Storia Del Cinema Subrayado Final
Storia Del Cinema Subrayado Final
Storia Del Cinema Subrayado Final
LEZIONE 1: Federico Fellini è uno dei più importanti registi italiani del secondo dopoguerra. Inoltre, è
quello più conosciuto e amato all’estero, soprattutto negli USA. Tra gli anni 50 e 70 ha vinto (ganó) ben
quattro premi Oscar come miglior film straniero (La strada, le notti di Cabiria, 8/5, Amarcord). Egli è anche il
regista che ha registrato la maggiore influenza su altri registi sia italiani (Paolo Sorrentino, erede di Fellini
con “La grande bellezza” ovvero versione contemporanea de “La dolce Vita”) che stranieri delle generazioni
successive (Woody Allen e Linch in America). I tratti distintivi (las señas de identidad) del cinema felliniano
sono donne procaci dal seno smisurato, clown che suonano la tromba e conseguente interesse per il circo,
trasfigurazione grottesca e poetica della realtà. Egli era molto interessato all’astrologia, all’occultismo, al
paranormale, alla cartomanzia.
Las señas de identidad del cine de Fellini son mujeres provocativas de enormes pechos, payasos que tocan
la trompeta y el consiguiente interés por el circo, una transfiguración grotesca y poética de la
realidad. Estaba muy interesado en la astrología, el ocultismo, lo paranormal, la cartomancia.
LEZIONE 2: Nasce il 20 gennaio 1920 a Rimini dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza (anni determinanti
per la sua formazione) e, nel gennaio del 1939, si trasferisce a Roma dove muore il 31 ottobre 1993.
Breve storia di Rimini: Le prime tracce di insediamento urbano risalgono alla Preistoria (periodo Neolitico).
Tuttavia l’importanza della città emerge durante l’epoca romana poiché si trovava in una posizione
strategica dal punto di vista delle comunicazioni in quanto era punto di congiunzione tra la via Emilia e la via
Flaminia. La via Emilia partiva da Rimini e si concludeva a Piacenza; invece, la via Flaminia partiva da Rimini
e arrivava a Roma (unica strada percorribile per molti secoli per arrivare da Roma all’Italia settentrionale). Il
periodo di massimo splendore in epoca romana corrisponde all’inizio del periodo imperiale a cui risalgono
l’arco di Augusto (27 a.C) e il ponte di Tiberio (14-21 d.C). Le tracce della Rimini romana sono evidenti nella
pianta del centro storico. Infatti, la città romana era di forma rettangolare e tagliata a croce da due strade
principali: il Decumano massimo e il Cardine massimo che incrociava il decumano al centro. Il Decumano
massimo corrisponde a Corso Augusto che attraversa tutto il centro storico e congiunge l’Arco di Augusto al
Ponte di Tiberio. Sul corso si trovano il Cinema Fulgor (è stato ricostruito nel film Amarcord di Fellini e
occupa una parte del museo dedicato al regista) e il Liceo classico frequentato da Fellini.
Dopo la caduta dell’Impero Romano, la città decade passando sotto il dominio dei bizantini.
Successivamente risorge nel Medioevo nell’età comunale, diventando un importante comune. Due
testimonianze di questo periodo sono il Palazzo del podestà (XIV secolo) e il Palazzo dell’Arengo (XIII secolo)
che si trovano in piazza Cavour.
Il secondo periodo di gloria per Rimini corrisponde a quello della signoria malatestiana (1295-1500) in cui la
città diventa la capitale di questo piccolo stato. Molto importante è il periodo del Rinascimento sotto il
mecenate Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468) che attirò a Rimini molti artisti e intellettuali
dell’epoca. I due edifici più importanti che risalgono all’epoca di Sigismondo sono il Castel Sismondo (XV
secolo) che attualmente occupa la parte più importante del museo dedicato a Fellini e che si trova in pieno
centro storico e il Tempio malatestiano (XV secolo) ovvero il duomo di Rimini, progettato da Leon Battista
Alberti.
La decadenza di Rimini nello stato pontificio (1509-1860): la città perde qualsiasi centralità politica e
culturale e diventa una piccola cittadina di provincia. Alla prima parte del periodo pontificio risale la
Fontana della Pigna (1543) in piazza Cavour che è stata ricostruita in studio da Fellini per una scena del film
Amarcord dedicato a Rimini.
Nel 1860 entra a far parte del Regno d’Italia ma la situazione non cambia.
Dopo l’inizio del ‘900 Rimini si impone come importante centro di villeggiatura balneare (anche se già a
fine ‘800 era presente uno stabilimento balneare. La data simbolica di nascita della Rimini turistica è il 1908
in cui viene costruito il famoso Grand Hotel (descritto nel film Amarcord come luogo mitico), hotel di lusso
nel quale hanno alloggiato personaggi illustri. Successivamente, lungo il litorale vengono edificati altri
alberghi e villette, venendosi a formare una Rimini balneare ancora separata dalla città antica. Negli anni
’20-’30 (ventennio fascista) a causa dell’espansione urbana, la città balneare e la città antica si
congiungono, tuttavia Rimini continua a conservare una doppia identità: da una parte cittadina di provincia
legata alle tradizioni contadine dell’entroterra romagnolo, dall’altra località di villeggiatura balneare
“cosmopolita” che attira turisti provenienti da altre parti dell’Italia e da altri paesi. Mussolini pur essendo
romagnolo non amava Rimini e i riminesi perché li considerava freddi nei confronti del regime. Per suscitare
maggiore entusiasmo, il regime organizzò diverse manifestazioni pubbliche importanti tra cui competizioni
sportive, raduni aerei, inaugurazione di monumenti con grandi parate e la presenza delle maggiori autorità
del fascismo.
Nel 1939, con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale il periodo di dolce vita di Rimini termina
bruscamente. La città tra il 1943 e il 1944 subisce da parte degli alleati dei terribili bombardamenti che,
oltre a uccidere una parte della popolazione, produssero danni gravissimi al centro storico e ai principali
monumenti. Nel dopoguerra con la ricostruzione ritorna a essere un’importante località turistico-balneare.
Vita di Fellini:
Fellini era un grande bugiardo (mentiroso) e spesso nelle interviste raccontava episodi della propria vita in
maniera fantasiosa e falsa. Ha dichiarato di essere stato partorito su un treno in corsa (in realtà era nato in
casa come tipico all’epoca) e che all’età di sette anni, dopo aver assistito all’esibizione di un clown, era
scappato di casa per tentare di entrare nel circo. Questa sua tendenza era nota a tutti, tanto che esiste un
documentario su questo (“Fellini: Sono un gran bugiardo” (2002) di Damian Pettigrew). Anche Alberto
Sordi (protagonista de “Lo sceicco bianco”, film di esordio per l’attore) lo definiva un grande mentitore
Figlio di Ida Barbiani (1896-1984), proveniente da una famiglia romana della piccola-media borghesia e
Urbano Fellini (1894-1956), originario di Gambettola (cittadina non distante da Rimini) e proveniente da
una famiglia modesta ma non povera (i genitori erano piccoli proprietari terrieri e gestivano un negozio di
generi alimentari). I due si conoscono perché Urbano, molto giovane, abbandona Gambettola e si trasferisce
a Roma in cerca di fortuna. Aveva trovato lavoro come garzone di un fornaio e alloggiava in una pensione
che si trovava nella stessa strada in cui abitava Ida. Era un ragazzo di aspetto gradevole, estroverso,
intraprendente. Fra i due nasce una relazione osteggiata dai genitori di lei che avrebbero voluto che si
sposasse con un ragazzo più danaroso. Tuttavia, Ida decise di seguire le proprie inclinazioni e fece la classica
fuga d’amore, raggiungendo Urbano a Gambettola dove si sposarono senza il consenso dei genitori dei lei.
Questo provocò una rottura tra Ida e la famiglia (dopo la morte della madre, cercò più volte di riconciliarsi
col padre ma senza successo). Successivamente si trasferirono a Rimini e Urbano cominciò a lavorare come
venditore all’ingrosso di generi alimentari, raggiungendo una discreta condizione economica.
Entrambi hanno ugualmente tentato la strada del cinema anche se con minore successo.
Riccardo Fellini ha interpretato come attore una ventina di film tra anni ‘40 e ‘50, tutti con ruoli
estremamente secondari. Il film più importante è “I vitelloni” del fratello Federico in cui egli è uno dei
cinque vitelloni. Inoltre, ha diretto un unico film intitolato “Storie sulla Sabbia” del 1963. Anche Maddalena
ha interpretato delle piccole parti in circa 5 film ma mai come attrice protagonista.
Fellini frequenta le scuole elementari a Rimini: il primo anno dalle suore, gli altri presso una scuola laica
statale. Egli ha dichiarato di avere frequentato il secondo e terzo anno delle elementari in un collegio
religioso gestito dai padri carissimi a Fano ma non è assolutamente vero. Fu invece il fratello Riccardo a
esservi stato mandato per via del suo carattere esuberante. Il regista aveva infatti la tendenza ad
appropriarsi di dettagli della biografia di altre persone. Questa bugia è alla base di un episodio del film 8/5
che dovrebbe essere in teoria fortemente autobiografico, ma in realtà c’è pur sempre una base di finzione
dato che inventava molte bugie. Durante l’infanzia, nonostante amasse descriversi come un monello, pare
che fosse un bambino buono, tranquillo e sedentario. Era appassionato di disegno, ispirato ai personaggi dei
suoi fumetti preferiti. Infatti, era un grande lettore di storie a fumetti(comics) (il fumetto è una delle fonti
iconografiche del suo cinema) e in particolare era un assiduo lettore del “Corriere dei piccoli” (1908), la più
importante e prestigiosa pubblicazione italiana a fumetti per diversi anni. Esso era originariamente il
supplemento domenicale per bambini del Corriere della sera ma successivamente diventerà rivista
autonoma. Fellini ha anche enumerato in alcune interviste quali fossero le strisce a fumetti da lui preferite:
-Bibì e Bibò (1912), versione italiana di The Katzenjammer Kids (1897) di Rudolph Dirks, incentrata su due
bambini terribili
-Arcibaldo e Petronilla (1921), versione italiana del fumetto americano Bringing Up Father (1913) di George
Mcmanus
-Fortunello e La checca (1910), versione italiana di Happy Hooligan (1899) di Frederick Burr Opper
-Mio Mao (1923), versione italiana di Felix the Cat (1919) di Pat Sullivan
Queste storie non possono essere designate come veri e propri fumetti perché ancora in questo periodo
non esistevano i balloons ma il testo stava in didascalie poste sotto le vignette e di solito era in rima.
Il Signor Bonaventura (1917) è il simbolo del Corriere dei piccoli, creato da Sergio Tofano (Sto) che oltre a
essere disegnatore di fumetti, è stato anche attore.
Un altro disegnatore che lavorava per il Corriere dei piccoli e che secondo alcuni ha influenzato Fellini è
Antonio Rubino. Egli è famoso per Quadratino (1910), un bambino con la testa quadrata.
Secondo una studiosa, Federico Fellini è stato anche influenzato da due personaggi cioè Girellino e lo
zingaro Zarappa (1919) che presentano fortissime analogie con i protagonisti de “La strada” cioè Celestina e
Zampanò.
Fellini non era grande lettore di romanzi (si ricordano pochi romanzi d’avventura come “Il corsaro nero” e
“L’isola del tesoro”), solo in età matura inizierà a leggere assiduamente. Inoltre, ha sempre dichiarato di non
essere mai stato un grande frequentatore di sale cinematografiche. Durante la sua infanzia e adolescenza il
cinema svolgeva un ruolo molto secondario. Anche da adulto ha dichiarato di andare pochissimo al cinema
e quindi di non conoscere la maggior parte dei film dei suoi colleghi e di non avere mai rivisto i suoi film
dopo averli completati. Egli parla della sala cinematografia più come luogo sociale in cui incontrava i suoi
amici facendo monellate o come luogo di flirt, seduzione, rapporti con il sesso femminile.
Durante su infancia y adolescencia el cine jugó un papel muy secundario. Incluso de adulto, afirmó que iba
muy poco al cine y por lo tanto no conocía la mayoría de las películas de sus colegas y que nunca volvió a
ver sus películas después de terminarlas. Habla de la sala de cine más como un lugar social donde se
reunía con sus amigos haciendo travesuras o como un lugar de coqueteo, seducción, relaciones con el sexo
femecnino.
Nelle interviste Fellini ha sempre affermato che il primo film che ricorda di avere visto è “Maciste
all’inferno” (1926) di Guido Brignone, tenuto sulle ginocchia del padre in una sala cinematografica di Rimini
affollata all’età di circa 6 anni. Esso è interpretato da Bartolomeo Pagano e fa parte di un filone molto
diffuso nel cinema muto italiano cioè il cinema dei forzuti, interpretato da attori molto muscolosi e di
grande forza fisica. Maciste è originariamente un personaggio minore del film storico in costume Cabiria
(1914) di Giovanni Pastrone (uno dei film più importanti del cinema muto italiano con didascalie scritte da
D’Annunzio), ambientato in epoca romana. Siccome questo personaggio che già qui era interpretato da
Bartolomeo Pagano piacque molto al pubblico, vennero realizzati degli spin off in cui veniva calato ogni
volta in un’ambientazione diversa da quella originale (perlopiù moderna). Anche Cabiria, indirettamente, è
importante per la filmografia di Fellini: una delle due prostitute che incontra il protagonista de “Lo sceicco
bianco” si chiama Cabiria, interpretata da Giulietta Masina (moglie di Fellini) come si chiamerà Cabiria,
sempre interpretata dalla Masina, anche la prostituta de “Le notti di Cabiria”.
LEZIONE 3: dopo la fine delle scuole elementari, si iscrive al Liceo classico Giulio Cesare, situato in Corso
d’Augusto, dove rimane fino al 1938 (non esistevano le medie e il liceo classico durava 8 anni: 5 anni di
ginnasio e 3 di liceo). Esso può essere considerato come il più prestigioso di Rimini. Federico Fellini non era
un alunno brillante e particolarmente studioso ma riesce comunque a cavarsela. Durante il periodo del liceo
classico, stringe amicizia con Luigi “Titta” Benzi (1920-2014), suo compagno di banco per tutte le superiori e
migliore amico per tutta la vita (diventerà poi avvocato).
Famoso è lo special televisivo “Federico Fellini” (1964) di Sergio Zavoli, il quale ha avuto rapporto di amicizia
personale con il regista. Viene descritto il periodo giovanile riminese con intervista a Titta Benzi che
racconta le malefatte compiute fuori dall’orario scolastico da Fellini e i suoi amici, al preside, alla madre che
voleva che diventasse avvocato per averlo più vicino a sé e alla sorella Maddalena.
Dopo il conseguimento della maturità classica nell’estate del 1938, decide di trasferirsi a Roma nel gennaio
del ‘39 per cercare fortuna.
Il pretesto è quello di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza per accontentare la madre ma il vero
scopo(objetivo) è quello di trovare lavoro come ideatore di vignette umoristiche per una rivista satirica.
Fellini ha alimentato l’immagine romantica del giovane 19enne che parte da solo con la sua valigia oppure
del ragazzo solo che scende dal treno disorientato e comincia a vagare per Roma in mezzo alla folla e al
traffico alla ricerca di una pensione in cui abitare. In realtà egli parte insieme alla madre che si unisce a
questo viaggio sia per nostalgia della sua città natale sia per aiutare il figlio a trovare una sistemazione e ad
ambientarsi nella capitale (rimarrà per circa un anno, fino all’inizio del 1940). insieme a loro ci sarà anche
Maddalena, solo dopo Riccardo li raggiungerà. Vanno ad abitare in un appartamento in Via Alba Longa 13
dove è stata posta anche una lapide che ricorda la prima residenza del regista nella capitale. Una volta
arrivato a Roma, il progetto degli studi viene abbandonato e per guadagnarsi da vivere comincia a dedicarsi
nuovamente al disegno (qualche anno prima il direttore del Cinema Fulgor gli aveva commissionato delle
caricature di divi e dive del cinema da affiggere fuori dal cinema accanto alle locandine dei film. Poi
nell’estate del 1937 con l’amico pittore Demos Bonini apre una piccola bottega nel centro città dove
realizza a pagamento ritratti di turisti in uno stile caricaturale-grottesco. Contemporaneamente (a la vez)
inviava anche vignette a giornali e riviste, le quali in certi casi vennero pubblicate sulla “Domenica del
corriere” e su un foglio umoristico fiorentino chiamato “Il 420”). Quindi, riprende a fare la caricatura ai
passanti, mettendosi all’uscita dei locali per attirarli. Durante questa attività conosce un suo giovane
coetaneo Rinaldo Geleng (1920-2003), appartenente a una famiglia di pittori tedeschi e che diventa uno dei
suoi più stretti amici per tutta la vita. Insieme a lui realizzerà dei poster pubblicitari e dei dipinti utilizzati
nella scenografia di alcuni suoi film. Nel mentre, bussa alle porte delle redazioni giornalistiche per proporsi
come vignettista e disegnatore umoristico. In brevissimo tempo riesce ad essere accettato come
collaboratore per una rivista molto importante di satira politica a contenuto umoristico che si chiamava
“MARC’AURELIO” (1931-1958). Si trattava di una satira allineata alla politica del regime; quindi, venivano
ridicolizzati i paesi stranieri considerati nemici dell’Italia fascista come Inghilterra o Russia. Oltre a questo,
pubblicava raccontini e vignette disimpegnate basate sulla satira della vita quotidiana italiana dell’epoca o
su un umorismo goliardico. Fellini era disinteressato nei confronti della politica e quando lavora per
Marc’Aurelio scrive vignette o raccontini. La rivista era diretta da Vito de Bellis, un uomo autoritario e
all’antica ma molto intelligente che aveva creato una redazione composta da un gruppo di giovani autori di
grande talento, i quali dopo la fine della Seconda guerra mondiale avranno una brillantissima carriera in
ambito cinematografico:
-redattore capo Stefano Vanzina o Steno (1917-1988): diventerà uno dei registi più prolifici e fortunati del
cinema popolare degli anni ‘50-‘60-‘70 con una specializzazione nella commedia. Diresse molti film con
Totò, “Un americano a Roma” con Alberto Sordi e negli anni ’70 “Febbre da cavallo”, interpretato da Gigi
Proietti e Enrico Montesano.
-redattore più anziano Marcello Marchesi (1912-1978): scrittore umoristico, sceneggiatore cinematografico,
regista, attore cinematografico e televisivo, ha lavorato per la radio, è stato inventore di slogan pubblicitari
di grandissimo successo come quelli della trasmissione Carosello
-Agenore Incrocci o Age (1919-2005) e Furio Scarpelli (1919-2010): tra gli anni ‘50 e ‘60 sono stati due tra i
più importanti sceneggiatori del cinema italiano (“I soliti ignoti” o “Grande guerra” di Monicelli e
“C’eravamo tanto amati” di Ettore scola)
-Ruggero Maccari (1919-1989): il collaboratore più in sintonia con Federico Fellini, divenendo un suo grande
amico con il quale scriverà diversi testi molto importanti. Il suo film più famoso è “Il sorpasso” di Dino Risi.
-Gioacchino Colizzi o Attalo (1894-1986): il più famoso disegnatore e vignettista, autore di una serie di
vignette chiamata “Genoveffa la racchia”.
Fellini inizia a lavorare per il “Marc’Aurelio” già nell’estate del 1939 (breve distanza dal suo arrivo a Roma).
Avrà una carriera molto veloce all’interno della rivista: prima viene preso in prova, realizza una serie di
vignette, poi comincia a pubblicare regolarmente per la rivista e viene accolto nelle riunioni di redazione,
diventando a tutti gli effetti collaboratore e redattore. Si occupa sia della vignetta che del testo che non è
particolarmente raffinato e originale ma basato su umorismo banale. Il suo nome d’arte era Fellas.
Successivamente comincerà a realizzare numerosi testi scritti senza immagine. Prima si tratta di testi
singoli, articoletti, raccontini ma dalla fine del 1939 tiene delle rubriche fisse di contenuto umoristico nei
numeri del “Marc’Aurelio”. È un passaggio importante nella sua carriera perché fino al suo arrivo a Roma
Federico Fellini pensava di diventare un disegnatore. Invece attraverso il lavoro nel Marc’Aurelio capisce che
forse il suo principale talento non sta nel disegno ma nella scrittura. Dunque, la sua carriera di disegnatore
umoristico si conclude qui. Una delle sue ultime creazioni realizzate durante il periodo del “Marc’Aurelio” è
un volumetto contenente un piccolo romanzo umoristico intitolato “Il mio amico Pasqualino” (1942) con
disegno di copertina da lui realizzato.
Alcune rubriche sono di tipo autobiografico perché usano come spunto le sue esperienze giovanili riminesi
come “Seconda ginnasio”, basata sui ricordi scolastici e in cui descrive in maniera umoristica i suoi
compagni di classe. La sua rubrica più famosa e originale per il Marc’Aurelio è “Ma tu mi stai a sentire?”
pubblicata a partire dal numero del 26 luglio 1939. Comincia con “Io parlo a te fidanzatina rotonda”, poi
monologo breve in cui si rivolge alla ragazza e conclusione con “Io parlo a te fidanzatina ma tu mi stai a
sentire?”. Tutte le successive puntate della serie sono costruite allo stesso modo ma ciò che cambia è il
personaggio a cui Federico si rivolge che può essere una stella del varietà, un ragazzino di periferia o un
cameriere dal camice bianco.
All’inizio del 1940 oltre a collaborare con il Marc’Aurelio, Fellini svolge altre due attività importanti ovvero
quella di sceneggiatore cinematografico e di autore radiofonico che lo assorbono sempre di più portandolo
a diradare il suo lavoro per la rivista. Già nel 1941 inizia a collaborare con Eiar, emittente radiofonica del
regime fascista, scrivendo dei testi. Tuttavia la sua collaborazione più importante con la radio comincia il 3
settembre 1942 con la trasmissione “TERZIGLIO” che andava in onda con cadenza settimanale.
Il programma radiofonico era composto da tre scene incentrate sullo stesso tema (vita di coppia, amore,
innamoramento) ma scritte da autori diversi, per la durata complessiva di circa un’ora.
Fellini collabora come sceneggiatore(guionista) a una decina di puntate di “Terziglio” tra il 1942-1943,
inventando i personaggi fissi di Cico e Pallina (quest’ultima interpretata da Giulietta Masina, sua futura
moglie), prima fidanzati, poi sposini novelli e infine alle prese con la vita coniugale di tutti i giorni. Poi
tenterà senza successo di riproporre questi due personaggi in un programma radiofonico che andrà in onda
nell’immediato dopoguerra. Il “Terziglio” è molto importante nel periodo giovanile di Fellini sia dal punto di
vista professionale, che dal punto di vista privato. Infatti, rappresenta un salto di qualità rispetto all’attività
di umorista per il Marc’Aurelio e un avvicinamento al cinema e al lavoro di sceneggiatore cinematografico
dato che si trattava di realizzare dei piccoli drammi radiofonici, inventando le situazioni narrative e
scrivendo dialoghi tra personaggi. Inoltre, gli permette di conoscere una giovane attrice di nome Giulietta
Masina con la quale nasce subito una grande intesa. Dopo un breve fidanzamento, il 30 ottobre del 1943 si
sposano.
“Che strano chiamarsi Federico” (2013) di Ettore Scola (1931-2016), importantissimo regista italiano e
amico personale di Fellini. Anche lui nell’immediato dopoguerra aveva cominciato la sua carriera come
disegnatore umoristico al Marc’Aurelio. Si tratta di un omaggio a Fellini attraverso la ricostruzione di episodi
della sua giovinezza, tra cui l’arrivo alla redazione del “Marc’Aurelio”.
LEZIONE 4: Giulietta Masina (1921-1994) nasce a San Giorgio di Piano (BO) in una famiglia della piccola
borghesia. Il padre faceva il musicista di professione e suonava il violino. Dopo il matrimonio abbandona la
musica e diventa un impiegato all’interno di un’azienda mentre la madre era una maestra elementare.
Giulietta all’età di circa cinque anni viene ceduta dai genitori a una zia benestante e vedova di Roma. Era
una donna colta e istruita che quando il marito era in vita frequentava teatri, opera, concerti, aveva
viaggiato. Quindi, si offre ai genitori di Giulietta di occuparsi della sua educazione e di allevarla. I genitori,
giacché hanno altri tre figli da mantenere, accettano. La Masina passa la sua giovinezza a Roma e molto
giovane sviluppa (desarrolla) una passione per la recitazione teatrale, incoraggiata dalla zia che amava il
teatro. Nella seconda metà degli anni ‘30 comincia a esibirsi come attrice teatrale all’interno di compagnie
amatoriali come quella del teatro universitario. Dopodiché nel 1942 inizia a lavorare per la radio come
attrice per Terzilio e in questo contesto conosce Fellini. Fra i due nascerà una relazione profondissima e
indistruttibile nonostante gli alti e i bassi e numerosi tradimenti da parte di Federico durante il loro
matrimonio. Questo legame oltre ad essere importante sul piano affettivo, ha una ricaduta molto forte sul
piano professionale in quanto Giulietta interpreterà ben 7 film diretti da Fellini di cui 4 come attrice
protagonista (La strada e Le notti di Cabiria degli anni 50) e quindi diventerà l’attrice di sesso femminile
maggiormente presente all’interno dei suoi film, fino a divenire un’icona del cinema felliniano.
Non è ancora certo quali siano i primi film a cui Fellini lavora come sceneggiatore perché il suo nome non è
accreditato nei titoli di testo (lavorava in forma anonima). Secondo gli storici e biografi di Fellini, le sue
prime collaborazioni cinematografiche avvengono nella scrittura e sceneggiatura di una serie di film comici
prodotti tra fine anni ‘30 e inizi anni ‘40 interpretati dall’attore Erminio Maccario e diretti dal regista Mario
Mattoli. Infatti, questi vedono la collaborazione nella scrittura della sceneggiatura e delle battute del gruppo
del Marc’Aurelio. In realtà gli unici autori accreditati come sceneggiatori di questi film con Maccario sono
Vittorio Metz, Stefano Vanzina e Marcello Marchesi. Invece, come non accreditati alcuni collaboratori del
Marc’Aurelio tra cui Fellini. “Imputato alzatevi!” (1939) di Mario Mattoli è il primo film di questa serie ma
non è sicuro se Fellini vi abbia preso parte o meno. Secondo alcuni, il primo film a cui Fellini partecipa non
accreditato probabilmente è “Il pirata sono io!” (1940) di Mario Mattoli.
L’inizio ufficiale della carriera di Fellini come sceneggiatore(guionista) cinematografico coincide con
l’incontro con l’attore teatrale e cinematografico Aldo Fabrizi (1905-1990). Nel dopoguerra (soprattutto
negli anni ’50), egli diventerà uno dei principali attori maschili del cinema italiano, specializzandosi nella
commedia (in coppia con Totò in “Guardie e Ladri”) ma anche in film drammatici (il classico del neorealismo
italiano “Roma città aperta” del 1945). Agli inizi degli anni ’40, quando i due si incontrano e diventano amici,
Fabrizi non aveva ancora esordito nel cinema né interpretato alcun film come attore cinematografico ma
lavorava in ambito teatrale e aveva raggiunto una certa notorietà nell’avanspettacolo. Quest’ultimo era una
spettacolo di varietà a basso costo e di breve durata fra gli anni ’30 e i ’50 del ‘900 e finalizzato a
intrattenere il pubblico delle sale cinematografiche prima della proiezione del film. In senso più generale il
termine veniva usato per indicare una rivista teatrale di scarsa qualità artistica (leggera, priva di un intreccio
e di una trama unitaria e basata semplicemente su una successione di numeri diversi come monologhi
comici, canzoni, scenette dialogate, balletti di danza). Nonostante venisse trattato con disprezzo, in realtà ha
rappresentato il trampolino di lancio per una serie di importantissimi attori che avrebbero avuto poi
successivamente successo nel cinema tra cui Totò.
“Stelle, Stellacce, Stelline” è un documentario in cui vengono intervistati anziani attori in pensione che da
giovani avevano recitato nell’avanspettacolo tra cui Marco Leandris.
Fellini durante la collaborazione con Marc’Aurelio amava frequentare le sale dove si svolgeva questo tipo di
spettacolo di varietà a basso costo. Infatti, stava preparando insieme a Ruggero Maccari un servizio
dedicato a questo argomento successivamente pubblicato su una rivista che si chiamava “Cine magazzino”
nel numero del 18 giugno 1939. Per realizzare quest’inchiesta che occupava diverse pagine, i due avevano
intervistato i principali attori di avanspettacolo(vanguardia) che si esibivano a Roma realizzando un
paginone con ben 11 interviste ad attori, cantanti, soubrettes e tra questi intervistati c’era proprio Aldo
Fabrizi. Tra i due nasce una grande amicizia perché cominciano a frequentarsi nella vita privata e allo stesso
tempo un rapporto professionale perché Fellini e Maccari vengono incaricati di scrivere alcune battute o
scenette per gli spettacoli comici che metteva in scena Aldo Fabrizi all’interno dell’avanspettacolo. Nello
stesso periodo, i due scrivono altre scenette, vignette a pagamento per altri comici che si esibivano nel
teatro del varietà.
Esistono diversi film dedicati a quest’argomento: nel 1950 Fellini dirige insieme ad Alberto Lattuada il suo
primo film “Luci del varietà” che descrive il mondo dell’avanspettacolo. Lo stesso anno esce un altro film
diretto da Steno e interpretato da Aldo Fabrizi che si chiama “Vita da cani”. Però la commedia più famosa e
popolare su quest’argomento è “Polvere di stelle” del 1974 interpretata da Sordi e Monica Vitti.
Hay varias películas dedicadas a este tema: en 1950 Fellini dirigió su primera película "Luci del varietà"
(Luces del abanico) con Alberto Lattuada, en la que describía el mundo del avanspettacolo. Ese mismo año
se estrenó otra película dirigida por Steno y protagonizada por Aldo Fabrizi, titulada "Vita da cani". Sin
embargo, la comedia más famosa y popular sobre este tema es "Polvere di stelle", de 1974, protagonizada
por Sordi y Monica Vitti.
Aldo Fabrizi il quale aveva raggiunto grande successo negli anni ‘30 nel mondo del varietà, decide di
sfruttarlo a pieno per esordire nel cinema. Quindi, chiede a Fellini di scrivere soggetto o sceneggiatura dei
suoi primi film degli inizi degli anni ’40 che sono anche i primi in cui il nome di Fellini è ufficialmente
accreditato nei titoli di testa:
-“Avanti c’è posto!” (1942) di Mario Bonnard (accreditato come autore del soggetto col nome Federico
insieme ad Aldo Fabrizi, Cesare Zavattini cioè scrittore e sceneggiatore del neorealismo italiano e Piero
Tellini ovvero sceneggiatore fiorentino che ha lavorato più volte in coppia con Fellini)
------“Campo de’ Fiori” (1943) di Mario Bonnard (Fellini accreditato come co-sceneggiatore insieme a Mario
Bonnard, Aldo Fabrizi e Tullio Pinelli)
-“L’ultima carrozzella” (1943) di Mario Mattoli (accreditato come autore della sceneggiatura insieme ad
Aldo Fabrizi)
un vetturino(un cochero)
Si tratta di tre commedie con momenti divertenti ma anche risvolti sentimentali un po’ amari, dominate
dalla presenza di Aldo Fabrizi che interpreta personaggi del popolo tipicamente romaneschi e simili a quelli
che interpretava sul palcoscenico dell’avanspettacolo. In “Avanti c’è posto” in “Campo de’ fiori” e ne
“L’ultima carrozzella”. Le location sono autentiche (non sono ricostruite in studio) e inoltre vengono usate le
parlate dialettali, in particolare il romanesco (al contrario dei film di quel periodo che usavano un italiano
standard senza alcuna influenza regionale). Sono considerati per questi motivi, insieme ad altri film realizzati
negli ultimi anni del fascismo, come precursori del neorealismo.
Il film più famoso dei tre è “Campo de’ fiori” in cui Aldo Fabrizi recita accanto all’attrice Anna Magnani
(come anche nel film “L’ultima carrozzella”).
Anna Magnani (1908-1973) nel dopoguerra (soprattutto negli anni ’50) diventerà una delle dive più stimate
del cinema italiano anche icona del cinema neorealista grazie alla sua partecipazione al film “Roma città
aperta” del 1945. L’attrice era però già attiva negli anni ‘30 sia nel teatro leggero di varietà sia come attrice
cinematografica.
“Campo de’ fiori”: Il protagonista Peppino è un pescivendolo che nel tempo libero ama vestirsi in maniera
elegante e frequentare locali alla moda. È attratto dalle donne dell’alta società e quindi di uno status
sociale superiore al suo. Elide, interpretata da Anna Magnani, è una verduraia che lavora allo stesso
mercato di Campo dei fiori in una bancarella vicino alla sua. Nonostante lo tratti malissimo, in realtà è
segretamente è innamorata di lui. Dopo avere corteggiato inutilmente una ragazza borghese ricevendo una
forte delusione, alla fine Peppino si rende conto che il mondo dell’alta società non fa per lui e decide di
sposare Elide che accetta volentieri. Oltre a Fabrizi e Magnani, è presente Peppino de Filippo che interpreta
il barbiere e amico di Aldo Fabrizi che si dà arie di donnaiolo. C’è una commistione di parlate regionali: il
barbiere parla napoletano, gli altri il romanesco.
"Campo de 'Fiori": El protagonista Peppino es un pescadero que en su tiempo libre le encanta vestirse con
elegancia e ir a discotecas de moda. Se siente atraído por las mujeres de la alta sociedad y, por lo tanto, de
un estatus social más alto que el suyo. Elide, interpretada por Anna Magnani, es una verdulera que trabaja
en el mismo mercado de Campo dei fiori en un puesto contiguo al suyo. Aunque lo trata terriblemente, en
realidad está secretamente enamorada de él. Luego de cortejar sin éxito a una chica burguesa, recibiendo
una fuerte decepción, al final Peppino se da cuenta que el mundo de la alta sociedad no es para él y
decide casarse con Elide quien gustosamente acepta. Además de Fabrizi y Magnani, está presente Peppino
de Filippo que interpreta al barbero y amigo de Aldo Fabrizi que se da aires de mujeriego. Hay una mezcla
de dialectos regionales: el barbero habla napolitano, los otros dialecto romano.
Il contesto storico di questi film è la Seconda guerra mondiale, lo sbarco degli alleati in Italia, la caduta
(caida) del fascismo. È interessante come in questo contesto drammatico in cui l’Italia è sull’orlo dell’abisso
vengano prodotti questi film pieni di umorismo e totalmente privi di riferimento alla realtà politica di quei
giorni.
Es interesante cómo en este contexto dramático en el que Italia se encuentra al borde del abismo se
producen estas películas llenas de humor y totalmente desprovistas de referencia a la realidad política de
aquellos días.
Fellini collabora ad altri film in questo periodo che precede il crollo del fascismo, alcuni dei quali non
vengono terminati a causa degli eventi bellici e vengono poi distribuiti dopo il 1945. Tra questi c’è “Quarta
pagina” (1942) di Nicola Manzari interpretato da Valentina Cortese (soggetto di Piero Tellini e Federico
Fellini, definito da “L’illustrazione italiana” come “uno dei nostri giovani soggettisti più apprezzati e un
famoso umorista, più noto con il nome di Federico”)
LEZIONE 5: nelle produzioni giovanili di Fellini non si trova nessuna traccia diretta e indiretta della
situazione politica drammatica che sta attraversando l’Italia in quegli anni. I suoi articoli umoristici e
vignette sono disimpegnati al contrario di quelli del Marc’Aurelio che si dedicano alla satira politica,
ugualmente gli episodi della trasmissione radiofonica Terzilio raccontano storie amorose di coppiette di
fidanzati mentre nei primi film con Aldo Fabrizi è possibile riscontrare qualche riferimento alla realtà politica
(in “Avanti c’è posto” uno dei personaggi deve andare in guerra a fare il militare, c’è un riferimento al
mercato nero) ma anche questi sembrano ambientati a Roma in un periodo di pace e normalità. Infatti,
Federico Fellini si è sempre dichiarato lontano dalla politica e dall’impegno politico attivo. Non si sa cosa
pensasse del fascismo: è probabile che molti giovani intellettuali dell’epoca sia passato da un’iniziale fase di
adesione e di entusiasmo nei confronti del regime, anche prodotta dall’indottrinamento subito nel periodo
infantile (egli nasce e cresce col fascismo) a una forte sfiducia e delusione derivata dall’entrata in guerra e
dalle sue conseguenze.
-20 maggio 1939: mentre Fellini si è da poco trasferito a Roma, viene firmato il Patto d’acciaio ovvero
l’alleanza tra Hitler e Mussolini
-10 giugno 1940: quando Fellini collabora abitualmente con il Marc’Aurelio, Mussolini annuncia l’entrata in
guerra dell’Italia accanto alla Germania nazista
-seconda metà 1940 – prima metà 1943: l’Italia accumula una serie di sconfitte sul piano militare come in
Grecia, Russia, Nord Africa
-10 luglio 1943: Sbarco degli Alleati in Sicilia e successiva liberazione dell’Italia procedendo vero il nord
-25 luglio 1943: il Gran Consiglio del Fascismo destituisce Mussolini (poi arrestato dal re e imprigionato al
Gran Sasso)
-8 settembre 1943: Governo Badoglio (in sostituzione a Mussolini) firma l’armistizio con gli Alleati,
revocando l’alleanza con la Germania (la Germania invade nord e centro Italia con la conseguente fuga del
re e del governo Badoglio nel sud Italia)
-23 settembre 1943: Nascita della Repubblica sociale italiana (Repubblica di Salò)
-30 ottobre 1943: Matrimonio tra Federico e Giulietta a Roma, celebrato in segreto nell’abitazione del
sacerdote. Gli invitati erano pochissimi: la zia di Giulietta, Rinaldo Geleng che gli faceva da testimone e il
fratello Riccardo, unico rappresentante della famiglia di Fellini che cantava l’ave Maria accompagnandosi
con l’armonium come farà Riccardo ne “I vitelloni” (interpretato da Riccardo Fellini) che al matrimonio di
Fausto suona l’organo.
Fellini era rimasto disoccupato in seguito alla caduta del fascismo e all’armistizio: il Marc’Aurelio aveva
cessato le pubblicazioni, la trasmissione Terzilio era stata interrotta e anche le case cinematografiche
avevano smesso di produrre film. Nel periodo che va dal 1943 al 1944, egli proprio come altri giovani italiani
si nasconde (pasó a la clandestinidad) , rimanendo chiuso in casa il più possibile per evitare di essere
arruolato nell’esercito della Repubblica di Salò che aveva proclamato la leva obbligatoria (tutti i giovani che
avevano l’età per arruolarsi erano tenuti a presentarsi alle autorità militari e se non lo facevano venivano
considerati dei disertori e quindi venivano arruolati seduta stante o rischiavano la fucilazione nella peggiore
delle ipotesi). Fellini ha raccontato in un’intervista che venne fermato da una pattuglia di nazisti che gli
chiesero i documenti. Allora fece finta di conoscere un ufficiale nazista che era nelle vicinanze e poi
approfittando del disorientamento generale scappò tra la folla. Dopo la liberazione di Roma avvenuta tra il 4
e il 5 giugno del 1944, Fellini si ritrovava comunque senza lavoro e quindi per guadagnare riprende la
vecchia attività di caricaturista e insieme ad altri suoi amici disegnatori apre una bottega chiamata “The
funny face shop” nella quale esegue a pagamento caricature dei soldati americani.
È proprio in questo luogo che incontra Roberto Rossellini (1906-1977), recatosi lì per parlargli. Nel
dopoguerra, Fellini partecipa come sceneggiatore in due dei classici del neorealismo italiano cioè
“Roma città aperta” e “Paisà” di Rossellini. In totale però ha partecipato come sceneggiatore a ben 5 film
del regista.
Rossellini proveniva da una famiglia dell’alta borghesia, colta e benestante. Il padre era un architetto
affermato mentre il fratello era un musicista e scriveva per lui le colonne sonore dei suoi film. Aveva iniziato
la sua carriera cinematografica durante il fascismo dirigendo tre film di propaganda bellica tra il 1941 e il
1943 che costituiscono “La trilogia della guerra fascista”. Il più famoso tra questi è “La nave bianca” (1941)
che descrive l’attività della marina militare italiana all’inizio degli anni ‘40 e si concentra sull’attività di una
nave ospedale(nave hospital). Pur essendo un film di propaganda fascista, è considerato antecedente del
neorealismo perché utilizza quasi esclusivamente attori non professionisti i quali sono autentici marinai
della marina militare italiana che interpretano sé stessi. Poi nel 1942 Rossellini dirige “Un pilota ritorna”, la
cui sceneggiatura viene scritta sotto pseudonimo da Vittorio Mussolini (1916-1997), figlio maggiore di
Benito Mussolini e appassionato di cinema, ha lavorato come sceneggiatore, si era recato a Hollywood per
visitare gli studi e dirigeva una rivista importantissima per la nascita del neorealismo e attiva durante il
periodo fascista che si chiamava “Cinema” (veniva però scritta da un gruppo di giovani redattori antifascisti).
Il terzo film bellico è “L’uomo della Croce” (1943).
“Roma città aperta” (1945): nell’immediato dopoguerra, Rossellini dirige uno dei primissimi film girati in
Italia dopo l’armistizio. Muta completamente l’ideologia perché racconta un episodio della Resistenza
ambientato a Roma durante l’occupazione tedesca. Progettato e concepito nel 1944 e distribuito nel 1945
quando ancora la situazione politica italiana è ridotta a zero, è considerato dagli storici il primo grande del
neorealismo italiano.
Il diritto bellico internazionale definisce “aperta” una città che non viene dotata di mezzi difensivi o offensivi
e che quindi dovrebbe essere risparmiata da azioni belliche e bombardamenti. Mentre l’Italia smilitarizzò
effettivamente Roma, la Germania ignorò qualsiasi impegno al riguardo. Gli alleati si riservarono piena
libertà di azione nei riguardi della città, che infatti, prima della liberazione, venne bombardata diverse volte
(per nulla paragonabile ai bombardamenti che rasero quasi al suolo Rimini nel 1943).
La sceneggiatura del film era stata scritta da Sergio Amidei (1904-1981). La vicenda invece è incentrata su
due personaggi che sono ispirati a persone realmente vissute. Il primo è Giuseppe Morosini, un prete
cattolico (1913.1944) che collaborava segretamente con la Resistenza e venne fucilato dai nazisti.
Il secondo è Teresa Gullace (1907-1944), uccisa da un proiettile sparato da un militare tedesco mentre
protestava con altre donne davanti al carcere romano poiché suo marito era stato arrestato dai tedeschi.
Nel film vengono interpretati da Pina (Anna Magnani) e Don Pietro Pellegrini (Aldo Fabrizi). Pina muore in
modo diverso rispetto a Teresa: c’è una retata nazista nell’appartamento in cui abita, bisogna nascondere
delle armi e in questo interviene il prete fingendo di dover andare ad aiutare un malato, il suo compagno
che è partigiano viene catturato, allora lei in modo spontaneo si lancia verso il camion gridando il nome
dell’amato e viene uccisa da una raffica di mitra.
Siccome Rossellini era a conoscenza dell’amicizia tra Fellini e Aldo Fabrizi, gli chiede di intercedere per lui e
convincerlo ad accettare la parte, offrendogli in cambio una collaborazione accreditata come sceneggiatore
Como Rossellini sabía de la amistad entre Fellini y Aldo Fabrizi, le pide que interceda por él y lo convenza de
aceptar el papel, ofreciéndole a cambio una acreditada colaboración como guionista de la película.
del film. Fellini accetta e si occupa della cura delle parti di Don Pellegrini, riscrivendo le battute in funzione
dell’attore. Pare sia una trovata di Fellini quella della padellata all’anziano signore per tramortirlo e fare finta
che sia morto. Si tratta di un’invenzione geniale perché in questa sequenza drammatica viene introdotto un
elemento comico che alleggerisce la situazione e fa da contrappunto al finale tragico della morte di Pina. In
questo film svolge tuttavia ancora un ruolo limitato e segreto perché lo sceneggiatore Sergio Amidei non
avrebbe accettato tutti gli interventi sul suo copione.
La collaborazione fra Fellini e Rossellini prosegue nel secondo grande film diretto dal regista nell’immediato
dopoguerra e ambientato negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale cioè “Paisà” (1946). Non ha un
intreccio unitario come in “Roma città aperta” ma si tratta di un film suddiviso in 6 episodi con personaggi
diversi l’uno dall’altro. Sono però tutti caratterizzati da una forte unità perché sono ambientati negli ultimi
mesi della Seconda guerra mondiale e si susseguono secondo un itinerario geografico che va dal Sud al
Nord Italia, seguendo l’avanzata degli Alleati (Sicilia, Napoli, Roma, Firenze, Appennino emiliano, Porto
Tolle). Inoltre, sono incentrati inoltre sul rapporto tra i cittadini italiani e i soldati americani. Gli episodi
sono tenuti insieme da una voce fuori campo di uno speaker che li introduce, spiega dove ci si trova e in chi
momento della guerra. La collaborazione di Fellini alla sceneggiatura in questo caso è molto più
importante(que en roma) . Anche se la sceneggiatura è firmata da Sergio Amidei, Fellini si attiene molto
poco al copione originale e improvvisa gli episodi in base al luogo in cui si svolge l’azione. L’episodio finale
doveva essere ambientato sulle montagne della Valle d’Aosta e invece con una decisione in corso d’opera
viene spostato a Porto Tolle, sul delta del Po (quindi il copione fu completamente riscritto). Di conseguenza,
Fellini non solo è intervenuto come sceneggiatore a tutti gli episodi del film, riscrivendoli e adattandoli alle
varie location autentiche ma segue la troupe di Rossellini durante gli spostamenti dal sud al nord per
effettuare le riprese, assistendo alla produzione del film. L’azione non si svolge sempre nei luoghi in cui
dovrebbe effettivamente svolgersi: ad esempio, la parte girata in Sicilia in realtà è stata realizzata in
Campania sulla Costiera amalfitana. L’apporto di Fellini non è circoscritto né individuabile ma si sa con
certezza che ha lavorato maggiormente al penultimo episodio che si svolge sull’Appennino emiliano.
LEZIONE 6: L’episodio, ambientato in convento, contrappone una piccola comunità di monaci francescani
italiani che vivono in un luogo isolato e tre cappellani militari americani che gli fanno visita al convento di
cui uno è cattolico, uno è protestante e l’altro ebreo. Il fatto che ci siano un protestante e un rabbino crea
scalpore in questi monaci che sono abituati a una società mono-religiosa dove non esiste il dialogo tra le
religioni. Esso è girato in un vero convento francescano ed è recitato da monaci veri così come sono
autentici i tre cappellani militari americani i quali recitano sé stessi (non sono attori professionisti ->
caratteristica del cinema neorealista). Questo convento non si trovava in Romagna ma sulla Costiera
amalfitana e quindi questi monaci era campani e vennero doppiati da attori con accento romagnolo.
Inoltre, l’episodio dei frati non c’era nella sceneggiatura originale ma Rossellini trovò un convento che gli
piacque molto e decise di reinventare l’episodio a partire dall’ambientazione di questi personaggi.
No había visto mucho hasta entonces: Florencia, Roma y algunos pueblos pequeños en el sur cuando
andaba con el vodevil. Y junto a este apasionante y apasionante descubrimiento de mi país, me di cuenta de
que el cine te permite milagrosamente este doble gran juego, contar una historia y, mientras la cuentas,
experimentarte otra aventurera, con personajes tan extraordinarios como los de la película que estás
narrando».
Rossellini aveva abitudine (tenia la constumbre) di ignorare la sceneggiatura e di improvvisare il film sul set,
lasciando spazio al caso, all’incontro con i luoghi e le persone. Rossellini tenía la costumbre de ignorar el
guión e improvisar la película en el plató, dejando espacio al azar, al encuentro con los lugares y las
personas.
Un giorno in cui Rossellini era indisposto, Fellini lo sostituì nel ruolo di aiuto regista dirigendo una piccola
scena che fa parte del quarto episodio ambientato a Firenze dove viene mostrata una situazione in cui la
città è in parte tra le mani di partigiani e alleati, in parte ancora occupata dai tedeschi e in cui si combatte e
ci sono sparatorie strada per strada. Nello specifico, la scena girata da Fellini è quella in cui viene fatta
passare una damigiana da una parte all’altra della strada attraverso un carrellino a rotelle e una corda. In
un’altra scena del film, Fellini è presente brevemente in mezzo alla folla come comparsa (extra).
È un film plurilinguistico: tutti i personaggi parlano nella loro lingua. Nell’ultimo episodio sul delta del Po,
ci sono dei partigiani italiani che muovendosi su delle piccole barche in canali e paludi combattono contro i
tedeschi insieme a dei soldati americani. Inizia con l’immagine del partigiano ucciso dai tedeschi che
galleggia trascinato dalla corrente del Po e un altro partigiano e soldato americano che recuperano il suo
cadavere.
Ma la collaborazione più importante tra il giovane Fellini e Roberto Rossellini è rappresentata dal loro terzo
film cioè “L’amore” (1948). È un omaggio ad Anna Magnani (con cui il regista aveva una relazione
sentimentale) proprio perché mira a mettere in mostra le straordinarie capacità recitative dell’attrice. Non è
basato su un unico intreccio unitario ma è suddiviso in due episodi separati e completamente diversi l’uno
dall’altro.
---Il primo episodio più breve che dura circa 30 minuti si intitola “La voce umana” ed è un adattamento
molto fedele del testo teatrale dello scrittore francese Cocteau: è un atto unico che consiste in un monologo
al telefono, quindi viene interpretato da un’unica attrice che è una donna disperata e sull’orlo del suicidio
che è stata lasciata dal suo uomo e parla a telefono con lui.
----Il secondo episodio “Il miracolo” dura circa 45 minuti: è basato su un soggetto(cuento) di Fellini mentre
la sceneggiatura è di Tullio Pinelli e Roberto Rossellini.
Soggetto: è l’idea narrativa di un film nella sua forma più breve ed essenziale. Può essere un testo di 2 o 3
pagine oppure più lungo e dettagliato e racconta la storia in maniera più schematica
Sujeto: es la idea narrativa de una película en su forma más breve y esencial. Puede ser un texto de 2 o 3
páginas o más largo y más detallado y cuenta la historia de una manera más esquemática
Sceneggiatura: è il copione definitivo del film e quindi contiene la suddivisione delle singole scene,
indicazioni riguardo l’ambientazione, descrizione sintetica delle azioni compiute dai personaggi e il dialogo
completo del film che viene presentato come in un testo teatrale con battute incolonnate l’una all’altra e
precedute dal nome del personaggio che le pronuncia
Guión: es el guión definitivo de la película y por lo tanto contiene la subdivisión de las escenas individuales,
indicaciones sobre la ambientación, una breve descripción de las acciones realizadas por los personajes y el
diálogo completo de la película que se presenta como en un texto teatral. con barras alineadas una tras otra
y precedidas por el nombre del personaje que las pronuncia
Tullio Pinelli (1906-2009): importante sceneggiatore italiano di nobile famiglia piemontese. Si laurea in
giurisprudenza, inizia la carriera da avvocato ma la sua passione è la scrittura. Negli anni ‘30 scrive diverse
commedie e opere teatrali messe in scena, cominciando a farsi conoscere. Scrive libretti d’opera e in
contemporanea con Fellini negli anni ‘40 comincia a lavorare come sceneggiatore per il cinema. È uno degli
sceneggiatori del film “Campo de’ Fiori” (primo momento in cui Fellini e Pinelli lavorano insieme). Durante
la Seconda guerra mondiale partecipa alla resistenza con partigiani liberali e poi dopo la guerra riprende
l’attività di sceneggiatore, conosce Fellini e nasce una grande amicizia. I primi film a cui collaborano sono del
1948, poi formeranno coppia fissa scrivendo e firmando insieme la maggior parte delle sceneggiature dei
film di Fellini fino agli anni ’60. La loro collaborazione si interromperà in seguito a divergenze di opinione
legate alla scrittura della sceneggiatura del loro ultimo film insieme cioè “Giulietta degli Spiriti”. Tuttavia, la
loro amicizia non verrà interrotta del tutto.
Il contributo di Fellini all’episodio “Il miracolo” del film “L’amore” è importante perché egli per la prima
volta è presente anche come attore. Interpreta un personaggio importante e rimane in scena per una
decina di minuti ma non pronuncia neppure una parola. La protagonista interpretata da Anna Magnani si
chiama Nannina ed è una giovane pastorella molto povera che vive in un paesino dell’Italia meridionale. È
ambientato prevalentemente a Minori sulla Costiera amalfitana perché Rossellini aveva conosciuto questi
luoghi che gli erano piaciuti molto durante le riprese di Paisà. È molto ignorante, un po’ disturbata
mentalmente e soprattutto è ossessionata da manie religiose. Un giorno mentre sta pascolando le sue
caprette vede un viandante con un bastone (Fellini con barba e capelli ossigenati) che passa nelle vicinanze
e crede che sia San Giuseppe. Allora comincia un lungo monologo delirante: l’uomo non capisce e fa per
andarsene, ma poi cambia idea e si siede accanto alla donna che comincia a parlare senza mai fermarsi. Nel
mentre lui le porge un fiasco di vino per farla bere fino a quando si ubriaca, perde conoscenza e si
addormenta. Lo sconosciuto allora si approfitta di lei (non è mostrato ma si intuisce).
Svegliatasi, non ricorda nulla dell’accaduto, torna al paese e riprende la sua vita normale ma un giorno
scopre di essere incinta. Essendo squilibrata non intuisce la verità ma crede si tratti di un miracolo e
soprattutto pensa di essere stata ingravidata da San Giuseppe. Allora si mette a raccontare questa cosa agli
abitanti che prima cominciano a deriderla, poi quando insiste la cacciano, la trattano molto duramente e la
fuggono (la tratan duramente y se fuga). Lei rimane in questa follia da sola fino al giorno in cui partorisce
sola nel cortile di una chiesetta, abbandonata da tutti. Questo episodio in Italia non suscitò nessuno
scandalo da parte della Chiesa cattolica perché il film venne apprezzato per le qualità recitative
straordinarie. Invece venne accolto diversamente negli USA in cui la Chiesa cattolica tentò di farlo censurare
senza successo. È una storia che usa temi cristiani in maniera anticonvenzionale.
Fellini compare come attore anche in “C’eravamo tanto amati” di Scola e in alcuni suoi film in cui
interpreta sé stesso.
Il quarto film di Rossellini in cui Fellini è presente come sceneggiatore è “Francesco, giullare di Dio” (1950),
un film in costume(pelicula de epoca) ambientato nel Medioevo e il cui soggetto è tratto da un’opera
letteraria cioè “I Fioretti di S. Francesco di Ugolino da Brunforte” (XIV secolo). La sceneggiatura è di
Rossellini, Fellini e Brunello Rondi. Nel film si succedono una decina di episodi autonomi l’uno dall’altro che
raccontano stralci di vita di S. Francesco e di altri monaci francescani. Ciascun episodio è introdotto da
didascalia che descrive l’azione successiva. Gli interpreti non sono veri attori professionisti ma sono frati
francescani provenienti dal convento di Maiori dove è stato girato l’episodio di Paisà. È un film realizzato con
budget piccolissimo (poco presupuesto) in cui non si vedono né ricostruzioni scenografiche del Medioevo
né costumi fastosi ma solo le tonache dei monaci francescani e qualche armatura. Il film esalta, un po’ come
l’episodio di Paisà, l’ingenuità e l’infantilismo di questi monaci. La película exalta, un poco como el episodio
de Paisà, la inocencia y la puerilidad de estos monjes. L’unico attore professionista è Aldo Fabrizi che
interpreta il tiranno Nicolaio, una sorta di arrogante e prepotente signorotto locale che veste una pesante
armatura.
LEZIONE 7: Il quinto film è “Europa 51” (1952, anno di uscita anche de “Lo sceicco bianco”) in cui Fellini
collabora alla sceneggiatura ma il suo nome non è riportato nei titoli di testa. Esso vede all’inizio il
coinvolgimento sia di Fellini che di Pinelli. Fellini inizia a scrivere la prima stesura della sceneggiatura
inventando alcuni degli episodi principali ma poi abbandona in corso d’opera il lavoro e quindi la
sceneggiatura viene completata e riscritta da altri. La traccia della sua collaborazione per questo film è
costruita dalla presenza nel cast di Giulietta Masina che interpreta un personaggio secondario. La
protagonista viene interpretata dall’attrice di origine svedese Ingrid Bergman (1915-1982), grandissima star
internazionale nata in Svezia ed emigrata a Hollywood alla fine degli anni ‘30. È famosa per i suoi film diretti
da Hitchcock. Nel dopoguerra in America assiste alla proiezione di alcuni film neorealisti italiani tra cui
“Roma città aperta” e “Paisà”, rimanendone impressionata. Per questo scrive una lettera a Rossellini,
offrendosi come interprete per un suo prossimo film. I due si incontrano in Francia e oltre a una
collaborazione professionale, nasce una relazione amorosa da cui avrà dei figli (Rossellini lascia quindi Anna
Magnani).
Europa 51 è il secondo dei film del regista con protagonista Ingrid. Esso racconta la storia di Irene, una
donna dell’alta borghesia che conduce una vita abbastanza frivola, preoccupandosi di organizzare party e
ricevimenti per amici e parenti. Tuttavia, la sua vita viene sconvolta quando perde improvvisamente il figlio
adolescente che si sucida. Decide dunque di dedicarsi ai bisognosi (necesitados), ai sofferenti in maniera
spontanea e non organizzata cioè camminando per strada e facendosi coinvolgere dalla vita delle persone
che incontra. Ad esempio, incontra una prostituta, l’accompagna a casa, chiama il medico, rimane accanto a
lei aspettando il suo responso. Inoltre, fa amicizia con una ragazza madre disoccupata (Giulietta Masina), le
trova un lavoro come operaia in fabbrica e addirittura il primo giorno di lavoro si finge lei dato che la ragazza
non poteva presentarsi. Nasconde anche un ragazzo accusato di omicidio e viene accusata di
favoreggiamento. Il marito che dubita della sua salute mentale la fa visitare da degli psichiatri che
consigliano il ricovero in un ospedale psichiatrico. Quindi, il film finisce con la protagonista che viene
rinchiusa in manicomio. La domanda che pone il film è: è possibile fare beneficienza senza appoggiarsi ai
canali istituzionalizzati dell’assistenza senza essere scambiato per pazzo ed essere rinchiuso in manicomio?
In primo luogo, Fellini interrompe la collaborazione con il film perché si trova a disagio e inadeguato di
fronte a una tematica così profonda e piena di implicazioni etico-politiche e religiose. In secondo luogo,
stava cominciando a perdere interesse per il lavoro di sceneggiatore e stava già pensando all’esordio come
regista.
La pregunta que plantea la película es: ¿es posible hacer caridad sin depender de los canales asistenciales
institucionalizados sin ser confundido con un loco y ser encerrado en un manicomio? En primer lugar, Fellini
interrumpe su colaboración con la película porque se encuentra incómodo e inadecuado ante un tema tan
profundo y lleno de implicaciones ético-políticas y religiosas. En segundo lugar, estaba empezando a perder
interés por escribir guiones y ya estaba pensando en dirigir.
Fellini aprendió oltre a sottolineare l’importanza dell’esperienza con Rossellini, ha sempre ribadito la sua
incondizionata ammirazione per il regista. Grazie a lui ha compreso che era possibile fare un cinema
personale e individuale con elementi fortemente autobiografici.
Gli elementi in comune tra le opere(obras) di Fellini e Rossellini (padre del neorealismo) sono:
-rifiuto(rechazo) del racconto classico basato su struttura narrativa unitaria e coerente con inizio,
svolgimento e fine e adozione di una forma narrativa più libera, elastica, aperta.
-La tendenza di Rossellini a prediligere episodi autonomi e indipendenti l’uno dall’altro si troverà anche nel
cinema di Fellini come ne “I Vitelloni”, “La dolce vita”, “Amarcord”, “Roma”;
-tendenza a non rispettare la sceneggiatura (guión) iniziale usandola come traccia, schema di lavoro e
riscrivendola a volte radicalmente in sede di ripresa (come in Paisà) ma anche in sala di doppiaggio;
-impiego frequente di attori non professionisti. Questa è caratteristica di tanti film neorealisti come “La
terra trema” del 1949 di Visconti girato ad Acitrezza e in cui i personaggi sono veri pescatori siciliani trovati
sul posto e ingaggiati per l’occasione. Invece, nel film Umberto D di Vittorio De Sica del 1952, il protagonista
è un anziano pensionato che viene interpretato da uno stimato professore universitario, il quale era
comunque un non professionista (quindi non per forza l’attore rappresenta sé stesso).
Fellini per i personaggi principali utilizzerà attori professionisti mentre gli interpreti non professionisti
vengono scelti per ruoli secondari non in base alle capacità recitative ma alla faccia, all’aspetto fisico (caso
limite è il film del 1979 “Fellini Satyricon” in cui per interpretare uno dei personaggi principali viene
ingaggiato un famoso oste romano che non era capace di recitare e dunque verrà completamente doppiato
in fase di post-produzione);
-interesse per tematiche di tipo religioso. In realtà lo stile di vita di Rossellini era scandaloso rispetto alla
morale cattolica (scandalo della relazione con Ingrid che era sposata con una figlia e che rimase incinta di
lui). In molti film di Fellini vi è una presenza fortissima di sacerdoti, vescovi, cardinali, preti, seminaristi (ne “I
Vitelloni” c’è una sorta di processione di un gruppo di preti sulla spiaggia) e un interesse per processioni
religiose (come in “La strada” e “Le notti di Cabiria” in cui c’è un pellegrinaggio a un santuario dedicato alla
Vergine). Il tema del miracolo del film “L’amore” ritornerà in “La dolce vita”. Nel cinema di Fellini, c’è anche
un interesse forte verso forme di religiosità orientali, astrologia, occultismo.
Oltre a Rossellini, altri due registi importanti per la formazione di Fellini sono Pietro Germi e Alberto
Lattuada.
Pietro Germi (1914-1974): nasce a Genova e inizia la sua carriera di regista nell’immediato dopoguerra. La
sua carriera può essere suddivisa in due periodi distinti: il primo periodo che va dal 1946, anno di esordio
come regista, al 1959 ed è caratterizzato da film prevalentemente di soggetto drammatico e che si
collocano a metà strada tra neorealismo e cinema di genere (è anche il periodo della collaborazione con
Fellini); il secondo periodo va dal 1961 al 1972, anno in cui dirige il suo ultimo film e la produzione è
composta da commedie. Egli negli ‘60 si afferma come maestro della commedia all’italiana con film
famosissimi come “Divorzio all’italiana”, “Sedotta e abbandonata”.
Fellini e Spinelli scrivono la sceneggiatura per 4 film diretti da Germi (i più importanti sono i primi due):
- “Il brigante di Tacca del Lupo” (1952) (el bandolero de tacca del lupo)
“In nome della legge” è un film storicamente molto importante: è il primo film del dopoguerra e il primo
del cinema italiano che tratta in maniera esplicita il tema della mafia siciliana che viene trattato adottando
gli stilemi del cinema di genere hollywoodiano e in particolare del film western. Questo avviene sia sul
piano narrativo (la storia è quella di un magistrato che arriva in un paesino siciliano dominato dalla mafia
come lo sceriffo che prende servizio in una cittadina del west controllata dai banditi o proprietari terrieri) sia
sul piano iconografico (nei paesaggi rocciosi e desolati della Sicilia si vede una grande somiglianza con i
paesaggi del West. Inoltre, i personaggi si muovono a cavallo).
“Il cammino della speranza” è uno tra i capolavori, anche se meno noto, del cinema neorealista italiano.
Racconta la storia di un gruppo di minatori (mineros) siciliani che rimangono disoccupati dopo che la
chiusura della solfatara in cui lavorano e decidono di emigrare clandestinamente in Francia per trovare
lavoro. Quindi il film narra del lungo viaggio che devono compiere per arrivare dalla Sicilia al Piemonte per
poi attraversare il confine ed entrare in Francia (simile al film Paisà che descrive un percorso dal sud al nord
Italia). È basato su un intreccio unitario(trama unitaria) dato che i personaggi che viaggiano sono gli stessi
però si articola in una serie di episodi che corrispondono alle varie tappe che questi personaggi
attraversano e alle varie disavventure che devono affrontare. Si svolge a Napoli, Roma, Pianura Padana e
infine in Piemonte.
Alberto Lattuada (1914-2005): nasce a Milano, dirige il suo primo film nel 1943, poi riprende la sua attività
nel dopoguerra tra 1946 e 1948 con una serie di film che si inseriscono nel filone neorealista dominante in
quegli anni ovvero “Il bandito” e “Senza pietà”. Prosegue la sua carriera negli anni ‘50-‘60-‘70 dirigendo
moltissimi film. È noto per essere stato uno scopritore di giovani attrici: ha lanciato Caterine Spack con il
film “Dolci inganni” e Nastassja Kinski. Ha diretto film molto diversi l’uno dall’altro ma un elemento
unificante è l’interesse per figure femminili con una componente di erotismo che diventa molto
significativa soprattutto negli anni ‘70-‘80.
- “Il delitto di Giovanni Episcopo” (1947) tratto da Giovanni D’annunzio e interpretato in un ruolo
drammatico da Aldo Fabrizi
- “Il mulino (molino) del Po” (1949) tratto dal romanzo monumentale di Riccardo Bacchelli che racconta la
vita di una famiglia contadina ferrarese per circa un secolo(durante un siglo) (da inizio ‘800 a inizio ‘900)
Il film più importante di questa collaborazione è “Senza pietà”. È ambientato a Livorno nel dopoguerra,
periodo in cui i soldati americani sono presenti in Italia e racconta la storia d’amore che si conclude
tragicamente tra una ragazza italiana caduta nel giro della prostituzione e un soldato americano di colore
disertore ricercato dalla polizia. Está ambientada en el Livorno de la posguerra, época en la que los soldados
estadounidenses están presentes en Italia, y cuenta la historia de amor que acaba trágicamente entre una
chica italiana que cae en la prostitución y un soldado estadounidense negro desertor buscado por la policía.
Per Fellini l’esperienza di “Senza pietà” è importante almeno come quella di “Paisà”: inizialmente per
preparare la sceneggiatura si reca per un periodo di tempo insieme a Tullio Spinelli a Livorno in modo da
conoscere i luoghi in cui ambientare l’azione, poi partecipa attivamente alle riprese del film accanto a
Lattuada con il ruolo di aiuto regista. La protagonista che si chiama Angela è interpretata da Carla del
Poggio (1925-2010), moglie di Alberto Lattuada. Giulietta Masina esordisce nel cinema e appare per la
prima volta in un film in quest’occasione interpretando Marcella, un’altra prostituta amica della
protagonista. Anche lei comincia una relazione con un soldato americano di colore ma riesce, a differenza
della protagonista che rimane uccisa, a scappare liberandosi dalla prostituzione e imbarcarsi su una nave
diretta negli Stati Uniti insieme al fidanzato. L’interpretazione della Masina ebbe un notevole successo e
l’attrice vinse un nastro d’argento al Festival di Venezia che era il premio che veniva dato alla migliore
attrice non protagonista. A causa di questo, i produttori vorranno assegnarle successivamente i ruoli di
prostituta. Questo debutto nel cinema consente parzialmente di consolare la Masina da un’esperienza
negativa e dolorosa che era avvenuta nel 1945 ovvero la perdita del suo primo e unico bambino di nome
Pier Federico morto 11 giorni dopo il parto. Addirittura, Fellini che era sempre ben disposto a farsi
intervistare, non farà mai cenno a questa disgrazia. Questo è anche il motivo per cui Fellini e Giulietta,
nonostante siano rimasti insieme per tutta la vita, non hanno mai avuto dei bambini. La novità del film e del
contenuto antirazzista ed ebbe molto successo in Italia e in Europa mentre fu poco accolto negli USA in cui
risultava strana una relazione interraziale tra un uomo di colore e una donna bianca.
LEZIONE 8: Durante la collaborazione tra Fellini e Lattuada in tre film consecutivi, oltre a una fruttuosa
collaborazione artistica, nasce anche una grossa amicizia. Nel 1950 sulla base di questa fiducia, Lattuada gli
propone di dirigere un film insieme ovvero “Luci del varietà” in cui Fellini per la prima volta non è più solo
sceneggiatore ma co-regista (no era solo guionista si no que fue co-director).
Lattuada però decide di non rivolgersi a una grossa società di produzione ma di autoprodurre il film,
convincendo Fellini che era abbastanza riluttante. Fondano dunque una società composta da loro due, le
due mogli e anche da altre persone, tra cui sua sorella Bianca Lattuada e suo padre Felice Lattuada che era
un compositore e scriverà le musiche per il film. Dopodiché, i soci prendono contatto con una piccola casa di
produzione chiamata Film Capitolium che accettò di versare il 65% del denaro necessario a produrre il film.
Il restante 35% era invece a carico di Fellini e Lattuada che investirono i propri risparmi.
Per la trama del film viene scelto un soggetto scritto da Fellini poco tempo prima che riguarda
l’avanspettacolo (oltre a esserne spettatore, aveva scritto battute per Aldo Fabrizi e altri comici). La
sceneggiatura venne scritta da Fellini insieme a Tullio Pinelli. Come protagonista maschile viene scelto
Peppino De Filippo (1903-1980) che interpreta Checco Dal Monte. Peppino inizia la sua carriera a teatro e
al cinema negli anni ’30, in periodo fascista. È presente nel film Campo de’ Fiori. La sua notorietà è legata al
periodo del dopoguerra (anni ’50, ‘60) in cui diventa uno degli attori più noti nel cinema comico italiano. È
famoso per le innumerevoli interpretazioni di commedia accanto all’attore Totò. Invece la protagonista
femminile del film è Carla Del Poggio impersona Liliana Antonelli. Giulietta Masina è una delle interpreti
femminili (Melina Amour). Checco è un capocomico che dirige una compagnia di avanspettacolo di
quart’ordine ed è sempre senza una lira e alla ricerca di espedienti per dormire, mangiare e pagare lo
stipendio alla troupe. Checco es un comediante que dirige una compañía de vodevil de cuarta categoría y
siempre está sin un centavo y busca la manera de dormir, comer y pagar el salario de la compañía. Egli ha
una relazione fissa con Melina, attrice della compagnia. Il film si apre con uno spettacolo della compagnia di
Checco. Post spettacolo, mentre la compagnia viaggia in treno durante la notte, Checco viene approcciato
da una bella ragazza che si chiama Liliana, la quale esprime verso di lui la sua ammirazione e gli chiede se
può prenderla nella compagnia. Dopo essere stato respinto sul piano dell’approccio sessuale, Checco si fa
convincere a prenderla nella compagnia nonostante gli altri attori non siano d’accordo. Prima si esibisce con
ruoli secondari, ma poi durante uno spettacolo si trova a dover improvvisare un numero musicale come
protagonista e ottiene un enorme successo. Piace moltissimo al pubblico e diventa l’attrice della compagnia
più apprezzata. Checco si innamora di lei e la cosa diventa palese una sera in cui un ricco ammiratore si
reca nel suo camerino e invita tutta la compagnia a cena nella sua villa. Tutti si abbuffano finalmente.
Il padrone di casa chiede all’intera compagnia di dormire nella villa però durante la notte si introduce nella
stanza in cui soggiorna Liliana. Checco se ne accorge e fa una scenata di gelosia. Lascia Melina e la
compagnia con l’intenzione di mettere in piedi uno spettacolo solo con Liliana però non c’è una relazione
amorosa dato che lei lo respinge sin dall’inizio e si mantiene ferma su questa posizione. Quando i due si
recano a Roma dove lui cerca di trovare i finanziamenti per mettere in piedi lo spettacolo, tutti gli impresari
teatrali importanti gli voltano le spalle, non si fanno trovare, lo evitano e di conseguenza Liliana capisce che
Checco è un fallito. Quindi accetta la proposta di un impresario teatrale importante e avversario di Checco
che le permette di debuttare seppur in un ruolo secondario all’interno di uno spettacolo di varietà ad alto
costo. Annuncia a Checco la sua decisione proprio nel momento in cui lui è riuscito a trovare il denaro per lo
spettacolo e sta facendo le prove. Nella parte finale ci viene presentato, in contrapposizione ai numeri della
compagnia di Checco, un musical di serie A che somiglia a uno di Broadway per la scenografia però è
ugualmente di cattivo gusto, pacchiano e senza avere neppure la vitalità dell’avanspettacolo. La cantante
grottesca verrà rimpiazzata da Liliana che attira maggiori applausi da parte del pubblico. Liliana viaggia in
treno verso Milano mentre Checco, ritornato con Melina e la vecchia compagnia, sta viaggiando su un
vagone di terza classe. C’è una ripetizione della scena iniziale sul treno con Checco che inizialmente si
definisce uno scopritore di artiste e che approfittando dell’assenza di Melina fa delle avances a una
passeggera.
8/5 si chiama così perché Fellini essendo a corto di idee sul titolo, decide di battezzare il film con il numero
dei film che aveva girato fino a quel momento. Per mezzo si intende “Luci del varietà” che era diretto con la
co-regia di Lattuada. Quindi, Fellini lo considerava suo soltanto per metà.
Sul piano del soggetto, dell’ambientazione, della trama del racconto l’apporto di Fellini è più forte di quello
di Lattuada. Non solo il film tratta un tema caro a lui cioè quello dell’avanspettacolo ma anticipa dei temi
del film “La strada” per la struttura on the road. Infatti, anche qui ci sono artisti girovaghi che sono
continuamente in viaggio con tutti i mezzi di trasporto possibili e immaginabili perché non hanno soldi per
pagarsi i viaggi. Quindi sia nella descrizione dello spettacolo nelle sue forme più povere sia nella centralità
del tema del viaggio con personaggi in movimento da un posto all’altro e mostrati spesso lungo la strada, c’è
sicuramente un’anticipazione del Fellini successivo.
Per quanto riguarda la regia, tutte le testimonianze delle persone presenti sul set sono state concordi nel
dire che il film è stato quasi completamente diretto da Lattuada. Fellini era al suo esordio mentre Lattuada
era già un professionista affermato. Fellini avrebbe diretto personalmente due sequenze del film: la prima è
quella della camminata notturna della compagnia lungo la strada dopo essere stata cacciata in malo modo
dalla villa. È una scena costruita molto bene perché senza l’uso del dialogo viene mostrata la presa di
coscienza di Melina del fatto che Checco non è più interessato a lei e del suo amore per Liliana. Allo stesso
tempo viene messa in scena la separazione tra i due con Melina che prima è a braccetto con Checco e poi se
ne distacca; la seconda è una scena ambientata a Roma in cui Checco durante la notte incontra per strada
un trombettista di colore che lo porta prima in una piazza dove c’è un’altra artista da strada che suona la
chitarra e poi in un dormitorio per poveri e senza tetto. L’attore che interpreta questo personaggio ovvero
John Kitzmiller (1913-1965) è lo stesso attore che interpreta il protagonista maschile nel film “Senza pietà”.
Era originariamente un soldato americano sbarcato in Italia con le truppe alleate però dopo la fine della
guerra si era fermato in Italia e aveva trovato lavoro come attore. È comparso in una serie di film degli anni
‘40 appartenenti al filone neorealista.
Sul piano commerciale, fu un totale insuccesso tanto che Fellini e Lattuada per anni furono costretti a
pagare debiti concernenti le spese che avevano sostenuto. Questo distrusse il rapporto di amicizia tra i due.
La ragione principale del fallimento è che nello stesso anno venne girato un altro film sullo stesso tema
(avanspettacolo) con una trama molto simile cioè “Vita da Cani”, diretto da Steno e Mario Monicelli,
prodotto da Carlo Ponti e soprattutto uscito nelle sale con qualche mese di anticipo su “Luci del varietà” che
venne completamente oscurato (fine settembre 1950 vs gennaio 1951). “Vita da cani” è interpretato da
Aldo Fabrizi il quale si era offeso perché Fellini e Lattuada non l’avevano coinvolto in un progetto che sentiva
vicino ovvero quello dell’avanspettacolo e quindi per ripicca accettò di diventare il protagonista del film
concorrente. I rapporti tra Fellini e Fabrizi a inizio anni ‘50 si interrompono completamente e diventato
regista non lo ha mai chiamato a recitare delle parti nei suoi film. Pur essendo nato e prodotto per fare
concorrenza a “Luci del varietà” vede la partecipazione di personaggi che sono stati o saranno in futuro
stretti collaboratori di Fellini cioè Aldo Fabrizi come protagonista, Marcello Mastroianni che poi diventerà
l’attore maschile prediletto da Fellini, Ruggero Maccari che scrive la sceneggiatura (era quello con cui aveva
i rapporti più stretti di amicizia all’interno del Marc’Aurelio) e Nino Rota che scrive la musica (egli diventerà
musicista fisso di tutti i film di Fellini fino alla sua morte).
Cuenta con la participación de personajes que han sido o serán en el futuro colaboradores cercanos de
Fellini, a saber, Aldo Fabrizi como protagonista, Marcello Mastroianni, quien luego se convertirá en el actor
masculino favorito de Fellini, Ruggero Maccari, que escribe el guión (fue con quien tuvo la mayor amistad
dentro de Marc'Aurelio) y Nino Rota, que escribe la música (se convertirá en músico permanente de todas
las películas de Fellini hasta su muerte).
Nino Martoni (Aldo Fabrizi) è un capocomico che dirige una compagnia di avanspettacolo molto povera e
che si trova sempre in difficoltà a pagare le spese. A un certo punto in un treno si imbatte in una bella
ragazza di nome Margherita (Gina Lollobrigida che nel 1950 non era ancora così famosa ma aveva già
interpretato molti film) che sta scappando dalla polizia. Infatti, è fuggita via dal suo paese e i suoi genitori
ne hanno denunciato la scomparsa. Allora lui per coprirla, quando stanno per chiederle i documenti, finge
che sia attrice della compagnia e quindi la ragazza riconoscente comincia a seguire questi attori.
Inizialmente non partecipa agli spettacoli, poi però verso la metà del film Nino essendo rimasto senza
protagonista decide di sostituirla con Margherita. La sottopone a lezioni di canto e dizione e quando
debutta ottiene uno straordinario successo, interpretando una canzone italiana con ritmi latini e con la
parola muchacho. Dopo la sua esibizione, arriva un impresario importante che le propone di lasciare la
compagnia per partecipare a un musical di alto livello. Però diversamente dalla protagonista Liliana di “Luci
del varietà”, lei si indigna affermando di essere riconoscente a Nino e che mai lo abbandonerebbe. Non
visto, egli partecipa alla scena e capisce che non ha diritto di tarpare le ali alla ragazza e di impedirle di fare
una brillante carriera. Quindi, comincia a maltrattarla fino a quando la caccia per fare in modo che si liberi
dall’affetto verso di lui e accetti il nuovo contratto. Il film si conclude con lui che assiste al suo debutto. Qui
c’è il tema della rinuncia volontaria mentre nell’altro caso c’è un abbandono improvviso. Entrambi i film
sono fondamentali per quanto riguarda la rappresentazione cinematografica del mondo dell’avanspettacolo
che in quegli anni era in declino e stava per morire (una sorta di omaggio a questa forma di teatro). Sono
due ottimi esempi di backstage musical italiani (ambientato nel mondo dello spettacolo con protagonisti
attori e cantanti e incentrato sulla messa in scena di uno spettacolo). Nel 1973 Alberto Sordi interpreterà
insieme a Monica Vitti il film “Polvere di stelle”, ambientato nel mondo dell’avanspettacolo e che descrive le
avventure di una compagnia di varietà negli anni della Seconda guerra mondiale. In esso, ci sono episodi
ispirati a questi due film.
LEZIONE 9: Lo sceicco bianco (1952) el jeque blanco è basato su un soggetto originale scritto
presumibilmente nel 1949 dal regista ferrarese Michelangelo Antonioni (1912-2007), uno dei più grandi
rappresentanti del cinema d’autore italiano del dopoguerra insieme a Fellini. Questo soggetto si intitola
“Caro Ivan” ed è ambientato nel mondo dei fotoromanzi. Il fotoromanzo è una storia a fumetti in cui le
vignette non sono disegnate ma fotografate. Nel 1949 non aveva ancora esordito come regista di
lungometraggi di finzione ed aveva soltanto diretto alcuni brevi documentari di una decina di minuti ovvero
“Gente del Po” (iniziato nel 1943, prima dello scoppio della guerra e completato nel dopoguerra), “Nettezza
urbana” e “L’amorosa menzogna” del 1949 (realizza un’inchiesta del mondo dei fotoromanzi sia dal punto
di vista della produzione che della fruizione). Il fotoromanzo, considerato come una forma di narrativa
popolare e di scarsa qualità, nasce in Italia nel 1947. La sua nascita è legata all’apparizione di due riviste che
escono entrambe nel 1947 cioè “Bolero Film” e “Il mio sogno” che poi cambia nome in “Sogno”. A queste
due riviste se ne dovrebbe aggiungere una terza ovvero “Grand Hotel” del 1946 che si differenzia dalle
precedenti perché inizialmente le storie a fumetti non erano fotografate ma disegnate (vicinanza al fumetto
tradizionale; poco tempo dopo anche Grand Hotel comincerà a pubblicare dei fotoromanzi). Mentre
tradizionalmente in Italia il fumetto era destinato ai bambini, invece le storie fotografate di “Bolero Film”,
“Sogno” e poi “Grand Hotel” si rivolgevano a un pubblico adulto e prevalentemente femminile.
Queste storie avevano elementi avventurosi ma poi c’era una prevalenza della componente sentimentale-
amorosa. Le storie di Grand Hotel erano disegnate con uno stile fortemente realistico e i volti dei personaggi
molto spesso erano ispirati a quelli dei personaggi famosi del grande schermo. Inoltre, alcuni interpreti dei
fotoromanzi diventeranno poi attori cinematografici come la Lollobrigida. Una forma affine, ma non identica
al fotoromanzo, era il cineromanzo ovvero un adattamento di film italiani che erano stati distribuiti nelle
sale nello stesso periodo. Come vignette, utilizzavano i fotogrammi (immagini di scena del film), quindi i
volti dei personaggi erano quelli dei film (invece i fotoromanzi erano basati su storie originali e quindi
fotografati ex novo: c’erano dei piccoli studi e teatri di posa nei quali venivano scattate le foto ed esistevano
anche interpreti che posavano davanti all’obiettivo). La forma del cineromanzo era così diffusa che venivano
realizzati anche adattamenti a fumetti di film di registi appartenenti al cinema d’autore, quindi in teoria
molto sofisticati.
Un esempio è il cineromanzo tratto dal film “I vinti” (1953) di Michelangelo Antonioni. Ne “Lo sceicco
bianco” quando si vede la troupe, il regista e il set sulla spiaggia di Fregene si sta realizzando un
fotoromanzo e non si sta girando un film. Quindi esistevano dei veri e propri protagonisti delle storie intorno
ai quali si sviluppava una forma di culto nel senso che i lettori e soprattutto le lettrici si affezionavano e in
molti casi scrivevano lettere d’amore appassionate alla rubrica della posta di queste riviste firmandosi con
pseudonimi suggestivi come “Bambola appassionata” con cui si firma la protagonista de “Lo sceicco bianco”
quando scrive al suo interprete prediletto. Il fotoromanzo era una sorta di cinema povero che riproduceva in
versione fissa e non in movimento le principali caratteristiche della narrazione cinematografica.
La fotonovela era una suerte de cine pobre que reproducía las principales características de la narración
cinematográfica en una versión fija e inmóvil.
Il boom del fotoromanzo coincide con la fine degli anni ‘40 e gli inizi degli anni ‘50 però hanno continuato a
essere pubblicati con grandissimo successo anche nei decenni successivi. È soltanto a partire danni anni ‘80
che il fotoromanzo comincia un po’ a declinare nei favori del pubblico. “L’amorosa menzogna” è molto
divertente e dimostra un approccio molto intelligente per l’epoca perchè prende in esame un fenomeno che
era disprezzato enormemente dalla cultura alta e non ritenuto degno di essere studiato e interpretato.
Quindi Antonioni, benché giovane, mostra un interesse moderno nei confronti della cultura popolare. Viene
data l’immagine simpatica di un cinema povero, con i bambini che guardano dalla finestra la realizzazione di
un fotoromanzo, un gatto che si muove sul set tra i piedi degli attori che, pur essendo famosi e amati anche
da persone che scrivono lettere appassionate dalla Puglia o da altre regioni, sono anche loro di estrazione
sociale modesta (per esempio, vediamo una star che fa il meccanico. Quindi evidentemente erano pagati
molto poco per le loro performances nei fotoromanzi). L’ultima lettera che viene recitata non è scritta da
una lettrice ma da un lettore di sesso maschile, quindi aveva presa non solo sul pubblico femminile ma
anche su quello maschile sempre di livello culturale basso( siempre publico de cultura baja).
Genesi del film: passaggio dal soggetto di Antonioni alla sceneggiatura di Fellini e Pinelli fino alla
realizzazione del film diretto per la prima volta interamente da Federico Fellini. La vicenda di questo film è
abbastanza complicata e ci sono discrepanze tra le due versioni.
Génesis de la película: paso de la historia de Antonioni al guión de Fellini y Pinelli hasta la realización de la
película dirigida íntegramente por Federico Fellini por primera vez.
Antonioni lo chiama erroneamente “Lo
sceicco bianco” perché il suo soggetto si
chiamava “Caro Ivan” mentre il titolo “Lo
sceicco bianco” nasce presumibilmente
per opera di Fellini e Pinelli.
1 tappa: Antonioni scrive il soggetto “Caro Ivan” e lo propone al produttore Carlo Ponti offrendosi come
regista del film che pensava sarebbe stato il suo film d’esordio (in realtà poi esordirà con “Cronaca di un
Amore”); 2 tappa: Carlo Ponti affida la scrittura della sceneggiatura a Fellini e Pinelli; 3 tappa: quando viene
raccontata ad Antonioni la sceneggiatura scritta da Fellini e Pinelli, egli si mostra insoddisfatto e l’accoglie
freddamente e in maniera ostile. Dopodiché però Antonioni si ammala (non sappiamo se realmente o
meno, magari per evitare di dirigere questo film che non sentiva più suo); 4 tappa: la regia viene affidata ad
Alberto Lattuada ma anche lui rinuncia; 5 tappa: il progetto passa di produttore in produttore e finisce nelle
mani di Luigi Rovere che, sapendo che Fellini aveva già avuto esperienze come aiuto regista dirigendo scene
con Rossellini e poi come co-regista con Lattuada in “Luci del varietà”, gli propone di esordire come regista
dirigendo il film da solo.
1ª etapa: Antonioni escribe la historia "Querido Iván" y se la propone al productor Carlo Ponti ofreciéndose
como director de la película que pensaba sería su ópera prima (en realidad debutará con "Cronaca di un
Amore") ;
3ª etapa: cuando le cuentan a Antonioni el guión escrito por Fellini y Pinelli, se siente insatisfecho y lo
recibe con frialdad y hostilidad. Después de eso, sin embargo, Antonioni cae enfermo (no sabemos si
realmente lo está o no, tal vez para evitar dirigir esta película que ya no sentía como suya);
Etapa 5: el proyecto pasa de productor en productor y termina en manos de Luigi Rovere quien, sabiendo
que Fellini ya tenía experiencia como asistente de dirección dirigiendo escenas con Rossellini y luego como
codirector con Lattuada en debutar como director dirigiendo la película por sí mismo.
Fellini nella sua testimonianza dice che si trattava di un soggettino di 3, 4 paginette ma è falso perché si
tratta di ben 24 fogli dattiloscritti contenuti in una cartella con il titolo e senza indicazione della data. Nel
1949 Antonioni scrive “l’Amorosa menzogna” e viene ispirato da questo breve cortometraggio nell’idea di
scrivere un soggetto su questo argomento dei fotoromanzi. Poi esordirà con un altro film nel 1950. Quindi la
scrittura del soggetto deve per forza collocarsi nel 1949. Ci troviamo di fronte a un testo che, pur non
essendo una sceneggiatura ancora vera e propria in quanto non è suddiviso in scene numerate, è molto più
lungo e dettagliato di un normale soggetto cinematografico e contiene anche numerosissime battute di
dialogo. Estamos ante un texto que, si bien aún no es un verdadero guión al no estar dividido en escenas
numeradas, es mucho más largo y más detallado que un tema cinematográfico normal y también contiene
muchas líneas de diálogo Quindi la storia è raccontata in maniera precisa ed è molto intricata e complicata.
Il protagonista Ivan è un giovane di bell’aspetto ma senza una lira che da Imola dove vive inizialmente si
trasferisce a Roma in cerca di fortuna (analogia con la vicenda autobiografica di Fellini ma questo elemento
non viene ripreso nel film). Prima trova lavoro come maestro in una scuola di danza e poi come interprete
di fotoromanzi. Sul piano sentimentale, è diviso fra l’amore per due donne: da una parte Lola che è una
ragazza molto giovane originaria di Imola con cui il protagonista aveva avuto un breve flirt prima di partire
per Roma e con cui rimane in corrispondenza, dall’altra invece Anita, una donna più adulta e attrice di
fotoromanzi con cui ha una relazione. Alla fine della storia, il protagonista le perderà entrambe. La trama e
l’atmosfera de “Lo sceicco bianco” sono completamente diverse rispetto al soggetto di Antonioni che
oltretutto non può essere assolutamente definito una commedia come invece è il film di Fellini. Al contrario,
si tratta di una storia d’amore con risvolti melodrammatici, forse volutamente un po’ fotoromanzesca che
però si conclude con un finale molto cinico in quanto il protagonista dopo essergli andata male sia con Lola
che con Rita, inizia a corteggiare un’altra ragazza che fa l’attrice per la stessa rivista di fotoromanzi. Tra
l’altro verso la fine assistiamo al suicidio di un personaggio secondario ovvero il fratello di Anita che, dopo
essere stato lasciato da una donna, si spara.
Gli unici elementi comuni tra il soggetto di Antonioni e la sceneggiatura di Fellini e Pinelli sono:
Los únicos elementos comunes entre el tema de Antonioni y el guión de Fellini y Pinelli son:
-la storia sia nel soggetto che nella sceneggiatura è ambientata nel mondo dei fotoromanzi (fotonovelas)
-Lola, la ragazzina ingenua di Imola è un’appassionata lettrice di fotoromanzi e durante la storia scrive due
lettere (riportate nel soggetto di Antonioni per intero) alla redazione della rivista “Come tu mi vuoi”
firmandosi prima come “Innamorata triste” e dopo come “Pallida luna”, un po’ come “Bambola
appassionata” ovvero il nome d’arte che si dà Wanda, protagonista de “Lo sceicco bianco” como "Muñeca
apasionada" o el nombre artístico que recibe Wanda, protagonista de "El jeque blanco".
-il fotoromanzo del soggetto di Antonioni presenta evidenti analogie con quello che viene girato nel film
nella spiaggia di Fregene. Nel soggetto di Antonioni viene raccontata abbastanza dettagliatamente la sua
trama: durante un viaggio nel deserto, Adora (personaggio interpretato da Anita) viene rapita da una banda
di predoni e Raniero (personaggio interpretato da Ivan) si traveste da arabo per introdursi
nell’accampamento e liberare la sua amata (contesto de “Lo sceicco bianco”: personaggio occidentale che
veste abiti arabi).
-El tema de la fotonovela de Antonioni tiene analogías evidentes con lo que se filma en la película en la
playa de Fregene. En el tema de Antonioni se cuenta con bastante detalle su trama: durante un viaje por el
desierto, Adora (personaje interpretado por Anita) es secuestrada por una banda de merodeadores y
Raniero (personaje interpretado por Iván) se disfraza de árabe para entrar en el campamento y liberar a su
amada (contexto de “El Jeque Blanco”: personaje occidental que viste ropa árabe).
Nei titoli di testa del film, il soggetto non viene attribuito solo ad Antonioni ma anche a Fellini e Pinelli che
non si sono limitati a sviluppare il soggetto nella sceneggiatura ma hanno anche reiventato l’intera storia.
Quindi vengono accreditati non solo come sceneggiatori ma come co-autori del soggetto insieme ad
Antonioni.
En los créditos iniciales de la película, el tema no se atribuye solo a Antonioni, sino también a Fellini y
Pinelli, quienes no solo desarrollaron el tema en el guión, sino que también reinventaron toda la historia.
Por lo que se les acredita no solo como guionistas sino como coautores de la historia junto a Antonioni.
LEZIONE 10: Tra gli sceneggiatori de “Lo sceicco bianco” è anche accreditato lo scrittore, romanziere,
giornalista e umorista Ennio Flaiano (1910-1972). Già attivo come collaboratore di giornali e riviste
importanti nell’ultima fase del periodo fascista (tra la fine degli anni ‘30 e l‘inizio degli anni ’40), si impone
come figura soprattutto nel dopoguerra (anni ‘50 e ’60) quando collabora con alcuni dei principali
settimanali e quotidiani pubblicati in Italia come “Il corriere della sera”, “L’europeo”, “L’espresso”, “Il
mondo”. Fra le opere più famose scritte da Flaiano si può citare il romanzo “Tempo di uccidere” del 1947 e il
libro “Diario notturno” del 1956 che è una raccolta di racconti, aneddoti, pensieri, aforismi, pagine di diario
pubblicate precedentemente su pagine di giornali e riviste. Infatti, Flaiano è soprattutto scrittore di battute.
Ha lavorato tantissimo per il cinema come sceneggiatore (in molti film ha prestato un contributo
secondario). Come ha dichiarato Fellini, Flaiano non partecipa alla prima stesura della sceneggiatura ma
interviene soltanto in un secondo tempo per migliorarla. Tra le sue collaborazioni come sceneggiatore
spicca il rapporto continuativo con Fellini (interveniva per aiutarlo dado consigli, facendo modifiche alla
sceneggiatura e aggiungendo battute). Flaiano era già accreditato come collaboratore alla sceneggiatura nel
film “Luci del varietà” co-diretto da Fellini e Lattuada, poi ne “Lo sceicco bianco” e infine il suo nome lo
ritroviamo in tutti film di Fellini fino a “Giulietta degli spiriti” (1965). Tuttavia, tra i due ci sarà anche un
rapporto molto conflittuale. Infatti, nelle interviste Flaiano si è lamentato dell’atteggiamento di Fellini
dicendo che si era sentito molto spesso depredato di sue idee e anche di elementi autobiografici che egli ha
fatto poi suoi e di cui si è appropriato nei suoi film. Flaiano se quejaba de la actitud de Fellini diciendo que
muy a menudo se sentía despojado de sus ideas y también de elementos autobiográficos que luego hacía
suyos y de los que se apropiaba en sus películas.
Il protagonista maschile Ivan Cavalli è interpretato da un attore importante di origine calabrese ovvero
Leopoldo Trieste (1917-2003). Egli ha esordito come attore non professionista recitando per “Lo sceicco
bianco” di Fellini (prassi di Rossellini e dei registi nel neorealismo). Leopoldo era infatti un autore
drammatico e scriveva testi teatrali di argomento impegnato. Tuttavia, conosce Fellini che resta colpito
dalla sua faccia, dal suo aspetto buffo, dai suoi occhi grandi e sbarrati e decide di proporgli di recitare nel
film. Inizialmente pensa a Peppino de Filippo come protagonista (già protagonista di “Luci del varietà”) ma
non era libero. Tra i due nasce una grande amicizia tanto che Leopoldo sarà presente anche ne “I vitelloni”
dove interpreta il personaggio di Leopoldo che non a caso nel film è un aspirante autore di testi teatrali che
spera di diventare famoso in questa città di provincia. Dopo l’esordio nei primi due film di Fellini,
intraprenderà la carriera di attore e diventerà uno dei più noti caratteristi (attore specializzato in ruoli
secondari) del cinema italiano degli anni ‘50 e ’60, recitando soprattutto all’interno di commedie. Sono
famose le sue interpretazioni nei film di Pietro Germi come “Divorzio all’italiana” e “Sedotta e
abbandonata”.
Brunella Bovo (1930-2017) interpreta Wanda, la sposina in viaggio di nozze insieme al marito Ivan. Era
un’attrice professionista molto giovane e aveva già interpretato il ruolo di protagonista femminile in un film
molto importante del neorealismo italiano cioè “Miracolo a Milano” di Vittorio De Sica del 1951.
Alberto Sordi (1920-2003) interpreta Fernando Rivoli ovvero colui che nei fotoromanzi impersona lo
sceicco bianco(que si era profesional, pero hasta entonce secundario). Era coetaneo di Fellini ed erano
divenuti amici negli anni ‘40 quando il regista lavorava nel Marc’Aurelio. Nasce a Roma ed è figlio di un
musicista professionista e di una maestra elementare. Inizialmente, seguendo i passi del padre, pensa di
affermarsi in ambito musicale e segue corsi e lezioni di canto lirico. Poi comincia a interessarsi alla
recitazione e nel periodo anteriore all’uscita de “Lo sceicco bianco” lavora intensamente e svolge 4 diverse
attività: attore teatrale (all’inizio degli anni ’40 recita all’interno di compagnie di varietà e di teatro leggero),
attore radiofonico (tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50, dopoguerra interpreta personaggi comici
ricorrenti che ottengono grande successo tra cui quello di Mario Pio), doppiatore cinematografico (nel 1929
diventa il doppiatore fisso dell’attore Oliver Hardy in italiano. Quindi la sua voce è presente in tutti i
cortometraggi e lungometraggi della coppia comica Stanlio e Ollio. Nel dopoguerra, doppia anche molte star
maschili del cinema hollywoodiano) e attore cinematografico (già dalla fine degli anni ‘30 inizia a recitare
nel cinema interpretando però in una ventina film soltanto dei ruoli minori. Nel 1951 finalmente debutta
come attore protagonista in un film comico, ispirato un po’ ad alcuni personaggi radiofonici, dal titolo
“Mamma mia che impressione!” il quale è un totale insuccesso commerciale). Fellini che era rimasto suo
amico lo sceglie per interpretare il personaggio de “Lo sceicco bianco” che è ispirato alla figura e ai
personaggi interpretati dall’attore Rudolph Valentino (1895-1926), nato Puglia ed emigrato giovanissimo
negli USA dove aveva esordito come attore cinematografico ed era diventato una delle più grandi star
maschili (adorata dalle donne) del cinema muto hollywoodiano degli anni ‘20. Uno dei ruoli principali era
quello dello sceicco (“Lo sceicco” e il sequel “Il figlio dello sceicco” dove Valentino interpretava uno sceicco
arabo però di origine europea e quindi bianco era riferito sia al colore della pelle che al colore dell’abito).
L’entrata in scena di Alberto Sordi nel ruolo di sceicco bianco rimane l’immagine più famosa del film.
Addirittura, a Rimini all’ingresso del museo Fellini è presente una statua di Alberto Sordi sull’altalena nelle
vesti dello sceicco bianco. È un’immagine surreale quella di questo personaggio che si dondola su
un’altalena appesa a due pini altissimi( la del columpio).
Accanto ai 3 personaggi principali ci sono personaggi secondari interpretati da attori minori: bisogna
ricordare la breve apparizione di Giulietta Masina che interpreta la prostituta Cabiria anticipando il film “Le
notti di Cabiria”. Nel film il protagonista Ivan, il quale ha raggiunto il culmine della disperazione perché non
sa come fare a ritrovare Wanda che è scomparsa, si aggira senza meta e senza scopo di notte per il centro di
Roma. A un certo punto si siede su un gradino e lì attira l’attenzione di due prostitute che nella
sceneggiatura sono chiamate la piccola (Giulietta Masina) e la grassa. Questa coppia anticipa quella delle
due prostitute amiche de “Le notti di Cabiria”. Pare che ci sia stata tensione tra Fellini e sua moglie perché
quest’ultima avrebbe voluto interpretare Wanda ma evidentemente il regista non la considerava adatta per
quella parte e quindi le diede una particina piccolissima che riconfermava lo stereotipo del ruolo fisso di
prostituta che la Masina aveva assunto per i produttori dopo la sua interpretazione nel film “Senza pietà” di
Lattuada.
Le riprese (el rodaje) del film vengono realizzate in location autentiche, sia per quanto riguarda gli interni
(ristoranti, pensione economica in cui alloggiano gli sposini) che gli esterni. Questo rimanda alla poetica del
neorealismo italiano caratterizzato dal rifiuto delle riprese effettuate in studio e in scenografie ricostruite.
Fellini nei suoi primi film (“Lo sceicco bianco”, “I vitelloni”, “La strada” e “Le notti di Cabiria”) rimane fedele
al neorealismo, utilizzando ambientazioni reali però a partire da “La dolce vita” cambierà abitudini e
comincerà a girarli prima parzialmente e poi interamente all’interno di set ricostruiti all’interno degli studi di
Cinecittà. a partir de “La dolce vita” cambiará su hábitos y comenzar a filmarlos primero parcialmente y
luego en su totalidad dentro de decorados reconstruidos dentro de los estudios. Addirittura, ne “Il
casanova” non si vede nemmeno il cielo vero. Il film è girato in parte nel centro storico di Roma e in parte a
Fregene (per la realizzazione del fotoromanzo), località balneare a breve distanza da Roma. Federico Fellini
in un brano molto divertente contenuto nel suo libro “Fare un film” descrive il disastroso inizio delle riprese
del film e il suo primo giorno come regista assoluto di un lungometraggio. Si può molto dubitare di questo
racconto perché, in primo luogo, non spetta al regista durante le riprese guardare attraverso l’obiettivo della
macchina da presa e realizzare le inquadrature ma al direttore della fotografia che è una persona esperta
che sa come cavarsela a gestire determinate circostanze.
Il regista, infatti, non è colui che direttamente riprende la scena ma che dà indicazioni generali all’operatore
su dove collocare la macchina da presa, su dove riprendere una data scena. Inoltre, la scena di dialogo tra
Wanda e lo sceicco bianco che sono sulla barca e sono inquadrati a una breve distanza è molto importante.
Quindi è abbastanza improbabile che possa essere stata girata in maniera realistica e quasi
documentaristica, riprendendo la scena con i due attori realmente su una barca in mezzo al mare e con
un’altra barca su cui stanno l’operatore, la macchina da presa e la troupe che riprende a distanza. Invece, si
sarebbe girata abitualmente con la barca sulla terra ferma, proiettando sullo sfondo l’immagine del mare
mosso (sistema del trasparente o back projection). Si tratta dunque di una traumatica iniziazione al primo
giorno di regia, descritto in stile onirico come se fosse un incubo: prima gli incidenti lungo il percorso, la
gomma che scoppia, il feretro all’interno della chiesa, poi descrizione del mare e di lui che sale su un
battello e la barca con gli attori che risulta sempre più lontana.
Nino Rota (1911-1979): autore delle musiche e della colonna sonora del film. Oltre l’attività di compositore
di musica per film, ha svolto anche quella di insegnante di musica presso conservatori e di compositore di
musica colta (ha composto tantissimi brani strumentali e vocali, musica da camera, sinfonica, opere liriche).
Il suo primo lavoro al cinema risale al 1933 quando compone le musiche per il film “Treno popolare” di
Raffaello Matarazzo. Nel dopoguerra ha collaborato con Luchino Visconti per i film “Gattopardo”, “Le notti
bianche”, “Rocco e i suoi fratelli”, con Zeffirelli per “La bisbetica domata” e “Romeo e Giulietta” e con il
regista americano Francis Ford Coppola per “Il padrino” (parte seconda). Tuttavia, la sua collaborazione più
stabile e consistente è stata quella con Fellini: il suo stile musicale caratterizza lo stile di Fellini quasi quanto
le immagini riprese da lui. La collaborazione cominciò nel 1952 con “Lo sceicco bianco” e si concluse nel
1978 con il film “Prova d’orchestra” per il fatto che Rota morì nel 1979.
Caratteristica dello stile di Rota nei film di Fellini è che quasi sempre le colonne sonore sono caratterizzate
dall’alternanza di due temi musicali contrapposti: uno allegro, burlesco, bandistico, con ritmo di marcia che
ricorda la musica da circo equestre e l’altro romantico e melodrammatico. Sono dunque presenti tre
passaggi: tema di marcia circense, passaggio intermedio in cui il tema di marcia viene ripetuto alternato
velocemente a un tema più romantico fino a quando esplode il tema sentimentale che occupa l’ultima parte
dei titoli di testa.
“Lo sceicco bianco” non fu selezionato nel gruppo di film italiani in concorso presso il Festival di Cannes e
quindi gli autori ripiegarono sulla Mostra del cinema di Venezia. Quindi il film in anteprima venne proiettato
in quest’occasione dove ottenne un discreto successo da parte del pubblico in sala. Tuttavia, al momento
della sua uscita nelle salE venne stroncato dalla critica. Ci furono alcune rare voci di critici che ne parlarono
in termini positivi però la maggior parte lo trattarono freddamente. Oltre a questo, il film è un totale
fallimento sul piano commerciale.
LEZIONE 11: L’eroe sono io (1952) è una commedia di Carlo Ludovico Bragaglia. Il protagonista di questo
film è un gelataio (heladero) che tenta inutilmente di corteggiare delle ragazze, le quali hanno occhi soltanto
per gli eroi dei fotoromanzi (fotonovelas) che stanno leggendo assiduamente. Si crea un malinteso: lui si
trova su un set di un fotoromanzo con personaggi vestiti da ufficiali di marina e, essendo che la sua divisa da
gelataio somiglia a quella di un marinaio, viene scambiato da due ragazze in un attore di fotoromanzi.
Ovviamente egli sfrutta la situazione, lasciando che venga creduta la cosa per fare colpo sulle ragazze. Da lì
comincia una vicenda intricata e avventurosa e il titolo si riferisce proprio a questo scambio di persona.
Surge un malentendido: está en una fotonovela ambientada con personajes vestidos como oficiales de la
marina y, como su uniforme de helado se parece al de un marinero, dos chicas lo confunden con un actor
de fotonovela. Obviamente explota la situación, haciéndose creer para impresionar a las chicas. A partir de
ahí comienza una historia intrincada y aventurera y el título hace referencia precisamente a este
intercambio de personas
È interessante paragonare questa sequenza dove si vede il set di un fotoromanzo in cui vengono effettuati
gli scatti (un po’ come si vedeva anche nel cortometraggio di Antonioni cioè “L’amorosa menzogna” in cui
c’era un vero studio dove venivano realizzati fotoromanzi) con quella de “Lo sceicco bianco” in cui sulla
spiaggia di Fregene assistiamo alla realizzazione di un fotoromanzo con i personaggi in abito arabeggiante e
Wanda che addirittura viene ingaggiata come interprete per l’occasione dell’episodio che stanno
fotografando.
Il personaggio di Ivan è caratterizzato in maniera decisamente negativa fin dall’inizio del film. È buffo e che
fa anche tenerezza. Inoltre, è arido, pedante, meticoloso e ossessionato dall’organizzazione del tempo.
Dopo l’arrivo a Roma, quando la coppia si è insediata in albergo, tutto contento descrive alla povera Wanda
quello che sarà il programma che ha previsto per la luna di miele. È conservatore e ligio alle tradizioni e alle
convenzioni. È scosso e angosciato dalla sparizione della moglie a cui presumibilmente è realmente
affezionato, però la sua principale preoccupazione è fare in modo che i parenti non si accorgano della sua
sparizione per evitare lo scandalo. Quando va al commissariato per denunciare la sua scomparsa non
vorrebbe dire il suo nome e il suo cognome perché ha paura che venga reso pubblico. È anche apertamente
carrierista e opportunista in quanto all’inizio del film dice chiaramente a Wanda che vuole circuire lo zio
importante per ottenerne dei vantaggi dal punto di vista lavorativo. È un esemplare del mal costume e del
clientelismo italiano (vuole diventare segretario comunale in due mesi).
Invece Wanda è descritta come una ragazza di provincia ingenua, sognatrice, romantica ma anche molto
credulona. Addirittura, crede all’assurda bugia che le racconta lo sceicco bianco sul fatto che la moglie ha
dato il filtro d’amore alla donna che lui amava. Per evadere dalla realtà poco romantica e dal rapporto poco
entusiasmante che intrattiene con Ivan si rifugia per compensazione nel mondo parallelo, fiabesco e
finzionale dei fotoromanzi attraverso cui sfoga la propria frustrazione, addirittura intrattenendo una
corrispondenza con il suo divo di fotoromanzi prediletto. Para huir de la realidad poco romántica y de la
relación poco inspiradora que mantiene con Iván, se refugia en el mundo paralelo, fantástico y ficticio de las
fotonovelas en las que da rienda suelta a su frustración, manteniendo incluso correspondencia con su
estrella de fotonovelas favorita.
Intreccio
L’intreccio del film prende le mosse con il gesto attivo di ribellione compiuto da Wanda ovvero la sua fuga
dall’albergo dove i due personaggi si sono appena sistemati. Mentre Ivan si riposa sul letto, lei finge di fare
la doccia mentre esce per raggiungere la redazione del suo fotoromanzo prediletto. Non è un caso che la
sua fuga inizi proprio subito dopo che Ivan le ha descritto il suo terrificante programmino, dimostrando che
anche lei ne ha uno segreto ovvero quello incontrare il suo eroe. Questa fuga di Wanda ha elementi in
comune con la fuga di Fausto nella scena de “I Vitelloni”. Quest’ultimo va al cinema con Sandrina e poi si
mette a fare delle avances a una donna affascinante seduta accanto a lui. Quando la donna esce dalla sala,
lui senza dare spiegazioni abbandona Sandrina e la insegue fino alla porta in cui abita. Poi torna indietro
quando il film è finito, il cinema è chiuso e la povera Sandrina rimane lì fuori ad aspettarlo. In tutti e due casi
c’è un personaggio che senza spiegazione abbandona il partner e in entrambi i gesti c’è un desiderio di fuga,
ribellione ed evasione da una situazione considerata opprimente.
Nel caso di Wanda il rapporto con il pedante e meticoloso Ivan, nel caso di Fausto il matrimonio riparatore
con Sandrina. Egli è infatti stato costretto a sposarla perché l’aveva messa incinta. Ne “I vitelloni” il
personaggio torna sui suoi passi alla fine, mentre ne “Lo sceicco bianco” la fuga prosegue, le distanze si
allargano, diventando il soggetto intero del film dato che si prolunga fino alla fine. Per Wanda, per la prima
volta nella sua vita, si verifica una rottura della barriera che separa il mondo reale da quello della sua
fantasia. Lei, lettrice di fotoromanzo, comincia a entrare personalmente e direttamente nella realtà: prima si
reca alla redazione, poi segue la troupe a Fregene, partecipa alle riprese, interpreta una parte e poi si
intrattiene con il suo divo prediletto. Allo stesso tempo quest’esperienza si rivela per lei fallimentare e si
traduce in una cocente delusione. Questo per il fatto che non solo il suo divo prediletto Fernando Rivoli,
interprete del personaggio dello sceicco bianco, risulta essere un volgare seduttore (lei ci mette un po’ di
tempo a rendersene conto anche se è molto evidente) ma anche vile, pusillanime e totalmente asservito e
succube della sua terribile, manesca, aggressiva e minacciosa moglie (primo esempio di donnona felliniana
interpretata dall’attrice Gina Mascetti, già presente in “Luci del varietà” in quanto interpreta una delle attrici
della compagnia di De Filippo). Wanda per queste motivazioni tenterà il suicidio che si risolve in una scena
comica e ridicola perché si butta in un punto in cui l’acqua è molto bassa. In seguito a questa completa
distruzione del proprio mito principale, ritorna all’ovile. Tuttavia, attraverso questo percorso subisce una
trasformazione e maturazione in quanto pone fine alle illusioni e accetta la sua relazione coniugale. Infatti,
mentre si stanno dirigendo verso il Vaticano dove c’è la benedizione degli sposini da parte del papa, quindi
una sorta di secondo matrimonio che sancisce l’unione tra i due personaggi, lei rivolta a Ivan dice: “Sei tu il
mio sceicco bianco”.
Un episodio che riveste una certa importanza nel film per Ivan è l’incontro con le due prostitute delle quali
una è Cabiria interpretata da Giulietta Masina mentre l’altra è Assunta, una donna più anziana, alta e grossa
con accento veneto. C’è una lunga di scena di dialogo tra i tre in cui il personaggio più loquace è Cabiria
mentre l’altra rimane un po’ più in disparte. Alla fine, Ivan sceglie Assunta, i due si allontanano insieme e
dopodiché c’è una dissolvenza incrociata. Si deduce dunque che Ivan abbia passato la notte con la prostituta
nella sua stanza della pensione o in qualche altro posto e si sospetta fortemente che sia stato infedele a
Wanda. Soltanto che poi alla fine del film c’è un dialogo molto importante e significativo che segna la
riconciliazione della coppia in piazza San Pietro mentre stanno recandosi in Vaticano. Wanda dice: “Non ho
fatto niente di male, è stato il destino avverso ma sono pura e innocente”. Ivan inaspettatamente le
risponde: “Anch’io sai”, il che sembra in contraddizione con il momento in cui l’abbiamo visto allontanarsi
con la prostituta. Nella scena sulla barca sembra che Wanda stia per cedere ma la sua purezza viene salvata
da due provvidenziali colpi di bastone alla nuca che tramortiscono lo sceicco bianco e gli impediscono di
baciarla. Quindi più che il destino avverso si dovrebbe dire il destino favorevole. Invece molto ambigua è la
risposta di Ivan. Quindi mentirebbe a Wanda se l’avesse tradita con la prostituta. Però in fondo non ne
avrebbe alcun motivo: Wanda si sente l’unica colpevole e non ha la minima idea di cos’abbia fatto Ivan
durante la sua assenza. Di conseguenza si tratta di una giustificazione non richiesta.
La sceneggiatura originale viene scritta prima della realizzazione di un film e serve come copione per la
realizzazione; invece, la sceneggiatura desunta è ottenuta rivedendo e riascoltando il film e copiando i
dialoghi e trascrivendoli esattamente. Quest’ultima non ha nessun valore sul piano della ricostruzione della
genesi di un film perché è identica al film finito mentre quella originale viene scritta prima e può presentare
grossissime differenze rispetto al film completato. Per esempio, delle scene possono essere state eliminate
o aggiunte nella versione definitiva del film, il dialogo modificato o improvvisato. Queste differenze sono
importanti per comprendere la genesi di un film dall’idea iniziale al suo risultato. Le sceneggiature originali
di Fellini sono profondamente diverse dal film. La sceneggiatura originale de “Lo sceicco bianco” somiglia
molto alla versione definitiva del film dato che i dialoghi sono più o meno identici (cosa insolita per Fellini).
Tuttavia, ci sono diverse scene in più che nella versione del film finito non sono state girate o sono state
tagliate. La più importante tra queste è quella che si svolge nella stanza della prostituta. Nella versione
originale della sceneggiatura si dice che non è successo niente nella notte passata insieme ad Assunta e
quindi il protagonista è sincero quando risponde “anch’io” nel dialogo finale. Però la versione che fa fede è
quella definitiva del film e allora è del tutto evidente che togliendola Fellini e Pinelli abbiano voluto rendere
più ambiguo il finale, lasciando nello spettatore un dubbio sul rapporto sessuale con la prostituta. Il
personaggio di Ivan probabilmente attraverso questa esperienza si è anche lui trasformato e maturato e ha
perso qualcosa del suo perbenismo, della sua mentalità da borghese ben pensante di provincia.
LEZIONE 12: I vitelloni (1953) -> soggetto di Federico Fellini, Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, sceneggiatura di
Federico Fellini ed Ennio Flaiano.
Dopo l’insuccesso di “Lo sceicco bianco” Fellini vorrebbe dirigere “La strada”, di cui ha già scritto la
sceneggiatura con Tullio Pinelli, ma non riesce a trovare nessuno disposto a produrlo (sia perché Fellini era
reduce di un grosso insuccesso commerciale sia perché “La strada” sembrava ai produttori inopportuno dal
punto di vista commerciale. Invece questo film vincerà il premio Oscar come miglior film e renderà il regista
famoso in tutto il mondo). Alla fine è costretto a cedere i diritti sul film a un produttore minore, Lorenzo
Pegoraro, che però non se la sente di correre il rischio e gli propone di girare una commedia. Insieme a
Ennio Flaiano, Fellini inventa il soggetto di “I vitelloni”, che poi viene rielaborato da Pinelli e pubblicato in
forma di racconto sulla rivista “Cinema” nel dicembre del 1952.
La sceneggiatura originale del film è stata pubblicata in momenti diversi da diverse case editrici. È quasi
uguale al film completo e presenta pochissime differenze. L’unico episodio importante presente nella
sceneggiatura originale e assente nel film è quello in cui i vitelloni tentano inutilmente di vendere a un ricco
mercante di bestiame una vecchia automobile appartenente al padre di Riccardo (parte iniziale del film
mentre Fausto e Sandra sono in viaggio di nozze). Gli viene fatto fare un giro di prova insieme alla moglie
sull’auto. Il treno riesce a frenare e a fermarsi a pochi centimetri dall’automobile di Riccardo. Per quanto
riguarda “Lo sceicco bianco” e “I vitelloni”, il film si mantiene molto fedele alla sceneggiatura originale. In
entrambi i casi ci sono scene tagliate o omesse ma quelle presenti sono pressoché identiche, stessa cosa per
il dialogo. I film successivi, in particolare da “La strada”, si discostano sempre più dalle sceneggiature
originali che verranno usate più come una semplice traccia. Infatti, il film verrà reinventato radicalmente
durante le riprese e anche in fase di doppiaggio. En "La strada", se desvían cada vez más de los guiones
originales, que servirán más bien de mero esbozo. De hecho, la película se reinventará radicalmente
durante el rodaje y también durante el doblaje.
vitellóne s. m. [accr. di vitello]. – 1. Vitello di 1-2 anni, giovenco; carne del vitellone macellato, usata come
alimento: filetto, bistecche di vitellone. 2. fig. In usi scherzosi, giovane di provincia, ozioso e indolente, che
passa il tempo in divertimenti, privo di aspirazioni (in questo senso il termine si è affermato con il film I
vitelloni di F. Fellini, 1953)
Per alcuni il termine deriva dal riminese vidlòn, mentre secondo altri l’espressione non è romagnola ma
marchigiana ed è stata suggerita a Fellini dallo scrittore pescarese Flaiano.
Questa seconda etimologia è stata avvalorata dallo stesso Ennio Flaiano che scrive:
I vitelloni vengono così definiti all’inizio
del soggetto del film pubblicato su
Cinema e firmato da Fellini, Flaiano e
Pinelli
Il termine vitellone è diventato noto e comune in Italia dopo l’uscita del film che ha avuto un grosso
successo dal punto di vista commerciale e critico. È stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e ha
vinto il Leone d’argento.
La durata temporale non è indicata in maniera estremamente precisa e non ci sono riferimenti a particolari
ricorrenze dell’anno (tranne che per il Carnevale).
Il film incomincia verso la fine della stagione balneare del 1953, a settembre inoltrato, e si conclude nei
primi mesi del 1954, verso la fine dell’inverno (in una delle ultime scene la voce narrante commenta:
“Adesso le sere erano più dolci, si sentiva già la primavera”).
Ambientazione (luogo in cui si svolge nella finzione) e location (luoghi in cui è stato effettivamente girato)
Il film si svolge in una immaginaria cittadina balneare della provincia italiana (mai nominata nel corso del
film per impedire che lo spettatore lo associ a una città realmente esistente. Anche i personaggi non parlano
con un accento regionale preciso che permetta di collocarli in una regione piuttosto che in un’altra. Infatti, il
film è stato girato in almeno cinque luoghi diversi)
La película se desarrolla en una ciudad costera imaginaria de la provincia italiana (que nunca se nombra a lo
largo de la película para evitar que el espectador la asocie con una ciudad real existente. Ni siquiera los
personajes hablan con un acento regional preciso que permita situarlos en una región y no en otra. De
hecho, la película se rodó en al menos cinco lugares diferentes)
Le riprese sono state effettuate a Viterbo [location principale con Piazza delle Erbe, Piazza della Rocca (in cui
si muovono Alberto e Moraldo dopo la festa di carnevale quando quest’ultimo accompagna l’amico
completamente ubriaco), stazione (nel finale Moraldo prende il treno abbandonando la sua cittadina in
cerca di fortuna)], Roma (cinema: scena in cui Fausto corteggia la vicina di posto, poi abbandona Sandrina e
la segue per strada fino alla sua abitazione), Ostia (spiaggia: dato che Viterbo si trova al centro del Lazio e
non ha il mare. Nella città trova anche il bar in cui i personaggi si incontrano), Castelfusano (Kursaal,
lungomare: sequenza iniziale con l’attribuzione del premio per un concorso di bellezza a Sandrina con
l’acquazzone che scoppia perché ci troviamo alla fine dell’estate) e Firenze (Teatro Goldoni: prima nella
sequenza del carnevale e poi in quella in cui i protagonisti assistono a uno spettacolo di varietà)
I Vitelloni
Non tutti i Vitelloni hanno la stessa importanza narrativa nel film: alcuni sono più importanti, altri secondari
1) Franco Fabrizi (1916-1995) -> Fausto (il seduttore seriale): è il più importante e potrebbe essere
considerato il protagonista del film.
Franco Fabrizi al momento della realizzazione del film era pressoché sconosciuto( desconocido). Solo in
seguito al successo de “I vitelloni” diviene volto caratteristico del cinema italiano degli anni ‘50 e ‘60. È
presente anche in altri due film successivi di Fellini ovvero “Il bidone” (anni ‘70) e “Ginger e Fred”
(penultimo film diretto da Fellini). Per il suo volto e per le sue caratteristiche recitative è diventato un
importante caratterista (attore specializzato soprattutto in ruoli secondari) ed ha sempre interpretato dei
personaggi piuttosto sgradevoli e negativi (seduttori, cinici, ecc).
Fausto entra in scena nella sequenza iniziale quando si scopre che Sandra è incinta. Poi la sua relazione
travagliata con Sandra diviene centrale per tutto il resto del film. Prima il suo tentativo di fuga, poi
matrimonio forzato, durante il viaggio di nozze scompare un po’, successivamente ritorna con i ripetuti
tradimenti a Sandrina. La vicenda si conclude verso la fine con l’abbandono del tetto coniugale da parte di
Sandra e la riconciliazione provvisoria tra i due personaggi.
Il produttore del film non lo voleva assolutamente nel cast poiché era reduce da due insuccessi commerciali
clamorosi ed era convinto che non fosse gradito dagli spettatori. Fellini però impose la sua presenza.
Lanciato da “I vitelloni”, diventerà uno degli attori più famosi del cinema italiano
Dal punto di vista narrativo, il personaggio di Alberto è meno importante di Fausto ma le sue vicende
svolgono una notevole importanza all’interno del racconto. Egli è protagonista di una serie di episodi comici
(mentre fa un giro in campagna con gli altri vitelloni sull’automobile del padre di Riccardo prima citata,
passa accanto a un gruppo di lavoratori che schernisce con una pernacchia e un gestaccio. A un certo punto
però l’automobile rimane in panne e quindi i vitelloni vengono inseguiti e malmenati; nella scena del
carnevale, completamente ubriaco e travestito da donna, balla con un’enorme testa maschile carnevalesca
di carta pesta) ma anche di alcuni episodi drammatici che riguardano il suo rapporto con la sorella (sulla
spiaggia scopre la sorella con l’amante e ci rimane molto male; durante la mattina del carnevale in cui molto
ubriaco torna a casa, trova la sorella sveglia che lo ha aspettato per comunicargli che se ne sta andando di
casa per andare a vivere con l’uomo di cui è innamorata che tra l’altro era sposato ma si era ormai liberato).
Quest’alternanza di comico e patetico è caratteristica di Alberto.
3) Leopoldo Trieste (otra vez, que es el marido del jeque blanco)-> Leopoldo (l’intellettuale del gruppo:
analogia tra la biografia di Leopoldo Trieste e del personaggio. Prima di esordire come attore ne “Lo sceicco
bianco”, voleva diventare un drammaturgo di successo)
Nella prima parte del film svolge un ruolo(papel) secondario ma poi si trova al centro di un episodio
importante e amaro(amargo). Insieme agli altri vitelloni assiste a uno spettacolo di varietà a teatro in cui si
esibisce Sergio Natali, interpretato da un vecchio attore teatrale e cinematografico ovvero Achille Majeroni
(1881-1964). Essendo sempre alla ricerca di contatti con il mondo dello spettacolo, si presenta, si mette a
parlare con lui e Natali si rivela molto disponibile perché accetta di ascoltare la commedia che egli ha
scritto. Inoltre, si dimostra entusiasta e promette di farla mettere in scena in teatri importanti. Tuttavia,
durante una camminata che si svolge la notte sul lungomare con un fortissimo vento, Leopoldo si rende
conto che Sergio è omosessuale e l’unico scopo per cui lo ha attirato in luogo buio e deserto è quello di
fargli delle avances.
Siempre en busca de contactos con el mundo del espectáculo, se presenta, empieza a hablar con él y Natali
se muestra muy dispuesto, ya que acepta escuchar la obra que ha escrito. Además, se muestra
entusiasmado y promete hacerla representar en teatros importantes. Sin embargo, durante un paseo
nocturno por el paseo marítimo con un viento muy fuerte, Leopoldo se da cuenta de que Sergio es
homosexual y que la única razón por la que le ha atraído a un lugar oscuro y desierto es para insinuársele.
Interlenghi era un attore giovane ma all’epoca già molto noto(conocido). Ha preso parte a moltissimi film
negli anni ‘50 e ‘60 e aveva esordito interpretando uno dei due adolescenti in un classico del neorealismo
italiano cioè “Sciuscià” di Vittorio De Sica.
Un amico e collaboratore di Fellini che ha fatto l’aiuto regista in diversi suoi film si chiamava Moraldo Rossi
e quindi è possibile che questo nome sia un omaggio a lui.
Moraldo svolge un ruolo(papel) molto secondario per tutto il film: il suo attributo più importante è quello di
essere il fratello di Sandrina, la moglie di Fausto. Improvvisamente occupa il centro della scena nel finale
quando decide di abbandonare la cittadina di provincia in cui abita e sale su un treno diretto altrove in
cerca di fortuna. Egli è, tra i 5 vitelloni, quello che corrisponde maggiormente sul piano biografico al
personaggio reale di Federico Fellini in quanto la sua partenza allude a quella del regista 19enne da Rimini
verso Roma dopo la fine del liceo in cerca di fortuna a sua volta.
È l’unico che non viene posto al centro di nessun episodio e rimane sempre sullo sfondo. L’unica cosa che
viene detta di lui è che è bravo a cantare e che è un musicista dilettante. Infatti, lo vediamo mentre suona
l’organo e canta l’Ave Maria durante il matrimonio di Fausto e Sandrina (questo rimanda a un elemento
autentico della biografia di Riccardo Fellini). Questo personaggio ha perso importanza in seguito
all’eliminazione della scena del tentativo di vendita dell’automobile della quale sarebbe stato il protagonista
• Accanto ai cinque vitelloni esiste un sesto personaggio piuttosto misterioso che è il narratore
ovvero Riccardo Cucciolla (1924-1999), famoso doppiatore italiano. La voice over che interviene di
tanto in tanto commentando o riassumendo l’azione ha uno statuto paradossale: il narratore usa il
“noi”, designando sé stesso come uno dei vitelloni, ma non può essere identificato con nessuno dei
cinque componenti del gruppo.
• Primo intervento della voce
narrante che non rivela la sua identità ma
che rappresenta una sorta di coscienza
collettiva del gruppo
• Ultimo intervento
Altri personaggi
Sul piano psicologico è un personaggio molto poco incisivo perché rappresenta il tipo dell’ingenua
credulona e quindi si potrebbe considerare una replica della Wanda de “Lo sceicco bianco” ma molto più
passiva perché non possiede il suo spirito avventuroso. Tuttavia, alla fine se ne va di casa in seguito
all’ennesimo tradimento di Fausto
È la sorella di Alberto, una donna capace di prendere in mano il proprio destino. Il suo abbandono della
casa familiare è un gesto positivo e di cambiamento che preannuncia un gesto analogo alla partenza di
Moraldo
È la moglie del proprietario di articoli religiosi che Fausto tenta di sedurre e che poi porta al suo
licenziamento.
Questo personaggio viene interpretato da quest’attrice di origine ceca, diventata una diva famosa nota per
il suo fascino e la sua bellezza in Germania durante il nazismo. Era diventata amante di Goebbels, il ministro
della propaganda del Terzo Reich. Per questo aveva avuto qualche difficoltà a lavorare dopo la fine della
guerra nel cinema tedesco. Tuttavia, aveva trovato lavoro interpretando qualche particina nel cinema
italiano degli anni ’50. Era ancora giovane quando ha interpretato “I vitelloni” ma viene invecchiata
attraverso trucco, abbigliamento, capelli grigi
È un uomo integerrimo, di saldi principi che inchioda alle sue responsabilità il personaggio infantile di
Fausto. Addirittura, frusta il figlio pesantemente con la cintura.
• Achille Majeroni (1881-1964) -> Sergio Natali
È molto raro per quel periodo trovare un film che tratti il tema dell’omosessualità in maniera così esplicita.
Proprio per questo motivo, Fellini ebbe difficoltà a trovare un attore disposto a interpretare questo
personaggio. Prima ha raccontato di essersi rivolto a Vittoria De Sica (1901-1974) che oltre a essere uno dei
maggiori registi del neorealismo, autore di film come “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Umberto D”, è stato
un grande attore del cinema italiano. Tuttavia, quest’ultimo dopo aver sentito il ruolo che doveva
interpretare si era subito tirato indietro inventando delle scuse poiché pensava che questo ruolo avrebbe
potuto nuocere alla sua immagine.
LEZIONE 13: “I vitelloni” è stato definito dai critici come un film episodico e privo di un intreccio unitario.
Tutti i film di Fellini sono privi di una narrazione di tipo classico e coerente sul piano e cronologico ma sono
invece molto spesso caratterizzati da una narrazione episodica che il regista eredita dal neorealismo e
dall’esperienza con Rossellini. Tuttavia, i primi due film hanno una costruzione unitaria e coerente molto
più degli altri. Ne “I vitelloni” viene rispettata l’unità di tempo e di luogo. La storia si svolge in un periodo
limitato all’interno della stessa cittadina di provincia (con qualche scena nella campagna circostante).
All’interno di questa struttura spazio-temporale, c’è il racconto del matrimonio tra Fausto e Sandra che ha
un inizio, uno svolgimento e una fine. Questa storia costituisce l’ossatura principale del film e in parallelo si
sviluppano le storie degli altri personaggi che sono meno approfondite ma ugualmente e logicamente
coerenti. I 4 personaggi principali (Fausto, Alberto, Leopoldo, Moraldo) non sono mostrati nella normalità
della loro vita quotidiana ma in un momento di rottura, una situazione eccezionale, un punto di svolta e
cambiamento della loro esistenza. Il film insiste anche sul comportamento abitudinario e ripetitivo di questi
personaggi attraverso la reiterazione di una serie di luoghi e sequenze come il bar, il biliardo, le passeggiate
notturne per il centro cittadino. Todos los personajes sufren un punto de inflexión en su vida
In primo luogo, il donnaiolo Fausto ha messo incinta una ragazza ed è costretto a sposarla. Quindi, lo
vediamo in questo suo nuovo insolito ruolo di marito e di padre.
Alberto invece deve affrontare lo shock della partenza della sorella che decide di abbandonare la casa in
cui vive con lui e la madre e di congiungersi all’uomo con cui ha una relazione. Questo fatto ha sia un
impatto psicologico ed emotivo nel personaggio che è molto attaccato alla famiglia e alla sorella ma anche
delle conseguenze pratiche e materiali perché la sorella è l’unica persona in casa che lavora e che porta a
casa lo stipendio.
Leopoldo invece per la prima volta si trova a incontrare qualcuno ovvero il vecchio attore proveniente da
fuori che sembra mostrare interesse per il suo lavoro e che si propone di mettere in scena la commedia.
Quest’incontro si rivelerà una delusione però sembra annunciare il punto di svolta della sua vita e carriera
dato che almeno in un primo momento le sue aspirazioni sembrano avere qualche possibilità di realizzarsi.
Poi alla fine si assiste a un forte colpo di scena dato che il personaggio prima del finale non è mai
caratterizzato nelle movenze o nel comportamento come gay.
Moraldo si trova in un punto di svolta decisivo perché nel finale è l’unico dei vitelloni che decide di
abbandonare la città natale e salire su un treno in cerca di fortuna altrove.
Tutte le 4 storie di questi personaggi si concludono con un finale aperto, un altro tratto che Fellini eredita
dal cinema neorealista. Per esempio, non sappiamo se Alberto in seguito all’abbandono della sorella
cambierà vita, troverà un lavoro: l’impressione che si ha è negativa ovvero che rimuova immediatamente
tutto quanto e continui a vivere imperterrito la vita di prima. Di Leopoldo non sappiamo invece se dopo
questa tremenda umiliazione continuerà a cercare lavoro come autore drammatico oppure se
quest’episodio sia il definitivo colpo di grazia e delusione rispetto alle sue illusioni di successo e carriera
artistica. Il finale della storia di Moraldo è quello più aperto perché sale su un treno senza nessuna
destinazione.
Dopo il successo de “I vitelloni”, Fellini aveva pensato di dirigere un sequel (secuela) del film. Quindi scrisse
insieme a Pinelli un primo abbozzo di sceneggiatura che poi non verrà mai utilizzato intitolato “Moraldo va
in città” che raccontava l’arrivo di Moraldo a Roma, la sua vita nella capitale, le sue nuove relazioni,
rendendo questo personaggio ancora più vicino a Fellini stesso. Il finale della storia tra Fausto e Sandra
invece sembra quello più chiuso. La storia ha un inizio, uno sviluppo e una conclusione che assomiglia in
qualche modo a un happy ending perché i due tornano insieme. Tuttavia, ciò che dice la voce narrante
ovvero “La storia di Fausto e di Sandra per il momento finisce qui” relativizza questo finale, rendendolo
aperto. Dato il carattere di Fausto e visto che sono sposati da pochi mesi, l’esito del loro matrimonio rimane
insondabile.
Il personaggio di Fausto è presentato come un Don Giovanni(don juan). Questa figura al tempo stesso
affascinava e disturbava Fellini. Già a partire da “Lo Sceicco bianco” ne fa un ritratto devastante e molto
negativo. Inoltre, la figura del seduttore è presente in moltissimi film, per esempio, in quelli in cui recita
Mastroianni che è un po’ un suo alterego ed intepreta un po’ il ruolo di seduttore anche in “La dolce vita”,
“8/5”, “La città delle donne”. Soprattutto il film più importante in questo senso è “Il Casanova” dove ha
tracciato un ritratto psicologico memorabile di un seduttore famoso e distinto. Dongiovannismo: stato
patologico in cui il soggetto sente il bisogno incontrollabile e compulsivo di sedurre tutte le donne che
incontra. Fellini vuole sottolineare (subrayar) l’aspetto compulsivo del comportamento di Fausto: la
tendenza a sedurre le donne che incontra appare come una pulsione a cui non è in grado di opporre
resistenza, è quasi un comportamento automatico e incontrollabile. Tutte le volte che appare una donna
nel suo campo visivo comincia ad aggiustarsi la cravatta e i capelli e poi entra in azione. Esemplare è la
sequenza del cinema: quando una vede donna attraente seduta nella poltrona accanto alla sua, comincia a
molestarla e poi la segue fino a casa. In questo film diversamente da quanto accadrà ne “Il Casanova”, Fellini
non è tanto interessato a descrivere e ad analizzare la psicologia del seduttore. Infatti, del personaggio di
Fausto ci viene detto pochissimo, non sappiamo nulla del suo passato, della sua infanzia, della sua famiglia
ma solo che ha un padre autoritario mentre la madre si presume defunta. Il regista è infatti focalizzato a
mostrare il seduttore sposato, che è stato incastrato e quindi quello che ci viene mostrato nel film è la sua
reazione e il suo modo di comportarsi di fronte a questa nuova situazione totalmente inedita.
Quindi i suoi ripetuti tradimenti possono essere un sintomo del dongiovannismo compulsivo ma possono
essere anche interpretati come una reazione di rifiuto, ribellione nei confronti del ruolo che è costretto ad
assumere e verso il quale non è preparato. Si può creare un parallelismo tra la fuga di Wanda di fronte
all’aridità del marito in “Lo sceicco bianco” e la scena nel cinema con la fuga di Fausto (parallelismo).
Il personaggio di Alberto è quello caratterizzato nella maniera più complessa, contradditoria ma anche più
misteriosa ed enigmatica. È il vitellone per eccellenza: pigro, indolente, nulla facente, si alza tardi la
mattina, vive a spese della famiglia scroccando i soldi alla sorella ma allo stesso tempo è il più elegante e
quello che tiene maggiormente all’abbigliamento. È anche il personaggio più comico e divertente, il burlone
del gruppo che ama scherzare in continuazione, facendo battute talvolta pesanti. Allo stesso tempo è anche
il più conservatore perché è molto attaccato alla famiglia, rimprovera la sorella che ha una relazione
irregolare con un uomo separato e l’accusa di dare scandalo nel paese, disapprova il comportamento di
Fausto con Sandra e lo definisce un mascalzone. Nello stesso tempo è antisociale e non si riconosce in
nessuna etica del lavoro. Ha un attaccamento un po’ morboso nei confronti della sorella che si manifesta
attraverso una sorta di gelosia che va al di là degli affetti opportunistici e di comodo di questa relazione (per
il fatto che la sorella è l’unica della famiglia che lavora e la sua partenza rischia di avere conseguenze non
facili da gestire). La scena più famosa è quella in cui passando dalla campagna con gli amici schernisce dei
lavoratori. Un’altra sequenza è quella ambientata sulla spiaggia invernale dove trova la sorella con un
uomo. Nella sequenza del carnevale si assiste a una femminilizzazione del personaggio di Alberto perché lo
vediamo danzare con una testa di cartapesta maschile, ubriaco e travestito da donna (si assiste a un
ribaltamento dei ruoli uomo-donna perché la sorella è l’unica che lavora). Poi verrà accompagnato da
Moraldo e la sua ragazza a casa. Questa femminilizzazione è già presente nello sceicco bianco attraverso
abbigliamento, orecchini, monili, l’altalena (oggetto tradizionalmente femminile) che sono in conflitto con
quest’immagine maschile di seduttore. Lo sceicco bianco allude a uno dei personaggi più famosi e
interpretati dall’attore del muto Rodolfo Valentino, sex symbol degli anni ’20 amato dalle donne ma
accusato allo stesso tempo di essere elegante ed effeminato. Questo anticipa poi il ribaltamento dei ruoli
sessuali che ritroviamo con l’apparizione della moglie che comanda in famiglia. Ne “I vitelloni”, a differenza
del personaggio del seduttore interpretato da Sordi ne “Lo sceicco bianco”, Alberto è l’unico dei protagonisti
che non sembra nutrire interesse particolare verso il sesso femminile (Fausto è un seduttore seriale,
Leopoldo corteggia la servetta vicina di casa e accompagna anche una ragazza durante la festa del
carnevale, Riccardo amoreggia con una ragazza sempre durante la festa del carnevale e anche Moraldo è in
compagnia di una ragazza in questo episodio). Gli episodi di cui è protagonista Alberto sono basati su una
mescolanza tra una componente comico-grottesca e una componente drammatica, patetica, quasi
melodrammatica. Questi due elementi si succedono immediatamente l’uno all’altro: quando Alberto arriva
a casa vestito da donna, trova la sorella che se sta andando definitivamente. Anche la sequenza del cinema
è ambivalente: se la guardiamo dal punto di vista di Fausto ha dei lati comici, dal punto di vista di Sandrina è
patetica e strappalacrime addirittura.
Molto spesso “I vitelloni” è stato definito dalla critica una commedia ma forse la definizione più giusta è
quella di commedia drammatica cioè un film che alterna e combina insieme elementi comici ed elementi
drammatici. È una caratteristica che ritroviamo non solo in tutto il primo Fellini ma per esempio anche nel
film “La dolce vita” che alterna dei momenti comico-grotteschi con Anita Ekberg con altri estremamente
drammatici come il suicidio di Steiner. Questa commistione è sottolineata dalla musica di Nino Rota.
Nel film vengono contrapposte due diverse fasce generazionali cioè quella dei vitelloni che va dai 20 ai 30
anni e quella dei genitori che si colloca tra i 50 e 60. Abbiamo il padre di Fausto, la madre e il padre di
Moraldo e di Sandra, la madre di Alberto e il proprietario del negozio di oggetti sacri che non ha figli però
appartiene alla stessa generazione dei genitori. Come è stato osservato da molti critici, gli adulti sono
caratterizzati in maniera positiva. Le figure predominanti sono il padre di Fausto che si chiama Francesco e
il suo datore di lavoro nonché proprietario del negozio. Sono presentati come personaggi all’antica, con la
testa sulle spalle e dotati di solidi principi morali. Quindi, si contrappongono all’assenza di valori che
caratterizza i vitelloni che invece non sono in grado né di ubbidire ai modelli di comportamento tradizionali
come l’etica del lavoro, la fedeltà coniugale ma neanche di elaborare nuovi valori alternativi e seguirliA los
adultos se les presenta como personajes chapados a la antigua, con la cabeza sobre los hombros y una
moral sólida. De ahí que contrasten con la ausencia de valores que caracteriza a los vitelloni, que en cambio
no son capaces ni de obedecer los modelos tradicionales de comportamiento, como la ética laboral y la
fidelidad conyugal.
In questo senso, probabilmente sono anche prodotto dell’epoca storica in cui il film è ambientato che è
una situazione successiva al periodo della guerra e del fascismo ma anche di molto precedente all’epoca
della contestazione giovanile. Sembra un film un po’ conservatore che afferma che appunto sul piano
comportamentale la vecchia generazione è migliore di quella nuova. Tuttavia, bisogna chiedersi fino a che
punto questi adulti siano stati dei personaggi positivi. Costringere con la forza Fausto a sposare Sandrina
probabilmente è stata una scelta determinata dal rispetto delle convenzioni e dall’idea di preservare l’onore
della famiglia ma che ha invece condannato sia Fausto che la stessa Sandrina all’infelicità coniugale. Forse
sarebbe stato meglio per la maturazione di Fausto se fosse realmente partito come si vede all’inizio mentre
sta facendo le valigie per scappare. Inoltre, Fausto nel finale viene punito dal padre a frustate con una
lezione corporale. Da una parte nell’ottica della commedia si tratta di una scena divertente in cui ha ciò che
si merita però dall’altra parte reagire con la violenza ai problemi complessi e psicologici di questo
personaggio potrebbe essere il simbolo di una generazione che ha degli strumenti inadeguati per
intervenire nella vita dei figli. En el final, Fausto es castigado por su padre con un azote corporal. Por un
lado, desde el punto de vista de la comedia, se trata de una escena divertida en la que recibe lo que se
merece, pero por otro, reaccionar con violencia ante los problemas complejos y psicológicos de este
personaje podría ser el símbolo de una generación que no dispone de herramientas adecuadas para
intervenir en la vida de sus hijos.
“I vitelloni” è il primo film di Fellini che contiene degli elementi autobiografici. La città in cui è ambientata la
storia non è Rimini ma ci assomiglia, i personaggi del film sono in parte ispirati a personaggi conosciuti
realmente dal regista nel suo periodo giovanile a Rimini e soprattutto il personaggio di Moraldo con la sua
partenza in treno crea una fortissima identificazione biografica ed esistenziale con la figura di Fellini stesso.
Tuttavia, Fellini non è mai stato un vitellone perché è partito dopo il liceo in cerca di fortuna e non ha mai
avuto tempo di oziare. Inoltre, il film non è basato solo sui ricordi giovanili di Fellini ma anche su quelli di
Ennio Flaiano che proveniva da un’esperienza simile ovvero una città sulla riviera adriatica alquanto
provinciale.
LEZIONE 14: Fellini prima di dirigere “La strada” e dopo l’uscita de “I vitelloni” collabora a un film collettivo
intitolato “L’amore in città” (1953) composto da 6 episodi diretti da registi(directores) diversi. È il primo e
unico numero della rivista cinematografica di attualità “Lo spettatore”.
Il film era nato da un’idea di Cesare Zavattini (1902-1989), uno scrittore, giornalista e sceneggiatore
cinematografico nato a Luzzara (provincia di Reggio Emilia). Come sceneggiatore, è stato una delle più
importanti figure del cinema neorealista dell’immediato dopoguerra ed è stato collaboratore fisso per i film
più importanti del regista Vittorio De Sica (Sciuscià, Ladri di biciclette, Umberto D). È famoso anche come
teorico perché nel dopoguerra ha scritto numerosi articoli di tipo estetico. Una delle sue teorie è quella del
pedinamento nella quale sosteneva che la macchina da presa dovesse pedinare cioè seguire a breve
distanza, osservare e riprodurre la vita delle persone nei suoi aspetti più banali e quotidiani. Quindi era
contrario alla finzione e fautore di un cinema che si avvicinasse e imitasse il più possibile la realtà.
Una de sus teorías es la del seguimiento (tailing), en la que sostenía que la cámara debía seguir, es decir,
seguir a corta distancia, observar y reproducir la vida de las personas en sus aspectos más banales y
cotidianos. Por tanto, estaba en contra de la ficción y era partidario de un cine que se acercara lo más
posible a la realidad y la imitara.
-Amore che si paga (el amor se paga)(Carlo Lizzani) -> inchiesta(investiga) sulla prostituzione
-Tentato suicidio (Michelangelo Antonioni) -> raccoglie le testimonianze di giovani donne che hanno tentato
il suicidio per amore
-Paradiso per tre ore (Dino Risi) -> sale da ballo (salas de baile)
-Storia di Caterina (Francesco Maselli e Cesare Zavattini) -> storia di una ragazza madre
-Gli italiani si voltano (Alberto Lattuada) -> candid camera(camara oculta) che mostra le reazioni degli
uomini per strada al passaggio di una bella ragazza.
La caratteristica principale del film è che non è un vero e proprio documentario perché non utilizza quasi
riprese autentiche ma episodi interamente ricostruiti con professionisti che recitano le loro battute. Nel
tentato suicidio non troviamo le vere ragazze che hanno tentato il suicidio e che si raccontano davanti alla
macchina da presa ma delle attrici che recitano le loro confessioni raccolte precedentemente alla
produzione del film. Questo aspetto gli conferisce un carattere artificiale ed inautentico che contraddice
l’idea di realismo del progetto di Cesare Zavattini. “L’amore in città” appartiene infatti al genere della
docufiction cioè ricostruzione a posteriori con attori che recitano la loro parte di un evento realmente
accaduto. pertenece al género de la docu-ficción, es decir, la reconstrucción a posteriori con actores que
interpretan su parte de un acontecimiento que sucedió realmente.
Tra tutti gli episodi, quello di Fellini è quello più finzionale. La storia è inventata totalmente da Fellini e
Pinelli diversamente dagli altri episodi del film che partono da una base di reportage giornalistico. L’episodio
è interpretato e messo in scena da attori professionisti, tra cui il giornalista protagonista che è in realtà
Antonio Cifariello (1930-1968). La voce non è sua perché è doppiato(doblado) da un altro importante attore
e doppiatore che si chiamava Enrico Maria Salerno.
Il film è vistosamente messo in scena e in alcuni momenti in maniera piuttosto anti-realistica: questo
enorme edificio in stato totale di abbandono in cui si trova l’agenzia matrimoniale è uno spazio labirintico
composto da infinità di lunghi corridoi e stanze in cui vivono famiglie come se fossero dei profughi. Come è
stato osservato, questa location ha un carattere quasi onirico. Poi interviene quattro volte tra inizio,
svolgimento e fine la voice over del giornalista protagonista che racconta la storia in prima persona e al
passato quindi dimostrando in maniera esplicita che non si tratta di eventi ripresi mentre hanno luogo ma
ricostruiti a posteriori. Quindi chiaramente il narratore dice una bugia quando dice all’inizio del film “questa
è una storia vera”.
L’idea più geniale del film è quella di combinare due universi distanti come quello del reportage
(periodistico) e dell’inchiesta giornalistica e quello della fiaba perché la storia della ragazza povera disposta
a immolarsi e sposare un lupo mannaro è un motivo fantastico che rievoca per esempio “La Bella e la
bestia”. Il film contiene elementi che si ricollegano(recuerda) al cinema di Fellini di questo periodo: la
ragazza è un’altra versione dell’ingenua stile Wanda de “Lo sceicco bianco” o Sandrina de “I vitelloni”;
inoltre questo elemento documentaristico verrà ripreso in altri film di Fellini come “Roma” o “I clown” in
particolare dove Fellini contamina finzione e documentario.
Parlando di agenzia matrimoniale si può usare un termine contemporaneo cioè mockumentary (mock:
prendere in giro e documentary: documentario) che indica non solo un falso documentario ma anche
realizzato a fine ironico e parodico. Fellini prende in giro le tecniche dell’inchiesta giornalistica: classica
forma del giornalista che si presenta sotto mentite spoglie per introdursi in una situazione e poi è desirorio
l’inizio con la voce narrante che dice “questa è una storia vera”. È un episodio che dunque prende le
distanze dal progetto generale del film in qualche modo parodiandolo. È il primo cortometraggio realizzato
all’interno di un film a episodi diretto da più registi che è una formula che è usata molto nel cinema degli
anni ‘50 e ’60. Fellini ne farà poi altri due. Es el primer cortometraje realizado como parte de una película
episódica dirigida por varios directores, una fórmula muy utilizada en el cine de los años 50 y 60. Fellini
realizaría más tarde otras dos.
La strada (1954)
Sceneggiatura: (grión)
-Il soggetto del film viene concepito da Fellini e Pinelli nel 1951, durante il montaggio(rodaje) di “Lo sceicco
bianco”.
-La sceneggiatura viene completata nell’ottobre del 1953 con la collaborazione di Flaiano, a cui però l’idea
non piace per niente.
La prima idea era di fare un film ambientato nel Medioevo nel quale il protagonista era un cavaliere errante
che vagava per la campagna dell’Italia centrale. Poi però passano a una storia di ambientazione italiana
contemporanea.
• L’idea è di entrambi ma i
due personaggi sono opera di
Pinelli
• - La idea es de ambos pero
los dos personajes son obra de
Pinelli
Fellini avrebbe voluto dirigere “La strada” subito dopo l’uscita de “Lo sceicco bianco” e quindi avrebbe
dovuto essere il suo secondo film, in quanto si era molto appassionato al soggetto. Però “Lo sceicco bianco”
era andato male e dopo la sua uscita aveva tentato invano di ottenere il finanziamento dei principali
produttori che si erano tutti tirati indietro, anche perché ritenevano erroneamente che la storia de “La
strada” fosse poco adatta per il grande pubblico. Fellini si rivolge allora a un produttore meno noto ovvero
Lorenzo Pegoraro che aveva iniziato da poco a produrre dei film, cedendogli il soggetto del film. Tuttavia,
egli non se la sente di dirigerlo(no tiene fuerzas de dirigirlo) e quindi convince Fellini a girare prima una
commedia che sarà “I vitelloni”. Dopo l’uscita de “I vitelloni”, Fellini torna alla carica e ripropone il film allo
stesso produttore, il quale prima accetta anche se con scarso entusiasmo, poi si tira indietro per il fatto che
non voleva assolutamente Giulietta Masina nel ruolo della protagonista femminile mentre invece il regista
su questo punto non transigeva. Infatti, fin dal primo momento aveva pensato a Gelsomina come un
personaggio che doveva essere interpretato da sua moglie. Dopo l’uscita di scena di Pegoraro si fanno avanti
Carlo Ponti (1912-2007) e Dino De Laurentiis (1919-2010) che sono stati i due più prestigiosi produttori
cinematografici del cinema italiano del dopoguerra e che a quell’epoca lavoravano insieme dato che
avevano creato anche una società. I due accettano di produrre “La strada” anche se neppure loro sono
convinti e contenti della scelta come protagonista di Giulietta Masina.
Gli interpreti
Mentre “I vitelloni” è caratterizzato da un numero molto alto di personaggi (sia principali che secondari),
“La strada” ha pochissimi personaggi. È incentrato su questo triangolo formato da un personaggio
femminile cioè Gelsomina e due personaggi maschili ovvero Zampanò e Il matto. Ci sono personaggi
secondari ma sono veramente superflui e non interpretati da attori di rilievo.
Que no sabia a quien coger de chicos, asi que fue a un rodaje y se encontro (y se decantó) por estos dos:
Era un attore hollywoodiano molto importante di origine messicana. Alla fine degli anni ’30 aveva iniziato a
lavorare per il cinema interpretando ruoli secondari di cattivo in film d’azione e d’avventura. Ha sempre
dichiarato che l’esperienza de “La strada” è stata sul piano professionale una delle più importanti della sua
carriera.
- “Viva Zapata!” (1952) di Elia Kazan (prima della sua interpretazione ne “La strada” aveva vinto un premio
oscar come miglior attore non protagonista recitando in questo film sulla rivoluzione messicana)
- “Brama di vivere” (1956) di Vincente Minnelli (secondo oscar come miglior attore non protagonista per
questo film che è una biografia del pittore Van Gogh in cui Quinn interpreta Paul Gauguin)
Il film più famoso in assoluto in cui appare come protagonista è “Zorba il greco” (1964) di Michael
Cacoyannis
Il suo doppiatore italiano è Arnoldo Foà (1916-2014), anche attore cinematografico, teatrale, televisivo di
origine ferrarese nato in una famiglia ebraica. Voce adeguata con accento emiliano che ne accentua la
brutalità e il potenziale di violenza già insito nel suo aspetto fisico.
Altro attore americano meno noto (menos conocido) apparso in numerosi film negli anni ’50. Il film più
famoso che aveva interpretato prima de “La strada” è “La quattordicesima ora” (1951) di Henry Hathaway
in cui interpreta un uomo che esce da una finestra del grattacielo di New York e minaccia di buttarsi di sotto.
Anche lui essendo anglofono viene doppiato da un altro doppiatore professionista ovvero Stefano Sibaldi
(1905-1996), nato a Livorno e che dà a questo personaggio un accento toscano
Il film viene girato interamente in Lazio (Roma, Fiumicino, Bagnoregio, ecc.) e in Abruzzo (tra Ovindoli e
Rocca di Mezzo) fra l’ottobre del 1953 e il maggio del 1954 (film invernale come lo è “I vitelloni”). Fellini
ancora più de (incluso mas que en) “I vitelloni” tende ad anonimizzare il più possibile le ambientazioni in
cui l’azione si svolge e a renderle il meno possibile immediatamente riconoscibili.
Gelsomina fugge(huye) da Zampanò e arriva in un paese in cui c’è una processione religiosa, poi assiste allo
spettacolo del matto che cammina in equilibrio Gelsomina huye de Zampanò y llega a un pueblo donde hay
una procesión religiosa, entonces presencia el espectáculo del loco que camina equilibrado su una corda
nella piazza principale. Fellini riuscì a convincere il parroco di Bagnoregio ad anticipare la festa del patrono
in modo tale che venne ripresa con veri abitanti della cittadina e quindi il produttore non dovette pagare le
comparse. I luoghi sono anonimi e molto spesso periferici come se la marginalità della vita di questi
personaggi venisse sottolineata mostrando dei luoghi urbanisticamente al margine della città o luoghi di
campagna del tutto irriconoscibili. C’è la presenza del mare e della spiaggia: il film si apre con la partenza di
Gelsomina dalla casa natale insieme a Zampanò che abita in riva al mare e si chiude con Zampanò che dopo
aver appreso della morte di Gelsomina si reca nella spiaggia deserta di notte e piange. Nella parte centrale
invece Gelsomina e Zampanò arrivano in una spiaggia e si immergono nell’acqua.
Riconoscimenti (agradecimientos)
-Il film viene presentato il 6 settembre 1954 alla XV Mostra(festival) Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia, dove vince il Leone d’argento(leon de plata) [a questa mostra vennero presentati due film
importanti ovvero “La strada” e “Senso” (1954), un film storico ambientato nell’800 all’epoca del
Risorgimento con una raffinatissima ricostruzione dei costumi e degli ambienti di quel periodo, diretto da
Luchino Visconti (1906-1976) ovvero uno dei più grandi registi del cinema italiano del dopoguerra e uno dei
maestri del neorealismo italiano almeno nella sua prima fase. La giuria era presieduta dallo scrittore Tirone
che assegnò premio principale a “Romeo e Giulietta” di Renato Castellani tratto dalla tragedia di
Shakespeare e che era un nettamente inferiore ai precedenti due. Fu probabilmente una scelta dettata da
una vigliaccheria per evitare di pronunciarsi sugli altri due. Tuttavia, mentre “Senso” non ebbe alcun
riconoscimento, “La strada” vinse il Leone d’argento. Quando venne annunciato, il partito dei sostenitori di
Visconti, legato al partito comunista e avente dalla sua la critica di sinistra, fece una violenta contestazione.
Addirittura, i felliniani e i viscontiani vennero alle mani almeno in un primo momento. Dopo questo episodio
i due registi per anni non si rivolsero la parola e si riappacificarono negli anni ‘60 soltanto in seguita
all’uscita del film “8/5” di Fellini]
-Il 27 marzo 1957 La strada riceve il premio Oscar per il miglior film straniero (in Italia il film non venne
accolto in maniera entusiastica dalla critica cinematografica di sinistra vicina al partito comunista e che era
dominante in quegli anni. Piacque invece molto più alla critica cattolica).
LEZIONE 15:
Gelsomina
-è una “ragazza fragile e presumibilmente con una lieve disabilità mentale” (Wikipedia)
-“è tanto buona, solo è un po’ strana” (madre di Gelsomina all’inizio del film rivolgendosi a Zampanò)
È una ragazza molto povera di età imprecisata dotata di limitate capacità intellettuali e dalle espressioni del
volto, modi e atteggiamenti strani e bizzarri. Al tempo stesso è buona, mite, d’animo gentile, sensibile.
Come afferma lo studioso americano Peter Bondanella nel suo saggio sul film: “Non sa nulla del mondo ma
possiede una straordinaria capacità di comunicazione coi bambini, animali e persino oggetti inanimati. È ad
esempio in grado di prevedere la pioggia. Gelsomina vive un’intima affinità con la natura. Sembra essere
nel proprio ambiente sulla spiaggia dove avviene il primo incontro con Zampanò. In una scena molto
toccante passa accanto ad un albero solitario e con le braccia ne imita l’angolo dell’unico ramo. Subito dopo
la vediamo ascoltare in uno stato di trans il suono quasi musicale prodotto dai fili del telegrafo che la sola
sembra in grado di percepire. Messa di fronte ad Osvaldo, un bimbo deforme tenuto nascosto nella soffitta
di una casa di campagna dai genitori imbarazzati, Gelsomina ne comprende perfettamente la sofferenza,
solitudine e dolore interiore. Possiede una speciale semplicità francescana oltre ad una purezza di spirito
che ricorda molto da vicino alcuno dei personaggi delle sceneggiature scritte da Fellini per Rossellini (il suo
candore somiglia a quello dei monaci in “Francesco giullare di Dio” o “Paisà” di Rossellini). Sono qualità che
la rendono unica e bilanciano le sue scarse qualità intellettuali”
L’ingenuità di Gelsomina potrebbe essere letta come una sorta di fuga dalla realtà e dalle brutture del
mondo rappresentate dalla forza bruta e istintiva di Zampanò. La ingenuidad de Gelsomina podría leerse
como una especie de huida de la realidad y de la fealdad del mundo representada por la fuerza bruta e
instintiva de Zampanó
Zampanò
È il personaggio opposto (personaje opuesto) : uomo rude, primitivo, violento il cui scopo nella vita è il
soddisfacimento dei bisogni più elementari ovvero mangiare, dormire, bere e fare l’amore. Allo stesso
tempo è un personaggio estremamente individualista, asociale, solitario e introverso. Tutte le volte che
Gelsomina gli chiede qualcosa sul suo passato lui si irrita e non risponde. È un personaggio che vive
totalmente nel presente, non ha un passato. Si tratta di un personaggio molto negativo: è la figura di cattivo
che rimane più impressa in tutto il cinema di Fellini.
Secondo alcuni critici “La strada” è una metafora molto negativa della vita coniugale e anche un apologo
un po’ femminista sul ruolo della donna all’interno del rapporto matrimoniale. Questo lega il film ai due
precedenti dove anche lì c’è una descrizione problematica e non molto positiva del matrimonio e della vita
di coppia.
Il matto
Tra i 3 personaggi, è quello caratterizzato in maniera più complessa(de los tres personajes es el más
complejo).
È l’opposto di Zampanò: Zampanò è pesante e terreno mentre il matto è leggero e volatile. I due spettacoli
che i personaggi compiono rappresentano proprio questa differenza: quello ripetuto di Zampanò in cui
rompe le catene viene eseguito con lui inginocchiato per terra mentre Il matto è un equilibrista e lo
vediamo su una corda tesa in alto sospeso nel vuoto. Inoltre, Zampanò è cupo, accigliato, taciturno, invece Il
matto è una specie di pagliaccio, buffone, sempre allegro, irriverente e insolente. Tuttavia, come sottolinea
Peter Bondanella, i due presentano aspetti comuni: sono entrambi solitari, individualisti e asociali. Infatti, in
due scene diverse del film pronunciano le stesse frasi ovvero “Non ho bisogno di nessuno, voglio stare solo”
(Il matto la dice nel famoso dialogo con Gelsomina mentre Zampanò nel finale quando è ubriaco in
un’osteria e fa a botte con gli altri avventori).
Se lui è chiamato Il matto e Gelsomina è definita strana e non del tutto normale, l’elemento che li lega nel
racconto è il tema musicale che la donna sente quando Il matto lo esegue su un violino.
• Capitolo 1 – Formazione della coppiaa (pareja) (è il più lungo e dura circa 37 minuti. Comincia con la
scena sulla spiaggia quando la madre di Gelsomina cede la figlia a Zampanò per 10.000 lire e si conclude
con la fuga di Gelsomina)
• Capitolo 2 – Crisi della coppia (dura circa 25 minuti e comincia con Gelsomina che fugge mentre
Zampanò sta dormendo e arriva in un paese dove c’è la festa del patrono e dove assiste al numero di
equilibrismo del Matto. Si conclude con l’uscita dal carcere di Zampanò. Questa fase centrale è
caratterizzata dalla presenza costante del Matto)
• Capitolo 3 – Ricomposizione e fine del rapporto(recomposición y fin de la relación) (dura circa 26 minuti
e inizia con Gelsomina che attende Zampanò fuori dal carcere, pronta per tornare con lui. L’episodio più
importante è l’uccisione del Matto, in seguito alla quale Gelsomina perde la ragione finché Zampanò
l’abbandona lungo una strada mentre sta dormendo. Si tratta di un ribaltamento della fuga dove era
Zampanò a dormire)
• Epilogo – “Redenzione” di Zampanò (dura circa 10 minuti. Sono passati degli anni dall’abbandono di
Gelsomina da parte di Zampanò e quest’ultimo apprende casualmente la notizia della morte della
donna. Quindi, va in osteria dove si ubriaca e fa a botte con gli altri avventori. Poi di notte si reca sulla
mare da solo e, preso da un momento di angoscia, piange)
• La consumazione del “matrimonio”: nel trattamento di Fellini e Pinelli, questo rapporto sessuale viene
descritto come un vero e proprio stupro(violación).
Nel film lei dice di dormire fuori ma Zampanò la costringe a salire sul carretto, poi c’è l’ellissi cioè l’omissione
narrativa, dopodiché vediamo Gelsomina accanto a Zampanò addormentato. Dopodiché, per segnalare
questa cosa, nella sequenza dello spettacolo lui la definisce sua moglie.
Rosa era la sorella di Gelsomina che precedentemente aveva seguito Zampanò ed era morta.
Dimostrazione delle scarse capacità intellettuali di Gelsomina, è il tempo che ci mette ad accorgersi delle
cose. Fino a che non viene lasciata in mezzo alla strada, non capisce quello che sta per succedere.
Nel tradimento c’è una rottura del registro realistico del film e l’introduzione dell’elemento surreale del
cavallo che cammina da solo.
LEZIONE 16:
-Fuga di Gelsomina e primo incontro con il Matto: altro elemento surreale è, nella scena della fuga,
l’incontro di Gelsomina con 3 suonatori che camminano lungo la strada da soli suonando strumenti a fiato.
Questo viene ripreso nel finale di 8/5 con la sfilata dei clown che suonano gli strumenti. La scena contiene
simboli religiosi: la processione, Il matto che porta finte ali da angelo e Gelsomina che è inquadrata accanto
a un manifesto dove c’è scritto Vergine immacolata. Gelsomina rimane affascinata dal Matto, poi però viene
ripresa da Zampanò. Quest’ultimo inizia a lavorare per un circo presso cui lavora anche il Matto che
approfitta di ogni occasione per deridere Zampanò, suscitando la sua collera. Alla fine, dopo l’ennesima
provocazione, Zampanò perde il controllo e insegue il Matto con un coltello. Quindi viene arrestato dalla
polizia e passa la notte in carcere. Durante questa notte, Gelsomina rincontra di nuovo il Matto e c’è un
dialogo molto importante.
la huida de Gelsomina y su primer encuentro con el Loco: otro elemento surrealista es, en la escena de la
huida, el encuentro de Gelsomina con tres jugadores que caminan solos por la calle tocando instrumentos
de viento. Esto se retoma en el final del 8/5 con el desfile de payasos que tocan instrumentos. La escena
contiene símbolos religiosos: la procesión, El Loco que lleva alas de ángel falsas y Gelsomina que está
enmarcada junto a un cartel que dice Virgen Inmaculada. Gelsomina queda fascinada por el Loco, pero
luego es llevada de vuelta por Zampanó. Éste empieza a trabajar para un circo en el que también trabaja el
Loco y aprovecha cualquier ocasión para burlarse de Zampanó, despertando su ira. Finalmente, tras la
enésima provocación, Zampanó pierde el control y persigue al Loco con un cuchillo. Es detenido por la
policía y pasa la noche en la cárcel. Durante esta noche, Gelsomina vuelve a encontrarse con el Loco y se
produce un diálogo muy importante.
-Ultimo incontro con il Matto e “parabola del sassolino” : dialogo con il Matto mentre Zampanò è in
carcere, in seguito al quale Gelsomina decide di attendere Zampanò fuori dal carcere e poi si riunisce a lui.
Gelsomina attraversa un momento di crisi in cui si sente totalmente inutile
Il Matto compare nella sua prima apparizione sotto le sembianze di un angelo, di un messaggero. Il
messaggio che trasmette a Gelsomina è che anche le persone apparentemente più insignificanti e inutili
hanno un senso, uno scopo, una funzione nella vita e nell’ordine dell’universo. La missione di Gelsomina
nella sua vita è quella di stare accanto a Zampanò. Quindi questo dialogo è un vero colpo di scena dato che
inizialmente Il matto sembra il principale antagonista di Zampanò. Invece, addirittura spinge Gelsomina a
rimanere con Zampanò di fronte all’alternativa di abbandonarlo partendo insieme a lui o seguendo il circo
presso cui entrambi lavoravano. Inoltre, l’accompagna perfino davanti alla caserma dei carabinieri dove è
stato rinchiuso. Non a caso, la figura del Matto compare nel momento in cui Gelsomina ha deciso di
andarsene e abbandonare Zampanò, quindi nel momento della crisi della sua vocazione.
Il fatto che questo capitolo rappresenti un nuovo inizio della relazione tra i due personaggi è rappresentato
dal fatto che comincia nuovamente su una spiaggia (playa) (il film si apre e si chiude sulla spiaggia ma c’è
anche questa terza scena). A un certo punto, viaggiando, i due passano su una strada che costeggia il mare.
Quindi, fermano il furgone e si immergono nell’acqua. Successivamente tutto va storto(pero sale todo mal).
• Visita al convento: i due si fermano a dormire presso un convento dove Gelsomina fa amicizia e si sente
in grande sintonia con una suorina molto ingenua e ospitale. Durante la notte Zampanò si rivela
totalmente insensibile come accadeva nelle parti precedenti: in primis perché Gelsomina tenta di
dialogare ma lui le risponde bruscamente, interrompendo qualsiasi discorso e in secondo luogo perché
tradisce(traiciona) l’ospitalità delle monache commettendo un furto (robo)
• Morte del Matto: uccisione del Matto da parte di Zampanò. Mentre nella prima versione della
sceneggiatura era intenzionale, nel film finito diventa una morte preterintenzionale. Zampanò butta il
furgone e il corpo del matto dal burrone (tira el cuerpo por un acantilado) per simulare un incidente.
• “Follia””locura” di Gelsomina: composta da una serie di brevi scene che si svolgono mentre Zampanò e
Gelsomina viaggiano (le ultime girate in Abruzzo con la neve). Gelsomina sembra perdere
completamente la ragione, piange e ripete in continuazione frasi sconnesse come un disco rotto ovvero
“Zampanò sta male”. Quindi riporta continuamente Zampanò al momento del delitto che lui vorrebbe
rimuovere suscitandogli sensi di colpa. Esasperato, mentre Gelsomina sta dormendo lungo la strada,
l’abbandona e va via sul furgone. Questa scena è simmetrica a quella della fuga di Gelsomina.
Nell’abbandonarla, Zampanò ha una serie di premure che dimostrano una sensibilità nei confronti della
donna che non aveva mai avuto come metterle le coperte o lasciarle la tromba. Tra la scena di Zampanò
che si allontana sul furgone e quella degli artisti del circo intercorrono diversi anni: il salto temporale
non viene quasi segnalato, c’è solo una dissolvenza in nero.
• Strada (Zampanò apprende che Gelsomina è morta): dopo uno spettacolo mentre cammina per strada
sente una voce femminile che canticchia il tema musicale di Gelsomina ovvero la melodia che la donna
eseguiva sempre con la tromba. Allora l’interroga chiedendole dove lo abbia imparato e apprende che
Gelsomina è morta da diverso tempo.
• Circo (Zampanò esegue il numero): numero in cui spezza le catene che viene ripetuto 5 volte nel corso
del film
• Osteria (Zampanò, ubriaco, scatena una rissa): viene riempito di botte perché solo contro molti
La parte finale nel film non c’è: si conclude con Zampanò sdraiato sulla spiaggia che piange. Ci sono anche
altri elementi in più: in primo luogo, mostrare che è la prima volta che piange nella sua vita è complicato (o
si introduce una voce narrante che dice queste parole oppure in una sequenza precedente si fa dire a
Zampanò che non ha mai pianto nella sua vita); ancora meno traducibile in termini cinematografici è “una
donna è nata e morta per questo” che esprime in maniera esplicita il senso e l’interpretazione del film che
riprende il discorso del Matto ovvero che la missione della sua vita è quella di stare accanto a Zampanò ma
aggiunge la componente salvifica, cioè lo stare accanto a lui per redimerlo, per fare emergere la sua
umanità. Nel finale attraversa una vera e propria conversione. Quindi, il sacrificio di Gelsomina non è stato
inutile perché Zampanò ha provato dolore apprendendo della sua morte.
Fellini ha voluto mantenere il finale del film più implicito, non esplicitando il significato di questo pianto. Il
pianto potrebbe rivelare un momento di angoscia e solitudine che subisce il personaggio dopo aver appreso
la notizia e che smaltita la sbornia la mattina dopo egli riprenda la sua vita come prima. Ed è forse per
questa interpretazione misticheggiante che il film non piacque molto a buona parte della critica italiana,
soprattutto quella comunista. Il messaggio venne invece apprezzato dalla critica di matrice cattolica perché
Gelsomina diventa una figura salvifica (que trae salvación).
Viene anche criticato per avere rappresentato personaggi troppo schematici che incarnano delle idee e che
alla fine difettano di realismo.
Da una parte Fellini si rifà alla poetica neorealista (location autentiche, personaggi umili) però questi
personaggi sono trattati come personaggi archetipici che non hanno alcun rapporto con la società. In Fellini
non c’è alcun interesse politico sociale.
Secondo il critico, doveva comportarsi come un vero neorealista usando un’attrice non professionista
Mentre in Italia le recensioni negative sono molto numerose, il film ebbe grande accoglienza in Francia. La
critica francese non vede in Fellini un presunto tradimento della poetica neorealista ma invece un film in
continuità che ne rappresenta un’evoluzione. Inoltre, ha paragonato la recitazione di Giulietta Masina a
quella di Charlie Chaplin per la sua recitazione che gioca molto di più sull’aspetto mimico-gestuale che
sull’aspetto verbale. È un film che rimanda al cinema muto.
Altro elemento da ricordare è la colonna sonora di Nino Rota con il famoso tema di Gelsomina.
LEZIONE 17: Fra (entre) “La strada” e “Le notti di Cabiria”, ovvero due premi oscar come miglior film
straniero e due successi internazionali, si colloca Il bidone (1955) che è uno dei film meno noti di Fellini.
Viene prodotto da Goffredo Lombardo (1920-2005), il proprietario della Titanus che è stata una delle case
più importanti di produzione del dopoguerra. “Il bidone” racconta le avventure di una banda di bidonisti
cioè dei truffatori (estafadores) che si guadagnano da vivere organizzando elaborate truffe e complessi
raggiri ai danni di persone povere e ignoranti. Per esempio, dei contadini vengono privati dei loro risparmi
che hanno messo da parte lavorando duramente per tutta la vita. Sono dei personaggi spregevoli
moralmente(personajes moralmente despreciables).
Per il protagonista Augusto (il capo della banda di bidonisti), Fellini sceglie ancora una volta un attore
straniero cioè Broderick Crawford (1911-1986), famoso per aver vinto l’oscar come miglior attore
protagonista nel 1949 con un film intitolato “Tutti gli uomini del re”. Fellini non aveva visto il film ma lo
aveva trovato in alcune foto e manifesti, rimanendo colpito dal suo aspetto fisico estremamente adatto per
la parte. Il suo doppiatore è Arnoldo Foà. Tra gli interpreti ci sono anche Franco Fabrizi che interpreta
Roberto, il quale è ancora più cinico, donnaiolo, spregevole di Fausto de “I vitelloni), Richard Basehart che
interpreta Carlo, il terzo componente della banda che ha una doppia vita (da una parte partecipa a queste
truffe, dall’altra ha una moglie che non sospetta nulla e una bambina piccola) e Giulietta Masina che
interpreta Iris, la moglie di Carlo.
Il film presenta dei punti in comune con “I vitelloni”: è incentrato su un gruppo di personaggi amici che
però in questo caso sono dei veri e propri criminali (uno dei 5 vitelloni fa parte del gruppo cioè Franco
Fabrizi) e inoltre l’episodio tagliato dove Riccardo e gli amici tentano di vendere un vecchio rottame a un
ricco signore potrebbe essere l’idea iniziale del raggiro e della truffa.
I punti di contatto con “La strada”, apparte la presenza di uno degli attori principali, sono ancora più forti. Il
finale contiene visivamente espliciti riferimenti al finale de “La strada” ma capovolto. Il film è inoltre
scandito dalle truffe commesse dai bidonari che sono delle elaborate messe in scena nelle quali i
personaggi si travestono e recitano ciascuno la propria parte. Ad esempio, l’ultima truffa che viene mostrata
è la stessa della cassa piena di gioielli sotterrata nel campo però viene ripetuta in un altro casolare di
campagna con un’altra famiglia di contadini e inoltre gli interpreti apparte Augusto sono diversi perché
cambiano i componenti della banda. C’è dunque un rapporto tra queste elaborate truffe che scandiscono il
racconto e gli show di Zampanò nei vari paesi dove si ferma con Gelsomina.
Per alcuni aspetti anticipa “La dolce vita” dato che è prevalentemente ambientato a Roma e dintorni e poi
c’è una scena girata in un appartamento di lusso che appartiene a un ex truffatore che si è arricchito dove
addirittura c’è una sorta (un tipo de) di spogliarello (streptease) che sembra anticipare le sequenze finali de
“La dolce vita”.
È un film che fa quindi da passaggio (transición) tra il primo Fellini e quello più maturo.
Il problema di questo film fu che Fellini aveva girato(rodado) molto materiale e quindi la versione che
venne presentata alla Mostra del Cinema di Venezia durava 2 ore abbondanti. In seguito all’accoglienza
ostile della critica, il produttore lombardo impose (obliga) a Fellini di tagliare(recortar) delle scene quindi il
film venne ridotto a 100 minuti.
Vennero infatti rimosse le scene che si riferivano alle vicende di personaggi secondari. Quindi aveva una
struttura ancora più simile a quella de “I vitelloni” ma con questi tagli viene impoverito perché viene
privilegiata la storia del personaggio principale Augusto.
Il motivo principale dell’insuccesso di questo film è che Fellini in reazione alle accuse che gli erano state
fatte per “La strada” di avere fatto un film troppo sentimentale e patetico, decide di raccontare una storia
molto crudele e cinica dove i personaggi principali sono spregevoli(despreciables). Non c’è più come ne “La
strada” la contrapposizione tra la brutalità di Zampanò e il candore di Gelsomina, venendo a mancare
totalmente i personaggi positivi nei quali lo spettatore poteva identificarsi(los espectadore sno podian
identificarse porque no habia personajes positivos).
Incassò pochissimo, venne recensito molto negativamente dalla critica italiana e non ebbe nemmeno
ammiratori all’estero (no tuvo buena critica ni dentro ni fuera de italia).
Sceneggiatura di Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e Pier Paolo Pasolini
• Soggetto per il secondo episodio di “L’amore” (1948) di Roberto Rossellini rifiutato da Anna Magnani in
cui una prostituta veniva rimorchiata da un celebre attore (composto di due episodi: il primo tratto dal
testo teatrale di Cocteau mentre per il secondo episodio Rossellini chiese a Fellini di scrivere un
soggetto originale. La prima proposta era la storia di un famoso divo del cinema che dopo avere
litigato(discutido) con la sua zagazza rimorchiava(montaba) in automobile una prostituta romana e la
portava nella sua villa lussuosa. Poi, tornava improvvisamente a sorpresa la dell’attore e la prostituta era
costretta(obligada) a passare la notte nascosta(escondida) in un ripostiglio mentre i due si
riconciliavano. Era stato rifiutato(rechazado) da Anna Magnani e allora Fellini scrisse un secondo
soggetto alternativo cioè “Miracolo”)
• Le due prostitute (Cabiria e Matilde) presenti in una scena di “Lo sceicco bianco” (1952) -> Cabiria
piccoletta, mentre Wanda dal fisico possente
• Racconti di una prostituta squilibrata conosciuta durante le riprese di “Il bidone” (1955)
• Omicidio di Antonietta Longo (Castel Gandolfo, 5 luglio 1955) -> una domestica viene ritrovata
decapitata sulla riva del lago Albano. In seguito alle indagini si scoprì che aveva cominciato a uscire con
uomo che le aveva chiesto di sposarlo, lei aveva accettato, si era recata all’appuntamento con tutti i suoi
risparmi e non era più tornata. L’assassino non venne mai trovato. A questo è ispirata la parte finale del
film con l’uomo che inizia a fare la corte a Cabiria ma che non la uccide perché non ha il coraggio.
Prende solo i suoi soldi (molto spesso il personaggio femminile per la sua ingenuità non riesce a capire
ciò che lo spettatore comprende immediatamente)
Fellini nel periodo in cui lavorava alla sceneggiatura, per conoscere il mondo della prostituzione romana,
fece tantissimi sopralluoghi (visitas) notturni nei luoghi dove stazionavano le prostitute. Suo
accompagnatore fu Pier Paolo Pasolini (1922-1975). Egli nasce a Bologna e nel 1950 si trasferisce a Roma.
Nel 1955 pubblica il suo primo romanzo “Ragazzi di vita” ambientato nel mondo delle borgate romane e
scritto in romanesco. Il libro subisce un processo per oscenità perché viene raccontato anche il mondo della
prostituzione maschile. Nel 1960 esordirà come regista, però prima della sua collaborazione con Fellini ne
“Le notti di Cabiria” aveva già lavorato come sceneggiatore per il cinema e la sua prima collaborazione risale
al 1954 per la sceneggiatura del film “La donna del fiume” di Mario Soldati. Egli firma anche la
sceneggiatura de “Le notti di Cabiria” insieme agli altri tre e scrive i dialoghi del film in romanesco in
particolare.
Personaggi e interpreti
• Giulietta Masina -> Cabiria (è uno dei tanti riferimenti e omaggi presenti nell’opera di Fellini al cinema
muto. In questo caso a Cabiria del 1914 diretto da Giovanni Pastrone che è il più importante film muto
italiano di argomento storico mitologico ambientato all’epoca dell’Antica Roma. Tuttavia, il nome Cabiria
che è quello di uno dei personaggi principali di Pastrone viene ripreso da Fellini per la sua prostituta già
a partire da “Lo sceicco bianco”)
• Franca Marzi (1926-1989) -> Wanda (migliore amica di Cabiria e che riprende nella fisionomia il
personaggio di Matilde ne “Lo sceicco bianco”)
• Amedeo Nazzari (1907-1979) -> Alberto Lazzari (divo del cinema nella sequenza ricordata
precedentemente. È il più grande divo maschile del cinema italiano tra anni ‘40 e ‘50. Nasce a Cagliari
ed era diventato famosissimo durante il periodo fascista interpretando film come “Cavalleria” e “La cena
delle beffe”. Conserva la sua popolarità nel dopoguerra recitando in un film neorealista diretto da
Lattuada cioè “Il bandito” e in una serie di melodrammi strappalacrime incentrati su storie d’amore
diretti dal regista Matarazzo come ad esempio “Catene”.
• Francois Périer (1919-2002) -> Oscar D’Onofrio (si mette a corteggiare Cabiria allo scopo di rapinarla
dei suoi risparmi (quiere cortejar a cabiria para robarla los ahorros) -> passaggio da “Il bidone a “Le
notti di Cabiria” con il truffatore che deruba la persona ingenua e povera)
Le location
“Le notti di Cabiria” è girato (rodado) interamente in ambienti reali, sia interni che esterni con una sola
piccola eccezione. L’uso di ambientazioni autentiche non esclude la presenza dello scenografo che sceglie le
location e le allestisce in funzione del film.
L’unico elemento ricostruito per il film è la casa/bunker di Cabiria: egli ebbe l’idea di non costruire il tetto di
questa casa in modo da effettuare le riprese all’interno con la luce naturale dall’alto.
• Santuario della Madonna del Divino Amore: si trova nei dintorni di Roma ed è un santuario costruito
nel XVIII secolo sul luogo in cui si era verificato un miracolo secondo la leggenda. È meta di frequenti
pellegrinaggi. Cabiria e le altre prostitute si recano realmente a questo santuario.
• Zona intorno alla Basilica di San Giovanni Bosco: sono ambientate lì anche le scene de “La dolce vita”
che hanno come protagonista Steiner, l’intellettuale che si suicida uccidendo i figlioletti.
• Castel Gandolfo e Lago Albano: in cui si svolge la parte finale e che è stato teatro del ritrovamento della
donna decapitata.
“Le notti di Cabiria” ottiene un grande successo e anche la critica italiana ne parla positivamente. Viene
presentato al Festival di Cannes dove Giulietta Masina vince il premio come miglior attrice protagonista.
Nel 1958 riceve l’Oscar come miglior film straniero a un anno dall’altro premio oscar per “La strada”.
Questa volta Fellini rimane in Italia e ci va solo Giulietta a Los Angeles a ritirare il premio perché
probabilmente immaginava che non avrebbe vinto. L’attrice riceve la statuetta dalle mani di Fred Astaire, il
più grande ballerino del musical hollywoodiano. L’ultimo film girato da Fellini con la Masina si intitola Ginger
& Fred ed è incentrato su due personaggi ovvero Marcello Mastroianni e Giulietta Masina che impersonano
Fred Astaire e Ginger Rogers.
LEZIONE 18: Da “Le notti di Cabiria” è stato tratto un musical teatrale di Broadway intitolato “Sweet
Charity” (1966) di Neil Simon (libretto), Cy Coleman (musica) e Dorothy Fields (parole). Da questo musical
teatrale viene tratto un numero cinematografico ovvero “Sweet Charity – Una Ragazza che voleva essere
amata” (1969) di Bob Fosse (la protagonista non si chiama più Cabiria e non è nemmeno una prostituta ma
una taxi dancer cioè una ragazza che a pagamento balla con i clienti in una sala da ballo. Questa cosa
snatura un po’ il soggetto originale di Fellini, Pinelli e Flaiano)
Le notti di Cabiria è incentrato in maniera assoluta su un unico personaggio (“Lo sceicco bianco” su una
coppia, “I vitelloni” su un gruppo di personaggi, “La strada” su 3 personaggi importanti)
Le notti di Cabiria se centra absolutamente en un solo personaje ("Lo sceicco bianco" en una pareja, "I
vitelloni" en un grupo de personajes, "La strada" en 3 personajes importantes).
• È scontrosa, orgogliosa, litigiosa e aggressiva (ha più carattere(tiene mas caracter) rispetto ai personaggi
dei film precedenti), ma sotto questa corazza nasconde una natura ingenua e credulona
• Tende a maltrattare le persone che le sono amiche e a fidarsi (confiar) dei malintenzionati (Giorgio, il
suo ex fidanzato all’inizio la butta nel Tevere e Oscar alla fine sta per buttarla nel lago Albano. Nella
sequenza iniziale, Cabiria se la prende con i poveretti che l’hanno salvata dall’annegamento e anche con
l’amica Wanda. Ci mette inoltre tanto a prendere atto del fatto che il suo fidanzato l’ha derubata e
buttata nel Tevere)
Il film si conclude con un primo piano di Cabiria che sorride guardando verso la macchina da presa. Lo
sguardo in macchina è sempre stato un taboo perché rompe la separazione che dovrebbe esistere tra il
mondo della finzione e il mondo della realtà. Esso chiama in causa gli spettatori, superando i limiti della
finzione. In questo primo piano, inoltre ha una lacrimuccia un po’ da clown che rimanda al personaggio
precedente di Gelsomina. È un finale aperto che ribalta il pessimismo della scena precedente)
Episodi principali
Il film si apre e si chiude con due episodi speculari. All’interno, è costituito da una serie di episodi autonomi
e indipendenti l’uno dell’altro.
Mostra alcune scene della vita di una prostituta ed è quasi un ritratto cinematografico di un personaggio
piuttosto (mas que) che un film narrativamente coerente con un inizio, sviluppo centrale e fine. Alcuni di
questi episodi sono ambientanti in più scene e in luoghi diversi e alcuni sono anche intercalati a brevi scene
di raccordo (quattro per l’esattezza) che mostrano Cabiria la sera che si prostituisce sulla passeggiata
archeologica che si trova intorno alle terme di Caracalla.
• Cabiria e Giorgio: viene derubata(robada) e quasi assassinata da un uomo che credeva fosse il suo
fidanzato (novio)
• Cabiria e il divo del cinema: deriva da un soggetto di Fellini molto precedente pensato come secondo
episodio del film “L’amore” di Rossellini. È quello meglio costruito e di maggiore perfezione sul piano
della regia, della recitazione e della costruzione narrativa: è una sorta di piccolo film nel film.
Amedeo Nazzari era il divo per eccellenza del cinema italiano ed era un attore immediatamente
riconoscibile da parte dello spettatore. Nel film sono attribuite al personaggio che interpreta sue
caratteristiche reali: Amedeo era scapolo e si sposa nel 1957 all’età di 50 anni, abitava in una lussuosa
villa nei dintorni di Roma ed era famoso per il suo enorme guardaroba. La villa che vediamo nel film
però non è la sua ma è creata dall’unione di location diverse. È anche l’episodio che contiene più toni da
commedia rispetto al resto del film che presenta episodi drammatici. Tuttavia, ha anche un fondo
amaro perché la protagonista, dopo aver avuto il privilegio di entrare nella villa del divo, è costretta a
passare l’intera notte nascosta nel suo bagno per l’improvviso arrivo della fidanzata. È impossibile non
pensare a “Pretty Woman” (1990) di Garry Marshall con protagonista Julia Roberts (elementi simili sono
l’incontro tra la modesta prostituta e il miliardario che vive in una suite di lusso, lo stupore di fronte
all’ambiente lussuoso e il desiderio di raccontare l’esperienza alle amiche prostitute)
• Cabiria e l’uomo del sacco: questo personaggio esisteva realmente e si chiamava Mario Tirabassi. Egli
era un benefattore solitario che non apparteneva a nessuna associazione caritatevole e che a proprie
spese si recava nei luoghi dove si trovavano i poveri portando cibo, medicinali, vestiti. Fellini lo aveva
conosciuto di persona nei suoi sopralluoghi romani. Dopo aver completato il film, Fellini temeva che,
per il suo contenuto un po’ scabroso per la mentalità dell’epoca e soprattutto per la mescolanza di sacro
e profano, venissero tagliate alcune scene importanti. Quindi per evitare questo, venne messo in
contatto da conoscenti con un padre gesuita molto colto, aperto e illuminato di nome Angelo Arpa, il
quale successivamente diventerà amico e grandissimo ammiratore di Fellini. Egli era in stretti rapporti
con il cardinale e vescovo della città di Genova Giuseppe Siri che aveva una grossa influenza sul papa.
Dunque, il gesuita riuscì ad organizzare una proiezione privata del film a Genova appositamente per Siri
che vide il film e disse “Bisogna assolutamente fare qualcosa”. Il cardinale aveva apprezzato il film e
aveva ritenuto che non ci fosse nulla di blasfemo. Venne solo chiesto al regista di eliminare la scena
dell’uomo del sacco perché la Chiesa non tollerava che venisse presentato in un film in senso positivo
un esempio di carità non ufficialmente cristiana e istituzionalizzata. Fortunatamente all’inizio degli anni
‘80 la sequenza è stata ritrovata e reintegrata da Gianfranco Angelucci, assistente alla regia in diversi
film di Fellini. Nel 1984 egli ha diretto un documentario per la televisione che si intitola “Fellini nel
cestino”, dedicato alle parti che sono state tagliate ed eliminate dalle copie definitive dei film di Fellini
ma che si sono conservate. In esso sono presenti Fellini e il critico cinematografico Oreste del Buono che
assistono alla proiezione di una serie di sequenze tagliate dai film di Fellini.
• Cabiria e la madonna del Divino Amore: è ispirata al famoso racconto “La casa Tellier” (1881) di Guy de
Maupassant in cui la protagonista è una tenutaria (madame) di una casa di tolleranza(burdel). A un
certo punto viene invitata in un paese di campagna al battesimo del nipotino e quindi decide per un
giorno di chiudere l’edificio e di portare con sé le 5 prostitute che lavorano per lei. Entrando in chiesa,
quest’ultime attraversano un breve momento di commozione e smarrimento di fronte a quest’insolita
circostanza prima di ritornare alla loro routine quotidiana. La sequenza del film di Fellini conserva
qualcosa di quest’episodio con il gruppo delle prostitute, accompagnato dai protettori, che si reca in
pellegrinaggio al santuario. Essa denuncia anche il rapporto di forte fascinazione che aveva il regista nei
confronti dei fenomeni di esaltazione religiosa e di devozione popolare. Inoltre, questa sequenza è
anticipata dalla processione molto più breve in “La strada” e seguita dall’episodio del miracolo ne “La
dolce vita” in cui dei bambini sostengono di aver visto la Madonna. Il pellegrinaggio si risolve in un
totale fallimento simboleggiato dal personaggio paralizzato alle gambe che lascia le stampelle e cade
per terra pesantemente e dalla rabbia di Cabiria che afferma che si aspettava un cambiamento di tipo
interiore che tuttavia non si è verificato. Si tratta dell’opposto dell’uomo del sacco: da una parte una
forma di carità disinteressata senza legami ad associazioni religiose, dall’altra una forma di devozione
religiosa concepita in maniera egoistica e con lo scopo di ottenere dei vantaggi
• Cabiria e Oscar (alla fine viene nuovamente derubata e quasi assassinata da un altro uomo)
LEZIONE 19:
Subito dopo i riconoscimenti ottenuti grazie a “Le notti di Cabiria”, Fellini si trova all’apice della sua carriera
e in un momento di grande popolarità in cui non ha più il problema di trovare un produttore.
Il regista è fortemente intenzionato dopo “Le notti di Cabiria” a dirigere un film di cui ha scritto un soggetto
insieme a Pinelli che si intitola “Viaggio con Anita”. Come punto di partenza ha un episodio triste realmente
accaduto a Fellini nel 1956: mentre stava lavorando a “Le notti di Cabiria” riceve dai parenti a Rimini la
notizia che il padre sta molto male. Allora si reca rapidamente nella sua città natale per andarlo a visitare
ma si rende conto che sta meglio di quanto immaginasse. Dunque, si tranquillizza tanto che decide di
andare a pranzo al ristorante. Mentre si trova lì, gli arriva una telefonata con la notizia della morte del
padre.
Il protagonista di “Viaggio con Anita” è uno scrittore affermato che vive a Roma ma è originario di Fano.
Anch’egli riceve la notizia che il padre sta male però per evitare di essere accompagnato dalla moglie
minimizza la situazione e convince l’amante a partire con lui. Una parte del film racconta questo viaggio.
Inoltre, quando il protagonista arriva a Fano, l’amante non può essere presentata alla famiglia e quindi si
installa in un albergo guardandolo solo da lontano. Poi il padre muore ecc…
Come attrice protagonista era disponibile Sophia Lauren. Alla fine, il progetto non andò in porto e il film non
venne girato. Il motivo principale è che la Lauren non era più disponibile ma Fellini la voleva
necessariamente.
Dopo il fallimento, Fellini si trova a dover cercare un’altra idea per un altro film che poi sarà “La dolce vita”
(1960)
-“La dolce vita” nasce come una rielaborazione del soggetto di Fellini e Pinelli “Moraldo in città” (1954): si
trattava di uno spin off che raccontava le vicende di Moraldo de “I vitelloni” una volta arrivato a Roma. È
fortemente autobiografico perché riprendeva le esperienze che aveva avuto il vero Fellini quindi le visite
nelle redazioni dei giornali, la conoscenza del giovane pittore Rinaldo Geleng, ecc…Pinelli all’inizio è un po’
riluttante e non molto convinto di riprendere in mano questa storia ma poi si convince. Fellini e Pinelli
decidono di rendere la storia un po’ moderna, ponendo al centro la vita notturna che si svolgeva tra la fine
degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60 in via Veneto, una via del centro di Roma creata alla fine dell’800. È
molto larga, spaziosa, alberata, con edifici di epoca fascista, hotel di lusso, bar, locali notturni che erano
luogo di ritrovo per intellettuali, artisti ma anche per il mondo del cinema. In quel momento Cinecittà
ospitava tantissime produzioni internazionali perché i costi erano inferiori rispetto a Hollywood.
-La sceneggiatura(guión) viene scritta da Federico Fellini, Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano
-Alla riscrittura di alcune scene collabora Pier Paolo Pasolini, che però non è accreditato nei titoli di testa
del film: il suo contributo è molto ridotto perché diede consigli che solo in parte furono seguiti. Per
esempio, l’inserimento di quadri di autori importanti nella scena in cui Marcello va a casa dell’amico Steiner
e si fermano ad osservare un quadro di Giorgio Morandi appeso alla parete.
Inizialmente il film doveva essere prodotto da Dino De Laurentis che aveva prodotto “Le notti di Cabiria”
ma ci fu una divergenza di opinione tra lui e Fellini riguardo alla scelta del protagonista. De Laurentis voleva
imporre a Fellini l’attore straniero Paul Newman però il regista voleva assolutamente un attore italiano,
impuntandosi su Marcello Mastroianni. Successivamente, Giuseppe Amato (1899-1964), un produttore
italiano di origine napoletana accettò di produrre il film insieme a Angelo Rizzoli (1889-1970), un uomo
molto conservatore che però si fece convincere nonostante la trama un po’ scandalosa del film.
• Marcello Mastroianni (1924-1996) -> Marcello: nasce da una famiglia modesta, vive a Torino e poi
Roma. Aveva cominciato ad apparire come comparsa in alcuni film prima del 1943 poi però riprende la
carriera di attore cinematografico nel dopoguerra. Prima de “La dolce vita” aveva già lavorato in
tantissimi film sia interpretando ruoli secondari sia ruoli da protagonista. Il film che lo aveva reso
internazionalmente famoso è “I soliti ignoti” (1958) di Mario Monicelli, uno dei titoli di maggiore
successo della commedia all’italiana e in cui recitava insieme a Totò e Vittorio Gassman. Fellini lo
conosceva poco ma successivamente a un colloquio con lui ne rimane entusiasta, addirittura arrivando
a cambiare il nome del personaggio da Moraldo a Marcello. È l’attore maschile felliniano per
eccellenza: ha recitato in 4 film di Fellini ovvero “La dolce vita”, “8/5”, “La città delle donne” e “Ginger &
Fred” in cui interpreta dei personaggi che presentano tratti dello stesso Federico Fellini. Quindi è l’attore
con cui Fellini si è più identificato e che rappresenta un suo alter ego. Marcello nel film ha il padre
romagnolo, è arrivato a Roma dalla provincia, mentre in “8/5” interpreta addirittura la figura di un
regista cinematografico.
• Alain Cuny (1908-1994) -> Enrico Steiner: l’amico intellettuale presente in poche scene ma molto
significative
• Annibale Ninchi (1887-1967) -> Padre di Marcello: compare in una sola scena, parla con un forte
accento romagnolo ed è interpretato da un attore che aveva lavorato sia nel teatro che nel cinema
nell’epoca del muto. Era noto per aver interpretato il ruolo di protagonista nel film storico di
ambientazione romana “Scipione l’Africano” (1937) di Carmine Gallone. A Fellini piaceva recuperare per
i ruoli minori questi vecchi attori con una lunga carriera alle spalle.
• Walter Santesso (1931-2008) -> Paparazzo: fotografo d’assalto pronto a scattare fotografie ai divi e alle
dive, sempre in cerca di uno scoop e amico di Marcello. È presente nel locale in cui Marcello porta il
padre la sera in cui si incontrano. Il termine paparazzo nasce dal film “La dolce vita” dal soprannome
che ha questo personaggio.
• Ferdinand Guillaume detto Polidor (1887-1977): attore comico di origine francese che aveva lavorato in
Italia durante il periodo del muto interpretando cortometraggi comici con il personaggio fisso di Polidor.
Ne “Le notti di Cabiria” interpreta un frate mentre ne “La dolce vita” il clown che suona la tromba nella
scena del locale notturno dove Marcello va con il padre.
• Anita Ekberg (1931-2015) -> Sylvia: attrice di origine svedese che si era affermata nella seconda età
degli anni ’50 sia a Hollywood che in Europa (moda di attrici molto formose). Tuttavia, non è mai stata
una star di grande importanza. Successivamente ha interpretato un cortometraggio di Fellini contenuto
in un film a episodi che si intitola “Le sensazioni del dottor Antonio”. Ne “La dolce vita” è presente
soltanto all’inizio del film.
• Anouk Aimée (1932-) -> Maddalena: ragazza viziata di buona famiglia (compare anche in 8/5 dove
intepreta la moglie del protagonista)
• Yvonne Furneaux (1926-) -> Emma: convivente di Marcello, ossessiva, gelosa, nevrotica. All’inizio tenta
il suicidio e viene continuamente tradita dal protagonista
• Nico (Christa Paffgen 1938-1988): fotomodella tedesca, negli anni ’60 diventerà la cantante del famoso
gruppo rock “The Velvet Underground”. Ne “La dolce vita” viene chiamata con il suo nome d’arte Nico.
Ambientazioni e location: ci sono alcune scene ricostruite in studio ma la maggior parte del film è girato in
luoghi reali.
• Fontana di Trevi: scena notturna in cui Marcello e Sylvia si immergono nell’acqua. Il regista Ettore Scola
ha ricostruito il momento delle riprese di questa scena all’interno di “C’eravamo tanto amati” (1974) ed
è riuscito a convincere Fellini a partecipare.
• Basilica di San Giovanni Bosco: si trova nella periferia di Roma ed è una chiesa costruita nel dopoguerra
all’inizio degli anni ’50. Lì Marcello incontra Steiner che suona l’organo e inoltre l’appartamento di
quest’ultimo si trova in un palazzo situato vicino a piazza San Giovanni Bosco.
• E.U.R: quartiere periferico progettato nella seconda metà degli anni ’30 dal regime fascista per ospitare
l’Esposizione universale di Roma che doveva svolgersi nel 1942 ma che venne annullata per via dello
scoppio della Seconda Guerra mondiale. Alcuni edifici del quartiere erano già stati completati mentre
altri furono terminati nel dopoguerra. Questo quartiere ha delle caratteristiche urbanistiche e
architettoniche che hanno affascinato molti registi.
-Palazzo dei congressi: edificio monumentale progettato in epoca fascista. Quando Emma tenta il
suicidio e Marcello la porta in ospedale, in realtà si tratta del piano inferiore del palazzo dei congressi
dell’E.U.R
-Casa con la piscina sul tetto: viene mostrata all’inizio del film con la sequenza dell’elicottero che passa
sulla città di Roma, inquadrando i vari quartieri
“Federico Fellini e l’E.U.R” (1972) di Luciano Emmer (episodio della serie televisiva “Io e …”) in cui il
regista viene intervistato. Afferma che per un artista è difficile parlare di un altro artista. Infatti, egli ha
sempre dichiarato che da quando è diventato regista ha smesso di andare al cinema e di guardare i film
dei suoi colleghi.
• Palazzo Odescalchi, Bassano Romano: scena finale del ricevimento nella villa dei nobili.
• Cupola di San Pietro: scala a chiocciola con le finestre a oblò è ricostruita nella sequenza in cui Marcello
e Sylvia salgono sulla cima della cupola
Le scenografie del film vennero progettate da Piero Gherardi che ha disegnato anche i principali costumi, in
particolare quelli indossati da Anita Ekberg come quello lungo da sera nella scena della fontana di Trevi e
quello da prete nella scena della cupola. Quest’ultimo si ispira all’abito “Pretino” chiamato inizialmente
“Preghiera del mattino”, creato nel 1956 dalla sartoria delle sorelle Fontana.
Otello Martelli (1902-2000): direttore della fotografia che collabora con Fellini da “I vitelloni” a “La dolce
vita”
Tazio Secchiaroli (1925-1998): non ha collaborato direttamente con Fellini ma lo conosceva personalmente.
È un fotografo d’assalto che ha lavorato per diversi giornali scandalistici. Il personaggio di Paparazzo è
sicuramente in parte ispirato a lui. Divenne famoso alla fine degli anni ’50 come il fotografo più noto che
aveva immortalato la vita notturna delle celebrità che popolavano Via Veneto, riprendendo le loro reazioni
curiose mentre tentavano di malmenarlo o rubargli la macchina fotografica. Nel 1958, la ballerina Aiché
Nana improvvisò uno spogliarello all’interno del locale “Il rugantino” che un americano aveva affittato per
usarlo privatamente. Per l’occasione c’erano tantissimi ospiti e fotografi che realizzano scatti di questo
momento. La polizia che intervenne sequestrò i rullini di tutti i fotografi tranne quelli di Secchiaroli che riuscì
a uscirsene dalla festa con il suo reportage fotografico che venne pubblicato sui giornali e suscitò un vero e
proprio scandalo. Venne istituito un processo in cui la ballerina e i musicisti che l’accompagnavano ebbero
condanne per oscenità. Fellini si era ispirato a questo episodio avvenuto due anni prima per la scena de “La
dolce vita” della festa in cui c’è una ragazza che improvvisa uno spogliarello. Inoltre, il regista si era ispirato
a un servizio di Secchiaroli anche per l’episodio del miracolo: il fotografo si era infatti recato a Terni perché
due bambine sostenevano di aver visto la Madonna e aveva realizzato un servizio fotografico pubblicato
sulla stampa.
“La dolce vita” che sembra un film poco realistico, in realtà è fortemente ispirato alla cronaca dell’epoca.
Basti citare l’episodio iniziale dell’elicottero che trasporta la statua di Cristo: il 1° maggio del 1956 una
statua di Cristo venne realmente portata in elicottero da Milano a Roma e depositata in Vaticano davanti al
papa.
LEZIONE 21: Un “film-rotocalco” -> termine antiquato per indicare una rivista illustrata dedicata alla
cronaca. Quindi, significa film-rivista di attualità.
“La dolce vita” che sembra un film poco realistico, in realtà è fortemente ispirato alla cronaca dell’epoca.
• Prologo (la statua del Cristo Lavoratore viene trasportata in elicottero il 1° maggio del 1956 da Milano a
Roma e depositata in Vaticano davanti al papa): la differenza è che nella realtà la statua era
sull’elicottero e non appesa a un filo in maniera teatrale come nel film.
• Fontana di Trevi (servizio fotografico di Pierluigi Praturlon, 1958): l’immersione di Anita Ekberg e
Marcello Mastroianni è ispirata a questo servizio. L’attrice era però vestita di bianco e non di nero.
• Falso miracolo (Latteria di Maratta Alta, Terni, 1958): due adolescenti sostenevano di aver visto la
Madonna e, dato il grande clamore, Tazio Secchiaroli fece un servizio fotografico su quest’avvenimento.
• Epilogo (omicidio di Wilma Montesi, 1953): nell’epilogo, Marcello e gli amici si recano in spiaggia(playa)
e assistono all’apparizione di un pesce marino mostruoso sulla riva del mare. Secondo alcuni critici
questa scena alluderebbe all’episodio di cronaca nera rimasto insoluto cioè quello di Wilma Montesi,
una ragazza di 21 anni ritrovata morta su una spiaggia laziale. In realtà non è molto probabile perché
l’omicidio risale al 1953 e quindi al tempo delle riprese del 1959 non era più attuale.
Accoglienza del film da parte della critica e del pubblico: alla sua uscita venne attaccato violentemente dalla
Chiesa cattolica attraverso il suo organo ufficiale ovvero “L’osservatore romano” che pubblicò articoli
scandalizzati tra cui “Basta!” e anche dai partiti di estrema destra come, per esempio, il Movimento sociale
italiano che fece un’interpellanza parlamentare sostenendo che offendesse Roma e i romani. Invece, “La
dolce vita” fu accolto molto positivamente dalla critica di sinistra che nella fase precedentemente non era
stata molto entusiasta del cinema di Fellini (“La strada” era piaciuto di più alla critica cattolica che a quella di
sinistra). Questa polemica ebbe un effetto favorevole sul film dal punto di vista degli incassi: infatti, attirò gli
spettatori nelle sale fino a provocare la presenza di lunghissime file nelle sale cinematografiche.
I riconoscimenti (agradecimiento): “La dolce vita” vinse la Palma d’oro al festival di Cannes del 1960 dove,
tra l’altro, venne presentato in concorso un altro importantissimo film cioè “L’avventura” di Michelangelo
Antonioni che presenta alcuni elementi in comune sul piano tematico con il film.
Sceneggiatura: oltre a Fellini, Pinelli e Flaiano, appare Brunello Rondi, un importante sceneggiatore italiano
che il regista conosceva da tempo perché aveva collaborato insieme a lui ad alcune sceneggiature dei film di
Rossellini come “Francesco giullare di Dio” ed “Europa 51”. Egli è stato anche collaboratore di Fellini in “8 ½”
e “Giulietta degli spiriti”. Man mano che si va avanti nella filmografia di Fellini, ci si accorge che il regista
rispetta sempre meno la sceneggiatura dei suoi film, i quali differiscono sempre di più dal prodotto finito.
Infatti, nelle sceneggiature pubblicate a partire da “Le notti di Cabiria” troviamo un’avvertenza che dice al
lettore che ciò che leggerà non corrisponderà totalmente al film che ha visto al cinema.
Episodi non girati presenti nella sceneggiatura(episodios que estan en el gión xro no en la peli): per
quanto riguarda “La dolce vita”, la differenza principale è che nella sceneggiatura originale sono presenti
due scene in più che non compaiono nella visione finale del film. Esse sono collocate nella prima parte del
film tra il primo incontro di Marcello e Steiner che suona l’rogano in chiesa e l’episodio del finto miracolo:
• Episodio balneare(de la lancha motora donde arde una ex) (scena 57): Marcello è in motoscafo con
altri amici e amiche e ci sono altri motoscafi intorno con vari bagnanti. È presente anche Maddalena che
ha un ruolo poco significativo ma soprattutto Dolores, una scrittrice di mezza età con cui Marcello ha
avuto una relazione in passato che non è finita molto bene perché lei ha un atteggiamento ostile nei
suoi confronti. Il tutto si conclude in un modo strano e insensato: ad un certo punto senza che nessuna
se ne accorga, il serbatoio di un motoscafo perde del carburante, una ragazza fa un tuffo in acqua e
proprio in quel momento un altro personaggio che si trova sul motoscafo getta una cicca in mare, la
benzina prende fuoco e la ragazza viene investita dalle fiamme.
• Marcello si reca (visita) da Dolores, che vive in una casa-torre sul mare. Lei legge il suo manoscritto (del
romanzo che sta scrivendo), gli dà dei consigli e fa l’amore con lui (scene 58-64)
Questo ha portato all’eliminazione totale del personaggio di Dolores che doveva essere interpretato da
un’attrice austriaca di nome Luise Rainer. Il motivo è duplice: in primis, l’attrice creava problemi a Fellini
perché non era contenta del ruolo che doveva interpretare nel film e in secondo luogo è un personaggio
che risultava ridondante perché esisteva già Steiner ovvero l’amico intellettuale con cui Marcello parla del
suo libro e che gli dà consigli. Tuttavia, una porzione di quest’episodio viene conservata nel film: è una breve
sequenza che si svolge sulla veranda di una trattoria sul mare dove Marcello sta cercando di scrivere il suo
libro e si mette a parlare con una ragazzina di nome Paola che fa la cameriera lì e il cui primo piano occupa
l’ultima inquadratura del film.
In aggiunta, il protagonista è infedele e poligamo perché nel corso del film tradisce Emma più volte.
Tuttavia, non è un seduttore attivo e compulsivo come Fausto ma ha un atteggiamento piuttosto passivo e si
fa guidare dalle circostanze o dal caso il più volte (ad esempio, nel trascinare questo rapporto con Emma
nonostante i due non abbiano nulla in comune). Sia nei due episodi con Maddalena (quello all’inizio in cui è
presente anche una prostituta e quello alla fine nella villa dei nobili) e sia nell’episodio con Sylvia è sempre
la donna che prende l’iniziativa e dirige il gioco mentre lui non fa che assecondarla(satisfacerla).
L’amore nella casa della prostituta è una sorta di gioco perverso ideato da Maddalena e a cui lui si adatta,
ugualmente con Silvia si fa trascinare nelle varie situazioni (prima va a cercare il latte per il gattino, poi si
immerge nella fontana di Trevi). Al di là delle sue caratteristiche psicologiche, è importante sottolineare che
il personaggio di Marcello svolge una funzione narrativa fondamentale all’interno del racconto che è quella
di legare (enlazar) insieme i vari episodi del film. Non è solo un attore ma un osservatore degli eventi della
dolce vita romana: in primo luogo non è romano e quindi può avere uno sguardo esterno, in secondo luogo
ha un atteggiamento passivo nei confronti dell’esistenza e in terzo luogo è un giornalista scandalistico quindi
il suo mestiere è mostrare quel mondo.
Proprio per questi aspetti, Marcello rappresenta il tramite tra il film e lo spettatore: dal momento che “La
dolce vita” è stato paragonato da alcuni critici alla Divina Commedia, si potrebbe dire che Marcello è il
Virgilio che guida lo spettatore nell’Inferno della dolce vita romana.
Alcune scene risultano più lunghe nel film finito di come sarebbero state nella sceneggiatura perché il
dialogo è stato implementato, improvvisato o riscritto in sede di riprese e anche doppiaggio finale.
Lista degli episodi del film (forte somiglianza(parecido) con “Le notti di Cabiria” nel senso che entrambi i
film sono caratterizzati da una successione di un certo numero di episodi in qualche modo autonomi e
slegati l’uno dall’altro)
• Secondo Peter Bondanella il film si compone di un prologo introduttivo (il Cristo in elicottero), sette
episodi principali (gli stessi di Kezich) interrotti da un intermezzo (l’incontro con Paola) e un epilogo (la
scena finale alla spiaggia (playa): Marcello e altri personaggi).
• Antonio Costa suddivide il film in dodici sequenze, alcune delle quali segmentate in sottosequenze:
-Tentato suicidio di Emma (all’alba Marcello ritorna a casa dopo aver passato la notte con Maddalena)
3) Marcello e Sylvia
-Arrivo all’aeroporto
5) Il falso miracolo
6) Il salotto di Steiner (ricevimento a casa di Steiner)
-A casa di Fanny (la ragazza che lavora nel locale dove il padre si sente male e decide di andarsene)
10) Lite in auto (fra Marcello ed Emma: prima la butta fuori poi la riprende)
11) Il suicidio
12) L’orgia
-Lo spogliarello
-Sulla spiaggia (epilogo): Marcello e gli altri invitati escono dalla villa che si trova in riva al mare e a piedi si
recano sulla spiaggia dove c’è il mostro marino
LEZIONE 22:
Il Cristo in elicottero (prologo) -> in questa sequenza, Fellini segue il volo dell'elicottero e ci mostra una
serie di vedute di Roma particolarmente significative: prima vediamo il parco degli acquedotti romani che
si trova nella periferia della città e che rimanda evidentemente al passato e alla Roma antica mentre poi
andando avanti vengono mostrati una serie di quartieri ed edifici in costruzione che si riferiscono al
momento storico in cui il film è stato realizzato. Si tratta del cosiddetto miracolo economico tra la fine degli
anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60 in cui l'Italia è caratterizzata da uno straordinario sviluppo industriale e
produttivo che, da paese precedentemente agricolo, la porta a diventare una delle grandi potenze europee.
È un fenomeno rapido e molto vistoso che si accompagna anche al boom edilizio cioè all’espansione delle
città attraverso la costruzione di nuovi edifici e quartieri di cattiva qualità perché l’unico obiettivo era il
profitto e non si teneva nemmeno conto dell’ambiente e del paesaggio.
Inoltre, vengono riprese delle ragazze in bikini che prendono il sole accanto a una piscina sul tetto di un
palazzo e tramite le quali Fellini gioca sul rapporto tra sacro e profano. Infatti, pone l'accento su un effetto
collaterale del boom economico ovvero il mutamento dei valori e dei modelli di comportamento degli
italiani che in qualche modo si svincolano dall’influenza della Chiesa cattolica e cominciano a praticare uno
stile di vita più libero e spregiudicato. Successivamente, viene inquadrata la cupola di San Pietro in Piazza
San Pietro (Vaticano) che è la destinazione dell’elicottero. Quindi, questa sequenza è un’introduzione alla
Roma della dolce vita che sarà al centro del racconto perché molti elementi verranno ripresi nelle varie
location del film: l'eredità dell'antica Roma viene riproposta in maniera ironica-grottesca nella sequenza del
locale notturno chiamato Caracalla dentro alle terme con i camerieri vestiti da antichi romani, alcuni dei
palazzi in costruzione sono quelli della piazza San Giovanni Bosco dove si trova l’appartamento di Steiner e
infine la cupola di San Pietro la rivediamo nella sequenza in cui Anita sale sulle scale della cupola seguita da
Marcello. Potrebbe anche essere intesa come una sorta di benedizione un po’ ironica e satirica fatta da
questa statua di Cristo a una città che ormai ha ben poco di cattolico. Il film è stato attaccato violentemente
dalla Chiesa cattolica perché considerato offensivo e scandaloso però Fellini nelle sue interviste ha più volte
ribadito che “La dolce vita” è un film cattolico.
Al centro del film c’è una sequenza breve ma importante (intermezzo designato da Bondanella) cioè
l’incontro tra Marcello e Paolina (interpretata da una giovane attrice esordiente di nome Valeria
Ciangottini). Questa scena nella sceneggiatura originale faceva parte di un episodio più lungo cioè quello
dell’incontro tra Marcello e Dolores, un personaggio totalmente eliminato dal film ma che è stato
mantenuto identico cambiando la contestualizzazione. Inizia con Marcello che cerca di scrivere un romanzo
in riva al mare, poi la telefonata a Emma e il litigio con lei, successivamente il dialogo con Paola che all’inizio
lui non ha notato e ha trattato bruscamente chiedendole di smettere di cantare. Rimane attratto dalla
semplicità, dall’innocenza e dalla grazia di questa ragazzina così diversa dalle figure femminili che
abitualmente frequentava e la descrive come una creatura angelica. Paola ricompare alla fine del film dove
le viene riservata l’ultima inquadratura.
Finale del film (epilogo): non è totalmente isolato dal resto del film come il prologo ma è una sorta di
continuazione della scena dello spogliarello che avviene all’interno di una villa che si trova sul mare.
Quando Marcello e gli altri invitati vengono cacciati dal proprietario di casa che arriva all’improvviso, si
recano sulla spiaggia lì vicino. Si assiste al ritrovamento della carcassa (cadaver) di un pesce mostruoso che
era stato fabbricato per la sequenza e che viene portato a riva dentro una rete da dei pescatori. Il gruppo di
amici si ferma guardare il pesce: la macchina da presa insiste sugli occhi del pesce e poi c’è un momento in
cui c’è uno scambio di sguardi tra la creatura e Marcello. Poi Marcello si allontana e la sua attenzione viene
attirata da una voce fuoricampo che lo chiama ovvero quella di Paola. La ragazza si trova al di là di un corso
d’acqua che sfocia su quella spiaggia e che divide a metà il litorale mentre Marcello si trova dalla parte
opposta. Il protagonista non riesce a sentire ciò che gli dice e questo riprende in maniera ribaltata la
situazione del prologo quando egli cerca di rimorchiare le ragazze in piscina dall’elicottero ma quest’ultime
non lo sentono. Il dialogo fallisce: Marcello si allontana, volta le spalle alla ragazza e continua a camminare
sulla spiaggia insieme agli altri personaggi. A questo punto la macchina da presa abbandona Marcello e
inquadra Paola in primo piano che guarda un po’ verso il lato destro dove c’è Marcello e poi si volta verso
sinistra fino a guardare direttamente gli spettatori in sala (identica soluzione adottata in “Le notti di
Cabiria”).
Il significato simbolico del mostro marino non è esplicito né immediatamente interpretabile: potrebbe
essere un’immagine inconscia partorita da Fellini al momento della realizzazione del film però è
sicuramente qualcosa di negativo, oscuro, maligno, diabolico che fa venire in mente delle creature
mitologiche. Paola invece che si trova dall’altra parte del corso d’acqua si contrappone al mostro in quanto
figura angelica, salvifica che rappresenta l’innocenza e la purezza. Il significato del finale è abbastanza
chiaro: Marcello non attraversa il corso d’acqua che lo porterebbe da Paola, rimanendo dalla parte del
mostro dove ci stanno anche gli altri invitati alla festa e quindi, è del tutto evidente che rifiuta (niega) di
farsi salvare(salvado). Il protagonista nel finale prende coscienza del fallimento dei suoi sforzi e tentativi di
migliorare la sua vita sia sul piano professionale sia su quello sentimentale.
Tuttavia, è un finale aperto perché lo sguardo e il saluto di Paola potrebbe essere intesi anche come una
nota di speranza.
Marcello e Maddalena vanno in casa della prostituta: rappresenta in maniera capovolta l’episodio de “Le
notti di Cabiria” con Giulietta Masina e Amedeo Nazzari. In quel caso, la povera prostituta ha accesso alla
villa lussuosa del ricco divo del cinema mentre qui sono i ricchi che entrano nella misera casa in parte
allagata di una prostituta con l’auto di lusso. In entrambi i casi però la prostituta rimane fuori dalla stanza.
Esiste un film del 1961 cioè “Totò, Peppino e la dolce vita” diretto da Sergio Corbucci che è una parodia del
film di Fellini che utilizza le stesse scenografie ricostruite in studio di via Veneto. Viene riproposto lo
spogliarello, la scena dei nobili che fanno una seduta spiritica, la scena di Maddalena e Marcello che
entrano nel seminterrato allagato della prostituta (qui il seminterrato appartiene a Totò).
Episodio molto famoso è il bagno nella fontana di Trevi. Quando il tentativo di seduzione da parte di
Marcello della diva Sylvia sta raggiungendo il suo culmine, la fontana si spegne, l’incanto si rompe e
l’incontro tra i due personaggi si risolve in un nulla di fatto. Quando Marcello riporta all’hotel Sylvia, riceve
due schiaffi e un pugno nello stomaco dal marito di lei nonostante sia totalmente innocente.
Falso miracolo: riprende in maniera evidente l’episodio del pellegrinaggio del santuario del Divino amore
de “Le notti di Cabiria”. Anche qui sono presenti dei malati con il corpo paralizzato portati lì nella speranza
che si verifichi il miracolo. La differenza è la presenza dell’elemento mediatico. Infatti, il luogo in cui è
ambientato l’episodio è un grande set cinematografico o televisivo con delle torri su cui sono collocati dei
grandi riflettori per illuminare la scena con degli operatori pronti a riprendere con telecamere o macchine
da presa un evento che però in realtà non si verifica. In questo caso, Fellini ha trasformato l’attesa
dell’evento miracoloso nella riproduzione del lavoro che si svolge in un set. Da una parte si rifà al film
precedente, dall’altra parte anticipa il film successivo 8 ½ il cui protagonista è un regista. Questo episodio
unisce l’interesse antropologico che dimostra Fellini ne “Le notti di Cabiria” verso i fenomeni di devozione e
di religiosità popolare con una critica della spettacolarizzazione della realtà operata dai mass media.
Il primo incontro tra Steiner e Marcello avviene in una chiesa in cui Steiner suona una sonata di Bach con
l’organo. Poi c’è la sequenza più lunga del salotto (insieme ad altri invitati, Marcello si reca con Emma a casa
di Steiner che tiene un ricevimento), e infine il terzo episodio che avviene quasi alla fine ed è quello del
suicidio (Marcello riceve una telefonata, si reca all’appartamento di Steiner e apprende che l’amico non solo
si è suicidato ma ha addirittura ucciso i due figlioletti che adorava. I fotografi scandalistici si mettono a
fotografare la moglie di Steiner che non è stata ancora avvertita della disgrazia).
Il suicidio di Steiner e l’uccisione dei figli risulta totalmente inaspettato per lo spettatore. Nella sequenza
del ricevimento a casa di Steiner sono presenti forti indizi che in qualche modo preannunciano questo esito
drammatico e che non vengono colti adeguatamente dallo spettatore perché egli aderisce al punto di vista
di Marcello, il quale considera l’amico come un ideale di perfezione contrapposto alla sua incompiutezza.
Infatti, lo ritiene una persona felice e soddisfatta sia sul piano professionale in quanto è un intellettuale puro
che non è venuto a compromesso con la stampa scandalistica come nel suo caso sia sul piano affettivo
perché apparentemente è sposato con due figli che adora.
In realtà, Steiner non è affatto felice ma è psicologicamente tormentato e depresso e nasconde una
sofferenza (sufrimiento) interiore. A un certo punto, la poetessa inglese gli dice che è alto come una guglia
gotica e lui risponde: “Se mi vedessi nella mia vera statura, ti accorgeresti che non sono più alto di così”.
Questa battuta prima viene detta da lui, poi viene registrata al magnetofono e poi la risentiamo una terza
volta quando nell’appartamento quando c’è la polizia dopo il suicidio. Ma soprattutto, la parte più
significativa è il dialogo toccante che si svolge nella terrazza durante la festa tra Marcello e Steiner. Egli dice
che la solitudine gli pesa, che detesta la pace, fa riferimento al pericolo atomico dicendo che non è possibile
vivere un futuro radioso quando una telefonata può scatenare l’inferno e poi alla fine termina con la
ripetizione dell’aggettivo “distaccati” che presuppone una sua intenzione di abbandonare il mondo.
subito dopo la conclusione della lavorazione de “La dolce vita”, Fellini inizia una terapia psicanalitica con
uno psicologo di origine tedesca che viveva a Roma di nome Ernst Bernhard (1896-1965), seguace della
corrente psicologica junghiana. Carl Gustav Jung (1865-1961) è stato un importante psichiatra, psicologo e
filosofo svizzero. Entra inizialmente in contatto con Freud ma poi comincia a dissentire dalle posizioni
filosofiche di Freud finché nel 1913 fonda una propria scuola della psicologia analitica. La sua teoria è nota
per la classificazione degli individui in una serie di tipi psicologici e il concetto di inconscio collettivo che si
basa su degli archetipi cioè modelli antichissimi incontrabili nei miti e nelle leggende delle religioni del
folklore. Egli era fortemente interessato alla storia delle religioni, all’alchimia, esoterismo, astrologia e
quindi il suo pensiero ha una componente irrazionalistica che in Freud era totalmente assente.
Ernst Bernhard (su pscologo) nasce in una famiglia ebraica ma, quando in Germania nel 1933 sale il
nazismo, si trasferisce a Roma. Tuttavia, nel 1938 anche in Italia vengono applicate le leggi razziali e viene
internato in un campo di concentramento. Dopo essere stato rilasciato, vive a Roma nascosto per evitare di
essere deportato in un lager nazista. Quando la guerra finisce, Bernhard rimane a Roma e comincia
intensamente a esercitare il mestiere di psicanalista nello studio all’interno della sua abitazione seguendo il
metodo di Jung. Durante l’ultima fase della lavorazione de “La strada”, Fellini aveva avuto un fortissimo
esaurimento nervoso dal quale era riuscito a sollevarsi con fatica.
All’inizio degli anni ‘60 si stava diffondendo la moda della psicanalisi e infatti il suo studio ospitava anche
altri registi e attori. Si tratta di un’esperienza molto impegnativa perché per almeno quattro anni Fellini
frequentò il suo studio tre volte a settimana. Il metodo seguito da Bernhard era poco ortodosso e molto
informale rispetto alla psicanalisi freudiana: le sedute erano molto interlocutorie, veniva servito tè con
pasticcini per creare una situazione rilassante. Quest’esperienza fu molto importante per Fellini ed ebbe
influenze sul suo lavoro: 1) Bernhard gli consigliò la lettura di una serie di opere di Jung da cui rimase
affascinato; 2) Bernhard fa conoscere a Fellini “I ching” o “Libro dei mutamenti” ovvero un antico manuale
di divinazione cinese usato per avere sia delle predizioni relative al proprio futuro, sia per avere
suggerimenti in caso di situazioni difficili. Anche Fellini comincia a utilizzarlo nei momenti difficili; 3)
Bernhard dedica molto spazio alla descrizione e all’interpretazione dei sogni e gli consiglia di trascrivere i
propri sogni. Fellini segue questo consiglio e dal 1960 comincia ad annotarli non solo in forma scritta ma
anche con dei disegni. Nasce il “Libro dei sogni” di Federico Fellini cioè un diario illustrato in cui ha
riportato indicando la data precisa i suoi sogni più significativi dal 1960 al 1990. Viene pubblicato da Rizzoli
nel 2007 (il primo sogno è datato 30.11.1960). Questo interesse per il sogno ha una grossa ricaduta sul suo
lavoro cinematografico perché i primi film di Fellini fino a “La dolce vita” sono caratterizzati da un approccio
realistico e non ci sono quasi mai visioni oniriche. Invece a partire da 8 ½, cioè il primo lungometraggio
realizzato dopo l’incontro con Bernhard, la dimensione onirica comincia a diventare una componente quasi
fissa del suo cinema.
Prima di lavorare a 8 ½, Fellini partecipa a un film collettivo cioè “Boccaccio ’70” (1962) diretto da Vittorio
De Sica, Federico Fellini, Mario Monicelli e Luchino Visconti. Il tema unificante dei quattro episodi era quello
dell’erotismo e della censura. L’episodio diretto da Fellini si chiama “Le tentazioni del Dottor Antonio” ed è
un mediometraggio in quanto dura più di 50 minuti. I due interpreti principali sono Peppino de Filippo
(protagonista di “Luci del varietà”) e Anita Ekberg. Si tratta del primo film a colori in assoluto diretto da
Fellini, il quale realizzerà successivamente soltanto un ultimo film in bianco e nero cioè 8 ½ per poi
convertirsi al cinema a colori. È inoltre girato interamente nel quartiere dell’E.U.R. Mentre fino a “La dolce
vita” Fellini aveva adottato un approccio di tipo realistico, adesso sceglie un registro fiabesco, surreale e
fantastico che si accompagna a una fortissima componente comico-grottesca.
Il protagonista si chiama Antonio Mazzuolo ed è un uomo puritano e bigotto (intolerante) la cui missione
nella vita consiste nel combattere l’immoralità e l’oscenità. Quindi, lo vediamo sgridare le coppiette che si
appartano in auto nel parco, salire sul palcoscenico e interrompere lo show perché le ballerine sono poco
vestite, stracciare i poster delle riviste pornografiche affisse in un’edicola. Inoltre, in un episodio famoso
schiaffeggia(abofetea) una donna con le spalle nude. Questo alluderebbe a un fatto accaduto nel 1950 a
Roma e che ha come protagonista Oscar Luigi Scalfaro, uomo politico democristiano e anche Presidente
della Repubblica noto per il suo moralismo. Mentre d’estate si trovava con altri politici in un ristorante
romano, aveva notato una donna seduta a un altro tavolo che si era tolta la giacca. Allora si era alzato per
rimproverarla e secondo alcuni l’aveva addirittura schiaffeggiata come succede nel film di Fellini. Attraverso
questa scena, il regista pare si sia vendicato nei confronti del politico che aveva scritto degli articoli negativi
nei confronti de “La dolce vita” pubblicati anonimi su “L’osservatore romano”.
Nel film a un certo punto viene montato accanto al palazzo dove abita il protagonista un gigante cartellone
pubblicitario che mostra Anita sdraiata su un divano con abito succinto e sguardo provocante. Allora il
protagonista perde la testa e inizia una battaglia presso le autorità civili e religiose per farlo rimuovere. Poi
alla fine ci riesce, decide di intervenire personalmente e imbratta l’immagine di Anita. Quando la questione
sembra risolta, il protagonista impazzisce e sembra avere delle allucinazioni: nella scena finale, il dottor
Antonio vede Anita che scende dal manifesto e comincia ad aggirarsi(deambular gigantesca all’interno
dell’E.U.R. Successivamente, comincia una battaglia fra i due ma alla fine il protagonista ne rimane
profondamente attratto e da qui il titolo dell’episodio. Nino Rota per il film inventa la canzoncina ripetuta
più volte “Bevete più latte” cantata da un coro infantile.
8 ½ (1963): Il titolo si riferisce al numero dei film diretti da Fellini fino a quel momento: sette (“Lo sceicco
bianco, “I vitelloni”, “La strada”, “Il bidone”, “Le notti di Cabiria”, “La dolce vita”, “Le tentazioni del Dottor
Antonio”) e mezzo (“Luci del varietà”, diretto con Alberto Lattuada). Il calcolo funziona però se si esclude
dall'elenco “Agenzia matrimoniale”, episodio de “L'amore in città”. La sceneggiatura è firmata da Fellini,
Tullio Pinelli, Ennio Flaiano e Brunello Rondi (lo troviamo anche in “La dolce vita”, “Le tentazioni del Dottor
Antonio”, “8 ½” e “Giulietta degli spiriti”).
L’idea iniziale del film risale al 1960 ma è troppo vaga. In primo luogo Fellini stabilisce che il protagonista
del film deve essere un uomo sulla quarantina sposato e con un’amante fissa che passa un breve periodo
di vacanza in uno stabilimento termale per riposarsi e curare la propria salute. Tuttavia, in questa
sospensione delle routine quotidiana, egli comincia a ripensare alla propria vita, al passato, alle donne che
ha amato ed entra in crisi.
Il secondo aspetto di questo soggetto è che il film doveva essere un ritratto a più dimensioni, cioè non
doveva mostrare soltanto avvenimenti reali ma visualizzare anche ricordi, sogni, pensieri e fantasie del
protagonista, alternando dunque uno sguardo oggettivo(mirada objetiva) e uno sguardo soggettivo(sub) e
immaginario in una sorta di flusso di coscienza en una especie de flujo de conciencia.
Si tratta di un’idea nuova rispetto ai film precedenti che in continuità con la traduzione del neorealismo
adottano invece uno sguardo esterno e non ci fanno mai accedere all’interiorità dei personaggi. Quindi, un
punto di svolta fondamentale motivata dall’esperienza della psicanalisi con Bernhard.
Questo spunto iniziale per 8 ½ era molto generico e non prevedeva l’idea di una trama narrativa con inizio,
svolgimento e fine. Inoltre, non riusciva a decidersi su quale dovesse essere la professione del protagonista.
Inizialmente aveva pensato a un avvocato ma poi si era reso conto che non sapeva nulla di quel mondo, poi
aveva pensato a scrittore, architetto, professore universitario ma non era convinto. Nello stesso tempo però
la macchina della produzione del film si era già messo in moto: gli attori del cast erano già stati scelti, si era
già cominciato a costruire le scenografie del film e quindi Fellini era sempre di più sotto pressione. Allo
stesso tempo non riusciva ad andare avanti, a precisare e sviluppare la trama del film nonostante gli attori
che erano stati interpellati lo tormentassero chiedendogli quale fosse il personaggio che dovevano
interpretare. In questa situazione Fellini entra in crisi e comincia a non avere più voglia di girarlo finché in
un certo momento al culmine della disperazione, dopo aver ricevuto auguri e brindisi dalle maestranze
ignare della decisione del regista, cambia idea e straccia la lettera che aveva scritto al produttore Rizzoli.
All’ultimo momento, nel 1962, quando manca poco più di un mese all’inizio delle riprese partorisce l’idea
vincente: il protagonista è un regista cinematografico che racconta nel film la storia della lavorazione di 8 ½,
le difficoltà, le incertezze che aveva avuto durante la stesura della sceneggiatura (una sorta di
documentario).
Gli attori fino all’ultimo momento non sapevano le battute che dovevano pronunciare perché in sostanza
non esistevano ancora. La sceneggiatura viene scritta in parte anche quando erano già iniziate le riprese.
Questo poi comporta che se paragoniamo la sceneggiatura con il film troviamo enormi differenze. Un film
partito negativamente diventa un’opera considerata come uno dei capolavori della storia del cinema. Venne
infatti premiato anche questo con un premio oscar come miglior film straniero.
LEZIONE 24: Personaggi e interpreti
• Marcello Mastroianni -> Guido Anselmi: inizialmente Fellini voleva scritturare Laurence Olivier ed era
andato a Londra per parlare con lui. Dopo l’incontro però si convince che non è l’attore adatto per il suo
film e si rivolge a Mastroianni che viene invecchiato con rughe finte e capelli brizzolati. All’epoca aveva
38 anni mentre il personaggio del film doveva averne più di 40.
• Anouk Aimée -> Luisa (moglie del protagonista): Fellini le fa tagliare i capelli e portare gli occhiali. È un
personaggio di cattivo umore e arrabbiato.
• Sandra Milo (1933-) -> Carla (amante) nasce a Tunisi. Nella seconda metà degli anni 50 compare in
diversi film e nel 1961 interpreta come protagonista assoluta un film di Rossellini ovvero “Vanina
Vanini” che viene stroncato alla mostra di Venezia ed è un totale insuccesso commerciale. Per questo
pensa di ritirarsi ma poi cambia idea e nel 1962 accetta la proposta di Fellini. Dopo la sua morte, ha
raccontato che sul set di 8 ½ sarebbe scoppiato un grande amore e che avrebbero avuto una relazione
clandestina durata addirittura 17 anni. È presente anche con un ruolo importante in “Giulietta degli
spiriti”.
• Claudia Cardinale (1938-) -> Claudia (attrice scritturata da Guido per recitare una parte nel suo film):
nasce a Tunisi e inizia a recitare quando ancora viveva in Tunisia interpretando nella seconda metà degli
anni ‘50 un film di produzione franco-tunisina. Poi nel 1958 esordisce nel cinema italiano interpretando
una parte nella commedia di Mario Monicelli cioè “Soliti ignoti”. Tra la fine degli anni ‘50 e inizio anni
‘60 interpreta diversi film importanti come “La ragazza con la valigia” (1961) di Valerio Zurlini e “Il
gattopardo” (1963) di Luchino Visconti con ruolo da protagonista. Negli anni ‘60 diviene una delle più
importanti dive italiane e interpreta “C’era una volta il West” (1968) di Sergio Leone.
• Barbara Steele (1937-) -> Gloria (fidanzata di Mezzabotta): è un’attrice britannica famosa che ha
recitato anche in Italia come interprete di film horror a basso costo come “La maschera del demonio”
(1960) di Mario Bava o “Il pozzo e il pendolo” (1961) di Roger Corman.
• Rossella Falk (1926-2013) -> Rossella (la migliore amica di Luisa, moglie del protagonista)
• Madelaine LeBeau (1923-2016) -> Madelaine: attrice francese non più giovanissima, insicura e fragile
che tenta di instaurare un dialogo con Guido, il quale invece cerca di evitarla il più possibile.
• Eddra Gale (1921-2001) -> Saraghina (prostituta che si esibisce sulla spiaggia per dei ragazzini in un
flashback): attrice americana che era anche una cantante lirica che ha interpretato qualche particina in
alcuni film.
• Mario Pisu (1910-1976) -> Mario Mezzabotta: produttore che si è messo con una ragazza straniera
molto giovane abbandonando la sua famiglia precedente e tentando di apparire più giovanile di quanto
non sia
• Annibale Ninchi -> Padre di Guido: compare solo in un sogno ambientato al cimitero. Era l’attore che
interpretava il padre di Marcello ne “La dolce vita”
• Jean Rouguel (1905-1978) -> Daumier, l’intellettuale: è il critico cinematografico presente dall’inizio alla
fine del film che commenta sempre in maniera devastante il film che Guido sta girando. Steiner è pacato
e dai modi affabili, al contrario lui è arrogante, saccente e sembra che alcune cose che dice siano
prelevate da recensioni dei film di Fellini scritte da critici italiani.
• Ian Dallas (1930-2021) -> Maurice, il telepata: illusionista che si esibisce nell’hotel indovinando i
pensieri delle persone e compare nel finale del girotondo con la musica di Rota.
• Tito Masini -> Cardinale: altro personaggio importante che si trova alle terme con il quale Guido ha due
incontri)
• Location autentiche:
-La spiaggia (playa) che si vede nel flashback della Saraghina girato sul litorale di Ostia
-Il collegio religioso dove si trova il protagonista Guido situato a Viterbo (sempre nel flashback)
-Location del dialogo tra Guido e Claudia (si tratta di un paesino(pueblo) in provincia di Roma che si chiama
Filacciano)
-La casa di campagna della nonna di Guido che si vede nel primo flashback quando gli viene fatto il bagno
in una grande tinozza insieme ad altri bambini. La stessa scenografia viene utilizzata nella sequenza
dell’harem e anche lì Guido fa il bagno da adulto nella tinozza accudito dalle donne.
-Sala dei confessionali che hanno una forma sinistra e minacciosa con delle specie di chele nella parte
superiore
-La hall dell’albergo termale di Guido (per le dimensioni molto grandi questi ambienti non sono stati
registrati all’interno di uno studio cinematografico ma di un grande palazzo costruito come edificio museale
che si trova all’E.U.R. All’epoca era vuoto e aveva un enorme piano terra che è stato rivestito da elementi
architettonici)
-L’enorme rampa di lancio per un’astronave tutta composta di tubi (esempio di elemento artificiale che
interagisce con un ambiente reale perché è stato costruito all’aperto, precisamente in un campo vicino alla
spiaggia di Ostia)
• Location autentiche modificate con interventi dello scenografo Piero Gherardi (ha vinto il suo secondo
oscar per i costumi di 8 ½)
-Il cimitero in cui è ambientato il secondo sogno di Guido è stato allestito all’interno di una grandissima
zona militare dismessa che si trovava alla periferia di Roma (Cecchignola). La lunga muraglia è ancora
esistente.
-Il giardino dello stabilimento termale (balneario) dove viene distribuita l’acqua curativa ai pazienti. Questo
giardino è stato allestito all’Eur all’interno di uno spazio verde.
-La facciata dell’hotel termale che si vede brevemente soltanto due volte nel film. È stata usata una
gigantografia di un vero hotel che poi è stata posta sullo sfondo appoggiata a una casa che c’era dietro.
Dopodiché poi sono stati aggiunti gazebi, tavolini in una specie di parco. Le immagini bidimensionali sono
usate anche nel sogno iniziale dell’ingorgo di traffico quando i personaggi sono tutti immobili all’interno
dell’autobus
-La stazione della cittadina termale dove è ambientato il film è una sorta di capannone ferroviario dismesso.
Fellini ha voluto che sia l’arredamento dello stabilimento termale sia gli abiti dei personaggi femminili
fossero in uno stile retrò, antiquato in modo tale da raccontare una vicenda ambientata nel presente ma
che per le atmosfere e i costumi ricordasse il passato (vestito di Sandra Milo con cappellino e veletta ad
esempio).
I due finali: tra la sceneggiatura originale del film e il film finito ci sono grossissime differenze, in particolare
nel finale. Dopo la conferenza stampa disastrosa che si svolge alla fine del film in cui Guido viene aggredito
dai giornalistici che lo insultano, si nasconde sotto il tavolo e decide di non fare più il film, ci sono le ultime
scene che ci mostrano il protagonista che sta partendo insieme alla moglie dall’hotel termale per ritornare a
casa. Il finale si articolava in tre brevi scene: la prima in cui Guido e Luisa si trovano su un pulmino
dell’hotel che li sta portando alla stazione e discutono della loro relazione ma soprattutto di una loro
possibile separazione; segue una seconda breve scena in Guido e Luisa stanno aspettando il treno e
proseguono il dialogo nel quale Guido vorrebbe che rimanessero insieme mentre Luisa sembra sempre più
decisa a chiudere la relazione; la terza scena si svolge all’interno del vagone ristorante con i due in silenzio
e con Guido che a un certo punto vede comparire tutti i personaggi principali del film della parte
precedente come Carla, la Saraghina, sua madre, il cardinale ecc. Anche nel finale che è stato scelto
ricompaiono e poi c’è un girotondo intorno alla rampa di lancio dell’astronave. Fellini nello stesso periodo
decise di girare un cortometraggio a scopo professionale per pubblicizzare il film. Infatti, pensò che invece
di fare il solito trailer costituito da un montaggio di frasi del film, sarebbe stato più originale girarne uno
indipendente con immagini diverse. Alla fine, Fellini ne fu così entusiasta che decise di usarlo come finale
del film al posto di quello che aveva pensato inizialmente. Il finale previsto dalla sceneggiatura era stato già
girato ed è andato perduto però fortunatamente un fotografo durante le riprese aveva scattato delle foto di
scena quindi sappiamo almeno come fosse fatto.
Abitualmente Fellini durante le riprese trasmetteva della musica per ispirare gli attori e quella utilizzata
durante le riprese di 8 ½ è un brano famosissimo che si chiama Entrata dei gladiatori (composto nel 1899
da Julius Fucik, compositore ceco specializzato in marce militari). In alcune scene del film ci sono brani di
musica classica (Cavalcata delle valchirie, Gazza ladra). Fellini all’inizio voleva utilizzare l’Entrata dei
gladiatori ma poi decise di commissionare a Nino Rota un brano analogo che è diventato a sua volta un
tema musicale associato al circo dato che c’è la marcia dei clown con gli strumenti musicali.
Il personaggio di Guido è caratterizzato in maniera fortemente negativa. Sul piano professionale ha il difetto
di molte persone che occupano ruoli di potere cioè di trattare con sufficienza, disprezzo o arroganza i
sottoposti come nel caso del povero direttore di produzione Conocchia che gli dice di essere cambiato. È un
artista reso presuntuoso e arrogante dal suo successo.
Identificando il personaggio di Guido con Fellini, è possibile parlare di un articolo cattivissimo scritto dalla
giornalista Oriana Fallaci nel 1963 che racconta che aveva conosciuto Fellini a New York nel 1957 all’epoca
dell’oscar per “Le notti di Cabiria” e avevano fatto amicizia in quanto il regista era simpatico e alla mano.
Successivamente, lo ricerca nel 1963 per intervistarlo dopo il successo e l’oscar di 8 ½, Fellini accetta ma poi
le da buca in continuazione finché le propone di fare un viaggio in aereo insieme ma alla fine non si
presenta. La morale è che Fellini in seguito agli oscar e ai successi americani si era montato la testa e non
era più quello di un tempo.
El protagonista l’altro aspetto che emerge è che non ha nessuna empatia e considerazione nei confronti dei
suoi collaboratori come, per esempio, Madelaine ovvero l’attrice francese che tenta di istaurare un rapporto
parlandogli dei suoi problemi e delle sue insicurezze ma lui non vede l’ora di andarsene trovando mille scuse
diverse. Oltretutto risulta sempre molto irritato quando assiste a manifestazioni emotive da parte di un
altro personaggio: A conocchia dice “Ma cosa fai? Piangi? Non ti vergogni?”. Per quanto riguarda la vita
sentimentale, è infedele e poligamo: è sposato, ha un’amante fissa e inoltre dalla sequenza dell’harem si
capisce che ha avuto un’intensa vita amorosa anche in precedenza. È inoltre estremamente egoista e
insensibile nei confronti delle donne con cui si relaziona, specialmente con l’amante Carla: la fa alloggiare
in una persona bruttina, la lascia sempre sola e quando lei lo chiama perché ha la febbre alta, lui reagisce in
maniera infastidita e va a trovarla solo per dovere. Per quanto riguarda il rapporto con la moglie Luisa, tutte
le volte che lei cerca di arrivare a un chiarimento della loro situazione, lui sfugge da qualsiasi discussione e
non sa fare altro che usare delle scuse assolutamente inverosimili e incredibili come quando si inventa di
non sapere nulla di Carla e del fatto che si trovi all’hotel termale. Lo stesso avviene sul piano lavorativo: il
suo obiettivo per tutto il film è quello di sfuggire dalle sue responsabilità e quindi dal produttore e ai suoi
assistenti che gli chiedono informazioni sul film. Poi ha un atteggiamento maschilista che si riflette
perfettamente nella sequenza dell’harem in cui quando è seduto a tavola con le altre donne dice: “Mie care,
la felicità consiste nel dire la verità senza fare mai soffrire nessuno”. Quindi, l’idea di un personaggio che
vuole essere libero di fare quel che gli pare senza dovere rispondere a nessuno delle proprie azioni. Le
caratteristiche che ricerca nelle donne sono che accettino la sua poligamia e che non siano gelose l’una
dell’altra ma si vogliano bene (la fantasia dell’harem inizia con una scena in cui Luisa e Carla solidarizzano e
si trattano amabilmente sorridendo). Inoltre, devono essere dedite al suo accudimento come Luisa vestita
da donna di casa di una volta che fa i lavori domestici all’interno della fattoria. Questa sequenza non solo
esprime la fantasia di un completo dominio sulla donna, rappresentato dall’immagine di Guido con la frusta
da domatore da circo ma rinvia anche al flashback infantile dove il piccolo Guido viene accudito dalla
nonna e altre donne, immerso in una tinozza(bañera). Si tratta di un sogno regressivo con un desiderio di
ritorno alla condizione infantile in cui veniva allo stesso modo accudito dalle donne della sua vita.
Fellini viene definito molto spesso maschilista ma al contrario la sequenza dell’harem è una fantasia
autocritica e di matrice femminista che denuncia e deride l’immagine del maschio italico.
• FLASHBACK (sequenza che si colloca nel passato rispetto al presente della narrazione. Viene introdotto
o in maniera più oggettiva attraverso un racconto che poi viene sostituito da una sequenza audiovisiva
oppure può essere presentato come un avvenimento ricordato e filtrato soggettivamente da un
personaggio come accade in 8 ½)
-Asa Nisi Masa: prende le mosse da una sorta di formula magica che pronuncia una bambina più grande e
che viene indovinata dall’illusionista. È stato osservato che la prima parte di queste tre parole contiene le
tre sillabe della parola anima a-ni-ma.
-La Saraghina: questo flashback interviene durante la sequenza del primo incontro con il cardinale nel
parco dello stabilimento termale. Il protagonista si distrae vedendo una donna che in questa sua posa di
tenersi sollevata la gonna gli ricorda la Saraghina però il flashback è suscitato anche dall’associazione con il
cardinale e la donna corpulenta. Quindi, come Guido bambino ha dovuto duramente fare i conti con la
Chiesa cattolica, così da grande pur essendo un regista di successo e affermato è ancora costretto a
ingraziarsi un cardinale e organizzare un colloquio con lui. Questo ricorda quando Fellini per paura che “Le
notti di Cabiria” venga censurato, dovette organizzare una proiezione privata per il cardinale Siri di Genova.
Nonostante la sua dichiarazione di apoliticità, i suoi film sono pieni di elementi che rimandano alla realtà
politica presente e passata. Il flashback si apre con un edificio in stile fascista che è il collegio frequentato
dal piccolo Guido. Segue poi un’inquadratura dall’alto in cui vediamo il protagonista schiacciato da una
statua di un papa. L’episodio è coerente storicamente in quanto, considerando che Guido ha una decina
d’anni, si svolge nella metà degli anni ‘30 cioè nel pieno del periodo fascista. Inoltre, nel 1929 c’erano stati i
Patti Lateranensi firmati da Mussolini che avevano segnato la riconciliazione tra Chiesa e Stato (società
oppressa da due poteri). Poi c’è l’episodio sulla spiaggia della Saraghina accompagnato da una rumba.
Quando guido viene sorpreso dai preti a ballare con la donna, viene inseguito e catturato e la sequenza
diventa accelerata come una comica del periodo del muto. Questo si scontra con le immagini macabre e
inquietanti della parte finale come la mummia di una santa e i confessionali a forma appuntita. Altro aspetto
interessante è che i preti sono tutti interpretati da anziane signore. Vi è un accostamento di sacro e
profano: prima il bambino che prega e la statua della Madonna e poi attraverso una dissolvenza si passa
dalla statua della madonna alla spiaggia dove Guido ritorna a incontrare la Saraghina. La punizione non ha
fatto il suo effetto, quindi nonostante l’umiliazione l’attrazione del ragazzino nei confronti di questa donna
continua.
Solo in parte autobiografico perché non si sa con certezza dato che Fellini era un grande
bugiardo(mentiroso).
-L’ingorgo (sequenza di apertura del film): compaiono elementi che lo spettatore ancora non conosce come
Carla, la rampa di lancio. Viene catturato da uno dei manager di Claudia, l’attrice del film e rappresenta il
voler sfuggire alle responsabilità.
-I genitori: compare nella prima parte del film ma un po’ più avanti. È ambientata nel cimitero in cui il
protagonista interagisce con il padre e la madre.
• “SOGNI A OCCHI APERTI” (visualizzano situazioni che non sono reali ma immaginate dal protagonista da
sveglio)
-La ragazza della fonte: la presenza di Claudia viene anticipata attraverso immagini mentali. Inizialmente
quando all’hotel termale vengono distribuiti bicchieri con l’acqua curativa e poi quando gli appare nella
stanza d’albergo durante la notte. Compare in carne e ossa solo alla fine del film quando arriva in hotel.
-La sequenza dell’harem (introdotta da Luisa e Carla, moglie e amante, che vanno d’amore e d’accordo): è
lunga mentre le altre sono brevi e rapide
-L’impiccagione di Daumier: nella sequenza in cui vengono visionati i provini, Guido ordina ai suoi sottoposti
di giustiziare il critico cinematografico Daumier e vediamo il personaggio impiccato a una corda nella sala di
proiezione. Poi lo ritroviamo tra i personaggi quindi capiamo che è un’immagine mentale.
-Conferenza stampa: Roberto Chiesi sottolinea che il suicidio a cui assistiamo quando Guido va sotto il
tavolo, estrae la pistola e si spara è una fantasia del personaggio. Infatti, lo vediamo poi alla fine vivo come
se nulla fosse successo. In questa sequenza non si capisce quando comincia la realtà e finisce la fantasia e
viceversa perché è girata con uno stile grottesco, esagerato e irrealistico: una conferenza stampa non
funziona con giornalisti e intervistatori che parlano contemporaneamente e si lanciano contro il banco degli
intervistati. Sia l’immagine della moglie Luisa vestita da sposa che quella della madre nella spiaggia sono sue
fantasie. Potrebbe essere un sogno del protagonista ma se leggiamo la sceneggiatura sappiamo che non è
così perché alla fine Guido rinuncia realmente a girare il film.
Nella prima parte del film la separazione tra momenti soggettivi e oggettivi è chiara e netta quindi si
riescono sempre a distinguere mentre man a mano che si va avanti e soprattutto nel finale i due livelli si
confondono e non si capisce più cosa avviene nella realtà e cosa avviene nella mente del protagonista.
8 ½ appartiene a un vasto filone di film ambientati nel mondo del cinema con attori, produttori,
sceneggiatori come protagonisti e che, nonostante le differenze, ci mostrano le varie fasi della realizzazione
e produzione di un film. Il cinema sul cinema ovviamente non è un’invenzione di Fellini ma ne troviamo
tantissimi in America già nel periodo del muto e in quello del cinema sonoro negli anni ’30, ‘40 e ‘50.
“Maschere di celluloide” (1928) di King Vidor: film muto con trama classica della ragazza di provincia che
arriva a Hollywood in cerca di fortuna e diventa una diva famosa.
“È nata una stella” (1937) di George Cukor: racconta la relazione d’amore tra una giovane attrice emergente
e una star un po’ più vecchiotta e in declino. L’ultima versione è quella con Lady Gaga in cui l’azione viene
spostata nel mondo della musica rock.
“Viale del tramonto” (1950) di Billy Wilder: racconta il rapporto tra uno sceneggiatore hollywoodiano e una
diva del muto in pensione.
La caratteristica principale di questi film americani è che erano incentrati sugli attori, divi e dive
hollywoodiani. Invece 8 ½ è stato il primo film sul cinema totalmente incentrato sulla figura del regista e
questo riflette il contesto del cinema europeo tra gli anni ‘50 e ‘60 in cui l’idea del regista come artista e
autore assoluto del film era dominante. Esso ha influenzato molti film successivi ambientati nel mondo
cinema e incentrati sulla figura del regista come: “Il mondo di Alex” (1970) di Paul Mazursky dove è
presente anche Federico Fellini, “Effetto notte” (1973) di Francois Truffaut dove interpreta egli stesso il
regista, “All That Jazz” (1979) di Bob Fosse, “Stardust Memories” (1980) di Woody Allen.
Giulietta degli spiriti (1965): ha come protagonista assoluta Giulietta Masina. L’attrice aveva goduto di
un’enorme notorietà internazionale con i primi due film interpretati da lei come protagonista e diretti da
Fellini cioè “La strada” e “Le notti di Cabiria”. Successivamente aveva avuto esperienze professionali
negative, recitando in alcuni film che non avevano avuto alcun successo commerciale come “Fortunella”
(1958) che voleva ripetere un personaggio simile a quello di Gelsomina. Di conseguenza, stava perdendo la
sua fama e faceva fatica a lavorare. Quindi Fellini decide di fare un film totalmente incentrato su di lei.
Potrebbe essere definito un 8 ½ al femminile per il fatto che è il ritratto di una donna a più dimensioni,
quindi con l’alternanza tra scene oggettive e ricordi, flashback, fantasie, sogni a occhi aperti. È la storia di
una donna di estrazione alto borghese che si trova come Guido nella crisi di mezz’età e che sente con
preoccupazione il suo invecchiamento. Il marito la tradisce (engaña) e allora assolda un investigatore
privato per scoprire la verità sulla sua doppia vita.
È il primo lungometraggio a colori di Fellini e sul piano narrativo è molto più frammentario persino di 8 ½.
Gli altri interpreti principali sono Mario Pisu (Giorgio) che interpreta il marito infedele di Giulietta ma che
non è spesso presente in scena in quanto è un film al femminile, Sandra Milo (Susy) cioè una donna che
vive nelle vicinanze e con cui Giulietta fa amicizia e Valentina Cortese (Valentina).
Questo film viene girato nel periodo in cui Fellini manifesta maggiormente il suo interesse verso
l’occultismo, spiritismo, paranormale. In effetti è presente una sequenza dove Giulietta partecipa a una
seduta spiritica. Fu un totale insuccesso commerciale e venne accolto negativamente dalla critica per il fatto
che è privo di un intreccio unitario, troppo lungo e si fa fatica a seguirlo. Le parti migliori sono quelle di
contenuto onirico come la scena a metà strada tra fantasia e flashback che racconta un episodio del passato
della famiglia di Giulietta.
LEZIONE 26: “Il viaggio di G. Mastorna” -> sceneggiatura per un film non realizzato scritta da Fellini fra il
1965 e il 1966 con la collaborazione di Dino Buzzati e Brunello Rondi.
“Giulietta degli spiriti” segna una fase di transizione e l’inizio di un nuovo periodo per la carriera di Fellini. È
l’ultimo film a cui collaborano come sceneggiatori Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano. Con Flaiano ci furono
diverse incomprensioni e quindi non avranno più rapporti. Invece con Pinelli non c’è una vera e propria
rottura: resteranno amici tanto che egli collaborerà con il regista a uno dei suoi ultimi film ovvero “Ginger &
Fred”. Fellini comincia a girare i suoi film senza rispettare la sceneggiatura che diventa una sorta di piano di
lavoro che può essere modificato totalmente durante le riprese. Pinelli al contrario era uno sceneggiatore
tradizionale che creava storie ben strutturate. Contatta allora lo scrittore Dino Buzzati (1906-1972)
chiedendogli di collaborare alla scrittura della sceneggiatura del suo nuovo film. Poco tempo prima aveva
letto un suo racconto breve del 1938 pubblicato sulla rivista Omnibus e intitolato “Lo strano viaggio di
Domenico Molo”. Era un racconto fantastico nel quale il protagonista all’inizio moriva e andava nell’aldilà
ovvero il tema che aveva proprio pensato il regista come soggetto. Viene anche aiutato da Brunello Rondi. Il
protagonista del film che si chiama Giuseppe Mastorna è un violoncellista che si trova su un aereo che di
ritorno in Italia dopo la fine di una tournée che ha fatto in Germania. A un certo punto l’aereo entra in
tempesta, ci sono lampi e fulmini, manca la luce, perde quota e viene annunciato che ci sarà un atterraggio
di emergenza. Tuttavia non precipita, esce dalla tempesta, continua il suo viaggio e arriva a sorvolare una
grande città fino ad atterrare nella piazza principale rimanendo intatto e con i passeggeri sani e salvi.
Quest’ultimi vengono fatti salire su un pullman e portati in un albergo. Il protagonista si addormenta nella
sua stanza ma viene svegliato da un inserviente che gli dice di prendere le valigie e seguirlo. Lui crede che
sia pronto un altro volo per tornare in Italia ma in realtà questo facchino si mette a camminare a piedi per la
città e lui lo segue facendo fatica perché va velocissimo.
La città è enorme e piena di traffico e quindi lo perde di vista. Chiede a dei poliziotti dove sia l’aeroporto ma
nessuno gli risponde. A un certo punto un personaggio si offre di accompagnarlo in macchina alla stazione
per prendere un treno. A un certo punto vede da un treno una persona che lo saluta con la mano e dice
“Ma come? È morto da 20 anni!”. Allora capisce di essere stato vittima di un disastro aereo e di trovarsi
nell’aldilà. Quindi nella prima parte non viene detto subito che è morto, poi la storia prosegue e viene
raccontato il viaggio di Mastorna nell’aldilà. Fellini mentre sta lavorando a questa sceneggiatura propone di
produrre il film a Dino de Laurentis che accetta. Per il ruolo del protagonista viene scelto ancora
Mastroianni e inoltre vengono costruite le scenografie a grandezza naturale nei pressi di Roma negli studi
cinematografici del produttore (Dinocittà). Man a mano che si avvicina il momento dell’inizio delle riprese,
Fellini comincia ad avere dubbi su questo film e si accorge che non ha più voglia di farlo. Come nel caso di 8
½, scrive una lettera a De Laurentis per comunicargli che non ha più intenzione di dirigere il film. Questo lo
manda su tutte le furie dato che le scenografie costruite erano costate moltissimo. Tramite vie legali, si
arriva a un accordo: De Laurentis ritira le sue denunce ma Fellini è costretto a girare il film. Nel frattempo
sono già passati due anni (1967) e, non essendo più disponibile Mastroianni, viene scritturato Ugo Tognazzi.
Il 10 aprile 1967 Fellini ha un malore, tenta di avvicinarsi al telefono per chiamare Giulietta che era uscita e
rimane svenuto per diverso tempo. Viene portato d’urgenza in ospedale ma poi si riprende. Fellini nel suo
profondo non voleva fare questo film: la morte e vita dopo la morte erano dei temi che lo angosciavano,
essendo molto superstizioso. Il progetto(proyecto) viene quindi accantonato(archivó) definitamente.
“Block-notes di un regista” (1969): mediometraggio di una 50 minuti diretto da Fellini per un’emittente
televisiva americana ma poi anche trasmesso in Italia. È un film a metà strada tra finzione e documentario:
è incentrato sul lungometraggio successivo che sta cominciando a realizzare cioè “Fellini Satyricon” ma
contiene alcune scene che parlano del viaggio di Mastorna (scenografie inutilizzate, provini di Mastroianni).
“Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet” (1992) di Milo Manara (1945) e Federico Fellini: è la versione a
fumetti della stessa storia basata su una sceneggiatura di Fellini con disegni di Manara. La storia era stata un
po’ modificata: il titolo era diverso, il protagonista non era più violoncellista ma clown e aveva preso le
sembianze dell’attore Paolo Villaggio (nel suo ultimo film “La voce della luna”, tra gli interpreti c’è appunto
lui). Doveva essere composto da tre puntate ma è stata pubblicata e disegnata solo la prima. Quindi
nemmeno il fumetto venne completato.
Subito dopo l’abbandono definitivo del suo ultimo film (su cui ha tanti ripensamenti), Fellini partecipa a un
altro film di produzione italo-francese intitolato “Tre passi nel delirio” (1968) e composto da 3 episodi
diretti da Fellini (Toby Dammitt), Louis Malle e Roger Vadim. Sono tratti da racconti dello scrittore Edgar
Allan Poe. Fellini non li aveva mai letti e se li fece riassumere da qualche suo collaboratore per conoscerne
le trame. La sua scelta cadde su “Mai scommettere la testa col diavolo – Racconto morale” (Never Bet the
Devil Your Head – A moral tale, 1841) che appartiene al filone umoristico ed è ambientato in epoca
contemporanea. Il protagonista Toby Dammitt ha l’abitudine di pronunciare spesso la frase “Scommetterei
la testa con il diavolo che…” finché a un certo punto il diavolo si prende veramente la sua testa perché
subisce un incidente e gli viene mozzata la testa. È il primo film di Fellini tratto da un testo letterario e
anche il primo scritto insieme allo sceneggiatore Bernardino Zapponi (1927-2000). Quest’ultimo nasce a
Roma, per un primo periodo lavora al Marc’Aurelio ma poi diventerà un importante sceneggiatore teatrale,
radiofonico e cinematografico. Egli ha scritto la sceneggiatura 7 film di Fellini dalla fine degli anni ‘60
all’inizio degli anni ‘80. Il protagonista del film è l’attore inglese Toby Dammit che arriva a Roma per girare il
suo nuovo film e deve partecipare a una serie di incontri ufficiali come l’intervista in una trasmissione
televisiva, la cerimonia di premiazione. È realmente interpretato dall’attore inglese Terence Stamp (1938-)
che recita interamente in inglese per tutta la durata del film. È un film sul cinema ma nel soggetto è più
vicino a “La dolce vita” perché la scena del suo arrivo a Roma richiama le scene di Sylvia. Anche lui quando
arriva all’aeroporto viene assalito dai paparazzi e viene intervistato come succede all’attrice durante la
conferenza stampa. È un film che può inoltre essere accomunato a “Le sensazioni del Dottor Antonio”
perché c’è un uso del colore molto accentuato. Il personaggio è trasgressivo, maledetto, alcolizzato.
L’episodio di Fellini è breve e dura una quarantina di minuti.
È tratto dal famoso romanzo Satyricon scritto da Caio Petronio Arbitro (27-66 d.C.), uno scrittore e politico
romano vissuto nel primo secolo d.C sotto l’imperatore Nerone. La sua caratteristica principale e più
interessante è che ci è pervenuto in forma incompleta e frammentaria. L’unico libro della serie pervenuto
intatto è il quindicesimo che racconta la cena di Trimalcione.
È il primo film di Fellini ambientato nel passato e la sua ricostruzione del mondo romano è molto originale.
La colonna sonora di un film può essere registrata in presa diretta (il dialogo è registrato durante le riprese
della parte visiva) o post-sincronizzata (l’immagine è registrata muta e il suono viene registrato
separatamente e sincronizzato successivamente).
-3 fase: post-produzione (realizzata in laboratorio) -> comprende il montaggio della colonna visiva,
l’inserimento di effetti speciali e la creazione della colonna sonora del film (viene registrato il dialogo, la
musica di accompagnamento, i rumori che vengono tutti mixati)
Spesso può essere utilizzata una formula mista: il dialogo viene registrato in presa diretta per mantenere la
spontaneità della recitazione degli attori mentre la musica viene registrata separatamente e post-
sincronizzata (per i rumori si possono usare effetti sonori preesistenti o suoni reali registrati durante la
presa diretta). In tutti i film di Fellini il suono è interamente post-sincronizzato, quindi anche attori come
Mastroianni, Masina, Sordi hanno doppiato la loro stessa voce. Gli altri invece non parlano con la loro voce
e sono doppiati da attori o doppiatori professionisti specialmente gli attori stranieri come Antony Quinn,
Richard Basehart (il Matto), Giacomo Casanova (de “Il casanova di Federico Fellini”) interpretato da un
attore americano e doppiato da Gigi Proietti, Franco Fabrizi che compare in tre film di Fellini e ogni volta è
doppiato da un doppiatore diverso. Questo è un modo di procedere di tutto il cinema italiano di quel
periodo (anni ’50, ’60, ‘70). Il primo motivo è che in Italia la prassi del doppiaggio dei film in lingua straniera
si è sviluppata prima in maniera più sistematica rispetto altri paesi perché subito dopo l’avvento del sonoro
nel 1930 il regime fascista proibì la circolazione di qualsiasi film con dialogo in lingua straniera sul territorio
italiano. I primi film sonori in Italia venivano distribuiti o in lingua originale perché avevano poco dialogo e
risultavano più comprensibili allo spettatore italiano oppure venivano aggiunti dei sottotitoli. Tuttavia, di
fronte a questa proibizione assoluta fu necessario sviluppare la prassi del doppiaggio essendo che la
maggior parte dei film distribuiti in Italia erano americani. Vengono creati dunque dei laboratori di
doppiaggio e nasce la scuola di doppiatori. Anche il neorealismo ha incoraggiato l’uso del doppiaggio nel
cinema del dopoguerra. Questa corrente diffonde la prassi di girare i film in ambienti reali e quindi, con le
apparecchiature di registrazione che esistevano a quell’epoca, era più difficile registrare il suono perché
c’era il rischio che la colonna sonora risultasse di bassa qualità o che il dialogo venisse coperto da rumori. Di
conseguenza, era molto più comodo girare muto e post-sincronizzare il sonoro in fase di post-produzione.
Inoltre, venivano usati attori non professionisti scelti per il loro aspetto fisico, ma che non erano capaci di
recitare e quindi dovevano essere doppiati da attori professionisti. Si comincia a utilizzare il doppiaggio non
solo per attori stranieri ma anche quando si riteneva che la voce vera di un attore non fosse bella o non
fosse adatta al personaggio. Questa prassi viene teorizzata negli scritti e nelle interviste di Fellini, il quale
sostiene che per lui il doppiaggio e la post-sincronizzazione di esso sono i momenti creativi fondamentali
della produzione del film. In fase di doppiaggio addirittura modificava i dialoghi che erano scritti in
sceneggiatura o interpretati dagli attori durante le riprese. Quindi non si trattava solo un procedimento
automatico ma di un momento in cui ancora il film veniva cambiato e perfezionato.
Durante le riprese del film, Fellini registrava una colonna guida che serviva da promemoria per realizzare il
doppiaggio alla fine del film durante la post-produzione. In essa veniva molto spesso registrata la voce di
Fellini perché egli durante le riprese aveva l’abitudine di dare indicazioni e consigli agli attori a proposito
della loro recitazione. Il regista non sopportava la presa diretta del suono perché in quel caso le riprese
sarebbero dovute avvenire in un silenzio assoluto. Inoltre, chiedeva agli attori non professionisti che
avevano parti minori di pronunciare frasi senza senso o sequenze di numeri come fa il gerarca fascista in
“Amarcord” nella sequenza in cui il padre di Titta viene sequestrato. In “Fellini Satyricon”, per interpretare
Trimalcione viene scelto Mario Romagnoli, titolare della trattoria romana Al Moro dove Fellini
abitualmente andava a pranzare. L’aspetto fisico era perfetto per quel personaggio ma non aveva nessuna
nozione di recitazione. Infatti, durante le riprese si bloccava e non andava più avanti (neanche le sequenze
di numeri funzionavano). A un certo punto, fu lui stesso a proporre la soluzione cioè recitare il menù della
sua trattoria. Nei film di Fellini, il dialogo che sentiamo alla fine nel prodotto finito viene creato in tre
momenti diversi: la fase di sceneggiatura dove Fellini insieme ai suoi collaboratori scriveva la prima versione
dei dialoghi, poi la fase di ripresa in cui attraverso l’interazione tra il regista e gli attori il dialogo veniva
migliorato e infine la fase in sala di doppiaggio in cui il dialogo veniva ulteriormente modificato. Questa
prassi era tipica del cinema italiano di quegli anni ma nella maggior parte dei casi era parte di un processo
automatico e non comportava alcun aspetto creativo dato che venivano doppiate le esatte battute
pronunciate in fase di ripresa e che erano scritte tali e quali sulla sceneggiatura. Il problema che nasceva era
quello del sincronismo labiale. Tuttavia, Fellini sosteneva che se il dialogo fosse stato interessante e
pronunciato in maniera efficace, lo spettatore non avrebbe prestato molta attenzione alla corrispondenza
tra parole pronunciate e movimento delle labbra dell’attore. In realtà però, se l’asincronismo è eccessivo,
può essere percepito anche da uno spettatore distratto. Già in sede di ripresa quando riprendeva gli attori
che sapeva sarebbero stati doppiati, ricorreva a degli espedienti per rendere meno visibile il movimento
delle labbra come inquadrare l’attore di spalle o con qualche elemento della scenografia che gli nascondeva
la bocca, lasciare l’attore fuori campo o utilizzare l’illuminazione per lasciare in ombra la bocca. Nella scena
di Trimalcione, ci sono parti lunghissime in cui udiamo la voce fuori campo e non lo vediamo sullo schermo,
in cui è in ombra oppure di profilo, c’è inoltre un’inquadratura in cui si vede una mano con un dito in
direzione dell’interlocutore. Inoltre, Fellini aveva un’altra abitudine che non piaceva per niente ai tecnici e
direttori del doppiaggio cioè usare lo stesso doppiatore all’interno dello stesso film per doppiare
personaggi diversi. Aveva infatti stabilito un rapporto di collaborazione con doppiatori versatili e trasformisti
che erano in grado di modificare fortemente la loro voce. Per esempio in “Giulietta degli spiriti”, Fellini
utilizza Alighiero Noschese che era un famoso imitatore televisivo, oppure un altro collaboratore che
compare nei film dagli anni ‘70 in poi è Oreste Lionello, comico, cabarettista e doppiatore cinematografico.
“Il Fellini di Casanova”: documentario unico nel quale è stato immortalato Fellini in sala di doppiaggio
mentre dirige i suoi doppiatori. È stato registrato in sala di doppiaggio durante la post-sincronizzazione del
film “Il casanova di Federico Fellini” (1976). Tutta la colonna sonora è costruita in studio: i rumoristi
impiegano mezzi poveri per creare i rumori del film come le noci di cocco per lo scalpitio dei cavalli o
quando soffiano con un tubo all’interno di un secchio d’acqua. La creazione dei rumori è l’unica fase in cui
Fellini non è presente. È precisissimo nel dirigere la dizione di Gigi Proietti e gli chiede cose impossibili come
che deve avere una voce al tempo stesso distaccata e partecipe. Anche sulla colonna sonora dice la sua
nonostante abbia sempre dichiarato di non amare la musica.
I clowns (1970): La Rai gli commissiona(encarga) un documentario e Fellini accetta dirigendo un’inchiesta
sulla figura del clown. “I clowns” come “Block notes di un regista” non è un autentico documentario ma un
falso documentario o una docu-fiction perché la troupe di Fellini che vediamo in azione nel film non è una
vera troupe ma è interpretata da attori, i numeri circensi eseguiti da clown sono stati messi in scena
appositamente per il film, le scenografie sono costruite come nel caso dei finti tendoni da circo, i vecchi
clown che vengono intervistati da Fellini durante il film in alcuni casi sono autentici ma in altri sono
interpretati da attori professionisti (il regista si era però realmente recato a Parigi per raccogliere
testimonianze di clowns e impresari teatrali). Il film si apre con dei ricordi d’infanzia di Fellini che sono stati
messi in scena in una serie di piccoli episodi che ricordano le atmosfere e i personaggi di “Amarcord” e che
sono in parte raccontati nel volume “La mia Rimini” del 1967 che contiene episodi dell’infanzia riminese di
Fellini. Dopo quest’introduzione autobiografica (che si apre con il castello di Rimini: anticipazione
“Amarcord”) in cui si vede Fellini da bambino e i personaggi della sua infanzia, segue la parte pseudo-
documentaristica in cui vediamo Fellini a lavoro con la sua troupe come accade poi in “Roma” (nelle
sequenze ambientate nel presente degli anni ‘70 vediamo più volte in scena lo stesso Fellini che sta girando
un documentario fittizio sulla città di Roma).
LEZIONE 28: Italo Calvino ha scritto un articolo dedicato a Fellini che si intitola “Autobiografia di uno
spettatore”, apparso per la prima volta nel 1974 come introduzione al volume “4 film” che contiene quattro
sceneggiature di Film di Fellini. Nella parte iniziale, lo scrittore si concentra sul suo rapporto con il cinema e
della cinofilia da cui era affetto nel suo periodo giovanile. Invece, Fellini da giovane non frequentava molto
le sale cinematografiche e da adulto ancora meno. Nella seconda parte, il saggio contiene osservazioni sul
cinema di Fellini.
Questa frase sembra riferirsi a “Roma” e “Amarcord”: Amarcord cioè la provincia rievocata da Roma e invece
Roma, la capitale vista da qualcuno che arriva dalla provincia.
Il film “Roma” è caratterizzato da atmosfere cupe e dalla presenza ripetuta di elementi che rinviano alla
morte anche se ci sono sequenze divertenti come quelle dell’avanspettacolo. Non è un caso il film inizi con
un’immagine di una contadina in bicicletta con una falce sulla spalla ripresa in controluce dietro un cielo
cupo che sembra la morte. Poi ci sono le sequenze della sfilata di moda ecclesiastica con il catafalco pieno di
scheletri, quella degli scavi della metropolitana con il ritrovamento di una serie di scheletri. Perfino uno dei
numeri comici dell’avanspettacolo è quello dei tre becchini. Il mood di “Amarcord” invece è molto più
leggero e gioioso.
Per quanto riguarda le figure che hanno contribuito alla realizzazione di “Roma” bisogna ricordare:
• Bernardino Zapponi (1927-2000): scrittore romano di racconti fantastici e sceneggiatore e autore per
teatro, cinema e televisione. Dopo la fine della collaborazione con Pinelli e Flaiano, egli diventa il
collaboratore fisso di Fellini come sceneggiatore per quasi tutti i film successivi a partire dalla fine degli
anni ’60 (dal mediometraggio Toby Dammit).
• Danilo Donati (1926-2001): scenografo e costumista. Era stato collaboratore fisso di Pasolini per “Il
vangelo secondo Matteo”, “Decameron” e per Fellini aveva invece lavorato in 6 film cioè “Fellini
Satyricon”, “Roma”, “Amarcord”, “Il casanova”, “Ginger & Fred” e “Intervista”. Il suo ruolo è ancora più
importante di quello di Gherardi perché nel suo ultimo periodo Fellini gira prevalentemente in
scenografie ricostruite interamente in studio.
• Giuseppe Rotunno (1923-2021): direttore della fotografia in “Toby Dammit”, “Fellini Satyricon”, “I
clowns” (parzialmente), “Roma” (1972), “Amarcord” (1973), “Il casanova” (1976), “Prova d’orchestra”
(1979), “La città delle donne” (1980), “E la nave va” (1983).
A partire dalla fine degli anni ’60, in questo suo nuovo periodo creativo, Fellini rinnova l’equipe dei suoi
principali collaboratori anche se ad esempio Nino Rota rimane.
Sceneggiatura Museo Fellini (Rimini): non è contenuta in un unico volume rilegato come accade
normalmente per le sceneggiature precedenti di Fellini ma si compone di otto quaderni separati ciascuno
dei quali è dedicato a uno degli episodi che compongono il film. Questo dimostra come la costruzione
episodica del film fosse già prevista dalla sceneggiatura. Due episodi presenti nella sceneggiatura non sono
stati girati (in rosso) mentre mancano tre episodi importanti che evidentemente non erano stati pensati nel
progetto iniziale ovvero quello dedicato al grande raccordo anulare, quello del défilé di moda ecclesiastica e
quello degli scavi della metropolitana romana con il ritrovamento di un’antica casa patrizia.
Sceneggiatura Lilly Library (Bloomington): contiene varie fasi di stesure delle sceneggiature dei suoi film
acquistate da Tullio Pinelli e vendute a quest’istituzione. Anche questa versione è composta da 6 quaderni
separati e la differenza principale è che sono illustrati da disegni a colori fatti dallo stesso Fellini. Quindi, il
testo è più ridotto e prevalgono le immagini.
• Inizio Roma
• [Arrivo di un giovane nella capitale]
• Raccordo anulare
• Défilé
• I casini
• Gli aristocratici e il défilé
Peter Bondanella, il quale fa riferimento a questa versione e che è colui che ha fatto acquistare questi
materiali, afferma Fellini aveva rifiutato una sceneggiatura di tipo tradizionale costituita da un testo scritto e
l’aveva sostituita con una serie di taccuini, disegni, schizzi accompagnati da un testo esplicativo. Da questo si
deduce che il film nasca più da idee visive che idee narrative. Andrea Minuz in realtà dimostra che si tratta
di un’idea sbagliata perché la versione iniziale della sceneggiatura di “Roma” è molto più vicina a una
sceneggiatura tradizionale in quanto contiene un testo scritto. invece, la seconda stesura custodita a
Bloomington era stata fatta in funzione dello scenografo e costumista Danilo Donati per dargli indicazioni su
come realizzare i costumi e gli ambienti principali del film.
Il film è suddiviso in una serie di episodi che sono indipendenti e totalmente slegati l’uno dall’altro. Questo
non è un’assoluta novità per il cinema di Fellini, il quale lavora su costruzioni episodiche già a partire da “La
dolce vita” o addirittura anche prima. La differenza è che in “Roma” gli episodi non sviluppano neppure una
vera e propria narrazione ma descrivono luoghi e situazioni. Gli unici frammenti di racconto sono: l’arrivo di
un giovane alla stazione di Roma e l’arrivo alla pensione in cui va ad abitare e specialmente l’episodio dei
lavori di costruzione della metropolitana di Roma durante i quali viene ritrovata una casa romana
completamente intatta con dei meravigliosi affreschi che però scompaiono a causa degli agenti atmosferici
dell’esterno (ritrovamento e perdita al tempo stesso di un reperto archeologico). Mancando la narrazione,
non ci sono neppure protagonisti ma solo personaggi secondari.
“Roma” costituisce l’esperimento più radicale fatto da Fellini di rifiuto del racconto tradizionale.
Bondanella propone una divisione del film in 8 episodi (si tratta di una semplificazione perché oltre a questi
elencati ce ne sono altri più brevi che servono da transizione):
• Arrivo di un giovane nella capitale (Fellini del 1939): si divide in due parti cioè l’arrivo nella pensione e la
cena nella trattoria romana all’aperto
• L’avanspettacolo: prima viene mostrato un intero spettacolo di varietà all’interno della sala, poi suona la
sirena per i bombardamenti e comincia la seconda parte che si svolge all’interno del rifugio antiaereo
• Le case di tolleranza
• La festa de Noantri: si tratta di una festa religiosa che si svolge a luglio nel rione di Trastevere a Roma
nella quale oltre alle cerimonie religiose e alla processione alla Vergine, ci sono anche bancarelle e
spettacoli all’aperto. Noantri significa “noi di Trastevere” contrapposti agli altri. Poi c’è l’epilogo cioè una
breve sequenza notturna in cui vediamo un gruppo di giovani motociclisti che percorrono le vie del
centro di Roma. In questo modo vengono mostrati i principali monumenti della città.
Il film alterna episodi ambientati nel passato e nel presente. Per esempio, l’arrivo di un giovane,
l’avanspettacolo, le case di tolleranza sono ambientati alla fine degli anni ‘30 durante il fascismo. Al
contrario, il grande raccordo, gli scavi, la festa de Noantri sono ambientati nel presente cioè nel 1971
quando il film è stato girato. Lo sguardo di Fellini tiene insieme entrambe le serie: il passato è visto
attraverso gli occhi di Fellini giovane interpretato da Peter Gonzales Falcon mentre il presente attraverso gli
occhi di Fellini 50enne che sta girando un documentario sulla città di Roma. “Roma” ha una sua logica e
quasi una sua simmetria ma ci sono almeno tre episodi che sfuggono a questa regola perché non sono
mediati dallo sguardo di Fellini, né giovane né vecchio. Il primo è il prologo composto composta da una
decina di brevi scenette. Da un certo punto di vista si potrebbe inserire nella serie degli episodi ambientati
negli anni ‘30 con protagonista il giovane Fellini: si tratta di impressioni indirette di Roma che potrebbe
avere un ragazzo di provincia prima di esserci stato e inoltre si conclude con l’immagine del treno che parte
per Roma e con l’arrivo del ragazzo alla stazione di Roma. Tuttavia, l’idea della sequenza non rimanda
specificatamente a lui ma è in generale. Questo prologo presenta rapporti di analogia con la sequenza
iniziale de “I clowns” con i ricordi di Fellini bambino del circo e dall’altra parte anticipa le atmosfere di
“Amarcord” interamente dedicato alla rievocazione della Rimini del periodo fascista.
Da questa sequenza emergono: il tema della romanità e dell’antica Roma che viene propagandato dal
fascismo attraverso l’istruzione scolastica ma anche dal teatro e dal cinema (la sequenza della visione del
film in costume che rispetta il punto di vista degli spettatori, i quali prima sono in un angolo e poi nelle
prime file della platea), Roma come centro della cristianità essendo sede del papato e della Chiesa (la
sequenza in cui ascoltano alla radio la benedizione del papa) e infine il tema dell’eros (la diapositiva con il
sedere della donna che è stata inserita tra le immagini dei monumenti della capitale, il commesso
viaggiatore che nel bar dice che le donne romane hanno un sedere “così” e poi l’episodio della moglie del
farmacista che flirta con tutti gli uomini e viene paragonata a Messalina). Il secondo è quello della sfilata di
moda ecclesiastica che è il più slegato dal resto del film perché non è visto né dal giovane Fellini che non si
trova tra il pubblico di aristocratici ed ecclesiastici e neanche filmata da Fellini regista adulto. Inoltre, non è
neanche facilmente collocabile temporalmente. L’unico elemento che deve spingerci a collocarla nel 1939 è
l’immagine del papa che assomiglia al papa conservatore Pio XII (1939-1958). Tuttavia, ci sono degli
elementi anacronistici come i due preti che sfilano su due biciclette Graziella messe in commercio nel 1964
o gli occhiali moderni dei personaggi che non sembrano dello stile anteguerra. Gli abiti ecclesiastici o da
cerimonia sono difficilmente collocabili storicamente in un momento preciso. D’altra parte, si svolge in un
mondo di aristocratici conservatore, immutabile e legato al passato. Il terzo momento che si discosta è il
finale con la parata di motociclisti per le vie di Roma che ovviamente è ambientato nel presente però non è
visto, né filmato da nessuno all’interno del film.
• Piazza di Spagna: Fellini per riuscire a realizzare radunò un gruppo di hippies provenienti da diversi
paesi europei (ragazzi e ragazze fanno il bagno nelle fontane). Il regista usa questa sequenza come
transizione per poi introdurre le case di tolleranza. La voice over commenta il fatto che mentre i giovani
d’oggi possono amoreggiare liberamente, al contrario per un ragazzo negli anni ‘30 l’unica possibilità di
avere esperienze sessuali era la prostituzione. Fellini aveva una forte simpatia per la contro cultura
giovanile del periodo tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70. Infatti, in “Block notes di un
regista”, Fellini aveva popolato le scenografie inutilizzate del suo film “Il viaggio di Mastorna” fingendo
che vi fosse andata a vivere una comunità di hippies. Inoltre, nel film “Toby Dammit” troviamo come
protagonista una sorta di antieroe maledetto che sembra una rockstar. “Fellini Satyricon” con i suoi
colori psichedelici, la colonna sonora avvolgente e ipnotica era piaciuto molto ai giovani dell’epoca
soprattutto negli Stati Uniti. Tuttavia, Fellini non amerà la parte più radicale del movimento post ‘78.
• Trastevere: sequenza più lunga che tratta della festa religiosa de Noantri diventata col tempo attrazione
turistica. Fellini aveva previsto una serie di apparizioni di personaggi famosi dei quali sono rimasti
soltanto due piccoli frammenti. Prima compare e viene intervistato dalla troupe di Fellini lo scrittore
americano Gore Vidal (1925-2012) che si era stabilito in Italia e poi c’è una brevissima apparizione di
Anna Magnani (l’ultima dell’attrice data che poi morirà nel 1974) nel finale. In realtà per questo finale
Fellini aveva girato due brevi passaggi, poi successivamente tagliati, in cui venivano intervistati Marcello
Mastroianni e Alberto Sordi che era previsto che facesse un monologo dicendo che non amava Roma e
la parlata romanesca.
• Vedute notturne dei monumenti (epilogo): comincia con la fine della sequenza della Festa de Noantri.
Questo finale è stato interpretato dai critici come pessimistico in quanto il gruppo dei motociclisti è
stato associato alle bande criminali giovanili di bikers che erano nate negli Stati Uniti a partire dagli anni
‘50 e che si erano diffuse anche in altri paesi. Ma in realtà, essi non hanno un aspetto minaccioso e
(anzi sono vestiti in maniera colorata) e poi non si tratta di un’invasione della città ma un’uscita dopo
aver girato intorno ai principali monumenti. A Fellini piaceva il contrasto tra il moderno rappresentato
dalle motociclette e l’antichità dei monumenti romani, rinascimentali, barocchi. Inoltre, si tratta di una
sequenza di chiusura opposta a quella iniziale in cui ci sono due ingressi successivi nella città, per
ribadire il parallelismo di presente e passato su cui si basa il film, ovvero l’arrivo in treno del giovane
personaggio proveniente dalla provincia alla stazione Termini e poi l’ingresso in automobile a Roma
attraverso il passaggio nel raccordo anulare che si conclude con l’immagine del Colosseo. Quindi, dopo
averci fatto entrare a Roma in treno e automobile, Fellini ci fa uscire in motocicletta.
Scenografie create in studio (Fellini fu accusato di megalomania per aver creato scenografie grandi e
costose nella loro realizzazione)
• Pensione
• Ristorante all’aperto (molto scenografica): l’inizio del film è ricostruito integralmente all’interno dello
studio 5 di Cinecittà che all’epoca era il teatro di posa cinematografico più grande esistente in Europa. Il
suo nome è associato a quello di Fellini ed è stato per l’appunto ribattezzato studio Fellini perché vi ha
realizzato alcune delle scenografie più impegnative dei suoi film a partire da la Via Veneto de “La dolce
vita”.
• Grande Raccordo Anulare (molto scenografica): venne iniziato nel 1946 e inaugurato nel 1951 ma il suo
completamento avviene nel 1970 quindi un anno prima rispetto all’uscita del film “Roma”. Per realizzare
questa scena, Fellini fece questo costruire 500 metri di finto raccordo anulare fuori dagli studi di
Cinecittà. L’aspetto più affascinante è che non solo Fellini ci offre un’immagine paradossale, onirica del
traffico autostradale con dettagli pittoreschi (espansione del sogno iniziale di 8 ½ in cui vediamo il
protagonista all’interno di un ingorgo stradale con delle auto immobili e personaggi pietrificati ai loro
posti) ma anche una sequenza di cinema nel cinema perché immagina che la sua finta troupe stia
riprendendo quella scena, quindi vediamo continuamente su auto e furgoni degli operatori
cinematografici con macchine da presa. In questa costruzione apocalittica del traffico urbano romano
Fellini ci mette carri armati, cavallo che cammina da solo, carretti, automobili, pullman di tifosi,
manifestazione politica che si scontra con la polizia, rumore di clacson continuo, visibilità che diventa
sempre più inferiore con la pioggia, buio. Su tutto dominano queste macchine da presa montate sulla
gru.
• Teatro: sequenza dell’avanspettacolo ambientata nel teatro immaginario della Barafonda (riferimento
mortuario). Il vero teatro romano a cui quest’esperienza è ispirata è il teatro Ambra Jovinelli costruito
nel 1909 a Roma da un impresario teatrale e che nel periodo anteriore alla Prima guerra mondiale era
un importante teatro di varietà. Poi negli anni ‘20 e ‘30 diventa il teatro più importante a Roma per
quanto riguarda l’avanspettacolo e in cui si sono esibiti Totò e Petrolini. Nel dopoguerra, quando il
genere dell’avanspettacolo decade, si converte allo spogliarello ma poi in epoca recente è stato riaperto.
In questo episodio del film, Fellini mette in scena un intero spettacolo di varietà a basso costo con
numeri comici che si alternano a quelli coreografici di danza e canto focalizzando anche l’attenzione
sulle reazioni del pubblico indisciplinato che insulta i performers sul palcoscenico. Viene addirittura
lanciato un gatto morto e molto spesso spettatori e attori si insultano a vicenda. Si potrebbe
considerare un momento di docufiction in cui l’avanspettacolo viene presentato in maniera fedele.
• Tunnel della metropolitana (molto scenografica): i lavori iniziano nel 1964, poi però vengono interrotti
e ripresi nel 1969 con il nuovo metodo della talpa meccanica. Nonostante questo, i lavori procedevano
a rilento perché in continuazione venivano trovati reperti archeologici durante lo scavo. Quindi alla fine
la seconda linea è stata inaugurata nel 1979. Di conseguenza, nel 1971 cioè nel momento in cui Fellini
realizza questo film i lavori erano in corso. La scenografia venne realizzata nei sotterranei di Cinecittà.
• Case di tolleranza
Fellini non ha mai realizzato un film esplicitamente religioso (al contrario di “Francesco giullare di Dio” di
Rossellini o “Il vangelo secondo Matteo” di Pasolini che è una trasposizione fedelissima del vangelo di
Matteo dal testo scritto al grande schermo). Nel cinema di Fellini il tema della fede affiora sempre in
maniera indiretta. L’identità cattolica è presente in modo ossessivo: statue di angeli, santi, cristo, madonne,
figure di consacrati.
In un’intervista che Fellini rilasciò nel 1963 all’indomani di 8 ½, Oriana Fallaci lo provoca dicendo che in un
film come 8 ½ sembra perdersi in una nuvola d’incenso di un cattolicesimo nutriente. Il regista ribatte
dicendo che per lui è veramente impossibile essere totalmente laico e di apprezzare coloro che riescono a
mantenere un atteggiamento distaccato nei confronti della religione e del cattolicesimo perché a lui questo
non riesce. Afferma di credere anche nella preghiera. Inoltre, per lui l’atteggiamento religioso non è
dogmatico ma di apertura al mistero. Fellini dichiara chiaramente che nel concetto di Dio ci deve essere
anche qualcosa di spaventoso che deve turbare l’uomo in maniera salutare. La preghiera rappresenta
un’apertura sull’inconscio, un atto che permette di estrarre da sé qualcosa che è buono e fecondo dal punto
di vista creativo.
Nel film “Roma” nella sfilata ecclesiastica, Fellini prende in giro l’estetica delle vesti che indossano uomini e
donne consacrate.
Ne “La strada”, Gelsomina è personificazione dell’innocenza. La donna scopre che ha una missione cioè
redimere Zampanò, personaggio impermeabile a qualsiasi forma di amore, sguardo verso il prossimo,
tenerezza. Quest’illuminazione avviene grazie al dialogo con il Matto (acrobata: personaggio che si muove
tra terra e cielo). Il film mette in scena un calvario (che può ricordare quello di Cristo o degli stessi martiri)
perché Gelsomina alla fine si ammala e muore in solitudine. Il fine ultimo è la salvezza del personaggio di
Zampanò, cioè il peccatore, legato alla dimensione terrena. Questo avviene nel finale di fronte al mare
quando il personaggio che è rimasto duro e spietato dall’inizio del film è scosso da una grande crisi interiore
e si apre a una reazione umana.
L’uomo non vive sempre in grazia ma vi ritorna attraverso i sacramenti o la preghiera.
Gelsomina vuole essere un ponte tra Zampanò e la Grazia. Diventa sempre più persuasa e gioiosa della sua
missione grazie a quella notte in cui lei e Zampanò trascorrono in un convento di suore. Una delle suore
spiega a Gelsomina che sono chiamate ogni due anni a cambiare convento e il loro compito non è attaccarsi
alle cose del mondo ma mantenere la fedeltà a Dio. Da questo Gelsomina ricava l’idea che il suo posto sia
sempre accanto a Zampanò.
Nel finale Zampanò si è salvato perché ha riconosciuto il male che ha commesso e oltre a questo c’è il
dolore.
Cabiria è una prostituta più dotato dal punto di vista intellettuale e rappresenta l’autenticità, la sincerità.
Sia Gelsomina che Cabiria sono desiderose di amare il prossimo. Cabiria vuole trovare un uomo da amare
che la riscatti da quest’esistenza sordida. Nell’epilogo la prostituta per l’ennesima volta viene messa davanti
alla fine delle proprie illusioni perché scopre che l’uomo a cui ho consegnato tutti i suoi beni l’ha ingannata
e vuole ucciderla. Addirittura, sembra preferire la morte alla prosecuzione della sua esistenza. Poi incontra
dei giovani musicisti che si muovono accanto a lei che ha appena pianto per strada. Camminando insieme a
loro, è diventata nuovamente partecipe della vita che la circonda e ha recuperato la fede nella vita. Si tratta
di un invito alla letizia, alla gioia, alla fiducia nella buona novella, al fatto che la storia dell’uomo può essere
di salvezza. Il film si conclude con il suo sguardo in macchina, che si dirige verso il pubblico invitato al
cambiamento del suo stato d’animo.
2) “Quello scandalo salutare di cui parla il Vangelo”: il caso di “La dolce vita”.
Invece con “La dolce vita”, il mondo cattolico è spaccato in due: alcuni lo accusano di aver realizzato una
pellicola oscena, altri difendono il regista dicendo che il film è spiritualmente utile perché rappresenta una
condanna della condizione di peccato e mancata salvezza. Il film parte con il volo del Cristo Lavoratore su
Roma, introducendo la dialettica tra mondo religioso e profano, tra salvezza e perdizione. Questo viaggio
verso l’alto è interrotto da distrazioni terrene perché il giornalista nota le giovani donne che stanno
prendendo il sole in terrazza e cerca di rimorchiarle nonostante la distanza. Ha una chiusura più
pessimistica e ambigua rispetto a “La strada” e “Le notti di Cabiria” dove la redenzione del personaggio
principale è esplicita. Il finale si svolge all’alba in riva a una spiaggia. Il protagonista sembra essere sfiorato
da una possibilità di salvezza ma è come se non riuscisse ad aderire a quest’esperienza. “La dolce vita”
racconta infatti di un uomo che non riesce a imbarcarsi in nessuna impresa positiva o negativa che sia,
rimanendo una figura sulla soglia. Marcello nel finale solleva le braccia quindi il finale rimane aperto.
Paolina viene identificata con una figura angelica: il protagonista la riconosce, si muove in ginocchio verso
di lei ma non riesce a sentire ciò che dice e quindi rinuncia. Nell’incipit Mastroianni è molto giovanile, ha la
camicia e non la giacca e sorride mentre nel finale appare più invecchiato e poi è vestito di bianco ma con la
camicia nera quasi come allusione all’abbruttimento dell’anima. Poi c’è di nuovo un’interpellazione diretta al
pubblico con l’immagine di purezza femminile di Paolina. Il lungo segmento del falso miracolo rispecchia
l’ossessione che la cultura italiana ha per i miracoli, per la possibilità di comprarsi la salvezza attraverso
meccanismi terreni. Quest’apparizione della madonna si rivela essere una farsa, i bambini sono dei bugiardi
e cinico è l’atteggiamento dei fotografi e dei giornalisti. Uno dei personaggi che Mastroianni intervista è un
sacerdote molto scettico il quale ricorda che i miracoli avvengono in un clima di raccoglimento, preghiera e
non davanti alla tv e alla radio.
3) “Vergognati, vergognati”: immagini di confessioni nel cinema di Fellini
Fellini spesso mette in scena dei dialoghi tra personaggi che talvolta sono anche dei suoi alterego e
sacerdoti.
Guido viene riacciuffato dopo aver assistito al balletto della Saraghina in 8 ½. Quindi la prima apparizione
del sesso nella vita del protagonista fallisce attraverso il rimprovero della Chiesa che vuole instillare un
senso di vergogna di fronte a quest’incontro che già di per sé è stato traumatico. I preti del collegio di Guido
sono interpretati da donne (connotazione ambigua)
Colloquio tra Guido e il cardinale nello stabilimento termale: nel secondo incontro, in particolare, Fellini
mostra una chiesa che non ha più quel volto minaccioso(amenazador) dell’infanzia. Infatti, il cardinale ha
una fisicità scheletrica e viene privato dei paramenti (essendo nudo a fare il bagno). Inoltre, Guido dice “non
sono felice” e la risposta è “lei non deve essere felice”. Si tratta di formule meccaniche e ripetitive che
mostrano una vecchia Chiesa non in trasformazione.
Don Balosa (“Amarcord”): è il classico prete di paese che conosce tutti ed è il punto di riferimento per la
comunità. La confessione è un rito meccanico ma indolore a cui non credono ambo le parti: il sacerdote si
distrae continuamente guardando i fiori sull’altare e quindi la questione estetica ha il sopravvento su quello
che Titta gli sta raccontando mentre il ragazzo ha la tendenza a raccontare i peccati degli altri.
Nel manifesto, realizzato da Giuliano Geleng, sono disegnati i visi di tutti i personaggi principali del film.
Per la scrittura della sceneggiatura del film è importantissima la collaborazione con lo scrittore Tonino
Guerra. Egli si afferma come poeta dialettale scrivendo poesie in dialetto romagnolo, poi anche racconti e
romanzi fino a divenire un importante sceneggiatore cinematografico. Ha collaborato con vari registi ma la
sua collaborazione più importante, escludendo quella con Fellini, è stata quella con il regista ferrarese
Michelangelo Antonioni.
Il titolo del film deriva da una poesia in dialetto romagnolo di Tonino Guerra ma l’idea è quella di scriverlo
tutto insieme come se si trattasse di una parola sola.
L’espressione è entrata nell’uso comune e viene usata come rievocazione(ebocación) nostalgica del
passato.
Una fonte importante per la sceneggiatura è il volume “La mia Rimini” (1967) che contiene una serie di
ricordi autobiografici di Fellini relativi al suo periodo giovanile riminese. Vengono utilizzati anche per gli
episodi ambientati nello stesso periodo presenti all’inizio del film “I clowns” e “Roma”.
È stato definito un film “corale”: questo termine è stato creato dalla critica italiana per indicare film
neorealisti che rifiutavano(rechazaban) la concezione tradizionale del racconto basato su un numero
ristretto(reducido) di personaggi principali e anche la distinzione tra protagonista e personaggio secondario,
ponendo al centro un soggetto collettivo che potrebbe identificarsi ad esempio con gli abitanti di una
piccola città. Ne “La dolce vita” anche se ci sono tanti personaggi, c’è ancora un protagonista che è Marcello.
Invece si assiste a una dissoluzione del protagonista in “Amarcord”. Anche “Roma” può essere considerato
un film corale ma in maniera diversa: ci sono tantissimi volti però nessuno di loro riesce a diventare un vero
e proprio personaggio, non essendo inserito all’interno di un intreccio narrativo. Queste figure senza
narrazione non hanno neanche un nome. In “Amarcord” invece ci sono tantissimi corpi che possono sempre
divenire protagonisti di un piccolo episodio e anzi addirittura sono figure generatrici di racconto perché
anche il personaggio più secondario occupa il centro della scena. Nel film, la dimensione narrativa è
dominante e anche se il racconto è frammentato, episodico, plurale è sempre presente.
Si tratta del film che contiene il numero più elevato di personaggi (almeno 25).
Personaggi e interpreti
Sono interpretati da attori non professionisti, tranne qualche eccezione, scelti per il loro aspetto fisico e che
vengono doppiati dato che non sono nemmeno romagnoli. Sono molto numerosi e anche i ruoli secondari
sono ben caratterizzati con una propria personalità e assumono una certa importanza all’interno del
racconto. Possono essere suddivisi in 3 gruppi:
-La famiglia del protagonista, il quale si chiama Titta ed è interpretato da Bruno Zanin (1951-). Il
soprannome Titta è quello del migliore amico di Fellini Titta Benzi durante il periodo riminese e quindi
anche la famiglia del protagonista potrebbe essere modellata sulla sua. Il regista vuole prendere le distanze
da un film che poteva diventare eccessivamente autobiografico, facendo protagonista del film non sé stesso
ma un suo amico:
• Pupella Maggio (1910-1999) -> Miranda (madre di Titta): famosa attrice di teatro napoletana doppiata
con accento romagnolo
• Nando Orfei -> Lallo (zio di Titta che vive a spese della famiglia)
• Ciccio Ingrassia (1922-2003) -> Teo (zio di Titta che sta in manicomio. Viene portato in libera uscita a un
pranzo con la famiglia e combina un pasticcio salendo sopra un albero)
-Il secondo gruppo è quello delle scene scolastiche, quindi dei compagni di scuola di Titta e del corpo
insegnante. Anche se gli insegnanti appaiono pochissimo, sono ben caratterizzati (preside, prof di
matematica, prof di italiano)
• Magali Noel (1931-2015) -> Gradisca: all’inizio Fellini voleva far interpretare questo personaggio a
Sandra Milo ma si rifiutò e quindi scelse un’attrice francese che aveva già recitato ne “La dolce vita”
ovvero Fanny, la ragazza con cui il padre flirta durante la serata al locale prima di sentirsi male
• Luigi Rossi -> Avvocato (svolge il ruolo del narratore e interviene di tanto in tanto raccontando la storia
di Rimini che tra l’altro non viene mai nominata. È un personaggio un po’ pesante che non viene mai
preso sul serio)
• Aristide Caporale -> Giudizio (lo scemo del villaggio): anche ne “I vitelloni” è presente questo
personaggio, nella sequenza del furto della statua dell’angelo compiuto da Fausto, Moraldo e Giudizio.
Quest’ultimo porta il carretto sull’albero e poi lo espone sulla spiaggia come una sorta di idolo.
• Maria Antonietta Beluzzi (1920-1997) -> tabaccaia
• Josiane Tanzilli (1950-) -> Volpina (come la Saraghina vive sulla spiaggia, libera dalle convenzioni)
• Alvaro Vitali (1950) -> Naso: presente anche in “Roma” e “I clowns”. Diventerà famoso dopo la
collaborazione con Fellini per la sua partecipazione a una serie di commedie erotiche all’italiana di
livello infimo. Il ruolo di personaggio che l’ha reso famoso è quello di Pierino.
“Diario segreto di Amarcord”: documentario dedicato alla scelta degli interpreti, realizzato da assistenti
alla regia di Fellini.
Ambientazione e location:
ci sono almeno 4 elementi che permettono di identificare la cittadina del film con Rimini: il primo elemento
è la nota storica fatta dall’avvocato all’inizio del film che parla delle origini romane dicendo che era il punto
di partenza della via Emilia; il secondo elemento è una ricostruzione scenografica abbastanza fedele della
Fontana della Pigna, monumento che si trova in piazza Cavour a Rimini; il terzo elemento è il cinema
Fulgor; il quarto elemento è il Grand Hotel che non è però uguale a quello di Rimini. Tuttavia, sono presenti
caratteristiche architettoniche incompatibili con Rimini come la piazza principale del paese interamente
ricostruita in studio che non assomiglia a nessuna piazza di Rimini ed è di pura fantasia. Fellini ha dunque
voluto inserire elementi che rimandano alla città di Rimini ma anche stabilire una certa distanza dalla
realtà per valorizzare l’aspetto finzionale della vicenda. Buona parte del film è girato negli studi di Cinecittà
con scenografie riscostruite. Un esempio è il Transatlantico Rex, nave che ha costituito la gloria della marina
italiana nel periodo fascista. Infatti, la scena in cui gli abitanti vanno ad assistere al suo passaggio è
interamente ricostruita in studio (persino l’acqua del mare). La scena della parata fascista inizia con l’arrivo
di un gerarca alla finta stazione che è l’ingresso degli studi di Cinecittà costruiti nel 1939 in stile fascista e
che quindi si adattano perfettamente ad impersonare la stazione della cittadina immaginaria in cui è
ambientato il film. Poi abbiamo però anche una serie di location autentiche che sono tutte collocate nel
Lazio: il Grand Hotel che vediamo nel film è Paradiso sul mare di Anzio. Le scene in campagna sono
ambientante nei dintorni di Roma (come, per esempio, quella della visita allo zio Teo, malato psichiatrico) e
quelle sul mare a Fiumicino (scena del matrimonio finale della Gradisca ambientato in una cittadina
balneare della Romagna mai nominata). Non ci viene mai detto in che anno è ambientato però possiamo
collocare l’azione nella prima metà dagli anni ’30 in cui il fascismo godeva di un grande consenso. Il film
inizia con l’apparizione delle manine ovvero i piumini dei pioppi che annunciano la primavera. Infatti,
subito dopo nel primo episodio importante assistiamo a una manifestazione appartenente al folklore
romagnolo che si colloca secondo la sceneggiatura il 19 di marzo. Si celebrava la fine dell’inverno e l’inizio
della primavera accendendo grandi roghi nei quale vengono bruciate cose vecchie. Le manine ricompaiono
nel finale durante il matrimonio della Gradisca. Quindi vuol dire che la storia si svolge nell’arco di un anno
intero da marzo a marzo. La parata fascista viene organizzata per celebrare il Natale di Roma cioè la nascita
della città di Roma il 21 aprile (primavera), la scena della visita allo zio Teo con lui sull’albero avviene
d’estate, la scena del nonno che si perde nella nebbia è autunnale, la scena della nevicata è invernale e poi
si ritorna all’inizio della primavera. L’unica incongruenza è la scena del passaggio della Mille miglia, la gara
automobilistica che si svolgeva in aprile mentre ne film è collocata tra la nebbia e la nevicata quindi
autunno-inverno. Ci sono anche incongruenze storiche: il transatlantico Rex è esistito ma non è mai
passato davanti a Rimini.
Nel film esiste una specie di narratore che è chiamato l’Avvocato che interviene di tanto in tanto guardando
verso la macchina da presa e rivolgendosi direttamente allo spettatore, raccontando la storia della città.
In “Amarcord” ci sono tantissimi personaggi che guardano la macchina da presa tra cui Giudizio all’inizio del
film. In maniera saccente racconta la storia della città ma viene costantemente interrotto da disturbatori.
Ad esempio, gli vengono fatte delle pernacchie o quando pensa di parlare della grande nevicata viene
colpito da una palla di neve alla fine. Quindi, vorrebbe essere il narratore ma non viene preso sul serio da
nessuno. Egli interviene 4/5 volte nel corso del film ma solo una volta riesce a svolgere il suo ruolo
integralmente ovvero durante l’episodio del Grand Hotel. Introduce qui due flashback: uno è l’episodio che
spiegherebbe perché la Gradisca è soprannominata così (crede poco nella verità di questo aneddoto) e poi
l’altro è quello del venditore ambulante che si sarebbe introdotto all’interno dell’appartamento di un emiro
arabo e avrebbe amoreggiato con le sue concubine (ne prende le distanze dicendo che è frutto della
fantasia del personaggio). Un’altra serie di flashback compare durante la sequenza della confessione.
Il personaggio di Titta è quello principale dal momento che interviene più costantemente ed, anche se non è
protagonista di tutti gli episodi, è l’unico personaggio di cui ci viene mostrata la famiglia. Egli diventa
narratore introducendo flashback che si riferiscono ai suoi desideri di tipo erotico che racconta non al
confessore ma al pubblico. Se convierte en narrador introduciendo flashbacks que hacen referencia a sus
deseos eróticos, que no cuenta al confesor sino al público.
Peter Bondanella parla di “Amarcord” sostenendo che non solo è uno dei film più direttamente politici di
Fellini ma che è anche uno dei film italiani degli anni ‘70 che rievoca e ricostruisce in maniera più
appropriata il contesto dell’Italia fascista degli anni ’30. Si tratta di un film originale perché non è basato su
una divisione schematica fra antifascisti buoni e fascisti cattivi e non rappresenta il fascista come
personaggio criminale ma descrive il fascismo dall’interno, analizzando le cause psicologiche del suo
successo e ritrovandolo nei difetti, nella debolezza e nell’ignoranza della provincia italiana di quell’epoca.
Mostra il fascismo come un fenomeno in cui la società italiana è più o meno coinvolta(implicada), quindi
sembra voler dire in questo film “i fascisti eravamo noi” includendo anche lui stesso che era cresciuto da
giovane in questo contesto culturale. Bondanella prende le mosse da dichiarazioni dello stesso Fellini:
«No es un fascismo visto, como en la mayoría de las películas políticas que se hacen hoy, con una actitud
juzgadora, es decir, desde fuera. La provincia de Amarcord es aquella donde todos podemos reconocernos,
autor en la delantera, en la ignorancia que nos confundía. No quiero minimizar las causas económicas y
sociales del fascismo, solo quiero decir que aún hoy lo que más importa es la forma psicológica, emocional
de ser fascistas»
Tuttavia, il fascismo non è l’unica componente trattata. C’è un episodio della scuola con il quadro di
Mussolini e gli insegnanti che propagano l’ideologia fascista e poi un grosso episodio in cui il fascismo è
l’unico argomento centrale che comincia con la celebrazione del Natale della città di Roma il 21 aprile e si
conclude con l’arresto di Aurelio, il padre di Titta. La sequenza si divide in 3 parti: 1) celebrazioni con arrivo
gerarca fascista, cerimonia di accoglienza ed esercizi ginnici fatti da ragazzini della scuola, 2) i fascisti
giocano a biliardo al bar, poi si spegne la luce e dall’esterno proviene la musica dell’internazionale, escono in
strada, capiscono che la musica proviene dal campanile della chiesa, cominciano a sparare e dopo un po’
cade un grammofono, quindi si capisce che non c’era una persona ma era stato posto un disco, 3) Aurelio, il
padre di Titta che è antifascista viene sequestrato e gli viene somministrato l’olio di ricino anche se non è
stato lui a mettere il grammofono sul campanile. La moglie lo ha costretto a stare a casa per evitare di farlo
mettere nei pasticci. Quindi diventa il capro espiatorio perché nonostante non abbia fatto nulla viene punito
In questa sequenza scopriamo che tutti i personaggi che erano stati presentati prima sono fascisti: il
preside, la prof di matematica e lo zio Lallo che corrono insieme ai gerarchi nella sequenza in cui i
personaggi guardano in macchina mentre corrono parlando del fascismo (intervista in movimento), la prof
di storia dell’arte ubriacona con aria marziale fa il saluto romano, la Gradisca vorrebbe toccare il gerarca,
l’Avvocato fa il saluto romano, Titta e compagni (descritti come avanzi di galera) sono disciplinati e svolgono
esercizi con grande ubbidienza. Anche in “Amarcord”, oltre ai flashback, ci sono sogni a occhi aperti: nel
finale della cerimonia, Ciccio cioè uno dei ragazzi della scuola immagina di essere sposato da Mussolini con
la compagna di classe di cui è innamorato e che lo snobba. Tuttavia, anche nel regime più totalitario ci sono
degli oppositori: il padre di Titta che non è attivo e uno attivo senza nome che ha attuato l’atto di
sabotaggio collocando il grammofono nel campanile della Chiesa.
“Amarcord” è il quarto e ultimo film di Fellini che vince l’Oscar come miglior film ed è anche l’ultimo film di
Fellini che ottiene un grande successo internazionale.
“Il casanova di Federico Fellini” (1976): ricostruzione visionaria del ‘700 basata sulle memorie di Giacomo
Casanova
Negli anni ‘70 Fellini realizza 4 film per il cinema ovvero “Roma”, “Amarcord”, “Prova d’orchestra”,
“Casanova” e uno per la tv. Negli anni ‘80 ne realizza altri 4.
“La città delle donne” (1980): terzo film dopo “La dolce vita” e 8 ½ interpretato da Mastroianni. Si tratta di
una nuova variazione sul tema di Marcello-Federico e le donne però il racconto è sviluppato interamente in
chiave onirica. Infatti, tutta la durata coincide con la rappresentazione di un lungo sogno del protagonista
che si addormenta in treno e si risveglia nel finale. È stato accolto molto negativamente dalla critica.
“E la nave va” (1983): film in costume interamente ricostruito in studio. È ambientato agli inizi del ‘900 e
racconta il naufragio di un transatlantico. Anche questo ottiene scarso successo sul piano commerciale.
Dopo “Amarcord” che è il suo ultimo grande successo internazionale, tutti i film di Fellini vanno male al
botteghino e quindi il regista comincia a essere guardato con sospetto dai produttori perché viene
considerato un regista costoso essendo che le produzioni scenografiche comportano spese molto ampie
che non vengano mai recuperate.
“Ginger & Fred” (1986): racconta la storia di due artisti (Giulietta Masina e Marcello Mastroianni) anziani e
che da tempo non si esibiscono sul palcoscenico ma in passato avevano lavorato insieme nel teatro di
varietà come imitatori di Fred Astaire e Ginger Rogers, la famosa coppia di ballerini del musical
hollywoodiano degli anni ’30. Avevano avuto anche una relazione ma poi le loro strade si erano divise e lei
si era sposata. All’inizio del film vengono invitati a una trasmissione televisiva dedicata a vecchi talenti del
passato a cui decidono entrambi di partecipare. È un film nostalgico che può essere considerato un omaggio
ai suoi due interpreti prediletti e poi anche al musical hollywoodiano. Il presentatore dello spettacolo è
Franco Fabrizi. Uno dei temi del film è la satira della televisione. Nel corso degli anni ‘80 Fellini conduce una
battaglia contro l’interruzione pubblicitaria televisiva dei film trasmessi nelle reti private (sono gli anni
delle televisioni commerciali, delle reti di Silvio Berlusconi). Crea proprio uno slogan a questo scopo: “non si
interrompe un’emozione”. Anche se potrebbe sembrare incoerente, tra il 1984 e il 1992 Fellini dirige 5 spot
pubblicitari per la televisione. Il primo del 1984 è uno spot per Campari, il secondo del 1985 per Barilla e
infine nel 1992 realizza 3 spot pubblicitari per la Banca di Roma che costituiscono un piccolo ciclo in cui
viene rappresentato un incubo che fa il protagonista Paolo Villaggio.
“Intervista” (1987): Fellini riprende la formula del finto documentario. È un film realizzato interamente negli
studi di Cinecittà in cui Fellini sta girando il suo ultimo film. Durante le riprese di quest’ultimo viene
intervistato da una troupe giapponese e racconta episodi della sua vita e carriera che vengono talvolta
messi in scena attraverso flashback. Quindi abbiamo il momento del giovane Fellini che arriva a Roma
interpretato da Sergio Rubini. È un film sul cinema come 8 ½ e Toby Demmit.
“La voce della Luna” (1990): tratto da un romanzo di Ermanno Cavazzoni. Gli interpreti principali sono
Roberto Benigni e Paolo Villaggio. Fellini cominciava ad avere problemi di salute (aveva quasi 70 anni) e si
era anche allontanato dal mondo del cinema.
Federico Fellini muore il 31 ottobre 1993 (a 73 anni), Giulietta Masina il 23 marzo 1994 (cancro ai polmoni)
Il 29 marzo 1993 si reca negli Stati Uniti dove gli viene consegnato l’oscar per la carriera (oltre ai 4 oscar che
aveva vinto per “La strada”, “Le notti di Cabiria”, “8 ½” e “Amarcord”). Non molto dopo il suo ritorno viene
operato per un aneurisma all’aorta e in seguito a questi interventi ha un ictus celebrale ma si salva. Si
trasferisce a Roma: il 17 ottobre viene lasciato uscire dall’ospedale per pranzare con Giulietta ma entra in
coma e vi rimane fino alla morte. C’è uno scandalo legato alla sua morte: venne pubblicata sui giornali una
foto di Fellini intubato. I funerali vengono celebrati a Roma e la camera ardente venne allestita dentro lo
studio 5 di Cinecittà.