Arte

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IL FUTURISMO (SIMULTANEITA’ PAROLA CHIAVE, comprimere spazio e tempo in un’immagine)

Marinetti e la promozione del futuro


La data di nascita del Futurismo può essere fissata il 20 febbraio 1909, sul quotidiano francese Le Figaro" fu pubblicato
Fondazione e Manifesto del Futurismo, testo firmato dal poeta Filippo Tommaso Marinetti dove chiamava a raccolta
letterati e artisti invitandoli a contrapporsi alla cultura tradizionale per un radicale rinnovamento delle arti

Il volto della città nell'opera di Boccioni


Umberto Boccioni, uno dei principali esponenti del movimento futurista, formatosi a Roma, si trasferì a Milano, che
divenne la sede del Futurismo, qui incontrò Marinetti; tutto ciò portò Boccioni ad aderire alla nascente Avanguardia.
La città che sale (1910-11) New York, Museum of Modern Art Attratto dal tema della città, incarnazione della
modernità, descrisse soprattutto l’espandersi della metropoli fino a inglobare i terreni una volta occupati dai campi.
Proprio il nuovo orizzonte urbano è il soggetto di Città che sale, concependo la potente immagine di una città moderna
che si espande e avanza inarrestabilmente, incarnata nell'immagine del grande cavallo rosso imbizzarrito che domina la
scena, che travolge e trascina con sé uomini e cose imponendo al dipinto un moto obliquo verso l'alto, e a ciò
rispondono i movimenti convulsi degli altri cavalli e la tensione fisica delle figure in primo piano, piegate obliquamente
nello sforzo di fronteggiare la situazione.
Gli stati d'animo 1911 New York, Museum of Modern Art L'esplorazione dei luoghi della città portò Boccioni a
realizzare un ciclo di tre tele in due versioni (la prima, più vicina ai modi del Divisionismo, si trova a Milano, la seconda,
già pienamente futurista, è esposta al Museum of Modern Art di New York) dedicato alle stazioni ferroviarie. Gli stati
d'animo rivelano la scelta dell'artista di rappresentare delle emozioni: anche qui protagonista è il sentimento della città.
Il treno e la stazione diventano teatro delle azioni umane. Ogni singolo quadro racconta uno specifico momento legato
al viaggio. In Gli stati d'animo: gli addii Boccioni ha operato una spettacolare fusione tra le figure, l'ambiente interno
della stazione e lo spazio esterno della città. Nel dipinto, le coppie che si salutano sono individuabili, ma le loro verdi
forme si scompongono e si fondono con le volute di fumo che riempiono la stazione. Al centro si materializza una nera
locomotiva a vapore, resa di profilo, con il numero di serie della vettura, il fanale posteriore rosso. Nell'estremità
superiore del dipinto, i tralicci e le case accolgono l'arrivo di un altro mezzo a vapore che, sbuffando, avanza in un alone
di colori chiari. Molto diversa è la tavolozza cromatica in Gli stati d'animo: quelli che restano: alternando il verde scuro al
nero, l'artista ha creato una cupa trama di linee verticali con figure che appaiono ancorate al suolo. In Gli stati d'animo:
quelli che vanno, cambia la posizione dell'osservatore, che si trova sul treno, oltre il finestrino il paesaggio scorre via
veloce, con volti e teste umane che s'incastrano tra facciate di abitazioni rese per mezzo di pennellate oblique.

Da mater a Materia:l’evoluzione dell’artista


Il rinnovamento di un soggetto Avviene in Materia (1912, Venezia Collezione Peggy Guggenheim), dove al centro della
grande tela campeggia la madre, alla quale il pittore fu molto legato e che spesso appare come modella nelle sue opere.
Boccioni aveva spesso fatto ricorso alla figura materna per rappresentare le virtù muliebri e domestiche, come nel
dipinto La madre con l'uncinetto (1907, Milano Galleria d’arte moderna) in cui la donna è ritratta in un ambiente
familiare, davanti a una finestra, intenta al suo lavoro. Boccioni si allontana sempre più da una rappresentazione
realistica del soggetto, con Costruzione orizzontale (1912, Monaco), che già nel titolo rivela il nuovo prevalere di
componenti sul soggetto stesso, e soprattutto Materia, dove lo stile è ormai compiutamente futurista. Anche in questo
caso il titolo è significativo, in quanto è ricavato da un gioco di parole ricavate dal latino mater: madre, matrice, materia.
La figura nello spazio La madre è posta al centro della composizione. Essa è una sorta di dea Terra dalla quale sgorga
ogni tipo di materia ed energia. In quanto simbolo della facoltà generatrice, tutto ruota intorno alla sua figura. Lo
spettatore resta irretito dal gioco di compenetrazione tra le cose: intorno alla possente presenza femminile, posta di
spalle rispetto a un balcone, elementi di paesaggio urbano, facciate, tetti e ciminiere presenti nella parte alta del quadro
si fondono, in basso, con mensole e balaustrini che fanno parte dell'abitazione della donna. In questa sorta di
"maternità cosmica", la figura umana viene così a trovarsi al centro di un rapporto dinamico fra l'interno della casa e
l'esterno della città. Lo stesso principio compositivo fu audacemente trasposto da Boccioni anche in scultura:
Antigrazioso (1912-13, Roma, Galleria nazionale d’arte moderna) è un altro ritratto della madre, questa volta nella
terza dimensione, in cui la figura risulta scomposta e compenetrata allo spazio che la circonda.
Il colore e il confronto con il Cubismo Nel dipinto, il volto della donna risulta come scomposto, mostrando
simultaneamente elementi frontali, di profilo e di tre quarti. I futuristi danno vita a una rappresentazione multipla degli
oggetti e delle figure attraverso la loro decostruzione e ricomposizione continue. A differenziarli stilisticamente dai
colleghi francesi vi erano però l'uso del colore e l'attenzione alla resa del movimento. Anche in Materia i colori rivestono
un ruolo fondamentale: la carica cromatica si traduce in energia che esplode in ogni direzione. Il pittore è addirittura
riuscito a imprigionare, con il suo pennello, gli effetti dell'illuminazione: nella parte superiore del quadro, saettanti
tracce di colore bianco e azzurro ricreano i fasci di luce che illuminano la testa e le braccia della figura.
Forme uniche della continuità nello spazio Boccioni vedeva nella scultura una naturale estensione dei suoi studi sul
dinamismo. Forme uniche della continuità nello spazio (1913 Milano, Museo del novecento) riassume la trasposizione
nel bronzo delle ricerche sulla veduta simultanea. L'opera rappresenta un uomo che cammina, che avanza con forza
fendendo l'aria, come risulta dal serrato incastro delle masse plastiche, modellate per evocare le fasce muscolari in
tensione dinamica. Il bronzo levigatissimo permette alla luce di scivolare sulla superficie dell'opera, donandole elasticità
e leggerezza. Combinando tra loro parti concave e parti convesse, la scultura sembra avvitarsi nell'atmosfera,
accogliendo in sé lo spazio circostante e dilatandosi in esso, in un'incontenibile espansione formale che può essere colta
a pieno solo attraverso un’osservazione da molteplici punti di vista. Una sottile, assonanza la collega alla Níke di
Samotracia: le due opere hanno in comune il busto spinto in avanti e la posa degli arti inferiori, con la gamba destra
leggermente flessa e la sinistra tesa dietro il corpo.

Giacomo Balla e l'analisi del movimento


Tra i più convinti sostenitori dello stile di vita futurista vi fu il torinese Giacomo Balla che esordì come pittore verista
facendosi poi esperto nella tecnica del Divisionismo. Il futurismo lo segnò a tal punto che si firmò «Futurballa», come a
indicare che considerava stilisticamente superato tutto ciò che era stato precedentemente. Balla fu uno dei principali
sostenitori dello sconfinamento dell'estetica futurista, dall'abbigliamento al design, dal cinema al teatro.
La mano del violinista La ricerca di Balla si concentrò su un’analisi del movimento, attraverso la giustapposizione di
momenti successivi nello spazio e nel tempo. Nella tela intitolata La mano del violinista (1912 Londra, Estorick,
Collection of Modern Italian Art) il pittore ha seguito, per una frazione di secondo, il magico spostamento dei gesti del
musicista sul violino. Il braccio, la mano e lo strumento musicale sono inseriti in una cornice bianca a forma di "V"
focalizzando l'attenzione dello spettatore a concentrarsi sull'azione, mentre l'elegantissimo e sottile tratteggio pittorico
sembra evocare il diffondersi delle onde sonore e musicali nell'aria. L'immagine, che appare come una sequenza di
fotogrammi lievemente sfalsati e sovrapposti, vince l'effetto statico e comunica una spettacolare impressione di
velocità. Il dipinto rivela un'attenta riflessione sui principi della foto dinamica. Si può affermare infine che gli artisti
stessero spingendo verso il superamento della statica e tradizionale rappresentazione di oggetti e figure immobili.
Bambina che corre sul balcone (1912 Milano, Museo del Novecento) Trae spunto da un soggetto ordinario di natura
quotidiana rivisitandolo in maniera futuristica: il gusto per l'inquadratura ravvicinata, quasi fotografica, l'attenzione per i
dettagli e la sensibilità per le vibrazioni luminose. L'artista ha riprodotto lo spostamento veloce della bambina ripetendo
più volte, in posizioni diverse ma sempre molto ravvicinate, le stesse forme: il tacco e la punta dello stivaletto; gli spigoli,
rivolti in direzioni diverse, di ginocchio e gomito piegati; la rotondità della testa. Il confronto tra il dipinto e gli studi
preparatori, (uno esposto a Milano e l’altro di una collezione privata) mostra come abbia operato in maniera analitica,
fissando all'interno del disegno le linee portanti della figura che generano l'impressione del movimento. La
sovrapposizione delle aste verticali e orizzontali del parapetto e delle parti del corpo della ragazzina genera una visione
dinamica unitaria. La tecnica coloristica è efficacissima poiché in quest'opera le tinte vivaci, accostate liberamente,
tolgono peso alla figura e traducono a livello visivo la spensierata dimensione dell'infanzia.

A passo di danza, a ritmo di marcia: Severini e Carrà


Gino Severini trasferitosi fin dal 1906 a Parigi, che considerava la città della propria «nascita intellettuale e spirituale»,
ebbe modo di conoscere direttamente il Neoimpressionismo e le altre Avanguardie.
Dinamismo di una danzatrice (1912 Milano, Museo del Novecento) Severini raffigurò spesso il mondo dei balletti. Qui è
possibile calcolare la distanza fra questa ballerina e le sue illustri antesignane impressioniste e postimpressioniste. Il
vero soggetto dell'opera è il movimento: l'artista ne ha scomposto la figura, frammentandola in termini di colore e di
forma, per rendere il ritmo frenetico della danza. È un'immagine di grande forza cromatica, che riesce quasi a
trasformare l'emozione visiva in esperienza uditiva: il ripetersi in più punti della sagoma gialla della gamba, con la forma
appuntita della scarpa, suggerisce infatti l'incessante scalpiccio di suola e tacco sul palcoscenico. Il rimbombare dei suoni
e il sollevarsi della polvere si materializzano nell'opera attraverso le saette grigie e bianche.
Manifestazione interventista (1914 Milano, Collezione Mattioli) Nato in provincia di Alessandria nel 1881 Carrà, fu tra i
primi ad aderire al movimento di Marinetti. Manifestazione interventista è un'opera di piccolo formato a tecnica mista,
basata sul collage: i brandelli di giornale, i colori e le parole sono disposti a formare una girandola dinamica e
avvolgente, che proietta lo spettatore nella composizione. La disposizione a raggiera crea un moto centrifugo di segni
che allontanandosi dal centro si fanno più chiari, passando dal nero a tonalità rosate. Le parole rappresentano le
convinzioni ideologiche (le scritte «evviva l'esercito» ed «evviva il re» o le bandiere italiane) e il linguaggio futuristi (si
notino le onomatopee e «Zang Tumb Tumb», titolo di una poesia di Marinetti). Lo spunto di partenza dell'opera è la
rappresentazione di una delle tante manifestazioni che i futuristi inscenarono in favore dell'intervento dell'Italia nella
Prima guerra mondiale. Sostenne Carrà: «Ho abolito ogni rappresentazione di figure perché volevo dare l'astrazione
plastica del tumulto civico».

L’ASTRATTISMO
Dalla mimesi all'astrazione
Furono però i pittori astratti a sviluppare in modo più radicale la consapevolezza dell'autonomia del linguaggio artistico
che si andava affermando. Esprimono il loro mondo interiore affidandosi alla forza del colore e alla potenza evocativa
della linea creando composizioni in grado di suscitare sentimenti e pensieri. L’ "Astrattismo" può risultare fuorviante: il
gesto artistico non intende "astrarre" forme dalla superficie del reale, ma vuole piuttosto trasmettere un contenuto
nella sua forma autentica. Il russo Vasilij Kandinskij, il più grande artista di questa corrente, rifiutò sempre la definizione
di 'astranista e addirittura rivendicò per la propria pittura la qualifica di autenticamente "concreta".

La nascita del Cavaliere Azzurro La


figura romantica del cavaliere che combatte per il bene alludeva alla missione salvifica dell'artista che lotta per
l'affermazione di un nuovo tipo da arte contro la società borghese materialista L'idea iniziale fu quella di redigere un
almanacco cioè un periodico annuale che raccogliesse scritti di pittori, musicisti, scenografi, attori.
Prova di copertina (1911-12) studiata da Kandinskij, che poi avrebbe elaborato la versione definitiva che apriva la
rivista. Sul fondo blu spicca un riquadro irregolare profilato di nero: nello spazio indistinto, giallo come un fondo oro
bizantino, un cavallo bianco dai tratti stilizzati montato da un cavaliere azzurro si leva in volo sopra un paesaggio dalle
forme irriconoscibili e dai colori accesi e irreali. Se per Marc e Macke fu anche l'ultima, poiché morirono sul fronte nella
Prima guerra mondiale, per Kandinskij e Klee essa rappresentò un passo decisivo verso la conquista di una compiuta
dimensione astratta del dipingere.

L’arte spirituale e colorata di Kandinskij


Nato a Mosca nel dicembre del 1866, Vasilij Kandinski è considerato il vero fondatore dell'arte astratta, che diede
un'espressione compiuta di grande lirismo e una formulazione teorica.
Coppia a cavallo (1906-07 Monaco, Stadtische Galerie im Lenbachhaus) Dipinto di piccolo formato dal suggestivo
sapore medievale: la coppia di innamorati vestita all'orientale, che avanza su un cavallo bardato, sembra provenire dal
mondo delle favole o delle stampe popolari; l'incedere del cavallo pare silenzioso e compassato, rarefatta l'atmosfera
del bosco; sulla superficie del fiume dietro la coppia si specchiano le torri e le cupole colorate di un’incantata città sullo
sfondo. Dall'umbratile oscurità del primo piano si passa gradualmente al rischiararsi delle tonalità del cielo, animato da
diverse tonalità d'azzurro. Ad aumentare il clima sognante e fiabesco concorre la tecnica pittorica: la stesura del colore
in piccoli tocchi regolari, che risaltano per la loro accensione sul fondo scuro, si avvicina al Pointillisme, ma al tempo
stesso suggerisce l'arte del mosaico, con tessere colorate che risplendono sul fondo nero, mentre le cromie accese, non
rispondono già più a intenti naturalistici ma puramente cromatici.
Studio dal vero a Murnau (1909, Monaco Stadtische Galerie im Lenbachhaus) Le esperienze vissute da Kandinskij nella
città tedesca lo portarono a elaborare un nuovo stile, caratterizzato dalla semplificazione delle forme e da un sempre
maggiore distacco da una figurazione di tipo oggettivo. Il piccolo Studio dal vero a Murnau (1909) colpisce per la
maniera in cui 'artista ha tradotto in forme espressioniste una sensazione interiore legata al paesaggio. Quest'ultimo ha
tratti e colori essenziali: la casa è arancione, le montagne sono triangoli rossi o blu scuro; una forma azzurra in
prospettiva potrebbe suggerire un fiume per il colore azzurro chiaro, anche se più probabilmente rappresenta una
strada. Gli alberi e le due figure umane intente al lavoro nei campi, sulla sinistra, sono resi con tratti elementari, quasi
scheletrici. Secondo l'artista, occorreva che le forme fossero «liberate da ogni elemento accessorio per esprimere solo
l'essenziale». L'allontanamento di Kandinskij dal mondo della figurazione si stava compiendo in virtù del colore, la cui
forza spirituale ed emotiva verrà da lui ampiamente sondata tanto nei dipinti quanto negli scritti teorici.

Primo acquarello astratto (1910 Parigi, Centre Georges Pompidou) Un fondamentale punto di approdo nel percorso
verso Astrattismo può essere individuato nel dipinto noto come Primo acquarello astratto (1910). L'opera, che
Kandinskij lasciò priva di titolo per evitare qualsiasi riferimento a un soggetto reale, ha un’importanza fondamentale per
la storia dell'arte, in quanto si tratta della prima immagine assolutamente non figurativa della pittura occidentale.
Un'apparente confusione L'acquarello si presenta intenzionalmente come uno schizzo popolato di forme allusive ma
non riconducibili a oggetti precisi del mondo naturale. Al primo impatto sembra di essere di fronte a uno scarabocchio
infantile, alla forma cioè in cui si concretizzano, secondo gli psicologi, i primi rapporti che un bambino intesse con ciò
che lo circonda. Kandinskij, però, realizzò il lavoro all'età di quarantaquattro anni, avendo alle spalle un solido passato di
pittore figurativo: la scelta di questa modalità espressiva va quindi ricondotta a una nuova volontà artistica: la ricerca di
un linguaggio capace di dare voce alla realtà interiore, un mondo in effetti ancora inesplorato da indagare secondo
modalità proprie, diverse da quelle del linguaggio razionale.

Un ritmo colorato L'opera appare come una composizione giocosa, eseguita di getto senza un disegno né uno schema
compositivo individuabile. Diverse macchie colorate, leggere come velature (tipiche della tecnica dell'acquarello),
costituiscono l'immagine: alcune di esse, espanse e trasparenti, situate soprattutto nella parte alta del foglio, sembrano
introdurre sulla superficie cartacea chiara un senso di profondità fluttuante e vagamente stratificata; altre, più piccole,
per esempio al centro e sulla sinistra, appaiono ristrette e di colore più intenso, con l'effetto di sembrare più "vicine" allo
spettatore. Dietro l'apparente confusione si può quindi cogliere un ritmo, fatto di forme e toni dominanti, che
determinano una composizione che assomiglia assai più alla musica che all'arte figurativa. Proprio alla musica, alla sua
libertà compositiva, Kandinskij guardava come modello per un'arte ormai priva del compito di raffigurare fedelmente il
reale.
La trama cromatica Nelle macchie che appaiono più scure predominano il rosso e il blu, colori che evidentemente
l'artista avvertiva in rapporto tra loro, perché li ha proposti sempre accostati: il rosso, tinta calda, ha la tendenza a
espandersi, mentre il blu, tinta fredda, a contrarsi. La composizione presenta anche pennellate di varia for-ma, lineari e
a tocchi brevi, e segni sottili a matita e china. In alcuni casi, questi tratti appaiono come indicatori di possibili tracciati
che suggeriscono la direzione e il ritmo delle macchie vaganti sulla carta, mettendo in moto l'intera composizione; in
altri casi, si limitano a contornarle, come a fissare un confine alla loro espansione. Niente rimanda più al mondo esterno:
non le forme, illeggibili come riproduzioni della realtà, non la costruzione spaziale. Ragioni di natura solo ritmica e
cromatica, di armonia compositiva, determinano la definizione dell'immagine.

La pittura come musica


Per un'arte dello spirito Kandinskij espose la sua poetica in uno degli scritti più singolari del secolo scorso, Lo spirituale
nell'arte (1911). Non un manifesto artistico, né un manuale pratico sulla pittura, ma un testo che nell'impostazione
ricorda uno scritto filosofico e che nel linguaggio assume un carattere quasi profetico per annunciare l'avvento di un'era
che soppianterà il materialismo dell'età moderna. L'artista spirituale è «cieco alle forme "note" o "'meno note", sordo
alle teorie e ai desideri della sua epoca. Deve fissare gli occhi sulla sua vita interiore [.]. Allora saprà valersi di ogni mezzo
lecito o illecito con la stessa facilità. Questo è l'unico modo di esprimere una necessità mistica». Nel saggio, Kandinskii
avvicina la pittura alle altre arti, come la danza, la musica, il teatro, aspetti di uno stesso risveglio emozionale.
La musica, arte astratta per eccellenza Serrato e costante è il confronto con la musica, forma espressiva per sua essenza
astratta, di cui Kandinskij fece proprio perfino il lessico, definendo un colore «squillante» o «cantante» e soprattutto
dando a molte delle proprie opere titoli che rinunciavano alla descrizione e si limitavano a indicare forme musicali
seguite da un numero. In una progressione dal concreto all'astratto, distinguiamo le Impressioni, che nascono dalla
«natura esteriore» e hanno soggetti ancora individuabili; le Improvvisazioni, legate alla «natura interiore» in quanto
«espressioni, soprattutto inconsapevoli, per lo più di eventi mentali»; le Composizioni, anch'esse nate dall'interiorità, ma
oggetto di una lunga elaborazione in cui sono «fondamentali la ragione, la consapevolezza, l'intenzionalità, lo scopo» e
che risultano le più astratte. Anche i più tardi Accordi hanno un nome musicale.
I colori come i suoni Per capire come tali idee trovino forma è interessante leggere alla luce dello Spirituale nell'arte
un’opera dello stesso anno, (Impressione V - Parco Parigi, Centre Georges Pompidou). Nessun dettaglio è rifinito per
rendere leggibile in senso naturalistico la scena, nella quale si possono comunque riconoscere due figure e due cavalieri
in un parco, di cui uno domina, al centro, la composizione. E la potenza emotiva e "sonora" del colore a costruire
l'immagine, creando un ritmo proprio, come avviene in una composizione musicale.
Il "silenzio" del bianco In più punti, ad allentare la trama cromatica, è presente il bianco: «il bianco ci colpisce come un
grande silenzio che ci sembra assoluto. Interiormente lo sentiamo come un non-suono, molto simile alle pause musicali
che interrompono brevemente lo sviluppo di una frase o di un tema, senza concluderlo definitivamente. È un silenzio
che non è morto, ma è ricco di potenzialità».
La montagna rossa Nella forma triangolare della montagna c'è «il rosso [...] dilagante e tipicamente caldo, che agisce
sull' interiorità, in modo vitalissimo, vivace, irrequieto». In generale, per Kandinskij il rosso evoca forza e passione,
mentre il triangolo è la forma che contiene più dinamismo.
Il giallo delle due figure Nel corpo delle due figure ferme e nella strada, che sale a zig-zag sopra di esse, c'è il giallo che è
«il colore tipico della terra. Non può avere troppa profondità. [..] Il giallo diventa facilmente acuto e non è mai troppo
profondo».
Il mantello viola Il mantello di uno dei due cavalieri è viola: «quando il rosso si ritrae nel blu, nasce il viola, che tende
appunto ad allontanarsi da chi guarda». I colori secondari (viola, verde, arancio) hanno qualità espressive intermedie
rispetto ai tre primari (rosso, giallo, blu).
Il nero del cavaliere I cavalieri sono resi con tratti neri di linea spezzata, la più adatta a esprimere tensione e
dinamismo.

L'esperienza del Bauhaus


Allo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914 Kan-dinskij rientrò in patria, dove restò fino al 1921, collaborando al
progetto di rinnovamento culturale promosso dalla » rivoluzione bolscevica. Lasciata per sempre la Russia, tornò in
Germania, dove l'anno successivo fu invitato a tenere un corso di pittura al Bauhaus, la scuola d'arte e architettura
fondata nel 1919 a Weimar da Walter Gropius. In questi anni il pittore, anche attraverso l'esperienza dell'insegnamento,
elaborò uno stile diverso da quello delle prime opere non figurative, accentuando la tendenza a geometrizzare le
composizioni, quasi contenendo la libertà del colore. A influenzarlo in tale direzione fu anche l'influsso del »
Costruttivismo e dell'arte di Malevic, conosciuti nel periodo russo.
Su bianco II (1923 Parigi, Musee national d’art moderne) Il ricorso alla geometria non rappresentò per Kandinskij un
arido punto d'arrivo, bensì una nuova base per definire le modalità attraverso le quali comunicare contenuti interiori.
Strutture geometriche ben riconoscibili caratterizzano Su bianco II (1923), variazione astratta sul tema del cavaliere, che
fin dalla gioventù abbiamo visto affascinare l'artista: qui le montagne sono triangoli rossi e gialli, mentre un largo
quadrilatero irregolare marrone rappresenta la terra; il colore nero unifica le figure del cavallo e del cavaliere, la cui
testa circolare spicca sull'affusolata linea della lancia. In contrapposizione alle rigide scacchiere su cui la composizione
risulta co-struita, il pittore ha distribuito sulla tela alcune forme arrotondate e libere non riconducibili a precise figure
geo-metriche, come, per esempio, i tratti neri in alto a sinistra oppure, in basso, le particelle bianche a puntini rossi rac
chiuse in campo ocra, preludio allo stile dell’ultimo periodo.

Le fluttuanti cromie dell'ultimo decennio


Avversato dal regime nazista, il Bauhaus fu prima costretto a trasferirsi a Dessau, dove Kandinskij continuo a insegnare,
quindi fu chiuso nel 1933. L'anno dopo, per sfuggire alle persecuzioni del regime, Kandinskij lascio la Stupeirea le
persecur a Parigi, ove sarebbe morto undici anni dopo, nel 1944.
Ammasso regolato (1938 Parigi, centre Georges Pompidou) L'opera Ammasso regolato è fra le più rappresentative
della ricerca sperimentale che caratterizza l'ultima fase della produzione dell'artista. La trama è qui una sorta di
"finestra" rettangolare che ospita una grande cellula dai contorni irregolari, campita in grigio-verde. Al suo interno essa
contiene un intero universo di forme e colori: sagome fantastiche, dai liberi contorni, dialogano con strutture
geometriche, magari piccole, ma perentoriamente riconoscibili, quali il rettangolo, il triangolo, il cerchio. È stato
sottratto però qualsiasi tipo di rigidità anche alla geometria: proprio il cerchio, figura dominante nella composizione,
declinata in diversi colori, sembra ora decorare la nera massa fluttuante del fondo, ora "affiorare" in superficie. La
tavolozza cromatica del dipinto è sensazionale: l'utilizzo dello smalto, in unione con l'olio, ha permesso al pennello
dell'artista di affiancare a cromie più brillanti tonalità calde e preziose, ricche d'intrinseca luminosità. Spostandosi da un
punto all'altro della tela, l'occhio dello spettatore non è mai pago di cercare nuovi sentieri nella mappa colorata di forme
in movimento di questo capola-voro, accettando implicitamente l'invito dell'artista a entrare nella dimensione astratta
del dipingere.

Precisione fiamminga e atmosfera simbolista


In Mondrian l'astrazione, rivelandosi capace di «eliminare il tragico dalla vita. Mondrian ebbe una tradizionale
educazione artistica ed esordì in pittura con opere di tendenza realistica che riprendevano soggetti della tradizione
nordica, paesaggi naturali, marine, fiori, villaggi, porti.
La casa dei tessitori (1899 collezione privata) Mondrian raffigura una comune abitazione di artigiani. C’è una ben
precisa scansione di piani: fra l'occhio dello spettatore e la casa si vengono a frapporre, in successione, il vialetto in
primo piano, quindi un albero, la siepe e parte di un cancello, infine un piccolo giardino. La visione risulta tuttavia
estremamente ravvicinata, al punto che la casa non viene mostrata nella sua interezza. Vengono mostrati tanto i dettagli
dell'architettura, quanto i particolari naturali. C’è l'atmosfera di sospesa immobilità che si sprigiona dal dipinto: le
spente tonalità pastello rosa e azzurre, accordate su toni tanto omogenei da avvicinare l'opera a un monocromo, ben
traducono la morta stagione invernale.

La serie degli alberi: dalla superficie all'essenza


Mondrian arrivò infine a spezzarlo, il legame tra pittura e realtà. La mostra di Van Gogh che vide ad Amsterdam nel
1905, il trasferimento a Parigi si avvicinò, alla teosofia, quell'insieme di dottrine che teorizzava l'esistenza di un unico
principio divino, dal quale sarebbero derivate tutte le religioni e al quale l'uomo sarebbe chiamato a ricongiungersi. Lo
portò a interessarsi alla ricerca dell'essenza spirituale dell'universo.
Variazioni sul tema cromatico L'indagine sulla natura condusse Mondrian a studiare in maniera dettagliata e quasi
esclusiva un unico soggetto, riprendendo in un certo senso il procedimento delle "serie" tipico della pittura di Cézanne e
di Monet. A partire dal 1908 l'artista realizzò numerosi dipinti che avevano per protagonista l'albero. Sono caratterizzate
da una ricerca cromatica che ancora risente dell'influenza del linguaggio dei fauves. In Albero rosso (1908 L’aia, Paesi
Bassi, Gemeentemuseum) è il corpo della pianta a occupare interamente la tela. Alternando rapidi tocchi di rosso e di
blu, il pittore costruisce l'ossatura della pianta, sottolineata da nervosi tratti neri, e modula la superficie del terreno, sul
quale essa poggia e dal quale sembrano irradiarsi piccole fiamme di fuoco che danno luce al tronco e alle fronde. Il
totale antinaturalismo cromatico predispone già lo spettatore a concentrarsi sulla struttura.
Lo scheletro dell'albero Il pittore, quasi svolgendo un esercizio di lenta trasformazione, arrivò a dipingere Albero
argentato (1911 L’aia, Paesi Bassi, Gemeentemuseum). Qui le tinte brillanti e vibranti del precedente dipinto, che
traducevano un'emozione visiva, sono abbandonate in favore di tonalità grigio-argentee più fredde, quasi monocrome.
La struttura della pianta ridotta alle coordinate visive più pure, all'intreccio di motivi orizzontali e verticali, di linee curve,
ellissi e semicerchi. I dettagli figurativi hanno lasciato il posto a un ritmo solo grafico, costituito da eleganti archi circolari
che si espandono in ogni direzione, superando idealmente i limiti del quadro. L'immagine interna si forma nelle nostre
anime dal modo con il quale guardiamo la superficie. Perché la superficie naturale delle cose è bellissima, ma
l'imitazione di questa superficie è priva di vita; le cose ci danno tutto, ma la loro rappresentazione non ci dà nulla».

L'approdo all'astrazione
Mondrian aveva dedicato numerosi dipinti e disegni al tema del mare, che riprese poi a partire dall'autunno del 1914,
quando a Domburg, in Zelanda, nei Paesi Bassi, la sua attenzione si fisso sul vasto e suggestivo mare del Nord, sul quale
si affaccia il molo di Scheveningen.
Molo e oceano (1915 Otterlo, Paesi Bassi) È questo il soggetto di Molo e oceano (Composizione (1915), opera che segna
l'ormai compiuto passaggio dell'artista dal figurativo all'astratto. I dato di partenza del dipinto è una veduta
naturalistica: Mondrian spiegò che, impressionato e affascinato dallo spettacolo della natura, voleva rappresentare sulla
tela il mare, il cielo e le stelle. Il suo sguardo si è posto comunque al di là della realtà, poiché del paesaggio marino egli
intendeva anche cogliere e restituire «l'espansione, il riposo, l'unità». Ne nacque una visione astratta e suggestiva, che
l'artista stesso avvertì come compiuta realizzazione / del suo stile: all'interno di una forma ovale e priva di con- torno,
che suggerisce l'espandersi continuo della superficie del mare, il ritmo della massa liquida è rappresentato per mezzo di
segmenti a forma di croce di diverse dimensioni. Al centro, in basso, una specie di cuneo costituito da segmenti verticali
si insinua verso il centro del dipinto: si tratta probabilmente del molo indicato dal titolo. I segni si infittiscono verso
l'alto, che costituisce una sorta di orizzonte della veduta, e sfumano ai lati, generando una sorta di moto centrifugo dello
sguardo dal centro alle periferie dell'ovale. Riferendosi a questo dipinto in una lettera all'amico Theo van Doesburg,
Mondrian affermò che esso esprimeva «l'astratto-reale» nel modo più efficace.

De Stil e il Neoplasticismo
Nel 1917 Mondrian si unì a De Stijl, un gruppo di artisti che teorizzavano un'arte capace di superare la soggettività per
arrivare a composizioni di natura universale. Mondrian divenne uno dei massimi esponenti di questa tendenza, nota
come "Neoplasticismo", che poneva l'accento su un «nuovo modo di trattare le forme».
Quadro 1 (1921 Colonia, Museum Ludwig) La tela intitolata Quadro I (1921) esemplifica il personalissimo stile cui
giunge il pittore. Poiché l'arte deve risultare universalmente comprensibile, Mondrian ha ormai adottato un rigoroso
linguaggio geometrico e ha ristretto le possibilità visive alla sola linea retta, vedendovi la sintesi di tutte le altre forme.
L'uso di segmenti tra loro perpendicolari crea un rapporto stabile e immutabile grazie alla loro intersezione nell'angolo
retto, interpretato come il luogo in cui il movimento ha sosta e che consente perciò di arrivare a un'espressione
oggettiva. Allo stesso scopo, il colore è steso con campiture piatte e totalmente uniformi, che rendono indistinguibili,
anche a una visione ravvicinata, il disporsi delle singole pennellate. I colori emergono con forza dalle campiture bianche,
contornate dai rigorosi segni neri, che strutturano lo spazio dell'immagine. In tutte le composizioni di questa serie,
l'artista limita la tavolozza ai soli colori primari ritenendoli in grado di rappresentare l'essenza di tutte le variazioni
possibili. Per Mondrian il ricorso alla geometria non era la fredda applicazione di uno schema matematico, né un istanza
decorativa, ma la ricerca di un ritmo vitale e di valore universale.

Dalle forme pure alle associazioni alogiche


Il russo Kazimir Malevic (1878-1935) fu, insieme a Mondrian, l'artista che contribuì maggiormente all'affermazione
dell'Astrattismo dalle eleganti suggestioni simboliste al Neoimpressionismo, fino alle sperimentazioni delle Avanguardie,
verso le quali il panorama russo si rivelava in quel periodo molto ricettivo.
Mattina nel villaggio dopo una tempesta di neve (1912 New York, Solomon R. Guggenheim Museum) Ad avvicinare il
pittore all'arte primitiva e alla poetica delle forme pure fu il Cubismo, rivissuto attraverso la lezione "cubofuturista" di
Léger. Mattina nel villaggio dopo una tempesta di neve (1912) appartiene a un nucleo di dipinti che dedicò ai contadini e
agli umili lavoratori. L'opera proietta lo spettatore in terra russa, con alcune contadine in primo piano che, cariche di
secchi, camminano fra gli alberi e le case di un villaggio coperto di neve. Malevic ha ricondotto ogni forma a strutture
elementari: coni, tronchi di cono, sfere, cilindri e cubi, rigorosamente assemblati. Il colore rende meno rigida e, anzi,
lirica la composizione: pur nella ridotta gamma cromatica, le tinte si accendono sul fondo bianco. La prevalenza di
bianchi e grigi dona all'opera un aspetto irreale e magico, tipico dei paesaggi innevati dominati dal silenzio, e c’è
un'interesse per la tradizione popolare russa.
Composizione con Monna Lisa (1914 San Pietroburgo, Museo statale) E’ un curioso assemblaggio di elementi
eterogenei, legato alla riflessione sui risultati del Cubismo sintetico: vi compaiono forme geometriche, disegnate e
dipinte; collage di etichette e di carte, come la riconoscibile riproduzione del viso della Gioconda di Leonardo che
Malevic, in modo irriverente, "copre" con due X rosse; scritte con parole russe, come zatmenie e chastichnoe, ovvero
"eclissi" e "parziale". La lettura delle associazioni simboliche risulta enigmatica: l'accostamento tra i vari inserti è infatti
alogico, non obbedisce cioè a una riconoscibile causalità di tipo razionale. Nella composizione appaiono ampi spazi
quadrangolari ricoperti di colore puro e piatto, privi di riferimenti di tipo oggettivo, che preannunciano l'imminente
svolta astratta.

Il Suprematismo e le forme pure


Nel 1915 Malevic firmò, con il poeta Vladimir Maiakovskii, il Manifesto del Suprematismo. Così l'artista spiegava il nome
scelto: «Per Suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nell'arte. Dal punto di vista dei suprematisti le
apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse. L'arte arriva a un "deserto" nel quale non è riconoscibile
nulla all'infuori della 'sensibilità». Malevic intendeva proporre una pittura astratta che non fosse in nessun modo il
rispecchiamento del mondo esteriore e nemmeno la proiezione della soggettività individuale, ma piuttosto l'oggettiva
espressione delle forme pure attraverso cui si manifesta la sensibilità. Arrivò così a una "suprema" schematizzazione di
forme geometriche, ancora più drastica di quella operata da Mondrian.
Quadrato nero su fondo bianco (1915 San Pietroburgo, Museo statale) L'evento che segnò la nascita ufficiale del
Suprematismo fu la mostra "0.10" che Malevic tenne quell'anno a San Pietroburgo e che aveva come sottotitolo "Ultima
esibizione futurista". Vi compariva l'opera considerata l'icona di questa forma d'arte: Quadrato nero su fondo bianco 36.
La figura del quadrato lo affascinava perché, sebbene con lati e angoli tutti uguali, poteva a suo parere essere impiegata
in maniera versatile e mutata di volta in volta per dare vita a forme nuove «secondo le norme della sensibilità
ispiratrice»: il quadrato, infatti, «è la creazione della ragione intuitiva, il volto della nuova arte! [...] È il primo passo della
creazione pura in arte. Prima di lui c'erano ingenue brutture e copie della realtà». Quadrato nero su fondo bianco, in
particolare, «è stato la prima forma di espressione della sensibilità non oggettiva: quadrato = sensibilità; fondo bianco =
il "Nulla", ciò che è fuori dalla sensibilità». Malevic rinuncia all'invenzione di un soggetto dettato dalla fantasia per
ritrovare ed esprimere un'unica idea, pura e perfetta. Il titolo non contiene alcun riferimento evocativo, ma nasce da
fattori strettamente pittorici, ossia le geometrie e i colori leggibili nel quadro. Anche gli elementi della composizione
tradizionale sono ormai del tutto assenti: non c'è più un solo rimando alla realtà, non compare alcun effetto di
profondità, il colore è ridotto ai due soli estremi cromatici, il bianco e il nero.
Quadrato bianco su fondo bianco (1918,New York, Museum of Modern Art) Continuando a lavorare su forme e
rapporti cromatici essenziali, Malevic arrivò alle sperimentazioni più ardite, approdando dal 1918 alla serie dei
monocromi. Quadrato bianco su fondo bianco(1918) rappresenta, nella totale semplificazione di forme prive di colore, il
compimento della sua ricerca astratta, una sorta di via di non ritorno, un limite oltre il quale era impossibile andare, se
non negando l'atto stesso del dipingere. Protagonista è ancora il consueto, eppure sempre diverso, quadrato: bianco e
appena percepibile, qui esso ruota all'interno di una cornice altrettanto quadrata e quasi altrettanto bianca. È
un'immagine così rarefatta e inconsistente da sembrare una creazione dello sguardo di chi osserva: posto di fronte al
dipinto, lo spettatore si trova spinto a pensare più che a vedere, esattamente come il pittore, che ha generato l'opera
più sul filo dell'idea che non attraverso la tecnica esecutiva.
IL DADAISMO
Con la fondazione del Cabaret Voltaire a Zurigo, Il 5 febbraio 1916 nacque il movimento dada. Il Dadaismo, o Dada,
esprimeva un forte «bisogno d'indipendenza formale». La denominazione stessa del gruppo rappresentò una voluta
provocazione, in quanto il termine "Dada" non significava assolutamente nulla, pur alludendo alle prime forme
espressive dei neonati o al "sì" in romeno.
Ritratto di Tristan Tzara (1916-17 Zurigo, Svizzera, Kunsthaus) Massimo esponente del Dadaismo svizzero, Hans Arp
(1887-1966) presenta un linguaggio che tende all'astrazione. Viene realizzato un ritratto scultoreo del poeta dadaista
Tristan Tzara attraverso l'assemblaggio di pezzi di legno colorati, riuniti in maniera quasi casuale per ottenere accordi
plastici e cromatici tra le forme. Le parti presentano dal legno grezzo alla superficie liscia e colorata e alludono a forme
biomorfiche, del mondo naturale. Il titolo e sottotitolo, fanno riferimento a due temi tradizionali nell'arte, un soggetto
religioso (la Deposizione) e il ritratto, ma che al tempo stesso non presentano alcun legame diretto con la scultura.
Merzbild Rossfett (1918-19 Ginevra,Svizzera, Centre Lussato) Osmosi ininterrotta fra arte e vita, l'artista creò
assemblaggi del tutto casuali di oggetti di recupero di varia provenienza: biglietti del tram, tappi di bottiglie, pezzi di
stoffa o legno, piume, frammenti di carta. Schwitters intitolò le sue creazioni Merz, un termine nato per caso, nel corso
della composizione di un collage, dalla caduta accidentale delle ultime lettere della parola Kommerz, cioè "commercio":
un nome ironico per opere finalizzate alla denuncia delle contraddizioni del capitalismo.

L'espansione di Dada: Duchamp e Man Ray


Fu a Parigi e soprattutto a New York che il Dadaismo visse la sua stagione più vivace, grazie alle figure di Marcel
Duchamp e Man Ray. Già a partire dal 1922, il movimento andò esaurendosi: le idee seminate continuarono però a
svilupparsi dove l'eredità dadaista fu raccolta da André Breton e sfociò nel movimento surrealista.
Le violon d'Ingres(1924) Lo statunitense Emmanuel Radnitzky, noto come Man Ray le cui ricerche si svilupparono
soprattutto nell'ambito della fotografia. Inventore dei rayogrammi, tecnica per ottenere riproduzioni della realtà
collocando oggetti sulla carta fotosensibile, Ray amava giocare con il senso delle immagini, suscitando insolite e
suggestive associazioni. Nel 1924 realizzò Le violon d'Ingres a posare come modella per la fotografia fu la cantante Alice
Prin, in arte Kiki, famosa per la sua bellezza e per il carattere anticonformista. Ray la immortala di schiena e, in fase di
stampa della fotografia, appone sul bel corpo nudo due "effe" speculari all'altezza delle reni. Il semplice intervento
trasforma il corpo femminile in un sinuoso violino. La posa, l'esotico copricapo e l'indicazione presente nel titolo
conducono l'immagine a un ironico confronto con il famoso capolavoro di Ingres La bagnante di Valpincon. Il titolo cela
ironicamente l'amore che l'artista nutriva per la fotografia e per Kiki: i parigini usavano l'espressione violon d'Ingres per
indicare un hobby, un'attività coltivata con particolare passione.
L.H.O.O.Q. (1919 Philadelphia, Museum of Art) Il francese Marcel Duchamp sorprese il pubblico newyorkese con
radicale forza provocatoria le convenzioni artistiche dell'epoca con opere come Fontana. Iniziò molto presto a dipingere
con uno stile cubo-futurista evidente in Nudo che scende le scale n. 2. Arrivato a New York, nel 1915 vi conobbe Man
Ray, del quale restò amico per tutta la vita. Duchamp aveva allora già imboccato la strada che avrebbe rivoluzionato il
mondo dell'arte. La volontà di negare il passato e di azzerare i generi pittorici tradizionali, creando un nuovo concetto di
opera d'arte, trovò espressione nel ready-made. L.H.O.O.Q. (1919) è diventato un'icona del gesto creativo, libero e
ironico, che si oppone ai miti di ogni tempo ed età. Duchamp prese una riproduzione della Gioconda di Leonardo e le
disegnò baffi e barba. Di fronte a tale operazione lo spaesamento di chi osserva è totale: non solo l'artista osa intaccare
quello che è forse il dipinto più famoso della storia dell'arte, inserendovi attributi maschili. Sotto l'immagine Duchamp
aggiunse la scritta «L. H.O.O.O.» in francese si ottiene la frase «elle a chaud au cul», cioè «lei ha caldo al sedere», che
offre all'osservatore un'irriverente interpretazione del sorriso tanto misterioso e discusso del ritratto di donna più
famoso del mondo.

Il ready-made Inventato da Duchamp, il ready-made, letteralmente "pronto-fatto", è una delle provocazioni più ardite
elaborate in ambito dadaista: l'artista preleva dal mondo reale oggetti banali e di uso quotidiano, li assembla, talora
modificandoli, e li propone come opere d'arte. Di fronte a questo tipo di operazione, lo spettatore resta disorientato in
quanto trova in musei, gallerie ed esposizioni oggetti che con quel mondo sembrano non avere nulla a che spartire. La
novità consiste nell'aver introdotto nell'arte un ribaltamento concettuale.
Il readv-made puro Readv-made puro per eccellenza è Fontana(1917 Milan, Collezione Schwarz) opera con la quale nel
1917 Duchamp partecipò in incognito alla mostra di New York: un orinatoio in porcellana bianca, capovolto e collocato
su un piedistallo di legno, firmato con lo pseudonimo Richard Mutt. L’opera venne rifiutata in quanto ritenuta una
volgare provocazione: non si sarebbe infatti trattato di una creazione artistica ma di «un puro e semplice pezzo
'idraulica». Il motivo dello scandalo si lega all'essenza del ready-made: un oggetto comune che viene sottratto
dall'artista alla sua funzione ordinaria e dichiarato opera d'arte. Altri elementi accentuano la provocazione. A divenire
"pezzo da museo" è un oggetto non solo quotidiano ma basso, volgare. In più, essendo capovolto, l'orinatoio assume la
forma di un triangolo, simbolo del ventre materno, fonte di vita. Così si spiega lo pseudonimo: "Mutt" rimanda alla
parola tedesca Mutter, cioè "madre", e a Mut, divinità egizia generatrice di tutti gli esseri umani.
Il ready-made rettificati Man Ray e Duchamp realizzarono anche readv-made rettificati, cioè sottoposti a interventi, in
genere minimi, dell'artista. In Ruota di bicicletta(1913 New York, Museum of Modern Art), Duchamp assemblò uno
sgabello da cucina e una comune ruota di bicicletta; la ruota, rovesciata e libera di girare, è fissata allo sgabello,
basamento ligneo per una scultura inconsueta. Regalo(1921) è invece uno dei ready-made più famosi di Man Ray. Con
l'applicazione di quattordici chiodi in fila, l'artista assegna un nuovo ruolo al ferro da stiro: «ridurre un abito in
brandelli». Anche in questo caso l'intervento di Man Ray nega la funzione abituale dell'oggetto.