Riassunto Conso Grevi (Proce. Penale)
Riassunto Conso Grevi (Proce. Penale)
Riassunto Conso Grevi (Proce. Penale)
Il primo libro del codice di procedura penale si occupa dello sviluppo della vicenda processuale a partire dal momento
in cui viene acquisita una notizia di reato.
Si apre con un capitolo dedicato al GIUDICE, consentendo di mettere in risalto la centralità della giurisdizione
nell'ambito di un processo concepito come sistema di garanzie.
Nel primo libro vengono presi in considerazione anche il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l'imputato, la
parte civile con il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa dal reato, il
difensore.
Restano esclusi l'ausiliare del giudice e del pubblico ministero, il testimone, il perito e il consulente tecnico.
→ “Soggetto” è termine diverso da “parte”, quest’ultima qualifica chi vanta il diritto ad una decisione giudiziale in
rapporto ad una pretesa fatta valere nel processo.
IL GIUDICE
Giurisdizione
L'art. 102 Cost. → attribuisce la funzione giurisdizionale a “magistrati ordinari istituiti e regolati
dalle norme sull'ordinamento giudiziario”.
■ Art. 1 C.p.p. “La giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di
ordinamento giudiziario secondo le norme di questo codice.”
Soltanto il giudice può essere titolare di funzioni giurisdizionali penali. Il giudice è una creazione delle norme
dell'ordinamento giudiziario.
■ Art. 178 C.p.p. “E' sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni
concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per
costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario
; b) l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale e la sua partecipazione al procedimento; c)
l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private nonché la citazione in giudizio
della persona offesa dal reato e del querelante”
Prevede che sia sempre prescritta, a pena di nullità, l'osservanza delle disposizioni relative alle condizioni di capacità
del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario.
■ Art. 33 C.p.p.
1.Le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi sono stabiliti
dalle leggi di ordinamento giudiziario.
2.Non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici
giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e
giudici.
1
■ Art. 7-ter ordinamento giudiziario “Criteri per l'assegnazione degli affari e la sostituzione
dei giudici impediti”
Stabilisce che l'assegnazione degli affari è operata dal dirigente dell'ufficio alle singole sezioni e dal presidente della
sezione ai singoli collegi o giudici sulla base di criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale dal Consiglio
superiore della magistratura.
In caso di revoca di una precedente assegnazione, copia del relativo provvedimento motivato deve essere comunicata
al presidente della sezione o al magistrato interessato.
Le disposizioni relative alla FORMAZIONE DEI COLLEGI, non considerabili attinenti alla capacità del giudice,
riguardano le disposizioni che regolano la composizione dell'organo giudicante nel caso di assegnazione di un numero
di giudici superiore a quello necessario per la costituzione dell'ufficio e le disposizioni relative alle supplenze e alle
applicazioni.
Le disposizioni sulla DESTINAZIONE DEL GIUDICE ALL'UFFICIO sono invece riconducibili al concetto di
capacità. Prescindendo dalla mancanza di conferimento delle funzioni giudiziarie, l'unico attributo rilevante ai fini di
un'eventuale incapacità del giudice sembra quello della qualifica richiesta per l'esercizio delle funzioni giudiziarie che
è chiamato a svolgere. Quindi il vizio di difetto di qualifica ricade nell'ambito di operatività dell'art. 178, originando
una nullità assoluta.
Secondo l'art. 33 comma 3 C.p.p. “l'attribuzione degli affari al giudice in composizione collegiale o monocratica non
si considera attinente alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire” → NO nullità
assoluta, perché sono disposizioni che
attengono all'organizzazione interna del tribunale.
Profili ordinamentali
Importante è la distinzione tra:
● GIUDICI SPECIALI, estranei alla legge di ordinamento giudiziario, ≠ GIUDICI MINORILI: giudici ordinari specializzati.
Art. 102 Cost. vieta di istituire giudici straordinari o speciali, ma ammette l'istituzione di giudici specializzati (es.
tribunale per i minorenni).
Sono esclusi dal divieto (artt. 103 ,134 Cost.): i tribunali militari in relazione ai reati militari commessi da
appartenenti alle forze armate, e la Corte costituzionale, con riferimento alle accuse contro il Presidente della
Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.
1. Quando la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il
giudice, se la questione è seria e se l'azione a norma delle leggi civili è già in corso, può sospendere il processo fino
al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione. 2. La sospensione è disposta con ordinanza
soggetta a ricorso per cassazione (camera di consiglio). 3. La sospensione del processo non impedisce il compimento
degli atti urgenti .
4. La sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza ha
efficacia di giudicato nel procedimento penale.
Questioni pregiudiziali relative allo stato di famiglia o di cittadinanza il giudice penale può sospendere il processo
quando ricorrano 3 condizioni:
• deve sussistere effettivamente un rapporto di pregiudizialità tra la risoluzione della controversia sullo stato di
famiglia o di cittadinanza e la decisione della regiudicanda penale.
• la questione pregiudiziale deve essere seria, quindi non manifestamente infondata o artificiosa;
• deve già esser proposta l'azione a norma delle leggi civili o amministrative.
Se manca una di queste condizioni il giudice deve decidere in via incidentale senza sospendere il processo penale.
Sarà il giudice a stabilire di volta in volta se, nonostante la ricorrenza di tutti i presupposti, sia preferibile o meno
risolvere autonomamente la questione pregiudiziale.
In caso di sospensione viene pronunciata ordinanza, impugnabile in cassazione senza che si produca effetto
sospensivo.
Sono legittimate al ricorso tutte le parti in quel momento presenti al processo.
La sospensione del processo non impedisce il compimento degli atti urgenti, purché tali atti non riguardino la
questione che ha sollevato la sospensione.
Alla sentenza irrevocabile intervenuta in sede extrapenale viene riconosciuta efficacia di giudicato. Il giudicato civile
o amministrativo ha efficacia vincolante sia se si è formato anteriormente all'inizio del
4
processo penale, sia se, risolta incidenter tantum la questione pregiudiziale nell'ambito del processo penale, è
sopraggiunto mentre questo era ancora in corso. Nel caso la decisione extrapenale sia divenuta irrevocabile dopo la
conclusione del processo penale, la sentenza penale potrà essere soggetta a revisione.
Art. 479- Questioni civili o amministrative.
1.Fermo quanto previsto dall'articolo 3, qualora la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di
una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento
presso il giudice competente, il giudice penale, se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione
soggettiva controversa, può disporre la sospensione del dibattimento, fino a che la questione non sia stata decisa
con sentenza passata in giudicato.
2.La sospensione è disposta con ordinanza, contro la quale può essere proposto ricorso per cassazione. Il ricorso
non ha effetto sospensivo.
3.Qualora il giudizio civile o amministrativo non si sia concluso nel termine di un anno, il giudice, anche di ufficio,
può revocare l'ordinanza di sospensione.
Altro caso di sospensione del processo penale a causa di una questione pregiudiziale, cioè qualora la questione da
risolvere in via prioritaria verta su una questione di competenza del giudice civile o amministrativo. Tale sospensione
può essere disposta solo nel corso del dibattimento ed è necessario che:
• la soluzione della controversia condizioni la decisione sull'esistenza del reato;
La sospensione anche in questo caso è disposta con ordinanza impugnabile in cassazione da tutte le parti. È escluso
che l'impugnazione abbia effetto sospensivo.
Al giudice è consentito di revocare, anche d'ufficio, l'ordinanza di sospensione qualora il giudizio civile o
amministrativo non si sia concluso nel termine di 1 anno.
In questo caso di sospensione è esclusa l'efficacia vincolante della sentenza extrapenale: la sentenza fa parte del
materiale probatorio destinato a costituire la base per la formazione del convincimento del giudice, il quale può
disattenderla motivando le ragioni di divergenza.
5
La competenza: per materia, per territorio, per connessione.
La competenza è l'insieme di regole giuridiche che consentono di attuare una distribuzione delle regiudicande
penali, in modo che risulti predeterminato il giudice legittimato a conoscere di ogni procedimento.
• i delitti puniti con l'ergastolo o con reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, esclusi i
delitti, comunque aggravati, di omicidio, rapina, estorsione, associazione di tipo mafioso
anche straniera, nonché in materia di stupefacenti.
È stata esclusa la competenza della corte d'assise per il delitto di associazione mafiosa: tale
disposizione si applica ai procedimenti relativi ai delitti anche quando siano già in corso
alla data di entrata in vigore del decreto 10/2010, eccettuata l'ipotesi in cui, prima di tale
data, sia stato dichiarato aperto il dibattimento davanti alla corte d'assise;
• i delitti consumati di omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio, omicidio
preterintenzionale;
• ogni delitto doloso, qualora dal fatto sia derivata la morte di una o più persone, escluse le
ipotesi di morte come conseguenza non voluta di altro reato, di morte a seguito di rissa e di
morte derivante da omissione di soccorso;
• i delitti di riorganizzazione del partito fascista, delitti di genocidio e delitti contro la
personalità dello Stato puniti con pena edittale non inferiore nel massimo a 10 anni.
Sono sottratti i delitti di riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi, acquisto e
alienazione di schiavi (risultano attribuiti al tribunale in composizione collegiale) (vedi d.l.
12/2010);
• i delitti consumati o tentati di associazione a delinquere ex art. 416 co 6 c.p ., associazione
diretta a commettere i delitti di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, tratta di
persone, acquisto e alienazione di schiavi, i delitti con finalità di terrorismo a condizione
che sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 10 anni.
■ La competenza del TRIBUNALE si ricava per sottrazione, dall'art. 6: è competente per i reati
che non sono di competenza della corte d'assise o del giudice di pace.
6
→ Competenza per territorio
La regola fondamentale per determinare la competenza per territorio è quella del luogo in cui il
reato è stato consumato.
Vi sono regole di carattere generale che derogano al criterio del luogo del delitto in ragione della
particolare configurazione della fattispecie delittuosa e regole suppletive che consentono
l'individuazione del giudice territorialmente competente quando non è possibile applicare le regole
generali.
- Nel caso in cui il fatto abbia cagionato la morte di una o più persone, la competenza spetta
al giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione.
- Nei casi in cui il reato sia permanente si segue il criterio del luogo in cui ha avuto
inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone.
- Nel caso di delitto tentato si segue il criterio del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo
atto diretto a commettere il delitto.
DEROGHE al “locus commissi delicti” traggono legittimazione dell’art. 210 disp. att. stabilisce
che continuano ad osservarsi disposizioni di legge o decreti disciplinanti la competenza per
territorio sulla base dei criteri non coincidenti con quello fissato all'art. 8.
Altre deroghe sono riconducibili a leggi successive alla pubblicazione del codice.
● Deroga espressa, anche se parziale, è prevista all'art. 328 che riguardano i procedimenti
relativi ai delitti art. 51 co 3-bis, 3-quater, 3-quinques: in questi casi le funzioni del gip,
nonché quelle del gup, sono esercitate da un magistrato appartenente al tribunale del
capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
● L'art. 11 prevede un'altra deroga nel caso di procedimento penale in cui un magistrato
assuma la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, e la
competenza, in relazione al fatto per cui si procede, spetterebbe ad un ufficio giudiziario
ricompreso nel distretto di corte d'appello in cui lo stesso magistrato esercita le proprie
funzioni, ovvero le esercitava al momento del fatto: in questi casi la competenza per i
procedimenti spetta al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel
capoluogo del distretto di corte d'appello determinato dalla legge, in base al criterio della
circolarità.
Lo spostamento di competenza riguarda anche i procedimenti connessi con quello in
cui è coinvolto il magistrato.
Art. 11-bis la stessa regola si applica nel caso in cui il magistrato appartenga
alla direzione nazionale antimafia.
Art. 15 è prioritario il criterio del giudice superiore, dal quale discende che i procedimenti
di competenza del tribunale risultano automaticamente attribuiti alla corte d'assise.
Art. 16 riguardo alla competenza per territorio prevale il giudice competente per il reato più grave
o, in caso di pari gravità, quello competente per il primo reato.
8
Al II comma è specificato che quando, nel corso di concorso di persone o di condotte
indipendenti, le azioni o le omissioni sono state commesse in luoghi diversi e dal fatto è derivata
la morte di una persona, si attribuisce la competenza al giudice del luogo in cui si è verificato
l'evento.
Art. 13 in caso di competenza concorrente tra Corte costituzionale e giudice ordinario, prevale la
competenza del giudice speciale, mentre nel rapporto tra giudice militare e giudice ordinario la
competenza spetta al giudice ordinario quando il reato comune è più grave di quello militare .
Art. 14 per i procedimenti relativi ad imputati che, al momento del fatto, erano minorenni, e
procedimenti relativi ad imputati maggiorenni, la connessione non opera. Non opera neanche tra
procedimenti per i reati commessi dall'imputato ancora minorenne e procedimenti relativi a reati
commessi dopo il compimento della maggiore età.
→ Competenza funzionale
La competenza funzionale non è prevista nel codice, ma i giudici si diversificano in ragione
della funzione che svolgono nell'ambito dello stesso procedimento.
Partendo dalla suddivisione per gradi è possibile distinguere tra:
• giudice di pace, tribunale ordinario e corte d'assise come giudici di primo grado;
• tribunale in composizione monocratica, corte d'appello e corte d'assise d'appello come giudici di
secondo grado;
• corte di cassazione come giudice di legittimità sulle decisioni assunte nei gradi precedenti.
Art. 48-quater ord. giud. prevede che giudica in composizione MONOCRATICA il tribunale
della sezione distaccata, anziché quello ubicato nella sede principale, quando il luogo in base al
quale si determina la competenza per territorio ai sensi degli art. 8 e 9 rientra nella circoscrizione
della sezione.
In base al criterio quantitativo, sono devoluti al TRIBUNALE COLLEGIALE i delitti puniti
con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni, anche nell'ipotesi del tentativo (art. 33-bis
co 2).
Il limite dei 10 anni va calcolato con le regole dell'art. 4 (senza contare continuazione, recidiva e
circostanze).
Il criterio quantitativo va coordinato con quello qualitativo: sono sottratti al tribunale collegiale
alcuni delitti puniti con la reclusione superiore a 10 anni (es. delitti in materia di sostanze
stupefacenti qualora non vengano contestate le aggravanti art. 80), e gli vengono attribuiti reati
che, secondo il criterio quantitativo, dovrebbero essere giudicati dal tribunale in composizione
MONOCRATICA (art. 33-bis):
Competenza del collegiale anche se dovrebbero essere devolute al monocratico:
9
• delitti commessi avvalendosi di associazioni di tipo mafioso o al fine di agevolare l'attività
delle associazioni di tipo mafioso, delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione
dell'ordinamento costituzionale, puniti con reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni o nel
massimo a 10 anni, delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in
vendita,
cessione, detenzione e porto in luogo pubblico di armi da guerra, esplosivi e armi comuni da sparo,
che non rientrino nella competenza della corte d'assise;
• delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, esclusi il rifiuto o ritardo di
obbedienza commesso da un militare o agente della forza pubblica; interruzione di un servizio
pubblico o di pubblica necessità, omissione dei doveri d'ufficio in occasione di abbandono di un
pubblico ufficio o di interruzione di pubblico servizio, sottrazione o danneggiamento di cose
sottoposte a sequestro penale o amministrativo, violazione colposa di doveri inerenti alla custodia
di cose sottoposte a sequestro penale o amministrativo;
L'art. 33-quater prevede che in caso di connessione tra procedimenti che appartengono alla
cognizione del tribunale collegiale e altri relativi al tribunale monocratico, si applicano le
disposizioni relative al procedimento davanti al giudice collegiale, cui sono attribuiti tutti i
procedimenti connessi. La connessione opera anche in rapporto alle indagini preliminari.
10
La disciplina della riunione e della separazione dei processi
Riunione e separazione sono istituti che operano dal momento in cui, a seguito dell'esercizio
dell'azione penale, il procedimento si è evoluto in processo.
L'art. 19 prevede che i provvedimenti di riunione e separazione sono disposti con ordinanza,
anche d'ufficio, sentite le parti.
■ La RIUNIONE dei processi determina la trattazione congiunta di processi in precedenza pendenti
davanti a diversi giudici, sezioni dello stesso ufficio giudiziario, preventivamente individuato in
base ai normali criteri di competenza.
In base all'art. 17, perché sia disposta la riunione è necessario che:
• i processi da riunire pendano davanti allo stesso ufficio giudiziario;
• tali processi si trovino nello stesso stato e grado;
• si faccia una previsione in base alla quale la riunione non determini un ritardo nella
definizione delle singole vicende processuali;
• sussista uno dei casi tassativamente indicati dalla legge.
La riunione può essere disposta quando:
• i processi pendenti siano connessi ex art. 12;
• nei casi previsti all'art. 371 co 2 lett. b):
- quando i processi pendenti siano relativi ai reati dei quali alcuni siano stati commessi
in occasione di altri, o per conseguire o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il
prezzo, il prodotto o l'impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno
reciproco le une delle altre,
- se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato
o altra circostanza. (connessione probatoria)
→ Si ritiene che una volta esclusa la sussistenza di un ritardo, la riunione sia un atto dovuto.
Se alcuni dei processi pendono davanti alle due diverse composizioni dello stesso tribunale, viene
disposto l'accorpamento in capo al tribunale in composizione collegiale, che si pronuncerà su tutte
le regiudicande, anche nel caso in cui siano oggetto di un successivo provvedimento di separazione.
Quando i processi in grado di attrarre il processo pendente davanti al tribunale monocratico siano
più d'uno, sarà designato il giudice o la sezione collegiale cui è stato assegnato per primo uno dei
processi (art. 2 disp. att.).
■ Art. 18 la SEPARAZIONE si ha quando alcuni imputati o alcune imputazioni siano in attesa, mentre
per altri imputati o altre imputazioni sia possibile l'immediata trattazione.
Può succedere sia nella decisione conclusiva del dibattimento che all'udienza preliminare.
Si deve procedere alla separazione quando:
• sia stata disposta la sospensione del procedimento;
• in seguito ad incolpevole assenza in sede di udienza preliminare o in sede dibattimentale
di un imputato o del suo difensore, bisogna rinnovare la citazione o l'avviso;
• quando il processo abbia come protagonisti uno o più imputati chiamati a rispondere di
reati di elevata gravità, quando questi imputati siano prossimi ad essere rimessi in libertà
per scadenza dei termini massimi per la custodia cautelare, data la mancanza di altri titoli di
detenzione.
→ La separazione è esclusa qualora il giudice ritenga che la riunione sia assolutamente
necessaria per l'accertamento dei fatti.
La separazione può essere disposta anche sulla base di un accordo tra le parti, se il giudice la ritiene
utile sotto il profilo della speditezza (art. 18 co 2).
11
I procedimenti di verifica della giurisdizione e della competenza
■ Art. 20 statuisce sul DIFETTO DI GIURISDIZIONE, ravvisabile sia quando un giudice
ordinario si ritenga competente in ordine ad un reato su cui dovrebbe pronunciarsi un giudice
speciale, sia quando nessun giudice penale, ordinario o speciale, è fornito della potestà
giurisdizionale relativamente ad una determinata fattispecie.
Può essere rilevato, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.
Se il difetto di giurisdizione è rilevato durante le indagini preliminari, il giudice provvede
con ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pm, la sua ordinanza non risolve
definitivamente la questione.
Dopo la chiusura delle indagini preliminare e in ogni stato e grado del processo, il
giudice pronuncia sentenza e ordina che gli atti vengano trasmessi all'autorità
competente.
■ Art. 21 l''INCOMPETENZA PER MATERIA può essere rilevata in ogni stato e grado del
processo (non prima che sia esercitata l'azione penale).
Derogano due casi:
• Art. 23 quando il giudice conosce di un reato che appartiene alla cognizione di un giudice di
competenza inferiore, l'incompetenza deve essere rilevata d'ufficio o eccepita, a pena di
decadenza, entro il termine dell'art. 491, cioè subito dopo aver compiuto per la prima volta
l'accertamento della costituzione delle parti;
• Art. 21 comma 3 nel caso di incompetenza per materia derivante da connessione, che deve essere
eccepita o rilevata, a pena di decadenza, entro gli stessi termini stabiliti per l'incompetenza per
territorio.
Art. 23 dopo la chiusura delle indagini preliminari e in sede di dibattimento di primo grado,
il giudice dichiara con sentenza la propria incompetenza e ordina la trasmissione degli atti al
pm presso il giudice competente.
Art. 24 in grado d'appello, se il giudice rileva che su un reato di competenza della corte
d'assise ha giudicato il tribunale, o che su un reato di competenza del tribunale ha giudicato
un giudice di pace, pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al
pm presso il giudice di primo grado <-- (incompetenza per difetto); nel caso opposto il
giudice d'appello, salvo la decisione sia inappellabile, pronuncia nel merito,
(incompetenza per eccesso) anche quando l'eccezione di incompetenza, ritualmente
formulata in primo grado ex art. 23, sia stata riproposta con i motivi d'appello.
In caso di incompetenza per territorio o per connessione, è prevista la pronuncia di una sentenza di
annullamento da parte del giudice d'appello e la trasmissione degli atti al pm presso il giudice di
primo grado. È indispensabile che l'incompetenza per territorio o per connessione, dopo esser stata
eccepita in primo grado nei termini (prima della conclusione delle indagini preliminari), sia stata
denunciata con i motivi d'appello, altrimenti il giudice d'appello, nonostante l'incompetenza del
giudice di primo grado, deve pronunciare nel merito.
12
Nel giudizio davanti alla corte di cassazione questa è tenuta a dichiarare, anche d'ufficio,
l'incompetenza per materia derivante dall'aver il tribunale giudicato un reato di competenza della
corte d'assise; può essere eventualmente dichiarata l'incompetenza per territorio o per connessione,
purché la relativa eccezione, tempestivamente proposta in primo grado e riproposta in appello, sia
ulteriormente riproposta nei motivi del ricorso per cassazione.
● Art. 25 la decisione della cassazione sulla giurisdizione o sulla competenza è vincolante nel corso
del processo, può esser superata solo nel caso in cui risultino nuovi fatti che, incidendo sulla
definizione giuridica, implichino la modificazione della giurisdizione o la competenza del giudice
superiore.
● L'art. 26 prevede che il mancato rispetto delle norme sulla competenza non determina l'inefficacia
delle prove acquisite, con la sola eccezione delle dichiarazioni rese al giudice incompetente per
materia che, se ripetibili, possono essere utilizzate solo in sede di udienza preliminare e per le
contestazioni ex art. 500 e 503.
● L'art. 27 stabilisce che le misure cautelari disposte dal giudice dichiaratosi incompetente
contestualmente o successivamente alla loro pronuncia, cessino di avere efficacia se entro 20 giorni
dall'ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente non siano da questo confermate.
Il CONFLITTO è la situazione che si determina quando, in qualsiasi stato e grado del processo,
due o più giudici contemporaneamente prendono o rifiutano di prendere cognizione dello stesso
fatto attribuito alla stessa persona.
Si ha CONFLITTO DI GIURISDIZIONE quando il contrasto intercorre tra uno o più
giudici ordinari e uno o più giudici speciali, si ha CONFLITTO DI COMPETENZA quando
sono coinvolti uno o più giudici ordinari.
È esclusa la possibilità di conflitto tra il giudice dell'udienza preliminare e quello
del dibattimento, in quanto prevale sempre il giudice del dibattimento.
Tutti i casi analoghi non espressamente previsti dalla legge sono riconducibili all'art. 28 co 1.
È escluso che nel corso delle indagini preliminari possa esser proposto conflitto positivo per
ragioni di competenza territoriale determinata da connessione. Il pm presso il giudice competente
per il reato meno grave o commesso per ultimo, è libero di svolgere le indagini concernenti tale
reato o, in seguito alla riconosciuta esistenza del vincolo connettivo, di trasmettere gli atti
all'ufficio del pm presso il giudice competente ex art. 16.
Art. 30 il procedimento di conflitto nasce con una denuncia di parte o una
rilevazione d'ufficio del giudice. Non ha effetti sospensivi sul processo in corso.
Art. 32 la risoluzione del conflitto spetta alla corte di cassazione, che decide con sentenza
in camera di consiglio, ex art. 127.
Art. 29 il conflitto cessa per effetto dell'iniziativa di uno dei giudici che dichiari, anche
d'ufficio, la propria competenza, in caso di conflitto negativo, o la propria incompetenza,
in caso di conflitto positivo.
Se questo non si verifica si attende la pronuncia della cassazione: sentenza
vincolante tranne che in caso di modificazione derivante da fatti nuovi.
Gli atti compiuti dal giudice incompetente rimangono efficaci in base al principio di
conservazione degli atti ex art. 26 e 27. Nel caso di provvedimenti cautelari però il termine di 20
giorni decorre dalla comunicazione della sentenza della corte al giudice che ha disposto la misura
cautelare.
13
Il controllo sul corretto riparto di “attribuzioni” fra tribunale “monocratico” e tribunale “collegiale”
Art. 33-quinquies
“l'inosservanza delle disposizioni sull'attribuzione di un reato ad una determinata composizione del
tribunale e le disposizioni processuali collegate a tale attribuzione deve essere rilevata o eccepita, a
pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare ovvero, quando questa
manchi, entro il termine previsto per la trattazione delle questioni preliminari ex art. 33-sexies”
Art. 33-sexies
“In sede di udienza preliminare il giudice che ritenga di procedere a citazione diretta a giudizio
dispone con ordinanza che gli atti vengano trasmessi al pubblico ministero affinché provveda ad
emettere decreto di citazione in giudizio”.
La lettura dell'ordinanza equivale a notificazione per le parti presenti e, per quanto concerne
la formazione del fascicolo per il dibattimento, la trasmissione degli atti al giudice
dibattimentale e l'eventuale assunzione di atti urgenti, vale quanto disposto dagli artt. 553 e
554.
Art. 33-septies
Quando l'inosservanza delle regole sull'attribuzione del reato venga rilevata nel corso del
dibattimento di primo grado, il giudice procede diversamente a seconda che il dibattimento
sia instaurato in seguito ad udienza preliminare o a decreto di citazione diretta a giudizio:
• nel caso di UDIENZA PRELIMINARE è sufficiente la trasmissione degli atti, con ordinanza, al
giudice competente a decidere sul reato contestato;
• nel caso di DECRETO DI CITAZIONE diretta a giudizio deve essere disposta, con ordinanza,
la trasmissione degli atti al pm, per consentirgli di esercitare l'azione penale tramite la richiesta
di rinvio a giudizio.
L'ordinanza sostituisce la citazione e gli avvisi per tutti coloro che sono o devono
essere considerati presenti.
Art. 33-octies
Il giudice d'appello che ritenga dovesse giudicare il tribunale in composizione collegiale,
pronuncia sentenza di annullamento e ordina la trasmissione degli atti al pm presso il giudice di
primo grado, purché l'erronea attribuzione sia tempestivamente eccepita e quindi denunciata nei
motivi d'appello.
Il giudice d'appello pronuncia sul merito quando ritenga che il reato appartenesse alla
cognizione del tribunale in composizione monocratica.
14
Art. 33-nonies
Sono pienamente utilizzabili le prove acquisite, né è inficiata la validità degli atti compiuti,
sempre che non si tratti di atti affetti da vizi indipendenti dall'inosservanza delle norme sulla
composizione del tribunale.
L'art. 19 ord. giud. prevede che non possano far parte della stessa corte, dello stesso
tribunale e dello stesso ufficio i magistrati legati tra loro da un vincolo di parentela o
di affinità fino al secondo grado oppure dal vincolo di coniugio o di convivenza.
L'art. 35 nello stesso procedimento non possano esercitare funzioni, anche separate o
diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado.
15
È prevista una deroga che esclude l'incompatibilità quando il giudice delle indagini preliminari si
sia limitato ad adottare, nello stesso procedimento, un provvedimento ritenuto inidoneo a
determinare una situazione di pregiudizio: il provvedimento con cui si autorizza il trasferimento in un
luogo esterno di cura dell'indagato sottoposto a custodia cautelare in carcere e quello con cui lo si autorizza
ad essere visitato da un sanitario di fiducia, i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla
corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza, concernenti l'indagato sottoposto a
custodia cautelare in carcere, il provvedimento con cui si accoglie o rigetta la richiesta di permesso di uscita
dal carcere in presenza di imminente pericolo di vita di un familiare o del convivente della persona
sottoposta ad indagini o in presenza di altri eventi di particolare gravità inerenti la sua famiglia, il
provvedimento con cui una parte o un difensore vengono restituiti in un termine stabilito a pena di
decadenza, il provvedimento con cui viene dichiarata la latitanza dell'indagato;
• chi, nello stesso procedimento, ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti
di polizia giudiziaria ovvero un altro ruolo (difensore, testimone, perito, consulente
tecnico) idoneo a comprometterne l'imparzialità; chi ha proposto la notizia di reato e chi ha
deliberato o ha concorso a deliberare l'autorizzazione a procedere.
Non costituisce motivo di ricusazione il caso in cui sussistano non meglio precisate gravi ragioni di
convenienza; non costituisce motivo di astensione la manifestazione indebita da parte del giudice,
nell'esercizio delle sue funzioni e prima che sia pronunciata sentenza, del proprio convincimento sui
fatti oggetto dell'imputazione, essendo tale ipotesi esclusiva della ricusazione. Tutti gli altri motivi
sono comuni ai due istituti, quindi quando l'astensione viene accolta, si considera la ricusazione non
proposta (art. 39).
Art. 36 e 37 co 1 lett. a), i casi di RICUSAZIONE e ASTENSIONE sono tassativi, deve quindi
astenersi o essere ricusato il giudice che:
Art. 36 prevede che la dichiarazione di astensione sia presentata al presidente della corte o
del tribunale, che decide con decreto senza formalità.
L'art. 38 la ricusazione inizia con la presentazione di una dichiarazione nella cancelleria del
giudice competente e con il deposito di una copia di questa nella cancelleria del giudice ricusato.
16
Art. 37 ne deriva il divieto per il giudice ricusato di pronunciare sentenza fino a che non
sia intervenuta ordinanza di inammissibilità o di rigetto della dichiarazione stessa.
L'art. 38 fissa i termini per la presentazione della domanda di ricusazione e le modalità, sanciti
a pena di inammissibilità.
In base all'art. 40 è competente a decidere sull'istanza di ricusazione di un giudice del tribunale,
della corte d'assise o della corte d'assise di appello la corte d'appello; per la ricusazione di un
giudice della corte d'appello o della corte di cassazione una sezione diversa della stessa corte
a cui appartiene il giudice ricusato.
Il tribunale o la corte competente a decidere sulla ricusazione pronuncia ordinanza di
inammissibilità, sia per mancanza di legittimazione soggettiva e per inosservanza di forme
e termini che per manifesta infondatezza dei motivi addotti.
È possibile proporre ricorso per cassazione, a cui sono legittimate tutte le parti.
La corte di cassazione decide in camera di consiglio seguendo il procedimento
semplificato, ex art. 611
Art. 41 ritenuta ammissibile la questione, la corte decide, in camera di consiglio, sul merito della
ricusazione, assunte, se necessario, le opportune informazioni. La corte può disporre, con
ordinanza, che il giudice ricusato sospenda temporaneamente tutte le attività processuali o si limiti
al compimento di atti urgenti.
Art. 42, il giudice chiamato a decidere sull'astensione o sulla ricusazione ha il potere
discrezionale di dichiarare, in caso di accoglimento dell'istanza, quali atti precedentemente
compiuti dal giudice conservino efficacia, ferma la rilevanza della violazione dell'obbligo
ex art. 124 ai fini della responsabilità disciplinare a carico del giudice che non abbia
osservato tale divieto.
La sola presentazione della dichiarazione di ricusazione non comporta alcuna limitazione ai
poteri del giudice nello svolgimento dei compiti istituzionali, né l'insorgere di un obbligo di
astensione.
Unico divieto imposto dalla legge al giudice ricusato è non pronunciarsi, né concorrere a
pronunciare, sentenza fino a che non sia intervenuta ordinanza che dichiara inammissibile o
rigettata la ricusazione, anche se per tale divieto non è prevista alcuna sanzione.
17
Rimessione del processo
Si ha rimessione del processo quando questo viene spostato da una sede ad un'altra in presenza di
turbative ambientali che possono compromettere il suo regolare svolgimento. Serve a salvaguardare
l'imparzialità dell'organo giudicante nel suo complesso (a differenza di astensione e ricusazione che
riguardano l'imparzialità del magistrato come persona). L'istituto della remissione in teoria
interferisce con il principio di giudice naturale ex art. 25 Cost.
Perché sia possibile la rimessione è necessario che intercorra un nesso causale tra le gravi
situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, e il
conseguente pregiudizio alla libera determinazione delle persone che partecipano al processo
ovvero alla sicurezza o all'incolumità pubblica.
È ammessa la rimessione del processo anche nel caso in cui le gravi situazioni locali determinino
motivi di LEGITTIMO SOSPETTO. Sulla base del legittimo sospetto è consentito lo spostamento
del processo quando sussiste il ragionevole dubbio che la gravità della situazione locale possa
portare il giudice a non essere imparziale o sereno. Visto però il carattere non eccezionale
dell'istituto emergono perplessità per contrasto con il giudice naturale precostituito per legge.
Art. 45 consente che la rimessione sia richiesta in ogni stato e grado del processo di merito
dall'imputato, dal procuratore generale presso la corte d'appello e dal pubblico ministero presso il
giudice civile. Non è legittimata la parte civile.
Ai sensi dell'art. 46 la richiesta di rimessione proveniente dall'imputato deve essere
sottoscritta da lui personalmente o da un suo procuratore speciale, a pena di
inammissibilità, e dopo esser stata depositata nella cancelleria del giudice con i documenti
che la giustificano va notificata, entro 7 giorni, a cura del richiedente alle altre parti.
Depositate richiesta e documentazione relativa sono immediatamente trasmesse alla corte
di cassazione ad opera del giudice procedente, al quale è consentito formulare proprie
osservazioni aggiuntive.
Art. 47 lo stesso giudice procedente, a seguito della presentazione della richiesta, può disporre con
ordinanza inoppugnabile, la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l'ordinanza di
inammissibilità o di rigetto. Analogamente, dopo esser stata investita della richiesta, la corte di
cassazione può disporre la sospensione. Si ritiene che la sospensione sia concessa sulla base del
fumus boni iuris e del periculum in mora.
All'art. 48 è prevista la sospensione obbligatoria nel caso in cui, non avendo il presidente
della corte di cassazione rilevato, nell'ambito dell'esame preliminare, alcuna causa di
inammissibilità tale da giustificare l'investitura della sezione filtro , è avvenuta
l'assegnazione della richiesta ad una delle sezioni della corte o alle sezioni unite. In seguito
a tale comunicazione, il giudice procedente deve sospendere il processo prima dello
svolgimento delle conclusioni (in sede di udienza preliminare) o della discussione (in sede
dibattimentale), e resta preclusa la pronuncia sia del decreto che dispone il giudizio, sia della
sentenza.
La sospensione dura fino a che non sia pronunciata ordinanza della corte che dichiari
inammissibile o rigetti la richiesta.
L'art. 47 comma 2 esclude la sospensione quando la richiesta non è fondata su elementi
nuovi rispetto a quelli di una precedente richiesta rigettata o dichiarata inammissibile.
18
Al comma 4 prevede che, finché dura la sospensione, restano sospesi i termini della prescrizione del
reato e, se la richiesta di rimessione proviene dall'imputato, anche i termini di durata massima della
custodia cautelare.
Tali termini riprendono il loro corso a partire dal giorno in cui la corte dichiara
inammissibile o rigetta la richiesta di rimessione o, in caso di accoglimento, dal giorno in
cui il processo perviene allo stesso stato in cui si trovava al momento in cui è intervenuta la
sospensione.
È ammesso il compimento di atti urgenti.
La corte di cassazione decide con ordinanza in camera di consiglio ex art. 127, eventualmente dopo
aver acquisito le necessarie informazioni.
L'ordinanza potrà essere di inammissibilità, di rigetto o di accoglimento.
Se è di accoglimento deve contenere l'indicazione del nuovo giudice, individuato ex art. 11, ed è
immediatamente comunicata al giudice designato e al giudice originariamente competente, il quale
è tenuto a trasmettere al primo gli atti del processo e a disporre che l'ordinanza della corte venga
comunicata al pubblico ministero e notificata alle parti private.
In base all'art. 48, ferma restando l'utilizzabilità degli atti validamente compiuti davanti al giudice
a quo, in quanto inseriti nel fascicolo dibattimentale, il giudice designato procede alla
rinnovazione degli atti quando una qualsiasi delle parti ne faccia richiesta. Sono previste due
eccezioni:
a) si tratti di atti di cui è impossibile la ripetizione;
b) si versi in una situazione ex art. 190-bis: in presenza di uno dei delitti ex art. 51 sia
richiesto l'esame di un testimone che abbia reso dichiarazioni in sede di incidente
probatorio o in dibattimento in contraddittorio con la persona contro cui ha reso le
dichiarazioni, l'esame è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi; o nei casi al
co 1-bis.
Le parti esercitano gli stessi diritti e facoltà a loro riservati davanti al primo giudice.
L'art. 49 disciplina l'ipotesi di una NUOVA RICHIESTA DI RIMESSIONE, sia quando sia
diretta ad ottenere un ulteriore spostamento del processo, sia quando miri ad ottenere per la
prima volta il relativo provvedimento, già negato da un'ordinanza di rigetto o di inammissibilità.
L'ulteriore spostamento del processo può essere richiesto quando nella sede designata si
ripresenta una situazione ex art. 45 ovvero sono venute meno nella sede originaria le ragioni
che avevano indotto a sollecitare l'intervento della cassazione, creando le premesse per una
revoca del provvedimento di rimessione.
In questo caso bisogna distinguere: in presenza di un'ordinanza di rigetto della precedente
richiesta o abbia dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza, l'ulteriore richiesta,
per non esser dichiarata inammissibile, deve esser fondata su elementi nuovi.
Si ha inammissibilità per manifesta infondatezza anche nel caso in cui la stessa,
priva di elementi di novità rispetto ad una precedente richiesta di rimessione già
rigettata o dichiarata inammissibile, provenga da un altro imputato dello stesso
processo o di un processo ad esso separato.
La richiesta ritenuta inammissibile per motivi diversi dalla manifesta
infondatezza può sempre essere riproposta.
19
IL PUBBLICO MINISTERO
L'art. 109 Cost. statuisce che l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria.
L’art. 112 Cost. statuisce l'obbligatorietà dell'azione penale.
Fra i compiti del procuratore della Repubblica c'è l'assicurare il corretto, puntuale ed
uniforme esercizio dell'azione penale; a riguardo il procuratore generale presso la Corte
d'appello ha un potere di controllo.
L'indipendenza non tollera interferenze esterne né quando il pm decide in ordine
all'esercizio dell'azione penale, né durante la fase anteriore delle indagini preliminari.
Il pubblico ministero risponde del suo operato solo di fronte alla legge, godendo delle stesse
garanzie attribuite al giudice circa il reclutamento, l'inamovibilità della sede e la soggezione
al potere di controllo del Csm.
20
Il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, e viceversa, è disposto, a seguito di
concorso, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e subordinatamente ad
un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Csm, su parere del
Consiglio giudiziario.
Tale passaggio non è consentito all'interno dello stesso distretto o in altro distretto della
stessa regione.
I magistrati, al termine del tirocinio, non possono essere destinati a svolgere funzioni requirenti o
funzioni giudicanti monocratiche anteriormente al conseguimento della prima valutazione di
professionalità, effettuata al termine del primo quadriennio dalla data di nomina.
Art. 50 c.p.p. Azione penale.
1. Il pubblico ministero esercita l'azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta
di archiviazione.
2. Quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere, l'azione
penale è esercitata di ufficio.
3. L'esercizio dell'azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente
previsti dalla legge.
□ L'art. 50 conferisce al pubblico ministero la titolarità dell'azione penale.
L'art. 231 disp. att. sancisce il monopolio dell'azione penale in capo al
pm.
Nel nostro sistema non trovano spazio né l'azione penale privata né l'azione penale popolare.
Inoltre viene enunciato il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, con l'unico limite
della richiesta di archiviazione.
□ Al comma 2 ribadisce l'ufficialità dell'azione penale, circoscrivendo l'efficacia delle condizioni di
procedibilità alle figure richiamate: querela, richiesta, istanza ed autorizzazione a procedere. Non è
un elenco esaustivo.
Sono CONDIZIONI DI PROCEDIBILITÀ:
• la presenza del reo nel territorio dello Stato per i delitti comuni del cittadino e dello
straniero commessi all'estero (art. 10 c.p.);
• l'assenza di una sentenza o di un decreto penale irrevocabili pronunciati nei confronti della
stessa persona per lo stesso fatto (art. 694).
In mancanza di tali fatti il pm non può agire validamente, quindi le condizioni di
procedibilità in concreto potrebbero collidere con il principio dell'obbligatorietà
dell'azione penale, in quanto fanno dipendere da una volontà esterna agli organi
giudiziari l'attivazione-obbligo in capo al titolare dell'accusa.
□ Art. 50 comma 3 principio dell'irretrattabilità dell'azione penale: una volta esercitata, questa esce
dalla sfera del suo autore e comporta l'insorgere di un dovere decisorio in capo al giudice.
L'oggetto del processo penale è indisponibile, questo implica che le cause di sospensione o
interruzione dell'azione penale siano tassative.
Sono previste CAUSE DI SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO
(inteso come fase delle indagini preliminari):
• dichiarazione di ricusazione del giudice;
• art. 71 l'accertata incapacità della persona sottoposta alle indagini di partecipare
coscientemente al procedimento;
• insorgere di indizi del reato di false informazioni rese dal pm o di false dichiarazioni al
difensore.
21
L’organizzazione e la distribuzione del lavoro tra gli uffici: loro rapporti.
Secondo l'art. 51 comma 1 lett. a) le funzioni del pubblico ministero nelle indagini preliminari e
nei procedimenti di primo grado sono esercitate dai magistrati della procura della Repubblica
presso il tribunale.
Art. 71 ord. giud. alle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere
addetti magistrati onorari in qualità di viceprocuratori per l'espletamento delle funzioni ex
art. 72.
Art. 71-bis ord. giud. il procuratore della Repubblica può stabilire che i vice procuratori
addetti al suo ufficio esercitino le funzioni di pubblico ministero soltanto presso la sede del
tribunale o presso una o più sezioni distaccate, ovvero presso la sede principale e una o più
sezioni distaccate.
L'art. 72 ord. giud. prevede una deroga consentendo al procuratore della Repubblica presso
il tribunale, nei casi in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, di delegare
nominativamente determinate funzioni, da precisarsi di volta in volta, a magistrati ordinari in
tirocinio, a vice procuratori onorari addetti all'ufficio, a personale in quiescenza da non più
di 2 anni che nei 5 anni precedenti abbia svolto le funzioni di polizia giudiziaria, ovvero a
laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola di specializzazione
per le professioni legali.
L'art. 51 comma 1 lett. b) prevede che i magistrati della procura della Repubblica presso la corte
d'appello esercitano le funzioni di pubblico ministero nei soli giudizi di impugnazione .
La partecipazione al giudizio d'appello del rappresentante dell'ufficio presso il giudice di primo
grado, che abbia presentato le conclusioni e ne abbia fatto richiesta nell'atto di appello, può essere
disposta dallo stesso procuratore generale presso la corte d'appello, con una delega nominativa, e
alla corte d'appello spettano i relativi avvisi (art. 570).
Al procuratore generale presso la corte d'appello spetta sempre il potere di proporre ricorso in
cassazione contro le sentenza d'appello. È privo del potere di svolgere le indagini preliminari
anche nel caso in cui la notizia di reato pervenga direttamente dal suo ufficio (potere di
autosostituzione).
Il procuratore generale non può controllare la mancata attivazione dei procuratori della Repubblica
del suo distretto nei confronti di informazioni che non assurgano al rango di notizia di reato:
queste infatti non impongono il decreto di archiviazione qualora non siano state iscritte, per la loro
indeterminatezza, nel registro ex art. 335. Tuttavia nulla impedisce al procuratore generale di
svolgere indagini di natura amministrativa dirette ad apprendere la notizia di reato (art. 330).
Durante la fase delle indagini preliminari, tra procure della Repubblica e relative procure generali
presso la corte d'appello si aprono canali informativi. Il procuratore generale presso la corte
d'appello ha il potere di riunire i procuratori della Repubblica che procedono ad indagini collegate,
qualora il coordinamento investigativo non sia stato promosso o non risulti effettivo.
La segreteria del pubblico ministero trasmette ogni settimana al procuratore generale
l'elenco delle notizie di reato contro persone note, tutte le volte in cui non sia stata esercitata
l'azione penale, né sia stata richiesta l'archiviazione, entro il termine previsto dalla legge o
prorogato dal giudice.
L'unico caso in cui il procuratore generale presso la corte d'appello subentra, nella titolarità delle
indagini preliminari, al procuratore della Repubblica del proprio distretto è in caso di
AVOCAZIONE, nei casi tassativamente previsti.
22
L'avocazione
opera automaticamente quando:
a) si verifichi l'impossibilità di provvedere, nell'ambito dell'ufficio della procura della
Repubblica, alla tempestiva sostituzione del magistrato designato a seguito di astensione o
di incompatibilità (art. 372);
b) nel caso di omessa tempestiva sostituzione del magistrato da parte del capo dell'ufficio,
ricorrendo alcune fattispecie che avrebbero imposto al giudice di astenersi e consentito alle
parti di ricusarlo;
c) in caso di omessa presentazione, nei termini stabiliti, della richiesta di archiviazione o
di omesso esercizio dell'azione penale (art. 412).
■ Si ha avocazione facoltativa:
a) quando il giudice delle indagini preliminari fissa l'udienza in camera di consiglio, non
avendo accolto la richiesta di archiviazione;
b) quando il giudice ritiene ammissibile l'opposizione all'archiviazione proposta dalla
persona offesa;
c) quando il giudice dell'udienza preliminare abbia indicato al pm le ulteriori indagini
da svolgersi ad integrazione di quelle già svolte, ma ritenute incomplete.
→ L'art. 372 prevede che il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni, dispone, con
decreto motivato, l'avocazione delle indagini preliminari per una serie di delitti di criminalità
organizzata quando, trattandosi di indagini collegate, non risulti effettivo il coordinamento ex art.
371 e non abbiano dato esito le riunioni disposte o promosse dal procuratore generale, anche
d'intesa con gli altri procuratori generali interessati.
Oltre al decreto motivato, copia del provvedimento con cui il procuratore generale presso la corte
d'appello dispone l'avocazione delle indagini preliminari è sempre trasmessa al Csm ed ai
procuratori della Repubblica interessati, consentendogli in questo modo di proporre reclamo al
procuratore generale presso la corte di cassazione. Questo, se accoglie il reclamo, revoca il decreto
di avocazione e dispone la restituzione degli atti.
Gli effetti dell'avocazione disposta nel corso delle indagini preliminari
perdurano nell'udienza preliminare e durante tutto il processo di primo grado.
Il pubblico ministero trae la propria legittimazione in modo riflesso dalla competenza del giudice
del dibattimento presso il quale è istituito: l'art. 238 disp. att. dispone che nel corso delle indagini
preliminari e nell'intero processo di primo grado la legittimazione spetta al procuratore della
Repubblica territorialmente competente secondo i criteri degli art. 8, 9, 10 e 16, ancorché nel
relativo circondario non abbia sede la corte d'assise.
■ Art. 54 c.p.p. se il pubblico ministero ritiene che la competenza a conoscere il reato spetti ad un
giudice diverso da quello presso cui esercita le sue funzioni, trasmette tempestivamente gli atti
all'ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente.
L'ufficio che ha ricevuto gli atti, ove dissenta, non può ritrasmetterli al mittente, ma demanda la
risoluzione del contrasto negativo al procuratore generale presso la corte d'appello o a quello
presso la corte di cassazione, qualora appartenga ad un diverso distretto.
Trasmette anche tutti gli atti del procedimento in originale o in copia.
Il procuratore generale può nominare un ufficio diverso da quelli tra loro in contrasto.
23
La statuizione del procuratore generale vale solo all'interno della fase delle indagini preliminari
ed unicamente nei confronti degli appartenenti all'ufficio del pubblico ministero.
In presenza di elementi sopravvenuti il vincolo cade automaticamente, quindi al pm
sottordinato tocca trasmettere gli atti al pm ritenuto competente. Gli atti compiuti prima
della trasmissione o della designazione conservano l'efficacia loro propria.
Le misure cautelari non cessano di avere effetto.
■ Art. 54-bis c.p.p. , il contrasto positivo tra uffici del pubblico ministero si può avere in caso di
accertamenti tecnici non ripetibili e le indagini preliminari abbiano ad oggetto lo stesso fatto storico
e siano a carico della stessa persona.
Quando il pubblico ministero procedente riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso
tali indagini preliminari, ne informa senza ritardo il pubblico ministero presso questo ufficio,
richiedendogli la trasmissione degli atti. A sua volta il pm che ha ricevuto la richiesta, ove non
ritenga di aderirvi, ne informa il procuratore generale presso la corte d'appello ovvero, qualora
appartenga ad un diverso distretto, il procuratore generale presso la corte di cassazione.
Assunte le necessarie informazioni, il procuratore determina con decreto motivato, secondo le
regole per la competenza del giudice, quale ufficio debba procedere, dandone comunicazione agli
uffici interessati.
Nel caso in cui, prima della designazione operata dal procuratore generale, uno degli uffici
procedenti desista, trasmettendo gli atti all'altro, gli atti di indagine preliminare
precedentemente compiuti dal pubblico ministero non legittimato sono utilizzabili nei casi e
nei modi previsti dalla legge.
Quando invece due giudici per le indagini preliminari siano investiti contemporaneamente
di una richiesta relativa allo stesso fatto, si verifica un conflitto positivo di competenza che
sarà risolto dalla corte di cassazione. Tuttavia l'art. 28 co 3 nega l'ammissibilità nel corso
delle indagini preliminari di un conflitto positivo di competenza per territorio generato da
connessione: contrasti positivi del genere non sarebbero, a priori, configurabili tra pm,
anche se la giurisprudenza della procura generale presso la corte di cassazione è incline ad
ammetterli.
■ L'art. 54-quater c.p.p. prevede un controllo sulla legittimazione del pubblico ministero a svolgere
le indagini preliminari riguardo alla competenza per territorio e per connessione.
Possono promuovere tale controllo:
a) la persona sottoposta alle indagini che abbia avuto conoscenza delle indagini a suo
carico tramite comunicazione dell'iscrizione del suo nominativo nel registro delle
notizie di reato o l'invio dell'informazione di garanzia,
b) la persona offesa,
c) i rispettivi difensori.
La richiesta di trasmettere gli atti al corrispondente ufficio istituito presso il giudice competente è
depositata presso la segreteria del pm procedente, a pena di inammissibilità, corredata dalle ragioni
poste a sostegno dell'indicazione del diverso giudice ritenuto competente.
Il pubblico ministero, nel termine perentorio di 10 giorni, deve scegliere se accogliere
la richiesta, trasmettendo gli atti al pubblico ministero istituito presso il giudice ritenuto
competente, o rigettarla.
24
In caso di rigetto, il richiedente ha il potere di investire, nei successivi 10 giorni, della questione
il procuratore generale presso la corte d'appello o presso la corte di cassazione, qualora il giudice
ritenuto competente appartenga ad un diverso distretto.
Entro 20 giorni dal deposito della richiesta il procuratore generale, assunte le necessarie
informazioni e, se del caso, ottenuta la trasmissione di copia degli atti del procedimento,
provvede con decreto motivato dandone comunicazione al richiedente e agli uffici
interessati.
Se si tratta di uno dei reati per i quali la legittimazione a procedere spetta alla direzione
distrettuale antimafia, il procuratore generale si uniforma al dettato dell'art. 54-ter.
Il provvedimento del procuratore generale non è suscettibile di alcuna impugnazione
in quanto privo di natura giurisdizionale.
La richiesta non può essere riproposta, a pena di inammissibilità, salvo che si fondi su fatti nuovi
e diversi: la decisione è resa rebus sic stantibus.
I termini di durata delle indagini preliminari continuano a decorrere, gli atti compiuti prima
della trasmissione degli atti sulla base della prima richiesta o della comunicazione del decreto
del procuratore generale possono essere utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge.
L’ astensione
Art. 52 - Astensione.
1. Il magistrato del pubblico ministero ha la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di
convenienza.
2. Sulla dichiarazione di astensione decidono, nell'ambito dei rispettivi uffici, il procuratore della
Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale.
3. Sulla dichiarazione di astensione del procuratore della Repubblica presso il tribunale e del
procuratore generale presso la corte di appello decidono, rispettivamente, il procuratore
generale presso la corte di appello e il procuratore generale presso la corte di cassazione.
4. Con il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione, il magistrato del pubblico
ministero astenuto è sostituito con un altro magistrato del pubblico ministero appartenente al
medesimo ufficio. Nondimeno, quando viene accolta la dichiarazione di astensione del procuratore
della Repubblica presso il tribunale e del procuratore generale presso la corte di appello, può
essere designato alla sostituzione altro magistrato del pubblico ministero appartenente all'ufficio
ugualmente competente determinato a norma dell'articolo 11.
L'art. 52 c.p.p. prevede l'istituto dell'astensione, non obbligatoria sotto il profilo processuale, si
fonda genericamente su gravi ragioni di convenienza.
L'astensione presuppone una dichiarazione motivata, è decisa dal capo dell'ufficio o dal procuratore
generale presso la corte d'appello o presso la cassazione, se riguarda i capi degli uffici.
La sostituzione è effettuata con un magistrato appartenente allo stesso ufficio, ma se si tratta del
capo ufficio la regola è derogabile e può esser nominato alla sostituzione un altro magistrato del
pubblico ministero appartenente ad un diverso ufficio, egualmente legittimato per materia, ma
individuato secondo i parametri all'art. 11.
25
I rapporti all’interno dell’ufficio
Nel caso in cui il capo dell'ufficio non abbia provveduto alla sostituzione in presenza una
situazione di astensione obbligatoria, la sostituzione è demandata al procuratore generale che
designa un magistrato del suo ufficio per le sole funzioni di udienza e per le attività che ne
seguono, sicché la sostituzione ha un'efficacia temporanea. La sostituzione opera successivamente
all'esercizio dell'azione penale, a differenza dell'avocazione che opera nella fase delle indagini
preliminari.
Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero gode dell'autonomia necessaria
per l'integrale attuazione del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Tuttavia il capo dell'ufficio può fissare regole generali per la miglior efficienza dell'ufficio,
nonché dettare singole direttive, e richiedere di essere informato dello sviluppo delle indagini.
Il magistrato che contravvenga a simili disposizioni può essere legittimamente sostituito, tramite un
provvedimento motivato che revochi l'ordinaria designazione.
Il magistrato designato che non intenda uniformarsi alle direttive può chiedere di essere sostituito.
26
In base al d.lgs 106/2006 al procuratore della Repubblica, in quanto preposto all'ufficio del pm,
spetta la titolarità esclusiva dell'azione penale. Tale potere è esercitato personalmente o mediante
assegnazione a uno o più magistrati dell'ufficio, e riguarda la trattazione di uno o più procedimenti
o il compimento di singoli atti del procedimento.
Il procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi
nell'esercizio dell'attività assegnata e può revocare l'assegnazione di tutti i casi in cui il
magistrato non si attenga ai criteri fissati dal titolare dell'azione penale o si determini un
contrasto circa le modalità di esercizio delle funzioni.
Quando occorra disporre il fermo di un indiziato di delitto o richiedere una misura cautelare
personale o reale, il procuratore della Repubblica deve dare previamente assenso scritto, salve le
ipotesi in cui la richiesta del provvedimento cautelare sia contestuale alla richiesta di convalida
dell'arresto in flagranza o del fermo ovvero di quella di convalida del sequestro preventivo disposto
in caso di urgenza.
In caso di misure cautelari reali si può escludere la necessarietà dell'assenso scritto, con
riguardo al valore del bene oggetto della richiesta ovvero della rilevanza del fatto per il quale
si procede.
Il mancato assenso scritto del procuratore della Repubblica è condizione di validità dell'ordinanza
cautelare emessa dal giudice.
Solo il procuratore della Repubblica può intrattenere, personalmente o tramite magistrato
dell'ufficio delegato, rapporti con i mass-media. È fatto espressamente divieto ai magistrati
dell'ufficio di rilasciare dichiarazioni o notizie ad organi di informazione circa l'attività
giudiziaria dell'ufficio.
Nei casi previsti all'art. 51 comma 3-bis, cioè relativi ai DELITTI TENTATI o CONSUMATI di:
a) associazione di tipo mafioso;
b) sequestro di persona a scopo estorsivo;
c) delitti commessi avvalendosi di associazioni di tipo mafioso o al fine di agevolare l'attività
delle associazioni di stampo mafioso;
d) delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope;
e) delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri;
f) delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti;
Per questi delitti si ha una disciplina speciale: la legittimazione è dell'ufficio del pubblico
ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte di appello, nel cui ambito
ha sede il giudice competente.
Tale disciplina speciale è stata estesa dall'art. 51 comma 3-quater anche i delitti, consumati o
tentati, con finalità di terrorismo.
L'art. 51 comma 3-quinquies l'ha estesa anche ai reati in tema di sfruttamento sessuale di minori e
ai reati di criminalità informatica.
Art. 70-bis ord. giud. il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del
distretto costituisce, nell'ambito del suo ufficio, una direzione distrettuale antimafia per la
trattazione dei procedimenti relativi ai reati ex art. 51 comma 3-bis, nominando i magistrati che
devono farne parte per un tempo non inferiore a 2 anni.
Negli uffici delle procure distrettuali può essere istituito un posto di procuratore
aggiunto, per specifiche ragioni relative allo svolgimento dei compiti della direzione
distrettuale.
27
Il procuratore distrettuale, o un suo delegato, è preposto all'attività della direzione e cura che i
magistrati ottemperino all'obbligo di assicurare la completezza e tempestività della reciproca
informazione sull'andamento delle indagini, eseguendo le direttive impartite per il coordinamento
delle investigazioni e per l'impiego della polizia giudiziaria.
Il procuratore distrettuale designa i magistrati addetti alla direzione (art. 70-bis ord. giud.).
Il procuratore generale presso la corte d'appello può però, per giustificati motivi, disporre che le
funzioni di pubblico ministero per il dibattimento siano esercitate da un magistrato designato dal
procuratore della Repubblica presso il giudice competente.
L'art. 54-ter c.p.p. prevede che se si verifica contrasto tra diverse direzioni distrettuali, la risoluzione
è affidata al procuratore generale presso la corte di cassazione, e al procuratore nazionale antimafia
è attribuita una funzione consultiva.
Se il contrasto insorge all'interno dello stesso distretto, la risoluzione è affidata al procuratore
generale presso la corte d'appello. Il procuratore nazionale antimafia diventa parte in causa.
L’art. 76-bis ord. giud. Afferma che alla procura nazionale antimafia presso la corte di
cassazione è preposto un magistrato di cassazione (il procuratore nazionale antimafia)
di spiccate attitudini organizzative e professionali, nominato con delibera del Csm con il
Ministro della giustizia.
Tale incarico dura 4 anni ed è rinnovabile una sola volta.
Alla direzione sono addetti come sostituti 20 magistrati con funzione di magistrati di corte
d'appello, nominati dal Csm sentito il procuratore nazionale antimafia, sulla base di
specifiche attitudini ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalità
organizzata.
Al procuratore nazionale antimafia competono esclusivamente le funzioni ex art. 371-
bis, nei soli procedimenti per i reati ex art. 51 comma 3-bis. È quindi un ufficio del
pubblico ministero specializzato.
Art. 76-ter ord. giud. il procuratore generale presso la corte di cassazione sorveglia
il procuratore nazionale antimafia e la relativa direzione; tiene ogni anno una
relazione generale sull'amministrazione della giustizia comunicando l'attività svolta e
i risultati conseguiti dal procuratore nazionale e dalle direzioni nazionali e distrettuali
antimafia.
Il procuratore nazionale antimafia si avvale della Direzione investigativa antimafia (Dia) e dei servizi
centrali e interprovinciali delle forze di polizia, impartendo loro le direttive intese a regolarne l'impiego a
fini investi Art. 371-bis c.p.p., le funzioni del procuratore nazionale antimafia sono sostanzialmente due:
- impulso al coordinamento
Relativamente al coordinamento ha il compito di assicurare il collegamento investigativo
anche tramite i magistrati della Direzione nazionale antimafia. Il procuratore nazionale
antimafia ha il potere di impartire ai procuratori distrettuali specifiche direttive, alle quali
questi devono attenersi per prevenire e risolvere contrasti.
Il procuratore nazionale antimafia indice riunioni tra i procuratori distrettuali interessati per
risolvere contrasti che impediscano di rendere effettivo il coordinamento. Può ricorrere
all'avocazione.
L'art. 371-bis prevede l'applicazione temporanea dei magistrati della Direzione nazionale antimafia
e delle direzioni distrettuali antimafia nei casi di procedimenti di particolare complessità o che
richiedono specifiche esperienze e competenze professionali, ovvero in caso di protratte vacanze di
organico, inerzia nella conduzione delle indagini o in caso di specifiche e contingenti esigenze
investigative o processuali.
Tale applicazione è disposta con decreto motivato dal procuratore nazionale
antimafia, sentiti i procuratori generali e i procuratori della Repubblica interessati.
Se l'applicazione riguarda la procura distrettuale con sede nel capoluogo dello stesso
distretto, il decreto è emesso dal procuratore generale presso la corte d'appello che lo
comunica al procuratore nazionale antimafia.
L'applicazione non può superare 1 anno, è rinnovabile per un periodo non superiore
ad un anno. Il decreto viene trasmesso al Csm per l'approvazione, e al Ministro
della giustizia.
Nel corso delle indagini preliminari non sono consentite sostituzioni, se non previste dall'art. 36
(casi di astensione del giudice).
POLIZIA GIUDIZIARIA
Ha anche l'obbligo di raccogliere tutto quanto possa servire per l'applicazione della legge penale e
l'obbligo di impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori.
È escluso che possa avvalersi di atti preventivi atipici diversi dal sequestro
29
preventivo. Svolge ogni indagine e attività disposta o delegata dall'autorità
giudiziaria.
□ Esempi di attività disposte dal pubblico ministero: esegue le notificazioni richieste dal
pm con riferimento ai soli atti di indagine o ai provvedimenti che la stessa polizia
giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire (art. 151); documenta, tramite
verbale o annotazioni, gli atti del titolare delle indagini (art. 373).
□ Esempi di attività disposte dal giudice: accompagnamento coattivo dell'imputato (art.
132) o di altre persone (art. 133); esegue le misure cautelari personali o reali; esegue
provvedimenti che dispongono mezzi di ricerca della prova come le ispezioni, le
perquisizioni, i sequestri.
Nei procedimenti con detenuti e davanti al tribunale del riesame, il giudice può disporre, in caso di
urgenza, che le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari
sono detenuti.
Art. 57 - Ufficiali e agenti di polizia giudiziaria.
1. Salve le disposizioni delle leggi speciali, sono UFFICIALI DI POLIZIA GIUDIZIARIA:
a) i dirigenti, i commissari, gli ispettori, i sovrintendenti e gli altri appartenenti alla polizia di Stato
ai quali l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza riconosce tale qualità;
b) gli ufficiali superiori e inferiori e i sottufficiali dei carabinieri, della guardia di finanza, degli agenti
di custodia e del corpo forestale dello Stato nonché gli altri appartenenti alle predette forze di
polizia ai quali l'ordinamento delle rispettive amministrazioni riconosce tale qualità;
c) il sindaco dei comuni ove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando
dell'arma dei carabinieri o della guardia di finanza.
2. Sono AGENTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA:
a) il personale della polizia di Stato al quale l'ordinamento dell'amministrazione della pubblica
sicurezza riconosce tale qualità;
b) i carabinieri, le guardie di finanza, gli agenti di custodia, le guardie forestali e, nell'ambito
territoriale dell'ente di appartenenza, le guardie delle province e dei comuni quando sono in
servizio. 3. Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono
destinate e secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti
attribuiscono le funzioni previste dall'articolo 55.
30
In forza della legislazione speciale, hanno compiti di polizia giudiziaria rispetto all'accertamento di
determinate fattispecie di reato o rispetto a determinati settori, nei limiti del servizio cui sono
destinati e secondo le rispettive attribuzioni, gli ispettori del lavoro, i dirigenti degli uffici di
cancelleria per quanto riguarda le disposizioni tributarie circa le loro funzioni, il personale
direttivo, gli ufficiali e i sottufficiali del Corpo dei vigili del fuoco, le autorità consolari.
Il personale della direzione investigativa antimafia è attinto dai ruoli della polizia di Stato,
dall'arma dei carabinieri e della guardia di finanza, oltre ad avere funzioni di investigazione
preventiva attinente alla criminalità organizzata, ha anche il compito di effettuare indagini di
polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o attinenti.
L’organizzazione della polizia giudiziaria e la sua dipendenza funzionale dall’autorità giudiziaria.
L’ art. 56 afferma che tutte le funzioni di polizia giudiziaria sono sempre svolte alla dipendenza
e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria. Il legame che si instaura con l'autorità giudiziaria è
variabile, in quanto costituito in relazione ai diversi apparati amministrativi.
I servizi di polizia giudiziaria, come previsti dalla legge, prevedono l'istituzione e
l'organizzazione di unità da parte del dipartimento di pubblica sicurezza, nei contingenti
necessari.
Per collegare l'attività investigativa ai delitti di criminalità organizzata, il d.l. 152/91 ha
imposto alle amministrazioni interessate di costituire servizi centrali ed interprovinciali
della polizia di Stato, dell'arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza (Servizio
centrale operativo della polizia di Stato (SCO), Raggruppamento operativo speciale (ROS),
Reparto investigazioni scientifiche dell'arma dei carabinieri (RIS), il gruppo di
investigazione sulla criminalità organizzata della guardia di finanza (GICO) e servizio
centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (SCICO)).
In determinate regioni e a particolari circostanze tali strutture possono essere
costituite in servizi interforze. La l. 155/2005 ha introdotto l'unità antiterrorismo tra i
servizi.
Art. 12 disp. att. fanno parte dei servizi tutti gli uffici e le unità cui, dalle rispettive
amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge, sono affidate le funzioni di polizia
giudiziaria.
Sono comunicati periodicamente al procuratore della Repubblica il nome e il grado degli
31
ufficiali che dirigono i servizi di polizia giudiziaria, in modo da individuare con certezza e
tempestività i responsabili dei servizi.
Si ha uno sbilanciamento tra i poteri di gestione propri dell'autorità amministrativa rispetto a
quelli propri dell'autorità giudiziaria in quanto ai dirigenti della prima spetta in via esclusiva
la destinazione dei capi dei servizi.
Stretta dipendenza organizzativa e funzionale dall'autorità giudiziaria si ha nelle sezioni di
polizia giudiziaria, istituite presso ogni procura della Repubblica per garantire uno stretto
rapporto con l'organo che dirige le indagini preliminari.
Le sezioni sono composte da personale già facente parte dei servizi di polizia giudiziaria.
L'art. 5 disp. att. precisa che le sezioni sono composte da ufficiali ed agenti della
polizia giudiziaria appartenenti alla polizia di Stato, all'arma dei carabinieri ed alla
guardia di finanza, e consente l'applicazione temporanea ed anche in sovrannumero di
ufficiali ed agenti provenienti da altri organi di polizia giudiziaria.
L'art. 6 disp. att. prevede che il personale delle sezioni non sia inferiore al doppio dei
magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale, stabilisce il rapporto 2
ufficiali ogni 3 agenti.
Sono minimamente dipendenti dall'autorità giudiziaria i restanti ufficiali ed agenti di
polizia giudiziaria tenuti per legge a compiere indagini a seguito di una notizia di reato.
È una categoria molto eterogenea, quindi organizzata dagli enti di appartenenza.
Art. 58.- Disponibilità della polizia giudiziaria.
1. Ogni procura della Repubblica dispone della rispettiva sezione; la procura generale presso la corte
di appello dispone di tutte le sezioni istituite nel distretto.
2. Le attività di polizia giudiziaria per i giudici del distretto sono svolte dalla sezione istituita presso
la corrispondente procura della Repubblica.
3. L'autorità giudiziaria si avvale direttamente del personale delle sezioni a norma dei commi 1 e 2 e
può altresì avvalersi di ogni servizio o altro organo di polizia giudiziaria.
In base all'art. 58 si deduce che al magistrato è attribuita la disponibilità della polizia giudiziaria in
quanto titolare delle indagini preliminari o del processo, anche se al procuratore della Repubblica è
sempre consentito sostituirsi al magistrato nominato per le indagini preliminari nell'impartire ordini
alla polizia giudiziaria.
Ogni procura dispone della relativa sezione di polizia giudiziaria in modo diretto ed
immediato, non sottoposta né al filtro dei capi dell'organizzazione della polizia giudiziaria
né a quello del dirigente dell'ufficio del pubblico ministero.
Per i giudici del distretto le attività di polizia giudiziaria sono svolte dalle sezioni istituite presso
le corrispondenti procure della Repubblica, ma la disponibilità non è immediata in quanto si
prevede che il giudice possa richiederne l'intervento.
→ Qualsiasi autorità giudiziaria può avvalersi di sezioni, servizi o organi di polizia giudiziaria.
Infine L'art. 83 ord. giud. demanda al procuratore generale presso la corte d'appello l'esercizio
della sorveglianza sul rispetto delle norme in ordine alla diretta disponibilità della polizia
giudiziaria da parte dell'autorità giudiziaria.
I rapporti di subordinazione
Gli ufficiali e gli agenti di polizia restano sempre subordinati, in principio, agli enti
amministrativi di appartenenza, tuttavia l'art. 59 rileva un rapporto di subordinazione all'autorità
giudiziaria.
Le sezioni si pongono in rapporto di subordinazione nei confronti del procuratore della
Repubblica che dirige l'ufficio presso cui sono istituite, e gli ufficiali e gli agenti di polizia
32
giudiziaria non possono essere distolti dalla loro attività se non per disposizione del magistrato da
cui dipendono.
Tale esclusiva destinazione è derogabile solo in casi eccezionali o per necessità di
istruzione o di addestramento (art. 10 disp. att.), sempre previo consenso del capo
dell'ufficio della procura.
In caso di servizi, gli ordini dell'autorità giudiziaria sono mediati dalle gerarchie amministrative;
la responsabilità personale investe unicamente l'ufficiale preposto al servizio e ne sono oggetto
l'adeguata organizzazione del servizio, la sorveglianza sullo svolgimento delle attività di polizia
giudiziaria da parte del personale dipendente e le funzioni espletate dall'ufficio stesso.
Dal punto di vista disciplinare la responsabilità si pone solo nei confronti del
procuratore della Repubblica presso il tribunale, è escluso il procuratore generale
presso la corte d'appello.
Le singole amministrazioni hanno l'obbligo di ottenere il consenso del procuratore della Repubblica presso il
tribunale o del procuratore generale presso la corte d'appello per allontanare, anche provvisoriamente, dalla
sede o assegnare ad altri uffici i dirigenti dei servizi (art. 14 disp. att.) e di vincolare le promozioni dei
dirigenti degli uffici al parere favorevole di tali magistrati (art. 15 disp. att.).
IMPUTATO
L'art. 60 indica gli atti tipici dai quali deriva l'assunzione della qualità di imputato:
La coincidenza tra inizio del processo e imputazione può implicare che le indagini si
33
concludano con l'archiviazione intervenuta dopo che sia stata applicata la custodia cautelare in
carcere.
La PERDITA DELLA QUALITÀ DI IMPUTATO può derivare solo da una
sentenza o da un provvedimento assimilabile:
a) sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione,
b) sentenza di proscioglimento o di condanna irrevocabili,
c) decreto penale divenuto esecutivo,
d) ordinanza che dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione,
e) sentenze che dichiarano il difetto di giurisdizione o di competenza.
La qualità di imputato risorge per effetto di revoca della sentenza di non luogo a procedere o
dell'emissione del decreto di citazione a dibattimento per il giudizio di revisione, essendo tale
richiesta ammissibile e non manifestamente infondata.
L’ art. 436 afferma che il prosciolto riacquista la qualità di imputato con l'ordinanza che fissa
l'udienza preliminare quando il pm abbia richiesto il rinvio a giudizio, essendo state acquisite
nuove fonti di prova; se invece tali fonti debbano ancora essere acquisite, l'ordinanza di riapertura
delle indagini non ha tale effetto ed il prosciolto riassume la qualità di imputato solo quando il pm,
a seguito delle indagini, formuli l'imputazione. Deve essere aggiunto il caso di rescissione del
giudicato ex 629bis (contumacia incolpevole con sentenza passata in giudicato), in cui gli atti del
processo vengono restituiti al primo grado.
Si diviene persona sottoposta alle indagini a seguito di ricezione dalla polizia giudiziaria o dal pm
di una notizia qualificata di reato (denuncia, referto, querela, istanza, richiesta) contenente
un'incolpazione nei confronti del soggetto denunciato.
In caso di notizie non qualificate la persona può essere sottoposta alle indagini a
seguito di una valutazione di attendibilità delle notizie espressa dall'ufficiale o
agente o dal pm.
Quando la valutazione ha esito positivo scatta l'obbligo di riferire la notizia al pm, e a
questi di farla iscrivere immediatamente nel registro ex art. 335.
L'esecuzione dell'arresto in flagranza rientra nella valutazione, non rileva il fermo né
la richiesta di misure cautelari personali.
Alla persona sottoposta alle indagini preliminari sono estesi i diritti dell'imputato e
le garanzie, senza alcun limite.
L'art. 61 sancisce la regola per cui alla persona sottoposta alle indagini si estende
ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo espresse deroghe.
Una volta profilatesi indizi di reità a carico della persona non imputata o non sottoposta alle
indagini che rende dichiarazioni, l'autorità procedente ha tre obblighi:
o obbligo di interrompere l'esame e l'eventuale assunzione di informazion i, la durata della pausa
è proporzionata al tempo necessario della nomina del difensore, potrà seguirne l'interrogatorio
o l'assunzione di sommarie informazioni ex art. 350 dalla polizia giudiziaria;
o obbligo di avvertire la persona che potranno essere svolte indagini nei suoi confronti per
effetto della mutata veste processuale; non è previsto l'obbligo di avvertire l'indiziato che le
sue dichiarazioni potranno essere utilizzate nei suoi confronti, il soggetto quindi non è
avvisato degli effetti sfavorevoli che potrebbero scaturire da ulteriori dichiarazioni rese prima
dell'inizio dell'interrogatorio o dalle sommarie informazioni ex art. 350;
o obbligo di invitare la persona che ha rilasciato le dichiarazioni indizianti a nominare un
difensore; coloro ai quali è attribuito un fatto in base ad una comune notizia di reato sono
invece invitati a nominarlo solo nell'informazione di garanzia, che però viene inviata solo
a partire dal primo atto cui il difensore ha diritto di assistere (art. 369).
Il titolare delle indagini è libero di scegliere il momento in cui assumere l'atto, salvo si tratti di
persona sottoposta a custodia cautelare (e non di arresto in flagranza o a fermo indiziato di delitto):
in questo caso l'interrogatorio del giudice deve precedere quello del pm (art. 294).
Il titolare dell'indagine può anche non interrogare nel corso delle indagini preliminari: la richiesta
di archiviazione può essere formulata inaudita altera parte.
Ex art. 415-bis il pm che non intenda formulare richiesta di archiviazione è tenuto a notificare,
prima della scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, un avviso di conclusione
delle indagini indirizzandolo alla persona sottoposta alle indagini ed al difensore.
L'AVVISO deve contenere anche l'avvertimento che l'indagato ha la facoltà, entro 20 giorni,
di presentarsi per rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Se
il soggetto lo chiede il pm è tenuto a procedere all'interrogatorio.
Art. 416 se non viene dato avviso di tale possibilità la richiesta di rinvio a giudizio o il
decreto di citazione a giudizio del pm sono nulli.
Art. 453 il titolare dell'accusa che voglia innescare il giudizio immediato deve procedere
all'interrogatorio sui fatti dai quali emerge l'evidenza della prova, o deve disporlo ex art.
375 co 3, a meno che la persona sottoposta alle indagini non sia comparsa a causa di un
legittimo impedimento o sia risultata irreperibile.
Art. 294 in sede di UDIENZA DI CONVALIDA, l'interrogatorio dell'arrestato o del fermato che
non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire, e l'interrogatorio di chi sia sottoposto ad una
misura cautelare personale, hanno termini stretti: immediatamente e non oltre 5 giorni
dall'esecuzione in caso di custodia cautelare in carcere, non oltre 10 giorni dall'esecuzione o
dalla notificazione del provvedimento che dispone le altre misure cautelari, coercitive o
interdittive.
Il giudice può valutare nuovamente i presupposti per l'assoggettamento alla misura
cautelare sulla base degli elementi addotti dall'interrogato.
36
Se il pubblico ministero ne fa istanza di custodia cautelare, l'interrogatorio deve avvenire entro 48 ore.
Il giudice procede ad interrogatorio in rapporto alle MISURE CAUTELARI PERSONALI quando:
• il pm, nel corso delle indagini preliminari, gli ha richiesto di sospendere la persona sottoposta alle
indagini dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289);
• gli è richiesto di revocare o sostituire la misura applicata: è un atto facoltativo che diviene
obbligatorio se l'istanza è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati (art. 299
co 3-ter);
• quando il giudice proponga la custodia cautelare in carcere per esigenze probatorie (art. 301).
Il DIFENSORE ha il diritto di essere, anche in tempi brevi, avvisato del compimento dell'atto in
modo da potervi assistere; talvolta la sua presenza è condizione di validità in quanto la legge gli
impone di intervenire o perché l'interrogatorio è funzionalmente inserito nell'udienza di convalida o
nell'udienza preliminare. Quanto alla difesa personale ex art 64 65, l’interrogatorio deve garantire
una partecipazione libera e cosciente del soggetto. In quanto al luogo di svolgimento l’arrestato, il
fermato e l’imputato in stato di detenzione (esclusi arresti e detenzione domiciliari) devono essere
interrogati presso l’istituto penitenziario in cui si trovano. Inoltre il giudice, non parrebbe il pm,
sussistendo motivi eccezionali di necessità e urgenza può disporre il trasferimento davanti a sé dei
soggetti di cui sopra.
L’ art. 64 c.p.p. (Regole generali per l'interrogatorio) stabilisce che la persona assoggettata al
regime di custodia cautelare o detenuta per altra causa, intervenga libera nell'interrogatorio, salve le
cautele necessarie per prevenire il pericolo di fuga o di violenze, ponendo una regola di protezione
della personalità.
L'art. 22 disp. att. consente di non disporre l'accompagnamento o la traduzione,
sostituendoli con l'autorizzazione ad allontanarsi dal luogo di arresto o di detenzione per il
tempo strettamente necessario.
37
L'art. 64 comma 2 nel corso dell'interrogatorio non possono essere impiegati, ancorché con il
consenso della persona interrogata, metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di
autodeterminazione o ad alterare le capacità mnemoniche o valutative. È un divieto
indisponibile.
L'art. 64 comma 3 disciplina il diritto al silenzio della persona sottoposta ad interrogatorio.
Prima che inizi l'interrogatorio vero e proprio, l'organo procedente ha l'obbligo di avvertire la
persona interrogata che:
• le dichiarazioni che renderà potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
• a parte l'obbligo di fornire le proprie generalità, ha la facoltà di non rispondere ad alcuna
domanda, ma in ogni caso il procedimento proseguirà il suo corso. In caso di omissione, le
dichiarazioni eventualmente rese sono inutilizzabili, sia nei confronti dell'interrogato che
nei confronti di terzi.
• avvertimento che se renderà dichiarazioni sui fatti che concernono la responsabilità di altri
assumerà in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le incompatibilità a testimoniare ex
art. 197, nonché le garanzie circa la conduzione dell'esame testimoniale ed il regime di
utilizzabilità delle dichiarazioni contro chi le ha rese, ex art. 197-bis.
A seguito della direttiva europea ex art 293 c1 si prescrive agli ufficiali e agli agenti di polizia
giudiziaria al momento in cui seguono l’ordinanza applicativa della custodia cautelare di
consegnare all’imputato comunicazione scritta, chiara e precisa (e tradotta), del diritto di
avvalersi della facoltà di non rispondere. Il giudice poi in sede di interrogatorio deve verificare
che all’imputato sia stata data la comunicazione. Inoltre ex art 386 c1 la stessa comunicazione
deve pervenire dagli stessi soggetti all’arrestato o al fermato salvo a farlo nell’immediatezza
oralmente. Nell’udienza di convalida il giudice deve verificarlo e nel caso completare la
comunicazione. La ratio, dato lo stress del soggetto, è quella di evitare a spingerlo a rendere
dichiarazioni avventate dato che possono essere utilizzate sia a fini contestativi che probatoria.
Dall'esercizio del diritto di non rispondere, cioè di non collaborare, l'organo procedente non
può ricavare alcuna conseguenza, in quanto insindacabile espressione del diritto di difesa
personale.
Una volta che il soggetto abbia dichiarato di voler rispondere entrano in gioco le prescrizioni
dettate per l’interrogatorio nel merito dell’articolo 65 per l’interrogatorio nel merito, per cui
l’autorità giudiziaria:
deve contestare alla persona sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è
attribuito,
deve renderle noti gli elementi di prova a suo carico e comunicargli le fonti;
in seguito, invita la persona ad esporre quanto ritiene utile per discolparsi (qui emerge
chiaramente la funzione dell’interrogatorio quale strumento di difesa) e le pone direttamente le
domande. Nel corso dell’interrogatorio deve essere redatto apposito verbale sottoscritto
dall’indagato, dal difensore e dall’autorità procedente.
Ricordiamo che l’interrogatorio può anche essere espletato nel corso dell’udienza preliminare
e, quindi, successivamente all’esercizio dell’azione penale, quando l’imputato ne faccia
richiesta.
38
Nell'interrogatorio le domande sono poste in via diretta dal solo organo procedente, a meno che in
sede di integrazione del quadro probatorio il giudice disponga, su richiesta di parte, che
l'interrogatorio sia reso nelle forme previste agli art. 498 e 499.
Art. 66 prevede che nel primo atto del procedimento in cui è presente l'imputato l'autorità
giudiziaria lo invita a dichiarare le proprie generalità e quanto può valere ad identificarlo,
ammonendolo sulle conseguenze cui si espone chi rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false.
Gli stessi inviti ed ammonizioni sono indirizzati dalla polizia giudiziaria alla persona sottoposta
alle indagini.
L'art. 21 disp. att. statuisce che l'autorità giudiziaria debba richiedere all'imputato o alla persona
sottoposta alle indagini, nel primo atto cui sono presenti, una serie di informazioni relative
all'identità personale, alla vita di relazione, alla posizione patrimoniale, agli eventuali ruoli
pubblici ricoperti e ai precedenti penali.
L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità è irrilevante in quanto non
pregiudica il compimento di alcun atto da parte della polizia giudiziaria o dell'autorità
giudiziaria, purché sia certa l'identità fisica della persona.
Il giudice non ha il potere di disporre il ricovero dell'imputato in un'idonea struttura del servizio
psichiatrico ospedaliero.
Secondo l’ art. 73 vi provvede l'autorità competente (il sindaco) per l'adozione delle misure previste
dalla normativa sul trattamento sanitario delle malattie mentali, sulla scorta di un'informativa del
giudice comunicata col mezzo più rapido; solo se c'è pericolo nel ritardo, il giudice può ordinare,
anche d'ufficio, il ricovero provvisorio.
Se è già stata disposta o debba disporsi la custodia cautelare, il ricovero provvisorio in un'idonea
struttura del servizio psichiatrico ospedaliero è ordinato dal giudice adottando i provvedimenti
necessari per prevenire il pericolo di fuga ex art. 286.
Il ricovero diventa una misura alternativa alla custodia in carcere.
PARTE CIVILE
43
può partecipare solo se è contemporaneamente l'offeso dal reato.
La costituzione deve avvenire, a pena di decadenza, entro il completamento degli
accertamenti relativi alla costituzione delle parti ex art. 484 da parte del giudice
dibattimentale di primo grado.
È preclusa la costituzione della parte civile una volta iniziata la trattazione
delle questioni preliminari regolate dall'art. 491.
Se la mancata costituzione è addebitabile al caso fortuito o alla forza maggiore non è
possibile invocare la restituzione del termine (essendo riservato a chi possiede la qualità di
parte); se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine perentorio ex art. 468, la
parte civile non può più avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o
consulenti tecnici.
In base all'art. 80 la parte civile può essere esclusa a seguito di una richiesta motivata del pubblico
ministero, dell'imputato e del responsabile civile.
Il giudice procedente è tenuto a pronunciarsi senza ritardo con ordinanza inoppugnabile, ma la
valutazione del giudice non può andare oltre ad un accertamento diretto a verificare la mancanza
del fumus boni iuris.
L'eventuale esclusione della parte civile disposta in sede di udienza preliminare non è di ostacolo
rispetto alla sua successiva costituzione entro il termine dell'art. 79.
□ Se la parte civile si è costituita per l'udienza preliminare, la richiesta di esclusione va effettuata,
in forma scritta fuori dall'udienza o oralmente in sede di udienza preliminare o dibattimentale,
prima che siano terminati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.
Si ritiene che l'eventuale rigetto della richiesta di esclusione in sede di udienza
preliminare non ne precluda la riproposizione tempestiva in dibattimento.
□ Se la parte civile si è costituita nella fase degli atti preliminari al dibattimento o nel corso degli atti
introduttivi, la richiesta di esclusione deve essere avanzata in sede di trattazione delle questioni
preliminari ex art. 491, la proposizione è preclusa se la questione non viene proposta subito dopo
che è compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti.
Art. 81 c.p.p. → l'esclusione può essere disposta ex officio dal giudice che accerti l'inesistenza dei
requisiti stabiliti per la costituzione di parte civile entro l'apertura del dibattimento di primo grado,
indipendentemente dalla circostanza che sia stata precedentemente rigettata, in sede di udienza
preliminare, una richiesta di esclusione avanzata ex art. 80.
Le ordinanze con cui la parte civile viene ammessa o esclusa dal processo penale sono di carattere
meramente processuale.
L'ammissione della parte civile non pregiudica la successiva decisione sul suo diritto alla
restituzione e al risarcimento del danno e, reciprocamente, la sua esclusione è priva di riflessi
sull'esercizio dell'azione civile in sede propria.
44
È possibile anche un recesso spontaneo del danneggiato che, espressamente o tacitamente, revoca
la costituzione di parte civile.
Art. 82 c.p.p.→ la revoca espressa può aver luogo in ogni stato e grado del procedimento e può
riguardare anche solo uno degli imputati, richiede un'apposita dichiarazione resa personalmente o
per mezzo di un procuratore speciale.
Tale dichiarazione può avere forma orale, se fatta in udienza, o essere contenuta in un atto
scritto, che va depositato nella cancelleria del giudice procedente e notificato alle altre parti.
La revoca tacita è tassativamente prevista dall'art. 82 comma 2 che menziona la mancata
presentazione, in sede di discussione dibattimentale, delle conclusioni riservate dall'art. 523
al difensore della parte civile e il promovimento dell'azione di danno davanti al giudice
civile.
La revoca della costituzione di parte civile non preclude il successivo esercizio
dell'azione aquiliana in sede civile (art. 82 comma 4).
Salve le eccezioni previste dalla legge, il giudizio civile resta sospeso finché, in sede
penale, non venga pronunciata la sentenza non più soggetta ad impugnazione.
Il cambiamento di sede processuale comporta l'estinzione del giudizio civile per rinuncia agli atti
e la conseguente devoluzione al giudice penale della decisione sulle spese del processo civile
interrotto.
□ L'art. 75 comma 2 dispone che l'azione di danno, esercitata nella sede naturale, procede in
assoluta autonomia rispetto al parallelo processo penale.
Tale articolo deve essere coordinato con gli art. 651 e 652: nel caso in cui il processo penale
si concluda con una sentenza irrevocabile di condanna, il danneggiato può sfruttare nel
giudizio civile l'efficacia di giudicato riconosciutagli dall'art. 651, mentre in base all'art. 652
è esclusa l'efficacia di giudicato di una sentenza assolutoria.
45
□ L'art. 75 comma 3 dispone che il processo civile rimanga sospeso in attesa di giudicato penale
quando l'azione sia stata proposta in sede civile dopo la sentenza penale di primo grado o dopo la
precedente costituzione di parte civile nel processo penale.
Sono salve le eccezioni previste dalla legge, quindi il processo civile prosegue senza interruzioni
il suo corso quando:
• il processo penale è stato sospeso per incapacità dell'imputato (art. 71 comma 6);
• vi è stata esclusione della parte civile (art. 88 comma3);
la parte civile ha abbandonato il processo penale in seguito alla sua mancata accettazione del
rito abbreviato (art. 441 comma 4);
• non risulta possibile notificare all’imputato assente l’avviso dell’udienza preliminare (420 quater c2)
• l'esodo della parte civile consegue alla pronuncia di una sentenza che applica la pena su richiesta
delle parti;
• il danneggiato, costituitosi parte civile, esercita l'azione civile in sede propria, dopo che il giudice
penale ha dichiarato estinto il reato per intervenuta oblazione.
IL RESPONSABILE CIVILE
Il soggetto danneggiato dal reato può agire, per le restituzioni e il risarcimento del danno, anche nei
confronti della persona fisica o dell'ente plurisoggettivo, che, ex art. 185, è tenuto, a norma delle
leggi civili, a rispondere per il fatto dell'imputato.
Questo soggetto è obbligato in solido con il protagonista del processo penale.
Es. art. 1784 c.c. responsabilità dell'albergatore per le cose consegnategli dai clienti; art.
2047 c.c. responsabilità della persona tenuta alla sorveglianza per il danno causato
dall'incapace; art. 2048 c.c. responsabilità dei genitori e dei tutori per i danni causati dal
fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette a tutela; art. 2049 c.c.
responsabilità dei padroni o committenti per i danni arrecato dal fatto illecito dei domestici
e commessi; art. 2053 c.c. responsabilità del proprietario di un edificio per i danni provocati
dalla sua rovina; art. 2054 co 3 c.c. responsabilità del proprietario dei veicoli per i danni
provocati dal conducente.
Fuori dal codice civile vi sono la responsabilità dell'armatore della nave e
dell'esercente l'aeromobile per i danni causati dall'equipaggio; responsabilità
dell'editore e del proprietario della pubblicazione per i reati commessi con il mezzo
stampa.
Non è ipotizzabile un intervento del responsabile civile prima della costituzione della parte
civile (art. 83 comma 6), né in caso di esclusione o recesso(85 c4).
Legittimati a chiedere la citazione sono solo la parte civile ed il pubblico ministero, limitatamente
al caso in cui, sul presupposto di una assoluta urgenza, abbia esercitato l'azione civile a favore
dell'infermo di mente o del minore (art. 77 comma 4).
Il ruolo di imputato è incompatibile con quello di responsabile civile (l'imputato se condannato è
comunque civilmente responsabile in solido con i coimputati). È tuttavia consentito chiedere la
citazione di un imputato come responsabile civile per il fatto dei coimputati.
L'art. 83 comma 2 stabilisce che la citazione del responsabile civile sia proposta al più
tardi per il dibattimento.
Il giudice, verificato il fumus boni iuris della richiesta, ordina la citazione con un DECRETO indicante:
• le generalità della parte civile,
46
• l'indicazione delle domande avanzate nei confronti del responsabile civile,
• l'invito a costituirsi,
• la data e la sottoscrizione del giudice e dell'ausiliario.
Nel codice non è indicata la fissazione della data e del luogo dell'udienza, ma si presumono necessari.
Copia del decreto è notificata a cura della parte civile (o del pm) alle parti che potrebbero avere
interesse all'estromissione del responsabile civile (imputato e pm).
Art. 83 comma 5 dispone che la citazione è nulla quando, per omissione o per erronea indicazione
di qualche elemento essenziale, il responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi
diritti nell'udienza preliminare o nel giudizio, ovvero qualora risulti nulla la relativa notificazione.
Art. 84 il responsabile civile regolarmente citato non è comunque tenuto ad intervenire nel
processo, ma può scegliere di rinunciare, non impedendo al giudice di attribuirgli in
sentenza la responsabilità per il fatto dell’imputato.
Può anche decidere di costituirsi assumendo la qualità di parte.
Il responsabile civile sta in giudizio col ministero di un difensore, può costituirsi in ogni stato e
grado del processo, anche per mezzo di procuratore speciale, depositando nella cancelleria del
giudice procedente o presentando in udienza una dichiarazione che contenga, a pena di
inammissibilità, gli elementi ex art. 84 comma 2:
• generalità del responsabile civile che si costituisce e del suo legale rappresentante;
• nome e cognome del difensore ed indicazione della procura;
• sottoscrizione del difensore.
Art. 23 disp. att. se la citazione è regolare, l'assenza del responsabile civile non causa la
sospensione o il rinvio del dibattimento; né una nuova fissazione dell'udienza preliminare,
tuttavia gli deve essere notificato l'estratto della sentenza unitamente all'avviso di deposito.
Art. 85 anche se non citato, il responsabile civile può intervenire volontariamente nel processo
penale se c'è stata costituzione della parte civile o il pubblico ministero abbia agito come supplente
ex art. 77 comma 4.
Se non è stato citato non può esser pronunciata condanna nei suoi confronti e non
subisce l'efficacia extra penale di un eventuale giudicato di condanna.
L'art. 85 comma 3 impone, in caso di dichiarazione presentata fuori udienza, la notificazione
47
alle altre parti, a cura del responsabile civile, stabilendo che abbia effetto dal giorno della
rispettiva notificazione.
L'intervento volontario del responsabile civile deve essere espletato a pena di decadenza
entro l'effettuazione degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.
L'art. 85 comma 2 esclude la facoltà di presentare la lista dei testimoni, periti e
consulenti tecnici quando l'intervento volontario sia avvenuto oltre il limite
temporale dell'art. 468.
Sia la citazione che l'intervento del responsabile civile perdono efficacia in caso di revoca
della costituzione di parte civile o in caso di sua esclusione.
L'intervento del responsabile civile è anche ESCLUSO su richiesta di parte o d'ufficio.
Sono legittimate a proporre l'esclusione l'imputato, la parte civile e il pubblico ministero (art. 86).
Il responsabile civile, a seguito di citazione, può chiedere la propria esclusione per ragioni
attinenti la legittimazione o qualora gli elementi di prova raccolti prima della citazione possano
recare pregiudizio alla sua difesa, in relazione a quanto previsto dagli art. 651 e 654.
La richiesta motivata di esclusione, presentata a pena di decadenza non oltre il momento
degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell'udienza o nel dibattimento, è
decisa dal giudice con ordinanza, senza ritardo.
Fino a quando non sia dichiarato aperto il dibattimento di primo grado, al giudice è riservata
l'esclusione d'ufficio del responsabile civile.
In base all'art. 87 l'esclusione sarà disposta, con ordinanza inoppugnabile, sia quando venga
accertata la mancanza dei requisiti per la citazione o per l'intervento del responsabile civile, sia
quando venga accolta dal giudice la richiesta di giudizio abbreviato.
Se l'esclusione del responsabile civile è stata deliberata su richiesta della parte civile, il
danneggiato dal reato perde la possibilità di esercitare l'azione riparatoria ex delicto in
sede civile.
Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e l’ente responsabile per l’illecito amministrativo
dipendente da reato.
Nei casi previsti agli art. 196 e 197 c.p. una persona può essere assoggettata, in via sussidiaria ed
eventuale, ad un'obbligazione civile pecuniaria pari all'importo della multa o dell'ammenda
inflitta al condannato. → Non è prevista la possibilità di un intervento volontario.
Art. 101 la persona offesa è autorizzata (non obbligata) a nominare un difensore, che deve ritenersi
legittimato a svolgere anche investigazioni difensive.
Diritto della persona offesa ad essere informata su una pluralità di profili della vicenda processuale che la
riguarda.
Parallelo con art.369-bis che prevede comunicazione a vantaggio dell’indagato di una serie di info sul
diritto di difesa.
Per informare la persona offesa che l’imputato / condannato / internato non è più in vinculis.
3 condizioni:
1. Processo riguarda delitto commesso con violenza alla persona
50
2. Che la persona offesa abbia fatto richiesta di essere informata
3. Che non vi sia pericolo concreto x autore del reato
Info elencate da art.90-bis + segnalazione art.90-ter = SE OMESSE non implicano nullità ma semplice
irregolarità.
L'informazione di garanzia si invia però solo alla persona offesa, e non all'ente collettivo.
Al solo ente collettivo spetta la facoltà di assumere le iniziative ex art. 505 e richiedere la
lettura integrale degli atti nel fascicolo per il dibattimento.
È sempre necessario il costante consenso della persona offesa, da prestare con atto pubblico o
scrittura privata autenticata, ed è ammessa la revoca in qualsiasi momento dell'iter processuale.
Dopo l'eventuale revoca è assolutamente escluso che la persona offesa possa essere fiancheggiata
da un ente ex art. 91. Il consenso è unico, se sono più non sono efficaci.
Art. 93 è indispensabile che il difensore dell'ente collettivo, munito di procura speciale, presenti
all'autorità procedente un atto di intervento, da notificare alle parti quando la presentazione non
avvenga in udienza, che deve contenere, a pena di inammissibilità:
- individuazione dell'ente, la sede, la finalità di tutela, le generalità del legale rappresentante;
- indicazione del procedimento;
- nome e cognome del difensore e indicazione della procura;
- esposizione sommaria delle ragioni che giustificano l'intervento;
- sottoscrizione del difensore.
È necessario che venga presentata la dichiarazione di consenso della persona offesa e la procura al
difensore qualora questa sia stata conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata.
L'intervento produce i suoi effetti in ogni stato e grado del procedimento, salvo il caso di
successiva estromissione dell'ente collettivo.
Art. 94 c.p.p. l'intervento non può avvenire dopo la conclusione della fase del dibattimento dedicata
alla verifica della regolare costituzione delle parti, ma l'intervento dell'ente collettivo si può
collocare nella fase delle indagini preliminari.
51
L'ente collettivo può essere estromesso dal giudice con ordinanza in seguito ad un'opposizione di
parte o ex officio, quando si riscontri un motivo di inammissibilità o un vizio attinente alla
capacità processuale del soggetto intervenuto.
Art. 95 c.p.p. L'opponente, entro 3 giorni dalla data di notificazione, deve a sua volta far
notificare la dichiarazione scritta di opposizione al rappresentante legale dell'ente collettivo, in
modo da consentirgli di presentare, entro 5 giorni dalla notifica, le sue controdeduzioni.
Se l'intervento è avvenuto prima dell'esercizio dell'azione penale, la decisione è di
competenza del giudice per le indagini preliminari, mentre è competente il giudice
dell'udienza preliminare rispetto agli interventi verificatisi in udienza preliminare e il
giudice del dibattimento per gli interventi in dibattimento, fermo restando, per la
dichiarazione di opposizione, l'osservanza dei termini a pena di decadenza: in udienza
preliminare bisogna proporla prima che sia aperta la discussione; con l'udienza
dibattimentale subito dopo l'accertamento della costituzione delle parti.
Il giudice dispone l'estromissione ex officio quando accerta, in ogni stato e grado del processo, la
mancanza dei requisiti richiesti dalla legge per l'intervento dell'ente collettivo. Nel corso delle
indagini preliminari l'estromissione dell'ente collettivo deve necessariamente essere collegata ad
un'opposizione di parte.
IL QUERELANTE
Par. 33 – Il querelante
Per alcuni reati, espressamente previsti dal legislatore, è previsto che l'esercizio dell'azione penale
da parte del pubblico ministero sia subordinato ad un'esplicita volontà della persona offesa o dai
soggetti agli art. 120 e 121 c.p., tenuti ad esprimerla nella forma della querela.
In questi casi la querela è una condizione di procedibilità.
La querela di regola deve essere presentata entro 3 mesi (6 in caso di delitti di violenza sessuale e
di atti sessuali con minori) dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato (art. 124 c.p.);
tuttavia se è necessaria la nomina di un curatore speciale, tenuto a valutare l'opportunità di
presentare querela, il termine decorre dal giorno in cui gli è notificato il decreto di nomina.
Il legittimato a sporgere querela non deve avervi rinunciato, né espressamente né
tacitamente.
La rinuncia opera nei confronti di tutti gli autori del reato.
Il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da
una sola delle persone offese (art. 122 c.p.) e nel caso di concorso di persone nel reato, la querela
contro una di esse si estende di diritto agli altri concorrenti (art. 123 c.p.) -> indivisibilità della
querela (attiva e passiva).
Il diritto di querela si estingue in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia
ancora esercitato, mentre se l'aveva esercitato la morte è irrilevante ai fini dell'estinzione del
reato.
In caso di REMISSIONE DELLA QUERELA si ha estinzione del reato, sempre che il querelato
non l'abbia espressamente o tacitamente ricusata (art. 155), e fermo restando che, se la querela è
proposta da più persone, affinché si produca l'effetto estintivo è necessaria la rimessione di tutti i
querelanti; se tra più persone offese dal reato solo una ha proposto querela, la sua remissione non
pregiudica il diritto di querela degli altri soggetti legittimati, è una revoca da effettuare prima che
sia divenuta irrevocabile la sentenza di condanna.
La rimessione può essere espressa (solo se extraprocessuale) o tacita (fatti incompatibili con
la volontà di persistere con la querela); non può essere sottoposta a termini o a condizioni,
pur essendo consentita al remittente la contestuale rinuncia al diritto alle restituzioni o al
risarcimento del danno e, in caso di concorso di persone nel reato, si estende a tutti i
52
concorrenti fatta eccezione per chi l’abbia ricusato.
Nei reati per i quali è prevista la citazione diretta davanti al tribunale in composizione
monocratica la remissione può conseguire al tentativo di conciliazione tra il querelato e la persona
offesa esperito con successo dal giudice in sede di udienza di comparizione.
Dal 2017 è possibile ricollegare l’estinzione del reato alla messa in atto di condotte riparatorie,
circoscritta ai casi di procedibilità su querela e della quale sia ammessa la remissione.
IL DIFENSORE
Il difensore d’ufficio
Art. 111 Cost.: il contraddittorio tra le parti deve svolgersi in condizioni di parità; la persona
accusata deve disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa.
Art. 97 c.p.p. se l'imputato non nomina un difensore di fiducia o ne resti privo deve essere assistito
da un difensore d'ufficio.
Il difensore d'ufficio è sussidiario al difensore di fiducia: cessa le sue funzioni non appena
l'imputato proceda alla nomina. Il difensore d'ufficio, a differenza di quello di fiducia, ha l'obbligo
di prestare il patrocinio salvo che in presenza di giustificato motivo.
L'art. 29 disp. att. stabilisce i requisiti necessari per poter essere iscritti nell'elenco alfabetico
dei difensori d'ufficio, predisposto da ogni consiglio dell'ordine forense , tenuto ad
aggiornarlo almeno ogni 3 mesi:
Nel caso in cui si debba compiere un atto per il quale è richiesta la presenza del difensore e
questo non sia stato reperito o non sia comparso o abbia abbandonato la difesa, l'iniziativa è
assunta dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, che procedono con l'attivazione
della procedura informatizzata.
Nei casi di urgenza è consentita la designazione di un difensore, discrezionalmente
individuato dall'organo procedente, che sia immediatamente reperibile, fermo restando
l'obbligo della preventiva adozione di un provvedimento motivato che indichi le ragioni
dell'urgenza. Tale provvedimento non è impugnabile, ma se manca o è insufficiente la
motivazione l'atto compiuto senza l'assistenza del difensore nominato secondo legge è nullo.
Se il difensore, ritualmente nominato, non è reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa,
al giudice è consentito nominare come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile.
Se la necessità di nominare il sostituto si verifica nel corso del giudizio, la reperibilità è
secondaria: può esser nominato sostituto solo un difensore che risulti iscritto nell'elenco dei
difensori d'ufficio del competente consiglio dell'ordine.
Ex art. 369-bis, la persona sottoposta alle indagini è tempestivamente informata del fatto che non
54
le è consentito fare a meno del difensore e dell'OBBLIGO DI RETRIBUZIONE del difensore
d'ufficio qualora non sussistano le condizioni per essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato.
L'art. 116 d.p.r. 115/2002 statuisce che il difensore d'ufficio si deve far carico della
procedura esecutiva per il recupero del credito professionale nei confronti dell'assistito
inadempiente, fermo restando che in questo usufruisce dell'esenzione da bolli, imposte e
spese; qualora sia in grado di dimostrare che la procedura esecutiva sia risultata infruttuosa,
il difensore viene retribuito dallo Stato nella misura e secondo le modalità del d.p.r.; a meno
che l'assistito non chieda ed ottenga l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, questo
surroga il difensore nel suo credito verso il soggetto assistito.
L'art. 117 d.p.r. prevede che nel caso in cui l'assistenza sia prestata a favore di un soggetto
irreperibile, il difensore venga retribuito senza che sia necessaria una sua preventiva
attivazione per il recupero del credito professionale.
Art. 24 comma 3 Cost. “lo stato assicura ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti
ad ogni Giurisdizione”.
La disciplina generale del patrocinio dei non abbienti è contenuta nel t.u. delle
disposizioni legislative e regolamentari sulle spese di giustizia d.p.r. 115/2002.
Il soggetto ammesso al patrocinio dello stato sceglie il proprio difensore tra i liberi professionisti,
ed il compenso viene poi liquidato dall'autorità giudiziaria ed è a carico dello Stato.
L'art. 81 d.p.r. 115/2002 contempla l'istituzione presso ogni consiglio dell'ordine di un elenco di
avvocati idonei ad essere nominati difensori di colui che è ammesso al patrocinio a spese dello
Stato. Sull'inserimento nell'elenco, rinnovato entro il 31 gennaio di ogni anno, delibera il
consiglio dell'ordine, che valuta alcuni requisiti, tra cui:
• necessaria un'esperienza professionale specifica, dovendo distinguersi tra processi civili, penali,
amministrativi, contabili, tributari ed affari di volontaria giurisdizione;
• sufficiente l'iscrizione all'albo degli avvocati da almeno 2 anni.
È possibile anche nominare un difensore di un altro distretto, ed in questo caso non sono dovute le
spese e le indennità di trasferta previste dalla tariffa professionale.
L'elenco con i nominativi degli avvocati al patrocinio a spese dello Stato è messo a
disposizione degli utenti presso tutti gli uffici giudiziari situati nel territorio della provincia.
La soglia di reddito annuale, imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito delle
persone fisiche, che consente di usufruire del patrocinio a spese dello Stato è di € 11. 493,82.
La persona offesa dai reati di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne e violenza
sessuale di gruppo può usufruire del patrocinio statale anche se il suo reddito è superiore
alla soglia fissata dal legislatore.
In base all'art. 96 d.p.r. 115/2002 l'istanza di ammissione al patrocinio è respinta quando il tenore di
vita, le condizioni personali e familiari del richiedente, le attività economiche che svolge, offrano al
giudice fondati motivi per ritenere, anche in base alle verifiche della guardia di finanza, che il
reddito superi il tetto stabilito dalla legge.
Nei casi in cui si proceda per i reati all'art. 51 comma 3-bis (associazione di tipo mafioso; sequestro
di persona a scopo estorsivo; delitti commessi avvalendosi di associazioni di tipo mafioso o al fine
di agevolare l'attività delle associazioni di stampo mafioso; delitto di associazione finalizzata al
traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope; delitto di associazione per delinquere finalizzata al
contrabbando di tabacchi lavorati esteri; delitto di attività organizzate per il traffico illecito di
55
rifiuti) ovvero nei confronti di persona sottoposta a misura di prevenzione, il giudice non ha
discrezionalità e deve chiedere preventivamente al questore, alla direzione investigativa antimafia e
alla direzione nazionale antimafia le informazioni necessarie e utili ai fini della decisione
sull'ammissibilità al beneficio.
L'art. 76 d.p.r. (comma 4bis aggiunto nel 2008) ha stabilito che nel caso il soggetto già condannato
con sentenza definitiva per certi delitti, il livello di reddito richiesto ai fini dell'ammissione al
patrocinio si ritiene superato: associazione a delinquere di stampo mafioso (e delitti collegati),
associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o al contrabbando di
tabacchi lavorati esteri. → È una preclusione assoluta, non importa neanche a quando risale nel
tempo tale condanna.
Rientra nel patrocinio gratuito a spese dello stato anche l'assistenza relativa alle procedure che si
svolgono davanti agli organi giurisdizionali internazionali, davanti alla Corte europea dei diritti
dell'uomo.
L'art. 101 d.p.r. 115/2002 stabilisce che il difensore del soggetto ammesso al patrocinio può
nominare sia un sostituto sia un investigatore privato autorizzato.
L'art. 102 d.p.r. stabilisce che il soggetto ammesso al patrocinio possa nominare un consulente
tecnico di parte. Tale scelta è consentita anche al di fuori dell'ambito distrettuale, ed in questo caso
non sono dovute le spese di trasferta.
Art. 106 d.p.r. esclude dalla liquidazione le spese per le consulenze tecniche che, all'atto del
conferimento, apparivano irrilevanti o superflue ai fini della prova.
L'ammissione al patrocinio non è più ostacolata dalla natura contravvenzionale del reato per cui si
procede. Nelle ipotesi in cui l'imputato o il condannato partecipino al procedimento penale a
distanza, è ammessa la nomina di un secondo difensore limitatamente agli atti che si compiono a
distanza. In tutti gli altri casi la nomina di un secondo difensore implica che gli effetti
dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato cessino.
Art. 99 c.p.p. al difensore spettano le facoltà e i diritti spettanti all'imputato stesso , a meno che non
siano riservati personalmente all'imputato. È salva la possibilità per l'imputato di togliere effetto,
con espressa dichiarazione contraria, all'atto compiuto dal difensore, purché prima della pronuncia
del giudice sull'atto controverso.
Il difensore delle parti eventuali, della persona offesa e degli enti rappresentativi.
Art. 100 c.p.p. la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena
pecuniaria stanno in giudizio col ministero di un solo difensore munito di procura speciale, cioè
relativa al processo in corso, che si presume conferita per un determinato grado di giudizio a meno
che nell'atto sia espressa diversa volontà.
La procura può essere ammessa in calce o a margine degli atti con i quali avviene
l'ingresso della parte nel processo penale, l'autografia della sottoscrizione è certificata dal
difensore. Può essere conferita anche con atto pubblico o scrittura privata autenticata
(anche dal difensore).
Il difensore può compiere e ricevere tutti gli atti del procedimento tranne quelli che la legge riserva
espressamente al rappresentato, il cui domicilio si intende automaticamente eletto ad ogni effetto
presso il difensore.
56
In assenza di una procura ad hoc, il difensore non può compiere atti implicanti disposizione
del diritto in contesa.
Questa disciplina opera anche nei confronti degli enti rappresentativi degli interessi lesi
dal reato, obbligati a stare in giudizio col ministero di un difensore.
Per la persona offesa dal reato la nomina di un solo difensore è invece facoltativa.
Al difensore spetta l'esercizio dei diritti e delle facoltà riconosciute alla persona offesa, e il potere
di presentare memorie e richieste in ogni stato e grado (art. 121 e 367).
L'autorità giudiziaria deve comunicare, a pena di nullità, al locale consiglio dell'ordine l'avviso
delle ispezioni e delle perquisizioni, in modo da consentire al presidente o ad un suo delegato di
presenziare alle operazioni; su richiesta dell'intervenuto deve essergli consegnata copia del
provvedimento.
Il giudice, durante le indagini preliminari, o il pubblico ministero, devono agire in prima
persona, senza possibilità di delegare l'atto alla polizia giudiziaria.
Le garanzie dell'art. 103 si estendono agli assistenti sociali iscritti all'albo professionale e, in
quanto applicabili, ai dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze e a coloro che
operano presso gli enti, centri e associazioni o gruppi che hanno stipulato convenzioni con le unità
sanitarie locali.
Il colloquio del difensore con l’imputato privato della libertà personale.
L'art. 104 prevede che il soggetto sottoposto a custodia cautelare o la persona in stato di fermo o di
arresto, ha il diritto di conferire con il difensore subito dopo che è stato privato della libertà
personale. Di conseguenza il difensore, di fiducia o d'ufficio, deve essere immediatamente avvisato
dell'avvenuta esecuzione della misura restrittiva, e gli è attribuito il diritto di accedere ai luoghi in
cui la persona è fermata, arrestata o sottoposta a custodia cautelare si trova detenuta.
In presenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela, è consentito dilazionare il
colloquio con il difensore per un tempo non superiore a 5 giorni. A seguito della riforma
del 2017 (orlando) tale eccezione opera solo nella fase delle indagini preliminari e per
quei delitti elencati dall’art 51 comma 3bis e 3quater (in contrasto con la direttiva UE che
ammette il ritardo solo per lontananza geografica)
Nel caso in cui la privazione della libertà sia l'effetto di un'ordinanza cautelare, la
decisione sull'eventuale differimento del colloquio spetta al giudice per le indagini
preliminari che deve provvedere con decreto motivato, inoppugnabile, su richiesta del
pubblico ministero; nel caso in cui la privazione della libertà consegua ad una misura pre-
cautelare (es. arresto in flagranza) provvede direttamente il pubblico ministero che può
dilazionare il colloquio fino al momento in cui l'arrestato o il fermato è posto a
disposizione del giudice.
Dopo tale periodo (che può estendersi massimo 48 ore) non vi sono ostacoli per l'esercizio
del diritto al colloquio, salvo che intervenga una proroga (massimo 5 giorni, tenendo conto
della durata del divieto imposto al pm) da parte del giudice per le indagini preliminari. In
caso di difetto o insufficienza di motivazione si ha nullità (intermedia) suscettibile di
estendersi agli atti successivi.
58
L’abbandono della difesa e il rifiuto della difesa d’ufficio.
L'art. 105 c.p.p. disciplina l'ABBANDONO DELLA DIFESA, sia d'ufficio che di fiducia, e il
rifiuto all'incarico difensivo da parte del difensore d'ufficio. Il procedimento disciplinare è di
competenza esclusiva del consiglio dell'ordine forense ed è escluso che il procedimento penale in
cui è avvenuto l'abbandono o il rifiuto possa essere pregiudiziale rispetto al procedimento
disciplinare.
□ Nel caso di abbandono o rifiuto motivati dalla violazione dei diritti di difesa, il consiglio
dell'ordine, quando ritenga giustificato il comportamento del difensore, non applica la sanzione
disciplinare neanche in presenza di una sentenza irrevocabile che escluda la violazione.
L'autorità giudiziaria si limita svolgere ruoli di informativa, è tenuta a comunicare al
consiglio professionale i casi di abbandono e di rifiuto della difesa d'ufficio, i
comportamenti integranti violazione da parte dei difensori dei doveri di lealtà e probità, sia
la violazione del divieto di assumere la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni
accusatorie nei confronti di altro imputato.
□ Nel caso di abbandono della difesa da parte del difensore di fiducia dell'imputato si determina una
stasi processuale fino a quando non si nomina un nuovo difensore di fiducia ovvero alla nomina di
un difensore d'ufficio. Si ha nomina d'ufficio anche tutte le volte in cui si abbia rifiuto della difesa
d'ufficio.
□ In caso di abbandono della difesa delle altre parti private, della persona offesa e degli enti o
associazioni all'art. 91, non viene ostacolata l'immediata prosecuzione del procedimento, ma tali
soggetti, se non provvedono ad una nuova nomina, perdono la possibilità di essere attivi nel
processo.
□L'art. 106 comma 4-bis preclude la difesa da parte dello stesso difensore di più imputati che, pur
trovandosi in posizioni processuali dalle quali non scaturisce un conflitto d'interessi, abbiano reso
dichiarazioni accusatorie nei confronti di un altro soggetto, imputato nello stesso procedimento
o in un procedimento connesso o collegato.
Una sentenza delle Sezioni unite della cassazione ha statuito che l'inosservanza di tale norma non è
causa di nullità né di inutilizzabilità delle dichiarazioni, ma è necessaria una verifica particolare
sulla loro attendibilità.
L'art. 107 c.p.p. si riferisce al DIFENSORE DI FIDUCIA: nella revoca il soggetto agente è
l'assistito, la non accettazione e la rinuncia sono iniziative del difensore, che non necessitano di
motivazione.
59
Il difensore che non accetti l'incarico o vi rinunci ha l'obbligo di darne subito
comunicazione all'autorità procedente e a chi la ha nominato.
La non accettazione ha effetto dal momento in cui perviene la relativa comunicazione
all'autorità procedente, con l'eventualità di possibili vuoti di copertura difensiva.
La rinuncia e la revoca sono invece prive di effetto fino a quando la parte non risulti
assistita da un nuovo difensore. Il nuovo difensore può richiedere un termine a difesa, in
questo caso diventano efficaci solo a partire dalla sua scadenza.
Art. 108 c.p.p.il difensore ha diritto ad un termine che, di regola, non può essere inferiore a 7 giorni.
Il termine può essere inferiore, fermo restando il limite invalicabile di 24 ore, solo se:
a) c'è il consenso dell'imputato o del suo difensore;
b) vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione
dell'imputato;
c) ricorrono specifiche esigenze processuali che possono determinare la prescrizione del reato.
GLI AUSILIARI
□ Il CANCELLIERE assiste a tutti gli atti posti in essere dal giudice, salvo la legge preveda
altrimenti (art. 126); documenta, redige il processo verbale (art. 135); autentica gli atti; custodisce
le cose sequestrate, rilascia copie, notifica l'atto di impugnazione.
□ Presso l'ufficio del pubblico ministero c'è la SEGRETERIA, che opera come ausiliario analogo al
cancelliere: ha funzioni di assistenza, redige il verbale e le annotazioni degli atti posti in essere
dal magistrato inquirente, autentica controfirmandoli i suoi atti, provvede alla custodia delle cose
sequestrate, comunica gli atti del pubblico ministero e riceve quelli a lui destinati.
Il DIRETTORE DELL'UFFICIO PENITENZIARIO opera come ausiliario sia del giudice che del pubblico
ministero: riceve ed inoltra immediatamente, dopo averli iscritti nell'apposito registro, l'atto di
impugnazione e gli altri atti contenenti dichiarazioni e richieste destinate all'autorità giudiziaria che gli
vengano presentati dal soggetto detenuto o internato.
60
CAPITOLO 2 –ATTI
Disposizioni Generali
L'atto giuridico si distingue dal fatto giuridico (con l'attitudine a produrre effetti giuridici) a causa
di una componente psichica minima: la volontarietà.
Anche per i comportamenti omissivi è talvolta prescritta la volontarietà dell'omissione, in
tal caso vanno trattati come veri e propri atti giuridici.
I comportamenti umani si distinguono in dichiarazioni (di volontà o di scienza) e operazioni
(esperimenti giudiziari e ispezioni).
Il legislatore spesso utilizza il termine “atto” per indicare il risultato dell'attività.
L'atto processuale penale si definisce sul piano soggettivo in quanto è posto in essere da soggetti
del procedimento (anche i soggetti privati realizzano atti processuali).
Sono a tutti gli effetti atti processuali penali quelli relativi al procedimento di esecuzione
ed al procedimento di sorveglianza.
□ La fase delle indagini preliminari è quella che precede l'esercizio dell'azione penale e compone
la sequenza degli atti del procedimento, mentre ciò che segue fa parte del processo (dall'udienza
preliminare alla sentenza definitiva).
Nella fase delle indagini preliminari manca un giudice investito del procedimento vero e proprio in
quanto l'intervento del giudice per le indagini preliminari è meramente eventuale, ed è circoscritto
al provvedimento richiesto.
□ Durante il processo opera invece un giudice investito della pienezza delle proprie
funzioni giurisdizionali ed abilitato a pronunciare sentenze.
→ Con l'espressione “atti del procedimento” si intendono sia gli atti anteriori all'esercizio \
dell'azione penale che quelli ad essa successivi.
Gli atti posti in essere prima che la notizia di reato sia venuta ad esistenza non possono mai
costituire atti del procedimento, anche quando siano stati compiuti da persone che, come ad
esempio gli incaricati di funzioni di polizia giudiziaria, siano suscettibili di assumere la
qualità di soggetti del procedimento.
Il primo atto del procedimento coincide con quello immediatamente successivo alla
ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del pubblico ministero
istituito presso il tribunale.
Gli atti nei quali la notizia si sostanzia (denuncia, referto, querela, istanza o
richiesta) sono al di fuori della sequenza del procedimento penale.
La notizia di reato appresa di iniziativa propria dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero
non trova mai consacrazione originaria in un atto tipico, ma è sempre frutto di un giudizio operato
dall'organo procedente circa l'attitudine indiziante di informazioni comunque conosciute.
61
Se la notizia è stata acquisita dal pubblico ministero, scattando l'obbligo di
iscriverla nell'apposito registro, da tale iscrizione ha inizio il procedimento.
Se invece la notizia di reato viene formata dalla polizia giudiziaria, è escluso che la
successiva informativa al pubblico ministero valga allo scopo.
In mancanza di un atto tipico, il primo atto del procedimento sarà quello cronologicamente
anteriore tra gli atti compiuti dopo l'acquisizione della notizia di reato.
L'atto finale del procedimento si individua in vari modi:
a. nelle indagini preliminari sarà il provvedimento di archiviazione, benché si debba
considerare l'eventualità di una riapertura delle indagini;
b. se l'azione penale è esercitata, il momento finale del processo sarà l'esecutività della sentenza di
non luogo a procedere e l'irrevocabilità nelle sentenze pronunciate in giudizio e del decreto
penale di condanna (nonostante siano passibili di revoca).
L'art. 26 disp. att. fa salvo in ogni caso il diritto dell'imputato e delle altre parti private di
nominare il proprio difensore a prescindere dall'appartenenza etnica o linguistica; al comma 2
prevede che l'autorità giudiziaria, nell'indicare il difensore d'ufficio o designare il sostituto, deve
62
tener conto dell'appartenenza etnica o linguistica dell'imputato.
Analogamente, l'art. 119 c.p.p. prevede che tutte le volte in cui un sordo, un muto o un sordomuto
voglia o debba fare dichiarazioni, sono previste particolari modalità di comunicazione che si
avvalgono della parola o dello scritto.
In tali casi, anche indipendentemente dalla circostanza che la persona in discorso non sappia
leggere o scrivere, l'autorità procedente provvede a nominargli uno o più interpreti scelti di
preferenza fra le persone abituate a trattare con lui.
La sottoscrizione e la data
■ L'art. 110 c.p.p. prevede le regole relative alla SOTTOSCRIZIONE degli atti, e non dei
documenti. È interdetto l'impiego di mezzi meccanici o di segni diversi dalla scrittura , equiparati
ad una mancata sottoscrizione (comma 2).
Il raggiungimento della finalità alla quale è preordinata la sottoscrizione rimane conseguibile in
altro modo quando chi deve firmare non sia in grado di scrivere, ad esempio perché analfabeta,
ovvero permanentemente o temporaneamente impedito.
Per alcuni atti dei soggetti privati il codice prevede che siano muniti di un'attestazione relativa
all'autenticità della firma.
L'art. 39 disp. att. prevede che sono abilitati ad autenticare la sottoscrizione di atti il
funzionario di cancelleria, il notaio, il difensore, il sindaco, un funzionario delegato
dal sindaco, il segretario comunale, il giudice di pace, il presidente del consiglio
dell'ordine forense o un consigliere da lui delegato.
La sottoscrizione illeggibile non produce nullità quando la provenienza dell'atto sia ricavabile
in altro modo (es. apposizione di un timbro o intestazione del supporto cartaceo).
■ L'art. 111 c.p.p. prevede che quando sia richiesta la DATA di un atto, sia indicato anche il luogo di
formazione dell'atto, e di regola è sufficiente che sia indicato il giorno, il mese e l'anno; talvolta è
richiesta anche l'indicazione dell'ora.
La mancata indicazione della data, quando sia prescritta a pena di nullità, comporta l'invalidità solo
nel caso in cui la data non possa stabilirsi con certezza sulla base di elementi tratti dall'atto stesso o
da atti a questo connessi.
Se la documentazione di un atto, per qualsiasi causa, è stata distrutta, smarrita o sottratta, o non è
possibile recuperarla, ma sia necessario fare uso di tale atto, il codice prevede alcuni rimedi:
• art. 112 c.p.p. prevede la surrogazione all'originale di una copia autentica; la competenza
funzionale spetta al presidente della corte o del tribunale, che provvedono, anche d'ufficio,
all'emissione di un decreto che ordina al soggetto che detiene una copia di consegnarla in
cancelleria; sarà compito di tale ufficio attestare sulla copia autentica la particolare efficacia in
tal modo attribuitale (art. 40 disp. att.);
• art. 113 c.p.p., quando non sia possibile procedere con la surrogazione, prevede come extrema
ratio la ricostituzione: previo un giudizio di necessità e di possibilità, è disposta con ordinanza
(inoppugnabile ma non irrevocabile) che ne prescrive le modalità (non le forme, che sono
predeterminate dalla legge); spetta al giudice, se del caso, indicare gli altri atti che devono essere
rinnovati, perché presupposto di validità dell'atto mancante: la rinnovazione della sentenza resa al
termine del dibattimento di primo grado implica lo svolgimento di un nuovo giudizio. Giudice
della rinnovazione è il giudice davanti al quale pende il procedimento o il giudice dell'esecuzione.
Il divieto di pubblicazione
Art. 114 - Divieto di pubblicazione di atti e di immagini
63
1. E' vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro
mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto.
2. E' vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non
siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.
3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del
fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli
del fascicolo del pubblico ministero , se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello.
E' sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni.
4. E' vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei
casi previsti dall'articolo 472 commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il
divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto
di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi
di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è
autorizzata dal ministro di grazia e giustizia.
5. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di
pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon
costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto
nell'interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti
private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del comma 4.
6. E' vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone
offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la
pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione
dei suddetti minorenni (1). Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il
minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione.
6-bis. E' vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa
mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione
fisica, salvo che la persona vi consenta.
7. E' sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.
L'art. 114 comma 1 correla la disciplina del divieto di pubblicazione con gli atti coperti dal
segreto d'ufficio: è un divieto assoluto, investe sia la riproduzione pubblica dell'atto, parziale o
totale, sia il contenuto dell'atto. Il divieto di pubblicazione opera per tutta la durata delle
indagini preliminari, finché restano ignoti i potenziali autori del reato, cadrà solo con la chiusura
della fase.
Tale divieto non investe le indagini difensive. Nel momento in cui è individuata la
persona sottoposta alle indagini, il divieto si modella in funzione del regime di
conoscenza di ogni singolo atto.
Il divieto di pubblicazione viene meno con:
a. il deposito degli atti ai quali avrebbero avuto diritto di assistere i difensori,
b. nel caso di richiesta di archiviazione seguita dalla fissazione dell'udienza in camera di consiglio,
c. nel caso in cui il pubblico ministero intenda richiedere il rinvio a giudizio.
64
■ Esistono tuttavia atti, come l'informazione di garanzia, che sorgono senza divieto assoluto di
pubblicazione (ex art. 114 comma 1).
Il divieto di pubblicazione subisce una variazione per effetto dei decreti motivati del
pubblico ministero relativi alla desegretazione, ovvero alla segretazione di singoli atti,
nonché all'imposizione di un autonomo divieto di pubblicazione con riguardo ad atti o notizie
non più coperti da segreto.
La tutela della riservatezza della persona sottoposta a tali atti non assumeva rilievo. A seguito
della prassi di diffondere informazioni (captate attraverso le intercettazioni) del tutto estranee alla
vicenda processuale specie se relative a dati sensibili e a seguito dell’emanazione da parte del Csm
di linee guida che imponevano al pm il compito di espungere dal materiale probatorio le
intercettazioni non rilevanti, il legislatore del 2017 si è mosso su un duplice versante. Da un lato
introduce il comma 1-ter all’art 291 che impone al pm di inserire nella richiesta di ordinanza
cautelare soltanto i “brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate”, divieto che
vale anche per il giudice nella riproduzione e nella successiva trascrizione dell’ordinanza.
Dall’altro deroga, modificando il comma 2 dell’art 114, il divieto di pubblicazione dell’ordinanza
cautelare.
Gli atti delle indagini preliminari che non sono stati mai coperti dal segreto o per i quali questo
è caduto, non sono o non divengono per questo pubblicabili.
■ L'art. 114 comma 2 prevede che, se non si procede a dibattimento, cada il divieto di pubblicazione:
- o tramite la conclusione delle indagini preliminari
- o con il termine dell'udienza preliminare.
■ L'art. 114 comma 3 prevede invece che se si procede a dibattimento, è necessario distinguere tre
categorie di atti:
o gli atti che alla fine del dibattimento risultavano inseriti nel fascicolo per il dibattimento,
senza che ne fosse stata data lettura in udienza, sono ora pubblicabili sin dalla relativa
formazione (art. 431);
o se però l'atto viene trasferito dal fascicolo per il dibattimento a quello del pubblico ministero,
essendosi accolta la relativa questione preliminare ex art. 491, il divieto di pubblicazione si
ripristina automaticamente, e lo stesso nel caso in cui l'atto sia poi letto in una porzione di
dibattimento tenuto a porte chiuse;
o gli atti che, terminato il dibattimento, risultano collocati nel fascicolo del pubblico
ministero sono pubblicabili solo dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado; sono
tuttavia immediatamente pubblicabili gli atti già posti in questo fascicolo, in quanto siano
stati utilizzati per le contestazioni.
■ I commi 4 e 5 dell'art. 114 introducono due divieti di pubblicazione di un atto o di una sua parte,
disposti dal giudice sentite le parti per evitare offese al buon costume e diffusione di notizie
segrete per l’interesse dello Stato e per la privacy delle parti private:
65
o divieto di pubblicazione degli atti già utilizzati per le contestazioni, quando sia scattato il
divieto di pubblicazione degli atti del dibattimento, essendosi questo svolto a porte chiuse;
o divieto di riproduzione pubblica, anche parziale, degli atti non segreti dei procedimenti
speciali privi della fase dibattimentale, che sarebbero risultati di per sé pubblicabili con
la chiusura delle indagini preliminari o al termine dell'udienza preliminare.
L'art. 116 c.p.p. dispone che chiunque vi abbia interesse può ottenere, a proprie spese, il rilascio di
copie, estratti o certificati di singoli atti, compresi quelli incorporati su supporti non cartacei.
Tale rilascio non può essere ottenuto quando si tratti di atti ancora coperti dal segreto sulle indagini
o divenuti oggetto di un decreto di segretazione (art. 329).
È possibile anche che il divieto di pubblicazione sia sganciato da un sottostante segreto,
tuttavia per giurisprudenza consolidata il diniego dell'autorizzazione non è impugnabile,
in quanto atto amministrativo ampiamente discrezionale.
L'art. 43 disp. att. esplicita che non è dovuta nessuna autorizzazione nei casi in cui è
riconosciuto espressamente al richiedente il diritto al rilascio di copie, estratti o certificati di
atti. Questo vale nei confronti delle sentenze emanate in nome del popolo, di persone o
uffici coinvolti nel procedimento ma anche delle parti private e dei loro difensori.
Ai sensi dell'art. 116 comma 3-bis il difensore che presenti all'autorità giudiziaria atti o
documenti ha diritto al rilascio di attestazione dell'avvenuto deposito. Riguarda tutti gli atti di
impulso processuale, non solo la presentazione di elementi di prova da acquisire al procedimento.
Gli art. 117 e 118 hanno natura speciale rispetto all'art. 116, agevolando l'attività di investigazione e
l'attività di prevenzione dei reati.
Nell'attività investigativa la trasmissione di informazioni svolge un compito essenziale.
■ Ai sensi dell'art. 117 c.p.p. l'organo legittimato a presentare la richiesta di copie di atti relativi ad
altri procedimenti è unicamente il pubblico ministero che procede, escludendo gli organi delegati;
sono esclusi anche i difensori delle parti, che possono giovarsi solo dell'art. 116.
Oggetto della richiesta sono sia le copie degli atti di un procedimento che le
informazioni scritte sul loro contenuto.
■ Ai sensi dell'art. 118 c.p.p. il Ministro dell'interno può accedere alle fonti informative, anche se gli
è consentito di avvalersi, con apposita delega, di un ufficiale di polizia o del personale delle
Direzione investigativa antimafia per formulare materialmente la richiesta.
Analogo potere è previsto all'art. 118-bis al presidente del Consiglio dei ministri, che
può avvalersi del direttore generale del Dipartimento delle informazioni di sicurezza.
Per determinare l'OGGETTO e lo SCOPO della richiesta bisogna distinguere:
o nell'art. 117 la richiesta del pubblico ministero deve essere finalizzata al compimento delle
proprie indagini, circoscrivendone l'ambito temporale. L'art. 371 delimita la portata
dell'art.117: la circolazione di copie ed informazioni troverà spazio quando manchino i
presupposti del coordinamento informativo ed investigativo, ovvero vi sia dissenso tra gli
uffici del pubblico ministero sulla gestione delle indagini, a meno che si tratti di procedimenti
per reati di criminalità organizzata o quando le indagini non risultino collegate, nonostante
l'ampiezza dei parametri fissati dal legislatore, o quando l'altro procedimento non si trovi più
nella fase delle indagini preliminari.
o Nell'art. 118 invece la richiesta del Ministro dell'interno è indirizzata all'adempimento di un
fine istituzionale dell'esecutivo, la prevenzione dei reati, limitatamente ai soli delitti che
impongono l'adozione dell'arresto obbligatorio in flagranza. Ai fini di prevenzione, l'autorità
giudiziaria può autorizzare il Ministro dell'interno, anche tramite un ufficiale di polizia
67
giudiziaria o il personale della Direzione investigativa antimafia, ad accedere direttamente al
registro delle notizie di reato, anche se tenuto in forma automatizzata.
o Nell'art. 118-bis la richiesta di copie di atti e di informazioni da parte del presidente del
Consiglio dei ministri è tesa a ricevere notizie indispensabili per lo svolgimento delle
attività connesse alle esigenze del Sistema di informazione per la sicurezza della
Repubblica.
Verificata senza ritardo la propria competenza e quella dell'organo da cui proviene la richiesta
motivata, l'autorità può rigettarla o accoglierla.
La rigetterà, oltre che per ragioni di ordine rituale, per la riconosciuta esigenza di preservare
il segreto ex art. 329; il rigetto deve essere obbligatoriamente motivato, ma non è comunque
sanzionato dalla legge processuale.
È possibile rinnovare la richiesta.
Nell'art. 117 è previsto che la trasmissione vale solo per il compimento delle indagini da parte del
pubblico ministero, è quindi escluso ogni impiego in chiave probatoria.
L'art. 117 comma2-bis e l'art. 118-bis comma 3 conferiscono al procuratore nazionale
antimafia e ai funzionari delegati del direttore generale del Dipartimento delle informazioni
per la sicurezza il potere, nell'ambito delle rispettive funzioni, di accedere al registro delle
notizie di reato tenuto presso la procura della Repubblica e, relativamente al procuratore
nazionale antimafia, anche alle banche dati istituite presso le direzioni distrettuali antimafia
realizzando collegamenti reciproci.
L'accesso del procuratore nazionale antimafia ai registri individua non solo
fattispecie di coordinamento non attuate, ma anche l'esistenza stessa di procedimenti
ex art. 51 comma 3-bis.
68
Memorie, richieste e dichiarazioni delle parti
L'art. 121 prevede che le parti e i loro difensori, nonché i consulenti tecnici, usufruiscono del potere
di presentare memorie o richieste scritte al giudice in ogni stato e grado del procedimento, anche
al giudice delle indagini preliminari durante la relativa fase, tramite deposito nella relativa
cancelleria. Sono escluse dalla norma la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa, ma gli
art. 61 e 90 le includono comunque.
L'art. 367 prevede che i difensori abbiano la facoltà di presentare al pubblico ministero
durante le indagini preliminari memorie e richieste scritte.
→Non c'è invece un obbligo generale di comunicare le richieste e le memorie alle altre parti.
L'art. 121 comma 2, riguardo alle sole richieste, impone al giudice di provvedere entro massimo 15
giorni; alcune disposizioni speciali stabiliscono termini più brevi.
L'obbligo scatta solo in dipendenza di una richiesta ritualmente formulata.
69
La garanzia della legalità
L'art. 120 disciplina l'intervento del testimone ad atti del procedimento, tendendo ad assicurare la
regolare effettuazione dell'atto e a precostituire una fonte di prova personale distinta ed aggiuntiva
rispetto al relativo verbale.
Sono oggetto di prova anche i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali ed
il testimone è collocato ad atti del procedimento tra coloro che sottoscrivono il verbale.
L'art. 120 enuncia tassativamente le CAUSE DI INCAPACITÀ, distinguendole tra naturali e
giuridiche; non possono intervenire come testimoni:
a. i minori di anni 14, le persone palesemente affette da infermità mentale o in stato di manifesta
ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope;
b. le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione.
Tale norma è richiamata dall'attività di assistenza ex art. 245 in tema di ispezione personale,
dall'art. 249 in tema di perquisizione personale, dall'art. 250 in tema di perquisizione locale, senza
che a priori possa distinguersi se giovino all'imputato, alle altre parti private o a soggetti diversi.
Se l'imputato o le altre parti private non sono state avvisate della facoltà loro accordata o ne
è stato precluso l'esercizio, si verifica una nullità a regime intermedio, se invece le stesse
ipotesi riguardano un altro soggetto, si ha una mera irregolarità.
Nel codice predominano atti a forma vincolata, pur non essendoci una disciplina unitaria della
forma. Solo per gli atti posti in essere dal giudice si ha un struttura tipica, in quanto compiuti da un
organo dello Stato nell'esercizio di un potere.
L'art. 125 prevede tre modelli:
■ SENTENZA
Le sentenze sono caratterizzate dall'idoneità a chiudere uno stato o un grado del procedimento, in
quanto contengono una decisione sulla regiudicanda; sono pronunciate in nome del popolo italiano.
Possono essere:
o SENTENZE DI CONDANNA, considerate uno degli esiti tipici del dibattimento, ma anche al
termine del giudizio abbreviato; vale come sentenza di condanna il decreto penale, mentre la
sentenza che si applica su richiesta delle parti è equiparabile ad una sentenza di condanna ex art.
445 comma 1-bis;
o SENTENZE COSTITUTIVE, creative di effetti giuridici; es. sentenze emesse dal tribunale
per i minorenni che concedono il perdono giudiziale, le sentenze di riabilitazione, le
sentenze che riconoscono efficacia alle sentenze penali straniere.
■ ORDINANZA
Le ordinanze servono a governare l'andamento del processo, pur essendocene alcune in grado di
concluderlo (es. ordinanza che dichiara l'inammissibilità dell'impugnazione).
Di regola le ordinanze sono revocabili; talvolta è impugnabile per espressa deroga legislativa.
■ DECRETO.
I decreti esprimono un comando dell'autorità procedente, assumendo natura prevalentemente
amministrativa. Sono assoggettati al regime della revoca, compreso il decreto penale di condanna,
assimilabile per requisiti ed effetti alle sentenze.
72
Di regola, ha forma di ordinanza il provvedimento emesso a seguito dell'instaurazione del
contraddittorio tra le parti. Caso tipico è l'archiviazione: accolta la relativa richiesta, l'atto è un
decreto motivato; qualora invece l'archiviazione venga pronunciata dopo il procedimento in camera
di consiglio, il corrispondente provvedimento è un'ordinanza.
L'atto che il giudice dispone a seguito dell'udienza preliminare assume la forma del decreto per
evitare l'esistenza di un apparato giustificativo che pregiudichi la posizione dell'imputato in
dibattimento.
Art. 125 - Forme dei provvedimenti del giudice.
1. La legge stabilisce i casi nei quali il provvedimento del giudice assume la forma della sentenza,
dell'ordinanza o del decreto.
2. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano.
3. Le sentenze e le ordinanze sono motivate, a pena di nullità. I decreti sono motivati, a pena di
nullità, nei casi in cui la motivazione è espressamente prescritta dalla legge.
4. Il giudice delibera in camera di consiglio senza la presenza dell'ausiliario designato ad assisterlo
e delle parti. La deliberazione è segreta.
5. Nel caso di provvedimenti collegiali, se lo richiede un componente del collegio che non ha espresso
voto conforme alla decisione, è compilato sommario verbale contenente l'indicazione del
dissenziente, della questione o delle questioni alle quali si riferisce il dissenso e dei motivi dello
stesso, succintamente esposti. Il verbale, redatto dal meno anziano dei componenti togati del
collegio e sottoscritto da tutti i componenti, è conservato a cura del presidente in plico sigillato
presso la cancelleria dell'ufficio.
6. Tutti gli altri provvedimenti sono adottati senza l'osservanza di particolari formalità e, quando
non è stabilito altrimenti, anche oralmente.
Art. 125 c.p.p. i decreti non necessitano, se non è diversamente disposto, di motivazione.
È comminata la nullità per la mancanza di motivazione nelle sentenze, nelle ordinanze e,
ove prescritta, nei decreti, per dare piena attuazione all'art. 111 comma 6 Cost.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la motivazione per relationem (quella in cui si riporti al
contenuto di un altro atto) non è nulla tutte le volte in cui il secondo atto sia conosciuto o
facilmente conoscibile dalla parte, ad esempio per effetto del deposito in cancelleria; in questo
modo, tramite l'esame dell'altro atto, è data alla parte la facoltà di controllare l'adeguatezza e la
congruità del ragionamento giustificativo del giudice. La giurisprudenza ammette l'uso di
moduli prestampati purché siano adeguatamente completati tramite le argomentazioni che
specifichino le ragioni concrete della decisione adottata.
Vi sono anche dei provvedimenti adottati senza formalità ed esternabili anche oralmente, ad
esempio i provvedimenti emessi dal presidente del collegio.
□ Il comma 4 prevede il segreto sulla deliberazione, penalmente tutelato dagli art. 326 e 685.
□ Al comma 5 prevede un'eccezione: in caso di provvedimenti collegiali, e purché lo richieda un
componente del collegio che non abbia espresso voto conforme alla decisione, è compilato verbale
sommario contenente l'indicazione del dissenziente ed i motivi del dissenso, succintamente esposti.
Il verbale, redatto dal meno anziano tra i componenti togati del collegio e sottoscritto da tutti gli
altri, viene conservato, a cura del presidente, in plico sigillato presso la cancelleria dell'ufficio,
servirà a chi ha dissentito, liberandolo da ogni eventuale responsabilità, se i componenti del
73
collegio saranno chiamati a rispondere del loro operato in sede civile.
□
Il procedimento in camera di consiglio
L’art. 127 del codice di rito delinea un modello valido per tutti i procedimenti che si
svolgono in camera di consiglio (c.d. riti camerali) così adempiendo ad una duplice
funzione:
da un lato realizza un apprezzabile economia normativa, dispensando dal compito di
predisporre per ogni singola ipotesi di procedimento in camera di consiglio le relative
forme;
dall’altro assicura il contraddittorio tra le parti e più in generale, il diritto di difesa dei
soggetti interessati.
Quanto alle modalità di realizzazione del contraddittorio, una garanzia più intensa (cd
modello forte) vale nell’area dei procedimenti in cui è imposta la partecipazione
necessaria del difensore della persona sottoposta alle indagini, dell’imputato o
dell’interessato, nonché del pubblico ministero.
Si faccia riferimento: (a) udienza per l’espletamento di incidente probatorio; (b) udienza
preliminare; (c) udienza di proscioglimento predibattimentale; (d) udienza di convalida
dell’arresto o del fermo.
Mentre vi sono delle ipotesi in cui non essendo richiesta la partecipazione necessaria di tali
soggetti, il contraddittorio è assicurato in forma meramente cartolare.
Il procedimento ex art. 127 non deve sempre essere adottato quando il giudice assume una
deliberazione in camera di consiglio. L'art. 127 distingue tra:
a) forme da seguire quando si procede in camera di consiglio
b) l'adozione di un provvedimento senza le formalità di procedura in ordine
all'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento.
L'attuazione del contraddittorio è scandita dall'obbligo, a pena di nullità, di dare avviso alle parti
private, al pm, alle altre persone interessate ed ai difensori; l'avviso deve essere notificato (o
comunicato al pm) almeno 10 giorni prima della data fissata per l'udienza (comma 1); e
dall'obbligo di provvedere a nominare un difensore d'ufficio all'imputato che ne sia privo.
È possibile presentare memorie in cancelleria fino a 5 giorni prima dell'udienza (comma 2).
Il procedimento si svolge nell'udienza; non è ammessa in aula la presenza del pubblico (comma
6). La Corte costituzionale ha stabilito che il verbale può essere redatto sia in forma integrale che
in forma riassuntiva ex art. 134 comma 2.
Compiuti gli atti introduttivi e accertata la regolare costituzione delle parti, nei procedimenti
davanti ad organi collegiale la relazione orale è svolta da uno dei componenti del collegio,
previa designazione del presidente (art. 45 disp. att.).
Il pubblico ministro, gli altri destinatari dell'avviso ed i difensori sono sentiti, a pena di
nullità, se compaiono; non è quindi prescritta la partecipazione necessaria del pubblico
ministero e del difensore della persona sottoposta alle indagini, dell'imputato e
dell'interessato.
L'interessato detenuto o internato in luogo situato fuori dalla circoscrizione del
giudice procedente, se ne fa richiesta, deve, sempre a pena di nullità, essere sentito
prima del giorno dell'udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui è
ristretto.
Nel caso in cui l'imputato o il condannato abbia richiesto di essere sentito
personalmente e non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha
sede il giudice, la sentenza costituzionale 98/1982 ha previsto che il giudice, se
sussista un legittimo impedimento, deve disporre, a pena di nullità, il rinvio
dell'udienza.
74
La giurisprudenza precisa che anche nei procedimenti in camera di consiglio la violazione del
principio di immutabilità del giudice nel corso della trattazione o nella deliberazione è causa
di nullità assoluta, perché investe la capacità del giudice.
L'art. 127 disciplina la forma del provvedimento finale (in genere un'ordinanza), la sua
comunicazione al pubblico ministero e la correlativa notificazione alle parti private, alle persone
interessate ed ai difensori, la ricorribilità per cassazione, nonché l'esclusione dell'effetto sospensivo.
È impregiudicato il potere del giudice di disporre diversamente con decreto motivato.
L'art. 127 comma 9 prende in considerazione i provvedimenti deliberati in camera di
consiglio conseguenti all'inammissibilità dell'atto introduttivo, le cui cause sono
individuate dall'art. 591.
I provvedimenti emessi a seguito di procedimento in camera di consiglio entrano a far parte
dell'ordinamento tramite il deposito.
L'art. 128 eccettuati sia i provvedimenti emessi nell'udienza preliminare, sia quelli emessi
nel dibattimento, gli originali dei provvedimenti del giudice sono depositati entro 5 giorni
dalla deliberazione.
Nel caso in cui il provvedimento sia suscettibile di impugnazione, l'avviso di deposito, in cui è
contenuto il solo dispositivo, deve esser comunicato al pubblico ministero e a tutti i titolari del
diritto di impugnazione.
Art. 129 - Obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.
1. In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che
l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come
reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di
ufficio con sentenza.
2. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non
sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto
dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere
con la formula prescritta.
75
L'immediata declaratoria opera solo nel contesto del processo; nella fase delle indagini preliminari
un compito equivalente è svolto dall'istituto dell'archiviazione: soccorre infatti l'art. 408 che
disciplina l'archiviazione della notizia infondata, e l'art. 411 che contempla la mancanza di una
condizione di procedibilità, l'estinzione del reato o l'essere il fatto non previsto dalla legge come
reato nonché la non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La norma non è applicabile neanche nel corso dei procedimenti incidentali, mancando un giudice
investito della cognizione del fatto per il quale la causa di non punibilità dovrebbe operare.
L'art. 129 comma 1 subisce limiti applicativi dipendenti dalla struttura del processo, in
particolare riguardo alle sentenze di non luogo a procedere emesse al termine dell'udienza
preliminare, le relative formule non coincidono con quelle in discorso.
Residuano nell'art. 425 le sentenze che dichiarano trattarsi di persona non punibile per
qualsiasi causa. L'art. 425 comma 3 abilita il giudice ad emettere sentenza di non luogo a
procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o non
idonei a sostenere l'accusa in giudizio.
Oltre a questo caso, la declaratoria di non punibilità per le formule indicate dall'art. 129 trova un
limite nella funzione dell'udienza preliminare: secondo la Corte costituzionale, nel caso in cui in
tale sede la prova risulti insufficiente o contraddittoria, la sentenza di non luogo a procedere verrà
pronunciata nei soli casi in cui è fondato prevedere che l'eventuale istruzione dibattimentale non
possa fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza o contraddittorietà probatoria,
diversamente dovrà emettersi il provvedimento di rinvio a giudizio.
Nei PROCEDIMENTI SPECIALI gli art. 444 e 459 e 464quater richiamano l'art. 129, la cui
applicazione impedisce l'accoglimento della richiesta di applicazione della pena o di emissione
del decreto penale, e richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.
Il silenzio sul giudizio abbreviato e sul giudizio direttissimo non pongono ostacoli applicativi,
che invece si pongono per la richiesta di giudizio immediato: in questo caso al giudice è concessa
solo una delibazione sulla scelta del rito, escludendo l'operatività dell'art. 129.
Negli ATTI PRELIMINARI del dibattimento, in ragione degli scopi organizzativi di tale fase e della
scarsezza del fascicolo trasmesso al collegio, il proscioglimento anticipato è regolato appositamente
dall'art. 469: è ammessa la declaratoria con le sole formule relative all'improcedibilità dell'azione ed
all'estinzione del reato, sempre che per accertarne l'esistenza non sia necessario procedere a
dibattimento, diversamente il giudizio prosegue.
Nei gradi di impugnazione l'applicabilità d'ufficio dell'art. 129 configura una deroga all'effetto
parzialmente devolutivo dell'appello e al controllo di legittimità vincolato ai motivi del giudizio
in cassazione. In tale sede, la declaratoria che il fatto non è previsto dalla legge come reato, che
il reato è estinto o che l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita si risolve in un
annullamento senza rinvio.
Sono adottabili anche le formule per cui il fatto non sussiste e l'imputato non lo ha commesso.
L'art. 129 comma 2 dispone il PROSCIOGLIMENTO NEL MERITO, anche in presenza di una
causa estintiva del reato, con esclusivo riferimento alle sentenze di assoluzione o di non
luogo a procedere.
Prevale di regola la formula di merito su quella estintiva, e tale prevalenza deve risultare
evidente agli atti: la prova della sussistenza dei presupposti per la pronuncia della formula di
merito deve già essere stata acquisita quando si accerta la causa estintiva, in termini tali da
poter esser facilmente constatata, non essendo necessario che sia percepibile a prima vista
76
Per le sentenze di assoluzione prevale il merito anche quando manca, è insufficiente o è
contraddittoria la prova che il fatto sussista o che l'imputato l'abbia commesso, che il fatto
costituisca reato o che il reato sia stato commesso da persona non imputabile.
Lo stesso vale per le sentenze di non luogo a procedere.
La morte dell'imputato non impedisce l'emissione di una sentenza assolutoria o di non luogo a
procedere nel merito. Nella fase degli atti preliminari al dibattimento non si pongono questioni
perché il proscioglimento anticipato nel merito non trova spazio, non potendosi in tale sede
pronunciare sentenze di assoluzione: la clausola di salvezza dell'art. 129 comma 2 contenuta
nel 469, impone il passaggio al giudizio, anche se dagli atti già sia evidente la prova
dell'innocenza dell'imputato.
Nel dibattimento poiché il giudice, di fronte alla causa estintiva, non potrebbe che dichiararla,
l'imputato si vedrebbe sottratta la possibilità di ottenere, tramite l'acquisizione probatoria
dibattimentale, la pronuncia di una formula assolutoria.
A chi ritiene applicabile l'art. 129 comma 2 in sede dibattimentale residua la considerazione
che l'imputato ha diritto a rinunciare all'amnistia sopravvenuta, nonché alla prescrizione nel
frattempo maturata, rendendo inoperante l'obbligo di immediata declaratoria delle
corrispondenti cause estintive.
Nel GIUDIZIO DI CASSAZIONE si può pronunciare la formula di merito quando il giudice di primo
grado o di secondo grado abbia applicato una causa estintiva. È richiesto che l'evidenza della prova
risulti dalla motivazione.
Altri richiami all’art 129 sono fatti da:
420 quater c2 ->sospensione del processo per assenza dell’imputato per impossibilità di notifica-
contumacia), il giudice deve valutare che non possa essere pronunciata sentenza ai sensi del 129.
420 quinquies c2 lettera d -> il giudice può revocare l’ordinanza di sospensione, se deve essere
pronunciata sentenza ex 129. I casi più frequenti sono quelli di declaratoria di estinzione del reato
per sopravvenuta prescrizione e morte dell’imputato.
464-quater, riguarda la messa alla prova: il giudice se sussistono prove sufficienti per prosciogliere
l’imputato applica il 129.
Per la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto non è applicabile il dettato
dell’art.129, tale sentenza comporta una serie di valutazioni che risultano incompatibili con
l’immediatezza richiesta dal 129.
■ L'art. 130 disciplina la correzione degli errori materiali, richiedendo tre presupposti:
a) sono oggetto di correzione solo gli atti del giudice riportabili al modello delle
sentenze, ordinanze e decreti;
b) l'errore materiale o l'omissione non deve essere ricollegata ad una previsione di nullità.
Secondo un'opinione corrente, l'errore deve essere una difformità tra il pensiero del
giudice e la sua formulazione, mentre l'omissione deve riguardare un comando che
discenda automaticamente dalla legge; ci sono però casi, come l'omessa declaratoria
77
sulla falsità di un documento accertata con sentenza di condanna, non riparabili ex
art. 130: il rimedio consiste nell'impugnazione del relativo capo;
c) l'eliminazione dell'errore o dell'omissione non deve comportare una modificazione
essenziale dell'atto; sono escluse quindi le correzioni incidenti sul dispositivo, mentre è
consentito correggere un provvedimento dove compaia il nome di un magistrato diverso da
quello che ha fatto parte del collegio.
Competente a procedere, anche d'ufficio, alla correzione è il giudice autore del fatto, ma se è stata
proposta impugnazione tocca al giudice ad quem, salvo che dichiari inammissibile l'impugnazione
stessa.
Il procedimento si svolge in CAMERA DI CONSIGLIO, quindi l'ordinanza conclusiva del
procedimento deve essere notificata per intero ed è ricorribile per cassazione anche quando sia
stata rigettata o dichiarata inammissibile la richiesta di correzione.
L'ordinanza che dispone la correzione è annotata sull'originale dell'atto.
In forza di un'espressa esclusione tale procedura non è applicabile quando la corte di cassazione
abbia omesso di dichiarare nel dispositivo di annullamento parziale quali parti della sentenza
diventino irrevocabili (art. 624).
In questo caso all'omissione si pone rimedio con ordinanza pronunciata d'ufficio o, a seguito
di domanda, presentata senza formalità, del giudice competente per il rinvio, del pubblico
ministero presso quel giudice o della parte privata interessata.
Le Sezioni unite hanno ritenuto che il procedimento di correzione degli errori materiali operi pure
nel giudizio di cassazione; si è quindi ritenuta riparabile l'omessa sottoscrizione della sentenza da
parte del giudice estensore, purché involontaria e accompagnata dalla sottoscrizione del presidente
del collegio, o la omessa trascrizione del dispositivo in calce all'originale della sentenza deliberata
in camera di consiglio.
La rettificazione della sentenza impugnata, cui provvede la Corte di Cassazione, ex art. 619 è istituto
autonomo dalla correzione. L’art. 130 c1-bis, inserito con la riforma Orlando, ricalca il secondo comma
del art.619 stabilendo che per le sentenze applicative per la pena su richiesta delle parti, ove tocchi
rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione
è disposta anche d’ufficio dal giudice che ha emesso il provvedimento. La ratio dell’inserimento di
questo comma (130 comma 1-bis) è quello di deflazionare il ricorso per Cassazione lasciando rimediare
all’errore il giudice di merito.
78
I poteri coercitivi.
Tra gli atti che sono manifestazione del potere coercitivo rientra l'ACCOMPAGNAMENTO
COATTIVO, restrizione della libertà personale resa necessaria dall'indispensabile acquisizione di
un contributo probatorio. È collocato tra i provvedimenti del giudice e tra le attività espletabili dal
pubblico ministero in quanto le misure coercitive personali sono rigidamente regolate.
L'accompagnamento coattivo può essere adottato anche per reati di minima entità per i
quali non è consentita l'emissione di una misura coercitiva personale.
La collocazione della norma in questo libro esclude che le misure coercitive personali, in
particolare la custodia in carcere, possono essere strumentalizzate per la realizzazione degli
scopi cui è demandato l'accompagnamento coattivo, istituto che impone sempre una
tempestiva restituzione della libertà personale.
79
Art. 133 - Accompagnamento coattivo di altre persone.
1. Se il testimone, il perito, la persona sottoposta all’esame del perito diversa dall’imputato ( 1), il
consulente tecnico, l'interprete o il custode di cose sequestrate, regolarmente citati o convocati,
omettono senza un legittimo impedimento di comparire nel luogo, giorno e ora stabiliti, il giudice
può ordinarne l'accompagnamento coattivo e può altresì condannarli, con ordinanza, a
pagamento di una somma da euro 51 a euro 516 a favore della cassa delle ammende nonché alle
spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa.
2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 132.
L'art. 133 prevede l'accompagnamento coattivo di testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e
dei custodi di cose sequestrate. Questi sono passibili di accompagnamento solo se, regolarmente
citati o convocati, omettano di comparire nel luogo e nel tempo stabiliti senza addurre un legittimo
impedimento. Possono essere condannati ad una sanzione pecuniaria ed alle spese causate dalla
mancata comparizione, ma la condanna è revocata con ordinanza quando il giudice ritenga fondate
le giustificazioni addotte dall'interessato (art. 47 disp. att.).
□ Il comma 3 prevede la regola della riproduzione fonografica in caso di redazione del verbale in
forma riassuntiva, anche se non è prescritta a pena di nullità.
L'art. 140 però apporta un'eccezione in caso di contenuto degli atti di limitata rilevanza o
quando si abbia indisponibilità di strumenti di riproduzione.
Gli art. 135, 136 e 137 sono applicabili ai verbali redatti con stenotipia o con altro
mezzo meccanico, e ne disciplinano la redazione, il contenuto e la sottoscrizione.
□ Art. 135 prevede che redige il verbale l'ausiliario del giudice che, se sfornito delle necessarie
competenze, può essere autorizzato a farsi assistere sia da personale tecnico facente parte
dell'amministrazione sia da personale esterno.
□ Art. 136 prevede che il contenuto del verbale si sostanzia nei riferimenti a luogo, anno, mese,
giorno, se necessario dell'ora, nonché l'indicazione delle generalità delle persone intervenute e
nell'indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti
intervenire.
L'ausiliario è tenuto ad indicare quanto ha fatto o constatato, quello che è avvenuto in sua
presenza. Il pubblico ufficiale deve menzionare le dichiarazioni ricevute da lui o da altro
pubblico ufficiale che egli assiste, deve indicare in modo analitico tutti quegli elementi
che possano influire sulla credibilità delle dichiarazioni stesse, come la loro spontaneità, la
dettatura da parte del dichiarante, la consultazione di note scritte.
81
□ L'art. 137 prevede la sottoscrizione del verbale previa lettura: la firma (valgono anche le sole
iniziali del nome o una sigla) è apposta alla fine di ogni foglio da parte del pubblico ufficiale che
l'ha redatto, dal giudice e dalle persone intervenute, anche quando le operazioni non siano esaurite
e vengano rinviate ad altro momento.
Se qualche intervenuto non vuole o non è in grado di sottoscrivere, ne viene fatta menzione
nel verbale indicandone i motivi, ma l'atto resta pienamente valido.
L'art. 483 e l'art. 401 prevedono una disciplina semplificata per il verbale del dibattimento e per
quello dell'incidente probatorio, come pure in tutti i casi in cui è impiegato uno strumento
meccanico che non comporti l'immediata impressione di caratteri comuni di scrittura.
La trascrizione e le riproduzioni
■ Art. 138 -Trascrizione del verbale redatto con il mezzo della stenotipia.
1. Salvo quanto previsto dall'articolo 483 comma 2, i nastri impressi con i caratteri della stenotipia
sono trascritti in caratteri comuni non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati formati.
Essi sono uniti agli atti del processo, insieme con la trascrizione.
2. Se la persona che ha impresso i nastri è impedita, il giudice dispone che la trascrizione sia affidata
a persona idonea anche estranea all'amministrazione dello Stato.
L'art. 138 prevede che i nastri impressi con i caratteri della stenotipia siano trascritti in caratteri
comuni non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati formati.
Il termine non è perentorio per il verbale del dibattimento, che deve essere trascritto non
oltre 3 giorni dalla sua formazione (art. 483).
Se chi ha impresso i nastri è impedito a svolgere la trascrizione, il giudice dispone che
sia affidata a persona idonea anche estranea all'amministrazione dello Stato.
82
■ L'art. 140 c.p.p. disciplina le MODALITÀ DI DOCUMENTAZIONE IN CASI PARTICOLARI,
introducendo una documentazione simile al verbale riassuntivo ma consistente nella sola redazione
manuale e contestuale, e quindi sintetica, del verbale, senza l'accompagnamento della riproduzione
fonografica.
Presupposti sono:
a) il contenuto semplice dell'atto,
b) la sua limitata rilevanza o una situazione di contingente indisponibilità di strumenti
di riproduzione o di ausiliari tecnici.
Il comma 2 stabilisce che se è redatto solo il verbale in forma riassuntiva, al giudice spetta
l'obbligo di vigilare affinché sia riprodotta nell'originaria genuina espressione la parte essenziale
delle dichiarazioni e siano descritte le circostanze nelle quali esse sono rese, se questo serva a
valutarne la credibilità. Nella prassi è lo stesso giudice ad intervenire nella redazione, dettando
all'ausiliario il riassunto delle dichiarazioni rese davanti a lui.
83
La documentazione dell’interrogatorio del detenuto
L'art. 141-bis disciplina la documentazione dell'interrogatorio, svoltosi fuori udienza, di chi sia in
stato di detenzione: deve essere documentato integralmente con mezzi di riproduzione fonografica
o audiovisiva.
Condizioni perché possa applicarsi tale disciplina sono:
• l'interrogatorio, è inteso come comprensivo anche dell'interrogatorio della persona
sottoposta alle indagini o dell'imputato, dell'imputato in un procedimento per reato
connesso o collegato a quello per cui si procede ex art. 371.
Tale norma non vale per le dichiarazioni introdotte a titolo diverso come le informazioni
assunte da persone informate dei fatti per cui si procede, come quelle che la polizia
giudiziaria assume dalla persona sottoposta alle indagini, nonché agli interrogatori delegati,
perché interdetti nei confronti di chi non si trovi in stato di libertà;
• l'interrogato deve essere, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione; opera anche nei confronti
di chi sia sottoposto a custodia cautelare per un altro procedimento o stia espiando una pena
detentiva per un altro reato; chi sia assoggettato a custodia in carcere, a custodia in luoghi
diversi dagli istituti penitenziari, agli arresti domiciliari, nonché nei confronti di coloro i
quali sono a disposizione della polizia giudiziaria in attesa che il tribunale in composizione
monocratica, che al momento non sieda in udienza, fissi udienza di convalida.
Secondo le Sezioni unite non contano le condizioni della persona soggetta agli
arresti domiciliari, del minore obbligato alla permanenza in casa, dell'affidato in
prova al servizio sociale, del semilibero o del condannato in licenza o in permesso
premio.
• La norma non vale per gli interrogatori assunti durante l'udienza: sono esclusi quelli svolti
in sede di convalida di arresto in flagranza o del fermo o nell'udienza preliminare.
Tale norma è volta a rafforzare la determinazione della persona sottoposta ad
interrogatorio ad avvalersi della facoltà di non rispondere in situazioni in cui il
suo esercizio, già indebolito per l'accresciuta soggezione psicologica conseguente
alla compressione della libertà personale, potrebbe essere esposto a sollecitazioni
qualora il difensore non sia presente.
L'art. 398 comma 5-bis richiama l'art. 141-bis con riferimento all'incidente probatorio nell'ambito di
procedimenti concernenti determinate ipotesi di reato in materia di violenza sessuale, poi esteso ad
altre fattispecie: quando tra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni
16, le testimonianze assunte tramite incidente probatorio in tali procedimenti devono essere sempre
documentate con le modalità ex art. 141-bis.
Se sussistono i presupposti dell'art. 141-bis nasce il vincolo di disporre la riproduzione
fonografica o audiovisiva integrale, cioè per intero e senza interruzioni.
84
Quando siano indisponibili gli appositi strumenti o il personale tecnico idoneo, il giudice o
il pubblico ministero può provvedere, rispettivamente, tramite le nomina di un perito o di
un consulente tecnico; l'organo procedente è abilitato a liquidare i compensi.
La combinazione degli art. 294 e 302, prescindendo da ogni obbligo motivazionale, non
impedisce all'interrogatorio documentato in difformità dall'art. 141-bis di valere come fatto
giuridicamente rilevante, non determinando quindi l'effetto estintivo della custodia cautelare.
Solo un'eventuale previsione di nullità dell'interrogatorio assunto ex art. 294, in
violazione dell'art. 141-bis, determinando un effetto equivalente alla omissione dell'atto,
sarebbe idonea a provocare la caducazione della custodia cautelare, poiché la declaratoria
di tale invalidità opera con effetto ex tunc.
La partecipazione a distanza
La PARTECIPAZIONE A DISTANZA mira a realizzare obiettivi di economia processuale
riducendo le traduzioni dei detenuti ed i tempi del dibattimento.
L'ESAME A DISTANZA invece tende a garantire la sicurezza personale del dichiarante.
È escluso che la videoconferenza o il telesame siano la stessa cosa dell'assistenza personale
o della dichiarazione tipiche del contesto spaziale e temporale della pubblica udienza.
L'art. 146-bis disp. att. disciplina la partecipazione a distanza, attivabile con 2 presupposti:
a. deve trattarsi di un dibattimento relativo ad uno dei reati ex art. 51 co 3-bis (es. associazione di
tipo mafioso) o ex art. 407 co 2 lett. a) n. 4 (es. delitti con finalità di terrorismo o eversione
dell'ordinamento costituzionale);
b. l'imputato deve trovarsi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere; conta il solo fatto
obbiettivo della detenzione carceraria, non è richiesto che tragga titolo dai reati ex art. 51 co 3-
bis; non rileva che la detenzione dipenda dall'applicazione della custodia cautelare o dalla
espiazione di una pena.
Nasce l'obbligo per il giudice di valutare se sia integrata una delle due ipotesi enunciate
all'art. 146 bis disp. att.:
i. gravi ragioni di sicurezza e di ordine pubblico;
ii. allo scopo di evitare il turismo giudiziario.
85
La partecipazione a distanza non sarà attivabile in dipendenza di semplici difficoltà organizzative,
valgono invece fattori come il numero degli imputati o delle imputazioni, il numero e la natura
delle prove da assumere. Deve valutarsi se nei confronti dello stesso imputato siano
contemporaneamente in corso distinti processi presso diverse sedi giudiziarie.
Ai sensi dell'art. 146-bis comma 1-bis disp. att. si ha una terza ipotesi di partecipazione a
distanza con riferimento alla sottoposizione alle misure ex art. 41-bis comma 2 ord. pen.: il
turismo giudiziario è impedito per evitare che sia sfruttato dall'imputato per mantenere contatti
con le organizzazioni criminali, vanificando gli effetti del regime ex 41-bis.
Quindi tale partecipazione scatta senza che tali detenuti siano imputati, nel processo, di una
delle fattispecie ex art. 51 co 3-bis o 407 comma 2.
Ai sensi dell'art. 146-bis comma 7 disp. att. la videoconferenza può interrompersi, con il
conseguente ripristino della partecipazione fisica dell'imputato, se occorra procedere a confronto o
ricognizione dell'imputato od altro atto che implichi l'osservazione della sua persona, sempre che il
giudice, sentite le parti, ritenga indispensabile la presenza dell'imputato, per il tempo necessario al
compimento dell'atto.
La partecipazione a distanza va disposta, anche d'ufficio, dal presidente prima dell'inizio della
prima udienza dibattimentale per evitare che questa si tenga con l'imputato presente e, al contempo,
per rendere più agevole l'opera di difesa chiamata ad affrontare i profili organizzativi scaturenti
dall'attivazione del collegamento a distanza.
In assenza di contraddittorio, il provvedimento assume forma di decreto motivato che deve
essere comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti almeno 10 giorni liberi
prima della data fissata per l'udienza.
La partecipazione a distanza può essere disposta anche nel corso dello svolgimento dell'udienza
dibattimentale. Divenuto funzionalmente competente il collegio, il provvedimento assume, a
seguito dell'instaurazione del contraddittorio, la forma di ordinanza, ma alla difesa è concesso un
termine adeguato per fronteggiare la mutata situazione.
L'ordinanza può essere appellata insieme con la sentenza.
L'art. 146-bis comma 3 disp. att. impone l'adozione di uno standard tecnico più elevato di quello
necessario, di regola, per l'esame a distanza dove non è imposta la reciprocità: il collegamento nella
partecipazione a distanza deve essere contestuale, reciproco ed effettivo.
Il comma 5 equipara la postazione remota all'aula di udienza, estendendogli le
regole dettate per il contesto spaziale e temporale dell'udienza dibattimentale.
Ne segue che al presidente del collegio è affidato, anche rispetto alla postazione remota, il
potere di direzione del dibattimento, compreso quello di decidere, senza formalità, sulle
questioni relative alle modalità del collegamento audiovisivo, nonché il potere di
disciplina dell'udienza. Anche i reati commessi nella postazione remota sono soggetti alle
regole proprie dei reati commessi in udienza.
La persona incaricata di stare nella postazione remota è, di regola, un ausiliario abilitato ad assistere
il giudice in udienza e nominato dal giudice stesso o, in caso di urgenza, dal presidente. Durante il
tempo in cui non si procede all'esame dell'imputato, al posto dell'ausiliario può essere nominato un
ufficiale di polizia giudiziaria, scelto tra coloro che non svolgono né hanno svolto attività di
investigazione o di protezione con riferimento all'imputato o ai fatti da lui riferiti.
86
La scelta dipende anche dalla natura delle funzioni demandate all'ausiliario: questo è chiamato ad
attestare l'identità dell'imputato, a dare atto dell'osservanza delle norme relative alle modalità del
collegamento a distanza (in particolare sulla effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti
in entrambi i luoghi) nonché della riservatezza delle consultazioni tra l'imputato e i suoi difensori.
In caso di esame è chiamato a dare atto delle cautele adottate per assicurarne la regolarità
con riferimento al luogo ove si trova, potendo interpellare, quando occorra, l'imputato o il
suo difensore.
Oltre al verbale del dibattimento redatto dall'ausiliario del giudice che siede nell'aula di udienza,
si avranno tanti altri verbali quante sono le postazioni remote. Tali ulteriori verbali investono solo
le attività svolte personalmente dall'ausiliario del giudice nella postazione remota.
La documentazione delle dichiarazioni, richieste ed eccezioni e quanto provenga dalle
persone presenti nella postazione remota, confluirà necessariamente nel verbale tenuto
dall'ausiliario del giudice che siede nell'aula di udienza, per evitare il pericolo di contrasto
tra i diversi verbali.
L'equiparazione della postazione remota all'aula di udienza esclude la necessità che
l'imputato debba essere assistito da due difensori, uno nell'aula di udienza e l'altro nella
postazione remota.
È tuttavia opportuno che accanto all’ imputato ci sia un difensore, è quindi nata
la figura di sostituto (art. 102).
L'art. 146-bis comma 4 disp. att. ha stabilito che il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di
udienza e l'imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei. Il
collegamento è realizzato tramite l'installazione di apposite linee telefoniche assolutamente non
intercettabili.
Art. 45-bis disp. att. la partecipazione a distanza dell'imputato al dibattimento è ammessa anche nei
procedimenti che si svolgono in camera di consiglio.
E' sufficiente la sottoposizione al regime ex art. 41-bis ord. pen. perché operi la
partecipazione a distanza.
È possibile la partecipazione a distanza anche nei procedimenti che si svolgano durante la fase delle
indagini preliminari.
Il riferimento al condannato vale per il procedimento di esecuzione e per quello di sorveglianza, non
in sede di prevenzione, dove il soggetto che partecipa all'udienza assume la qualifica di interessato.
L'art. 45-bis comma 2 disp. att. stabilisce che il provvedimento che dispone il collegamento a
distanza è comunicato e notificato con l'avviso ex art. 127, da intendersi nel significato generico di
sinonimo di avviso della data di fissazione dell'udienza camerale: la partecipazione a distanza
risulta disponibile anche nei procedimenti che si tengono in udienza camerale per i quali sia
stabilito un termine di comparizione inferiore a 10 giorni.
In base all'art. 134-bis disp. att. la partecipazione a distanza è attivabile anche nell'udienza in cui
si celebra il giudizio abbreviato.
87
L'istituto della partecipazione a distanza si atteggia diversamente a seconda che la presenza
dell'imputato all'udienza sia prescritta come indefettibile o sia facoltativa:
a) INDEFETTIBILE, salvo rinuncia, l'attivazione della partecipazione a distanza non pone
problemi: nei procedimenti in camera di consiglio si segue il modello dell'art. 127: se
l'imputato risulta detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice e
ne fa richiesta, deve essere sentito prima del giorno dell'udienza dal magistrato di
sorveglianza del luogo; non è però esclusa la comparizione personale del detenuto fuori
dalla circoscrizione se questi ne abbia fatto richiesta o se il giudice lo ritenga, ex officio,
opportuno;
b) FACOLTATIVA, la partecipazione a distanza è stata estesa al riesame delle misure
coercitive e all'appello delle misure cautelari. La partecipazione a distanza è disponibile
tutte le volte in cui il giudice ritenga necessaria la presenza dell'imputato o del condannato,
anche a seguito di sua richiesta, anziché l'audizione ad opera del magistrato di sorveglianza
ex art. 127 co 3.
L’ esame a distanza
L'art. 147-bis disp. att. si occupa dell'esame di persone ammesse a programmi o a misure di
protezione nelle sole udienze dibattimentali. Non vi sono però ostacoli ad estenderla, per intero,
all'incidente probatorio.
Sono considerati anche coloro che fruiscono di programmi di protezione di tipo urgente o
provvisorio.
Il giudice o, in casi di urgenza, il presidente del tribunale o della corte d'assise possono determinare
l'esame a distanza di propria iniziativa.
Titolari del potere di richiesta sono, oltre alle parti, anche l'autorità che ha disposto il programma o
la misura di protezione.
L'art. 147-bis comma 1 disp. att. prevede l'adozione discrezionale dell'istituto quando l'adozione del
telesame, subordinata alla disponibilità di strumenti tecnici idonei, scatta a seguito di una
determinazione che il giudice o il presidente del collegio possono assumere d'ufficio, sentite le
parti.
Sono discrezionali anche le ipotesi al comma 5, dove il TELESAME non mira a garantire
l'incolumità del dichiarante ma a realizzare una semplificazione processuale rimessa ad una
richiesta delle parti.
L'art. 147-bis comma 3 disp. att. prevede le ipotesi di telesame obbligatorio, salvo il caso
in cui il giudice ritenga assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare
(riferita alla mancata disponibilità o al cattivo funzionamento momentaneo delle
apparecchiature tecniche, in questo caso però l'ordinanza può essere revocata).
Sono ipotesi obbligatorie:
a) quelle che investono persone ammesse a programmi o a misure di protezione nell'ambito di
un processo per taluno dei delitti ex art. 51 co 3-bis o 407 co 2. Si nega rilievo a programmi
o a misure di tipo provvisorio;
b) quando nei confronti della persona sottoposta ad esame è stato emesso il provvedimento di
cambio delle generalità; il telesame sarà condotto sotto le precedenti generalità quando si
proceda per fatti anteriori al provvedimento che le abbia cambiate, e dovranno essere
disposte le cautele idonee ad evitare che il volto della persona sia visibile.
88
c) quando, nell'ambito di un processo per uno dei delitti ex art. 51 co 3-bis o 407 co 2 devono
essere esaminate le persone indicate all'art. 210 (imputato connesso) nei cui confronti si
proceda sempre per uno dei delitti di stampo mafioso o con finalità di terrorismo o di
eversione dell'ordinamento costituzionale.
Tende ad evitare che il coinvolgimento in più processi delle stesse persone possa
causare il rallentamento dell'istruzione dibattimentale.
È un'ipotesi residuale rispetto alla partecipazione a distanza: si ha quando l'imputato,
che non sia detenuto o, pur essendolo, non risulti sottoposto a misura di protezione,
sia implicato in uno dei delitti ex art. 51 co 3-bis o 407 co 2.
c-bis) quando devono essere esaminati ufficiali o agenti di polizia in ordine ad attività svolte
durante le operazioni sotto copertura; vengono disposte le cautele necessarie perché il volto
di tali soggetti non sia visibile.
L'art. 205-ter disp. att. dispone che la partecipazione all'udienza dell'imputato detenuto all'estero,
sempre che non possa esser trasferito in Italia, si realizza con collegamento audiovisivo, in quanto
previsto da accordi internazionali.
La partecipazione all'udienza di un testimone o di un perito che si trovi all'estero può avvenire a
distanza secondo le modalità e i presupposti previsti da accordi internazionali.
L'interprete deve essere nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l'ufficiale
di polizia giudiziaria abbia personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
La prestazione dell'ufficio di interprete ha carattere obbligatorio, può quindi disporsi
l'accompagnamento coattivo dell'interprete ex art. 133.
■ L'art. 144 c.p.p. prevede ipotesi di incapacità e incompatibilità a svolgere la funzione di interprete, a
pena di nullità.
Se l'interprete interviene a favore dell'imputato si configura una nullità di ordine generale a
regime intermedio, essendo violata una disposizione circa l'assistenza dell'imputato stesso.
L'interprete non è collocabile tra i collaboratori del giudice, ma è una figura autonoma;
tuttavia i requisiti di capacità e le situazioni di incompatibilità sono costruiti sulla falsariga di quelli del perito.
Non possono fungere da interprete:
a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato, l'affetto da infermità di mente;
b) l'interdetto, anche temporaneamente, da uffici pubblici, l'interdetto o il sospeso da una
professione o da un'arte;
c) il sottoposto a misure di sicurezza personali o di prevenzione;
d) per incompatibilità, la persona esclusa dalla testimonianza o che goda della facoltà di
astenersi, chi sia chiamato a prestare ufficio di testimone o di perito ovvero sia stato
nominato consulente tecnico nello stesso processo o in un procedimento connesso.
→ Può assumere la qualità di interprete un prossimo congiunto del sordo, del muto o del sordomuto.
L'art. 145 c.p.p. dispone che l'interprete incapace o incompatibile sia ricusabile dalle parti private e,
per i soli atti compiuti o disposti da giudice, è ricusabile anche da pubblico ministero.
Se esiste un motivo di ricusazione, anche non proposto, oppure per gravi ragioni di convenienza per
astenersi, l'interprete è tenuto a dichiararle.
La dichiarazione di ricusazione o di astensione è decisa con ordinanza inoppugnabile.
Art. 52 disp. att. con il provvedimento di nomina l'interprete è citato a comparire tramite
notificazione e, in situazioni di urgenza, anche oralmente per mezzo dell'ufficiale giudiziario o
della polizia giudiziaria.
L'art. 146 prevede l'obbligo incondizionato di serbare il segreto, che comunque cade con
la chiusura delle indagini preliminari.
Se l'incarico riguarda traduzioni scritte che richiedono un LAVORO DI LUNGA DURATA, l'art. 147
abilita l'autorità procedente a prorogare, per giusta causa, il termine fissato una sola volta.
L'interprete che non abbia presentato la traduzione nel termine può essere sostituito e, dopo esser
stato citato a comparire per discolparsi, è passibile di condanna al pagamento di una somma a
favore della cassa delle ammende.
10
1
Nel corso delle indagini preliminari è il pubblico ministero a chiedere al giudice di
applicare la sanzione.
Gli organi e le forme delle notificazioni disposte dal giudice o richieste dalle parti.
L'art. 148 c.p.p. disciplina le notificazioni disposte dal giudice.
L'organo investito in via primaria dell'attività di notifica è l'ufficiale giudiziario, in via
subordinata chi ne esercita le funzioni.
Tra gli organi che esercitano funzioni notificative rientrano anche i messi di conciliazione,
sia pure nell'ambito loro assegnato, e la polizia penitenziaria: nei procedimenti con detenuti
ed in quelli davanti al tribunale del riesame, caratterizzati da cadenze accelerate impresse da
termini la cui inosservanza comporta la perdita di efficacia dell'ordinanza che ha disposto la
misura coercitiva (art. 309), in presenza del requisito d'urgenza il giudice è abilitato a
disporre che le notificazioni siano eseguite tramite gli organi di polizia penitenziaria del
luogo in cui i destinatari sono detenuti.
Gli ufficiali ed agenti di polizia penitenziaria, a seguito del provvedimento del giudice,
diventano organi delle notificazioni a pieno titolo.
□ comma 2-bis prevede che l'autorità giudiziaria, quindi anche il pm, può disporre che le notificazioni
o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei. Unico vincolo per l'ufficio che invia
l'atto è l'attestazione, in calce all'atto, di aver trasmesso il testo originale. Non è necessario emettere
un decreto motivato.
□ comma 3, oggetto della notificazione è l'atto nella sua interezza, in casi tassativamente previsti è
ammessa la notificazione per estratto, cioè la riproduzione della sola parte essenziale dell'atto.
Art. 54 disp. att. l'ufficiale giudiziario a cui viene trasmesso l'atto da notificare provvede
a formarne un numero di copie eguale a quello dei destinatari della notificazione.
Le copie sono trasmesse con mezzi tecnici idonei e, quando l'ufficio che ha emesso l'atto
attesta, in calce ad esso, di aver trasmesso il testo originale, valgono come l'originale.
Se però la notificazione è eseguita tramite la polizia giudiziaria, trattandosi di un
organo privo di poteri certificativi, viene trasmesso all'ufficio di polizia
competente per territorio un numero di copie eguale a quello dei destinatari delle
notificazioni.
Se la notifica non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, l'ufficiale
giudiziario e la polizia giudiziaria consegnano la copia dell'atto dopo averla inserita
in una busta che provvedono a sigillare. Tale procedimento deve essere
documentato, ma non vale per le notificazioni al difensore o al domiciliatario.
□ comma 4: ha valore di notificazione a tutti gli effetti la consegna di una copia dell'atto
all'interessato da parte della cancelleria, se sull'originale sia annotata l'avvenuta consegna e la
relativa data.
10
2
□ comma 5 prevede che la lettura dei provvedimenti alle persone presenti e gli avvisi dati
verbalmente dal giudice, nonché dal pm ex art. 151 comma 3, agli interessati in loro presenza,
sostituiscono le notificazioni, purché ne sia fatta menzione nel verbale.
comma 5-bis prevede che le comunicazioni, gli avvisi ed ogni altro biglietto o invito
consegnati non in busta chiusa a persona diversa dal destinatario deve recare solo le
indicazioni strettamente necessarie.
L'art. 149 c.p.p. (Notificazioni urgenti a mezzo del telefono e del telegrafo) disciplina le notificazioni a
mezzo del telefono, il cui presupposto è l'utilizzo in casi di urgenza.
Oggetto della notificazione a mezzo del telefono è l'avviso o la convocazione; destinatario è una
persona diversa dall'imputato. Tale notificazione è disposta dal giudice, anche su richiesta di parte,
ed è eseguita dagli addetti alla cancelleria e dalla polizia giudiziaria presso la casa di abitazione, la
sede di lavoro abituale, la dimora o un recapito.
La notificazione a mezzo del telefono è effettuata con chiamata telefonica nei luoghi
indicati, indipendentemente dalla loro inserzione in elenchi ufficiali.
Sull'originale dell'avviso o della convocazione sono annotati:
a) il numero telefonico chiamato,
b) il nome, le funzioni o le mansioni svolte dalla persona che riceve la comunicazione,
c) il rapporto di questa con il destinatario,
d) il giorno e l'ora della telefonata.
La comunicazione non ha effetto se non è ricevuta dal destinatario o da persona che conviva anche
temporaneamente con lui; tuttavia le Sezioni unite hanno ammesso che le segreterie telefoniche
valgano allo scopo, anche se il difensore non abbia percepito il messaggio per difettoso
funzionamento dell'apparecchio o per mancato ascolto della registrazione.
La successiva comunicazione telegrafica per estratto è una forma costitutiva di tale procedimento di
notifica, anche se il momento in cui avviene la conoscenza è con la comunicazione telefonica.
Quando per qualunque causa non sia possibile far luogo alla notificazione a mezzo del telefono,
soccorre quella eseguita, per estratto, con telegramma.
Per le Sezioni unite l'invio del telegramma è indispensabile solo quando la legge imponga che
l'avviso sia stato dato e sia pervenuto personalmente nella sfera del destinatario, conta quindi la
conoscenza effettiva indipendentemente da quella legale.
■ L'art. 150 c.p.p. (“Forme particolari di notificazione disposte dal giudice.”)prevede la forma
notificativa innominata a persona diversa dall'imputato, realizzata tramite mezzi di
comunicazione non tradizionali, ma idonei a garantire la conoscenza dell'atto.
Tale notificazione è subordinata all'esistenza di particolari circostanze, nonché
all'indicazione, nel decreto motivato posto in calce all'atto, del mezzo tecnico prescelto e
delle modalità ritenute necessarie per portare l'atto a conoscenza del destinatario.
■ L'art. 151 c.p.p. disciplina le “notificazioni richieste dal pubblico ministero”: nel corso della fase
delle indagini preliminari sono eseguite dall'ufficiale giudiziario.
La polizia giudiziaria può provvedere nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la
stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire.
Si applicano anche in questo caso le forme telefoniche e telegrafiche ex art. 149, ma non
quelle ex art. 150.
■ L'art. 152 c.p.p. disciplina le “notificazioni richieste dalle parti private”: gli è infatti consentito
sostituire alle forme ordinarie l'invio di copia dell'atto effettuato dal difensore tramite lettera
raccomandata con avviso di ricevimento.
10
3
La notificazione può dirsi perfezionata con la ricezione della raccomandata, secondo le
regole fissate dall'ordinamento postale. L'art. 56 disp. att. impone al difensore di documentare
la spedizione con il deposito in cancelleria di:
a) copia dell'atto inviato,
b) l'attestazione di conformità all'originale,
c) l'avviso di ricevimento.
Il difensore resta libero di spedire l'atto in busta chiusa o in piego, ma per evitare future
contestazioni deve indicare quale dei due strumenti abbia utilizzato.
■ L'art. 156 c.p.p. disciplina le notificazione all'imputato detenuto in Italia, anche per una causa
diversa rispetto al procedimento in corso:
□ comma 1 prevede l'esecuzione della notifica mediante consegna in mani proprie nel luogo di
detenzione, materialmente può essere effettuata anche dall'agente di custodia;
□ comma 2 prevede l'ipotesi in cui l'imputato rifiuti di ricevere l'atto: se ne fa menzione nella
relazione di notifica e le copia è consegnata al direttore dell'istituto o a chi ne fa le veci.
Nel caso di imputato legittimamente assente perché usufruisce di un regime di semilibertà,
semidetenzione o di autorizzazione al lavoro esterno e nel caso di imputato che si trova
detenuto in luogo diverso dallo stabilimento penitenziario, si hanno modalità particolari di
notificazione.
□ comma 5 esclude che la notificazione all'imputato detenuto od internato possa effettuarsi con il
rito degli irreperibili.
■ L'art. 157 c.p.p. si occupa della prima notifica all'imputato libero: si accorda preferenza alla
consegna di copia dell'atto a mani proprie, ovunque l'imputato si trovi.
Se questo non è possibile, la notifica viene eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui il
soggetto esercita abitualmente l'attività lavorativa, consegnando la copia ad un convivente, anche
temporaneo, o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci.
La convivenza non è intesa come coabitazione, è quindi valido consegnatario chi
sia legato al destinatario da un rapporto di collaborazione, nell'espletamento di faccende in
ambito domestico.
Quando tali luoghi non siano conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove
l'imputato ha temporanea dimora o recapito, mediante consegna ad una delle persone dette.
Il portiere provvede a sottoscrivere l'originale dell'atto notificato mentre l'ufficiale
giudiziario deve dare notizia al destinatario, mediante lettera raccomandata con
avviso di ricevimento, dell'avvenuta notifica (gli effetti decorrono comunque dal
ricevimento della raccomandata).
È vietato consegnare la copia ad un minore di 14 anni o a chi versi in stato di
manifesta incapacità di intendere o di volere.
□ Il comma 5 prevede che l'autorità giudiziaria disponga il rinnovo della notificazione quando la
copia sia stata consegnata alla persona offesa e risulti o appaia probabile che l'imputato non abbia
avuto effettiva conoscenza dell'atto notificato.
□ Il comma 6 prevede che, se la consegna è fatta nelle mani di persona diversa dal destinatario, il
plico deve essere consegnato chiuso, mentre la relazione della notifica deve essere effettuata
secondo del forme dell'art. 148.
10
4
□ In base al comma 8 se la notificazione non è eseguibile nei modi previsti, l'atto è depositato nella
casa comunale dove l'imputato ha l'abitazione, o in subordine, dove esercita abitualmente la sua
attività lavorativa; un avviso di deposito è affisso sulla porta della casa d'abitazione o sul luogo di
esercizio dell'attività. L'ufficiale giudiziario dà comunicazione dell'avvenuto deposito all'imputato
con lettera raccomandata con avviso di ricevimento; solo dalla ricezione della raccomandata
ricorrono gli effetti della notificazione.
□ Il comma 8-bis disciplina le notificazioni all'imputato libero successive alla prima: se l'imputato
ha nominato un difensore di fiducia, le notificazioni sono effettuate mediante consegna a tale
difensore, sempre che l'imputato non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio.
Tale regola vale solo per il difensore di fiducia, ma gli si riconosce il potere di
dichiarare immediatamente all'autorità che procede di non accettare la sua
notificazione.
Tale rifiuto deve essere immediato.
Tali notificazioni al difensore possono disporsi con le forme ex art. 148 comma 2-bis, cioè con
mezzi tecnici idonei.
■ L'art. 158 c.p.p. disciplina la prima notificazione ad imputato militare in servizio attivo, quando tale
status risulti agli atti. Se non è possibile la consegna in mani proprie, l'atto è notificato presso
l'ufficio del comandante del corpo; questo provvederà ad informare immediatamente l'interessato,
annotando data, ora e modalità in un apposito registro.
Se la prima notificazione non va a buon fine, si ha l'obbligo di un secondo accesso per
cercare l'imputato presso la casa d'abitazione ovvero presso la sede del lavoro abituale, o
presso i luoghi di dimora o di recapito.
Art. 59 disp. att. nella relazione di notifica vanno indicate le ore dei due accessi, il
secondo dei quali deve avvenire in un giorno successivo ed in orario diverso rispetto al
primo.
Secondo l’ art. 159, condizione essenziale per far luogo alla dichiarazione di irreperibilità è
l'impossibilità di eseguire la notificazione secondo le forme dettate per la notifica dell'imputato non
detenuto.
Nel caso in cui la notificazione all'imputato non detenuto non abbia avuto effetto sorge, in capo al
giudice o al pubblico ministero, l'obbligo di disporre nuove ricerche a cui provvede la polizia
giudiziaria. Tali ricerche investono, in via successiva:
a) il luogo di nascita,
b) l'ultima residenza anagrafica,
c) l'ultima dimora,
d) il luogo dove il soggetto esercita abitualmente la sua attività lavorativa,
e) nonché presso l'amministrazione carceraria centrale.
→ L'elenco dei luoghi non ha carattere tassativo.
Se le ricerche non danno esito positivo, il giudice o il pubblico ministero emettono l'apposito
decreto con cui, qualora l'imputato sia privo di difensore, si provvede, in ogni caso, a designarne
uno d'ufficio.
La notificazione va eseguita con consegna di copia dell'atto al difensore, che assume così
la rappresentanza dell'irreperibile.
Le notificazioni eseguite in questo modo sono valide ad ogni effetto.
■ Secondo l'art. 160 c.p.p. l'irreperibilità dichiarata nel corso delle indagini preliminari perde la sua
efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l'udienza preliminare ovvero, se questa
manca, con la chiusura della fase delle indagini preliminari; quindi il decreto emesso dal pubblico
ministero vale per le notificazioni disposte dal giudice.
Il decreto emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell'udienza
preliminare ovvero i decreti relativi alla notificazione del provvedimento che dispone il
giudizio, emessi dal giudice o dal pubblico ministero in caso di citazione diretta a giudizio
davanti al tribunale in composizione monocratica e nel giudizio direttissimo con imputato
libero, cessano di avere efficacia con la pronuncia di primo grado: la notificazione dell'estratto
della sentenza all'imputato contumace comporta l'emissione di un nuovo decreto.
L'efficacia del decreto emesso dal giudice di secondo grado o di rinvio cessa con la pronuncia della
sentenza. Anche nel giudizio di cassazione possono sussistere i presupposti perché si faccia luogo
al decreto di irreperibilità.
Il DECRETO DI IRREPERIBILITÀ resta sempre sottoposto alla clausola rebus sic stantibus, in
quanto meramente dichiarativo di uno stato preesistente. Ogni decreto di irreperibilità deve
essere preceduto da nuove ricerche ex art. 159.
L’elezioni di domicilio
La leale collaborazione da parte del destinatario degli atti è una condizione imprescindibile. Ne
deriva l'onere per l'imputato di determinare il luogo dove dovranno essergli notificati gli atti, con
10
6
un'apposita dichiarazione o elezione di domicilio: la notificazione avverrà non in un luogo
astrattamente ritenuto idoneo alla conoscenza, ma in uno indicato dallo stesso imputato.
È stato affermato il principio di diritto secondo cui la dichiarazione di domicilio prevale sulla
precedente elezione, anche se non espressamente revocata, in quanto con tale dichiarazione il
destinatario ha dimostrato in modo inequivocabile di voler ricevere gli atti in luogo diverso
dal domicilio eletto.
■ L'art. 161 c.p.p. dispone che nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle
indagini o dell'imputato, non detenuti né internati, il giudice, il pubblico ministero o gli ufficiali o
agenti di polizia giudiziaria li invitano a dichiarare o a eleggere domicilio per le notificazioni.
È anche rivolto l'avvertimento che ha l'obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio
dichiarato o eletto e che, in mancanza di tale comunicazione, o in caso di rifiuto di
dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al
difensore (c.d. domicilio legale).
Nel verbale dovrà darsi menzione della scelta effettuata dall'imputato o dalla persona sottoposta
alle indagini.
□ Il comma 3 prevede modalità analoghe per l'imputato scarcerato per una causa diversa dal
proscioglimento definitivo o dimesso da un istituto per l'esecuzione di misure di sicurezza.
■ L'art. 162 c.p.p. fornisce un elenco tassativo delle forme con cui è comunicato il domicilio
dichiarato o eletto, consistono in:
a. una comunicazione all'autorità procedente,
b. dichiarazione raccolta a verbale, anche dalla cancelleria del tribunale fuori sede,
c. ovvero mediante telegramma o lettera raccomandata muniti di sottoscrizione autenticata.
Tra i soggetti abilitati all'autentica c'è il difensore.
L'elezione, la dichiarazione o il mutamento di domicilio esplicano i loro effetti dal momento in
cui giungono a conoscenza dell'autorità giudiziaria procedente, nel frattempo restano valide le
notificazioni disposte nel domicilio precedentemente eletto.
■ L'art. 164 c.p.p. prevede che la determinazione del domicilio dichiarato o eletto vale per ogni stato
e grado del procedimento, salvo che l'imputato sia sottoposto, in seguito, a detenzione o che si tratti
di ricorso per cassazione.
10
7
La notificazione a soggetti diversi dall’imputato
■ L'art. 153 c.p.p. ammette le parti e i difensori ad eseguire direttamente la notificazione al pubblico
ministero con la semplice consegna di copia dell'atto nella segreteria del pubblico ministero.
Il comma 2 equipara alla consegna della copia nella relativa segreteria alla diretta presa
visione dell'atto ad opera del pubblico ministero, seguita dalla sottoscrizione.
■ L'art. 154 c.p.p. disciplina la notificazione alla persona offesa, alla parte civile, al responsabile
civile ed al civilmente obbligato per la pena pecuniaria, per i quali valgono, in linea generale, le
forme prescritte per la prima notificazione all'imputato non detenuto.
Sono introdotte due DEROGHE alla disciplina delle notificazioni ex art. 157:
o una relativa alla tutela della riservatezza,
o l'altra relativa al doppio accesso da parte dell'ufficiale giudiziario, cui si aggiunge
una previsione circa i casi di irreperibilità, di resistenza o dimora all'estero.
In questi casi la notificazione si dà per avvenuta con il deposito in cancelleria (se
l'offeso, dall'estero, non abbia dichiarato o eletto domicilio nel territorio dello Stato).
Se la persona offesa si avvale, ex art. 101, della nomina di un difensore, questo, per
ragioni di economia e celerità, assume la funzione di domiciliatario ex lege. La revoca
della nomina del difensore non seguita da sostituzione con un altro, determina il ripristino
delle formule ex art. 154.
□ comma 4 le notificazioni alla parte civile, la quale deve nominare un difensore all'atto della
costituzione, vengono eseguite presso tale difensore, che cumula il ruolo di domiciliatario.
Lo stesso vale per il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria; se
questi, dopo esser stati citati non hanno provveduto a costituirsi, hanno l'onere di dichiarare o
eleggere il proprio domicilio nel luogo in cui si procede; diversamente le notificazioni sono
eseguite mediante deposito in cancelleria.
□ comma 3 prevede che se i destinatari sono pubbliche amministrazioni, persone giuridiche o
enti privi di personalità giuridica, le notificazioni seguono le regole del rito civile.
■ L'art. 155 c.p.p. disciplina i casi in cui per il numero elevato delle persone offese o per
l'impossibilità di identificarne alcune, la notificazione ex art. 154 è difficile, rimandando
all'autorità giudiziaria il potere di disporre l'impiego di un meccanismo simile a quello delle
notificazioni per pubblici proclami: la notificazione per pubblici annunci.
Questa è disposta dall'autorità giudiziaria, con decreto steso in calce all'atto dove sono
indicati i modi ritenuti opportuni per portare l'atto a conoscenza degli interessati.
Copia dell'atto è depositata nella casa comunale del luogo dove si trova l'autorità
procedente ed un estratto dell'atto è inserito nella Gazzetta Ufficiale.
La notificazione si ha per avvenuta quando l'ufficiale giudiziario deposita una copia
dell'atto nella segreteria o nella cancelleria dell'autorità procedente, con la relazione di
notifica e i documenti significativi.
■ L'art. 167 c.p.p. nei confronti dei difensori, testimoni, periti, interpreti, consulenti tecnici, custodi di
cose sequestrate, procuratori e curatori speciali, mantiene il richiamo alla disciplina della prima
notificazione all'imputato non detenuto, ma non operano le regole dettate per la riservatezza e per il
doppio accesso.
10
8
La relazione di notificazione e le cause di nullità.
■ L'art. 168 c.p.p. prevede che nella relazione, scritta in calce all'originale ed alle singole copie
notificate, l'ufficiale giudiziario indichi:
a. il richiedente,
b. le ricerche effettuate,
c. le generalità della persona a cui è stata consegnata la copia e, quando la notificazione non
avvenga in mani proprie, i rapporti tra destinatario e consegnatario, le funzioni e le mansioni
svolte da questo,
d. il luogo e la data della consegna.
10
9
■ L'art. 171 c.p.p. prevede le CAUSE DI NULLITÀ DELLE NOTIFICAZIONI, da integrarsi
comunque con quelle generali previste dall'art. 178, nonché con le ipotesi di inesistenza vera e
propria.
Sono causa di nullità:
a. l'atto notificato in modo incompleto, salvo che sia consentito l'estratto;
b. l'incertezza assoluta circa il richiedente o il destinatario;
c. il difetto nella relazione della copia notificata della sottoscrizione di chi l'ha eseguita;
d. la violazione delle disposizioni circa la persona a cui la copia deve essere
consegnata, secondo l'ordine prescritto;
e. la mancanza dell'avvertimento, da parte del giudice o del direttore dell'istituto, nei casi
ex art. 161, sempre che la notificazione sia stata eseguita con consegna al difensore;
f. dopo il deposito nella casa comunale, l'omessa affissione sulla porta dell'imputato o la
mancata comunicazione ex art. 157 co 8;
g. la mancanza sull'originale dell'atto notificato della sottoscrizione del portiere o di chi
ne fa le veci;
h. l'inosservanza delle modalità fissate dal giudice nel decreto motivato con cui è stata
disposta una forma particolare di notificazione, purché l'atto non sia giunto a
conoscenza del destinatario.
Se lo scopo conoscitivo viene raggiunto, l'invalidità non si verifica.
La mancata indicazione della data della consegna nella relazione dell'ufficiale giudiziario dà luogo a
responsabilità disciplinare.
11
0
Le regole generali in materia di termini
I termini processuali assegnano dei limiti cronologici all'attività dei soggetti del procedimento
e determinano la cessazione degli effetti dell'atto (c.d. caducazione).
I termini possono classificarsi come:
DILATORI, fanno si che un atto non possa compiersi o produrre effetti prima che il relativo
termine sia decorso, generano così un effetto inibitorio dell'attività dei soggetti del
procedimento; es. termine di comparizione. Se l'atto viene egualmente compiuto risulterà, di
regola, affetto da nullità;
ACCELERATORI, stimolano l'evolversi del procedimento o di situazioni a questo collegate;
es. termine per proporre querela; predeterminano un periodo di tempo utile per il
compimento dell'atto o il mantenimento della sua efficacia.
Può capitare che uno stesso termine assuma un'efficacia diversa in funzione dell'attività dei soggetti
del procedimento cui si riferisce.
In base alle conseguenze ricollegate, i termini possono essere:
o ORDINATORI, quelli le cui conseguenze sono prive di rilevanza di natura processuale,
salvi restando eventuali riflessi disciplinari; es. termini per il deposito della sentenza;
o PERENTORI, i termini la cui scadenza comporta la perdita del potere di compiere l'atto al
quale ineriscono oppure la cessazione degli effetti dello stesso; l'inosservanza di questi
termini è riportata alla sanzione della decadenza dal corrispondente potere, salva la
restituzione nel termine scaduto.
A volte i termini sono stabiliti in relazione a determinati accadimenti, più spesso ad unità di tempo.
■ L'art. 172 c.p.p. detta le regole generali della disciplina dei termini.
La scadenza del termine in un giorno festivo comporta una proroga ex lege al giorno successivo.
Non hanno invece rilievo i giorni festivi durante il decorso del termine, salvo
sia diversamente disposto.
Nel computare i termini stabiliti ad ore o a giorni non si ha riguardo alla frazione di ora o giorno
immediatamente successiva all'avvenimento considerato, mentre si conteggia l'ultima ora o l'ultimo
giorno designato. Tale regola è comunque derogabile.
Se è stabilito solo il momento finale, le unità di tempo si computano intere e libere, non si tiene
conto né del dies a quo né del dies ad quem.
Il termine perentorio per fare dichiarazioni, depositare documenti o compiere altri atti in un ufficio
giudiziario si considera scaduto nel momento in cui, secondo gli appositi regolamenti, l'ufficio
viene chiuso al pubblico, a prescindere dall'orario di servizio del personale addetto.
Tale norma riguarda solo gli atti da compiere personalmente e non quelli che possono essere
trasmessi a mezzo di raccomandata o telegramma.
In base all'art. 583 l'impugnazione si considera proposta nella data di spedizione della
raccomandata o del telegramma.
11
1
■ L'art. 173 c.p.p. prevede che i termini previsti a pena di decadenza siano indicati tassativamente
dalla legge.
Benché tra i motivi di ricorso per cassazione ex art. 606, la decadenza non si risolve in una specie
di invalidità degli atti del procedimento. La decadenza consiste nella perdita del potere di compiere
l'atto per l'avvenuto decorso del relativo termine.
Talvolta il legislatore ricollega alla decadenza l'inammissibilità dell'atto realizzato a termine
scaduto, altre volte pone, a pena di inammissibilità dell'atto l'osservanza degli stessi.
L'inammissibilità è un vizio dell'atto, integra una species del genus dell'invalidità.
Secondo la dottrina più autorevole, tra la previsione a pena di decadenza e quella a pena di
inammissibilità non corre differenza quanto alla loro natura, trattandosi di due aspetti dello
stesso fenomeno. Da qui l'espandersi agli atti inammissibili per l'inutile decorso del tempo
della disciplina operante per la decadenza, compresa la restituzione nel termine.
I termini stabiliti a pena di decadenza sono IMPROROGABILI, salve diverse disposizioni di legge:
a) proroghe accordate dal Ministro della giustizia in rapporto ad eventi di carattere
eccezionale,
b) proroga dei termini per le indagini preliminari e proroga dei termini per la
custodia cautelare, richieste dal pubblico ministero al giudice.
L'abbreviazione del termine è un istituto chiesto o consentito dalla parte a favore della quale è
stabilito, con dichiarazione ricevuta nella cancelleria o nella segreteria dell'autorità procedente.
La proroga è l'istituto che presuppone la pendenza di un termine già in corso, posticipandone la
relativa scadenza.
Il prolungamento dei termini di comparizione, ex art. 174, scatta invece fin dal momento
della fissazione del termine dilatorio ordinario, indipendentemente dalla circostanza che
questo sia o no prorogato.
■ L'istituto della SOSPENSIONE DEI TERMINI non è considerato nel Titolo VI del c.p.p.
Per la durata della fase delle indagini preliminari un caso di sospensione dei termini si ha:
o ex art. 70 comma 3, riguardo all'espletamento della perizia volta a stabilire se la persona
sottoposta alle indagini sia in grado di partecipare coscientemente al processo;
o ex art. 405 comma 4 con riguardo al tempo intercorrente fra la richiesta di autorizzazione a
procedere ed il momento in cui la stessa perviene al pubblico ministero.
o Per la durata della custodia cautelare i casi di sospensione sono previsti all'art. 304.
o Art. 240-bis disp. att. si ha sospensione dei termini processuali in materia penale durante il
periodo feriale, dal 1 agosto al 15 settembre di ogni anno.
Tale istituto si estende anche al procedimento di esecuzione e a quello di sorveglianza. Non
riguarda l'attività del giudice; nel periodo feriale può essere depositata la motivazione di un
provvedimento, ma il dies a quo per impugnarlo decorre dalla cessazione di tale periodo.
La sospensione dei termini procedurali (quindi comprensivi di quelli stabiliti per le indagini
preliminari) non opera nei procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare, qualora
essi o i loro difensori rinuncino inequivocabilmente ad avvalersene.
In ogni caso, la sospensione dei termini di durata delle indagini preliminari non scatta
nei procedimenti per reati di criminalità organizzata, investendo anche i termini delle
impugnazioni in materia di misure cautelari personali.
11
2
Se si tratta di procedimenti per reati la cui prescrizione matura durante la sospensione feriale o nei
successivi 45 giorni, ovvero se durante tale termine scadono o sono prossimi a scadere i termini per
la custodia cautelare, il giudice che procede, anche d'ufficio, pronuncia ordinanza inoppugnabile,
ma revocabile, con cui è specificamente motivata e dichiarata l'urgenza del processo.
In tal caso i termini decorrono, anche nel periodo feriale, dalla data di notificazione dell'ordinanza.
La sospensione dei termini non opera nei casi ex art. 467, cioè in caso di atti non rinviabili
al dibattimento.
Se nel corso del dibattimento sospeso si presenta la necessità di assumere prove nel periodo
feriale, il presidente procede ex art. 467. Nel caso in cui la prova non fosse già stata
ammessa, il giudice provvede nella prima udienza successiva ex art. 495 e le prove
dichiarate inammissibili non possono essere utilizzate.
Durante le indagini preliminari, quando occorra procedere con la massima urgenza nel periodo
feriale al compimento di atti per i quali operi la sospensione di tali termini, il giudice per le
indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, della persona sottoposta ad indagini o del
suo difensore, pronuncia ordinanza nella quale sono specificatamente enunciate le ragioni
dell'urgenza e la natura degli atti da compiere.
Allo stesso modo provvede il pubblico ministero, con decreto motivato, quando deve procedere al
compimento di accertamenti tecnici non ripetibili.
In questi casi, gli avvisi notificati ai soggetti del procedimento ed ai difensori devono
menzionare l'ordinanza o il decreto, e i relativi termini decorrono dalla data di notificazione.
Deve trattarsi di atti per i quali operino le garanzie difensive.
I soggetti titolari del diritto ad ottenere la restituzione nel termine sono le parti ed i difensori.
La legittimazione del difensore a richiedere la restituzione può essere originaria o
dipendente dal mandato, in ragione della tipologia di situazioni.
Nella fase delle indagini preliminari si ritiene legittimata anche la persona offesa.
La giurisprudenza esclude che l'istituto possa essere invocato per presentare la
querela: l'aspirante querelante non è parte e la querela non è un atto del
procedimento, essendo anteriore al suo inizio.
In teoria è ammissibile la richiesta del querelante in vista dell'impugnazione del
capo di sentenza relativo alla condanna alle spese e ai danni.
La legge richiede la PROVA ASSOLUTA che non si è potuto osservare un termine stabilito a
pena di decadenza per caso fortuito o forza maggiore.
La restituzione nel termine si articola in due ipotesi della portata e soprattutto dalla matrice storica, ben
diverse.
1) La prima è quella per così dire ordinaria, e presuppone ai sensi dell’articolo 175 comma 1°, la prova
assoluta che non si è potuto osservare un termine stabilito a pena di decadenza per casofortuito o
forza maggiore. Il termine per proporre la richiesta di restituzione nel termine e, nei casi in parola,
di 10 giorni che decorrono in virtù del secondo periodo dell’articolo 175 comma 1°, da quello nel
11
3
quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore.
2) La seconda ipotesi, nella versione originaria dell'articolo 175 comma 2°, scattava allorquando fosse
stata pronunciata sentenza contumaciale ovvero un decreto penale di condanna, prevedendosi il
diritto alla restituzione nel termine per proporre impugnazione od opposizione a favore dell’imputato
che avesse provato di non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento. A seguito della l.
67/2014 che ha eliminato la figura della contumacia nel nostro sistema, questo comma è stato
sostituito per cui ad oggi si prevede che può ottenere la restituzione nel termine l’imputato
condannato con decreto penale che non ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento.
□ Il comma 2-bis prevede che il termine per proporre la richiesta di restituzione sia, a pena di
decadenza, entro 30 giorni dal momento in cui l'imputato ha acquisito effettiva conoscenza del
provvedimento.
Se l'imputato deve essere estradato all'estero, il termine per la presentazione della
richiesta decorre dal giorno in cui l'imputato condannato è stato consegnato all'autorità
giudiziaria italiana.
Sono però passibili di illegittimità costituzionale il fatto che il diritto di ottenere la
restituzione nel termine non consegue al diritto di adire al giudizio abbreviato o di
richiedere l'applicazione della pena, trattandosi di procedimenti speciali non
praticabili nei giudizi di impugnazione: da qui emerge una disparità di trattamento
destinata a ripercuotersi sull'eventuale regime sanzionatorio.
Altro profilo passibile di illegittimità relativo al diritto di difesa è che il contumace
inconsapevole non gode, nel giudizio di appello, del diritto alla rinnovazione dell'istruttoria
dibattimentale.
□ Il comma 3 prescrive che la restituzione nel termine non può esser concessa più di una volta per
ciascuna parte in ciascun grado.
L'organo competente a pronunciarsi sulla richiesta di restituzione è :
a) nella fase anteriore all'esercizio dell'azione penale il giudice delle indagini preliminari;
b) esercitata l'azione penale, decide il giudice procedente ovvero, se è stata pronunciata
sentenza di condanna, il giudice che sarebbe competente sull'impugnazione o
sull'opposizione a decreto penale.
Si applica il procedimento camerale ex art. 127 ogni volta che la richiesta di restituzione nel
termine si inserisce in un procedimento principale in corso di svolgimento con rito camerale.
L'ordinanza che concede la restituzione nel termine è INOPPUGNABILE, salvo quella per
proporre impugnazione o opposizione: in questi casi l'impugnazione dell'ordinanza è differita,
perché congiunta a quella della sentenza che decide sull'impugnazione o sull'opposizione; se la
richiesta è respinta, è proponibile ricorso per cassazione.
In base all'art. 176 c.p.p., gli effetti della restituzione nel termine non comportano regressioni di
rito. Gli atti, su richiesta di parte, sono rinnovati dal giudice che ha concesso la restituzione, se ciò è
possibile e sempre che si tratti di atti ai quali la parte avesse diritto ad assistere.
11
4
Se la restituzione è accordata dalla corte di cassazione, questa può disporre la rinnovazione
dell'atto, ma al relativo adempimento provvederà il giudice di merito.
Vige il principio di conservazione degli atti imperfetti: l'atto, pur dando vita ad una diversa
fattispecie, diviene idoneo a produrre effetti, anche se questi assumono carattere precario, in
attesa di una sanatoria del vizio o di una declaratoria di invalidità dell'atto.
La sanatoria del vizio dà vita ad un'altra fattispecie, equivalente, relativamente agli effetti, a
quella viziata, ma integrata da altri fattori, detti cause di sanatoria, perché, verificandosi,
consolidano ex tunc gli effetti dell'atto.
Quando l'invalidità è dichiarata dal giudice, l'attività del giudice provoca, sempre ex
tunc, l'eliminazione degli effetti dell'atto.
INESISTENZA
L'inesistenza genera un vizio rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, compreso quello
di esecuzione, ma anche oltre, con un'azione di accertamento, in quanto la gravità di questo vizio
è tale da impedire la formazione del giudicato.
In caso di abnormità del provvedimento del giudice, l'atto è idoneo ad integrare lo schema
normativo minimo, ma il suo contenuto è estemporaneo, sul piano strutturale e su quello funzionale;
ad es. la trasmissione degli atti al pubblico ministero motivata dall'esigenza di rinnovare il
decreto di citazione a giudizio, che spetta allo stesso giudice del tribunale in
composizione monocratica.
L'inesistenza pone rimedio alla tassatività delle cause di nullità, l'abnormità pone invece rimedio
alla tassatività oggettiva delle impugnazioni, rendendo ammissibile un autonomo ricorso per
cassazione o la rilevazione ufficiosa da parte del giudice dell'impugnazione ritualmente
investito.
L'abnormità è assoggettata agli ordinari termini di impugnazione, sicché perde rilevanza
a seguito della formazione del giudicato a differenza dell’inesistenza.
11
5
NULLITA’
Le disposizioni in tema di nullità sono caratterizzate dal principio di tassatività.
L'art. 177 riporta tale principio all'inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del
procedimento, comprese quelle relative alla fase delle indagini preliminari, quindi anche agli
atti compiuti dal pubblico ministero.
All'interprete non è consentito ricorrere all'integrazione analogica, facendo leva sulle
disposizioni che creano ipotesi di nullità, e neanche, una volta accertata la causa di nullità,
valutare l'esistenza di un conseguente pregiudizio effettivo.
Essendo le nullità un sistema chiuso, fuori dalle ipotesi esplicitamente definite o
implicitamente definibili, non vi sono spazi residui per tale invalidità.
I vizi della volontà considerati dal c.c. non sono riferibili agli atti processuali penali data
l'autosufficienza del relativo sistema delle nullità: un atto, anche se inficiato da violenza o
minaccia, è processualmente valido. Al più gli interrogatori dell'imputato e le prove affette da vizi
della volontà conseguenti all'adozione di metodi o tecniche idonee ad influire sulla libertà di
autodeterminazione, rientrano nell'ambito dell'inutilizzabilità.
Caso diverso quando l'assoluto difetto sia conseguenza di una coazione fisica, essendo la
volontarietà il coefficiente psichico minimo di ogni atto processuale penale
inesistenza giuridica
Gli errores in iudicando non rientrano tra le nullità, per quanto motivi di autonomo ricorso per
cassazione, quindi la loro disciplina si ricava dai poteri di impugnazione delle parti e dei poteri di
annullamento conferiti al giudice dell'impugnazione stessa. Anche gli errores in iudicando entrano
a far parte delle cause di invalidità, dati i tempi, i modi in cui sono fatti valere, la loro sanabilità e la
natura degli effetti conseguenti la loro declaratoria.
Le altre difformità rientrano tra le mere irregolarità, produttive al più di conseguenze di natura
disciplinare ex art. 124 o ricavabili tramite altri rami dell'ordinamento, a meno che non rientrino
nelle invalidità date dall'inesistenza giuridica, che comprende vizi tali da indurre il legislatore a
non ipotizzarne neanche l'eventualità e l'interprete a negarne la collocazione tra gli atti giuridici.
L’errore materiale segue una propria disciplina ex art 130
INAMMISSIBILITA’
I requisiti la cui assenza produce l'inammissibilità sono vari: può derivare dal compimento dell'atto
nonostante la scadenza del relativo termine perentorio, dalla titolarità o dalla forma della domanda,
dall'omissione di alcuni contenuti della stessa, ovvero dalla sussistenza di un certo rapporto con un
altro atto.
L'inammissibilità è oggetto di un autonomo motivo di ricorso per cassazione ed è
dichiarabile d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento, senza altra sanatoria se non il
giudicato, a meno che non siano espressamente previsti limiti temporali alla sua rilevazione.
L'inutilizzabilità non è disciplinata nel libro II, nonostante sia motivo di ricorso per
cassazione come la nullità e la decadenza.
L'inutilizzabilità non riguarda tutti gli atti del procedimento ma solo gli atti probatori e gli atti delle
indagini preliminari. Ogni ipotesi di inutilizzabilità è funzionale ad una esigenza di tutela della
legalità della prova. Non è stato enunciato un principio di tassatività relativamente
all'inutilizzabilità.
Si ritiene che le ipotesi di inutilizzabilità integrino un numero chiuso anche rispetto alla
fase dibattimentale, posto che la regola ex art. 526, secondo cui il giudice non può
utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite al
dibattimento, vale per tutte e sole le violazioni relative al procedimento di ammissione o di
assunzione della prova nella stessa fase dibattimentale.
L'inutilizzabilità è, solitamente, di natura assoluta perché proveniente da un vero e proprio divieto
11
6
di ammissione o di acquisizione valido nei confronti di chiunque, mentre solo talvolta assume
natura relativa, in quanto riferita a determinate categorie di soggetti (intercettazioni di regola non
sono utilizzabili in un procedimento diverso da quello per cui sono state disposte).
Le Sezioni unite hanno recentemente ritenuto che la sanzione di inutilizzabilità operi anche nel
procedimento volto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, di conseguenza
l'inutilizzabilità della prova dichiarata nel procedimento di cognizione comporta il divieto di trarre
dalla stessa elementi circa il dolo o la colpa grave che possono impedire il riconoscimento al
prosciolto dell'equa riparazione ex art. 314, indipendentemente dalla natura civilistica o penalistica
assegnata al procedimento de quo.
È rilevabile in ogni stato e grado del procedimento.
Il principio di tassatività della nullità e la tecnica di previsione Non contrasta con il
principio di tassatività il fatto che alcune nullità siano ricavabili da una disposizione
generale che rinvia ad una serie di fattispecie altrove disciplinate.
L'art. 178 c.p.p. è dedicato alle nullità di ordine generale; prescrive a pena di nullità l'osservanza di
alcune disposizioni concernenti il giudice, il pubblico ministero, l'imputato (comprendente colui
che è sottoposto alle indagini), le altre parti private, i loro difensori e rappresentanti, nonché la
citazione a giudizio della persona offesa dal reato e del querelante.
Alle nullità di ordine generale si contrappongono le nullità speciali, stabilite da un'apposita
previsione legislativa. Non sempre però la previsione in termini specifici comporta, di per
sé, il regime consueto delle nullità speciali.
La distinzione tra nullità di ordine generale e nullità di ordine speciale allude alla
differenza tecnica di comminatoria adottata dal legislatore; quando si parla di nullità
assolute, intermedie o relative, si allude al regime di trattamento previsto dalla legge per le
diverse specie di nullità.
Le nullità assolute
Art. 179 - Nullità assolute.
1. Sono insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità previste
dall'articolo 178 comma 1 lettera a), quelle concernenti l'iniziativa del pubblico ministero
nell'esercizio dell'azione penale (lett b) e quelle derivanti dalla omessa citazione dell'imputato o
dall'assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza.
2. Sono altresì insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità
definite assolute da specifiche disposizioni di legge.
Art. 179 c.p.p. le nullità assolute sono insanabili, anche se questo non è un carattere esclusivo di tali
nullità. Sono sottoposte alla forza preclusiva del giudicato, all'irrevocabilità della sentenza e
all'immutabilità dell'ordinanza o del decreto che chiude il procedimento.
L'art. 627 comma 4 prevede che non sono rilevabili nel giudizio di rinvio le nullità assolute
verificatesi anteriormente in forza del giudicato implicito; si deve quindi ritenere che ciò
che distingue le nullità assolute da tutte le altre sia il normale regime di insanabilità fino
all'irrevocabilità del giudicato.
Altra caratteristica delle nullità assolute è che sono rilevabili d'ufficio dal giudice in ogni stato
e grado del procedimento, anche se non è esclusiva delle nullità assolute, essendo comune
anche alle nullità a regime intermedio.
□ Le nullità assolute relative al GIUDICE coincidono con le nullità di ordine generale: è causa
di nullità assoluta l'inosservanza delle disposizioni circa le condizioni di capacità del giudice e
il numero dei giudici necessari a costituire i collegi giudicanti. Non sono nullità assolute i vizi
sulla nomina del giudice, ove non rientranti nell'ambito della capacità.
□ Le nullità assolute relative al PUBBLICO MINISTERO sono quelle, tra le nullità generali, circa
l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale. Sono riconducibili al regime
11
7
delle nullità assolute :
a) le violazioni di disposizioni circa l'atto di promuovimento dell'azione penale, con
riferimento sia alla sua mancanza che alla sua invalidità (art. 405);
b) le nullità circa l'imputazione coatta e circa la contestazione in udienza del reato commesso o
del fatto nuovo,
c) nonché circa la citazione diretta a giudizio nel procedimento davanti al tribunale
in composizione monocratica.
Si ha nullità assoluta quando il giudice decide sul fatto nuovo emerso nell'udienza preliminare o nel
corso dell'istruzione dibattimentale senza che tale fatto sia stato formalmente contestato dal
pubblico ministero, oppure quando il fatto storico descritto nell'imputazione viene sostituito con un
altro fatto.
□ Tra le nullità assolute rientrano le violazioni delle disposizioni sulla capacità e sulla legittimazione
del rappresentante del pubblico ministero, purché si riflettano sulla sua iniziativa nell'esercizio
dell'azione penale.
Circa le violazioni della disposizione sulla capacità del rappresentante del pm, si
considerino ad esempio le norme sulla delega nominativa a svolgere le funzioni di
pubblico ministero nell'udienza dibattimentale davanti al tribunale in composizione
monocratica a favore di un uditore giudiziario, di un vice procuratore onorario addetto
all'ufficio o di personale in quiescenza da non più di due anni che nei 5 anni precedenti
abbia svolto le
funzioni di polizia giudiziaria, o di laureati in giurisprudenza che frequentino il secondo
anno della scuola biennale di specializzazione, sempre che uno di questi abbia compiuto un
atto di esercizio dell'azione penale.
Circa le violazioni delle disposizioni sulla legittimazione del rappresentante del pubblico
ministero, si consideri il promuovimento dell'azione davanti ad un giudice diverso da
quello presso cui l'ufficio del pubblico ministero è istituito.
L'intervento dell'imputato è garantito nei confronti delle nullità che derivano dall'omessa citazione
al dibattimento di primo grado, anche quando sia tenuto a seguito di giudizio direttissimo
instaurato nei confronti dell'imputato libero o in caso di giudizio immediato, e al dibattimento di
secondo grado.
Le Sezioni unite hanno ravvisato una nullità assoluta nell'omesso avviso per l'udienza preliminare.
□ Circa il DIFENSORE DELL'IMPUTATO, si ha nullità assoluta quando è assente dal dibattimento
di primo e di secondo grado, in modo da ribadire l'indefettibilità dell'assistenza tecnica nel giudizio
di merito, e in ogni altra ipotesi rispetto alla quale ne sia dichiarata obbligatoria la presenza; ad
esempio l'assenza del difensore all'interrogatorio di persona sottoposta a misura cautelare personale; le sommarie
informazioni che la polizia giudiziaria assume dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini;
l'interrogatorio e il confronto, delegati al pubblico ministero dalla polizia giudiziaria, cui partecipi la persona sottoposta
alle indagini che si trovi in stato di libertà; l'udienza di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo di indiziati;
l'udienza destinata allo svolgimento dell'incidente probatorio; l'udienza preliminare nonché quella in cui è celebrato il
giudizio abbreviato; l'udienza tenuta ai fini del proscioglimento prima del dibattimento; l'udienza tenuta in camera di
consiglio, nel giudizio d'appello, quando si rinnovi l'istruttoria dibattimentale; l'udienza nel procedimento di esecuzione
e di sorveglianza; l'udienza davanti alla corte d'appello nel procedimento di estradizione passiva.
In questi casi l'incapacità o l'incompatibilità del difensore dell'imputato genera una nullità assoluta.
□ comma 2 riconosce l'esistenza di nullità a previsione speciale, definite espressamente assolute.
Esempio è l'art. 525 comma 2, che stabilisce che alla deliberazione della sentenza devono
concorrere gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento, pena la nullità assoluta.
Le nullità intermedie
Art. 180 - Regime delle altre nullità di ordine generale.
1. Salvo quanto disposto dall'articolo 179, le nullità previste dall'articolo 178 sono rilevate anche di
11
8
ufficio, ma non possono più essere rilevate né dedotte dopo la deliberazione della sentenza di
primo grado ovvero, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del
grado successivo.
L'art. 180 c.p.p. prevede altre nullità generali che non siano assolute, ma INTERMEDIE, in quanto in
posizione mediana rispetto al trattamento delle nullità assolute e quello delle nullità relative .
Le nullità intermedie sono rilevabili d'ufficio come le nullità assolute, ma sono sanabili in
un momento anteriore all'irrevocabilità della sentenza come le nullità relative.
Le nullità a regime intermedio non possono essere né rilevate né dedotte :
a) se verificatesi prima del giudizio, dopo la deliberazione della sentenza di primo grado,
b) se verificatesi nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo.
Il riferimento alla deliberazione implica che in camera di consiglio, al momento della
deliberazione, il giudice può rilevare una nullità la cui deduzione non è più consentita alle parti:
per le parti vale il termine della chiusura del dibattimento o della chiusura della discussione,
quando si proceda in camera di consiglio.
Vale il principio per cui una nullità, quando sia stata tempestivamente dedotta ma non
dichiarata dal giudice, risulta in via automatica devoluta al giudice dell'impugnazione,
senza che debba essere oggetto dei relativi motivi di impugnazione perpetuatio
nullitatis.
Per ragioni sistematiche si propende ad applicare tale principio anche nei giudizi per
cassazione, nonostante la previsione ex art. 609 comma 2 secondo la quale la corte
conosce le sole questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo.
Ad esclusione delle nullità riferibili al giudice, che sono tutte assorbite nelle nullità assolute, le
nullità intermedie si ricavano per sottrazione delle nullità assolute ex art. 179 dalle nullità generali
ex art. 178. Non ci sono quindi nullità speciali sottoposte al regime delle nullità intermedie .
- Rientra tra le nullità intermedie l'inosservanza delle disposizioni circa la partecipazione del
pubblico ministero al procedimento, sempre che non rientrino nell'iniziativa all'esercizio
dell'azione penale; in particolare l'attività di prosecuzione dell'azione: rimane inficiata da
nullità intermedia l'inosservanza delle disposizioni circa la modifica dell'imputazione
nell'udienza preliminare o nel dibattimento, ovvero circa l'applicazione della pena richiesta
quando si prevede il necessario consenso del pubblico ministero.
- L'assenza del pubblico ministero in relazione a sequenze procedimentali in cui la sua presenza
è indefettibile genera una nullità a regime intermedio, quando, in costanza degli stessi
presupposti, questi sono causa di nullità assoluta per il difensore dell'imputato.
- Le nullità a regime intermedio possono riguardare anche l'inosservanza delle disposizioni
sull'intervento, assistenza e rappresentanza dell'imputato. Circa l'inosservanza delle disposizioni
sull'intervento si guarda alle ipotesi di diretta e personale partecipazione dell'imputato al
procedimento; circa l'inosservanza delle disposizioni sull'assistenza si guarda alle attività svolte
dal difensore al fine di far valere i diritti e gli interessi dell'imputato, dal consulente tecnico,
dall'interprete, dal curatore speciale; circa l'inosservanza delle disposizioni sulla rappresentanza
dell'imputato si guarda a fattispecie eterogenee, non riconducibili agli schemi civilistici.
Essendo l'inosservanza di tali disposizioni di intervento, assistenza e rappresentanza delle altre
parti private sempre tutelate da nullità intermedie, l'omessa citazione di tali soggetti risulta
sottoposta ad un regime più blando di quello previsto per l'omessa citazione dell'imputato.
Le nullità relative
L'art. 181 c.p.p. determina le NULLITÀ RELATIVE per esclusione, in quanto non generali,
oppure non definite come assolute da specifiche disposizioni di legge. Sono in ogni caso nullità
speciali, poiché la loro esistenza dipende da un'espressa comminatoria.
L'interprete di fronte ad una nullità a previsione speciale, dovrà tentare di ricondurla tra le
nullità generali, se ci riesce dovrà accertare se rientra tra le nullità assolute, se l'indagine dà
esito negativo dovrà farla rientrare tra le nullità intermedie.
Solo quando non riesca a collocare la nullità tra quelle generali, sarà autorizzato a
concludere che la nullità a previsione speciale è assoggettata al regime delle nullità relative.
Le nullità relative devono essere dichiarate dal giudice solo su eccezione della parte interessata.
Le nullità relative alle indagini preliminari o all'incidente probatorio o agli atti dell'udienza
preliminare devono essere eccepite in termini brevi, diversi a seconda che si tenga o meno l'udienza
preliminare:
a) se l'udienza preliminare si tiene, devono essere eccepite prima della pronuncia del
provvedimento conclusivo dell'udienza ex art. 424;
b) se l'udienza preliminare non si tiene, devono essere eccepite subito dopo aver compiuto per
la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti in giudizio, rendendo l'eccezione
di nullità oggetto di una questione preliminare.
Tale termine vale anche per le nullità relative al decreto che dispone il giudizio e per le nullità
concernenti gli atti preliminari al dibattimento; vale, qualora si proceda a giudizio, per le nullità
concernenti gli atti delle indagini preliminari e quelli compiuti nell'incidente probatorio e per le
nullità concernenti gli atti dell'udienza preliminare, che, già regolarmene eccepite, non siano state a
suo tempo dichiarate, mentre nel caso di sentenza di non luogo a procedere le stesse nullità devono
essere riproposte con la relativa impugnazione.
□ il comma 4 prevede che le nullità relative verificatesi nel giudizio debbano essere eccepite
tramite impugnazione della sentenza. Tale principio non vale per le nullità relative che si
sono verificate prima del giudizio e che il giudice non ha dichiarato in tale sede, pur essendo
state eccepite entro i termini loro assegnati.
Vi sono due fattispecie di nullità relative rilevabili anche d'ufficio:
a) circa l'indicazione delle esigenze cautelari quando vi sia pericolo per l'acquisizione
delle prove, è ricompreso nella seconda fattispecie
b) relativa al contenuto dell'ordinanza che dispone la misura cautelare.
12
0
L'inquadramento sistematico di tali fattispecie non è agevole: la rilevabilità d'ufficio le accosta a
nullità a regime intermedio, mentre la considerazione che siano nullità diverse da quelle previste
dagli art. 178 e 179 le avvicina alle nullità relative.
Il carattere residuale le assegna alle nullità relative.
Il mancato esperimento delle specifiche impugnazioni consentite contro le ordinanze cautelari
provoca la sanatoria delle nullità che le affliggono entro i termini di presentazione delle stesse;
anche in sede di revoca della misura cautelare, il giudice non potrebbe rilevare ex officio una
di queste nullità.
In sede di riesame, la nullità della motivazione che dispone la misura coercitiva, anche se
rilevabile d'ufficio, non dovrebbe esplicare alcuna funzione a causa del potere del tribunale
di sovrapporre la sua decisione a quella del giudice di merito. Se anche si ritenesse che il
tribunale non possa integrare una motivazione carente, essendo tenuto ad annullare il
provvedimento impugnato, il giudice del riesame potrebbe comunque disporlo anche per
motivi diversi da quelli enunciati.
Stessa conclusione in sede di appello.
Solo in sede di ricorso per cassazione tale nullità dà luogo ad un effettivo ampliamento
della garanzia della motivazione, allorquando sia viziata la motivazione dell'ordinanza del
tribunale del riesame o quando la cassazione sia stata investita per saltum, benché tra i
motivi di ricorso non figuri quello della nullità della motivazione.
Per le nullità relative alle generalità dell'imputato, all'indicazione del fatto e delle norme violate,
nonché alla data ed alla sottoscrizione dell'atto la rilevabilità d'ufficio ha maggiore efficacia, ma
non nel caso di tribunale del riesame.
In sede di appello sulle ordinanze cautelari non coercitive, la rilevabilità anche d'ufficio rafforza
il controllo di legalità sul provvedimento, abilitando il giudice a travalicare l'ambito dei motivi
addotti.
La deducibilità e la sanatoria
L'istituto della sanatoria è un fatto successivo che, combinandosi con una fattispecie imperfetta,
determina un'equivalenza di effetti rispetto al corrispondente atto perfetto. Non è riferito ai casi in
cui sussiste un difetto di legittimazione a far valere la nullità.
Art. 184 - Sanatoria delle nullità delle citazioni, degli avvisi e delle notificazioni.
1. La nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni è sanata se la
parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire.
2. La parte la quale dichiari che la comparizione è determinata dal solo intento di far rilevare l'irregolarità
ha diritto a un termine per la difesa non inferiore a cinque giorni.
3. Quando la nullità riguarda la citazione a comparire al dibattimento, il termine non può essere inferiore a
quello previsto dall'articolo 429.
12
1
■ Secondo l’ art. 182 c.p.p. la deducibilità delle nullità relative e delle nullità a regime intermedio ha
due LIMITI SOGGETTIVI, non può essere dedotta o eccepita :
a) né da chi vi ha dato o concorso a darvi causa;
b) né da chi non ha interesse all'osservanza della disposizione violata.
Il comma 2 prevede che la nullità sia eccepita prima del compimento dell'atto oppure, se questo
non è possibile, immediatamente dopo.
I termini per rilevare o eccepire le nullità sono stabiliti a pena di decadenza.
12
2
compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito.
4. La disposizione del comma 3 non si applica alle nullità concernenti le prove.
a) invalidità degli atti consecutivi che dipendono dall'atto nullo, tale propagazione si riferisce solo
ad un rapporto di successione cronologica, tale da tradursi in un nesso di causalità necessaria, o
sul piano logico o sul piano giuridico. La giurisprudenza ritiene che l'omesso invio
dell'informazione di garanzia determina la nullità dell'atto per il quale doveva essere inviata e
che la nullità dell'udienza di convalida non si riverbera sull'ordinanza cautelare emessa in tale
sede dal gip. È esclusa l'eventualità di una propagazione a ritroso degli effetti della
dichiarazione di nullità ad un atto anteriore o contemporaneo;
b) il giudice che dichiara la nullità dispone la rinnovazione dell'atto solo quando sia necessaria
(quindi non si ha nullità assoluta) e possibile. Quando procede alla rinnovazione il giudice
ne pone le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave;
c) quando la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello in cui si è verificata si deve
distinguere: la dichiarazione di nullità comporta, indipendentemente dalla tipologia di nullità ,
la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, purché si
tratti di un atto di natura probatoria; se si tratta di nullità concernenti le prove, il giudice non
può avvalersi della regressione ma deve provvedere alla rinnovazione, sempre che questo sia
necessario ai fini della decisione e la prova sia ripetibile.
CAPITOLO 3 – LE PROVE
Il codice dedica il libro III alla disciplina dei mezzi di prova e dei mezzi di ricerca della prova.
L'idea di riunire in un unico contesto normativo, nel codice, la disciplina delle prove nasce da
una duplice esigenza:
- sottolineare la centralità del tema nell'ambito del processo di stampo accusatorio
- ripudiare l'impostazione frammentaria del codice del 1930, che ravvisava nella fase istruttoria
(e non in quella dibattimentale) il baricentro del processo.
Nel titolo I si ha una specie di catalogo dei principi guida da osservare in materia probatoria,
logicamente prioritari rispetto alla regolamentazione dei singoli mezzi e destinati ad essere applicati
ogni volta che, nel corso del processo, si ponga un problema di prova di fatti rilevanti ai fini della
decisione. Tali disposizioni tendono ad unificare il sistema delle prove e sono fortemente innovatori.
Il libro III non è l'unico luogo nel codice dove si possono trovare norme sulla prova (vedi libro
V sulle indagini e l'udienza preliminare e libro VII dedicato al giudizio), ma le disposizioni del
libro
12
3
III trovano applicazione anche oltre le aree processuali tecnicamente destinate alla formazione della
prova, cioè la fase dibattimentale e la fase dell'incidente probatorio.
Riguardo alla fase dell'INCIDENTE PROBATORIO, per quanto concerne l'individuazione
dell'oggetto della prova, bisogna fare riferimento ad una imputazione che, nel momento
dell'incidente, non può ancora essere stata formulata: si dovrà quindi ripiegare su un'ipotesi di
imputazione risultante da altri adempimenti del pubblico ministero (informazione di garanzia), alla
quale dovranno raccordarsi specifiche disposizioni circa l'oggetto dell'incidente.
L'incidenza di tali disposizioni nelle fasi preliminari risulta problematica, non essendoci
disposizioni univoche. Il giudice in sede di udienza preliminare deve attenersi, di regola, a tali
norme, fermi ovviamente i limiti risultanti da specifiche disposizioni di natura derogatoria; ad
esempio dovrà osservare le disposizioni in tema di ammissione delle prove; dovranno essere
osservate le disposizioni in tema di acquisizione e di assunzione delle prove.
Al termine dell'udienza preliminare, anche sulla base delle prove ammesse ed assunte in questa
fase, il giudice può pronunciare sia un decreto di rinvio a giudizio o una sentenza di non luogo a
procedere, sia una sentenza di condanna in caso di giudizio abbreviato o una sentenza di
applicazione della pena su richiesta delle parti: per selezionare e valutare il materiale probatorio su
cui fonda la propria decisione, lo stesso giudice segue le norme ex art. 191 e 192 relative alla
formazione del convincimento giudiziale.
Stessa conclusione nei casi in cui il giudice sia chiamato ad intervenire nel corso delle
indagini preliminari, nell'adempimento del suo tipico compito di garanzia dei diritti e delle
libertà fondamentali: il giudice per le indagini preliminari, davanti agli elementi probatori
forniti a supporto delle relative richieste, può porre alla base del proprio provvedimento solo
quegli elementi il cui impiego non sia incoerente con la disciplina stabilita in materia di
prove.
Vi sono determinati atti del pubblico ministero (e della polizia giudiziale) per loro natura destinati
ad essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e quindi ad essere acquisiti con valore di prova
in tale sede, ed altri atti che possono assumere tale valore di prova per effetto del verificarsi di
determinate circostanze, o in conseguenza del loro impiego per le contestazioni dibattimentali, o a
seguito di lettura dei relativi verbali, in presenza di particolari situazioni o in forza di un accorto tra
le parti.
Dipende poi dal consenso delle parti che tutti gli atti di indagini preliminari compiuti dal pubblico
ministero siano utilizzati come prova alla base di una sentenza di merito idonea a definire il
procedimento prima del passaggio al dibattimento; ad esempio nel giudizio abbreviato e
nell'applicazione della pena su richiesta delle parti, posto che in entrambi i casi il giudice può
pronunciare sentenza sulla base degli atti disponibili al termine delle indagini preliminari, e solo
eventualmente integrati dagli atti compiuti in sede di udienza preliminare. Lo stesso in caso di
decreto di condanna, emesso dal giudice sulla base del fascicolo trasmesso dal pubblico ministero,
tutte le volte in cui l'imputato non presenti opposizione.
Ne deriva che se le indagini preliminari del pubblico ministero sono suscettibili di diventare
prove, contribuendo alla formazione del convincimento del giudice, non è pensabile che tali
indagini possano svolgersi fuori dalla disciplina del codice in materia probatoria; si deve anzi
ritenere che tale disciplina operi anche per tali indagini, in quanto compatibili, fermo restando il
principio che esclude l’ ordinaria utilizzabilità degli atti compiuti nelle fasi preliminari ai fini
della sentenza dibattimentale.
Le disposizioni generali devono quindi applicarsi anche nel corso delle indagini preliminari del
pubblico ministero e della polizia giudiziaria, entro i limiti consentiti dalla natura e dalle finalità
di tali disposizioni.
La disciplina dei MEZZI DI RICERCA DELLE PROVE PRECOSTITUITE dev'essere osservata
dal pubblico ministero e, per quanto di sua competenza, dalla polizia giudiziaria: tali norme infatti
12
4
individuano come proprio destinatario l'autorità giudiziaria, non solo il giudice (come le norme sui
mezzi di prova).
Nel codice la regolamentazione delle attività del pubblico ministero nelle indagini preliminari
ha una sua autonomia, è distinta dalla disciplina dei mezzi di prova in senso proprio.
Gli atti del pubblico ministero, corrispondenti ai mezzi di prova facenti riferimento al
giudice, sono definiti con una nomenclatura differente: si parla di operazioni e di
accertamenti tecnici invece che di perizie; individuazione di persone e di cose invece che di
ricognizioni; assunzione di informazioni invece che di testimonianze; interrogatorio di
persona imputata in un procedimento connesso invece che di esame.
Questo sia per evidenziarne il diverso fine, sia per sottolineare la maggiore
snellezza formale che li caratterizza.
Le norme relative ai DIVERSI MEZZI DI PROVA non devono applicarsi quindi nel corso delle
indagini preliminari del pubblico ministero. Questo non significa che, fuori dagli espliciti rinvii
disposti dal legislatore, non si possa pervenire in sede interpretativa a ritenere applicabili le norme
dettate per i mezzi di prova anche in riferimento a particolari attività o situazioni riconducibili alle
indagini preliminari del pubblico ministero.
■ Art. 189 c.p.p. non detta nessuna preclusione a priori contro le prove non disciplinate dalla legge,
ma attribuisce al giudice il compito di vagliare preliminarmente, caso per caso, l'ammissibilità di
tali prove. In ogni caso dovrà trattarsi di prove non vietate dalla legge, essendo escluso che con tali
prove si introducano nel processo prove contrarie ad espressi divieti legislativi, o difformi, per
difetto di qualche elemento della fattispecie, dal modello di una prova tipica.
Il giudice decide se la prova possa essere ammessa una volta verificati due presupposti:
a) la prova sia idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti;
b) tale prova non pregiudica la libertà morale della persona.
Se viene riconosciuta l'ammissibilità della prova nonostante sia atipica, è compito del
giudice definire in concreto le modalità della sua assunzione, sentite le parti allo scopo di
concordare le relative cadenze procedurali.
12
7
Diritto alla prova e criteri di ammissione
Nel pronunciarsi sull'ammissibilità della prova, il giudice risulta vincolato a due parametri:
a) nella VALUTAZIONE DI DIRITTO, il giudice dovrà escludere le prove vietate dalla legge,
cioè quelle per le quali esista un espresso divieto in ordine all'oggetto o al soggetto della
prova, ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria;
b) nella VALUTAZIONE DI FATTO, il giudice dovrà escludere le prove che risultino in
concreto e manifestamente superflue o irrilevanti.
La verifica sulla rilevanza della prova si risolve in un giudizio circa la sua riconducibilità
all'ambito oggettivo ex art. 187, cioè circa la sua pertinenza al thema probandum; la verifica
sulla non superfluità comporta un giudizio sulla potenziale utilità della stessa, sulla sua
attitudine a contribuire in termini positivi all'arricchimento della base su cui si forma il
convincimento del giudice. Il giudice si attiene a questi criteri anche quando provvede
sull'eventuale revoca dei provvedimenti di ammissione della prova, sentite le parti in
contraddittorio.
■ L'art. 190-bis è destinato ad operare nei soli procedimenti per i delitti di criminalità organizzata
ex art. 51 comma 3-bis; dispone che, nel corso di tali procedimenti, quando sia richiesto l'esame
di un testimone o di una persona imputata in un procedimento connesso, i quali abbiano reso
dichiarazioni:
a) in sede di incidente probatorio o in dibattimento, purché nel contraddittorio con la persona
nei cui confronti le dichiarazioni stesse dovranno essere utilizzate,
b) ovvero, all'interno di un altro procedimento, abbiano reso dichiarazioni i cui verbali siano
stati acquisiti ex art. 238, l'esame di tali soggetti è ammesso solo se riguarda fatti o
circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero quando il giudice
o una delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze.
Il comma 1-bis estende tale disciplina all'esame di un testimone minore di 16 anni nei processi per
tali delitti.
120
12
8
Nessuna estensione nei processi per delitti aventi finalità di terrorismo, ex art. 51 comma 3quater.
Ne deriva una deroga ai criteri di ammissione della prova ex art. 190.
I principi ex art. 190 risultano applicabili nell'intero procedimento, anche nelle fasi anteriori
al dibattimento, entro i limiti di compatibilità con tali fasi.
Tali principi devono applicarsi in sede di incidente probatorio, dove si parla di diritto
alla prova in capo ai soggetti legittimati e del correlativo potere-dovere del giudice di
pronunciarsi sull'ammissibilità delle corrispondenti richieste.
Trovano applicazione anche in sede di udienza preliminare, nei limiti delle attività di
integrazione probatoria prevista dall'art. 422, tenendo conto delle modalità di assunzione
delle prove che vi sono stabilite e della specialità del criterio di ammissione che vi è
sancito, imperniato sul parametro della decisività (richiesta come evidente) delle prove in
vista della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere.
I principi generali del diritto alla prova trovano applicazione nella fase dibattimentale:
diritto di controprova (art. 468) ed esame diretto ed incrociato (art. 498 e 504).
Nella fase dibattimentale sono però previste anche vistose eccezioni all'iniziativa di parte
sul terreno probatorio.
Il codice prevede che determinati poteri di iniziativa probatoria siano esperibili ex
officio, attribuendoli ora al presidente del collegio, ora al giudice del dibattimento,
in base al criterio della assoluta necessità. L'attribuzione di un simile potere di
intervento suppletivo all'organo giurisdizionale ha un risalto secondario, non
compromette l'originaria impronta accusatoria.
Prove illegalmente acquisite e sanzione di inutilizzabilità
Art. 191 - Prove illegittimamente acquisite.
1. Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere
utilizzate. 2. L'inutilizzabilità è rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del
procedimento.
■ L'art. 191 c.p.p. prevede la non utilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, cioè ammesse o
assunte in violazione dei divieti stabiliti dalla legge.
L'inutilizzabilità è intesa sia come vizio che come sanzione processuale nel caso di
violazione dei divieti probatori risultanti ex lege; è diretta a diversificare la sanzione
prevista per i vizi del procedimento di acquisizione della prova rispetto alla tradizionale
sanzione di nullità, riservata ai vizi di forma degli atti per i quali essa venga espressamente
comminata.
L'inutilizzabilità della prova è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del
procedimento, anche nell'ambito del giudizio in cassazione.
Tale norma opera in ogni ipotesi di inosservanza di un divieto sancito dalla legge processuale, per
via diretta o indiretta, in materia di ammissione o di acquisizione probatoria, comprese le ipotesi in
cui il divieto, per sua natura, emerge solo ex post rispetto al momento acquisitivo, e quindi si
concreti esclusivamente nel momento di valutazione della prova.
L'articolo opera come norma generale di previsione della sanzione di inutilizzabilità, destinata a
combinarsi con tutte le disposizioni che, pur sancendo un divieto probatorio, non prevedono alcun
riflesso sanzionatorio in caso di trasgressione; ed opera come norma generale di riferimento per il
regime normativo del vizio della inutilizzabilità, destinata a trovare applicazione tutte le volte in
cui singole disposizioni dichiarino inutilizzabili determinati atti probatori, oltre che nel caso in cui
venga esplicitamente richiamata.
La sanzione di inutilizzabilità opera in via generale nei confronti di tutte le prove acquisite
contra legem, cioè nell'inosservanza di un divieto di ammissione o di acquisizione stabilito per
legge; ad esempio nei confronti di tutte le prove acquisite senza esser state ritualmente
ammesse, ovvero ammesse d'ufficio fuori dai casi stabiliti dalla legge; in caso di prove ammesse
senza il rispetto di criteri generali legislativamente predeterminati.
La riforma del 2017 introduce il reato di tortura con conseguenza che nella disciplina processuale ex 191 c2 bis, sono
inutilizzabile le dichiarazioni ottenute mediante tale delitto. Comma superfluo dato il divieto già imposto dall’art 188
12
9
Valutazione della prova e regole di convincimento del giudice.
■ L'art. 192 c.p.p. regola il regime di valutazione della prova, ribadendo il principio del libero
convincimento del giudice, affermato con esclusivo riferimento al momento di valutazione della
prova e non ai momenti anteriori del procedimento probatorio; tale valutazione può avere ad
oggetto solo prove legittimamente ammesse ed acquisite, quindi utilizzabili.
L'obbligo di motivazione dei provvedimenti costringe il giudice a rendere ragione della
razionalità dell'itinerario mentale seguito per giungere alla decisione e si configura come
premessa logica imprescindibile per l'esercizio del successivo controllo sulle linee di formazione
di tale convincimento. Il giudice dovrà in concreto ricostruire il percorso logico-conoscitivo che
lo abbia
indotto ad apprezzare le prove disponibili e a trarne determinate conclusioni.
Art. 546 nella motivazione dovranno essere indicate le prove poste a base
della decisione ma anche le ragioni per le quali il giudice ritiene non
attendibili le prove contrarie.
Il principio del libero convincimento del giudice incontra alcuni limiti di tipo normativo; art.
193 sono dichiaratamente irrilevanti gli sbarramenti probatori stabiliti dalle leggi civili, con
l'unica eccezione per quelli concernenti lo stato di famiglia e di cittadinanza.
MEZZI DI PROVA
I mezzi di prova (testimonianza, esami delle parti, confronti, ricognizioni, esperimenti
giudiziali, perizie, documenti) si caratterizzano per la loro attitudine ad offrire al giudice dei
risultati direttamente utilizzabili ai fini della decisione.
Assicurano la formazione della prova in sede processuale.
L'attenzione del legislatore si concentra sulle modalità di assunzione in giudizio della prova stessa.
I mezzi di ricerca della prova (ispezione, sequestri, perquisizioni, intercettazioni telefoniche) non
integrano da soli una fonte del convincimento giudiziale, ma risultano funzionalmente diretti a
permettere l'acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza
probatoria. I mezzi di ricerca della prova si caratterizzano in quanto diretti a favorire l'acquisizione
al processo di elementi probatori precostituiti rispetto allo stesso. Il legislatore si
concentra sul regime delle modalità di individuazione e di ingresso nel processo
di elementi preesistenti rispetto allo svolgimento processuale.
La Testimonianza
Art. 194 - Oggetto e limiti della testimonianza.
1. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova . Non può deporre sulla
moralità dell'imputato, salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità
in relazione al reato e alla pericolosità sociale.
2. L'esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il
testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per
valutarne la credibilità. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della
persona offesa dal reato è ammessa solo quando il fatto dell'imputato deve essere valutato in
relazione al comportamento di quella persona.
3. Il testimone è esaminato su fatti determinati. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né
esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.
■ L'art. 194 c.p.p. stabilisce che oggetto della testimonianza siano i fatti che costituiscono oggetto di
prova. Il testimone è esaminato su fatti determinati, non può deporre su voci correnti tra il pubblico
né esprimere apprezzamenti personali (salvo siano inscindibili dai fatti).
13
1
Art. 195 - Testimonianza indiretta.
1. Quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice, a richiesta
di parte, dispone che queste siano chiamate a deporre.
2. Il giudice può disporre anche di ufficio l'esame delle persone indicate nel comma 1.
3. L'inosservanza della disposizione del comma 1 rende inutilizzabili le dichiarazioni relative a fatti
di cui il testimone abbia avuto conoscenza da altre persone, salvo che l'esame di queste risulti
impossibile per morte, infermità o irreperibilità.
4. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle
dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere
a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo.
5. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche quando il testimone abbia avuto
comunicazione del fatto in forma diversa da quella orale.
6. I testimoni non possono essere esaminati su fatti comunque appresi dalle persone indicate negli
articoli 200 e 201 in relazione alle circostanze previste nei medesimi articoli, salvo che le
predette persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati.
7. Non può essere utilizzata la testimonianza di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o
la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell'esame.
□ Il comma 4 prevede il divieto, in capo agli ufficiali ed agli agenti di polizia giudiziaria, di
deporre sul contenuto di dichiarazioni rese da testimoni, limitatamente alle dichiarazioni
acquisite con le modalità ex art. 351 (sommarie informazioni) e 357 (documentazione
dell'attività di polizia giudiziaria).
Tale divieto non opera negli altri casi: l'ordinaria disciplina della testimonianza indiretta si applica
anche nei confronti di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria con riferimento ad ogni dichiarazione
proveniente da soggetti terzi ed appresa da tali organi, più o meno occasionalmente, al di fuori di
ogni rapporto dialettico formale interno al procedimento, ma anche alle dichiarazioni rese da tali
soggetti e correttamente acquisite e documentate con le modalità diverse da quelle ex art. 195
comma 4: ad esempio affermazioni rilasciate nel corso di attività investigative dirette ad altri scopi o non formalizzate,
di cui gli organi di polizia si siano limitati a redigere le annotazioni.
13
2
Dovrà ritenersi operante il divieto all'art. 195 comma 4 nel caso in cui, pur ricorrendone le
condizioni, gli organi di polizia non abbiano provveduto alla redazione del prescritto
verbale, eludendo le ordinarie modalità di acquisizione stabilite dalla legge.
13
3
b. tutti gli imputati in un procedimento connesso ex art. 12 co 1 lett. c) o in un reato collegato ex
art. 371 co 2 lett. b), i quali in sede di interrogatorio abbiano reso dichiarazioni sull'altrui
responsabilità, essendo stati ritualmente preavvertiti ex art. 64 co 3 lett. c) circa le conseguenze
del rilascio di tali dichiarazioni in ordine all'assunzione dell'ufficio testimoniale.
Relativamente a questi testimoni dovranno osservarsi gli adempimenti relativi
all'introduzione della prova testimoniale, compresa la presentazione della lista ex art. 468
con le indicazioni delle circostanze oggetto dell'esame.
Tale testimone gode di particolari garanzie in ragione del suo status processuale:
a) viene assistito da un difensore (è detto testimone assistito), eventualmente, in caso di
mancata nomina del difensore di fiducia, si procede alla nomina di un difensore
d'ufficio. Il difensore non ha diritto di partecipare all'esame, tuttavia gli si riconosce il
diritto di presenziare all'esame dei testimoni sia di formulare richieste, osservazioni e
riserve, a tutela della posizione del testimone assistito e delle corrispondenti prerogative
circa i limiti al dovere testimoniale;
b) il testimone non può mai essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere
una sua responsabilità penale, ma, in base al comma 4, può anche legittimamente
rifiutarsi di rispondere alle relative domande quando dovrebbe deporre sui fatti per i quali
in giudizio sia stata pronunciata a suo carico sentenza irrevocabile di condanna, quando
nel procedimento aveva negato la propria responsabilità, ovvero non aveva reso alcuna
dichiarazione; in base al comma 2 il testimone è esonerato anche dall'obbligo di deporre
su fatti relativi alla propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è
proceduto nei suoi confronti;
c) il comma 5 prescrive che le dichiarazioni rese dall'imputato che abbia assunto l'ufficio
di testimone non possano essere utilizzate contro la persona da cui provengono né nel
procedimento a suo carico, ove ancora in corso, né nell'eventuale procedimento di
revisione della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti, né in qualsiasi altro
giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto di tali procedimenti o di tale
sentenza. È esclusa l'utilizzabilità processuale di tali dichiarazioni a danno dell'autore
essendo queste state rilasciate dallo stesso in adempimento dell'ufficio testimoniale, e
quindi sul presupposto di non potersi sottrarre alla relativa deposizione.
L'ultimo comma dell'art. 197-bis esige che le dichiarazione ex art. 197-bis, per assumere
pieno valore probatorio, debbano essere corroborate da altri elementi di prova che ne
confermano l'attendibilità.
13
4
Art. 198 - obblighi del testimone.
1. Il testimone ha l'obbligo di presentarsi al giudice e di attenersi alle prescrizioni date dal medesimo
per le esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte.
2. Il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua
responsabilità penale.
■ L'art. 203 c.p.p. prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possano essere
obbligati a rivelare i nomi dei propri informatori confidenziali; fermo il divieto di acquisizione e di
utilizzo processuale delle informazioni provenienti da questi. Tale previsione di inutilizzabilità si
estende oltre il dibattimento, comprendendo le fasi di indagini preliminari o le udienze preliminari,
tutte le volte in cui gli informatori non sono stati interrogati né assunti a sommarie informazioni.
13
5
Art. 202 - Segreto di Stato.
1. I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo
di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato.
2. Se il testimone oppone un segreto di Stato, il giudice ne informa il Presidente del Consiglio dei
Ministri, chiedendo che ne sia data conferma.
3. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il
giudice dichiara non doversi procedere per la esistenza di un segreto di Stato.
4. Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio
dei Ministri non dia conferma del segreto, il giudice ordina che il testimone deponga.
■ L'art. 202 c.p.p. prevede l'OPPOSIZIONE DEL SEGRETO DI STATO in sede testimoniale da
parte degli stessi soggetti tenuti ad opporre il segreto d'ufficio (pubblici ufficiali, pubblici
impiegati e incaricati di un servizio pubblico). È salvo l'obbligo di tali soggetti di astenersi dal
deporre su fatti coperti dal segreto di Stato.
L'autorità giudiziaria ha l'obbligo di rivolgersi al presidente del Consiglio di ministri per
chiedere conferma della sussistenza di tale segreto, sospendendo nel frattempo ogni iniziativa
volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto.
Se entro 30 giorni viene fornita conferma del segreto con atto motivato (anche in vista
dell'eventuale ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato), all'autorità
giudiziaria sarà vietata l'acquisizione e l'utilizzazione anche indiretta delle notizie coperte
dal segreto.
Se il giudice reputi essenziale, ai fini della definizione del processo, la conoscenza delle notizie
così inibite potrà solo dichiarare con sentenza di “non doversi procedere per l'esistenza del
segreto di Stato”. Fuori da questo caso, il processo potrà proseguire, non essendo all'autorità
giudiziaria
precluso di procedere in base ad elementi autonomi e indipendenti dagli atti, dai documenti e dalle
cose coperti dal segreto.
Il processo potrà proseguire quando il presidente del Consiglio dei ministri neghi la sussistenza
del segreto di Stato o non ne dia conferma entro 30 giorni dalla notificazione della corrispondente
richiesta, essendo previsto che l'autorità giudiziaria possa acquisire la notizia su cui era stato
opposto il segreto e provvedere per l'ulteriore corso del procedimento.
□ comma 7 prevede le varie ipotesi che conseguono qualora, alla conferma della sussistenza del
segreto di Stato da parte del presidente del Consiglio, venga sollevato, ad opera dell'autorità
giudiziaria, conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale (alla quale è in nessun caso
opponibile il segreto di stato):
a) se il conflitto viene risolto nel senso dell'insussistenza del segreto, il presidente del
Consiglio non può opporlo con riferimento allo stesso oggetto, quindi il procedimento
proseguirà senza altri intoppi;
b) se il conflitto viene risolto nel senso della sussistenza del segreto, l'autorità giudiziaria non
può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, gli atti o i documenti su cui è
stato opposto il segreto.
Analoga disciplina è nell'art. 41 l. 124/2007, che prevede un divieto di riferire riguardo a fatti
coperti dal segreto di Stato nel processo penale, in ogni stato e grado del procedimento, quando tale
segreto sia opposto, e il dovere dell'autorità giudiziaria di informarne il presidente del Consiglio dei
ministri per l'eventuale conferma.
Il divieto a non riferire è destinato ad operare nei confronti degli indagati e degli imputati
(rispetto a questi il divieto deve contemperarsi con l'esercizio del diritto di difesa,
riconducibile all'ambito della causa di giustificazione ex art. 51 c.p.).
13
6
■ L'art. 204 c.p.p. vieta che possano essere opposti segreto d'ufficio o segreto di Stato su fatti, notizie
e documenti circa reati diretti all'eversione dell'ordinamento costituzionale; nonché sui delitti di
devastazione, saccheggio, strage, associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico- mafioso
(salvo i nomi degli informatori), riservando al giudice, in caso di opposizione, il compito di definire
la natura del reato.
Del provvedimento di rigetto di tale eccezione viene data comunicazione al presidente del
Consiglio, allo scopo di consentirgli le opportune iniziative in caso di contrasto con le
valutazioni operate dal giudice.
Tale disposizione deve coordinarsi con l'art. 66 co 2 disp. att. che, in ipotesi simili,
attribuisce al presidente del Consiglio il potere di confermare il segreto con atto
motivato, quando ritenga che il fatto, la notizia o il documento coperto dal segreto di
Stato non riguardi il reato per cui si procede. In mancanza di tale conferma, nei 30
giorni successivi a tale comunicazione, il giudice potrà procedere al sequestro del
documento o all'esame del soggetto interessato.
13
7
L’ esame delle parti
■ Art. 208 c.p.p. prevede che la sua esperibilità sia infatti subordinata alla volontà delle parti, le
quali sono sottoposte all'esame solo quando ne facciano richiesta o consentano alla richiesta
formulata da un'altra parte, compreso il pubblico ministero.
Una volta manifestata la propria volontà favorevole all'esame, la parte che vi è sottoposta perde la
possibilità di esercitare senza pregiudizio la strategia del silenzio.
■ L'art. 209 c.p.p. prevede che dell'eventuale rifiuto di rispondere sia data menzione nel verbale; tale
atteggiamento negativo assumerà valore anche sul piano probatorio, essendo tale verbale destinato
a confluire nel fascicolo dibattimentale, e quindi tra le prove destinate alla decisione: ciò sia ai fini
della valutazione di altre risposte fornite dalla stessa parte esaminata, sia ai fini della valutazione di
altre prove, o di altri elementi di prova, provenienti da soggetti diversi.
Rimane fermo il diritto della parte esaminata di non rispondere tutte le volte in cui dalla
risposta potrebbe emergere una sua responsabilità penale.
Le regole relative alla testimonianza indiretta sono richiamate solo riguardo
all'esame delle parti diverse dall'imputato.
■ L'art. 210 c.p.p. disciplina l'esame di persone imputate in un procedimento connesso, nei
confronti delle quali si proceda, o si sia proceduto, separatamente, e che non possono assumere
l'ufficio di testimone.
Si stabilisce che nei dibattimenti relativi a processi diversi da quello in cui rivestano formalmente
la qualità di imputati, essi vengano di regola esaminati su richiesta di parte o d'ufficio, quando agli
stessi si sia fatto riferimento nell'ambito di una testimonianza, o di un esame, di natura indiretta. Si
applicano le disposizioni ex art. 195 per le ipotesi della testimonianza de relato.
□ Il comma 5 fa riferimento agli art. 498, 499 e 500 per le forme di svolgimento dell'esame,
assumendo come modello base l'esame dei testimoni.
È previsto un obbligo di presentazione davanti al giudice e l'eventuale accompagnamento coattivo ;
la nomina di un difensore, d'ufficio quando manchi quello di fiducia; il difensore ha diritto di
partecipare all'esame.
Tali soggetti hanno il diritto al silenzio, in quanto imputati in un procedimento connesso,
allo scopo di tutelarli rispetto al rischio di dichiarazioni contra se che potrebbero essere
utilizzate a loro carico nel procedimento di provenienza.
Quando si proceda in via separata, lo stesso coimputato potrà essere sempre costretto a
soggiacere all'esame, salvo il diritto di essere avvertito della facoltà di non rispondere, come
se si trattasse di un interrogatorio.
13
0
L'istituto opera per tutti i soggetti non ricompresi nell'area degli imputati che ex art. 197-bis
assumono l'ufficio di testimone, riguarda:
a) le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 co 1 lett. a) le quali
non possono assumere l'ufficio di testimone;
b) mentre per le persone imputate in un procedimento connesso ex art. 12 co 1 lett. c) o di un
reato collegato ex art. 371 co 2 lett. b) occorre distinguere sulla base della loro precedente
condotta processuale: il comma 6 prevede che la disciplina ex art. 210 si applichi anche ai
soggetti in questione, ma solo quando gli stessi non hanno reso in precedenza dichiarazioni
circa la responsabilità dell'imputato: questo comprende sia le ipotesi in cui tali persone non
siano mai state sentite da alcuna autorità interrogante, sia nei casi in cui, pur essendo state
interrogate, non abbiano reso in tale sede alcuna dichiarazione sull'altrui responsabilità;
vengono equiparate le situazioni in cui tali persone abbiano reso dichiarazioni sul fatto
altrui, nel corso dell'interrogatorio, ma senza aver ricevuto l'avvertimento ex art. 64 co 3,
con la conseguenza dell'inutilizzabilità di simili dichiarazioni.
È previsto che di regola la disciplina dell'art. 210 si applichi anche agli imputati non
precedentemente dichiaranti sull'altrui responsabilità; tuttavia si prevede che a tali soggetti, pur
chiamati per essere esaminati ex art. 210, venga dato l'avvertimento ex art. 64 co 3 lett. c), nel qual
caso, ove non si avvalgano della facoltà di non rispondere, assumeranno l'ufficio di testimone.
In tali casi al loro esame si applicheranno sia le disposizioni relative alla deposizione
testimoniale richiamate al comma 5 ai fini dell'esame, sia le disposizioni ex art. 197-bis
e 497, compreso l'avvertimento al testimone dell'obbligo di dire la verità.
■ Confronti
Art. 211 - Presupposti del confronto.
1. Il confronto è ammesso esclusivamente fra persone già esaminate o interrogate, quando vi è
disaccordo fra esse su fatti e circostanze importanti.
L'art. 211 c.p.p. ammette i confronti esclusivamente tra persone già esaminate o interrogate, in
caso di dichiarazioni in contrasto su fatti e circostanze importanti.
Tale mezzo dovrebbe trovare largo impiego anche durante le indagini preliminari; il potere
di disporre il confronto è riconosciuto anche al pubblico ministero (art. 364).
13
1
■ Ricognizioni
Le ricognizioni possono avere ad oggetto le persone o le cose.
Sono caratterizzate per l'accuratezza e l'analiticità della descrizione degli adempimenti preliminari e
dei modi di svolgimento dell'atto.
Art. 213 - Ricognizione di persone. Atti preliminari.
1. Quando occorre procedere a ricognizione personale, il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la
persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a
eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in
fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano
altre circostanze che possano influire sull'attendibilità del riconoscimento.
2. Nel verbale è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese.
3. L'inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità della
ricognizione.
■ In base all'art. 213 la mancata menzione, in sede di verbale, dell'osservanza delle forme prescritte
per scandire la relativa procedura, dai suoi preliminari alla vera e propria attività ricognitiva, è
causa di nullità.
■ L'art. 216 c.p.p. prevede la ricognizione di voci, suoni o di quanto altro possa essere oggetto di
percezione sensoriale, prevedendo l'ammissibilità di quelle ricognizioni che si discostano da
quelle esplicitamente regolate ex lege, e richiamando alcune delle disposizioni sancite per queste,
in quanto applicabili.
Sia nei confronti che nelle ricognizioni, la persona chiamata a compiere l'atto è nella condizione
di dover rilasciare dichiarazioni assimilabili, per il loro contenuto informativo, a quelle rese
dall'imputato in sede di interrogatorio ovvero di esame ex art. 503 o, rispettivamente, dal
testimone in sede di audizione ovvero di esame ex art. 500.
Quando si tratti dell'imputato vige il diritto di rifiutarsi di compiere l'atto e la facoltà di
non rispondere alle domande che gli vengono poste.
Le stesse garanzie valgono anche nei confronti dei coimputati dello stesso reato e degli imputati in un
procedimento connesso o di un reato collegato, sono comprese le ipotesi in cui a loro carico si proceda
separatamente, in conformità al disposto dell'art. 210, e tenendo conto dei rilievi già svolti a proposito di
tale disposizione.
13
2
■ Esperimenti giudiziali
Art. 218. Presupposti dell'esperimento giudiziale.
1. L'esperimento giudiziale è ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in
un determinato modo.
2. L'esperimento consiste nella riproduzione, per quanto è possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o
si ritiene essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso.
■ Gli esperimenti giudiziali servono ad accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un
determinato modo, attraverso al riproduzione di una situazione e la ripetizione delle modalità
relative al suo presumibile svolgimento.
■ L'art. 219 prevede che l'ordinanza che dispone l'esperimento contenga l'enunciazione
dell'oggetto dell'esperimento, l'indicazione del giorno, dell'ora e luogo in cui si procede alle
operazioni; la nomina dell'esperto incaricato dell'esecuzione. Il giudice dà gli opportuni
provvedimenti per lo svolgimento delle operazioni, dispone le rilevazioni fotografiche o
cinematografiche, e tutti i provvedimenti diretti ad assicurare un efficace e corretto svolgimento
dell'atto.
Il giudice ha l'obbligo di provvedere affinché l'esperimento possa regolarmente
svolgersi senza offendere sentimenti di coscienza e senza esporre a pericolo l'incolumità
delle persone o la sicurezza pubblica.
13
3
La perizia
■ L'art. 220 definisce l'oggetto della perizia, ammettendola in situazioni in cui occorre svolgere
indagini ovvero acquisire dati o valutazioni che richiedano specifiche competenze tecniche,
scientifiche o artistiche.
Il d.p.r. 285/1990 (regolamento di polizia mortuaria) stabilisce che quando nel corso di un'autopsia
non ordinata dall'autorità giudiziaria emerga il sospetto che la morte sia dovuta a reato, il medico
settore deve sospendere le operazioni e darne immediata comunicazione all'autorità giudiziaria,
affinché questa possa disporre gli accertamenti peritali del caso.
Ipotesi particolare di perizia si trova nella Legge 16/1996 secondo la quale l'imputato di uno dei
delitti contro la personalità dei minori o contro la libertà sessuale deve essere sottoposto con le
forme della perizia ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili,
tutte le volte in cui la modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle
patologie stesse.
Ex. art. 224, quando il giudice accerti la sussistenza dei presupposti ex art. 220 comma 1, è
obbligato ad ammettere, e quindi a disporre, la perizia anche d'ufficio; l'ordinanza, oltre alla nomina
del perito, dovrà recare la sommaria enunciazione dell'oggetto delle indagini , ferme le tradizionali
esclusioni dell'ammissibilità della perizia in rapporto a determinati oggetti: sono vietate le perizie
circa il carattere e la personalità dell'imputato, le forme qualificate di pericolosità sociale e le sue
qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (art. 220 comma 2).
■ L'art. 221 c.p.p. regola la NOMINA DEL PERITO, che deve assicurare un livello di specifica
qualificazione della persona cui la perizia viene affidata, adottando come criterio principale per
la nomina del perito quello della sua iscrizione agli appositi albi professionali, eventualmente
ricorrendo ad altri esperti di particolare competenza.
In caso di perizia nulla il nuovo incarico dovrà essere affidato, se possibile, ad un diverso perito.
Il giudice deve disporre una perizia collegiale quando le indagini e le valutazioni risultano
di notevole complessità, ovvero quando le stesse richiedono distinte conoscenze in
differenti discipline.
■ In base all'art. 222 c.p.p., NON PUÒ PRESTARE UFFICIO DI PERITO, a pena di nullità:
a) il minorenne, l'interdetto, l'inabilitato e chi è affetto da infermità di mente;
b) chi è interdetto dai pubblici uffici o interdetto o sospeso dall'esercizio di una professione o
di un'arte;
c) chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o misure di prevenzione;
d) chi non può essere assunto come testimone, ha facoltà di astenersi dalla testimonianza e è
chiamato a prestare ufficio di testimone o interprete;
e) chi è stato nominato consulente tecnico nello stesso procedimento o in un procedimento
connesso.
13
4
■ L'art. 223 c.p.p. prevede che se esiste un motivo di astensione, il perito ha l'obbligo di dichiararlo.
Il perito può esser ricusato dalle parti nei casi ex art. 36.
La dichiarazione di astensione o di ricusazione può esser presentata fino a quando non siano state
esaurite le formalità di conferimento dell'incarico, in caso di motivi sopravvenuti prima che il
perito abbia dato il proprio parere.
Sulla dichiarazione di astensione o ricusazione, il giudice che ha disposto la perizia
decide con ordinanza.
■ L'art. 224 comma 2 attribuisce al giudice il potere di adottare ogni altro provvedimento necessario
per l'esecuzione delle relative operazioni, escludendo da tale ambito le misure incidenti sulla libertà
personale dell'imputato o di terze persone, salve quelle specificamente previste nei casi e nei modi
dalla legge.
■ L'art. 224-bis c.p.p. disciplina i provvedimenti del giudice nel caso di perizie che richiedono il
compimento di atti idonei ad INCIDERE SULLA LIBERTÀ PERSONALE, prevedendo che,
quando si proceda per delitti di particolare gravità (delitti non colposi puniti con pena detentiva superiore
nel massimo a tre anni) e per l'esecuzione di una perizia sia necessario compiere atti idonei ad incidere
sulla libertà personale (come il prelievo di capelli, di peli o di mucosa orale, ai fini della determinazione del
DNA), e manchi il consenso della persona interessata, il giudice possa disporne sempre ex officio
con ordinanza l'esecuzione coattiva, se questa sia assolutamente indispensabile per la prova dei
fatti.
L'ordinanza che la dispone deve contenere:
a) le generalità della persona da sottoporre all'esame peritale,
b) l'indicazione delle ragioni che rendono assolutamente indispensabile sul terreno
probatorio l'effettuazione del prelievo o dell'accertamento,
c) l'avviso della facoltà riconosciuta alla persona di farsi assistere da un difensore o
da persona di fiducia.
Lo svolgimento di tali operazioni non può contrastare con espressi divieti di legge né potranno
mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute della persona o del nascituro, né potranno
esser tali da provocare sofferenze di non lieve entità.
È salva l'esigenza del rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto.
Quando la persona, invitata a presentarsi per l'espletamento della perizia, non risulti comparsa
senza addurre un legittimo impedimento, il giudice può disporne l'accompagnamento coattivo,
mentre quando sia comparsa ma rifiuti di prestare il proprio consenso agli atti o agli accertamenti
da compiersi nei suoi confronti, il giudice potrà disporne l'esecuzione in forma coattiva, con l'uso
dei necessari mezzi di coercizione fisica, usati in modo proporzionale allo scopo, e per il solo
tempo strettamente necessario all'esecuzione del prelievo o dell'accertamento.
L'atto peritale è nullo quando la persona che vi è sottoposta non sia assistita dal difensore,
nonostante sia stato nominato.
13
5
■ In base all'art. 227 c.p.p. il perito procede immediatamente ai necessari accertamenti e risponde ai
quesiti in forma orale, con parere raccolto in verbale, salvo il potere del giudice di autorizzare
anche la presentazione di una relazione scritta, quando questa risulti indispensabile ad illustrare il
parere.
Quando il perito non sia in grado di fornire una risposta immediata, e se il giudice non ritenga di
sostituirlo, può essergli concesso un termine, non superiore a 90 giorni, prorogabile fino a 6 mesi
nel caso di accertamenti di particolare complessità, entro il quale il perito dovrà fornire il parere.
■ L'art. 225 c.p.p. prevede la partecipazione di CONSULENTI TECNICI, in numero non superiore
a quello dei periti, sia dal pubblico ministero sia dalle parti private, se del caso ricorrendo al
patrocinio statale per i non abbienti, durante l'intera durata dello svolgimento della perizia, fin dal
momento della formulazione dei quesiti.
□ Art. 501 sia i periti che i consulenti tecnici possono essere sottoposti ad esame, in sede
dibattimentale, secondo le disposizioni dell'esame dei testimoni.
□ Art. 230 i consulenti tecnici sono autorizzati ad assistere al conferimento dell'incarico
e quindi a partecipare a tutte le operazioni peritali, formulano osservazioni e riserve,
propongono al perito lo svolgimento di specifiche indagini, di cui sarà dato atto nella
relazione.
I consulenti tecnici possono sempre prendere visione delle relazioni e sono autorizzati dal giudice
ad esaminare le persone, le cose, i luoghi oggetto della perizia, purché non ne derivi ritardo
dall'esecuzione della perizia o al compimento di altre attività processuali.
■ Art. 231 c.p.p. dispone che il perito possa essere SOSTITUITO quando non fornisca il proprio
parere nel termine fissato o la richiesta di proroga non sia accolta, ovvero se svolge
negligentemente l'incarico affidatogli. L'ordinanza di sospensione, sentito il perito, è disposta
dal giudice salvo che il ritardo o l'inadempimento sia dipeso da cause a lui non imputabili.
Il perito sostituito può essere condannato dal giudice al pagamento di una somma a favore
della cassa delle ammende.
■ L'art. 233 c.p.p. prevede la possibilità di nomina ed intervento dei consulenti tecnici delle parti
anche nel caso in cui non sia stata disposta una perizia, con l'attribuzione a tali consulenti del
potere di esporre al giudice il proprio parere su singole questioni, eventualmente attraverso la
presentazione di memorie ex art. 121.
Quando, successivamente alla nomina del consulente tecnico, il giudice decidesse di
disporre la perizia, al consulente sarebbero riconosciuti i diritti e le facoltà ordinariamente
previsti ex art. 226 e 230.
Se invece la perizia non viene disposta il consulente tecnico può, di sua iniziativa, svolgere
le indagini e gli accertamenti consentitigli dall'oggettiva disponibilità delle persone, delle
cose o dei luoghi assunti come oggetto della consulenza, fornendo alla parte interessata gli
apporti tecnici necessari per gli ulteriori sviluppi processuali e ponendo il giudice nella
condizione di non poter prescindere dal contenuto del parere e delle eventuali memorie che
gli vengano presentate.
13
6
La prova documentale
Si distingue tra:
a) documenti in senso stretto, formati fuori dall'ambito processuale, nel quale devono essere
introdotti perché acquistino rilevanza probatoria,
b) atti (verbali), formati all'interno del procedimento, rappresentativi di quanto vi sia accaduto.
→ Solo i documenti rientrano tra i mezzi probatori.
■ L'art. 234 c.p.p. prevede che sia consentita l'acquisizione degli scritti tradizionali, ma anche di ogni
altra cosa idonea a rappresentare fatti, persone o cose attraverso la fotografia, la cinematografia, la
fonografia e qualsiasi altro mezzo.
È esclusa la possibilità di acquisire documenti concernenti le voci correnti nel pubblico
intorno ai fatti, ovvero la moralità in generale delle parti o dei testimoni; è ammessa
l'acquisizione dei documenti necessari al giudizio sulla personalità dell'imputato e, se
del caso, della persona offesa dal reato, compresi quelli esistenti presso gli uffici
pubblici di servizi sociale e presso gli uffici di sorveglianza. Per i certificati del
casellario giudiziario le sentenza divenute irrevocabili anche straniere si ritiene che
possano essere acquisiti anche al fine di valutare la credibilità dei testimoni. È altresì
consentita ex art 234 bis l’acquisizione di documenti e dati informatici conservati
all’estero “anche se non pubblici” col consenso del legittimo titolare.
L'art. 235 prevede che i documenti costituenti corpo del reato debbano essere acquisiti qualunque
sia la persona che li abbia formati o li detenga, anche d'ufficio.
L'art. 236 c.p.p. prevede che i certificati del casellario giudiziale e le sentenze divenute
irrevocabili, nonché le sentenze straniere riconosciute, possano essere acquisiti anche al fine di
valutare la credibilità dei testimoni.
■ L'art. 237 c.p.p. dispone che i documenti provenienti dall'imputato siano sempre acquisibili, anche
d'ufficio, anche se si tratti di documenti sequestrati presso altri o da altri prodotti.
In base all'art. 239 ai fini della verifica, il documento viene sottoposto per il riconoscimento
alle parti private e ai testimoni.
■ In base all'art. 240 c.p.p. i documenti anonimi vengono esclusi, non potendo essere acquisiti né
utilizzati a meno che non costituiscano corpo del reato o provengano dall'imputato.
Tale esclusione è estesa ai documenti, ai supporti e agli atti concernenti dati e ai contenuti
di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico illegalmente
formati o acquisiti, nonché ai documenti formati attraverso la raccolta illegale di
informazioni: di tali documenti e supporti il pubblico ministero dispone l'immediata
secretazione e la custodia in luogo protetto, stabilendo che di essi sia vietato farne copia e
che il loro contenuto non può essere utilizzato, salva l'utilizzabilità come notizia del reato.
In termini brevi il pubblico ministero deve chiedere al giudice per le indagini preliminari la
distruzione di tali materiali, e il giudice deve fissare un'apposita udienza camerale in contraddittorio
con le parti interessate, al termine della quale, accertati i presupposti, sarà pronunciato e subito
eseguito il relativo provvedimento di distruzione.
Di tali operazioni viene redatto verbale, nel quale dovrà darsi atto anche dell'avvenuta
intercettazione o detenzione o acquisizione illecita dei materiali, nonché dei mezzi usati e dei
soggetti interessati, senza alcun riferimento ai contenuti di tali materiali.
Tale disciplina è sospetta di incostituzionalità.
13
7
■ L'art. 241 c.p.p. prevede che in caso di falsità dei documenti, a parte il caso in cui questa venga
accertata e dichiarata con la sentenza di condanna o di proscioglimento, il giudice, ove ritenga falso
uno dei documenti acquisiti, dopo la definizione del procedimento informa il pubblico ministero ,
trasmettendogli copia dei documenti per gli adempimenti di sua competenza.
Si riconosce al giudice penale il potere di accertare incidenter tantum l'eventuale falsità dei
documenti, in sede di valutazione complessiva delle prove.
■ L'art. 238 c.p.p. regola l'ingresso nell'ambito processuale dei verbali relativi alle prove di altri
procedimenti, considerati alla stregua di documenti in ragione della loro provenienza fuori dal
processo. L'acquisizione dei verbali di prove di altri procedimenti penali è ammessa senza altre
condizioni, secondo i normali criteri di legge, solo quando si tratti di prove assunte nell'incidente
probatorio o nel dibattimento, mentre tale regola non vale per i verbali di cui sia stata data lettura
in sede dibattimentale.
In caso di acquisizione dei verbali di prove ex comma 1 e 2, ove si tratti di verbali recanti
dichiarazioni, questi sono utilizzabili solo contro gli imputati i cui difensori abbiano partecipato
alla loro assunzione, ovvero nei cui confronti fa stato la sentenza civile.
È sempre ammessa l'acquisizione della documentazione di atti compiuti nel corso di
altri procedimenti penali, comprese le fasi preliminari, i quali, anche per cause
sopravvenute, non sono ripetibili.
In caso di impossibilità di ripetizione dovuta a fatti o circostanze sopravvenuti,
l'acquisizione della relativa documentazione è consentita solo quando questi fatti o
circostanze risultino imprevedibili.
Restano ferme le limitazioni previste in ordine agli atti non ripetibili compiuti dalla
polizia straniera e l'eventuale disciplina prevista da specifiche disposizioni.
Fuori dai casi espressamente previsti, l'acquisizione e la successiva utilizzazione dibattimentale
dei verbali di altri procedimenti contenenti dichiarazioni è ammessa solo nei confronti
dell'imputato che accontenta; in assenza di tale consenso, tali verbali potranno essere utilizzati
solo ai fini delle contestazioni in sede di esame dibattimentale.
Quando, a norma dell'art. 238, siano stati acquisiti verbali di dichiarazioni provenienti da altri
procedimenti, rimane fermo il diritto delle parti di ottenere, ex art. 190, l'esame delle persone che
abbiano reso le dichiarazioni, salvo l'art. 190-bis. Viene garantita alle parti la possibilità di escutere
direttamente nel contraddittorio dibattimentale le persone fonti delle dichiarazioni acquisite ex art.
238, i cui verbali devono essere letti in dibattimento.
13
8
Prima del dibattimento, assume rilievo la disciplina relativa all'AVVISO DI CONCLUSIONE
DELLE INDAGINI PRELIMINARI, specialmente all'udienza preliminare, in vista della quale è
stabilito che, una volta avvenuto il deposito in cancelleria del fascicolo del pubblico ministero,
contenente tutte le risultanze delle indagini preliminari, anche il difensore dell'imputato possa
produrre documenti, che dovranno essere ammessi dal giudice prima dell'inizio della discussione.
Allo stesso modo dovranno essere ammessi i nuovi documenti eventualmente prodotti a
seguito di ulteriori indagini ex art. 421-bis, come quelli acquisiti dal giudice in virtù dei
poteri di integrazione probatoria ex art. 422. Conclusasi l'udienza preliminare con il rinvio a
giudizio, tra i documenti acquisiti in precedenza sono destinati a confluire nel fascicolo per
il dibattimento ex art. 431 solo i certificati del casellario giudiziale e i restanti atti ex art.
236, i documenti costituenti corpo del reato o le cose pertinenti al reato, mentre tutti gli altri
documenti già raccolti dal pubblico ministero nel corso delle indagini, o successivamente
prodotti ed ammessi ai fini dell'udienza stessa, entreranno nel fascicolo del pm formato ex
art. 433, utili quindi solo per le contestazioni ex 500 503
Ispezioni e perquisizioni
■ Ispezioni
Le ispezioni sono atti appartenenti alla sfera di competenza del giudice, ma anche del pubblico
ministero.
Art. 244 - Casi e forme delle ispezioni.
1. L'ispezione delle persone, dei luoghi e delle cose è disposta con decreto motivato quando occorre accertare le tracce e
gli altri effetti materiali del reato.
2. Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, o se questi sono scomparsi o sono stati cancellati o dispersi,
alterati o rimossi, l'autorità giudiziaria descrive lo stato attuale e, in quanto possibile, verifica quello preesistente,
curando anche di individuare modo, tempo e cause delle eventuali modificazioni. L'autorità giudiziaria può
disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica, anche in relazione a sistemi
informatici o telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad
impedirne
l’alterazione.
■ L'art. 244 prevede che l'ispezione è diretta ad accertare sulle persone, nei luoghi o nelle cose
tracce e altri effetti materiali del reato. L'ispezione può avere ad oggetto anche sistemi
informatici.
Il giudice dispone l'ispezione con decreto motivato.
■ L'art. 245 prevede l'ISPEZIONE PERSONALE: all'interessato è dato avviso della facoltà che
gli è riconosciuta di farsi assistere da persona di fiducia, purché reperibile ed idonea ex art.
120. L'ispezione deve compiersi personalmente ad opera dell'autorità procedente, ovvero anche
per mezzo di un medico, e deve essere eseguita nel rispetto della dignità e, se possibile, del
pudore della persona che vi è sottoposta.
■ L'art. 246 disciplina l'ISPEZIONE DI LUOGHI O COSE. Prima dell'inizio delle operazioni,
all'imputato e alla persona titolare della disponibilità dei luoghi, se presenti, viene consegnato il
decreto motivato che autorizza l'ispezione.
L'autorità giudiziaria può impedire l'allontanamento di una o più persone dai luoghi di
ispezione, prima della loro conclusione, e può farle ricondurre se del caso in forma coattiva, con
decreto motivato compreso nel verbale.
L'autorità giudiziaria può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici ed ogni altra
necessaria operazione tecnica.
139
■ Perquisizioni
Art. 247 - Casi e forme delle perquisizioni.
1. Quando vi è fondato motivo di ritenere che taluno occulti sulla persona il corpo del reato o cose pertinenti al reato, è
disposta perquisizione personale. Quando vi è fondato motivo di ritenere che tali cose si trovino in un determinato
luogo ovvero che in esso possa eseguirsi l'arresto dell'imputato o dell'evaso, è disposta perquisizione locale.
1-bis. Quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque
pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorchè protetto da misure di sicurezza, ne è
disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad
impedirne l’alterazione. (1)
2. La perquisizione è disposta con decreto motivato.
3. L'autorità giudiziaria può procedere personalmente ovvero disporre che l'atto sia compiuto da ufficiali di polizia
giudiziaria delegati con lo stesso decreto.
■ L'art. 247 prevede che la perquisizione sia diretta a ricercare il corpo del reato o cose pertinenti al
reato su persone o in luoghi determinati, ovvero ad eseguire in questi ultimi l'arresto dell'imputato o
dell'evaso. Può avere ad oggetto anche sistemi informatici o telematici.
L'autorità giudiziaria procede personalmente, salva la possibilità di delegarvi un ufficiale
di polizia giudiziaria.
■ L'art. 248 prevede il PRINCIPIO DELLA RICHIESTA DI CONSEGNA, come attività preliminare
rispetto alla perquisizione, quando si ricerchi una cosa determinata; quando sia presentata in
adesione all'invito dell'autorità procedente, la perquisizione stessa potrà essere evitata, se non si
ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini.
Una disciplina specifica si ha per gli atti, i documenti e la corrispondenza presso banche:
l'autorità giudiziaria, o per delega gli ufficiali di polizia giudiziaria, può procedere al loro esame,
eventualmente dopo aver chiesto l'esibizione, quando si tratti di rintracciare cose da sottoporre a
sequestro, ovvero di accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini.
Tuttavia tale disciplina non può applicarsi qualora i responsabili di tali istituti rifiutino il
loro consenso; in tal caso l'autorità giudiziaria dovrà necessariamente procedere a
perquisizione.
■ L'art. 250 prevede, in caso di PERQUISIZIONI DI LOCALI, la consegna del decreto e dell'avviso
della facoltà di assistenza nel corso delle operazioni.
I poteri dell'autorità giudiziaria procedente risultano estesi all'eventuale perquisizione delle persone
sopraggiunte, nonché all'adozione degli altri provvedimenti coercitivi temporanei previsti
relativamente alle ispezioni locali.
140
I risultati delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri e delle intercettazioni eseguiti
in violazione delle disposizioni ex art. 103 non possono essere utilizzati, con l'unica
eccezione nel caso in cui costituiscano corpo del reato.
■ Sono poi previste alcune particolari figure di PERQUISIZIONE CONSENTITE AGLI ORGANI
DI POLIZIA GIUDIZIARIA da leggi speciali quando, nel corso delle operazioni dirette alla
prevenzione o alla repressione di determinati delitti, si verifichino situazioni di necessità ed
urgenza tali da non permettere un tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria; ad esempio,
quando tali operazioni riguardino il traffico illecito di stupefacenti, gli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria possono procedere di regola a perquisizioni, ove abbiano fondato motivo di ritenere
che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti; ad esempio, agli ufficiali ed agli agenti di
polizia giudiziaria, nell'ambito di operazioni relative ai delitti ex art. 416-bis, 648-bis e 648-ter,
ove abbiano fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenuti denaro o valori costituenti il
prezzo o il profitto di tali delitti, o da essi provenienti, ovvero armi ed esplosivi.
□ Gli organi di polizia hanno un generale potere, in situazioni di necessità ed urgenza, di
procedere ad immediata perquisizione sul posto di persone e di mezzi di trasporto al solo
fine di accertare l'eventuale possesso di armi, strumenti di effrazione ed esplosivi.
□ Gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno il potere di procedere a perquisizioni locali anche di
interi edifici o blocchi di edifici; tali perquisizioni, durante il cui svolgimento può essere
sospesa la circolazione di persone o di veicoli nelle aree interessate, possono essere disposte
quando vi sia fondato motivo di ritenere che in tali edifici si trovino armi, munizioni ed
esplosivi, ovvero che vi sia rifugiato un latitante o un evaso in relazione a taluno dei delitti
di criminalità organizzata, ex art. 51 comma 3-bis, ovvero ai delitti con finalità di
terrorismo.
□ Agli ufficiali di polizia giudiziaria è riconosciuto il potere di procedere anche di loro
iniziativa, qualora non sia possibile un tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, alla
perquisizione degli immobili, rispetto ai quali sussistano concreti elementi per ritenere che
l'autore se ne sia avvalso come luogo di riunione, di deposito o di rifugio, o per altre
attività connesse ai più gravi reati finalizzati alla discriminazione od alla violenza per
motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Delle operazioni compiute viene data tempestiva notizia al procuratore della Repubblica in
vista dell'eventuale convalida delle stesse, che dovrà sopravvenire entro le successive 48 ore,
affinché i risu ltati così acquisiti siano utilizzabili nel procedimento.
141
Il sequestro
Art. 253 - Oggetto e formalità del sequestro.
1. L'autorità giudiziaria dispone con decreto motivato il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al
reato necessarie per l'accertamento dei fatti.
2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne
costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
3. Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria delegato
con lo stesso decreto.
4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all'interessato, se presente.
Oggetto dell'istituto del sequestro, ex art. 253, è il corpo del reato ed altre cose pertinenti al reato,
le quali risultino necessarie per l'accertamento dei fatti.
Il CORPO DEL REATO ricomprende sia le cose sulle quali o mediante le quali il reato è
stato commesso, sia quelle che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
Sono le stesse cose per la cui ricerca può essere disposta la perquisizione, sicché si instaura un
rapporto di logica consequenzialità tra perquisizione e sequestro.
In caso di perquisizione eseguita contra legem dovrebbe derivare l'inutilizzabilità del
sequestro; tuttavia le Sezioni unite hanno ritenuto che la sanzione di inutilizzabilità non
operi quando si tratti di sequestro ex art. 253 del corpo del reato o delle cose pertinenti al
reato, sulla base del rilievo che in tali casi debba reputarsi irrilevante il modo con cui
siano pervenuti e debba invece prevalere l'obbligo dell'autorità procedente di disporre il
sequestro.
Al sequestro procede personalmente l'autorità giudiziaria, ovvero un ufficiale di polizia
giudiziaria, con decreto motivato da consegnarsi in copia all'interessato, se presente.
Delle operazioni si deve dar conto nel relativo verbale.
■ L'art. 254 c.p.p. disciplina il SEQUESTRO DI CORRISPONDENZA: sono sequestrabili negli
uffici postali le lettere, i pieghi, i pacchi ed ogni altro oggetto presumibilmente spedito
dall'imputato o a lui diretto (esclusa la corrispondenza riconoscibile tra imputato e difensore), o
che comunque possa avere relazione con il reato.
Qualora proceda al sequestro un ufficiale giudiziario è fermo l'obbligo di consegnare gli oggetti
sequestrati al magistrato senza aprirli né alterarli e senza prendere in altro modo conoscenza del
loro contenuto.
Le carte e i documenti sequestrati che non rientrano tra la corrispondenza sequestrabile
sono immediatamente restituiti all'avente diritto e non possono essere utilizzati.
■ L'art. 254-bis disciplina il SEQUESTRO PRESSO FORNITORI DI SERVIZI INFORMATICI,
TELEMATICI O DI TELECOMUNICAZIONI, dei dati da questi detenuti: l'autorità giudiziaria può
stabilire che, per esigenze legate alla regolare fornitura degli stessi servizi, la loro acquisizione
avvenga mediante copia di essi su adeguato supporto, attraverso una procedura che assicuri la
conformità dei dati acquisiti a quelli originali e alla loro immodificabilità.
■ L'art. 255 regola il SEQUESTRO PRESSO BANCHE, prevedendo la possibilità che l'esecuzione di
tale atto venga delegata agli organi di polizia giudiziaria.
Possono essere sequestrati documenti, titoli, valori, somme ed ogni altra cosa, anche depositata o contenuta in cassette
di sicurezza, quando vi sia fondato motivo di ritenere la loro pertinenza al reato, indipendentemente dal fatto che
appartengano all'imputato o siano iscritti a suo nome; il segreto bancario non opera davanti al potere di sequestro
dell'autorità giudiziaria in sede penale.
142
■ L'art. 256 regola il RAPPORTO TRA SEQUESTRO E SEGRETI, ponendo come regola
generale il dovere di esibizione imposto alle persone ex art. 200 e 201, quando venga loro
richiesta dall'autorità giudiziaria la consegna di atti, documenti e di ogni altra cose di cui
abbiano la disponibilità per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, arte o professione, a
meno che tali persone oppongano, dichiarando per iscritto il vincolo derivante da un segreto
professionale, d'ufficio o di Stato.
□ Quando l'opposizione si riferisca all'esistenza di un segreto professionale o d'ufficio, e l'autorità
giudiziaria dubiti della fondatezza di tali dichiarazioni, ritenendo di non poter procedere senza
le corrispondenti acquisizioni, la stessa autorità può disporre i necessari accertamenti, a
conclusione dei quali il sequestro dovrà essere ordinato in caso di accertata infondatezza
dell'opposizione dei segreti.
□ In caso di opposizione del segreto giornalistico il sequestro dovrà essere ordinato anche
prescindendo dalla fondatezza o meno della relativa dichiarazione, quando le notizie fornite dalla
fonte fiduciaria del giornalista risultino indispensabili ai fini della prova del reato, e la loro
veridicità possa esser accertata solo attraverso l'identificazione di tale fonte.
□ È escluso che possano esser sottoposti a sequestro gli atti e i documenti contenenti i nomi
degli informatori confidenziali, dei quali gli organi di polizia giudiziaria o dei servizi di
sicurezza dichiarino di non voler rilevare l'identità.
□ Nel caso di opposizione del segreto di Stato, rispetto agli atti o documenti in questione, gli
adempimenti prescritti all'autorità giudiziaria corrispondono a quelli ex art. 202; alla sentenza
non deve procedersi in caso di conferma del segreto (al più tardi entro 60 giorni), da parte del
presidente del Consiglio dei ministri, su prova ritenuta dal giudice essenziale per la
definizione del processo; mentre quando tale conferma non sia tempestivamente fornita,
l'autorità giudiziaria potrà disporre il sequestro degli stessi atti o documenti.
Non è ammissibile l'opponibilità del segreto d'ufficio o di stato ex art. 201, 202, 203 su
fatti, notizie e documenti concernenti reati diretti all'eversione dell'ordinamento
costituzionale, ovvero concernenti altri delitti ex art. 204 co 1.
■ L'art. 256-bis prevede che, per l'acquisizione, ad opera dell'autorità giudiziaria, di documenti,
ovvero atti o altre cose, presso le sedi dei servizi di informazione per la sicurezza, nel caso in
cui dai responsabili dei relativi uffici non venga eccepito il segreto di Stato, l'autorità giudiziaria,
dopo aver proceduto con uno specifico ordine di esibizione all'esame sul posto di tali documenti, e
dopo aver acquisito solo quelli strettamente indispensabili alle indagini, possa rivolgersi al
presidente del Consiglio dei ministri, sollecitandone una decisione, ove ritenga che i documenti
esibiti non siano quelli richiesti o siano incompleti.
Al presidente del Consiglio dovrà necessariamente rivolgersi l'autorità giudiziaria quando
intenda acquisire un documento originato da un organismo informativo estero e trasmesso
con vincolo di non divulgazione, essendo in tal caso prevista la sospensione dell'esame e
della consegna, nell'attesa che il presidente del Consiglio, assunte le necessarie iniziative
presso l'autorità estera, adotti le relative determinazioni, autorizzando l'acquisizione del
documento ovvero opponendo il segreto di Stato entro 60 giorni. (30 giorni nel caso di
testimonianza ex 202).
■ L'art. 256-ter prevede che se il responsabile dell'ufficio detentore dei documenti da acquisirsi
eccepisca il segreto di Stato, l'esame e la consegna di tali documenti debba esser sospesa per far
luogo alla loro immediata trasmissione al presidente del Consiglio dei ministri, che potrà o
autorizzare l'acquisizione di tali documenti ovvero dare conferma del segreto di Stato, salvo che
quando non si pronunci per la conferma del segreto entro 30 giorni da tale trasmissione, l'autorità
giudiziaria potrà procedere all'atto acquisitivo.
143
■ L'art. 257 prevede la RICHIESTA DI RIESAME, che richiama la procedura ex art. 324 con la
relativa richiesta contro i decreti di sequestro conservativo e preventivo.
L'estinzione del vincolo imposto con il sequestro, e quindi la restituzione delle cose ad
esso assoggettate dipende, in teoria, dal venire meno delle esigenze probatorie che avevano
determinato il provvedimento.
L'art. 262 dispone che se non è necessario mantenere il sequestro ai fini della prova, le cose
sequestrate devono essere restituite a chi ne abbia il diritto, anche prima della sentenza.
Tale regola è derogata dalla previsione di conversione del sequestro, da misura con
finalità probatoria a misura con finalità cautelare.
Venuto meno il presupposto probatorio del sequestro penale, il giudice, quando ne sia ritualmente
richiesto, potrà disporre il mantenimento del vincolo a titolo di sequestro conservativo o di
sequestro preventivo, anziché ordinare la restituzione delle cose sequestrate, soltanto quando abbia
verificato la sussistenza dei presupposti cautelari delle varie misure.
Quando tale verifica dia esito positivo, il giudice sarà tenuto a disporre il correlativo sequestro di
natura cautelare, mentre all'opposto, nel caso di perdita d'efficacia di un sequestro preventivo a
causa di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, poi impugnata dal pubblico
ministero, quando esistano più esemplari identici alla cosa sequestrata, e questa presenti interesse
ai fini della prova, il giudice sarà tenuto a disporre il sequestro penale di un solo esemplare della
cosa, ordinando allo stesso tempo la restituzione degli altri.
L'art. 263 regola la RESTITUZIONE, il provvedimento viene pronunciato quando non vi siano
dubbi sull'appartenenza delle cose sequestrate (ma in caso di sequestro presso una terza persona si
instaurerà sempre il contraddittorio), mentre quando sorga controversia sulla proprietà delle cose
la risoluzione sarà rimessa al competente giudice civile, fermo restando il vincolo del sequestro.
Nel corso delle indagini preliminari, sulla restituzione delle cose sequestrate provvede il
pubblico ministero con decreto motivato; dopo di che, contro il decreto che ha disposto la
restituzione, ovvero abbia respinto la relativa richiesta, gli interessati potranno proporre
opposizione sulla quale decide il GIP, ex art. 127.
Intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni
Art. 15 Cost.
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie
stabilite dalla legge.
Circa questo tema si sono sviluppate diverse polemiche per la troppa facile divulgazione sui media del
contenuto delle stesse. Numerose riforme hanno modificato il testo e da ultima quella Orlando del 2017 che
ha introdotto nuovi sistemi di garanzia per la tutela della riservatezza.
■ L'art. 266 c.p.p. definisce i LIMITI OGGETTIVI entro i quali è ritenuta ammissibile
l'intercettazione di conversazioni, comprendendo i colloqui tra presenti (anche nei luoghi di
domicilio, se del caso con appositi strumenti di ascolto, da autorizzare specificamente), ovvero
comunicazioni di ogni tipo.
L'intercettazione è consentita per i procedimenti relativi a:
a. delitti non colposi puniti con ergastolo o reclusione superiore a 5 anni;
b. delitti contro la PA puniti con reclusione superiore a 5 anni,
c. delitti circa sostanze stupefacenti o psicotrope,
d. delitti circa armi e sostanze esplosive,
e. delitti di contrabbando,
f. reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia con mezzo telefonico,
g. delitti di pornografia minorile.
Per effetto dell'art. 266-bis deve sempre ritenersi consentita, nei limiti degli ordinari presupposti di
legge, l'intercettazione di flusso relativo a sistemi informatici o telematici, tutte le volte in cui si
proceda per uno dei reati ex art. 266, nonché per i reati commessi con l'impiego di tecnologie
informatiche o telematiche.
Negli stessi casi si può procedere ad intercettazioni di colloqui tra presenti, intercettazioni
ambientali. La regola generale vuole però che nei luoghi di domicilio tale intercettazione è
consentita solo se risulta lo svolgimento dell’attività criminosa. Delicato è l’impiego dei
captatori informatici, cd trojan virus, che installati in un dispositivo connesso a internet
consentono di acquisire ogni sorta di dato in esso presenti, incluso la registrazione di suoni e
immagini. In generale l’uso dei captatori (cimici) per le intercettazioni ambientali è consentito
fuori dal domicilio, per i trojan invece si pone il problema che questi possano captare anche
conversazioni all’interno del domicilio. La corte cost con sent 152/91 consente l’utilizzo dei
captatori anche nel domicilio a prescindere dallo svolgersi dell’attività criminosa, tuttavia il
legislatore della riforma ne ha ristretto la portata e quindi l’utilizzo tout cour ai soli delitti di cui
all’art 51 comma 3 bis e quater. Negli altri casi occorre che nel decreto di autorizzazione siano
indicati i luoghi e il tempo in cui è consentito attivare il microfono.
■ L'art. 267c.p.p. prevede che, di regola, l'intercettazione possa esser disposta dal pubblico
ministero solo a seguito di autorizzazione da parte del giudice per le indagini preliminari, con
decreto motivato, quando, in presenza di gravi indizi di reato, non necessariamente a carico di una
determinata persona, l'intercettazione risulti assolutamente indispensabile per la prosecuzione
delle indagini, ovvero necessaria al fine di agevolare le ricerche del latitante.
Nei casi di urgenza, quando vi siano valide ragioni per ritenere che il ritardo
provocherebbe gravi pregiudizi alle indagini, si ammette che l'iniziativa di disporre
l'intercettazione possa venire direttamente assunta dal pubblico ministero con decreto
motivato, da convalidarsi entro 48 ore ad opera dello stesso giudice con decreto. In caso
di mancata tempestiva convalida, l'intercettazione non potrà essere proseguita e i risultati
eventualmente già ottenuti non potranno essere utilizzati.
La giurisprudenza delle Sezioni unite ha escluso la necessità di estendere all'acquisizione
dei tabulati attestanti il flusso del traffico telefonico relativo ad un'utenza, le garanzie
proprie delle intercettazioni telefoniche, essendo i tabulati limitati ad acquisire la
documentazione del fatto storico consistente nelle conversazioni intercorse tra determinati
soggetti in determinate circostanze.
Può quindi ritenersi sufficiente il provvedimento motivato dell'autorità
giudiziaria impersonata dal pubblico ministero.
→ Il d.lgs. 196/2003 regola la disciplina dell'ACQUISIZIONE DEI TABULATI RELATIVI AL
TRAFFICO TELEFONICO, stabilendo che i dati relativi a tale traffico debbano essere conservati
dal fornitore del servizio per 24 mesi dalla data della comunicazione per finalità di accertamento e
repressione dei reati. Il termine di conservazione è di 12 mesi rispetto al traffico telematico e 30
giorni rispetto ai dati relativi alle chiamate senza risposta.
Tali dati possono essere acquisiti dal pubblico ministero con decreto motivato, anche su
istanza dei difensori delle parti private. Il difensore dell'imputato può, in sede di indagini
difensive, richiedere direttamente al fornitore i dati relativi alle utenze intestate al
proprio assistito.
Tornando alle intercettazioni il decreto del pubblico ministero stabilisce le modalità e la durata
delle corrispondenti operazioni; queste non possono prolungarsi oltre il termine di 15 giorni
(prorogabili dal giudice, con decreto motivato, e in permanenza dei presupposti richiesti
dall'inizio, per periodi successivi di 15 giorni) e devono essere eseguite dal pubblico ministero
personalmente o tramite un ufficiale di polizia giudiziaria.
■ L'art. 268 comma 3-bis ammette che in caso di intercettazione di comunicazioni informatiche o
telematiche possa venire autorizzato anche l'impiego di impianti appartenenti a privati.
L'art. 268 stabilisce che le comunicazioni intercettate siano sempre registrate e che nel
relativo verbale venga trascritto, anche in modo sommario, il loro contenuto. La riforma
orlando ha introdotto l’espresso divieto di trascrivere nel verbale le comunicazioni irrilevanti,
divieto rivolto alla p.g. Il pm ha il potere di valutarne l’effettiva rilevanza e disporne la
trascrizione.
I verbali e le trascrizione sono trasmesse immediatamente al pm che può differire la
trasmissione in caso di indagini complesse. La novità più significativa della riforma è
l’istituzione di un archivio (presso l’ufficio del pm che ha richiesto le intercettazioni)
riservato dove vanno conservati verbali, registrazioni e ogni altro atto a esse relativo ex 269 c1.
Il procuratore della Repubblica ha il dovere di dirigere, sorvegliare e assicurarne la segretezza
finché il giudice non ne disponga l’acquisizione, infatti potranno accedervi successivamente
anche i difensori delle parti (previa annotazione e non possono estrarne copia).
I verbali e la registrazione (rilevanti) devono essere depositati in segreteria, entro 5 giorni dalla
conclusione definitiva delle operazioni, salva la possibilità di ritardo autorizzato dal giudice, non
oltre la chiusura delle indagini preliminari, quando potrebbe derivarne un grave pregiudizio per le
indagini stesse. In ogni caso il pm deve darne avviso ai difensori. Il pm entro i 5 giorni successivi
deve presentare richiesta al giudice dell’acquisizione delle intercettazioni depositate e i difensori,
entro 10 giorni dall’avviso, hanno facoltà di chiedere l’acquisizione delle intercettazioni per loro
rilevanti e eliminazioni di quelle inutilizzabili o di cui è vietata la trascrizione. Anche il pm può
chiedere l’eliminazione di quelle per cui è sopravvenuta l’irrilevanza. Ex 268 quater il giudice,
decorsi 5 giorni dalla presentazione delle richieste, con ordinanza in camera di consiglio (senza la
presenza delle parti o se necessario in un’udienza ad hoc) dispone l’acquisizione delle
intercettazioni escludendo quelle irrilevanti o inutilizzabili e gli atti sono inseriti nel fascicolo delle
indagini. Con l’ordinanza viene meno il segreto ergo i difensori possono estrarre copie delle
intercettazioni acquisite, quelle irrilevanti tornano in archivio e restano coperte da segreto. È quindi
previsto un doppio filtro prima dal pm e poi dal giudice senza contare la selezione fatta dalla p.g.
Può accadere che le intercettazioni debbano essere utilizzate prima della conclusione delle operazioni o comunque
senza l’acquisizione davanti al giudice, es richiesta di misura cautelare ex 291 il pm deve indicare gli elementi che
dimostrano la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. In questi casi la selezione delle intercettazioni rilevanti è
fatta dal pm che le inserisce direttamente nel fascicolo delle indagini per non rovinare l’effetto sorpresa. Al giudice
una volta adottata la misura non resta che restituire al pm gli atti che abbia ritenuto non rilevanti o inutilizzabili
perché li collochi nell’archivio riservato. Comunque sia, tanto nella richiesta quanto nell’ordinanza cautelare (atti
pubblici), si devono riportare soltanto i brani essenziali. Eseguita la misura cautelare, l’ordinanza, la richiesta del pm
e gli atti presentati con essa, vanno depositati in cancelleria. Da questo momento in poi ex nuova versione comma 3
art 293, il difensore ha diritto non solo di accedere ai verbali ma di ottenere la trasposizione delle registrazioni su
supporto idoneo.
■ Art. 269 c.p.p. i verbali e le registrazioni delle intercettazioni, anche non acquisiti, devono di
regola esser conservati integralmente presso un archivio del pubblico ministero che le
abbia disposte, fino al passaggio in giudicato della sentenza.
È ammesso che, quando la relativa documentazione non sia necessaria per il procedimento,
gli interessati, a tutela della propria riservatezza, possano chiederne la distruzione al
giudice, che provvede in camera di consiglio e, qualora la distruzione venga disposta, curerà
che sia eseguita sotto al suo controllo. Di tutto è redatto verbale.
■ L'art. 270 c.p.p. salva la possibilità di desumere eventuali notizie di reato anche da
intercettazioni disposte in altri procedimenti: queste intercettazioni sono utilizzabili solo quando
risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.
Questa disciplina è estesa anche ai captatori informatici con l’inserimento del comma 1bis dalla
riforma orlando.
Una volta trasmessi le registrazioni e i verbali correlativi all'autorità giudiziaria
competente, nell'ambito di tale procedimento deve assicurarsi il contraddittorio in ordine a
tale documentazione, attraverso le forme dell'art. 268.
Per evitare i rischi connessi ad una trasmissione solo parziale dei verbali e delle registrazioni
risultanti dalle intercettazioni compiute, il pubblico ministero e i difensori possono esaminare
l'intera documentazione, compresi i verbali e le registrazioni successivamente oggetto di stralcio,
così come depositata ex art. 268 nel procedimento per il quale le intercettazioni siano state all'inizio
autorizzate. Secondo le s.u. se la conversazione o comunicazione è essa stessa il corpo del reato
(integra e esaurisce la condotta criminosa, es rivelazione segreto di ufficio) è sempre utilizzabile.
La Legge 124/2007 regola i casi in cui l'autorità giudiziaria, con le intercettazioni, abbia acquisito
comunicazioni di servizio di appartenenti al sistema dei servizi di sicurezza.
■ L'art. 270-bis c.p.p., applicabile solo alle acquisizioni probatorie successive alla data di entrata in
vigore di tale legge, prevede che la relativa documentazione sia immediatamente secretata e
custodita in luogo protetto, prevedendo che la stessa autorità giudiziaria trasmetta al presidente del
Consiglio dei ministri copia di tale documentazione, nella parte contenente le informazioni di cui
intende avvalersi nel processo, allo scopo di accertare se alcuna di queste sia coperta da segreto di
Stato.
Se entro 60 giorni il presidente del Consiglio non opponga tale segreto, l'autorità
giudiziaria potrà acquisire la documentazione trasmessa e provvedere per il proseguimento
del procedimento, mentre in caso di opposizione del segreto di Stato, le sarà inibita
l'utilizzazione delle notizie coperte da segreto.
□ Il comma 3 dispone che prima che sopraggiunga la risposta del presidente del Consiglio, le
informazioni ad esso inviate possano esser utilizzate, sia pure limitatamente ad una prospettiva
cautelare, cioè solo se vi sia pericolo di inquinamento delle prove o pericolo di fuga, ovvero
quando sia necessario intervenire per prevenire o interrompere la commissione di un delitto.
Art. 68 Cost.
I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei
voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può
essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti
privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza
irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto
l'arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in
qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.
■ L'art. 68 comma 3 Cost. prevede la necessità di autorizzazione della Camera di
appartenenza per poter sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi
forma, di conversazioni o comunicazioni.
Tale autorizzazione deve essere richiesta dall'autorità che ha emesso il provvedimento da
eseguire.
Nel frattempo l'esecuzione di tale provvedimento deve rimanere sospesa; quindi ove le
intercettazioni venissero comunque eseguite, lo sarebbero fuori dai casi consentiti dalla
legge.
Analoga disciplina si ha nel caso in cui l'autorità giudiziaria debba acquisire tabulati
di comunicazioni nei riguardi di un parlamentare, esorbitando così dai confini
dell'art.
68 comma 3 Cost., dettando quindi una previsione sospetta di illegittimità per
ingiustificata disparità di trattamento a favore dei membri del Parlamento.
Caso particolare è quello dei verbali e delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni cui
abbiano preso parte dei membri del parlamento, le quali siano state regolarmente intercettate nel
corso di procedimenti riguardanti terze persone (intercettazioni indirette); fermo restando che nel
caso di intercettazioni preordinate a carico di un parlamentare trova applicazione l'art. 68 comma 3
Cost, sia che si tratti di intercettazioni disposte su utenze o in luoghi rientranti nella sfera di
appartenenza o di disponibilità dello stesso membro del Parlamento, sia che si tratti di
intercettazioni appartenenti a soggetti diversi, in quanto suoi interlocutori abituali, ovvero in luoghi
diversi, in quanto possano presumersi frequentati dal parlamentare.
La Legge 140/2003, in attuazione all'art 68 Cost. distingue a seconda che il giudice per le
indagini preliminari ritenga irrilevanti, ai fini del procedimento, i verbali e le registrazioni delle
conversazioni o comunicazioni intercettate nel corso di procedimenti riguardanti terzi, alle quali
abbiano occasionalmente preso parte dei membri del parlamento, ovvero che li ritenga rilevanti,
che ritenga quindi necessario utilizzare i risultati delle relative intercettazioni, su istanza di una
parte, sentite le altre parti, nei termini e nei modi previsti all'art. 268:
a) se li ritiene irrilevanti, i risultati devono essere integralmente distrutti ex art. 269;
b) se li ritiene rilevanti, il giudice, per poter utilizzare le intercettazioni così eseguite, deve
tempestivamente richiederne l'autorizzazione alla Camera di appartenenza del
parlamentare, le cui conversazioni siano state casualmente intercettate, trasmettendo con la
richiesta una copia integrale dei verbali e delle registrazioni.
Nel caso in cui tale autorizzazione sia negata, la documentazione delle intercettazioni
deve essere distrutta immediatamente, non oltre 10 giorni dal diniego.
Tutti i verbali e le registrazioni acquisiti in violazione di tale norma devono esser
dichiarati inutilizzabili ad opera del giudice in ogni stato e grado del procedimento.
Questa disciplina drastica per quanto giustificabile in relazione al parlamentare, non
trovava altrettanta giustificazione nel caso in cui dall’intercettazione emergessero risultati
rilevanti sulla posizione di terze persone che non ricoprivano la carica parlamentare e che
comunque godevano dell’estensione di tale immunità. Interviene la corte cost che
dichiara illegittima l’applicabilità di questa disciplina nei confronti di persone che non
abbiano la qualifica di parlamentare.
Vige il divieto assoluto di intercettare il Presidente della Repubblica e l’obbligo di
distruzione immediata di quelle accidentalmente registrate.
L’art. 330 stabilisce che il PM e la PG prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di
reato presentate o trasmesse a norma degli articoli seguenti possono esserci:
1. Notizie qualificate: ossia la denuncia da parte di PU o incaricati di pubblico servizio, la denuncia da parte di
privati, il referto: sono le forme tipiche disciplinate dagli artt. 331-334bis.
2. Accanto a queste ultime, allorché la legge prevede come necessaria una condizione di procedibilità, le
dichiarazioni di querela, istanza, richiesta, nell’esprimere la volontà di rimuovere l’ostacolo alla procedibilità,
possono fungere altresì da veicolo per la notizia di reato, sempre che la stessa non sia già nella disponibilità
degli organi inquirenti.
Fuori da queste ipotesi, la notizia di reato può derivare da qualsiasi fonte che si palesa alle autorità inquirenti, anche
nell’attività loro riconosciuta di prendere notizia dei reati di propria iniziativa ricadono nel novero delle cd. notizie
non qualificate tutti gli eventi fenomenici idonei a prospettare la possibilità di commissione di un reato, come ad
esempio le notizie di fonte giornalistica, la constatazione diretta di un fatto, eventualmente accompagnata dall’arresto
in flagranza, o anche una informazione confidenziale, rilasciate ex art. 203 ovvero nel corso di colloqui investigativi
ex art. 18bis ord.pen.
È importante notare come la simmetria istituita dall’art. 330 fra PM e PG sia solo apparente: infatti rientra nelle
attribuzioni degli ufficiali e degli agenti di PG il dovere di prendere notizia dei reati e di riferirne all’AG (55,1)
l’agente o l’ufficiale di PG che abbia avuto comunque notizia di un reato e non abbia comunicato l’apposita
informativa nei casi in cui fosse obbligatorio è sanzionato penalmente (361,2 cp omessa denuncia di un pu). Al
contrario, il singolo magistrato non sembra gravato da analoghi obblighi l’art. 70,5 ord. giu., prevede che allorché
un magistrato addetto all’ufficio della procura, fuori dall’esercizio delle sue funzioni, venga a conoscenza di fatti che
possano determinare l’inizio dell’azione penale o di indagini preliminari, può segnalarli (mera facoltà) per iscritto al
titolare dell’ufficio. Spetterà a quest’ultimo se informato, adottare provvedimenti di natura formale conseguenti a
quella segnalazione: quest’ultimo quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione e non intende
procedere personalmente, provvede a designare per la trattazione uno o più magistrati dell’ufficio.
In linea generale, poi, l’attività che conduce ad individuare la notizia di reato non è priva di profili problematici. Il
profilo principiale è quello concernente la liceità nonché l’estensione dell’attività investigativa che venga compiuta
prima dell’acquisizione della notizia di reato attività pre-investigative di procacciamento della notizia di reato.
Secondo un’opinione giurisprudenziale consolidata, si tratta di attività lecita in quanto preordinata ad acquisire e
precisare gli estremi della notizia di reato, fino a che non incida su valori costituzionalmente protetti: devono
ritenersi quindi non consentiti, oltre ai provvedimenti di natura cautelare incidenti sulla libertà, tutti gli atti di indagine
di natura invasiva, quali perquisizioni e sequestri, ispezioni o intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.
Esistono possibilità di usare questi mezzi investigativi anche in assenza di una notizia di reato: possibilità contemplate
nelle leggi speciali (ECCEZIONI) e non nel nostro cpp. Es: art.41 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza:
per la ricerca di armi ed esplosivi (questo testo unico dunque deroga a quanto appena detto). In questo caso basta un
semplice fumus boni iuris. Altro esempio: leggi doganali. Noi subiamo perquisizioni anche qui da cui possono
scaturire delle notizie di reato. Per le investigazioni già viste esistono, ex art.226 disp.att., le investigazioni
preventive, che hanno una disciplina più ampia e più possibilità di essere attivate. Nel tentativo di prevenire possono
trovare qualcosa che sia reato, e quindi una notizia di reato.
Per la pg il problema è meno grave, perché la pg deve cercare la notizia di reato, ma per il pm non ci sarebbe questa
funzione, eppure qui viene in qualche modo ricordata. Il pm non può essere troppo proattivo, ma deve utilizzare molta
cautela.
7. l’iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335
Procedura di registrazione della notizia di reato: art.335 cpp. È un atto importante perché segna l’inizio
dell’indagine, ufficialmente. L’indagine comincia nel momento in cui viene iscritta la notizia di reato e il nominativo
del possibile autore in un registro tenuto presso l’ufficio del pm. L’indagine preliminare ha una durata, ed il termine è
un termine perentorio (la sua inosservanza comporta una sanzione processuale, e in questo caso tutti gli atti
investigativi compiuti fino a quel termine non sono più utilizzabili), è un termine prorogabile per un massimo di 2
volte per 6 mesi. Quindi l’indagine può durare al massimo 18 mesi. Art.407, comma 2, cpp: prevede un termine
iniziale di un anno prorogabile per due volte per 6 mesi. Sono casi particolari, come criminalità organizzata, omicidi,
in cui al massimo si può arrivare a 2 anni. I pm, da quando è stato immesso questo termine, che nel codice previgente
non esisteva, sono stati spiazzati (prima l’indagine durava anche tantissimi anni), e molti pm cercano di ritardare il
momento per guadagnare tempo. Non esiste un solo registro delle notizie di reato, esistono tre tipi di registro:
Art.335: segna il punto temporale che rimanda ad articoli quali l’artt.406 e 407.
Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto o questo risulta diversamente
circostanziato, il pm cura l’aggiornamento delle iscrizioni ex comma 1 senza procedere a nuova iscrizione (335,2)
si desume che in tutti gli altri casi, gli eventuali mutamenti dovranno determinare una nuova iscrizione.
È da quest’adempimento – di regola a partire della iscrizione nominativa – che devono essere computati il termine di
durata delle indagini (che definisce anche il momento per l’esercizio dell’azione penale, 405,2), scaduto il quale ogni
atto investigativo dovrà intendersi inutilmente compiuto (407,3), nonché il termine per la richiesta del giudizio
immediato (454,1), del decreto penale di condanna (459,1) e del giudizio direttissimo nei confronti dell’indagato che
ha reso confessione (449,5).
Nonostante l’obbligo di iscrizione a carico del PM, l’assenza di una sanzione specifica per il caso di inottemperanza
genera il rischio che, tra il momento in cui la notizia di reato viene acquisita ed il momento in cui la stessa sia
effettivamente iscritta, possa intercorre un lasso di tempo indefinito e incontrollato tale da vanificare gli interessi
per i quali il termine stesso è stato istituito con il conseguente aggiramento della sanzione di inutilizzabilità degli atti
compiuti dalla legge (407,3). La giurisprudenza aveva individuato, al riguardo, un possibile rimedio prospettando
l’eventualità di una retrodatazione del dies a quo di durata delle indagini, tutte le volte in cui fosse accertata la tardiva
iscrizione; senonché le SS.UU. hanno precisato, che, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità
disciplinari o addirittura penali nei confronti del PM negligente, l’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione
rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del PM ed è sottratto, in ordine all’an e al quando, al sindacato del
giudice. La legge n.103 del 2017 non ha inciso sui meccanismi codicistici nella prospettiva di scalzare
l’interpretazione riduttiva impostasi nella giurisprudenza di legittimità. L’intervento legislativo in materia è stato
invece limitato ad alcune modifiche alle norme di ordinamento giudiziario finalizzate a rafforzare i poteri di controllo
demandati ai dirigenti degli uffici requirenti: spetta al procuratore della Repubblica il compito di assicurare
l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato. Nell’ambito del potere di vigilanza a lui
spettante, inoltre, il procuratore generale presso la corte d’appello acquisisce dati e notizie dalle procure della
Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la corte di cassazione una relazione almeno annuale.
L’obbligo di iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 scatta peraltro solo nel caso di una
informazione dotata degli elementi per definirsi tale. Ove invece ci si trovi di fronte ad una pseudo-notizia di reato
(ad es. la notizia di un fatto lecito ovvero la notizia del tutto inverosimile di un fatto illecito) il PM dovrà scrivere la
stessa in un diverso registro (modello 45), esistente presso ogni procura della Repubblica, trasmettendo poi
direttamente gli atti all’archivio (cd. potere di cestinazione o di archiviazione dirette) senza richiedere al giudice su
di essa un formale provvedimento di archiviazione. Inutile dire che un tale potere di cestinazione può prestarsi a
disinvolte operazioni di deflazione del carico penale poiché sottrae al giudice il controllo sull’inazione. Quest’ultimo,
secondo la giurisprudenza, dovrà in ogni caso pronunciarsi nelle forme dell’art. 409, ove il PM abbia rivolto al
giudice la richiesta di archiviazione.
Il comma 3 dell’art 335 prevede poi che ad esclusione dei casi in cui si procede per uno dei delitti di cui all'art.
407,2 lett. a, le iscrizioni previste ai commi 1 e 2 sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla
persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta.
Il comma 3bis invece dispone che se sussistano specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il PM, nel
decidere sulla richiesta, possa disporre, con decreto motivato, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non
superiore a 3 mesi e non rinnovabile.
Aggiunta lezione Orlandi: Nella metà degli anni ’90 il legislatore, volendo aggiungere garanzia all’indagare, ha dato
all’indagato il diritto di informarsi circa la pendenza di una iscrizione di una data notizia di reato. Esiste uno
strumento apposito per informare una persona su una data indagine: informazione di garanzia. L’informazione di
garanzia consente di difendersi già nella fase dell’indagine preliminare, viene inviata solo quando viene compiuto un
atto c.d. garantito (atti ai quali può assistere o deve assistere il difensore: l’interrogatorio, il confronto a cui partecipa
l’indagato, il sequestro, le perquisizioni. I primi due atti comportano anche un preavviso, gli altri non comportano
preavviso, però ammettono la presenza). Prima di compiere uno di questi atti va data l’info di garanzia, ma molti pm
non fanno questi atti per evitare di far partecipare l’indagato. Quindi oggi è possibile sapere se il nome di un assistito
è presente nel registro degli indagati. Questo non vale per delitti ex art.407, comma 2, lett.a (sono norme contenitore:
questa norma crea una sorta di binario speciale: si possono chiamare reati di criminalità organizzata e sono
compresi altri reati quali l’omicidio e reati di sangue in generale). Questo art.407 cerca di tutelare l’indagine, ma per
gli altri casi è possibile dal difensore ottenere l’informazione.
Esistono in Italia 140 procure della Repubblica, quindi non è molto facile trovare il pm che avrebbe potuto iscrivere la
notizia di reato. La registrazione è il momento ufficiale dell’inizio dell’indagine, che non sempre coincide con il
momento iniziale dell’indagine. Inizio ufficiale non significa inizio concreto e reale.
8: denuncia dei pubblici ufficiali, denuncia dei privati, referto
Vi sono due notizie nominate di reato: la denuncia, la quale prevede due ipotesi, e il referto.
La denuncia è la dichiarazione con cui una qualsiasi persona fisica non esercente una professione sanitaria, porta la
commissione di un reato perseguibile d’ufficio a conoscenza del PM o della PG.
Art. 331 cpp: prevede che “salvo quanto stabilito dall'articolo 347 (cioè l’informativa della PG che per compito
istituzionale deve prendere notizia dei reati ed informare il PM con le cadenze e modalità ivi previste), i pubblici
ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio
(altrimenti si applicherebbe l’art. 333 che prevede la facoltà per ciascun soggetto privato di denunciare), abbiano
notizia di reato perseguibile d’ufficio (non dunque per i reati procedibili a querela, richiesta o istanza), devono farne
denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito”.
Tra i pubblici ufficiali sono ricompresi anche i magistrati, infatti ex art. 331,4, se nel corso di un procedimento
civile o amministrativo, emerge un fatto del quale si può configurare un reato perseguibile d’ufficio, l’autorità che
procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al PM. In realtà anche lo stesso giudice penale, seppur non
richiamato, può essere soggetto tenuto all’informazione: la legge lo prevede espressamente in un caso, ossia quello in
cui di fronte ad un testimone che rifiuti di deporre, il giudice debba disporre “l’immediata trasmissione degli atti al
PM perché proceda a norma di legge” (207,1); quando invece ravvisi gli estremi del reato di falsa testimonianza, deve
informare il PM con la decisione che definisce la fase processuale (207,2). Quanto alla forma, la denuncia deve
essere redatta per iscritto, eventualmente con un unico atto proveniente e sottoscritto da più persone obbligate alla
denuncia per il medesimo fatto (331,3).
Art.332 cpp: elenca (l’oggetto): l’esposizione degli elementi essenziali del fatto con l’indicazione del giorno
dell'acquisizione della notizia nonché le fonti di prova già note. Contiene inoltre, quando è possibile, le generalità, il
domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di
coloro che siano in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Quanto ai destinatari, ex
331,2 la denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al PM o a un ufficiale di PG, salvo quanto previsto al
comma 4.
Art.333 cpp: per quanto riguarda la denuncia dei privati, questa è facoltativa salvo i casi tassativamente elencati
dalla legge, i quali sono penalmente sanzionati in caso di omissione: in particolare nei casi di omessa denuncia di
un delitto contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo (364 cp); omessa
denuncia di cose provenienti da delitto (709 cp); omessa denuncia di materie esplodenti (679 cp) e di precursori di
esplosivi (679bis cp); omessa denuncia di furto smarrimento o rinvenimento di armi o di parti di esse o di esplosivi
(20 l. 110/1975); omessa denuncia in ordine a fatti o circostanze relative ad un sequestro di persona a scopo di
estorsione (3 d.l. 8/ 1991), salva la non punibilità di chi ha posto in essere le relative condotte in favore di congiunti.
La denuncia proveniente dal privato può essere presentata oralmente o per iscritto (se è presentata per iscritto, è
sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale), personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al PM
o a un ufficiale di PG il quale ha l’obbligo di rilasciare una ricevuta (utile sia per comprovare l’avvenuta
presentazione, nei casi in cui la denuncia si obbligatoria, sia ai fini della prova di rapporti giuridici di carattere extra
penale).
L’articolo 333,3, prevede, poi, che “delle denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto
dall’art. 240” (240: i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo
utilizzati, salvo che costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato) esse non valgono
come notitia criminis e non devono, pertanto, essere iscritte nel registro previsto dall’art. 335. Tuttavia, dalle denunce
anonime, delle quali è prevista l’iscrizione in un apposito registro (cd. modello 46) non è escluso che il PM o la PG
possano trarre spunto per la loro attività, attivandosi per verificare se dall’atto anonimo possano ricavarsi gli estremi
utili per l’individuazione di una notitia criminis.
Art.334 cpp: il referto, invece, è la denuncia cui sono obbligati gli esercenti una professione sanitaria che abbiano
prestato assistenza od opera in un caso che possa presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere
d'ufficio (365,1 cp). Vi sono tenuti coloro che svolgono una professione sanitaria principale (medici, farmacisti,
veterinari) o secondaria (infermieri, assistenti diplomati), non coloro che svolgono mestieri espressione della cd. arte
medica (ottici, odontotecnici). In quanto pubblici ufficiali, i medici che svolgono la propria professione in strutture
pubbliche non rientrano tra i soggetti obbligati al referto, ma sono sottoposti alla disciplina dettata dall’art.331.
L’obbligo di referto viene meno, e così la sanzione penale, allorché la notizia di reato esporrebbe la persona
assistita a conseguenze di carattere penalistico (365,2 cp), nel qual caso essi hanno solo la facoltà di presentare il
referto questo per evitare che il soggetto bisognoso di cure sia messo nella scomoda alternativa tra il precludersi
l’accesso all’assistenza sanitaria ovvero il sottoporsi alle cure con il rischio di essere incriminato.
Il referto - eventualmente in unico atto sottoscritto da tutti coloro che, avendo prestato la loro esistenza nella
medesima occasione ne sono tenuti (334,3) – deve essere presentato entro 48 ore dall’acquisizione della notizia o, se
vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al PM o ad un ufficiale di polizia del luogo in cui l’assistenza è stata
prestata o, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia più vicino (334,1).
Il referto (che nel silenzio della legge si presume abbia forma scritta dato il contenuto dettagliato) indica la persona
che è stata assistita e, se è possibile le sue generalità, il luogo dove essa attualmente si trova e quant’altro valga ad
identificarla, nonché il tempo, il luogo e le altre circostanze dell’intervento del sanitario. Inoltre, dà le notizie
che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con cui questo è stato commesso e gli effetti che esso ha
causato o può causare (334,2).
Infine, per garantire la massima esplicazione del diritto di difesa nel processo penale, il legislatore precisa che
all’art.334-bis “i difensori e gli altri soggetti di cui all’art. 391-bis non hanno obbligo di denuncia neppure
relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso dell’attività investigativa da essi svolte”.
9. Gli ostacoli alla progressione: le condizioni di procedibilità
L’esercizio dell’azione penale è appannaggio del pm ed è caratterizzato dai requisiti della obbligatorietà (art.112
cost.) e dell’ufficiosità (art 50 cpp), cioè la regola è che l’azione penale venga esercitata d’ufficio dal pm. Ci sono
però dei casi in cui l’esercizio dell’azione penale dipende invece dalla verificazione di alcuni eventi che sono
dichiarazioni di volontà nella maggior parte dei casi, in altri possono dipendere anche da eventi oggettivi. In questi
casi il sistema fa una sorta di bilanciamento tra le esigenze punitive e altri interessi comunque ritenuti meritevoli di
tutela.
Con riferimento alle condizioni di procedibilità queste sono 4: querela, istanza, richiesta ed autorizzazione a
procedere, ognuna di esse è sostenuta da alcune ragioni che l’ordinamento intende tutelare. Per le prime due gli
interessi che devono bilanciare derivano in parte dalla scarsa gravità del reato (si rimette alla volontà della persona
offesa la decisione se procedere o meno) oppure l’esigenza di tutelare la persona offesa che poi va incontro al
processo (reati attinenti alla libertà sessuale, molto gravi ma il fatto che siano procedibili a querela dipende dal fatto
che è rimessa alla scelta della vittima decidere di subire il processo come vittima). Per la richiesta e l’autorizzazione a
procedere gli interessi sottesi sono interessi di carattere pubblico con cui vengono bilanciate le esigenze punitive:
esigenza di garantire le prerogative e le funzioni istituzionali, la continuità dell’attività degli organi istituzionali.
Il fatto che per procedere nei confronti di determinati reati occorra una condizione di procedibilità non vuol dire che il
procedimento non possa essere iscritto prima che sopravvenga, intervenga, la condizione stessa. Esempio, reato
perseguibile a querela: legittimità a proporre querela spetta alla persona offesa dal reato che ha tre mesi per presentare
la querela. Ciò non toglie che la notizia di reato possa pervenire agli inquirenti in altro modo. In questo caso il pm è
tenuto comunque ad iscrivere la notizia di reato e ad avviare il procedimento nella consapevolezza però che quel
procedimento potrà andare avanti solo se interverrà la querela. Se questa non interviene, il pm dovrà avanzare
necessariamente una richiesta di archiviazione.
La mancanza di condizione di procedibilità è uno dei casi in cui il pm chiede l’archiviazione. Se il procedimento va
avanti senza la condizione di procedibilità, il giudice in ogni fase del procedimento in cui verifichi la mancanza deve
necessariamente emettere una sentenza di non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità.
Prima che intervenga la condizione, l’iscrizione del procedimento in mancanza della condizione, possono essere
comunque condotti atti di indagine e relativi atti, nella aspettativa che la condizione di procedibilità intervenga, per
evitare il rischio di dispersione delle prove.
Ci sono anche altre condizioni di procedibilità definite atipiche: art.345, comma 2, fa riferimento a “condizione
diversa da quella indicata nel comma 1” però non ci dà nessuna indicazione utile per individuare quali sono queste
condizioni di procedibilità diverse. Con sforzo di ricognizione lo possiamo trovare ad esempio quando sussista in
relazione al fatto per cui si precede un precedente giudicato: scatta il divieto di ne bis in idem che è una
improcedibilità, il giudice non potrebbe che emanare una sentenza di non doversi procedere. Oppure può rientrare nel
novero delle condizioni di procedibilità atipiche l’opposizione di un segreto di stato: se viene opposto segreto e
l’accertamento di quei fatti è indispensabile per giungere alla decisione, il giudice deve emettere sentenza di non
doversi procedere per opposizione del segreto di stato, è ostacolo al procedere. Altra, art.77: caso di conclusione del
processo con sentenza di non doversi procedere nel caso di accertata incapacità irreversibile dell’imputato a
partecipare al procedimento. Condizione di improcedibilità di carattere soggettivo, il soggetto non è in grado di
affrontare il processo. Può anche avvenire che la condizioni di procedibilità sopravvenga quando il procedimento si è
già chiuso in via definitiva con una sentenza di non doversi procedere per mancanza di condizioni di procedibilità: se
questa sopravviene in seguito, si delinea una delle due eccezioni al principio del ne bis in idem. Per sopravvenienza
della condizione di procedibilità il processo può essere riaperto.
10 Gli effetti sul procedimento e sul processo della mancanza della condizione di procedibilità
L’assenza della condizione di procedibilità non impedisce l’instaurazione del processo, tuttavia, l’azione promossa
in difetto della prescritta condizione è destinata ad un esito abortivo non appena realizza la sussistenza dell’ostacolo
alla prosecuzione, il giudice, non potendo accedere al merito, dovrà pronunciarsi in ogni fase del processo con una
decisione di non doversi procedere (perché l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere
proseguita).
Quest’ultima decisione sarà suscettibile di passare in giudicato, ma ciò non impedirà un nuovo processo per il
medesimo fatto (649,1): se la condizione sopravvenga in un secondo momento, o diventi superflua (per essere venuta
meno la condizione personale che rendeva necessaria l’autorizzazione), l’azione penale può essere nuovamente
esercitata nei confronti della medesima persona per il medesimo fatto. A maggior ragione, lo stesso avviene anche
nei casi in cui il non doversi procedere per difetto di una condizione di procedibilità sia stato dichiarato con
archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere, come impone l’art. 345,2, equiparando al riguardo le
condizioni atipiche e quelle espressamente nominate nel comma 1.
11 querela, istanza e richiesta di procedimento
Artt.336-340 cpp: la querela è una dichiarazione facoltativa (idonea a fungere da notitia criminis) con la quale la
persona offesa dal reato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale manifesta la volontà che si proceda in
ordine a un fatto previsto dalla legge come reato (336).
La querela trova gran parte della sua disciplina nel codice penale che agli artt. 120-126 e 152-156, regola gli aspetti
costitutivi del diritto, i relativi effetti e le cause estintive. Il codice di procedura penale si limita invece a dettare le
formalità di presentazione della querela (339) e quelle relative alle vicende estintive dello stesso diritto, ovvero
rinuncia e remissione espressa.
Premesso che la titolarità del diritto spetti ad ogni persona offesa dal reato per il quale non debba procedersi
d’ufficio, o su istanza o richiesta (120,1 cp), eventualmente rappresentata da un tutore (120, commi 2 e 3) o da un
curatore speciale, nominato con le forme e nei casi di cui agli artt. 121 cp e 338, la querela va presentata, di regola,
entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato (124,1 cp), con le modalità previste per la
denuncia e alle medesime autorità alle quali può essere presentata denuncia ovvero a un agente consolare all’estero
(337,1).
Dato che il diritto di querela è riservato al querelante o a un suo procuratore speciale, l’identificazione del proponente
è essenziale: infatti se recapitata da un incaricato o spedita per posta in piego raccomandato, essa deve recare la
sottoscrizione autentica del proponente (337,1); se proposta oralmente, il verbale in cui è ricevuta deve essere
sottoscritto dal querelante o dal procuratore speciale (337,2); la dichiarazione di querela proposta dal legale
rappresentante di una persona giuridica, di un ente o di un’associazione deve contenere l’indicazione specifica della
fonte dei poteri di rappresentanza (337,3).
In ogni caso l’autorità che riceve la querela provvede all’attestazione della data e del luogo della presentazione,
all’identificazione della persona che la propone e alla trasmissione degli atti all’ufficio del PM (337,4).
Il diritto non può più essere esercitato, e quindi la querela non può essere promossa, se l’avente diritto vi abbia
rinunciato (124,2 cp). La rinuncia può essere tacita, attraverso atti incompatibili con la volontà di querela (124,4
cp); ovvero espressa, ed in questo secondo caso essa assume le forme dell’art. 339 la rinuncia espressa alla querela
è fatta personalmente o a mezzo di un procuratore speciale, con dichiarazione sottoscritta, rilasciata all’interessato o
a un suo rappresentante ovvero con dichiarazione fatta oralmente a un ufficiale di PG o a un notaio, i quali, accertata
l’identità del rinunciante, redigono il verbale che deve essere sottoscritto dal dichiarante, pena l’assenza di effetti
(339,1). Si prevede poi che la rinuncia (che se è sottoposta a termini o condizioni non produce effetti ex 339) possa
estendersi anche all’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno (339,3).
Il diritto di querela si estingue, oltre che per la decadenza derivante dal suo mancato esercizio nel termine previsto
(124,1 cp), per la morte della persona offesa (126,1 cp), la quale, se la querela è stata già proposta, non estingue il
reato (126,2 cp). Una volta esercitato è possibile tuttavia rimettere la querela nei casi previsti dagli artt 152 ss cp
(remissione che può essere processuale o extra processuale, quest’ultima espressa o tacita). La remissione deve
intervenire prima della condanna (152,3 cp), non può essere sottoposta a termini o condizioni (152,4 cp) e, perché
abbia effetto, deve essere accettata (155 cp). Essa comporta, di regola, che le spese del procedimento siano a carico
del querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto (340,4). In ipotesi specificatamente
previste dalla legge, la querela proposta è irrevocabile (609septies,3 cp in relazione ai reati di violenza sessuale ex
609bis e 609ter e al reato di atti sessuali con minorenni ex 609quater)
Le forme per la proposizione della remissione e per l’accettazione della stessa sono quelle previste dall’art. 339 per la
rinuncia espressa alla querela (340,2) entrambi gli atti devono essere presentati personalmente o a mezzo di
procuratore speciale, con dichiarazione ricevuta dall’autorità procedente o da un ufficiale di PG che deve trasmetterla
immediatamente alla predetta autorità (340,1).
Art.341 cpp: l’istanza di procedimento è ugualmente una dichiarazione di volontà con la quale si manifesta
l’intenzione di voler procedere nei confronti di un reato che però riguarda reati particolari:
- commessi all’estero dal cittadino italiano che siano puniti con la pena inferiore a 3 anni;
- per i reati commessi sempre all’estero da cittadino straniero in danno dello stato italiano o di un cittadino italiano,
purché puniti con pena non inferiore ad un anno.
la legge richiede tale condizione di procedibilità affinché il costo della celebrazione in Italia di un processo per
un reato commesso all’estero sia sopportato solo se lo richiede l’offeso. In relazione delitti contro la libertà
individuale e ai delitti contro la libertà personale di cui agli artt. 609bis, 609ter, 609quater, 609quinquies, 609octies e
609undecies cp, l’art. 604 cp, in ragione della peculiare offensività degli stessi, prevede che essi siano perseguibili
senza necessità dell’istanza della persona offesa, “quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano, ovvero
in danno di cittadino italiano, ovvero dallo straniero in concorso con cittadino italiano”.
L’istanza può essere proposta (130 e 128 cp) entro tre mesi dal giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia del
fatto che costituisce il reato (o, secondo la giurisprudenza, della cittadinanza straniera del soggetto presunto reo) e
comunque non oltre tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato (128 cp). Ex 341 l’istanza
è proposta dalla persona offesa con le forme della querela risultano quindi applicabili le regole dettate dagli artt.
336 ss; inoltre, si estendono all’istanza le disposizioni relative alla querela concernenti la capacità e la rappresentanza
della persona offesa (130 cp). L’istanza, tuttavia a differenza della querela è irretrattabile (130 e 129 cp), perché
trattandosi di reati che, se commessi in territorio italiano sarebbero di regola perseguibili d’ufficio, si ritiene che, una
volta rimosso l’ostacolo alla procedibilità, il potere di ritrattare l’azione non possa essere demandato alla volontà di un
soggetto privato.
Art.342 cpp: la richiesta di procedimento è la dichiarazione discrezionale con cui un organo pubblico estraneo
all’organizzazione giudiziaria manifesta la volontà che il PM proceda per un determinato reato. Dichiarazione di
volontà che spetta ad un organo pubblico se si vuol procedere nei confronti di particolari reati:
1. in particolare, nel nostro sistema la richiesta spetta al Ministro della Giustizia per i reati previsti dagli artt.
8,9,10 c.p. (reati commessi all’estero);
2. spetta sempre a lui per i reati procedibili a querela che siano commessi in danno al Presidente della
Repubblica;
3. sempre al ministro della giustizia per i reati che abbiano recato offesa a bandiera o alla libertà dei capi esteri;
Come l’istanza di procedimento, la condizione di procedibilità in questione può essere proposta nei termini previsti
dall’art. 128 cp ed è irretrattabile nonché, si ritiene, irrinunciabile. Il cpp si limita a disciplinarne le forme,
stabilendo che essa è presentata al PM con atto sottoscritto dall'autorità competente: da intendersi come richiedente la
firma del ministro o di altra autorità politica espressamente delegata e non sostituibile da un funzionario dello stesso
dicastero.
12. Segue: autorizzazione a procedere ed autorizzazioni ad acta
Lezione su autorizzazione a procedere: confronta con paragrafo ed eventualmente studia solo su questa:
Autorizzazione a procedere: le istanze punitive abdicano a fronte di interessi pubblici ritenuti comunque meritevoli
di tutela che consentono di garantire la continuità delle funzioni amministrative e di governo.
Dobbiamo distingue tra l’autorizzazione a procedere in senso stretto e l’autorizzazione ad acta:
- autorizzazione a procedere: condizione a cui è subordinata l’instaurazione stessa del procedimento, e la sua
prosecuzione. Senza autorizzazione a procedere non si può svolgere il procedimento nei confronti di determinate
persone.
- ad acta: autorizzazione necessaria per il compimento di alcuni atti all’interno del procedimento, soprattutto quelli
che riguardano i diritti individuali della persona.
Con la modifica dell’art 68. cost. nel 1993, l’autorizzazione a procedere è rimasta solo in due casi: per i reati
commessi dai giudici della corte costituzionale, e quelli commessi dal presidente del consiglio e dai ministri
nell’esercizio delle loro funzioni. Solo questi soggetti e con le relative limitazione (es: solo nell’esercizio delle
funzioni) è richiesta l’autorizzazione. Non è invece più prevista nel confronti dei parlamentari, per i quali è rimasta
solo la richiesta di autorizzazione ad acta.
Chi la richiede e chi la deve concedere? La richiede l’autorità procedente.
Nel caso dei giudici è richiesta alla Corte costituzionale stessa; nel caso del presidente del consiglio e dei ministri è
richiesta alla camera di appartenenza oppure, se non sono parlamentari, è rilasciata dal Senato.
L’autorizzazione funge da duplice limite: è sia condizione per la stessa procedibilità, ossia affinché possa essere
avviato il procedimento. Può altresì sopravvenire a posteriori come esigenza ed in questo caso funge da limite al
compimento di qualsiasi atto processuale prima che intervenga la condizione.
Il codice ex artt.343-344 dice che la condizione di procedibilità deve essere richiesta dall’autorità procedente prima
del compimento dell’azione penale, viene chiesta dal pm quindi prima di compiere un qualsiasi atto che costituisca
esercizio dell’azione penale. E comunque entro 30 giorni dalla iscrizione della notizia del reato nel registro. Se
sopravviene la necessità quando il processo è già in corso, l’autorità procedente deve chiedere senza ritardo
l’autorizzazione e nel frattempo deve però sospendere il procedimento in attesa che sopraggiunga l‘autorizzazione.
Non possono essere compiuti atti se non quelli necessari alla tutela delle fonti di prova.
Nei confronti dei parlamentari invece vige solo un obbligo di richiedere una apposita autorizzazione ad acta, per il
compimento di determinati atti incidenti sui diritti individuali, ossia per disporre ad esempio una intercettazione,
perquisizione, sequestro di corrispondenza, ecc.
Il regime della autorizzazione ad acta di trova all’art. 68 cost. ed alla legge 140/2003.
Si è posto un problema rispetto a questa normativa: tra i soggetti che godono di questa guarentigia (i parlamentari)
non rientra il Pdr. Problema si è posto quando nel corso del processo sulla trattativa stato mafia il Pdr era stato
intercettato in via indiretta: problema di utilizzabilità. Intervenuta la Corte Costituzionale aveva affermato la radicale
inutilizzabilità nonostante non ci sia una norma di riferimento che la preveda, e che preveda a monte un divieto di
intercettare il Pdr.
La corte ha affermato che esiste una sorta di diritto non scritto ricavabile dal sistema di divieto di intercettare il Pdr.
La dottrina si divise sulla sentenza, chi la appoggiava e chi sosteneva che si fosse tratto un principio che non trova
riscontro in alcuna disposizione.
Libro: L’autorizzazione a procedere è la dichiarazione discrezionale con cui un organo pubblico estraneo
all’organizzazione giudiziaria, a richiesta del PM, consente che nei confronti di una data persona, o in
rapporto ad un determinato reato, l’AG proceda penalmente oppure compia taluni atti limitativi della libertà.
In particolare, l’autorizzazione a procedere, la quale una volta concessa non può essere revocata (343,5), è necessaria
per i reati commessi dal Presidente del Consiglio o dai ministri nell’esercizio delle loro funzioni, nonché per i reati
commessi dai giudici della Corte costituzionale. Dopo la modifica dell’art. 68 cost. operata dalla l. cost. 3/1993 non
più soggetti ad autorizzazione i procedimenti interessanti i membri del Parlamento, per i quali residua una disciplina
di autorizzazioni legittimanti il compimento di singoli atti di natura istruttoria e cautelare. L’autorizzazione a
procedere è altresì necessaria per alcuni delitti contro la personalità dello Stato (313 cp).
Un duplice ordine di limiti si pone per il procedimento in assenza di autorizzazione a procedere, la quale rappresenta,
in primo luogo, un elemento condizionante l’esercizio dell’azione penale. Qualora ne risulti la necessità fin dal
momento delle indagini, l’autorizzazione deve essere richiesta dal PM prima di procedere a giudizio direttissimo, di
richiedere il giudizio immediato, il rinvio a giudizio, il decreto penale di condanna o di emettere il decreto di citazione
a giudizio, e, comunque, entro e non oltre 30 giorni dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome
della persona per la quale è necessaria l'autorizzazione (344,1). Se la persona è stata arrestata in flagranza, la
richiesta deve essere avanzata immediatamente e comunque prima dell’udienza di convalida (344,2). Può avvenire
tuttavia che la necessità dell’autorizzazione emerga solo una volta esercitata l’azione penale: in tal caso il processo
deve essere sospeso e l’autorizzazione deve essere richiesta senza ritardo (344,3). Per scongiurare che la sospensione
del processo possa pregiudicare l’assunzione della prova si prevede che se vi è pericolo nel ritardo, il giudice
provvede all’assunzione delle prove richieste dalle parti. Quando si procede nei confronti di più persone per
alcune delle quali soltanto è necessaria l’autorizzazione, affinché il ritardo determinato dalla procedura non si
riverberi sulle vicende concernenti altri imputati, è previsto che si possa procedere separatamente contro coloro per i
quali l’autorizzazione non è necessaria (344,4).
Un secondo ordine di limiti è connesso ai poteri di indagine del PM, il quale a pena di inutilizzabilità dei risultati
probatori (343,4), e salvo che il soggetto sia stato colto nella flagranza di uno delitti indicati nell'art. 380 commi 1 e 2
(per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza), non può, fin quando non sia stata concessa l’autorizzazione,
compiere alcun provvedimento suscettibile di incidere sui diritti fondamentali dell’indiziato: in particolare ex 343,2 è
fatto divieto di disporre il fermo e misure cautelari personali nei confronti della persona rispetto alla quale è prevista
l’autorizzazione medesima, nonché di sottoporla a perquisizione personale o domiciliare, a ispezione personale, a
ricognizioni, a individuazione, a confronto, a intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni, mentre si può
procedere all’interrogatorio solo ove l’interessato lo richieda. Tali limiti, secondo l’art. 343, cadono una volta
concessa l’autorizzazione a procedere. Differenti e peculiari discipline, evocate dal comma 3 dell’art.343, sono
prescritte dalla Costituzione o da l cost. per alcune categorie di persone in tal caso devono applicarsi queste ultime
disposizioni e “in quanto compatibili con esse, quelli di cui agli artt. 344, 345 e 346” in effetti, la tutela prestata per
i soggetti titolari di prerogative funzionali dalle disposizioni sovraordinate rende sostanzialmente priva di
applicazione la normativa codicistica nei confronti di quegli stessi soggetti.
Particolare autorizzazioni ad acta concorrono con la richiesta di autorizzazione a procedere per i membri della
corte costituzionale e per i ministri. Nel primo caso, alla Corte deve essere rivolta la richiesta di autorizzazione se
un suo giudice ordinario o aggregato deve essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a
perquisizione personale o domiciliare, salvo che sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale obbligatorio il
mandato o l’ordine di cattura (da intendersi quest’ultimo riferimento ai delitti elencati nell’art. 380 commi 1 e 2). Alla
camera di appartenenza o al Senato (se non sono parlamentari) va richiesta invece autorizzazione per sottoporre il
Presidente del Consiglio dei ministri o un ministro, nonché gli altri inquisiti che siano membri del Senato o della
Camera, a misure limitative della libertà personale, a intercettazioni telefoniche o sequestro o violazione di
corrispondenza ovvero a perquisizione personali o domiciliari, salvo che siano colti nell’atto di commettere uno dei
delitti indicati nell’art.380 commi 1 e 2.
Caduta la necessità di autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari, è prevista solo la necessità di
autorizzazioni ad acta per il compimento di singoli atti che si riflettono sui diritti fondamentali di un membro del
parlamento. Più precisamente, alla Camera di appartenenza va richiesta autorizzazione per sottoporre i membri del
parlamento a perquisizione personale o domiciliare o a ispezione personale; per arrestarli o privarli altrimenti della
libertà personale, o mantenerli in detenzione, salvo che si tratti di dare esecuzione a sentenza irrevocabile di
condanna o il parlamentare sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è prevista l’arresto obbligatorio in
flagranza; per sottoporli a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni, ad acquisizione di
tabulati telefonici e a sequestro di corrispondenza. L’autorizzazione è richiesta dall’autorità che ha emesso il
provvedimento da eseguire (PM o giudice): in attesa dell’autorizzazione, l’esecuzione del provvedimento rimane
sospesa. Al componente del parlamento italiano è equiparato il membro italiano del Parlamento europeo.
13. L’attività di indagine della polizia giudiziaria: l’obbligo di riferire la notizia di reato ex art.347 cpp.
Cercheremo di capire dal punto di vista dinamico quali sono i poteri e gli atti che la pg può compiere, oltre che capire
in quale rapporto si pone con il pm relativamente alla dinamica delle indagini.
L’intenzione originaria del nuovo cpp (1989) era quella di ridurre notevolmente i poteri ed i margini di autonomia
della pg per evitare che la pg, la quale può essere destinataria della ricezione della notizia di reato ed il cui primo
compito ex art.347 è quello di informare il pm della ricezione, in questo lasso temporale (tra la ricezione e
l’informativa al pm) avesse troppo margine di iniziativa. La pg è sì obbligata a trasmettere la notizia al pm, ma in
realtà un minimo vaglio di fondatezza di questa notizia di reato la deve compiere: se gli arriva una notizia infondata
può anche non trasmetterla, però ha in questa fase un margine di discrezionalità. Mentre nel vecchio codice questo
margine era abbastanza ampio, la pg compiva una sorta di indagine parallela prima che iniziasse quella del pm, con il
nuovo codice questo margine si voleva in prima battuta comprimere.
Comma 1 e 2 dell’art.347: “acquisita la notizia di reato, la pg senza ritardo riferisce al pm, per iscritto (vanno bene
anche gli atti telematici ex art.108-bis disp.att), gli elementi essenziali del fatto e gli elementi sino ad allora raccolti,
indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione.
Comunica, inoltre, quando è possibile, le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione della persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini, della persona offesa e di coloro che siano in grado di riferire su
circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti”. Il comma 4 ci dice che con la comunicazione, la pg indica il giorno
e l’ora in cui ha acquisito la notizia di reato.
La formulazione originaria dell’art.347 prevedeva che la notizia di reato dovesse essere trasmessa al pm entro 48 ore
(un termine ristrettissimo per poter operare con una certa autonomia): si voleva circoscrivere il potere di iniziativa
della pg entro questo strettissimo margine temporale.
La norma però è stata modificata subito dopo l’entrata in vigore del codice, con una legge del 1992, ed attualmente
non si dice più che la notizia di reato debba essere trasmessa entro 48 ore, ma “senza ritardo”. La nuova unità
temporale insieme alla specificazione dell’attività che la pg può svolgere in questa fase hanno ampliato di molto il
margine di autonomia, infatti nella prassi la pg compie spesso una sorta di pre-indagine una volta ricevuta la notizia di
reato. Si torna a sviluppare quindi quella sorta di indagine parallela che viene compiuta senza sorveglianza del pm, al
di fuori quindi di una supervisione e di un coordinamento formale, oltre che senza autorizzazione per compiere
determinati atti. Rischio che i termini delle indagini preliminari si allarghino a dismisura. I 6 mesi ordinari di durata
decorrono dal momento in cui il pm iscrive la notizia di reato, ma se prima ci sono già stati 2 mesi di indagine della
pg (i cui risultati confluiscono nel fascicolo del pm) diventa un problema.
Queste cadenze sono sottoposte a due eccezioni, previste sempre dall’art.347:
il comma 2-bis impone che la pg trasmetta la notizia al pm entro 48 ore nel caso in cui debbano essere compiute
attività per le quali è prevista l’assistenza del difensore. Bisogna necessariamente coordinare le attività.
per i reati previsti dall’art.407, comma 2, lett. a): criminalità organizzata ed altri gravi reati. La notizia di reato deve
essere trasmessa immediatamente; ed in tutti i casi di urgenza.
(Termine ordinario: senza ritardo; per attività con assistenza di difensore: 48 ore; in casi di urgenza e per i
reati ex art.407: immediatamente).
Una regola speciale armonizza con l’obbligo imposto dall’art. 347 gli adempimenti conseguenti a una notizia di reato
non perseguibile d’ufficio quando ancora non sia sopravvenuta la condizione di procedibilità: la PG riferisce senza
ritardo – o immediatamente in forma orale se sussistono ragioni di urgenza o si tratta di reati ex 407,2 lett. a nn. 1-6 –
al PM “l’attività di indagine prevista dall’art. 346”, trasmettendo altresì la relativa documentazione ove detto organo
ne faccia richiesta (122. disp. att.).
Una deroga al regime informativo di cui all’art. 347, funzionale all’archiviazione delle notizie di reato cumulativa ex
art 415,4, è quella di cui all’art. 107bis disp.att., il quale prevede che le denunce a carico di ignoti, unitamente agli
eventuali atti di indagine svolti per l’identificazione dell’autore del reato, siano trasmesse all’ufficio di procura
competente con elenchi mensili.
È il dominus delle indagini, può svolgere personalmente e può delegare alla pg, ma la responsabilità delle indagini
resta in capo al pm. Nel libro V del codice c’è un titolo interamente dedicato all’attività del pm, che parte con
l’art.358 cpp, e questa norma riassume con un’articolazione generica ciò che può svolgere il pm: ogni attività
necessaria ai fini dell’art.326 (se deve esercitare o meno l’azione penale, quindi le determinazioni per prendere questa
decisione). Anche l’attività del pm può essere un’attività di indagine tipica o atipica, con la precisazione che, con
riferimento all’attività atipica, valgono gli stessi limiti per la pg con riferimento alle attività che incidono sui diritti
individuali.
Con riferimento all’attività tipica, negli articoli successivi troviamo una serie di attività che il pm può compiere: se
guardiamo la nomenclatura delle attività, si parla di accertamenti, in particolare tecnici (art.359 e 360), poi ci sono le
individuazioni e poi c’è l’attività di raccolta di info da persone informate sui fatti o dall’indagato o imputato (art.361 e
362). Questi atti d’indagine, dal punto di vista contenutistico, corrispondono ad altrettanti mezzi di prova, perché gli
accertamenti tecnici corrispondono alla perizia, l’individuazione di cose luoghi o persone corrisponde alla
ricognizione e le sommarie info corrispondono alla testimonianza. Il lgs ha denominato diversamente atti che hanno
un contenuto corrispondente ad altri mezzi di prova: è una scelta legislativa, che fotografa la differenza tra atti
d’indagine e prove. Nel nostro sistema, che è tendenzialmente accusatorio, soltanto le prove assunte in dibattimento
o al limite nell’incidente probatorio, possono dirsi prove e assumono valore ai fini della decisione di merito,
laddove invece gli atti d’indagine, a formazione unilaterale (o li forma il pm o il pg o al limite il difensore), senza
instaurazione del contraddittorio, salve eccezioni. Sono atti la cui funzione è volta alle decisioni del pm nell’ambito
della fase investigativa: hanno valenza endofasica; al massimo valgono per i procedimenti speciali che vengono decisi
allo stato degli atti: solo qui assumono anche valore probatorio, altrimenti restano atti la cui funzione è quella di
aiutare il pm a scegliere cosa fare in ordine all’esercizio dell’azione penale. Per questi motivi la nomenclatura è tenuta
distinta dal legislatore.
Oltre agli atti menzionati, vi sono degli atti che rientrano nella pertinenza del pm, che sono mezzi di ricerca della
prova, che sono perquisizioni, ispezioni, sequestri e intercettazioni, e per queste ultime il potere del pm è solo il
diritto di chiedere l’autorizzazione ma è il gip che le dispone. Le ispezioni e perquisizioni possono essere disposti
direttamente dal pm perché le norme di riferimento evocano come soggetto che rientra nell’AG anche il pm. Il pm
può compiere anche l’interrogatorio dell’indagato o imputato, la cui disciplina sostanziale è la stessa già vista.
Artt.359 e 360: l’art.359 fa riferimento a rilievi e accertamenti come attività che può compiere il pm: la differenza
tra questi due tipi di operazioni attiene al contenuto. I rilievi sono attività di mera osservazione che non implica una
elaborazione critica, che invece caratterizza gli accertamenti. Nel compiere determinati accertamenti il pm può
avere la necessità di nominare consulenti: si parla quindi di accertamenti tecnici. I presupposti si ricavano
dall’art.220: l’accertamento tecnico richiede analisi che non rientrano nelle competenze del giudice sono tenuti a
nominare consulenti. Il pm può nominare consulenti quindi, che possono assistere allo svolgimenti di determinati atti
d’indagine, e questi non possono rifiutare la loro attività. È un accertamento di carattere ripetibile,
contrapponendosi all’art.360 che parla di accertamenti tecnici irripetibili. I primi sono quelli che vengono fatti in fase
d’indagine, perché il pm ne ha bisogno, ma possono essere ripetuti anche successivamente, quindi la valenza resta
limitata alla fase delle indagini. Questo fa sì che non siano richiesti particolari accorgimenti oppure una disciplina a
tutela dei soggetti, perché serve per le determinazioni del pm ma non è suscettibile di acquisire valore al di fuori delle
indagini.
Accertamenti tecnici irripetibili: sono quelli che o non possono essere rinviati (hanno ad oggetto cose o persone
che sono soggetti a modificazione): una volta compiuti saranno utilizzabili in dibattimento, proprio perché non
ripetibile in dibattimento, quindi c’è bisogno di cristallizzarlo. Sono anche quelli in cui è la stessa esecuzione
dell’accertamento che rende lo stesso non più ripetibile. Es: l’operazione stessa determina la modifica del suo oggetto.
Es: autopsia.
Proprio per le sue caratteristiche intrinseche, questo accertamento deve essere compiuto nel rispetto di determinate
garanzie, in primis bisogna assicurare l’intervento della difesa e quindi bisogna instaurare un contraddittorio, molto
particolare perché un contraddittorio tra le parti ma senza il giudice, gestito dal pm. Il pm quindi deve avvisare i
difensori delle parti della data e del luogo del conferimento dell’incarico al consulente. Il pm avvisa i difensori che il
giorno x conferirà l’incarico per compiere un accertamento al dottor Tizio e che i difensori sono invitati a partecipare
e che hanno diritto alla nomina di propri consulenti, formulare osservazioni e riserve. Questo contraddittorio è
importante perché i difensori se partecipano possono già arrivare al conferimento dell’incarico muniti di consulenti, e
possono formulare delle riserve già in sede di conferimento dell’incarico. La formulazione dei quesiti è molto
importante ai fini dell’accertamento che verrà poi compiuto. Le parti che intendono ampliare l’oggetto
dell’accertamento hanno questo potere perché in questa sede possono chiedere che l’oggetto dell’accertamento venga
scritto in un determinato modo. Es: spesso viene richiesto, nei procedimenti per usura bancaria (l’applicazione dei
tassi di interesse dipende da regolamenti interni della banca che vengono dettati dalle linee guida di Banca d’Italia),
delle consulenze per accertare se gli interessi sono di carattere usurario. Qui la formulazione del quesito è
fondamentale perché i risultati possono essere molto diversi: i metodi di calcolo degli interessi bancari sono differenti,
quindi i tassi escono in modo differenti. Quindi se il pm vuole applicare un dato metodo, la difesa può chiedere che se
ne utilizzi un altro. In questo esempio stride il fatto che non sia un accertamento tecnico irripetibile, però capita nella
prassi che la consulenza venga affidata in sede di accertamento irripetibile proprio per consentire il contraddittorio,
affinché l’accertamento risulti più completo.
È una disciplina obbligatoria se l’accertamento è intrinsecamente irripetibile, in altri casi viene per prassi utilizzato
non tanto per il carattere irripetibile dell’oggetto ma per la complessità dello stesso.
Inoltre, la difesa ha un altro diritto fondamentale che è il diritto di chiedere che l’accertamento si svolga nelle forme
dell’incidente probatorio: in questo caso si innesca la partecipazione del giudice. La difesa può chiedere che
l’accertamento sia fatto nelle forme più garantite dell’incidente probatorio (parentesi di contraddittorio nell’ambito
delle indagini). Per la difesa, che deve fare i conti con il risultato di prova, può richiederlo. L’accertamento, con
l’incidente probatorio, consente al consulente di essere sentito, come un vero e proprio interrogatorio, dovrà spiegare i
risultati della propria consulenza, e dovrà difendere i risultati a cui è giunto. Se la difesa formula la riserva di
incidente probatorio, il giudice è obbligato a subire questa richiesta, quindi il pm non può compiere l’accertamento
tecnico, a meno che vi siano esigenze di urgenza che non rendono possibile attendere i tempi dell’incidente
probatorio, altrimenti la prova potrebbe andare perduta. Se ricorre questa condizione il pm nonostante la richiesta
della difesa può comunque non prendere in considerazione questa richiesta e procedere all’accertamento tecnico. Se
questa condizione non ricorre ma il pm non si ferma i suoi risultati saranno inutilizzabili. Lì sarà onere della difesa
dimostrare che il pm ha svolto l’accertamento senza che ricorrano le condizioni di urgenza che lo avrebbero
legittimato a ricorrere in quel modo.
È stato aggiunto un comma nell’art.360, il comma 4-bis, con la riforma Orlando, proprio su questo punto: si tratta
della introduzione di un termine di 10gg, che la difesa deve rispettare per chiedere poi l’incidente probatorio, per
evitare i casi in cui a volte la difesa formulava questa riserva per perdere tempo ma poi non faceva richiesta di
instaurazione dell’incidente probatorio, quindi ora ha 10gg la difesa per instaurarlo, e se non lo fa la sua riserva perde
rilievo e il pm può procedere all’accertamento.
La l.85 del 2009 ha introdotto questa disciplina: la disciplina ricalca quell’art.224-bis. Affinché il pm possa procedere
ad accertamento corporale, se il soggetto non presta il consenso, sulla persona (chiunque nell’ambito di questi
accertamenti può essere sottoposto all’accertamento, non per forza l’imputato) il pm ha bisogno dell’autorizzazione
del giudice (perché siamo nell’ambito dell’art.13). Il pm chiede l’autorizzazione al gip che lo autorizza se ricorrono
determinati presupposti: che si proceda in relazione a determinati reati (non colposi, consumati o tentati, puniti con
l’ergastolo o con la pena superiore a 3 anni; per i reati colposi di omicidio stradale e lesioni colpose stradali). Questi
accertamenti devono essere necessari ai fini delle indagini. Nei casi d’urgenza, il pm può provvedere
autonomamente però entro 48h deve chiedere la convalida al giudice, il quale deve fornirla senza ritardo o
comunque entro le 48h successive. Che tipo di accertamenti si possono compiere? Si può rinviare all’art.224-bis, che
prevede come tipologia di accertamenti i prelievi di peli, capelli e saliva o accertamenti medici. Questa disciplina è
una disciplina che rispetta la riserva di giurisdizione e rispetta la riserva di legge, perché determina casi e modi. Un
profilo di debolezza è negli “accertamenti medici”, che è una locuzione un po’ generica, non si specifica nemmeno la
finalità, quindi cosa rientra nell’ambito degli accertamenti medici? Una radiografia, un prelievo ematico, tutti gli
esami diagnostici lo sono, ma si resta nel generico e in dottrina si sono avanzati dubbi sulla compatibilità di questa
disposizione nei confronti dell’art.13. la compatibilità la possiamo recuperare dopo, perché oltre a prevedere casi e
modi, prevede accortezze da rispettare nell’esecuzione: divieto di utilizzare tecniche che incidono sulla vita e
sull’integrità fisica della persona o nascituro (nel caso di accertamenti a donna incinta) o che comportino sofferenze
fisiche di un certo rilievo e nel rispetto della dignità e del pudore.
Nella scelta del tipo di accertamento da compiere bisogna rispettare un criterio di gradualità (l’invasività deve essere
minima, ma solo se necessario ricorrere ad accertamenti più invasivi). La norma prevede anche che le operazioni
vengano compiute nel rispetto della dignità e del pudore della persona sottoposta, a pena di nullità. Queste ultime
disposizioni valgono anche nel caso in cui il soggetto presta il consenso.
Per ciò che concerne i prelievi, cosa succede poi di questo campione biologico? Dal campione si deve estrapolare il
profilo di DNA, che è fatto da un consulente tecnico, un biologo genetista. Sul carattere ripetibile o meno c’è
contrasto dottrinale ma si tende a definirla come operazione ripetibile, perché il campione si conserva. Estratto il
profilo di Dna, solitamente questo profilo viene confrontato con quello estratto da alcuni reperti ritrovati sulla scena
del crimine. Può anche avvenire che il profilo di dna venga confrontato con dei reperti contenuti nella banca dati del
dna. La legge del 2009 aveva anche previsto la creazione di banche dati per la conservazione di reperti biologici e
profili già estratti di dna. Sono state rese attive nel 2016, e attualmente sono disciplinate queste banche dati. Anche
prima esistevano queste banche dati, ma erano situazioni non disciplinati, e la normativa oggi prevede quali reperti,
campioni e profili devono essere conservati e dispone anche i tempi di conservazioni (8 anni). Dei soggetti che
vengono sottoposti a misure cautelari o precautelari, i dna, nonché i reperti ritrovati nella scena del crimine,
vengono conservati, fino a che sia in atto il procedimento. Queste sono molto importanti nei crimini seriali perché si
possono trovare corrispondenze con profili già schedati. Il rischio è quello degli screening di massa; spesso avviene
che magari la gente si sottoponga spontaneamente ad accertamenti di questo tipo per escludersi subito da
coinvolgimenti delle indagini. Attualmente la disciplina offre delle garanzie sufficienti.
25. La documentazione degli atti della polizia giudiziaria e del pubblico ministero
Tutti gli atti d'indagine preliminare compiuti dalla PG e dal PM devono essere documentati.
Riguardo ai primi, di regola la PG procede ad annotazione secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini,
anche sommariamente, di tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova
(357,1). La PG (ufficiali e agenti) tuttavia procede alla redazione del verbale, nelle forme e con le modalità previste
dall'art. 373 (375,3), per una serie di atti, ossia: a) denunce, querele e istanze presentate oralmente; b) sommarie
informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; c)
informazioni assunte, a norma dell'art. 351(altre sommarie info); d) perquisizioni e sequestri; e) operazioni e
accertamenti previsti dagli artt. 349, 353 e 354; f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a
che il PM non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini (357,2).
La documentazione dell'attività di PG – insieme alle denunce, le istanze e le querele presentate per iscritto, i referti, il
corpo del reato e le cose pertinenti al reato – è posta a disposizione del PM e successivamente trova la sua
collocazione ordinaria nel fascicolo delle indagini (357 commi 4 e 5).
Con riguardo agli atti d’indagine del PM, alla loro documentazione si procede, di norma, soltanto mediante la
redazione del verbale in forma riassuntiva ovvero, quando si tratta di atti a contenuto semplice o di limitata
rilevanza, mediante le annotazioni ritenute necessarie (373,3).
Anche qui, tuttavia, si procede alla redazione di verbale, redatto secondo le modalità previste nel titolo III del libro II
per gli atti del giudice (373,2), per una serie di atti, ossia: a) delle denunce, querele e istanze di procedimento
presentate oralmente; b) degli interrogatori e dei confronti con la persona sottoposta alle indagini; c) delle ispezioni,
delle perquisizioni e dei sequestri; d) delle sommarie informazioni assunte a norma dell'art. 362 (assunzioni di info);
d-bis) dell'interrogatorio assunto a norma dell'art. 363; e) degli accertamenti tecnici compiuti a norma dell'articolo 360
(373,1).
Quanto alle modalità operative, gli atti sono documentati nel corso del loro compimento ovvero immediatamente
dopo quando ricorrono insuperabili circostanze, da indicarsi specificamente, che impediscono la documentazione
contestuale (373,4). L'atto contenente la notizia di reato e la documentazione relativa alle indagini sono conservati in
apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero assieme agli atti trasmessi dalla PG a norma dell'art. 357
(373,5). Alla redazione del verbale e delle annotazioni provvede l'ufficiale di PG o l'ausiliario che assiste il PM. Si
applica la disposizione dell'art. 142 (373,6) le cause di nullità del verbale: il verbale è nullo se vi è incertezza
assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto.
30 il procedimento di convalida
dall’art.386 all’art.391 cpp (leggili tutti). Lezione orlandi p.16
Una volta eseguito l’arresto o il fermo, gli agenti egli ufficiali di PG sono tenuti ad operare contestualmente su un
duplice fronte, dovendo assicurare immediate garanzie al soggetto privato della libertà e compiere ogni atto
doveroso per il passaggio di consegne al PM, al quale spetta rivolgere al giudice le richieste conseguenti
all’esecuzione del provvedimento.
Art.386: gli ufficiali e gli agenti di PG che hanno eseguito l'arresto o il fermo o hanno avuto in consegna l'arrestato,
ne danno immediata notizia al PM del luogo ove l'arresto o il fermo è stato eseguito, ed altresì consegnano
all'arrestato o al fermato una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, se questi non conosce la
lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informano: a) della facoltà di nominare un
difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; b) del diritto di
ottenere informazioni in merito all'accusa; c) del diritto all'interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; d) del
diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; e) del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda l'arresto o il
fermo; f) del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; g) del diritto di accedere
all'assistenza medica di urgenza; h) del diritto di essere condotto davanti all'autorità giudiziaria per la convalida entro
novantasei ore dall'avvenuto arresto o fermo; i) del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l'interrogatorio
e di proporre ricorso per cassazione contro l'ordinanza che decide sulla convalida dell'arresto o del fermo. Qualora,
poi, tale comunicazione scritta non sia prontamente disponibile in una lingua comprensibile all'arrestato o al fermato,
le informazioni sono fornite oralmente, salvo l'obbligo di dare comunque, senza ritardo, comunicazione scritta
all'arrestato o al fermato (386,1-bis).
Art.387: la PG, con il consenso dell'arrestato o del fermato, deve senza ritardo dare notizia ai familiari
dell'avvenuto arresto o fermo. Inoltre, dell'avvenuto arresto o fermo gli ufficiali e gli agenti di PG devono informare
immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato dal PM ex
art.97 (386,2).
Assolti tali obblighi, gli ufficiali e gli agenti di PG devono porre l'arrestato o il fermato a disposizione del PM al più
presto e comunque non oltre 24 ore dall'arresto o dal fermo mediante la conduzione nella casa circondariale o
mandamentale del luogo dove l'arresto o il fermo è stato eseguito, salvo quanto previsto dall'art.558 (386 commi 3
e 4). Il PM può disporre che l'arrestato o il fermato sia custodito, in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'art.284 o,
se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale o mandamentale (386,5)
Entro il medesimo termine deve essere trasmesso il relativo verbale, anche per via telematica, salvo che il PM
autorizzi una dilazione maggiore. Il verbale – che deve essere trasmesso ex 386,6 anche al PM che lo ha disposto, se
diverso da quello del luogo in cui è avvenuto – contiene l'eventuale nomina del difensore di fiducia, l'indicazione del
giorno, dell'ora e del luogo in cui l'arresto o il fermo è stato eseguito e l'enunciazione delle ragioni che lo hanno
determinato nonché la menzione dell'avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell'informazione orale fornita
ai sensi del comma 1-bis. Ex 386,7 l'arresto o il fermo diviene inefficace se non sono osservati gli adempimenti
previsti.
IL PM, entro 48 ore dall'arresto o dal fermo, qualora non ritenga che il soggetto debba essere immediatamente
scarcerato (art.389: “se risulta evidente che l’arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi
previsti dalla legge o se la misura dell’arresto o del fermo è divenuta inefficace ex art.386 comma 7 e 390 comma 3,
il pm dispone con decreto motivato che l’arrestato o il fermato sia posto immediatamente in libertà. La liberazione è
altresì disposta prima dell’intervento del pm dalla pg, che ne informa subito il pm del luogo dove l’arresto o il fermo è
stato eseguito”), richiede la convalida al GIP competente in relazione al luogo dove l'arresto o il fermo è stato
eseguito (390,1). Il gip ha a disposizione 96 ore (meno le ore impiegate da pm e pg).
La richiesta di convalida andrà comunque inoltrata, invece: quando non intenda chiedere una misura cautelare
personale, il PM deve disporre l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato ma, in questo caso, alla
liberazione dell’arrestato o del fermato deve fare seguito l’udienza di convalida. Questa volta in funzione di
garanzia, la giurisprudenza ritiene che il procedimento di convalida dell’arresto debba essere attivato in ogni caso,
poiché è sempre configurabile l’interesse all’accertamento giurisdizionale della legalità dell’arresto, essendo il
giudizio di convalida finalizzato alla verifica dei requisiti di legittimità dei provvedimenti sulla libertà personale,
adottabili dalla autorità di pubblica sicurezza solo nei casi eccezionali di necessità ed urgenza tassativamente indicati
dalla legge.
Nelle more della richiesta di convalida il PM, se lo reputi utile, può procedere all'interrogatorio dell'arrestato o del
fermato, dandone tempestivo avviso al difensore di fiducia ovvero, in mancanza, al difensore di ufficio (388,1).
Durante l'interrogatorio, osservate le forme previste dall'art.64, il PM informa l'arrestato o il fermato del fatto per cui
si procede e delle ragioni che hanno determinato il provvedimento comunicandogli inoltre gli elementi a suo carico e,
se non può derivarne pregiudizio per le indagini, le fonti (388,2).
Con la richiesta il PM trasmette al giudice il verbale di arresto o di fermo e copia della documentazione attestante che
l’arrestato o il fermato è stato tempestivamente condotto nel luogo di custodia; trasmette altresì il decreto di fermo
emesso a norma dell’art.384,1 (122 disp. att.). Il giudice fissa l'udienza di convalida al più presto e comunque entro
le 48 ore successive dandone avviso, senza ritardo, al PM e al difensore (390,2).
L’udienza di convalida si svolge nel luogo in cui l’arrestato o il fermato si trova custodito, salvo che nel caso di
custodia nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora. Tuttavia, quando sussistono eccezionali motivi di
necessità ed urgenza, il giudice con decreto motivato può disporre il trasferimento dell’arrestato o del fermato per la
comparizione davanti a sé (123 disp. att.).
Art.391: L'udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore
dell'arrestato o del fermato, il quale ha diritto di consultare ed estrarre copia dei documenti presentati per la convalida.
Se il difensore di fiducia o di ufficio non è stato reperito o non è comparso, il giudice provvede a norma dell'art.97,4.
Non è invece prevista come necessaria la presenza del PM, infatti ex 390.3-bis se non ritiene di comparire, trasmette
al giudice le sue richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi su cui le stesse si fondano; tuttavia se vi
compare indica i motivi dell’arresto o del fermo e illustra le richieste in ordine alla libertà personale (comma 3).
Dopo aver verificato, anche d'ufficio, che all'arrestato o al fermato sia stata data la comunicazione scritta di cui
all'art.386,1, o la comunicazione orale, e dopo aver provveduto, se del caso, a dare o a completare la comunicazione o
l'informazione (391,2), il giudice procede all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato, salvo che questi non abbia
potuto o si sia rifiutato di comparire; sente in ogni caso il suo difensore (391,3).
Il giudice, quando risulta che l'arresto o il fermo è stato legittimamente eseguito e sono stati osservati i termini
previsti dagli art. 386,3 e 390,1, provvede alla convalida con ordinanza, avverso la quale il PM e l'arrestato o il
fermato possono proporre ricorso per cassazione (391,4). In caso di mancata convalida, una decisione negativa
potrebbe preludere a conseguenze di natura disciplinare, nonché ad una eventuale riparazione per ingiusta
detenzione.
L'arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle 48 ore
successive al momento in cui l'arrestato o il fermato - a seguito della trasmissione della richiesta di convalida – è
stato posto a disposizione del giudice (391,7). Se il PM abbia richiesto l’applicazione di una misura cautelare
(abbiamo visto che può non ravvisarne la necessità) il giudice – in presenza delle condizioni di applicabilità previste
dall'art.273 e di almeno una delle esigenze cautelari previste dall'art 274 – dispone l'applicazione di una misura
coercitiva a norma dell'art.291 (391,5). Quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'art.381,2,
ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dai casi di flagranza, l'applicazione della misura è
disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli art.274,1 lett. c e 280. Se non emette il provvedimento
restrittivo ex comma 5, il giudice dispone con ordinanza la immediata liberazione dell'arrestato o del fermato (391,6).
Se pronunciate in udienza, le ordinanze conclusive dell’udienza di convalida sono comunicate al PM e notificate
all'arrestato o al fermato, se non comparsi; se non sono pronunciate in udienza, le medesime ordinanze sono
comunicate o notificate a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. I termini per l'impugnazione decorrono
dalla lettura del provvedimento in udienza ovvero dalla sua comunicazione o notificazione (391,7).
34 : le investigazioni difensive
Un altro modo in cui si esplica l'attività difensiva nel corso delle indagini preliminari è rappresentata dall'attività di
indagine difensiva da parte del difensore dell'indagato. LA figura del difensore-investigatore è emersa nel nuovo
codice, il quale all'art.38 delle disp.att., oggi abrogato, consentiva ai difensori di svolgere investigazioni e di conferire
con le persone in grado di fornire informazioni, sia personalmente che a mezzo di sostituti, di consulenti tecnici e
anche di investigatori privati. Tuttavia, non era chiaro se questa attività doveva essere documentata e come, se fosse
esistito un dovere di collaborazione dei soggetti contattati dall’avvocato, se l’esito delle indagini avrebbe potuto
essere portato a conoscenza del giudice, e se gli atti del difensore erano atti del processo e, come tali, assoggettati alla
relativa disciplina. Su tale quadro normativo ha influito la modifica dell'art. 111 Cost. ad opera della l. cost. 2/1999 e
la l. 397/2000, che ha introdotto il titolo VI bis nel libro V del codice, rubricato “Investigazioni difensive” cha ha
prodotto una disciplina che rende l’attività del difensore equiparata a quella dell’organo dell’accusa. Alla luce di
dette innovazioni, ex 327bis il difensore, dal momento in cui riceve l'incarico professionale, con atto scritto, ha facoltà
di svolgere investigazioni, al fine di ricercare elementi di prova a favore del suo assistito. Tale mandato può essere
affidato in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione, Tali
attività investigative possono essere svolte, su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati
e, quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici.
Ovviamente tale equiparazione non vuol dire uguaglianza di finalità o di poteri. Con riguardo alle prime, l’organo
dell’accusa ha una finalità caratterizzata da oggettività mentre il difensore è orientato alla ricerca e alla individuazione
degli elementi di prova a favore del proprio assistito. Quanto ai secondi, dotato di minore autonomia, rispetto
all’organo dell’accusa, nel compimento di alcune attività – in particolare in quelle che, incidendo sui diritti altrui,
richiedano l’intervento dell’AG – egli è invece marcatamente più libero del primo con riguardo alle modalità di
svolgimento degli atti, a quelle di documentazione e alla possibilità di utilizzare gli elementi raccolti. Privo di poteri
coercitivi, il difensore dovrà ricorrere al giudice, o allo stesso organo di accusa, chiedendo che lo soccorrano di fronte
a fonti di prova renitenti (391bis commi 10 e 11) a PA resistenti (391quater,3); ovvero , si dovrà rivolgere al solo
giudice, quando si tratti di assicurare garanzie difensive a soggetti indiziati (391bis,4) od ottenere l’autorizzazione ad
ascoltare dichiaranti detenuti (391bis,7).
40: il procedimento
Legittimati a chiedere l'incidente probatorio sono il PM e la persona sottoposta alle indagini. Salvo che nel caso di
cui all’art. 391bis,11, la persona offesa può soltanto chiedere al PM di promuovere l'incidente; se non accoglie la
richiesta, il PM pronuncia decreto motivato e lo fa notificare alla persona offesa (394). Secondo l’art.393 la richiesta
deve essere presentata entro i termini per la conclusione delle indagini preliminari e comunque in tempo sufficiente
per l'assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini, salva la possibilità di richiederne la proroga
finalizzata all’esecuzione dell’incidente (393,4). Tuttavia, tali limiti sono ormai solo apparenti a seguito di una
declaratoria di illegittimità degli artt. 392 e 393 l’incidente probatorio può essere richiesto anche in udienza
preliminare.
Quanto ai contenuti la richiesta deve indicare a pena di inammissibilità (393,3):
a) la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l'oggetto e le ragioni della sua rilevanza per la decisione
dibattimentale;
b) le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova;
c) le circostanze che, a norma dell'art. 392, giustificano l’incidente probatorio; nonché, quando è proposta dal PM,
anche i difensori delle persone interessate a norma del comma 1 lett. b), la persona offesa e il suo difensore. La
richiesta di incidente probatorio è depositata nella cancelleria del GIP, unitamente a eventuali cose o documenti, ed è
notificata a cura di chi l'ha proposta, secondo i casi, al PM e alle persone nei cui confronti si procede per i fatti
oggetto di prova; la prova della notificazione è depositata in cancelleria (395) (secondo la Corte cost. la richiesta di
incidente probatorio proposta dal PM va notificata anche al difensore della persona sottoposta alle indagini). La
richiesta di incidente probatorio di cui all'articolo 392,1bis (reati contro la personalità individuale o la libertà
sessuale), il PM deposita tutti gli atti di indagine compiuti fino a quel momento (393,2bis).
Tale notificazione costituisce la premessa per un contraddittorio, cartolare e a tempi ridottissimi, intorno
all’ammissibilità della richiesta: entro 2 gg dalla notificazione della richiesta, il PM ovvero la persona sottoposta alle
indagini può presentare deduzioni sull'ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta, depositare cose, produrre
documenti nonché indicare altri fatti che debbano costituire oggetto della prova e altre persone interessate alla prova
stessa (396). La persona sottoposta alle indagini deve depositare le proprie deduzioni anche nella segreteria del PM.
Venuto a conoscenza della richiesta presentata dalla persona sottoposta alle indagini, entro il medesimo termine di 2
giorni dalla notifica della richiesta, il PM può chiedere al giudice il differimento dell’incidente probatorio con le
forme previste dall’art. 397, quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagini preliminari. In ogni
caso il differimento non è consentito quando pregiudicherebbe l'assunzione della prova. La richiesta di
differimento deve indicare: a) l'atto o gli atti di indagine preliminare che l'incidente probatorio pregiudicherebbe e le
cause del pregiudizio; b) il termine del differimento richiesto.
Il giudice, se non dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio, provvede entro 2 gg con
ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile (se manchino i requisiti formali) o rigetta la richiesta di
differimento. L'ordinanza di inammissibilità o di rigetto è immediatamente comunicata al PM (397,3). Se invece
accoglie la richiesta di differimento il giudice fissa l'udienza per l'incidente probatorio, non oltre il termine
strettamente necessario al compimento dell'atto o degli atti di indagine preliminare che hanno giustificato il
differimento. L'ordinanza è immediatamente comunicata al PM e notificata per estratto alle persone indicate nell'art.
393,1 lett. b). La richiesta di differimento del PM e la relativa ordinanza di differimento sono depositate solo
all'udienza destinata all'incidente probatorio (397,4).
Scaduto il termine previsto dall’art. 396 per le deduzioni o quello successivo conseguente al differimento
dell’incidente probatorio (397), il giudice decide sulla richiesta con ordinanza non impugnabile: si tratterà di
un’ordinanza di inammissibilità, quando la richiesta non permette di capire quale sia la prova e la sua rilevanza, quali
siano le ragioni di urgenza, quali le persone interessate, compresi i difensori; di rigetto, per mancanza delle
condizioni di merito; di accoglimento negli altri casi. L'ordinanza di inammissibilità o di rigetto è immediatamente
comunicata al PM e notificata alle persone interessate (398,1).
Con l'ordinanza che accoglie la richiesta il giudice stabilisce: a) l'oggetto della prova nei limiti della richiesta e delle
deduzioni; b) le persone interessate all'assunzione della prova individuate sulla base della richiesta e delle
deduzioni; c) la data dell'udienza che non può essere disposta ad oltre 10 gg dal provvedimento (398,2). Il giudice,
quindi, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini, alla persona offesa e ai difensori avviso del giorno, dell'ora e
del luogo in cui si deve procedere all'incidente probatorio almeno 2 gg prima della data fissata con l'avvertimento che
nei due giorni precedenti l'udienza possono prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla
persona da esaminare. Nello stesso termine l'avviso è comunicato al PM (398,3).
Al contrario, nei procedimenti per reati elencati nell’art.392,1bis, all’obbligo del PM di depositare tutti gli atti
dell’indagine (393,2 bis), fa riscontro il diritto della persona sottoposta alle indagini e dei difensori delle parti di
ottenere copie degli atti depositati (398,3bis). Inoltre sempre al riguardo si prevede che nel caso di indagini che
riguardano ipotesi di reato previste dagli artt.572,600, 600bis, 600ter, anche se relativo al materiale pornografico di
cui all'articolo 600quater.1, 600quinquies, 601, 602, 609bis, 609ter, 609quater, 609octies, 609undecies e 612bis cp, il
giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minorenni, con l'ordinanza di cui al comma
2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando
le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in
luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in
mancanza, presso l'abitazione della persona interessata all'assunzione della prova. Le peculiarità riguardano anche la
documentazione: infatti le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di
riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di
personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell’interrogatorio è
anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti
(398,5bis).
L’applicabilità di tali ultime regole è poi estesa, su richiesta di parte, anche alle ipotesi in cui fra le persone interessate
all'assunzione della prova vi siano maggiorenni in condizione di particolare vulnerabilità, desunta anche dal tipo
di reato per cui si procede (398,5ter). In fine il comma 5quater. dell’art. 398 dispone che fermo quanto previsto dal
comma 5ter, quando occorre procedere all'esame di una persona offesa che versa in condizione di particolare
vulnerabilità si applicano le diposizioni di cui all'articolo 498,4quater il quale prevede che il giudice, su richiesta
della persona offesa o del suo difensore deve adottare modalità protette.
Il comma 4 dell’art.398 prevede poi che se si debba procedere a più incidenti probatori, essi siano assegnati alla
medesima udienza, sempre che non ne derivi ritardo. Il comma 5 dispone invece che quando ricorrono ragioni di
urgenza e l'incidente probatorio non può essere svolto nella circoscrizione del giudice competente, quest'ultimo può
delegare il GIP del luogo dove la prova deve essere assunta.
L'udienza per l'incidente probatorio si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del PM e
del difensore della persona sottoposta alle indagini. Se il difensore non compare, il giudice nomina un sostituto (401
commi 1 e 2); la partecipazione del difensore della persona offesa è invece facoltativa. L'indagato e l'offeso hanno
diritto di assistere se si deve esaminare un testimone o altra persona. Negli altri casi possono assistere se autorizzati
dal giudice (401,3).
Instauratasi l’udienza non sono più ammesse questioni relative all’ammissibilità o alla fondatezza della richiesta
(401,4); l’assunzione della prova deve avvenire nella medesima udienza o, se non sia possibile in un’udienza che si
svolga nel giorno successivo non festivo, salvo che lo svolgimento dell’attività di prova richieda un termine maggiore
(401,7). Le prove sono assunte con le forme previste per l'assunzione dibattimentale (401,5): dunque, ove si tratti
di prove dichiarative, il soggetto verrà escusso attraverso l’esame ed il controesame; tuttavia, il difensore della
persona offesa può solo chiedere al giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame. Dopo
l’assunzione, i verbali, le cose e i documenti acquisiti nell’incidente probatorio sono trasmessi al PM e saranno inclusi
nel suo fascicolo, in attesa di transitare in quello del dibattimento (431,1 lett. e). I difensori hanno diritto di prenderne
visione ed estrarre copia (401,8).
Per regola espressa, la prova assunta in incidente probatorio può essere utilizzata in dibattimento esclusivamente
nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla relativa assunzione (403,1): non a caso il
giudice indica, nell’ordinanza, le persone interessate all’assunzione della prova, individuate sulla base delle
richiesta e delle deduzioni (artt. 398,2 lett. b e 393,1 lett. b). In linea di principio, è vietato estendere l’assunzione
della prova a fatti riguardanti persone diverse da quelle cui i difensori partecipano all’incidente probatorio, ed
in ogni caso verbalizzare dichiarazioni riguardanti tali soggetti (401,6). Ove se ne presenti la necessità è possibile,
tuttavia, chiedere un’estensione dell’incidente probatorio, ex art. 402: se il PM o il difensore della persona
sottoposta all’indagini chiede che la prova si estenda ai fatti o alle dichiarazioni previste dall’art. 401,6, il giudice, se
ne ricorrano i presupposti e sempre che il rinvio non pregiudichi l’assunzione della prova, dispone le necessarie
notifiche a norma dell’art. 398,3, rinviando l’udienza per il tempo strettamente necessario e comunque non oltre 3
gg.
IMPORTANTISSIMO: VEDI PAG.28 APPUNTI ORLANDI PER CAPIRE. In ogni caso, il divieto è presidiato
dalla sanzione dell’inutilizzabilità, ricavabile dall’art.403,1. Una sola eccezione è quella prevista dall’art.403,1bis:
le prove di cui al comma 1 non sono utilizzabili nei confronti dell’imputato raggiunto solo successivamente
all’incidente probatorio da indizi di colpevolezza se il difensore non ha partecipato alla loro assunzione, salvo che i
suddetti indizi siano emersi dopo che la ripetizione dell’atto sia divenuta impossibile.
Un analogo divieto presidia, nell’art.404, gli interessi della parte civile: la sentenza pronunciata sulla base di una
prova assunta con incidente probatorio a cui il danneggiato dal reato non è stato posto in grado di partecipare non
produce gli effetti previsti dall’art.652, salvo che il danneggiato stesso ne abbia fatta accettazione anche tacita.
41. La chiusura delle indagini preliminari: i tempi della fase preliminare e i limiti al potere
investigativo
L’obbligo di esercitare l’azione penale impone al PM uno sforzo di accertamento completo e rigoroso, dovendo essere
compiuta “ogni attività necessaria” allo scopo (358), tuttavia il suo operare non può protrarsi indefinitamente: vi si
oppongono sia istanze di tempestività delle indagini sia esigenze di tutela della persona che non può restare troppo a
lungo assoggettate all’intrusione di una inchiesta.
Il legislatore ha quindi fissato un tempo massimo perché il PM indaghi e decida: tempo diversamente graduato a
seconda della gravità dei reati (405,2); prorogabile anche più volte (406), entro un termine ultimo, pur esso modulato,
in relazione al tipo di reato e alla complessità dello scenario investigativo (407). Se il PM non dovesse rispettare i
limiti temporali fissati dalla legge, l’azione penale non sarà preclusa, ma eventuali operazioni investigative debordanti
sono sanzionate con l’inutilizzabilità degli atti compiuti oltre il termine (407,3). Attraverso la clausola “salvo quanto
disposto dall’art. 415bis”, l’art. 407,3 esclude, poi, dal rigoroso regime temporale il supplemento investigativo
conseguente all’avviso di conclusione delle indagini: richiesto al PM dalla persona sottoposta alle indagini, quel
prolungamento della fase preliminare (che non può superare i 30 gg, prorogabile dal giudice per non più di 60 ex
415bis,4) si sottrae al sospetto di accanimento inquisitorio. L’art. 415bis,5 rende esplicita tale regola puntualizzando
che le dichiarazioni rilasciate dall’indagato, l’interrogatorio del medesimo ed i nuovi atti di indagine del PM, previsti
dai commi 3 e 4, sono utilizzabili se compiuti entro il termine stabilito dal comma 4, ancorché sia decorso il termine
stabilito dalla legge o prorogato dal giudice per l’esercizio dell’azione penale o per la richiesta di archiviazione.
Qualora scaduto il termine, originario o prorogato, l’agenda investigativa indicasse la necessità di ulteriori
accertamenti, questi non potranno che essere rinviati. I possibili scenari sono due.
- Se gli elementi raccolti lo hanno comunque condotto a formulare l’imputazione, il PM potrà svolgere dopo la
richiesta di rinvio a giudizio, attività di indagine suppletiva. Dopo il decreto che dispone il giudizio potrà compiere le
indagini integrative ex 430 e continuare a indagare, anche nel corso del giudizio, con i limiti previsti dall’art 430bis.
- se, al contrario, il tempo non sarà stato sufficiente a consentirgli di individuare, entro il termine di chiusura delle
indagini, elementi idonei a giustificare una richiesta di rinvio a giudizio, ci potrà comunque essere un seguito: pur
costretto all’inazione egli potrà ancora indagare, ma dovrà richiedere al giudice un decreto di autorizzazione alla
riapertura delle indagini ex 414.
Inoltre, quale che sia la direzione imboccata dal PM, la incompletezza delle indagini è monitorata nel corso delle
procedure giurisdizionali che seguono la richiesta del PM. Poteri di controllo e di impulso da parte del giudice
presidiano correttezza ed efficacia delle investigazioni, preludendo, se del caso, ad un supplemento di indagini, tanto
nel corso del procedimento camerale, instaurato dalla richiesta di archiviazione, quanto nell’udienza preliminare,
incardinata a seguito della richiesta di rinvio a giudizio. Nel primo, ove l’impianto accusatorio appaia carente per
difetto di impegno investigativo, il giudice “se ritiene necessarie ulteriori indagini può indicarle con ordinanza al PM
(409,4); similmente, nella seconda, il giudice “se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini
(421bis,1). In entrambe le procedure è presente anche un controllo gerarchico: avvertito da apposita comunicazione
(409,3 e 421bis,1) il procuratore generale può intervenire, se del caso, avocando le indagini (412,2 e 421bis,2).
42 i termini di durata massima delle indagini e il procedimento di proroga
Art.405: l’azione deve essere esercitata, tramite richiesta di rinvio a giudizio entro 6 mesi dall’iscrizione del nome
della persona alla quale il reato è attribuito nel registro delle notizie di reato. Il termine è di 1 anno se si procede per
un uno dei reati ex art.407,2 lett. a (associazione a delinquere, mafia, terrorismo, ecc). Entro lo stesso termine dettato
dall’art.405 o in quello individuato successivamente dalle proroghe deve essere richiesta l’archiviazione (408,1). Nel
caso in cui il PM intenda esercitare l’azione, basta che, prima dello scadere del termine, venga inviato l’avviso di
conclusione delle indagini. Se si procede per un reato perseguibile a querela, istanza o richiesta, il termine decorre dal
giorno in cui tali condizioni di procedibilità pervengono al PM; se è necessaria l’autorizzazione a procedere, il
termine resta sospeso dal giorno in cui l’autorizzazione è richiesta e fino a quando essa non perviene. Inoltre, il
termine resta sospeso durante la perizia disposta in incidente probatorio per accertare l’attitudine dell’indagato a
partecipare coscientemente al processo e, salvo si tratti di procedimenti per reati di criminalità organizzata, è soggetto
alla sospensione feriale.
Il dato testuale desumibile dagli artt.405 e 408 deve essere coordinato con quanto ora previsto all’art.407 comma 3-
bis (introdotto con la riforma Orlando) che in larga parte lo smentisce. Alla luce della riforma, la coincidenza istituita
dal codice tra chiusura delle indagini e adozione delle determinazioni del pm sfuma in un nuovo assetto dai tratti
meno nitidi. Esaurito il tempo per investigare, residua un nuovo segmento temporale, pure ascrivibile alla fase
preliminare e variamente modulato, entro il quale il pm deve esercitare l’azione penale o richiedere l’archiviazione.
L’iscrizione del nome nel registro ex art.335 continua a rappresentare il dies a quo per il computo del tempo di durata
delle indagini, mentre il momento di decorrenza di un nuovo ed autonomo termine stabilito per l’esercizio dell’azione
penale deve essere rapportato allo scadere del tempo per le indagini. I limiti temporali entro i quali il codice costringe
il potere di indagine, fissati nella misura base dall’art.405 comma 2, sono suscettibili di essere estesi, anche più volte,
sia pur entro un tetto massimo e subordinatamente alla sussistenza di presupposti fissati dalla legge.
A richiesta del PM – da avanzarsi prima della scadenza del termine e contenente l’indicazione della notizia di reato e
l’esposizione dei motivi che ne giustificano la presentazione (406,1) – il giudice può concedere una proroga del
termine di indagine.
Per ottenere più tempo, al PM, in prima battuta, basta esibire una “giusta causa”, mentre ulteriori proroghe potranno
essere richieste “nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva impossibilità di concludere
entro il termine prorogato” (406,2). Ciascuna proroga non può essere eccedente i 6 mesi (406,2bis). Tuttavia, allo
scopo di accelerare le indagini, nei procedimenti per maltrattamenti contro familiari e conviventi, nei reati di omicidio
colposo e di lesioni personali colpose per violazione delle norme stradali o di sicurezza sul lavoro, atti persecutori ecc,
la proroga può essere concessa una sola volta. In ogni caso ex 407,1 la durata delle indagini preliminari non può
superare i 18 mesi. Tuttavia, ex 407,2 la durata massima è di 2 anni se le indagini preliminari riguardano:
a) i gravi delitti ivi indicati, tra cui alcune delle più gravi fattispecie di delitti di stampo mafioso o terroristico;
omicidio, rapina ed estorsione, sequestro di persona; delitti concernenti armi e stupefacenti; delitti contro la libertà
individuale e contro la libertà personale)
b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati
ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese;
c) indagini che richiedono il compimento di atti all'estero;
d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero ex art. 371.
Un contraddittorio esclusivamente cartolare prelude, di regola, alla ordinanza con cui il giudice concede la proroga: la
richiesta di proroga è notificata a cura del giudice, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa che, nella
notizia di reato o anche successivamente, abbia chiesto di essere informata, con l’avviso della facoltà di presentare
memorie entro 5 gg dalla notifica. Entro 10 gg dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie il
giudice decide (406,3): se accoglie la richiesta, autorizza l’estensione delle indagini con ordinanza emessa in camera
di consiglio senza intervento del PM e dei difensori (406,4). Se invece il giudice ritiene, allo stato degli atti, di non
concedere l’estensione, il giudice deve far luogo ad un procedimento camerale nelle forme dell’art. 127: in tal caso,
entro il termine di 10 gg, deve fissare un’udienza, della quale fa notificare avviso al PM, all’indagato e all’offeso che
ne ha fatto richiesta. Al termine di quel procedimento può autorizzare il PM a proseguire le indagini (406,6) ovvero
respingere la richiesta di proroga, fissando un termine non superiore a 10 gg per la formulazione delle richieste
conclusive delle indagini (406,7) (quindi o chiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale).
Nessun tipo di contraddittorio (406,5bis) si realizza nel caso in cui si proceda per i delitti indicati negli artt. 51,3bis e
407,2 lett. a nn4-7bis (reati di schiavitù, associazione a delinquere, associazione mafiosa, ecc) il giudice decide de
plano entro 10 gg dalla presentazione della richiesta, dandone notizia al PM. Gli atti compiuti nelle more del
procedimento di proroga sono utilizzabili, salvo che, in ipotesi di diniego, gli stessi siano compiuti oltre lo spirare del
termine originariamente previsto per le indagini (in ossequio all’art. 407,3) (406,8).
43: Un nuovo ed autonomo termine “finale” per la chiusura della fase preliminare.
La riforma Orlando ha apportato rilevanti modifiche all’art.407 cpp, mediante l’inserimento del comma 3-bis con il
quale sancisce l’obbligo, per il pm, di chiedere l’archiviazione oppure esercitare l’azione penale, in ogni caso, entro
tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui
all’art.415-bis. Inoltre, qualora si prospetti la situazione di cui al comma 2, lettera b, vale a dire debbano essere
vagliate “notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro
collegato ovvero per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese”, il pm può chiedere al
procuratore generale presso la corte d’appello una proroga fino a ulteriori 3 mesi. Vi è di più: in relazione ai gravi
delitti di cui al comma 2, lettera a, nn. 1,2,3 e 4, sempre dell’art.407, il tempo lasciato all’autorità inquirente per
decidere è di 15 mesi. L’introduzione di tale previsione muove dall’esigenza di contenere quei casi in cui il pm, dopo
lo scadere dei termini delle indagini, pur non potendo compiere validamente ulteriori atti investigativi, resta inerte,
senza prendere alcuna decisione.
Strettamente collegata all’introduzione di tale termine imposto al pm è l’aggiornamento dei casi di avocazione
obbligatoria. Il legislatore ha sostituito il primo comma dell’art.412, stabilendo che il procuratore generale presso la
corte d’appello, se il pm non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine previsto ex comma 3-
bis, dispone, con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari. Ed invero, ove il pm non assuma le
proprie determinazioni secondo le scansioni temporali previste, è tenuto a darne immediata comunicazione al
procuratore generale presso la corte d’appello, che eserciterà il suo potere di avocazione obbligatoria.
L’impossibilità di far discendere conseguenze processuali dal ritardo nella scelta sull’esercizio dell’azione penale
eleva l’istituto dell’avocazione a unico strumento adeguato a rimuovere in via residuale la stasi processuale. Non vi è
alcuna previsione di sanzioni processuali, ma potrebbe applicarsi l’art.2 d.lgs. 109/2006, non senza perplessità in
termini di efficacia. La scelta appare coerente con il nostro modello processuale, e con l’obbligatorietà dell’azione
penale, diversamente accade nei paesi di common law, ove le prassi devianti configurano ipotesi di abuse of process.
La disciplina si applica ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell’apposito registro
successivamente alla data di entrata in vigore della legge 103 del 2017 (legge Orlando). Nella parte in cui si fa
espresso riferimento alla scadenza del termine massimo di durata delle indagini, si ritiene di poter affermare che il
computo del termine successivo di 3 mesi per la definizione del procedimento debba avere come dies a quo il
momento della scadenza dell’ultima proroga eventualmente richiesta dal pm ed assentita dal gip.
44. Le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale
Al termine delle indagini preliminari, l’art.405,1 dispone che il PM quando non deve chiedere l’archiviazione,
esercita l’azione penale. Con la richiesta di archiviazione il PM manifesta la propria volontà a non esercitare
l'azione penale con riferimento a una determinata notizia di reato→ il principio di obbligatorietà dell'azione penale
(112 Cost), infatti, non impone di esercitare sempre l'azione penale, ma di farlo dopo una preliminare valutazione di
fondatezza della notitia criminis. Un’azione azzardata sarebbe anche controproducente perché quell’esito sarebbe
presidiato da effetti preclusivi più robusti di quelli sprigionati dal provvedimento di archiviazione. Al riguardo spetta
al PM decidere se ricorrono i presupposti discrezionalità tecnica nel senso che al ricorrere delle condizioni
indicate dalla legge – in positivo o in negativo – deve conseguire una scelta di carattere vincolato. Quando non
sussistono quei presupposti che impongono di deflettere l’azione, il PM dovrà procedere, formulando l’imputazione
nei modi previsti dalla legge.
L’art. 405 li enumera, individuandoli con un richiamo agli atti introduttivi dei riti speciali considerati nei titoli II-VI
del libro VI e con la richiesta di rinvio a giudizio. Il catalogo è incompleto e non aggiornato: non contempla accanto
alla principale forma ordinaria di esercizio dell’azione penale, la citazione diretta a giudizio (specificatamente
disciplinata nel libro VIII con riguardo al procedimento monocratico privo di udienza preliminare [552]); non
vengono considerate nemmeno le forme di esercizio dell’azione penale che si insinuano in un procedimento già
avviato, le quali, rappresentando una deviazione rispetto all’ordinario iter processuale, sono regolate nella sede
propria (423 e 517 ss). Quanto alle modalità di avvio del processo nei riti alternativi, sono richiamate le
disposizioni concernenti l’applicazione della pena su richiesta delle parti (titolo II), il giudizio direttissimo (titolo III),
il giudizio immediato (titolo IV), il decreto penale (titolo V). Per un difetto di coordinamento non è richiamato il
titolo V bis del libro VI relativo alla sospensione del procedimento con messa alla prova.
1. Al giudice compete il potere di disporre l’archiviazione de plano (senza formalità di procedura) ove concordi
prima facie con la richiesta del PM: in tal caso dispone l’archiviazione con decreto motivato e restituisce gli
atti al PM (409,1). La necessità di notificare tale provvedimento anche alla persona sottoposta alle indagini
che sia stata sottoposta a custodia cautelare è da ricollegarsi al diritto alla riparazione per ingiusta
detenzione (409,1)
2. Nel caso in cui il giudice – o perché non sia convinto della sussistenza dei presupposti per l’inazione o perché
la persona offesa dal reato abbia presentato un atto di opposizione ammissibile – non accolga
immediatamente la richiesta di archiviazione, è tenuto a fissare l’udienza camerale di cui all’art.409,2.
Secondo la precisione introdotto nell’art.409 comma 2 dalla legge Orlando, l’udienza dovrà essere fissata
entro 3 mesi, ma il termine è ordinatorio, quindi non ci saranno conseguenze gravi se non rispettato. In questa
udienza, che si svolge nelle forme dell’art.127, si realizza il contraddittorio tra i soggetti interessati: della data
dell’udienza dev’essere dato avviso al PM, all’indagato, al suo difensore e alla persona offesa, e
comunicazione al Procuratore generale presso la corte d’appello (409,3) affinché questi possa
eventualmente disporre l’avocazione.
Sino al giorno dell’udienza, gli atti restano depositati in cancelleria a disposizione delle parti, con facoltà del
difensore di estrarne copia. Anche sulla scorta di quanto vi avviene, il giudice potrà convincersi ad esercitare i suoi
poteri di indirizzo che mirano a trattenere il procedimento nella fase preliminare attraverso l’imposizione di un
supplemento di indagine o a spingerlo oltre la soglia ultima di quella stessa fase, verso il giudizio. Se tali evenienze
non si realizzano, l’ordinario epilogo sarà una ordinanza di archiviazione; quest’ultima, già ricorribile per
cassazione, per difetto di contraddittorio, a seguito dell’abrogazione dell’art.409 comma 6, è ora suscettibile di
reclamo, secondo uno strumento di doglianza finora estraneo agli orizzonti del processo penale. Salvo che si pongano
le esigenze di natura investigativa indicate nel quarto comma dell’art.409, il giudice è tenuto ora a provvedere sulle
richieste entro 3 mesi, secondo la precisazione fatta dalla riforma Orlando, con l’intento di propiziare una sollecita
chiusura della fase di indagine, comunque questa sia suggellata: da un provvedimento di archiviazione o da un
provvedimento che dia l’avvio alla sequenza di atti del processo in senso stretto.
Nell’avviso è precisato che, nel termine di 20gg, la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare
opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini: il termine risulta così ampliato rispetto a quello di
10gg originariamente previsto, secondo quanto previsto dall’art.408 comma 3, come modificato dalla riforma
Orlando. Analoga modifica non ha interessato l’artt.411 comma 1-bis, sicché nel caso in cui l’archiviazione sia stata
richiesta per particolare tenuità del fatto, i titolari del diritto di opposizione continueranno a beneficiare di un termine
di 10gg.
Per i delitti commessi con violenza alla persona l’avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato, a
cura del pm, alla persona offesa e il termine di cui al terzo comma è elevato a 30gg. La disposizione, come hanno
precisato le sezioni unite della corte di cassazione, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e maltrattamenti contro
familiari o conviventi, perché l’espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza
di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario. Con
ulteriore modifica, operata sempre dalla riforma Orlando, il reato art 624bis cp di furto in abitazione e furto con
strappo, è stato accostato ai delitti commessi con violenza alla persona, con scelta legislativa scopertamente
demagogica e idonea a suscitare dubbi di legittimità costituzionale, in rapporto all’art.3 cost., in relazione ad ulteriori
fattispecie di reato escluse da analoga regolamentazione di favore. Con l’opposizione l’offeso dovrà esibire
argomento almeno ictu oculi idonei a giustificare l’incontro camerale: nell’atto di opposizione dovranno essere
indicati l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova, a pena di inammissibilità. La ratio della
disposizione è che si vuole evitare un inutile dispendio di attività processuale.
Il diritto di opposizione si fonda esclusivamente sulla indicazione da parte dell’offeso di lacune investigative. A tal
proposito, nella giurisprudenza di legittimità, affiorano lectiones più o meno rigide: è necessario, secondo un indirizzo
consolidato, che emergano elementi di prova dotati del carattere di concretezza e specificità; a tratti, poi,
l’interpretazione concede al giudice valutazioni che sembrano travalicare i limiti della declaratoria di inammissibilità
per trasmodare in un vaglio di infondatezza.
Solo in difetto di tali requisiti, il giudice potrà archiviare de plano; viceversa, ove la richiesta appaia formalmente
ammissibile, egli dovrà convocare l’udienza ex art.409, comma 2, introducendo la variante partecipata del
procedimento di archiviazione. Se ciò avverrà, il seguito sarà quello ordinario: il giudice dovrà provvedere a norma
dell’art.409 commi 2,3,4 e 5 ma il contraddittorio avrà una minore estensione dal punto di vista soggettivo.
L’art.410 comma 3 prevede infatti che “in caso di più persone offese, l’avviso per l’udienza è notificato al solo
opponente”. Ed in relazione a quest’ultima prescrizione la decurtazione degli aventi diritto a partecipare all’udienza
risulta come una penalizzazione per il disinteresse manifestato non opponendosi. Nel caso di inammissibilità
dell’opposizione, invece, l’offeso avrà diritto quanto meno a che il giudice dia conto delle ragioni per le quali alle
doglianze dell’offeso non sia stato dato seguito, dedicandovi adeguata motivazione nel decreto di archiviazione.
51. I poteri di controllo del giudice per le indagini preliminare sull’obbligo di agire.
L’esito della procedura camerale innestata dalla richiesta di archiviazione può condurre ad epiloghi differenti da
quelli fin qui considerati. Richiesto dell’archiviazione, il giudice deve esplicare il suo compito di tutore del principio
di obbligatorietà dell’azione: poiché l’elusione di quell’obbligo potrebbe essere determinata non solo da una
sottovalutazione degli elementi ma anche dalla insufficienza delle indagini, la sua verifica si articola lungo due
prospettive. Rispetto ad entrambe le valutazioni di sua competenza egli potrà dissentire ed è dotato di poteri coattivi,
speculari alle “mancanze” del pm che egli è tenuto a rilevare: da un canto, può imporre al pm di approfondire le
investigazioni; dall’altro, può ordinargli di formulare l’imputazione, per concorrere poi ad aprire la fase strettamente
processuale.
Sul fronte della verifica dello spettro investigativo, il potere del giudice si concreta nell’indicazione di nuove indagini,
la necessità delle quali può essere rilevata sulla scorta del fascicolo che il pm è tenuto a trasmettergli, dei risultati del
contraddittorio camerale, o dell’eventuale atto di opposizione della persona offesa dal reato. In ogni caso, il potere
sollecitatorio si incardina nell’udienza camerale di cui al comma 2 dell’art.409: in questa sede, il giudice, se reputa
che il quadro investigativo necessiti di approfondimento, indica al pm le ulteriori indagini, fissando un termine
indispensabile (in realtà sufficiente) per lo svolgimento delle stesse (409). Il termine è del tutto indipendente dai
termini di durata massima delle indagini previsti ex artt.405 e 407. Il contenuto dell’ordine del giudice, il suo carattere
vincolante per il pm e le conseguenze di una successiva inadempienza vanno desunti per interpretazione.
Quanto ai contenuti dell’ordine, è ragionevole che essi si conformino a seconda del quadro di indagine e delle lacune
individuate: non si può escludere che il giudice formuli osservazioni concernenti le necessità di specifici atti. Dunque,
il giudice dovrebbe indicare l’oggetto della prova e la direzione anche se nulla impedisce che egli fornisca più
dettagliate indicazioni, prospettando la necessità del compimento di atti determinati. In ogni caso, il potere del giudice
di indicare nuovi temi d’indagine non si estende sino al punto di coartare l’organo inquirente sulle modalità di
svolgimento delle investigazioni.
Quid iuris se nella analisi del materiale d’indagine emerga: la responsabilità di altri per lo stesso fatto o la
responsabilità del medesimo indagato o di altri per fatto diverso? Il tema è stato affrontato dalla giurisprudenza che
sembra aver pesato le diverse attribuzioni. Il giudice può conoscere e valutare autonomamente tutto quanto risulti dal
fascicolo e può suggerire al pm nuove indagini su fatti diversi o anche su persone diverse, a condizione che non
esorbiti dalle sue funzioni, interferendo con le funzioni del pm. Sarà possibile indicare nuove indagini, se del caso
imponendo la previa iscrizione nel registro delle notizie di reato di soggetti non già individuati, poiché negare al
giudice tale potere significherebbe lasciare all’arbitrio dell’organo procedente di definire l’ambito del controllo.
Risulta più difficile affrontare il tema del carattere vincolante dell’ordine giudiziale e dell’esito della procedura nel
caso in cui il pm appaia renitente ad ottemperare alle indicazioni del giudice. Qui il meccanismo presenta profili di
debolezza: che il pm debba adempiere non è dubbio. Tuttavia, le prospettive si aprono tanto ad esiti fisiologici quanto
a sviluppi patologici.
Sviluppo fisiologico: qui siamo nell’ipotesi in cui il pm torni ad assumere proprie determinazioni. Se nessun ulteriore
elemento di prova sembra mutare il quadro probatorio è ragionevole che reiteri la richiesta di archiviazione, e di
fronte a questa il giudice avrà di nuovo il potere-dovere di esercitare ex novo i poteri conferitigli dall’art.409. Se
invece il supplemento investigativo abbia fornito significativi elementi di novità egli potrà esercitare azione penale: se
così fosse l’epilogo acclarerebbe l’efficienza dell’impalcatura normativa poste a tutela dell’azione.
Scenari patologici:
1. Il pm potrà non adempiere le indicazioni e tornare ad assumere le determinazioni che gli sono imposte. Se
chiederà l’archiviazione, l’unico rimedio per risolvere l’impasse è l’avocazione. Al procuratore generale è
conferita una facoltà di avocazione e, a tal fine, con l’obiettivo di prevenire situazioni di stallo determinate
dal dissenso del giudice. Rispetto alla richiesta di archiviazione, l’art.409 comma 3 prescrive che egli debba
essere sempre informato di ogni procedura camerale. Si nota al riguardo che l’intervento in chiave suppletiva
del procuratore generale è solo eventuale e non destinato a larga applicazione a causa delle scarse risorse
operative degli uffici di procura generale. Resterebbe un’altra alternativa al giudice, non convinto della
irrilevanza dei fatti illustrati dal fascicolo, che si trovi nella situazione di dover fronteggiare un pm negligente
e un procuratore generale assente: egli potrebbe imporre la formulazione dell’imputazione, contando su
acquisizioni probatorie successive. Ma è chiaro che, in difetto di un quadro probatorio non definito e un pm
scarsamente convinto dell’accusa, l’esito rischierebbe di risultare deludente.
2. Se il pm, ignorando le sollecitazioni all’approfondimento delle indagini, optasse per l’esercizio dell’azione
penale, nessuna particolare sanzione potrebbe rimediare ad una iniziativa non sufficientemente fondata.
D’altro canto, è noto che nel suo complesso la procedura di archiviazione non ha la funzione di occuparsi
dell’azione avventata ma di scongiurare l’inazione. In tutti i casi di azione temeraria non può essere che il gup
a filtrare le domande per non dar corso al giudizio allorché ne difettino le premesse, dopo aver, se del caso,
attivato ogni possibile rimedio per compensare eventuali lacune del quadro probatorio.
Il giudice può sindacare la valutazione operata dal pm in punto di concludenza degli elementi di indagine, essendo
dotato di potere di impulso. In sede di controllo dei risultati delle indagini, nella udienza camerale di cui al comma 2
dell’art.409, o in seguito alle indagini suppletive, ove il pm insista nel riproporre l’archiviazione, il giudice, qualora,
dissentendo dal pm, si convinca che sussistano elementi che rendano obbligatorio l’esercizio dell’azione, potrà
disporre con ordinanza che, entro 10gg, il pm formuli l’imputazione. Così modulata la risoluzione del conflitto
insorto sull’apprezzamento delle risultanze delle indagini ai fini della instaurazione dell’azione, la formulazione
coatta dell’accusa costituisce una modalità di esercizio dell’azione penale sui generis, non contemplata tra quelle
annoverate nell’art.405: resta atto del pm ma è evidente che il meccanismo conferisce al giudice la decisione ultima in
ordine alla sussistenza degli elementi che obbligano ad agire.
Quest’ultimo può dunque imporre l’esercizio dell’azione; valuta il fascicolo ed ogni risultanza senza essere limitato
nella diagnosi della richiesta del pm ma non può tracimare dai suoi poteri: non potrebbe, ad esempio, ordinare la
formulazione coatta della imputazione per un fatto diverso o per un soggetto diverso, prima che il pm abbia
adempiuto le consuete attività; se lo facesse sarebbe atto abnorme secondo la corte di cassazione. Sempre la corte ha
riconosciuto la legittimazione a ricorrere, oltreché al pm, anche alla persona sottoposta alle indagini; né, il giudice
potrebbe disporre l’archiviazione nei confronti di soggetti e per fatti in ordine ai quali il pm non aveva formulato
alcuna richiesta.
È chiamato a supplire il pm rispetto a adempimenti che potrebbero vederlo non troppo solerte: spetta al giudice,
entro 2gg dalla formulazione dell’imputazione, fissare con decreto l’udienza preliminare, osservando in quanto
compatibili le disposizioni ex artt.418 e 419. Si prescinde qui da una richiesta di rinvio a giudizio: qualcuno ha
osservato che sarebbe contraddittorio obbligare il pm a chiedere il rinvio a giudizio quando questo sia contrario al suo
convincimento. D’altro canto, il pm non può esimersi dal dar corso all’ordine del giudice ed è ragionevole ritenerlo
vincolato alle indicazioni di carattere contenutistico che egli può desumere dell’ordinanza del giudice.
52. Il controllo sull’obbligatorietà dell’azione del procuratore generale presso la corte d’appello e il potere di
avocazione.
Un controllo della gestione dell’attività investigativa e delle conseguenti determinazioni è affidato al procuratore
generale presso la corte d’appello, al quale spetta insieme al potere di vigilanza, il potere di avocare le indagini. “Se il
pm non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine previsto dall’art.407 comma 3-bis”, il
procuratore generale “dispone con decreto motivato l’avocazione delle indagini”. Il legislatore del 2017 si è limitato a
adeguare il testo anteriore ai nuovi limiti temporali istituiti per la chiusura della fase preliminare, non discostandosi
per il resto dalla previgente disciplina: nell’art.412 comma 1 secondo periodo si prevede ancora, infatti, che, una volta
avocate le indagini, “il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste
entro 30gg dal decreto di avocazione”. Pure invariata resta la normativa attuativa che impone alla segreteria del pm
l’onere di dar notizia al procuratore generale di eventuali situazioni di stallo, trasmettendogli ogni settimana un elenco
delle notizie di reato contro persone note per le quali non è stata esercitata l’azione penale o richiesta l’archiviazione
“entro il termine previsto dalla legge o prorogato dal giudice”. La disposizione non è stata esplicitamente abrogata e
la sua convivenza con il nuovo onere informativo introdotto dall’art.407 comma 3-bis può suscitare qualche
perplessità, dal momento che la più recente interpolazione legislativa finisce per duplicare la previsione di un
medesimo adempimento. Tuttavia, le due formulazioni non coincidono; dalla norma di attuazione – che individua nel
pm il soggetto tenuto all’avviso – si desume un contenuto normativo eccedente rispetto alla norma di nuovo conio, là
dove regola le modalità di trasmissione delle informazioni alla procura generale. Sempre che non ci si risolva tout
court per una sua implicita abrogazione, l’art.127 disp.att. potrebbe essere tuttora funzionale a dare indicazioni sulle
concrete modalità attraverso le quali il pm deve dare “immediata comunicazione al procuratore generale”: indicando,
in particolare, che l’adempimento di cui è ora gravato debba essere compiuto tramite la segreteria e attraverso la
trasmissione “ogni settimana” degli elenchi delle notizie di reato per le quali non è stato possibile adottare le dovute
determinazioni nel termine indicato dalla legge o prorogato dal giudice. In ogni caso la manovra in tal modo operata
pare destinata a non grande successo: la lettera della legge sembra delineare come obbligatorio l’intervento del
procuratore generale nel caso appena illustrato, non diversamente dalla precedente dizione.
Facile pronostico è dunque che il meccanismo, per evitare un sovraccarico delle procure generali, opererà in funzione
di controllo, consentendo l’avocazione solo nei casi di macroscopica ingiustificata protrazione dell’inerzia
nell’esercizio dell’azione. In questo senso sembrano indirizzate le direttive del consiglio superiore di magistratura,
che riconducono il potere di avocazione a valutazioni incentrate su una discrezionalità selettiva, volta a distinguere i
casi di inerzia meramente apparente e comunque non addebitabile all’ufficio del pm, da quelli in cui l’inerzia appaia
effettiva: solo in relazione a questi ultimi l’intervento del procuratore generale dovrà intendersi come doveroso.
Alla luce delle medesime considerazioni andrà riguardata la disciplina dettata nell’art.413, là dove è attribuito un
potere di sollecitazione nei confronti del procuratore generale alla persona sottoposta alle indagini e alla persona
offesa dal reato. Entrambe possono chiedergli di disporre l’avocazione a norma dell’art.412 e aspettarsi di ottenere
quanto richiesto: prevede l’art.413 comma 2 che “disposta l’avocazione, il procuratore generale svolge le indagini
preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro 30gg dalla richiesta proposta a norma del comma 1”.
Informato tramite la richiesta delle parti dell’inosservanza da parte del pm dei già detti adempimenti, il procuratore
generale è tenuto a svolgere le medesime attività già contemplate nell’art.412 comma 1: muta però il dies a quo del
termine per adempiere, decorrente nel caso in esame non dal decreto di avocazione ma dalla richiesta avanzata ex
art.413 comma 1. Il compito di vigilanza del procuratore generale si estende peraltro non solo al rispetto dei tempi ma
anche alla gestione delle indagini e alle conseguenti valutazioni. Il secondo comma dell’art.412 sembra delineare a
questo riguardo un potere largamente discrezionale: il potere di avocazione delle indagini preliminari può essere
esercitato, a seguito della comunicazione ex art.409 comma 3, in tutti i casi in cui il giudice non accolga de plano la
richiesta di archiviazione e fissi l’udienza camerale. Qui la premessa non è quella di una acclarata disfunzione, quale
l’inutile decorso del tempo delle indagini. Il procuratore potrà avocare allorché ritenga negligente, insufficiente o
comunque malcondotta l’azione investigativa o non concordi sulla richiesta di archiviazione del pm (richiesta che egli
può anche revocare).
Dal disposto dell’art.273,1bis appare palese come la scelta legislativa si sia indirizzata nel senso di anticipare sul
terreno cautelare l'operatività di alcune regole dettate in tema di inutilizzazione probatoria e di valutazione della
prova quale risulta in particolare dal richiamo all’art.192 commi 3 e 4. Questo comporta due conseguenze per un
verso l'apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza nel contesto cautelare viene irrigidito al punto da essere
equiparato a quello previsto per la prova della colpevolezza, con l’ulteriore conseguenza di restringere senza dubbio
la possibilità di adozione delle misure cautelari. Per altro verso non si può sottacere il rischio che, in tal modo, il
provvedimento applicativo di una misura cautelare assuma un peso assai gravoso sulla sorte processuale
dell'imputato, rispetto al quale sarà d’ora in poi difficile escludere l’incidenza negativa di quello che, almeno allo
stato degli atti, sembrerebbe ormai configurarsi nella sostanza come un anticipato giudizio di colpevolezza.
Quanto al versante del periculum libertatis, l'art.274 si preoccupa di predeterminare le «esigenze cautelari» che,
concorrendo con il presupposto rappresentato dai gravi indizi di colpevolezza, devono considerarsi di per sé idonee
a giustificare l'adozione delle misure cautelari personali. Al riguardo per l'adozione delle misure cautelari da un lato
è sufficiente la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari previste dall'art.274; dall’altro tali esigenze
devono risultare da elementi concreti che devono essere specificamente indicati nel provvedimento a pena di
nullità e non devono essere desunte (esclusione di qualsiasi automatismo) dalla sola gravità del reato o dalla
circostanza che la persona sottoposta alle indagini si sia avvalsa della facoltà di non rispondere.
Alla tematica degli adempimenti necessariamente successivi all'esecuzione della misura della custodia cautelare in
carcere appartiene anche l'istituto dell'interrogatorio dell'indiziato (cd. interrogatorio di garanzia). Interrogatorio
che l’art. 294,2 affida, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, al giudice che ha deciso sull'applicazione
della misura cautelare – sempreché il medesimo giudice non vi abbia già proceduto ex 391,3 nel corso dell'udienza
di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo – prescrivendone l’effettuazione «immediatamente e comunque
non oltre 5 giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia», a meno che l'indiziato stesso sia assolutamente
impedito (nel qual caso il giudice dovrà darne atto con decreto motivato, ed il termine decorrerà di nuovo dalla
notizia di cessazione dell’impedimento).
A parte il rilievo riduttivamente attribuito alle sole eventualità di “assoluto impedimento” relativo all’indiziato,
l’istituto rappresenta un pilastro delle garanzie previste per la persona colpita dal provvedimento di custodia. E
proprio questa peculiare funzionalità difensiva del corrispondente interrogatorio consente altresì di spiegare senza
difficoltà l’attribuzione della relativa competenza, con riguardo ai provvedimenti emessi prima dell’esercizio
dall’azione penale (279), al giudice delle indagini preliminari (in quanto, per l’appunto, organo di controllo e di
garanzia riguardo ai provvedimenti incidenti sulla libertà personale), anziché al PM, cui nel corso delle stesse
indagini sono conferiti compiti di natura eminentemente investigativa. Successivamente la medesima competenza
spetterà, se del caso, al giudice dell’udienza preliminare; mentre, qualora la misura cautelare sia stata disposta dalla
corte d’assise, ovvero dal tribunale (nelle ipotesi previste dall’art. 91 disp. att.), all’interrogatorio dovrà procedere,
ex art. 294,4bis, il presidente del collegio o uno dei componenti da lui delegato.
In virtù del comma 1-bis dell'art.294 un analogo interrogatorio di garanzia è inoltre previsto nei confronti di
qualunque persona sottoposta a «misura cautelare, sia coercitiva che interdittiva», diversa dalla custodia in carcere
con l'ulteriore precisazione che il predetto adempimento debba essere assolto «non oltre 10gg dall'esecuzione del
provvedimento o dalla sua notificazione». Anche in questo caso l’eventuale inosservanza di tale più ampio termine
produce la perdita di efficacia della corrispondente misura.
21. I provvedimenti adottabili nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini
A carico dell’imputato scarcerato (libero) per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, il giudice deve,
innanzitutto, disporre le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti (ovviamente con esclusione degli arresti
domiciliari data l’equiparazione alla custodia), sempreché si accerti la permanenza delle esigenze che avevano
giustificato la sua sottoposizione alla custodia stessa (307,1). In particolare, poi, qualora si proceda per taluno dei
reati indicati nell'art.407,2 lett. a, il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli artt.281, 282 e 283 anche
cumulativamente (307,1bis). Tuttavia, si prevede che, anche successivamente alla scarcerazione per decorrenza dei
termini, la custodia cautelare, ove risulti necessaria ex art.275, debba essere rinnovata quando si verificano 2
situazioni (307,2):
1. se l'imputato abbia dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una delle misure cautelari
applicategli in luogo della custodia, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna
delle esigenze cautelari previste dall'art. 274;
2. contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre
l'esigenza cautelare prevista dall'art. 274,1 lett. b qualora il medesimo si sia dato alla fuga, ovvero si
accerti un concreto pericolo di fuga.
Con riferimento a tali ipotesi l’art. 307,3 prevede che in caso di ripristino della custodia, si applichi la regola della
decorrenza ex novo dei termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova, salvo il computo della custodia
anteriormente subita ai fini del termine di durata complessiva ex 303,4; e la stessa regola è sancita dall’art. 303,3
anche per il caso dell’imputato sottrattosi all’esecuzione della custodia cautelare mediante evasione.
Quanto alla situazione dell’imputato scarcerato che, trasgredendo alle prescrizioni della misura cautelare
applicatagli in via sostitutiva, ovvero quando ricorra l’ipotesi prevista dal comma 2 lett. b stia per darsi alla fuga,
l’art.307,4 prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia possano procedere al suo fermo del fermo è data notizia
senza ritardo, e comunque entro le 24 ore, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo ove il fermo
è stato eseguito. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sul fermo di indiziato di delitto. Con il
provvedimento di convalida, il GIP, se il PM ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le
condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente.
9: La sentenza.
La sentenza di patteggiamento anziché un accertamento positivo sulla responsabilità penale, contiene un semplice
accertamento negativo della non punibilità, risolvendosi nella constatata insussistenza di cause di proscioglimento
ex 129,1. La sentenza che applica la pena su richiesta delle parti è stata equiparata a una pronuncia di condanna
(445,1bis seconda parte). Letteralmente, ciò impone di ravvisare nella sentenza di patteggiamento una condanna
penale, tutte le volte in cui la legge collega certi effetti all’esistenza di una sentenza di condanna. Tuttavia, in certi
casi la legge connette determinati effetti alla condanna in ragione non tanto del fatto che esiste una sentenza di quel
formale tenore, quanto piuttosto dell’accertamento di responsabilità che la sentenza stessa racchiude e
documenta. Talvolta, poi, è la stessa legge ad escludere che la sentenza di patteggiamento vada considerata come
decisione di condanna; infatti, è espressamente stabilito che, limitatamente alle ipotesi di patteggiamento minus, la
sentenza in questione non può applicare pene accessorie (445,1). Inoltre, è sancita la sua inidoneità a sortire effetti
vincolanti in sede civile risarcitoria (445,1bis prima parte), oltreché in sede amministrativa o in sede civile extra‐
risarcitoria (654). L’unica eccezione è rappresentata dall’effetto vincolante che la sentenza in questione può
produrre nel procedimento disciplinare. Talvolta è la stessa legge a mettere sullo stesso piano la sentenza di
condanna e quella di patteggiamento in tema di normativa speciale antimafia lo status di condannato ex 444 è
equiparato a quello di condannato con sentenza dibattimentale. Altro esempio è fornito dalla recente legge
emanata a tutela degli orfani per crimini domestici. La persona condannata per omicidio o tentato omicidio nei
confronti del coniuge o del convivente in unione civile subisce la perdita del diritto alla successione, quale effetto
penale della condanna. L’indegnità a succedere è dichiarata anche in presenza di quell’accertamento approssimativo
della responsabilità penale rappresentato dall’applicazione della pena su richiesta delle parti (art.444 comma 2
come emendato dalla l.n.4/2018).
In passato si negava natura condannatoria delle sentenze di patteggiamento ai fini del giudizio di revisione, tuttavia
la legge 134/2003 ha novellato l’art.629 includendo fra i provvedimenti suscettibili di revisione anche le sentenze
emesse ex 444,2 tale scelta però se da un lato avvicina le sentenze di patteggiamento a quelle di condanna,
dall’altro ribadisce l’irriducibilità delle prime nelle seconde perché altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di questa
apposita specificazione. Inizialmente, la giurisprudenza si è andata orientando nel senso di negare natura
condannatoria alla sentenza in questione, ogniqualvolta il giudicato di condanna è dalla legge considerato per la
affermazione di responsabilità che esso incorpora e non in ragione del suo esser titolo per eseguire una sanzione.
Questo spiega, ad esempio, perché la sentenza di patteggiamento non fosse considerata di condanna ai fini di quella
particolare ipotesi di revoca di diritto della sospensione condizionale della pena dipendente dall’aver commesso un
reato della stessa indole. L’atteggiamento mutò dopo l’entrata in vigore della l.134 del 2003 in relazione agli esiti di
un patteggiamento maius: sentenze che applicavano una pena superiore ai due anni sembravano prossime alla
condanna più di quelle che chiudevano un patteggiamento minus. Le si ritenne pertanto idonee a far revocare la
sospensione condizionale della pena in precedenza concessa. Senonché una distinzione a tal fine fra i due tipi di
sentenze non poteva sopravvivere a lungo. Essa fu solo una tappa sulla strada che ben presto avrebbe portato la
giurisprudenza a riconoscere la natura prevalentemente condannatoria di tutte le sentenze irroganti pene richieste
dalle parti. Va ricordato, al riguardo, il principio di diritto enunciato da una pronuncia delle sezioni unite risalente al
2005, secondo cui ogni sentenza di patteggiamento è idonea a determinare la revoca della sospensione condizionale
della pena. Più in generale, le sentenze ex art.444 sortiscono sempre gli ordinari effetti della condanna, salvo che
la legge vi deroghi espressamente.
Tali sentenze sono inappellabili lungo l’intero arco del procedimento di merito si preclude quindi il giudizio di
secondo grado. Non costituisce però un’eccezione il caso di appellabilità previsto a vantaggio del PM (448,2prima
parte), il quale può appellare la sentenza con la quale il giudice del dibattimento ha applicato la pena richiesta
dall’imputato, ritenendo ingiustificato il suo dissenso. A parte questo caso particolare, la sentenza di
patteggiamento è impugnabile col solo mezzo del ricorso per cassazione per uno dei motivi indicati nell’art. 606.
Errore in procedendo ed errore in iudicando possono infatti essere fatti valere, in sede di legittimità, anche con
riguardo ai punti della decisione su cui si formò l’accordo fra le parti (come ad esempio la qualificazione giuridica)
giacché spetta pur sempre alla Cassazione l’ultima parola sull’esatta applicazione della legge sostanziale e
processuale. Eventuali errori di denominazione della pena o di calcolo nella sua determinazione sono rimediabili con
la rapida e informale procedura di correzione, attivabile anche d’ufficio sia dal giudice che ha emesso il
provvedimento, sia dalla corte di cassazione.
Tuttavia, i ricorsi in cassazione contro le sentenze di patteggiamento devono fare i conti con la natura negoziale del
rito la giurisprudenza della Corte ha infatti elaborato dei criteri di ammissibilità molto rigorosi: ad esempio l’errata
qualificazione giuridica del fatto può essere fatta valere solo in presenza di un manifesto errore in iudicando che
dissimuli un’illegale trattativa sul nomen iuris, non invece di fronte ad una qualificazione che presenti oggettivi
margini di opinabilità. Analogamente la contestazione sul quantum di pena patteggiata è ammessa solo se l’accordo
appare illegale, essendosi formato senza rispettare i limiti edittali fissati dalla legge penale. Se ne ricava che
l’accordo delle parti, quando sia rispettoso dei parametri legali (sostanziali e processuali), è inattaccabile in
Cassazione, anche quando il suo contenuto appaia discutibile agli occhi del giudice di legittimità. Inammissibile,
infine, il ricorso per vizio di motivazione, che una giurisprudenza ormai consolidata era peraltro orientata a
escludere, per un’asserita carenza di interesse, posto che, in questa speciale procedura, entrambe le parti
raggiungono un accordo che non può essere rimesso in discussione nelle fasi successive del processo.
14: la sentenza.
Terminata la discussione, il giudice si ritira per decidere il merito della causa. Nonostante il silenzio della legge per il
principio di immediatezza si ritiene che il giudice che emette la sentenza debba essere lo stesso che ha ammesso il
giudizio abbreviato, per la valenza del principio di immediatezza. Quanto a struttura e contenuto, la sentenza
conclusiva del giudizio abbreviato ha il suo modello nella sentenza dibattimentale, per cui valgono le regole di
giudizio ex 529 ss richiamate dall’art. 442,1. Quindi, se al termine della discussione il giudice non fosse certo della
colpevolezza dell’imputato, dovrebbe emettere sentenza di proscioglimento ex 530,2. Dovrebbe altresì
prosciogliere, con sentenza di non doversi procedere, nei casi di dubbio sull’esistenza di una condizione di
procedibilità (529,2) o di una causa di estinzione del reato (531,2).
La condanna presuppone quindi che la responsabilità penale dell’imputato sia dimostrata al di là di ogni
ragionevole dubbio (533,1) sia pure sulla scorta del materiale raccolto nella fase preliminare e di quello
eventualmente formato durante l’udienza di giudizio abbreviato. Fonti di convincimento giudiziale sono ex 442,1bis:
gli atti d’indagine preliminare (contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416,2), gli eventuali esiti dell’indagine suppletiva
del PM e del difensore (la documentazione di cui all’art. 419,3) e i verbali dell’attività d’integrazione probatoria
promossa dal giudice o richiesta dall’imputato (le prove assunte nell’udienza), nonché negli eventuali atti di
indagine difensiva presentati contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato contenuti nel fascicolo previsto
dall’art.391 octies.
Quando condanna, il giudice deve diminuire di 1/3 la pena quando procede per un delitto e della metà quando
procede per un reato contravvenzionale (secondo il nuovo comma 2 dell’art.442, modificato dalla riforma Orlando).
Lo sconto va applicato sulla pena in concreto considerata, vale a dire dopo averne determinato il quantum alla
stregua del calcolo di prevalenza o equivalenza delle eventuali circostanze attenuanti e aggravanti. Criterio
inadeguato quando la pena fosse l’ergastolo: per questo la legge fissa qui diversamente l’entità dello sconto,
convertendo l’ergastolo con isolamento diurno in ergastolo semplice, mentre l’ergastolo semplice viene sostituito in
30 anni di reclusione. Non è escluso che tale sentenza contenga dei capi civili riguardanti il risarcimento del danno
da reato, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato; inoltre, la sentenza penale, una volta divenuta definitiva,
produce effetti vincolanti nel separato giudizio civile di risarcimento del danno. In un caso, però, la mancata
accettazione del rito speciale non basta, da sola, a impedire che la sentenza del giudizio abbreviato faccia stato nel
giudizio civile: quando il giudicato è di condanna (cioè favorevole al danneggiato) la legge ne stabilisce l’effetto
vincolante per il giudice civile, salvo che non vi si opponga la parte civile che, a suo tempo, non aveva accettato il
giudizio abbreviato (652,2).
La sentenza è appellabile pur entro i limiti soggettivi ex 443. In particolare, le sentenze di proscioglimento sono
appellabili dal PM ma non dall’imputato. Unica eccezione è la sentenza di proscioglimento per vizio totale di mente
dato che può comportare l’applicazione di misure limitative della libertà personale. Le sentenze di condanna alla
pena dell’ammenda sono, invece, in linea generale sottratte al giudizio si secondo grado (593,3). Sono appellabili
dall’imputato le sentenze di condanna a sanzioni pecuniarie, a pene che non devono essere scontate, nonché a
sanzioni sostitutive, dunque ha affinità con la sentenza di condanna. Il PM non può proporre appello contro le
sentenze di condanna, salvo che queste riguardino un titolo di reato diverso da quello a suo tempo specificato dal
PM nell’imputazione (443,3), e ciò vale anche per l’appello incidentale infatti l’appello incidentale può essere
proposto solo dalla parte titolata a proporre appello in via principale in tal modo si evita che il PM possa aggirare
il limite di appellare profittando dell’appello incidentale.
Dubbia appariva l’appellabilità della sentenza conclusiva del giudizio abbreviato ad opera della parte civile. Con
riguardo ai mezzi di impugnazione esperibili, l’art.576, nella versione novellata della l.46 del 2006, ha inteso
separare il destino del danneggiato, fattosi parte nel processo penale, dalla posizione del pm. Ciò, nell’intento di
svincolare il primo dai limiti imposti al secondo circa l’appellabilità delle sentenze di proscioglimento. In difetto
d’una disposizione legislativa espressa, parrebbe che la parte civile non abbia alcun diritto di appellare codeste
sentenze: conclusione che troverebbe conferma nel principio di tassatività delle impugnazioni, il quale impone che
la legge indichi sia i provvedimenti impugnabili, sia i mezzi esperibili contro di essi. Ma, a questa lettura formalistica
si può fondatamente opporre l’argomento che l’accennata modifica dell’art.576 è avvenuta proprio al fine di
ampliare i diritti di impugnativa della parte civile rispetto a quelli del pm. Sarebbe quindi assurdo far discendere
dalla nuova versione del suddetto art.576 addirittura una riduzione dei rimedi esperibili dalla parte civile contro la
sentenza non gradita, rispetto a quelli di cui dispone il pm. Ma non è tutto. Bisogna ammettere che, privata della
facoltà di appellare, la parte civile subisce un’irragionevole compressione del suo diritto di difendersi nel processo
penale. Insomma, questo diritto va affermato, anche per evitare collisioni con i principi costituzionali e con la
ragionevole attuazione del diritto di difesa che va riconosciuto al danneggiato da reato, il quale, costituendosi parte
civile, ha scelto il giudizio abbreviato quale sede per l’accertamento del danno risarcibile. Al fine di superare
l’imbarazzo che l’interprete inevitabilmente prova di fronte all’infelice rimaneggiamento dell’art.576, sarebbe certo
opportuno un intervento legislativo sull’art.443 che, in un comma aggiunto, attribuisse espressamente alla parte
civile il diritto di appellare le sentenze di proscioglimento emesse a norma dell’art.442. Ma, già oggi, sul piano
interpretativo, appare lecito forzare il dato letterale dell’esistente, lacunosa normativa, per giungere alla
conclusione che la parte civile ha facoltà di appellare le sentenze emesse a norma dell’art.442. Così si sono espresse
le sezioni unite nel 2007.
Quando appellata una sentenza emessa a seguito di rito abbreviato, il relativo giudizio d’impugnazione si svolge in
camera di consiglio (senza pubblico, anche nel caso in cui in primo grado vi fosse stato), nel quale possono essere
assunte nuove prove entro i limiti ammessi dall’art. 603. Ma anche in tal caso, tale previsione deve essere adeguata
alla disciplina probatoria propria del rito speciale. In particolare, essa è condizionata dal tipo di richiesta all’origine
del giudizio abbreviato. In realtà, la questione si intreccia ora con l’orientamento della corte europea dei diritti
dell’uomo, che non ammette condanne in appello emesse sulla scorta della mera rivalutazione delle prove poste a
base di una sentenza assolutoria in primo grado, senza che siano stati riesaminati i testimoni. L’insegnamento della
corte di Strasburgo è stato fatto proprio dalla nostra giurisprudenza di legittimità anche con riguardo al giudizio
abbreviato. Le sezioni unite nel 2017 hanno infatti stabilito che l’imputato assolto in primo grado, all’esito di un esito
di un giudizio abbreviato, può essere condannato nel giudizio di appello solo a condizione che si sia proceduto
all’esame delle persone che avevano reso dichiarazioni ritenute decisive in prime cure. E questo a prescindere dal
tipo di richiesta introduttiva del rito.:
- Nel caso di richiesta complessa, l’imputato mantiene, anche in appello, il diritto alla riassunzione del mezzo di
prova già acquisito in primo grado, purché ciò sia necessario ai fini della decisione (603,3). A maggior ragione egli
può pretendere l’ammissione in seconda istanza di una prova che, pur indicata nella richiesta di giudizio abbreviato,
non è stata assunta dal giudice di primo grado. A sua volta il PM nei casi in cui risulta appellante, ha il diritto di
chiedere la riassunzione, o l’assunzione per la prima volta, delle prove contrarie a quelle che l’imputato aveva
dedotto nella richiesta di giudizio abbreviato.
- Nel caso di richiesta semplice, l’imputato ha rinunciato al diritto alla prova, e non può pretendere che tale diritto
sorga in appello. Allo stesso modo, nemmeno il PM appellante è qui titolare di un diritto alla prova. In tal caso,
l’integrazione probatoria è affidata esclusivamente al giudice, il quale può assumere tutti i mezzi di prova che
ritiene assolutamente necessari ai fini della decisione (603,3).
17.: durata e vicende della sospensione del processo con messa alla prova.
Il periodo di probation ha una durata minima: 10 giorni, quando il programma di trattamento prevede il lavoro di
pubblica utilità (168bis,3 c.p.), e una durata massima: non più di 2 anni, quando si procede per reati punibili con
pena detentiva (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria); 1 anno, quando la pena fosse solo pecuniaria
(464quate,5). In questo arco temporale, che decorre dal giorno in cui è sottoscritto il verbale di messa alla prova,
l’imputato deve adempiere alle prescrizioni e gli obblighi fissati dal giudice nell’ordinanza di sospensione.
Prescrizioni e obblighi sono suscettibili di modifica anche in corso d’opera da parte del giudice, sentite le parti
(464quinquies,3). Sulla loro osservanza vigila l’ufficio locale per l’esecuzione penale esterna, quale spetta l’ulteriore
compito di proporre eventuali modifiche al programma di trattamento inizialmente concordato, e quello di redigere
la relazione sul decorso e sull’esito del periodo di prova (141ter commi 4 e 5 disp.att.). La sospensione blocca il
corso del processo ordinario e produce, al contempo, un effetto sospensivo sulla prescrizione del reato (168ter c.p.).
Durante l’affidamento in prova sono precluse, in linea generale, attività di carattere istruttorio volte a rintracciare
fonti di prova o ad acquisire elementi conoscitivi utili per l’accertamento della responsabilità penale. Tuttavia, dato
che il probation potrebbe fallire col risultato che il processo penale dovrebbe riprendere il suo corso ordinario, la
legge comprensibilmente ammette la possibilità di assumere prove dalle quali potrebbe scaturire un
proscioglimento dell’imputato o prove (anche a carico) che rischierebbero di andare disperse, con le modalità
stabilite per il dibattimento (464sexies). A questa speciale assunzione incidentale della prova procede, in camera di
consiglio, il giudice che ha emesso l’ordinanza di sospensione (gip, gup o giudice dibattimentale).
Il danneggiato, costituito parte civile, è invece praticamente costretto ad uscire dal processo sospeso per evitare i
tempi lunghi di attesa. Conviene pertanto coltivare le pretese risarcitorie in sede civile, destinato a proseguire senza
attendere l’esito del processo penale. Infatti, l’art.464quater,8 introduce una nuova eccezione alla regola che
paralizza l’azione civile finché è in corso il processo penale, ogniqualvolta il danneggiato costituitosi parte civile
abbandona la sede inizialmente scelta per soddisfare la propria pretesa risarcitoria. Evidentemente qui il
danneggiato è costretto ad abbandonare quella sede, a causa della svolta impressa alla vicenda processuale sul cui
andamento egli non ha potuto interloquire.
CAPITOLO 7 – GIUDIZIO
1. La fase del giudizio.
Il giudizio apre una nuova fase del procedimento, ossia quella del processo. Viene instaurato in base al decreto che
il giudice emette al termine dell’udienza preliminare (429), ovvero a un decreto di giudizio immediato (456).
Tuttavia, l’imputato può essere citato a giudizio anche con atto del PM, come accade davanti al tribunale in
composizione monocratica nei casi previsti dall’art.550, nonché, se si trova in stato di libertà, quando si procede con
giudizio direttissimo (450,2); o, ancora, può essere presentato dal PM direttamente all’udienza dibattimentale (nel
giudizio direttissimo in caso di arresto o di custodia cautelare ex 450,1). Le disposizioni sul giudizio sono dettate per
il tribunale in composizione collegiale e per la corte d’assise, ma, salvo quanto diversamente disposto, si applicano
anche nel procedimento innanzi al tribunale in composizione monocratica (549). Il giudizio è il momento centrale del
processo, secondo l’impostazione del codice (è stata la grande volontà della riforma dell’88): le prove con cui poi si
deciderà sulla responsabilità si creano nel dibattimento.
CAPITOLO 9 - IMPUGNAZIONI
Appello e ricorso per cassazione sono impugnazioni ordinarie (appartengono all’ambito dei rimedi) contro le
sentenze di primo e secondo grado non ancora irrevocabili. Sono due istituti diversissimi, anche se ora hanno finito
per assomigliarsi e confondersi. È vero che, essenzialmente, l’appello è un giudizio di merito dove il giudice d’appello
si sostituisce al giudice di primo grado, in ambito limitato, mentre il ricorso per cassazione è un ricorso sulla
legittimità dove il giudice ha un potere di rimedio ma non di merito (giudice della correttezza giuridica e trascende la
singola vicenda giudiziaria: garantisce l’uniforme interpretazione della legge).
Revisione, ricorso straordinario per errore di fatto e rescissione del giudicato sono invece impugnazioni a carattere
straordinario, per sentenze irrevocabili.
Interesse ad impugnare → Il soggetto legittimato ad impugnare deve avervi interesse (art 568 co 4): l'impugnazione
deve essere volta ad eliminare un provvedimento pregiudizievole e a sostituirlo con un altro da cui consegua un
risultato vantaggioso
• l'interesse ad impugnare deve essere concreto (alla posizione giuridica del soggetto deve derivare un risultato
pratico favorevole)
• l'interesse ad impugnare deve essere attuale (deve persistere fino alla fine della decisione)
Considerazioni:
• poiche tra le attribuzioni del PM c'e quella di vegliare all'osservanza delle leggi, l'interesse di tale organo, a
volte, puo coincidere con quello dell'imputato
• per l'imputato l'impugnazione deve tendere ad una decisione in concreto piu vantaggiosa rispetto a quella
impugnata → in particolare:
◦ l'imputato conserva interesse ad impugnare quando è stato assolto con una formula di proscioglimento
che non ha efficacia extra-penale, per ottenere una formula di proscioglimento che rivesta tale efficacia
(ad es. sent assolutoria fondata sulla regola di giudizio ex art 530 co 2)
◦ c'e interesse dell'imputato a ricorrere per cassazione nel caso in cui il giudice d'appello abbia omesso di
pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della disciplina della continuazione, formulata con apposito
motivo
Art.591 – inammissibilità
L'impugnazione è inammissibile:
a) quando è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse;
b) quando il provvedimento non è impugnabile;
c) quando non sono osservate le disposizioni degli articoli 581, 582, 583, 585 e 586;
d) quando vi è rinuncia all'impugnazione.
Comma 2
Il giudice dell'impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l'inammissibilità e dispone l'esecuzione del
provvedimento impugnato.
Comma 3
L'ordinanza è notificata a chi ha proposto l'impugnazione ed è soggetta a ricorso per cassazione (salvo che non sia
stata emessa dalla corte di cassazione stessa).
Se l'impugnazione è stata proposta personalmente dall'imputato, l'ordinanza è notificata anche al difensore.
Che succede se accanto a causa di inammissibilità sussiste causa di non punibilità ex art.129?
Per la causa di non punibilità è prevista declaratoria, anche d’ufficio, in ogni stato e grado.
J dell’impugnazione deve decidere tra le due quale prevale.
ammissibile ricorso x cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, che è intervenuta
estinzione del reato x prescrizione maturata prima della sent impugnata ed erroneamente non dichiarata
da J di merito, in quanto tale doglianza costituirebbe motivo consentito ex art.606.1 lett. b), essendosi il J
sottratto all’obbligo ex art.129 che gli impone declaratoria ex officio
Con riforma Orlando:
art.159 c.p.
comma 1 = disciplina sospensione del corso della prescrizione
L'APPELLO: PREMESSA
Appello = mezzo d'impugnazione ordinario con il quale le parti che vi hanno interesse e ritengono viziata, per motivi
di fatto o di diritto, la decisione del giudice di I grado, chiedono una decisione del giudice d'appello con riferimento a
uno o più capi e punti del provvedimento → ha una struttura ibrida:
• funzione di gravame → il giudice d'appello, nei limiti segnati dai motivi proposti dalle parti, conferma o
riforma la decisione impugnata (effetto parzialmente devolutivo)
• funzione annullatoria → il giudice d'appello in alcuni casi annulla la sent invalida e gli atti vengono restituiti
al giudice a quo
→ viene considerato un strumento di controllo (piuttosto che come un nuovo giudizio):
• la rinnovazione del dibattimento è eccezionale
• la cognizione del giudice d'appello è limitata dalla domanda delle parti
• ampia operatività del divieto di reformatio in peius, se l'appellante è il solo imputato
Art.593: casi d’appello. Ci sono dei limiti particolari per i procedimenti speciali e qualche limite anche per il
procedimento ordinario.
Salvo quanto previsto dagli art.443, comma 3 (limiti di appellabilità per il giudizio abbreviato: simili a quelli
riguardanti il procedimento ordinario), l’art.448, comma 2 (sentenze di patteggiamento, di regola inappellabili), 579
e 680 (appellabilità delle misure di sicurezza), l’imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pm
può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo di reato o escludono la sussistenza di
una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del
reato. Quelle ad effetto speciale comportano un aumento di pena oltre un terzo. Pene di specie diversa: circostanze,
come omicidio premeditato, aggravanti che comportano l’ergastolo (da pena temporanea a indeterminata).
Il primo comma ci dice che le sentenze di condanna sono appellabili sia dall’imputato che dal pm, e per il pm ci sono
limitazioni.
Il comma 2 è dedicato alle sentenze di proscioglimento: il pm può appellare contro le sentenze di proscioglimento e
anche l’imputato tranne che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha
commesso. Non è una sorta di applicazione del comma 4 dell’art.568, perché se fosse così non solo sarebbe
impugnazione ma nemmeno inoppugnabile, ma il fatto che si considera non appellabile le rende comunque
impugnabili per cassazione.
Il comma 3 introduce limiti abbastanza blandi: totale inappellabilità per le sentenze di condanna all’ammenda o
pena alternativa. In materia contravvenzionale ci sono molti limiti perché l’appello è considerato per il diritto di
difesa, e in questo caso basta il primo grado, e c’è sempre la cassazione per errori di qualificazione giuridica.
Poteri cognitivi del giudice d’appello: art.597 cpp. Il giudice d’appello, che è giudice di merito, e si presenta con gli
stessi poteri decisori del giudice di primo grado, ha una cognizione limitata ai punti a cui si riferisce l’impugnazione.
Se l’appellante tocca tutti i punti si ha una sorta di devoluzione totale.
Punto della decisione (diverso da questione o capo della sentenza: riguarda un’imputazione, l’imputato): è qualcosa
di interno alla questione, può essere il tema concernente il nesso causale, la sussistenza o meno di una circostanza
scriminante, oppure questioni concernenti l’invalidità di atti o di competenza, per gli aspetti processuali. La
motivazione introduce dei temi e l’appellante deve scegliere quali punti aggredire e il giudice, limitatamente a quei
punti, può rivedere la questione. Gli altri punti non toccati passano in giudicato.
Art.598: estensione delle norme del giudizio di primo grado al giudizio di appello. In grado di appello si osservano le
norme che si sono applicate nel giudizio di primo grado, salvo specificazioni, che sono:
1. art.599: possibilità per il giudice d’appello di chiudere il processo, quando in gioco è solo il punto che
riguarda la commisurazione della pena, può decidere in camera di consiglio.
2. Art.599-bis: sempre in camera di consiglio. Ha introdotto un istituto che era stato già sperimentato ma con
un nome che era diventato antipatico: patteggiamento in appello. Suonava male, ma in realtà il termine
patteggiamento era molto fuorviante, e consisteva alla rinuncia di alcuni motivi d’appello. Oggi funziona più
o meno così ma è cambiato il nome: concordato con rinuncia ai motivi d’appello. La differenza con il
patteggiamento qui non c’è premialità di nessun tipo, nonostante sia una pratica negoziale, che in quanto
tale assomiglia al patteggiamento. C’è la semplificazione della contesa: se so che tu pm non dai battaglia a
questo punto, c’è concordato. A quel punto si smette di litigare, la cosa si semplifica. Il comma 2 esclude
alcuni tipi di reato, quelli più gravi, di mafia, terrorismo, pedopornografia infantile, violenza sessuale.
Dibattimento d’appello: art.602: nell’udienza, il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa.
Il giudizio dovrebbe consistere nella discussione delle prove in primo grado, ma non è sempre così semplice. Comma
3: nel dibattimento può essere data lettura di atti del giudizio di primo grado nonché di atti compiuti nelle fasi
antecedenti, anche d’ufficio. Qui l’oralità non è proprio prevista, infatti se evocano il 511 (consta degli atti che ci
sono finiti dentro ex art.431, quelli salvati dal fascicolo del pm, il dibattimento di primo grado ha finito per far
lievitare il relativo fascicolo; e tutto questo va anche al giudice d’appello ergo sfrutta tutta l’attività), ed
eventualmente il 512, il 513 e gli altri.
A volte ci sono novità, e si presenta qui come eccezionale quello che nel primo grado dovrebbe essere la regola:
l’assunzione di prove orali: art.603. si prospettano tre eccezionali situazioni in cui è possibile assumere la prova orale
in un giudizio d’appello che dovrebbe essere svolto sulla prova scritta:
1. Possibilità per il giudice, se non può decidere allo stato degli atti, di assumere prove già assunte in primo
grado. Es: vuole risentire un testimone.
2. La prova sopravvenuta: es, non conoscevo il testimone, che se avessi conosciuto sarebbe stato sentito in
primo grado. Si sfrutta il giudizio di appello per assumere per la prima volta una prova che prima non avevo:
qui scatta il diritto alla prova (rinnovazione dell’istruzione dibattimentale).
3. Comma 3: simile all’art.507. Se il giudice se ritiene assolutamente necessario assumere una prova la assume
anche d’ufficio. Prolunga l’art.507 in appello.
Comma 3-bis. Serve a superare il problema che aveva già risolto la legge Pecorella del 2006, poi dichiarata illegittima
dalla corte costituzionale (togliere al pm il potere o la facoltà di appellare le sentenze di proscioglimento così non si
verificava il caso di giudice di appello di rovesciare la sentenza di primo grado). Oggi il pm può appellare il
proscioglimento, ma il giudice d’appello è obbligato a rinnovare il dibattimento se vuole condannare, altrimenti la
sentenza sarà nulla. Qui c’è quindi tutela dell’imputato, che se è prosciolto anche ex art.530 comma 2, non può
appellare. Torna ad esserci il limite che c’era nel processo Andreotti. L’imputato assolto anche per dubbio sulla sua
colpevolezza non poteva essere appellante, il pm appellava contro di lui, ma l’imputato non aveva i poteri. Oggi è un
po’ così ma con il dovere del giudice di assumere delle prove orali come condizione per poter condannare. Se non si
assume questa prova, non si può condannare.
Di fronte ad un appello contro la sentenza di proscioglimento del pm il giudice deve assumere della prova orale, non
può solo riesaminare le prove scritte. Questo problema aveva interessato anche la corte edu, soprattutto per il stati
est europei. L’Italia non è mai stata per questo condannata.
SENTENZE CONCLUSIVE DEL GIUDIZIO D'APPELLO
Il giudizio d'appello puo concludersi con:
• sentenza di inammissibilita → il giudice dichiara inammissibile l'appello con sentenza quando accerta una
causa d'inammissibilita non rilevata prima del dibattimento o insorta dopo la sua apertura
• sentenza di conferma → il giudice pronuncia sentenza di conferma quando, ritenendo non fondati i motivi
dell'appello, lo rigetta e mantiene ferma la decisione di I grado (art 605 co 1)
• sentenza di riforma → il giudice pronuncia sentenza di riforma quando, accogliendo tutti o alcuni dei motivi
proposti, modifica in tutto o in parte la decisione di I grado, salvo il divieto della reformatio in peius in caso di
appello del solo imputato (art 605 co 1)
• sentenza di annullamento con trasmissione degli atti al PM e sentenza con rinvio degli atti al giudice che
procedeva al momento del verificarsi di determinate nullita → casi disciplinati all'art 604 (“questioni di
nullita”) >> vengono configurate varie situazioni volte a coniugare il p. di conservazione degli atti (la nullita
che colpisce una parte della sent non travolge le altre parti che non dipendano da essa) ed il p. di economia
processuale (il giudice d'appello si sostituisce a quello di I grado, correggendone ed integrandone la decisione)
◦ art 604 co 1 → il giudice di appello dichiara la nullita in tutto o in parte della sent appellata e dispone la
trasmissione degli atti al giudice di I grado, quando:
▪ vi e stata condanna per un fatto diverso da quello contestato (art 516 e 522 co 1)
▪ vi sia stata, in difetto di contestazione, applicazione di una circostanza aggravante per la quale la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza
aggravante ad effetto speciale (sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze
attenuanti)
◦ art 604 co 2 → quando sono state ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti o sono state
applicate, senza previa contestazione, circostanze aggravanti diverse da quelle previste dal co 1, il giudice
di appello esclude le circostanze aggravanti, effettua, se occorre, un nuovo giudizio di comparazione e
ridetermina la pena
◦ art 604 co 3 → quando il difetto di contestazione riguarda un reato concorrente (art 517) o un fatto
nuovo (art 518), il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena
corrispondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al PM per le sue determinazioni
◦ art 604 co 4 → il giudice, se accerta una nullita assoluta (art 179) o di una nullita a tipo intermedio (art
180) non sanata, dalle quali sia derivata la nullita del provvedimento che dispone il giudizio o della
sentenza di I grado, dichiara con sentenza la nullita e rinvia gli atti al giudice che procedeva quando si e
verificata (davanti al giudice di rinvio non trova applicazione il divieto di reformatio in peius)
◦ art 604 co 5 → il giudice, se accerta altre nullita che non sono state sanate (in particolare, nullita relative
ad atti probatori), puo ordinare la rinnovazione degli atti nulli, oppure, una volta dichiarata la nullita,
decidere nel merito, qualora riconosca che l'atto non fornisce elementi necessari per il giudizio (sentenza
di conferma o riforma)
◦ art 604 co 5-bis → qualora si sia proceduto in assenza dell'imputato e vi e la prova che si sarebbe dovuto
procedere ai sensi degli artt 420-ter (impedimento a comparire) o 420-quater (sospensione del processo
per assenza dell'imputato), il giudice dichiara la nullita della sent e dispone il rinvio degli atti al giudice di
I grado (e lo stesso avviene quando l'imputato provi che l'assenza è dovuta a mancata conoscenza della
celebrazione del processo di I grado)
◦ art 604 co 6 → nel caso in cui il giudice di I grado abbia dichiarato erroneamente che il reato e estinto o
che l'azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice d'appello decide nel merito,
rinnovando, se occorre, il dibattimento (sentenza di riforma)
◦ art 604 co 7 → nel caso in cui il giudice d'appello riconosca erronea la decisione del giudice di I grado
che abbia respinto la domanda di oblazione, accoglie la domanda di oblazione, sospende il dibattimento
per il pagamento delle somme dovute e, avvenuto il pagamento, pronuncia sent di proscioglimento
(sentenza di riforma)
>> se non viene proposto ricorso per cassazione, copia della sentenza di conferma o di riforma in relazione alla pena,
alle misure di sicurezza o alle disposizioni civili, insieme agli atti del procedimento, è trasmessa senza ritardo al
giudice di I grado competente per l'esecuzione; altrimenti e competente per l'esecuzione il giudice d'appello
>> le pronunce del giudice d'appello sull'azione civile sono immediatamente esecutive
RICORSO IN CASSAZIONE
PREMESSA
Ricorso per cassazione = mezzo di impugnazione ordinario con il quale le parti chiedono l'annullamento per motivi
di diritto della decisione inappellabile o in grado d'appello, da un giudice di merito (ma, in determinati casi, è
possibile anche proporre immediatamente il ricorso per cassazione) → motivi di diritto (tassativi):
• errores in iudicando
• errores in procedendo
Art.65 ordinamento giudiziario: attribuzioni della corte suprema di cassazione. “La corte suprema di cassazione,
quale organo supremo della giustizia, assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge,
l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di
competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge”.
Pietro Calamandrei parlava di sorta di funzione di polizia della corte di cassazione: anche per la sua natura, porta le
tracce di questo organismo che stava a metà tra il legislativo e il giudiziario e nel corso degli anni si è andato
adeguando verso il giudiziario. I giudici vengono chiamati consiglieri.
1. Esatta osservanza della legge: funzione giudiziaria della corte di cassazione. La corte fa un controllo sul caso
concreto. Stabilisce se in quel caso il giudice ha ragionato bene.
2. Uniforme interpretazione della legge: è una sorta di funzione politica della corte di cassazione, riguarda in
generale, è una interpretazione generale che non guarda solo il caso concreto. Si vuole dare una certezza
all’interpretazione giuridica. Quando fu decapitato il re, che in sé incarnava i tre poteri dello stato, si pose il
problema di tenere separati questi poteri. Ma il potere tra il legislativo e il giudiziario devono coordinarsi
bene, chi interpreta la legge? Quello che non può fare il legislatore è intervenire sul caso singolo. La legge
interpretativa vale solo per il futuro e vale in astratto, invece la corte di cassazione trae spunto da fatti
concreti. In realtà il margine non è così semplice: uno dei problemi più grossi della corte di cassazione è
quello di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto. Da noi il precedente vincolante non può vigere
perché in costituzione c’è scritto espressamente che il giudice è soggetto soltanto alla legge (nonostante le
modifiche della riforma Orlando che vedremo).
3. Unità del diritto obiettivo nazionale: è una formula che piaceva molto a Pietro Calamandrei, che fu autore
di queste norme, perché dava l’idea di una corte di cassazione volta a rinsaldare l’idea dell’unità nazionale.
Calamandrei scrive il trattato, quando ancora non era stata unificata la corte di cassazione, o meglio c’era
un’unica corte di cassazione penale, mentre la cassazione civile sarà unificata solo nel 1923, c’erano ancora
le cinque cassazioni regionali. Calamandrei voleva l’unificazione anche di queste 5 cassazioni civili, e si batte
per l’uniformità del diritto obiettivo nazionale appunto. Nel corso del tempo, non è venuto meno l’interesse
ad avere un organismo a livello statale che attesti quale sia il significato da attribuire a certe norme di legge,
con riferimento ad esempio alla Corte costituzionale e anche alle corti europee, soprattutto la corte di
Strasburgo. Quando la Corte costituzionale deve valutare la legittimità o meno della legge, inizialmente
valutava lei questa legge, ma ad un certo punto c’è stato uno scontro: la Corte costituzionale ha dovuto
cedere di fronte alle istanze della corte di cassazione che voleva interpretare la legge, e si forma il diritto c.d.
vivente (il diritto come lo interpreta la corte di cassazione). L’attività interpretativa è molto delicata, e la
Corte costituzionale deve prendere il criterio interpretativo dalla corte di cassazione per interpretare il
diritto. Le norme di legge sono interpretate dalla corte di cassazione, ma con riferimento alle parti
importanti del diritto, la corte di cassazione deve porre la base, il criterio da seguire, e sulla base di quel
criterio che la Corte costituzionale stabilisce la legittimità o meno delle norme.
Funzione nomofilattica: potere della corte di cassazione di soddisfare l’uniforme interpretazione della legge. La corte
di cassazione è affogata di ricorsi, sono anni che i consiglieri di cassazione lamentano la crescita di ricorsi. C’è
difficoltà di assicurare la funzione nomofilattica. Ci sono 300 consiglieri, di cui la metà sono nelle sezioni penale, che
sono 7 (per far fronte alla quantità incredibile di ricorsi, si è superata la soglia di 60mila ricorsi penali). La settima
sezione è composta a turno dai magistrati che compongono le altre sei sezioni, e ha il compito di fare un vaglio di
ammissibilità ictu oculi del ricorso. Se il ricorso è manifestamente infondato non passa nelle altre sezioni. Le altre 6
sono ripartite per materie. C’è stata una modifica, fatta dopo che la prima sezione aveva dato una prova non del
tutto positiva nella valutazione dei procedimenti riguardanti fatti di mafia, e da quel tempo (fine anni ’90) si decise di
distribuire i fatti di mafia e terrorismo su tre sezioni che variano nel tempo, per evitarne la concentrazione.
Ciascuna sezione giudica con 5 giudici ma a ciascuna sezione sono assegnati 15/20 giudici. Le sezioni quando
affrontano un caso guardano la giurisprudenza precedente. Le sezioni unite sono presiedute dal primo presidente e
poi è composta dai presidenti delle altre sezioni. Sono costruite come un organismo all’interno della corte di
cassazione, decidono al massimo 40 casi l’anno, mentre le sezioni semplici sono inondate da ricorsi. Talvolta vi sono
difformità anche all’interno delle stesse sezioni.
Si è cercato di introdurre non proprio la norma del precedente giurisprudenziale, in quanto anticostituzionale, e con
la l.103/2017 si è introdotto un meccanismo che si era già introdotto per le sezioni civili: quando una sezione
semplice si accinge a prendere una decisione che va contro un principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, ha
due possibilità: o si conforma o rinvia gli atti alle sezioni unite.
Si sono verificati casi in passato, uno in riferimento alla testimonianza indiretta: le SS.UU avevano interpretato in un
modo il comma 4 dell’art.195 e poi anni dopo una sezione semplice interpreta in maniera diversa. Si richiede alla
Corte costituzionale di interpretare la legittimità di questo comma sulla base dell’interpretazione di questa sezione
semplice. Questo oggi non potrebbe più accadere.
RICORSO PER SALTUM
Art.569: ricorso immediato per cassazione. È possibile saltare l’appello, possibilità inserita anche all’interno
dell’articolo 311 ( nel caso del riesame e dell’appello per le misure cautelari). Il giudizio diretto in cassazione può
essere proposto dalle parti:
1. Soggettivo: una parte ricorre per cassazione, il pm, l’imputato però appella. Se l’imputato appella e non
rinuncia all’appello il ricorso per cassazione si converte in appello. L’imputato può accettare il ricorso
immediato in cassazione, ma deve due cose: rinuncia all’appello; adattare i motivi dell’appello al ricorso per
cassazione (c’è una grande differenza: i motivi dell’appello sono aperti, non sono definiti, mentre i motivi del
ricorso per cassazione sono elencati, sono 5 e sono indicati dall’art.606). Non sempre un ricorso presentato
come appello è traducibile il ricorso per cassazione. Nessuno può essere obbligato a subire la scelta
dell’altro, entrambi devono essere d’accordo a saltare l’appello, altrimenti non si può saltare.
2.
Non è possibile ricorrere direttamente in cassazione per tutti i motivi
Vengono escluse la lettera d art 606 (omessa assunzione nel dibattimento di una prova contraria a quella ottenuta
dall’altra parte; il diritto alla prova contraria è particolarmente tutelato. Se il giudice non ammette la prova contraria
si può ricorrere per cassazione e la decisione del giudice sarà annullata. Il procedimento si annulla se l’omessa
assunzione di quella prova fa la differenza ai fini della condanna); lettera e (errore di motivazione, contraddittoria
insufficiente o mancante). In questi due casi, esclusi, sempre o quasi sempre, la corte di cassazione che non ha i
poteri del giudice di appello cosa dovrebbe fare di fronte all’omesso prova o di fronte all’errore? Può rilevare
l’errore ma non vi può rimediare. Sono casi in cui per definizione l’annullamento sarebbe con rinvio al giudice di
merito. Allora si capisce perché il ricorso per saltum in quei due casi allungherebbe solo la strada, cosa che è
contraria alla nascita e introduzione dell’art.569.
Art.618: se una sezione della corte rileva che una questione di diritto sottoposta ad esame può dare luogo a
contrasto giurisprudenziale può, su richiesta delle parti, con ordinanza, rimettere il ricorso alle sezioni unite.
Comma 1-bis: obbliga la sezione semplice a trasmettere il fascicolo alle sezioni unite ogni volta che si teme di andare
contro le sentenze delle SS.UU stesse. “Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto
enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso”.
Motivi di ricorso
art.606 cpp. diversamente da quel che accade per l’appello, dove i motivi non sono tipizzati, qui abbiamo un
numero chiuso di cinque motivi.
1. Lettera a: esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o
amministrativi o non consentita a pubblici poteri. Riemerge la funzione di polizia della corte di cassazione.
La corte sembra avere attribuzione che oggi sono in buona parte della nostra Corte costituzionale. Quando
alcuni giudici ingombrano il terreno dell’esecutivo, non si finisce davanti la corte di cassazione ma molto
spessa si va davanti alla Corte costituzionale (è successo nel caso Ilva). Questi casi non sono quindi molto
frequenti. Fine anni ’90: affermazione di giurisdizione italiana nei confronti di un agente Nato che era in
veneto, responsabile di lesioni personali che non poteva essere perseguito in Italia (erano coperti da una
condizione politica: il ministro della giustizia aveva la possibilità di non rinunciare alla priorità della
giurisdizione italiana nei confronti di questi soggetti). il giudice emette una sentenza con il quale dice di
rinunciare alla giurisdizione, ma non era nei suoi poteri, era solo nei poteri del ministro della giustizia. La
corte di cassazione quindi annulla. Ad ogni modo, sono casi rari.
2. Lettera b: inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve
tener conto nell’applicazione della legge penale. Sono i casi di errores in iudicando. Qui l’error è tale da
comportare sempre l’annullamento della decisione.
3. Lettera c: errores in procedendo: inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità,
inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza. Le norme processuali comportano annullamento solo se la
legge ne prevede la sanzione. L’error in procedendo deve comportare l’annullamento della sentenza se è
soggetto a invalidità.
4. Lettera d: mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso
dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi ex art.495 comma 2. Soltanto questo caso particolare di
violazione di diritto alla prova (prova contraria) comporta l’annullamento della sentenza, e le semplice
violazioni di diritto alla prova non comportano l’annullamento della sentenza. Funziona solo nei casi ex
art.495 comma 2: avendo una parte ottenuto il diritto alla prova, l’altra parte ha il diritto alla prova
contraria, qualora si riesca a provare che l’assunzione di quella prova cambierebbe il dispositivo. Se non
cambiasse nulla assumendo quella prova sarebbe inutile l’annullamento.
5. Lettera e: mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal
testo del provvedimento impugnato oppure da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame (modificato nel 2006)
◦ motivazione mancante = effettiva omissione della motivazione (totale mancanza della parte espositivadella
decisione o mancanza di singoli momenti esplicativi), motivazione illeggibile e motivazione apparente
◦ motivazione manifestamente illogica:
▪ illogicita della giustificazione interna (incompatibilita fra premesse e conclusioni)
▪ illogicita della giustificazione esterna (impiego di massime di esperienza non plausibili)
>> il compito del giudice di legittimita e quello di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti
gli elementi a loro disposizione, ne abbiano fornito una corretta interpretazione ed abbiano esattamente
applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di
determinate conclusioni
◦ contraddittorieta = contrasto tra il discorso giustificativo condotto dal giudice di merito nella motivazione
e le risultanze probatorie acquisite legittimamente al processo
>> i motivi di ricorso enunciati ex lett d) ed e) non valgono come motivi di ricorso per saltum (il ricorso
eventualmente proposto si converte in appello)
>> il ricorso attribuisce alla Cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti (art
609 co 1),
ed essa decide altresi le questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del processo e quelle che non
sarebbe stato
possibile dedurre in grado d'appello (art 609 co 2)
>> il ricorso e inammissibile se e proposto per motivi diversi da quelli indicati dalla legge o manifestamente
infondati
oppure per violazioni di legge non dedotte con i motivi d'appello (fuori dai casi di ricorso per saltum e dei
casi ex art
1. (609 co 2) (art 606 co 3)
PROBLEMATICA RELATIVE ALL'ART 606 COMMA 1 LETT. E
L'originaria disciplina dei vizi di motivazione (“mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio
risulta dal testo del provvedimento impugnato”) aveva creato forti perplessità → subordinava il sindacato sulla
motivazione alla regola che il vizio risultasse dal testo del provvedimento impugnato → si era posto in luce che
sarebbero rimaste prive di rimedio alcune situazioni:
• situazione in cui il giudice nella sent di condanna tenga conto di una prova che non risulta dagli atti del
processo (travisamento degli atti per invenzione) → a tale situazione si sarebbe potuto rimediare proponendo il
ricorso ex art 606 co 1 lett c inosservanza norme processuali)
• situazione in cui il giudice nella sent di condanna abbia travisato una prova, sostenendo che vada intesa in un
senso, mentre dagli atti risulta che va intesa in senso opposto (travisamento delle risultanze probatorie) →
anche in questo caso si sarebbe potuto ricorrere ex art 606 co 1 lett c)
• situazione in cui il giudice nella sentenza di condanna ignori una prova orientata in senso decisivo a favore
della difesa (travisamento degli atti per omissione)
>> le conseguenze apparivano di particolare gravità nei casi di sentenza inappellabile o di sentenza di condanna
emessa
per la prima volta in appello → soluzioni a queste problematiche venivano vagliate dalla giurisprudenza, che tuttavia
non risolvevano tutte le situazioni
>> in questo quadro si innesta la riforma del 2006 che:
• riduceva l'ambito di appellabilità delle sentenze di proscioglimento
• rivisitava l'art 606 lett e)
Dopo le sent cost 26 e 320/2007, il ribaltamento in II grado della pronuncia proscioglitiva emessa in I grado può di
nuovo verificarsi → l'imputato si trova in una posizione più tutelata di quella pre-2006, potendo ora usufruire
dell'allargamento dell'ambito operativo dell'art 606 co 1 lett e) → tuttavia la giurisprudenza ha individuato alcune
condizioni relative agli “altri atti del processo”:
• il ricorrente deve individuare in modo inequivoco e specifico gli atti
• il ricorrente deve indicare il dato di fatto che emerge dal relativo atto e che appare incompatibile con la
ricostruzione effettuata dalla sent
• il ricorrente deve chiarire le ragioni per cui l'atto compromette l'intero ragionamento svolto dal giudice
la giuri ritiene censurabile il travisamento x invenzione e omissione mentre nega il travisamento delle risultanze
probatorie perché corte di cassazione non può sovrapporre sua valutazione a quella compiuta nei gradi precedenti.
REVISIONE
La revisione e un mezzo straordinario d'impugnazione, esperibile in ogni tempo (anche se la pena e gia stata
eseguita
o e estinta), sempre a favore dei condannati, nei casi e nei limiti espressamente determinati dalla legge, contro (art
629):
• le sent di condanna
• le sent emesse in seguito a patteggiamento (previsione inserita nel 2003)
• i decreti penali di condanna divenuti irrevocabili
>> la giurisprudenza ha adottato soluzioni restrittive, improntate all'operare del p. di tassativita (in particolare, la
revisione delle sentenze di patteggiamento puo essere fondata solo su prove sopravvenute ad essa o scoperte
successivamente ad essa, e non su prove non acquisite nel precedente giudizio o acquisite ma non valutate neanche
implicitamente)
>> sulla richiesta di revisione decide la corte d'appello individuata secondo i criteri dell'art 11
>> e un mezzo d'impugnazione non sospensivo
Legittimati sono il condannato e il procuratore generale presso la corte d’appello nel cui distretto fu pronunciata la
sentenza di condanna.
La domanda di revisione la si presenta alla corte d’appello individuata in base alla tabella allegata all’art.1 delle
disp.att. cpp. Casi di revisione, 4 casi classici:
1. . se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi
con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile
2. se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del
condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente
revocata,
3. Sopraggiungere di nuove prove che non erano conosciute prima o non erano state assunte prima
4. Riconosciuta falsità in atti o dolo del giudice che hanno influenzato negativamente la sentenza di condanna
Tutti questi casi comportano che il soggetto che chiede la revisione dimostri che tutti i motivi detti, se accertati
portino ad un rovesciamento della condanna in proscioglimento.
Altro caso: caso di revisione che viene regolato dall’art.629-bis: rescissione del giudicato per assenza dell’imputato.
Caso simile all’art.603 comma 5-bis: in quel caso siamo ancora dentro il processo penale, se l’imputato che è stato
assente in primo grado dimostra che è stato assente per incolpevole ignoranza ha diritto ad una rinnovazione
dell’istruzione in appello, ma se questo si prova dopo la fine del processo ha diritto alla rescissione del giudicato, è
possibile chiedere dunque un altro processo, questo perché l’Italia è stata più volte condannata per la sua disciplina
sulla contumacia, e per evitare ulteriori condanne si è introdotta questo particolare caso di revisione. Ha diritto ad
essere sottoposto a procedimento penale e a essere giudicato in presenza di tutti i diritti di difesa e le facoltà che gli
vengono garantiti.
LA REVISIONE IN PEIUS
Revisione in peius → le disposizioni previste in materia di revisione si osservano, in quanto applicabili, anche nei
confronti di chi (per usufruire dei benefici a favore dei “pentiti”) abbia rilasciato dichiarazioni rivelatesi poi false o
reticenti, e mirano alla revoca dei vantaggi indebitamente conseguiti
>> normativa inserita nel periodo di emergenza a causa del terrorismo ed estesa successivamente in rapporto al
fenomeno mafioso (art 16-septies l. 45/2001) → il procuratore generale presso la corte d'appello nel cui distretto la
sentenza e stata pronunciata deve richiederne la revisione:
• quando le circostanze attenuanti, previste in materia di collaborazione relativa a vari delitti, sono state
applicate per effetto di dichiarazioni false o reticenti
• quando chi ha beneficiato di tali attenuanti commette, entro 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza,
un delitto per il quale l'arresto in flagranza e obbligatorio, indicativo della permanenza del soggetto nel
circuito criminale
CAPITOLO 10 – ESECUZIONE
NE BIS IN IDEM
Il divieto di secondo giudizio è concepito essenzialmente a garanzia dell’imputato: di non essere sottoposti a giudizio
essendo già stati giudicati per lo stesso fatto.
Si vuole evitare il conflitto pratico di giudicato: questo è un fine minimale: non c’è un profilo di tutela della difesa
dell’imputato, e si allude a due sentenze per lo stesso fatto riguardanti la stessa persona che non possono essere
eseguite entrambi. C’è poi il conflitto logico: quando le motivazioni collidono (questo, lo abbiamo visto, può essere
oggetto di revisione).
Rimedio preventivo: Può essere prevenuto con i conflitti di competenza: l’art.28 parla dello stesso fatto e della
stessa persona. È un istituto che è volto a prevenire il ne bis in idem, quando due o più giudici si contendono lo
stesso.
Rimedio successivo:se quello del 28 è preventivo, il rimedio successivo è un caso di annullamento senza rinvio.
(Lettera h dell’art.620: se vi è contraddizione fra la sentenza o l’ordinanza impugnata ed un’altra persona
concernenti la stessa persona per lo stesso fatto, si fa annullamento senza rinvio. La corte di cassazione in questo
caso dice che si deve eseguire non la prima delle due sentenze ma quella più favorevole. Art.621: in quello previsto
dalla lett.h dell’art.620 ordina l’esecuzione della prima sentenza o ordinanza, ma se si tratta di condanna, ordina
l’esecuzione della condanna meno grave) favor rei.
Art.649: non è possibile procedere nei confronti della stessa persona se questa è stata giudicata, condannata o
prosciolta, con decisione irrevocabile (sentenza che ha il carattere dell’irrevocabilità). Recentemente, la corte edu è
intervenuta in maniera significativa su questo punto, considerando provvedimenti tali da essere inclusi anche in
questa categoria di decisioni provvedimenti di carattere amministrativo che abbiano un valore afflittivo: risale ad un
caso vecchio, ma che ultimamente è stata applicata. Per la corte edu è insignificante come si giudica un istituto: se
questo provvedimento applica un tipo di sanzione che ha carattere afflittivo e che è rivolto ad una generalità di
persone (non ad un gruppo professionale o sportivo specifico che ha regolamenti a parte) si pone il rilievo. Il criterio
che segue l’ordinamento nella definizione di istituti non importa alla corte edu.
Caso: un procedimento penale e uno amministrativo. Si è applicata in ambito amministrativo una sanzione molto
pesante; poi da lì, è stato avviato un procedimento penale. La corte di Strasburgo ha detto che in questi casi non si
può punire due volte una stessa persona perché in questo caso la sanzione amministrativa è talmente pesante che o
si applica quella o si applica la sanzione penale (che per la cedu è penale, poco importa se per l’ordinamento italiano
è sanzione amministrativa). ci sono settori, come quello tributario, dove le sanzioni amministrative e penali si
possono cumulare. Questa è una frontiera nuova aperta dalla corte edu. L’art.649 non è riferibile solo alle sentenze
penali quindi, ma anche a quelle decisioni, in questo caso provenienti dalla consob, che aveva individuato delle
manipolazioni del mercato.
Viene poi la parte più garantista dell’art.649: “l’imputato non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale
per il medesimo fatto neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per circostanze,
salvo quanto disposto dall’art.69 comma 2 (imputato erroneamente considerato morto: si può riaprire il caso in
questo caso), e dall’art.345” (riguarda l’ipotesi di improcedibilità: se passa in giudicato una decisione per
improcedibilità e successivamente questa condizione cade quel passaggio in giudicato non preclude la possibilità di
avviare un nuovo processo. Es: segreto di stato. Se viene opposto ed è essenziale per verificare il fatto comporta una
declaratoria di inammissibilità. Supponiamo che dopo qualche anno il segreto di stato cade; in quel caso sarà
possibile avviare il procedimento penale che si era chiuso per opposizione del segreto).
Un tema che si affrontato è quello del ne bis in idem internazionale: cosa succede in caso di condanna in uno stato
diverso, soprattutto nel caso di condanna in uno stato europeo, si può risubire un procedimento penale per lo stesso
fatto in Italia? copre il giudizio di un’autorità straniera il requisito del ne bis in idem? La risposta è più sì che no.
Art.54 convenzione applicativa dell’accordo di Schengen: accorda il ne bis in idem, ma solo nei casi di condanna.
Vale solo all’interno dell’Unione Europea questa soluzione, e questo art.54 copre solo in parte, non copre come
l’art.649 tutte le ipotesi di proscioglimento, oltre che di condanna
EFFETTI EXTRAPENALI DEL GIUDICATO
A differenza di quanto avveniva nel vigore del vecchio codice, oggi l'autorita extrapenale del giudicato e
riconosciuta
solo nell'ambito delle prescrizioni dettate dalla legge:
• la sentenza penale irrevocabile di condanna e di proscioglimento per la particolare tenuita del fatto
(dibattimentale o del rito abbreviato, salvo che la parte civile che non abbia accettato il rito speciale si
opponga) ha efficacia di giudicato (in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua illiceita ed alla responsabilita
dell'imputato) nel giudizio civile o amministrativo, per le restituzioni e il risarcimento del danno, promosso
nei confronti del condannato/prosciolto per la particolare tenuita del fatto e del responsabile civile (sempre che
quest'ultimo sia stato citato o sia intervenuto nel processo penale) (artt 651 e 651-bis)
• la sentenza irrevocabile di assoluzione (dibattimentale o del rito abbreviato, se la parte civile lo ha accettato),
ha efficacia di giudicato (in ordine all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha
commesso, o che il fatto e stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facolta
legittima) nel giudizio civile o amministrativo, per le restituzioni ed il risarcimento del danno, promosso dal
danneggiato o nel suo interesse, a 2 condizioni (art 652):
◦ il danneggiato si deve essere costituito o deve essere stato posto in condizione di costituirsi parte civile
◦ il danneggiato non deve avere esercitato l'azione in sede civile ex art 75 co 2
• assoluzione e condanna irrevocabili pesano, a condizioni analoghe, anche nel giudizio per responsabilita
disciplinare davanti alle pubbliche autorita (art 653) → inoltre, anche le sent di patteggiamento (che
normalmente non hanno efficacia extrapenale) fanno stato nel giudizio disciplinare
• nei giudizi civili o amministrativi, dove non si controverte delle restituzioni o del risarcimento del danno da
reato, ma intorno ad un diritto o a un interesse legittimo (il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli
stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale), la decisione penale ha efficacia solo se (art 654):
◦ si tratta di sentenza irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento
◦ i fatti accertati sono stati rilevanti ai fini della decisione penale
◦ la legge civile non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa
319