EMATOLOGIA
EMATOLOGIA
EMATOLOGIA
Il sangue può essere definito come un connettivo specializzato composto da una parte corpuscolata,
formata dai globuli rossi o eritrociti, globuli bianchi o leucociti e dalle piastrine (non sono vere cellule, ma
frammenti cellulari che si originano dal megacariocita), e da una parte fluida, il plasma.
Il sangue rispetta le caratteristiche principali di tutti i connettivi, cioè la presenza di tre elementi essenziali:
1. La matrice extracellulare: il plasma
2. La porzione cellulare: emazie e leucociti
3. Le fibre: presenti sono in seguito alla coagulazione (fibrina)
Presenta inoltre una certa viscosità, opponendo una resistenza al flusso, e una sua osmolarità (data dalla
quantità di molecole disciolte, soprattutto l’albumina) che se alta causa ipertensione e se bassa edema e
ipotensione. Le funzioni del sangue sono:
Ø Trasporto di O2, CO2, H2O, nutrienti, prodotti di scarto, ormoni
Ø Protezione: attraverso la coagulazione e l’azione del sistema immunitario
Ø Regolazione dei fluidi corporei, del pH, temperatura
Gli adulti hanno normalmente tra i 4 e i 6 L di sangue (circa 5L), costituito per
il 55% da plasma e per il 45% da cellule → questo costituisce l’ematocrito,
che è appunto la percentuale di cellule sul volume totale. Viene ottenuto in
laboratorio tramite centrifugazione del sangue intero non coagulato → la
parte corpuscolata, costituita principalmente da globuli rossi, si separa dal
plasma. Il plasma è costituito:
- per il 90% da acqua
- per un 7% da proteine, come albumina, globuline, protrombina e fibrinogeno
o l’albumina viene prodotta dal fegato ed è la proteina plasmatica più abbondante,
contribuisce sia alla viscosità che all’osmolarità plasmatica influenzando la pressione
sanguigna e l’equilibrio idrico
o il fibrinogeno e i fattori della coagulazione vengono prodotti dal fegato
o le globuline vengono prodotte dalle plasmacellule e svolgono una funzione immunitaria
- per 1% da Sali inorganici
o il sodio costituisce il 90% dei cationi plasmatici, essendo responsabile dell’osmolarità
plasmatica più di ogni altro soluto
- per 2% da composti organici, come amminoacidi, vitamine, ormoni e lipoproteine
o contiene anche prodotti di scarto come urea, creatinina, acido urico che vengono
solitamente rimossi dal sangue dal rene
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Prima compare nelle ossa lunghe, tibia e
femore, poi intorno alla pubertà e dopo i
15-20 anni all’interno delle ossa lunghe il
midollo rosso viene sostituito dal midollo
giallo e invece permane la produzione di
cellule del sangue soprattutto nelle
vertebre, nello sterno e un po’ nelle costole.
L’aspirato e la biopsia osteo-midollare
vengono solitamente effettuate a livello
della cresta iliaca (aspirato sternale solo in
persone particolarmente obese in cui sia
difficile raggiungere la cresta iliaca)
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La produzione delle cellule ematiche ha origine da cellule staminali
totipotenti (CSE-To) non orientate, che proliferando e
differenziandosi diventano cellule staminali emopoietiche
pluripotenti, ormai orientate in senso emopoietico o linfopoietico.
Il processo di orientamento, una volta innescato, conduce, con
successive divisioni mitotiche, verso linee cellulari sempre più
specializzate. Le caratteristiche principali della CSE-To sono
l’autoreplicazione e l’automantenimento, che permettono di
alimentare un compartimento pressoché inesauribile di cellule
staminali. Le CSE-To sono identificate come cellule CD34 positive,
ma negative per tutti i marcatori non linfoidi e linfoidi. L’emopoiesi
è un processo di alta precisione regolato da diversi fattori legati sia
al microambiente midollare sia alla fisiologia della cellula
staminale emopoietica:
- stroma: è l’impalcatura su cui cresce e prolifera il tessuto
emopoietico ed è rappresentato da numerosi elementi
cellulari, quali fibroblasti, cell endoteliali, macrofagi,
cellule adipose, osteoblasti e osteoclasti. È verosimile che
ciascuna delle cell stromali abbia una funzione specifica nel prendere contatto con la cellula staminale
emopoietica e invii a questa segnali diversi
- molecole di adesione: l’interazione tra stroma e cell staminali emopoietiche avviene grazie alla
presenza, sulla membrana cellulare, di molecole di adesione cellulare (CAM, Cell Adhesion Molecule)
→ il legame CAM-ligando innesca una serie di segnali intracellulari importanti per la replicazione e la
differenziazione della cellula staminale emopoietica
- citochine e fattori di crescita: le cellule stromali producono citochine capaci di stimolare l’emopoiesi
e comprendono i fattori di crescita (HGF, Hemopoietic Growth Factor o CSF, Colony Stimulating
Factor), l’eritropoietina e la trombopoietina; sostanze come gli interferoni, il TNF, il TGF-β e la MIP-
1a sono invece inibitori dell’emopoiesi.
L’eritropoiesi avviene principalmente sotto stimolo dell’EPO, prodotta per il 90% nei reni dalle cellule
interstiziali corticali e in minima parte, 10%, dall’epatocita, residuo dell’emopoiesi fetale. La sua produzione
è regolata dalla tensione di O2 ed è stimolata da stati di ipossia.
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Le cellule staminali totipotenti si orientano in senso linfopoietico (common lymphoid progenitor), dando poi
origine ai linfociti T e B e natural-killer, o emopoietico (common myeloid progenitor), dando origine ai
macrofagi, neutrofili, basofili, eosinofili, megacariociti ed eritrociti. In particolar modo dalla cellula CFU-S (o
CFU-GEMM, colony forming unit – granulo-eritro-mono-megacariociti) ha origine la BFU-E (burst forming unit
erythroid), prima linea cellulare staminale orientata in senso eritroide e caratterizzata da positività a CD34,
sensibilità a GM-CSF e IL-3 e insensibilità all’EPO. Dalle BFU-E hanno origine le CFU-E (colony forming unit
erythroid), che perdono gran parte dei recettori per le citochine, sviluppando i recettori dell’EPO insieme a
nuovi antigeni di membrana, come gli antigeni eritrocitari (glicoforina e recettori per transferrina). Da questi
elementi, sotto stimolo dell’EPO ha origine il proeritroblasto (ematocitoblasto), cellula dal volume di circa
900 fL con citoplasma ridotto e nucleo abbondante, e da cui deriva l’eritroblasto basofilo, così chiamato
perché essendo ricco di mRNA (inizio della sintesi di emoglobina) si colora con coloranti basofili.
Successivamente, con la sintesi delle prime molecole di emoglobina, l’eritroblasto diventa policromatofilo,
perché possiede delle aree basofile e altre, dove è presente l’Hb, che assumono un colorito arancione. Segue
l’eritroblasto ortocromatico, così chiamato perché si colora dello stesso colore dei globuli rossi maturi,
essendo ridotta la concentrazione di mRNA ed essendo sempre maggiore la quota di emoglobina in esso
contenuta; si differenzia dai globuli rossi perché è di dimensioni maggiori ed è ancora presente il nucleo. Per
accumulare più emoglobina possibile l’ortocromatico si libera del nucleo e prende il nome di normoblasto.
Le cellule vengono immesse in circolo come reticolociti, cellule considerate come eritrociti giovani per la
presenza di residui di RNA (non essendo ancora terminata la sintesi di Hb) che possono essere colorati con il
Cresyl violetto.
Da un solo proeritroblasto derivano circa 50 eritroblasti intermedi e 110 reticolociti e occorrono 5 divisioni
cellulari e circa 5 giorni prima che il nucleo venga estruso e si formi il reticolocita → durante questo processo
nel citoplasma inizia la sintesi dell’eme e quantità sempre crescenti di emoglobina (Hb) vengono depositate
nel citoplasma fino a costituire il 95% del patrimonio proteico del globulo rosso maturo.
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I reticolociti (in circolo sono circa 0,5-1,5%)
rimarranno tali per poco più di un giorno per
poi diventare un classico globulo rosso, che ha
una vita media di 120 giorni (se il globulo rosso
viene da una trasfusione ha una vita media
inferiore, perché viene riconosciuto come non-
self → processo di alloimmunizzazione, che si
verifica a seguito di ripetute trasfusioni
ematiche).
Mel midollo osseo le cell della serie rossa si
trovano in forma di nidi eritropoietici, che si
aggregano intorno a una singola cellula nutrice
di supporto; quest’ultima produrrà una parte di
fattori di crescita solubili fondamentali per la
proliferazione e differenziazione.
La produzione dei globuli rossi inibisce la proliferazione dei proeritroblasti, evitando una eritropoiesi
eccessiva → le cell più immature esprimono sulla superficie Fas, man mano che maturano rimane
l’espressione di Fas ma aumenta l’espressione di FasL → quando FasL lega Fas innesca un processo di
apoptosi: l’eritrocita più maturo lega il proeritroblasto e innesca un processo di morte programmata.
Tale meccanismo non sortisce effetto in presenza di livelli elevati di EPO. Il globulo rosso vecchio esporrà in
superficie alcune glicoproteine di senescenza, come la calpaina, verrà riconosciuto come anziano ed
eliminato tramite fagocitosi nel sistema reticolo-endoteliale (milza e fegato).
Gli eritrociti sono cellule a disco biconcavo di circa 7.5 μm di diametro, privo di organuli cellulari e nucleo,
con un aumentato rapporto area di superficie/volume, volto ad aumentare e ottimizzare la diffusione dei
gas. Il 33% del citoplasma è costituito da emoglobina, fondamentale per il trasporto di O2 ai tessuti. Altra
funzione dei GR è il trasporto della CO2 dai tessuti, ove viene prodotta, ai polmoni, dove viene espulsa con
l’aria espirata; a questo contribuisce la presenza dell’anidrasi carbonica, che produce acido carbonico da CO2
e H2O, svolgendo un ruolo fondamentale nel trasporto dei gas e nel mantenimento del pH. I globuli rossi sono
deformabili, cosa che gli permette di passare all’interno dei capillari sanguigni (dove si mettono in fila,
formando quelle che prendono il nome di rouleaux).
Ø Anisocitosi: globuli rossi di dimensioni diversa (= variazioni di volume)
Ø Poichilocitosi: globuli rossi con forma non canonica (= alterazioni della morfologia)
Il controllo del numero e dell’efficienza dei globuli rossi avviene a livello di:
- Rene: i GR passano all’interno dei vasi dell’interstizio peritubulare, dove viene sintetizzata l’EPO; i
periciti agiscono come sensori per l’O2 e se questo diminuisce (malattie polmonari, fumo, alta
altitudine, aumento attività fisica, sanguinamenti) aumenta la secrezione di EPO. All’interno del
pericita la ↓ tensione di O2 porta all’attivazione di HIF (fattore inducibile dall'Ipossia) che attiva la
trascrizione del gene per l’EPO.
- Milza: I GR normali riescono a deformarsi e a passare all’interno dei sinusoidi della milza, mentre il
GR non supera il “crash-test” e viene gettato fuori dal torrente ematico e distrutto dai macrofagi.
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I globuli bianchi rappresentano la nostra linea di
difesa e tra questi troviamo:
• Linfociti: costituiscono l’immunità adattativa
specifica. I linfociti sono rappresentati
prevalentemente da piccole cellule prive di granuli
citoplasmatici
• Monociti: privi di granuli, si differenziano in
macrofagi nei tessuti
• Granulociti: presentano dei granuli
citoplasmatici e si dividono in neutrofili, basofili ed
eosinofili; costituiscono l’immunità innata.
NEUTROFILI
I neutrofili rappresentano la prima linea di difesa contro i microrganismi. Svolge azione di:
- Fagocitosi: i batteri vengono fagocitati
- Uccisione: vengono uccisi grazie al contatto con specifici granuli
- Digestione: successivamente sono digeriti attraverso l’azione degli enzimi lisosomiali presenti nei
granuli azzurrofili.
- Formazione delle NETs (neutrophil extracellular traps): sono trappole extracellulari importanti per
bloccare agenti patogeni (funghi, batteri) ed evitare che questi vadano in giro per l’organismo, e
rendono più semplice il processo di fagocitosi
I neutrofili rappresentano il 60-70% dei leucociti circolanti e sono caratterizzati dalla presenza di due tipi di
granuli citoplasmatici:
• Granuli specifici: contenenti lattoferrina, lisozima e agenti battericidi
• Granuli azzurrofili: contenenti enzimi lisosomiali (mieloperossidasi, lisozima, etc.)
Il nucleo dei neutrofili ha da 2 a 5 lobi e caratteristicamente più il neutrofilo è vecchio più il nucleo è
segmentato; il neutrofilo band è un neutrofilo molto giovane che presenta un nucleo unico a ferro di cavallo
senza essere segmentato.
EOSINOFILI
Gli eosinofili rappresentano il 2-4% di tutti i globuli bianchi e hanno un nucleo bilobato. I granuli specifici degli
eosinofili contengono la proteina basica maggiore, tossica per le larve dei parassiti, enzimi lisosomiali,
perossidasi e istaminasi (aumentano nei soggetti allergici).
BASOFILI
I basofili sono meno dell’1% di tutti i leucociti. Hanno un nucleo irregolare e presentano dei granuli contenenti
eparina e istamina. La loro funzione è poco conosciuta e sono difficili da studiare dato il numero esiguo.
MONOCITI
Rappresentano il 5% circa dei globuli bianchi totali. Hanno un nucleo tipico con delle indentature, presentano
un citoplasma più abbondante di quello dei linfociti e leggermente basofilo, contengono fini granuli
azzurrofili.
LINFOCITI
Rappresentano circa il 30% dei leucociti circolanti, sono rotondi, di piccole dimensioni e con un nucleo
compatto e prevalente rispetto al citoplasma.
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Il midollo osseo produce, conserva e rilascia i granulociti e i monociti già maturi, i linfociti T completano invece
il processo di maturazione nel timo. I linfociti B prendono questo nome dalla borsa di fabrizio, un organo
presente negli uccelli in cui i linfociti migrano per maturare, nell’uomo non esiste e questa funzione viene
svolta all’interno del midollo osseo. I globuli bianchi non rimangono a lungo nel torrente ematico:
- I granulociti non rimangono a lungo nel torrente ematico, al massimo 6-8 ore, poi si trasferiscono e
rimangono nei tessuti, dove hanno una vita di circa 5 giorni.
- I monociti rimangono in circolo circa 20 ore, diventano macrofagi nei tessuti periferici, dove
rimangano per numerosi anni.
- I linfociti conferiscono un’immunità a lungo termine che può durare anche tanti decenni.
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L’aspirato midollare nell’adulto è oggi quasi sempre accompagnato dalla biopsia osteomidollare.
L’aspirazione dà luogo ai “frustoli” midollari, ovvero aggregati di tessuto emopoietico e adiposo misto a
sangue midollare; il campione così ottenuto può essere strisciato subito su vetrini o trasferito in provetta
contenente EDTA, per essere strisciato, fissato e colorato quando raggiunge il laboratorio. La cellularità
midollare è rappresentata, per la maggior parte, dai precursori emopoietici delle tre linee cellulari eritroide,
mieloide e megacariocitica e da cellule adipose.
La biopsia osteomidollare viene eseguita in corrispondenza di una delle spine iliache superiori posteriori in
anestesia locale. L’architettura del midollo osseo è costituita da una rete tridimensionale di trabecole ossee,
tra le quali sono compresi, in proporzioni variabili, vasi sanguigni (arteriole, capillari e sinusoidi), elementi
stromali, tessuto adiposo e cellule emopoietiche. Variazioni fisiologiche del tessuto emopoietico rispetto a
quello adiposo dipendono dall’età del soggetto e sono di circa il 90% alla nascita per scendere a valori del 30-
40% in età avanzata.
Ø La serie granulocitopenica si dispone in sede
paratrabecolare e periartericolare
Ø La serie eritroide si dispone in nidi di elementi a vari
stadi maturativi organizzativi centralmente attorno a
un macrofago
Ø I megacariociti sono per lo più distribuiti nel contesto
del midollo, preferenzialmente in sede parasinusoidale,
in modo che possono rapidamente riversare il loro
contenuto (piastrine) nel torrente circolatorio in caso di
stress
Il rapporto tra le
cellule della linea bianca e le cellule della linea rossa è
normalmente tra 3:1 e 4:1, cioè ci sono più cellule della linea
bianca rispetto a quelle della linea rossa. Se il rapporto L/E
diventa più basso 2:1 o 1:1 si ha un’iperplasia eritroide.
• Midollo normocellulare: rapporto L/E alto
• Iperplasia eritroide: rapporto L/E basso
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CENNI DI PATOLOGIE
LEUCOPENIE
Nell’emocromo i leucociti vengono espressi come formula leucocitaria, che esprime la percentuale dei vari
elementi sui leucociti totali, e in valori assoluto (x 109/L), clinicamente più significativi → in un soggetto con
leucemia linfatica cronica con 50mila linfociti, nella formula i linfociti saranno il 90% e i neutrofili il 5-10%,
ma il numero assoluto di neutrofili può essere normale, configurandosi come una neutropenia relativa.
Ø Aumento pools di riserva e marginale: quando si esegue la venipuntura e si esamina il sangue, nella
provetta è possibile valutare solo i neutrofili e i linfociti che si trovano in circolo e non il pool di riserva
e marginale. L’aumento del pool può essere dovuto a condizioni rare idiopatiche, alla dialisi, ad
infezioni virali o in seguito a reazioni di ipersensibilità o emolisi.
Ø Leucopenia iporigenerativa: il midollo osseo non produce le cellule in maniera corretta. Può essere
dovuta a due motivi:
1. È presente un compartimento di cell staminali normali in cui la proliferazione inizia in maniera
idonea, ma successivamente si ha un arresto della maturazione, con riduzione dei leucociti
2. Il difetto può trovarsi più a monte, con riduzione delle cell staminali o dei progenitori, con
riduzione di tutti i compartimenti a valle
Possono essere indotte da farmaci (sia convenzionali che citostatici), da tumori (leucemie o MTS
mammella o prostata), da infezioni acute o croniche, da carenze nutrizionali (carenza di vit. B12 e
acido folico; l’abuso di alcol può portare ad alterazioni della maturazione con neutropenia).
Ø Ridotta sopravvivenza: da aumentato consumo, nel caso di sepsi grave dove le cellule vengono
richiamate nei tessuti periferici e vengono utilizzate e consumate, o da aumentata distruzione che
può essere immuno-mediata, da farmaci, può essere dovuta ad un aumento delle dimensioni della
milza o iperattività della milza o ad una leucaferesi (sottrazione dei GB attraverso delle specifiche
apparecchiature) oppure dovuta ad emoglobinuria parossistica notturna.
Nel caso di pseudoleucopenia il midollo funziona in maniera corretta e i GB nel sangue periferico rientrano
nel range di normalità: quando però si effettua il prelievo è possibile valutare solo il numero di globuli bianchi
della componente funzionale e non di quella di riserva → se si potesse considerare il numero nel suo totale
(riserva + funzionale) si vedrebbe che non è una reale leucopenia.
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Si definisce leucopenia la riduzione dei globuli bianchi al di sotto dei valori normali.
La neutropenia, tra le leucopenie, è una delle più
importanti e si associa a una riduzione della
risposta infiammatoria (febbre, dolore, rubor e
tumor) e la comparsa di infezioni ricorrenti:
Ø Cute: stafilococco aureo
Ø Intestinali e genitourinarie: gram negativi
Ø Afte mucose orofaringea
Ø Sepsi
Esistono delle linee guida americane (NCI e ACS)
che evidenziano quattro gradi di neutropenia:
• Grado 1: 1500-2000; nessun rischio di
infezione e il pz può essere ricoverato in stanze
non protette, assieme ad altri pazienti
• Grado 2: 1000-1500; rischio minimo di
infezione e pz facilmente gestibile
• Grado 3: 500-1000; rischio di infezione
moderato, iniziale allarme
• Grado 4: < 500; rischio infettivo elevato
Il rischio infettivo è ancora più elevato in caso di neutrofili < 200 o in caso di agranulocitopenia.
Un singolo giorno di neutropenia non espone il paziente a particolari rischi ma maggiore è la durata della
neutropenia maggiore sarà il rischio per questi pazienti (il rischio correla con la durata della neutropenia):
rischio basso se dura più di 10 giorni, rischio alto se dura più di 20 giorni.
In un paziente neutropenico il rischio “relativo” di infezione è in funzione della gravità (grado) e della durata
(tempo) della neutropenia.
Cause più frequenti di neutropenia acquisita:
• Infezioni virali: EBV, CMV, HBV, HIB, HSV, VZV, parotite, rosolia, morbillo, influenza, RSV, parvovirus
• Infezioni batteriche: TBC, brucellosi e tifo
• Funghi: istoplasmosi
• Farmaci: chemioterapici, antibiotici, neuropsicotropi (promazina, clorpromazina, carbamazepina,
cloosdiazepossido, fenitoina), cardiovascolari (procainamide o diruetici come clorotiazide e
clortaridone), analgesici (aminofedazone, propilfenazone, noramidoripirina, fenilbutazone; tutti
poco utilizzati) e antistaminici (antistin, piribenzamina; poco usati e i nuovi antistamici raramente
danno agranulocitosi), tireostatici (tiouracile, metil e propil-tiouracile, carbimazolo e metimazolo),
antidiabetici (tolbutamide). La maggior parte di questi farmaci condivide l’anello benzenico nella
struttura, probabilmente responsabile dell’agranulocitosi. Il benzene stesso infatti è tossico per il
midollo osseo. Sicuramente molto importante è l’impatto che ha la chemioterapia sul midollo, dove
danneggia sia i precursori che la maturazione delle cellule, colpendo in particolar modo i neutrofili e
i linfociti (CFU-N e CFU-Ly) con neutropenia e linfocitopenia.
Nel caso di paziente neutropenico con infezione va iniziata immediatamente una terapia con antibiotici a
largo spettro a dosi elevate. Prima di iniziare la terapia vanno effettuate delle emocolture e/o urinoculture,
così da guadagnare tempo mentre si ottengono i dati dal laboratorio, che ci indicheranno la possibilità di
mantenere la terapia empirica o di cambiare verso una terapia mirata specifica.
Oltre alle alterazioni di numero possiamo avere anche delle
alterazioni morfologiche, secondarie ad esempio a shift
maturativi. Uno shift maturativo a sinistra indicano un blocco
della maturazione con immissione in circolo di elementi
immaturi; uno shift a destra indica la presenza di un eccesso di
neutrofili vecchi, riconosciuti da un nucleo ipersegmentato (la
presenza di 5 lobi in più del 5% dei neutrofili è dovuta in primo
luogo a carenza di B12 e folati, più raramente ferro.
Lo shift maturativo permette di distinguere leucemie acute e croniche: un forte shift a
sx, con cell monomorfe e molto immature (blasti) nelle acute; nelle croniche 11
la
maturazione non è efficace e funzionale come nei sogg normali ma si riscontrano tutte
le forma maturative della linea bianca (cell mature e differenziate).
DISTURBI QUALITATIVI DEI GLOBULI BIANCHI
Ipersegmentazione = shift maturativo a dx, definita
dalla presenza di 3/100 neutrofili con più di 5 lobi o
1/100 neutrofili con 6 lobi. Si può riscontrare in caso di
deficit di B12.
LEUCOCITOSI LINFOCITOPENIA
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ANEMIE (generalità)
L’anemia è definita come la riduzione del patrimonio emoglobinico totale dell’organismo; poiché
l’emoglobina è contenuta nelle emazie si ha anemia quando è diminuita la massa eritrocitaria → negli adulti
si parla di anemia in presenza di:
Ø Hb < 13 g/dl nell’uomo
Ø Hb < 12 g/dl nella donna
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Esami di laboratorio di routine per diagnosi di anemia sono un esame emocromocitometrico completo
(mediante sistema contaglobuli automatico), con valutazione di Hb, Hct, RBC e degli indici eritrocitari (MCV,
MCH, MCHC, RDW), leucociti (4-11 x 109/L) e formula leucocitaria e piastrine (150-450 x 109/L). Necessario è
lo striscio periferico per la valutazione della morfologia eritrocitaria e il conteggio accurato dei reticolociti.
Infine, importante è la valutazione della sideremia, TIBC (total iron binding capacity), ferritina sierica (ma
anche vit. B12 e folati), bilirubina e LDH.
Parametri di laboratorio:
• Conta globuli rossi: v.n. 4,5-5,9 milioni/mm3 (M) e 4,0-5,5 milioni/mm3 (F) [1012/L]
• Hb: valori normali sono compresi tra 13,5 e 17,5 per i maschi e tra 12,0 e 16,0 nelle donne.
pur essendo la concentrazione di emoglobina la misura più attendibile dello stato del sistema
eritroide in quanto esprime la capacità di trasportare ossigeno del sangue, il suo valore può essere
soltanto lievemente diminuito in corso di un’acutissima crisi emolitica intravasale (per esempio in
caso di favismo e anemia emolitica autoimmune) in cui viene misurata sia l’Hb intraeritrocitaria ma
anche quella libera nel plasma; in tali circostanze la conta dei globuli rossi fornisce una misura più
precisa dell’entità della deglobulizzazione; nei casi in cui si ha una ridotta produzione di emoglobina
(carenza marziale, sindromi talassemiche, ecc.) il numero di emazie risulta normale o solo lievemente
ridotto, in contrasto con la notevole riduzione dell’Hb e dell’ematocrito, trattandosi di emazie di
volume inferiore.
• Hct: v.n. 40-50% (M) e 36-45% (F). rappresenta la percentuale di volume occupata dalla componente
corpuscolata rispetto al sangue in toto
• MCV: mean corpuscolar volume → ci permette di classificare le anemie in base al volume
corpuscolare dei globuli rossi (micro-, normo- e macro-citiche) consentendo un orientamento
immediato sulla natura dell’anemia. Un MCV falsamente aumentato può essere fornito in presenza
di emoagglutinine fredde (perché si crea aggregazione eritrocitaria) o di iperglicemia (che provoca
rigonfiamento osmotico delle cellule). Mediamente l’MCV normale è intorno a 80-95 fentolitri:
Ø Microcitosi se < 80 fl
Ø Macrocitosi se > 95 fl (alcuni autori dicono > 99-100)
• MCH: v.n. 27-32 pg. misura la quantità di emoglobina contenuta mediamente all’interno del globulo
rosso ed è espressa in picogrammi
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• MCHC: v.n. 32-36 g/dl. misura la concentrazione media dell’Hb in ogni cellula, ovvero la percentuale
del volume che l’Hb occupa mediamente all’interno di un globulo rosso
• RDW: v.n. 11,5-14,5%. È il risultato dello studio statistico sulla distribuzione dei globuli rossi ed
esprime il coefficiente di variazione (CV) della popolazione di globuli rossi rispetto al valore medio,
cioè la dispersione dei singoli elementi intorno alla media (indice di anisocitosi)→ sarà tanto più
basso, quanto più omogenea è la popolazione esaminata, cioè quanto meno i singoli elementi si
discostano dal valore medio; sarà tanto più elevato quanto più dispersi sono i singoli elementi rispetto
al valore medio.
• Reticolociti: v.n. 0,5-2% o in numero assoluto 25.000-100.000. vengono riconosciuti perché
contengono residui di acido ribonucleico ribosomiale (presente in abbondanza nel citoplasma dei
precursori eritroidi nucleati da cui i reticolociti derivano) che hanno la caratteristica di reagire con
certe colorazioni, come il blu brillante di cresile e il nuovo blu di metilene, formando un precipitato
di granuli o filamenti di colore blu. Il numero di reticolociti è un buon indice dell’attività
eritropoietica midollare in quanto la loro presenza in circolo indica che essi vengono normalmente
prodotti dal midollo osseo; il riscontro di reticolocitosi, pertanto, indica un’intensa attività
eritropoietica midollare, spesso in risposta a una aumentata distruzione periferica o intramidollare,
come accade in caso di emolisi o eritropoiesi inefficace.
Ø Se sono molto bassi indicano una natura ipogenerativa dell’anemia (reticolocitopenia)
Ø Se sono molto alti indicano una natura emolitica (reticolocitosi)
• CHr: contenuto reticolocitario medio di emoglobina → parametro che riflette direttamente la sintesi
emoglobinica intramidollare → è in grado di evidenziare un’eritropoiesi sideropenica anche quando
i classici marcatori biochimici (ferritina, transferrina) risultano inattendibili (come avviene in caso di
flogosi o di anemia da malattia cronica) ed è utile nella valutazione precoce della risposta al
trattamento con terapia marziale per via venosa (→la somministrazione di ferro ev previene la
formazione di reticolociti ipocromici, aumentando il valore del CHr)
• MCVr: volume reticolocitario medio → valore direttamente proporzionale all’adeguatezza dei
depositi di ferro → diminuisce in presenza di eritropoiesi ferrocarente e aumenta rapidamente a
seguito di terapia a base di sali di ferro
I v.n. variano, ovviamente, a seconda
dell’età: dai 15-16 i valori iniziano ad essere
paragonabili a quelli dell’adulto, ma tali
valori devono essere considerati a partire
dai 18 anni; se si considera la soglia di 75-
80 anni, una lievissima anemia si trova nel
90% degli anziani.
Questi parametri vengono valutati
attraverso conta automatica.
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CLASSIFICAZIONE ANEMIE:
Determinanti della comparsa dei sintomi sono la rapidità di insorgenza dell’anemia, età e condizioni generali
e condizioni del sistema cardio-cerebro-vascolare.
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Alcune anemie hanno
dei segni e sintomi
specifici.
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ANEMIE MICROCITICHE
Per la produzione dei globuli rossi sono necessari ferro, vit. B12 e acido folico. Il ferro viene assunto per via
alimentare tramite il consumo di carne rossa, frutti di mare, frutta secca, legumi e noci e viene giornalmente
perso, in quota fissa e non modificabile, tramite le urine e le feci (ovviamente viene perso anche in caso di
sanguinamenti). Il ferro assorbito si lega alla trasferrina e viene trasportato al midollo osseo, per la sintesi di
Hb, ai muscoli, per la sintesi di mioglobina, e a tutte le altre cellule, per la sintesi di enzimi mitocondriali; il
fegato funge da deposito, immagazzinandolo legato alla ferritina.
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Esistono due sistemi di assorbimento, diversi a seconda che il ferro si presenti nella struttura porfirinica
dell’eme o sotto forma di Sali inorganici di ferro. Nel primo caso (mioglobina, emoglobina, proteine di
origine animale), il ferro è assorbito come eme e viene liberato nelle cellule epiteliali intestinali; nel secondo
caso il ferro deve essere ridotto da ferrico a ferroso e per questo è importante la presenza di acido cloridrico
gastrico e del normale tempo di svuotamento gastrico → l’ambiente acido libera il ferro non emico dagli
alimenti e ne facilita il legame con mucopolisaccaridi o sostanze a basso peso molecolare, direttamente
assorbiti nel duodeno o nel digiuno. Anche la stessa alimentazione influisce sull’assorbimento del ferro:
ossalati, fitati, tè, fibre, uova, fosfati lo ritardano, perché formano con il ferro composti relativamente
insolubili. Le cellule della mucosa intestinale presentano sulla superficie luminale il trasportatore di ferro
DMT1 che coopera con una ferroreduttasi della membrana per recuperare dal lume il ferro sotto forma di
ferro ferroso → in condizioni di sideropenia viene esportato, tramite ferroportina ed efestina (che ne
provoca l’ossidazione a ferro ferrico), e immesso in circolo legandosi alla transferrina circolante. In condizioni
di eccesso di ferro una quota elevata viene depositata nelle cellule della mucosa sotto forma di ferritina che,
come tale, verrà perduta nel lume intestinale.
Il principale regolatore dell’assorbimento intestinale di ferro è l’epcidina, prodotta a livello epatico: questa
controlla l’espressione di superficie dell’esportatore cellulare di ferro (ferroportina), legandosi alla stessa e
inducendone l’internalizzazione e la degradazione lisosomiale (sia a livello intestinale che a livello dei
macrofagi, bloccando complessivamente il ricircolo di Fe). La trascrizione dell’epcidina è aumentata nel
sovraccarico di ferro e nell’infiammazione e soppressa nella sideropenia, ipossia ed espansione
eritropoietica. L’epcidina è una proteina di fase acuta, indotta dalla flogosi in risposta a IL-6 → la sua
aumentata produzione nell’infiammazione blocca l’assorbimento di ferro e causa sequestro di ferro nei
macrofagi, entrambe caratteristiche dell’anemia delle malattie infiammatorie croniche, con la finalità di
sottrarre un possibile fattore di crescita ad eventuali microrganismi presenti nella circolazione.
Il ferro, entrato nel torrente circolatorio, viene costantemente riciclato tra plasma e tessuti: i macrofagi del
sistema reticolo-endoteliale fagocitano le emazie al termine del loro ciclo vitale, recuperano il ferro e lo
ritrasmettono agli eritroblasti tramite la transferrina. La concentrazione plasmatica di transferrina è di 240-
280 mg/dl e può essere misurata in termini di capacità ferro-legante del plasma (TIBC), in genere 300-400
μg/dl (è importante perché in presenza di sovraccarico marziale la saturazione, solitamente del 20-45%, della
transferrina aumenta, in caso di sideropenia la saturazione può scendere anche al di sotto del 10%). La
transferrina si trova come apotransferrina (senza ferro), monoferrica o diferrica → la quantità di transferrina
diferrica è il segnale captato dai sensori epatici che trasmettono il segnale per la produzione di epcidina.
Sulla superficie della maggior parte delle cellule sono situati i recettori per la transferrina; la differenza nel
numero di recettori adatta la captazione del ferro alle necessità del singolo tessuto (le cell con maggior
numero di recettori sono i trofoblasti placentari e i precursori eritroidi midollari). Il meccanismo di captazione
del ferro avviene attraverso un fenomeno di endocitosi in cui il recettore, la transferrina e il ferro vengono
internalizzati dalla cellula in un ciclo endosomico → il ferro viene rilasciato dal pH acido dell’endosoma e,
mediante il trasportatore di membrana DMT1, viene utilizzato nel citoplasma o nei mitocondri per le esigenze
cellulari, mentre il recettore e l’apotransferrina vengono riciclati sulla superficie cellulare.
Il ferro di deposito viene immagazzinato sotto forma di ferritina ed emosiderina, per il 60% nel fegato e per
il 40% nei tessuti. La ferritina forma una sorta di guscio che ricopre un nucleo di sale ferrico insolubile ed è
rapidamente mobilizzabile. La ferritina è presente nel siero dove riflette, con buona approssimazione, i
depositi di ferro nell’organismo. L’emosiderina è
costituita da aggregati di molecole di ferritina e
rappresenta una forma di deposito più stabile, da cui il
ferro è scarsamente mobilizzabile → la diminuzione o
assenza di emosiderina a livello midollare rappresenta
la prima spia di un deficit di ferro nell’organismo, che
può verificarsi con anticipo anche di parecchi mesi
rispetto alla comparsa dell’anemia.
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ANEMIA SIDEROPENICA
La carenza di ferro è la causa di anemia oggi conosciuta più comune in tutto il mondo. Nei paesi
maggiormente sviluppati l’incidenza della sideropenia è del 3% tra gli uomini adulti, del 20% tra le donne e
del 50% tra le donne gravide.
Uno stato di carenza marziale può essere determinato da:
• apporto inadeguato (2%): dieta a basso contenuto di ferro (più spesso nei vegetariani, perché anche
se è vero che frutta e verdura contengono percentuali discrete di ferro è altrettanto vero che vi si
trovano fosfati, nitrati e carboidrati che tendono a chelare il ferro e a ridurne l’assorbimento). Nei
lattanti può far seguito a prematurità, gemellarità (ferro materno bipartito), basso peso alla nascita,
in caso di grave sideropenia materna o di un’alimentazione esclusivamente lattea prolungata.
• aumentato fabbisogno (8%): principalmente nell’infanzia, gravidanza e allattamento; nel primo anno
di vita il bambino triplica il suo peso corporeo e ha bisogno di 150 mg di ferro per espandere la propria
massa eritrocitaria
• assorbimento inadeguato (20%): in condizioni come resezioni gastriche (fondamentale il ruolo
dell’HCl nell’assorbimento del Fe) e ridotta conversione di Fe+++ a Fe++ in presenza di acloridia, carenza
di vit. C ed eccesso di calcio. Possono determinare sideropenia tutte le malattie causa di
malassorbimento, come morbo celiaco, sprue tropicale, morbo di Chron, linfomi etc.
• perdita protratta di ferro (70%): da perdite mestruali (alterazioni mestruali, metrorragie meccaniche
o ormonali), epistassi, emoftoe e gastroenteriche (ulcera peptica, emorroidi, neoplasie, ernia iatale,
diverticoli, polipi intestinali)
La maggior parte dei pazienti presenta una progressione lenta e graduale della sintomatologia, clinicamente
il paziente lamenta disturbi generali comuni a tutte le forme di anemia, quali cefalea, astenia ingravescente,
tachicardia, dispnea da sforzo, facile irritabilità, insonnia, labilità emotiva e pallore. In una parte dei pazienti,
soprattutto quelli in cui l’anemia perdura da tempo, possono comparire lesioni a carico della cute, degli
annessi cutanei e delle mucose (il deficit di Fe provoca conseguenze nei tessuti a rapido turnover):
- la cute diventa secca e anelastica;
- i capelli sono sottili, fragili e radi;
- le unghie opache, fragili, rigate longitudinalmente, talvolta appiattite o addirittura concave
(coilonichia);
- le labbra presentano piccole ragadi alle commissure (cheilite angolare), la mucosa orale è arrossata
e la lingua liscia, levigata e pallida. La triade sintomatologica comprendente anemia, glossite ed
esofagite prende il nome di sindrome di Plummer.
TRATTAMENTO
• ORALE → terapia di scelta
Questa mima la modalità fisiologica di approvvigionamento del ferro, è decisamente meno invasiva ed è
soggetta alla regolazione dell’assorbimento di ferro dell’organismo → viene assorbito solo il ferro necessario
non rischiando un sovraccarico
Vengono utilizzati ferro bisglicinato chelato e ferro liposomiale → nuovi preparati in cui il ferro viene legato
alla glicina o al liposoma conferendo una migliore palatabilità → la risposta rispetto ai composti tradizionali
è abbastanza sovrapponibile ma con una importanza riduzione degli effetti collaterali (aumentando così
anche la compliance dei pz)
Dosi: Sali ferrosi alla dose di 2-3 mg/kg/die di ferro elementare in 3 somministrazioni da continuare per 6-
8 settimane dopo la normalizzazione dei livelli emoglobinici per ripristinare i depositi.
Monitoraggio: si osserva una crisi reticolocitaria dopo 4-5 gg e un aumento dell’Hb dopo 7-10 gg → in questo
caso si continua la terapia fino a normalizzazione di Hb e ferritina (3-6 mesi); se no si ricerca la causa della
refrattarietà (non compliance, celiachia, H. Pylori, eccessive perdite)
La conta reticolocitaria e il CHr costituiscono marker attendibili e precoci sia nella diagnosi di anemia
sideropenica che nel follow-up in corso di trattamento con ferro per os.
• PARENTERALE → utilizzata solo in caso di:
o Mancato assorbimento del ferro (celiachia)
o Carenza funzionale di ferro (pz in terapia con eritropoietina)
o Intolleranza alla terapia orale → il ferro somministrato per os si associa ad effetti collaterali
(nausea, vomito, crampi addominali, colorazione scura delle feci) e presenta un sapore
metallico sgradevole
Presenta un rischio di reazione avversa alla somministrazione, richiede un day-hospital, possibilità maggiore
di rischio di sovradosaggio
Dosi: (Hbn – Hb)/100 x V.E. x 3,4 x 1,5 = mg di ferro da iniettare da ripartire in dosi settimanali di circa 5
mg/kg
o Hbn: Hb normale
o Hb: Hb del paziente
o V.E.: volume ematico (80 ml/kg)
o 3.4: indice di conversione dei grammi di Hb in mg di ferro
o 1.5: indice di correzione per restaurare i depositi di ferro
Ø nell’anemia sideropenica può riscontrarsi uno stato di piastrinosi per la presenza di uno squilibrio
della produzione midollare; o poteva esserci una pseudopiastrinosi perché il contaglobuli automatico
contava i microciti per piastrine (problema ad oggi molto più raro)
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SOVRACCARICO MARZIALE
Il sovraccarico marziale viene definito severo dalla presenza di una quantità di ferro totale > 5 gr. Questo può
verificarsi in caso di:
- Eccessivo assorbimento di ferro: emocromatosi ereditaria, β-talassemia
- Eccessivo intake di ferro: terapia parenterale eccessiva o eccessiva ingestione di ferro elementare
Un sovraccarico di ferro moderato (3,5-5 g) può far seguito a insufficienza epatica, porfiria cutanea,
atransferrinemia, aceruloplasminemia.
Nell’emocromatosi ereditaria l’accumulo di ferro avviene nel corso degli anni e le manifestazioni cliniche si
rendono evidenti solo a partire dalla 5° decade (le donne sono protette dalla perdita di ferro durante le
mestruazioni e la gravidanza). Sintomi frequenti sono debolezza, letargia, perdita della libido, calo ponderale,
atralgia e dolore addominale; manifestazioni tardive sono artropatie, iperpigmentazione cutante, aritmie
cardiache e scompenso cardiaco.
Ø Diabete, artrite e insufficienza gonadica possono manifestarsi molti anni prima dell’effettuazione
della diagnosi
La diagnosi è effettuata sulla base del riscontro di un carico significativo di ferro, inclusa la classica triade di
diabete mellito, cirrosi epatica e cute bronzina.
Ø Hb, la conta degli RBC e i loro indici, Hct, reticolociti, piastrine e bianchi sono nella norma, tranne
nelle fasi avanzate di malattia dove possono comparire anemia, leucopenia e trombocitopenia
Ø I livelli sierici di ferritina sono > 1000 μg/L e la saturazione della transferrina > 80% (entrambi
indicano un elevato carido di ferro)
Il trattamento consiste in flebotomie (salassi) regolari di 450 ml/sett, ognuna delle quali è in grado di
rimuovere circa 200-300 mg di ferro (1 g di Hb contiene 3.4 mg di ferro). Queste sono in grado di ridurre la
mortalità per scompenso cardiaco e insufficienza epatica. La desferioxammina, chelante del ferro, come
infusione continua i.v.
I test di screening per la mutazione del gene HFE permette una diagnosi precoce e permette di evitare la
malattia epatica in pazienti omozigoti per la mutazione C282Y; gli eterozigoti non sono a rischio di
sovraccarico eccessivo.
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Originariamente chiamata “anemia delle
malattie croniche”, questo nome fu
abbandonato perché poteva generare
confusione: ipertensione e diabete sono
malattie croniche nel quale questa anemia non
si verifica. Anche questa attuale definizione non
ANEMIA DELLE MALATTIE INFIAMMOTORIE CRONICHE
è corretta, in quanto questo tipo di anemia si
È un’anemia ipoproliferativa di riscontro abbastanza frequente in osserva anche nelle neoplasie.
pazienti portatori di neoplasie, infezioni croniche, malattie
infiammatorie croniche (tipica tra queste l’artrite reumatoide); è infatti l’anemia di più comune riscontro nei
pazienti ospedalizzati. L’anemia può andare da lieve a moderata (Hb 8-12 g/dl) ed è solitamente
caratterizzata da iposideremia, transferrinemia ridotta (marcata riduzione della TIBC e normale o moderata
riduzione della saturazione di transferrina), basso indice reticolocitario, aumento della protoporfirina delle
emazie, ferritina sierica e depositi reticoloendoteliali di ferro normali o aumentati, con assenza o notevole
riduzione dei sideroblasti (i sideroblasti sono eritroblasti nucleati atipici, nel cui citoplasma si possono rilevare
granuli di ferro non emoglobinico sotto forma di ferritina).
Patologie associate a questa forma di anemia sono:
• Infettive: tubercolosi, ascesso polmonare, endocardite, polmoniti, infezioni fungine, AIDS
• Infiammatorie: AR, febbre reumatica, LES, vasculite, RCU
• Neoplastiche: linfoma di Hodgkins, NHL, mieloma multiplo, carcinomi soprattutto in fase metastatica
• Altre: malattie epatiche, tromboflebiti, trauma (es. ustioni), ascessi sterili, infarto miocardio
→ difetto di catene α: α-talassemia è dovuta nella maggior parte dei casi a delezione; essendo presenti in
due copie sui Chr. 16 i geni codificanti le catene α, sono due le alterazioni possibili:
1. Delezione di entrambe le copie del gene della catena α (α0)
2. Delezione di una sola copia del gene della catena α (α+)
L’assenza di una sola delle 4 copie è priva di equivalente clinico e comporta solo lo stato di portatore silente;
l’assenza di due copie determina un’alterazione ematologica lieve compatibile con un buono stato di salute,
definita trait α-talassemico; l’assenza di tre copie si accompagna ad un quadro clinico grave con presenza
nelle emazie dell’HbH (emoglobina tetramero di β); l’assenza di tutte e quattro è incompatibile con la vita,
entrando le catene α nella costituzione di tutte le Hb a partire dalla vita fetale: ne risulta morte intrauterina
con quadro di idrope fetale (si forma Hb Barts = 4γ)
- α/αα portatore silente
- α/- α trait α talassemico simile alla β tal minor (normale HbA2 e F)
- - /αα diagnosi solo con ricerca genetica
- - /- α malattia da HbH (β4); quadro clinico simile alla β tal intermedia;
Hb foresi: HbH (4-30%), HbA e HbA2 (<2%)
- -/- - Idrope feto-placentare, incompatibile con la vita
Sono presenti per la maggior parte Hb Bart’s (γ4) e in misura minore HbH e Hb Portland (ξ2 γ2)
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→ difetto di catene β: i meccanismi molecolari alla base sono molteplici e diversi da caso a caso, seppur nella
maggior parte dei casi siano mutazioni puntiformi o raramente estese delezioni del gene β-globinico → le
mutazioni possono modificare tutte le tappe che caratterizzano l’espressione genica, dall’inizio della
trascrizione dell’RNA messaggero (mutazioni del promoter e del “chain terminator”) al processamento del
mRNA (soprattutto mutazioni che alterano il processo di splicing). Nonostante l’estrema variabilità, i risultati
possibili sono comunque due: β-talassemia § β0/β0
1. Assenza completa di sintesi di major § β+/β+
catene β (β ) 0 § β+/β0
β-talassemia § β+/β+: due alleli β+ ad espressione clinica lieve in omozigosi o
2. Ridotta sintesi di catene β (β+)
intermedia eterozigosi composta con sintesi di catene β dell’ordine del 10% del
Attualmente sono stati individuati più
normale; eterozigosi composta per un allele β+ lieve e un allele β+ ad
di 200 difetti molecolari responsabili
espressione clinica grave
della malattia (di cui circa 60 sono § omozigosi per alleli β-talassemici ad espressione clinica usuale
stati descritti in Italia) → per alcuni di associata ad α-talassemia o fattori genetici che comportano un
questi difetti esiste una correlazione aumento della produzione di catene γ (e.g. persistenza ereditaria HbF)
con l’espressione clinica della § δβ-talassemia in omozigosi o eterozigosi composta
malattia, dal momento che alcune § eterozigosi per β-talassemia con geni α triplicati
mutazioni sono responsabili di forme § eterozigosi per β-talassemia associata ad altre varianti strutturali
particolarmente gravi di talassemia e dell’emoglobina (HbS, HbC, HbC)
altri invece comportano forme più β-talassemia § β/β0
L’emopoiesi talassemica è dominata dallo sbilancio tra catene α/non α. Nelle forme più gravi di α-
talassemia si ha un eccesso di catene β che formano tetrameri di HbH, che è altamente instabile e può
precipitare nelle cellule. Nella β-talassemia si ha diminuita produzione di catene β ed eccesso relativo di
catene α che, quando non vengono incorporate in HbA o in HbF, sono relativamente instabili in soluzione e
tendono ad aggregarsi e a precipitare in forma libera formando emicromi. Nei pazienti non talassemici il
rapporto α:β è all’incirca di 1; nei soggetti talassemici il grado di sbilanciamento varia in rapporto al tipo di
difetto genetico e alla conseguente entità del deficit globinico.
La precipitazione delle catene α in eccesso comporta:
- eccessiva produzione di radicali liberi che provocano la perossidazione della membrana,
formazione di metaemoglobina e danno a diversi processi metabolici che hanno come effetto un
aumento della rigidità dell’emazia;
- inibizione della proliferazione delle cellule eritroidi, con blocco in fase G1 e morte in situ
(eritropoiesi inefficace);
- alterata fosforilazione delle proteine di membrana che causa una spiccata distorsione dell’emazia;
La mancanza di catene β e l’eccesso di catene α sono parzialmente compensati dalla riattivazione della sintesi
delle catene γ con la formazione di HbF e la “neutralizzazione” di alcune catene α-libere.
L’anemia è dovuta a prematura mortalità intramidollare degli eritroblasi (eritropoiesi inefficace), al minor
volume delle emazie (microcitosi), al minor contenuto corpuscolare medio di emoglobina (ipocromia) e alla
diminuita sopravvivenza eritrocitaria per esaltata emocateresi splenica secondaria al danno di membrana.
L’anemia cronica stimola l’eritropoiesi che si espande a livello midollare in aree dalle quali essa è
normalmente assente, come le ossa lunghe, e anche a livello extramidollare, nel fegato, nella milza e nei
linfonodi. Successivamente il midollo può uscire attraverso i fori vascolari, provando formazioni
pseudotumorali. I precursori eritroidi β-talassemici contenenti le inclusioni di aggregati di catene α vanno
incontro in buona parte a morte intramidollare; quando essi giungono a maturazione, i corpi inclusi nelle
emazie vengono elettivamente asportati dalla milza con produzione di eritrociti di forma bizzarra (schistociti,
eritrociti “a lacrima”). Appare evidente, quindi, che il destino di ogni cellula dipende dal grado del danno
subito durante i vari stadi di sviluppo: quelle più gravemente lese sono incapaci di abbandonare il midollo e
muoiono in situ, mentre quelle con minori precipitati nel passaggio attraverso la milza possono essere private
degli inclusi e ritornare in circolo oppure venire distrutte. La milza va incontro ad un aumento di volume per
iperplasia della componente reticolare macrofagica; di conseguenza aumenta il sequestro splenico delle
emazie, da cui emolisi più intensa, instaurando così un circolo vizioso.
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Nell’organismo talassemico, infine, si viene a creare un accumulo marziale dovuto al processo emolitico,
all’aumentato assorbimento di ferro stimolato dall’elevata eritropoiesi e all’apporto di ferro coincidente con
la terapia trasfusionale, necessaria nei casi più gravi. La conseguenza è una siderosi dei vari parenchimi, in
particolare del miocardio, del fegato e del pancreas; negli adolescenti l’accumulo di ferro nell’ipofisi anteriore
disturba la maturazione sessuale in circa il 50% dei casi.
TRATTAMENTO
Nelle forme major la terapia è essenzialmente una terapia trasfusionale cronica che permette di corregge
l’anemia, sopprime l’eritropoiesi eccessiva e inibire l’assorbimento intestinale di ferro. Consiste nella
trasfusione di concentrati eritrocitari alla dose di 10-20 ml/kg ogni 2-3 settimane → ad oggi i regimi
trasfusionali più usati si propongono di non far scendere il livello di emoglobina sotto i 9-9.5 g/dl.
Questa procedura impatta notevolmente sulla qualità di vita del paziente.
La terapia trasfusionale si associa, però, a un elevato rischio di sovraccarico marziale (che si appalesa dopo
circa 20 trasfusioni con ferritina > 1000 μg), motivo per il quale il ferro va accuratamente monitorato. Prima
dell’introduzione della terapia ferrochelante, il sovraccarico marziale era la principale causa di morte nei
pazienti talassemici (questa avveniva per insufficienza cardiaca, aritmie e infarto miocardico).
La misurazione della ferritina ha 2 limiti:
- È una proteina di fase acuta, aumentando in
tutti i casi di infiammazione/infezione → va per
questo ripetuto sistematicamente
- La correlazione tra concentrazione di
ferritina e accumulo di ferro nei singoli organi non
sembra avere, nel singolo paziente, una
correlazione così univoca e precisa da
permetterci di basarci solo sulla ferritina.
Per questi motivi è molto più affidabile la misura
del LIC (effettuata con RM: sequenze T2*(STAR) e
R2+ permettono di valutare l’accumulo di ferro su
cuore e fegato) → valore soglia che indica la
necessità di utilizzare una terapia ferrochelante
è di 5-7 mg/g di tessuto epatico (dw=peso secco).
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La terapia ferrochelante è molto efficace nel prevenire le conseguenze della siderosi e tutte le sue
complicanze e viene effettuata con:
• Desferioxamina (classica) → 40-50 mg/kg s.c. (8-12h, 6 giorni/7)
Comporta tossicità renale, polmonare, retinica e del nervo acustico con possibile cecità (in parte
reversibile) e a grave ipoacusia.
Ha emivita molto breve → microinfusore sottocutaneo (oggi è molto poco usata)
• Deferasirox → 10-30 mg/kg, una volta al giorno per os
Indicazione in scheda tecnica per pz >6 anni (prima linea) o come seconda linea
Tossicità renale; nei pz NDTD prima linea >10 anni
• Deferiprone 75 mg/kg per day, in 3 somministrazioni
Indicazione in scheda tecnica come seconda linea
Tossicità: artropatia, agranulocitosi grave
Nei pazienti NDTD la terapia trasfusionale va personalizzata secondo le condizioni cliniche del singolo
paziente → in generale le trasfusioni non sono necessarie, se non in rapporto a marcate alterazioni ossee,
ed esacerbazioni della sintomatologia o ad ipersplenismo. L’eventualità di somministrare terapia
ferrochelante deve essere valutata caso per caso in base ai depositi marziali nell’organismo.
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Follow up e prevenzione:
• Immunizzazione anti-HBV e pneumococco
• Follow up per l’insorgenza di diabete,
ipotiroidismo, ipogonadismo, cardiomiopatia o
SCC e disfunzione epatica
• Prevenzione dell’osteoporosi: dieta, esercizio
fisico, supplementazione ormonale, terapia
farmacologica con inibitori degli osteoclasti
• Controllo dei livelli di ferritina
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ANEMIE MACROCITICHE
Le anemie macrocitiche si formano per incapacità dell’eritrone midollare di produrre normalmente eritrociti
a causa di difetti della proliferazione cellulare. Questo comporta un’esaltata eritropoiesi inefficace, con
rottura degli eritroblasti a livello midollare (eritroblastolisi midollare), fenomeno che può arrivare ad
interessare anche l’80-90% di tutti i precursori eritroidi. Le anemie macrocitiche sono solitamente secondarie
ad un deficit di sintesi del DNA per:
- Carenza di vit. B12
- Carenza di acido folico/folati
- Farmaci (soprattutto chemioterapici)
Tale condizione comporterà la comparsa di asincronismi maturativi nucelo-citoplasma, alterata divisione
cellulare con frequente arresto in fase S e salto di una o più mitosi e la formazione di precursori eritroidi più
grandi del normale (megaloblstosi) → conseguente macrocitosi degli eritrociti (MCV > 100 fl).
ANEMIE MEGALOBLASTICHE
Viene definita megaloblastica un’anemia caratterizzata da presenza di eritroblasti anomali, detti
megaloblasti, nel midollo e da macro-ovalociti nel sangue periferico. Essa è determinata da un difetto di
sintesi di DNA conseguente a carenza di vitamina B12 e/o folati. L’alterazione biochimica alla base (difettosa
sintesi di DNA) influenza tutte le cellule provviste di elevata attività proliferativa.
Ciclo folato-B12
La metilazione dell’uracile e la sua conversione in
timina rappresentano un passo fondamentale per
la sintesi del DNA, che è essenziale per la divisione
cellulare. La metilazione del deossi-uridilato a
timidilato avviene ad opera dell’enzima
timidilato-sintetasi: in questa reazione il primo
riceve un metile dal coenzima folico (5-10
metilene-tetraidrofolato) trasformandosi in
timidilato. Il 5-10 metilene-THF è, così,
trasformato in diidrofolato, che a sua volta deve
essere riconvertito in THF dalla diidrofolato-
reduttasi per poter essere in grado di rigenerare
il 5-10 metilene THF. Il THF, inoltre, non si trova
nei depositi come tale ma sottoforma di N5-
metil-tetraidrofolato che, per trasformarsi in
acido THF, cede un gruppo metilico alla vit. B12
(da cobalamina diventa metilcobalamina), la quale a sua volta lo trasferisce all’omocisteina che si trasforma
in metionina. In caso di deficit di vit. B12 non può verificarsi quest’ultima reazione e si ha quindi
“intrappolamento del metil-tetraidrofolato”, con riduzione del pool disponibile dei coenzimi folici.
La metionina, inoltre, è un componente per la sintesi della colina, dei fosfolipidi e della proteina basica della
mielina = carenza di vit. B12 comporta sintomi neurologici.
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La vit. B12 si trova in due forme coenzimatiche
attive:
• Metil-cobalamina: coenzima della
metionina sintetasi
• Adenosil-cobalamina: coenzima richiesto
per la conversione del metilmalonato coA
in succinil-coA.
È presente principalmente nei cibi di origine
animale quali carne, latte e uova ed una dieta
media quotidiana ne contiene da 5 a 30 g, di cui
solo una piccola parte viene assorbita attraverso
un’opportuna mediazione rappresentata dal
fattore intrinseco. Questa è una glicoproteina
prodotta dalle cellule parietali del corpo e del
fondo gastrico a cui la vit. B12 si lega molto
avidamente, formando un complesso che viene
assorbito a livello dell’ileo, ove la membrana dei
microvilli delle cellule della mucosa ha recettori
con un’elevata affinità per questo complesso.
La transcobalamina II funge da proteina
veicolante la vit. B12 ai tessuti, mentre la I e la III,
legandosi più avidamente alla vit. B12, fungono da
forme di deposito. Il fabbisogno giornaliero dell’adulto è inferiore ad 1 g e il v.n. sierico è di 160-900 ng/L.
L’acido folico e i folati sono presenti nei vegetali e nelle carni sottoforma di:
• Acido pteroilmonoglutammico: assorbito direttamente nel duodeno e nel digiuno prossimale
• Poliglutammati: convertiti intrluminalmente in acido folico
i folati aninamili (monoglutammati) sono meglio assorbiti di quelli vegetali (per lo più poliglutammati).
L’assorbimento dei folati dipende dall’integrità della mucosa intestinale e dal pH endoluminale e può essere
alterato da:
- Patologie gastrointestinali croniche
- Alterazioni secrezione gastrica (gastrite atrofica)
- Farmaci antisecretori (PPI, H2-antagonisti)
- Altri farmaci (metotrexate, sulfasalazina, colestiramina)
- Alimenti contenenti citrato, malato o ascorbato
Il fabbisogno quotidiano di folati per un adulto è di 100-200 g, la concentrazione di acido folico nel siero è di
10 g/L, mentre la concentrazione nei GR è 30 volte tanto (300 g/L). Il fegato contiene le maggiori riserve di
folati, che si trovano principalmente sotto forma di 5-metil-tetraidrofolato.
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Vanno prese in considerazione separatamente le cause di deficit di vit. B12 e di acido folico, anche se molte
malattie accompagnate da malassorbimento sono in grado di provocare una carenza di entrambe le vitamine.
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Le anemie megaloblastiche da carenza di vit. B12 possono essere eziopatogeneticamente classificate in:
• Perniciosa: predisposizione genetica, autoimmune (Ab anti FI e/o mucosa gastrica). È un’anemia
megaloblastica che si accompagna a gastrite cronica atrofica e riduzione della secrezione del FI.
• Perniciosiformi: acquisite e non autoimmuni
Presentano quadri clinico-laboratoristici simili, legati al difetto di sintesi del DNA.
Manifestazioni cliniche:
Ø Gastroenteriche: glossite di Hunter (la lingua appare arrossata e lucida e ha perso il normale aspetto
vellutato perché le papille sono spianate per difetto di rigenerazione cellulare), aftosi, cheilite
angolare, diarrea e malassorbimento
Ø Neurologiche: neuropatia demielinizzante di vario grado, per lo più agli arti inferiori, fino ad andatura
pareto-spastica, Babinski e Romberg positivo. Solitamente si manifestano con parestesie alle mani e
ai piedi, difficoltà a mantenere la stazione eretta e alla deambulazione, fino anche a disturbi visivi da
neurite retrobulbare.
Ø Sintomi da anemia: astenia ingravescente, sonnolenza. L’esame obiettivo mette in evidenza una cute
pallida con sfumatura giallastra (colore a “cera vecchia”) e sarà possibile rilevare una modesta
epatosplenomegalia per l’aumentata attività del sistema reticolo-istiocitario, secondaria all’aumento
dell’eritrocateresi.
L’esame emocromocitometrico dimostra una diminuzione del contenuto di emoglobina di entità inferiore
rispetto alla diminuzione dei GR; una diminuzione dell’Hct, un aumento dell’MCV e del contenuto
corpuscolare medio di Hb, mentre la concentrazione di Hb corpuscolare media è normale → non si ha
ipercromia, solamente i GR sono più grandi e contengono più Hb, ma la sua concentrazione per ogni unità di
volume di GR è normale. L’esame dello striscio periferico è abbastanza patognomonico, in quanto dimostra
la presenza di macrociti, talvolta a forma ovoidale (macrovalociti), policromasia diffusa o punteggiatura
basofila; i granulociti hanno un nucleo ipersegmentato: l’esistenza di tre elementi presentanti 5 lobi o anche
di un solo elemento con 6 lobi permette di diagnosticare quasi sicuramente un’anemia megaloblastica.
(2 i segni patognomonici: macrovalocitosi con anisopoichilocitosi; ipersegmentazione dei granulociti
neutrofili). Solamente con l’esame del midollo è possibile documentare con certezza l’anemia megaloblastica
→ alla mielobiopsia si riscontra iperplasia dell’eritropoiesi (straordinaria ricchezza di elementi cellulari e una
prevalenza di voluminosi elementi a citoplasma basofilo, il cosiddetto “midollo blu”) con megaloblastosi e
predominanza degli eritroblasti basofili e policromatofili; megacariociti pseudo-iperdiploidi (ovvero sembra
un nucleo iperdiploide ma è solo ipersegmentato).
La megaloblastosi non è un fenomeno del “tutto o nulla”, per cui, nel midollo, accanto ad elementi
francamente megaloblastici (elementi cell di grosse dimensioni, con sviluppo asincrono di nucleo e
citoplasma) si trovano una quota di elementi con aspetto intermedio tra megaloblasti e normoblasti e anche
una discreta quota di elementi francamente normoblastici; evidentemente il difetto sintetico del DNA
responsabile della morfologia megaloblastica non colpisce uniformemente tutti gli elementi.
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La diagnosi viene effettuata con il dosaggio della concentrazione sierica di vit. B12 e di acido folico. Viene
definita carenza quando:
• Vit. B12 < 100 ng/mL
• Ac. Folico < 4 μg/mL
Il metodo più diretto per discriminare se l’anemia sia secondaria primitivamente ad un deficit di vit. B12 o di
acido folico consiste nel dosare la vit. B12 nel siero e l’acido folico nel siero e nelle emazie → poiché la vit.
B12 è di fatto indispensabile per permettere l’ingresso dell’acido folico nelle cellule e quindi, tra le altre, nei
GR, in carenza di essa si ha un aumento del rapporto acido folico del siero/acido folico dei globuli, che, come
si è visto, in condizioni normali è di circa 1:30.
Va poi ricercata la causa scatenante → ricerca di autoanticorpi anti-fattore intrinseco e cell parietali ed
esofagastroduodenoscopia.
Altre cause di macrocitosi con cui porre d.d.:
o Alcolismo (anche senza deficit di vit. B12)
o Cirrosi epatica
o Ipotiroidismo
o Sindromi mielodisplastiche
o Anemia aplastica e aplasia selettiva degli
eritrociti
o Farmaci citotossici antivirali e antineoplastici
o Gravidanza
TERAPIA: terapia sostitutiva con vit. B12 e folati per os o per via parenterale. La via di somminsitrazione
sarà parenterale per il deficit di vit. B12, generalmente secondario a malassorbimento, e per i casi in cui il
deficit di folato riconosce questo meccanismo; negli altri casi il folato può essere somministrato per via orale.
Ø Il 5-metil-tetraidrofolato permette di saltare i passaggi metabolici dell’acido folico
Ø Prima di iniziare la terapia con acido folico (5-15 mg/die) vanno controllati i livelli di vit. B12 (da
controllare almeno 1 volta all’anno)
Ø Identificazione e correzione della causa scatenante
Ø Risposta reticolocitaria dopo 4-7 giorni, normalizzazione dell’Hb dopo 1-2 mesi. Se non si osserva
una risposta reticolocitaria entro 7-10 giorni probabilmente il problema principale non era la carenza
(che può comunque coesistere con altre forme di anemia)
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ANEMIA NORMOCITICA NORMOCROMICA
Nel caso di anemia normocitica i globuli rossi mantengono un MCV compreso tra 80 e 100 fl. Per orientarci
sulla possibile causa può essere utile l’osservazione anche di piastrine e leucociti:
- Se sono quantitativamente e/o qualitativamente alterati: valutare se è in corso una terapia radiante
o antiblastica; se il paziente non la sta effettuando è necessario effettuare un aspirato o una biopsia
osteomidollare per valutare la presenza di un’anemia aplastica
- Se sono normali va valutato, prima, se il paziente presenta un’anamnesi positiva per malattie
croniche; se l’anamnesi è negativa vanno valutati i reticolociti.
Le anemie emolitiche sono delle anemie caratterizzate da una precoce distruzione dei globuli rossi.
L’emolisi può essere:
• Intravascolare: nel caso di un’emolisi
extravascolare il GR viene fagocitato e distrutto
all’interno di un macrofago → si libera l’Hb che
viene scissa in eme e globina. L’eme viene
catabolizzato in biliverdina e bilirubina, che
giunge al fegato, dove viene coniugata ed
escreta attraverso la bile.
Quando l’emolisi è extravascolare:
1. Aumenta la bilirubina coniugata
2. Aumenta l’urobilinogeno fecale ed urinario
3. Aumento della produzione di CO2
4. Morfologia eritrocitaria specifica (sferociti)
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• Extravascolare: l’emolisi intravascolare è
un’evenienza più rara perché necessita di un evento
acuto molto importante (es: favismo con crisi di
deglobulizzazione massiva). L’Hb libera in circolo da un
lato si lega all’aptoglobina (saturando preocemente le
sue riserve), dall’altro, invece, si trasforma in
metemoglobina che viene eliminata dal rene →
emoglobinuria. Contemporaneamente il gruppo eme
coniugandosi con l’albumina forma la metemalbumina
che viene trasportata al fegato. Conseguenze sono:
1. Aumento della emoglobina libera nel plasma (>50
mg Hb/dl; v.n.= <1 mg/dl)
2. Emoglobinuria
3. Diminuzione dell’aptoglobina
4. Aumento della metemalbumina plasmatica
5. Aumento della metemoglobina plasmatica
6. Morfologia eritrocitaria specifica (schistociti)
La
maggior parte delle anemie emolitiche ereditarie è extravascolare, fatta eccezione per il deficit di G6PD
L’aumentata distruzione periferica dei globuli rossi porterà ad un aumento, compensatorio, dell’eritropoiesi
che si manifesterà clinicamente con:
• Aumento dei reticolociti circolanti (MCV può essere più elevato perché i reticolociti sono
leggermente più grandi degli eritrociti maturi)
• Iperplasia eritroide midollare: normalmente gli eritroblasti sono meno di 1/3 degli elementi
corpuscolati e la gran parte sono elementi mieloidi, quando questo rapporto si inverte si ha una
iperplasia eritroide. Nelle forme più gravi può esserci un’espansione midollare e conseguenti
alterazioni scheletriche.
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Cause congenite Cause acquisite
• Anemie emolitiche da difetto di membrana: • Anemie emolitiche isoimmuni:
1. Sferocitosi ereditaria 1. Malattie emolitica del neonato
2. Ellissocitosi ereditaria 2. Reazioni trasfusionali emolitiche
3. Piropoichilocitosi ereditaria • Anemie emolitiche autoimmuni:
4. Stomatocitosi, acantocitosi 1. Idiopatiche
5. Alterata sintesi dei lipidi 2. Da anticorpi caldi, freddi, bitermici
• Anemie emolitiche da difetto enzimatico: 3. Secondarie ad infezioni virali (herpes),
1. Deficit G6PD batteriche (streptococco) o a farmaci
2. Deficit di piruvato-kinasi • Anemie emolitiche non immuni:
3. Deficit di esokinasi 1. Da infezioni virali, batteriche, protozoarie
4. Deficit di glutatione sintetasi (malaria)
• Anemie emolitiche da difetti dell’Hb: 2. Farmaci citotossici
1. Talassemie 3. Disordini ematologici (leucemie,
2. Emoglobinopatie (HbS, HbC, HbE) ipersplenismo)
3. Anomalie dell’eme: porfiria eritropoietica • Emoglobinuria parossistica notturna
congenita • Anemie emolitiche meccaniche:
• Anemie diseritropoietiche congenite 1. Microangiopatie
2. Da traumatismo cardiaco
3. Emoglobinuria da marcia
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SFEROCITOSI EREDITARIA
Gruppo eterogeno di anemie ereditarie, determinate da alterazioni strutturali della membrana,
caratterizzate dalla presenza di eritrociti di forma sferica visibili allo striscio di sangue periferico. Le alterazioni
strutturali di membrana portano ad una modificazione della forma biconcava degli eritrociti in sferica, ne
riducono la deformabilità e ne favoriscono l’intrappolamento a livello splenico.
Ø È la più comune anemia emolitica ereditaria con una prevalenza nel Nord-Europa di 1:2000
Ø Il 75% dei casi appare trasmesso in maniera AD → la quasi totalità delle forme non dominanti sono
mutazioni de novo (la mutazione non è presente nei genitori → manca la familiarità)
Ø Rare (5%) sono le forme autosomiche recessive e sono sempre forme gravi trasfusione dipendenti
Ad essere mutato è uno dei geni codificanti per la spectrina (catena α o β), per l’anchirina, per il trasportatore
anionico della banda 3 e per la proteina 1.4. Qualsiasi sia il tipo di mutazione, questa è spesso responsabile
di importanti modificazioni delle proprietà degli eritrociti, che, oltre ad una diminuita plasticità e
deformabilità, comprendono anche un alterato metabolismo cellulare, soprattutto a livello del trasporto
degli ioni attraverso la membrana, un’aumentata fragilità osmotica e un aumento della viscosità del
citoplasma con aumento della concentrazione di emoglobina, attribuita a lieve disidratazione cellulare.
L’alterato metabolismo fa seguito, principalmente, ad un aumento della permeabilità eritrocitaria agli ioni
sodio e potassio: poiché la concentrazione di sodio e potassio si mantenga nei limiti fisiologici, è necessario
un aumento dell’attività della pompa Na+/K+ ATPasi-dipendente, con consensuale aumento del fabbisogno di
ATP e, quindi, di glucosio. La triade sintomatologica della malattia è rappresentata da anemia emolitica con
sferocitosi periferica, ittero e splenomegalia. La milza ha, infatti, un ruolo fondamentale nella distruzione
degli sferociti, che, proprio a causa della loro ridotta deformabilità, non riescono ad oltrepassare il
microcircolo splenico rimanendo ivi a lungo bloccati. Le concentrazioni di glucosio a tale livello, inoltre, non
sono sufficienti a mantenere l’elevato metabolismo degli sferociti, con conseguente progressiva riduzione
del contenuto di ATP e perdita dei lipidi di membrana. Tutto ciò facilita la fagocitosi da parte dei macrofagi
splenici e una rapida emolisi.
L’espressività dei sintomi e segni è assai variabile, potendosi distinguere, a seconda della gravità della
malattia, quattro forme principali:
• Lieve (20-30%): in questi casi l’aumentato sequestro e distruzione dei globuli rossi viene
compensato da un aumento dell’eritropoiesi midollare, come dimostrato da un aumento della
conta reticolocitaria (3-6%) e dal mantenimento di valori normali di emoglobina (Hb 11-15 g/dl); la
bilirubinemia assume valori compresi tra 0.99 e 1.99 mg/dl e la splenomegalia può essere modesta
o assente. Il quadro può però aggravarsi in occasione di malattie virali (per esempio mononucleosi
infettiva), di uno sforzo fisico importante o della gravidanza.
• Moderata: interessa circa i due terzi di tutti i pazienti e si caratterizza per un’anemia emolitica non
completamente compensata, attestandosi i valori di emoglobina tra 8 e 12 g/dl. La conta
reticolocitaria è solitamente superiore al 6%, così come i valori di bilirubinemia totale saranno
tendenzialmente superiori a 1.99 mg/dl. La splenomegalia è di solito presente e di entità variabile.
• Moderata-severa: caratterizzata da un ulteriore peggioramento dell’anemia (Hb 6-8 g/dl) e da un
conseguente aumento dei reticolociti (>10%) e della bilirubinemia (1.99-2.98 mg/dl).
• Severa: interessa una piccola percentuale di pazienti (< 5%) e si caratterizza per una anemia grave
(Hb <6 g/dl) trasfusione-dipendente e bilirubinemia elevata (> 2.98 mg/dl).
Tab. 1. Classificazione clinica della sferocitosi
Lieve Moderata Moderata-severa Severa
Esami di laboratorio:
- Hb: 8-11 g/dl nella maggior parte dei casi
- MCV solitamente normale 77-87 fl
- MCH normale
- MCHC >36% (unica condizione in cui l’MCHC può essere realmente aumentato)
- Reticolocitosi
- Sferocitosi → gli sferociti possono riscontrarsi anche in corso di anemia autoimmune; per
distinguerle sono utili l’effettuazione del test di Coombs (che sarà in questo caso negativo) e il test
delle fragilità osmotica (il cui aumento è molto indicativo per la diagnosi di sferocitosi)
- Test di fragilità osmotica: mettendo i GR in soluzione di acqua distillata, tutti i GR andranno incontro
a rottura perché la soluzione in cui li immergiamo è francamente ipotonica → l’acqua viene
richiamata all’interno del globulo rosso (dove sono presenti più soluti) e questo ingresso di acqua fa
rigonfiare il GR che andrà poi incontro a lisi → è il livello di ipotonicità al quale i GR si lisano che
differenzia i GR normali da quelli della SE. Gli sferociti presentano minore superficie per unità di
volume e quando vengono incubati con soluzioni ipotoniche si lisano più facilmente → il sangue di
un paziente con SE inizia ad emolizzare alle concentrazioni di 0,5-0,7% di NaCl.
- Test di autoemolisi: il sangue è incubato a 37°C, sterilmente, per 48 ore; in condizioni normali il
rilascio di Hb arriva al massimo al 4%, nella sferocitosi ereditaria può raggiungere anche il 40%.
- Studio delle proteine di membrana con elettroforesi
TRATTAMENTO
v TRASFUSIONI → solo nei casi in cui non ci sia altra possibilità (il 70% dei bambini viene trasfuso nel
1 anno)
v ACIDO FOLICO → tutti i bambini con anemia emolitica hanno un consumo aumentato di acido
folico, che è un fattore essenziale per la produzione e maturazione di globuli rossi (viene dato come
cofattore di crescita) → 2,5 mg/die sino a 6 mesi e 5 mg/kg/die oltre
v ERITROPOIETINA → principalmente indicata nei lattanti perché in caso di diagnosi neonatale dando
EPO riduciamo il bisogno trasfusionale
Nei neoanti anemici sino al 3-4 mese di vita: 300-(1000) UI/kg/settimana
v SPLENECTOMIA → nei casi emolisi intensa, bilirubinemia molto alta, precoce colelitiasi
Meglio > 6 anni ma prima della pubertà
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DEFICIT ENZIMATICI
Le anemie da difetti enzimatici sono anemie emolitiche secondarie a ridotta attività di uno degli enzimi
necessari al metabolismo glucidico eritrocitario.
Cenni metabolismo
Gli eritrociti maturi mantengono unicamente integri la glicolisi anaerobia e il ciclo del glucosio-6-fosfato.
Circa il 90% del glucosio che giunge nell’eritrocita
viene metabolizzato ad acido lattico attraverso la
glicolisi anaerobia → per ogni mole di glucosio
vengono prodotte due moli di ATP sufficienti a
mantenere attive le funzioni ATP-dipendenti
(mantenere flessibile la membrana cellulare,
regolare il flusso di ioni sodio e potassio, far
funzionare il sistema ossido-riduttivo capace di
proteggere la cellula dall’azione di sostanze
ossidanti endogene ed esogene). Attraverso la
glicolisi anaerobia si produce anche NADH.
Il 10% del glucosio viene catabolizzato all’interno
del ciclo dei pentosi → la principale funzione di
questa via è di produrre NADPH e di mantenere
così il glutatione in forma ridotta. Il glutatione
ridotto protegge i GR dalle sostanze ossidanti
liberate da macrofagi e granulociti durante la
fagocitosi o prodotte dagli stessi GR e granulociti.
I ROS (H2O2) vengono detossificati dalla glutatione perossidasi → il GSH deve essere ossidato a glutatione e
rigenerato costantemente dalla glutatione reduttasi (flavoenzima NADPH-linked).
→ I globuli rossi ricavano l’energia, sotto forma di ATP, dalla conversione del glucosio in piruvato e lattato.
L’ATP è fondamentale affinché venga mantenuta l’integrità di membrana e i vari rapporti tra le proteine.
Le anemie da carenze enzimatiche possono far seguito a:
- Deficit di enzimi della glicolisi anaerobia → rare, il 90% dei casi è provocato da un deficit della
piruvato chinasi, dove manifestazione clinica è un’anemia emolitica cronica non sferocitica
- Deficit dello shunt dei pentosi → il deficit di G6PD è l’anomalia più importante e si calcola che oltre
100 milioni di persone nel mondo ne siano portatrici; molto più rare sono i difetti da glutatione-
sintetasi e glutatione-reduttasi. Manifestazione clinica è un’emolisi acuta conseguente ad un evento
stressante (G6PD) → riduzione di NADPH → riduzione della funzionalità della glutatione reduttasi →
maggiore suscettibilità allo stress ossidativo che provoca emolisi
il deficit di G6PD è, quindi, un deficit che interessa tutte le cellule dell’organismo, la cui principale
manifestazione clinica è costituita da una crisi emolitica acuta, scatenata da ingestione di fave (favismo), da
infezioni e assunzione di farmaci.
DEFICIT G6PD
EPIDEMIOLOGIA
Ø È la più frequente anomalia genetica nell’uomo: circa 100 milioni di persone nel mondo (tra maschi
emizigoti e femmine etero- ed omozigoti) sono portatori di almeno un gene per la carenza di G6PD
Ø Frequenza particolarmente alta in alcune aeree geografiche: estremo e medio oriente, bacino del
mediterraneo, africa centro-settentrionale. La distribuzione geografica è simile a quella della malaria,
della talassemia e della drepanocitosi.
Ø In Italia la sua frequenza è 0,4% nella penisola, 1% in Sicilia, 14.3% in Sardegna (picco del 25,8% a
Cagliari)
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Il gene che codifica per la G6PD si trova sul braccio lungo del chr. X → carattere X-linked, per cui i maschi
sono emizigoti e avranno l’interessamento globale di tutta la popolazione eritrocitaria; le donne col gene
anomalo sono comunemente eterozigoti e ogni cellula eritrocitaria presenta, a caso, solo uno dei ch. X attivo
→ ci saranno due popolazioni di GR, una normale e l’altra carente e la gravità dell’anemia dipenderà dal
numero complessivo di GR carenti di G6PD.
Riconosciamo diverse varianti enzimatiche:
- I più frequenti enzimi normali sono:
il tipo A degli Africani e il tipo B dei Caucasici, distinguibili tra loro per le diverse proprietà
biochimiche, biofisiche ed elettroforetiche. La seconda è quella che comunemente viene associata
ad un’attività enzimatica “normale”, la prima invece ha un’attività enzimatica pari all’84% e si trova
nel 30% della popolazione nera maschile statunitense e, in genere, tra quanti originano dall’Africa
occidentale e centrale
- Il meccanismo biochimico che conduce alla riduzione dell’attività non è identico per tutte le varianti
→ esistono varianti caratterizzate da una più rapida degradazione intracellulare rispetto all’enzima
normale, altre caratterizzate da una ridotta attività catalitica dell’enzima ed altre in cui entrambe
le anomalie coesistono. Nella maggior parte dei casi il deficit è il risultato della sintesi di un enzima
instabile e con emivita ridotta; meno comunemente deriva dalla sintesi di un enzima inattivo o
cineticamente anomalo.
- Le varianti patologiche più frequenti e importanti sono la variante A- o africana che ha un’attività
residua pari al 5-15% (associata ad una riduzione dell’emivita enzimatica → 8 gg contro 62gg) e la
variante B- o mediterranea che ha un’attività residua <1% (con un’emivita ancora più bassa)
- Il contenuto enzimatico varia a seconda dell’età della cellula → i reticolociti hanno un contenuto
normale di enzima che però si riduce rapidamente con l’invecchiamento
Sono state descritte più di 200 varianti, raggruppabili, in base alle caratteristiche biochimiche e ai quadri
clinici che determinano in:
o CLASSE I: deficit severo con anemia emolitica cronica (dall’1 al 4% di attività enzimatica residua)
o CLASSE II: deficit intermedio (dal 3 al 10% di attività enzimatica residua)
o CLASSE III: deficit moderato (dal 10 al 40% di attività enzimatica residua)
La scarsa attività enzimatica riduce la disponibilità di NADPH, indispensabile alla glutatione-reduttasi per
rigenerare GSH da GSSG → in carenza di GSH, Hb diviene maggiormente suscettibile di stress ossidativi perché
la cellula non è più in grado di neutralizzare gli insulti ossidativi → porta ad ossidazione dei gruppi SH di
cisteina, distacco di EME e precipitazione di globina sotto forma di corpi di Heinz.
La ridotta emivita dell’enzima può portare ad un’anemia emolitica cronica (le varianti patologiche di G6PD
comportano un decremento di attività enzimatica più rapido, così da raggiungere prima dei 120 giorni il livello
critico oltre il quale il GR viene rimosso dal sistema reticolo-endoteliale). La maggior parte dei soggetti sono
asintomatici e la manifestazione più frequente è le crisi emolitica acuta → quando i GR sono sottoposti a uno
stress ossidativo (farmaci, infezioni, alimenti), l’attività di G6PD richiesta a difesa dell’integrità e funzionalità
della membrana è più elevata → i GR deficitari saranno più suscettibili all’azione tossica delle sostanze
ossidanti, con conseguente emolisi, mentre gli eritrociti normali non saranno distrutti.
MANIFESTAZIONI CLINICHE:
Ø Anemia emolitica cronica non sferocitica → in alcune varianti con attività enzimatica estremamente
bassa. Può esordire con ittero neonatale e talvolta complicarsi con improvvise crisi di emolisi, che
compaiono in occasione di infezioni o dopo l’assunzione di alcuni farmaci
Ø Ittero neonatale → causa più frequente di ittero neonatale dopo la malattia emolitica del neonato
Ø Crisi emolitica acuta in occasione di assunzione di particolari alimenti (es. fave che contengono
vicina e convicina a forte attività ossidante)
Ø Crisi emolitica acuta in occasione di assunzione di farmaci
Ø Crisi emolitica acuta in corso di infezioni
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La crisi emolitica acuta insorge tipicamente dopo 1-3 giorni dall’assunzione del composto e si presenta
clinicamente come un’anemia emolitica normocitica con rapida insorgenza di pallore, ittero e urine
ipercromiche. Spesso questo si accompagna ad un senso di profondo malessere, brividi, nausea, vomito,
febbre e dolori addominali e lombari.
Ø Anemia marcata con GR ↓↓↓↓ e Hb ↓↓
Ø Ittero manifesto, iperbilirubinemia
Ø Emoglobinuria → può portare ad insufficienza renale acuta
Ø Morfologia eritrocitaria caratteristica → presenza di elementi frammentati
Dopo 5 giorni circa compare intensa reticolocitosi, cui fa seguito un sostanziale miglioramento dell’anemia.
La crisi emolitica da fave è comunque autolimitante → i GR più carenti si lisano e rimangono quelli più giovani
(che avendo una maggiore concentrazione di enzima riescono a resistere allo stress ossidativo) → quando
tutti i GR carenti sono lisati la crisi si arresta spontaneamente (ovviamente deve esserci una cessazione
dell’ingestione di fave).
DIAGNOSI: L’anemia emolitica da G6PD non presenta un quadro ematologico caratteristico ed il mezzo più
specifico per porre diagnosi è la valutazione dell’attività enzima mediante dosaggio quantitativo
spettrofotometrico della velocità di riduzione del NADP e NADPH. L’esame può dare falsi negativi in pz
ammalati se è effettuata subito dopo la crisi emolitica, quando la popolazione eritrocitaria residua è molto
giovane.
Farmaci responsabili di emolisi negli eritrociti
TRATTAMENTO: con deficit di G6PD
v PROFILASSI → evitare esposizione a fave (soprattutto se • Sulfamidici (sulfacetamide)
fresche e giovani) e farmaci ossidanti • Antipiretici e analgesici (aminopirina,
v TERAPIA CRISI EMOLITICA → idratazione, diuretici, acetofene)
trasfusione se anemia molto grave • Antimalarici (primachina, pamachina)
• Nitrofurani
• Varie: vit. K, isoniazide, probenecid,
DEFICIT DI PIRUVATO CHINASI cloramfenicolo
Abbastanza rara. Il difetto enzimatico è ereditato come carattere AR, la malattia si ha solo negli omozigoti ed
è associata ad un’attività enzimatica pari al 5-25% dell’attività normale. Il PK catalizza la conversione da
fosfoenolpiruvato in piruvato e interviene in una delle due reazioni glicolitiche capaci di produrre ATP → la
carenza porta una riduzione della sintesi di ATP, un accumulo dei metaboliti a monte (PEP; 3 PG; 2,3 DPG) e
una diminuzione dei substrati a valle (piruvato e lattato). Ne consegue la comparsa di lesioni funzionali della
membrana eritrocitaria, che provocano riduzione della concentrazione intraeritrocitaria di potassio e
accumulo di ioni calcio → la membrana diviene più rigida, meno elastica e possono comparire, alla
superficie, protuberanze e spicole (acantocitosi) → le emazie così modificate vengono riconosciute dal
sistema reticolo-endoteliale del fegato e della milza e fagocitate.
L’espressione della malattia è variabile: talvolta si manifesta con ittero neonatale, altre volte viene
diagnosticato occasionalmente in età adulta. In genere anemia e ittero compaiono durante l’infanzia.
L’aumento della concentrazione di 2,3 difosfoglicerolo porta ad una diminuita affinità dell’ossigeno per l’Hb,
riducendo l’intensità dei sintomi dell’anemia.
Laboratorio:
• Anemia normocitica normocromica di varia entità (6-12 g/dl)
• Presenza di parametri morfologici di eritropoiesi accelerata allo striscio periferico: policromasia,
anisocitosi, poichilocitosi e GR nucleati.
• Reticolocitosi spiccata (5-15%)
• Bilirubina indiretta aumentata, urobilinogeno moderatamente presente nelle urine
In passato l’esame diagnostico in sospetto di deficit di PK era il test di autoemolisi: si osserva una percentuale
di emolisi del 20-30% corretta dall’aggiunta di ATP ma non di glucosio (a differenza di quanto avviene nella
sferocitosi ereditaria). Oggi si preferisce dosare direttamente l’attività dell’enzima presente nei GR del
paziente, calcolando la velocità di ossidazione dell’NADH a NAD.
Terapia di supporto: acido folico per compensare l’elevato uso dovuto alla marcata eritropoiesi, terapia
trasfusionale nelle forme più gravi. La splenectomia può migliorare il quadro clinico
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DREPANOCITOSI Le emoglobinopatie sono delle sindromi
È una emoglobinopatia a trasmissione autosomica recessiva causata ereditarie a trasmissione autosomica
dalla presenza di una mutazione puntiforme sul gene codificante per recessiva caratterizzate dalla sintesi di Hb
la catena β dell’emoglobina → sostituzione, al 6° codone, di una strutturalmente anomale. Le emoglobine
adenina con una timina (GAG → GTG) con conseguente sostituzione, patologiche sono caratterizzate da quattro
in posizione 6 della catena β, dell’acido glutammico (idrofilo – carica alterazioni funzionali principali, responsabili
negativa) normalmente presente con una valina (idrofoba – carica di altrettanti quadri clinici:
neutra). Si viene così a sintetizzare l’HbS → ha una spiccata tendenza • Alterata affinità per l’ossigeno, che
alla polimerizzazione in presenza di basse pressioni parziali di provoca cianosi o poliglobulia a seconda
ossigeno (PO2 50-60 mmHg) rendendosi responsabile della di una diminuita o aumentata affinità
deformazione dei globuli rossi, che assumono una forma a falce. La per l’ossigeno
deossi-HbS è, infatti, meno solubile della deossi-HbA e tende a • Formazione di HbM con
formare, perdendo la propria disposizione secondo una geometria metaemoglobinemia e cianosi
casuale, fasci di fibre tubulari a decorso parallelo (“tattoidi”) • Presenza di emoglobine instabili
all’interno del globulo rosso. Oltre alla riduzione della pressione accompagnate da corpi di Heinz ed
parziale di O2, numerosi altri fattori sono in grado di favorire la emolisi
polimerizzazione dell’HbS e quindi la falcizzazione dei globuli rossi: • HbS e HbC (meno frequenti HbD, E, O)
o Favorita da: con formazione di tattoidi
§ ↓ pO2
§ ↓ pH
§ ↑ temperatura: aumenta la velocità di
polimerizzazione dell’HbS
§ ↑ 2,3 disfosfoglicerato
§ ↑ MCHC: la disidratazione o l’aumento dell’osmolarità plasmatica favoriscono l’incremento
della concentrazione di HbS nelle cellule
§ ↑ ematocrito
§ ↓ Zn++
o Ostacolata da:
§ ↑ HbA Tutte queste emoglobine si intercalano tra
§ ↑ HbA2 l’HbS e ne impediscono la polimerizzazione
§ ↑ HbF
§ ↓ Fe++ → se le molecole di HbS sono di meno minore è la probabilità di aggregazione
Dal punto di vista clinico, la falcizzazione degli eritrociti comporta, da un lato, la formazione delle cosiddette
crisi vaso-occlusive e, dall’altro, la presenza di un’anemia emolitica cronica da aumentata distruzione
eritrocitaria a livello splenico.
→ Il fenomeno della falcizzazione è inizialmente reversibile e, in presenza di una normale pressione parziale
di ossigeno, l’HbS si depolimerizza e le cellule riassumono una forma normale. Ciascun ciclo di falcizzazione
provoca però una perdita, da parte del globulo rosso, di acqua, potassio e calcio, per cui esso alla fine non
sarà più in grado di riprendere la sua forma regolare biconcava: negli individui con anemia falciforme
(omozigosi per il gene HbS) è sempre presente una quota di cellule (dal 4 al 44%) che non riacquista la forma
normale allorché il sangue viene riossigenato, andando a costituire le cosiddette irreversibly sickled cell. Le
emazie così alterate hanno una sopravvivenza nettamente ridotta e, per questa ragione, nei soggetti nei quali
si ripetono nel tempo varie crisi di falcizzazione, interviene anche un’anemia emolitica.
→ Le crisi vaso-occlusive, invece, fanno seguito alla compresenza di due fenomeni:
1. la trasformazione a falce dei globuli rossi provoca un incremento della viscosità del sangue, ne
ostacola il flusso nei piccoli vasi, aggrava l’anossia locale e favorisce un’ulteriore falcizzazione,
innescando così un circolo vizioso;
2. la presenza dell’HbS è anche causa di effetti secondari che ne modificano le proprietà della
membrana a livello dei fosfolipidi e delle proteine; proprio a questa alterazione è stata attribuita
l’aumentata tendenza, che si è osservata nell’emazia a falce, a aderire in modo abnorme alle
cellule endoteliali, ai monociti e ai macrofagi.
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Clinicamente queste si manifestano con la
comparsa di crisi dolorose, che possono essere
avvertite in varie sedi: torace, addome, più spesso
agli arti, alle dita delle mani soprattutto nei
bambini, o dei piedi. La frequenza della loro
comparsa è variabile da giorni ad anni, così come
la durata, da ore a giorni. Sono scatenate da
fattori occasionali: ipossia, stress emotivi,
malattie respiratorie, episodi infettivi acuti,
abbassamento della temperatura corporea o
disidratazione. I ricorrenti episodi ischemici
provocano, con l’andare del tempo, danni
irreversibili agli organi e agli apparati interessati.
• Cuore: nella circolazione coronarica vi è sempre una considerevole estrazione di ossigeno dal globulo
rosso, perciò facilmente si avrà comparsa di falcizzazione, ingorgo dei vasi e arresto del flusso
ematico. Nell’80% dei casi, dopo i 5 anni di età si osserva cardiomegalia, dopo i 40 anni è possibile lo
scompenso cardiaco congestizio.
• Polmone: è l’organo più frequentemente colpito e anche in pazienti asintomatici, con le prove di
funzionalità respiratoria, si dimostrano alterazioni di perfusione e diffusione dovute verosimilmente
al danno endoteliale esercitato cronicamente sulle pareti vascolari da parte dei globuli rossi rigidi e
deformati. La malattia polmonare cronica, che spesso provoca cuore polmonare cronico, ma
soprattutto l’evento acuto (Acute Chest Syndrome) è la più frequente causa di morte negli adulti.
L’Acute Chest Syndrome è caratterizzata dalla comparsa di un nuovo infiltrato polmonare,
identificato alla radiografia toracica, dolore toracico, febbre maggiore di 38° C e tachipnea, respiro
sibiliante o tosse. Il trattamento consiste in una terapia di supporto con idratazione appropriata,
trasfusioni, antibiotici (anche in assenza di febbre o accertata causa infettiva) e controllo del dolore.
• Rene: la midollare del rene, a causa dell’iperosmolarità, è particolarmente suscettibile all’infarto da
falcizzazione. Frequente è la comparsa di ematuria spontanea non dolorosa. Il difetto principale
consiste in una ridotta capacità di concentrare le urine; nella maggior parte dei pazienti vi è
isostenuria.
• Ossa: possono verificarsi infarti ossei, soprattutto alle ossa lunghe in vicinanza delle articolazioni e ai
corpi vertebrali. Una complicanza tutt’altro che rara è l’osteomielite, a carico, nella maggior parte
dei casi, di Salmonelle e Stafilococchi. Possono verificarsi anche fratture patologiche e
schiacciamenti, ma probabilmente la deformità più invalidante è la coxopatia cronica secondaria a
necrosi asettica del femore (fabbisogno di O2 aumentato in relazione all’accrescimento da un lato,
insufficiente vascolarizzazione dall’altro). Una complicanza possibile durante l’infanzia è la cosiddetta
sindrome mano-piede, dovuta a microinfarti della midollare del carpo e del tarso.
• Occhi: vi sono aree di degenerazione retinica con infarti, emorragie del vitreo, distacco di retina e
retinite proliferativa. Nel 90% dei casi si riscontrano microaneurismi nei vasi superficiali della
congiuntiva bulbare.
• Cute: ulcere atrofiche degli arti inferiori, soprattutto alla superficie mediale della tibia e della
caviglia.
• Apparato genitale maschile: di non raro riscontro è il priapismo.
• Sistema nervoso: circa il 25% dei pazienti affetti da anemia falciforme presenta lesioni neurologiche
che comprendono emiplegia, amaurosi, paralisi dei nervi cranici e più raramente il quadro si complica
fino alla comparsa di episodi convulsivi, stato soporoso e coma. I soggetti affetti da drepanocitosi
omozigote hanno, infatti, un rischio aumentato di ictus, che si attesta intorno all’11% a 20 anni, 15%
a 30 anni e 24% a 45 anni.
• Fegato e vie biliari: un terzo dei pazienti sviluppa colelitiasi durante l’adolescenza, solo il 10% di essi
presenta ostruzione biliare; l’epatomegalia è abbastanza costante.
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• Milza: la maggior parte dei pazienti affetti da drepanocitosi sviluppa un’asplenia funzionale dovuta
alle continue e ripetute occlusioni microvascolari, ischemie e infarti, con conseguente fibrosi
splenica.
Altre complicanze sono:
Ø Sequestro splenico acuto: descritto in una percentuale variabile dal 7 al 30% dei casi in età compresa
tra i 3 mesi e i 5 anni e caratterizzato da un brusco peggioramento dell’anemia, reticolocitosi e una
milza ingrossata e dolente. Tale condizione può essere particolarmente pericolosa per la vita del
paziente, in ragione della sua evoluzione in ipovolemia, collasso cardiocircolatorio e ischemia
multiorgano.
Ø Aumento rischio di sepsi da batteri capsulati: la sepsi da pneumococco rappresentava una delle
principali cause di morte, soprattutto nei bambini < 5 anni d’età → la febbre in questi pazienti
rappresenta un’emergenza medica. Queste manifestazioni fanno seguito all’asplenia funzionale
LABORATORIO:
- Anemia normocitica normocromica (Hb 6-10 g/dl)
- MCV (50-60 fl) → microcitosi solo nella talassodrepanocitosi (mentre non è presente nelle forme di
drepanocitosi omozigote)
- Morfologia eritrocitaria caratteristica → ipocromia, anisocitosi, emazie falciformi, a bersaglio,
eritroblasti
- Hb foresi (HbS; ↑ HbF; nella talassodrepanocitosi ↑ HbA2)
- Iperbilirubinemia (4-6 mg bil. Indiretta)
- Test di falcizzazione positivo → si mettono i GR in soluzione con una sostanza in grado di sottrarre
ossigeno (come il metabisolfito di sodio) e vedo se si falcizzano
La diagnosi si basa sugli esami di laboratorio, confermata dallo studio familiare.
TERAPIA:
v Emotrasfusioni → è sì in grado di ridurre o annullare le manifestazioni cliniche ma
contemporaneamente il regime trasfusionale è particolarmente invalidante e richiede terapie
aggiuntive (prima di tutto la terapia ferrochelante)
§ Occasionali → forma più consigliata, da utilizzare nei momenti in cui l’anemia è
particolarmente marcata
L’anemia va corretta con trasfusioni quando si presenta con segni clinici di scompenso (tachicardia,
tachipnea, dispnea o affaticamento) o valore assoluto Hb <5 g/dl; è pure da considerare se il calo di Hb > 2
g/dl rispetto al valore abituale per il pz.
§ Regime trasfusionale regolare
Ø Trasfusioni semplici (top-up) → se fatte regolarmente finiscono per diluire la
concentrazione di HbS, che raggiunge valori decisamente più bassi rispetto a quelle
presenti nei pz non trasfusi
Ø Eritrocito-afaresi → sostituiamo il sangue del paziente immettendo eritrociti senza
HbS. Questa metodica presenta numerosi vantaggi: riduce il sovraccarico di ferro, ha
una maggiore efficacia portando rapidamente l’HbS a valori molto bassi e tali valori
hanno una maggiore durata (l’eritrocito-afaresi può essere fatta 1 volta ogni 4 mesi)
Per il rischio di ictus deve essere condotto un follow-up con doppler transcranico.
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Per le crisi vaso-occlusive deve essere valutata l’entità del dolore e messa
in atto una terapia antidolorifica adeguata: deve essere iniziata entro 30
min e obiettivo iniziale minimo è di ridurre il punteggio VAS del 50%. Il
paracetamolo, l’ibuprofene, il ketoralac, la codeina e la morfina sono gli
analgesici raccomandati per il dolore nei bambini, ma alcuni farmaci
possono essere sostituiti se non disponibili o non ben tollerati. L’uso
sequenziale di farmaci analgesici e basato sul livello di dolore del
bambino. I bambini devono ricevere gli analgesici ad intervalli prefissati,
con dosi “di salvataggio” per il dolore intermittente e per il dolore che
insorge nell’intervallo tra le dosi. L’intervallo tra le dosi va determinato in
accordo con l’intensità del dolore e la durata dell’effetto analgesico del
farmaco in questione.
Per il rischio infettivo fondamentale sono le vaccinazioni e la profilassi antibiotica con penicillina o con
amoxicillina da iniziare tra il secondo e il terzo mesi di vita e da continuare fino almeno ai 5 anni.
Ø Idrossiurea: aumenta la produzione di HbF. Il suo utilizzo si associa ad una più bassa percentuale di
incidenza di sindrome polmonare acuta, di dolore, dattilite e bisogno trasfusionale.
Il trattamento è indicato nei bambini, già dai primi mesi di vita, e nei giovani adulti che presentano
una o più delle seguenti condizioni:
• Gravi crisi dolorose ricorrenti
• Sindrome polmonare ricorrente e/o un singolo episodio grave
• Dattilite
• Ipertensione polmonare
• Anemia cronica moderata/grave o sintomatica
Trapianto di cellule staminali emopoietiche → unica terapia che consente guarigione vera e propria.
Indicazioni sono:
la terapia trapiantologica è gravata da
alcuni problemi di tossicità, mortalità e
comorbilità a lungo termine → affinchè tali
problematiche siano contenute è necessario
un donatore familiare compatibile
(fratello/sorella non affetto da malattia)
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ANEMIE IMMUNOEMOLITICHE
Con il termine di immunoemolisi si indica un processo per il quale le emazie sono prematuramente distrutte
a causa dell’interazione con anticorpi diretti contro antigeni propri della loro membrana o contro antigeni
estranei all’organismo (farmaci), in grado di stabilire con la membrana eritrocitaria vari tipi di associazione.
Possono essere distinte in:
- Da isoimmunizzazione: emazie veicolanti un particolare antigene vengono a contatto con il sistema
immunitario di un soggetto sprovvisto di quell’antigene e che perciò lo riconosce come estraneo
(trasfusione di sangue incompatibile o da incompatibilità materno-fetale)
- Autoimmuni: Ab prodotti dallo stesso soggetto cui appartengono le emazie, per un errore del
sistema immunitario nella discriminazione tra self e non self (incluse quelle indotte da farmaci)
Da isoanticorpi Da autoanticorpi
• Reazioni emolitiche post-trasfusionali • Da anticorpi incompleti caldi:
• Malattia emolitica del neonato - Idiopatiche
- Sintomatiche da malattie linfoproliferative,
malattie autoimmuni e processi infettivi
- Secondarie all’assunzione di farmaci
• Da anticorpi completi freddi
- Idiopatiche
- Sintomatiche da malattie linfoproliferative
e processi infettivi
• Da emolisine bifasiche
Ø Anticorpi caldi: Ab che reagiscono meglio a 37° C e solitamente diretti contro antigeni proteici e
farmaci (sono solitamente IgG)
Ø Anticorpi freddi: reagiscono meglio a temperature sotto i 37° C e significativamente sotto i 32° C;
sono solitamente diretti contro antigeni polisaccaridici e appartengono alla classe delle IgM
Ø Completi: hanno capacità di agglutinare direttamente le emazie = le IgM che sono pentameri riescono
a superare la repulsione dovuta alle cariche negative del GR e a provocare agglutinazione
Ø Incompleti: non provocano agglutinazione diretta = IgG, pur essendo bivalenti, non riescono a vincere
le resistenze e avvicinare due GR
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L’emolisi può essere:
• Intravascolare: quando la sequenza complementare alla superficie delle emazie si svolge fino
all’attivazione delle frazioni C8 e C9. Questo può avvenire solo se la fissazione del complemento è
adeguata (occorre che 2 unità anticorpali giustapposte reagiscano con l’antigene, più frequente per
le IgM che le IgG) e se il processo della sua attivazione avviene a 37° C = parametri soddisfatti solo
per IgG a concentrazione molto elevata o per IgM diretti contro antigeni del sistema ABH che si
legano alle emazie anche a 37° C.
• Extravascolare: accelerata distruzione negli organi emocateretici delle emazie ricoperte di
immunoglobuline e/o frazioni del complemento. Nella maggior parte dei casi è extravascolare.
DA ANTICORPI CALDI
Anemie causate da autoanticorpi antieritrocitari, appartenenti alla
classe IgG o IgA più raramente. Di solito sono diretti contro i
determinanti antigenici del sistema Rh (soprattutto il D). Si
distinguono forme idiopatiche e secondarie, solitamente a malattie
immunoproliferative, autoimmuni, infezioni batteriche, virali o da
farmaci (α-metildopa, levodopa, penicilline, cefalosporine,
chinidina).
o 1 caso/80.000 individui
o Vengono colpite tutte le età, con picco intorno ai 40 anni e
leggera prevalenza nel sesso F, soprattutto nelle forme
idiopatiche
o Nelle donne solitamente precede l’insorgenza di LES
o Le forme idiopatiche hanno un picco nell’infanzia e un altro
nella 3° e 5° decade
L’emolisi è extravascolare (intrasplenica) a meno che non vi sia un
elevato tasso anticorpale.
Il quadro clinico non è particolare e ricalca quello delle altre anemie.
Più spesso la malattia si sviluppa in modo insidioso con un’anemia
emolitica di modesta gravità (normocitica normocromica, la lieve
macrocitosi è riferibile alla reticolocitosi) che si accompagna a
subittero e lieve splenomegalia (2-3 cm sotto il margine costale).
Talvolta può presentarsi con un quadro più grave ad esordio fulminante e spesso letale (emolisi improvvisa,
febbre e quadro di shock) e nel sangue periferico si riscontrano segni di intensa rigenerazione midollare dei
GR. Sono presenti numerosi sferociti. Iperbilirubinemia indiretta, elevata escrezione di bilinogeni urinari e
fecali e diminuzione dell’aptoglobina sierica. La natura autoimmune viene precisata col test di Coombs
diretto, capace di rilevare la presenza o meno di anticorpi e/o di frazioni complementari sulle emazie del
paziente in esame: in questo caso i GR sono già ricoperti di Ab incompleti caldi → dopo essere stati
opportunatamente lavati sono incubati con siero siero di coniglio anti-Ig umane → se sulla membrana del GR
sono adesi Ab o frazioni complementari corrispondenti, si avrà una reazione con gli Ab del siero di Coombs,
con agglutinazione dei GR.
Ø Nella maggior parte dei casi si presenta con un’anemia moderata con test di Coombs diretto positivo
per IgG e negativo per C3
Ø Se l’anemia è grave e la concentrazione di IgG è elevata il test di Coombs sarà positivo sia per IgG che
per C3
L’andamento della malattia è cronico, con remissioni e riacutizzazioni del processo emolitico. Il trattamento
è a base di corticosteroidi → nel 70% il quadro ematologico migliora nettamente, con il 20-30% di remissione
definitive. Nei pazienti non responsivi vengono utilizzati immunosoppressori. La splenectomia è destinata a
migliorare l’emolisi nel 50% dei casi, percentuale che aumenta se la sede di emolisi è principalmente splenica.
Utile la somministrazione di IVIG.
!!Gli anticorpi possono passare la placenta e dare un’anemia emolitica nel neonato!!
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NB: sindrome di Evan: anemia emolitica autoimmune (classicamente da Ab caldi) + trombocitopenia
immune; Ab anti-piastrine e Ab anti-eritrociti sono distinti e non cross-reagiscono. Nei neonati si manifestano
in maniera acuta e con anemia marcata; nei bambini-adolescenti è solitamente transitoria.
DA ANTICORPI FREDDI
Autoanticorpi antieritrocitari appartenenti alla classe IgM. Si legano ai GR tra 0° e 4° C e tendono a staccarsi
a temperature superiori a 32° C. La maggior parte presenta una specificità per i determinanti antigeni del
sistema I/i e anche in questo caso possono esserci forme idiopatiche e forme secondarie.
Nelle forme idiopatiche l’autoanticorpo è monoclonale e presenta infatti un solo tipo di catena leggera (k)
→ la malattia sembra dovuta al fatto che una cellula capace di produrre questo particolare autoanticorpo
sfugge ai meccanismi di regolazione e si mette a proliferare autonomamente, realizzandosi un clone cellulare
di dimensioni tali da produrre quantità elevate, in proporzione, di questo particolare anticorpo.
Ø Più frequenti nelle persone anziane
Ø Sono benigne e presentano un decorso cronico → l’anemia insorge gradualmente e la
sintomatologia tende ad aggravarsi con la stagione fredda; spesso l’unico sintomo è rappresentato
dall’acrocianosi, secondaria all’agglutinazione delle emazie nei capillari cutanei delle estremità. Il
fenomeno raramente porta a gangrena ischemica e regredisce con il riscaldamento.
Le forme sintomatiche da malattie linfoproliferative si verificano solitamente in corso di macroglobulinemia
di Waldenstrom, linfomi (può precedere un linfoma a cell B), leucemia linfatica cronica e mieloma. Gli Ab
sono monoclonali e vengono prodotti dal clone maligno.
Le forme sintomatiche da infezioni si caratterizzano per la produzione di crioagglutinine di tipo policlonale.
Più comunemente si verifica in corso di infezioni da Mycoplasma pneumoniae o nella mononucleosi infettiva
(l’emolisi si verifica 2-3 sett. dopo l’infezione).
Patogenesi:
Le crioagglutinine e il complemento si fissano ai GR nelle aree periferiche (punta del naso, mani, piedi, lobi
delle orecchie) della circolazione superficiale, dove la temperatura è più bassa e facilmente si ha
vasocostrizione e quindi stasi. Quando gli eritrociti fanno ritorno nei tessuti a temperatura più elevata,
l’anticorpo si stacca dai GR, mentre il complemento vi rimane legato. La capacità delle crioagglutinine è
massima a 4°C e decresce progressivamente fino ai 31°C; al contrario il complemento inizia a fissarsi a 12°C
e raggiunge il massimo della sua attivazione a 37°C. La sequenza di attivazione del complemento non è
completa, ma si arresta allo stadio C3b → le cell così rivestite sono riconosciute dalle cell del Kupfer e distrutti
in misura minore rispetto a quando sono ricoperti di Ig.
Il test di Coombs indiretto mette in
Il test di Coombs diretto sarà positivo per il complemento e negativo per evidenza la presenza di anticorpi liberi
le IgM; è comunque possibile dimostrare la presenza delle IgM inducendo nel siero: il siero in esame viene
l’agglutinazione delle emazie in presenza del siero del paziente a freddo incubato con emazie di altro soggetto
(4° C) → l’agglutinazione è reversibile e scompare riportando le emazie dotato dell’antigene nei riguardi del
incubate con il siero del paziente a 37° C. quale sono diretti gli anticorpi di cui si
va alla ricerca; se gli anticorpi sono
presenti nel siero in esame si
ANEMIA EMOLITICA MECCANICA legheranno alla superficie delle
Si verifica a seguito della presenza di: emazie, per cui l’aggiunta del siero di
1. Materiale protesico e alterazione del flusso sanguigno a seguito di Coombs provocherà agglutinazione.
un intervento di cardiochirurgia
2. Anemia emolitica microangiopatica
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MALATTIA EMOLITICA DEL NEONATO
Anemia emolitica da isoimmunizzazione, che fa seguito alla presenza di Ab:
- Anti-D (più frequenti) o altri antigeni del sistema Rh (anti-c, -E, -C)
- Anti-ABO
- Altri alloanticorpi contro antigeni del sistema sanguigno (es Kell, Duffy, Kidd, MNSs)
Da incompatibilità Rh
Si osserva in caso di madre Rh-negativa e bambino Rh-positivo. Nella maggior parte dei casi fa seguito alla
presenza di anticorpi anti-D che si formano a seguito di una precedente immunizzazione (non essendo questi
anticorpi naturali) → il passaggio di emazie attraverso la placenta può verificarsi a partire dalle 5 settimane
di gravidanza, ma è soprattutto al momento del parto che queste trasfusioni sono di entità notevole (si può
verificare anche per impianto incompleto, malformazioni placentari o traumi addominali).
Il rischio di MEN, quindi, nel corso della prima gravidanza è minimo sia perché il passaggio dei GR avviene
principalmente al momento del parto sia perché la risposta primaria porta allo sviluppo principalmente di
IgM, che non attraversano la barriera placentare. Lo sviluppo della risposta anticorpale materna dipende da
diversi fattori:
- Dose/volume dell’antigene presentato
- Abilità dell’antigene di causare risposta
- Quanto frequentemente c’è stata l’esposizione all’antigene
- Compatibilità ABO
Gli anticorpi materni si fissano alla superficie delle emazie fetali e ne facilitano la distruzione → comporta
iperplasia eritroide midollare ed eritropoiesi extramidollare compensatoria con reticolocitosi ed
eritroblastosi; qualora l’emolisi sia di entità tale da superare le capacità di compenso del feto, compare
marcata ipossia tissutale che si traduce in gravi lesioni epatiche, cardiache e turbe della funzione di scambio
a livello placentare. L’ittero alla nascita è generalmente assente ma compare entro le 24h → la bilirubinemia
indiretta aumenta rapidamente perché il processo emolitico continua e perché l’attività della glucorinil-
transferasi epatica nel neonato è molto bassa. Se la bilirubinemia > 20 mg/dl passa la barriera
ematoencefalica potendo portare a gravi lesioni (ittero nucleare).
Le manifestazioni cliniche più importanti delle MEN sono rappresentate da anemia, ittero,
epatosplenomegalia e nei pz non trattati kernittero. Le conseguenze della MEN vanno da un processo
emolitico non sempre evidenziabile nonostante Coombs positivo (30-40%) a malattia emolitica grave più o
meno tardiva (40-50%) a idrope fetale subito dopo il parto (5%) a more intrauterina del feto a 25-35
settimane (15%). La MEN può essere stadiata in lieve, moderata o severa a seconda della presentazione
clinica, dei livelli di Hb e bilirubina.
Ø Forma lieve: nato non anemico e potrebbe non manifestare ittero ma l’Hb potrebbe scendere
drasticamente dopo la nascita (Hb 6 g/dl 30 giorni dopo la nascita). Necessita di stretto follow-up se
il DAT è positivo.
Ø Forma moderata: potrebbe essere o meno anemico alla nascita, l’ittero si sviluppa qualche ora dopo
la nascita (la bilirubina viene eliminata attraverso la placenta durante la vita intrauterina). La severità
dell’ittero dipende dal tasso di distruzione dei GR e dall’abilità del fegato di eliminare la bilirubina →
i bambini affetti sono a rischio di kernittero (spasticità, opistotono, ritardo mentale o morte da
insufficienza respiratoria)
Ø Forma severa: evoluzione in idrope fetale per progressiva anemia fetale. Si registra dapprima un
incremento compensatorio dell’eritropoiesi epatica, destinata a sovvertire la struttura parenchimale
del fegato → compaiono ipertensione della vena porta e di quella ombelicale, edema placentare,
ipertrofia trofoblastica → ne consegue gravi turbe della circolazione fetoplacentare con riduzione
dell’apporto nutritivo al feto → edemi generalizzati, versamenti ascitici, pleurici e pericardici con
abnorme distensione dell’addome del torace (anasarca da ipoalbuminemia). Epatosplenomegalie
imponente, compaiono infine estese soffusioni emorragiche cutanee secondarie a deficit di sintesi
dei fattori epatici della coagulazione. Possibilità di sopravvivenza < 10-20%.
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Diagnosi in corso di gravidanza si basa sulla presenza di isoanticorpi anit-D nel siero della madre e sull’esame
del liquido amniotico → dopo la prima immunizzazione gli anticorpi rimangono solitamente bassi fino alla
seconda gravidanza, quando il passaggio di sangue fetale (di solito nel secondo trimestre) provoca l’aumento
del titolo anticorpale. Si effettua una prima determinazione a 16 sett e una seconda a 28-32 sett, se si registra
un aumento di questi anticorpi si eseguono ulteriori controlli ogni 1-2 settimane. L’entità del titolo
anticorpale è correlabile alla gravità della MEN. A 28-32 sett si possono ottenere altre informazioni
eseguendo un prelievo di liquido amniotico e valutandone il contenuto di bilirubina e l’eventuale presenza di
anticorpi anti-Rh. Da questo si può dedurre quale condotta adottare: astensione terapeutica, parto provocato
o trasfusione intrauterina.
La diagnosi alla nascita è immunologica e si basa sull’incompatibilità materno-fetale e sul test di Coombs
diretto (effettuato su sangue del cordone ombelicale), che mostra l’avvenuta sensibilizzazione delle emazie
del neonato. Il Coombs indiretto è positivo nel sangue materno.
I GR fissano più C1 per unità di anticorpo presente sulla loro superficie di quanto non facciano le cellule
normali, a sua volta il C1 promuove una maggiore fissazione del C3 (per molecola di C1) → nei pz con EPN
non è necessario il C1 ma il C3 si fissa preferenzialmente per via alternativa
Dal punto di vista patogenetico, tale alterazione sembra essere correlata al deficit alla superficie delle emazie
di due proteine importanti per tenere a freno l’attivazione del complemento:
- MIRL: Membrane Inhibitor of Reactive Lysis o CD59 → per rendere le emazie suscettibili alla lisi è
sufficiente la sua carenza perché essa antagonizza le tappe avanzate della cascata del complemento
- DAF: Decay Accelerating Factor o CD55
Queste due proteine non attraversano la membrana cellulare a tutto spessore ma sono tenute ancorate
grazie al legame con un oligosaccaride contenente GPI e perciò detto GPI-àncora → questa è immersa nello
strato esterno del doppio foglietto lipidico e la sua assenza fa sì che tutte le molecole proteiche che le sono
ordinariamente collegate non siano più trattenute alla superficie cellulare.
Ø Sembra che nella EPN il difetto principale sia la sintesi difettosa di GPI-àncora a seguito di
mutazioni somatiche
Clinicamente si manifesta con la comparsa di crisi di emolisi intravascolare ed emoglobinuria → tali crisi
sembrano essere associate più che alla notte al sonno (infatti avvengono di giorno in quei soggetti che
presentano un ritmo sonno/veglia invertito). Questo fenomeno era stato spiegato dal fatto che la ridotta
attività dei centri respiratori durante il sonno, con relativo aumento della pressione parziale di CO2 ematica
e lieve riduzione del pH, favorisse l’attivazione della via alternativa del complemento e l’emolisi dei GR.
L’emoglobinuria è presente all’esordio solo in un quarto dei casi, ma nel decorso della malattia compare
quasi in tutti i pazienti, talora con esacerbazioni emolitiche notturne → tipico il riscontro di urine molto scure
al mattino che si schiariscono durante il giorno. Oltre alla ritmicità sonno/veglia degli episodi emolitici si
registrano crisi di emolisi acuta di varia durata (pochi giorni/qualche settimana) con anemizzazione intensa.
Solitamente la causa di queste crisi rimane sconosciuta, anche se talvolta esse si accompagnano a infezioni
virali, trasfusioni, mestruazioni, interventi chirurgici o assunzione di Sali di ferro. I sintomi di queste crisi sono
dolori retrosternali, lombari (forse dovuti all’iperattività delle cell dei tubuli renali prox nel riassorbire l’Hb,
con iperemia renale), addominale (tipo colica). Compaiono anche pallore, astenia, febbre, cefalea e
subittero, talvolta nausea e vomito.
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Le complicanze più frequenti sono aplasia midollare, trombosi venose e infezioni.
Ø È stata associata l’anemia di Fanconi, all’anemia aplastica farmacoindotta e all’anemia aplastica
idiopatica. Si è supposto che in tale condizione, immunologicamente mediata, le cell staminali
emopoietiche, alterate per la mutazione somatica che conduce all’EPN, godrebbero di un vantaggio
selettivo, in quanto più resistenti ai meccanismi di distruzione immunologica, e in particolar modo
all’azione delle cellule NK.
Ø La trombosi venosa rappresenta la principale causa di morte dei pz con EPN. Questa aumentata
tendenza alla trombosi sembra poter essere correlata alla carenza di una proteina sulla superficie dei
leucociti e delle piastrine, ovvero del recettore per l’attivatore del plasminogeno a opera della
urochinasi (uPAR) che è importante per la generazione di plasmina e perciò della fibrinolisi. Vengono
interessati i distretti degli arti inferiori, il sistema portale, il circolo cerebrale e quello mesenterico →
importante porre attenzione ai dolori addominali segnalati dal paziente, i quali, in assenza di emolisi
acuta trovano possibile spiegazione nella trombosi.
- L’emoglobina libera consuma NO, con sua drastica riduzione, il che stimola la vasocostrizione,
la trombosi e la contrazione della muscolatura liscia.
Ø I pazienti hanno una notevole propensione alle infezioni batteriche, attribuibile in parte alla
leucopenia e in parte a menomazione delle funzioni dei granulociti, probabilmente in conseguenza
del fatto che, per la maggior parte, sono derivati da un clone abnorme di cellule emopoietiche. Il 10%
dei decessi può essere ascritto alle infezioni perché, anche se di scarsa entità, favoriscono comunque
l’insorgenza di un processo emolitico ovvero di una crisi di aplasia midollare.
Il quadro ematologico è spesso grave (Hb < 6 g/dl) con GR macrocitici, o talvolta normocitici o microcitici. I
reticolociti sono percentualmente aumentati, anche se in valore assoluto si mantengono bassi per la gravità
dell’anemia e la frequente associazione con anemia aplastica. Nel 50% dei casi si ha leucopenia con possibile
neutropenia e relativa linfocitosi.
Durante la crisi il plasma si presenta color bruno-oro e riflette la presenza di elevati livelli di bilirubina non
coniugata, emoglobina e metemalbumina. L’emoglobinuria nelle urine può essere presente, ma più costante
è il riscontro di emosiderinuria (per metabolizzazione dell’Hb dalle cell tubulari ed eliminazione del ferro
sotto forma di emosiderina).
La diagnosi di EPN deve essere considerata in ogni paziente che presenta segni di emolisi intravascolare, in
presenza di: emoglobinuria ed emosiderinuria; pancitopenia in associazione con emolisi, con midollo sia
ipo- sia normocellulare; persistente e grave iposideremia soprattutto se in concomitanza con crisi emolitiche;
ricorrenti trombosi venose, specialmente addominali; inspiegabili ma ricorrenti coliche addominali; cefalee
accompagnate da un quadro di emolisi cronica. La diagnosi si basa sulla possibilità di stabilire la presenza di
emazie troppo sensibili al complemento → test di Ham: incubare i GR del paziente in presenza di siero umano
acidificato; in ambiente acido il complemento viene attivato per via secondaria e provoca emolisi.
È una malattia cronica con sopravvivenza media intorno ai 10 anni. La gravità del quadro e la prognosi
dipendono soprattutto da:
1. Ampiezza della popolazione patologica (EPN II/III)
2. Grado di ipoplasia midollare
3. Frequenza delle complicanze trombotiche e infettive
Il trattamento ad oggi si avvale di un anticorpo monoclonale, eculizumab o soliris, che lega con elevata
affinità il C5, bloccando la cascata del complemento.
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EMOSTASI E COAGULAZIONE
Il sistema emostatico ha come principale funzione la protezione dell’integrità dell’albero vascolare e limitare
le perdite ematiche in sede di lesione. L’emostasi è strettamente regolata per essere attiva localmente ed
evitare una coagulazione massiva → alterazioni congenite o acquisite possono comportare disordini
emorragici o disordini trombotici.
L’emostasi è il controllo dell’emorragia da una lesione di continuo dell’endotelio vascolare e coinvolge:
1. Interazioni vaso e sue strutture di supporto
2. Piastrine circolanti e sue interazioni con il vaso danneggiato
3. Formazione di fibrina
4. Regolazione dell’estensione del coagulo ematico mediante gli inibitori dei fattori della coagulazione
e il sistema fibrinolitico
5. Riorganizzazione e riparazione della sede della lesione vascolare dopo l’arresto della emorragia
L’emostasi segue il principio di localizzazione, amplificazione e propagazione.
Con il termine di emostasi primaria si definisce il
ruolo dei vasi (endotelio e sottoendotelio) e delle
piastrine e si parla anche di fase vaso-piastrinica.
Sulle cell endoteliali sono presenti numerose
sostanze ad azione anticoagulante, quali
mucopolisaccaridi, che potenziano gli effetti
inibitori dell’antitrombina III (ATIII) e la
trombomodulina, che lega la trombina e aumenta
l’attivazione della proteina C. Le membrane
sottoendoteliali contengono numerose proteine
adesive di sintesi endoteliali (collagene,
trombospondina, fibronectina, fattore di Von
Willebrand) che costituiscono i siti di attacco per le
piastrine e per i leucociti. Quando si determina la
lesione di continuo sulla parete endoteliale e viene
esposto il sottoendotelio, l’immediata reazione è
la formazione del tappo piastrinico attraverso
quattro momenti successivi: adesione, attivazione
e cambiamenti di forma, secrezione del contenuto
dei granuli piastrinici e partecipazione alla
coagulazione locale → le piastrine attivate,
mediante esposizione a sostanze estranee o agenti
agonisti, divengono più sferiche estendendo
pseudopodi più o meno lunghi e rilasciano il
contenuto dei propri granuli (ADP, fibrinogeno e
VWF); l’aggregazione piastrinica avviene attraverso
il legame piastrina-piastrina a livello della
glicoproteina di membrana IIb/IIa e da ultimo
partecipano alla cascata della coagulazione
attraverso l’esposizione dei fosfolipidi di
membrana che agiscono da superficie di legame
per i fattori della coagulazione.
Con il termine di emostasi secondaria si intende il
complesso di reazioni biochimiche che porta
dapprima alla trasformazione del fibrinogeno in
fibrina (coagulazione o fase plasmatica) e
contemporaneamente alla sua eliminazione
(fibrinolisi) una volta che la lesione di continuo è stata riparata.
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componenti del sistema coagulativo:
• Elementi cellulari (piastrine, cell
endoteliali, monociti ed eritrociti)
• Fattori e inibitori coagulazione
• Fattori e inibitori fibrinolitici
• Proteine adesive (es. VWF)
• Proteine della fase acuta
• Ioni calcio: favorisce le interazioni
tra enzimi, cofattori e fosfolipidi
• Superfici fosfolipidiche a carica
negativa: costituiscono la
superficie di reazione
• Citochine (amplificano il processo)
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L’INR utilizza un sistema di calibrazione dei reagenti commerciali (tromboplastine) a mezzo di un reagente di
riferimento attraverso il calcolo di un indice (ISI) che rapporta ogni reagente a quello di riferimento
Scopo: ottenere un sistema di espressione dei risultati che meglio esprima l’ipocoagulabilità dei soggetti in
TAO, consentendo la comparabilità dei risultati su scala mondiale
Risultato: armonizzazione dei dati ottenuti in laboratori diversi con reagenti e strumenti diversi.
Il tempo di tromboplastina parziale attivato (aPTT) è sensibile all’attività dei fattori della fase di contatto e
via intrinseca (precallicreina, chininogeno, XII, XI, IX, e VIII) e della via comune (II, V, X e fibrinogeno), ma
anche alla presenza di eparina e di anticorpi antifosfolipidi (LAC). L’aPTT esplora il meccanismo intrinseco ed
è prolungato:
- In caso di carenza dei fattori XI, IX, VIII, X, V, II e fibrinogeno
- In caso di carenza di precallicreina, chininogeno ad alto peso molecolare, fattore XII (in questo caso
la clinica non è particolarmente rilevante)
Ed è sensibile alla presenza di anticoagulanti circolanti (LAC, emofilia acquisita) o eparina.
L’allungamento dell’aPTT è maggiore quanto più a monte è la carenza (e sarà maggiore quanto più grave sarà
il difetto):
• Deficit di FXII (< 1%) = aPTT > 100-200 sec
• Deficit di FVIII (<1%) = aPTT > 70-80 sec
→ viene utilizzato per valutare la presenza di un rischio emorragico (carenze congenite/acquisite dei fattori
coagulativi VIII, IX, XI; monitoraggio della terapia eparinica con ENF; presenza di inibitori specifici anti F. VIII)
o un rischio trombotico (presenza di LAC). Un allungamento dell’aPTT si associa a:
Ø Carenza congenita di fattori VIII, IX, XI e XII
Ø Trattamento con eparina
Ø Ridotta assunzione/assorbimento di vit. K
Ø Danno epatico
Ø Consumo di fattori (CID)
Ø Ipo/dis-fibrinogenemia
Ø Presenza di LAC
Ø Presenza di inibitori specifici acquisiti (inibitore del F. VIII)
In caso di allungamento dell’aPTT è opportuno effettuare dei test di approfondimento:
• aPTT con aggiunta di polibrene: il polibrene neutralizza l’eparina, perciò se il test si normalizza
l’allungamento è dovuto ad eparina
• aPTT con prova di incrocio con plasma normale: si aggiunge plasma normale al plasma in esame; se
il test si normalizza l’allungamento è dovuto a carenza dei fattori.
Nella valutazione del paziente emorragico e/o a rischio è di fondamentale importanza integrare un’attenta
raccolta dei dati anamnestici, l’esame obiettivo, una valutazione oculata dei test dell’emostasi. Il più
importante test di screening è la raccolta di una storia clinica personale e familiare più accurata possibile →
i reagenti necessari ad eseguire i test di screening dell’emostasi non possiedono lo stesso grado di sensibilità
a tutti i difetti dell’emostasi e non è quindi infrequente trovare delle situazioni nelle quali, pur essendo i test
di laboratorio nella norma, esiste una chiara storia emorragica.
→ errori nella fase pre-analitica:
1. nel momento del prelievo
2. raccolta del campione di sangue: prelievo, contenitore, anticoagulante (va usato il sodio citrato
perché l’EDTA è un chelante del calcio e può alterare le prove di coagulazione)
3. conservazione del campione
4. preparazione del plasma
5. conservazione del campione di plasma
→ può infatti accadere che durante l’esecuzione, la raccolta e la conservazione del prelievo,
l’emostasi venga attivata e questo produrrà degli artefatti nel test di screening, capaci a volte di
mascherare un lieve difetto emostatico o di dare un’impressione di ipercoagulabilità inesistente
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È importante stabilire la natura degli eventi emorragici ed il carattere precoce o tardivo in relazione ai traumi.
In generale i difetti della coagulazione (emostasi secondaria) sono associati:
Porpora (colorazione della pelle
• emartri
e delle membrane mucose
• ematomi → emofilici hanno ematomi > 10 cm, quindi particolarmente estesi
dovuta ad uno stravaso
• emorragie postoperatorie ad insorgenza tardiva emorragico intra- e sottocutaneo
i difetti dell’emostasi primaria (fase vasculo-piastrinica) sono associati a: che non cambia colore dopo
• emorragie mucocutanee pressione esterna) e petecchie
• emorragie post-operatorie immediate (piccole macchie purpuriche <
La raccolta della storia clinica ha come scopo quello di accertare: 3mm) sono dovuti a difetti della
- il tipo di manifestazione emorragica fase vasculo-piastrinica; gli
- la sede, frequenza, durata e gravità dell’emorragia ematomi (massa palpabile di
- se spontanea o post-traumatica sangue extravascolare > 1 cm
che di solito si sviluppa tra diversi
- se precoce o tardiva
piani tissutali) e gli emartri
- interventi chirurgici o estrazioni dentarie senza eventi emorragici
(versamenti ematici articolari)
- anamnesi familiare → stabilire l’eventuale trasmissione genetica sono tipici dei difetti della fase
- età di comparsa dei primi sintomi secondaria.
- presenza di altre malattie
- assunzione recente di farmaci → molti farmaci interferiscono con l’emostasi
Alla raccolta anamnestica seguono i test di screening dell’emostasi: test di primo livello o di primo filtro
sono in grado di evidenziare con buona probabilità la maggiore e più importante parte dei difetti emostatici;
qualora questi test risultino nella norma, ma la storia clinica sia suggestiva del difetto emostatico, si ricorre
ad altre indagini, di secondo filtro o di secondo livello, che vanno ad indagare difetti più rari.
Ø Test di primo filtro attuano un’esplorazione efficace dell’emostasi con l’esecuzione di conta
piastrinica, PT, aPTT, fibrinogeno; il tempo di emorragia è stato considerato il più utile test per la
funzione piastrinica fino al 1988, con valori normali tra 2-10 min e difetti severi se > 30 min → questo
è però poco riproducibile, poco sensibile e time consuming, per cui non viene ad oggi più effettuato.
Il sistema PFA-100 è in grado di misurare la funzionalità piastrinica in toto, riflettendo l’emostasi
primaria, registrando il tempo di chiusura che occorre alle piastrine per chiudere un’apertura
presente in una membrana rivestita da collagene e ADP (Coll/ADP) o da collagene ed epinefrina
(Coll/EPI, sensibile alla terapia con ASA) → ha un alto valore predittivo negativo (>90%) ed è sensibile
a molte variabili, tra cui farmaci e dieta, VWD, deficit di recettori e difetti di rilascio, numero di
piastrine ed ematocrito; mentre è insensibile ai difetti di coagulazione.
Per quanto riguarda il conteggio delle piastrine, generalmente esiste una correlazione inversa fra il
numero di piastrine al di sotto di 100.000/ul e il tempo di emorragia → si possono avere
piastrinopenie spurie o psuedopiastrinopenie EDTA-indotte (probabilmente dovuto ad Ig che
agglutinano le piastrine quando il Ca è chelato).
Ø Lo screening di secondo filtro prevede il dosaggio del fattore XIII, antiplasmina, attivatore del
plasminogeno e il suo inibitore (TPA-PAI), fattore di von-Willebrand, tempo di trombina, tempo di
reptilase. Il tempo di trombina (TT) è il tempo necessario alla formazione del coagulo di fibrina
quando il plasma viene ricalcificato in presenza di concentrazioni ottimali di trombina, esplora quindi
la fase finale della coagulazione ed è allungato in caso di deficit qualitativi o quantitativi del
fibrinogeno (disfibrinogenemia, ipofibrinogemia) o in presenza di anticoagulanti, antitrombotici
naturali o terapeutici (anti-X, anti-trombina) o
prodotti di degradazione del fibrinogeno.
Il fibrinogeno ha un’importanza notevole sia nel
sistema coagulativo che in quello fibrinolitico →
la sua determinazione è indispensabile nella CID
e nelle condizioni pretrombotiche. Le alterazioni
possono essere quantitative (a-/ipo-
/iperfibrinogemia) o alterazioni qualitative
(disfibrinogemia). Un suo aumento si può avere
in caso di processi infiammatori, neoplasie,
gravidanze.
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Riassumendo
→ La fase primaria o vaso-piastrinica viene analizzata con due test:
1. Conta delle piastrine
2. Tempo di emorragia: determinato effettuando un’incisione superficiale accuratamente misurata
sulla cute dell’avambraccio → si utilizza un apparecchio sterile monouso che è in grado di produrre
sulla cute un taglio standard (lunghezza 1 cm, profondità 1 mm) e si valuta con un cronometro il
tempo in cui l’emorragia si arresta. Questo tipo di test è comunque molto variabile e non è specifico
per ciascuno dei difetti della fase vaso-piastrinica, perché è prolungato non solo nelle piastrinopenie
(esiste una correlazione inversa tra BT e conta delle piastrine solo al di sotto di 100.000/mm3) ma
anche in altre situazioni cliniche che si presentano con conta normale delle piastrine (es. assunzione
di acido acetilsalicilico). Il closure time (CT) eseguito con il platelet function analyzer (PFA-100)
fornisce una rapida e semplice misura della funzione piastrinica.
→ la fase della coagulazione è indagata con due esami da eseguire su plasma ottenuto da sangue venoso
periferico in presenza di sodio citrato come anticoagulante:
1. Tempo di protrombina: indaga via estrinseca → sua carenza isolata = deficit fattore VII
2. Tempo di tromboplastina parziale attivato: indaga via intrinseca → sua carenza isolata = deficit di
uno tra i fattori XII, XI, IX, VIII.
Il prolungamento di entrambi indica un deficit nella via comune = X, V, II e fibrinogeno o una carena
multifattoriale, quale si riscontra in corso di coagulopatie acquisite (grave epatopatia, carenza di vit. K,
CID) → il dosaggio dei singoli fattori deve essere effettuato solo dopo l’esecuzione dei test di screening
(tempo di emorragia, conta piastrinica, PT, APTT).
Alcuni altri esami sono importanti nella diagnosi delle coagulopatie acquisite, come la CID:
• Dosaggio fibrinogeno: basato sul tempo di coagulazione di plasma citrato diluito, esposto ad elevate
concentrazioni di trombina
• Tempo di trombina (TT): allungato in presenza di eparina, FDP (prodotti di degradazione della fibrina,
che interferiscono con la polimerizzazione della fibrina), e in alcuni casi di iperfibrinogenemia
• Tempo di reptilasi e tempo di trombin-coagulasi: sensibili alla presenza di FDP, ma non sensibili
all’eparina (per cui risultano utilissimi in caso di terapia eparinica)
• FDP: l’azione della plasmina sul fibrinogeno o sulla fibrina determina l’aumento nel plasma di FPD, la
cui concentrazione normale è di 5 ng/ml. Ad oggi molto utilizzato è il D-dimero, ovvero la
sottopopolazione di FDP derivante dalla digestione della fibrina.
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Alterazioni della fase piastrinica
Per piastrinopenia si definisce un quadro clinico caratterizzato da una conta piastrinica inferiore ai livelli
normali, < 150.000/μl. La presenza di una diminuita conta piastrinica in pz senza manifestazioni emorragiche
deve fare immediatamente pensare ad una falsa piastrinopenia → fenomeno relativamente frequente ed è
dovuto all’agglutinazione delle piastrine che avviene entro i primi 60-90 min in tutti i campioni di sangue con
EDTA, dato che le agglutinine piastriniche (IgG) riconoscono alcuni antigeni piastrinici esposti dall’azione
anticoagulante dell’EDTA. Oppure si può avere per satellitismo delle piastrine attorno ai neutrofili, mediato
dai recettori Fc dei leucociti che interagiscono con anticorpi che si legano alle piastrine in presenza di EDTA.
Queste condizioni vengono riconosciute con la valutazione morfologica dello striscio.
Il rischio emorragico è in funzione sia del numero che della funzionalità piastrinica → con piastrine inferiori
a 50-70.000/mm3 si verificano emorragie sproporzionate ai traumi; con piastrine inferiori a 10-20.000/mm3
si possono osservare emorragie spontanee. Oltre alla conta piastrinica va sempre valutato anche l’MPV
(mean platelet volume) che si attesta solitamente tra i 7 e gli 11 fl e la cui modificazione ci può indirizzare
sulla causa della piastrinopenia:
→ piastrinopenie da diminuita produzione o centrali = MPV basso (amegacariocitiche)
• Ereditarie
• Acquisite:
- Anemia aplastica idiopatica o secondaria (agenti fisici, chimici, infettivi)
- Neoplasie midollari (leucemie, mielomi)
- Infiltrazioni neoplastiche del midollo (linfomi, carcinomi)
- Anemia perniciosa
- Sindromi mielodisplastiche
- Emoglobinuria parossistica notturna
→ piastrinopenie da aumentata distruzione (o consumo) = MPV aumentato (megacariocitiche)
• Microangiopatie diffuse:
- Porpora trombotica trombocitopenica
- CID
- Microemboli neoplastici
• Microangiopatie localizzate:
- Sindrome uremico-emolitica
- Valvulopatie gravi
- Aterosclerosi grave
• Superfici artificiali:
- Valvole artificiali
- Angioplastiche
- Emodialisi
- Circolazione extracorporea
- Cuore artificiale
• Da aumentata distruzione immunologica
- Autoimmune idiopatica: porpora trombocitopenica idiopatica
- Autoimmune secondaria a infezioni (virali, batteriche, protozoarie), malattie immuni (LES), malattie
linfoproliferative (linfomi, leucemia linfatica cronica) e farmaci (chinina, chinidina, digossina,
penicillina)
- Alloimmuni post-trasfusionali
- Isoimmune del neonato
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PORPORA TROMBOCITOPENICA IMMUNE
Con il termine di porpora trombocitopenica autoimmune si fa riferimento ad una condizione caratterizzata
da piastrinopenia isolata (per definizione la conta piastrinica deve essere inferiore a 100.000/mm3) e
susseguente aumento del rischio emorragico, secondari alla produzione di autoanticorpi diretti contro le
glicoproteine di membrana delle piastrine (prevalentemente GpIb/IX e GPIIb/IIIa) e a loro aumentata
distruzione periferica da parte delle cellule del sistema reticolo-endoteliale. È stato, inoltre, riconosciuto
anche un ruolo patogenetico nella produzione di autoanticorpi diretti contro i megacariociti (con successiva
ridotta produzione piastrinica per blocco maturativo midollare) e nel coinvolgimento dell’immunità cellulo-
mediata. Può esordire a tutte le età dopo i 3-6 mesi dalla nascita e se ne distinguono due forme, quella acuta
propria del bambino (80% dei bambini presenta una forma che si risolve spontaneamente o dopo
trattamento entro 6 mesi dalla diagnosi) e quella cronica dell’adulto.
Caratteristiche Bambino Adulto
Durata della piastrinopenia < 6 mesi > 6 mesi
Inizio Immediato Subdolo
Infezione virale associata Comune Rara
Età 2-8 anni Giovani adulti
Sesso M:F 1:1 1:3
Anomalie immunologiche Rare Frequenti
associate
La ITP può essere idiopatica o secondaria (LES, HIV, neoplasie maligne o HCV).
Dal punto di vista clinico, si presenta come una sindrome emorragica di grado da lieve a grave a seconda
dei casi, ed è caratterizzata da petecchie, emorragie mucose e cutanee, gastroenterorragie e talora
emorragie cerebrali. Secondo un criterio puramente temporale l’ITP vien classificata come:
• piastrinopenia immune di nuova insorgenza: trombocitopenia immune entro tre mesi dall’esordio;
• piastrinopenia immune persistente: casi nei quali non si osserva una remissione spontanea o dopo
trattamento in un periodo compreso tra tre e dodici mesi;
• piastrinopenia immune cronica: casi con piastrinopenia persistente oltre i dodici mesi dall’esordio.
Un quadro clinico da considerare con particolare riguardo è quello della PTI in corso di gravidanza → donne
con PTI o che hanno una storia di PTI cronica corrono il rischio di generare un neonato con piastrinopenia
acquisita, in quanto autoanticorpi IgG attraversano la placenta e producono la distruzione di piastrine fetali.
LABORATORIO:
• Piastrinopenia → PLT 5.000-50.000/mmc isolata Dati suggestivi piastrinopenie congenite:
La diagnosi si basa sul reperto di numerosi megacariociti nell’aspirato • Anamnesi familiare pos.
midollare e sull’esclusione di cause note di trombocitopenia (infezioni, • Mancata risposta al trattamento di
LES) → il riscontro di numerosi megacariociti (è di grosse dimensioni e prima linea con steroidi e/o IVIG
plurinucleato) mi permette di dire che non si tratta di una • Diagnosticata in epoca neonatale o
piastrinopenia da ridotta produzione e che il midollo sta funzionando nei primissimi mesi di vita (quelle
adeguatamente. Strade alternative per giungere a diagnosi evitando di immunomediate non insorgono così
effettuare un aspirato midollare (procedura invasiva ed effettuata in precocemente)
sedazione) sono: • Assenza di documentazione di
Ø conta delle piastrine reticolate → sono piastrine giovani che normalità della conta piastrinica
contengono ancora RNA messaggero e possono essere • Piastrinopenia moderata (> 20 x
considerate come l’equivalente piastrinico dei reticolociti; si 109/L) e stabile negli anni
possono dosare in citofluorimetria e permettono di distinguere → una piastrinopenia costante e
le piastrinopenie da insufficiente produzione da quelle da persistente nel tempo ci allontana
iperdistruzione periferica. metodica non standardizzata e dall’ipotesi di forme immuno-mediate,
manca di cut-off precisi → difficile utilizzo soprattutto se la piastrinopenia è stabile
è una diagnosi di esclusione → escludere cause secondarie e e moderata
piastrinopenie genetiche • Manifestazioni non ematologiche →
ad esempio la Wiskott-Aldrich si
caratterizza anche per eczemi e
immunodeficienza; nella MYH9 si
accompagnano sordità, cataratta e
manifestazioni renali 60
Come terapia d’attacco si utilizzano:
v Immunoglobuline e.v. → 0.8-2 g/kg per 1-2 gg (dosaggio immunomodulante)
v M-PDN (metilprednisolone) e.v. → 15-30 mg/kg per 2-3 gg
v PDN (prednisone) per os → 1-3 mg/kg/die per 2-3 settimane
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PIASTRINOPENIE MICROANGIOPATICHE
A questo gruppo fanno parte diversi quadri caratterizzati dall’attivazione della coagulazione, dalla formazione
di microtrombi nel distretto capillare e dalla distruzione meccanica degli elementi figurati.
Esistono diverse forme di microangiopatia trombotica, primitive o secondarie, tutte dovute ad un’alterazione
della parete vasale che provoca la formazione di una pluralità di piccoli trombi piastrinici nella
microcircolazione che causano disordini funzionali a carico di vari organi e apparati (SN e rene
principalmente) e un’anemia emolitica microangioapatica; il consumo di piastrine nella formazione dei
trombi può determinare piastrinopenia e una consistente sindrome emorragica.
Le due forme cliniche più frequenti sono la porpora trombotica trombocitopenica e la sindrome emolitico-
uremica. Possono essere determinate da cause ereditarie, con esordio in età infantile, e/o acquisite.
62
Spesso l’esordio è brusco, con febbre, astenia, nausea, artralgie e mialgie; contemporaneamente si verificano
manifestazioni emorragiche, presenti all’esordio nel 90% dei casi: porpora generalizzata e meno
frequentemente emorragie retiniche, epistassi, emorragie gengivali, emottisi, ematuria, emorragie
gastrointestinali e menorragie. Il quadro clinico evolve presto verso la comparsa di sintomi e segni
neurologici, che possono essere variabili: alterazioni dello stato mentale, irritabilità, confusione, agitazione,
cefalea, disturbi visivi, deficit focali sensoriali e motori, convulsioni, stupore e coma. La compromissione
renale è frequente, ma in genere è lieve e un’insufficienza renale grave con uremia è rara.
Il decorso clinico della TTP è solo occasionalmente acuto, solitamente infatti ha un andamento clinico subdolo
subacuto o cronico e si presenta spesso con fasi di riacutizzazione.
• Acuta-fulminante: spesso fatale, frequente in età media, più severa delle altre forme; 2/3 dei pz
guariti non recidivano, nei rimanenti ricorre a intervalli intermittenti e non prevedibili
• Cronica-rara: esordio insidioso, congenita e solitamente ad esordio infantile (ricorre ogni 3 settimane
circa indefinitivamente)
• Ricorrente-molto comune: intervalli di mesi o anni
• Familiare-rara.
Senza un intenso trattamento la mortalità è estremamente elevata (80%) → fondamentale un trattamento
tempestivo. Terapia di scelta è il plasma exchange → 1 o 2 sostituzioni di plasma (con rimozione quindi dei
multimeri di FVW) fino a che la conta piastrinica non raggiunge valori > 150.000/mm3. Studi recenti hanno
messo in evidenza l’efficacia di un anticorpo monoclonale, il caplacizumab, il cui uso si è dimostrato associato
ad una riduzione del 74% della morte per TTP, di recidiva o di almeno un evento tromboembolico maggiore;
mostrando anche una riduzione clinicamente significativa dell’uso dello scambio plasmatico in pazienti
trattati con caplacizumab e di una permanenza più breve nell’unità di terapia intensiva.
63
Sindrome emolitico-uremica
Presenta alcuni punti in comune con la TPP, ma dal punto di vista fisiopatogenetico questa è dovuta agli
effetti lesivi della tossina Shiga → la sindrome fa quindi seguito ad infezioni batteriche da parte di batteri
produttori della tossina Shiga, quali E. Coli o Shigella dysenteriae o occasionalmente altri microrganismi,
quali Streptococcus pneumoniae (può provocare forme particolarmente gravi non precedute da diarrea).
I ceppi di E. coli in grado di produrre questa tossina fanno solitamente parte della flora batterica del bestiame,
per questo esiste una prevalenza rurale di questa microangiopatia trombotica. L’infezione può verificarsi per
contaminazione idrica, per il consumo di carne bovina, di verdura o altri cibi. Una volta penetrati
nell’apparato digerente, i batteri produttori di tossina Shiga aderiscono alle cellule epiteliali della mucosa del
colon, che distruggono, e la tossina passa nella circolazione generale. La tossina si lega al CD77, provocando
un danno cellulare sulle cell endoteliali e su quelle renali del mesangio e dei tubuli; la tossina ha inoltre
anche un’attività proinfiammatoria (instaurazione di una vasculopatia infiammatoria, soprattutto a livello
renale, essendo che stimola la produzione di citochine da parte delle cellule glomerulari e tubulari del rene)
e protrombotica (stimola la produzione del FVW da parte dell’endotelio e attiva l’aggregazione piastrinica).
Ø Esiste anche una forma familiare (5-10%) a patogenesi totalmente diversa e con mortalità
decisamente più elevata (50%) → collegata a mutazioni soprattutto a carico del fattore H, proteina
che protegge le cellule dai danni accidentali dovuti ad attivazione della via alternativa del
complemento.
L’infusione di plasma o il plasma exchange sono stati provati ma presentano dei risultati equivoci, il
trattamento rimane principalmente di supporto, con un giudizioso impiego di fluidi e la dialisi, se necessario.
Alcuni studi hanno proposto l’utilizzo di anticorpi monoclonali, in senso profilattico da impiegarsi in bambini
con infezioni da E. coli (urtoxazumab contro la tossina Shiga) o in senso terapeutico (eculizumab, blocca
l’attività del complemento scindendo la proteina C5)
64
COAGULAZIONE INTRVASCOLARE DISSEMINATA
La CID rappresenta un processo patologico in cui si verifica
un’attivazione generalizzata del sistema emostatico →
innescata da svariate condizioni e l’attivazione della
coagulazione porta ad un’eccessiva deposizione di fibrina nel
microcircolo, cui segue la lisi ad opera della plasmina. Il risultato
è dapprima una microtrombosi (formazione di microtrombi
nella circolazione che possono portare a insufficienza d’organo),
alla quale fa seguito un consumo delle piastrine e dei fattori
della coagulazione. A seconda del tempo in cui avvengono
questi fenomeni si può assistere a due quadri clinici e di laboratorio: Condizioni associate alla CID
1. Forma acuta scompensata a impronta prevalentemente
• Sepsi e infezioni gravi:
emorragica, in cui l’elemento scatenante è talmente massivo
- Setticemia da Gram – e
da portare in breve tempo al consumo dei fattori
meningococco
dell’emostasi
- Setticemia da Clostridium welchii
2. Forma cronica compensata o ipercompensata a impronta
- Grave malaria
prevalentemente microtrombotica in cui i livelli dei fattori
- Virus: varicella, HIV, epatite e CMV
della coagulazione sono normali o elevati.
• Neoplasie
La CID non è mai isolata, ma sempre secondaria ad una condizione
- Adenocarcinomi diffusi secernenti
patologica, il cui riconoscimento e trattamento è alla base di un
mucine
adeguato management della CID stessa.
- Leucemia acuta promielocitica
Ø Rappresenta una emergenza ematologica, che può
• Complicanze ostetriche
associarsi ad un’altra emergenza ematologica che è la
- Embolia di liquido amniotico
leucemia promielocitica M3
- Separazione di placenta
- Eclampsia
A seconda che prevalga l’accesso di trombina o di plasmina, il quadro
- Aborto settico
cambia da trombotico ad emorragico:
• Reazioni da ipersensibilità
Ø L’eccesso di trombina produce trombosi per la deposizione
- Anafilassi
di fibrina nel microcircolo e talora anche nei vasi più grossi,
- Trasfusione sangue incompatibile
conducendo spesso a danni d’organo
• Anomalie vascolari
Il quadro microtrombotico è più subdolo e le manifestazioni cliniche
- Protesi valvolare malfunzionanti
sono dovute alla microtrombosi che interessa organi vitali, come
- By-pass cardiaci chirurgici
rene (IR), polmoni (ARDS) e il cervello.
- Aneurismi vascolari
Ø L’eccesso di plasmina induce una rapida degradazione della
• Traumi con danno d’rogano, es
fibrina con comparsa dei suoi fattori di degradazione, che
pancreatite
presentano un effetto anche sulla funzione piastrinica
• Insufficienza epatica
Il quadro emorragico è molto evidente poiché è massivo, con
• Veleni di serpenti
ecchimosi, porpora, petecchie, sanguinamenti dalle sedi di
• Sostanze d’abuso
intervento → diatesi emorragica dovuta al massiccio consumo di tutti
• Ipotermia o colpo di calore
i fattori della coagulazione.
65
Non esiste un test unico di laboratorio in grado di escludere o confermare la diagnosi di CID → fondamentale
tenere conto dell’intero quadro clinico, della sua condizione clinica e patologie associate e di tutti i risultati
di laboratorio disponibili → l’ISTH (Società internazionale di Trombosi ed Emostasi) ha proposto un algoritmo
di 5 step che permette di calcolare uno score di probabilità per CID; pre-requisito per utilizzare lo score è
l’avere una condizione clinica che può associarsi a CID.
1. Conta piastrinica (x 103/mc)
- > 100 = 0
- < 100 = 1
- < 50 = 2
2. PT (tempo di protrombina):
- < 3 sec = 0
- > 3 sec ma < 6 sec = 1
- > 6 sec = 2
3. Fibrinogeno:
- > 100 mg/dl = 0
- < 10 mg/dl = 1
4. D-dimero:
- Stabile = 0
- Moderatamente aumentato = 1
- Fortemente aumentato = 2
In caso di score > o uguale a 5 la diagnosi è compatibile con CID
In caso di score < 5 la diagnosi è suggestiva di non overt CID
Il test patognomonico per la diagnosi di CID è il D-dimero che risulta elevato in tutti i casi; le piastrine possono
essere diminuite (CID scompensata) o normali (CID compensata o ipercompensata) e anche il livello di
fibrinogeno può essere diminuito (CID scompensata) normale (CID compensata) oppure aumentato (CID
ipercompensata). Il PT è prolungato nella CID scompensata per difetto del fibrinogeno e Fattore V.
→ diagnosi differenziale
La TPP differisce dalla CID per diversi aspetti: nella prima le trombosi nella microcircolazione hanno una
prevalente componente piastrinica, mentre nella seconda il ruolo preminente è quello dell’attivazione dei
fattori della coagulazione. Il che comporta tre conseguenze:
1. Nella TPP le trombosi prevalgono nel versante arterioso della microcircolazione, dove la pressione
più alta tende a “lavare” i fattori della coagulazione attivati, ma non a rimuovere i trombi piastrinici
adesi; nella CID le trombosi si verificano principalmente nel versante venoso, dove le condizioni di
relativa stasi favoriscono la formazione dei trombi
2. I trombi della TPP, costituiti principalmente da piastrine, sono lisati meno facilmente dei trombi della
CID; con più frequenti disfunzioni d’organo nella prima
3. Nella TPP il consumo dei fattori della coagulazione (indicato dall’allungamento di PT e APTT) è meno
evidente che nella CID
66
PIASTRINOPATIE CONGENITE
Sono un gruppo di malattie emorragiche dovute ad alterata funzione delle piastrine e possono essere di tipo
congenito (rare) o acquisito (più frequenti). Tutte sono caratterizzate da una storia di sanguinamenti
prolungati sovrapponibile a quella dei soggetti piastrinopenici, ma con un numero di piastrine normali o
lievemente diminuite. La diagnosi si basa sull’esecuzione di test più specifici che valutano in vitro la funzione
dei recettori di membrana coinvolti nei meccanismi di adesione e aggregazione piastrinica e il contenuto dei
granuli α e δ.
PIASTRINOPATIE ACQUISITE
• In corso di malattie ematologiche:
- Sindromi mieloproliferative
- Leucemie acute
- Discrasie plasmacellulari e disprotidemie
- Malattia di von Willebrand acquisita
- CID
• In corso di malattie non ematologiche:
- Uremia
- Epatopatie
- Bypass cardiopolmonare
• Da farmaci: aspirina, ticlopidina, clopidogrel, dipiridamolo, teofillina, penicillina, cefalotine,
nitrofurantoina, procaina, antistaminici, antidepressivi triciclici, α e β-bloccanti
67
ALTERAZIONE DELLA FASE PLASMATICA
Acquisite Congenite
• Da difetto di sintesi di fattori: • Emofilia A e B
- Epatopatie: da un lato si ha • Malattia di von Willebrand
un’aumentata distruzione per la • Deficit fattore VII
presenza di splenomegalia • Deficit fattore II
(piastrinopenia) da ipertensione • Deficit fattore X
portale, dall’altro la cirrosi epatica • Deficit fattore XI
porta ad una ridotta sintesi dei fattori • Deficit fattore XIII
della coagulazione • Ipo-disfibrinogenemia
- Farmaci anti vit. K
• Da attivazione e/o consumo dei fattori:
- CID
- Anticoagulanti circolanti
• Da diluizione dei fattori: trasfusioni massive
Per quanto riguarda gli anticoagulanti orali (es. warfarin) fondamentale è monitorare l’INR che deve essere
tra 2-3 e deve essere accuratamente monitorato, soprattutto nei primi 90 giorni dove più frequente è uno
squilibrio e conseguente emorragia. L’INR viene monitorato a inizio trattamento ogni 2-3 giorni fino al
raggiungimento di un platau. Altri fattori che incidono sul rischio emorragico sono le caratteristiche del pz,
concomitante utilizzo dei farmaci che interferiscono con l’emostasi e durata terapia.
Aumento rischio complicanze per:
- INR > 4,5
- Indicazioni alla TAO per vasculopatia cerebrale
o arteriosa periferica
- Età anziana (> 75 anni)
- I primi 90 gg di trattamento
- Presenza di tumore attivo
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lingua, del labbro o della guancia, sono spesso causa di sanguinamento grave e prolungato; la caduta dei
denti e le estrazioni dentarie danno luogo ad emorragie prolungate. L’ematuria è molto frequente nelle
forme gravi di emofilia ed è accompagnata da dolore colico, dovuto alla formazione di coaguli nella pelvi e al
loro passaggio nell’uretere. Le emorragie intracraniche sono rare e possono essere conseguenti a traumi
anche lievi oppure possono insorgere senza apparenti cause locali o sistemiche.
La malattia di von Willebrand è il più comune disordine ereditario della coagulazione, con una prevalenza, in
certe aree geografiche, dell’1%. I difetti del FVW sono numerosi e possono essere di tipo quantitativo (1 e 3)
o qualitativo (2, suddiviso a sua volta in 2A, 2B, 2M, 2N). L’ereditarietà della forma 3 è AR, quella della forma
2 è principalmente AD e infine quella del tipo 1 è, di solito, AD con caratteristiche fenotipiche e di penetranza
variabili. La sintomatologia clinica è solitamente lieve nella forma 1, mentre si aggrava nelle forme 2 e 3 →
le emorragie mucose sono classiche manifestazioni della malattia, che possono condizionare la qualità di vita.
La diagnosi viene effettuata valutando la concentrazione plasmatica di VWF, la sua capacità di legarsi al
recettore piastrinico GpIb in vitro e la concentrazione del fattore VIII → a questo viene aggiunto il tempo di
sanguinamento (prolungato nella maggior parte dei casi ma comunque non standardizzato e non specifico);
il tempo di chiusura con PFA-100, invece, fornisce una rapida e semplice misura della funzione piastrinica
dipendente dal VWF sotto stress da scorrimento.
Emofilia A e B
Difetti congeniti della coagulazione dovuti alla carenza del FVIII e FIX; entrambi i difetti sono ereditati in
maniera eterosomica e pertanto i maschi sono affetti e le femmine portatrici. Hanno una prevalenza nella
popolazione compresa tra 1:5000 e 1:10000.
La diagnosi si basa sulla storia familiare e personale pos. per diatesi emorragica e sui risultati di laboratorio:
Ø La diagnosi è effettuata in tutti i soggetti che presentano un APTT allungato, mediante il dosaggio
specifico di FVIII e FIX; PT, fibrinogeno, piastrine, tempo di emorragia e tempo di chiusura sono
normali. Il livello circolante di fattori è importante perché permette una stima immediata della
gravità dell’emofilia: grave < 1%; moderata 1-5%; lieve 6-36%
gli scopi del trattamento sono di arrestare o prevenire l’emorragia e di rendere minimi i danni
muscoloschletrici successivi ad ematomi o emartri → le forme gravi o moderate di emofilia A bisogna
ricorrere ai vari concentrati di FVIII, nelle forme lievi i suoi livelli possono essere aumentati con la
desmopressina; nell’emofilia B il trattamento è possibile solo con concentrati di FIX.
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INIBITORI ACQUISITI
Gli inibitori acquisiti sono sostanze patologiche che inattivano i fattori della coagulazione o interferiscono
nelle fasi della cascata coagulativa. Sono di due tipi:
• Anticoagulanti tipo lupus: condizione più frequente, non diatesi emorragica, sono autoAb anti-
fosfolipidi.
• Inibitori dei fattori della coagulazione: molto rari, diatesi emorragica, autoAb contro i singoli fattori
Possono essere secondari ad altre patologie o idiopatici e i fattori della coagulazione interessati sono:
o FVIII: emofilia A acquisita
o VWF: sindrome di von Willebrand acquisita Incidenza circa 1/106/anno
o FXI, FX, FIX, FVII, FV Età media di insorgenza è di circa 65, con
o Fibrinogeno, fibrina, FXIII un range che va dai 2 anni ai 90
Dal punto di vista clinico si manifesta con ematomi muscolari, ecchimosi estese, coinvolgimento della
mucosa (epistassi, gengivorragia, metrorragia), urogenitale (ematuria), emorragie retroperitoneali ed
emartri (rari).
Diagnosi:
Ø APTT prolungato con PT normale
Ø Mancata correzione del test di miscela (37° C >2h) → nel test di miscela, il plasma del paziente viene
miscelato con plasma normale in rapporto 1:1 a 37°C: se l’APTT nel mix è normale allora sarà dovuto
ad una carenza di fattori; se l’APTT mix è allungato: presenza di inibitori, se, dopo il dosaggio dei
fattori, un solo fattore è ridotto alla va ricercato l’inibitore specifico (metodo Bethesda), nel caso in
cui siano ridotti più fattori allora va effettuata una ricerca LAC.
Ø FVIII ridotto o non disponibile
Ø Dosaggio inibitore: metodo Bethesda
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SINDROMI MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE
Le sindromi mieloproliferative croniche (ad oggi definite dall’OMS neoplasie mieloproliferative) sono
neoplasie ematopoietiche clonali derivanti da una cellula progenitrice multipotente anormale.
• Ematopoietiche: originano nel midollo osseo e colpiscono le cellule del sangue → caratterizzate da
proliferazione eritroide, granulocitica e megacariocitica
• Clonali: proliferazioni da una popolazione cellulare che deriva da una singola cellula
• Cellula progenitrice multipotente: i cambiamenti avvengono in una cellula del midollo osseo e
vengono trasmessi alle cellule figlie
Sono, quindi, malattie clonali derivate dalla trasformazione di una cellula progenitrice emopoietica
pluripotente che, avendo conservato una pressoché normale capacità differenziativa, acquisisce un
vantaggio ed una indipendenza proliferativa, esprimendosi con un aumento preferenziale di una o più o
tutte le linee emopoietiche mieloidi.
71
In queste sindromi la maturazione è solitamente normale, ma porta ad un aumento del numero di eritrociti,
granulociti e piastrine, con frequente overlap dei rilievi clinici, laboratoristici e morfologici (leucocitosi,
trombocitosi, aumento dei megacariociti, fibrosi e organomegalia). L’epatosplenomegalia è frequente per
sequestro di sangue, ematopoiesi extramidollare o infiltrazione leucemica.
La classificazione è basata sulla linea proliferativa predominante, sul livello di fibrosi midollare e sui dati clinici
e laboratoristici (FBP, BM, citogenetica e analisi molecolare)
Le sindromi mieloproliferative croniche Philadelphia negative sono classicamente malattie dell’adulto, con
un picco di incidenza nella 7ma decade.
Dal punto di vista patogenetico, questo tipo di sindromi fanno seguito ad una proliferazione disregolata e
sono accompagnate sempre ad un certo grado di fibrosi, che non è un fenomeno neoplastico, ma deriva dalla
proliferazione di fibroblasti per la presenza di specifici fattori di crescita (TNF-β e PDGF).
Alla base sembra esserci una mutazione di JAK (V617F) → il pathway JAK/STAT costituisce la principale
cascata di segnale a valle dei recettori di citochine, chemochine e fattori di crescita; le sindromi
mieloproliferative fanno seguito ad una aberrante attivazione del pathway JAK-STAT che può essere causata:
- Mutazioni somatiche che modificano l’attività di JAK
- Stimolazione citochinica eccessiva
- Modificazioni epigenetiche della struttura cromatinica che interferiscono con la normale regolazione
dell’espressione genica
Fino al 2013 la principale mutazione associata a queste patologie era la JAK V617F, che spiegava il 95% delle
policitemie vere, il 60% delle trombocitemie essenziali e delle mielofibrosi → nel 2013 fu scoperta la
mutazione per la calreticulina (CALR: CAL receptor) e ad oggi rimane solo un 10-15% di TE e MF che
rimangono “triple negative”.
72
POLICITEMIA VERA ED ERITROCITOSI SECONDARIA
Con il termine di poliglobulia o eritrocitosi si intende un aumento, rispetto ai valori normali per sesso, età e
condizioni geografiche, del numero dei globuli rossi circolanti nel sangue periferico → si osserva un aumento
dell’Hct (M > 51%; F > 48%), dell’Hb e dei GR.
La policitemia è classificata in:
• Assoluta:
- Policitemia vera (primaria)
- Policitemia secondaria (acquisita)
- Eritrocitosi idiopatica
• Apparente o pseudopolicitemia: da variazioni del volume plasmatico (la massa eritrocitaria corporea
è normale e l’aumento dell’Hct e dei GR è secondario ad una riduzione del volume plasmatico). Cause
che possono portare ad una riduzione del volume plasmatico sono: ustioni estese, diarrea
inarrestabile, vomito persistente, terapia diuretica protratta; disidratazione da drastica riduzione
dell’introito di liquidi. Esiste anche la cosiddetta eritrocitosi da stress, che si manifesta soprattutto in
M forti fumatori, ipertesi, pletorici ed obesi.
Le eritrocitosi essenziale può essere primitiva o secondaria ed entrambe possono essere causate da
meccanismi patologici congeniti o acquisiti. Le eritrocitosi congenite possono derivare da un’inappropriata
risposta su base ereditaria all’ipossia tissutale o da alterazioni dei progenitori eritroidi che li rendono
ipersensibili all’EPO; mentre le forme acquisite sono dovute a situazioni patologiche caratterizzate da
produzione autonoma di EPO o da alterazioni nei sensori cellulari di ipossia.
Le eritrocitosi primitive sono caratterizzate da un’eccessiva risposta dei progenitori eritroidi alle citochine
circolanti, come risultato di mutazioni congenite o acquisite espresse a livello dei progenitori emopoietici.
Nelle forme secondarie, l’aumento del numero dei GR dipende spesso da situazioni patologiche, che
inducono ipossia tissutale con conseguente appropriato ed esaltato stimolo all’increzione di EPO e
aumentata produzione di GR o da inappropriata ed esaltata secrezione di EPO da parte di tumori.
Tra le cause responsabili riscontriamo delle cause ipossia-mediate:
• Diminuzione della pressione parziale di ossigeno nell’aria ambiente: in persone che vivono ad alta
quota, con eritrocitosi compensatoria come risposta fisiologica a ipossia tissutale
• Patologie polmonari: sono una delle cause più frequenti.
- Patologie polmonari ostruttive croniche con alto rapporto V/Q
- Ipoventilazione alveolare da cause periferiche che compromettono la meccanica della
ventilazione, quali distrofie muscolari, apnee notturne o obesità patologica, spondiliti,
cifoscoliosi, poliomielite. Si accompagna a cianosi e sonnolenza
- Ipoventilazione alveolare da cause encefaliche, come intossicazione da barbiturici, trombosi
cerebrali, encefaliti e tumori cerebrali
• Cause cardiache: eritrocitosi in pz con cardiopatie congenite cianogene associate a uno shunt destro-
sinsitro o con le malformazioni artero-venose congenite che provocano il mescolamento di sangue
venoso e arterioso con conseguente ipossia tissutale
• Da emoglobine con alterata affinità per l’ossigeno:
- Emoglobinopatie da aumentata affinità per l’ossigeno
- Esposizione al CO, per es nel caso di fumo di sigaretta nel tabigismo cronico
- Metaemoglobinemia congenita e HbM
• Anomalie di perfusione renale: aumento dell’EPO per ipossia renale, in assenza di ipossia sistemica
- Aterosclerosi arterie renali
- Rigetto in trapianto renale o poliglobulia dopo trapianto in assenza di rigetto
- Aneurismi che interessano aorta e arterie renali
- Glomerulonefrite focale
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Abbiamo anche dei meccanismi ipossia-indipendenti:
• Da inappropriata secrezione di EPO: di origine renale o extrarenale; eritrocitosi modesta, no
splenomegalia, pO2, GB e piastrine nella norma.
- Lesioni benigne renali, come idronefrosi e cisti, che possono stimolare la produzione di EPO
- Tumori maligni o benigni secernenti EPO, come il carcinoma renale, emangioblastoma
cerebellare, carcinomi surrenalici, epatomi, feocromocitoma, meningioma, leiomiomi
uterini, carcinomi paratoroidi
• Da autotrasfusione e autosomministrazione di EPO umana ricombinante a scopo di doping
• Uso di steroidi androgeni a scopo anabolizzante, che può aumentare la massa eritrocitaria,
stimolando la secrezione di EPO
La principale conseguenza patologica di un’eritrocitosi risiede nel fatto che un eccesso di GR condiziona
importanti modificazioni reologiche, caratterizzate da un aumento della viscosità ematica, rallentamento
del flusso sanguigno con ipossia tissutale e possibilità di insorgenza di fenomeni tromboembolici anche
invalidanti o mortali. Il trasporto di ossigeno si riduce anche con l’aumento dell’Hct (> 60%) → con questi
valori la viscosità tende ad aumentare a tal punto che il flusso di sangue nei piccoli vasi viene nettamente
ridotto e il trasporto di ossigeno peggiora drasticamente → si ha la comparsa di segni e sintomi da diminuita
ossigenazione tissutale (sindrome da iperviscosità):
Ø Algie toraciche o addominali
Ø Mialgie
Ø Astenia/facile faticabilità
Ø Cefalea
Ø Visione offuscata o sintomi compatibili con amaurosi fugace
Ø Parestesie
Ø Ideazione ritardata, confusione e coma
Il paziente si presenta solitamente con pletora facciale (arrossamento della pelle e delle membrane mucose)
o carnagione rubizza; in alcuni si può avere acrocianosi, dovuto al rallentamento del flusso sanguigno
attraverso i piccoli vasi, con conseguente maggiore estrazione di ossigeno. Il possibile rallentamento della
microcircolazione a livello cerebrale può provocare cefalea, letargia, confusione, fino a condizioni più gravi
come l’ictus o il coma.
DIAGNOSI:
1. Valutazione della presenza di una poliglobulia reale:
- Elevata massa eritrocitaria (> 25% del valore medio previsto)
- Spiccato aumento dell’Hb >18,5 g/dl nel M o >16,5 g/dl nella F o maggiore del 99° percentile
del range di riferimento per età, sesso ed altitudine
- Hct > 60% M o > 56% F
2. Nel caso di Hct > 52% M o >47% F, si può procedere alla determinazione della massa eritrocitaria e
alla misurazione del volume plasmatico (se raggiunge i valori di cui sopra la determinazione è
superflua perché la massa eritrocitaria sarà invariabilmente aumentata). La massa eritrocitaria viene
misurata con GR marcati con il Cr51 mentre il volume plasmatico con albumina marcata con I131.
3. Determinazione di saturazione arteriosa e pressione parziale di ossigeno, è importante per
escludere una condizione di ipossia generalizzata.
4. Curva di dissociazione dell’ossigeno dell’Hb in soggetti con familiarità → valutare emoglobinopatie
5. Valutazione dell’EPO permette di distinguere forme primitive e secondarie, dove l’EPO è solitamente
elevata
6. RX torace ed eco addome (con studio del rene)
7. Test molecolare per la valutazione della mutazione di JAK2
74
POLICITEMIA (RUBRA) VERA
È un disordine mieloproliferativo cronico caratterizzato da un’alterazione clonale della cellula staminale con
prevalente coinvolgimento dell’eritropoiesi e conseguente espansione della massa eritrocitaria con un
aumento dell’emoglobina e dell’ematocrito Tale espansione può interessare in minor misura anche le altre
linee emopoietiche e dare origine a leucocitosi e trombocitosi.
Alla base dell’aumentata proliferazione eritroide riscontriamo una mutazione di JAK2, proteina
citoplasmatica ad attività chinasica che regola il segnale generato dal recettore non soltanto dall’EPO, ma
anche dalla trombopoietina, dall’IL-3, del G-CSF e del GM-CSF. La mutazione JAK2 V617F è evidenziabile nel
95% dei casi di PV, nel 50-60% delle TE e MF → è una mutazione acquisita e si presenta nel 30% dei casi di
PV in omozigosi e nei restanti casi in eterozigosi. È stata identificata anche un’altra mutazione a livello
dell’esone 12 che caratterizza la maggior parte delle PV negative per la classica mutazione.
La PV colpisce soggetti di età media di circa 60 anni e predilige il sesso maschile con un rapporto M:F di 2:1.
La diagnosi può essere casuale, per l’effettuazione di esami di routine (che segnalano eritrocitosi, leucocitosi,
piastrinosi, aumento LDH e iperferritinemia), ma più frequentemente il pz presenta dei sintomi minori dovuti
all’aumento della viscosità ematica con prevalente interessamento del piccolo circolo, quali acufeni,
vertigini, disturbi visivi inclusi scotomi e diplopia. Nel 15-20% dei casi l’esordio presenta una maggiore
gravità clinica con fenomeni trombotici maggiori a livello degli organi vitali → ictus cerebrale o TIA, infarto
miocardico acuto, angina pectoris, embolia polmonare o infarti intestinali. Un sintomo molto frequente è
rappresentato dal prurito, che si accentua soprattutto dopo il contatto con l’acqua calda e presenta la
caratteristica peculiare di essere poco responsivo alla terapia con antistaminici. Frequenti anche le
sudorazioni profuse, soprattutto notturne. All’esame obiettivo presentano colorazione rosso vinoso a volto,
naso, labbra e orecchie → colorito rubeosico, iniezione congiuntivale, iperteso. La splenomegalia, causata
dall’emopoiesi extramidollare o metaplasia mieloide, è presente in 1/3 dei casi ed è generalmente
asintomatica all’esordio, ma durante il decorso della malattia il graduale aumento dell’organo dà luogo a
senso di ingombro, sensazione di ripienezza gastrica e dolori in ipocondrio sinistro dovuti ad infarti splenici.
Ø Epatomegalia nel 70% dei pazienti
Ø Splenomegalia nel 40% dei pazienti
Ø Eritromelalgia: rossore, aumento della temperatura cutanea e sensazione di bruciore
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La mortalità è legata soprattutto a episodi Presentazione di un soggetto con PV
tromboembolici (IMA, trombosi venose cerebrali • “per caso” con alterazione dei parametri di laboratorio
o splancniche, embolie) più raramente • Esame obiettivo: rubeosico, iniezione congiuntivale,
emorragici (gastrointestinali o cerebrali)→ iperteso, epato/splenomeglia da moderata a discreta
fattori che pongono il paziente ad alto rischio • Con sintomi minori: eritromelalgia, prurito, gastrite,
trombotico sono l’età > 60 anni, la presenza di parestesie, cefalea, acufeni, disturbi del visus, astenia,
leucocitosi e un’anamnesi positiva per perdita di peso, sintomi di iperuricemia
precedenti eventi trombotici. A questi fattori di • Con sintomi maggiori: trombosi (arteriose, venose
rischio, ovviamente si aggiungono i più comuni: profonde, SNC, vasi retinici, S. Budd-Chiari, vasi
fumo, ipercolosterolemia e diabete. In circa 1/3 mesenterici) o emorragie (gastrointestinali da difetto
dei pazienti si osserva la trasformazione in piastrinico)
un’altra malattia ematologica, principalmente
mielofibrosi (20%) e in leucemia mieloide acuta (15%).
Si configurano “tre fasi” di malattia:
1. Fase proliferativa
2. Fase post-policitemica “spent” in cui il midollo
diviene quasi aplastico → l’evoluzione in MF è
preceduta da una fase in cui il fabbisogno di
flebotomie terapeutiche diminuisce, le
dimensioni della milza aumentano per la
comparsa di emopoiesi ectopica, il midollo
osseo si fa sempre meno ipercellulato e
compare fibrosi midollare
3. Trasformazione in leucemia acuta
Il decesso può avvenire a causa dell’insufficienza midollare che accompagna la mielofibrosi o a causa della
trasformazione leucemica.
LABORATORIO:
- Hct > 52% e Hb > 18 g/dl impongono una misurazione della massa eritrocitaria e del volume
plasmatico
- Reticolocitosi e microcitosi, dovuto ad uno stato di carenza relativa di ferro, i cui depositi vengono
presto esauriti dall’imponente eritropoiesi
- Nel 50% dei casi si riscontrano leucocitosi e trombocitosi
- I livelli di EPO sono ridotti nel plasma e nelle urine, in contrasto con gli elevati valori osservati
nell’eritropoiesi secondarie
- L’esame dall’aspirato midollare e della biopsia ossea mostrano uno spiccato aumento della
cellularità (di tutte le serie) e una riduzione, fino alla totale scomparsa, degli spazi adiposi.
76
Per valutare l’entità della sintomatologia esperita dal
paziente si utilizza un questionario, MPN10 (Total
Symptom Score), valido per tutte le patologie
mieloproliferative. È composto di un questionario, di 10
domande, a cui il paziente è invitato a rispondere
autonomamente dando un punteggio da 1 a 10. Tutti i
sintomi analizzati sono variamente causati da
infiammazione, anemia e splenomegalia. Questo tipo di
test permette di standardizzare la pratica clinica fra i
diversi reparti e di valutare il quadro clinico comparato a
diversi momenti dello stesso paziente.
TRATTAMENTO
L’obiettivo è quello di ridurre l’ematocrito il prima
possibile, portandolo a valori < 45%.
L’intervento di prima istanza è costituito da flebotomie
ripetute (prelievo di un’unità di sangue per ridurre i
globuli rossi) di 200-400 ml fino al raggiungimento di valori
di Hct < 45% → nel caso di Hct molto elevati può essere
utile l’eritroafaresi, pratica che rimuove solo i GR,
reimmettendo plasma e piastrine all’interno del paziente, perché è in grado di ridurre l’Hct di 5-6 punti.
Una volta raggiunto il valore target di Hct, questo deve essere mantenuto con flebotomie periodiche.
Spesso il solo trattamento con flebotomie non è in grado di controllare adeguatamente l’eritropoiesi e la loro
frequenza e la deficienza di ferro che inevitabilmente si instaura non vengono sempre tollerate. Nei pazienti
ad alto rischio è indicata la terapia citoriduttiva, in grado di ridurre significativamente il rischio trombotico
→ viene effettuata con:
• Idrossiurea: può essere usata in associazione con le flebotomie; ma può aumentare il rischio di
trasformazione leucemica da 1-2% al 4-5%
• Agenti alchilanti, come pipobromano o busulfano → non utilizzato per alto rischio di leucemia
• IFN-α: utilizzata principalmente nei giovani e nelle donne in gravidanza e non presenta attività
teratogena o leucemogena
Se non controindicata dalla presenza di comorbidità, quali gastriti o ulcera gastrica, è indicata una terapia
antiaggregante con basse dosi di acido acetilsalicilico (80-100 mg/die), che si è dimostrata in grado di ridurre
significativamente il rischio trombotico.
i pazienti possono essere classificati
in tre categorie di rischio, ad ognuno
delle quali corrisponde una specifica
terapia.
77
TROMBOCITEMIA ESSENZIALE
È un disordine clonale della cellula staminale totipotente a prevalente differenziazione megacariocitica, ed è
caratterizzata da trombocitosi (piastrine > 6000.000/mmc) e iperplasia megacariocitaria del midollo.
Eziopatogenesi
Sia le piastrine che i megacariociti esprimono sulla loro superficie un recettore per la trombopoietina (c-MPL)
→ in condizioni normali, se le piastrine diminuiscono, è minore la quantità di TPO che si lega alla loro
superficie, risultando così maggiore la quantità a disposizione dei megacariociti per legarsi; se al contrario le
piastrine aumentano, una quantità maggiore di TPO sarà fissata alla loro superficie nel sangue circolante e
sarà conseguentemente ridotta la quota disponibile ai megacariociti → con questo meccanismo si realizza
un’omeostasi che tende a mantenere costante il numero di piastrine nel sangue.
Nel caso di trombocitosi reattive (secondarie) si ha un’aumentata produzione di IL-6 (la TPO viene prodotta
dal fegato ed è stimolata dall’aumentata secrezione di questa citochina), che determina un incremento della
TPO generata dal fegato, con azione stimolante sui megacariociti → in questi casi, anche se in presenza di un
elevato numero di piastrine, i livelli ematici di TPO sono aumentati o normali invece che ridotti.
Anche nelle TE, però, i livelli di TPO sono normali o aumentati, verosimilmente per la presenza di alterazioni
nell’espressione del recettore c-MPL nei megacariociti e nelle piastrine con conseguente difetto del legame
con la TPO sintetizzata costitutivamente. Alla base della TE sono stati riscontrati almeno tre mutazioni:
o JAK2 nel 50-60% dei casi
o MPL
o Calreticulina (CALRmut) in una percentuale variabile tra il 50 e il 70% dei pz che non presentano le
prime due mutazioni
La TE è una malattia tipica dell’adulto, con un’età media di insorgenza di circa 50 anni. La maggior parte dei
pz è asintomatica alla diagnosi e la trombocitosi è un riscontro del tutto casuale → circa 1/3 dei pz va però
incontro ad episodi tromboembolici, mentre più rari sono le emorragie: le prime interessano i piccoli vasi,
dando luogo a fenomeni ischemici e ipossici agli arti inferiori (eritromelalgia), disturbi visivi (amaurosi),
acustici e neurologici (disestesie, vertigini, cefalea, attacco ischemico transitorio), cardiaci (angina); i secondi
interessano il 10% dei pz e sono rappresentate da petecchie, ecchimosi ed emorragie mucose, specialmente
gastriche. La probabilità di insorgenza di episodi tromboembolici è proporzionale al numero di piastrine e
aumenta particolarmente quando queste superano il milione per mmc. Splenomegalia è presente nel 60%
dei pz (ripetuti infarti splenici possono determinare atrofia splenica) ed epatomegalia nel 40%.
LABORATORIO:
• Elevato e persistente numero di piastrine con
valori che possono oscillare tra i 700 e 1500 x
109/L → un numero di piastrine > 1000 x 109/L
può associarsi ad una malattia di von
Willebrand acquisita, perché le piastrine
possono legarsi al fattore, con conseguente
aumento delle emorragie.
• Il ferro, la VES e la PCR dovrebbero essere
normali, per escludere che la piastrinosi sia
data da una condizione di flogosi
• Lo striscio periferico mette in evidenza
alterazioni morfologiche delle piastrine, che si
presentano in forme bizzarre, come aggregati
piastrinici o si può ritrovare frammenti di
citoplasma di megacariociti o micromegacariociti circolanti
• La biopsia osteomidollare mostra un incremento della cellularità in rapporto all’età del paziente e
una iperplasia della serie megacariocitica
È importante ricercare le mutazioni, perché i pz con CALRmut sono più giovani, con conta piastrinica elevata
e hanno un minore rischio di trombosi (nella PV era necessario calcolare la carica allelica di JAK2)
78
Vanno escluse la leucemia mieloide cronica (assenza del Chr Ph), la policitemia vera (Hb normale senza deficit
marziale) e tutte le cause di trombocitemia secondaria:
- Anemia ferro-carenziale
- Correzione di carenza di vit. B12/acido folico
- Anemie emolitiche
- Post-emorragiche, sia emorragie acute che croniche (emorroidi, gastropatia erosiva,
iper/polimenorrea)
- In corso di malattie infiammatorie croniche e collagenopatie (Chron, RCU, sarcoidosi, connettivi e
vasculiti, AR, poliarterite nodosa, granulomatosi di Wegener e altre vasculiti)
- Infezioni croniche (tubercolosi, osteomieliti)
- Tumori maligni
- Abuso di etanolo
- Forme “rebound” da ripresa midollare dopo periodo di trombocitopenia (es dopo trattamento con
farmaci citostatici)
- Post-splenectomia/agenesia splenica SCORE RISCHIO TROMBOTICO
- Cirrosi epatica o malattie renali croniche
TRATTAMENTO
Un soggetto nel quale non si siano verificati episodi ischemici, trombotici o
emorragici, può essere considerato asintomatico e se il pz non presenta
fattori di rischio cardiovascolare e ha un’età inferiore ai 60 anni, può essere
considerato a basso rischio e non essere trattato ma solo seguito nel tempo,
indipendentemente dal numero di piastrine nel
sangue, purché queste non superino 1,5 milioni/mmc.
Se il pz è asintomatico/sintomatico ed è ad alto rischio
per l’esistenza di problemi cardiovascolari o ha un’età
maggiore di 60 anni o la conta delle piastrine nel
sangue supera i 1,5 milioni/mmc, è indicato un
trattamento di citoriduzione per ridurre il numero,
associato o meno ad un trattamento antiaggregante
con acido acetilsalicilico. La terapia citoriduttiva viene
effettuata con idrossiurea; se non responsivi o
intolleranti a questo allora si utilizza l’anagrelide (può
dare tachicardia, quindi va fatto ECG e se compare
dopo somministrazione dare ¼ o mezza dose di beta-
bloccante) o IFN-α (unico da poter utilizzare in gravidanza).
79
MIELOFIBROSI PRIMARIA
Disordine mieloproliferativo cronico caratterizzato da splenomegalia, fibrosi midollare, emopoiesi
extramidollare, presenza di cellule immature mieloidi ed eritroidi e di dacriociti (emazie a lacrima) nel
sangue periferico. L’emopoiesi extramidollare, o metaplasia mieloide, riguarda principalmente la milza ed è
causa della splenomegalia, ma può estendersi ad altri organi, tra cui il fegato, ma anche altri tessuti. Oltre
alla forma primaria (esordio ex-novo) possono esserci forme derivanti da altri disordini mieloproliferativi di
transizione, come la PV e la TE (forme secondarie post-PV o post-TE), che possono passare da una fase di
mielofibrosi per poi trasformarsi in leucemia acuta.
La linea cellulare che assume il maggior vantaggio proliferativo è quella megacariocitaria ed i fibroblasti non
fanno parte della proliferazione clonale, ma hanno un’origine policlonale → l’iperplasia dei fibroblasti è
reattiva e verosimilmente dovuta all’azione di vari fattori prodotti localmente dal clone anomalo; i fattori
includono il PDGF, il Platelet Factor 4, il TGFβ, la β-tromboglobulina e la calmodulina → agiscono come agenti
mitogeni stimolando la proliferazione dei fibroblasti e la produzione delle proteine del collageno, favorendo
l’angiogenesi o inibendo le collagenasi specifiche che dovrebbero degradare il collagene depositato.
Questo processo di alterata fibrinogenesi riguarda non solo la matrice midollare ma anche la membrana
basale dell’endotelio delle strutture vascolari, in particolare dei sinusoidi midollari e splenici, che appaiono
dismorfici e dilatati → ne risulta la deposizione di quantità abnormi di fibrina, un incremento della
neovascolarizzazione dell’ambiente midollare e splenico, la rottura della barriera ematomidollare e la
migrazione di elementi emopoietici che colonizzano la milza e in minor misura il fegato. La mielopoiesi
ectopica è comunque insufficiente e, pertanto, inadatta a compensare l’insufficienza midollare che si instaura
inevitabilmente negli ultimi stadi di malattia.
L’età mediana di presentazione è di 60 anni, raramente si presenta al di sotto dei 30 anni. In circa ¼ dei
pazienti la diagnosi è casuale e viene posta a seguito di uno striscio periferico e al riscontro di una modesta
splenomegalia in paziente asintomatico. I sintomi più comuni alla diagnosi sono astenia, cui può contribuire
l’anemia, sintomi da ipercatabolismo, come perdita di peso, sudorazione notturna e febbre, dolore in sede
splenica e una diatesi emorragica di lieve entità, raramente ittero modesto da eritropoiesi inefficace,
ipertensione portale e artropatia gottosa. Un
segno fisico praticamente costante è
l’epatosplenomegalia → la splenomegalia è il
sintomo più costante e può essere anche
parecchio invalidante: la milza può essere
appena palpabile, raggiungere dimensioni
cospicue e massive sia alla diagnosi sia durante
il decorso della malattia; è di consistenza
aumentata e può essere causa di ingombro
addominale con dolore epigastrico (senso di
sazietà precoce, fastidio e dolore addominale,
tosse e inattività) o sede di infarto splenico con
dolore in ipocondrio sinistro, o portare ad
ipertensione portale. La splenectomia non si fa
per l’elevato rischio di mortalità e morbilità,
con una sola eccezione: milza rimane troppo grande nonostante terapia, in pz giovane e con indicazione al
trapianto; in questo caso viene effettuata perché una milza troppo grande potrebbe sequestrare le cell
trapiantate che, quindi, non attecchirebbero bene.
Sintomi costituzionali Splenomegalia Mieloproliferazione Sintomi funzionali
• Sudorazioni notturne • Senso di sazietà • Dolore osseo • Stanchezza
• Perdita di peso: 10% del peso • Fastidio addominale • Prurito • Inattività
d’origine negli ultimi 6 mesi • Tosse • Insonnia
• Febbre
Peggiorano prognosi
80
LABORATORIO:
• In 1/3 dei pz si riscontra
un’anemia normocromica
e normocitica
• La trombocitopenia è
presente nel 30% dei pz;
mentre nel 10-20% si
osserva una trombocitosi
(600.000/mmc)
• Nel 15% dei casi si osserva
leucopenia
→ all’inizio, nella prima fase di
malattia, si evidenziano spesso
trombocitosi e normali livelli di Hb
e leucociti; con il progredire della malattia si mettono in evidenza trombocitopenia, leucopenia ed anemia.
• Allo striscio periferico si riscontrano poichilocitosi, dacriociti, eritroblasti ortocromatici ed elementi
granulocitari immaturi (metamielociti e mielociti)
• Per la diagnosi è indispensabile la BOM (all’agoaspirato si ottiene quasi sempre una punctio sicca o
frustoli midollari ipercellulati e di aspetto fibrotico → può darci il cosiddetto “dry tap” perché non
riusciamo ad asportare il midollo osseo tramite agoaspirato per le troppe fibre) che mette in evidenza
la fibrosi midollare
• Jak2 e CALR arrivano a caratterizzare la quasi totalità dei pazienti affetti da mielofibrosi
La fibrosi midollare consiste nel progressivo accumulo di materiale fibrotico nel midollo osseo, con
progressiva riduzione dello spazio disponibile per le cellule del sangue (precursori dei globuli bianchi/globuli
rossi e megacariociti). In base all’entità della fibrosi, viene effettuato un grading della patologia:
81
Nelle forme iniziali può essere difficile distinguerla
dalla TE → in questo caso però la fibrosi midollare
non supera il 30% della cellularità totale.
La mielofibrosi è una malattia eterogenea e la terapia
deve essere personalizzata, in base alle necessita e
alle alterazioni presentate dal paziente. L’obiettivo
terapeutico è quello di ridurre il rischio trombotico,
ridurre la splenomegalia e i sintomi e migliorare
l’anemia. La terapia principale per il paziente giovane
con donatore HLA compatibile familiare o MUD è il
trapianto di midollo osseo; per i pazienti non
candidabili a questa terapia possono essere utilizzati diversi approcci farmacologici, che presentano però
risultati eterogenei in letteratura. Quelli più utilizzati sono idrossiurea, busulfano e pipobromano che hanno
lo scopo principale di contenere il volume splenico ed eventualmente ridurre la leucocitosi o la piastrinosi
associata. Può essere effettuata una terapia di supporto con trasfusioni.
L’anemia è molto frequente e si osserva per difettosa produzione midollare, sequestro splenico e
sanguinamenti occasionali. Per contrastarla sono stati utilizzati:
• Danazolo (androgeni): risposte in circa il 40% dei casi, ma spesso transitorie (1 anno), migliori risposte
in pz senza splenomegalia massiva
• Eritropoietina: risposta nel 20-60% dei casi, spesso transitorie (1 anno), migliori risposte nei pz con
bassi livelli di EPO
• Talidomide/lenalidomide/pomalidomide: modula il microambiente midollare favorendo la
produzione di GR → talidomide +/- steroidi migliora l’anemia, piastrinopenia e/o splenomegalia in
circa il 20% dei casi e le risposte sono maggiori nei pz senza splenomegalia. Può dare piastrinopenia,
neuropatia periferica o aumento del rischio trombotico.
Un inibitore di Jak1-2, ruxolitinib, è stato approvato per il
trattamento dei pz affetti da mielofibrosi primaria o post-
PV/TE → il principale vantaggio di questo trattamento si
osserva nella riduzione significativa del volume splenico, che
avviene rapidamente all’inizio della terapia, e nella riduzione
dei sintomi, soprattutto astenia, calo ponderale e cachessia.
Principale effetto collaterale è la piastrinopenia, che
frequentemente costringe a una riduzione del dosaggio di
ruxolitinib con conseguente riduzione dei benefici clinici.
82
LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA
Disordine mieloproliferativo che colpisce la cellula staminale multipotente emopoietica, caratterizzato
clinicamente da leucocitosi con cellule mieloidi immature circolanti, marcata iperplasia mieloide midollare
e frequente piastrinosi e splenomegalia. È una malattia tipicamente multifasica, che esordisce con una fase
cronica, per lo più asintomatica, nella quale la proliferazione delle cellule mieloidi si accompagna a una
persistente capacità maturativa → dopo un tempo variabile da pochi mesi a molti anni (in media 3-4 anni),
secondo la sua storia naturale, la fase cronica esita irrimediabilmente in una fase blastica, assumendo le
caratteristiche del blocco maturativo tipico delle leucemie acute, con fenotipo linfoide o mieloide. Frequente
è il riscontro di una fase accelerata, anche essa di durata variabile, che precede la fase blastica mieloide e si
caratterizza per la progressiva perdita della capacità maturativa delle cellule midollari, con incremento dei
blasti e dei promielociti nel midollo e comparsa di anemia, trombocitopenia e basofilia.
Di più frequente riscontro nel sesso maschile (F:M = 1:7) tra la 5° e 6° decade di vita, presenta un’incidenza
di 1-2 nuovi casi/100.000/anno e rappresenta il 15-2’% di tutte le leucemie nell’adulto.
È caratterizzata in più del 95% dei casi dalla presenza del Chr. Philadelphia (è il suo marcatore caratteristico),
derivato dalla traslocazione reciproca bilanciata tra le braccia lunghe dei Chr. 9 e 22 → i geni coinvolti nella
traslocazione sono ABL (9) e BCR (22), con formazione di un nuovo gene BCR/ABL. Il gene ABL è un proto-
oncogene che codifica per una proteina ad attività tirosinchinasica e coinvolta in numerose funzioni cellulari,
tra i quali il processo di trasduzione del segnale mitogeno dal citoplasma al nucleo, la regolazione del ciclo
cellulare e il mantenimento dell’integrità genomica; BCR è una proteina citoplasmatica costitutivamente
espressa. La proteina BCR/ABL presenta
un’attività tirosinchinasica costitutiva, con
conseguente alterazioni di diversi meccanismi
di regolazione del ciclo cellulare: trasduzione
del segnale intracellulare attivato con
conseguente segnale mitogenico; l’adesione
delle cellule allo stroma è anomala, con perdita
dell’inibizione da contatto; inibizione
dell’apoptosi. La forma più tipica di questa
traslocazione dà origine ad un trascritto di 210
kD (P210) → tipica della LMC; ne esistono però
anche altre forme, come la P190, tipico delle
leucemie linfoblastiche acute (queste
costituiscono il 30% delle LAL dell’adulto), o
ancora la P230 associata ad una LMC da
iperplasia granulocitaria (a neutrofili) piuttosto
rara ma con andamento clinico più indolente.
All’esordio la maggior parte dei pz non riferisce sintomi e l’affezione viene diagnosticata attraverso un
emocromo, eseguito per altri motivi, che evidenzia leucocitosi di grado variabile, spesso > 100.000/mmc ed
eosinofilia e basofilia di grado variabile; in circa il 30% dei casi si ha trombocitosi ma solo raramente anemia.
Ø La diagnosi è casuale nel 50% dei casi
83
Ø All’esame emocromocitometrico: Hb normale o poco ridotta; piastrine normali o trombocitosi;
leucocitosi (20.000-500.000) con formula composta da metamielociti, mielociti, promielociti e
mieloblasti
L’esame dello striscio periferico mostra l’intera gamma di precursori, dai metamielociti a, talora, blasti, con
prevalenza di mielociti e promielociti; si possono osservare anche alterazioni morfologiche delle piastrine e
dei globuli rossi, aniso-poichilocitosi.
Quando presenti i sintomi clinici sono generalmente sfumati e includono astenia, sudorazioni notturne,
perdita di peso e febbricola e altri sintomi legati alla splenomegalia.
Ø Nei casi di leucocitosi spiccata (> 300.000-400.000/mmc) si possono avere segni e sintomi di
iperviscosità e rallentamento del circolo in vari distretti, con possibili sintomi neurologici e cerebrali
(parestesie, vertigini, disturbo del sensorio), oculari (diplopia ed edema della pupilla), polmonari
(tosse, dispnea e cianosi), priapismo per rallentamento di circolo nei vasi penieni.
Ø Nel caso di trombocitosi spiccata si possono avere fenomeni trombotici (cefalea, alterazioni visive,
TIA, ictus, trombosi periferiche a livello delle dita o degli arti inferiori)
L’iperuricemia può dare luogo a manifestazioni gottose e l’ipercatabolismo ai sintomi sistemici di anoressia
e perdita di peso, sudorazione e febbre.
La diagnosi di LMC può essere confermata dal riscontro della traslocazione 9;22 in citogenetica e del
trascritto ibrido BCR/ABL in biologia molecolare con PCR su sangue periferico e/o midollare.
Ø Circa il 10% dei pz con LMC non evidenzia il Chr. Ph; di questi però almeno la metà presenta il gene
di fusione BCR/ABL, che si forma a seguito di eventi cromosomici più complessi (Ph mascherato). Un
piccolo gruppo di pz negativi sia per il Chr Ph che per il BCR/ABL è classificato come vera LMC Ph-
negativa, che viene considerata come una forma distinta di disordine mieloproliferativo, con
prognosi talora più severa.
Diagnosi differenziale va posta con:
- Cause secondarie di granulocitosi (reazione leucemoidi): infezioni acute e croniche, tumori, stati
infiamatori (la fosfatasi alcalina è aumentata, mentre nella LCM è diminuita)
- Altre condizioni mieloproliferative: PV, TE, MFP
84
TRATTAMENTO
Criteri di risposta:
• Risposta ematologica completa (RHC): normalizzazione dei valori dell’esame emocromocitometrico
(Hb, GB, PLTS)
• Risposta citogenetica maggiore (RCyM): cell Ph+ <33% alla citogenetica convenzionale o alla FISH
• Risposta citogenetica completa (RCyC): scomparsa completa delle cellule Ph+ alla citogenetica
convenzionale o alla FISH
• Risposta molecolare maggiore (RMoIM): rapporto BCR-ABL/ABL x 100 < 0,1 alla RT-Q-PCR
• Risposta molecolare completa (RMoIC): negatività di BCR-ABL alla RT-Q-PCR confermata alla RT-
nested-PCR
La chemioterapia tradizionale si componeva di idrossiurea e busulfano → hanno effetto solo palliativo, può
normalizzare i valori di GB e piastrine, ma non induce regressione del clone neoplastico; sopravvivenza
mediana circa 4 anni. Indicazioni attuali sono:
- Trattamento iniziale per rapida riduzione leucocitosi
- Terapia per pz molto anziami
- Palliativo, per pz non responsivi ad altre terapie
L’IFN-α è stato il primo farmaco che si è dimostrato in grado di indurre una remissione citogenetica nella
LMC, che nel 20-30% dei casi poteva anche essere completa, con un miglioramento importante della
sopravvivenza. Lo sviluppo dell’imatinib (Glivec) ha cambiato totalmente la prognosi di questi pazienti,
portando addirittura le aspettative di vita di questi pz molte vicine a quelle della popolazione di controllo di
pari età → inibitore selettivo della BCR/ABL che ad oggi rappresenta la terapia di prima linea per la LMC.
L’imatinib nei pz di nuova diagnosi di LMC è in grado di determinare il raggiungimento di una remissione
citogenetica completa in oltre l’80% dei pz trattati, cosa che si traduce in una sopravvivenza globale dell’84-
85% dei casi trattati a distanza di 10 anni dall’inizio della terapia stessa. La risposta alla terapia, però, si fonda
anche e soprattutto sul criterio molecolare perché obiettivo è raggiungere una malattia molecolare minima
o assente → i pz che raggiungono la remissione molecolare maggiore possono considerarsi “funzionalmente
guariti” perché non corrono rischi di progressione e hanno pochissimi rischi di perdere la risposta, devono
tuttavia continuare a prendere il farmaco perché se lo sospendono il clone Ph+ si riespande e la malattia
recidiva. Sono stati realizzati altri inibitori della tirosinchinasi, anch’essi approvati come terapia di prima linea,
e sono nilotinib, desatinib, bosutinib.
L’introduzione di questa classe di farmaci ha permesso di ridurre notevolmente la necessità di ricorre al
trapianto di midollo, che prima rappresentava l’unica via di guarigione e che ad oggi è riservato unicamente
a pz resistenti a più inibitori o in fase avanzata di malattia.
Ø Scopo principale della terapia è evitare la progressione, perché una volta che questa avviene, i
margini terapeutici residui, soprattutto in assenza di un’opzione trapiantologica, rimangono
ridottissimi.
85
DISORDINI LINFOPROLIFERATIVI
Detti anche linfomi, possono svilupparsi
primitivamente nei linfonodi o nella milza, o più
raramente, nel midollo osseo o in altri organi
extraemopoietici. Segni e sintomi che ci inducono a
sospettare la diagnosi di processo linfoproliferativo
sono:
- Dimagrimento
- Febbre
- Sudorazioni notturne
- Prurito
- Dolore dopo ingestione di alcool
- Presenza di linfoadenopatia sospetta
- Splenomegalia
Una linfoadenopatia, però, non è sempre neoplastica
ed è fondamentale la differenziazione con quelle reattive di tipo infiammatorio.
Ø Linfoadeniti acute: linfonodi dolenti e talvolta ricoperti da cute arrossata
Ø Pregresse affezioni infiammatorie: linfonodi di consistenza aumentata, elastici, mobili e non dolenti;
di aiuto nella diagnosi differenziale l’ecografia
Ø Linfomi: linfonodi duro-elastici, spesso agglomerati, con lieve riduzione della mobilità, poco o non
dolenti
Ø Metastasi da tumori solidi: linfonodi duri, fissi sui piani profondi e non dolenti; talvolta la cute
soprastante assume colorito rosso-bluastro e può ulcerarsi.
86
La maggior parte dei linfomi sono a cellule B → quelli a linfociti T sono più rari e spesso più aggressivi.
Lo sviluppo dei linfociti a livello degli organi linfoidi primari (o centrali), è seguito dalla loro migrazione negli
organi linfoidi secondari (o periferici) → il midollo osseo è contenuto nella cavità midollare delle ossa lunghe
e tra le trabecole delle ossa spugnose, è di consistenza gelatinosa, altamente vascolarizzato, separato dal
tessuto osseo dall’endostio, ed è sede della maturazione dei linfociti B e formazione dei linfociti T immaturi
e dal 5° mese è responsabile dell’emopoiesi accogliendo le cell staminali ematopoietiche.
- Midollo rosso: riccamente cellulato e sede di emopoiesi
- Midollo giallo: nelle diafisi delle ossa lunghe dopo i 20 anni; accumulo di grasso che sostituisce i
tessuti ematopoietici
- Vascolarizzazione: le arterie si suddividono in piccoli vasi che formano ampia rete di sinusoidi,
confluiscono in una vena longitudinale centrale; tra le maglie di questo comparto vascolare si trovano
isole di cellule emopoietiche, collegate tra loro a formare il comparto ematopoietico.
All’interno del midollo osseo un progenitore comune (common lymphoid progenitor) da origine sia ai linfociti
T che B, a seconda di diversi stimoli citochinici. Il processo di maturazione dei linfociti B è un processo
dinamico in cui un precursore si differenzia progressivamente attraverso vari stadi differenziativi fino a dare
origine ad un elemento maturo che esprime un’Ig sulla propria superficie (che funge da recettore antigenico).
Tutte le cellule avviate alla differenziazione B, a partire dai progenitori fino al linfocita B maturo, esprimono
CD19, marcatore cellulare specifico che scompare solo nelle plasmacellule.
Ø I progenitori pro-B sono i precursori più immaturi, che non hanno ancora iniziato il riarrangiamento
dei geni delle Ig e sono CD45+ e IL7R+
Ø Si differenziano poi in PreB che esprimono CD10 e CD38 e nei quali ha inizio il riarrangiamento dei
geni delle Ig → man mano che il riarrangiamento si compie se questo è produttivo si ha il passaggio
a Pre-BI e Pre-BII, fino alla espressione sulla superficie cellulare di una IgM e formazione del linfocita
B immaturo
Le cellule immature esprimono quello che prende il nome di pre-BCR che:
o Induce il segnale di proliferazione
o Inibisce l’espressione del pre-BCR surrogato
o Induce il riarrangiamento della catena
o Induce l’esclusione allelica
o Induce l’eliminazione dei cloni autoreattivi tramite Selezione Negativa e Revisione del Recettore
(solo nel BM)
o Il pre-BCR, esprimendo un recettore invariante autoreattivo, assicura la sopravvivenza dei B che
hanno espresso una catena H produttiva
La tappa successiva è caratterizzata dalla perdita del CD10 e dalla co-espressione di IgD e IgM, che
condividono la medesima specificità antigenica → questo prende il nome di linfocita B maturo naive, perché
non ha mai incontrato l’antigene (questa tappa di maturazione avviene solitamente nella milza).
Il linfocita B viene poi attivato dal riconoscimento dell’antigene → per l’attivazione completa è necessario un
secondo segnale rappresentato dalla costimolazione dei linfociti T CD4+. I linfociti B maturi che non hanno
ancora subito stimolazioni antigeniche si localizzano nei linfonodi a costituire i follicoli primari, mentre i
follicoli secondari sono caratterizzati dalla presenza di cellule B attivate → in seguito alla stimolazione
antigenica i linfociti B si localizzano inizialmente nella porzione esterna dei follicoli secondari a formare la
zona mantellare (CD23+), successivamente migrano nei centri germinativi, dove riesprimono CD10 e CD38, e
vanno incontro a un’importante espansione proliferativa e subiscono due ulteriori modificazioni del DNA:
Ø Acquisizione di mutazioni somatiche → introduzione casuale di mutazioni nella sequenza
nucleotidica variabile dell’Ig, allo scopo di aumentare l’affinità con l’antigene
Ø Switch isotipico
Le cellule che fuoriescono dai centri germinativi si differenziano in plasmacellule (CD38+ e CD138+) e linfociti
B della memoria (CD38- spesso CD27+) che saranno in grado di secernere o di esprimere sulla membrana
anticorpi ad alta affinità.
87
Durante lo sviluppo le cellule B possono acquisire traslocazioni, delezioni o mutazioni responsabili di un
sottotipo di linfoma. I linfomi derivati da cellule B prima dell’ingresso nel centro germinativo sono la
leucemia linfatica cronica non mutata, il linfoma mantellare e alcuni linfomi follicolari.
I linfomi derivati dal centro germinativo sono derivati dalla trasformazione dalla ricombinazione genica a
regione variabile (BCL-2-IgH) nel linfoma follicolare, dall'ipermutazione somatica (BCL-6) nel linfoma diffuso
a grandi cellule B o dal cambio di classe nel linfoma di Burkitt sporadico c-myc. I linfomi a cellule B del centro
post-germinale sono linfoma della zona marginale, piccolo linfoma linfocitico / leucemia linfocitica cronica
e plasmocitoma e sono derivati da cellule B di memoria e plasmacellule.
LINFOMA NON-HODGKIN
I linfomi NH sono un gruppo eterogeneo di neoplasie del sistema emolinfopoietico che hanno origine dai
linfociti T o B; nell’ultima classificazione la WHO ha annoverato oltre 40 forme di LNH, che differiscono tra
loro per caratteristiche istologiche, biopatologiche e cliniche. Secondo la classificazione di Rappaport,
possono essere distinti in “indolenti”, con decoro clinico subdolo e lento, per lo più asintomatici e con tipico
andamento cronico-recidivante, e “aggressivi”, se rapidamente proliferativi e sintomatici; questa
differenziazione presentava un corrispettivo istologico, per cui le forme indolenti si caratterizzavano per
piccole cellule e un aspetto nodulare, mentre le forme aggressive erano costituite da grandi cellule e
presentavano un aspetto diffuso, con sovvertimento della struttura linfonodale. La classificazione Lukes-
Collins system (US) and Kiel system (EUROPE) considera, invece, la differenziazione a cellule B e T. La Working
classification considera, infine, le
caratteristiche citologiche
distinguendo forme a basso grado, a
grado intermedio e ad alto grado.
88
Nella classificazione dei linfomi NH sicuramente ebbe un ruolo fondamentale la scoperta di alcune mutazioni
genetiche, in particolar modo alcune traslocazioni → si mise in evidenza che la traslocazione più
frequentemente coinvolta era quella per cui un proto-oncogene veniva traslocato sotto l’influenza del
promotore dell’IGH (geni per le catene pesanti delle immunoglobuline) con conseguente attivazione
costituzionale del gene traslocato, che viene iperespresso in modo afinalistico. Tra le più frequenti:
• Traslocazione 3;14: coinvolge BCL6; presente in alcuni linfomi diffusi a grandi cellule
• Traslocazione 4;14: coinvolge MYC in alcuni casi di linfoma di Burkitt
• Traslocazione 14;18: coinvolge gene BCL2 nel linfoma follicolare
• Traslocazione 11;14: coinvolge gene BCL1 nel linfoma mantellare
• Traslocazione 1;14: coinvolge gene BCL10 nel linfoma della zona marginale extranodale di tipo MALT
(Mucosa-Associated Lymphoid Tissue)
La classificazione ad oggi maggiormente utilizzata è quella della WHO:
89
Un corretto staging clinico si avvale di:
• Accurata anamnesi per valutare la
presenza/assenza di sintomi B:
febbre, dimagrimento e sudorazione
notturna
• Esame obiettivo con valutazione
mirata delle stazioni linfonodali
superficiali, dell’anello di Waldayer,
delle dimensioni di fegato e milza
• Esame ematochimico completo,
comprendente emocromo con
formula leucocitaria, VES,
elettroforesi sieroproteica, indici di
funzionalità renale ed epatica, LDH
• Marcatori virali: HBV, HCV e HIV
• TC di collo, torace, addome completo con mdc
• Biopsia osteomidollare
• Nei linfomi clinicamente aggressivi è di grande utilità, sia in fase di stadiazione che di trattamento,
un’indagine PET
→ in caso di chemioterapia deve essere
effettuata un test di gradivanza,
preservazione della fertilità e una
valutazione cardiaca.
90
LINFOMI INDOLENTI
Linfoma della zona marginale
Linfoma indolente che origina dalle cellule B della memoria presenti nella zona marginale del tessuto linfoide.
Rappresenta circa il 10% di tutti i linfomi e presenta un’istologia eterogenea, non presenta riarrangiamenti
di BCL-1 o BCL-2 e all’immunoistochimica solitamente si presenta con:
CD5 – ; CD10 – ; CD23 – ; Sgl +
Comprende tre sottotipi istologici:
• Linfoma della zona marginale nodale (NMZL)
• Linfoma della zona marginale splenica (SMZL) → nella sua patogenesi sembra svolgere un ruolo
importante l’infezione da HCV: una delle proteine codificate, E2, è in grado di interagire con CD81,
molecola espressa sulla superficie del linfocita B, e sembra in questo modo essere responsabile
dell’attivazione B cellulare attraverso il BCR (questa azione è dimostrata dalla risposta della patologia
ematologica alla terapia antivirale)
• Linfoma della zona marginale extranodale (EMZL) → sono stati identificati alcuni fattori di rischio
nel suo sviluppo, che è caratterizzato dall’acquisizione di MALT in organi che fisiologicamente non lo
contengono, quali stomaco, congiuntiva, cute, tiroide e ghiandole salivari, spesso correlata alla
presenza di patologie autoimmuni (tiroidite di Hashimoto e sindrome di Sjogren) e soprattutto alla
presenza di infezioni batteriche, responsabili di uno stimolo infiammatorio cronico (tra queste
l’infezione di H. Pylori associato allo sviluppo di EMZL tipo MALT gastrico; o ancora di infezione di
Borrelia Burgdorferi nei linfomi cutanei e da Chlamydophila psittaci nei linfomi degli annessi cutanei)
I primi due costituiscono meno dell’1% di tutti gli NHL, mentre il terzo rappresenta il 5-8%
Il quadro istopatologico dell’EMLZ comprende sia elementi neoplastici (di aspetto centrocytic-like,
monocitoide o a piccole cellule, spesso coesistenti) sia elementi non neoplastici (linfociti T, macrofagi, centri
germinativi reattivi ed epitelio).
La presentazione clinica varia secondo la sede di localizzazione, ma si tratta per lo più di neoplasie che
esordiscono in stadio limitato, in pz con buon performance status e i sintomi B sono raramente presenti.
Età mediana di insorgenza è la sesta decade. La sopravvivenza complessiva a 10 anni è del 75-80%, con una
prognosi meno favorevole in caso di malattia disseminata e migliore nel caso di EMLZ. Le eventuali recidive,
che possono presentarsi anche molti anni dopo il trattamento di prima linea, coinvolgono la sede di
insorgenza della malattia nel 60% dei casi; in alcuni casi però le recidive si associano a un’evoluzione istologica
più aggressiva, spesso a grandi cellule B (o ad un linfoma follicolare)
TERAPIA:
Ø EMLZ gastrico: nel caso di malattia localizzata il trattamento di prima linea è l’eradicazione di HP; nel
caso di malattia avanzata o in presenza di t(11;18) è necessaria una terapia con agenti alchilanti
(clorambucile) → uno studio ha mostrato la superiorità del rituximab, che è oggi lo standard
Ø EMLZ non gastrico: trattamento adattato a singolo caso e dipendente dalla localizzazione, può essere
effettuata una terapia locale chirurgica o radioterapica, o una terapia con rituximab
Ø Splenico: i criteri principali di trattamento sono splenomegalia massiva, ipersplenismo e citopenia
per infiltrazione midollare; il rituximab si è mostrato più efficace della chemioterapia (clorambucile
o ciclofosfamide) mentre la splenectomia va considerata nei casi di citopenia legata a sequestro
splenico, sintomi sistemici o ingombro addominale. Nel caso di infezione da HCV e non necessità di
chemioterapia, molto utile è la terapia di eradicazione di HCV.
Ø A localizzazione nodale: attenzione ad eventuale sede extranodale o splenica, perché quelli
esclusivamente nodali sono rari e hanno una prognosi meno favorevole
91
Linfoma follicolare
Rappresenta il 30% dei LNH e comprende un gruppo di neoplasie che originano dalle cell B del centro
germinativo; coerentemente viene inquadrato a livello istopatologico in base al modello di crescita nodulare
(follicolare, appunto) o diffuso e all’eventuale presenza nell’ambito della popolazione neoplastica dei
centroblasti normalmente presenti nel centro germinativo → si divide in grado 1, 2 o 3 a seconda che la
media dei centroblasti ammonti rispettivamente a <5, 5-15 o >15% degli elementi del centro germinativo. Il
grado 3, tra l’altro, si suddivide in 3a, se è riconoscibile una quota seppur minoritaria di centrociti, o 3b, se la
prevalenza dei centroblasti è assoluta (attualmente il grado 3b del follicolare è equiparato ad un linfoma
diffuso a grandi cellule B).
CD20 +; CD10 +; IPERESPRESSIONE BCL2 E t(14;18)
È frequente nei pz adulti/anziani ed esordisce classicamente in fase avanzata (stadio III-IV nel 70-85%), con
linfoadenopatie multiple e disseminate, frequente coinvolgimento splenico e midollare. I sintomi sistemici si
osservano nel 20-30% dei casi.
- Linfoadenopatia lentamente progressiva ed indolore (pre- e post-auricolari, submandibolare,
cervicale, sopraclavicolare, ascellare, epitrocleare, inguinale ed area poplitea), può coinvolgere
anche l’anello di Waldeyer
- Splenomegalia 50%
- Effetti dovuti ad invasione di organo ed ostruzione di strutture anatomiche (compressione ureterale
e insufficienza renale)
- Infrequenti sono i sintomi B e la disfunzione midollare da infiltrazione
La diagnosi si avvale dell’esame emocromocitometrico, del dosaggio di alcuni parametri sierici:
o LDH: elevato correla con un elevato tumor burden
o Funzionalità epatica: possibile compressione epatica
o Acido urico e creatininemia: “tumor lysis syndrome”
o Gammaglobuline per individuare gammapatia monoclonale
o CT/PET scan
o Biopsia linfonodale
Se il pz necessita trattamento con rituximab va effettuato una ricerca sierologica per HBV e HCV
La prognosi viene valutata utilizzando uno score internazionalmente validato, il FLIPI (Follicular Lymphoma
International Prognostic Index) score, che assegna un punteggio pari a zero (favorevole) oppure 1
(sfavorevole) alle seguenti variabili:
• Età minore o maggiore di 60 anni
• Stadio di malattia I-II vs III-IV
• Livelli di LDH normali vs aumentati
• Valori di Hb maggiori o inferiori a 12 g/dl
• Numero di sedi nodali coinvolte minori o maggiori di 5
Un fattore prognostico molto importante è la presenza al termine della chemioterapia convenzionale di MRD,
che viene studiata con la valutazione in PCR del riarrangiamento del gene BCL2, presente alla diagnosi nel
60-80% dei linfomi follicolari, su aspirato midollare e/o su sangue periferico. La remissione molecolare è,
infatti, un fattore prognostico favorevole, che si associa a una maggiore sopravvivenza libera da malattia.
TRATTAMENTO:
Circa il 15-25% dei pazienti con FL al momento della diagnosi ha uno stadio di malattia limitato (I e II) e grado
1 e 2 → questi hanno indicazione alla radioterapia che, in relazione all’elevata sensibilità della malattia, ha
un ruolo potenzialmente curativo. Rappresenta, tuttavia, ancora un’alternativa praticabile un approccio
basato sulla sola osservazione (watch and wait), soprattutto per i pazienti anziani o che presentano un
elevato carico di comorbilità; pz invece con fattori di rischio, quali presenza di sintomi B, malattia bulky,
elevati livelli di LDH, sono candidati a ricevere un trattamento immuno-chemioterapico. Il trattamento
immuno-chemioterapico di scelta (anche per le forme avanzate) è R-CHOP (rituximab, ciclofosfamide,
doxorubicina, vincristina e prednisone) o la combinazione bendamustina-rituximab, dimostrata da alcuni
studi più efficace in termini di risposta globale e sopravvivenza libera da progressione, nonché minore
tossicità.
92
Sulla base del miglioramento documentato in termini di sopravvivenza libera da progressione, al termine
della terapia di 1° linea, in assenza di controindicazioni, è indicato procedere alla terapia di mantenimento
con rituxiamb (cadenza bimestrale per 2 anni) con l’obiettivo di prolungare nel tempo i risultati ottenuti con
la terapia iniziale. Per quanto riguarda le recidive di malattia queste vengono trattate con terapie diverse:
- Pz con buona remissione e senza comorbilità: trapianto autologo di cell staminali
- Radio-immunoterapia con Ab monoclonale anti-CD20 coniugato con un atomo reattivo I131 o Y90 →
consente di raggiungere il 70% di tasso di risposte
- Inibitori chinasi PI3Kδ (idelalisib) che permette di raggiungere una risposta almeno parziale in oltre
il 50% dei pz ricaduti anche dopo molte linee di terapia
Dal punto di vista patogenetico la LLC sembra essere caratterizzata da un’importante predisposizione
genetica: nel 5-10% dei casi esiste una predisposizione familiare, con due o più individui della stessa famiglia
affetti da LLC e/o da altri disordini linfoproliferativi; i consaguinei di primo grado di pz con LLC presentano un
rischio relativo da 2 a 7 volte più alto rispetto alla popolazione generale. La storia naturale della LLC è un
processo multifasico: una prima fase è caratterizzata da lesioni genetiche specifiche che verosimilmente
procurano un vantaggio alle cellule neoplastiche in termini di sopravvivenza; successivamente si instaurano
interazioni privilegiate tra il clone neoplastico e il microambiente midollare e linfonodale in cui le cellule
risiedono che facilitano la sopravvivenza, l’espansione e l’eventuale farmacoresistenza del clone neoplastico.
Con il termine di microambiente si indicano genericamente tutti gli elementi cellulari e molecolari non
tumorali presenti nei tessuti infiltrati ed in grado di interagire con il clone neoplastico → le cell stromali, i
linfociti T, le cell endoteliali sono in grado, attraverso sia molecole di superficie sia solubili (citochine e
chemochine), di aumentare la resistenza all’apoptosi, di indurre proliferazione e di attivare le cellule
93
leucemiche. Anche la stimolazione del recettore immunoglobulinico leucemico da parte di antigeni svolge un
ruolo nell’espansione e nell’accumulo del clone neoplastico. Indipendentemente dallo stato mutazionale dei
geni IGHV, in tutti i casi di LLC le cell leucemiche presentano sulla superficie marker di attivazione (CD23,
CD25, CD69, CD71), indici di uno stato di attivazione post-antigenica.
Le principali manifestazioni cliniche della LLC derivano dall’accumulo lento ma inesorabilmente progressivo
di linfociti B CD5 + monoclonali nel sangue periferico, nel midollo, nei linfonodi, nella milza, nel fegato e
potenzialmente in tutti i distretti dell’organismo → la velocità di tale accumulo e la conseguente entità della
massa tumorale totale sono estremamente variabili, dipendendo dalle caratteristiche biologiche e
proliferative proprie di ciascun clone leucemico.
Ø l’invasione del sangue periferico causa linfocitosi, solitamente non superiore a 100-150 x 109/L →
frequentemente la LLC viene diagnosticata in individui asintomatici, per il riscontro occasionale di
linfocitosi evidenziata da un esame emocromocitometrico eseguito durante valutazione di routine
Ø l’infiltrazione midollare, praticamente costante, può essere responsabile nei casi conclamati di una
pancitopenia da mielosostituzione → quando diventa sintomatica la LLC, il pz può riflettere sintomi
aspecifici quali astenia e scarsa tolleranza all’esercizio fisico, causata dall’ingravescente
anemizzazione
Ø in altre occasioni i pz si presentano con un numero di linfociti normali, ma con segni simil-linfomatosi
che consentono la diagnosi di SLL → aumento delle dimensioni dei linfonodi superficiali, della milza
e del fegato e/o con sintomi sistemici (calo ponderale, iperpiressia in assenza di infezioni,
sudorazioni notturne e astenia). Queste manifestazioni possono presentarsi più tardivamente anche
nella forma leucemica ab initio e l’evoluzione di entrambi i quadri clinici finisce per sovrapporsi.
Ø L’infiltrazione leucemica può potenzialmente coinvolgere qualsiasi organo → cute, GI, polmoni e
pleure, SNC, ossa e reni
Ø I linfociti B leucemici sono responsabili, seppur con meccanismi non del tutto chiariti, di disfunzioni
del sistema immunitario → si riscontra un quadro di immunodeficienza secondaria a carico
dell’immunità umorale, associata quasi costantemente a ipo-γglobulinemia (nel 60% dei casi) →
questo comporta la comparsa di infezioni gravi e recidivanti, batteriche o virali o fungine, con
predilezione per cute, vie respiratorie e vie urinarie. Rappresentano le complicanze più importanti e
la più frequente causa di morte nella LLC. Per ridurre il rischio infettivo può essere utile la
somministrazione di basse dosi di IVIG.
Ø Frequenti sono le manifestazioni autoimmuni dovuto alla produzione di autoanticorpi dirette quasi
esclusivamente contro le cell emopoietiche: l’anemia emolitica si verifica nel 10-25% dei casi, la
trombocitopenia nel 2%
L’analisi morfologica dello striscio di sangue periferico mostra una prevalenza quasi assoluta di piccoli linfociti
di aspetto maturo, quasi indistinguibili dai linfociti normali, e caratterizzati da una peculiare fragilità di
membrana che conduce alla frequente rottura delle cellule leucemiche nel corso della preparazione dello
striscio creando le cosiddette “ombre nucleari di Gumprecht”, tipiche della malattia. In aggiunta, nei casi con
elevata conta linfocitaria possono essere riconoscibili anche cell di taglia intermedia-grande, dotate di
evidenti nucleoli (prolinfociti) che, se ammontano al 10-55% delle cell nel sangue periferico, definiscono
l’evoluzione aggressiva della malattia, la cosiddetta trasformazione prolinfocitoide.
CD19 +; CD20 +; CD5 +; CD23 +; bassi livelli di Ig di membrana e molecole ad esso associate (CD79b)
Altri parametri laboratoristici:
- Β2-microglobulina: elevata nelle fasi avanzate della malattia e ha valore prognostico
- LDH solitamente nella norma, un suo aumento deve far sospettare la trasformazione della malattia
in un linfoma aggressivo o la presenza di un’anemia emolitica (associata a bilirubinemia e riduzione
dell’aptoglobina)
Il matutes score viene effettuato su sangue periferico per porre diagnosi differenziale a parità di CD5 +
94
La diagnosi di LLC si basa sui seguenti criteri definiti dalla Working Group on Chronic Lymphocitic Leukemia:
1. Presenza di un numero di linfociti B nel sangue periferico > 5 x 109/L per almeno 3 mesi,
morfologicamente costituiti da piccoli linfociti maturi
2. Immunofenotipo alla citofluorimetria con le seguenti caratteristiche:
- Restrizione delle catene leggere
- Coespressione di CD19, CD5 e CD23
- Debole espressione delle Ig di superficie e CD79b
Nel caso in cui i linfociti B nel sangue periferico con un fenotipo compatibile con LLC siano < 5 x 109/L, ma vi
sia la presenza di linfoadenopatie, si può porre la diagnosi di LLC/SLL dopo conferma istopatologica su di una
biopsia linfonodale. L’esame del midollo non è necessario per la diagnosi, ma lo è prima dell’inizio di ogni
trattamento per quantificare l’invasione midollare, il modello di crescita dell’infiltrato neoplastico e le riserve
midollari. L’esame TC (può essere sostituita da RX torace ed eco addome) è il più sensibile nel definire
l’estensione di malattia ed è consigliato prima e dopo la terapia citoriduttiva. La PET non va fatta perché è un
processo indolente e il tumore non sarà ipercaptante.
o Qualora i linfociti B fenotipicamente identici alla LLC siano < 5 x 109/L nel sangue periferico e non vi
sia alcun coinvolgimento linfonodale né altri segni e sintomi di malattia sistemica, il quadro è
compatibile con la diagnosi di BML (linfocitosi B monoclonale) → si riscontra nel 3% degli individui
altrimenti sani ed è dipendente dall’età, in quanto presente in oltre il 7% degli over 70 anni. Data la
sua elevata frequenza e il numero relativamente basso di casi di LLC, la sua relazione con la malattia
leucemica non è ancora del tutto compreso. Secondo alcuni studi la MBL, se associata a linfocitosi
nel sangue periferico, può progredire a franca LLC in una percentuale di casi pari all’1% anno.
Può evolvere o in leucemia prolinfocitica, più aggressiva, o in un linfoma diffuso a grandi cellule B (sindrome
di Richter)
In base al carico tumorale, espresso dall’incremento dimensionale degli organi linfoidi e al grado di anemia e
piastrinopenia, sono stati definiti due diversi sistemi di staging:
1. il sistema di Rai
2. il sistema di Binet.
95
I fattori prognostici clinici e biologici
tradizionali contribuiscono a definire il
carico della malattia e a valutarne la
progressione durante il follow-up clinico.
Questi fattori comprendono:
• Stadio clinico secondo Rai e Binet
• Tempo di raddoppiamento dei
linfociti, ovvero se il tempo richiesto per
il raddoppiamento della conta linfocitaria
è superiore o inferiore a 6 mesi
• Pattern di infiltrazione sulla biopsia
osteomidollare
• Percentuale di prolinfociti nel
sangue periferico
• Livelli sierici di β2-microglobulina,
della timidina-chinasi e di CD23 solubile
Sono ormai noti marcatori biologici in grado di stratificare il rischio, alla diagnosi, nei pz con LLC, tra questi
quello più utilizzato è la mutazione di TP53, che si riscontrano nel 40% dei pz refrattari a chemioterapia.
TRATTAMENTO:
La LLC deve essere considerata una malattia essenzialmente incurabile, anche se le moderne terapie si sono
dimostrate in grado di modificare significativamente la sopravvivenza dei pazienti. La gestione della malattia
è di per sé complessa a causa del comportamento clinico eterogeneo, dell’età generalmente avanzata dei pz
e della loro particolare fragilità correlata alle comorbilità presenti. Non tutti i pz necessitano di trattamento
alla diagnosi → la decisione di iniziare la terapia deriva dalla presenza di segni e sintomi clinici secondari
alla malattia.
Ø Pz in stadio A di Binet e 0 di Rai
possono essere monitorati con approccio di
tipo wait and watch, finché non si osserva
progressione di malattia, dal momento che
un trattamento precoce non modifica la
storia naturale della malattia né
l’aspettativa di vita
Ø Pz in stadio B di Binet e I-II di Rai
devono essere trattati quando c’è evidenza
di malattia sintomatica o in progressione
Ø I pz in stadio C di Binet e IV di Rai
devono essere trattati precocemente
Il trattamento cambia a seconda che il pz presenti buone condizioni generali (“fit” o “go go”) rispetto a quelli
anziani con comorbilità (“unfit” o “slow go”) ed è influenzato da alterazioni di TP53 e varia a secondo del
momento di malattia.
Ø Slow go: ottenere buon controllo di LLC, aumentare la sopravvivenza libera da malattia senza alterare
la qualità di vita. Si basa sull’utilizzo di chemioterapici non intensivi → si associano solitamente
clorambucile con Ab monoclanale anti-CD20 (rituximab, ofatumumab, obinutuzumab)
Ø Go go: ottenere migliore risposta possibile (idealmente eradicazione) con miglioramento della
sopravvivenza libera di malattia e globale. Trattamento immunochemioterapico a base di
fludarabina, ciclofosfamide e rituximab (FCR). Data la sua elevata tossicità (rischio di infezioni
elevato, citopenia prolungata, rischio di mielodisplasie e leucemie acute secondarie) si è proposta la
combinazione rituximab e bendamustina, che ha dimostrano minore efficacia in termini di risposta
completa e sopravvivenza libera da progressione ma minore tossicità.
Ø Per mutazioni TP53: Ibrutinib +/- rituximab
96
Leucemia prolinfocitica a cellule B
Neoplasia rara (1%) che si manifesta a un’età mediana di 70 anni ed è caratterizzata dall’accumulo di
prolinfociti B, soprattutto nel sangue periferico (linfociti > 100.000/μL), nel midollo osseo (con anemia e
trombocitopenia) e nella milza (con splenomegalia massiva in assenza di linfoadenopatia).
La leucemia prolinfocitica può essere anche a cellule T e in questo caso i linfociti si accumulano anche a livello
epatico o nella cute, con prognosi molto scarsa.
Criterio diagnostico fondamentale per la distinzione dalla trasformazione prolinfocitoide della LLC è che i
prolinfociti B devono, per definizione, costituire più del 55% dei linfociti del sangue periferico.
I prolinfociti sono delle cellule di dimensione intermedia con una variabile quantità di citoplasma basofilo, un
nucleo rotondo o ovalare, cromatina moderatamente addensata e un prominente nucleolo → sono cell B
mature con un immunofenotipo caratteristicamente negativo per CD5 e CD23 e livelli elevati di Ig di
membrana (IgM e/o IgD), FMC7 e CD11c, elementi che aiutano nella d.d. con LLC.
La leucemia prolinfocitica è caratterizzata da prognosi infausta, con una sopravvivenza mediana di 3 anni
associata a risposte insoddisfacenti alla terapia (polichemioterapia + rituximab)
97
Leucemia a cellule capellute
Rara neoplasia indolente (2%), caratterizzata dalla presenza di linfociti B maturi, che coinvolge il sangue
periferico, il midollo osseo e caratteristicamente la milza. Dal punto di vista morfologico, le cell neoplastiche
mostrano taglia intermedia con peculiari sottili proiezioni citoplasmatiche disposte lungo tutta la
circonferenza della cellula, conferendo appunto un aspetto “capelluto” all’elemento.
Età mediana di insorgenza 50 anni; M:F = 5:1.
Clinicamente, esordisce spesso con una imponente splenomegalia che provoca dolore a livello del quadrante
addominale superiore sinistro; comuni anche epatomegalia e infezioni opportunistiche ricorrenti →
l’emocromo evidenzia neutropenia o pancitopenia e lo striscio periferico svela una bassa quota di cell
neoplastiche circolanti. La diagnosi viene effettuata su BOM (aspirato da punctio sicca per fibrosi midollare
promossa dalle cellule leucemiche). Le cell capellute presentano un fenotipo compatibile con le cell della
memoria in fase di attivazione:
positive per CD11c, CD20, CD22, CD25, CD103, CD123, ANNESSINA A1 e negative per CD10 e CD5
In tutti i casi di malattia è stata riscontrata una mutazione del gene BRAF (V600E) → il suo riscontro ha
permesso il monitoraggio della malattia minima residua dopo trattamento, l’individuazione di un possibile
bersaglio terapeutico e la possibilità di un test diagnostico accurato.
La terapia, basata sull’utilizzo di cladribina e pentostatina è estremamente efficace con una sopravvivenza a
10 anni del 90% ed è stata ulteriormente migliorata dalla terapia in associazione o sequenziale con
rituximab. La splenectomia è indicata nei pz con sintomi correlati alla splenomegalia, ma non consente di per
sé remissioni a lungo termine.
moxetumomab raramente
usato perché ha elevato
rischio di porpora trombotica
trombocitopenica.
98
LINFOMI NH AGGRESSIVI
Linfoma a cellule mantellari
Costituisce circa l’8% di tutte le diagnosi di linfoma e si manifesta per lo più nell’anziano di sesso maschile.
Le cellule neoplastiche sono linfociti B di piccola-media taglia con nucleo a profilo irregolare, che presentano
un’attività mitotica inaspettatamente superiore a quanto suggerito dall’aspetto citologico “blando” e che
crescono nelle fasi precoci con modello perifollicolare (da espansione della zona mantellare) o, nei casi più
avanzati, diffuso. L’immunofenotipo di queste cellule è caratterizzato:
CD20 +; CD5 +; CD23 – ; CD10 – ; IPERESPRESSIONE CICLINA D1 per t(11;14) e SOX11 nucleare
Presenta delle caratteristiche istologiche intermedie tra i linfomi indolenti e quelli aggressivi, ma l’andamento
clinico è più simile a quello dei NHL ad alto grado di malignità.
Solitamente si presenta alla diagnosi in stadio avanzato (III-IV) con esteso coinvolgimento extranodale (tratto
gastroenterico e rene) e linfonodale.
- Linfoadenopatia generalizzata nel 90% dei pz
- Splenomegalia nel 60% ed epatomegalia nel 30% → l’epatosplenomegalia può dare distensione
addominale
- Nel 40% dei casi sono presenti sintomi B, quali febbre, sudorazioni notturne e perdita di peso; meno
comuni sono i sintomi da coinvolgimento extranodale del tratto gastroenterico, polmoni, e SNC →
nel tratto gastrointestinale la presentazione assume una forma clinica definita “poliposi
linfomatoide”, nella quale si repertano endoscopicamente numerose formazioni polipoidi a carico
della mucosa dovute alla crescita linfomatosa nella lamina propria estesa a lunghi segmenti di colon,
tenue e digiuno, tali da mimare i comuni polipi del tratto gastroenterico.
- Nel 20% scarso performance status
- L’anemia e la pancitopenia non sono rare e sono solitamente indice di infiltrazione midollare e di una
malattia in stadio avanzato
- Rialzo di alcuni indicatori di attività tumorale, come LDH, VES e PCR.
L’andamento clinico è caratterizzato da un’ottima risposta al trattamento di induzione, cui tuttavia fa
frequentemente seguito una rapida recidiva → la prognosi complessiva è infausta, con una sopravvivenza
media di 3-4 anni dalla diagnosi.
TRATTAMENTO
I casi di MCL in stadio iniziale, localizzato, sono aneddotici e il trattamento si è basato in genere sull’impiego
di RT combinata o meno a vari schemi di polichemioterapia. Nelle forme avanzate il trattamento è
rappresentato dall’associazione polichemioterapica → la scelta del trattamento iniziale dipende dall’età,
patologie concomitanti, performance status e obiettivo del trattamento. Nei pz giovani e con buon
performance status il trattamento di prima linea prevede l’induzione della remissione completa mediante
immunochemioterapia (R-CHOP seguito dalla somministrazione di citarabina ad alte dosi) per arrivare al
trapianto autologo. Altri schemi terapeutici di induzione comprendono le combinazioni rituximab +
bendamustina o rituximab + bendamustina + citarabina. Nonostante l’elevato tasso di risposta (85-90%) le
ottenuto con la terapia di induzione, il linfoma mantellare si caratterizza per ripetute e sempre più ravvicinate
recidive con progressivo scadimento delle condizioni generali ed exitus, causato da infiltrazione disseminata
del linfoma stesso o, meno frequentemente, da complicanze del trattamento. Nei pz anziani e/o con
morbilità lo standard attuale è R-CHOP (possono usarsi anche le combinazioni di cui sopra) seguito da
rituximab di mantenimento → la terapia di mantenimento con rituximab ha infatti dimostrato di ridurre il
rischio di progressione o morte di poco meno del 50%, di raddoppiare la durata di risposta, migliorando in
maniera significativa la sopravvivenza globale. Tra i nuovi farmaci sviluppati sembrano avere un ruolo
importante:
• Inibitore BTK (bruton tirosin-kinasi che media il segnale del BCR) ibrutinib: per il trattamento MCL in
ricaduta/refrattari
• Inibitore PI3Kδ idelalisib: in grado di ottenere risposta nel 60% dei MCL in ricaduta
• Bortezomib: inibitore del proteosoma
• Temsirolimus: inibitore mTOR
• Telidomide e lenalidomide
99
Linfoma diffuso a grandi cellule B
È l’istotipo più frequente tra gli NHL rappresentando il 30-35% di tutti i casi. È aggressivo perché se non
trattato adeguatamente correla con una ridotta sopravvivenza, ma è molto sensibile ai trattamenti
convenzionali e, quindi, potenzialmente guaribile, anche quando si presenta in stadio avanzato. Dal punto di
vista istologico è caratterizzato da una quasi sempre completa sostituzione dell’architettura linfonodale a
opera di cellule di grossa taglia spesso di aspetto eterogeneo, con modello di crescita diffuso e che quasi
costantemente esprimono CD20. Accanto a questo marcatore, un sottogruppo di questo istotipo esprime
marcatori di derivazione dal centro germinativo (CD10 e BCL6) ed è indicato con l’acronimo GCB (Germinal
Center B-cell like), mentre un altro gruppo esprime marcatori condivisi da cellule B “attivate” o proteine
proprie di elementi che hanno una differenziazione in senso “plasmacellullare” (IRF4/MUM1), venendo
quindi identificato con l’acronimo ABC (Activated B-cell like). Solitamente i GCB hanno una prognosi migliore,
mentre gli ABC hanno una prognosi pessima, sono tipici dell’anziano e non rispondono alla CHOP, ma alla
CHT. L’analisi tramite studi di NGS ha dimostrato che il DBCL è caratterizzato da un più elevato grado di
complessità genomica rispetto agli altri disordini linfoproliferativi, risultando portatore di un numero elevato
di alterazioni genetiche (tra 50 e più di 100 nel singolo individuo), spesso molto variabili da paziente a
paziente. Le aberrazioni rilevate possono essere divise in:
• Alterazioni condivise nei due sottotipi principali:
spesso rappresentate da mutazioni inattivanti o
delezioni dei geni dell’istone acetiltransferasi e
dell’istone metiltransferasi → queste mutazioni
favoriscono la linfomagenesi agendo attraverso
una riprogrammazione dei meccanismi
epigenetici. Frequentemente si osserva anche
una disregolazione di BCL6, dovuta a
meccanismo diretto (traslocazione) oppure
indiretto (mutazioni a carico di altri geni
regolatori della sua attività o degradazione)
• Alterazioni associate al sottotipo GCB:
coinvolgono spesso alterazioni che portano alla
deregolazione di MYC e BCL2 o mutazioni che
portano a un’aumentata attività di EZH2
• Mutazioni associate al sottotipo ABC: si
traducono generalmente in un’aumentata attivazione del pathway di NFkB.
CD19 +; CD20 +; CD79a +; PAX5 +; TdT – ; CD10 +/ –
Ki67 > 90%; BCL-2; BCL-6; riarrangiamento di MYC
Dal punto di vista clinico si rende solitamente evidente per la presenza di un grosso linfonodo o organo
dolente, soprattutto se la massa cresce rapidamente. I sintomi B sono frequenti, così come il prurito
generalizzato. Possono comparire anche anoressia, affaticamento, dispnea per linfoadenopatia mediastinica
o edema agli arti inferiori per linfoadenopatia pelvica estesa.
Al fine di meglio identificare il rischio legato al linfoma, viene utilizzato uno score prognostico IPI, che assegna
un punto 0 o 1 alle seguenti variabili:
- Età minore o maggiore di 60 anni
- LDH normali o aumentate
- Performance status secondo la scala ECOG 0-1 o > 1
- Stadio di malattia secondo Ann Arbor I-II o > II
- Numero di sedi extranodali coinvolte 0-1 o > 1
In questo modo vengono classificati a basso rischio i pz con IPI pari a 0-1, a rischio intermedio quelli con IPI
pari a 2, a rischio intermedio-alto i pz con IPI pari a 3, ad alto rischio i pz con IPI pari a 4-5.
Rientrano tra i fattori prognostici anche alcune caratteristiche del tumore:
- Overespressione di MYC
- Overespressione di BCL-2
- Overespressione di MYC e BCL-2
100
TRATTAMENTO:
Il trattamento di prima linea si basa su un approccio immunochemioterapico R-CHOP, che si è dimostrato
efficace nell’ottenere una percentuale di risposte complete superiori al 75%, che sono stabili a 3 anni nel 60-
85% dei pazienti. Nei pazienti anziani, proprio in ragione delle elevate comorbilità, si può sostituire la
doxorubicina con l’epirubicina, dotata di minore cardiotossicità.
La localizzazione al SNC rappresenta una complicanza rara, ma spesso fatale del DBCL. Dato che le terapie
profilattiche disponibili sono gravate da una neurotossicità rilevante, vengono in genere riservate ai pz con
elevato rischio di recidiva al SNC. Tra i fattori di rischio noti sono inclusi: le localizzazioni in alcuni sedi
extranodali (testicolo, seni paranasali, palato duro, orbita, masse paravertebrali e coinvolgimento del midollo
osseo) e/o un elevato rischio di IPI, indicato dall’incremento delle LDH e dal coinvolgimento di più di una sede
extranodale. La strategia di prevenzione maggiormente utilizzata è l’impiego di somministrazioni intratecali
(con metrotrexate e/o citosina arabinoside) nonché l’aggiunta alla chemioimmunoterapia standard di
farmaci che, somministrati ad alte dosi per via endovenosa, sono in grado di attraversare la barriera
ematoencefalica (metrotrexate e ifosfamide)
Linfoma di Burkitt
Viene classificato in tre forme che differiscono in base alla prevalenza geografica e all’eventuale associazione
con l’EBV: endemica, sporadica e associata all’immunodeficienza (HIV-associata nella maggior parte dei
casi). Nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti costituisce l’1-2% dei linfomi dell’adulto ed è raramente
associato all’EBV; in Africa, invece, questo linfoma è associato a infezione da EBV nel 95% dei casi ed ha
un’incidenza di 5-10 casi/100.000 bambini (età colpita 4-9 anni), costituendo il 74% delle neoplasie infantili
in Africa. È pressoché sempre presente la traslocazione reciproca tra il gene C-MYC (Chr. 8) e uno dei tre
geni che codificano per le Ig: nell’80% dei casi si instaura t(8;14), nel rimanente 20% la t(2;8), interessante il
gene che codifica per la catena leggera κ delle Ig, o la t(8;22), che coinvolge il gene per la catena leggera λ.
Questa traslocazione, però, non è specifica o caratteristica del linfoma di Burkitt, potendosi riscontrare anche
in altri tipi di linfomi (si trova anche nel mieloma). L’esame istologico evidenzia una popolazione monomorfa
di cellule linfoidi di taglia intermedia-grande a immunofenotipo B:
CD20 +; CD10 +; CD19 +; BCL6 +; BLC2 –
Accompagnano la popolazione neoplastica macrofagi a distribuzione interstiziale contenenti nel proprio
citoplasma numerosi detriti cellulari che conferiscono all’esame istologico il cosiddetto “aspetto a cielo
stellato”. Il quadro clinico di presentazione più frequente (70% degli endemici) è una cospicua tumefazione
cervicofacciale, prevalentemente ad insorgenza mascellare, meno frequentemente mandibolare, con
possibile estensione all’orbita fino all’esoftalmo. Nel 50% dei casi si manifesta come massa addominale: gli
organi più interessati sono il rene, le ovaie, linfonodi mesenterici e retroperitoneali e, in misura minore,
fegato e milza; spesso coesiste versamento ascitico in cui l’esame citologico può rivelare la presenza di cellule
neoplastiche. Nel 30% dei casi si localizza a livello del SNC.
I casi sporadici insorgono nei primi 3 decenni di vita, con una mediana intorno ai 10 anni, e in questo caso
prevale l’interessamento addominale, mentre la tumefazione mascellare si presenta solo nel 30%.
I pazienti giovani affetti da una variante sporadica del linfoma di Burkitt mostrano un’ottima prognosi se
sottoposti a regimi di trattamento intensivi di breve durata, mentre i pazienti adulti e/o con forme associate
ad immunodeficienza hanno una prognosi meno favorevole. In considerazione dell’elevato ritmo replicativo
di questo tipo di linfoma (con la massa linfomatosa che può arrivare a raddoppiare in un periodo di 24-48h),
il trattamento deve essere iniziato in tempi brevi e vanno attuate tutte le precauzioni possibili per evitare le
manifestazioni cliniche e laboratoristiche correlate alla sindrome da lisi tumorale, che può verificarsi con
frequenza elevata in assenza degli opportuni provvedimenti nei primi giorni di terapia.
TRATTAMENTO:
Ø Chemioterapia aggressiva, con schemi CHOP modificati. Possibile l’utilizzo anche di una terapia target
e CAR-T
101
LINFOMA DI HODGKIN
L’aspetto più peculiare e distintivo rispetto al NHL è che nell’HL le cellule neoplastiche rappresentano circa
l’1% della lesione, mentre predomina la componente reattiva di accompagnamento. HL si caratterizza
clinicamente per la frequente insorgenza nei linfociti sopradiaframmatici, con raro coinvolgimento di organi
extranodali e midollo osseo, e per la maggiore frequenza, rispetto agli NHL, di sintomi sistemici.
l’incidenza annua è stimata attorno a 3 casi/100.000 abitanti con due picchi per età: uno tra 15 e 35 anni e
l’altro dopo i 50 anni. Rappresenta il 30% di tutti i tumori maligni.
Nel contesto del HL possono essere distinti due tipi di malattia: HL a predominanza linfocitaria e HL classico.
L’elemento neoplastico tipico è una cellula con caratteristiche morfologiche peculiari indicata come cellula
di Reed-Sternberg, che deve obbligatoriamente essere circondata da un’appropriata componente cellulare
reattiva/infiammatoria: entrambe le caratteristiche sono indispensabili per porre corretta diagnosi di HL.
La cellula R-S è una cellula di grandi dimensioni, con citoplasma abbondante, plurinucleata con nucleo/i
prominente/i denominati “a occhio di civetta” frequentemente vacuolata e a nucleo unico o multiplo. Le
cellule R-S appartengono in oltre il 98% dei casi alla linea dei linfociti B → in queste cellule è stato dimostrato
il riarrangiamento dei geni delle Ig ma caratteristicamente sono negative ai classici marcatori della linea B
(CD20 e CD19) così come sono negativi ai marker della linea T (CD3) e NK (CD56-CD57). Sono invece positive
a CD15 e CD30 ed esprimono PAX5 nel nucleo. La perdita del fenotipo B è probabilmente dipendente da una
combinazione di ipermetilazione di promotori con disregolazione dell’espressione dei geni necessari per la
differenziazione T e B e silenziamento epigenetico di regolatori chiave per la differenziazione in cell B.
Gli elementi che accompagnano le cellule di R-S sono linfociti T (nettamente prevalenti rispetto ai linfociti B),
plasmacellule, istiociti, granulociti (in gran parte eosinofili), vasi e fibroblasti. La predominanza delle cellule,
tra l’altro, cambia in base al sottotipo neoplastico, e si pensa che questo ricco ed eterogeno microambiente
possa essere responsabile, tra l’altro, della produzione di citochine in grado di causare sintomi sistemici.
Nel fenotipo classico possono distinguersi quattro forme:
• Sclerosi nodulare (70%): il linfonodo è sepimentato da bande di collagene, che sono birifrangenti
quando vengono analizzate in luce polarizzata (caratteristica fondamentale che li distingue dalle altre
tre forme). La sclerosi nodulare è più comune nelle giovani donne ed è più frequentemente localizzata
in sede latero-cervicale bassa, sopraclaveare e mediastinica. [microambiente costituito
principalmente da cell fibroblast-like e fibrosi]
• Cellularità mista (20-25%): architettura del linfonodo è totalmente sovvertita da un infiltrato in cui
si registra un’apprezzabile quota di cellule R-S. Più comune negli individui di sesso maschile, si
accompagna spesso a sintomi costituzionali e può presentarsi in tutti gli stadi di malattia.
[microambiente con infiltrato reattivo polimorfo di tipo B e T, istiociti, plasmacellule e mast-cell.]
• Ricco in linfociti (5%): caratterizzato da cellule di R-S che pur con immunofenotipo classico e
circondate da cell T, si localizzano spesso nel contesto di zone mantellari espanse di centri germinativi
e in sedi adiacenti (aree ricche di linfociti B). Sembra avere la prognosi migliore. [microambiente
costituito da istiociti e linfociti]
• Deplrezione linfocitaria (<5%): cell R-S numerose, con relativa diminuzione dei linfociti di
accompagnamento; spesso associata a fibrosi/sclerosi. Si osserva più spesso in pz anziani con
malattia avanzata. [microambiente costituito da istiociti e fibrosi irregolare]
102
Il LH nodulare a predominanza linfocitaria rappresenta il 5% dei LH e si differenzia per la presenza di elementi
diagnostici che differiscono dalle R-S e vengono chiamate cellule linfoistiocitiche → sono di grossa taglia, con
nucleo convoluto dotato di cromatina dispersa e con proprietà immunofenotipiche caratteristiche: positive
a CD45 e CD20, negative per CD15 e CD30. Le lesioni assumono un modello di crescita nodulare o uno diffuso
e il background di accompagnamento è spesso privo di eosinofili o plasmacellule, mentre i piccoli linfociti
presenti sono quasi esclusivamente a immunofenotipo B. Si presenta più frequentemente nei maschi tra 30
e 50 anni.
103
La stadiazione viene effettuata con TC-total body e PET. Associati ad un esame emocromocitometrico
completo di pannello metabolico → l’anemia è la complicanza più frequente, presente leucocitosi con
neutrofilia ed eosinofilia (fino a 40-50% in formula leucocitaria).
104
ABVD: doxorubicina, bleomicina, vinblastina e dacarbazina
IF: involved field
105
DISCRASIE PLASMACELLULARI
Gruppo di neoplasie conseguenti all’accumulo e all’espansione di plasmacellule monoclonali, solitamente
accompagnate ad un’alterazione evidente del protidogramma dovuto all’accumulo di Ig monoclonali nel siero
e nelle urine.
Ø Le discrasie plasmacellulari sono quadri clinico-laboratoristici caratterizzati dalla proliferazione e
accumulo nel midollo osseo di un clone di linfociti B e plasmacellule sintetizzanti immunoglobuline
(Ig) identiche per caratteristiche isotipiche (stessa classe di Ig) e idiotipiche (stesso sito di legame con
l’antigene nella regione variabile), complete o incomplete, rilevabili nel siero e/o nelle urine. Tali Ig
prendono il nome di Componente monoclonale (CM).
106
MGUS: Gammapatia monoclonale di significato indeterminato • M-protein in serum < 30 g/l
Si indica la presenza nel siero o nelle urine di una proteina monoclonale in • Bone marrow clonal plasma
assenza di segni e sintomi compatibili con la diagnosi di MM e le sue varianti, cells < 10%
o di altre malattie linfoproliferative, incluse la macroglobulinemia di • No evidence of other B-cell
Waldenstrom, o di amiloidosi. Dalla definizione di MGUS sono escluse anche proliferative disorders
tutte le gammapatie monoclonali, di piccola entità e transitorie, che si • No related organ or tissue
associano a patologie non neoplastiche, come in corso di malattie impairment
autoimmuni (AR, sclerodermia, tiroidite di Hashimoto), cutanee (pioderma
gangrenoso), epatiche (epatiti o cirrosi), infettive (tubercolosi, endocardite batterica) o neoplastiche non
linfoidi. Infine vengono escluse anche le cause in cui la componente monoclonale presenti un’attività
biologica e sia, quindi, responsabile di sintomatologia clinica (crioglobuline, autoanticorpi). La diagnosi di
MGUS è di esclusione.
Costituisce la più comune forma di discrasia plasmacellulare, essendo presente nel 3% della popolazione
generale al di sopra dei 50 anni di età e in più del 5% dei soggetti over 70.
Per definizione, la MGUS è caratterizzata dalla presenza di una Ig monoclonale all’elettroforesi sierica in
assenza di danno d’organo terminale; i pz sono asintomatici e solitamente il riscontro della CM avviene nel
corso di esami di routine o eseguiti per disturbi non correlati. Va escluso la presenza di un disordine
linfoproliferativo B cellulare più grave attraverso l’esecuzione di emocromo, valutazione di profilo renale ed
epatico ed elettroliti (calcio), esame delle urine, RX torace ed ecografia addominale. La diagnosi può essere
stabilita quando sono soddisfatte le seguenti condizioni:
1. Componente monoclonale sierica < 30 g/L
2. Percentuale di plasmacellule nel midollo < 10%
3. Assenza di lesioni osteolitiche, anemia, ipercalcemia, insufficienza renale correlata alla proliferazione
plasmacellulare.
Particolare attenzione va posta:
• MGUS IgM (20%): aumentato rischio di evoluzione in malattia di Waldenstrom, LNH, LLC o
amiloidosi AL. il rischio di progressione è di 1,5% per anno e sarebbe maggiore nei soggetti con livelli
iniziali di CM più elevati.
• Proteinuria di Bence-Jones idiopatica: contraddistingue per la produzione di grandi quantità di catene
leggere monoclonali che si rilevano all’esame delle urine, in assenza però di danno d’organo e sana
componente monoclonale evidenziabile nel siero; tale condizione può rimanere stabile per anni o
dare luogo allo sviluppo di MM o amiloidosi AL e pertanto viene sottoposta a follow-up periodico
107
Esiste però una certa fetta di pz con MGUS che presenta dei sintomi, motivo per il quale si è coniato il termine
di MGCS (gammapatia monoclonale di significato clinico) → responsabili di tale danno sono proprio le
proteine. Le immunoglobuline alterate e prodotte in eccesso possono causare danno per:
- Overproduzione di citochine
- Attività autoimmune o formazione di immunocomplessi o attivazione del complemento
- Deposito/precipitazione organizzata a formare fibrille, microtubuli o cristalli o non organizzata
Uno degli organi che maggiormente risente della gammapatia è sicuramente il rene:
Un altro organo possibilmente coinvolto è il SN, in particolar modo si può avere una neuropatia da IgM,
tipicamente simmetrica, demielinizzante, distale con coinvolgimento principale degli arti inferiori, con
tremore nel 50% dei casi. La neuropatia si forma a seguito della presenza di immunocomplessi che tendono
a legare i glicolipidi o i gangliosidi, causando danno alla mielina.
Una delle possibili evoluzioni della MGU è l’amiloidosi AL, che va prontamente riconosciuta.
L’amiloidosi è una sindrome causata da deposizione di amiloide, costituita da materiale proteico, sotto
forma di fibrille negli organi o tessuti, che può avere un coinvolgimento localizzato oppure sistemico
dell’organismo. Le proteine presenti nei depositi di amiloide sono differenti a seconda della patologia
causale, ma presentano alcune proprietà in comune:
Ø Tipica birifrangenza color verde-mela apprezzabile a luce polarizzata dopo colorazione con rosso
Congo
Ø Struttura secondaria peculiare e anomala perché le fibrille assumono una configurazione a foglietto
β ripiegato
Ø Ultrastruttura caratteristica alla diffrazione a raggi X
La definizione di amiloide si applica a tutti i depositi di materiale proteico che presentano le caratteristiche
sopra citate, indipendentemente dalla localizzazione cellulare (sia intra che extra).
Il tipo di amiloidosi associato alle discrasie plasmacellulari (MM o MGUS) è l’amiloidosi AL, in cui i depositi di
amiloide sono costituiti da catene leggere immunoglobuliniche o dai loro frammenti.
I sintomi di presentazione sono aspecifici e comprendono astenia, dispnea, parestesie e perdita di peso; i
segni specifici compaiono solo più tardivamente e dipendono dal coinvolgimento importante degli organi
(coinvolgimento multiorgano nel 70% dei casi alla diagnosi)
- Rene (70%): lesione della membrana glomerulare fino a comparsa di una vera e propria proteinuria
nefrosica
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- Cuore: cardiomiopatia restrittiva su base infiltrativa, con disfunzione diastolica isolata → ventricolo
sinistro scarsamente distensibile, detto stiff heart. Una conseguenza importante è la morte cardiaca
improvvisa, imputabile all’insorgenza di aritmie ventricolari complesse,
- Epatomegalia: incremento isolato della fosfatasi alcalina, con ALT e AST nella norma (questo segno
deve sempre far sospettare l’amiloidosi)
- Sistema nervoso: insorgenza di neuropatia assonale, talvolta demielinizzante; spesso interessa il
sistema autonomo con alterazioni della motilità intestinale, ipotensione ortostatica e sincope,
ritenzione urinaria e impotenza
- Sindrome del tunnel carpale per deposizione di amiloide a livello dei tessuti molli del polso
- Macroglossia, tipica della malattia e presente nel 10% dei pz
La diagnosi richiede la conferma istologica
→ dato che è un disordine sistemico
coinvolgente i vasi sanguigni di svariati
distretti corporei anche in assenza di sintomi
clinici, si può ottenere una corretta diagnosi
istologica in quasi il 90% dei casi grazie
all’aspirazione periombelicale, con
valutazione microistologica del tessuto
inviato accompagnata dall’esecuzione della
colorazione rosso Congo.
La sopravvivenza mediana dipende dalla
tempestività della diagnosi, ma in media è di circa 1 anno.
Obiettivi per la cura dell’amiloidosi sono:
o Evitare il danno d’organo attraverso una diagnosi precoce e una rapida e profonda riduzione della
proteina amiloide in circolo
o Ripristinare la funzione d’organo tramite eliminazione della proteina amiloidogenica e rimozione dei
depositi amiloidi
Le terapie dell’amiloidosi AL mirano a ridurre il clone plasmacellulare che produce la catena leggera
amiloidogenica.
109
Mieloma Multiplo
È il più frequente disordine plasmacellulare rappresentando il 3% delle neoplasie ematologiche. È una
neoplasia maligna caratterizzata dall’accumulo di plasmacellule spesso differenziate che, nella maggior
parte dei casi, sono responsabili della produzione di
una Ig monoclonale o di parti di essa (catene leggere
libere) rilevabili nel siero e/o nell’urina; in rari casi può
non essere secernente. Il clone neoplastico si localizza
solitamente a livello del midollo osseo, invadendo
l’osso adiacente e rendendosi così responsabile delle
principali manifestazioni cliniche della malattia
mielomatosa, riassunte dall’acronimo inglese CRAB:
• Ipercalcemia (hyperCalcemia)
• Insufficienza renale (renal insufficiency)
• Anemia
• Lesioni ossee (bone lesions)
Nella pressoché totalità dei casi il MM è preceduto da
MGUS.
Colpisce solitamente soggetti anziani con un’età mediana alla diagnosi Non si conosce l’eziologia, è stato
di 71 anni e una lieve prevalenza del sesso maschile; è 2,5 volte più riscontrato però un clustering familiare e
frequente nella popolazione afroamericana. un ruolo patogenetico nell’esposizione a
radiazione, agricoltura, benzene e malattie
Patogenesi infiammatorie croniche.
110
Sulla base del corredo cromosomico si possono differenziare:
• MM iperdiploide: casi con un numero di cromosomi superiore a 46 ma inferiore a 74, comprende
50-60% ed è caratterizzato da trisomie multiple di alcuni particolari Chr.
• MM non iperdiploide: casi con numero di cromosomi < 46 o >74; comprende forme ipodiploidi,
pseudodiploidi, quasi-diploidi o tetradiploidi e presenta nel 70% dei casi una traslocazione primaria.
Il microambiente svolge un ruolo fondamentale nel favorire la migrazione, proliferazione e la sopravvivenza
del clone neoplastico, attraverso interazioni reciproche e bidirezionali cellula-matrice e cellula-cellula
mediate da citochine, chemochine, molecole recettoriali e di adesione. Nel midollo, le plasmacellule
secernono citochine (TNFα, TGFβ), metalloproteasi della matrice, VEGF, che a loro volta “attivano” lo stroma
circolante. Le plasmacellule sono in grado di interagire tra di loro (interazioni omotipiche) e con le cellule
stromali (interazione eterotipiche) o con le componenti della matrice in maniera diretta attraverso integrine
sulla loro membrana, VLA-4 e LFA-1. Il risultato globale di queste interazioni è la crescita e la sopravvivenza
delle cellule mielomatose, che divengono resistenti all’apoptosi indotta da farmaci; ovviamente la
formazione di nuovi vasi promossa da VEGF svolge un ruolo fondamentale nella crescita mielomatosa.
111
Ø Danno renale: presente nel 20-40% e fa seguito:
- al deposito di catene leggere che può avvenire a livello dei tubuli renali, con la comparsa di
una nefropatia interstiziale da accumulo e proteinuria di Bence-Jones, oppure a livello
glomerulare con la presenza di una proteinuria che può arrivare fino ad una condizione di
sindrome nefrosica
- all’ipercalcemia che comporta poliuria e disidratazione con conseguente insufficienza
pre-renale ipovolemica oppure induce deposizione di cristalli con la comparsa di un quadro
di nefrite interstiziale
Ø Infezioni: a seguito del deficit immunitario che si
instaura nell’MM, i pz presentano la soppressione
delle Ig policlonali e sono più suscettibili alle
infezioni. Prevalgono infezioni del tratto
respiratorio (bronchiti e polmoniti) da Gram+
capsulati (H. I. e S. P.), mentre nelle fasi più
avanzate predominano infezioni del tratto urinario
e setticemie, soprattutto da Gram – (E. coli,
Klebsiella p. e pseudomonas a.) e stafilococco
aureus, tipiche della fase neutropenica di una
chemioterapia intensiva.
Ø Manifestazioni emorragiche: per alterazioni
qualitative della funzione piastrinica e/o di alcuni
fattori della coagulazione (spesso malattia di von
Willebrand acquisita per lo sviluppo di anticorpi)
Ø Iperviscosità: presente nel 10%, soprattutto in
caso di MM secernenti IgG3 e IgA, dove gli isotipi
anticorpali tendono a formare polimeri
Ø Manifestazioni neurologiche: sintomi neurologici
come conseguenza dell’ipercalcemia,
dell’iperviscosità e soprattutto dell’effetto
meccanico procurato dalle eventuali compressioni
midollari secondarie ai crolli vertebrali.
112
La diagnosi di MM necessita la valutazione morfologica del midollo osseo dal punto di vista istologico e
citologico: aspirato e biopsia osteomidollari sono in questo caso complementari e non alternative, e sono
entrambe fondamentali per valutare l’entità dell’infiltrazione midollare, le caratteristiche morfologiche delle
cellule neoplastiche e la loro clonalità mediante indagini immunoistochimiche e/o citofluorimetriche.
Le cellule mielomatose possono avere un aspetto molto variabile, che oscilla da una notevole somiglianza
con le plasmacellule mature normali a cell di grossa taglia, francamente anaplastiche e di aspetto immaturo.
L’infiltrato può svilupparsi con un modello di crescita diffuso oppure può essere subdolamente distribuito
nell’interstizio o organizzarsi in noduli → infiltrazione a macchie “patchy” che può rendere talvolta
difficoltoso giungere ad una definizione diagnostica. Esprimono quasi sempre CD38 e CD138, mentre a livello
citoplasmatico Ig monoclonali. Ulteriori approfondimenti da eseguire sul tessuto midollare comprendono la
determinazione dell’indice di marcatura plasmacellulare (PLI, Plasma cell Labelling Index), che consente,
attraverso il calcolo della percentuale di cellule in attiva proliferazione, di identificare le forme più aggressive
di MM. All’esame laboratoristico si evidenziano:
- Anemia normocromica normocitica
- Leucopenia e/o piastrinopenia
- Non si rilevano plasmacellule circolanti, se non nelle fasi avanzate di MM e nell’evoluzione del MM
in leucemia plasmacellulare
- VES spesso aumentata
- Aumento della calcemia, dell’urea e della creatininemia
- Allungamento dei tempi della coagulazione
Il danno osseo viene valutato con l’esecuzione di una radiografia dello scheletro in toto, con studio di cranio,
rachide, coste, bacino, omeri e femori. Le lesioni evidenziate variano da osteoporosi diffusa a corpi vertebrali
schiacciati e deformati a causa di crolli vertebrali. La tipica alterazione radiologica della MM è caratterizzata
da una lesione osteolitica priva dell’usuale orletto periferico osteoaddensante radiopaco, riscontrabile nelle
metastasi ossee da neoplasie solide e dovuta all’assenza di reazione osteoblastica, ed è il criterio utile per la
diagnosi differenziale. L’osteopenia diffusa si evidenzia alla RX solo quando la perdita di osso trabecolare
supera il 50% dei valori basali e ci può essere, con l’RX, una possibile sottostima delle lesioni per incapacità
di identificare lesioni piccole e a basso potere risolutivo nella colonna vertebrale. Segni più precoci di
distruzione ossea possono essere visualizzati con la TC o con la RM, che permettono anche di evidenziare
lesioni osteovertebrali con potenziale o concreto rischio di compromissione del midollo spinale.
La diagnosi di MM viene fatta sulla base di tre criteri:
1. Plasmacellule midollari > 10%
2. Proteina M sierica > 30 g/dl e/o urinaria
3. Danno d’organo terminale: evidenza di lesioni osteolitiche, anemia, ipercalcemia o insufficienza
renale causate dal disordine proliferativo plasmacellulare
Il MM smoldering si differenzia per l’assenza di danno d’organo e quindi l’assenza di lesioni osteolitiche,
anemia, ipercalcemia o insufficienza renale causate dal disordine proliferativo plasmacellulare → questa
forma rappresenta il 15% delle nuove diagnosi. L’SMM ha un rischio di progressione in franco MM di circa
il 10% nei primi 5 anni, ma questo rischio si riduce progressivamente con il passare del tempo.
La sindrome ipercalcemica è una possibile emergenza che può esordire in corso di MM → è rilevata in circa
il 30-40% dei pz con MM, nella metà di questi all’esordio e in un’altra metà durante il decorso della malattia.
Si manifesta con poliuria, polidipsia, anoressia, nausea, vomito e astenia → se il quadro persiste
disidratazione, confusione, delirio fino al coma con encefalopatia ipercalcemica.
I valori di calcemia devono sempre essere corretti per i valori di albuminemia secondo la formula:
Calcio corretto = calcio + [0.8 x (4 – albumina)]
La terapia consiste nell’allontanare il calcio il più velocemente possibile, idratare bene il paziente ed usare il
cortisone (desametasone) per ridurre sia il quadro infiammatorio che il dolore che riferisce il pz.
Ricordiamo che nel caso del MM la vaccinazione è parte della terapia di prevenzione delle complicanze ed è
importante che venga fatta nelle fasi asintomatiche e precoci; è sconsigliata nei pz con MM attivo per il
semplice fatto che venendo meno le plasmacellule normali in terapia non avremo sviluppo della memora
immunologica.
113
La stadiazione ad oggi utilizzata è principalmente la ISS (international Staging System).
Fattori prognostici rilevanti per la sopravvivenza globale sono l’età e il performance status del pz, lo stadio
ISS, la capacità proliferativa del clone plasmacellulare, le anomalie genetiche quali ipoploidia, cariotipi
complessi, delezione del braccio corto del Chr. 17, t(4;14), ma anche valori di Hb, creatininemia, calcemia,
albuminemia, sottotipo di Ig prodotta dalle cell M (λ sfavorevole), morfologia plasmoblastica, presenza di cell
mielomatose circolanti, livelli elevati di LDH e PCR.
TERAPIA:
• PLASMACITOMA ISOLATO: proliferazioni plasmacellulari monoclonali che formano una massa
isolata nell’osso o nei tessuti molli. In questo caso può essere trattato con radioterapia a 45-50 Gy e
successivo follow-up
• SMM: osservazione e follow-up ogni 3-6 mesi→ non hanno indicazione al trattamento
• MM: ad oggi la prognosi è migliorata perché i pz possono raggiungere una sopravvivenza di 10 anni
dalla diagnosi; per oltre il 70% dei pz non è guaribile ma curabile. Obiettivi del trattamento sono
quelli di ridurre i sintomi e prevenire la sofferenza del paziente, migliorare la qualità di vita e cercare
di ottenere una remissione della patologia
114
SINDROMI MIELODISPLASTICHE
Gruppo eterogeno di malattie neoplastiche che derivano da alterazioni clonali acquisite della cellula
staminale midollare ematopoietica. Esse sono caratterizzate da:
• Ematopoiesi inefficace con conseguente presenza di una o più citopenie nel sangue periferico
• Atipie morfologiche e funzionali di una o più linee cellulari mieloidi
• Rischio variabile di trasformazione in leucemia acuta (leucemia mieloide acuta)
La MDS è comune almeno quanto la leucemia linfocitica cronica, che è la forma di leucemia più comune nel
mondo occidentale:
- Incidenza: circa 4-5 nuovi casi/100,000 abitanti per
anno (in apparente aumento)
- Età media > 60 anni; mediana intorno ai 65-70 anni
ma può comparire anche in età pediatrica
- M 55%, F 45%
Le MDS devono essere distinte da:
• Condizioni non clonali associate ad emopoiesi
displastica: anemie megaloblastiche carenziali,
alcolismo, recente terapia citotossica, infezione da
HIV e parvovirus B19
• Altre malattie ematologiche per lo più clonali: sindromi mieloproliferative croniche, aplasia
midollare, emoglobinuria parossistica notturna, T-LGL (condizione rara in cui c’è una
iperproliferazione dei linfociti granulari T che producono citochine infiammatorie che bloccano la
produzione midollare e che nelle fasi iniziali può essere scambiate per MDS)
Dal punto di vista patogenetico si distinguono forme de novo (80-85%), a
Prof divide forme acquisite
eziopatogenesi prevalentemente sconosciuta, verosimilmente idiopatica, e
primarie o de novo, idiopatiche,
forme secondarie (10-15%), associate a precedente esposizione a specifici
senza esposizioni note e precedenti
fattori leucemici (chemioterapici, radiazioni). È possibile che la patogenesi di
una parte delle forme de novo sia correlata all’esposizione a fattori disordini ematologici, e forme
secondarie dovute ad esposizione
ambientali e/o professionali, come benzene, metalli pesanti, vernici, alcune
sostanze chimiche di origine organica, pesticidi e fumo di sigaretta. Negli ad agenti chimici o trattamenti.
ultimi anni è emersa una crescente incidenza di SMD secondarie in pz
sottoposti precedentemente a radioterapia, chemioterapia con agenti alchilanti o inibitori delle
topoisomerasi, a terapia immunosoppressive utilizzate nel trattamento di patologie autoimmuni e
soprattutto a chemioterapia ad alte dosi (come avviene spesso per linfomi e mieloma multiplo) → queste
forme sono dette SMD correlata a terapia. Questi trattamenti inducono a morte le cell tumorali per
interazioni dirette con il DNA, ma con lo stesso meccanismo possono anche determinare nella cellula
staminale ematopoietica, particolarmente suscettibile per il suo elevato turnover, mutazioni silenti e
trasmissibili alla progenie.
Possiamo avere anche delle forme ereditarie:
o Anomalie genetiche costituzionali: trisomia 8 o monosomia 7
o Neurofibromatosi 1
o Embriodisgenesi (del12p)
o Neutropenie congenite: di Kostmann o di Schwachman-Diamond
o Alterazione dei meccanismi di riparazione del DNA: Anemia di Fanconi; Atassia-teleangiectasia;
Sindrome di Bloom
o Polimorfismi farmacogenomici: GSTq1-null
115
Le SMD sono caratterizzate da un equilibrio instabile tra proliferazione cellulare ed apoptosi → nelle fasi
iniziali prevale l’attività apoptosica responsabile della citopenia periferica, mentre l’attività proliferativa
prende il sopravvento quando la SMD progredisce verso la trasformazione leucemica. Nella cellula staminale
emopoietica si verifica un accumulo progressivo di mutazioni e alterazioni del patrimonio genetico che causa
un difetto maturativo intrinseco della cellula staminale stessa e, di conseguenza, provoca l’emopoiesi
inefficace (caratteristica iniziale prevalente).
Le SMD sono forme preleucemiche in quanto caratterizzate anche nelle fasi iniziali da un’alterazione clonale
e quindi neoplastica → nelle SMD viene selezionato un clone neoplastico che può o no progredire verso LAM.
Le LAM evolute da SMD hanno prognosi più sfavorevole rispetto alle LAM de novo, in quanto presentano più
frequentemente una resistenza intrinseca ai chemioterapici e una maggiore incidenza di recidive dopo
iniziale risposta al trattamento.
116
Clinicamente le SMD sono quindi caratterizzate da anomalie quantitative della serie emopoietica →
comparsa di citopenie periferiche pan-, bi- o mono-lineari.
• Anemia: definita per valori assoluti di Hb < 10 g/dl, è in genere macrocitica con anisopoichilocitosi
e la presenza di anomalie eritrocitarie, quali la presenza di punteggiature basofile citoplasmatiche e
residui nucleari. L’RDW è quasi sempre aumentato e i reticolociti sono frequentemente diminuiti per
lo scarso compenso midollare. Nella maggior parte dei casi alla diagnosi e nel corso di SMD sono
presenti i sintomi classici di una anemizzazione cronica → pallore mucocutaneo, astenia, dispnea,
angina ed eventualmente lipotimie da sforzo, anoressia, nausea e disturbi della termoregolazione.
Ø Fabbisogno trasfusionale elevato che porta a sovraccarico di ferro (emocromatosi
secondaria). La complicanza più importante della terapia trasfusionale prolungata (oltre 20
trasfusioni) è rappresentata dal sovraccarico di ferro, in particolare nel fegato, cuore,
pancreas e cute. Se non adeguatamente trattato: disturbi come insufficienze epatica,
insufficienza cardiaca e diabete. I danni tissutali descritti possono essere prevenuti
attraverso terapia chelante
• Leucopenia: circa il 60% si presenta alla diagnosi con formula invertita e neutropenia assoluta
(< 1800/μL); i neutrofili possono essere ipogranulati, con distribuzione disomogenea dei granuli
citoplasmatici, presentare anomalie nucleari e alterazioni qualitative per cui non sono in grado di
rispondere correttamente agli stimoli citochimici e di svolgere funzioni battericide e di fagocitosi.
Ne consegue che questi soggetti possono presentare frequenti infezioni, prevalentemente micotiche
e batteriche, localizzate e/o sistemiche.
Ø Trattamento principale è la terapia antibiotica ad ampio spettro
• Trombocitopenia: definita come conta piastrinica < 100.000/μL, nel 5% dei casi è l’unica citopenia
riscontrabile. L’MPV può essere normale o aumentato, mentre la PDW è sempre aumentato per
ampia distribuzione delle dimensioni delle piastrine. I pazienti possono presentare sanguinamenti
spontanei e/o per traumi lievi, mucosi (cavo orale, tratto gastroenterico, vie urinarie), cutanei
(ecchimosi, petecchie, soffusioni emorragiche), meno frequentemente nei tessuti/organi
parenchimatosi profondi (SNC) e nelle cavità sierose.
Le indagini di laboratorio comprendono la valutazione anche di:
- Dosaggio EPO plasmatica, che è spesso elevata
- Assetto del ferro: sideremia, transferrina, ferritina, saturazione transferrina) per una valutazione
pretrasfusionale
- Dosaggio di folati e vit. B12 per escludere citopenie carenziali
- Sierologia HIV
La diagnosi si basa sulla valutazione completa del midollo osseo. Le linee guida internazionali stabiliscono,
sulla base della classificazione OMS, i criteri diagnostici minimi per porre diagnosi di SMD:
• Presenza di citopenia stabile da almeno 6 mesi, da solo 2 mesi se presenti anche altre alterazioni
citogenetiche tipiche e/o displasie multilineare
• Esclusione di cause note di displasia midollare e/o di citopenia periferica
• Presenza di almeno uno dei seguenti criteri:
- Displasia in almeno il 10% della cellularità di una o più linee mieloidi midollari
- Blasti midollari pari al 5-19% delle cellule nucleate midollari o del sangue periferico
- Alterazioni citogenetiche tipiche delle SMD (5q – , 20q – , +8, –7, 7q –)
La cellularità midollare è frequentemente aumentata, talvolta normale e solo in una piccola percentuale
diminuita (SMD ipocellulare). La serie eritroide, generalmente iperplastica, può mostrare alterazioni
citoplasmatiche (punteggiature basofile, difetti di emoglobinizzazione o vacuoli) e nucleari (segmentazione,
frammentazione, nuclei multipli e ponti internucleari). La serie granulocitaria può presentare mielociti
ipogranulari, a volte del tutto privi di punteggiature citoplasmatiche, al punto da renderne difficile
l’identificazione, con arresto maturativo a livello degli elementi intermedi (promielociti e mielociti). I
megacariociti possono essere ipogranulati e ipolobati, con vari difetti di maturazione, tendenza alla
frammentazione nucleare e a volte ridotte dimensioni (micro-megacariociti). In tutte le serie si apprezza
asincronia maturativa nucleo-citoplasmatica.
117
Condizione particolare di mielodisplasia è la presenza di sideroblasti ad anello, visualizzabili dopo colorazione
di perls (che serve a colorare il ferro) come delle cell midollari con nucleo circondato da granuli di ferro →
riconoscere questa particolare forma è importante perché esiste una specifica mutazione che la rende poco
o non responsiva al trattamento con EPO, ma responsiva ad un altro farmaco che si chiama luspatercept.
2. CLASSIFICAZIONE OMS: ad
oggi è quella utilizzata, dati i limiti,
anche storici, della FAB. A
quest’ultima aggiunge criteri
diagnostici e prognostici che derivano
dall’esperienza clinica e dai dati
raccolti. Si basa sulla valutazione
morfologica midollare e del sangue
periferico, sia sull’analisi citogenetica.
Abbassa al 20% la soglia di blasti
midollari o nel sangue per parlare di
trasformazione leucemica; vengono
separate le forme con displasia di una
singola linea cellulare mieloide da
quelle con coinvolgimento di più linee
e viene riconosciuta un’entità
genetica a sé stante caratterizzata da
una specifica alterazione
cromosomica, ovvero la sindrome
mielodisplastica con delezione 5q
isolata, con implicazioni prognostiche
e terapeutiche ben distinte.
118
Il decorso clinico è variabile e la prognosi è dipendente da fattori di rischio citogenetico e clinico, nell’insieme
raccolti in un sistema prognostico, l’International Prognostic Score System (IPSS)
Il rischio citogenetico è:
- Favorevole: cariotipo normale,
delezione 5q, delezione 20q, – Y
- Intermedio: trisomia Chr. 8 o altre
anomalie
- Alto: anomalie Chr. 7, cariotipo
complesso (3 o più anomalie)
Le SMD secondarie solitamente hanno
prognosi peggiore perché in queste
prevalgono mutazioni più gravi.
119
TRATTAMENTO
La terapia è calibrata in base alla
categoria di rischio del paziente.
Nei pz a basso rischio l’obiettivo è
quello di migliorare l’eritropoiesi e
la qualità di vita.
Nei pz asintomatici si adotta un
atteggiamo “watch and wait” con
eventuale terapia di supporto →
questo perché spesso sono pz
anziani e la storia clinica dei pz è
sovente più influenzata da età e
comorbilità che dalla malattia
stessa e spesso più che perseguire
obiettivi di risposta e
sopravvivenza occorre migliorare la qualità di vita. Lenalidomide nei pz con mutazione 5q –.
L’incidenza dell’anemia tra i pazienti con MDS è circa 87%, di cui il 37% con Hb ≥10gr/dL (anemia lieve) e il
50% con Hb <10gr/dL (anemia moderato-grave). l’80% dei pz con SMD necessita prima o poi di
emotrasfusioni → il tipo di emocomponente trasfuso è solitamente costituito da emazie concentrate
standard (bisogna filtrare o irradiare le sacche se i pazienti sono futuri candidabili a trapianto, al fine di
azzerare il rischio di trasfondere CMV al paziente); possono anche essere trasfuse le piastrine quando la
conta piastrinica è <10.000/mmc o 20.000/mmc se è presente un’emorragia in atto o se necessita o ha in
programma l’esecuzione di procedure invasive (in tal caso la trasfusione va fatta in prossimità della
procedura, avendo le piastrine trasfuse una durata funzionale di 1-2 giorni).
Le trasfusioni sono indicate in presenza di:
1. Hb < 8 g/dl
2. Hb 8-10 g/dl solo se in presenza di sintomi
3. Hb > 10 g/dl se ci sono validi motivi che vanno specificati
I best responders sono coloro che hanno valori di EPO 200-500 U/L, citogenetica normale, blasti < 10% e
carico trasfusionale basso (< 2U/mese)
Le trasfusioni multiple inducono delle complicanze:
- Sensibilizzazione (anafilassi)
- Sovraccarico di ferro → 1 unità di sangue contiene 200-250 mg di ferro e un sovraccarico marziale si
ottiene dopo circa 20 trasfusioni, con aumento dei valori di ferritina sopra 1000 μg/L. Sono tre i motivi
del sovraccarico marziale nelle SMD: eritropoiesi inefficace, trasfusioni e terapia mielosoppressiva.
Alti livelli di ferro in circolo, oltre ad accumularsi negli organi bersaglio, portano ad aumento dei ROS,
che causano instabilità genomica, la quale può anche favorire lo switch a MDS ad alto rischio.
Le cause della morte dei pazienti con MDS sono dovute a 4 motivi principali:
§ insufficienza cardiaca (51%);
§ infezioni (31%) legate alle citopenie;
§ emorragie (8%);
§ cirrosi epatica (8%).
Insufficienza cardiaca e cirrosi epatica sono legate a sovraccarico di ferro. Legato al sovraccarico di ferro è
stato descritto anche un aumento delle endocrinopatie. La terapia per il sovraccarico di ferro si basa
sull’utilizzo di chelanti del ferro (deferasirox)
L’EPO trova il suo razionale di impiego nel suo meccanismo d’azione → stimola la proliferazione e la
differenziazione dei progenitori clonali, stimola l’emopoiesi normale residua, evita il rischio di
compromissione cardiaca (una anemia persistente si associa a rimodellamento cardiaco). La sua
somministrazione permette di mantenere l’aumento dei livelli di Hb più stabile e duraturo nel tempo. Se i
valori di Hb > 12 g/dl si deve interrompere il trattamento perché potrebbe esserci un aumento del rischio
trombotico.
120
I pazienti possono essere divisi in “EPO responders”, con prognosi migliore, e “EPO non responders” con
prognosi peggiore. Le migliori risposte a tale trattamento sono tipiche dei pazienti a basso rischio, senza
anomalie citogenetiche, non trasfusioni-dipendenti e assenza di anemia refrattaria con sideroblasti ad anello.
È importante dosare l’eritropoietina endogena che deve essere <200U/mL, poiché soggetti con valori più
elevati non rispondono alla terapia.
La del 5q è un’anomalia molto frequente nelle SMD, ma quando isolata, come unica anomalia citogenetica,
in presenza di blasti nel midollo e nel sangue periferico < 5% si parla di sindrome 5q – .
Questa si associa a:
- predominanza femminile (gender ratio 7:3)
- età mediana alla diagnosi 68 anni
- anemia macrocitica, lieve leucopenia, megacariociti atipici (mononucleari, sferonucleari), anemia
refrattaria e dipendenza dalle trasfusioni
- corso indolente, prognosi favorevole → solo il 10-15% dei casi evolve in AML e hanno una media di
sopravvivenza > 5 anni.
La lenalidomide agisce:
- VEGF, bloccando la produzione di
vasi sanguigni;
- Linfociti T/NK, con effetto immuno-
modulatorio, cambiando la produzione
citochinica;
- Clone displastico, bloccandone la
proliferazione;
- Hb, con aumento di tale proteina in
più dell’80% dei pazienti con 5q- e del 57%
nei soggetti con cariotipo normale; le
risposte sono scadenti nei soggetti con
altre mutazioni.
Nelle SMD si osserva anche una ipermetilazione dei promoter con blocco dell’espressione genica e blocco
della maturazione → questo avviene per eccessivo reclutamento di DNMT e HDAC (istone deacetilasi) che
portano al silenziamento genico. La metilazione avviene solitamente nelle cosiddette isole CpG → aree
genomiche di 500-2000 paia di basi ricche di dinucleotidi CpG.
Geni ipermetilati nelle SMD sono: P15ink4a, DAPkinase, SOCS1, E-caderina, calcitonina 121
Proprio per questa ipermetilazione genomica sono stati utilizzati nel trattamento farmaci quali HDAC
inibitori o DNMT inibitori → decitabine e azacitidina esercitano la loro azione inibendo la DNMT1.
LEUCEMIE ACUTE
Gruppo eterogeneo di disordini clonali delle cellule staminali emopoietiche conseguenti a un danno genetico
che provoca la perdita della capacità di differenziare normalmente (arresto maturativo = presenza di blasti)
e di rispondere ai fattori di regolazione della proliferazione (crescita incontrollata). La progressiva crescita
delle cellule leucemiche (definite blasti) induce infiltrazioni d’organo e una perdita della normale funzione
del midollo osseo con conseguenti neutropenia,
anemia e piastrinopenia e il corrispettivo clinico
di gravi infezioni e sindrome emorragica. La
classificazione si basa sulla natura della cellula
staminale interessata dalla trasformazione
neoplastica, dunque sull’identificazione dei
marcatori morfologici, immunofenotipici linea-
specifici mieloidi o linfoidi, citogenetici e
molecolari che denotano le diverse filiere
emopoietiche. Si considerano quindi due gruppi di
leucemie acute:
• Leucemie acute mieloidi (LAM)
• Leucemie acute linfoblastiche (LAL)
Le leucemie acute si differenziano dalle croniche
per la rapidità di proliferazione e per la presenza
di cellule immature che si accumulano.
Le LAM hanno una prevalenza di 3,8/100.000
persone, che raggiunge i 18/100.000 nella popolazione > 65 anni. L’età mediana di insorgenza è di 70 anni,
con prevalenza nel sesso maschile. I principali fattori di rischio della LAM riconosciuti sono l’esposizione a
radiazioni ionizzanti, a benzene (il fumo di sigaretta è la più comune fonte di esposizione a benzene), a
chemioterapia citotossica → il 10-15% di LAM si riscontra in soggetti che hanno ricevuto chemioterapia e/o
radioterapia. Per quanto riguarda le LAL, l’incidenza è di 1-3 casi/100.000 abitanti/anno e la distribuzione in
base all’età dimostra due fasi di incidenza: nella prima infanzia (l’80% dei pz con LAL ha un’età inferiore ai 15
anni → neoplasia più comune nei bambini) e nell’età avanzata. Ci sono dei fattori genetici predisponenti:
- Gemello identico con LA
- Sindrome di Down
- Sindrome di Bloom
- Sindrome di Klinelfelter
- Anemia di Fanconi
122
PATOGENESI DEI SINTOMI
Il quadro clinico della leucemia acuta
è caratterizzato dall’insufficienza
midollare secondaria all’infiltrazione
leucemica e all’arresto maturativo,
dalla tendenza alla diffusione in
organi o sistemi e da sintomi generali
caratteristici di tutte le neoplasie.
L’insufficienza midollare è causa di
anemia, neutropenia e piastrinopenia
con sintomi e segni corrispondenti, in
particolare astenia, pallore, infezioni,
emorragie cutanee e mucose
(emorragie congiuntivali, epistassi,
gengivorragia, ematuria e melena).
123
DIAGNOSI E CLASSIFICAZIONE:
Quando abbiamo un paziente con sospetto di leucemia acuta dobbiamo innanzitutto effettuare un esame
obiettivo con la ricerca dei segni della patologia, seguito sempre da un esame emocromocitometrico. Un
aspetto particolare che possiamo riscontrare in questo esame è la leucopenia, che può essere presente
qualora i blasti, prodotti dal clone neoplastico, non riescano a fuoriuscire dal midollo. Questa eventualità può
essere confermata dall’aspirato midollare, tramite il quale è possibile anche eseguire gli esami di
citogenetica e di biologia molecolare che possono dare informazioni utili a livello terapeutico e prognostico.
La puntura lombare, infine, è effettuata qualora vi sia un sospetto di infiltrazione del SNC; nel liquor prelevato
bisogna a sua volta effettuare l’esame morfologico e, soprattutto, l’esame con il citofluorimetro. Questo al
fine di capire meglio che tipo di leucemia abbiamo davanti e quindi la prognosi e la terapia da impostare.
Gli esami ematochimici rivelano la presenza di anemia e piastrinopenia, salvo nei casi di diagnosi
particolarmente precoce; vi è in genere leucocitosi, ma non è rara la presentazione con leucopenia, con un
quadro “aleucemico”, con rari blasti in circolo. Lo striscio di sangue periferico mette in evidenza un numero
variabile di blasti e scarsi granulociti neutrofili maturi (iato leucemico). Vi possono essere segni di
diseritropoiesi con alterazioni morfologiche dei globuli rossi ed eritroblasti circolanti. L’aspirato midollare
mostra una quota di blasti > 20% della quota non eritroide; la serie granulopoietica normale residua, quella
eritroide e quella megacariocitica sono generalmente ridotte e dismielopoietiche. Le colorazioni citochimiche
e le indagini immunofenotipiche permettono una caratterizzazione dei blasti leucemici. All’aspirato midollare
è possibile riscontrare anche i corpi di Auer (raggruppamenti di materiale granulare azzurrofilo che formano
aghi allungati visibili nel citoplasma di blasti leucemici) che possono essere osservati nei blasti leucemici di
leucemia mieloide acuta M2 e M3 e nella sindrome mielodisplasica.
In caso di CID si avranno le alterazioni caratteristiche (diminuzione del fibrinogeno, aumento dei prodotti di
degradazione dle fibrinogeno, prolungamento del PT e PTT, schistocitosi). Un aumento delle LDH è costante.
L’esame del liquor deve essere eseguito in tutti i casi di LAL o nei pz con segni e sintomi neurologici e potrà
rivelare la presenza di blasti agli esami morfologico e immunofenotipico.
124
La classificazione delle leucemie acute in uso è quella promossa dall’OMS e si basa su criteri morfologici,
immunofenotipici, citogenetici e molecolari.
Dal punto di vista morfologico la definizione di LAM è data dalla presenza di blasti > 20% tra le cellule
midollari non eritroidi dopo conta di almeno 500 cellule midollari. La classificazione puramente morfologica
più utilizzata in passato è la FAB che prende in considerazione le caratteristiche morfologiche e citochimiche
delle cellule, basandosi sulla visione al microscopio ottico di un campione di aspirato midollare, strisciato e
colorato → in passato si è fatto ricorso alle colorazioni citochimiche, che evidenziano la presenza di enzimi
specifici delle varie linee cellulari, il tipo di enzima evidenziato e la sua distribuzione nel citoplasma aituano
a caratterizzare le cellule con una migliore approssimazione.
• M0: minimamente differenziata, con mieloperossidasi negativa in citochimica e positività > 20% di
antigeni mieloidi al citofluorimetro (CD13, CD33, MPO intracitoplasmatica)
• M1: senza maturazione, con popolazione leucemica non eritroide > 90% caratterizzata da blasti
MPO+
• M2: con maturazione, quando il 20-89% delle cell non eritroidi è costituito da blasti MPO+, cell
monocitoidi < 20% e cell in maturazione mieloide > 10%. Tipica è la t(8;22)
• M3: promielocitica, con promielociti patologici > 20% delle cell non eritroidi. Si caratterizza per la
presenza dei corpi di Auer e il citoplasma è ipergranulato, con difficoltà a distinguere il nucleo. Tipica
la t(15;17).
• M4: mielomonocitica, quando il 20-80% è costituito da blasti di derivazione monocitaria a vari stadi
di maturazione
• M4eo: mielomonocitica con eosinofilia, con eosinofili > 5% con vari gradi di atipie. Associata ad
inversione del Chr. 16 e prognosi più favorevole
• M5a/b: monoblastica, con blasti di linea monocitaria > 80%
• M6: eritroleucemia, con eritroblasti > 50%
• M7: megacarioblastica, con blasti di linea megacarioblastica
125
Criteri citogenetici
In circa il 50% delle leucemie acute sono documentabili anomalie clonali del cariotipo rappresentate da
alterazioni strutturali (traslocazioni, delezioni, inversioni), alterazioni numeriche in eccesso o in difetto
(trisomie, monosomie) e da aneuploidia (aploidia, iperdiploidia). Il valore clinico dell’analisi citogenetica
risiede nell’individuazione di sottotipi di leucemia a differente prognosi; l’indagine citogenetica con tecnica
FISH è utile anche per la valutazione della malattia minima residua e per lo studio del chimerismo cellulare
nei trapianti allogenici.
I primi due gruppi ottengono
una remissione completa
dopo somministrazione della
prima linea di terapia con
percentuali molto simili, ma il
gruppo intermedio presenta
una maggiore percentuale di
recidiva. Il gruppo a prognosi
sfavorevole presenta una
percentuale più bassa,
rispetto agli altri due, di
ottenere remissione di
malattia dopo trattamento di
prima linea.
Le alterazioni molecolari più frequenti sono state incluse nella Anomalie cromosomiche:
classificazione OMS come entità distinte. Studi su ampie casistiche § traslocazioni 40%
hanno permesso di correlare l’espressione di migliaia di geni con dati § anomalie numeriche 10%
fenotipici e clinici di risposta alla terapia, consentendo § delezioni 4%
l’identificazione di specifiche signature con valore prognostico. Il Mutazioni:
valore prognostico di alcune entità genetiche nella LAM e nella LAL ha § “FMS-like tyrosine kinase 3” (Flt3) 37%
assunto un rilievo primario nella pianificazione terapeutica. Inoltre, § Ras 15%
l’indagine molecolare consente di ritrovare la malattia minima § CEBPA 10%
residua, che rappresenta lo strumento più affidabile di monitoraggio § MLL 10%
della risposta terapeutica e permette la modulazione dell’intensità del § c-KIT 4%
trattamento in ragione dello stato di malattia nel singolo paziente.
Le delezioni cromosomiche sono frequenti nelle LAM dell’anziano,
che presentano una stretta somiglianza biologica con le Sindromi Mielodisplastiche. Queste determinano la
perdita di “tumor suppressor genes”, mappati nella regione deleta, e frequentemente la mutazione dell’allele
presente sul cromosoma omologo, apparentemente normale alla citogenetica.
Esiste anche una buona percentuale di LAM a cariotipo normale → in questi pz l’indagine cromosomica
convenzionale non fornisce informazioni importanti per la clinica e per questo motivo sono stati ricercati
nuovi marcatori diagnostici e prognostici. In questo sottogruppo è utile ricercare la presenza di 2 mutazioni:
- Internal-tandem duplication di FLT-3: categoria ad alto rischio con elevato rischio di recidiva dopo
autotrapianto. Frequentemente associata alle forme con cariotipo normale. La mutazione
solitamente porta ad attivazione costituzionale del recettore con vantaggio proliferativo. È un target
terapeutico, e nella leucemia promielocitica questo può essere un vantaggio.
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- Mutazione di nucleofosmina (NPM1): se non associata a mutazione di FLT-3 è associata a buona
prognosi. Questa è la mutazione più frequente nella LAM, trovandosi nel 35% dei pz; solitamente è
una mutazione nell’esone 12 che porta alla sintesi di una proteina tronca, con abnorme localizzazione
citoplasmatica e alterazione nella trascrizione di alcuni geni. È mutualmente esclusiva con
traslocazioni tipiche, che quindi in caso di presenza di questa mutazione possono essere escluse.
Le traslocazioni di MLL coinvolgono la banda 11q23 e si trovano nel 4% delle forme de novo e nel 60% delle
forme secondarie → è un gene promiscuo perché si riarrangia con 40 partners diversi. MLL svolge un ruolo
cruciale per la patogenesi della malattia, mentre il gene partner determina il fenotipo leucemico:
• t(9;11) = M4-M5
• t(6; 11) = LAM evoluta da SMD
• t(4;11) = LAL
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TRATTAMENTO:
leucemia mieloide acuta
Chemioterapia di induzione a base di
antraciclina + citarabina → permette di
ottenere una risposta nel 75% dei pz. Segue
una terapia di consolidamento, ovvero una
chemioterapia intensificata a base di
citarabina ad alte dosi o con la stessa
combinazione della terapia di induzione.
Successivamente, in base al profilo di rischio
del pz, si può decidere se continuare soltanto
con la chemio di consolidamento o se forzare
tramite autotrapianto o trapianto allogenico.
Se, invece, il pz non risponde a terapia di
induzione o presenta una recidiva durante
terapia di consolidamento, si può pensare ad
una “terapia di salvataggio” a base di
fludarabina e successivamente indirizzare il
pz al trapianto allogenico. Con questa terapia
nel pz giovane (<60 anni) e senza comorbilità
si arriva ad una sopravvivenza del 30-40%.
La leucemia acuta nel paziente anziano è bene trattarla con la stessa terapia delle mielodisplasie, cioè con
una terapia demetilante, cercando di favorire una differenziazione dei blasti piuttosto che voler eliminare a
tutti i costi tutti i cloni neoplastici, ma perdendo poi il paziente a causa della tossicità del trattamento.
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Tra gli effetti collaterali della L-asparaginasi troviamo:
• Reazioni di ipersensibilità;
• disfunzioni epatiche (elevazione di bilirubina ed enzimi epatici e bassa albuminemia)
• disfunzioni coagulative, sia in senso emorragico (per riduzione dei fattori della coagulazione) che
trombotico (per riduzione di antitrombina III e proteina S);
• pancreatiti; raramente può causare diabete.
• disturbi del SNC (letargia e sonnolenza);
Per la terapia della ALL sono disponibili anche alcuni anticorpi monoclonali, quale anti-CD22 (inotuzumab
ozogamicin) → il CD22 è espresso in tante leucemie linfoblastiche. All’Ab-monoclonale sono state coniugate
delle molecole di una tossina, detta calicheamicina: al legame col recettore segue successiva
internalizzazione, seguita poi dal passaggio all’interno dei lisosomi dove viene staccata la tossina, la quale
passa nel nucleo avviando la via apoptotica. È però presente una tossicità epatica, dovuta al fatto che parte
della tossina passa in circolo.
Un altro anticorpo è il blinatumumab, Ab-monoclonale bispecifico costituito da una parte da CD3, che si lega
al linfocita T, e dall’altra dal CD19 che si lega alla cellula tumorale leucemica tipo B → compito dell’Ab è quello
di favorire il riconoscimento della neoplasia da parte delle cell T, favorendone la distruzione.
Nella valutazione della risposta al trattamento è fondamentale andare a ricerca la presenza di malattia
minima residua.
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La terapia degli adulti rimane però insoddisfacente: la sopravvivenza a 5 anni è inferiore al 50% per i pazienti
con meno di 60 anni ed è meno del 15% per i pazienti con più di 60 anni.
A questo proposito risultano alternative importanti il trapianto allogenico o autotrapianto (in questo caso c’è
un rischio di ripiantare la malattia).
il trapianto allogenico è indicato
dopo prima remissione dopo
terapia di prima linea o in seconda
remissione (dopo chemioterapia
per recidiva).