale odierna cognizione su tutti i punti della decisione impugnata e non solo su
quelli toccati dai suddetti motivi. Il giudice non è nemmeno assoggettato al divieto della reformatio in peius (597,3)
sicché l’opponente rischia una condanna più grave, anche alla reclusione o all’arresto nei casi in cui la pena
pecuniaria fosse stata applicata in sostituzione o alternativa a quella detentiva. Infine, l’opposizione ha un effetto
estensivo, ma solo nei casi in cui il decreto sia stato pronunciato contro una pluralità di imputati per il medesimo
fatto: se presentata da qualcuno fra costoro, essa vale anche per gli altri, sicché l’esecuzione del decreto resta
sospesa per tutti fino a che il processo non si concluda con pronuncia irrevocabile (463,1). Analogamente lo stesso
accade nel caso di opposizione proposta dall’imputato per la persona civilmente obbligata che non si sia opposta
così come l’opposizione presentata da quest’ultima gioverebbe all’imputato, se questi si fosse astenuto
dall’impugnare il decreto penale (463,2). Alla stessa conclusione parrebbe ragionevole approdare per i procedimenti
a carico di persone giuridiche, benché la relativa disciplina manchi di una previsione specifica al riguardo. Al
riguardo, dettaglio significativo, l’art.73 del d.lgs.231/2001 prevede che qualsiasi impugnazione proposta
dall’imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo giova all’ente; reciprocamente, qualsiasi
impugnazione proposta dall’ente giova all’imputato.
Va segnalato che tale effetto estensivo non si risolve in automatica estensione, al non opponente, degli effetti
scaturenti dalla decisione successiva al giudizio di opposizione. Solo se tale giudizio si conclude con un
proscioglimento nel merito (“il fatto non sussiste”, “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, ”il fatto non
costituisce reato per la presenza di una causa di giustificazione”) l’imputato non opponente può lucrare il buon esito
dell’iniziativa altrui. In tali casi, il decreto di condanna (la cui esecuzione è rimasta sospesa anche nei confronti del
non opponente, grazie al su accennato effetto estensivo) è revocato dal giudice (464,5). Con l’opposizione,
l’imputato ripristina l’ordinaria situazione processuale successiva all’esercizio dell’azione penale, nella quale è
ancora possibile effettuare la richiesta di un altro rito speciale, da presentare al gip. In particolare, egli può
presentare richiesta di giudizio immediato, di giudizio abbreviato, di patteggiamento o di sospensione con messa
alla prova, nonché di oblazione o di offerta riparatoria allo stesso giudice (gip) che ha emesso il decreto penale
(461,3) al riguardo l’imputato va avvertito (a pena di nullità ex 178 lett. c) con preavviso nello stesso decreto
penale di tale facoltà.
L’eventuale richiesta di oblazione (464,2) va invece indirizzata al giudice procedente, da individuare nel gip finché il
fascicolo non è trasmesso al giudice dibattimentale (464,2). La scelta di una di queste procedure va fatta con l’atto di
opposizione. Nel caso in cui le parti non dovessero fare nessuna richiesta, si applicherebbe in maniera automatica il
giudizio immediato. La scelta di una fra queste procedure alternative va fatta con l’atto d’opposizione. Nel corso del
giudizio successivo a tale atto, come stabilisce l’art.464 comma 3 prima parte, la richiesta non può essere
presentata, ma un’eccezione è ragionevole farla se si verificassero quelle modifiche dell’imputazione per la quali
l’imputato può normalmente contare su una rimessione in termini, quanto meno per chiedere il patteggiamento,
l’oblazione o il giudizio abbreviato. Sorprende che, fra le opzioni enumerate dall’art.461 comma 3, figuri anche la
richiesta di giudizio immediato: indicazione superflua, considerato che il procedimento successivo all’opposizione
sarebbe comunque destinato a proseguire con le forme del giudizio immediato. Si tratta di soluzione obbligata, per
l’imputato che non intenda scegliere la via di uno dei riti alternativi.
Il giudice che riceve la richiesta di opposizione deve vagliarne l’ammissibilità alla luce di alcuni requisiti:
legittimazione dell’opponente; osservanza del termine; estremi e data del decreto di condanna; identificazione del
giudice che lo adottò. Il difetto di uno solo di tali requisiti comporta l’inammissibilità dell’atto di parte con la
conseguenza che il decreto penale diverrebbe esecutivo: non prima, però, che l’ordinanza d’inammissibilità
(ricorribile per cassazione ex 461,6, quindi l’attesa potrebbe prolungarsi) diventi a sua volta definitiva. Se non c’è
consenso o accordo fra le parti per una definizione anticipata del processo, si procede con citazione a giudizio
immediato. Nel giudizio conseguente all’opposizione, il decreto penale deve essere revocato (464,3() atto che
comunque si produrrebbe ex lege con l’accoglimento dell’opposizione) e il dibattimento si svolge secondo le regole
ordinarie.
Per quanto riguarda il querelante, la legge impone che gli sia data comunicazione del decreto penale (459,4), anche
se poi tace sulle sue facoltà di intervenire nell’ulteriore corso della procedura. Come non bastasse, quel diritto di
comunicazione è sfornito di tutela processuale: dall’inosservanza del correlativo dovere non discenderebbe alcuna
invalidità. In linea generale, la persona offesa vanta un diritto di essere citata in giudizio per esercitarvi le facoltà che
la legge gli attribuisce e può costituirsi parte civile, così da avvalersi delle maggiori garanzia che la legge processuale
attribuisce a questo soggetto.

33. Giudizio direttissimo su accordo delle parti.


La mancata convalida dell’arresto, di regola, è d’ostacolo all’instaurazione del giudizio direttissimo il giudice
dovrebbe restituire gli atti al PM; tuttavia, il giudizio direttissimo può ancora essere ammesso se l’imputato e il PM
vi consentono (449,2 e 558,5 per il giudice monocratico) quanto a modalità di svolgimento, questa particolare
versione di giudizio direttissimo non differisce da quelle già esaminate in precedenza. Ciò che cambia è il
presupposto, non più limitato all’ordinario requisito oggettivo (arresto in flagranza), ma tale da comprendere anche
un requisito soggettivo (consenso delle parti). La legge processuale istituisce una sorta di rapporto pregiudiziale fra
giudizio di convalida e instaurazione del giudizio direttissimo. L’esito positivo della prima – tutte le volte che vi sia
stata presentazione dell’arrestato in dibattimento – impone di procedere immediatamente al giudizio, come impone
l’art.449 comma 3 (e l’art.558 comma 6, per i procedimenti davanti al giudice monocratico). L’esito negativo della
stessa impedisce invece, di regola, un giudizio direttissimo promosso ex autoritate. Questa duplice relazione non si
spiega tanto in base al rilievo che il rito in questione presuppone un arrestato in stato di (legittima) detenzione. È
vero che la convalida dell’arresto è condizione necessaria per il protrarsi di quello stato. Non è però condizione
sufficiente, giacché potrebbe ben darsi il caso che l’arresto sia stato legittimamente operato e che, ciò nonostante,
l’imputato vada restituito in libertà, perché ad esempio difettano le esigenze cautelari ex 274.
Diversamente andavano le cose nel codice previgente dove la convalida dell’arresto comportava un automatico
prolungamento di 20gg dello stato detentivo. Non si vuol negare che, con un imputato in vinculis, il giudizio
direttissimo appaia per più ragioni “conveniente”: ad esempio, perché è consigliabile procedere celermente nei
confronti dell’imputato in vinculis; oppure perché riesce più agevole assicurare la presenza in dibattimento di chi,
proprio per questa sua condizione detentiva è a disposizione dell’AG. Ma nessuna di queste ragioni riesce a dar
conto del motivo che ha indotto il legislatore ad esigere il consenso delle parti, per procedere con giudizio
direttissimo nel caso dell’art.449 comma 2, perché altrimenti la promovibilità del rito speciale avrebbe tenuto conto
della distinzione fra arrestato detenuto ed arrestato liberato. Che si sia, invece, fatto riferimento all’esito del giudizio
di convalida, significa che si è inteso enfatizzare l’affermazione di “evidenza probatoria” insita in quel giudizio. La
convalida di un arresto in flagranza acquista qui il senso di un’ulteriore conferma del quadro indiziario: è superfluo
muovere alla ricerca di elementi idonei a sostenere un’accusa che, anche dopo il giudizio di convalida, appare
seriamente fondata. Poco importa che l’imputato, una volta convalidato l’arresto, sia rimesso in libertà, perché ciò
non sposta di un millimetro la diagnosi a suo carico. Reciprocamente, la mancata convalida pone il problema
dell’inopportunità del giudizio direttissimo, a sua volta per ragioni legate, stavolta in negativo, alla situazione di
evidenza probatoria. Vari i motivi che possono opporsi alla convalida dell’arresto e non tutti tali da smentire
l’intrinseca gravità degli indizi di colpevolezza solitamente associata alla sorpresa in flagranza: ad esempio, la
mancata convalida potrebbe riguardare un arresto effettuato sì nei confronti di un autore sorpreso in flagrante, ma
per un reato escluso dagli elenchi contenuti negli artt.380 e 381.
È ovvio che la normativa processuale non scenda nel dettaglio a distinguere i motivi della mancata convalida, sì da
sceverare quelli che confermano il quadro indiziario contestuale all’arresto, da quelli che lo smentiscono. La legge si
mantiene su un piano di maggior astrattezza e generalità: in quel diniego di convalida scorge il sintomo di un dubbio
circa la pronosticabile responsabilità penale dell’imputato; un dubbio che finisce col contaminare anche il
fondamento dell’accusa e dal quale si traggono le dovute conseguenze, imponendo al giudice di restituire gli atti al
pm. Tuttavia, poiché l’esito negativo del giudizio di convalida non esclude necessariamente l’evidenza dell’accusa, il
giudizio direttissimo può ancora essere promosso, purché però lo vogliano entrambe le parti principali del processo.
Non sono previste forme particolari per la prestazione del consenso: il PM potrà manifestarlo citando
l’imputato a comparire (450,2) ogni qualvolta ritenga di non dover chiedere l’archiviazione, o di non dover avviare
l’indagine preliminare; il consenso dell’imputato può essere presentato in qualsiasi forma, anche dal suo difensore
seppur privo di procura ad hoc e può anche essere dedotto per fatti concludenti dal comportamento dell’imputato
che accetti l’iniziativa del pm volta ad instaurare il giudizio direttissimo.
34. Contestazione suppletiva del “fatto nuovo”.
Il consenso dell’imputato è importante anche quando il PM contesta ad egli un fatto nuovo mentre è in corso il
processo per altra imputazione a carico del medesimo imputato. Ovviamente, deve trattarsi di un fatto non
connesso (ex art. 12 lett. b.) a quello già contestato, altrimenti il consenso sarebbe superfluo. Occorre distinguere a
seconda che il nuovo capo d’imputazione sia contestato nell’udienza preliminare (423,2) o in dibattimento (518).
Nel primo caso, l’iter processuale è privo della fase delle indagini preliminari. Col proprio consenso, l’imputato
rinuncia a quelle facoltà d’intervento che la legge gli assicura in quella fase come il diritto di essere interrogato sul
fatto addebitato prima della richiesta di rinvio a giudizio (415bis 416,1) ed in generale il diritto di difendersi di fronte
a certe iniziative del PM al fine di influire sull’esito dell’indagine e farla sfociare in un provvedimento di
archiviazione. Dal momento che non è in gioco la decisione sul merito, il consenso può provenire anche dal
difensore privo del mandato ad hoc.
Nel dibattimento, invece, la contestazione del fatto nuovo (518,2) comporta la soppressione dell’intera fase
preliminare, oltre che della fase predibattimentale. Il diritto alla difesa è tutelato alla stessa maniera che negli altri
casi di modifica della regiudicanda dibattimentale (516 e 517): sospensione del processo (da 20 a 40gg) e
ammissione di prove in ordine al nuovo addebito per l’imputato che ne fa richiesta (519).
Tuttavia, accettando la contestazione, l’imputato si preclude una serie di scelte che la legge impone di fare fra
udienza preliminare e apertura del dibattimento: giudizio abbreviato, patteggiamento, sospensione del processo
con messa alla prova e offerta riparatoria non possono essere richiesti in relazione al reato contestato ex 518,2.
Per tali ragioni, il consenso deve provenire direttamente dall’imputato, tant’è vero che la contestazione del fatto
nuovo non è ammessa nei confronti dell’assente, come si ricava agevolmente dall’omessa menzione dell’art.518 nel
contiguo art.520. Oltre che dal consenso dell’imputato, la contestazione suppletiva deve essere accompagnata da un
atto autorizzativo del giudice. Un riferimento a tale atto compare anche nell’art.423 comma 2 ma in quel contesto il
giudice è tenuto ad emetterlo, una volta appurata la sussistenza di un effettivo consenso dell’imputato o del suo
difensore. Diversamente, l’art.518 comma 2 attribuisce al giudice del dibattimento il potere di autorizzare la
contestazione suppletiva, subordinandone l’esercizio non solo alla contestata manifestazione di personale consenso
dell’imputato, ma altresì alla verifica che essa non nuoccia alla speditezza del procedimento. L’aggiunta di un nuovo
capo di imputazione a quello già contestato si risolve necessariamente in un cumulo di regiudicande che è soggetto
al vaglio di opportunità del giudice procedente, secondo la regola generale ex art.17. A tal proposito, vale la pena
notare che la contestazione suppletiva, effettuata di base all’art.518, potrebbe riferirsi anche ad un fatto non
connesso a norma dell’art.12, né collegato a norma dell’art.17 comma 1 lett.c, sicché, la riunione di regiudicande
che ne dovrebbe scaturire potrebbe fuoriuscire dalla tipologia di casi rientranti nella generale previsione del citato
art.17. Il che rende ancor più delicato il compito del giudice che autorizza la contestazione del fatto nuovo.

CAPITOLO 7 – GIUDIZIO
1. La fase del giudizio.
Il giudizio apre una nuova fase del procedimento, ossia quella del processo. Viene instaurato in base al decreto che
il giudice emette al termine dell’udienza preliminare (429), ovvero a un decreto di giudizio immediato (456).
Tuttavia, l’imputato può essere citato a giudizio anche con atto del PM, come accade davanti al tribunale in
composizione monocratica nei casi previsti dall’art.550, nonché, se si trova in stato di libertà, quando si procede con
giudizio direttissimo (450,2); o, ancora, può essere presentato dal PM direttamente all’udienza dibattimentale (nel
giudizio direttissimo in caso di arresto o di custodia cautelare ex 450,1). Le disposizioni sul giudizio sono dettate per
il tribunale in composizione collegiale e per la corte d’assise, ma, salvo quanto diversamente disposto, si applicano
anche nel procedimento innanzi al tribunale in composizione monocratica (549). Il giudizio è il momento centrale del
processo, secondo l’impostazione del codice (è stata la grande volontà della riforma dell’88): le prove con cui poi si
deciderà sulla responsabilità si creano nel dibattimento.

2. Caratteristiche del giudizio nel sistema accusatorio


Nel dibattimento è richiesta la puntuale attuazione dei caratteri del sistema accusatorio, anche se la recente
modifica dell’art.111 Cost., pur con l’obiettivo di introdurre nel nostro ordinamento i principi del “giusto processo”,
non ha espressamente enunciato un’opzione a favore di esso. Tuttavia, la norma costituzionale dà riconoscimento
ad alcuni fra i principi cardine di tale sistema con lo stabilire che ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio
delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale (111,2), e che il processo penale è
regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova (111,4). In particolare, un giudizio si può
considerare accusatorio quando la formazione della prova avviene pubblicamente nel contraddittorio delle parti,
sul tema posto dall’accusatore, davanti al giudice che ha il compito di decidere il merito. Detto questo, si possono
desumere una serie di corollari/requisiti minimi:
- Innanzitutto, la parità delle parti (art. 2 n. 3 legge delega), sancita attraverso la “partecipazione dell’accusa e della
difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento”.
- L’oralità-immediatezza (art. 2 n. 2 l.d.), dove per oralità si intende non solo una modalità di escussione (cioè l’uso
della voce nell’assunzione delle dichiarazioni dei testimoni e delle parti), ma soprattutto un rapporto diretto tra il
giudice e le prove (immediatezza): colui che ascolta, che assume le prove, deve decidere. L’oralità in senso stretto
può esistere tuttavia anche senza l’immediatezza, come nel caso dell’incidente probatorio, dove il giudice del
dibattimento, che deve decidere, è diverso dal giudice che ha acquisito la prova, e perciò dovrà utilizzare il verbale
dell’atto tuttavia l’incidente probatorio è un’eccezione.
- All’immediatezza si accompagna il principio della concentrazione, con il quale si intende la tendenziale unità di
tempo nella quale va celebrato il giudizio, destinato a svolgersi in una sola udienza o in udienze contigue, in modo
che la decisione sia il più possibile vicina alla rappresentazione dei fatti da ricostruire. Tuttavia, in casi
particolarmente complessi, il dibattimento è destinato a durare anche vari mesi e il giudice non può che basarsi sui
risultati documentali nel verbale del dibattimento.
- La distinzione delle funzioni del giudice da quelle dell’organo dell’accusa e dell’investigazione, altrimenti, il
giudice coinvolto nella costruzione dell’ipotesi di reato da verificare, vede pregiudicata l’oggettività di giudizio
necessaria per la valutazione finale (terzietà del giudice). Risponde, infatti, ad un modulo inquisitorio, quello che
vede il giudice cumulare in se anche le funzioni del PM, ponendo il tema della decisione, assumendo le prove
d’ufficio e decidendo poi sul merito.
Tuttavia, non è indispensabile per un modello accusatorio, la configurazione di un processo di parti in senso stretto,
che implicherebbe sia la disponibilità dell’azione (o quanto meno il vincolo del giudice alla domanda e alle eccezioni
proposte), sia la disponibilità esclusiva delle prove in capo alle parti, sia, in sostanza, la passività del giudice, inteso
come semplice arbitro. Il nostro non è infatti un autentico processo di parti, se non altro perché vige il principio
costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale (112), la cui attuazione viene assicurata mediante il controllo del
giudice sull’operato del PM. Inoltre, il giudice, pur non avendo compiti di indagine, non è affatto privo di poteri di
iniziativa: si pensi all’indicazione di temi di prova nuovi o incompleti e l’assunzione diretta di mezzi di prova (506 e
507); ma i casi di intervento diretto del giudice sono numerosi, sia pure configurandosi come eccezioni rispetto al
diritto alla prova che l’art.190 attribuisce, di regola, alle parti.
3. Indagini preliminari e dibattimento.
Il nodo centrale è rappresentato dai rapporti tra le indagini preliminari e il dibattimento. La struttura del sistema
accusatorio impone di riservare ad una parte (il PM) la raccolta degli elementi di prova, i quali, almeno
tendenzialmente, non hanno valore, come tali, davanti al giudice del dibattimento. La legge delega per il nuovo
codice aveva disciplinato in maniera analitica l’utilizzabilità in giudizio degli elementi raccolti durante le indagini
preliminari, creando un sistema che rappresentava una soluzione di compromesso. Infatti, se si fosse dovuto
costruire un sistema a carattere interamente accusatorio, nessuno degli elementi raccolti fuori dal dibattimento si
sarebbe potuto utilizzare, per essere venuto meno il principio dell’oralità-immediatezza. Un’impostazione di questo
genere sarebbe però risultata troppo drastica, in quanto occorreva tener conto delle esigenze pratiche determinate
dai tempi delle indagini preliminari, le quali possono avere anche una durata cospicua. Quindi, diventava
indispensabile il recupero in giudizio di prove precostituite, suscettibili di non essere più utilmente acquisite in
dibattimento, e degli atti irripetibili.
L’attuale disciplina ha il suo parametro di riferimento nell’art.111 Cost., il quale, dopo ave ribadito che nel processo
penale la prova deve essere formata in contraddittorio (comma 4), indica tassativamente (comma 5) le possibili
eccezioni alla regola: consenso dell’imputato, impossibilità oggettiva di realizzare il contraddittorio, provata
condotta illecita (diretta ad impedire o ad alterare la prova). Occorre poi ricordare che, per quanto attiene alle
prove che possono essere poste alla base della decisione finale, nel codice esistono 2 chiavi interpretative generali:
- L’art.187, secondo il quale sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla
determinazione della pena o della misura di sicurezza Dunque, il thema decidendum è delineato dal PM nel
momento in cui esercita l’azione penale, e ad esso si deve far capo nell’applicare i criteri di pertinenza e rilevanza ai
fini della decisione sull’ammissione delle prove;
- L’art.526,1 secondo il quale il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle
legittimamente acquisite nel dibattimento principio di legalità nella prova (che consente di tener conto nella
decisione conclusiva soltanto di ciò che è stato acquisito nelle forme previste dalla legge). Tale articolo va a sua volta
collegato con l’art.191, per cui le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere
utilizzate. Tale inutilizzabilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, oltre ad essere specifico
motivo di ricorso per cassazione (606,1 lett. c).
4. Dal “principio di non dispersione della prova” alla modifica dell’art.111.
Di fronte alle difficoltà incontrate in sede di prima applicazione della riforma del codice e del nuovo metodo
accusatorio, la Corte costituzionale (che aveva recepito il malcontento della magistratura) si era resa interprete del
malcontento di una parte della magistratura, cancellando alcune fra le disposizioni chiave che miravano ad
assicurare la prevalenza, ai fini della decisione, dei risultati probatori acquisiti nel dibattimento. In base al principio
di non dispersione dei mezzi di prova, tutto ciò che il giudice conosce, tanto per esperienza diretta nel corso del
dibattimento, quanto attraverso le carte del procedimento, secondo le regole del contraddittorio o meno, può
essere utilizzato dal giudice, con la sola mediazione del suo libero convincimento circa il peso da attribuire a ciascun
elemento. Dunque, il baricentro del procedimento si era allontanato dal dibattimento a vantaggio delle indagini
preliminari. Le sentenze con cui la corte fa questo sono la n.24, 254 e 255 del 1992.
Il recupero della centralità del dibattimento è stato lungo e travagliato e si è concluso con esiti non del tutto
soddisfacenti. Una prima inversione di tendenza era stata rappresentata dalla l.267 del 1997, intesa a restituire in
qualche misura la priorità all’acquisizione dibattimentale della prova, discutibilmente limitandola, però, alle
dichiarazioni dell’imputato nei confronti di altre persone. La mancanza di un disegno globale era il segno della
debolezza della riforma, ed aveva propiziato la censura della corte costituzionale, nel 1998, che ne aveva vanificato
la portata. Il parlamento è infine intervenuto con la già citata legge costituzionale n. 2/1999, che ha inserito
nell’art.111 Cost. i principi del c.d. “giusto processo”, e in particolare il principio del contraddittorio nella formazione
della prova, della parità delle parti, della terzietà e imparzialità del giudice, nonché della ragionevole durata.
L’attuazione di tali principi nella disciplina ordinaria è stata demandata alla L 63/2001 che ha ridisegnato l’assetto
della fase dibattimentale. Con particolare riferimento al processo penale, sono elevate a rango costituzionale le
disposizioni dell’art.6 CEDU: che prevedono il diritto di conoscere l’accusa, di preparare la difesa, al controesame,
alla prova, all’interprete. La scelta è sicuramente apprezzabile, salvo chiedersi se non sarebbe stata più opportuna
una integrale costituzionalizzazione della convenzione medesima e delle altre fonti internazionali sui diritti
dell’uomo, considerato che l’art.6 non esaurisce nemmeno tutte le prescrizioni rilevanti in materia di giustizia
penale.
L’intervento più significativo è rappresentato dall’affermazione esplicita, per il processo penale, del principio del
contraddittorio nella formazione della prova (111,4) tale previsione aveva l’evidente scopo di superare
quell’orientamento consolidato dalla giurisprudenza della Corte Cost. che riteneva illegittimo il divieto di utilizzare
come prova in dibattimento le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari. Viene definita la nozione stessa
di contraddittorio, escludendo quelle letture riduttive secondo cui ad attuarlo è sufficiente la discussione in giudizio
sui risultati di prove già acquisiti altrove cosa ben diversa dalla formazione della prova in contraddittorio. Ne
segue che va considerata come prova utilizzabile per la decisione solo quella assunta davanti al giudice con
l’intervento delle parti sebbene tale condizione si potrebbe realizzare in momenti diversi (udienza preliminare,
incidente probatorio) è chiaro che la sede privilegiata è quella dibattimentale. Poiché, tuttavia, un’applicazione
rigida del suddetto principio non sarebbe sempre possibile, la stessa Costituzione prevede delle eccezioni, in base
alle quali si può derogare al contraddittorio (111,5) “per consenso dell’imputato (si pensi ai procedimenti speciali
consensuali i quali implicano una la rinuncia al contraddittorio e l’utilizzazione probatoria degli atti di indagine
preliminare; oppure si pensi ai casi in cui le parti si accordano sull’utilizzabilità concernente singoli elementi di prova
[431,2, 493,3, 500,7]) o per accertata impossibilità di natura oggettiva (si pensi agli atti non ripetibili nel
contraddittorio dibattimentale) o per effetto di provata condotta illecita” (questo al fine di salvaguardare il valore
probatorio delle dichiarazioni, anche se non acquisite in contraddittorio, di coloro che siano stati oggetto di pressioni
illecite per ritrattarle [violenza, minaccia o subornazione]). Di dubbia omogeneità con il livello dei principi
costituzionali, a previsione dettagliata dell’inutilizzabilità, come prova della colpevolezza, delle dichiarazioni di chi si
rifiuta di sottoporsi all’esame dell’imputato o del suo difensore (111,4 seconda parte ripresa dall’art. 526,1bis).
5. La legge di attuazione del “giusto processo” e l’attuale ruolo del dibattimento.
La riformulazione dell’art.111 cost. ha imposto di rivedere l’intera disciplina concernente l’utilizzazione
dibattimentale degli atti d’indagine e il valore probatorio degli elementi acquisiti al di fuori del giudizio. La l.63 del
2001 ha perciò modificato alcune disposizioni chiave, dirette a regolare il sistema dei rapporti tra indagini
preliminari e dibattimento: riformulando in primo luogo l’art.500, sulle contestazioni nell’esame testimoniale, da
sempre al centro delle tensioni concernenti le prove utilizzabili. Il ripristino della centralità del dibattimento come
luogo privilegiato per la realizzazione del contraddittorio voluto dalla Costituzione non è stato esente da costi né
privo di ambiguità. Anzitutto, il ritorno all’inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni ha indotto il legislatore a
limitare il diritto al silenzio dell’imputato che abbia riferito fatti concernenti la responsabilità altrui viene imposto
un dovere di collaborazione in capo all’imputato con violazione del diritto di difesa. Per altro verso, nell’intento di
ristabilire la parità delle parti, si è previsto che il PM e i difensori possono consensualmente sottrarre al
contraddittorio elementi raccolti, dall’una e dall’altra parte, fuori dall’udienza, unilateralmente e senza la presenza
del giudice. Facoltà, questa, che si manifesta sia mediante l’acquisizione concordata al fascicolo per il dibattimento
degli atti del PM e di investigazione difensiva (431,2 e 493,3), sia con l’accordo sull’acquisizione, in sede di esame,
delle precedenti dichiarazioni del testimone contenute nel fascicolo del PM (500,7) fascicolo nel quale confluisce
anche la documentazione delle investigazioni del difensore (391octies,3) tutte previsioni che di certo non
contribuiscono a valorizzare la formazione della prova in dibattimento.
Che il contraddittorio dibattimentale rischi di assumere un ruolo comunque residuale è poi confermato dalle
modifiche apportate al giudizio abbreviato, trasformato da giudizio consensuale allo stato degli atti, a vero e proprio
giudizio ordinario di primo grado con possibile acquisizione di prove e controprove, ferma restando la piena
utilizzazione degli atti di indagine. L’impressione è confermata dal peso sempre maggiore che è venuto assumendo
l’udienza preliminare, oggi sede di un vero e proprio accertamento sul merito, considerata l’ampiezza dei poteri
istruttori del giudice e la necessità di un approfondito vaglio circa i presupposti del non luogo a procede tra l’altro
tutto questo si ripercuote inevitabilmente sulla stessa decisione dibattimentale.
6. Atti preliminari al dibattimento: estensione e contenuti della fase.
Nel giudizio si distinguono gli atti preliminari, il dibattimento vero e proprio e gli atti successivi al dibattimento (che
comprendono deliberazione e pubblicazione della sentenza). Il codice ha distribuito i tre momenti nei tre titoli del
libro VII. Qui assume rilievo specifico la terminologia “istruzione dibattimentale” che si riferisce esclusivamente ai
modi di assunzione delle prove. La fase degli atti preliminari al dibattimento si estende dalla conclusione
dell’udienza preliminare agli atti introduttivi del dibattimento; solitamente si assume come momento iniziale la
ricezione del decreto che dispone il giudizio (465), e come momento finale la costituzione delle parti (484), anche
se non sono così delimitati i limiti cronologici perché, da un lato, alcune tra le attività preparatorie del giudizio
(citazione, deposito degli atti) hanno inizio nella fase precedente; dall’altro, le questioni preliminari, che di base
appartengono già al dibattimento, vengono trattate prima della formale dichiarazione di apertura del medesimo.
A tale fase è preposto il presidente del collegio giudicante (tribunale o corte d’assise), mentre il compito di fissare
l’udienza dibattimentale è stato assegnato allo stesso giudice che dispone il giudizio per evitare tempi morti. Il
decreto va notificato (429,4) all’imputato contro il quale si sia proceduto in assenza nell’udienza preliminare, nonché
all’imputato e alla persona offesa comunque non presenti alla lettura del provvedimento, come pure alle altre parti
private che non erano presenti, con l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora della comparizione (429,1 lett. f). In
particolare, il gup richiede il giorno e l’ora della comparizione al presidente del tribunale, il quale li individua sulla
base dei criteri determinati dal CSM; inoltre, il presidente, ricevuto il decreto che dispone il giudizio, può anticipare
o differire l’udienza per giustificati motivi, con decreto da notificare tempestivamente alle parti (465) questo per
evitare sovraffollamenti dei ruoli. In considerazione dell’elevato numero di processi l’art.132bis disp.att. indica le
categorie di processi a cui va assicurata la priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella
trattazione si tratta dei processi per reati più gravi o di particolare allarme sociale, quelli a carico di imputati
detenuti e quelli da celebrare con giudizio direttissimo o immediato.
Ex 467 spetta inoltre al presidente, a richiesta di parte, l’assunzione di prove non rinviabili, negli stessi casi che, in
sede di indagini preliminari o di udienza preliminare, consentirebbero un incidente probatorio ex 392. Si osservano
le forme previste per il dibattimento. Spetta invece al collegio l’eventuale sentenza anticipata di proscioglimento,
se l’azione penale è improcedibile o il reato estinto (469) o se l’imputato non è punibile per particolare tenuità del
fatto. La sentenza di proscioglimento predibattimentale, pronunciata in camera di consiglio, risponde ad una logica
di economicità: è inutile passare al dibattimento quando la conclusione è già scontata. Viene tuttavia confermata la
prevalenza del proscioglimento nel merito su quello per estinzione del reato, essendo espressamente fatta salva la
previsione dell’art.129 comma 2, stando al quale, quando risulta evidente che il fatto non costituisce reato o non è
previsto dalla legge come reato, il giudice deve pronunciare la sentenza corrispondente. E siccome nel
predibattimento non è contemplato il proscioglimento nel merito, in tale ipotesi la sentenza non può essere
anticipata, ma occorre procedere a dibattimento. È questo il significato del rinvio al 129 comma 2, il quale ribadisce
che la prescritta formula di merito va adottata con sentenza di assoluzione, che viene pronunciata solo in esito al
dibattimento (o con sentenza di non luogo a procedere che appartiene all’udienza preliminare), mentre la sentenza
di cui all’art.469 è una sentenza di non doversi procedere. Quindi, se ci sono gli estremi per il proscioglimento nel
merito, la sentenza deve essere pronunciata in dibattimento.
Il proscioglimento anticipato, comunque, non è in nessun caso possibile se il PM o l’imputato, che devono essere
sentiti, si oppongono vi è un vero e proprio diritto al giudizio di merito. La sentenza è pronunciata in camera di
consiglio ed è inappellabile (ferma restando la ricorribilità per cassazione ex 568,2) essendo intervenuta con il
consenso delle parti, o meglio senza il dissenso delle parti. Se il proscioglimento è per particolare tenuità del fatto,
deve essere un’assoluzione piena, a meno che il presupposto di quest’ultimo esito non risulti già “evidente
previamente sentita anche la persona offesa, se compare, in modo da consentirle il contraddittorio sul punto, ma
senza che le sia riconosciuto un potere di veto mediante opposizione. Il pm, l’imputato e – quando occorre – la
persona offesa devono essere avvisati della data dell’udienza (pena nullità di carattere generale); ma se non
compaiono, il giudice può procedere ugualmente a pronunciare la sentenza. Durante il termine per comparire il
fascicolo per il dibattimento è depositato nella cancelleria del giudice competente per il giudizio (432), e le parti
hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia (466), mentre il fascicolo del PM è visibile nella segreteria
dello stesso (433).
Almeno 7gg prima della data fissata per il dibattimento (termine libero, nel quale cioè non si computa né il dies a
quo né il dies ad quem), le parti presentano le liste dei testimoni, periti e consulenti tecnici, nonché delle persone
indicate nell’art.210, con l’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame (468). Ciò a pena di
inammissibilità, dal momento che non sono consentite prove a sorpresa, e ciascuna parte deve conoscere i fatti che
le altre intendono provare funzione di discovery. Il decreto del presidente, che non è conseguenza necessaria
della presentazione delle liste, ma deve essere espressamente richiesto dalla parte, ha solo lo scopo di autorizzare
la citazione delle persone indicate (468,2), rendendone obbligatoria la comparizione (i testimoni e i consulenti
tecnici, purchè indicati possono essere presentati direttamente all’udienza senza citazione). La citazione può essere
negata solo per le testimonianze vietate dalla legge e per quelle manifestamente sovrabbondanti: la valutazione al
riguardo non implica alcun giudizio sull’ammissibilità – riservato ex 495 al collegio in seguito all’esposizione
introduttiva dopo l’apertura del dibattimento – né richiede la conoscenza dei fatti di causa, dovendo essere
compiuta soltanto in base ai contenuti nelle liste. L’art.468 non menziona l’esame delle parti se ne deduce che le
prove di quest’ultimo tipo sono ammissibili anche senza preavviso dato che non può esservi sorpresa in tal senso,
dato che le parti sono immanenti al processo. Ciò non vale per l’esame dell’imputato in un procedimento connesso
o collegato ex 210 espressamente contemplato nell’art 468. Stando poi alla sentenza n.361 del 1998 della corte
cost. identica disciplina dovrebbe poi applicarsi all’esame dell’imputato nello stesso procedimento, chiamato a
rendere dichiarazioni nei confronti di altre persone senza assumere la veste di testimone, sebbene l’art.468 non lo
specifichi: in tali ipotesi, dunque, anche l’imputato andrebbe incluso nelle liste a pena di inammissibilità dell’esame.
Al riguardo si aggiunga poi che l’art 468,2 introduce il potere del presidente di disporre la citazione delle persone
suddette anziché per la data di inizio del dibattimento, per le udienze successive, nelle quali ne sia previsto l’esame,
stante l’inutilità di far comparire coloro che non dovranno partecipare all’udienza. Insieme alle liste deve essere
depositata, a norma dell’art.468,4-bis, la richiesta di acquisizione dei verbali di prova provenienti da altri
procedimenti ai sensi dell’art.238, per dar modo alla parte nei cui confronti il verbale può essere utilizzato di essere
preavvisata. Tuttavia, scopo principale della norma è quello di rimandare l’eventuale citazione delle persone delle
cui dichiarazioni si tratta, anche se indicate nelle liste, al momento dell’ammissione della prova: l’ammissione della
prova orale deve infatti seguire l’acquisizione del documento ex 238 e può anche essere rifiutata dal giudice, nei
procedimenti per i più gravi delitti di mafia e criminalità organizzata (51,3bis) se non ricorrono le condizioni previste
dall’art. 190bis e cioè che l’esame riguardi fatti o circostanze diverse ovvero sia ritenuto necessario sulla base di
specifiche esigenze. La ratio di tale disciplina è quella di evitare la c.d. usura dei testimoni, cioè la loro eccessiva
esposizione agli inconvenienti e ai rischi di una ripetuta presentazione nelle aule di giustizia in tal modo si limita il
diritto alla prova , il quale si esplica mediante esame diretto e controesame dei testimoni tuttavia il diritto seppur
limitato non è escluso dato che l’ammissione viene subordinata alla previa acquisizione dei verbali dei diversi
procedimenti e fatta dipendere da una valutazione discrezionale, volendo suggerire la superfluità della prova orale
quando è acquisito il documento scritto: in contraddizione con la logica del sistema che dà prevalenza all’oralità.
Consente di derogare a tutte queste regole sul deposito delle liste testimoniali l’esercizio del diritto alla prova
contraria, in base al quale ciascuna parte può ottenere la citazione e l’ammissione di testimoni, periti e consulenti
sulle circostanze introdotte dalla controparte anche senza averli precedentemente indicati nelle liste (468,4). Lo
stesso vale anche in relazione alle circostanze cui si riferiscono i verbali di prova di altri procedimenti dei quali venga
chiesta l’acquisizione. È ovvio che tali facoltà possano essere esercitate solamente conosciute le liste presentate
dalle altre parti e non è soggetta a limiti preclusivi. Tra l’altro è ben possibile che la questione possa emergere per la
prima volta anche dopo l’apertura del dibattimento, con riguardo alle prove ammesse ex 493,2, 495,2 e 495,3; e che
l’ammissione della prova, anche in questa sede, possa dare adito ad ulteriori richieste di prova contraria. È invece
disposta d’ufficio dal presidente la citazione del perito nominato nell’incidente probatorio. Dunque, in
dibattimento, il perito dovrà essere esaminato oralmente prima dell’eventuale lettura della sua relazione ex 511,3.
7. Pubblicità e disciplina dell’udienza dibattimentale. Sospensione e rinvio.
Il potere ordinatorio, nell’udienza dibattimentale, è ripartito tra il presidente e l’intero collegio.
La disciplina dell’udienza e la direzione del dibattimento spettano al presidente, che può avvalersi della forza
pubblica (470). Quando la legge non prevede una forma determinata, i provvedimenti sono dati oralmente, senza
formalità e senza motivazione. La discrezionalità del presidente è vincolata (per via del principio di pubblicità
dell’udienza) quando si tratta di disciplinare l’accesso all’aula, che risulta essere negato ai minori di 18 anni, alle
persone sottoposte a misure di prevenzione, alle persone in stato di ubriachezza, intossicazione o squilibrio mentale
e a quelle armate (salvo gli appartenenti alla forza pubblica); inoltre, è imposta l’espulsione di coloro che turbano il
regolare svolgimento dell’udienza (471).
Per la decisione di procedere a porte chiuse (472) è competente il collegio, che decide con ordinanza revocabile,
sentite le parti (473). Per i casi in cui si può procedere a porte chiuse il nostro ordinamento ha preso spunto
dall’art.6 cedu nonché dall’art.14 del patto internazionale sui diritti civili e politici. Particolare attenzione è stata
posta sulla tutela della riservatezza delle parti private e dei testimoni, limitatamente all’assunzione di specifici mezzi
di prova (intercettazioni, perizie, testimonianze), nonché alla tutela dei minori. Appunto a presidio della riservatezza
in tema di intercettazioni, la legge orlando ha aggiunto all’art.472 comma 1 un periodo finale, secondo cui il giudice
dispone che si proceda a porte chiuse alle operazioni previste dall’art.268-bis quando le parti rinnovano richieste
non accolte o richiedono acquisizioni, anche ulteriori, se le ragioni della rilevanza ai fini di prova emergono nel corso
dell’istruzione dibattimentale(controlla se è in vigore o è stata bloccata questa cosa). Sono inoltre enunciati i
parametri del buon costume e del segreto nell’interesse dello Stato (da non confondere col segreto di Stato, la cui
conoscenza sarebbe preclusa non solo al pubblico ma anche al giudice). Si può procedere a porte chiuse anche nei
casi in cui la pubblicità possa nuocere alla pubblica igiene o possa turbare il regolare svolgimento delle udienze.
Vi è poi l’esigenza di salvaguardare la sicurezza di testimoni o imputati, anche se in questi casi non dev’essere
necessariamente esclusa la pubblicità “mediata”, cioè la presenza della stampa, che ex 473, 2 il giudice può
consentire. È poi doveroso procedere a porte chiuse alla ricognizione delle persone che abbiano cambiato le
generalità a scopo di protezione (147ter dis. att.). Infine, ma solo se la persona offesa lo richiede, il dibattimento si
svolge in tutto o in parte a porte chiuse quando si procede per i delitti di pedofilia, di violenza sessuale e per i delitti
concernenti la tratta delle persone. Se la persona offesa è minorenne, per gli stessi delitti si procede sempre a porte
chiuse.
Al presidente spetta il potere di ammonire l’imputato che si comporti in modo da impedire il regolare svolgimento
dell’udienza, e di allontanarlo qualora persista (475). L’allontanamento è disposto con ordinanza ma può essere
revocato in ogni momento. Se l’imputato, riammesso in aula, dev’essere di nuovo allontanato, l’espulsione definitiva
non si configura come una conseguenza automatica, ma come un provvedimento discrezionale. Quest’ultima
decisione sembrerebbe dall’art.475 comma 3 riservata al collegio, sebbene la dizione non sia chiarissima.
Direttamente dalla legge delega (art.2 n.74) discende il divieto di arresto del testimone in udienza, di cui all’art.476
comma 2. Si tratta di una disposizione emblematica, che segna la rottura di una tradizione di tipo inquisitorio
imperniata, di fatto, sul riconoscimento di una verità precostituita nei verbali dell’istruzione, verità dalla quale non
sarebbe consentito discostarsi. Al momento dell’entrata in vigore del nuovo codice la norma conteneva una
semplice enunciazione di principio, visto che per il delitto di falsa testimonianza l’arresto in flagranza non era più
consentito, in base ai limiti edittali di cui agli artt.380 e 381. Nel 1992 si è modificato l’art.372, aumentando la pena
ivi prevista, il cui massimo ora è di 6 anni: in astratto, dunque, sarebbe consentito l’arresto facoltativo in flagranza,
ma naturalmente l’espresso divieto ex art.476 comma 2 prevale (e va considerato vietato anche l’arresto successivo,
che risulterebbe in frode alla legge, del testimone supposto falso, fuori dall’udienza, mancando in tal caso i requisiti
della flagranza).
Il giudice, con ordinanza, può autorizzare, in tutto o in parte, la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva,
ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva. La norma rivela una notevole elasticità, consentendo di graduare
l’accesso dei diversi mezzi di comunicazione in rapporto alla loro intrinseca pericolosità rispetto agli interessi in
gioco. Inoltre, il giudice può consentire la ripresa, ma negare la trasmissione in diretta, la quale tuttavia può
comunque andare in onda in differita non appena chiusa l’udienza dibattimentale. La regola base è che l’accesso dei
mezzi audiovisivi ha bisogno del consenso delle parti in vista della protezione dei diritti della personalità di esse, e,
inoltre, tale accesso non deve pregiudicare il sereno e regolare svolgimento dell’udienza o la decisione. Il consenso
delle parti, invece, non è necessario quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza
del dibattimento (147,2 disp. att) la condizione deve preesistere all’accesso dei mezzi audiovisivi e non dev’essere
invece la conseguenza del mero interessamento dei media ad un processo. Al fine di tutelare, poi, il diritto
all’immagine, il presidente può interdire la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici,
interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge lo vieta. Tale
garanzia non si estende al pubblico, il quale è presente volontariamente in aula. Le riprese sono vietate se il
dibattimento si svolge a porte chiuse per la tutela degli interessi suscettibili di essere pregiudicati dalla diffusione
pubblica.
In virtù del principio di concentrazione, ex 477 quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il
presidente ne dispone la prosecuzione nel giorno seguente, anche se ciò è molto improbabile. È perciò prevista la
possibilità di sospendere il dibattimento, per ragioni di assoluta necessità, ma per un massimo di 10gg. Tuttavia,
anche questo termine, meramente ordinatorio, può raramente essere rispettato. Fra le ipotesi di sospensione del
dibattimento previste specificamente dalla legge vi è quella prevista dall’art.479 per la soluzione di una questione
pregiudiziale da parte del giudice civile o amministrativo, sospensione che è a tempo indeterminato ma che può
essere revocata se il giudizio civile o amministrativo non si è concluso nel termine di un anno. L’art.477 non
menzione il rinvio cd. “a nuovo ruolo” che si distingue dalla sospensione perché non implica la prosecuzione del
dibattimento dal punto in cui è stato interrotto, ma determina la necessità di rinnovare la citazione e ricominciare
dall’inizio si pensi al rinvio dell’udienza in caso di incolpevole assenza dell’imputato per cui si stava procedendo in
assenza.
8. Partecipazione al dibattimento ed esame a distanza.
Con la partecipazione al procedimento penale a distanza dell’imputato detenuto si sono voluti ridurre i rischi
connessi ai frequenti spostamenti dei detenuti, nonché i tempi del dibattimento, evitando il c.d. “turismo
giudiziario” di chi risulta imputato in numerosi procedimenti pendenti in sedi diverse; con l’esame a distanza delle
persone che collaborano con la giustizia, invece, si intende garantire la sicurezza del dichiarante che può rendere
l’esame da un luogo protetto e segreto. La possibilità della partecipazione a distanza al procedimento penale è stata
introdotta con la l.11 del 1998. In entrambi i casi, la presenza al dibattimento è sostituita da un collegamento
audiovisivo che assicura la contestuale visibilità delle persone che si trovano nel luogo collegato con l’aula di
udienza. Nel caso di partecipazione a distanza dell’imputato, deve essere assicurata anche l’effettiva e reciproca
visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi, e la possibilità di udire quanto viene detto, secondo la tecnica
delle videoconferenze.
La partecipazione a distanza dell’imputato detenuto è disposta dal presidente, nella fase predibattimentale o dal
collegio, nel corso del dibattimento, quando si procede per un delitto di stampo mafioso o avente finalità di
terrorismo, e qualora sussistano gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, ovvero sia necessario evitare ritardi
nello svolgimento del dibattimento. Indipendentemente dal reato per cui si procede, invece, è disposta la
partecipazione a distanza nel caso che il detenuto sia sottoposto alla misura del carcere duro. La comparizione
personale è sempre disposta quando è indispensabile la presenza dell’imputato per procedere a confronto o a
ricognizione o ad altro atto che implichi l’osservazione della sua persona. Nel luogo dove si trova l’imputato deve
essere presente un ausiliario del giudice (oppure un ufficiale di polizia che non abbia svolto funzioni investigative o
di protezione nei suoi confronti), che attesti la sua identità e la regolarità della procedura. Inoltre, è sempre
ammessa la presenza del difensore o di un suo sostituto, mentre il difensore che si trova nell’aula di udienza e
l’imputato devono potersi consultare riservatamente.
L’esame a distanza riguarda, anzitutto, le persone ammesse a programmi di protezione, anche di tipo urgente o
provvisorio, nei confronti delle quali il presidente o il collegio può adottare le cautele necessarie alla loro tutela,
ovvero, sentite le parti, l’esame mediante collegamento audiovisivo, al quale si applicano in buona parte le regole
previste per la partecipazione a distanza. L’esame a distanza è invece doveroso, salvo che il giudice ritenga
assolutamente necessaria la presenza del dichiarante, per le persone ammesse a programmi di protezione chiamate
a deporre in un processo riguardante un delitto di stampo mafioso o terroristico; per le persone che abbiano
cambiato le generalità; per le persone indicate nell’art. 210, sempre che si tratti di delitti di stampo mafioso o aventi
finalità di terrorismo. Nel caso in cui bisogna assumere la deposizione di un testimone o di un perito che si trova
all’estero, la loro partecipazione all’udienza è assicurata tramite collegamento audiovisivo, secondo le modalità ed i
presupposti previsti dagli accordi internazionali.
9. Verbale di udienza.
La verbalizzazione è attività di grande rilievo, in un processo nel quale la decisione deve intervenire esclusivamente
sulle prove legittimamente acquisite nel dibattimento, secondo i principi dell’oralità e del contraddittorio. Poiché i
verbali delle indagini preliminari non entrano a far parte automaticamente del materiale valutabile, come supporto
delle risultanze dibattimentali, è indispensabile che queste ultime siano riprodotte con la massima fedeltà e
completezza. Il verbale del dibattimento svolge la funzione di promemoria a conforto del giudice che deve decidere,
da accludere al fascicolo per il dibattimento (480,2 e 515), ai fini della consultazione in camera di consiglio. A questo
proposito, l’art.528 contiene una norma specifica che consente al giudice di sospendere la deliberazione ove reputi
necessaria la traduzione immediata del verbale da parte dell’ausiliario che l’ha redatto, o l’ascolto o la visione delle
riproduzioni fonografiche o audiovisive. Per questo, ex 510,2 nel verbale di assunzione dei mezzi di prova le
domande e le risposte devono essere riprodotte integralmente in forma diretta infatti, nell’esame diretto, le
domande contano quanto le risposte, perché il vero significato di queste ultime può essere compreso solo se si
conosce come sono state sollecitate, come si collocano nel dialogo complessivo.
Una verbalizzazione integrale, nei dibattimenti di qualche complessità, può aver luogo soltanto con appositi
strumenti tecnici. Infatti, come mezzo ordinario di documentazione degli atti processuali è prevista la stenotipia, e
solo in subordine la scrittura manuale, ma in quest’ultimo caso, se il verbale viene redatto in forma riassuntiva, deve
essere effettuata, di regola, la riproduzione fonografica (134,3). Ex 140, la verbalizzazione in forma riassuntiva è
consentita solo quando gli atti hanno contenuto semplice o limitata rilevanza, ovvero quando si verifica una
contingente indisponibilità (casi straordinari) degli strumenti di riproduzione. Nella prassi, la stenotipia è sempre
accompagnata dalla verbalizzazione sommaria con registrazione fonografica, che ha lo scopo di servire da riscontro
alla traduzione “in chiaro” del testo effettuata successivamente dagli stenotipisti. Tale specifica funzione resta
riservata all’ausiliario che assiste il giudice, che sottoscrive il verbale, nel quale sono contenuti, secondo quanto
disposto dall’art. 139,2, i necessari riferimenti ai nastri registrati (chiusi in apposite custodie numerate e sigillate). In
alcuni casi si procede alla videoregistrazione automatica integrale, che consente una rappresentazione più completa
di quanto è avvenuto in udienza. In camera di consiglio il giudice potrà esaminare le riproduzioni fonografiche o
audiovisive, come pure il documento redatto mediante la stenotipia (528).
Le parti hanno poteri di controllo sulla correttezza della documentazione, e a tal fine possono chiedere (482,2) che
sia data lettura di singoli brani (lettura che può essere disposta anche dal presidente d’ufficio) e proporre domande
di rettificazione o cancellazione, sulle quali il presidente decide con ordinanza (immediatamente trattandosi di
questione incidentale ex 478). Allo stesso modo, il presidente decide sulle dichiarazioni che le parti intendono far
inserire nel verbale ex 482,1. Infine, sono allegate al verbale le memorie scritte presentate a sostegno delle richieste
e delle conclusioni delle parti.
10. Costituzione delle parti e assenza dell’imputato.
Ex 484 prima di dare inizio al dibattimento, il presidente controlla la regolare costituzione delle parti per
l’imputato, essere presente al dibattimento è fondamentale, dal momento che essenzialmente in questa fase ha
luogo la formazione della prova; la sua presenza, inoltre, può essere indispensabile per l’assunzione di determinate
prove (ad es. la ricognizione), per cui in questi casi ex 490 può essere disposto il suo accompagnamento coattivo,
indipendentemente dal fatto che l’imputato assente sia libero o detenuto. Tale provvedimento non è invece
ammesso per procedere all’esame, dal momento che questo non può avere luogo senza il consenso dell’imputato,
salvo (oltre all’accompagnamento coattivo del coimputato in un procedimento separato ex 210,2 e 513,2) si tratti di
esame concernente la responsabilità di altri, al quale l’imputato non può sottrarsi, in seguito alla detta sentenza
n.361 del 1998 della corte cost.
Per rendere effettivo il diritto dell’imputato a partecipare al dibattimento, oltre che per ragioni di economia
processuale (vale a dire la celebrazione di processi inutili con sentenze destinate a non essere eseguite stante
l’irreperibilità degli imputati) il legislatore con la L. 67/2014 ha eliminato l’istituto della contumacia, istituto
attraverso il quale il processo proseguiva ugualmente nonostante l’irreperibilità dell’imputato. Questo nell’intento di
garantire l’effettività del diritto di difesa e il rispetto del fair hearing richiesto dalle carte internazionali (l’Italia è stata
più volte condannata dalla corte edu per violazione dell’art.6 cedu). Ad ogni modo, l’eliminazione della contumacia è
in linea con il sistema accusatorio, essendo istituto tipico inquisitorio. Il processo dunque, oggi, può celebrarsi ove
l’imputato sia presente, ovvero, in caso di assenza, sia rimasto volontariamente assente, perché comunque a
conoscenza dell’esistenza del procedimento. In mancanza, ove non vi sia la ragionevole certezza che l’imputato
abbia avuto effettivamente conoscenza del procedimento a suo carico – con conseguente non volontarietà
dell’assenza – il processo deve essere sospeso. Le nuove norme in materia sono state collocate nella parte
riguardante l’udienza preliminare, ragion per cui la disciplina riguardante il dibattimento si richiama a quelle
disposizioni: l’art.484,2bis infatti rende applicabili, in quanto compatibili, gli artt.420bis, 420ter, 420quater e
420quinquies che racchiudono i cardini della nuova disciplina, salvo talune norme dettate ad hoc per il giudizio.
Anzitutto, in applicazione dei suddetti articoli, se l’imputato non compare e non risulta essere a conoscenza del
procedimento il giudice rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato personalmente a mezzo della PG
(420quater,1). Se l’imputato ciò nonostante rimane irreperibile, il processo va sospeso, secondo la procedura
prevista dagli artt.420quater commi 2 e 3 e 420quinquies. Se viceversa esistono i presupposti per procedere
ugualmente, a norma dell’art.420bis(rinuncia ad assistere, eletto domicilio, nominato un difensore, ricevuto notifica
prsonalmente), il dibattimento si celebra in assenza dell’imputato. L’ordinanza che abbia disposto di procedere in
assenza è revocata anche d’ufficio ove l’imputato compaia prima della decisione, secondo la regola generale di cui
all’art.420bis,4. E se l’imputato prova che l’assenza è stata dovuta a una incolpevole mancata conoscenza della
celebrazione del processo ovvero dimostra che versava nell’assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito,
forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell’adempimento è pervenuta con ritardo senza sua
colpa, ha diritto di formulare richieste di prova ai sensi dell’art.493 (quindi in virtù dell’art.190 senza limitazioni di
sorta). Il riconoscimento del diritto alla prova comporta inoltre la possibilità di chiedere la rinnovazione delle prove
già assunte, ferma la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza.
Riscritto è anche l’art.489. In particolare, l’imputato contro il quale si sia proceduto in assenza nell’udienza
preliminare può rendere in dibattimento dichiarazioni spontanee; inoltre al comma 2 si prevede un vero e proprio
diritto dell’imputato di essere restituito nel termine per chiedere il giudizio abbreviato ovvero il patteggiamento
(non c’è alcun cenno alla sospensione con messa in prova): ovviamente occorrerà dimostrare che l’assenza in
udienza preliminare sia stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo ovvero
ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova
dell’impedimento sia pervenuta con ritardo senza sua colpa. In definitiva, se l’imputato compare per la prima volta
in dibattimento e si trovi in uno dei casi appena richiamati, ha una duplice opzione:
1. rimanere in dibattimento, avvalendosi del conseguente riconoscimento dell’ordinario diritto alla prova;
2. chiedere i riti premiali come il giudizio abbreviato o il patteggiamento.
Invece, il dibattimento prosegue ordinariamente ove la sussistenza dei presupposti per procede in assenza
dell’imputato non sia smentita: in tal caso la legge non riconosce all’imputato, in caso di successiva presentazione in
dibattimento, nessun diritto alla prova né tantomeno la facoltà di optare per i riti speciali; ma solamente la
possibilità di rilasciare dichiarazioni spontanee. Si ricordi che l’assenza come pure l’irreperibilità di questo ambito,
non vanno confuse con la latitanza, ossia la situazione di chi si sottrae a determinate misure coercitive o a un ordine
di carcerazione (296).
11. Questioni preliminari, esposizione introduttiva e richieste di prova.
A pena di decadenza (491), dopo l’accertamento della costituzione delle parti e prima della formale apertura del
dibattimento ex 492 si colloca il momento delle questioni preliminari, cioè questioni che coinvolgono la regolare
instaurazione del dibattimento o la sua organizzazione, e che devono essere risolte subito per evitare attività inutili o
invalide. Il comma 1 dell’art.491 ci dice che le questioni preliminari (chiamate incidentali dall’art.478) devono essere
proposte subito dopo il compimento “per la prima volta” delle formalità previste dall’art.484 (costituzione delle
parti), altrimenti sono precluse. Un primo gruppo di questioni riguarda la competenza per territorio o per
connessione (cu si aggiunge l’incompetenza per materia, se per eccesso, ex 23,2); le nullità relative degli atti delle
fasi anteriori non ancora sanate, oppure eccepite nell’udienza preliminare e non dichiarate dal giudice; la
costituzione e l’intervento delle parti private diverse dall’imputato, nonché degli enti rappresentativi degli interessi
lesi dal reato. Entro il medesimo termine deve essere rilevata o eccepita l’inosservanza delle disposizioni sulla
composizione monocratica o collegiale del tribunale quando non si sia tenuta l’udienza preliminare o, in quella sede,
l’eccezione sia stata respinta (33quinquies); nonché l’omissione dell’udienza preliminare, nel procedimento innanzi
al giudice monocratico, per un reato che la preveda ex 550,3.
Un secondo gruppo riguarda il contenuto del fascicolo del dibattimento e la riunione o la separazione dei giudizi:
tali questioni possono essere proposte anche successivamente, se la possibilità di proporle sorge soltanto nel corso
del dibattimento (491,2). La discussione di tali questioni preliminari è sintetica (nel tempo strettamente necessario a
discutere le questioni e senza repliche), e il giudice decide immediatamente con ordinanza (491 commi 3, 4 e 5).
Compiute tali attività il presidente dichiara aperto il dibattimento ed il suo ausiliare da lettura dell’imputazione
(492). Momento fondamentale del dibattimento è l’esposizione introduttiva, in quanto il giudice non conosce nulla
delle indagini preliminari, ad eccezione dell’imputazione e di quel numero limitato di atti contenuti nel fascicolo del
dibattimento.
Il tema della discussione non può che essere fissato dalle parti in limine litis. Il giudice, almeno in questa prima fase,
non è in grado di svolgere un ruolo attivo ed interviene solo come destinatario delle iniziative del PM e dei
difensori i quali debbono renderlo edotto della materia del processo nel modo che ritengono più efficace. Prima il
PM, poi, nell’ordine, i difensori delle parti private e dell’imputato, indicano i fatti che intendono provare e le prove
di cui chiedono l’ammissione (493). Nel testo abrogato dell’art.493 si coglieva una possibile differenziazione: con
riguardo al pm, nel primo comma si diceva “espone concisamente i fatti oggetto dell’imputazione e indica le prove”.
Ciò poteva suggerire una maggiore ampiezza, rispetto alle altre parti, nell’illustrazione dei fatti, ai fini della quale il
pm avrebbe potuto avvalersi degli argomenti desunti dalle indagini svolte. L’attuale testo dell’articolo (novellato nel
1999) intende sottolineare la parità delle parti anche in questa fase. L’esposizione può poi essere accompagnata da
memorie scritte, che hanno una funzione argomentativa o esplicativa e che mai possono essere utilizzate
surrettiziamente per introdurre il contenuto dei verbali di indagine o documenti non acquisibili (o non ancora
acquisiti), questo perché tale facoltà non può essere utilizzata per mettere a disposizione del giudice info che la
legge non gli consentirebbe di conoscere direttamente, in particolare gli atti inseriti nel fascicolo del pm.
L’ammissione delle prove (495) ha luogo al termine dell’esposizione introduttiva, con ordinanza del giudice, in
seguito ex 190 alle richieste formulate dalle parti, e solo eccezionalmente d’ufficio; il giudice deve provvedere sulla
richiesta immediatamente ed espressamente, e i provvedimenti sull’ammissione (nonché anche sull’eventuale
esclusione) della prova possono essere revocati solo in contraddittorio (495,4 seconda parte). Il comma 4bis
dell’art.495 prevede che in caso di prove già ammesse su richiesta di una parte l’eventuale loro rinuncia sia possibile
solo col consenso delle altre parti (come specificato dal lgs nel 2000). È questo anche il momento in cui le parti
interessate possono richiedere la trascrizione (integrale) delle comunicazioni intercettate, in precedenza acquisite
in quanto rilevanti a fini di prova. L’art.493-bis inserito con la riforma Orlando prevede che la trascrizione sia
disposta dal giudice con le forme della perizia, allo scopo di assicurare il contraddittorio e la conformità all’originale.
Le parti possono estrarre copia delle trascrizioni. Il giudizio di ammissibilità si basa su criteri determinati, cioè ex
artt.190 e 190bis. Innanzitutto, le prove possono essere escluse solo se vietate dalla legge o manifestamente
superflue o irrilevanti il parametro della rilevanza è rappresentato dell’oggetto della prova come individuato
nell’art. 187.
Come visto l’art.190bis limita il diritto alla prova nei processi per gravi delitti di mafia e criminalità organizzata,
nonché nel caso di esame di testimone minore degli anni 16 o di persona offesa particolarmente vulnerabile, in
alcuni reati di violenza sessuale. L’esame dei testimoni o degli imputati indicati nell’art.210 (nonché dell’infra
sedicenne e della persona offesa vulnerabile), i quali abbiano già reso dichiarazioni nell’incidente probatorio, o in
procedimenti diversi i cui verbali siano stati acquisiti ex 238, è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi o
se è ritenuto necessario sulla base di specifiche esigenze questo per evitare l’usura della prova (ed evitare lo
stress psicologico delle parti vulnerabili). Se la parte dimostra di non averle potute indicare tempestivamente,
possono essere ammesse le prove non incluse nelle liste ex 468 depositate prima del dibattimento (493,2).
L’omissione incolpevole infatti non produce l’automatica decadenza; d’altro canto ex 507 nuove prove (per nuove si
intendono non solo quelle sopravvenute, ma anche quelle non ammesse in precedenza perché non indicate nella
lista) possono essere assunte anche al termine dell’istruzione dibattimentale, e persino dopo l’inizio della
discussione (523,6), ma l’ammissione è subordinata all’assoluta necessità.
Il comma 3 dell’art.493 prevede (come già dopo l’udienza preliminare ex 431,2), poi, che le parti possano anche
concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del PM come pure della
documentazione delle indagini difensive. L’inserzione nel fascicolo per il dibattimento comporta l’acquisizione
dell’atto come prova, previa lettura o indicazione ex 511, e la diretta utilizzabilità ai fini della decisione anche se la
legge nulla specifica rispetto alle modalità del controllo si ritiene che anche sull’ammissibilità di tali atti intervenga
d’ufficio il giudice del dibattimento (o il gup, qualora l’inserzione nel fascicolo sia avvenuta ex 431,2 prima del
dibattimento). È invece previsto espressamente che nell’ipotesi in esame il giudice, al termine dell’istruzione
dibattimentale, possa disporre d’ufficio l’effettiva assunzione dei mezzi di prova, indipendentemente dalle scelte
delle parti (507,1bis).
In ogni caso, ex 495,2, devono essere ammesse le prove a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico,
e viceversa. La prova contraria, inoltre, non è soggetta ai termini stabiliti per le liste testimoniali; si aggiunga che il
diritto alla sua assunzione trova riscontro in uno specifico motivo di ricorso per cassazione in quanto si tratti di
“prova decisiva” (606,1 lett. d). L’ammissione coincide con l’acquisizione quando si tratta di prove reali, fra le quali
un ruolo particolare hanno i documenti (categoria che include gli scritti ed ogni altro strumento rappresentativo di
fatti, persone o cose), che le parti possono esaminare prima del provvedimento del giudice sulla domanda di
ammissione (495,3): dopo di ciò, se non vengono esclusi, restano acquisiti al processo, e a norma dell’art.515 vanno
inseriti nel fascicolo per il dibattimento. Fra l’altro, se ne deduce che i documenti così ammessi non sono
assoggettati al regime delle letture ex 511; regime delle letture (511bis) che invece si applica, oltre che agli atti
contenuti nel fascicolo del dibattimento, anche ai verbali di prove di altri procedimenti che l’art.238 consente di
acquisire. Sono infatti in gioco dichiarazioni direttamente utilizzabili per la decisione, le quali possono essere
sottratte ex 190bis alla verifica offerta dall’escussione orale del dichiarante.
Occorre infine ricordare che fra le questioni preliminari ex 491, sono incluse quelle concernenti il contenuto del
fascicolo del dibattimento e il trasferimento nello stesso di atti inclusi ne fascicolo del PM, o viceversa (491,4):
questioni che sono decisive ai fini della possibilità di lettura e conseguente utilizzazione (l’eventuale inutilizzabilità di
un atto che non doveva essere inserito nel fascicolo per il dibattimento, tuttavia può essere sempre fatta valere, in
forza dell’art. 191,2, indipendentemente dalla sua collocazione). Eccezioni in ordine all’ammissibilità delle prove,
possono essere sollevate inoltre anche nel corso dell’istruzione dibattimentale – poiché l’ordinanza pronunciata in
dibattimento è revocabile – ed in ipotesi del genere il giudice deve provvedere immediatamente (495,4).
12. Il fascicolo per il dibattimento: lettura-acquisizione dei verbali.
Una delle novità più importanti del codice del 1988 è la previsione del doppio fascicolo: quello del PM, a
disposizione delle parti, e quello per il dibattimento, conosciuto anche dal giudice competente per il giudizio. Il
fascicolo per il dibattimento, ex 431, viene formato in contraddittorio dal gup, salvo eccezioni (in caso di giudizio
direttissimo, ad es., il compito spetta al PM). Degli atti appartenenti alle indagini preliminari, contiene solamente
atti relativi alla procedibilità e all’esercizio dell’azione civile, i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla PG e dal
PM nonché dal difensore, i verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio, il certificato penale e i documenti
relativi al giudizio sulla personalità, le cose pertinenti al reato e, infine, vanno menzionati i documenti acquisiti e i
verbali degli atti assunti all’estero mediante rogatoria internazionale: quest’ultimi solo se atti non ripetibili o
compiuti nel rispetto delle garanzie difensive previste dalla legge italiana. Tutti gli altri atti sono dirottati nel
fascicolo del PM (433), ma già in questa fase le parti ex 431,2 possono concordare l’acquisizione degli stessi al
fascicolo per il dibattimento. Infine, nel fascicolo dibattimentale sono inseriti i verbali delle prove urgenti assunte
dal presidente del tribunale o della corte d’assise nella fase degli atti preliminari (467).
Al riguardo gli “atti non ripetibili” non sono individuati tassativamente dal codice ma non pare difficili immaginari
quali possano essere (sequestri e perquisizioni, intercettazioni ecc)  si deve trattare di irripetibilità intrinseca
(l’irripetibilità è destino dell’atto stesso, e non è provocata da circostanze esterne, come potrebbe essere per la
testimonianza, ad esempio) sul punto decide, caso per caso, il gup, ma la relativa questione può essere sollevata
davanti al giudice del dibattimento, come questione preliminare (491,4). Quanto ai documenti diversi da quelli
acquisiti mediante rogatoria internazionale e dal certificato generale del casellario giudiziario, anche se acquisiti
durante le indagini preliminari, essi non andrebbero inseriti nel fascicolo per il dibattimento, perché vanno
sottoposti al giudizio di ammissibilità che si colloca al termine dell’esposizione introduttiva. Le parti dunque
dovranno chiederne l’acquisizione secondo la procedura già descritta non diversamente da ogni altro documento
prodotto per la prima volta al momento del giudizio la prassi tuttavia tende ad includerli sin dall’inizio nel fascicolo
del dibattimento in qualità di cose “pertinenti al reato” ex 431,1 lett. h. Inoltre, nel fascicolo dibattimentale vi
confluiranno anche i verbali degli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato, che a seguito dell’accoglimento
della relativa istanza conservino efficacia.
Gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, sebbene conosciuti dal giudice, non possono essere utilizzati ai
fini della decisione fino a quando non vengano acquisiti mediante lettura (una conoscenza ufficiale), la quale ex 511
può essere disposta d’ufficio o su richiesta di parte. Ex 511,5 gli atti, anziché essere effettivamente letti, possono
essere anche semplicemente indicati (l’indicazione ha valore acquisitivo) dal giudice, salvo alcune eccezioni: se c’è
richiesta di parte, infatti, devono in ogni caso essere letti i verbali di dichiarazioni, mentre per gli altri atti la lettura
viene disposta solo quando ci sia disaccordo sul loro contenuto. La lettura delle dichiarazioni non può comunque
precedere l’esame della persona che le ha rese (salvo che l’esame non abbia luogo), e lo stesso vale per la relazione
peritale (511 commi 2 e 3 e 511bis) si preferisce l’escussione diretta e orale in dibattimento. Il testimone
potrebbe anche non ricordare o l’imputato rifiutarsi di rispondere, ma in tal caso la lettura avrà luogo comunque
dopo l’esame orale (il cui esito negativo sarà valutato dal giudice nello stesso modo in cui è valutato il fatto che
l’imputato, ad esempio, abbia dato risposte difformi o contraddittorie rispetto a quelle verbalizzate).
La lettura delle dichiarazioni di querela o di istanza vale solo ad accertare la condizione di procedibilità. (511,4)
del contenuto narrativo di tali atti, in nessun modo, può esserne tenuto conto ai fini della decisione. Come detto, la
lettura è indispensabile affinché gli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento abbiano valore per il giudizio ciò
vuol dire che si applicherà l’art. 526,1 per cui il giudice non può utilizzare ai fini delle decisioni prove diverse da
quelle legittimamente acquisite nel dibattimento.
13. Il fascicolo del PM e le contestazioni.
Nel fascicolo del PM vengono raccolti gli atti delle indagini preliminari non inseriti nel fascicolo per il dibattimento;
inoltre in esso confluisce il fascicolo del difensore, contenente gli “elementi difensivi” presentati direttamente al
giudice nel corso delle indagini preliminari (391octies). Il fascicolo del PM è noto alle parti ma non al giudice del
dibattimento, poiché resta depositato nella segreteria del PM, con facoltà per i difensori di prenderne visione e di
estrarne copia (433). Anche la documentazione dell’eventuale attività integrativa di indagine compiuta dal PM e dal
difensore dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio va depositata in segreteria (430,2), ma può essere
inserita nel fascicolo solo in quanto da essa sia conseguita l’ammissione di prove in dibattimento (433,2) negli altri
casi non è consentita alcuna forma di utilizzazione dibattimentale.
Di regola, salvo eccezioni, gli atti nel fascicolo del PM non possono essere acquisiti come prova nel dibattimento, ma
sono utilizzabili per le contestazioni: se una parte o un testimone rendono una dichiarazione che si discosta da
quella risultante dalla documentazione redatta nelle fasi precedenti, il PM e i difensori possono, nel corso
dell’esame, far rilevare il contrasto e chiedere spiegazioni, eventualmente dando anche lettura dell’atto (le
contestazioni non presuppongono necessariamente la lettura della precedente dichiarazione, la quale può aversi
anche in forma sintetica o per implicito). In ogni caso il giudice, per assicurare la correttezza delle contestazioni, può
ex 499,6 ordinare l’esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate. La contestazione va
intesa in senso stretto: con essa possono farsi rilevare variazioni o contraddizioni rispetto “alle dichiarazioni
precedentemente rese” ma non è consentito il riferimento ad altri atti, o a dichiarazioni di persone diverse,
contenuti nel fascicolo del PM altrimenti si introdurrebbero surrettiziamente i risultati delle indagini preliminari in
dibattimento.
Ciò non esclude che nel corso dell’esame possono essere utilizzati, senza alcun limite, i risultati delle prove
precedentemente acquisite nel dibattimento, anche mediante domande dirette, le quali però non costituiscono,
propriamente, una “contestazione”. Anzi, in riferimento alle prove già acquisite è previsto un potere d’ufficio del
presidente di far rilevare al testimone l’eventuale contrasto con le stesse, quando le sue dichiarazioni siano
sospettate di falsità o reticenza (207) La disciplina delle contestazioni è ottenuta nell’art.500 con riferimento
all’esame dei testimoni, e nell’art.503 con riferimento all’esame delle parti. Ovviamente occorre che si tratti di
dichiarazioni, quindi gli altri atti di indagine non possono per questa via essere portati a conoscenza del giudice
essi hanno rilevanza meramente interna (scienza privata delle parti) sono utilizzabili, solo in via di fatto, per
determinare, ad esempio, le modalità della escussione e per orientare l’esame dei testimoni e decidere il tipo di
domande da fare.
Inoltre, per la contestazione possono essere usate solo le dichiarazioni in precedenza rese dalla stessa persona che
depone, ed essa può aver luogo solo sui fatti e sulle circostanze in ordine alle quali il testimone o la parte abbia già
deposto (ergo, non è consentito far uso delle dichiarazioni di Caio, contenute nel fascicolo del pm, per mettere in
discussione ciò che dice Tizio). Con ciò si vuole evitare che la lettura possa essere strumentalizzata per suggerire o
condizionare le risposte, dandosi in ogni caso la precedenza all’escussione orale. In questa ipotesi non occorre,
tuttavia, attendere che l’esame sia concluso, in quanto si può immediatamente sottoporre a contestazione qualsiasi
affermazione, anche durante l’esame. Il contraddittorio diretto favorisce eventuali ritrattazioni, correzioni o
chiarimenti nel corso della deposizione stessa, e può contribuire efficacemente alla veridicità delle risposte (o,
quanto meno, al giudizio sulla loro credibilità).
14. Contestazioni nell’esame testimoniale.
ART.500. 1. Fermi i divieti di lettura e di allegazione, le parti, per contestare in tutto o in parte il contenuto della
deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del
pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone
abbia già deposto.
2. Le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste.
3. Se il teste rifiuta di sottoporsi all'esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di questa non possono
essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte, salve restando le sanzioni penali
eventualmente applicabili al dichiarante.
4. Quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per ritenere che il
testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non
deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente
rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento e quelle previste dal comma 3 possono essere
utilizzate.
5. Sull'acquisizione di cui al comma 4 il giudice decide senza ritardo, svolgendo gli accertamenti che ritiene necessari,
su richiesta della parte, che può fornire gli elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a
violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità.
6. A richiesta di parte, le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 sono acquisite al fascicolo del
dibattimento e sono valutate ai fini della prova nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione,
se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal presente articolo. Fuori dal caso previsto dal periodo
precedente, si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 4 e 5.
7. Fuori dai casi di cui al comma 4, su accordo delle parti le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico
ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite al fascicolo del dibattimento.
Nella sua versione originaria, l’art.500 diceva che la dichiarazione del testimone non poteva costituire prova dei fatti
in essa affermati, ma può essere valutata dal giudice solo per stabilire la credibilità della persona esaminata. Vi
erano dunque regole molto rigide e più volte la corte costituzionale ha ritenuto irragionevoli le regole di esclusione
riguardanti le precedenti dichiarazioni a contenuto testimoniale, e ciò sulla base del principio di non dispersione
delle prove. Il conseguente intervento legislativo (1992) aveva pertanto abrogato il divieto di valutare le
dichiarazioni utilizzate per le contestazioni come prova dei fatti in esse affermati, ammettendone l’allegazione al
fascicolo del dibattimento e, a certe condizioni, l’idoneità a fondare la decisione del giudice nonostante la mancanza
del contraddittorio. La nuova stesura dell’art.111 cost. circoscrive ora tassativamente la possibilità di formare la
prova senza contraddittorio ai casi di consenso dell’imputato, di impossibilità oggettiva o di condotta illecita
(comma 5) rendendo illegittima un’utilizzazione degli atti al fascicolo del pm così estesa come quella prevista
dall’art.500 nella versione del 1992. In attuazione dei principi introdotti dalla norma costituzionale, la legge sul
giusto processo ha riscritto nuovamente l’art.500, limitando l’uso probatorio delle precedenti dichiarazioni
contestate ai casi espressamente eccettuati. La legge sul giusto processo (L. 63/2001) in ottemperanza all’art.111
Cost. ha riformulato l’art.500.
- 500,2 normalmente, la lettura degli atti a scopo di contestazione (era più esatta la formula precedente: le
dichiarazioni utilizzate per le contestazioni), eseguita dalle parti e non disposta dal giudice, non corrisponde
all’acquisizione come prova degli stessi, diversamente da quanto avviene con la lettura degli atti del fascicolo per il
dibattimento, ma ha esclusivamente una funzione di verifica e di controllo ai fini della credibilità del teste (500,2)
la prova è solo quella formata in contraddittorio.
- 500,3 questo comma non riguarda le contestazioni l’ipotesi è quella del testimone che dopo aver risposto alle
domande di una parte rifiuta di sottoporsi all’esame (o al controesame) di un’altra in tali casi non può nemmeno
dirsi che sia stata acquisita una prova poiché manca un elemento fondamentale per la realizzazione del
contraddittorio: dunque, anche le dichiarazioni che fino a quel momento sono state rese sono inutilizzabili, salvo il
consenso della parte che non ha potuto effettuare il controesame. La norma però non appare formulata in maniera
felice. Anzitutto, dato che sono nominate le parti in generale anziché le persone cui le dichiarazioni si riferiscono, si
deve ritenere che l’inutilizzabilità operi anche nel caso di rifiuto di rispondere all’esame del pm: allora sembra
piuttosto improprio parlare di utilizzazione delle dichiarazioni “nei confronti” di quest’ultimo. Non viene specificato
poi cosa accade se la sottrazione all’esame o al controesame non derivi da un rifiuto, ma sia involontaria. Trattandosi
di un caso di impossibilità sopravvenuta sarebbe applicabile l’art.512, che però si riferisce alla lettura delle
dichiarazioni precedenti (contenute nel fascicolo del pm). Tuttavia, anche la parziale testimonianza dibattimentale
resa fino a quel momento dovrebbe restare utilizzabile, ma essendo operante lo specifico divieto, che riguarda una
fattispecie diversa (il rifiuto), non è utilizzabile. Poiché resta ugualmente incompiuta l’acquisizione della prova, il
contraddittorio risulta pregiudicato in misura non inferiore che nel caso espressamente indicato dalla norma, ma la
deroga potrebbe rientrare nell’area della “impossibilità di natura oggettiva” prevista dal comma 5 dell’art.111 cost.
Le eccezioni espressamente previste all’inutilizzabilità delle dichiarazioni di chi rifiuta l’esame o il controesame sono
ugualmente ricollegabili all’art.111 comma 5 cost.: oltre al già menzionato consenso della parte interessata, rileva
in particolare l’intimidazione o la subordinazione del testimone, ai sensi dell’art.500 comma 4, in quanto “provata
condotta illecita”. In tale ultima ipotesi si prevede che le dichiarazioni possano essere utilizzate perché altrimenti il
testimone, se sottoposto a pressioni esterne, potrebbe essere indotto a rifiutare di sottoporsi all’esame di una delle
parti proprio allo scopo di rendere inutilizzabile la testimonianza nei confronti della stessa. Le restanti disposizioni
dell’art.500 elencano le ipotesi in cui – sempre come eccezione – le dichiarazioni contenute nel fascicolo del PM
sono acquisite al fascicolo per il dibattimento.
- 500,4 la violenza, la minaccia e le altre interferenze illecite sulla libertà morale del testimone consentono in
ogni caso di acquisire al fascicolo per il dibattimento, in occasione dell’esame, le dichiarazioni precedentemente
rese dal testimone, oltre che utilizzare le dichiarazioni “rese ad altra parte” nel caso previsto dal comma 3. Ciò
evidenzia la scelta di configurare questa ipotesi come criterio polivalente per legittimare l’uso come prova di atti che
diversamente non sarebbero utilizzabili. Il criterio non è nuovo e la formula è ricalcata testualmente su quella che,
nell’art.392 comma 1 lett.b, definisce uno dei presupposti dell’acquisizione anticipata della testimonianza mediante
incidente probatorio. La differenza è che mentre con l’incidente probatorio si vuole prevenire un rischio (quando ciò
la persona sia esposta alle pressioni indicate), qui si assume che la condotta illecita nei confronti del testimone si sia
già verificata, e su di essa il giudice svolge gli accertamenti che ritiene necessari, a norma dell’art.500 comma 3.
Ovviamente la disciplina in questione riguarda innanzitutto le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni; tuttavia,
dal tenore del comma 4 dell’art.500, per l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento non è richiesto che la
dichiarazione sia stata precedentemente utilizzata a tale scopo, né, di conseguenza, che ne derivi una difformità
rispetto al contenuto della deposizione (è chiaro che in concreto spesso l’inquinamento della testimonianza sarà
evidenziato per il tramite di una contraddizione) è sufficiente, infatti, il solo fatto che il testimone sia stato
indebitamente condizionato per rendere acquisibili le precedenti dichiarazioni contenute nel fascicolo del PM e tra
l’altro senza che occorra una preventiva lettura. Si aggiunga, inoltre, che al fascicolo per il dibattimento va allegato
l’intero verbale dell’atto d’indagine, e non solo la dichiarazione effettivamente utilizzata (così com’era nel vecchio
art 500).
- 500,7 le precedenti dichiarazioni del testimone contenute nel fascicolo del PM possono essere acquisite a quello
dibattimentale anche su accordo delle parti situazione analoga a quella ex 431,2 e 493,3 che consentono
l’acquisizione consensuale degli atti del PM e del difensore. La differenza consiste nel fatto che l’art. 500,7 è riferito
all’assunzione dell’esame testimoniale: l’accordo potrà intervenire anche dopo le fasi della formazione del fascicolo
e delle richieste di prova, cioè nel corso dell’esame; e riguarda solo le precedenti dichiarazioni del testimone, non gli
altri atti.
- 500,6 un regime particolare, infine, è previsto per le dichiarazioni assunte dal gup, le quali possono essere
acquisite solo in quanto siano state utilizzate per le contestazioni; ma l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento
ne consente la valutazione a fini probatori esclusivamente nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro
assunzione ovviamente quando nell’udienza preliminare si sia realizzato il contraddittorio. In caso contrario si
applica la disciplina generale.
15. I limiti di utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni.
L’art.500, a dire il vero, non stabilisce esplicitamente qual è il valore probatorio delle precedenti dichiarazioni (ad
eccezione nel comma 6). Tuttavia, tramite un’interpretazione sistematica si ritiene che le dichiarazioni acquisite al
fascicolo dibattimentale valgono come prova, mentre quelle usate per le contestazioni, ma non acquisite, possono
essere valutate solo per stabilire la credibilità del testimone (anche se nel nuovo testo manca sia una previsione
espressa nel senso dell’utilizzabilità probatoria sia, reciprocamente, un divieto probatorio del tipo di quello che
compariva nel testo originario dell’articolo, abrogato nel 1992). Tale impostazione è coerente con l’art.526, che
subordina l’utilizzabilità delle prove ai fini della deliberazione della sentenza alla loro legittima acquisizione nel
dibattimento (e l’uso per la contestazione non equivale ad acquisizione). Tale ricostruzione è però complicata
dall’introduzione, nello stesso art.526, di un comma 1bis, il quale riproducendo le seconda parte dell’art.111,4 Cost.
vieta l’utilizzazione come prova della colpevolezza delle dichiarazioni di chi, per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all’esame dell’imputato (anziché del difensore, essendo l’esame dell’imputato
sconosciuto nel nostro ordinamento: testo un po’ ambiguo). La norma, a livello di legislazione ordinaria, era
sicuramente superflua essendo il principio riconosciuto a livello costituzionale: la legge ordinaria avrebbe dovuto
piuttosto preoccuparsi di predisporre una disciplina coerente con tale indirizzo, senza limitarsi a ripetere le parole
della costituzione. Si ritiene, che l’art.526,1bis funga semplicemente da norma di chiusura: quindi tale comma rende
inutilizzabili, esclusivamente per la prova della colpevolezza, le dichiarazioni di chi si è voluto sottrarre al
contraddittorio, anche quando le stesse, alla stregua delle regole generali sull’esame e sulle letture, potrebbero
essere acquisite: come nel caso di accordo tra le parti (non anche nel caso di condizionamento del testimone,
perché mancherebbe il requisito della “libera scelta”); o nel caso di irreperibilità sopravvenuta ex 512.
16. Contestazioni e letture nell’esame delle parti e dell’imputato in procedimento separato.
La disciplina delle contestazioni nell’esame delle parti, a differenza dell’esame dei testimoni, è rimasta invariata
rispetto alla previsione originaria, non essendo stata colpita da sentenza di incostituzionalità. È invece molto
complicata la vicenda relativa alla possibilità di acquisire direttamente, mediante lettura, le precedenti dichiarazioni
dell’imputato, contenute nel fascicolo del pm (si tratta di imputato nel medesimo procedimento o in un
procedimento separato ex 210). L’esame delle parti private (parte civile, responsabile civile, persona civilmente
obbligata per la pena pecuniaria e imputato) che ne abbiano fatto richiesta o che vi abbiano consentito si svolge nei
modi previsti per l’esame dei testimoni (503 commi 1 e 2). Ex 503,3 il PM e i difensori, per contestare in tutto o in
parte il contenuto della deposizione possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte
esaminata e contenute nel fascicolo del PM ovviamente tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle
circostanze da contestare la parte abbia già deposto. Anche qui, l’uso delle dichiarazioni contestate è consentito
solo per stabilire la credibilità della persona esaminata (503,4). Anche per tali previsioni ai fini dell’utilizzazione
probatoria o meno, valgono le stesse conclusioni del paragrafo precedente, nel senso che solo ciò che viene
acquisito nel fascicolo per il dibattimento acquista valore di prova piena.
A norma dell’art. 503,5, che riguarda esclusivamente l’esame dell’imputato, dato il riferimento alla presenza del
difensore (e non quello delle altre parti private), se utilizzate per le contestazioni sono acquisite al fascicolo
dibattimentale le dichiarazioni assunte dal PM, o dalla PG su delega del PM (escluse quelle raccolte dalla PG di
propria iniziativa), cui il difensore aveva diritto di assistere; a questa ipotesi è stata successivamente aggiunta
(1992) la menzione delle dichiarazioni assunte dalla pg su delega del pm, che sono sostanzialmente equiparabili,
mentre restano escluse le info raccolte dalla pg di propria iniziativa. La stessa disposizione ex 503,6 si applica anche
alle dichiarazioni rese al giudice nel corso del procedimento cautelare o in sede di integrazione probatoria
nell’udienza preliminare ex 422. Una situazione diversa si realizza nel caso in cui l’imputato sia assente ovvero rifiuti
di sottoporsi all’esame (come sappiamo può avere luogo su sua richiesta o se vi consenta) in tali casi infatti le
uniche sue dichiarazioni saranno quelle fatte al tempo dell’indagine preliminare e dell’udienza preliminare. Al
riguardo l’art.513 prevede che si possa dare lettura, con conseguente valore di prova, delle precedenti dichiarazioni
(comma 1) rese al PM o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare: previsione estesa
alle dichiarazioni assunte dalla PG su delega del PM ma non a quelle rese in sede di sommarie informazioni alla PG
che agisca di propria iniziativa.
Tuttavia, la disciplina ex 513 non è applicabile a tutti gli imputati, perché come visto a suo tempo può accadere che il
coimputato o l’imputato in un procedimento connesso o collegato debba invece essere esaminato come testimone
sui fatti concernenti la responsabilità di altri quando viene meno l’incompatibilità a testimoniare ai sensi dell’art.197.
Di conseguenza nelle contestazioni si dovrà applicare la disciplina prevista per le contestazioni nell’esame
testimoniale dallart.500. Giova ripetere che al riguardo occorre distinguere a seconda che si tratti di coimputato del
medesimo reato (procedimento connesso ex art. 12 lett. a),
ovvero di imputato di un reato connesso ai sensi dell’art. 12 lett. c (connessione teleologica) o collegato ex 371,2
lett. b. Solo nel secondo caso, infatti, l’imputato che abbia precedentemente reso dichiarazioni concernenti la
responsabilità di altri, essendo stato debitamente avvertito, assumerà la veste formale di testimone e verrà
esaminato come tale. Tale veste, nel medesimo caso, potrà essere assunta anche dall’imputato che, pur non avendo
reso precedenti dichiarazioni sulla responsabilità di altri, accetti in dibattimento di rispondere in merito alla stessa
dopo aver ricevuto l’avvertimento ex 64,3 lett. c (210,6). Non si esclude, tra l’altro, che lo stesso soggetto potrà
essere esaminato sia in qualità di imputato, sul fatto proprio, sia in qualità di testimone, sul fatto altrui. Viceversa,
nel caso del coimputato (connessione ex 12lett. a), ovvero quando, negli altri casi, l’incompatibilità a testimoniare
non viene meno, il dichiarante mantiene la veste di imputato anche rispetto all’esame su fatto altrui.
Per quanto riguarda, in quest’ultimo caso, la lettura delle precedenti dichiarazioni ex 513, le cose si complicano.
Originariamente la lettura delle dichiarazioni dell’imputato che non volesse o potesse essere esaminato nel
procedimento a suo carico era consentita dall’art.513 comma 1 indipendentemente dal loro oggetto (fatto proprio o
fatto altrui). Per l’imputato in un procedimento separato, sottoposto ad esame ai sensi dell’art.210 senza avere la
possibilità di rifiutarlo, l’art.513 comma 2 consente invece la lettura delle precedenti dichiarazioni solo nell’ipotesi
che, disposto l’accompagnamento coattivo o esperiti gli altri mezzi per procedere all’esame, fosse impossibile
svolgerlo. Tuttavia, pur non potendo l’esame essere rifiutato, restava fermo il diritto di non rispondere alle
domande, con la conseguenza che in tal caso non era prevista la lettura delle precedenti dichiarazioni (che, in un
procedimento diverso dal proprio, non possono che riferirsi a fatti concernenti la responsabilità di altri imputati).
La corte cost., nel 1992, aveva riscontrato una irragionevole disparità di trattamento nelle diversa disciplina
concernente l’imputato contro cui si procede separatamente rispetto all’imputato del medesimo procedimento. Il
primo, infatti, esercitando la facoltà di non rispondere, avrebbe impedito la lettura delle precedenti dichiarazioni;
mentre se a rendere dichiarazioni nei confronti di altri fosse stato l’imputato nel medesimo procedimento, il rifiuto
di sottoporsi all’esame avrebbe consentito la lettura. Allora anche nel primo caso, secondo la corte, la lettura
doveva essere consentita: da qui l’incostituzionalità dell’art.513 comma 2. In seguito a tale sentenza era diventato
sufficiente che l’imputato in un procedimento separato rifiutasse di rispondere nell’esame dibattimentale perché
anche le sue precedenti dichiarazioni facessero piena prova; ma ciò significava che, in entrambi i casi, alla persona
accusata non era di fatto permesso sottoporre a verifica l’attendibilità del suo accusatore mediante l’esame orale.
Come si può notare il tema comune è rappresentato dall’uso probatorio nei confronti di altri imputati delle
dichiarazioni verbalizzate fuori dal dibattimento e non acquisite in contraddittorio. Per questo motivo la legge
267/1997, nell’intento di ristabilire la priorità dell’esame dibattimentale, rispetto all’esigenza di assicurare al giudizio
le info raccolte nel corso delle indagini, era intervenuta a modificare l’intero regime di utilizzabilità delle precedenti
dichiarazioni dell’imputato, nello stesso o in altro procedimento. Nella corrispondente versione dell’art.513 (per
questa parte ancora vigente) la lettura delle dichiarazioni dell’imputato non poteva più costituire prova nei confronti
di altri senza il loro consenso, mentre la lettura di quelle dell’imputato in procedimento separato era subordinata
all’accordo delle parti, salvi i casi di impossibilità, sopravvenuta e imprevedibile, dell’esame. Di fronte alle numerose
eccezioni di legittimità della nuova disciplina la corte cost. si era nuovamente pronunciata nel senso
dell’irragionevolezza e incoerenza del sistema, argomentando dall’assimilabilità tra la posizione dell’imputato che
renda dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri e quella del testimone. La soluzione indicata dalla
corte consisteva nell’estendere all’esame dell’imputato che riguardasse altre persone, anche nel caso di rifiuto di
rispondere, la disciplina delle contestazioni nell’esame testimoniale contenuta nel testo allora vigente dell’art.500
(modificato nel 1992), che aveva ammesso con molta larghezza l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento e l’uso
probatorio delle dichiarazioni utilizzate per le contestazioni. La corte cost., per assicurare la parità di trattamento tra
imputato in un procedimento separato e il coimputato nel medesimo procedimento, aveva dichiarato illegittimo
l’art.210 in quanto non applicabile anche all’esame dell’imputato che, nel proprio procedimento, avesse reso in
precedenza dichiarazioni sulla responsabilità di altri, al quale pertanto andava esteso l’obbligo di presentarsi al
giudice, con la possibilità di accompagnamento coattivo. In conclusione, la facoltà di non sottoporsi ad esame
restava riservata solo all’imputato che dovesse essere sentito su fatto proprio e non su fatto altrui.
Da notare che, nonostante il radicale cambiamento derivante dalla legge 63/2001, questa parte della sentenza
costituzionale conserva validità, perché non risulta contraddetta la sostanziale equiparazione dell’imputato nel
medesimo procedimento che abbia reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altri all’imputato in un
procedimento separato, e di entrambi al testimone. Il precetto costituzionale secondo cui il principio del
contraddittorio riguarda il momento di formazione della prova, nonché il divieto espresso di provare la colpevolezza
dell’imputato sulla base delle dichiarazioni di chi si sia sottratto all’esame, hanno reso incompatibile con l’art.111
comma 4 l’interpretazione dettata dalla corte, imponendo una ricostruzione del sistema. La legge sul giusto
processo, intervenendo sulle contestazione nell’esame testimoniale, ha di riflesso modificato anche la disciplina
dell’utilizzazione delle precedenti dichiarazioni dell’imputato. L’art.513 è solo marginalmente toccato, ma la
completa riscrittura dell’art.500 ha eliminato il referente normativo utilizzato dalla corte costituzionale per
integrarlo in via interpretativa, così da eliminare gli effetti della decisione. È pertanto tornato ad essere valido
l’art.513 nel testo vigente prima della declaratoria di parziale illegittimità. Al riguardo, la disciplina attuale
dell’esame dell’imputato – si intende fuori dai casi in cui debba assumere la qualità di testimone su fatto altrui
deve essere ricostruita nl modo seguente:
a) Anzitutto, l’esame dell’imputato su fatto proprio è facoltativo. L’imputato può rifiutare di sottoporvisi ovvero
restare assente, e non può essere disposto l’accompagnamento coattivo (490). In tal caso però ex 513,1 può essere
data lettura del verbale delle precedenti dichiarazioni, mentre se l’imputato accetta l’esame si applica la disciplina
delle contestazioni di cui all’art. 503. Si noti che se l’imputato, nel corso dell’esame, rifiuta di rispondere (anziché
all’intero esame) alle singole domande, l’art. 513,1 non pare applicabile per cui non può essere né letto il verbale
delle precedenti dichiarazioni né è possibile la contestazione: del silenzio può solo farsi menzione nel verbale ex
209,2;
b) Il coimputato (insieme ad altri) nel medesimo procedimento, il cui esame venga richiesto su fatto altrui ha
l’obbligo di sottoporsi ad esame e può essere accompagnato coattivamente. In tal caso all’esame si estende la
disciplina dell’art.210, che proprio per aver omesso il riferimento anche al coimputato nello stesso procedimento
era stato dichiarato illegittimo: ne segue che l’ipotesi in questione va trattata allo stesso modo di quella concernente
l’imputato in un procedimento separato . Qualora l’esame non venga richiesto su fatto altrui, l’imputato può
rifiutarlo o restare assente, e ciò permette la lettura del verbale delle dichiarazioni rese in precedenza, ma queste
possono essere utilizzate solo nei suoi confronti, e non nei confronti di altri senza il loro consenso. In deroga a
questo divieto, è stato previsto che le precedenti dichiarazioni possono essere utilizzate senza limiti se l’imputato è
stato sottoposto ad intimidazione o a subordinazione affinché si sottragga all’esame (facendo rinvio all’art. 500,4):
deroga introdotta con la riforma 63 del 2001;
c) Quanto all’imputato in un procedimento separato, non c’è bisogno di distinguere tra esame sul fatto proprio e
sul fatto altrui: il dichiarante interviene nel processo esclusivamente per essere sentito sulla responsabilità di altri, e
ha sempre l’obbligo di presentarsi al giudice (210,2). Per consentire lo svolgimento dell’esame, il giudice, oltre
all’accompagnamento coattivo, all’esame a domicilio e alla rogatoria internazionale, può utilizzare qualunque altro
modo previsto dalla legge con le garanzie del contraddittorio alludendo all’esame a distanza ex 147bis disp.att.
L’esame si svolge secondo le modalità stabilite dall’art.210,5 che per quanto riguarda le contestazioni non si rifà più
all’art.503, ma all’art.500 in materia di testimonianza (alla quale questo tipo di esame è assimilato). Se invece
l’esame non può avere luogo, la lettura delle precedenti dichiarazioni è permessa solo in caso di impossibilità
sopravvenuta e imprevedibile ai sensi dell’art.512. Se l’esame ha luogo, ma la persona esaminata esercita la facoltà
di non rispondere, può essere disposta la lettura, ma solo con l’accordo delle parti (di tutte le parti, non solo della
persona nei cui confronti la dichiarazione dev’essere utilizzata). Anche in tal caso, data l’applicazione dell’art.500 è
prevista l’acquisizione al fascicolo dibattimentale delle dichiarazioni di chi risulti essere stato sottoposto a violenza,
minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità.

17. Le altre letture consentite e le letture vietate.


Oltre alla lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento e all’acquisizione degli atti utilizzati per le
contestazioni, sono previste ulteriori ipotesi di lettura con successiva allegazione del fascicolo, subordinate a
requisiti particolari. La prima riguarda gli atti di cui sia sopravvenuta l’impossibilità di ripetizione in dibattimento. Ci
si muove su un terreno infido: l’irripetibilità potrebbe essere usata come pretesto per cristallizzare i risultati acquisiti
nelle indagini preliminari e renderli determinanti per il giudizio, eludendo nel contempo le norme sull’incidente
probatorio. Per questo motivo sarebbe ragionevole che la fattispecie fosse disciplinata secondo criteri tassativi.
L’art.512 offre una soluzione debole. La lettura è consentita, in via generale, ogniqualvolta la ripetizione sia divenuta
impossibile per fatti o circostanze imprevedibili. Sulla carta la fattispecie parrebbe anche sufficientemente
delimitata, ma in pratica l’effettiva portata della previsione viene rimessa alla elaborazione giurisprudenziale, poiché
i concetti di imprevedibilità e di impossibilità sono molto elastici e rinviano ad un giudizio caso per caso. Si tratta di
atti ben diversi da quelli che sono raccolti fin dall’inizio nel fascicolo per il dibattimento, irripetibili per loro natura. La
previsione del 512 riguarda verbali di prove che in condizioni normali sarebbero acquisite oralmente secondo le
regole generali, ma che accidentalmente sono venute meno. L’acquisizione mediante lettura risulta legittimata dal
riferimento alla “impossibilità di natura oggettiva” contenuto nell’art.111 comma 5 cost., situazione che consente di
derogare al principio del contraddittorio nella formazione della prova affermato nel comma 4 dello stesso art.111
cost.
L’ammissibilità della lettura, che può essere disposta solo a richiesta di parte, dipende da una valutazione a
posteriori delle condizioni esistenti nel momento in cui l’atto è stato compiuto. Per fare un esempio classico,
l’irripetibilità sopravvenuta non ricorre tutte le volte in cui, essendo prevedibile, il pm avrebbe potuto utilmente
richiedere l’incidente probatorio. Con successivi interventi legislativi, inoltre, all’originaria previsione dell’art.512,
concernente i soli atti assunti dal pm o dal giudice nel corso dell’udienza preliminare, è stato aggiunto anche il
riferimento a quelli assunti dalla pg nonché agli atti assunti dai difensori delle parti private. La giurisprudenza ritiene
che configuri un’ipotesi di irripetibilità sopravvenuta l’accertata irreperibilità del testimone che abbia reso info in
sede di indagini, sempre che tale irripetibilità non potesse essere pronosticata in anticipo e quindi sia imprevedibile.
Con la precisazione, però, che ove si dimostri che il testimone abbia deliberatamente evitato di comparire per
sottrarsi all’esame, le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate come prova della colpevolezza ai sensi
dell’art.526 comma 1-bis.
Per essere in regola con i principi dettati nella CEDU l’art.512 va ora interpretato nel senso che, ferma restando la
legittimità della lettura del verbale della dichiarazione divenuta irripetibile , la sua valutazione deve essere condotta
con ogni cautela e posta in relazione con altri elementi probatori acquisiti in dibattimento, i quali siano in grado di
corroborarla. Tale impostazione è stata recepita dalle sezioni unite, secondo cui le dichiarazioni acquisite ai sensi
dell’art.512, non possono fondare in modo esclusivo o determinante, e quindi senza elementi di riscontro
estrinseco, l’affermazione della responsabilità penale.
Nel 2006 è stato introdotto nell’art.512 un comma 1-bis, che consente la lettura del verbale di distruzione dei
documenti formati mediante intercettazioni illegali o raccolta illegale di info, di cui al comma 2 e ss dell’art.240. Si
tratta di un’ipotesi del tutto atipica di irripetibilità sopravvenuta, non determinata da evento imprevedibile ma
nemmeno dipendente dalla natura intrinseca dell’elemento di prova che è consentito acquisire tramite lettura. In
sostanza, si vuole surrogare il suddetto verbale ai documenti distrutti (che costituivano corpo del reato e come tale
necessario per l’accertamento del fatto), affinché le info riportate nel verbale siano utilizzabili come prova, anche se
i documenti in questione non possono più essere acquisiti nel contraddittorio dibattimentale; peraltro, l’art.240
comma 6 esclude che al loro contenuto possa farsi riferimento nel verbale medesimo.
Sono altresì acquisiti mediante lettura i verbali di prove di altri procedimenti, nei casi consentiti dall’art.238, ferma
restando la precedenza dell’esame orale: così dispone l’art.511-bis, richiamando il comma 2 dell’art.511. L’art.238
subordina l’acquisizione dei verbali di dichiarazioni alla realizzazione del contraddittorio nel procedimento a quo, o
al consenso dell’imputato. Infine, l’art.512-bis consente la lettura dei verbali di dichiarazioni rese da persona
residente all’estero, che sia stata citata e non sia comparsa, ma solo nel caso in cui l’esame dibattimentale sia
assolutamente impossibile. L’ammissibilità della lettura è subordinata alla valutazione degli altri elementi di prova
acquisiti: si richiede, cioè, secondo un principio analogo a quello stabilito dall’art.192 comma 3 per le chiamate in
correità, che esistano già dei riscontri estrinseci. Ne deriva che, in questi termini, la previsione risulta allineata ai
principi enunciati dalla giuri della corte europea. Del resto, proprio muovendo dalla giuri sovrannazionale, le sezioni
unite hanno precisato che, ai fini dell’acquisizione delle dichiarazioni ex art.512-bis, è necessario preliminarmente
accertare l’effettiva e valida citazione del teste residente all’estero non comparso, verificandone l’eventuale
irreperibilità mediante tutti gli accertamenti opportuni; occorre, inoltre, che risulti impossibile la escussione del
dichiarante attraverso una rogatoria internazionale.
Norma di chiusura è l’art.514, che ribadisce la tassatività delle letture consentite a fini di acquisizione probatoria.
L’art.514 è stato riscritto nel 1997, effettuando il coordinamento con le modifiche al sistema introdotte nel 1992. Fra
le eccezioni al divieto di lettura viene indicato, accanto agli artt.511, 512 e 513, anche l’art.512-bis; manca il rinvio
all’art.511-bis, riguardante i verbali di altri procedimenti, probabilmente perché il 514 viene considerato
logicamente riferito soltanto alle indagini preliminari e all’udienza preliminare nel medesimo procedimento. Inoltre,
il divieto di lettura riguarda ora espressamente anche le dichiarazioni rese dalle persone indicate nell’art.210, non
solo quelle dell’imputato e dei testimoni. Più interessante è la modifica che ha introdotto la possibilità di dare
lettura delle dichiarazioni che siano state rese nell’udienza preliminare secondo le forme del dibattimento, alla
presenza dell’imputato o del suo difensore. Nelle intenzioni, la norma intende ribadire il collegamento tra esame
incrociato e utilizzabilità della prova con riferimento ad una fase nella quale, essendo presenti il giudice e le parti,
essendo complete e conoscibili le indagini preliminari, possono venire riprodotte quasi perfettamente le garanzie del
dibattimento (a parte l’oralità-immediatezza). In concreto però la sua portata è limitata.
Nell’udienza preliminare l’interrogatorio degli imputati che lo chiedano e l’audizione di testimoni e consulenti, se è
disposta, sono condotti dal giudice, non dalle parti. Per realizzare la condizione prevista dal 514 sono stati
contemporaneamente modificati gli artt.421 comma 2 e 422 comma 4, consentendo, a richiesta di parte,
l’applicazione delle forme previste dagli artt.498 e 499. Sennonché tali previsioni riguardano soltanto
l’interrogatorio dell’imputato, mentre restano fuori le altre prove dichiarative che, ai sensi dell’art.422, possono
essere acquisite dal giudice: in particolare, oltre alle testimonianze, le dichiarazioni delle persone di cui all’art.210. Il
riferimento nel 514 è dunque indebitamente ampio. Ma anche limitandola all’interrogatorio, la norma non sembra
ricomprendere le dichiarazioni dell’imputato su fatto proprio: il requisito della presenza dell’imputato o del suo
difensore sarebbe privo di senso, essendo appunto l’imputato colui che rende le dichiarazioni. Deve perciò trattarsi
di fatti concernenti la responsabilità di altri imputati. Questi ultimi, però, non possono essere se non i coimputati
nello stesso procedimento, perché altrimenti non avrebbero diritto di partecipare all’udienza personalmente o per
mezzo del difensore. In conclusione, l’operatività della norma si riduce ad ipotesi abbastanza marginali, oltretutto
già coperte dalla possibilità di ricorrere all’incidente probatorio “agevolato” di cui all’art.392 comma 1 lett.c, con
conseguente lettura in dibattimento ex art.511.
18. L’escussione della prova.
Nell’escussione delle prove in dibattimento un ruolo determinante spetta alle parti. L’art.496 stabilisce innanzitutto
l’ordine di assunzione delle prove: se le parti non si accordano diversamente, sono assunte per prime quelle
indicate dal PM, poi quelle indicate dai difensori della parte civile, del responsabile civile, del civilmente obbligato,
dell’imputato. L’ordine interno tra le prove richieste da ciascuna parte è lasciato alla discrezione della medesima
(497,1). Le prove vengono così raggruppate e distinte in funzione di chi ha voluto che fossero assunte: ne segue che
la difesa giocherà le sue carte solo dopo che l’accusa abbia esaurito l’escussione delle prove a carico. La distinzione
è fondamentale anche ai fini dell’esame incrociato, poiché consente di tenere separato l’esame diretto (condotta
dalla parte che ne fa richiesta) dal controesame (condotto dalle altre parti). Prima dell’inizio dell’esame, il testimone
viene avvertito dell’obbligo di dire la verità (497,2; vd 198) e viene invitato, salvo si tratti di minore infra
quattordicenne, a rendere la solenne dichiarazione di assunzione di responsabilità prescritta dall’art.497,2. Viene
quindi invitato a fornire le proprie generalità in attuazione del principio che vieta le testimonianze anonime.
Tuttavia, ex 497,2bis gli ufficiali e gli agenti di PG, nonché i dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza,
chiamati a deporre con riferimento alle attività svolte sotto copertura dovranno indicare le “generalità di copertura”
usate nel corso di tali attività.
L’esame incrociato dei testimoni (che si applica in quanto compatibile all’esame di ogni soggetto) è condotto in
prima persona dal PM e dai difensori, riservandosi al presidente, oltre la direzione e la vigilanza, soltanto poteri
suppletivi. Ex 498, l’esame diretto viene condotto dalla parte che ha chiesto l’esame del testimone, cui spetta di
porre le domande per prima. Successivamente, le altre parti effettueranno il controesame, al termine del quale chi
ha chiesto l’esame può porre altre domande si ammette al riguardo che a queste possa seguire un ulteriore
controesame e così via si ricordi che dovendo le domande essere pertinenti, il campo via via si stringerà fino ad
esaurirsi. Va, poi, ricordato che non sono inutilizzabili le dichiarazioni del testimone che rifiuti di sottoporsi all’esame
o al controesame di una delle parti (500,3).
L’art.499,1 prevede che l’esame si svolga mediante domande su fatti specifici, cioè “a domanda e risposta”, senza
consentire al testimone di raccontare liberamente la sua esperienza, e deve avvenire sui fatti che costituiscono
oggetto di prova (vd 187). Spetta al presidente assicurare la pertinenza delle domande e a tal fine lo stesso ha il
potere di escluderle; dev’essere inoltre garantita la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle
contestazioni (499,6). Il presidente può intervenire direttamente, anche d’ufficio; altrimenti, sulle opposizioni
formulate dalle parti decide immediatamente e senza formalità (504). Domande espressamente vietate sono anche
quelle che possono nuocere alla sincerità delle risposte (499,2), cioè alla corrispondenza tra la dichiarazione e i fatti
percepiti (da distinguersi dalla genuinità delle risposte: tutela l’intenzione del testimone). Fra le domande nocive
particolari sono quelle suggestive (cioè quelle che tendono a suggerire le risposte), che sono vietate nell’esame
diretto ma non nel controesame (499,3) (il controesame è un mezzo per saggiare l’attendibilità del testimone).
Prevalentemente nel controesame, ma potrebbe avvenire anche nell’esame diretto, si farà uso della facoltà di
estendere l’interrogazione, ai sensi dell’art.194,2, alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutare la
credibilità del testimone. Un limite comunque invalicabile è rappresentato dal rispetto della persona, la cui tutela
deve essere curata dal presidente (499,4).
Particolari cautele sono prescritte quando il testimone è un minorenne: in tal caso, l’esame viene condotto di regola
dal presidente (su domande e contestazioni proposte dalle parti), che può avvalersi dell’ausilio di un familiare del
minorenne o di un esperto in psicologia infantile (498,4). Anche nel caso di maggiorenne infermo di mente
dev’essere il presidente a condurre l’esame, quando constati che l’esame diretto e il controesame ad opera delle
parti possa nuocere alla tutela della personalità del testimone. In ogni caso, su richiesta di parte o d’ufficio, l’esame
del minore e del maggiorenne infermo di mente può svolgersi con modalità particolari previste dall’art. 398,5bis,
anche in luogo diverso dal tribunale (498,4bis). Inoltre, quando si procede per i delitti di pedofilia e di violenza
sessuale o concernenti la tratta delle persone, nonché per il delitto di atti persecutori, ovvero di maltrattamenti
contro familiari e conviventi, il minore vittima del reato e il maggiorenne infermo di mente vengono esaminati, su
richiesta loro o del difensore, mediante l’uso di un vetro a specchio con impianto citofonico (498,4ter). Infine, ex
498,4ter quando occorre procedere all’esame di una persone offesa in condizioni di particolare vulnerabilità, il
giudice, su richiesta della persona offesa o del suo difensore, dispone l’adozione di modalità protette. Sempre nei
procedimenti per i delitti di cui sopra, sono espressamente vietate, se non necessarie alla ricostruzione del fatto,
domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa (472,3bis).
Dopo l’esame dei testimoni, periti e consulenti tecnici, vengono esaminate le parti che ne abbiano fatto richiesta o
che vi abbiano consentito (503). Anche l’imputato può scegliere se sottoporsi ad esame (e al successivo
controesame). Ricordiamo che in seguito alla sentenza Corte cost. 361/1998 l’imputato non può sottrarsi all’esame
se citato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altre persone allo scopo in deroga
all’art.490 può essere accompagnato anche coattivamente. Non viene meno però la facoltà di non rispondere.
L’esame dell’imputato su fatto proprio resta invece facoltativo. Tuttavia, tale facoltà appare solo apparente. Dal
momento che l’esame può essere richiesto anche dalle altre parti , l’imputato è tenuto ad opporre un rifiuto se non
vuole esservi assoggettato in tal caso però ex 513,1 diventano leggibili, e quindi utilizzabili, nei suoi confronti per
la decisione, i verbali delle dichiarazioni rese in precedenza al PM o alla PG da questi delegata o al gip o al gup.
D’altro canto, gli stessi verbali possono essere utilizzati per le contestazioni e allegati al fascicolo per il dibattimento,
se l’imputato accetta l’esame, a norma dell’art.503 comi 5 e 6. In questo modo il contributo dell’imputato diventa
obbligatorio. Resta ferma la facoltà di non rispondere alle singole domande in tal caso, infatti, il semplice rifiuto di
rispondere non è contemplato dall’art. 513 come motivo di lettura dei relativi verbali, né è possibile la contestazione
delle precedenti dichiarazioni, perché non prevista dall’art. 503. Va però considerato che della mancata risposta ex
209,2 deve farsi menzione nel verbale, secondo la maggioranza degli interpreti di tale silenzio il giudice può
tenere conto come argomento utile per la decisione. L’imputato che non volesse collaborare in alcun modo non
avrebbe scelta migliore che restare in silenzio fin dal momento delle indagini preliminari, in occasione di ogni
contatto con l’AG, si tratti del PM o del giudice (anche quando l’interrogatorio è disposto in funzione di garanzia,
come avviene in caso di custodia cautelare). In alternativa all’esame l’imputato può limitarsi a rendere dichiarazioni
spontanee, che gli sono consentite ex 494 in ogni stato del dibattimento queste non sono contemplate fra i mezzi
di prova e hanno valore argomentativo per la ricostruzione dei fatti, tuttavia hanno il vantaggio di non essere
condizionate dalle domande e di non essere seguite da un controesame. Secondo l’art.150 disp.att. l’esame delle
parti ha luogo appena terminata l’assunzione delle prove a carico. La sua collocazione non dipende perciò da chi ha
formulato la richiesta. Per quanto riguarda le regole da osservarsi, si applicano quelle concernenti l’esame dei
testimoni. Poteri di iniziativa probatoria sono attribuiti anche al giudice (506 e 507). In particolare:
- il presidente anzitutto deve indicare i temi di prova nuovi o più ampi, sui quali spetta comunque alle parti
condurre l’esame (ed eventualmente chiedere l’ammissione di nuove prove). Tale potere verrà esercitato solo al
termine dell’istruzione dibattimentale, in base ai risultati delle prove assunte o a seguito delle letture disposte
(506,1) il giudice infatti può svolgere tale funzione suppletiva solo dopo che gli sono noti i fatti e le prove;
- il presidente può rivolgere domande alle persone già esaminate, salvo il diritto delle parti di concludere l’esame
(506,1). Anche in questo caso si tratta di una integrazione dell’attività delle parti, che interviene quando queste
ultime hanno esaurito le loro domande, per contribuire alla completezza dell’escussione, anche mediante la
richiesta di precisazioni o chiarimenti tale iniziativa può essere utile quando le parti non accolgono l’invito ad
ampliare il tema della prova.
- al collegio, in via eccezionale, è consentita, terminata l’acquisizione delle prove richieste dalle parti, l’acquisizione
d’ufficio di nuovi mezzi di prova, ma solo quando ciò risulti assolutamente necessario (507). L’assunzione può
anche essere richiesta dalle parti (quando emergano mezzi di prova di cui non sia stato possibile ottenere
l’ammissione nei tempi stabiliti), e in tal caso il giudice deve provvedere espressamente sulla domanda secondo le
regole generali. Il comma 1bis dell’art. 507 prevede inoltre che possa essere disposta d’ufficio l’assunzione di mezzi
di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento su accordo delle parti: ciò nel caso in cui il giudice
ritenga di dover verificare direttamente le prove risultanti dai verbali del PM o dalla documentazione del difensore .
Per alcuni, il potere del giudice di assumere le prove d’ufficio, potendosi esercitare solamente terminata
l’acquisizione delle prove, può esercitarsi solamente quando lo stesso trova fondamento nei risultati dell’istruzione
dibattimentale per cui le nuove prove non sarebbero ammissibili né quando l’assoluta necessità di acquisirle non
sia evidenziata dall’escussione di quelle già esistenti, né a maggior ragione nel caso in cui le prove manchino del
tutto essendo le parti decadute ex 468 dal potere di ottenerne l’ammissione, e nel fascicolo dibattimentale non
compaiano atti leggibili aventi rilevanza probatoria. Le SS.UU. che però non la pensano così hanno, invece, affermato
che il potere di assunzione ex officio di nuove prove riconosciuto al giudice dibattimentale dall’art. 507 sussiste
anche nel caso in cui non vi sia stata in precedenza alcuna acquisizione delle prove. Gli resta, tuttavia, precluso
andare alla ricerca degli elementi a sostegno di una propria ipotesi ricostruttiva non verificata, dovendo comunque
emergere con evidenza dagli altri atti del processo il valore dimostrativo della prova da assumere. Dato che la prova
ex 507 non è stata richiesta dalle parti spetta al presidente iniziare l’esame, allo scopo di verificare se la prova
deve essere attribuita all’accusa o alla difesa, e di stabilire, conseguentemente, a chi spetti l’esame diretto e a chi il
controesame (151,2 disp.att.).

19. Divieti di utilizzazione.


Ex art.191 le prove assunte dal giudice in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate.
Si tratta di una regola di condotta per il giudice che, se non osservata, vizia la decisione, in quanto le prove non
utilizzabili non possono essere considerate nella motivazione della sentenza che, in caso contrario, sarà assoggettata
ad annullamento da parte della Corte di cassazione ex 606,1 lett. c. Del resto in logica analoga si inserisce il caso di
ricorso previsto dall’art. 606,1 lett. d per la mancata assunzione di prova contraria, dove si può leggere una specifica
attenzione per i problemi di diritto probatorio. In altre parole, in sede di legittimità è richiesto, accanto al controllo
sulla motivazione della sentenza, un controllo sul rispetto del contraddittorio e delle regole probatorie, in coerenza
con l’originaria scelta accusatoria. L’art.191 risulta direttamente applicabile alla violazione delle norme concernenti
l’acquisizione della prova in giudizio per il tramite dell’art.526,1 che vieta di utilizzare ai fini della deliberazione
prove diverse da quelle legittimamente acquisite, escludendo perciò gli elementi raccolti fuori dal dibattimento che
non vi abbiano trovato ingresso nelle forme consentite. Dunque, per la decisione il giudice potrà utilizzare, oltre alle
prove escusse nell’istruzione dibattimentale, gli atti contenuti nel fascicolo dibattimentale a condizione che siano
stati effettivamente acquisiti mediante lettura o indicazione, nonché i verbali delle dichiarazioni impiegate per le
contestazioni, nei casi di allegazione al fascicolo, e le altre letture consentite dalla legge; ed ancora, i documenti
ammessi, inclusi i verbali di prove di altre procedimenti acquisiti ex 238, le sentenze irrevocabili acquisite ex 238bis,
e le prove reali (corpo del reato e cose pertinenti al reato). Ricordiamo anche qui l’art. 526bis che riproduce lo
specifico divieto introdotto dall’art. 111 Cost anche questo divieto comporta l’inutilizzabilità della prova ai sensi
dell’art. 191, operando in particolare nei casi in cui le dichiarazioni indicate sarebbero state acquisibili secondo le
regole generali.

20. Modificazioni dell’accusa.


Principio fondamentale inerente alla fase del giudizio è quello della correlazione tra accusa e sentenza, secondo il
quale il giudice non può pronunciarsi su un fatto che non sia stato preventivamente portato a conoscenza
dell’imputato nei modi stabiliti dalla legge; e corrispondentemente l’imputato ha diritto di essere giudicato solo per
il fatto che gli è stato formalmente addebitato. Se l’accertamento conclusivo non coincide con i termini dell’accusa il
giudice deve esimersi dal decidere, trasmettendo gli atti al PM affinché provveda a formulare una nuova
imputazione (521,2)  e in tal caso il processo ricomincia dall’inizio. Tuttavia, se nel corso dell’istruzione
dibattimentale, il fatto risulta diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio, e non appartiene alla
competenza di un giudice superiore, al PM è consentito modificare e integrare l’accusa (“il PM modifica
l’imputazione e procede alla relativa contestazione”) enunciata ex 429 nel decreto che dispone il giudizio, senza
impedire la prosecuzione del dibattimento (516,1). Ciò però a condizione che il fatto storico, sebbene diversamente
configurato, rimanga sostanzialmente lo stesso, o comunque che la contestazione sia “inerente ai fatti oggetto di
giudizio”.
La modifica della contestazione è ex 516 un potere esclusivo del PM e va effettuata personalmente all’imputato:
se questi è assente, deve essergli portata a conoscenza mediante la notifica per estratto del verbale del
dibattimento (520). Sulla contestazione effettuata dal pm il giudice non esercita un controllo preventivo, ma potrà
pronunciarsi solo al momento della decisione. Ovviamente, la nuova contestazione non può consentire al giudice di
eccedere dai limiti della propria competenza: pertanto, se si configura un reato di competenza superiore, va
pronunciata ex 23 sentenza di incompetenza, con trasmissione degli atti al PM presso il giudice competente. Se si
procede davanti al giudice monocratico e il reato risulta attribuito, in seguito alla contestazione, al tribunale in
composizione collegiale, il difetto di composizione dev’essere rilevato o eccepito immediatamente dopo la nuova
contestazione ovvero, nel caso che la contestazione comporti la sospensione del dibattimento, all’inizio della nuova
udienza (516,1bis). Lo stesso vale ove in luogo di un reato per il quale non doveva essere tenuta l’udienza
preliminare, ne risulti uno che la prevede 516,1ter). In entrambi i casi va disposta, con ordinanza, la restituzione
degli atti al PM (33septies,2; 521bis,1).
Analoga disciplina è prevista per l’istituto della contestazione suppletiva, che si caratterizza per un ampliamento
dell’oggetto del giudizio. L’art.517 la limita ai casi in cui emerga un reato connesso ex 12 lett. b (perché in concorso
formale o in rapporto di continuazione) con quello per cui si procede ovvero emerga una circostanza aggravante
in questi casi il PM contesta all’imputato il reato o la circostanza, purchè la competenza non appartenga ad un
giudice superiore (517). Si applicano anche qui le disposizioni previste dall’art.516 commi 1bis e 1ter. Si tenga, però,
presente che anche in mancanza della contestazione in dibattimento, qualora per i reati concorrenti si dovesse
pervenire all’emanazione di più sentenze irrevocabili di condanna, la disciplina sostanziale del concorso formale e
della continuazione (81 c.p.) sarebbe applicabile, a vantaggio del condannato, nella fase dell’esecuzione (671,1); ciò
non vale, invece, per le circostanze aggravanti, che se non contestate non possono più essere prese in
considerazione ex 649 è vietato un secondo giudizio per lo stesso fatto anche se diversamente circostanziato.
Nel caso di modifica dell’imputazione o di contestazione suppletiva, l’imputato potrebbe avere interesse ad
ottenere il giudizio abbreviato o il patteggiamento; tuttavia, con l’istruzione dibattimentale già in corso, il potere di
formulare tali richieste risulterebbe venuto meno essendo il termine ultimo fissato, di regola, in coincidenza con le
conclusioni formulate in udienza preliminare, ovvero, in casi particolari, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento. Al riguardo si sostiene che tali preclusioni non comportino una ingiustificata compressione del diritto
di difesa, in quanto la possibilità di una modifica dell’imputazione in dibattimento dovrebbe rientrare tra le
valutazioni che l’imputato dovrebbe compiere ai fini della scelta del rito l’imputato se ne assume il rischio.
Ciononostante, secondo la Corte cost. (cha ha dichiarato illegittimi gli artt.516 e 517), quando la valutazione è stata
condizionata dall’erroneità dell’imputazione o dalla sua incompletezza, addebitabile al PM perché il fatto risultava
già dagli atti d’indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale, ovvero quando l’imputato ha
tempestivamente formulato una richiesta di patteggiamento ingiustamente negato, il giudice deve pronunciarsi
sull’eventuale patteggiamento che l’imputato abbia avanzato relativamente alla nuova contestazione. La stessa
Corte cost. ha esteso il medesimo principio alla richiesta di giudizio abbreviato, nel caso di contestazione tardiva e
quindi patologica, di un reato concorrente ovvero di profili di diversità del fatto ovvero ancora nel caso di
aggravante, che il PM erroneamente non avesse contestato prima del rinvio a giudizio in tali casi il giudizio
abbreviato va innestato nel dibattimento.
Si segnala inoltre un mutamento di opinione della Corte cost. la quale, anche se limitatamente al giudizio
abbreviato, ha affermato che a prescindere dalla modifica dell’imputazione – sia essa “patologica” in quanto
risultante dagli atti di indagine preliminare, ovvero “fisiologica” in quanto dovuta alle prove acquisite nel
dibattimento – ogni qualvolta muti il tema dell’accusa l’imputato deve poter rivedere le proprie opinioni riguardo il
rito da seguire, così ammettendo quest’ultimo a richiedere il giudizio abbreviato anche relativamente al reato
concorrente e al fatto diverso emersi nel corso dell’istruzione dibattimentale. Il nuovo corso delle giurisprudenza
costituzionale, riferito inizialmente al solo rito abbreviato in rapporto alle ipotesi della contestazione suppletive e
del fatto diverso, ha infine trovato attuazione pure per l’applicazione della pena su richiesta, superando così i limiti
indicati a questo riguardo nelle prime decisioni sul punto: con la conclusione che in tutti i casi di modifica, anche
fisiologica, dell’imputazione va riconosciuta all’imputato la possibilità di accedere tanto al giudizio abbreviato che al
patteggiamento. Inoltre, l’incostituzionalità degli artt.516 e 517 era stata dichiarata anche con riferimento
all’omessa previsione della facoltà di domandare l’oblazione per il reato concorrente o per il fatto diverso risultante
dalla modifica dell’imputazione, poiché tale facoltà non può che sorgere nel momento stesso in cui il reato viene
contestato la legge 479/1999 tuttavia ha risolto tale aspetto modificando in conformità gli artt.162bis,7 c.p. e
141,4bis disp.att.
La disciplina cambia quando dal dibattimento risulta un fatto totalmente diverso, per il quale si potrebbe instaurare
un procedimento separato. Tale figura (cui ci si riferisce con la nozione di fatto nuovo) è diversa da quella appena
vista (cui ci si riferisce con la nozione di fatto diverso), in cui la modifica di alcune connotazioni del fatto non ne fa
venir meno l’identificazione con quello per cui si procede (criterio distintivo il fatto nuovo può coesistere con
quello per cui si procede, laddove il fatto soltanto diverso risulta incompatibile con la ricostruzione iniziale). Es: è
naturalisticamente impossibile aver cagionato la morte del medesimo uomo in giorni differenti (fatto diverso); al
contrario, l’offesa all’onore di una persona può cumularsi con la minaccia nei confronti della stessa (fatto nuovo)
Oltre ciò, una linea di demarcazione fissa non è possibile, ma è da rinvenire caso per caso. La distinzione trova il suo
principale significato quando il fatto nuovo non si aggiunge a quello originariamente contestato, ma in base alle
risultanze dibattimentali lo sostituisce integralmente: allora è indispensabile una formale assoluzione
dall’imputazione originaria. In tal caso, infatti, l’accusa non potrebbe essere semplicemente modificata, poiché
verrebbe a configurarsi una ritrattazione, non consentita, dell’azione penale già esercitata, in quanto la stessa
risulterebbe astrattamente compatibile con la formulazione dell’altra imputazione.
Ex 518,2 il fatto nuovo può essere contestato in dibattimento dal PM solo con il consenso dell’imputato, e
sempreché non ne derivi pregiudizio per la speditezza dei procedimenti. Perciò, in tal caso, la contestazione
dev’essere autorizzata dal presidente, e non può comunque essere effettuata se l’imputato non è presente. Se non
ha luogo la contestazione, si procede separatamente nelle forme ordinarie ex 518,1 soluzione che potrebbe
essere più gradite alle parti in vista della possibilità di accordarsi per il rito abbreviato o per il patteggiamento
proprio per questa facoltà dell’imputato di non prestare il proprio consenso alla contestazione in udienza è esclusa
la possibilità di chiedere il patteggiamento o il rito abbreviato in udienza stessa. Proprio in ragione della facoltà
riconosciuta all’imputato di non consentire alla contestazione, in udienza, va ritenuto qui inapplicabile il principio
pronunciato dalla corte costituzionale circa la possibilità di chiedere il patteggiamento o il giudizio abbreviato in caso
di fatto diverso o di contestazione suppletiva. Ex 519 quando è avvenuta, nelle varie forme, una contestazione
dibattimentale, l’imputato, informato al riguardo dal giudice, ha diritto, se lo richiede, ad un termine a difesa non
inferiore a quello per comparire in giudizio ex 429 (20gg) e non superiore a 40gg. Dal canto suo, la persona
danneggiata dal reato contestato in via suppletiva ha diritto di costituirsi parte civile in apertura della nuova udienza
successiva a tale contestazione.
In ogni caso è possibile l’ammissione di nuove prove; in tale ambito l’art.519,2 prevede da un lato che le prove
possano essere richieste solo dall’imputato; dall’altro che tali prove siano quelle di cui all’art.507, che ricordiamo
sono le prove che possono essere assunte solo eccezionalmente al termine dell’istruzione dibattimentale solo se
risultano assolutamente necessarie la Corte cost. ha dichiarato illegittimo l’art.519 nella parte in cui non prevede
la facoltà di richiedere le prove per tutte le parti, travolgendo anche l’inciso “a norma dell’art.507”. Per cui a seguito
di tale intervento è possibile l’ammissione di nuove prove secondo le regole generali (495 in relazione agli artt.190
e 190bis) e il potere di formulare la relativa richiesta spetta a tutte le parti. Ex 522 la violazione delle norme sulle
nuove contestazioni è causa di nullità della sentenza di condanna (178,1 lett. b e c). La nullità è parziale – si
riferisce cioè solo ai fatti o alle circostanze non regolarmente contestate, mentre resta valida la decisione sull’accusa
principale – quando la condanna sia pronunciata in relazione ad un fatto nuovo, ad un reato concorrente o ad una
circostanza aggravante. Il giudice non può controllare preventivamente la correttezza della contestazione sulla quale
ha comunque il dovere di decidere. Se però questa è avvenuta fuori dai casi consentiti (521,3), il giudice dispone
con ordinanza la restituzione degli atti al PM, il quale dovrà riformulare l’imputazione. La stessa disposizione si
applica, in ossequio al principio della correlazione fra accusa e sentenza, qualora il giudice ritenga il fatto diverso da
come descritto nel decreto che dispone il giudizio, senza che il PM abbia provveduto a modificare l’accusa; ovvero
quando l’accusa sia stata erroneamente modificata (521,2).
Tale potere di ufficio, che introduce una connotazione inquisitoria nel sistema, non sarebbe ammissibile in un
processo di parti in senso proprio infatti in tali casi a livello teorico sarebbe stato più coerente non consentire la
restituzione degli atti e pronunciare assoluzione nel merito per essere l’accusa, nei termini definitivamente formulati
dal PM, risultata infondata. Tuttavia, una sentenza del genere, una volta passata in giudicato, avrebbe precluso, in
forza del divieto del ne bis in idem di cui all’art. 649, l’instaurazione di un nuovo procedimento sull’imputazione
corretta, essendo il fatto da considerare sostanzialmente il medesimo ai fini di questa disposizione: in tal modo
verrebbe perciò lasciato al PM il potere di disporre, in pratica, del risultato del processo, in contrasto con
l’obbligatorietà dell’azione penale.
Nella medesima logica è consentito al giudice ex 521,1 dare una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata
nell’imputazione. Si tratta di una conclusione obbligata posto che le richieste del PM non sono vincolanti tuttavia
la modifica del titolo di reato non è affatto irrilevante dal punto di vista del diritto di difesa e non sarebbe stato
inopportuno assoggettarla a garanzie analoghe a quelle previste per la modifica del fatto, soprattutto nei casi in cui
dalla diversa qualificazione giuridica discenda una pena più grave. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha, infatti,
constatato in simili ipotesi la violazione da parte della Cassazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. a e b relativo al diritto
all’equo processo perché, fermo restando in capo al giudice la facoltà di riqualificare i fatti, deve essere comunque
assicurata agli imputati l’opportunità di esercitare il proprio diritto di difesa in modo concreto ed effettivo ciò
implica che gli imputati siano informati , in tempo utile, anche della qualificazione giuridica dei fatti d’accusa. In esito
a tale giudizio la Cassazione ha riaperto il processo per consentire all’imputato di difendersi con riferimento alla
nuova fattispecie di reato se ne deduce che, in caso di modifica dibattimentale, sia ora diventata sempre doverosa
la contestazione della corretta qualificazione giuridica prima della pronuncia di una sentenza di condanna. Se la
nuova qualificazione comporta un difetto di competenza, o richiede la composizione collegiale del tribunale o
l’udienza preliminare, le conseguenze sono identiche a quelle indicate, negli stessi casi, per le nuove contestazioni
del fatto (521,1 e 521bis,1).
21. Deliberazione e pubblicazione della sentenza.
Alla discussione finale, cui è dedicato l’art.523, le parti intervengono per le conclusioni nello stesso ordine stabilito
per l’esposizione introduttiva e per l’assunzione delle prove (PM, difensori parte civile, del responsabile civile, della
persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato); il presidente dirige e modera la discussione
evitando divagazioni, interruzioni e ripetizioni. Il PM e i difensori delle parti private possono poi replicare una sola
volta, fermo restando che imputato e suo difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi se la
domandano. La discussione non può essere interrotta per l’assunzione di nuove prove, se non in caso di assoluta
necessità in tal caso il giudice provvede a norma dell’art. 507. Esaurita la discussione, il presidente dichiara chiuso
il dibattimento (524). Dopo la chiusura del dibattimento è deliberata la sentenza, e a tal proposito l’art.525 enuncia i
principi dell’immediatezza della deliberazione e dell’immutabilità del giudice (a pena di nullità assoluta). Della
deliberazione collegiale si occupa l’art.527 il quale dispone che:
1. Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide separatamente le questioni preliminari non ancora risolte e
ogni altra questione relativa al processo. Qualora l'esame del merito non risulti precluso dall'esito della votazione,
sono poste in decisione le questioni di fatto e di diritto concernenti l'imputazione e, se occorre, quelle relative
all'applicazione delle pene e delle misure di sicurezza nonché quelle relative alla responsabilità civile.
2. Tutti i giudici enunciano le ragioni della loro opinione e votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto
espresso sulle altre. Il presidente raccoglie i voti cominciando dal giudice con minore anzianità di servizio e vota per
ultimo. Nei giudizi davanti alla corte di assise votano per primi i giudici popolari, cominciando dal meno anziano per
età.
3. Se nella votazione sull'entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti
espressi per la pena o la misura di maggiore gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente
inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza. In ogni altro caso, qualora vi sia parità di voti, prevale la
soluzione più favorevole all'imputato.
Una volta conclusa la deliberazione, di regola, si dovrebbe procedere subito dopo a redigere una concisa
esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata (544,1), in modo che possano essere letti o
esposti riassuntivamente in udienza assieme al dispositivo ex 545,2. La motivazione contestuale, inoltre, dovrebbe
assicurare la massima sinteticità e una maggiore corrispondenza tra ragioni esposte e quelle su cui effettivamente si
basa la decisione. La redazione immediata dei motivi in camera di consiglio è tuttavia solo facoltativa (in concreto
inutilizzata), in quanto il giudice, qualora non sia possibile, può provvedere alla redazione dei motivi non oltre il 15°
giorno (544,2) da quello della pronuncia, depositando la sentenza in cancelleria secondo le statuizioni dell’art. 548,
rilevanti ai fini dell’esercizio del diritto di impugnazione.
In casi di particolare complessità, lo stesso giudice può anche indicare un termine più lungo, non eccedente i 90gg
(544,3). I termini per la stesura della motivazione e per il deposito della sentenza non sono perentori e dal loro
mancato rispetto non deriva alcuna conseguenza processuale. Fra i requisiti della sentenza elencati nell’art.456
comma 1 (come modificato dalla riforma Orlando) speciale rilievo assumono l’indicazione delle conclusioni delle
parti, la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, l’indicazione dei risultati
acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati, nonché l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice
ritiene non attendibili le prove contrarie. La sentenza deve, dunque, dar conto, oltre che degli argomenti del giudice,
anche di quelli delle parti; la critica delle prove contrarie, in particolare, è necessaria per dare un contenuto
sostanziale a quel diritto alla controprova di cui all’art.495 comma 2, che non è soltanto diritto all’ammissione, ma
anche diritto alla valutazione della prova. L’art.546 comma 1 enuncia, in particolare, i punti specifici sui quali deve
articolarsi la motivazione, riguardanti rispettivamente l’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono
all’imputazione e la loro qualificazione giuridica; la punibilità e la determinazione della pena e della misura di
sicurezza; la responsabilità civile; l’accertamento dei fatti processuali. Si definisce così un modello che l’art.581,
nell’enunciare i requisiti dell’impugnazione, richiama come parametro della specificità dei motivi – prescritta a pena
di inammissibilità – e dei limiti della devoluzione. La mancanza della motivazione è causa di nullità della sentenza, e
comunque costituisce un autonomo motivo di ricorso per cassazione (ex art.606 comma 1 lett.e).
22. Contenuto della decisione.
Per quanto riguarda la sentenza dibattimentale, il codice disciplina anzitutto il proscioglimento nel merito, che
comporta una sentenza di assoluzione (530), separatamente dal proscioglimento per improcedibilità o per
estinzione del reato, che comporta una sentenza di non doversi procedere (529 e 531). Elenca poi le formule di
assoluzione tradizionali, delle quali è richiesta la specificazione nel dispositivo. Le formule “il fatto non sussiste” e
“l’imputato non ha commesso il fatto” configurano l’assoluzione più ampia, poiché negano il presupposto storico
dell’accusa (perciò la sentenza è inappellabile dall’imputato, non essendo possibile un esito a lui più favorevole).
Invece, si assolve perché il fatto “non costituisce reato” quando il fatto stesso sussiste ed è stato commesso
dall’imputato, ma manca uno degli elementi della fattispecie, ovvero risulta presente una causa di giustificazione.
Solo se è accertato un fatto costituente reato, poi, si può assolvere “perché il reato è stato commesso da persona
non imputabile o non punibile per un’altra ragione” (vi rientra anche la causa di non punibilità per particolare
tenuità del fatto ex 131bis c.p.). Tra le formule d’assoluzione vi è poi quella relativa al “fatto non previsto dalla legge
come reato”, stabilita per il caso in cui l’accusa non corrisponda ad alcuna fattispecie legale (es. abolitio criminis), e
precede, logicamente, il “fatto non costituisce reato”.
Nel caso del fatto incerto, è prescritta l’assoluzione qualora la prova manchi, sia insufficiente o contraddittoria
(530,2). In particolare, l’insufficienza non è logicamente differente dalla mancanza di prove, in quanto dipende
dall’atteggiamento del soggetto giudicante in ordine alla gravità della lacuna probatoria; la contraddittorietà va
riferita all’ipotesi in cui sussistano prove sufficienti a carico dell’imputato, alle quali però si contrappongono prove a
discarico di uguale valore, senza consentire la formulazione di un giudizio certo in nessuna delle due direzioni. Tale
impossibilità di giungere ad un accertamento della colpevolezza conduce alla pronuncia di una formula che
corrisponde ad un accertamento positivo dell’innocenza alla luce della presunzione di non colpevolezza ex 27,2 cost.
Si va nel senso dell’assoluzione poi anche nel caso si dubbio concernente l’esistenza di una causa di giustificazione
o di una causa personale di non punibilità (530,3) ovviamente non spetterà al PM provare l’inesistenza di tutte le
possibili cause di giustificazione (o di quella in concreto allegata dalla difesa); tuttavia, all’imputato è sufficiente far
sorgere il dubbio sulla presenza di una di esse, fornendone una prova incompleta, per aver diritto all’assoluzione.
Analoga disciplina è prevista per il dubbio sull’esistenza di una condizione di procedibilità (529,2), o sull’esistenza di
una causa di estinzione del reato (531,2). Il dubbio, naturalmente, non è riferito alle questioni di diritto, ma ai
presupposti di fatto, rilevanti ai fini dell’accertamento della fattispecie procedimentale o della vicenda estintiva.
L’estinzione del reato, in ogni caso, non può essere dichiarata quando risulta evidente una causa di assoluzione nel
merito, più favorevole per l’imputato, secondo quanto disposto dall’art. 129,2. Lo stesso non vale per
l’improcedibilità, in quanto l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita, e quindi al giudice è preclusa
non solo la condanna, ma anche l’assoluzione.
L’art.533 si occupa invece della sentenza di condanna. Affinché possa essere pronunciata sentenza di condanna,
l’imputato deve risultare colpevole (non più in chiave residuale, ovvero colpevole solo fuori dai casi di
proscioglimento come avveniva prima)del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio, dove per
“ragionevole dubbio” si intende un alto grado di probabilità che l’imputato abbia commesso il fatto. Con la sentenza
di condanna il giudice decide anche sull’azione civile esercitata nel processo penale. Quando condanna l’imputato
(e l’eventuale responsabile civile) al risarcimento, è tenuto a provvedere contestualmente alla liquidazione (538,2),
ma se le prove acquisite non lo consentono può pronunciare condanna generica. Solo in quest’ultima ipotesi gli è
consentito rimettere le parti davanti al giudice civile (539,1): la parte civile può allora ottenere la condanna al
pagamento di una provvisionale (539,2), che per legge è immediatamente esecutiva (540,2). Il comma 2-bis
dell’art.539, aggiunto nel 2018, in favore degli orfani per crimini domestici, prevede che in caso di condanna per
omicidio del coniuge, anche legalmente separato o divorziato, dell’altra parte dell’unione civile, anche se l’unione
civile è cessata, o della persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza, la provvisionale
debba essere assegnata, anche d’ufficio, ai figli della vittima (minorenni o maggiorenni economicamente non
autosufficienti, costituiti parte civile), in misura non inferiore al 50% del presumibile danno da liquidare in sede
civile. La condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno, viceversa, può essere dichiarata provvisoriamente
esecutiva, a richiesta della parte civile, quando ricorrono giustificati motivi, valutati discrezionalmente (540,1).
L’art.537-bis, introdotto nel 2018, prevede che in caso di condanna per uno dei fatti previsti dall’art.463 c.c. (gravi
delitti contro la persona della cui successione si tratta, falsità in testamento e simili), il giudice debba anche
dichiarare l’indegnità dell’imputato a succedere.

CAPITOLO 8 – PROCEDIMENTO DAVANTI AL TRIBUNALE IN


COMPOSIZIONE MONOCRATICA
1. Premessa. Il procedimento davanti all’organo giurisdizionale monocratico: dalle direttive della legge
delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale alla riforma del giudice unico.
A differenza di quanto avveniva nel codice del 1930, all’interno del quale l’attenzione per il procedimento pretorile si
esauriva in poche disposizioni scarse, evidenzianti i casi di deroga rispetto alla disciplina generale, nell’attuale codice
le previsioni che davano e danno corpo alla diversità del procedimento sono state collocate in un libro apposito, il
libro VIII, all’origine rubricato “procedimento davanti al pretore”, e successivamente, a seguito della sostituzione
operata con il d.lgs. 51/1998, intitolato “procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica”.
Da un punto di vista strutturale, tale procedimento risultava contraddistinto dall’assenza dell’udienza preliminare,
pertanto ben avrebbe potuto essere ricondotto tra i procedimenti speciali. Tuttavia, la diversa scelta dei redattori
del codice non appariva affatto meritevole di censura: la collocazione autonoma indubbiamente mirava a
sottolineare la consistenza qualitativa e quantitativa tutt’altro che marginale delle fattispecie penali che potevano
essere giudicato dall’organo giurisdizionale monocratico. Nella direttiva contenuta nell’art.2 n.12 della legge delega
trovò ampia conferma la tendenza a potenziare la competenza pretorile, che già aveva interessato negli ultimi anni
di vigenza il codice del 1930: al giudice monocratico spettavano i procedimenti aventi ad oggetto tutti i reati
contravvenzionali ed i delitti punibili con la pena della multa o con quella della reclusione non superiore nel massimo
a 4 anni, nonché altri specificatamente indicati. E l’elencazione fornita dall’art.7 comma 2 (poi abrogato dal d.lgs.
51/1998) ricomprendeva fattispecie di sicura rilevanza statistica e sociale, quali l’omicidio colposo, il furto aggravato,
la truffa aggravata e la ricettazione.
Per quanto riguarda le forme del procedimento, il rito pretorile era basato su criteri di massima semplificazione,
con esclusione dell’udienza preliminare e con possibilità di incidenti probatori solo in casi eccezionali. La prima
esigenza così enunciata trovava un’immediata esplicitazione nella medesima direttiva, laddove si prevedeva la
necessità di una distinzione delle funzioni tra pm e giudice, da attuarsi mediante una modifica dell’ordinamento
giudiziario. Si poneva così fine alla figura del pretore inquisitore, legittimato ad iniziare l’azione penale per i reati di
sua competenza ed a provvedere a quant’altro rientrasse nella funzione del pm; con l’unica eccezione dell’udienza
dibattimentale, dove detta funzione era esercitata da un uditore giudiziario, un vicepretore anche onorario, un
funzionario di pubblica sicurezza, un avvocato o da un altro soggetto, la cui capacità di contribuire al contraddittorio,
tuttavia, risultava fortemente compromessa, visto che quasi sempre veniva nominato poco prima dell’udienza del
dibattimento. Pure la ricerca di una massima semplificazione aveva ricevuto traduzione all’interno della stessa
direttiva n.103, in forza della quale si prevedeva l’esclusione dell’udienza preliminare e la possibilità di incidenti
probatori solo in casi eccezionali. Peraltro, queste indicazioni non assumevano valore esaustivo a fronte di una
sottolineatura di un principio, quello della massima semplificazione, già nitidamente indicato nell’art.2 n.1 della
legge delega. Si imponeva quindi un ulteriore sforzo per il legislatore delegato nella delineazione di un modello
adeguato alle forme più snelle e rapide che si erano tradizionalmente accompagnate al procedimento pretorile,
essendosi sostenuto che il richiamo ai principi generali non dovesse essere interpretato come obbligo di rigida
adozione degli istituti disciplinati nella legge delega per il procedimento davanti al tribunale, bensì come mero
riferimento ai principi generali ispiranti tali istituti. In questa prospettiva, si ritenne che l’intento potesse essere
principalmente perseguito “attraverso la scelta di fondo di potenziare al massimo gli sbocchi diversi dal
dibattimento, trasformando la relativa fase da situazione ordinaria in evenienza eccezionale o residuale”.
La verifica sui testi codicistici portava tuttavia alla constatazione per cui né si era operata un’estensione delle ipotesi
applicative dei riti differenziati, né si era prevista una maggiore appetibilità degli stessi. Si era invece riconosciuto al
pm il potere di emettere il decreto di citazione a giudizio, senza alcuna verifica giurisdizionale: tale potere, come si
rileva nella relazione al progetto preliminare, doveva consentirgli principalmente una incisiva attività di smistamento
in vista dei vari sbocchi del procedimento. Del resto, in un rito nel quale mancava l’udienza preliminare, era apparso
del tutto congruo attribuire direttamente al pm i poteri di impulso processuale e di scelta del rito, da esercitarsi
anche mediante l’espressione nello stesso decreto di citazione a giudizio di un consenso anticipato al giudizio
abbreviato o al patteggiamento. La logica che sosteneva queste, come le altre deroghe al modello ordinario inserite
dai redattori del codice nel libro VIII, poggiava in larga misura su un equivoco ricorrente, opportunamente
evidenziato da parte della dottrina, l’equivoco secondo cui i fatti di minore rilievo sul piano penale consentirebbero
una trattazione processuale più agile e meno garantita in considerazione delle ridotte difficoltà di reperimento e di
valutazione della prova. Peraltro, una corretta ricerca della massima semplificazione avrebbe potuto essere invocata
per legittimare l’eliminazione delle attività che nell’esperienza giurisprudenziale si fossero rilevate inutili,
formalistiche, attraverso la previsione, se del caso, di moduli processuali flessibili, pronti a modificarsi in relazione
all’atteggiarsi della specifica situazione procedimentale: le esigenze di celerità e di speditezza sarebbero state così
coltivate in termini sostanzialmente corrispondenti al maggiore o minore livello di complessità espresso dalla
concreta vicenda giudiziaria, senza comprimere a prescindere da tale dato, e quindi, arbitrariamente, la tutela delle
garanzie dei soggetti coinvolti nel processo e l’affidabilità dell’accertamento giurisdizionale.
Le perplessità aumentarono con l’approvazione, poi, della l.n.254/1997 con cui si era delegato il Governo a
ristrutturare gli uffici giudiziari di primo grado secondo il modello del giudice unico: si era infatti soppresso sia
l’ufficio della procura della Repubblica presso la pretura, trasferendone le funzioni alla procura della Repubblica
presso il tribunale, sia l’ufficio del pretore, trasferendone le competenze al tribunale. Il tribunale a sua volta avrebbe
giudicato in composizione collegiale una percentuale ridotta di casi, per cui nella larghissima maggioranza delle
ipotesi sarebbe stato il tribunale in composizione monocratica a giudicare. In particolare, al di là delle singole
fattispecie di reato ricondotte all’organo collegiale, si era stabilito che il tribunale avrebbe trattato in composizione
collegiale “ogni delitto punito con la pena della reclusione superiore nel massimo a 20 anni” per cui, in difetto di
espressa previsione eccettuativa, risultavano devoluti al tribunale monocratico anche i procedimenti aventi ad
oggetto reati (anche molto gravi) puniti con pena massima di 20 anni. Il tutto senza alcun bilanciamento sul piano
dell’articolazione procedimentale, in quanto davanti al nuovo giudice monocratico si prescriveva tout court
l’osservanza delle norme processuali vigenti per il procediento dinanzi al pretore, le quali erano ispirate ad esigenze
di massima semplificazione. Nonostante il parziale recupero di spazi di operatività per il giudice collegiale con
l’abbandono dei criteri dell’art. 4 ai fini della determinazione della pena ex 33bis,2, tutto questo aveva sollevato
polemiche, per cui si rendeva opportuno ridisegnare il rito pretorile che non sembrava idoneo ad assicurare
sufficienti garanzie in rapporto a tipi di reato di rilevante gravità.
Con l’approvazione della l.n.479/1999 sarebbero state introdotte le modifiche suggerite dall’operatività delle nuove
regole sul giudice unico. La crescita significativa dei casi attribuiti al tribunale in composizione monocratica ha spinto
il legislatore ad effettuare con l’art.44 di detta legge un’integrale rivisitazione delle disposizioni previste nel libro VIII,
che si inserisce tra i tanti contenuti di un provvedimento normativo che ha fortemente inciso sull’intera dinamica
processuale. La nuova articolazione del rito monocratico, ricompresa negli artt.549-559, presenta svariati profili di
autonomia rispetto alla disciplina precedente. Sulla scia di quel recupero della collegialità che aveva già portato il
legislatore delegato ad abbandonare i criteri dettati nell’art.4 per la determinazione della pena nell’art.33-bis
comma 2, si sia deciso di modificare quest’ultima disposizione, con il ritorno del riferimento all’art.4 consentito in
conseguenza dell’avvenuta riduzione a 10 anni di reclusione del limite massimo entro cui i delitti potranno essere
oggetto di cognizione davanti all’organo monocratico.
Occorre inoltre segnalare che mentre il testo originario dell’art 33ter non conteneva indicazioni in “positivo” di reati,
limitandosi a stabilire che il tribunale giudicava in composizione monocratica in tutti i casi in cui non fosse
diversamente stabilito, adesso, si è introdotta una deroga al criterio individuato nell’art. 33bis,2, prevedendosi
l’attribuzione al giudice singolo dei reati in materia di stupefacenti di cui all’art. 73 del DPR 309/1990. Quest’ultima
cognizione era riferita però anche ai reati aggravati a causa delle ingenti quantità di sostanza stupefacenti o
psicotropa, fatti di reato che possono essere puniti con 30 anni di reclusione tale ultimissima scelta seppur
motivata da una tendenziale linearità dei processi concernenti dette imputazioni sollevò alcune critiche per cui si
ritenne di dover recuperare la garanzia della collegialità nei casi in cui i reati di cui all’art. 73 del dpr 309/1990
fossero aggravati ex art 80 del medesimo dpr.
Sul piano della regolamentazione si deve innanzitutto segnalare la previsione dell’udienza preliminare a fronte di
tutte le ipotesi di reato che non possono essere oggetto della citazione diretta a giudizio da parte del PM. Quindi,
risultano predisposti 2 moduli processuali: il primo tendenzialmente omogeneo a quello ordinario stabilito per il
tribunale collegiale; il secondo si connota in termini di specialità, determinata dall’assenza dell’udienza preliminare e
dalla possibilità per il PM di mandare direttamente l’imputato a giudizio senza alcuna verifica giurisdizionale.
2. Le norme applicabili al procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica.
Ex 549 “Nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, per tutto ciò che non è previsto nel
libro VIII o in altre disposizioni, si applicano le norme stabilite nei libri che precedono, in quanto applicabili”.
Dunque, la disciplina del procedimento ordinario potrà essere richiamata solo se ricorreranno 2 condizioni:
- In primo luogo, la materia non deve essere regolata negli artt.550-559 o altrove; a tal proposito andranno senza
dubbio considerate le disposizioni di attuazione relative al procedimento davanti al tribunale in composizione
monocratica ed alle sezioni distaccate di tribunale, come pure le disposizioni in tema di organizzazione giudiziaria,
tra le quali meritano specifica attenzione quelle riguardanti le figure del giudice onorario e del vice procuratore
onorario, magistrati onorari cui possono essere assegnate funzioni di giudice o di pm. In particolare, si deve
segnalare come nell’interpretazione giurisprudenziale si fosse escluso che l’attribuzione della funzione di giudice o di
pm al giudice onorario o al viceprocuratore onorario al di fuori dei casi previsti comportasse nullità, trattandosi della
violazione di un mero criterio organizzativo, come, per l’appunto, si ricavava dalla lettera delle disposizioni al tempo
vigenti. Oggi il legislatore, per contro, non allude più a meri criteri da seguire nell’individuazione delle attività che
possono essere assegnate ai magistrati onorari, ma elenca tassativamente tali attività, il che dovrebbe portare a
verificare con maggiore attenzione l’incidenza del superamento dei limiti posti dalla normativa sul piano della
capacità processuale. Quanto alle sezioni distaccate di tribunale, si dovrà segnalare come con il d.lgs. 155/2012, in
attuazione della delega al governo contenuta nel d.l. 138/2011, siano state soppresse, con effetto a partire dal 13
settembre 2013, tutte le sezioni distaccate di tribunale, nonostante le – talora non prive di fondatezza – richieste di
mantenimento in vita di alcune di esse. Il governo, invero, ha ritenuto che complessivamente il modello
organizzativo conseguente alle previsioni di tale articolazione giudiziaria si fosse dimostrato foriero di inconvenienti
sotto il profilo dell’efficienza del servizio e del buon andamento dell’amministrazione, come avrebbero dimostrato
numerosi provvedimenti d’accentramento adottati dai presidenti di tribunale. Tuttavia, esigenze logistiche di
intuitiva percezione hanno poi portato al temporaneo ripristino delle sezioni distaccate insulari di Ischia, di Lipari e
di Portoferraio, sezioni che, comunque, potranno operare soltanto sino al 31 dicembre 2018.
- In secondo luogo, si deve verificare la compatibilità della disciplina prescritta per il giudizio ordinario con la
struttura del procedimento innanzi al giudice monocratico. Ad esempio, è evidente che non potrà applicarsi la
disciplina dell’udienza preliminare per tutti i procedimenti per i quali si procede a citazione diretta a giudizio.
Per contro, nonostante l’assenza di accenni all’operatività del giudizio immediato nelle disposizioni riservate
all’adozione dei procedimenti speciali nel rito monocratico, dove si fa invece espresso riferimento al giudizio
abbreviato, nell’applicazione della pena su richiesta, al procedimento per decreto ed al giudizio direttissimo, si deve
ritenere che l’istituto ben possa applicarsi a fronte di imputazioni per la quali l’azione penale davanti al giudice
singolo dovrà essere esercitata con la richiesta di rinvio a giudizio, dal momento che si prevede la celebrazione
dell’udienza preliminare ed acquista spazio operativo un rito che, per l’appunto, è caratterizzato dall’eliminazione di
tale fase su iniziativa del pm o dell’imputato.
Semmai, andrà osservato che nella precedente redazione delle disposizioni contenute nel libro VIII, il legislatore,
invece di indicare le previsioni da non applicare per risolvere possibili incertezze interpretative, in più occasioni
aveva segnalato quelle da applicarsi, anche se non emergeva alcun dubbio in ordine a tale eventualità. E ciò aveva
ingenerato confusione nell’individuazione delle norme effettivamente applicabili, perché il mancato richiamo poteva
essere inteso come implicito giudizio di incompatibilità della previsione con la struttura del rito pretorile. Va quindi
condivisa la scelta operata in sede di riforma, laddove si è ritenuto di non dover effettuare alcun esplicito richiamo
alle disposizioni ordinarie, con l’unica eccezione dell’indicazione dell’applicabilità dell’art.415-bis per i procedimenti
nei quali il pm esercita l’azione penale con la citazione diretta (art.550 comma 1). Ovviamente, da un confronto tra
le diverse versioni dei disposti normativi, non si potrà in alcun modo desumere l’inapplicabilità delle disposizioni
prima richiamate ed oggi non richiamate.
Analogamente a quanto avveniva nel passato, invece, anche per l’attuale redazione delle norme sul rito monocratico
il legislatore non si è accontentato di inserire una disposizione generale di rinvio, nei limiti dell’applicabilità, alle
disposizioni contenute nei libri precedenti: una previsione del medesimo tenore, pertanto decisamente superflua,
compare a proposito della disciplina sia dell’udienza di comparizione, sia dei procedimenti speciali che del
dibattimento.
3. La fase delle indagini preliminari.
Nell’attuale disciplina nessun articolo del libro VIII si occupa direttamente della regolamentazione delle indagini
preliminari, per cui per tale fase non sono riscontrabili differenze tra i procedimenti attribuiti al tribunale collegiale
e quelli attribuiti al tribunale monocratico. L’omogeneità delle discipline convive tuttavia con importanti peculiarità
sul piano ordinamentale. Difatti, la già richiamata figura del viceprocuratore onorario assume rilievo anche nella fase
delle indagini preliminari: nei procedimenti per i reati ex art.550 (citazione diretta: contravvenzioni e delitti sotto i 4
anni)comma 1 il viceprocuratore onorario delegato dal procuratore della repubblica può redigere e avanzare
richieste di archiviazione, nonché svolgere compiti ed attività di indagine, compresa l’assunzione di informazione
dalle persone informate dei fatti e l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini. Diversamente,
nell’originaria ripartizione della materia appariva invece un titolo II concernente la disciplina delle indagini
preliminari, che presentava notevoli differenze rispetto a quella contenuta nel libro V: in particolare previsioni
autonome erano previste in tema di incidente probatorio, di durata e di chiusura delle indagini preliminari.
Peraltro, solo quelle riguardanti l’assunzione anticipata della prova, trovavano una specifica legittimazione nell’art.2
n.103 della legge delega, dove l’esigenza di ordinare il rito pretorile secondo criteri di massima semplificazione
comportava oltre all’esclusione dell’udienza preliminare, anche una delimitazione della possibilità di ricorrere
all’incidente probatorio, istituto che poteva essere adottato solo in casi eccezionali. L’attuazione di questa direttiva
non aveva provocato una limitazione oggettiva degli spazi applicativi dell’istituto. Correttamente, non era apparso
ragionevole escludere a priori che le esigenze di salvaguardia della prova dalle forme di inquinamento considerate
per i procedimenti di competenza collegiale si potessero presentare anche nei procedimenti affidati al pretore. Così,
nell’art.551 comma 1 si consentiva al pm ed alla persona sottoposta alle indagini di chiedere al giudice per le
indagini preliminari che si procedesse con incidente probatorio in tutti i casi previsti nell’art.392. Tale eccezionalità
consisteva nell’individuazione di un’urgenza nell’assunzione della prova che non si esauriva nella semplice non
rinviabilità al dibattimento, dovendosi prima verificare se non era possibile soddisfare tale situazione mediante
l’immediata emissione del decreto di citazione a giudizio. E per poter decidere sulla compatibilità di una simile
soluzione con lo stato delle indagini, il giudice era legittimato a chiedere in visione il fascicolo delle indagini
preliminari. Tuttavia, tale disciplina era male congeniata in quanto:
- da un lato non riusciva a ridurre significativamente le ipotesi applicative dell’istituto infatti il decreto di citazione
a giudizio era subordinato alla completezza delle indagini, per cui laddove occorressero ulteriori atti investigativi, il
giudice sarebbe stato impossibilitato ad emettere il decreto quindi e non avrebbe potuto rigettare la richiesta di
incidente probatorio;
- dall’altro lato l’alternativa all’incidente probatorio, ovvero l’utilizzo a tal fine dell’istruzione dibattimentale, era
irrispettosa delle esigenze di tempestività nell’acquisizione della prova infatti nonostante l’emissione immediata
del decreto di citazione a giudizio, occorreva pur sempre attendere il termine a difesa dell’imputato chiamato a
giudizio che doveva essere di almeno 45gg. Né si doveva trascurare la circostanza che la decisione di emettere il
decreto di citazione spettava al PM il quale avrebbe potuto dissentire dalle considerazioni svolte dal giudice circa la
possibilità di adottare immediatamente tale provvedimento, sulla base della ritenuta incompletezza delle indagini
preliminari, con la conseguente non assunzione della prova, né nelle forme dell’incidente probatorio né in quelle
dibattimentali. Ha avuto quindi un impatto favorevole la scelta di regolare tale istituto in maniera uniforme fra le
due composizioni.
Per quanto attiene alla durata delle indagini preliminari, esse dovevano essere espletate dal PM entro 4 mesi
(anziché 6) dalla data in cui il nome della persona alla quale il reato è attribuito è iscritto nel registro delle notizie di
reato. Inoltre, potevano aversi solo 2 proroghe, ciascuna per un tempo non superiore a 4 mesi, ed il procedimento
sulle richieste di proroga si svolgeva comunque senza contraddittorio orale, anche nel caso in cui il giudice avesse
ritenuto che allo stato degli atti non si dovesse concedere la proroga. Tuttavia, la realtà dei fatti aveva dimostrato
come fosse vana la speranza di poter assicurare la completezza delle indagini in tempi più brevi di quelli ipotizzati
per i procedimenti innanzi alla composizione collegiale. Così, oggi anche davanti al tribunale monocratico si deve
osservare il termine ordinario di durata delle indagini, fissato in 6 mesi nell’art.405 commi 2, 3 e 4, ove si determina
altresì la decorrenza del termine in presenza di fattispecie perseguibili a querela, ad istanza o a richiesta di
procedimento e la sospensione dello stesso termine in caso dell’autorizzazione a procedere, dal momento della
richiesta a quello in cui questa perviene al PM.
Quanto alla proroga, nella precedente disciplina compariva un rinvio soltanto parziale alla disciplina prevista per i
reati di competenza del tribunale collegiale, in quanto sulle richieste di proroga il giudice provvedeva con ordinanza
in camera di consiglio senza intervento del PM e dei difensori a differenza dei procedimenti collegiali in cui ex 406,5
si prevedeva la fissazione di una udienza camerale nel caso in cui il giudice avesse ritenuto che allo stato degli atti
non si dovesse concedere la proroga. Il mancato riconoscimento del diritto ad un contraddittorio orale in capo alle
parti comportava vari dubbi circa la sua compatibilità con l’art.3 Cost. Tuttavia, la Corte di cassazione osservò che
era sempre ammesso un contraddittorio cartolare tra le parti, alle quali la richiesta di proroga era notificata con
l’avviso della facoltà di presentare memorie entro 5gg dalla notificazione. Tuttavia, ad oggi trova piena applicazione
il rinvio alla disciplina ordinaria e quindi la previsione ex 406,5.
Il rinvio alla disciplina ordinaria comporta inoltre che anche il termine massimo di durata delle indagini preliminari
sia quello ordinario di 18 mesi, elevabile ex 407,2 a 2 anni se le indagini riguardano procedimenti che sono connotati
dalla particolare complessità delle investigazioni, dalla necessità del compimento di atti all’estero o
dall’indispensabilità del collegamento tra più uffici del PM nella precedente disciplina il rinvio era solo all’art. 407
commi 1 e 3 per cui il termine era al max di 18 mesi. Pure in questo caso si avvertiva l’irragionevolezza di una
differenziazione della disciplina del procedimento fondata in larga misura su semplici diversità dei livelli edittali di
pena e non ricollegata alle risultanze di una verifica concreta in ordine alla complessità maggiore o minore
dell’accertamento, che solo avrebbe potuto giustificare le previsioni svolte ad una ragionevole accelerazione dei
tempi procedimentali. Ove si fosse seguita un’altra impostazione, semmai, la ricerca di soluzioni diversificate poteva
forse essere tentata relativamente alla determinazione dei rapporti tra l’attività di indagine della pg e quella del pm,
al fine di attenuare l’impegno delle procure nei compiti investigativi. Così, probabilmente non sarebbe risultata del
tutto impraticabile una prospettiva di allargamento degli spazi operativi della polizia, legittimata a svolgere entro un
ragionevole arco temporale le indagini in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non avesse rivelato particolari
difficoltà di accertamento. Al pm si sarebbe potuto attribuire il compito di valutare l’adeguatezza delle indagini così
svolte, con la facoltà di intervento non solo all’esito, ma anche nel corso delle medesime, eventualmente su
sollecitazione della persona offesa o della persona sottoposta alle indagini.
Diverse erano anche le modalità secondo le quali veniva esercitato il sindacato giurisdizionale sulla richiesta di
archiviazione. Originariamente, se il giudice riteneva di non dover accogliere tale richiesta, poteva solo restituire gli
atti con ordinanza al PM affinché questi formulasse entro 10gg l’imputazione, emettendo decreto di citazione a
giudizio. Quanto all’opposizione della persona offesa questa era stata espressamente ammessa (156 disp.att. oggi
abrogato), ma era finalizzata ad ottenere non la prosecuzione delle indagini, come invece stabilito dall’art.410, ma
esclusivamente il rigetto della richiesta e la formulazione coatta dell’imputazione sulla base degli elementi di prova
indicati dalla persona offesa. Nel caso in cui il gip avesse rilevato l’esigenza di ulteriori indagini, per contro, doveva
essere emesso il decreto di archiviazione ed informato il procuratore generale, il quale, a sua volta, se ne avesse
ravvisati i presupposti, avrebbe poi richiesto la riapertura delle indagini ai sensi dell’art.414 con conseguente
avocazione delle stesse (157 disp.att).
Ne risultava un meccanismo poco convincente. Infatti, da un lato non poteva non rilevarsi la contraddittorietà
dell’intervento del giudice che contemporaneamente archiviava e sollecitava la richiesta di apertura delle indagini;
dall’altro si rimetteva alla discrezionalità del procuratore generale la decisione sulla necessità o meno di integrare
l’attività amministrativa. svariate eccezioni di illegittimità costituzionale avrebbero ben presto portato ad una
pronuncia dei giudici di Palazzo della Consulta che ha consentito al gip anche nei procedimenti pretorili di indicare
con ordinanza al pm le ulteriori indagini ritenute necessarie.
Dopo questa decisione della Corte cost. anche l’opposizione della persona offesa poteva mirare ad ottenere la
prosecuzione delle indagini, previa indicazione, a pena di inammissibilità, dell’oggetto dell’investigazione suppletiva
e dei relativi elementi di prova. Tuttavia, occorre rilevare al riguardo che la Cassazione (con conferma della Corte
cost.) aveva escluso l’utilizzo della clausola generale di rinvio ex 549 per assicurare anche nei procedimenti
monocratici il contraddittorio camerale ex 409 e 410, nel caso in cui il giudice avesse reputato di non accogliere la
richiesta di archiviazione o la persona offesa avesse proposto opposizione  ed anche la corte costituzionale, con la
sentenza 94 del 1992, aveva dichiarato non fondate le censure di illegittimità mosse nei confronti dell’art.156
comma 2 disp.att., nella parte in cui non prevedeva che nel procedimento davanti al giudice monocratico le parti
fossero sentite in camera di consiglio in caso di opposizione alla richiesta di archiviazione. In effetti, nella misura in
cui la problematica veniva riferita esclusivamente alla tutela della persona offesa, si poteva almeno in parte
convenire con la corte costituzionale, la quale aveva osservato come fosse piuttosto dubbio che la mancanza della
procedura camerale si risolvesse in un effettivo pregiudizio per chi è pur stato messo in condizione di interloquire
sulla richiesta di archiviazione controversa, della cui presentazione è informato solo perché gli deve essere notificato
l’avviso ai sensi dell’art.409 comma 2. Pure con riguardo alla condizione di passività in cui veniva così relegata la
persona sottoposta alle indagini, tuttavia, la corte costituzionale aveva comunque escluso che si dovesse modificare
la trama procedimentale, insistendo sul peso che assumeva il criterio della massima semplificazione nell’ambito del
rito monocratico, ma anche dimenticandosi di verificare se la diversità di disciplina fosse davvero compatibile con gli
artt.3 e 24 comma 2 cost. D’altronde, proprio con la scelta di prevedere anche per i procedimenti attribuiti al giudice
singolo la garanzia dell’udienza camerale in caso di mancato accoglimento della richiesta di archiviazione o di
opposizione della persona offesa a tale richiesta, potrebbe favorire, attraverso il coinvolgimento del pm e della
persona sottoposta alle indagini, l’eventualità della pronuncia di un provvedimento archivisativo, con vantaggi non
trascurabili sul piano di una complessiva accelerazione del nostro sistema processuale penale, assai probabilmente
di entità tale da poter compensare la maggiore complessità dell’iter imposto al gip.
A fronte dei reati per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio, nel caso in cui il giudice respinga la richiesta di
archiviazione ed ordini di formulare l’imputazione, il PM conserva il potere di emettere direttamente il decreto
senza dover chiedere la fissazione dell’udienza preliminare. Si segnala infine l’art.411,1bis in tema di richiesta di
archiviazione motivata dalla particolare tenuità del fatto (131bis c.p.) ipotesi di non punibilità che riguarderà
(anche se non esclusivamente) in larga maggioranza fattispecie attribuite al giudice monocratico.
4. Le forme di esercizio dell’azione penale.
Una volta completata la fase delle indagini preliminari, il PM, qualora abbia escluso di dover chiedere l’archiviazione,
non ricorrendo le ipotesi di cui agli artt. 408, 411 e 415, dovrà decidere in quali forme esercitare l’azione penale.
Occorre qui fare una distinzione tra i procedimenti per i quali è prevista la garanzia dell’udienza preliminare e quelli
per i quali, non essendoci tale garanzia, il PM potrà esercitare l’azione penale con la citazione diretta a giudizio.
Rispetto ai primi trova applicazione l’art.405,1 dove si stabilisce che il PM esercita l’azione penale con la
formulazione dell’imputazione nei casi di patteggiamento, giudizio al giudice monocratico, non emergono profili di
incompatibilità tra detto procedimento speciale e le disposizioni contenute nel libro direttissimo, di giudizio
immediato (il giudizio immediato non è espressamente previsto, tuttavia si ritiene tranquillamente applicabile) e di
procedimento per decreto, nonché con la richiesta di rinvio a giudizio. Infatti, nonostante l’assenza di riferimenti
espressi all’operatività delle disposizioni sul giudizio immediato davanti VIII, se non si tratta dei reati indicati
nell’art.550.
Per contro, rispetto ai secondi, ovvero per i reati ex 550, non può richiamarsi la disposizione dell’art. 405,1 in
relazione sia alla richiesta di giudizio immediato sia alla richiesta di rinvio a giudizio, richieste che presuppongono
entrambe l’eventualità della celebrazione dell’udienza preliminare, qui invece esclusa. Occorre comunque rilevare
che il fatto di mantenere il potere del PM di disporre direttamente la citazione a giudizio dell’imputato (giustificato
dalla logica della massima semplificazione) solleva molte perplessità soprattutto se si ragiona sull’importante
funzione di filtro e controllo dell’udienza preliminare, ma a tal proposito la corte costituzionale ha sempre ravvisato
che, in virtù della celerità del rito, tale potere non costituisse incostituzionalità.
Per apprezzare adeguatamente il significato della decisione di mantenere il potere del pm di rinviare a giudizio per
buona parte delle fattispecie attribuite al tribunale in composizione monocratica, innanzitutto non si potrà fare a
meno di considerare la prospettiva di indubbia valorizzazione dell’udienza preliminare coltivata dalla l.479/1999. In
effetti, ai sensi dell’art.421-bis il giudice assume un ruolo di controllo sulla completezza delle indagini analogo a
quello spettante al gip a fronte della richiesta di archiviazione del pm. Nel caso poi di integrazione probatoria
disposta ex art.422, anche d’ufficio, questa è adesso consentita solo per le prove delle quali appare evidente la
decisività ai fini dell’emissione della sentenza di non luogo a procedere, non più pure per le prove per le quali risulti
manifesta la decisività ai fini dell’accoglimento della richiesta di rinvio a giudizio. In secondo luogo, è divenuta ancor
meno proponibile di quanto già non lo fosse al momento dell’entrata in vigore del codice, una legittimazione della
diminuzione delle garanzie procedimentali fondata sulla pretesa minore complessità delle indagini riguardanti le
fattispecie per la quali non è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare; per l’appunto, l’omologazione della
disciplina delle indagini preliminari decisa dal legislatore sembra rappresentare un segnale sufficientemente
inequivoco dell’impossibilità di operare una distinzione aprioristica tra i reati rispetto all’esigenza di maggiori o
minori approfondimenti investigativi.
Anzi, andrà osservato come, relativamente ai casi di citazione diretta, il legislatore si sia preoccupato di stabilire
expressis verbis l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art.415-bis, introdotto con la l.479/1999, ove si prevede
l’obbligo di dare avviso alla persona sottoposta alle indagini preliminari della conclusione delle stesse e la facoltà
per tale soggetto di prendere visione della documentazione relativa alle indagini espletate, di presentare memorie,
di produrre documenti, di chiedere il compimento di ulteriori atti o di essere interrogato. In effetti, l’interprete
sarebbe potuto pervenire alla medesima conclusione anche in mancanza di un esplicito richiamo all’istituto, stante
la disposizione generale di rinvio alla disciplina ordinaria contenuta nell’art.549. E tuttavia, almeno per certi versi, la
precisazione operata nell’art.550 comma 1, forse, non si rivela superflua. Un procedimento nel quale si esclude la
necessità di un’udienza volta a verificare la correttezza della gestione del potere di iniziativa penale da parte del pm
e ad eliminare le lacune investigative attraverso l’indicazione delle ulteriori attività che tale organo deve svolgere,
sembrerebbe inserirsi in una prospettiva di sostanziale indifferenza per le scelte operate dall’accusa nella fase
preprocessuale. Si poteva quindi anche arrivare ad ipotizzare l’estraneità di una previsione che è volta proprio ad
assicurare un controllo sulla completezza delle indagini preliminari; ed a tal fine si sarebbe potuto far leva sul dato
letterale costituito dal fatto che l’avviso della conclusione delle indagini preliminari deve essere notificato prima
della scadenza del termine per la richiesta di rinvio a giudizio, cioè, per una forma di esercizio dell’azione penale ben
diversa dalla citazione diretta a giudizio, così da imporre una verifica circa l’incidenza di questa diversità sulla
possibilità di richiamare utilmente l’art.415-bis nei procedimenti per i quali non è prevista l’udienza preliminare. Una
volta riconosciuta l’operatività di quest’ultima disposizione nei casi di citazione diretta, pertanto, la mancanza
dell’udienza preliminare, invece che costituire un dato normativo da cui poter eventualmente desumere
l’incompatibilità dei contenuti garantistici rinvenibili nell’art.415-bis con la disciplina di detti procedimenti, finisce
per sottolineare l’importanza degli spazi di intervento in tal modo riconosciuti alla persona sottoposta alle indagini,
proprio perché non vi sarà in un momento successivo il controllo giurisdizionale sulle indagini del pm.
Prima di emettere il decreto di citazione a giudizio, il PM dovrà anche effettuare la richiesta al presidente del
tribunale di determinazione della data dell’udienza dibattimentale. Fino al momento in cui tale data non è inserita
nel decreto, questo non sarà completo e, conseguentemente, non potrà determinare l’interruzione della
prescrizione (160,2 c.p.). A tal proposito, le Sezioni unite hanno precisato che l’effetto interruttivo è prodotto non
dalla notificazione, ma dalla semplice emissione del decreto, purché questo, completo di tutti i suoi elementi
costitutivi prescritti dall’art. 552, sia stato sottoscritto oltre che dal PM, anche dall’ausiliario, in quanto tale
sottoscrizione assicura autenticità al decreto pure con riguardo alla data. Non sono previsti termini acceleratori per
l’emissione del decreto, ad eccezione che si proceda per taluni dei reati di lesione personale colposa grave o
gravissima di cui all’art. 590,3 c.p. (fatti lesivi commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro) ed all’art. 590bis c.p. (fatti lesivi commessi con violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale). In questi casi commi 1bis e 1ter, il PM deve emettere il decreto di citazione a giudizio entro
30gg dalla chiusura delle indagini preliminari, fissando anche la data di comparizione non oltre 90gg dall’emissione
del decreto. Si deve
5. I casi di citazione diretta a giudizio.
A norma dell’art.550,1 il PM esercita l'azione penale con la citazione diretta a giudizio quando si tratta di
contravvenzioni ovvero di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a 4 anni, o con la
multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva. Per la determinazione della pena si osservano le disposizioni
dell'art. 4.
Il comma 2 prevede inoltre la citazione diretta anche per una serie tassativa di reati, ovvero: a) violenza o minaccia a
un pubblico ufficiale (336 c.p.); b) resistenza a un pubblico ufficiale (337 c.p.); c) oltraggio a un magistrato in udienza
aggravato (343,2 c.p.); d) violazione di sigilli aggravata (349,2 c.p.); e) rissa aggravata (588,2 c.p.), con esclusione
delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime; e-bis) lesioni
personali stradali, anche se aggravate (590bis c.p.); f) furto aggravato (625 c.p.) (data la tassatività dell’elencazione
vi sono perplessità nel ricondurre come fa la giurisprudenza il furto con strappo ed il furto in abitazione ex 624bis
nella cornice del furto aggravato); g) ricettazione (648 c.p.). In questa elencazione è stata recentemente inserita
dalla l.41/2016, un’ulteriore ipotesi, quella descritta nella lett.e-bis, riguardante il delitto di lesioni personali stradali,
anche se aggravate, per il quale è prevista una pena detentiva che potrà arrivare sino a 7 anni di reclusione. Il
carattere tassativo dell’elencazione così effettuata non sembra lasciar spazio alla riconduzione nella stessa di
fattispecie non espressamente richiamate. Legittima quindi più di una perplessità l’orientamento prevalente in
giurisprudenza per il quale il furto in abitazione o con strappo, previsto nell’art.624-bis c.p., deve essere considerato
ai fini dell’azione del rito per citazione diretta un caso di furto aggravato ai sensi dell’art.625 c.p. In larga misura si
tratta delle ipotesi di reato che rientravano nella competenza pretorile, per i cui procedimenti, di conseguenza, già
non era prevista l’udienza preliminare. Tuttavia, nell’abrogato art.7 il giudice monocratico era competente anche
per il favoreggiamento reale, per i maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, per l’omicidio colposo, per la
violazione di domicilio aggravata e per la truffa aggravata, delitti per i quali, quindi, il pm dovrà esercitare l’azione
penale con la richiesta di rinvio a giudizio, sempre che non abbia deciso di gestire la vicenda giudiziaria attraverso il
ricorso ad un procedimento speciale.
Probabilmente, per questa seconda serie di delitti si è avvertita l’esigenza di un meccanismo processuale più
articolato in considerazione della sussistenza di difficoltà di accertamento sul piano probatorio presumibilmente
maggiori rispetto a quelle riguardanti la prima elencazione.
Quanto all’inosservanza delle disposizioni esaminate sull’individuazione delle fattispecie di reato che possono essere
trattate nelle forme di cui agli artt.550 e ss, questa può essere apprezzata nelle due opposte situazioni, della
fissazione di un’udienza preliminare per un reato per il quale si deve procedere con citazione diretta a giudizio e
della fissazione di un dibattimento a seguito dell’esercizio dell’azione penale con citazione diretta per un reato per
il quale è prevista l’udienza preliminare.
- la prima considerazione è regolamentata ex 33sexies qualora venga fissata un’udienza preliminare per un reato per
il quale si doveva procedere con citazione diretta a giudizio, il gup pronuncia, d’ufficio o su eccezione di parte,
ordinanza di trasmissione degli atti al PM per l’emissione del decreto di citazione a giudizio a norma dell’art.552.
- ex 550,3, invece, nel caso in cui il PM abbia esercitato l'azione penale con citazione diretta per un reato per il quale
è prevista l'udienza preliminare, il giudice del dibattimento dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al PM,
perché richieda il rinvio a giudizio, sempre che la relativa eccezione sia stata proposta (a pena di decadenza) entro il
termine previsto per l’accertamento della costituzione delle parti indicato dall'art.491,1, termine da considerarsi
stabilito a pena di decadenza, anche se tale formula non compare, dal momento che il rinvio alla disposizione sulle
questioni preliminari pare ricomprendere anche l’effetto preclusivo prodotto dal superamento del termine costituito
dall’accertamento per la prima volta della regolare costituzione delle parti.
Si deve constatare come solo nell’ipotesi in cui l’irregolare esercizio dell’azione penale abbia comportato una
perdita di garanzie per l’imputato, il giudice non sia messo in condizioni di intervenire sua sponte, risultando
subordinata l’emissione del provvedimento con il quale si restituisce l’udienza preliminare a chi ne aveva diritto, ad
una tempestiva eccezione dell’interessato. Per contro, l’eventuale eccesso di garanzie, conseguente alla
celebrazione dell’udienza preliminare per un reato che rientrava tra i casi di citazione diretta, legittima l’intervento
del giudice a prescindere dall’iniziativa delle parti.
La scelta legislativa giustifica non poche perplessità, anche in considerazione del fatto che, se non vi fosse stata la
specifica previsione dell’art.550 comma 3, la tutela assicurata all’imputato dal sistema processuale, nel caso in
esame, sarebbe risultata decisamente più ampia. Invero, la mancata celebrazione dell’udienza preliminare avrebbe
integrato senza dubbio un’inosservanza di disposizioni concernenti la difesa dell’imputato; anzi, non sarebbe
apparso del tutto azzardato ritenere sussistente un’ipotesi di nullità assoluta per omessa citazione dell’imputato,
quindi, insanabile e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, perché quando si cita a giudizio l’imputato con
il decreto emesso direttamente dal pm nei casi non previsti dall’art.550, si finisce per pretermettere quella diversa
citazione all’udienza preliminare che deve essere disposta dal giudice ai sensi dell’art.419 comma 1. Si dovrà infine
ritenere che le funzioni di giudice dibattimentale potranno essere svolte nei procedimenti previsti dall’art.550 da
giudici onorari di pace, nel rispetto delle condizioni e dei criteri di cui al l.lgs.116/2017, per cui il numero dei
procedimenti assegnati a ciascun giudice onorario di pace non potrà essere superiore ad un terzo del numero medio
nazionale dei procedimenti pendenti per ciascun giudice professionale del tribunale.
6. Procedimenti connessi e citazione diretta a giudizio.
Ex 551 nel caso di procedimenti connessi (ovviamente tutti attribuiti al giudice monocratico), se la citazione diretta a
giudizio è ammessa soltanto per alcuni di essi, il PM deve esercitare l’azione penale per tutti attraverso la
presentazione della richiesta di rinvio a giudizio. Nel caso considerato dall’art.551 si deve ritenere che i
procedimenti connessi non solo appartengono alla competenza del tribunale, ma siano anche attribuiti a tale giudice
nella composizione monocratica: l’esigenza di trattazione unitaria emerge solo perché vi sono due moduli distinti di
gestione processuale davanti a detto organo giurisdizionale, un rito a citazione diretta ed un rito che prevede la
richiesta di rinvio a giudizio e la fissazione dell’udienza preliminare. Dal momento che per dette fattispecie
processuali ben potrebbe essere disposta la riunione davanti al tribunale in composizione monocratica, si è pertanto
opportunamente ritenuto che le modalità di elaborazione predibattimentale dovessero essere le medesime, in
modo da evitare l’eventualità di una riunione tra situazioni giudiziarie che avevano raggiunto un livello differenziato
di maturazione in conseguenza del diverso atteggiarsi del processo penale. L’eventuale violazione di tale regola
dovrà essere considerata alla stregua dell’art. 550,3 per cui la parte interessata dovrà eccepire entro il termine per
l’accertamento di costituzione delle parti di cui all’art. 491,1 l’avvenuto esercizio dell’azione penale nelle forme della
citazione diretta per un reato per il quale è prevista l’udienza preliminare, la quale diventa doverosa in conseguenza
degli effetti della connessione tra più procedimenti.

7. I contenuti del decreto di citazione a giudizio.


Ex 552, il decreto di citazione a giudizio, in parte riproducendo il contenuto del decreto con cui il giudice dispone il
giudizio all’esito dell’udienza preliminare di cui all’art. 429, contiene:
a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle
altre parti private, con l'indicazione dei difensori;
b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata;
c) l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono
comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge;
d) l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, con
l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia;
e) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal
difensore di ufficio;
f) l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento
di primo grado, può presentare le richieste previste dagli articoli 438 e 444 ovvero presentare domanda di
oblazione;
g) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella segreteria del pubblico ministero e che
le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia;
h) la data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell'ausiliario che lo assiste]
Il legislatore si è dimenticato di eliminare dalla lettera d l’avviso all’imputato che non comparendo sarà giudicato in
contumacia, nonostante lo soppressione dello status avutasi con l’entrata in vigore della l.67/2014, dimenticanza
che ha interessato anche l’art.429. Tuttavia, sembra potersi invocare non solo l’abrogazione tacita di dette
previsioni, ma altresì il recupero dei nuovi contenuti dell’art.419 comma 1, dove si avverte l’imputato che “qualora
non compaia, si applicheranno le disposizioni di cui agli artt.420-bis, 420-ter e 420-quater”; e ciò attraverso il rinvio
operato dall’art.549 alla disciplina generale codicistica. Manca il riferimento all’indicazione sommaria delle fonti di
prova e dei fatti cui esse si riferiscono (429,1 lett. d) questo perché il decreto emesso dal gup ha una diversa
natura in quanto emesso a seguito di un’udienza nel contraddittorio delle parti e con la possibilità di acquisizioni
probatorie; ne discende che il decreto di rinvio a giudizio assume i connotati di una decisione con relativo dispositivo
(429,1 lett. e).
Non compaiono invece nell’art.429 gli avvisi relativi alla facoltà dell’imputato di nominare un difensore di fiducia, in
mancanza del quale sarà assistito da uno d’uffcio, ed alla possibilità delle parti ed i loro difensori di prendere visione
e di estrarre copia del fascicolo delle indagini preliminari (552,1 lett. e, g) si ricordi infatti che il decreto che
dispone il giudizio è preceduto dall’udienza preliminare, nella quale l’imputato è già stato obbligatoriamente
assistito da un difensore di fiducia o d’ufficio, mentre la discovery nella misura in cui non è già avvenuta ai sensi
dell’art.415bis, si realizza al momento della notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare (419 commi 1 e
2).
Costituisce invece un contenuto specifico del decreto di citazione a giudizio l’avviso che l’imputato, qualora ne
ricorrano i presupposti, possa avanzare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, la
richiesta di giudizio abbreviato o di patteggiamento, ovvero la domanda di oblazione. Ovviamente, nel decreto
emesso ai sensi dell’art.429 non avrebbe avuto alcun senso inserire una simile previsione, quantomeno con
riferimento ai primi due procedimenti. Piuttosto, sembra tutt’altro che superfluo un avvertimento del genere anche
nel decreto con il quale il giudice informa imputato e difensore della fissazione dell’udienza preliminare, nella quale,
per l’appunto, dovranno essere formulate le richieste di giudizio abbreviato e di patteggiamento. Nessun cenno
invece è stato fatto al procedimento con messa alla prova che, tra l’altro, potrà trovare applicazione quasi sempre
con riguardo a reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica. Ne può ritenersi ad assicurare all’interessato
una tempestiva conoscenza di tale ulteriore epilogo processuale l’avviso che il pubblico ministero può effettuare
anche prima di esercitare l’azione penale, trattandosi, per l’appunto, di una mera facoltà. Del resto, analogo potere
è riconosciuto al pm nell’art.141 comma 2 disp.att. per i reati oblazionabili, ma ciò non ha impedito al legislatore di
prevedere, in occasione delle notifica del decreto di citazione a giudizio, l’avviso all’imputato della possibilità di
presentare domanda di oblazione. Nel decreto di citazione a giudizio, peraltro, il pm dovrà far riferimento soltanto ai
procedimenti speciali che possono trovare applicazione nel caso concreto; ed in relazione a tali procedimenti
dovranno essere indicati i relativi articoli di legge, al fine di richiamare l’attenzione sulle disposizioni che prevedono
effetti premiali per l’imputato.
Viene così individuata un’ulteriore valenza del decreto di citazione a giudizio, atto con cui l’imputato, oltre ad
essere citato a giudizio per il dibattimento, viene altresì stimolato a chiedere un epilogo non dibattimentale del
processo. Il decreto di citazione è dunque un atto complesso, che produce diversi effetti, a seconda di quello che
sarà l’atteggiamento dell’imputato nei confronti delle possibilità che gli sono offerte di definizione anticipata del
procedimento.
La pressione nei confronti dell’imputato a scegliere una conclusione anticipata del processo risulta intensificata nel
caso in cui il pm, quando ritenga che possa procedersi al patteggiamento, esprima nello stesso decreto di citazione a
giudizio il proprio consenso. Un consenso che, per dare concretezza all’ipotesi negoziale, dovrà essere riferito ad
uno specifico progetto di sentenza, dovendosi indicare gli elementi previsti nell’art.444 comma 1, e quindi, la specie
e la misura della pena da applicare, tenuto conto delle circostanze attenuanti e aggravanti, della loro comparazione
e della diminuzione fino ad un terzo prevista per questo rito.
Quanto alla possibilità di una modifica o di una revoca del consenso così prestato, non essendo stato fissato un
termine all’imputato per manifestare la propria volontà, se non quello dell’anteriorità alla declaratoria di apertura
del dibattimento, non può prospettarsi un’applicazione analogica della norma contenuta nella seconda parte
dell’art.447 comma 3, applicazione analogica, peraltro, alquanto discutibile, trattandosi di norma che prevede un
caso eccezionale di irrevocabilità della richiesta di applicazione della pena. Ne segue che anche per il consenso
anticipato del pm potranno richiamarsi le considerazioni svolta in più ampia prospettiva, nella direzione della
revocabilità o della modificabilità, almeno fino a quando non sia intervenuto il consenso dell’altra parte, secondo
l’assunto prevalente in giurisprudenza, ma fino alla pronuncia del giudice, secondo alcuni opinioni dottrinali.

8. La nullità del decreto di citazione a giudizio.


Il decreto di citazione a giudizio ex 552,2 è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è
insufficiente l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto (analogo all’art.429), delle circostanze aggravanti e di
quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; se
manca o è insufficiente l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché del luogo, del giorno e dell'ora
della comparizione (analogo all’art.429: peraltro, questa ipotesi è correttamente riferita nei procedimenti a citazione
diretta anche all’individuazione del giudice competente per il giudizio, individuazione ricompresa nella lett.e
dell’art.429 comma 1, e quindi non richiamata dal comma 2 della medesima disposizione, ove sono elencate le
cause di nullità del decreto che dispone il giudizio); se manca o è insufficiente l'avviso che l'imputato ha facoltà di
nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio; se manca o è insufficiente
l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo grado, può presentare le richieste di rito abbreviato, patteggiamento ovvero presentare domanda di
oblazione; nella versione originaria del codice non era sancita a pena di nullità l’inosservanza di quest’ultima
previsione. Peraltro, la corte costituzionale ebbe modo di intervenire sull’art.555 comma 2 (i cui contenuti sono
rifluiti nell’art.552 comma 2) per violazione dell’art.24 comma 2 cost., posto che l’avviso in questione risulterebbe
funzionale al tempestivo esercizio del diritto di difesa, rispetto al quale non può ritenersi sufficiente la garanzia
dell’assistenza tecnica di fiducia o d’ufficio comunque assicurata: anche la possibilità di utilizzare a pieno gli spazi
riconosciuti per incidere sulle forme e sulle modalità dell’accertamento penale, insomma, deve essere tutelata come
espressione del diritto dell’imputato ad intervenire nel procedimento.
Infine, il decreto è altresì nullo se non è preceduto dall'avviso previsto dall'articolo 415bis, nonché dall'invito a
presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art.375,3 qualora la persona sottoposta alle indagini lo abbia
richiesto entro il termine di cui al comma 3 del medesimo art.415bis. Sotto questo profilo si recupera ancora una
volta un profilo di identità nella regolamentazione delle nullità, tuttavia non tra il decreto di citazione a giudizio ed il
decreto che dispone il giudizio, ma tra il decreto di citazione a giudizio e la richiesta di rinvio a giudizio di cui
all’art.416 comma 1.
Tutte queste ipotesi di invalidità sono inquadrabili nell’ambito delle nullità generali di cui all’art.178 lett.c, dal
momento che si riferiscono a previsioni che coinvolgono l’intervento dell’imputato. La corte di cassazione a sezione
unite ha ritenuto che l’indeterminatezza dell’accusa dia luogo solo ad una nullità relativa che deve essere eccepita
nel rispetto del termine previsto dall’art.491 comma 1. Si è peraltro riconosciuto che l’omessa enunciazione del
fatto in relazione alla condotta tipica del reato integra un’ipotesi di nullità assoluta per inosservanza delle
disposizioni che concernono l’iniziativa del pm nell’esercizio dell’azione penale. Dovranno invece essere ricondotte
tra le nullità assolute quelle che conseguono all’accertato difetto dei requisiti che pregiudicano la funzione di
vocatio in iudicium del provvedimento (come nel caso di mancata indicazione dell’imputato, del giorno, dell’ora del
luogo o dell’AG davanti alla quale si deve comparire).
Dichiarata la nullità del decreto, si dovrà provvedere alla rinnovazione dell’atto da parte del PM. Tuttavia, nei casi in
cui la nullità ha impedito un valido passaggio dalla fase delle indagini al giudizio, alla dichiarazione di nullità
consegue la regressione del procedimento allo stato in cui è stato compiuto l’atto nullo (185,3), con restituzione
degli atti al PM. Le SS.UU. hanno precisato che tale regressione non è consentita (ed è quindi abnorme il
provvedimento con cui viene disposta) laddove la nullità del decreto di citazione a giudizio non precluda la
progressione del procedimento alla fase del giudizio tra le parti necessarie del rapporto processuale: così ad
esempio, l’omessa citazione della persona offesa, pur causa di nullità del decreto ex 178,1 lett.c imporrà solo la
rinnovazione dell’atto da parte del giudice monocratico del dibattimento in applicazione dell’art.143 disp. att.
9. La notificazione del decreto di citazione e la trasmissione degli atti al giudice dell’udienza di
comparizione in dibattimento.
Una volta emesso, il decreto di citazione deve essere ex 552,3 notificato all’imputato, al suo difensore e alla
persona offesa almeno 60gg prima della data fissata per l’udienza di comparizione; tale termine, nei casi di urgenza
di cui va data motivazione, può essere ridotto a 45gg. Si tratta comunque di un termine a difesa molto ampio se lo
rapportiamo ai soli 10gg previsto per la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare ex art.419 comma
3, nonostante in entrambi i casi l’imputato è chiamato ad operare decisioni fondamentali per gli sviluppi processuali.
Del resto, solo nel decreto di citazione a giudizio compare l’avvertimento che l’imputato può presentare le richieste
previsti dagli artt.438 e 444 ovvero domanda di oblazione, mentre il decreto di fissazione dell’udienza preliminare
mantiene il più assoluto silenzio al riguardo. Anche la posizione della persona offesa, in vista di un’eventuale
costituzione di parte civile, riceve una maggiore tutela nel rito a citazione diretta rispetto a quello ordinario, sia che
si faccia riferimento al termine di 10gg appena richiamato, sia che si prenda in considerazione il termine minimo di
20gg che deve intercorrere tra la data del decreto di rinvio a giudizio e la data fissata per il giudizio. Viceversa, sulla
scorta della previgente regolamentazione del decreto di citazione a giudizio, la notificazione alla persona offesa non
veniva effettuata contestualmente a quella destinata all’imputato ed al suo difensore. Difatti, si procedeva a tale
notifica solo dopo che era decorso il termine di 15gg entro cui l’imputato poteva presentare richiesta di definizione
anticipata del procedimento e dopo che il pm non aveva manifestato il suo consenso al riguardo: in tal caso veniva
confermata l’udienza dibattimentale e si disponeva la citazione della persona offesa. D’altronde, se si fosse
provveduto in precedenza a quest’ultimo incombente, in caso di celebrazione del giudizio abbreviato o del
patteggiamento davanti al gip, si sarebbe poi dovuta notificare la fissazione della relativa udienza camerale, con un
notevole aggravio per gli uffici. Semmai, andrà rilevato come il termine allora concesso alla persona offesa fosse di
soli 5gg dall’udienza dibattimentale, il che poneva in serie difficoltà il soggetto che avesse inteso costituirsi parte
civile.
Una volta notificato, il decreto viene depositato dal PM in segreteria, unitamente al fascicolo contenente la
documentazione, gli atti e le cose indicate nell’art. 416,2 (552,4). Quindi, il PM passa alla formazione del fascicolo
dibattimentale, che viene trasmesso al giudice, insieme al decreto di citazione, immediatamente dopo la
notificazione (553).
Sotto questo profilo la distanza tra il rito in esame e quello che postula la celebrazione dell’udienza preliminare è
piuttosto sensibile, visto che il legislatore visto che il legislatore ha ritenuto di dover assicurare nell’art.431 il
contraddittorio delle parti sulla formazione del fascicolo dibattimentale. Contraddittorio che assume particolare
rilievo soprattutto per la possibilità di concordare l’acquisizione degli atti contenuti nel fascicolo del PM o della
documentazione relativa alle investigazioni difensive, possibilità che viene riconosciuta anche successivamente in
occasione delle richieste di prova in dibattimento (493,3). Viceversa, nei procedimenti a citazione diretta, l’accordo
delle parti potrà essere raggiunto solo nel corso dell’udienza di comparizione ex 555,4.
Nel periodo che intercorre tra la trasmissione del fascicolo al tribunale e la celebrazione del dibattimento non è
escluso un epilogo anticipato del processo (ex 469 proscioglimento predibattimentale). In proposito, non compare
più quell’espresso richiamato all’art.469, prima inserito nell’art.558, articolo corrispondente per contenuti
all’odierno art.553. Del resto, la disposizione sul proscioglimento predibattimentale doveva ritenersi applicabile nel
rito de quo già ai sensi dell’art.549. La diversa scelta era apparsa opportuna ai redattori del codice, secondo quanto
si legge nella relazione al progetto definitivo, soprattutto per il suo significato implicito: le perplessità sollevate in
ordine alla mancanza di un filtro giurisdizionale, conseguenza dell’esclusione dell’udienza preliminare, avevano
spinto ad evidenziare che il giudice opera una valutazione circa l’ipotesi accusatoria prospettata dal pm, sia pure
nella limitata prospettiva del proscioglimento dell’imputato, in caso di improcedibilità dell’azione o di estinzione del
reato. E la corte costituzionale avrebbe fatto leva anche sull’art.469 per respingere le censure mosse alla
disposizione che attribuisce al pm il potere di emettere il decreto di citazione a giudizio.
10. Gli atti urgenti.
Con l’art.554 viene affrontato e risolto il problema relativo all’individuazione dell’organo giurisdizionale competente
ad assumere gli atti urgenti a norma dell’art.467 ed a provvedere sulle misure cautelari dal momento
dell’emissione del decreto di citazione a giudizio, sino alla relativa trasmissione, unitamente al fascicolo per il
dibattimento, al giudice del dibattimento stesso.
A dispetto dell’assoluta identità tra la rubrica dell’art.554 e quella dell’art.467, che si riferiscono sempre agli atti
urgenti, sarebbe errato configurare la prima disposizione alla stregua di un adattamento della seconda alle
peculiarità del procedimento per citazione diretta davanti al giudice monocratico. Nell’art.467, in forza del quale il
presidente del tribunale o della corte d’assise dispone, a richiesta di parte, l’assunzione delle prove non rinviabili nei
casi previsti dall’art.392, osservando le forme stabilite per il dibattimento, il dies a quo si identifica con il dies ad
quem utilizzato per l’art.554, al fine di attribuire al gip i relativi poteri.
Pertanto, la possibilità di ricorrere all’incidente probatorio per i casi di citazione diretta viene a coprire l’intero iter
predibattimentale: nel corso delle indagini preliminari, in forza dell’operatività degli artt.392 ss; nel periodo
successivo all’emissione del decreto di citazione a giudizio, troverà invece applicazione prima l’art.554 e, poi, dopo la
trasmissione del fascicolo al giudice del dibattimento, l’art.467, sulla scorta del rinvio generale alle disposizioni sul
procedimento ordinario contenuto nell’art.549. Attraverso il richiamo all’art.467 effettuato nell’art.554, si
individuano le tipologie degli atti che possono essere assunti e le forme che debbono essere all’uopo utilizzate. Si
dovrà quindi trattare di quegli atti che nel corso delle indagini preliminari possono consentire il richiamo
all’incidente probatorio, per la cui assunzione devono rispettarsi le forme previste per il dibattimento.
Quanto invece alla competenza funzionale espressamente riconosciuta al gip per i provvedimenti sulle misure
cautelari, si è detto che la disposizione in commento troverebbe spiegazione nel fatto che la fase in essa considerata
non era contemplata tra i vari segmenti procedimentali individuati nell’art.279 dove si affronta la problematica della
determinazione del giudice competente funzionalmente in ordine alle misure cautelari. A dire il vero, una corretta
lettura del riferimento al giudice che procede, cui si rifà l’art.279, avrebbe consentito di pervenire
interpretativamente ad una risposta analoga a quella contenuta nell’art.554, donde la sostanziale superfluità della
disposizione: per giudice che procede, in effetti, deve intendersi il giudice che è competente ad esercitare i poteri
giurisdizionali in ciascuna fase del procedimento, e, fatta eccezione per la fase delle indagini preliminari, non potrà
che essere identificato sulla base della disponibilità giuridica e materiale degli atti del procedimento.
L’esperienza applicativa, invece, ha rilevato l’opportunità della esplicita previsione nell’ambito del rito pretorile. La
mancanza di una disposizione ad hoc ha fatto sì che il procedimento ordinario si sia dovuto attendere un doppio
intervento delle sezioni unite, con il quale si è infine adottata la stessa soluzione ipotizzata dal legislatore per il
procedimento monocratico: si è detto che al gup appartiene la competenza all’adozione dei provvedimenti relativi
alle misure cautelari nel periodo compreso tra la pronuncia del decreto che dispone il giudizio e la trasmissione degli
atti al giudice del dibattimento, in quanto la disponibilità materiale e giuridica degli atti viene meno solo con la
trasmissione degli stessi ad altro giudice.
11. L’udienza di comparizione a seguito della citazione diretta a giudizio.
L’udienza di comparizione (555) è un’udienza dibattimentale a tutti gli effetti, e si differenzia rispetto a questa solo
per alcuni riflessi dovuti alla mancanza dell’udienza preliminare.
Ex 555,1 almeno 7 gg prima della data fissata per l’udienza di comparizione, le parti devono, a pena di
inammissibilità, depositare in cancelleria le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone
indicate nell’art.210 di cui intendono chiedere l’esame come vediamo si sono riportate quasi integralmente le
disposizioni dell’art.468 tuttavia nessun riferimento viene effettuato all’indicazione delle circostanze su cui deve
vertere l’esame, in tal modo compromettendo almeno una delle funzioni perseguite dall’art.468, ovvero quella di
garantire alle parti la possibilità di conoscere tempestivamente le prove che l’altra parte vorrebbe assumere in
dibattimeto, in modo da poter preparare la propria linea difensiva ed eventualmente chiedere la prova contraria.
Inoltre, a fronte di una mera elencazione anagrafica diventerebbe problematico individuare anche i criteri attraverso
i quali potrà essere esercitato il sindacato del giudice finalizzato all’esclusione delle testimonianze vietate e
manifestamente sovrabbondanti come invece avviene ex 468,2 per evitare simili conseguenze, si dovrà forzare
non poco il significato del già rammentato rinvio generale alle disposizioni contenute nel libro VII, rinvio che non
dovrebbe poter operare rispetto alla disciplina delle liste testimoniali. Stande l’entita del termine di 7gg entro cui
deve essere effettuato il deposito ex art.468, allora, si dovrà concludere che la previsione introdotta nell’art.555
comma 1 è del tutto inutile, oltre che “pericolosa” a livello di interpretazione sistematica.
Contenuti specifici dell’udienza di comparizione sono quelli che mirano ad evitare il proseguo nel dibattimento. Ex
555,2, infatti, prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato o il PM può presentare
richiesta di patteggiamento, oppure l’imputato stesso può chiedere il giudizio abbreviato o presentare domanda di
oblazione. Ex 464bis,2 lo stesso vale per la rischiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova fatta
dall’imputato personalmente o amezzo di un procuratore speciale. Tutto questo è dovuto al fatto che l’assenza di
udienza preliminare fa sì che l’udienza di comparizione diventi la sede in cui operare la scelta dei riti alternativi.
Nella medesima prospettiva l’art.555,3 introduce un tentativo di conciliazione obbligatorio espletato dal giudice
(una volta era espletato dal PM: questa cosa però destava una perplessità perché le remissioni di querela non
avvenivano quasi mai nei primi momenti del procedimento, ma si collocavano tendenzialmente proprio in sede di
apertura del dibattimento.), infatti questi, quando il reato è perseguibile a querela, deve verificare se il querelante è
disposto a rimettere la querela ed il querelato ad accettare la remissione il tutto da coordinarsi con l’art. 155,1
cp per cui la remissione non produce effetto solo se il querelato l’ha espressamente o tacitamente ricusata. Quindi,
se il querelato non è presente e non si è realizzata tale situazione, a fronte di una remissione della querela, il giudice
può dichiarare ugualmente l’estinzione del reato, a prescindere dall’accettazione della remissione. Si aggiunga che
secondo le SS.UU. integra remissione tacita della querela anche la mancata comparizione all’udienza dibattimentale
del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata
come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.
Nel caso in cui le ipotesi di epilogo anticipato siano tutte infruttuose, l’udienza di cmparizione prosegue come una
normale udienza dibattimentale, infatti ex 555,4 se deve procedersi al giudizio, le parti, dopo la dichiarazione di
apertura del dibattimento, indicano i fatti che intendono provare e chiedono l’ammissione delle prove. Inoltre, le
stesse potranno concordare l’acquisizione al fascicolo dibattimentale di atti contenuti nel fascicolo del PM, nonché
della documentazione relativa all’attività d’investigazione difensiva, analogamente a quanto disposto nell’art. 493
commi 1 e 3.
La disposizione sull’udienza di comparizione non menziona direttamente nessuna altra attività successiva. Il che
potrebbe far pensare che il legislatore ha inteso dare dignità normativa a quel modello di svolgimento
dibattimentale che è stato da svariati anni accolto soprattutto negli uffici giudiziari più grandi, modello per cui nella
prima udienza non si procede all’istruzione, ma si verifica solo la necessità dell’istruzione, a seguito di un’udienza
definita di smistamento. In tale direzione si era mosso un disegno di legge del 1997, nel quale si stabiliva espressis
verbis che per procedere oltre nel dibattimento si sarebbe fissata un’altra udienza, a meno che non fossero state
presentate le liste di cui all’art.468. In assenza di un segnale normativo inequivoco, appare azzardato concludere nel
senso che nell’udienza di comparizione ex art.555 non si possa avere attività di istruzione dibattimentale, anche
perché la disposizione si conclude con un ampio rinvio alle norme contenute nel libro VII per la disciplina di tutto ciò
che non è espressamente previsto. Semmai, andrà subito precisato che le eccezioni all’operatività delle previsioni
ordinarie non si esauriscono all’interno della disposizione sull’udienza di comparizione, in quanto altri contenuti
specifici si rinvengono nell’art.559, riguardante il dibattimento davanti al tribunale in composizione monocratica, a
prescindere dalla riconducibilità o meno del procedimento tra quelli a citazione diretta.
12. I procedimenti speciali: a) il giudizio abbreviato; b) l’applicazione della pena su richiesta; c) il
procedimento per decreto; d) la convalida dell’arresto e il giudizio direttissimo.
Per quanto riguarda i procedimenti speciali: A. Nel caso del giudizio abbreviato, a seguito dell’introduzione
dell’udienza preliminare per le ipotesi penali non contemplate nell’art.550, il legislatore si è limitato a stabilire
l’osservanza della disciplina normalmente prevista per tale rito e contenuta negli art.438-443, in quanto applicabile
(556,1). L’unitarietà di disciplina delle indagini preliminari ha spinto verso l’eliminazione dell’anomalia costituita
dalla possibilità di presentare la richiesta di giudizio abbreviato nel corso delle indagini preliminari, prima quindi che
fosse delineata l’ipotesi accusatoria di un’imputazione formalizzata. D’altro canto, ciò rendeva piuttosto improbabile
l’eventualità che la persona sottoposta alle indagini potesse già attivarsi per la definizione del procedimento, in
quanto non disponeva ancora di riferimenti sicuri in ordine ai livelli edittali della pena che avrebbe potuto essere
inflitta in caso di condanna. Si è altresì segnalato come sia venuta meno la possibilità di chiedere che il gip decida
sulla richiesta di giudizio abbreviato avanzata entro 15gg dalla notificazione del decreto di citazione a giudizio. Ove,
invece, ove l’azione penale sia stata esercitata senza l’udienza preliminare, e quindi, nel caso di citazione diretta a
giudizio, di emissione del decreto penale di condanna e di giudizio direttissimo, troveranno rispettivamente
applicazione gli artt.555,2, 557 e 558,8, nel senso che l’imputato potrà formulare la richiesta prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento, con l’atto di opposizione o subito dopo l’udienza di convalida dell’arresto
in flagranza (556,2 prima parte). In relazione al giudizio abbreviato nell’art. 556,2 viene altresì espressamente
richiamato l’art.441bis (provvedimenti del giudice in caso di nuove contestazioni nel giudizio abbreviato),
stabilendosi inoltre che nel caso di richiesta di “contro-trasformazione” del rito, il giudice revoca l’ordinanza con cui
era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza per il giudizio.
B. Anche per il patteggiamento, richiesta relativamente alla quale le determinazioni possono essere assunte dal
viceprocuratore onorario nei procedimenti relativi ai reati per i quali l’azione penale viene esercitata con decreto di
citazione diretta ai sensi dell’art.550 comma 1, la disciplina si è notevolmente semplificata. Si osserva la normale
disciplina tramite richiamo agli artt.444-448 in quanto applicabili. Pure per il patteggiamento non è più consentito
rivolgersi al gip entro 15gg dalla notificazione del decreto di citazione a giudizio e, nei casi in cui sia mancata
l’udienza preliminare, varrà la regola prevista per la richiesta di giudizio abbreviato;
C. Nel caso del procedimento per decreto, rispetto al quale bisogna segnalare che ai sensi della riforma Orlando il
viceprocuratore onorario sia legittimato a presentare la richiesta di emissione, l’art.557, fermo restando il rinvio alle
disposizioni ordinarie contenute nel titolo V del libro VI (557,3), dispone che con l’atto di opposizione l’imputato può
chiedere al giudice di emettere il decreto di citazione a giudizio, ovvero di chiedere il giudizio abbreviato o il
patteggiamento o presentare domanda di oblazione (557,1). Quanto alla richiesta di sospensione del procedimento
con messa alla prova, seppur in mancanza di espresse disposizioni, si ritiene che questa potrà essere pacificamente
essere resentata con l’atto di opposizione, come previsto in generale dall’art.464bis,3, anche se, diversamente da
quanto stabilito per gli altri procedimenti speciali attivati con l’opposizione, la decisione su tale istanza dovrà essere
emessa, secondo la giurisprudenza di legittimità, dal giudice dibattimentale e non dal gip.
Nel caso di opposizione, il potere di rinviare a giudizio è attribuito al giudice, anche se il legislatore allude ad un
“decreto di citazione a giudizio” come avviene nell’art.500, e non ad un “decreto che dispone il giudizio” come
avviene nell’art.429. Relativamente al termine per comparire che deve intercorrere tra la notifica di tale decreto e la
data fissata per il dibattimento, deve essere rispettato quello di 30gg previsto dall’art.456 per il giudizio immediato e
non quello di 60gg stabilito per il decreto di citazione a giudizio. Nel giudizio conseguente all’opposizione, l’imputato
non può chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento, né presentare domanda di oblazione (557,2). Peraltro,
quest’ultima iniziativa potrà essere rinnovata ex 162-bis c.p., sempreché non vi siano mutamenti della richiesta e
della situazione di fatto cui la stessa si riferisce.
D. diverse particolarità caratterizzano la regolamentazione dello svolgimento procedurale del giudizio direttissimo
che, a seguito di arresto in flagranza, può aversi davanti al tribunale in composizione monocratica (558). Sul piano
ordinamentale, non è consentita l’assegnazione di questi procedimenti ai giudici onorari di pace, mentre il
viceprocuratore onorario può svolgere funzioni di pm nell’udienza di convalida dell’arresto ex art.558, eccezion fatta
per i procedimenti per i delitti di cui agli artt.589 e 590 c.p. commessi con violazione delle norme per la prevenzione
sugli infortuni sul lavoro, nonché di cui all’art.590-sexies c.p., e così pure può assumere le determinazioni relative
all’applicazione della pena su richiesta delle parti per i reati di cui all’art.550 comma 1, anche quando si proceda a
giudizio direttissimo dopo la convalida dell’arresto.
A seguito di vari interventi della Corte costituzionale, il giudizio direttissimo può essere instaurato anche davanti al
tribunale in composizione monocratica sia nel caso di confessione dell’indagato sia di arresto in flagranza
convalidato dal gip (originariamente l’arresto in flagranza era l’unico caso). In tali casi, la richiesta di giudizio
abbreviato o di patteggiamento deve essere effettuata dal pm prima che sia dichiarato aperto il dibattimento.
Vanno delineate alcune differenze nell’iter procedimentale rispetto alle sequenze delineate negli artt.449-452. Nel
caso del rito direttissimo in cui si realizza la contestualità tra convalida dell’arresto e giudizio, di regola sono ex 558,1
gli ufficiali o gli agenti di PG che hanno eseguito l'arresto in flagranza o che hanno avuto in consegna l'arrestato a
condurlo direttamente davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio,
sulla base della imputazione formulata dal PM. In tal caso gli stessi organi di PG citano anche oralmente la persona
offesa e i testimoni e avvisano il difensore di fiducia o, in mancanza, quello designato di ufficio ex 97,3.
558,2 laddove però il giudice non tenga udienza, gli ufficiali o gli agenti di PG che hanno eseguito l'arresto o che
hanno avuto in consegna l'arrestato informano immediatamente il giudice e presentano l'arrestato all'udienza che lo
stesso deve fissare entro 48ore dall'arresto. Non si applica la disposizione prevista dall'articolo 386,4.
558,3 Il giudice al quale viene presentato l'arrestato autorizza l'ufficiale o l'agente di PG a una relazione orale e
quindi sente l'arrestato per la convalida dell'arresto.
558,4 L’iniziativa della presentazione dell’arrestato in flagranza ad opera del PM (ancichè della PG), per la
convalida e il contestuale giudizio entro 48 ore dall’arresto, è invece prevista solo nel caso in cui il PM abbia
ordinato che questi sia posto a sua disposizione. Peraltro, a seguito delle modifiche nel 2012, è stato soppresso il
secondo periodo dove si consentiva al pm di presentare l’arrestato al giudice anche qualora lo stesso non tenesse
udienza, chiedendone la fissazione al più presto e comunque entro 48ore. Pare potersi ritenere che sia stata
eliminata la possibilità di differire la convalida, imponendo al pm, qualora il giudice non tenga udienza, di procedere
nelle forme ordinarie, inoltrando la richiesta di convalida al gip. Ma non appare facile individuare la ratio della
conseguente differenziazione di disciplina che viene ad interessare il caso in cui l’iniziativa per la fissazione
dell’udienza spetta alla pg ed il caso in cui invece l’iniziativa spetti al pm.
Nel quarto comma dell’art.558 è stato eliminato il rinvio all’art.386, essendo stata esentata la PG dall’obbligo di
associare gli arrestati agli istituti carcerari si è cercato di limitare il flusso degli arrestati in flagranza verso il
carcere nelle ipotesi in cui l’udienza di convalida debba celebrarsi contestualmente al giudizio direttissimo questo
per evitare il cd. fenomeno delle porte girevoli ovvero una carcerazione brevissima in quanto scarcerati all’esito
del processo. Contestualmente per evitare il sovraffollamento delle carceri il comma 4bis prevede che il PM
disponga sempre, in attesa dell’udienza di convalida, che l'arrestato sia custodito in uno dei luoghi indicati nell'art.
284,1, cioè nei luoghi ove si eseguono gli arresti domiciliari. Solo in caso di mancanza, indisponibilità o inidoneità di
tali luoghi, o quando essi sono ubicati fuori dal circondario in cui è stato eseguito l'arresto, o in caso di pericolosità
dell'arrestato, si prevede che il PM disponga che sia custodito presso idonee strutture nella disponibilità degli
ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o che hanno avuto in consegna l'arrestato. Solo
se anche tale soluzione sia impossibile per mancanza, indisponibilità o inidoneità di tali strutture, o se ricorrono altre
specifiche ragioni di necessità o di urgenza, il PM può disporre con decreto motivato che l'arrestato sia condotto
nella casa circondariale del luogo dove l'arresto è stato eseguito ovvero, se ne possa derivare grave pregiudizio per
le indagini, presso altra casa circondariale vicina. Diventa quindi sempre necessario l’intervento del PM, a
prescindere che l’arrestato sia stato messo o meno a sua disposizione dalla PG, al fine di decidere il luogo di
custodia di fatto ciò spingerà la PG ad una sistematica messa a disposizione dell’arrestato, con sostanziale
disapplicazione dell’art.558,2.
558,4ter Nei casi previsti dalle lettere e-bis ed f dell’art.380,2 (furto in abitazione, rapina ed estorsione) il PM
dispone che l'arrestato sia custodito presso idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia
giudiziaria (regola più severa per l’arrestato); ma se tali strutture non siano utilizzabili o ricorrano ragioni di
necessità o urgenza Il PM dispone l’incarcerazione una sorta di presunzione di inadeguatezza della custodia
domiciliare numerose perplessità di legittimità costituzionale; del resto, nulla impedisce che proprio all’esito
dell’udienza di convalida lo stesso pm chieda l’applicazione della misura ex art.284 od anche di una misura meno
afflittiva. Quanto alla regolamentazione restante dl direttissimo monocratico, l’unica deroga attiene al termine di
difesa più breve – fino a 5gg – di quello assicurato davanti al tribunale in composizione collegiale. Non è
espressamente previsto il diritto dell’imputato ad essere avvertito dal giudice, ma il generale rinvio operato
dall’art.549 sembra poter evitare conclusioni sconfortanti sul piano dell’effettività del diritto di difesa. Sempre alla
disposizione d’esordio del libro VIII si potrà fare riferimento per individuare la disciplina degli atti preparatori del
dibattimento e dell’esercizio dell’azione penale, disciplina ricavabile ex artt.450 e 451.
13. Il dibattimento.
Il dibattimento riceve una collocazione autonoma nel libro VIII, ossia nel titolo IV, e l’art.559 costituisce l’unica
norma oggi che contiene questo titolo, all’origine ve ne erano di più. L’art.559,1 relativo al dibattimento esordisce
prevedendo che il dibattimento si svolge secondo le norme stabilite per il procedimento davanti al tribunale in
composizione collegiale, in quanto applicabili. Vi sono tuttavia alcune deroghe alla regolamentazione ordinaria del
dibattimento. Innanzitutto, con riguardo alle modalità di verbalizzazione nell’art.559,2 si stabilisce che se le parti vi
consentono e il giudice non ritiene necessaria la redazione in forma integrale, il verbale di udienza è redatto in
forma riassuntiva, e questo anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 140 ovvero gli atti da verbalizzare di
contenuto semplice o di limitata rilevanza ovvero alla contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di
ausiliari tecnici. Questa è una soluzione di compromesso rispetto alla regola assoluta della redazione in forma
riassuntiva del verbale che compariva nel progetto preliminare per il dibattimento pretorile, in esasperata
attuazione dei criteri di massima semplificazione. Il giudice è libero di scegliere tra redazione integrale e riassuntiva,
e questa libertà è stata riconosciuta dalla corte costituzionale.
Altra deroga è quella per cui ex 559,3 su concorde richiesta delle parti, l’esame dei testimoni, dei periti, dei
consulenti tecnici e delle parti private, anziché essere condotto normalmente dal PM e dai difensori, può essere
condotto dal giudice sulla base delle domande e delle contestazioni proposte dal PM e dai difensori. Il giudice non è
comunque obbligato a svolgere direttamente l’esame anche se le parti lo richiedono, quindi, laddove la lettura degli
atti inseriti nel fascicolo dibattimentale non gli assicuri una sufficiente comprensione della fattispecie processuale,
dovrà “restituire” alle parti il compito di condurre l’esame ricordiamo che il giudice all’inizio è a conoscenza dei
soli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, quindi a meno che non si tratti di un caso semplice avrà difficoltà a
condurre l’esame.
Sempre nell’ottica di semplificazione ed accelerazione procedimentale, nella disposizione sul dibattimento pretorile
era stata fissata la regola della redazione contestuale del dispositivo e della motivazione, regola che poteva essere
derogata solo nei casi in cui la motivazione fosse risultata particolarmente complessa. Nella prassi, peraltro, questa
previsione era stata per lo più disapplicata; del resto, i tempi di redazione della motivazione sono condizionati non
solo dalla maggiore o minore complessità della vicenda processuale, ma anche dal carico di lavoro che grava sul
giudice. Non si può, quindi, che convenire con il legislatore che, in occasione della rivisitazione del rito monocratico,
ha deciso di non riprodurre detta previsione.
Altra deroga è quella ex 559,4 per cui in caso di impedimento del giudice (fra cui è da ricomprendersi anche la morte
pur non espressamente menzionata a differenza di quanto accade nella composizione collegiale), la sentenza è
sottoscritta dal presidente del tribunale, previa indicazione della causa della sostituzione le SS.UU. hanno
precisato che il potere sostitutivo del presidente del tribunale non attenga solo alla sottoscrizione, ma debba
ritenersi esteso anche alla redazione integrale della motivazione.
Nei procedimenti nei quali il tribunale giudica in composizione monocratica, ad esclusione di quelli relativi ai delitti
di cui agli artt.589 e 590 c.p. commessi con violazione delle norme antiinfortunistiche nonché di cui all’art.590-sexies
c.p., il viceprocuratore onorario può svolgere, per delega del procuratore della Repubblica e secondo le direttive
stabilite in via generale dal magistrato professionale che ne coordina le attività, le funzioni di pm nell’udienza
dibattimentale. Peraltro, prima della riforma organica della magistratura onoraria del 2017, le funzioni del pm nelle
udienza dibattimentali che si svolgevano dinanzi al tribunale in composizione monocratica potevano essere
esercitate da uditori giudiziari, da viceprocuratori onorari addetti all’ufficio, da personale in acquiescenza da non più
di 2anni che nei 5anni precedenti avesse svolto funzioni di ufficiale di pg, o da laureati in giurisprudenza che
frequentavano il secondo anno delle sspl. Attualmente, invece, dette funzioni potranno essere delegate solo ad un
viceprocuratore onorario che è il magistrato onorario addetto all’ufficio di collaborazione del procuratore della
Repubblica italiana in forza dell’art.2 della riforma Orlando. Dovrà quindi possedere i requisiti indicati dall’art.4 del
decreto della riforma ed essere risultato idoneo al conferimento dell’incarico dopo lo svolgimento di un tirocinio di
durata semestrale presso gli uffici giudiziari. È auspicabile che il rischio della presenza in udienza di un pm
tecnicamente non affinato vada a ridursi e conseguentemente anche la tendenza del giudice, soprattutto quello
professionale, a preoccuparsi di porre rimedio alle eventuali lacune di impostazione e di iniziativa dell’accusa, con
intuibili conseguenze sul piano del corretto sviluppo del contraddittorio dibattimentale.

CAPITOLO 9 - IMPUGNAZIONI
Appello e ricorso per cassazione sono impugnazioni ordinarie (appartengono all’ambito dei rimedi) contro le
sentenze di primo e secondo grado non ancora irrevocabili. Sono due istituti diversissimi, anche se ora hanno finito
per assomigliarsi e confondersi. È vero che, essenzialmente, l’appello è un giudizio di merito dove il giudice d’appello
si sostituisce al giudice di primo grado, in ambito limitato, mentre il ricorso per cassazione è un ricorso sulla
legittimità dove il giudice ha un potere di rimedio ma non di merito (giudice della correttezza giuridica e trascende la
singola vicenda giudiziaria: garantisce l’uniforme interpretazione della legge).
Revisione, ricorso straordinario per errore di fatto e rescissione del giudicato sono invece impugnazioni a carattere
straordinario, per sentenze irrevocabili.

Disposizioni di carattere generale: artt.568-569-587-588.


Art.568: regole generali. Da questo articolo capiamo quali atti sono impugnabili e chi li può impugnare. Sono
impugnabili solo gli atti definiti tali dalla legge con il mezzo che la legge indica. Vige un principio di tassatività dei
mezzi d’impugnazione. C’è però una eccezione, una deroga a questo principio creata dalla giurisprudenza: il
principio di tassatività suppone che l’atto sia un atto previsto dalla legge. Esistono casi in cui i giudici compiono degli
atti strani e siccome la legge non ha previsto la possibilità che il giudice ponga quell’atto, come ci si comporta nei
confronti di questi atti c.d. abnormi? La giurisprudenza distingue due tipi di abnormità:
1. Strutturale: particolare e singolare il contenuto di un atto che fuoriesce dunque da quelli previsti nel cpp;
2. Funzionale: con un provvedimento il giudice determina una stasi del procedimento o una regressione
anomala del procedimento.
Es: due atti che chiudono l’udienza preliminare, art.429 e art.425: decreto di rinvio a giudizio o sentenza di non
luogo a procedere. Supponiamo che il giudice anziché emettere un decreto di rinvio a giudizio condanni l’imputato.
Questo atto la legge non lo prevede, perché il gup può compiere solo questi due atti alla fine dell’udienza. Cosa può
fare uno che viene condannato dal gup? Non si può guardare alla tassatività prevista per i mezzi di impugnazione. La
giurisprudenza ha creato la categoria dell’abnormità che è una deroga ragionevole al principio della tassatività e
stabilendo che di fronte ad un atto abnorme è possibile il ricorso per cassazione.
Altro caso, non di scuola, ma accaduto una decina di anni fa (SS.UU Battistella): il giudice alla fine dell’udienza
preliminare rileva una indeterminatezza dell’imputazione (che dovrebbe essere chiara e precisa), e cosa faceva in
questi casi il giudice? Se avesse ritenuto troppo vaga l’imputazione avrebbe considerato questa una nullità, ma in
realtà non è prevista come nullità (violazione del diritto di difesa, e come tale consentiva di dichiarare nulla la
richiesta di rinvia a giudizio e di restituire gli atti al pm affinché riformulasse l’imputazione). Quindi si tornava
indietro nel procedimento, in questo modo. La corre di cassazione ha smesso di operare così ad un certo punto,
perché ha rilevato uno strumento che consente un risparmio di tempo: art.423 consente di precisare meglio
l’imputazione. Quella giuri che in realtà autorizzava il ritorno all’indagine preliminare era dispendiosa, e quindi di
fronte ad un’imputazione mal formulata si pone un problema di diritto di difesa ma il pm va invitato a riformulare
l’imputazione tramite i poteri che ha per via dell’art.423. D’ora in poi le SS.UU Battistella fanno testo, quindi gli atti
non si restituiscono in prima battuta al pm, ma si invita questo a modificare l’imputazione.

Titolari del diritto di impugnazione


A) IMPUGNAZIONE DEL PUBBLICO MINISTERO
Titolari del diritto di impugnazione → p. tassativita: il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge
espressamente lo conferisce. Se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse.
Impugnazione del PM (art 570):
• il procuratore della Repubblica presso il tribunale ed il procuratore generale presso la corte d'appello possono
proporre impugnazione, nei casi stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del
PM → e anche possibile un'eventuale concorrenza di impugnazioni (co 1)
• l'impugnazione puo essere proposta anche dal rappresentante del PM che ha presentato le conclusioni (co 2)
→ il rappresentante che ne fa richiesta nell'atto d'appello può partecipare al successivo grado di giudizio quale
sostituto del procuratore generale presso la corte d'appello (se quest'ultimo lo ritenga opportuno) (co 3)
→ al PM puo essere presentata richiesta motivata di proporre impugnazione dalla parte civile, dalla persona offesa
anche se non costituita parte civile, e dagli enti ed associazioni intervenute (art 572)
B) IMPUGNAZIONE DELL'IMPUTATO E DEL SUO DIFENSORE
Impugnazione dell'imputato (art 571)
• l'imputato puo proporre impugnazione personalmente o per mezzo di un procuratore speciale
• in caso di imputato soggetto a tutela e di imputato incapace di intendere o di volere senza tutore, possono
proporre l'impugnazione spettante all'imputato il tutore ed il curatore speciale
• per l'imputato minorenne l'impugnazione puo essere proposta anche dall'esercente la potesta genitoriale
• puo proporre impugnazione anche il difensore dell'imputato al momento del deposito del provvedimento o il
difensore nominato dall'imputato proprio per la presentazione dell'impugnazione
• nei modi previsti per la rinuncia, l'imputato puo togliere effetto all'impugnazione proposta dal suo difensore (in
caso di imputato soggetto a tutela o incapace di intendere o di volere senza tutore, occorre il consenso del
tutore o del curatore speciale)
l'impugnazione dell'imputato non riguarda soli i capi penali della sent, ma anche gli interessi civili (art 574)
• l'imputato puo proporre impugnazione contro i capi della sent che riguardano la sua condanna alle restituzioni
e al risarcimento del danno e contro quelli relativi alla rifusione delle spese processuali (co 1)
• l'imputato puo proporre impugnazione contro le disposizioni della sent di assoluzione relative alle domande da
lui proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali (co 2)
• l'impugnazione per gli interessi civili e proposta col mezzo previsto per le disposizioni penali della sent (co 3)
• l'impugnazione dell'imputato contro la pronuncia di condanna penale o di assoluzione estende i suoi effetti alla
pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali, se
questa pronuncia dipende dal capo o dal punto impugnato (co 4)
• quando nei confronti dell'imputato e stata pronunciata condanna alle restituzioni o al risarcimento dei danni
cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice d'appello e la cassazione, nel dichiarare il reato estinto
per amnistia o per prescrizione, decidono sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della
sentenza che concernono gli interessi civili (art 578)
Effetti dell’impugnazione:
sono tre, due regolati:
1. Effetto devolutivo: non regolato ma ricavabile dal sistema. L’impugnazione attribuisce la cognizione del caso
ad un giudice che ha competenza superiore. La devoluzione significa si devolve il caso al giudice superiore.
2. Effetto sospensivo: art.588. E’ un effetto che è al servizio della presunzione di innocenza. La condanna in
primo grado impugnata è sospesa nella sua esecuzione, e anche quella di secondo grado. L’esecuzione è
possibile quindi solo quando il processo si chiude, al contrario di quanto avviene nel processo civile. l’art.588
fa eccezione solo per i provvedimenti cautelari a questo effetto: dal momento della pronuncia e fino
all’esito del giudizio di impugnazione l’esecuzione del provvedimento impugnato è sospesa, salvo che la
legge disponga altrimenti. Le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno
in alcun caso effetto sospensivo. Le impugnazioni contro le misure cautelari non hanno effetto sospensivo.
3. Effetto estensivo: art.587. Sono importanti i primi due commi: il primo comma prevede il caso di più
persone autrici di reato giudicate nel medesimo processo. L’ipotesi che si fa è quella in cui uno presenta
appello e gli altri no. L’impugnazione presentata da un imputato giova anche agli altri, e quindi questi, se
non rinunciano, si trovano ad essere impugnati loro malgrado. Si vuole tutelare il valore dell’uniformità del
giudizio, altrimenti se non esistesse questo primo comma, se cioè l’appello di uno non giovasse agli altri, per
gli altri la sentenza passa in giudicato, per il quinto il processo continua e potrebbe finire in maniera diversa,
e creerebbero un conflitto logico di giudicati e ci sarebbe un presupposto per la revisione delle altre
sentenze di condanna. Si costringono gli imputati quindi ad andare insieme, a meno che le ragioni addotte
dall’impugnante non siano esclusivamente personali: nel caso di concorso di persone nel reato, si estendono
sia i motivi di doglianza di carattere penale sostanziale (perché il reato è condiviso) sia quelli di diritto
processuale (perché il processo è unico). Il secondo comma riguarda la connessione e il collegamento che
comportano il cumulo processuale: si estendono soltanto i motivi di ordine processuale, perché i reati sono
diversi ma il procedimento è unico.

ART 591 L'INTERESSE AD IMPUGNARE E INAMMISSIBILITA’

Interesse ad impugnare → Il soggetto legittimato ad impugnare deve avervi interesse (art 568 co 4): l'impugnazione

deve essere volta ad eliminare un provvedimento pregiudizievole e a sostituirlo con un altro da cui consegua un
risultato vantaggioso
• l'interesse ad impugnare deve essere concreto (alla posizione giuridica del soggetto deve derivare un risultato
pratico favorevole)
• l'interesse ad impugnare deve essere attuale (deve persistere fino alla fine della decisione)
Considerazioni:
• poiche tra le attribuzioni del PM c'e quella di vegliare all'osservanza delle leggi, l'interesse di tale organo, a
volte, puo coincidere con quello dell'imputato
• per l'imputato l'impugnazione deve tendere ad una decisione in concreto piu vantaggiosa rispetto a quella
impugnata → in particolare:
◦ l'imputato conserva interesse ad impugnare quando è stato assolto con una formula di proscioglimento
che non ha efficacia extra-penale, per ottenere una formula di proscioglimento che rivesta tale efficacia
(ad es. sent assolutoria fondata sulla regola di giudizio ex art 530 co 2)
◦ c'e interesse dell'imputato a ricorrere per cassazione nel caso in cui il giudice d'appello abbia omesso di
pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della disciplina della continuazione, formulata con apposito
motivo

Art.591 – inammissibilità
L'impugnazione è inammissibile:
a) quando è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse;
b) quando il provvedimento non è impugnabile;
c) quando non sono osservate le disposizioni degli articoli 581, 582, 583, 585 e 586;
d) quando vi è rinuncia all'impugnazione.
Comma 2
Il giudice dell'impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l'inammissibilità e dispone l'esecuzione del
provvedimento impugnato.

Comma 3
L'ordinanza è notificata a chi ha proposto l'impugnazione ed è soggetta a ricorso per cassazione (salvo che non sia
stata emessa dalla corte di cassazione stessa).
Se l'impugnazione è stata proposta personalmente dall'imputato, l'ordinanza è notificata anche al difensore.

Che succede se accanto a causa di inammissibilità sussiste causa di non punibilità ex art.129?
Per la causa di non punibilità è prevista declaratoria, anche d’ufficio, in ogni stato e grado.
J dell’impugnazione deve decidere tra le due quale prevale.
 ammissibile ricorso x cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, che è intervenuta
estinzione del reato x prescrizione maturata prima della sent impugnata ed erroneamente non dichiarata
da J di merito, in quanto tale doglianza costituirebbe motivo consentito ex art.606.1 lett. b), essendosi il J
sottratto all’obbligo ex art.129 che gli impone declaratoria ex officio
Con riforma Orlando:
art.159 c.p.
comma 1 = disciplina sospensione del corso della prescrizione

L'APPELLO: PREMESSA
Appello = mezzo d'impugnazione ordinario con il quale le parti che vi hanno interesse e ritengono viziata, per motivi
di fatto o di diritto, la decisione del giudice di I grado, chiedono una decisione del giudice d'appello con riferimento a
uno o più capi e punti del provvedimento → ha una struttura ibrida:
• funzione di gravame → il giudice d'appello, nei limiti segnati dai motivi proposti dalle parti, conferma o
riforma la decisione impugnata (effetto parzialmente devolutivo)
• funzione annullatoria → il giudice d'appello in alcuni casi annulla la sent invalida e gli atti vengono restituiti
al giudice a quo
→ viene considerato un strumento di controllo (piuttosto che come un nuovo giudizio):
• la rinnovazione del dibattimento è eccezionale
• la cognizione del giudice d'appello è limitata dalla domanda delle parti
• ampia operatività del divieto di reformatio in peius, se l'appellante è il solo imputato

Art.593: casi d’appello. Ci sono dei limiti particolari per i procedimenti speciali e qualche limite anche per il
procedimento ordinario.
Salvo quanto previsto dagli art.443, comma 3 (limiti di appellabilità per il giudizio abbreviato: simili a quelli
riguardanti il procedimento ordinario), l’art.448, comma 2 (sentenze di patteggiamento, di regola inappellabili), 579
e 680 (appellabilità delle misure di sicurezza), l’imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pm
può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo di reato o escludono la sussistenza di
una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del
reato. Quelle ad effetto speciale comportano un aumento di pena oltre un terzo. Pene di specie diversa: circostanze,
come omicidio premeditato, aggravanti che comportano l’ergastolo (da pena temporanea a indeterminata).
Il primo comma ci dice che le sentenze di condanna sono appellabili sia dall’imputato che dal pm, e per il pm ci sono
limitazioni.
Il comma 2 è dedicato alle sentenze di proscioglimento: il pm può appellare contro le sentenze di proscioglimento e
anche l’imputato tranne che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha
commesso. Non è una sorta di applicazione del comma 4 dell’art.568, perché se fosse così non solo sarebbe
impugnazione ma nemmeno inoppugnabile, ma il fatto che si considera non appellabile le rende comunque
impugnabili per cassazione.
Il comma 3 introduce limiti abbastanza blandi: totale inappellabilità per le sentenze di condanna all’ammenda o
pena alternativa. In materia contravvenzionale ci sono molti limiti perché l’appello è considerato per il diritto di
difesa, e in questo caso basta il primo grado, e c’è sempre la cassazione per errori di qualificazione giuridica.
Poteri cognitivi del giudice d’appello: art.597 cpp. Il giudice d’appello, che è giudice di merito, e si presenta con gli
stessi poteri decisori del giudice di primo grado, ha una cognizione limitata ai punti a cui si riferisce l’impugnazione.
Se l’appellante tocca tutti i punti si ha una sorta di devoluzione totale.
Punto della decisione (diverso da questione o capo della sentenza: riguarda un’imputazione, l’imputato): è qualcosa
di interno alla questione, può essere il tema concernente il nesso causale, la sussistenza o meno di una circostanza
scriminante, oppure questioni concernenti l’invalidità di atti o di competenza, per gli aspetti processuali. La
motivazione introduce dei temi e l’appellante deve scegliere quali punti aggredire e il giudice, limitatamente a quei
punti, può rivedere la questione. Gli altri punti non toccati passano in giudicato.

COGNIZIONE DEL GIUDICE DI APPELLO


Vale qui il principio della domanda, che non valeva nel primo grado, perché il tema era l’imputazione e tutte le
questioni attorno aveva rilevanza. Si parla quindi di effetto parzialmente devolutivo.
C’è un ulteriore limite: divieto di reformatio in peius. Scatta solo quando l’appellante è il solo imputato: lui se
impugna non rischia di essere condannato ad una pena più grave, anche quando il giudice riterrebbe opportuno
applicare una pena più grave. Es: corruzione e corruzione in atti giudiziari sono puniti in modo più diverso, la
seconda è più grave. Se in secondo grado il giudice vede la corruzione in atti giudiziari non potrà dare la pena per
questa ma dovrà attestarsi sulla pena della corruzione semplice.
Il divieto non funziona se appella anche il pm, e qui viene fuori il problema con l’appello incidentale: prima l’appello
incidentale poteva essere presentato sia dall’imputato che dal pm, ma se lo usava il pm si neutralizzava il divieto di
reformatio in peius, quindi il giudice poteva condannare a pena maggiore, se ad appellare fosse stato il pm. Oggi
questo non è più vero, dal febbraio 2018 è sparito l’appello incidentale del pm: art.595. “l’imputato che non ha
proposto impugnazione può proporre appello incidentale entro 15gg da quello in cui ha ricevuto la notificazione ex
art.584”.
Il giudice può andare anche ultra petita, può andare oltre le richieste che vengono dai motivi. Essendo il giudice
penale legato più alla legge sostanziale che al volere delle parti, soprattutto quando si tratta di applicare delle norme
a favore delle parti, il giudice può applicarle d’ufficio (comma 5 art.597). A cui va aggiunto l’art.129 cpp: in ogni stato
e grado del processo, il giudice, anche d’ufficio, se ritiene di dover prosciogliere, proscioglie. Se un difensore non
chiede il proscioglimento del suo imputato ma chiede solo la condanna ai minimi della pena, il giudice se ritiene di
dover prosciogliere lo proscioglie, perché glie lo impone l’art.129, che integra l’art.597.
APPELLO INCIDENTALE
Art.595 – appello incidentale.
Comma1
L’imputato che non ha proposto impugnazione, può proporre appello incidentale entro 15 giorni da quello in cui ha
ricevuto notificazione prevista ex art.584
Comma 3
Entro 15 giorni dalla notificazione dell’impugnazione presentata dalle altre parti (PM e parti private), l’imputato può
presentare al J, con deposito in cancelleria, memorie o richieste scritte.
Comma 4
Appello incidentale perde efficacia nel caso di inammissibilità / rinuncia dell’appello principale.

Qual è l’oggetto dell’appello incidentale?


Sezioni unite = solo i punti della decisione investiti dall’appello principale + punti ad essi collegati da connessione
essenziale

Art.598: estensione delle norme del giudizio di primo grado al giudizio di appello. In grado di appello si osservano le
norme che si sono applicate nel giudizio di primo grado, salvo specificazioni, che sono:
1. art.599: possibilità per il giudice d’appello di chiudere il processo, quando in gioco è solo il punto che
riguarda la commisurazione della pena, può decidere in camera di consiglio.
2. Art.599-bis: sempre in camera di consiglio. Ha introdotto un istituto che era stato già sperimentato ma con
un nome che era diventato antipatico: patteggiamento in appello. Suonava male, ma in realtà il termine
patteggiamento era molto fuorviante, e consisteva alla rinuncia di alcuni motivi d’appello. Oggi funziona più
o meno così ma è cambiato il nome: concordato con rinuncia ai motivi d’appello. La differenza con il
patteggiamento qui non c’è premialità di nessun tipo, nonostante sia una pratica negoziale, che in quanto
tale assomiglia al patteggiamento. C’è la semplificazione della contesa: se so che tu pm non dai battaglia a
questo punto, c’è concordato. A quel punto si smette di litigare, la cosa si semplifica. Il comma 2 esclude
alcuni tipi di reato, quelli più gravi, di mafia, terrorismo, pedopornografia infantile, violenza sessuale.
Dibattimento d’appello: art.602: nell’udienza, il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa.
Il giudizio dovrebbe consistere nella discussione delle prove in primo grado, ma non è sempre così semplice. Comma
3: nel dibattimento può essere data lettura di atti del giudizio di primo grado nonché di atti compiuti nelle fasi
antecedenti, anche d’ufficio. Qui l’oralità non è proprio prevista, infatti se evocano il 511 (consta degli atti che ci
sono finiti dentro ex art.431, quelli salvati dal fascicolo del pm, il dibattimento di primo grado ha finito per far
lievitare il relativo fascicolo; e tutto questo va anche al giudice d’appello ergo sfrutta tutta l’attività), ed
eventualmente il 512, il 513 e gli altri.
A volte ci sono novità, e si presenta qui come eccezionale quello che nel primo grado dovrebbe essere la regola:
l’assunzione di prove orali: art.603. si prospettano tre eccezionali situazioni in cui è possibile assumere la prova orale
in un giudizio d’appello che dovrebbe essere svolto sulla prova scritta:
1. Possibilità per il giudice, se non può decidere allo stato degli atti, di assumere prove già assunte in primo
grado. Es: vuole risentire un testimone.
2. La prova sopravvenuta: es, non conoscevo il testimone, che se avessi conosciuto sarebbe stato sentito in
primo grado. Si sfrutta il giudizio di appello per assumere per la prima volta una prova che prima non avevo:
qui scatta il diritto alla prova (rinnovazione dell’istruzione dibattimentale).
3. Comma 3: simile all’art.507. Se il giudice se ritiene assolutamente necessario assumere una prova la assume
anche d’ufficio. Prolunga l’art.507 in appello.
Comma 3-bis. Serve a superare il problema che aveva già risolto la legge Pecorella del 2006, poi dichiarata illegittima
dalla corte costituzionale (togliere al pm il potere o la facoltà di appellare le sentenze di proscioglimento così non si
verificava il caso di giudice di appello di rovesciare la sentenza di primo grado). Oggi il pm può appellare il
proscioglimento, ma il giudice d’appello è obbligato a rinnovare il dibattimento se vuole condannare, altrimenti la
sentenza sarà nulla. Qui c’è quindi tutela dell’imputato, che se è prosciolto anche ex art.530 comma 2, non può
appellare. Torna ad esserci il limite che c’era nel processo Andreotti. L’imputato assolto anche per dubbio sulla sua
colpevolezza non poteva essere appellante, il pm appellava contro di lui, ma l’imputato non aveva i poteri. Oggi è un
po’ così ma con il dovere del giudice di assumere delle prove orali come condizione per poter condannare. Se non si
assume questa prova, non si può condannare.
Di fronte ad un appello contro la sentenza di proscioglimento del pm il giudice deve assumere della prova orale, non
può solo riesaminare le prove scritte. Questo problema aveva interessato anche la corte edu, soprattutto per il stati
est europei. L’Italia non è mai stata per questo condannata.
SENTENZE CONCLUSIVE DEL GIUDIZIO D'APPELLO
Il giudizio d'appello puo concludersi con:
• sentenza di inammissibilita → il giudice dichiara inammissibile l'appello con sentenza quando accerta una
causa d'inammissibilita non rilevata prima del dibattimento o insorta dopo la sua apertura
• sentenza di conferma → il giudice pronuncia sentenza di conferma quando, ritenendo non fondati i motivi
dell'appello, lo rigetta e mantiene ferma la decisione di I grado (art 605 co 1)
• sentenza di riforma → il giudice pronuncia sentenza di riforma quando, accogliendo tutti o alcuni dei motivi
proposti, modifica in tutto o in parte la decisione di I grado, salvo il divieto della reformatio in peius in caso di
appello del solo imputato (art 605 co 1)
• sentenza di annullamento con trasmissione degli atti al PM e sentenza con rinvio degli atti al giudice che
procedeva al momento del verificarsi di determinate nullita → casi disciplinati all'art 604 (“questioni di
nullita”) >> vengono configurate varie situazioni volte a coniugare il p. di conservazione degli atti (la nullita
che colpisce una parte della sent non travolge le altre parti che non dipendano da essa) ed il p. di economia
processuale (il giudice d'appello si sostituisce a quello di I grado, correggendone ed integrandone la decisione)
◦ art 604 co 1 → il giudice di appello dichiara la nullita in tutto o in parte della sent appellata e dispone la
trasmissione degli atti al giudice di I grado, quando:
▪ vi e stata condanna per un fatto diverso da quello contestato (art 516 e 522 co 1)
▪ vi sia stata, in difetto di contestazione, applicazione di una circostanza aggravante per la quale la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza
aggravante ad effetto speciale (sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze
attenuanti)
◦ art 604 co 2 → quando sono state ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state
applicate, senza previa contestazione, circostanze aggravanti diverse da quelle previste dal co 1, il giudice
di appello esclude le circostanze aggravanti, effettua, se occorre, un nuovo giudizio di comparazione e
ridetermina la pena
◦ art 604 co 3 → quando il difetto di contestazione riguarda un reato concorrente (art 517) o un fatto
nuovo (art 518), il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena
corrispondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al PM per le sue determinazioni
◦ art 604 co 4 → il giudice, se accerta una nullita assoluta (art 179) o di una nullita a tipo intermedio (art
180) non sanata, dalle quali sia derivata la nullita del provvedimento che dispone il giudizio o della
sentenza di I grado, dichiara con sentenza la nullita e rinvia gli atti al giudice che procedeva quando si e
verificata (davanti al giudice di rinvio non trova applicazione il divieto di reformatio in peius)
◦ art 604 co 5 → il giudice, se accerta altre nullita che non sono state sanate (in particolare, nullita relative
ad atti probatori), puo ordinare la rinnovazione degli atti nulli, oppure, una volta dichiarata la nullita,
decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto non fornisce elementi necessari per il giudizio (sentenza
di conferma o riforma)
◦ art 604 co 5-bis → qualora si sia proceduto in assenza dell'imputato e vi e la prova che si sarebbe dovuto
procedere ai sensi degli artt 420-ter (impedimento a comparire) o 420-quater (sospensione del processo
per assenza dell'imputato), il giudice dichiara la nullita della sent e dispone il rinvio degli atti al giudice di
I grado (e lo stesso avviene quando l'imputato provi che l'assenza è dovuta a mancata conoscenza della
celebrazione del processo di I grado)
◦ art 604 co 6 → nel caso in cui il giudice di I grado abbia dichiarato erroneamente che il reato e estinto o
che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice d'appello decide nel merito,
rinnovando, se occorre, il dibattimento (sentenza di riforma)
◦ art 604 co 7 → nel caso in cui il giudice d'appello riconosca erronea la decisione del giudice di I grado
che abbia respinto la domanda di oblazione, accoglie la domanda di oblazione, sospende il dibattimento
per il pagamento delle somme dovute e, avvenuto il pagamento, pronuncia sent di proscioglimento
(sentenza di riforma)
>> se non viene proposto ricorso per cassazione, copia della sentenza di conferma o di riforma in relazione alla pena,
alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, insieme agli atti del procedimento, è trasmessa senza ritardo al
giudice di I grado competente per l'esecuzione; altrimenti e competente per l'esecuzione il giudice d'appello
>> le pronunce del giudice d'appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive

RICORSO IN CASSAZIONE
PREMESSA
Ricorso per cassazione = mezzo di impugnazione ordinario con il quale le parti chiedono l'annullamento per motivi
di diritto della decisione inappellabile o in grado d'appello, da un giudice di merito (ma, in determinati casi, è
possibile anche proporre immediatamente il ricorso per cassazione) → motivi di diritto (tassativi):
• errores in iudicando
• errores in procedendo

Art.65 ordinamento giudiziario: attribuzioni della corte suprema di cassazione. “La corte suprema di cassazione,
quale organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge,
l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di
competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge”.
Pietro Calamandrei parlava di sorta di funzione di polizia della corte di cassazione: anche per la sua natura, porta le
tracce di questo organismo che stava a metà tra il legislativo e il giudiziario e nel corso degli anni si è andato
adeguando verso il giudiziario. I giudici vengono chiamati consiglieri.
1. Esatta osservanza della legge: funzione giudiziaria della corte di cassazione. La corte fa un controllo sul caso
concreto. Stabilisce se in quel caso il giudice ha ragionato bene.
2. Uniforme interpretazione della legge: è una sorta di funzione politica della corte di cassazione, riguarda in
generale, è una interpretazione generale che non guarda solo il caso concreto. Si vuole dare una certezza
all’interpretazione giuridica. Quando fu decapitato il re, che in sé incarnava i tre poteri dello stato, si pose il
problema di tenere separati questi poteri. Ma il potere tra il legislativo e il giudiziario devono coordinarsi
bene, chi interpreta la legge? Quello che non può fare il legislatore è intervenire sul caso singolo. La legge
interpretativa vale solo per il futuro e vale in astratto, invece la corte di cassazione trae spunto da fatti
concreti. In realtà il margine non è così semplice: uno dei problemi più grossi della corte di cassazione è
quello di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto. Da noi il precedente vincolante non può vigere
perché in costituzione c’è scritto espressamente che il giudice è soggetto soltanto alla legge (nonostante le
modifiche della riforma Orlando che vedremo).
3. Unità del diritto obiettivo nazionale: è una formula che piaceva molto a Pietro Calamandrei, che fu autore
di queste norme, perché dava l’idea di una corte di cassazione volta a rinsaldare l’idea dell’unità nazionale.
Calamandrei scrive il trattato, quando ancora non era stata unificata la corte di cassazione, o meglio c’era
un’unica corte di cassazione penale, mentre la cassazione civile sarà unificata solo nel 1923, c’erano ancora
le cinque cassazioni regionali. Calamandrei voleva l’unificazione anche di queste 5 cassazioni civili, e si batte
per l’uniformità del diritto obiettivo nazionale appunto. Nel corso del tempo, non è venuto meno l’interesse
ad avere un organismo a livello statale che attesti quale sia il significato da attribuire a certe norme di legge,
con riferimento ad esempio alla Corte costituzionale e anche alle corti europee, soprattutto la corte di
Strasburgo. Quando la Corte costituzionale deve valutare la legittimità o meno della legge, inizialmente
valutava lei questa legge, ma ad un certo punto c’è stato uno scontro: la Corte costituzionale ha dovuto
cedere di fronte alle istanze della corte di cassazione che voleva interpretare la legge, e si forma il diritto c.d.
vivente (il diritto come lo interpreta la corte di cassazione). L’attività interpretativa è molto delicata, e la
Corte costituzionale deve prendere il criterio interpretativo dalla corte di cassazione per interpretare il
diritto. Le norme di legge sono interpretate dalla corte di cassazione, ma con riferimento alle parti
importanti del diritto, la corte di cassazione deve porre la base, il criterio da seguire, e sulla base di quel
criterio che la Corte costituzionale stabilisce la legittimità o meno delle norme.

Funzione nomofilattica: potere della corte di cassazione di soddisfare l’uniforme interpretazione della legge. La corte
di cassazione è affogata di ricorsi, sono anni che i consiglieri di cassazione lamentano la crescita di ricorsi. C’è
difficoltà di assicurare la funzione nomofilattica. Ci sono 300 consiglieri, di cui la metà sono nelle sezioni penale, che
sono 7 (per far fronte alla quantità incredibile di ricorsi, si è superata la soglia di 60mila ricorsi penali). La settima
sezione è composta a turno dai magistrati che compongono le altre sei sezioni, e ha il compito di fare un vaglio di
ammissibilità ictu oculi del ricorso. Se il ricorso è manifestamente infondato non passa nelle altre sezioni. Le altre 6
sono ripartite per materie. C’è stata una modifica, fatta dopo che la prima sezione aveva dato una prova non del
tutto positiva nella valutazione dei procedimenti riguardanti fatti di mafia, e da quel tempo (fine anni ’90) si decise di
distribuire i fatti di mafia e terrorismo su tre sezioni che variano nel tempo, per evitarne la concentrazione.
Ciascuna sezione giudica con 5 giudici ma a ciascuna sezione sono assegnati 15/20 giudici. Le sezioni quando
affrontano un caso guardano la giurisprudenza precedente. Le sezioni unite sono presiedute dal primo presidente e
poi è composta dai presidenti delle altre sezioni. Sono costruite come un organismo all’interno della corte di
cassazione, decidono al massimo 40 casi l’anno, mentre le sezioni semplici sono inondate da ricorsi. Talvolta vi sono
difformità anche all’interno delle stesse sezioni.
Si è cercato di introdurre non proprio la norma del precedente giurisprudenziale, in quanto anticostituzionale, e con
la l.103/2017 si è introdotto un meccanismo che si era già introdotto per le sezioni civili: quando una sezione
semplice si accinge a prendere una decisione che va contro un principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, ha
due possibilità: o si conforma o rinvia gli atti alle sezioni unite.
Si sono verificati casi in passato, uno in riferimento alla testimonianza indiretta: le SS.UU avevano interpretato in un
modo il comma 4 dell’art.195 e poi anni dopo una sezione semplice interpreta in maniera diversa. Si richiede alla
Corte costituzionale di interpretare la legittimità di questo comma sulla base dell’interpretazione di questa sezione
semplice. Questo oggi non potrebbe più accadere.
RICORSO PER SALTUM
Art.569: ricorso immediato per cassazione. È possibile saltare l’appello, possibilità inserita anche all’interno
dell’articolo 311 ( nel caso del riesame e dell’appello per le misure cautelari). Il giudizio diretto in cassazione può
essere proposto dalle parti:
1. Soggettivo: una parte ricorre per cassazione, il pm, l’imputato però appella. Se l’imputato appella e non
rinuncia all’appello il ricorso per cassazione si converte in appello. L’imputato può accettare il ricorso
immediato in cassazione, ma deve due cose: rinuncia all’appello; adattare i motivi dell’appello al ricorso per
cassazione (c’è una grande differenza: i motivi dell’appello sono aperti, non sono definiti, mentre i motivi del
ricorso per cassazione sono elencati, sono 5 e sono indicati dall’art.606). Non sempre un ricorso presentato
come appello è traducibile il ricorso per cassazione. Nessuno può essere obbligato a subire la scelta
dell’altro, entrambi devono essere d’accordo a saltare l’appello, altrimenti non si può saltare.
2.
Non è possibile ricorrere direttamente in cassazione per tutti i motivi
Vengono escluse la lettera d art 606 (omessa assunzione nel dibattimento di una prova contraria a quella ottenuta
dall’altra parte; il diritto alla prova contraria è particolarmente tutelato. Se il giudice non ammette la prova contraria
si può ricorrere per cassazione e la decisione del giudice sarà annullata. Il procedimento si annulla se l’omessa
assunzione di quella prova fa la differenza ai fini della condanna); lettera e (errore di motivazione, contraddittoria
insufficiente o mancante). In questi due casi, esclusi, sempre o quasi sempre, la corte di cassazione che non ha i
poteri del giudice di appello cosa dovrebbe fare di fronte all’omesso prova o di fronte all’errore? Può rilevare
l’errore ma non vi può rimediare. Sono casi in cui per definizione l’annullamento sarebbe con rinvio al giudice di
merito. Allora si capisce perché il ricorso per saltum in quei due casi allungherebbe solo la strada, cosa che è
contraria alla nascita e introduzione dell’art.569.

Art.618: se una sezione della corte rileva che una questione di diritto sottoposta ad esame può dare luogo a
contrasto giurisprudenziale può, su richiesta delle parti, con ordinanza, rimettere il ricorso alle sezioni unite.
Comma 1-bis: obbliga la sezione semplice a trasmettere il fascicolo alle sezioni unite ogni volta che si teme di andare
contro le sentenze delle SS.UU stesse. “Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto
enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso”.

Motivi di ricorso
art.606 cpp. diversamente da quel che accade per l’appello, dove i motivi non sono tipizzati, qui abbiamo un
numero chiuso di cinque motivi.
1. Lettera a: esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o
amministrativi o non consentita a pubblici poteri. Riemerge la funzione di polizia della corte di cassazione.
La corte sembra avere attribuzione che oggi sono in buona parte della nostra Corte costituzionale. Quando
alcuni giudici ingombrano il terreno dell’esecutivo, non si finisce davanti la corte di cassazione ma molto
spessa si va davanti alla Corte costituzionale (è successo nel caso Ilva). Questi casi non sono quindi molto
frequenti. Fine anni ’90: affermazione di giurisdizione italiana nei confronti di un agente Nato che era in
veneto, responsabile di lesioni personali che non poteva essere perseguito in Italia (erano coperti da una
condizione politica: il ministro della giustizia aveva la possibilità di non rinunciare alla priorità della
giurisdizione italiana nei confronti di questi soggetti). il giudice emette una sentenza con il quale dice di
rinunciare alla giurisdizione, ma non era nei suoi poteri, era solo nei poteri del ministro della giustizia. La
corte di cassazione quindi annulla. Ad ogni modo, sono casi rari.
2. Lettera b: inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve
tener conto nell’applicazione della legge penale. Sono i casi di errores in iudicando. Qui l’error è tale da
comportare sempre l’annullamento della decisione.
3. Lettera c: errores in procedendo: inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità,
inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza. Le norme processuali comportano annullamento solo se la
legge ne prevede la sanzione. L’error in procedendo deve comportare l’annullamento della sentenza se è
soggetto a invalidità.
4. Lettera d: mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso
dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi ex art.495 comma 2. Soltanto questo caso particolare di
violazione di diritto alla prova (prova contraria) comporta l’annullamento della sentenza, e le semplice
violazioni di diritto alla prova non comportano l’annullamento della sentenza. Funziona solo nei casi ex
art.495 comma 2: avendo una parte ottenuto il diritto alla prova, l’altra parte ha il diritto alla prova
contraria, qualora si riesca a provare che l’assunzione di quella prova cambierebbe il dispositivo. Se non
cambiasse nulla assumendo quella prova sarebbe inutile l’annullamento.
5. Lettera e: mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal
testo del provvedimento impugnato oppure da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame (modificato nel 2006)
◦ motivazione mancante = effettiva omissione della motivazione (totale mancanza della parte espositivadella
decisione o mancanza di singoli momenti esplicativi), motivazione illeggibile e motivazione apparente
◦ motivazione manifestamente illogica:
▪ illogicita della giustificazione interna (incompatibilita fra premesse e conclusioni)
▪ illogicita della giustificazione esterna (impiego di massime di esperienza non plausibili)
>> il compito del giudice di legittimita e quello di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti
gli elementi a loro disposizione, ne abbiano fornito una corretta interpretazione ed abbiano esattamente
applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di
determinate conclusioni
◦ contraddittorieta = contrasto tra il discorso giustificativo condotto dal giudice di merito nella motivazione
e le risultanze probatorie acquisite legittimamente al processo
>> i motivi di ricorso enunciati ex lett d) ed e) non valgono come motivi di ricorso per saltum (il ricorso
eventualmente proposto si converte in appello)
>> il ricorso attribuisce alla Cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti (art
609 co 1),
ed essa decide altresi le questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non
sarebbe stato
possibile dedurre in grado d'appello (art 609 co 2)
>> il ricorso e inammissibile se e proposto per motivi diversi da quelli indicati dalla legge o manifestamente
infondati
oppure per violazioni di legge non dedotte con i motivi d'appello (fuori dai casi di ricorso per saltum e dei
casi ex art
1. (609 co 2) (art 606 co 3)
PROBLEMATICA RELATIVE ALL'ART 606 COMMA 1 LETT. E
L'originaria disciplina dei vizi di motivazione (“mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio
risulta dal testo del provvedimento impugnato”) aveva creato forti perplessità → subordinava il sindacato sulla
motivazione alla regola che il vizio risultasse dal testo del provvedimento impugnato → si era posto in luce che
sarebbero rimaste prive di rimedio alcune situazioni:
• situazione in cui il giudice nella sent di condanna tenga conto di una prova che non risulta dagli atti del
processo (travisamento degli atti per invenzione) → a tale situazione si sarebbe potuto rimediare proponendo il
ricorso ex art 606 co 1 lett c inosservanza norme processuali)
• situazione in cui il giudice nella sent di condanna abbia travisato una prova, sostenendo che vada intesa in un
senso, mentre dagli atti risulta che va intesa in senso opposto (travisamento delle risultanze probatorie) →
anche in questo caso si sarebbe potuto ricorrere ex art 606 co 1 lett c)
• situazione in cui il giudice nella sentenza di condanna ignori una prova orientata in senso decisivo a favore
della difesa (travisamento degli atti per omissione)
>> le conseguenze apparivano di particolare gravità nei casi di sentenza inappellabile o di sentenza di condanna
emessa
per la prima volta in appello → soluzioni a queste problematiche venivano vagliate dalla giurisprudenza, che tuttavia
non risolvevano tutte le situazioni
>> in questo quadro si innesta la riforma del 2006 che:
• riduceva l'ambito di appellabilità delle sentenze di proscioglimento
• rivisitava l'art 606 lett e)
Dopo le sent cost 26 e 320/2007, il ribaltamento in II grado della pronuncia proscioglitiva emessa in I grado può di
nuovo verificarsi → l'imputato si trova in una posizione più tutelata di quella pre-2006, potendo ora usufruire
dell'allargamento dell'ambito operativo dell'art 606 co 1 lett e) → tuttavia la giurisprudenza ha individuato alcune
condizioni relative agli “altri atti del processo”:
• il ricorrente deve individuare in modo inequivoco e specifico gli atti
• il ricorrente deve indicare il dato di fatto che emerge dal relativo atto e che appare incompatibile con la
ricostruzione effettuata dalla sent
• il ricorrente deve chiarire le ragioni per cui l'atto compromette l'intero ragionamento svolto dal giudice
la giuri ritiene censurabile il travisamento x invenzione e omissione mentre nega il travisamento delle risultanze
probatorie perché corte di cassazione non può sovrapporre sua valutazione a quella compiuta nei gradi precedenti.

SENTENZE CONCLUSIVE DEL GIUDIZIO DI CASSAZIONE:


A) DELIBERAZIONE E TIPOLOGIA
La sentenza è deliberata in camera di consiglio subito dopo il termine della pubblica udienza (salvo che, per la
molteplicita o l'importanza delle questioni da decidere, il presidente ritenga indispensabile differire la deliberazione
ad
altra udienza):
• per la deliberazione della sent si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per la deliberazione
della sentenza di I grado ex art 527
• subito dopo la deliberazione, la sent viene pubblicata mediante lettura del dispositivo
• la motivazione della sent viene redatta dal presidente o dal consigliere, osservando, in quanto applicabili, le
disposizioni sulla redazione della sent di I grado (salvo alcune regole specifiche)
• la sentenza, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, e depositata in cancelleria non oltre il 30gg dalla
deliberazione
Tipologie delle sentenze:
• sent d'inammissibilita → la corte dichiara inammissibile il ricorso quando la causa d'inammissibilita non e
stata preliminarmente dichiarata con ordinanza in camera di consiglio → con tale sentenza, la parte privata che
l'ha proposto e condannata al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento a favore della cassa per
le ammende di una somma da €258 a €2065 (pagamento escluso qualora la questione dedotta sia oggetto di
contrasto al momento della sua proposizione)
• sent di rigetto → la corte pronuncia sentenza di rigetto quando il ricorso è infondato, non essendo stato
accolto nessuno dei motivi proposti → il proponente privato e condannato al pagamento delle spese
processuali (e solo eventualmente anche al pagamento a favore della cassa delle ammende)
• sent di rettificazione → la corte pronuncia sentenza di rettificazione in 3 ipotesi (art 619):
◦ co 1 → in caso di errori di diritto nella motivazione ed erronee indicazioni di testi di legge, se gli errori
non hanno avuto influenza sul dispositivo (la corte non annulla la sentenza, ma specifica le censure e le
rettificazioni occorrenti)
◦ co 2 → in caso di errori nella denominazione o nel computo della pena (la corte rettifica la specie e la
quantita della pena)
◦ co 3 → nei casi di legge piu favorevole all'imputato, anche se sopravvenuta dopo la proposizione del
ricorso, qualora non siano necessari nuovi accertamenti di fatto
• sent di annullamento → la corte pronuncia sentenza di annullamento quando accoglie uno o piu motivi di
ricorso o ex officio deve dichiarare l'annullamento stesso → tali sentenze si distinguono in:
◦ sent d'annullamento senza rinvio
◦ sent d'annullamento con rinvio

ANNULLAMENTO SENZA RINVIO


L'annullamento senza rinvio (la Cassazione decide senza intervento del giudice di merito) e adottato nei seguenti
casi
(art 620):
• a) se il fatto non e previsto dalla legge come reato, se il reato e estinto o se l'azione penale non doveva
essere iniziata o proseguita (qualora sussistano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullita
assoluta, le Sez unite hanno affermato la prevalenza della prima, salvo che l'operativita della causa estintiva
presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, con riguardo ai quali assume
rilievo pregiudiziale la nullita, in quanto funzionale alla rinnovazione del giudizio)
• b) se il reato non appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario → gli atti vengono trasmessi
all'autorita competente
• c) se il provvedimento impugnato contiene disposizioni che eccedono i poteri della giurisdizione
(limitatamente alle medesime)
• d) se la decisione impugnata consiste in un provvedimento non consentito dalla legge (c.d. provvedimenti
abnormi)
• e) se la sentenza è nulla in relazione ad un reato concorrente (limitatamente alla parte della sentenza relativa
al reato concorrente) → la corte dispone che del provvedimento venga data notizia al PM per le sue
determinazioni
• f) se la sentenza e nulla in relazione ad un fatto nuovo (limitatamente alla parte relativa al fatto nuovo) → la
corte da notizia al PM
• g) se la condanna e stata pronunciata per errore di persona
• h) se vi e contraddizione fra la sentenza o l'ordinanza impugnata ed un'altra decisione anteriore concernente la
stessa persona ed il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da altro giudice penale (la Cassazione ordina
l'esecuzione della I sentenza od ordinanza, o, in caso di una sent di condanna, ordina l'esecuzione della sent
che ha inflitto la condanna meno grave)
• i) se la sentenza impugnata ha deciso in secondo grado su materia per la quale non e ammesso appello
• l) in ogni caso in cui la corte ritiene superfluo il rinvio oppure può essa stessa procedere alla determinazione

della pena o dare i provvedimenti necessari (norma di “chiusura”)


>> in tutti i casi d'annullamento senza rinvio, la cancelleria della corte trasmette gli atti e la copia della sent al giudice
che ha emesso la decisione impugnata → se, in seguito alla pronuncia, deve cessare una misura cautelare, una pena
accessoria o una misura di sicurezza, la cancelleria comunica immediatamente il dispositivo al procuratore generale
presso la corte d'appello
ANNULLAMENTO CON RINVIO
Quando si rende necessario un giudizio di merito, la corte di cassazione deve annullare con rinvio ad un giudice di
merito il quale emetterà una nuova pronuncia che andrà a sostituire quella annullata → l'art 623 detta le regole per
l'individuazione del giudice di rinvio:
• a) se è annullata un'ordinanza, la corte dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata,
il quale provvede uniformandosi alla sentenza d'annullamento
• b) se è annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall'art 604 co 1 (nullità della sent di condanna
di I grado per difetto di contestazione di un fatto diverso o di una circostanza aggravante), 4 (sent di condanna
nulla per il verificarsi di una nullità assoluta o intermedia) e 5-bis (sent nulla per assenza dell'imputato), la
corte dispone che gli atti siano trasmessi al giudice di I grado
• c) se è annullata la sentenza di una corte d'assise d'appello o di una corte d'appello, o di una corte d'assise o di
un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato rispettivamente ad un'altra sezione della stessa
corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini
• d) se è annullata la sentenza pronunciata da un tribunale monocratico, oppure da un giudice nella fase
preliminare, la corte dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere
diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata
>> nel caso di ricorso per saltum l'art 569 co 4 prevede che, fuori dei casi in cui nel giudizio d'appello si sarebbe
dovuta annullare la sentenza di I grado, la corte di cassazione, quando pronuncia l'annullamento con rinvio della
sentenza impugnata per saltum, dispone che gli atti siano trasmessi al giudice competente per l'appello
>> in tutti i casi d'annullamento con rinvio, la cancelleria della corte trasmette senza ritardo gli atti del processo con
la copia della sentenza al giudice che deve procedere al nuovo giudizio

IL RICORSO STRAORDINARIO PER ERRORE MATERIALE O DI FATTO


Art 625-bis → è ammessa, a favore del condannato, la richiesta per la correzione dell'errore materiale o di fatto
contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla corte di cassazione
• la richiesta e proposta dal procuratore generale o dal condannato (anche al solo risarcimento dei danni) con
ricorso presentato alla corte di cassazione entro 180gg dal deposito del provvedimento (non ne sospende gli
effetti, ma, nei casi di eccezionale gravita, la corte provvede alla sospensione)
• l'errore materiale puo essere rilevato anche dalla corte stessa, d'ufficio, in ogni momento
>> la Corte procede in camera di consiglio e, se accoglie la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere
l'errore
• errore materiale = errore che non determina nullita ed eliminabile senza una modifica essenziale del
provvedimento (corrisponde all'errore ex art 130)
• errore di fatto = errore di fatto (materiale e meramente percettivo) nella lettura di atti interni al giudizio di
cassazione (v. anche sent Corte Cost 395/2000) → le Sezioni unite hanno affermato che si tratta di un errore
percettivo causato da una svista o da un equivoco, nel quale la corte e incorsa nella lettura degli atti del
giudizio di legittimita, connotato dall'influenza esercitata sul processo formativo della volonta, viziato dalla
inesatta percezione delle risultanze processuali → l'errore di fatto deve essere:
◦ decisivo
◦ di oggettiva ed immediata rilevabilita
>> solo il ricorso straordinario per errore di fatto riveste la funzione tipica di impugnazione in senso tecnico, mentre
il ricorso relativo all'errore materiale e uno strumento di correzione speciale, senza alcuna incidenza sul contenuto
della
decisione e con funzione di mera rettifica della forma espressiva della volonta del giudice

LA RESCISSIONE DEL GIUDICATO


Rescissione del giudicato (art 625-ter) = il condannato o il sottoposto a misura di sicurezza con sent passata in
giudicato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per l'intera durata del processo, puo chiedere la rescissione
del
giudicato (= revoca della sent), qualora provi che l'assenza e stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza
della celebrazione del processo (rimedio restitutorio, inquadrabile tra le impugnazioni straordinarie)
• la richiesta è presentata personalmente dall'interessato o da un difensore con procura speciale entro 30gg
dall'avvenuta conoscenza del procedimento
• la competenza funzionale a decidere spetta alla Corte di Cassazione
• se la corte accoglie la richiesta, revoca la sent e dispone la trasmissione degli atti al giudice di I grado (si
applica l'art 489 co 2 e quindi l'imputato e rimesso nel termine per formulare la richiesta di giudizio abbreviato
o di patteggiamento)

REVISIONE
La revisione e un mezzo straordinario d'impugnazione, esperibile in ogni tempo (anche se la pena e gia stata
eseguita
o e estinta), sempre a favore dei condannati, nei casi e nei limiti espressamente determinati dalla legge, contro (art
629):
• le sent di condanna
• le sent emesse in seguito a patteggiamento (previsione inserita nel 2003)
• i decreti penali di condanna divenuti irrevocabili
>> la giurisprudenza ha adottato soluzioni restrittive, improntate all'operare del p. di tassativita (in particolare, la
revisione delle sentenze di patteggiamento puo essere fondata solo su prove sopravvenute ad essa o scoperte
successivamente ad essa, e non su prove non acquisite nel precedente giudizio o acquisite ma non valutate neanche
implicitamente)
>> sulla richiesta di revisione decide la corte d'appello individuata secondo i criteri dell'art 11
>> e un mezzo d'impugnazione non sospensivo

Legittimati sono il condannato e il procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto fu pronunciata la
sentenza di condanna.
La domanda di revisione la si presenta alla corte d’appello individuata in base alla tabella allegata all’art.1 delle
disp.att. cpp. Casi di revisione, 4 casi classici:
1. . se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi
con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile
2. se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del
condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente
revocata,
3. Sopraggiungere di nuove prove che non erano conosciute prima o non erano state assunte prima
4. Riconosciuta falsità in atti o dolo del giudice che hanno influenzato negativamente la sentenza di condanna
Tutti questi casi comportano che il soggetto che chiede la revisione dimostri che tutti i motivi detti, se accertati
portino ad un rovesciamento della condanna in proscioglimento.
Altro caso: caso di revisione che viene regolato dall’art.629-bis: rescissione del giudicato per assenza dell’imputato.
Caso simile all’art.603 comma 5-bis: in quel caso siamo ancora dentro il processo penale, se l’imputato che è stato
assente in primo grado dimostra che è stato assente per incolpevole ignoranza ha diritto ad una rinnovazione
dell’istruzione in appello, ma se questo si prova dopo la fine del processo ha diritto alla rescissione del giudicato, è
possibile chiedere dunque un altro processo, questo perché l’Italia è stata più volte condannata per la sua disciplina
sulla contumacia, e per evitare ulteriori condanne si è introdotta questo particolare caso di revisione. Ha diritto ad
essere sottoposto a procedimento penale e a essere giudicato in presenza di tutti i diritti di difesa e le facoltà che gli
vengono garantiti.

“REVISIONE EUROPEA” E REGOLE PECULIARI


La sent 113/2011 ha introdotto nell'art 630 un'ulteriore e diverso caso di revisione della sent e del decreto penale di
condanna → revisione per consentire la riapertura del processo quando cio sia necessario per conformarsi ad una
sent definitiva della Corte EDU (art 46 co 1 CEDU)
>> in seguito ad una condanna da parte della Corte EDU, lo Stato è tenuto alla restitutio in integrum a favore
dell'interessato e il meccanismo più idoneo a realizzare ciò e costituito da un nuovo processo o dalla riapertura del
procedimento su domanda dell'interessato → data l'assenza di una disciplina per la riapertura del processo in questi
casi,
la Corte Cost e dovuta intervenire con la sent 113/2011 (additiva di principio):
• la riapertura del processo per conformarsi ad una sent della Corte EDU va collegato alla revisione del processo
ex art 630 (pur configurandosi come ipotesi particolare rispetto ai casi classici)
• la riapertura del processo va intesa come concetto generale, funzionale anche alla rinnovazione di attività gia
espletate, e, se del caso, di quella integrale del giudizio
• la necessita della riapertura deve essere valutata tenendo conto delle indicazioni contenute nella sent della
Corte EDU e nella sent interpretativa eventualmente chiesta a quest'ultima dal Comitato dei Ministri
• per quanto riguarda la disciplina della revisione, sono inapplicabili quelle disposizioni inconciliabili con
l'obiettivo della restitutio in integrum:
◦ non opera la condizione di ammissibilita basata sulla prognosi assolutoria (poiche rimediare all'iniquità di
un processo non implica necessariamente un esito assolutorio)
◦ non operano le previsioni in base alle quali l'accoglimento della richiesta di revisione comporta sempre il
proscioglimento dell'interessato
• spetta ai giudici comuni trarre dalla decisione i necessari corollari sul piano applicativo e al legislatore
provvedere a disciplinare gli aspetti che necessitano di apposita regolamentazione

COMPETENZA E VERIFICA PRELIMINARE DI AMMISSIBILITA DELLA RICHIESTA DI REVISIONE


La richiesta di revisione deve contenere l'indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano e deve
essere presentata, unitamente ad eventuali atti e documenti, nella cancelleria della corte d'appello individuata
secondo
i criteri ex art 11 (art 633 co 1)
• la richiesta deve essere documentata allegandovi anche le copie autentiche delle sent o dei decreti penali
indicati nelle lett a) e b) dell'art 630 e della sent irrevocabile di condanna per il reato indicato nella lett d) (a
meno che, in quest'ultimo caso, l'ipotetico reato sia estinto o per esso non possa essere iniziata o proseguita
l'azione penale)
• la richiesta di revisione ex art 630 lett. c) va suffragata da elementi di prova → a tal proposito il difensore ha
facolta di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito
Alla corte d'appello e demandata una preliminare valutazione di ammissibilita, la quale, anche d'ufficio, dichiarera
con ordinanza l'inammissibilita della richiesta:
• quando essa sia proposta fuori dai casi previsti o senza l'osservanza delle disposizioni previste per la revisione
• quando risulti manifestamente infondata
>> la verifica si svolge in camera di consiglio, senza la presenza delle parti, e puo, in caso di decisione
d'inammissibilita, concludersi con la condanna del privato che ha proposto la richiesta al pagamento a favore della
cassa
delle ammende di una somma da € 258 a € 2065
L'ordinanza d'inammissibilita e notificata al condannato e a colui che ha proposto la richiesta, i quali possono
ricorrere per cassazione → se il ricorso e accolto, la corte di cassazione rinvia il giudizio di revisione ad altra corte
d'appello
individuata secondo i criteri ex art 11

LA REVISIONE IN PEIUS
Revisione in peius → le disposizioni previste in materia di revisione si osservano, in quanto applicabili, anche nei
confronti di chi (per usufruire dei benefici a favore dei “pentiti”) abbia rilasciato dichiarazioni rivelatesi poi false o
reticenti, e mirano alla revoca dei vantaggi indebitamente conseguiti
>> normativa inserita nel periodo di emergenza a causa del terrorismo ed estesa successivamente in rapporto al
fenomeno mafioso (art 16-septies l. 45/2001) → il procuratore generale presso la corte d'appello nel cui distretto la
sentenza e stata pronunciata deve richiederne la revisione:
• quando le circostanze attenuanti, previste in materia di collaborazione relativa a vari delitti, sono state
applicate per effetto di dichiarazioni false o reticenti
• quando chi ha beneficiato di tali attenuanti commette, entro 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza,
un delitto per il quale l'arresto in flagranza e obbligatorio, indicativo della permanenza del soggetto nel
circuito criminale

CAPITOLO 10 – ESECUZIONE
NE BIS IN IDEM
Il divieto di secondo giudizio è concepito essenzialmente a garanzia dell’imputato: di non essere sottoposti a giudizio
essendo già stati giudicati per lo stesso fatto.
Si vuole evitare il conflitto pratico di giudicato: questo è un fine minimale: non c’è un profilo di tutela della difesa
dell’imputato, e si allude a due sentenze per lo stesso fatto riguardanti la stessa persona che non possono essere
eseguite entrambi. C’è poi il conflitto logico: quando le motivazioni collidono (questo, lo abbiamo visto, può essere
oggetto di revisione).
Rimedio preventivo: Può essere prevenuto con i conflitti di competenza: l’art.28 parla dello stesso fatto e della
stessa persona. È un istituto che è volto a prevenire il ne bis in idem, quando due o più giudici si contendono lo
stesso.
Rimedio successivo:se quello del 28 è preventivo, il rimedio successivo è un caso di annullamento senza rinvio.
(Lettera h dell’art.620: se vi è contraddizione fra la sentenza o l’ordinanza impugnata ed un’altra persona
concernenti la stessa persona per lo stesso fatto, si fa annullamento senza rinvio. La corte di cassazione in questo
caso dice che si deve eseguire non la prima delle due sentenze ma quella più favorevole. Art.621: in quello previsto
dalla lett.h dell’art.620 ordina l’esecuzione della prima sentenza o ordinanza, ma se si tratta di condanna, ordina
l’esecuzione della condanna meno grave) favor rei.

Art.649: non è possibile procedere nei confronti della stessa persona se questa è stata giudicata, condannata o
prosciolta, con decisione irrevocabile (sentenza che ha il carattere dell’irrevocabilità). Recentemente, la corte edu è
intervenuta in maniera significativa su questo punto, considerando provvedimenti tali da essere inclusi anche in
questa categoria di decisioni provvedimenti di carattere amministrativo che abbiano un valore afflittivo: risale ad un
caso vecchio, ma che ultimamente è stata applicata. Per la corte edu è insignificante come si giudica un istituto: se
questo provvedimento applica un tipo di sanzione che ha carattere afflittivo e che è rivolto ad una generalità di
persone (non ad un gruppo professionale o sportivo specifico che ha regolamenti a parte) si pone il rilievo. Il criterio
che segue l’ordinamento nella definizione di istituti non importa alla corte edu.
Caso: un procedimento penale e uno amministrativo. Si è applicata in ambito amministrativo una sanzione molto
pesante; poi da lì, è stato avviato un procedimento penale. La corte di Strasburgo ha detto che in questi casi non si
può punire due volte una stessa persona perché in questo caso la sanzione amministrativa è talmente pesante che o
si applica quella o si applica la sanzione penale (che per la cedu è penale, poco importa se per l’ordinamento italiano
è sanzione amministrativa). ci sono settori, come quello tributario, dove le sanzioni amministrative e penali si
possono cumulare. Questa è una frontiera nuova aperta dalla corte edu. L’art.649 non è riferibile solo alle sentenze
penali quindi, ma anche a quelle decisioni, in questo caso provenienti dalla consob, che aveva individuato delle
manipolazioni del mercato.

Viene poi la parte più garantista dell’art.649: “l’imputato non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale
per il medesimo fatto neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per circostanze,
salvo quanto disposto dall’art.69 comma 2 (imputato erroneamente considerato morto: si può riaprire il caso in
questo caso), e dall’art.345” (riguarda l’ipotesi di improcedibilità: se passa in giudicato una decisione per
improcedibilità e successivamente questa condizione cade quel passaggio in giudicato non preclude la possibilità di
avviare un nuovo processo. Es: segreto di stato. Se viene opposto ed è essenziale per verificare il fatto comporta una
declaratoria di inammissibilità. Supponiamo che dopo qualche anno il segreto di stato cade; in quel caso sarà
possibile avviare il procedimento penale che si era chiuso per opposizione del segreto).

COSA SI INTENDE PER “FATTO MEDESIMO”


Il fatto è il medesimo ma è un po’ diverso (per il titolo, grado o circostanze): quindi in sostanza qui viene in rilievo il
profilo di garanzia per l’imputato. Cosa vogliono dire titolo grado o circostanze?
1. Circostanze: ci si riferisce alle circostanze, quindi non si riapre il processo nemmeno in caso di circostanze
aggravanti ad effetto speciale o in caso di pena di specie diversa. Se sopraggiunge il giudicato, le circostanze
aggravanti non saranno più considerabili.
2. Grado: l’interpretazione che se ne dà è progressione criminosa. La giurisprudenza su questo non è del tutto
d’accordo. Progressione criminosa vuol dire passaggio ad esempio da un tentativo ad una consumazione. Se
vengo condannato per tentativo non si può riaprire il procedimento per consumazione, se è intervenuto il
giudicato.
3. Titolo: qui il problema è un po’ complesso. Titolo vuol dire qualificazione giuridica del fatto, in prima
battuta. Non posso riaprire un processo che si era chiuso con una condanna per omicidio colposo sulla base
che oggi suppongo che la qualificazione sia di omicidio doloso. Ci sono casi più complicati che riguardano il
rapporto tra il ne bis in idem e particolari figure di reato: una che sta a metà tra titolo è grado è quella del
reato permanente. Se io prosciolgo una persona che continua ad essere perpetuato durante il
procedimento? Es: mafioso. Quando si interrompe la permanenza? O nell’imputazione, dice parte della
giurisprudenza , viene dato un limite temporale (da tot data a tot data), ma in molti casi non è così, perché si
suppone che la persona, che si dice non mafiosa, sia ancora parte dell’associazione criminosa. La
giurisprudenza dice che il momento di interruzione della permanenza coincide con la sentenza di primo
grado, e comincia un’altra permanenza. Per i comportamenti successivi a quella cesura temporale è
possibile sottoporre la persona ad un altro processo, per un fatto che a quel punto è un fatto diverso perché
si tratta di condotta ulteriore.

Un tema che si affrontato è quello del ne bis in idem internazionale: cosa succede in caso di condanna in uno stato
diverso, soprattutto nel caso di condanna in uno stato europeo, si può risubire un procedimento penale per lo stesso
fatto in Italia? copre il giudizio di un’autorità straniera il requisito del ne bis in idem? La risposta è più sì che no.
Art.54 convenzione applicativa dell’accordo di Schengen: accorda il ne bis in idem, ma solo nei casi di condanna.
Vale solo all’interno dell’Unione Europea questa soluzione, e questo art.54 copre solo in parte, non copre come
l’art.649 tutte le ipotesi di proscioglimento, oltre che di condanna
EFFETTI EXTRAPENALI DEL GIUDICATO
A differenza di quanto avveniva nel vigore del vecchio codice, oggi l'autorita extrapenale del giudicato e
riconosciuta
solo nell'ambito delle prescrizioni dettate dalla legge:
• la sentenza penale irrevocabile di condanna e di proscioglimento per la particolare tenuita del fatto
(dibattimentale o del rito abbreviato, salvo che la parte civile che non abbia accettato il rito speciale si
opponga) ha efficacia di giudicato (in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua illiceita ed alla responsabilita
dell'imputato) nel giudizio civile o amministrativo, per le restituzioni e il risarcimento del danno, promosso
nei confronti del condannato/prosciolto per la particolare tenuita del fatto e del responsabile civile (sempre che
quest'ultimo sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale) (artt 651 e 651-bis)
• la sentenza irrevocabile di assoluzione (dibattimentale o del rito abbreviato, se la parte civile lo ha accettato),
ha efficacia di giudicato (in ordine all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha
commesso, o che il fatto e stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta
legittima) nel giudizio civile o amministrativo, per le restituzioni ed il risarcimento del danno, promosso dal
danneggiato o nel suo interesse, a 2 condizioni (art 652):
◦ il danneggiato si deve essere costituito o deve essere stato posto in condizione di costituirsi parte civile
◦ il danneggiato non deve avere esercitato l'azione in sede civile ex art 75 co 2
• assoluzione e condanna irrevocabili pesano, a condizioni analoghe, anche nel giudizio per responsabilita
disciplinare davanti alle pubbliche autorita (art 653) → inoltre, anche le sent di patteggiamento (che
normalmente non hanno efficacia extrapenale) fanno stato nel giudizio disciplinare
• nei giudizi civili o amministrativi, dove non si controverte delle restituzioni o del risarcimento del danno da
reato, ma intorno ad un diritto o a un interesse legittimo (il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli
stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale), la decisione penale ha efficacia solo se (art 654):
◦ si tratta di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento
◦ i fatti accertati sono stati rilevanti ai fini della decisione penale
◦ la legge civile non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa
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