Tesi La Danza Del Ragno e La Sua Evoluzione
Tesi La Danza Del Ragno e La Sua Evoluzione
Tesi La Danza Del Ragno e La Sua Evoluzione
TESI DI LAUREA
Relatore
Candidata
111901
1
Alla mia famiglia, a chi ama raccontare.
2
Indice
Introduzione........................................................................................................ 6
1.4.1 La taranta.......................................................................................... 35
1.6 Le espressioni del malessere sociale nella società contadina del Sud
Italia del XX secolo .......................................................................................... 55
3
1.6.2. La taranta e l’omosessualità ............................................................ 60
Conclusioni.................................................................................................101
Appendice...................................................................................................106
Interviste…………………..…………………………………………….106
4
Galleria fotografica………………...……………………………………..114
Rassegna stampa.………………...………………………………………123
Bibliografia………………………...………………………..……………136
5
Introduzione
In chi scrive, la passione per il fenomeno del tarantismo e per la pizzica, sua
espressione coreutica, è stata negli anni fomentata dai numerosi racconti sentiti
dagli anziani di Oria (Brindisi) ed in particolare da mia nonna.
Spesso nelle calde serate estive, molte donne del paese si riunivano (e
riuniscono tuttora) dinnanzi le loro piccole abitazioni, al fine di passare la serata
insieme e parlare di ciò che accadeva nei dintorni. Era usuale, infatti, raccontare
storie riguardanti le donne vittime del morso della taranta, considerate delle
sventurate in preda al delirio; molti sono i racconti da me uditi riguardanti il
sostrato tradizionale pugliese. Mia nonna narrava di una donna, residente nella
Borgata di San Quirico e sua vicina di casa, che (caduta vittima del ragno)
danzava freneticamente tenendosi ad un lenzuolo appeso all’anello centrale della
volta del soffitto: in camicia da notte, la sventurata ballava sino allo svenimento
da cui si risvegliava ‘guarita’.
6
di massima pro o contro le tesi demartiniane espresse nell’opera La terra del
rimorso.
7
importanza poiché codifica il malessere provocato dal morso del ragno e la stessa
terapia, rendendola un rito riconosciuto e condiviso.
L’ultima parte del paragrafo è invece dedicata alle cause del fenomeno in sé,
rintracciate (almeno per ciò che riguarda il XIX e XX secolo) nella durezza della
vita contadina del Meridione italiano; questa era particolarmente sentita tra i mesi
di maggio e giugno, all’aumentare delle temperature e del lavoro nei campi; a
tutto ciò si aggiungeva la pressione data dal contesto sociale che andava a gravare
per lo più sulle donne, non a caso più soggette a cadere nel turbinio generato dal
morso del ragno. Nel corso del paragrafo verrà affrontato anche il problema
dell’omosessualità, aspetto particolarmente controverso del fenomeno, su cui le
fonti non si sono mai concentrate.
Un ultimo accenno è rivolto al tema della trance e agli effetti della danza
frenetica, oltre alla possessione da parte del ragno.
8
meridionale dei secoli passati, la socializzazione anche tra sessi opposti. La danza
era eticamente approvata dalla comunità grazie ad un insieme di regole che
venivano rigidamente rispettate e che coinvolgevano soprattutto il sesso
femminile; tali precetti riguardavano la postura e il buoncostume con il fine di
allontanare ogni allusione sessuale e ogni movenza vagamente erotica.
Il capitolo prosegue con una diligente analisi dei passi e delle figure
tradizionalmente eseguite dai ballerini di pizzica. E’ possibile suddividere i passi
in due macro-categorie: passi di avvicinamento e passi di allontanamento che,
alternandosi, rendono la danza particolarmente movimentata.
Nella ‘pizzica pizzica’ emergono forti contatti con la cultura contadina e con i
modelli sessuali da questa proposti; la danza riproduce una sorta di codice,
evidente all’analisi, che distingue e separa i sessi riuniti comunque dalla musica e,
soprattutto, dall’appartenenza alla stessa realtà. Un importante ruolo è svolto nella
danza dalla comunità, che si riunisce ad osservare ed incitare i ballerini
costituendo un cerchio attorno ad essi, denominato ronda. Quest’ultima, che si
forma del tutto spontaneamente all’iniziare delle danze, segna (e probabilmente
sostituisce) il perimetro circolare rituale della danza.
Ampio spazio è dato all’analisi della cosiddetta ‘pizzica a scherma’ che, svolta
da ballerini di sesso prettamente maschile (in coppia), prevede la simulazione di
un combattimento vero e proprio in cui l’arma è costituita dal palmo della mano
posto di taglio o dall’indice e dal medio uniti. Le regole richiamano fortemente
quelle della scherma e anche la terminologia utilizzata è la stessa. Oggi tale
tipologia di pizzica viene frequentemente danzata da ballerini di etnia zingara, da
secoli presenti in territorio salentino, che però utilizzano armi reali all’interno
della danza. Tale dettaglio fa sì che i salentini non ballino insieme agli zingari che
9
creano dunque ronde separate. Secondo svariati autori, la ‘pizzica a scherma’ è
collegabile alle danze con le spade particolarmente frequenti nel territorio italiano;
in questa sede essa è comparata al Tataratà di Casteltermini (AG) in Sicilia e alle
danze armate piemontesi.
La terza ed ultima parte della tesi è dedicata al cosiddetto folk revival del
tarantismo, un movimento che, dagli anni settanta ma soprattutto nell’ultimo
decennio del Novecento, ha coinvolto l’intera penisola italiana. Ciò che si tenta di
indagare nel suddetto capitolo riguarda le ragioni che hanno portato ad una prima
eclissi del fenomeno nella sua forma originaria e la successiva accettazione e
riproposta del tarantismo (ma soprattutto della pizzica) in una forma ‘depurata’,
priva del contesto rituale. Si data la nascita del folk revival agli anni ’70,
quest’ultimo alimentato dagli interessi degli intellettuali attenti al contesto e alla
cultura popolare contadina. Molti sono stati i canti e le musiche registrate da tali
letterati che, in realtà non miravano alla conservazione del patrimonio culturale
contadino, ma al mero ri-utilizzo dei canti in chiave politica. Una seria spinta al
revival del tarantismo proviene dalla ristampa dell’ormai celeberrima opera di E.
De Martino, La terra del rimorso. Tale ripubblicazione dell’opera ha rinnovato
l’interesse in un consistente numero di accademici che, ripresi i dibattiti sul
fenomeno, si sono schierati (più o meno nettamente) pro o contro le tesi
demartiniane; l’interesse però non è rimasto circoscritto all’ambito accademico
ma ha investito anche un consistente numero di giovani (e meno giovani) e
soprattutto la loro musica.
10
Questo fenomeno, tanto musicale quanto coreutico, ha attivato il mercato
musicale del tarantismo sia nella sua forma moderna che in quella realmente
tradizionale.
Ad essere analizzata nel corso del capitolo è anche l’importanza del cinema e
dei documentari nella riscoperta del fenomeno; vi è inoltre un particolare focus
sull’attività cinematografica di Edoardo Winspeare.
In corso d’opera è nata l’esigenza di un confronto reale con chi segue oggi il
fenomeno del revival per comprendere meglio e a fondo la nuova percezione di
questa antica tradizione. In appendice sono dunque delle interviste (vengono
proposte le più interessanti) pensate per indagare l’impatto della pizzica pizzica su
un gruppo di persone eterogeneo per età, titolo di studio, lavoro, origini, ma con
un fattore comune: l’interesse per la danza in genere e l’attenzione verso le novità
musicali e la contaminazione nel sound popolare. I componenti del gruppo sono
stati scelti dunque in ambienti differenti: alcuni abitano nel Salento (Paolo Quiete,
Flavio Massari); altri sono nati in Puglia, ma trasferiti per motivi di lavoro o
studio in altre regioni (Marco Sposito); altri ancora nati e residenti in regioni del
11
nord, ma frequentatori abituali del Salento (Carmine Arnone, Barbara Ivaldi,
Dario Bertolotti).
12
Capitolo 1. La storia, il rito, i luoghi, i personaggi
1
Difatti il veleno veniva riattivato dalla calura estiva ogni anno.
13
caldo, poteva portare al collasso. Solo quando i pazienti cadevano stremati
dalla folle danza potevano dirsi curati; nonostante ciò il veleno permaneva
all’interno del loro corpo pronto a manifestarsi alla successiva calura estiva.
Tale pratica rituale è presente nel Mezzogiorno italiano fin dal Medioevo
ed è giunta sino a noi solo in minima parte, corrotta da fenomeni quali la
pressione del Cristianesimo cattolico, le rivoluzioni scientifica e tecnologica e
la globalizzazione. Il Cristianesimo da parte sua ha svolto un’azione distruttiva
nei confronti di innumerevoli rituali e costumi tradizionali che sono stati da
questo soppiantati grazie alla massiccia azione missionaria nel mondo. Anche
la diffusione del sapere scientifico e di modelli universalmente condivisi
(attraverso i media globali), compie delle vigorose pressioni sui rituali
tradizionali che vengono inevitabilmente (e spesso irrimediabilmente) lesi.
2
Attribuito a Guglielmo De Marra di Padova.
14
Lo stesso Leonardo Da Vinci accenna alla taranta nel suo
3
Bestiario (Codice H, f. 18v), in cui classifica animali, sia reali che chimere, a
seconda della virtù o del vizio di cui sono simbolo. De Martino riporta
un’affermazione di Leonardo, contenuta nell’opera in questione:
«Il morso della taranta mantiene l’omo nel suo proponimento, cioè
quello che pensava quando fu morso»4
3
L. DA VINCI, Scritti letterari, A. Marinoni (a cura di), Rizzoli, Milano 1952, pp. 105-106.
4
E. DE MARTINO, La terra del rimorso: Contributo a una storia religiosa del Sud, Il
Saggiatore, Milano 1961, p. 196.
5
P. A. MATTIOLI, Commentarii in sex libros Pedacii Discoridis Anazarbei de Medica, Venezia
1554, p. 208.
15
soggetti realmente colpiti dall’animale da quelli che non lo erano ma
partecipavano alla ‘terapia di gruppo’ per meri motivi sociali.
Nel XIX secolo venne affermata ed accertata la natura non medica del
fenomeno e la sua connotazione culturale (nonostante ciò ancora nel ‘900 molti
autori assumevano un’ottica esclusivamente medica nell’osservazione della
pratica). Il fenomeno fu dunque abbandonato dalle classi più alte, che
considerarono le pratiche rituali un’usanza ‘popolare’. In realtà la diffusione di
questa concezione attentò al valore del rito stesso, che risultò compromesso forse
in maniera definitiva.
6
F. DE RAHO, Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza, Lecce 1908.
16
L’etnomusicologo colloca il tarantismo tra i riti medicinali; secondo la sua
prospettiva, tale rito si focalizzava su un animale-simbolo (la taranta, appunto) e
sulla terapia, data dalla danza e dalla musica, che fungerebbe da mezzo per
risvegliare il soggetto infetto da uno stadio di morte apparente, similarmente come
succede nei riti di iniziazione descritti da Van Gennep7. De Martino, pur
consapevole della svolta che si ottiene con Schneider negli studi sul tarantismo, si
distanzia da questo schernendone il metodo (che effettivamente non viene da
Schneider sufficientemente precisato).
Il culmine degli studi sul tarantismo si raggiunge comunque, com’è noto, solo
con Ernesto De Martino che concentra la sua attenzione sull’Italia meridionale e,
in particolare, sulle società contadine in cui persistono (e resistono alla modernità)
pratiche rituali magico-religiose che ben si amalgamano con la tradizione
cristiano-cattolica. Tale orientamento è visibile nella quasi totalità delle sue opere:
del 1958 è Morte e pianto rituale, in cui affronta il tema del lamento funebre in
Lucania; l’anno successivo va invece in stampa Sud e Magia, che analizza più da
vicino le pratiche di fascinazione e le fatture; ultima opera di tale ciclo è per
l’appunto La terra del rimorso che sviscera la tematica del tarantismo nella
regione salentina.
È nel giugno del ’59 che questo, influenzato dalle fotografie di André Martin
che immortalavano alcune scene di rituali che avevano avuto luogo nella cappella
di San Paolo a Galatina, intraprende la sua ricerca sul campo nel territorio
pugliese. La Puglia e più in generale l’Italia meridionale incarnerebbero la
cosiddetta ‘terra del rimorso’ (titolo della celeberrima opera8 di De Martino che
consiste in un’ ampia trattazione del fenomeno del tarantismo), “la terra del
cattivo passato che torna e rigurgita e opprime col suo rigurgito”9. L’antropologo
si trova da subito a fare i conti con i residui della prospettiva medica e positivista
nell’affrontare la sua ricerca; per far fronte a tale problema inserisce tra i suoi
7
A. VAN GENNEP, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino 2006, pp. 57-70.
8
E. DE MARTINO, La terra del rimorso: Contributo a una storia religiosa del Sud, Il
Saggiatore, Milano 1961.
9
Ivi, p. 35.
17
collaboratori anche dei medici specializzati in psicologia e neuropsichiatria10;
nella sua equipe entrò a far parte anche un musicologo11 specializzato in musica
popolare, al fine di non tralasciare alcun dettaglio dell’azione coreutico musicale.
10
Il Dott. G. Jervis, la dott.ssa L. Jervis-Comba e il dott. S. Bettini.
11
D. Carpitella.
18
«Taranta, morso, veleno hanno dunque nel tarantismo un
significato simbolico: danno orizzonte a pulsioni inconsce e alle
reazioni che esse suscitano nella coscienza individuale»12
De Martino, con la sua Terra del rimorso, ha influenzato tutto il ciclo di studi
che ne consegue ed ha reso ‘popolare’, a livello internazionale, il fenomeno del
tarantismo. Esso diverrà centrale in numerosissime opere dei decenni avvenire e
lo stesso rituale avrà una sorta di revival che è tuttora in corso (della riscoperta di
tale fenomeno tratteremo nel terzo capitolo).
12
Ivi, p. 82.
19
1.2 Il rito
Come abbiamo già accennato tale fenomeno prende il via dal morso di un
aracnide che viene talmente caricato di simbolismo da non permetterne una
precisa classificazione zoologica. Il tarantismo possiede un nucleo centrale
invariabile che è costituito dal morso del ragno avvelenatore che genera una crisi
che può essere risolta attraverso una terapia coreutico-musicale; il contorno rituale
è dunque molto vario: le fonti testimoniano l’esistenza di parecchi dispositivi
accessori che possono essere - o meno - utilizzati durante il rito stesso.
Altro aracnide che potrebbe aver contribuito alla formazione del mito della
taranta è il latrodectus tredecim guttadus, meno vistoso della lycosa, ma il cui
morso genera la crisi di cui abbiamo parlato nel paragrafo precedente, ossia il
latrodectismo. Come lo stesso De Martino ci conferma14, molte sono le specie che
possono aver contribuito alla formazione della visione mitica della taranta
13
L. CHIRIATTI, Morso d’amore: viaggio nel tarantismo salentino, Capone Editore, Lecce
2001, pp. 31-32.
14
E. DE MARTINO, La Terra del Rimorso,cit., pag. 81.
20
all’interno del fenomeno che ci accingiamo ad analizzare. Per via di questa
interpretazione simbolica dello stesso animale, diverse sono le descrizioni che gli
appartengono: varia nella grandezza e nei colori e, all’interno dello scenario
simbolico, varia anche nell’aspetto emotivo.
Dalle svariate fonti risulta evidente che la vittima del morso dimostra una
particolare attenzione\attrazione nei confronti di determinati colori (che variano a
seconda del tipo di taranta che ha inferto il morso). Questi venivano presentati al
tarantato tramite fazzoletti, fiori o oggetti colorati di verde, rosso, blu. La visione
di colori sgraditi al tarantato gli generava atteggiamenti aggressivi e collerici che,
in casi estremi, negavano le possibilità di riuscita del rituale stesso. Tale rapporto
21
tra avvelenato e colori è presente in moltissime fonti già dal XVII secolo, che
attestano la presenza della ricerca della giusta tonalità cromatica come parte del
rito. Il colore scelto (che dovrebbe corrispondere a quello della taranta che ha
scatenato la crisi) contribuisce alla risoluzione del rito permettendo di evocare e
defluire determinati conflitti psichici.
Obiettivo ultimo del rito è la morte simbolica della taranta, che può aver
luogo solo mediante l’apporto dell’azione coreutico-musicale: la danza
rappresenta un percorso di identificazione nel ragno stesso, che inizia con una
“danza col ragno” e che termina con una vittoria del tarantato sulla taranta che
15
Le notizie qui riportate derivano dalle informazioni raccolte grazie a colloqui con anziani,
abitanti dei paesi di Oria (Br) e Novoli (Le).
22
viene schiacciata mediante la percussione dei piedi al ritmo della musica (la
tarantella). Durante il rito la vittima dialoga con il ragno, con cui patteggia e
dibatte. Ogni animale esige un ritmo differente a seconda del suo umore, per
questo il tarantato viene sottoposto ad una sorta di esplorazione musicale
compiuta dai musicanti nel tentativo di scovare il ritmo che più si confà alla
particolare taranta. L’avvelenato inoltre poteva apprezzare uno strumento in
particolare tra quelli di cui si serviva l’orchestrina, similarmente all’attrazione nei
confronti di un dato colore. Durante il rituale, infatti, il tarantato manifestava
comportamenti quasi affettivi nei confronti di alcuni strumenti e veniva
assecondato dai suonatori.
È proprio grazie ai musici e alla loro abilità che il rituale aveva effetto;
attraverso la musica giusta e la danza prolungata il tarantato riusciva a
sottomettere la taranta e schiacciarla simbolicamente (con il gesto già ricordato)
sino a liberarsene, almeno fino al ri-morso. La musica e la danza potevano durare
diversi giorni (con le dovute pause) in cui il soggetto del rituale era in principio
soggiogato dal ragno. Questo spronava il tarantato a sbarazzarsi dei canoni
comportamentali della sua cultura al fine di abbandonarsi alla più frenetica danza
e ad atteggiamenti inconsueti, senza colpe. Interessante notare questa contestualità
di ‘giogo’ e libertà.
23
la ‘riconciliazione’ con la cultura di appartenenza, si viene riassorbiti nella sfera
collettiva.
24
San Paolo viene caricato dalla comunità di una grande “potenza simbolica di
reintegrazione culturale”16 tale da superare la forza dell’azione coreutica del rito
domiciliare.
Secondo tale modello, l’interno della casa poteva essere adornato con
elementi naturali quali fronde, rami e frutti posticci colorati in modi differenti;
potevano inoltre essere ricreate delle sorgenti mediante tinozze e bagnarole piene
d’acqua. Il tarantato, durante il rituale, si mostrava attratto da tale contesto
verdeggiante, soprattutto dall’acqua in grado di portargli refrigerio durante la
scalmanata azione coreutica.
16
A. TURCHINI, Morso, Morbo, Morte. La tarantola fra cura medica e terapia popolare.
Franco Angeli, Milano 1987, p. 16.
25
impulso che nasceva probabilmente a causa della scarsa considerazione e dei
pochi rapporti sociali di cui poteva godere la donna in epoca antica.17
17
E. DE MARTINO, La Terra del Rimorso, cit., pp. 230-237.
26
Altri oggetti cui il tarantato ricorre sono vestiti, fazzoletti, drappi, tovaglie dei
più svariati colori che il vicinato mette a disposizione; vengono poi utilizzate, per
stimolare l’olfatto, piante aromatiche: rosmarino, basilico, salvia ecc.
1.3 I luoghi
Questa parte della Puglia gode di un clima tipico del sud d’Italia, con estati
particolarmente afose e inverni piuttosto miti: le temperature solo in sporadici casi
scendono sotto lo zero.
Fino agli anni ’70 del Novecento, il Salento ha condiviso l’arretratezza del
meridione italiano, mantenendo un’economia basata soprattutto sull’agricoltura;
ancora negli anni ’60 vi era una meccanizzazione praticamente nulla, i pochi
27
trattori presenti nell’area venivano infatti noleggiati a giornate.18 L’agricoltura
risulta ancora oggi fondamentale data la grande produzione di olio d’oliva e vini
pregiati (molto noti sono difatti i vini salentini). Inoltre, com’è tipico del
meridione, il tasso di emigrazione è sempre stato molto alto. Prima degli anni
settanta solo una minima parte delle abitazioni presenti nel territorio godevano di
acqua corrente e servizi igienici.
Il clima di tale regione è molto variegato, con una zona costiera tipicamente
mediterranea ma con temperature continentali (contraddistinte da inverni
particolarmente rigidi e umidi) sui rilievi appenninici. Inoltre vi è in questo
territorio una grande diversità ambientale su cui incide particolarmente
l’altitudine.
18
A. ROSSI, Lettere da una tarantata, Argo, Lecce 1994, p. 45.
28
Anche se l’agricoltura riveste tuttora un ruolo fondamentale nell’economia
della regione, la vera risorsa si trova nel sottosuolo in cui sono stati ritrovati
diversi giacimenti petroliferi. L’industria è basata sull’ alimentare, il tessile sulla
lavorazione del marmo; inoltre, nel territorio di Melfi, è presente uno stabilimento
Fiat che ha, alla sua apertura, generato una mobilitazione dovuta alla disponibilità
di impiego.
Del fenomeno del tarantismo in tale regione scrive Vincenzo Bruno, vissuto
tra il XVI e il XVII secolo19 nella città di Venosa; qui è entrato a far parte, nel
1582, dell’Accademia dei Piacevoli e, più tardi (1612), dell’Accademia dei
Rinascenti. In questi anni pubblica due trattati: il primo dal - prolisso - titolo I tre
dialoghi del dottor fisico Vincenzo Bruno di Melfi, nel primo de quali si tratta
delle tarantole, Nel secondo del vivere e del morire, nel terzo delle pietre preziose
e dè semplici. Con molte questioni filosofiche, e medicinali, e molte historie, e
favole appartenenti all’opera. Con le cose più notabili di essa; et de gli Autori,
che in quella si contengono20, prima edizione presso Tarquinio Longo, Milano
1602; mentre il secondo prende il nome di Teatro de gli inventori di tutte le
cose21, pubblicato presso lo stesso editore l’anno successivo. In quest’ultimo,
l’autore tenta di catalogare, in un unico volume, tutte le invenzioni e le scoperte
compiute dall’uomo; un’opera pretenziosa che accompagna la carenza di
informazioni ad un lessico pregiato.
19
Nato negli anni ’60 del 1500 a Melfi.
20
V. BRUNO, Dialogo delle tarantole, Besa, Lecce 2006.
21
V. BRUNO, Teatro de gl’inventori di tutte le cose, Nabu Press, Milano 2010.
22
Realmente apparsa nell’estate del 1596.
29
dettagliata analisi degli effetti attestati a Venosa e della terapia coreutico musicale
ad essi collegata. Bruno evidenzia in modo particolare due tipologie d’effetto
della morsicatura: la prima riguarda un insieme di atteggiamenti che dimostrano
squilibrio, spesso con atteggiamenti estremi e molto bizzarri; nella seconda
tipologia di comportamento è maggiormente evidente la presenza dell’influsso del
ragno-tarantola che sottomette la vittima al suo volere, guidandola nella sfrenata
danza. Bruno comprende l’inefficacia delle medicine tradizionali (parliamo per lo
più di fitoterapia) e si concentra dunque sulle dinamiche della terapia descrivendo
dettagliatamente il superamento della ‘malattia’ attraverso l’azione coreutica -
vista come unico rimedio al tarantismo.
I casi analizzati dall’autore nel Dialogo sono poco meno di venti: anche qui
ad essere colpite sono soprattutto le donne e tutte al culmine del periodo di calura
estiva. Ovviamente Bruno, figlio dei suoi anni, non comprende la natura simbolica
del rituale e ritiene che gli effetti del morso siano aggravati dall’evento astrale;
nell’opera, tra l’altro, non è presente alcun accenno alla ricomparsa stagionale dei
sintomi (cui invece fa molto riferimento De Martino).
Alcune fonti collegano il fenomeno del tarantismo anche alla Calabria; tale
regione peninsulare è circondata dai mari (Tirreno e Ionio) e confina a nord con la
succitata Basilicata.
Il suo territorio è segnato da diversi rilievi soprattutto collinari, ma anche
montuosi; il clima, coerentemente con le altre aree analizzate, è prevalentemente
mediterraneo con sostanziali differenze tra le coste, con clima mite nei mesi
invernali e piuttosto caldo in quelli estivi, ed i rilievi, con inverni freddi ed estati
30
miti. Anche il suo paesaggio è caratterizzato dalla presenza di distese di ulivi
tipici delle zone mediterranee; tali alberi rendono la regione la seconda produttrice
di olio dopo la Puglia.
Come la maggior parte delle regioni del Sud d’Italia, anche la Calabria non
ha goduto di particolare sviluppo industriale e, fino a tempi recenti, agricoltura e
pastorizia sono state le uniche fonti di sussistenza.
Thomas Brown, fisico inglese attivo nel XVII secolo, scrive di un certo
“spider” calabrese23 il cui morso veniva curato attraverso la musica e la danza.
Un breve accenno al tarantismo in Calabria lo abbiamo anche nel secolo
successivo in Gianrinaldo Carli24, questo vi fa riferimento indicando che gli
avvelenati dalla tarantola necessitano della terapia musicale, prolungata anche nel
tempo, al fine di riacquistare la sanità.
Nel XVIII secolo è Catherine Grace Frances (Mrs. Gore) che scrive un breve
racconto dall’emblematico titolo La Tarantata25, che si svolge in una cittadina
calabrese; inoltre Mrs. Gore si occupa del tarantismo anche in un piccolo saggio26
descrivendo le modalità di cura dal morso del ragno. L’autrice nota la prevalenza
femminile tra coloro che vengono attaccati dall’aracnide; ciò che descrive è, in
primo luogo, la partecipazione al rito (che consiste nella mera osservazione) da
parte degli amici e parenti del ‘malato’. Mrs. Gore prosegue narrando come,
all’inizio, il paziente si dimostri indifferente e distratto ma, in seguito, con il
sostanziale aiuto della piccola orchestra e della musica adeguata, cominci a
danzare andando dunque incontro alla guarigione.
Nel XX secolo, qualche decennio prima della pubblicazione dell’opera
demartiniana, a interessarsi del tarantismo calabrese fu Alessandro Adriano che
nella sua opera27 riportò la tarantella utilizzata per guarire i tarantati.
23
T. BROWN, Pseudodoxia Epidemica: or enquiries intoo very many received tenents, and
commonly presumedtruth, Londra 1658.
16
G. CARLI, Delle Opere del Signor Commendatore Don Gianrinaldo Conte Carli, Milano
1786, vol. XIV.
25
MRS. GORE, La Tarantata in «Tales for the grave and the gay», Parigi 1837, vol. II.
26
MRS. GORE, Cure of Tarantula in «The musical world, a weekly record of musical science,
literature and intelligence», n. CII February 1838.
27
A. ADRIANO, Carmi, Tradizioni, Pregiudizi della medicina popolare calabrese. Spunti
folkloristici, Cosenza 1932.
31
1.3.3 L’argia: il tarantismo sardo
28
C. GALLINI, I rituali dell’argia, Cedam, Padova 1967.
32
le specie - una reale corrispondenza zoologica; l’argia viene infatti descritta in
molti modi differenti dalle varie vittime.
Come la taranta, l’argia punge durante i mesi caldi, soprattutto nel periodo
della mietitura, quando i braccianti riposano nelle campagne. Nelle testimonianze
riguardanti le punture recenti vi è la presenza di una prima cura clinica (con casi
attestati di ricovero in strutture ospedaliere) a cui però viene accostata la pratica
rituale tradizionale.
In alcuni tra i casi analizzati dalla Gallini è possibile risalire alla reale
morsicatura del ragno velenoso; lo stato confusionale attestato dalla vittima
all’inizio della cura coincide con quello indotto dall’intossicazione che causa
anche forti dolori e stati di incoscienza. In alcuni argiati però la crisi è data dalla
sola visione dell’animale, unita alle condizioni già disagiate del contesto agricolo.
In tutti i casi, la crisi viene modellata in base alla tradizione vigente nell’area.
Infatti, l’argiato si comporta così come la comunità si aspetta da lui medesimo e la
stessa comunità partecipa al dolore e, ovviamente, al rituale.
33
Nel resto dell’isola l’argiato non ballava ma si comportava come se fosse in
preda a dolori lancinanti: attorno a lui avveniva l’azione coreutica sottoforma di
ballo esorcistico. Questo variava molto a livello spaziale senza un’attestata regola
precisa. Abitualmente, come nel Salento, si ballava per più giorni (con o senza
interruzioni notturne), in coppia o in gruppi. In alcune zone dell’isola si ricorreva
a dispositivi rituali accessori quali la culla, il forno, il seppellimento e la tinozza,
che in alcune zone assumevano un ruolo centrale insieme alla pratica coreutica.
Questi dispositivi vedevano del tutto passivo l’argiato, che nonostante fosse il
protagonista del rituale, non godeva di una partecipazione attiva. Il ruolo attivo, in
questa “interpretazione” del rituale, veniva assunto dal corpo esorcistico che
insieme all’argiato si identificava con l’animale.
Il rituale così presentato dimostra di avere non pochi punti in comune con il
più noto fenomeno salentino. Allo stesso modo, abbiamo visto come il fenomeno
è presente non solo in Puglia, ma anche in regioni (quali la Calabria e la
Basilicata) che condividono il clima, la geografia, l’economia basata (fino a gran
parte del secolo scorso) sull’agricoltura e, in parte, la storia.
34
1.4.1 La taranta
29
A. TURCHINI, Morso, Morbo, Morte, cit., p.42.
35
inoltre può essere attratta da un preciso colore e disprezzarne un altro, allo stesso
modo può apprezzare in modo quasi ossessivo il suono di uno dato strumento.
Così il tarantato, durante il periodo di crisi, manifesta comportamenti differenti a
seconda del tipo di taranta da cui è stato avvelenato: in questo modo, un individuo
si può dimostrare incline al canto o al ballo in misura variabile, oppure può
mimare atteggiamenti libertini (in certi casi addirittura orgasmici) chiaramente
riconducibili alla sfera erotica. Ad ogni tipologia di ragno corrisponde un tipo di
musica adeguato, stabilito attraverso varie prove effettuate dall’orchestrina
coinvolta; in particolare, alla taranta ‘triste’ corrispondono nenie o, in taluni casi,
lamenti funebri. La taranta, inoltre, può spingere la vittima a digiunare.
1.4.2 Il tarantato
30
G. PONTANO, Antonius in ed. critica dei Dialoghi, (a cura di) C. Previtera, Firenze 1943.
31
E. DE MARTINO, La Terra del Rimorso, cit., p. 69-70.
36
tale inclinazione potrebbe derivare dalla debolezza fisica delle donne di basso
ceto.32
Mentre danza il tarantato trasmette quei valori propri della sua comunità,
condivisi sia da chi osserva che da chi partecipa in maniera attiva. Ogni gesto
32
L. CHIRIATTI, Morso d’amore: viaggio nel tarantismo salentino, Capone Editore, Lecce
2001.
37
compiuto durante la danza viene plasmato in maniera ambivalente, ossia
culturalmente ed in maniera individuale: da un parte è il modello culturale ad
esigere determinate movenze, dati oggetti del rito e comportamenti fortemente
stereotipati; dall’altra, questi stessi comportamenti ritenuti indotti dalla taranta,
vengono reinterpretati in chiave strettamente personale dalla vittima e modellati in
base alle proprie esperienze personali ed alle proprie emozioni ed esigenze.
33
J. C. MITCHELL, The Kalela Dance. Aspects of social relationship among Urban Africans in
Nothern Rhodesia, Manchester University Press, Manchester 1956.
38
reperibili; inoltre, all’interno della danza vengono introdotti personaggi ritenuti
tipici della realtà occidentale: l’infermiera, il dottore o il re.
Allo stesso modo, possiamo facilmente supporre che il ceto contadino del
Salento facesse uso del momento coreutico per autorappresentarsi attraverso
modelli che non gli appartenevano. Abbiamo dunque testimonianze di braccianti
che interpretano il ruolo di guerrieri (durante la danza con le spade) e di contadine
che raccolgono dal vicinato drappi e gioielli con cui si adornano; dimostrando, al
pari dei danzatori africani, una sorta di ostilità nei confronti del gruppo dominante
- ossia i coloni occidentali per gli africani dello Zimbabwe e, per lo sfruttato ceto
contadino del Salento, la borghesia e la piccola nobiltà, o anche solo il mondo
lontano delle città con la loro cultura, la moda, gli scambi commerciali.
Anna (nome fittizio di cui fa uso la stessa autrice), sin dalla giovinezza è
vittima di crisi epilettiche che essa stessa, a seconda dei casi, riconduce al culto di
S. Donato (protettore degli epilettici) o a quello di S. Paolo (che invece protegge i
tarantati). All’epoca dello scambio di lettere con la studiosa, Anna vive in povertà
e in solitudine, in una stanza priva di servizi igienici. La sua sopravvivenza è
garantita dalla pensione e da un terreno che coltiva a qualche chilometro dalla sua
abitazione. La vita di Anna è angosciata non solo dalla\e sua\e malattia\e
(epilessia e tarantismo) ma anche dall’assenza di un sereno rapporto con il sesso
opposto; inoltre, dalle epistole, i rapporti con la famiglia risultano scossi da liti
aventi natura differente (problemi legati all’eredità o alle sue malattie).
34
A. ROSSI, Lettere da una tarantata, Argo, Lecce 1994.
39
Ciò che è facilmente osservabile nelle diverse lettere (sessantacinque in tutto) è
la difficile e faticosa vita affrontata da Anna, considerata come simbolo del ceto
contadino del Salento. Anna spesso racconta all’autrice le lunghe giornate di
lavoro che aveva trascorso in gioventù nei campi; le ore di lavoro, sotto il sole
cocente, erano tante ed il cibo era scarso soprattutto per lei, ultima di otto figli. La
contadina racconta che, durante le giornate in campagna, il padre distribuiva la
frisa (una sorta di pane biscottato) e lei veniva penalizzata nella quantità per via
della giovane età.
35
Lo scorpione è uno di quegli animali associati alla taranta per quel che riguarda gli effetti del
suo morso.
40
1.4.3 Musica ed esecutori
36
E. DE MARTINO, La Terra del Rimorso, cit., p. 344.
37
La musica propria della piccola taranta.
38
A. TURCHINI, Morso, morbo, morte, cit., pp. 83-88
41
È bene ricordare che la scelta degli strumenti e dei toni è strettamente collegata
e vincolata dalla personalità della taranta che soggioga il tarantato e dunque è
estremamente variabile. Nonostante ciò, nelle testimonianze ritorna con estrema
frequenza l’utilizzo dell’ottava siciliana; quest’ultima è ritenuta l’aria ideale per
stimolare i tarantati e condurli alla terapia mediante la danza senza freni.
Abbiamo già fatto accenni a una possibile macrodivisione della natura della
taranta in “ballerina” o “canterina”; e se la prima predilige una terapia più
propriamente connessa alla danza, la seconda articola la risoluzione della crisi
attraverso il canto.
42
Può essere presente la domanda ‘dove ti ha morso la taranta?’ la cui
risposta è di frequente vaga o chiaramente allusiva
Possono essere presenti accenni ad oggetti tipicamente riconducibili al
rito (fazzoletti colorati, altalene, pozze d’acqua, ecc.)
Possono comparire riferimenti a San Paolo
Argomento molto presente nei testi è quello dell’eros precluso cui spesso le
donne salentine sono costrette e a cui si accennerà con maggiore attenzione in
seguito. Molti testi poi trattano di amori infelici e romantici, mentre altri
accennano a varie personalità religiose tra cui spicca ovviamente il santo
protettore dei tarantati, il già citato San Paolo; nelle strofe in cui vi è un
riferimento a quest’ultimo, vi compaiono con frequenza maggiore esortazione e
richieste di grazia e guarigione. Inoltre in alcuni testi San Paolo viene accostato
alle tematiche erotiche, in cui ricorre il morso della taranta nei pressi degli organi
sessuali - sia femminili che maschili. Ma la taranta, come già più volte ricordato,
può anche essere triste e malinconica ed esigere una terapia musicale adeguata,
spesso similare alle melodie funebri; in questo caso i testi non variano e vengono
semplicemente adattati alla bassa velocità della musica.
43
Considerato l’emblema del musico-terapeuta è sicuramente Luigi Stifani
(Figura 5), di professione barbiere nel comune di Nardò, ma all’occorrenza
“suonatore di tarantate”. Stifani descrive il tarantismo, nella sua prospettiva da
insider, come un fenomeno reale: né come una malattia, né come una forma di
disagio, ma come effetto proprio del morso della tarantola e curabile
esclusivamente mediante la musica e l’intervento provvidenziale di San Paolo di
Galatina. Inoltre, il suonatore accenna alla diminuzione della contrazione del
tarantismo a partire dalla fine degli anni ’60; Stifani riconduce tale evidente dato
alla minore frequentazione delle campagne da parte della popolazione e alla
presenza nei terreni di sostanze chimiche che ridurrebbero l’effetto della
morsicatura del ragno.
Spesso Stifani veniva chiamato dalla famiglia del tarantato con lo scopo di
effettuare un sopralluogo che precedeva l’attività musicale e consisteva in una
vera e propria diagnosi atta alla comprensione dell’entità del male della vittima: il
musicista si assicurava che la vittima fosse realmente tarantata, prima di dare il
via all’azione coreutica-musicale. Per distinguere i tarantati, Stifani osservava i
loro occhi (che dovevano contenere le tracce del veleno) ed i loro piedi (che il
tarantato non riusciva a tenere fermi); ultimo indizio era invece dato dalla costante
eccitazione in cui il tarantato si trovava:
39
L. CHIRIATTI, Morso d’amore, cit., pp. 47-50.
40
Ivi, pp. 49.
44
Anche il fratello di Luigi Stifani, Antonio, è un musicista delle tarante;
similarmente al fratello, questo tratta il fenomeno del tarantismo come
assolutamente reale. Antonio attribuisce la maggior frequenza di tarantate di sesso
femminile al loro tipo di abbigliamento, che le coprirebbe in maniera inferiore
rispetto al vestiario tipico degli uomini.
1.4.4 La Comunità
45
primis, nel riconoscimento della natura del male accusato dal tarantato. Tale
riconoscimento avviene all’interno della famiglia prima ed, in seguito, nel
vicinato. Quest’ultimo contesto assume un ruolo di particolare rilievo nel
momento in cui le comari (donne del vicinato) contribuiscono alla costruzione del
perimetro rituale e, spesso, mettono a disposizione oggetti di vario tipo - come i
fazzoletti ed i gioielli di cui si è trattato in precedenza. Inoltre spesso le comari si
occupano di preparare da mangiare ai musici durante l’azione rituale e musicale,
alleggerendo la famiglia del tarantato della spesa del vitto.
Nella già citata intervista a Luigi Stifani emerge l’importanza della comunità
nel suo racconto riguardante una tarantata, appartenente ad una famiglia piuttosto
benestante, il cui padre non voleva che la gente del vicinato assistesse alla
spudorata danza compiuta dalla figlia:
42
L. CHIRIATTI, Morso d’amore, cit., p. 48.
46
la comunità è sicuramente uno dei protagonisti più coinvolti nella costruzione del
fenomeno (almeno in origine) e nella partecipazione collaborativa o meno al
rituale in sé (Figura 8).
43
E. DE MARTINO, La Terra del Rimorso, Cit., p.38.
47
anche nella tradizione propria della classicità greca, viene evidenziata la maggior
frequenza di vittime, di morsi di animali velenosi, nel sesso femminile. Ne La
Terra del Rimorso, l’autore azzarda delle similitudini tra il fenomeno in questione
e certi tratti presenti in alcuni passi del Prometeo di Eschilo, soprattutto per ciò
che riguarda la presenza del ‘pungolo’44 in connessione a motivi riguardanti l’eros
precluso e la verginità imposta culturalmente.45
44
De Martino parla di oistros.
45
E. DE MARTINO, La Terra del Rimorso, cit., pp. 220-225.
46
H. E. SIGERIST, Breve storia del tarantismo, Besa, Lecce 2003, pp. 41-43.
47
G. MORA, Il male pugliese. Etnopsichiatria storica del tarantismo, Besa, Lecce 2001, pp. 25-
31.
48
Secondo Annarita Zazzaroni48 il tarantismo contiene in sé numerose
corrispondenze con il mito greco di Aracne, corrispondenze che ne
implicherebbero una ancestrale connessione. Nell’ottica dell’autrice, il tarantismo
avrebbe il ruolo di ‘riscrivere’ lo stesso mito, che viene interiorizzato dalla
comunità e reso nuovamente vivo attraverso le esperienze personali.
In alcune versioni del mito di Aracne, cui accenna l’autrice nel saggio in
questione, essa incarna la fanciulla in preda alle pene d’amore: sedotta e
abbandonata dall’amato, attende il suo ritorno per mare, ma quando ciò avviene
uno sventurato incidente durante l’attracco glielo porta via in maniera definitiva.
In preda alla follia dovuta al dolore, la fanciulla viene tramutata da Zeus in ragno
affinché attraverso il suo morso possa vendicarsi delle sofferenze subite.
Anche nella versione più nota del mito di Aracne, presente nelle Metamorfosi
di Ovidio, è possibile riscontrare delle somiglianze con il fenomeno del
tarantismo; in questo celeberrimo mito, la fanciulla Aracne sfida la dea Atena
nell’arte della tessitura. La dea, vedendosi sopraffatta dalla superba tela di Aracne
(raffigurante i misfatti delle diverse divinità), la picchia con la spola facendola
sanguinare; la fanciulla, delusa ed umiliata dalla reazione di Atena fugge e tenta il
suicidio per impiccagione. Atena decide di salvarle la vita, ma al contempo la
condanna ad una vita da tessitrice sotto le spoglie di ragno.
48
A. ZAZZARONI, Il ragno che danza. Il mito di Aracne nel tarantismo pugliese, In Amaltea:
Revista di Mitocrìtica, 2010 (vol. 2), pp. 169-183.
49
La contrapposizione donna\dea richiama la necessità di ‘emergere’ presente
nella psicologia delle donne del Salento. La connessione con tale aspetto del mito
richiama quell’aspetto rituale che comporta la ‘vestizione’, l’indossare gioielli e
drappi, al fine di riconoscersi in una realtà altra - quasi divina - contrapposta al
malessere presente nella società contadina della Puglia.
49
A. ZAZZARONI, Il Ragno che Danza, cit., p. 175.
50
A. L. CASTELLAN, Letters on Italy, Editor Richard Phillps and co., London 1820.
50
patria. I due giovani innamorati avevano comunque fissato la data del loro futuro
incontro al fine di celebrare le attese nozze.
51
H. E SIGERIST., Breve storia del tarantismo, cit., p.32.
51
di storia e ragione e quelle prettamente tradizionali, dominate dal pensiero
magico; secondo quest’ottica, la critica al rituale intaccato dal cristianesimo si
allinea nel generale orientamento critico dell’autore nei confronti della ‘magia’.52
Ma il rapporto fra taranta e San Paolo appare sin da principio confuso e pieno
di contrasti, sia impliciti che espliciti e viene idealmente fatto risalire all’esistenza
di una casa in cui il santo avrebbe abitato, presente nel territorio di Galatina. Tale
territorio appare inoltre oggetto di una assoluta immunità al fenomeno del
tarantismo - a cui si è già accennato nel paragrafo 1.1; molte sono le
testimonianze che vi fanno riferimento, insistendo sulla mancata presenza del
tarantismo non solo in questo, ma anche in altri paesi considerati ‘santi’.
È certo che, alle porte del 1800, venne eretta l’attuale cappella di San Paolo a
Galatina nel territorio in cui, in epoca antica, si trovava la sua dimora.
52
F. REMOTTI, Noi, primitivi. Lo specchio dell’antropologia, Bollati Boringheri, Torino 2009.
53
M. NOCERA, Il morso del Ragno: alle origini del tarantismo, Capone Editore, Lecce 2005,
pp. 25-30.
52
La costruzione della cappella si configura come il tentativo vitale da parte
della Chiesa d’inglobare il rito e ciò viene adeguatamente dimostrato dalla
struttura dell’edificio che incorpora nella sacrestia il pozzo dalle acque
miracolose54. In tale luogo il rito perde il carattere domestico legato a credenze e
superstizioni e viene sancito definitivamente cristiano.
«Vanno a Galatina e san Paolo dice loro cosa devono fare […] I
tarantati […] parlano con il santo, poi ci raccontano ciò che il
santo dice loro, ma noi il santo non lo sentiamo mai»55
54
La bocca del pozzo è poi stata murata nel giugno del 1959, anno della ricerca di Ernesto De
Martino.
55
L. CHIRIATTI, Morso d’amore, cit., p. 48.
53
dall’esorcismo musicale in azione […] Trasportato in cappella,
amputato dell’esorcismo musicale […] il tarantismo si spogliava di
ogni dignità culturale, di ogni efficacia simbolica, e recedeva al
livello di singoli episodi morbosi sui quali era chiamato a
giudicare non più lo storico della vita religiosa, ma lo
psichiatra»56
Una visione del rito opposta proviene da Giancarlo Vallone che ritiene,
nonostante il culto di San paolo freni molti aspetti del rituale del tarantismo nella
sua accezione originaria (per quanto riguarda per esempio l’azione cromatica e
musicale), questo agisca a livello più profondo e simbolico, innestando per
l’appunto, il “simbolo-Paolo”, in maniera parallela al simbolo-taranta - seppur ne
vieti la manifestazione terapeutica tradizionale all’interno della cappella di
Galatina. Vallone, dunque, interpreta l’avvento del cristianesimo cattolico nel
tarantismo come un’integrazione storica dotata di una sua importanza simbolica e
di una sua relativa autonomia.57
56
E. DE MARTINO, La Terra del Rimorso, cit., pp. 133-135.
57
G. VALLONE, Le donne guaritrici nella terra del rimorso. Dal ballo risanatore allo sputo
medicinale, Congedo Editore, Lecce 2004.
54
nell’esecuzione domestica del rito le stanze appaiono decorate con diverse
immagini religiose riguardanti soprattutto il protettore dei tarantati.
La presenza della figura di San Paolo nella complessità del tarantismo risulta
particolarmente significativa se osserviamo alcuni brani cantati, utilizzati durante
l’azione rituale, che fungono da invocazione allo stesso Santo:
È stato già evidenziato - in questa sede, ma anche dalle diverse fonti - come il
tarantismo si manifesti in maniera assolutamente preponderante tra le classi
contadine del Salento. Questo tratto, attestato sin dalle prime apparizioni del
rituale, risulta ancor più significativo in un contesto carico di innovazioni
tecnologiche e trasformazioni sociali qual è stato il XX secolo.
L’industrializzazione infatti ha innescato una spinta migratoria dal Sud al Nord
del Paese59 che ha coinvolto le classi sociali più povere e privato le campagne
della forza lavoro. In compenso, negli stessi anni si sono diffuse le varie riforme
agrarie, promosse prima da enti locali e poi dallo Stato e che grazie alle ‘cattedre
58
E. DE MARTINO, La Terra del Rimorso, cit., p. 370.
59
Dall’Italia si migrava altresì per mete quali il nord Europa e, più frequentemente, il
continente americano.
55
ambulanti’60 hanno raggiunto il Meridione, durante il primo decennio del ‘900.61
Ma nonostante le migliorie apportate dal progresso tecnologico, il gap tra Nord
Sud è rimasto particolarmente marcato come le differenze tra la popolazione
contadina e la borghesia o la piccola nobiltà del Meridione.
I contadini del Salento affrontavano dalle dieci alle dodici ore di lavoro
giornaliero, con una sola breve pausa per consumare una povera colazione
consistente in un pezzo di pane con pomodoro o cipolla; inoltre, per raggiungere i
campi, molto spesso i contadini dovevano percorrere lunghi tragitti a piedi nelle
prime ore del giorno. Durante queste interminabili giornate l’unica forma di
comunicazione possibile consisteva in canti utili ai braccianti ad incoraggiarsi tra
loro e ritmare le azioni.62 Le condizioni delle loro abitazioni erano disastrose e
spesso queste consistevano in un unico ambiente in cui vivevano tutti i
componenti della famiglia (come nel caso della tarantata Anna, contadina del
leccese in contatto con la studiosa Annabella Rossi)63 ed in cui venivano tenuti
anche gli attrezzi da lavoro e le poche provviste.
L’accentuata presenza del fenomeno del tarantismo tra i contadini del Salento
veniva comunemente associata all’aracnidismo e giustificata con la
frequentazione delle campagne durante il periodo estivo. È in tale periodo, come
abbiamo già visto, che la taranta era solita pizzicare i braccianti e, soprattutto, le
60
Queste cattedre (la cui prima fu istituita a Ascoli Piceno nel 1863) avevano il compito di
diffondere il progresso nel campo delle tecniche agricole; non in ambito meramente scientifico
ma piuttosto esse erano rivolte ai proprietari terrieri ed alla massa contadina.
61
M. ZUCCHINI, Le cattedre ambulanti di agricoltura, Volpe Editore, Roma, 1970.
62
L. CHIRIATTI, La Terra del Rimorso, cit., p. 105.
63
A. ROSSI, Lettere da un tarantata, cit., p. 73.
56
contadine dedite al lavoro ed intente nella spigolatura, nella raccolta del tabacco o
nella cura delle viti.
Osservando il rituale come un fenomeno tipico di una data classe sociale, così
come lo abbiamo descritto, è possibile connetterlo ad un’insofferenza di tipo
socio-economica che va a connotare un’intera comunità, una fetta consistente di
popolazione che è costretta a vivere nell’arretratezza culturale ed immersa nel
duro lavoro nei campi. A tale malessere si sovrappone il contesto magico-rituale
arcaico da cui emergono i temi stessi del tarantismo; i soggetti, inseriti in tale
cornice sociale si caricano di suggestionabilità, assorbono le credenze dalla
tradizione locale e le collegano all’esperienza individuale.
Un’altra interpretazione potrebbe essere data dalla visione del tarantismo come
appiglio ad una tradizione ormai perduta, di cui permangono solo i disagi, solo la
povertà e l’ignoranza di fronte ad un mondo che cambia rapidamente, che non
coinvolge i ceti poveri ma che, al contrario, li ignora.
Così, nel Salento rurale, diversi tipi di ‘mali’ venivano messi in relazione ad
eventi casuali (quali ad esempio l’arrossamento degli arti dovuto al contatto con
piante urticanti, il manifestarsi di crampi per via della fatica o la sola visione di
57
animali ritenuti velenosi) e, grazie all’intervento della credenza popolare, poteva
essere innescato un atteggiamento autosuggestivo in grado di attivare l’azione
rituale stessa che prendeva le sue mosse tra i campi coltivati mediante il
riconoscimento del morso da parte della comunità.
64
Anche in questo caso si fa riferimento a notizie raccolte tramite colloqui con gli anziani e
racconti ascoltati in famiglia.
58
preparazione del cibo per la famiglia), dimostrano una instabilità piuttosto
marcata.
Ma la crisi, abbiamo già visto, può essere innescata anche a causa di episodi
spiacevoli quali lutti, delusioni amorose, problemi legati alla salute propria e delle
persone care. Non sempre esiste comunque un fatto scatenante; la crisi può essere
la mera ricerca di attenzioni della vittima da parte della famiglia e della comunità,
un estremo atto esibizionista. A questa richiesta ritualizzata da parte della
tarantata, la comunità reagisce con un risposta altrettanto rituale: in generale vi è
un forte coinvolgimento emotivo dei parenti e del vicinato, soprattutto delle
comari che si dimostrano parte attiva del rito coreutico-musicale (vedi par. 1.4.4);
la famiglia vive il momento con apprensione, prodigandosi per la cura della
tarantata, spendendo in questa pratica i frutti del duro lavoro nelle campagne. I
65
L. CHIRIATTI, Morso d’amore, cit., p. 102.
59
familiari non dubitano né dell’esistenza del ragno, né della realtà della crisi, né del
potere salvifico della musica e di San Paolo.
Maurizio Nocera, nel testo Il morso del ragno: alle origini del tarantismo66,
riporta l’intervista a Tore Greco, un giovane salentino che acquista
consapevolezza della sua omosessualità attraverso il tarantismo.
60
«Questo tipo di musica, quando l’ascoltavo mi provocava come
una sorta di liberazione da qualcosa, non in modo definitivo però
[…] mi sentivo come se dentro di me, dentro la parte più intima del
mio corpo ci fosse una sorta di ritmo musicale disturbato. Per
questo andavo alla ricerca del ritmo giusto, quello che poi
apparteneva alla mia propria natura»67
67
Ivi, p. 49.
68
A. MORINO, Rosso Taranta, Sellerio, Palermo 2006, p. 67.
61
Morino dunque ritiene la fuga l’unica possibilità per l’omosessualità che così
male si inscrive in un contesto tradizionale e retrogrado come quello del Sud
Italia; e ancora racconta di uomini malmenati dalla famiglia, fuggiti o assassinati
nella terra madre oppure nelle tanto ambite città del nord. L’autore accenna però
all’episodio di Giorgio di Galatone, tarantato assistito e guidato nella cura dalla
sorella;69 Giorgio rappresenta un’altra faccia della medaglia, l’aspetto
compassionevole della comunità, l’affetto che diventa pena che si tramuta in
tarantismo. Giorgio è l’emblema dell’omosessualità compresa e naturalizzata nel
morso della taranta.
Non è difficile accostare il tarantismo - nel momento culmine del rito - ad una
sorta di trance. Questo stato alterato della coscienza è rintracciabile dunque a
rituale inoltrato e sarebbe indotto dalla stessa danza frenetica, dagli oggetti del rito
e dalla musica.
69
Ivi, pp. 124-126.
62
Molti sono infatti gli esempi etnografici in cui il simbolismo e
l’immaginazione provocano la trance; il tarantismo non è da meno, dimostrando
stati d’allucinazione (sia visive che uditive), di dissociazione dagli atteggiamenti
consuetudinari e similitudini con i rituali di possessione.
Ciò che nel tarantismo appare evidente è il potere che la taranta esercita sulla
vittima del suo morso, il tarantato appunto. Tale individuo risulta, almeno nella
prima parte del rito, soggiogato dall’animale, che condiziona le movenze e gli
atteggiamenti da questo adottati. In quest’ottica è facile accostare il tarantismo ad
un rituale di possessione, intendendo quest’ultimo concetto come:
La possessione della taranta appare come uno stato di trance che viene
modellato culturalmente ed individualmente (dalla collettività e dal tarantato).71
Basta pensare alle sequenze del rituale e soprattutto agli atteggiamenti ‘esagerati’
della danza stessa; le testimonianze più svariate riportano casi di uomini che
danzano per giorni, aggrappati a funi pericolanti o peggio in bilico sulle cornici
dei quadri raffiguranti San Paolo.
70
M.R. TAMBLÉ, Tarantismo e stregoneria: un legame possibile, in Trance Guarigione Mito:
Antropologia e storia del Tarantismo, AA.VV., Besa, Lecce 2000, p. 103.
71
V. LANTERNARI, Antropologia religiosa: Etnologia, Storia, Folklore, Ed. Dedalo, Bari 1997.
63
Capitolo 2. La coreutica della pizzica:
64
dell’anno contadino: si danzava dunque per la vendemmia, per la mietitura, per
celebrare la fine di una stagione propizia o per invocarne una. Un occhio inesperto
colloca queste danze in un contesto di gioia e svago che dovrebbe coronare le
tante fatiche e gli stenti del mondo rurale; ma uno sguardo più approfondito ci
permette di collocare le danze popolari in un contesto intriso di magia e religione.
Tali danze si inscrivono in cornici rituali più ampie, atte a sollecitare o a
ringraziare le divinità pagane, che verranno poi sostituite dai personaggi della
tradizione religiosa di stampo cristiano.
La tarantella (e, come vedremo a breve, la pizzica) è una danza che ha inizio
con movimenti che appaiono lenti ma aumentano di velocità durante l’esecuzione,
diventando vorticosi.
74
La questione dell’etimologia della tarantella è stata particolarmente viva sino al secolo scorso e
ha interessato i linguisti ed i folcloristi italiani.
75
C. NASELLI, Studi di folklore: drammatica popolare, culto degli alberi, tarantella, empanadilla,
Editore G. Crisafulli, Catania 1953.
65
ragno.76 Per esempio, Giuseppe Gala ritiene il termine ‘pizzica’ connesso
all’organologia etnomusicologia; inoltre è da ricordate che anche Luigi Stifani,
musicista terapeuta, ricollega il termine pizzica al morso dell’animale velenoso.
Certo è che il termine ‘pizzica pizzica’ sia posteriore a ‘tarantella’: quest’ultimo
infatti è già presente agli inizi del 1600 mentre il secondo compare solo alle porte
del XIX secolo.77
Gli altri strumenti possono variare molto: spesso è presente un tamburo, utile a
dare il ritmo ai ballerini; ma possono anche comparire armoniche a bocca, violini,
chitarre, organetti, fisarmoniche ed altri strumenti variamente diffusi nelle terre
del Meridione. Sulla varietà degli strumenti utilizzati ha influito notevolmente il
progresso storico, la zampogna per esempio era molto presente nella pizzica sino
agli inizi del XIX secolo ma è successivamente scomparsa lasciando il posto ad
altri strumenti. L’impianto musicale dà vita a una terzina che viene, nei 4/4
classici, ripetuta due volte permettendo all’orecchio di percepire un ritmo
particolarmente veloce e coinvolgente.
76
L. TARANTINO , La notte dei tamburi e dei coltelli: La danza-scherma nel Salento, Besa, Nardò
(LE) 2002, pp. 9-10.
77
G. M. GALA, «La pizzica ce l’ho nel sangue» Riflessioni a margine sul ballo tradizionale e sulla
nuova pizzicomania del Salento, in Il ritmo meridiano, V. Santoro e S. Torsello (a cura di),
Edizioni Aramirè, Lecce 2002, pp. 117-118.
66
2.2 La pizzica come momento di socializzazione
Nel primo capitolo abbiamo più volte accennato alla forza terapeutica
dell’azione coreutica, così come si manifesta nella più tradizionale ‘cura’ del
morso della taranta. Ma la ‘pizzica pizzica’ assume particolare rilevanza nella
cultura salentina anche al di fuori del contesto rituale del fenomeno del
tarantismo. In contesti ‘laici’ la danza diventa occasione di socializzazione e di
svago, sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare e domestico.
67
femminili invece godono di maggior delicatezza e vengono eseguite all’interno di
spazi coreutici di misura ridotta.78
Tra le forme di pizzica eseguite oggi è possibile distinguere con facilità alcune
forme tradizionali (che subiscono notevoli variazioni sul territorio) da quelle
reinventate dalle generazioni più giovani grazie soprattutto al revival che ha preso
piede da metà degli anni ’90; tali varianti di matrice moderna vengono spesso
designate con il termine “neo-pizzica”.
La maggior parte dei passi fondamentali della pizzica (che analizzeremo nel
dettaglio in seguito) viene eseguita dalla posizione frontale; il giro invece può
consistere di una semplice corsetta ritmata dalla musica, oppure la donna può
girare rapidamente su se stessa mentre il compagno le gira attorno compiendo con
le braccia movimenti ampi e lenti. Dato che il giro rappresenta la conquista della
donna della propria autonomia e dei propri spazi, l’uomo può girare attorno alla
ballerina con le braccia tese verso il basso e battendo le mani, incitandola dunque
78
G. M. GALA, «La pizzica ce l’ho nel sangue», cit., p. 121.
68
a concedersi ulteriormente nella danza frontale, (battere le mani è una incitazione
sessuale nei codici della danza e quindi è un movimento esclusivamente
maschile).
Per ciò che riguarda i passi di allontanamento, una variante più coreografica
della tipica fuga in circolo vede i due ballerini che si avvicinano e, mettendosi
spalle contro spalle, cominciano a girare: l’uomo tiene le mani protese verso l’alto
e la donna invece le allarga verso l’esterno; in questa posizione i ballerini girano
sempre più velocemente sino a voltarsi e ritrovarsi in posizione frontale, pronti a
riprendere con un passo di avvicinamento.
69
donna che si comporta in maniera ambivalente: da una parte provoca il compagno
di ballo con il movimento del fazzoletto ma, allo stesso tempo, finge di ignorarlo.
In questa fase della pizzica, la ballerina dimostra di essere interessata e di
apprezzare le attenzioni del suo compagno di danza ma continua a mantenere le
distanze per rimaner fedele alle convenzioni sociali.
Ciò appare chiaro nella gestualità del ballerino: il battere le mani verso il basso
(anche sotto gamba) rappresenta un invito forte ed intimo, mentre muovere
velocemente le mani dal basso verso l’alto (che in parte riconduce sempre al
tessere la tela del ragno) mostra la volontà di sollevare la gonna della donna. A
tali inviti spesso la donna risponde con le giravolte che, nonostante siano gesto di
70
fuga, permettono alla gonna di sollevarsi quel tanto da mostrare le gambe al
proprio compagno di ballo. Si instaura dunque una sorta di dialogo implicito e
codificato ma con note di forte sensualità.
79
Osservazione fatta sulla base dell’esperienza personale, anche all’interno di diversi corsi di
pizzica, sia pratici che teorici.
71
momenti di stasi apparente (in cui i due ballerini si studiano a vicenda) o di attesa
e fasi decisamente più frenetiche caratterizzate da forti battiti dei piedi al suolo
(eseguiti abitualmente dagli uomini), repentini e vorticosi giri su se stessi
(caratteristici dell’esecuzione femminile), brevi inseguimenti, allontanamenti con
veloci ravvicinamenti ed incroci tra i due ballerini.
L’importanza della ronda risiede nel ricreare il contesto rituale e pubblico, che
richiama al perimetro cerimoniale presente nella coreoterapia del morso della
taranta; tale area si veniva a creare sia nelle campagne che in contesto domestico81
al fine di ‘cingere’ e proteggere il tarantato. La ronda contrassegnava
ulteriormente lo spazio in cui aveva luogo la guarigione e in cui l’individuo
colpito dava sfogo alle sue frustrazioni sociali, emotive e sessuali. Al contempo, il
tarantato grazie alla ronda ritrovava il calore della comunità stretta attorno a lui,
pronta a giustificare il suo malessere e ad accoglierlo benevola.
80
Ibidem.
81
Dove il margine ultimo a cui gli individui del ‘pubblico’ possono accedere è contrassegnato dal
lenzuolo steso per terra su cui il tarantato danza.
72
‘chiamano’ la ronda chiedendo agli spettatori lo spazio per danzare senza intralci.
Si forma dunque lo spazio circolare delimitato dai suonatori, dai ballerini in attesa
della loro esecuzione e dal pubblico.
Durante l’azione coreutica, lo scialle può essere utilizzato in diversi modi: può
essere fatto roteare vorticosamente durante le giravolte, in modo che esso
incornici il movimento della donna in maniera alquanto coreografica; lo si può
sventolare davanti al viso del compagno come gesto di sfida o di invito; può
essere utilizzato per nascondere il volto dell’esecutrice; o ancora, può essere
tenuto tra le mani durante la danza al fine di creare figure che arricchiscono
l’esecuzione e ne accrescono l’impatto sensuale; può altresì essere lanciato.
Ballando spesso lo si accarezza e lo si stringe gelosamente, può anche essere
73
tenuto da entrambi i ballerini per due differenti lembi al fine di creare figure
particolarmente belle restando in qualche modo connessi. Questa figura viene
spesso utilizzata all’inizio della pizzica come gesto di saluto.
In certe zone del Salento, lo scialle assume nella danza una forte connotazione
sessuale e per questo è considerato sconveniente da parte della comunità cedere il
fazzoletto al compagno di ballo. Mi è personalmente capitato, in occasione della
presentazione del film-documentario Amavete con la Taricata (nell’agosto del
2007) e durante le danze organizzate per l’evento nella piazza delle Cattedrale di
Oria (BR), di offrire lo scialle al mio compagno di danza e di cogliere l’offesa
negli sguardi del pubblico partecipante alla ronda. Ho appreso in seguio da
informatori del luogo che lo scialle rappresenta l’essenza delle virtù femminili,
dunque cederlo ad un uomo in pubblico è un atto alquanto spudorato.
74
veniva attratto dal colore della taranta che lo aveva pizzicato e così sceglieva il
suo fazzoletto e lo utilizzava stringendolo durante la sua estenuante danza.
82
L. TARANTINO, La notte dei tamburi e dei coltelli: La danza-scherma nel Salento, Besa, Nardò
(LE) 2002, pp. 48-50.
75
Oltre alle armi, anche i colpi sono simulati infatti non è previsto che i due
contendenti si tocchino (come tra i ballerini della ‘pizzica pizzica’), essi eseguono
la pizzica a scherma rimanendo sempre ad una certa distanza l’uno dall’altro.
La maggior parte dei movimenti compiuti e delle mosse praticate sono quelli
tipici della scherma classica: parate, affondi, passetti, finte, ecc; i danzatori
devono attenersi ad una serie di regole, come quella di non voltare mai le spalle
all’avversario, di mantenere la dovuta attenzione e di tenere una certa distanza.
Inoltre (soprattutto a Torrepaduli, luogo in cui la tradizione della pizzica a
scherma è particolarmente sentita), all’inizio dello scontro i due contendenti
percorrono la ronda stringendosi le mani verso l’alto, dichiarando apertamente che
il combattimento sarà amichevole e non vi sarà contatto. La richiesta di scontro
amichevole così formulata può anche essere compiuta (o riaffermata) quando il
combattimento è già in corso d’opera per volontà di uno dei contendenti che
esprime, in questo modo, la superiore abilità dell’altro. Per altro, la richiesta
amichevole non sempre viene accettata dall’avversario.
Anche le gambe possono essere usate come armi: spesso infatti il ginocchio
tenuto a mezz’aria viene usato per fingere un attacco. Oltre agli arti è molto
importante anche lo sguardo, utile ad intimorire quanto a distrarre l’avversario dal
‘coltello’ del contendente.83 Secondo l’opinione pubblica, la pizzica a scherma
comporta un duello necessariamente ‘amichevole’; ciononostante spesso il
mancato rispetto delle regole del combattimento porta ad uno scontro reale e
diretto (nonché sanguinoso). Secondo taluni informatori questo tipo di pizzica è
un ballo che istiga, che può condurre alla violenza perché è tanta la sete di sfida e
la voglia di mostrarsi forti davanti alla comunità. Molte delle regole comunque
vengono a volte trascurate senza particolari conseguenze: nella pizzica a scherma
c’è molta competizione e quasi mai astio.
83
L. TARANTINO, La notte dei tamburi e dei coltelli, cit., p. 24.
76
danzatori/schermitori tradizionali ritengono però che la musica non sia
indispensabile al fine dello svolgersi della loro arte, accostandola dunque più ad
un’arte marziale che ad una danza.
La pizzica a scherma è anche detta ‘danza delle spade’, termine che appare
tuttavia improprio poiché la collocherebbe tra le danze armate, una particolare
tipologia di spettacolo danzato nella qual gli sfidanti simulano un combattimento
con delle armi. È probabile che tale pizzica, in epoca antica, facesse parte di
queste danze ma, ad oggi, essa non prevede né la simulazione di un duello
ufficiale né l’utilizzo di armi vere e proprie.
84
C. SACHS, Storia della danza, Il Saggiatore, Milano 1994.
77
l’incursione dei Saraceni85.
Data l’attuale distribuzione di tali danze nel territorio italiano è ipotizzabile una
maggiore diffusione (nonché eterogeneità) di queste nei secoli passati; ad oggi,
tali esecuzioni coreutiche hanno il solo scopo di intrattenere il pubblico e per
questo sono mantenute in vita dalle pro-loco e da gruppi folkloristici locali.
85
P. GRIMALDI (a cura di), Le spade della vita e della morte: danze armate in Piemonte, Omega
Edizioni, Torino 2001, p. 137.
86
L. BONATO, Tutti in festa: antropologia della cerimonialità, FrancoAngeli, Milano 2006.
87
G. DI LECCE, La danza scherma salentina, in "Lares", Olschki, Firenze 1992, a. LVIII, n. 1, pp.
33-45.
78
Negli afosi giorni a ridosso di ferragosto il paesino si riempie per l’occasione
di venditori ambulanti provenienti anche dai territori limitrofi, che vendono i
prodotti più svariati: immagini sacre di San Rocco, San Paolo ed altri; articoli di
artigianato del luogo; prodotti della gastronomia locale e, in passato, anche
bestiame. Nella sera del 15 agosto i devoti visitano il santuario di San Rocco e,
vicini alla statua raffigurante il Santo, pregano affinché questo esaudisca le loro
richieste. Completato il rituale con un’offerta, i fedeli escono in strada dove
attendono la processione; quando quest’ultima termina, in tarda serata, davanti al
santuario si radunano fedeli e curiosi per comporre le ronde della pizzica a
scherma. Infatti, sin dalla notte della vigilia della festa in onore del Santo (il 15
agosto) all’alba del giorno successivo, coppie di ballerini si affrontano per le vie
del paese e davanti alla chiesa del paesino, accompagnati dal suono dei tamburelli,
dei canti degli stornellisti e delle armoniche a bocca, mimando l’arma con le dita.
I combattimenti simulati, detti pazziamenti, avvengono per tutta la notte e le ronde
sono composte da un numeroso pubblico di spettatori, ballerini e turisti curiosi.
Alla danza partecipano innumerevoli danzatori-schermitori che, seguendo il
proprio turno, si contendono la vittoria e per una sera identificano danza e duello e
vi partecipano perdendo il confine tra la realtà e la finzione.
Secondo G. Di Lecce:
79
azione mimata senza l’arma […] in cui rimane però lo scopo di
‘toccare’ l’avversario e di eliminarlo dal cerchio»88
2.3.3 Il coltello
Non è trascurabile inoltre che il coltello sia un’arma, ma anche uno strumento
di lavoro, tipico della cultura e del contesto contadino meridionale. Questo
strumento veniva utilizzato quotidianamente, sia in cucina (per macellare gli
animali, per esempio) sia per la potatura che per gli innesti; la diffusione di tale
arma faceva si che essa fosse frequentemente utilizzata durante gli scontri e le
risse. Inoltre il coltello trovava suo utilizzo anche a causa dei conflitti sociali
presenti in maniera pressoché omogenea nel Meridione.
88
G. DI LECCE, La danza della piccola taranta, cit., p. 34.
89
I cui residui vengono oggi chiamati ‘mafia’, ‘ndrangheta’ o ‘camorra’.
90
L. TARANTINO, La notte dei tamburi e dei coltelli, cit., p. 31.
91
G. ETTORRE, Questioni d’onore, Hoepli, Milano 1921, p. 61.
80
coltello, più reperibile in contesto popolare e, cosa fondamentale, molto più
discreto.
È del tutto plausibile ritenere che nella pizzica a scherma fosse presente in
principio l’utilizzo del coltello e che esso sia scomparso con il subentrare di leggi
restrittive e del controllo da parte dello stato e delle sue forze armate.
A ballare la pizzica a scherma, ora come in tempi più antichi, non sono soltanto
danzatori-schermitori pugliesi: ad oggi, la multiculturalità e la forte presenza di
zingari (sul luogo da diversi secoli) nel territorio salentino ha permesso che la
pizzica a scherma fosse praticata anche da questa etnia.
2.4 La ‘neo-pizzica’
81
nuova accezione del tarantismo, che muta coreutica e musica, verrà analizzata
nelle prossime pagine.
82
Capitolo 3. La riscoperta del tarantismo
Il forte sviluppo economico e scientifico degli ultimi tre decenni ha spinto gli
italiani ad un mutamento radicale di abitudini sociali e ha portato la popolazione
ad ignorare il substrato tradizionale e folklorico a cui era strettamente legata (e di
cui non avrebbe mai fatto a meno) sino a qualche tempo prima.
Possiamo ben immaginare come una società così composta non abbia più
trovato spazio per un rituale carico di tradizione e superstizione, che così bene si
inseriva invece nel contesto rurale dei secoli precedenti.
83
3.2 La nascita del folk revival
Solo sul finire degli anni ’70 possiamo ravvisare le tracce del cosiddetto folk
revival, che comprendese una riscoperta delle musiche e delle danze tradizionali
(prima fra tutte la pizzica); la ri-nascita dell’interesse nei confronti del tarantismo
sancì al contempo la definitiva morte del fenomeno nella sua forma più antica e
rituale (vedi Cap.1). Spesso, infatti, la riattualizzazione di un particolare costume
culturale può avvenire solo quando questo si è del tutto scaricato dei suoi
significati rituali e dei simboli tradizionali originari e diventa quindi disponibile
ad accogliere nuove funzioni e nuovi utilizzi.
Il primo periodo del folk revival (anni ’70 e ’80 del XX secolo) è segnato
dall’azione di raccolta di materiale etnografico (canti popolari, proverbi e
testimonianze riguardanti il tarantismo) da parte soprattutto di intellettuali
appassionati di tradizioni popolari e attratti dal fascino del mondo contadino che si
accingeva a mutare in maniera radicale.
Tra gli studiosi dediti a questo periodo spicca senza dubbio la figura di
Caterina (detta Rina) Durante, una giornalista nata in Puglia, fondatrice del
“Canzoniere Grecanico Salentino”, il primo gruppo pugliese di ricerca folklorica.
Il movimento capeggiato da Rina Durante era privo di interesse etnologico, ma
92
E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale nel mondo antico. Dal lamento funebre antico al pianto
di Maria, Bollati Boringheri, Torino 2008.
93
A. M. CIRESE, Cultura egemonica e culture subalterne, Palumbo, Palermo 1999.
84
carico di ideologie politiche; il lavoro di ricerca non era mirato a cogliere le
caratteristiche e le peculiarità del canto e della melodie, né tanto meno veniva
indagato il contesto storico e culturale in cui originariamente il brano si
inscriveva. Ciò a cui mirava il gruppo di Durante era il riutilizzo in chiave
meramente politica delle melodie e dei testi appartenenti alla tradizione popolare
regionale. Secondo R. Raheli94, gli intellettuali politicizzati dell’epoca risentivano
dell’illusione allora presente della persistenza dei canti popolari; essi non si
rendevano ancora conto del destino imminente che avrebbe coinvolto gran parte
del patrimonio culturale popolare italiano.
Nel corso degli anni ’80, le nuove generazioni erano perfettamente inscritte
nella cultura di massa e disconoscevano, ma soprattutto rifiutavano, ogni forma di
memoria tradizionale.
A dare una svolta alla già preannunciata fine del fenomeno del tarantismo fu,
ironia della sorte, la nuova edizione dell’opera ‘minore’ della trilogia
meridionalista demartiniana, data alle stampe nel 1994 ad opera di Il Saggiatore,
celeberrimo editore milanese. La terra del rimorso conobbe in quegli anni
grandissimo successo: dapprima si diffuse in ambito accademico, dove divenne
un’opera topica dei programmi di antropologia; contemporaneamente, divenne un
libro cult del meridione italiano e fece si che l’interesse per il tarantismo
investisse le nuove generazioni.
Durante gli ultimi anni del XX secolo non solo si risvegliò l’interesse degli
studiosi filo-demartiniani, ma a fiorire furono anche (e forse soprattutto) gli studi
che miravano a svelare i limiti della osannata ricerca di De Martino; questi
attivarono una fitta rete di dibattiti aventi come tema lo studio etnoantropologico
del tarantismo, l’approccio proprio dell’autore e tutti quei fenomeni ancora
presenti che richiamavano in modi diversi al tarantismo.
94
R. RAHELI, Qualcosa in più, qualcosa in meno: purismo e contaminazione nella musica
salentina in Santoro V. & Torsello S. (a cura di), Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità
danzanti del Salento, Edizioni Aramirè, Lecce 2002.
85
soprattutto per ciò che riguarda l'aspetto metodologico di approccio al fenomeno.
Ad essere mantenuti sono soprattutto:
Le ragioni principali che hanno reso possibile la nascita e la crescita del folk
revival sono fondamentalmente due: in primis, il tentativo di riappropriazione (in
termini di identità) delle proprie radici storiche e culturali da parte della
popolazione salentina (ma anche italiana in genere); poi lo sforzo nel
riadattamento di forme musicali tradizionali in motivi che meglio si prestano alla
diffusione e al consumo di massa. Quest’ultimo appare, in epoca postmoderna,
particolarmente propenso ad accogliere elementi appartenenti al contesto etnico e
folklorico. A tutto ciò soggiace la voglia insita nella popolazione salentina di
valorizzare gli elementi tipici e tradizionali del suo territorio; questo anche per
sopperire all’inferiorità nello sviluppo economico rispetto al nord e per recuperare
un’identità ferita da tanta emigrazione.
95
Alcuni esempi sono: Capone, Congedo, Amaltea, Edizioni del Grifo, Argo, e soprattutto Besa.
86
un esempio è l'opera Il tarantolismo nella superstizione e nella scienza scritta dal
medico leccese Francesco de Raho (Lecce 1908) e ripubblicato da Besa nel 2009.
Soprattutto per ciò che riguarda l’ambito musicale è stato l’avvento di un altro
fenomeno, quello delle ‘posse’; un fenomeno nuovamente politico che ha
investito diversi ambiti (tra cui quello musicale) della cultura giovanile della fine
degli anni ’80 e dei primissimi anni ’90. Le posse nascono infatti dai movimenti
dei centri sociali di sinistra e promuovono una politica anticonformista e militante.
Tra i vari elementi contestativi che contraddistinguono il fenomeno delle posse
figura anche la valorizzazione del dialetto nei canti e l’importanza della musica
popolare italiana; a ciò soggiace l’interesse alla sopravvivenza delle minoranze
culturali e della stessa cultura popolare, ormai in estinzione.
96
V. SANTORO & S. TORSELLO (a cura di), Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del
Salento, Edizioni Aramirè, Lecce 2002, p. 7.
87
nell’hip-hop e nella musica techno, hanno fornito un’importante spinta al revival
del tarantismo: i loro testi infatti sono intrisi di incitamenti alla riscoperta delle
tradizioni ed al rispetto di quelle altrui. È da notare che i Sud Sound System sono
una tra le prime band a suscitare grande interesse tra i giovani di tutta la penisola
pur facendo uso di una variante dialettale, il leccese.
97
P. PACODA, Salento folk revival, in La Notte della Taranta, Quarta D. (a cura di), Editore
GuiTar, Lecce 2007, p. 140.
98
G. MINA & S. TORSELLO (a cura di), La tela infinita: bibliografia degli studi sul tarantismo
mediterraneo, 1994-2004, BESA, Nardò (Le) 2004, p. 34.
88
‘contaminazione musicale’(ne sono un riuscito esempio i Mascarimirì, gruppo
originario di Torrepaduli e capeggiato da discendenti di rom stanziali).
Abbiamo già discusso di come, alle porte del XXI secolo sorgono in tutto il
territorio nazionale numerosissime band musicali riconducibili al genere reggae-
etnico; questi gruppi musicali, alcuni dei quali hanno raggiunto notevole fama in
Italia (tra cui i già citati Sud Sound System), utilizzano molto spesso il dialetto
all’interno delle loro canzoni e mirano dichiaratamente alla ri-attualizzazione del
repertorio folklorico tradizionale.
Come vedremo in seguito, la musica popolare crea comunanza anche nel vasto
mondo globalizzato, in cui i confini territoriali appaiono sempre più labili; i
giovani salentini rifuggono in qualche modo dai processi di omologazione, di
massificazione e di appiattimento messi in atto (più o meno esplicitamente) dai
mezzi di comunicazione. Essi tentano di costruire e al contempo recuperare la loro
identità dalla tradizione, riproponendola in ambito musicale.
99
SANTORO V. & TORSELLO S. (a cura di), Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del
Salento, Edizioni Aramirè, Lecce 2002, p. 7.
89
3.2.2 L’evoluzione del ballo della pizzica
È bene ricordare che già negli anni della ricerca di De Martino, Diego
Carpitella non aveva incontrato esecuzioni spontanee di pizzica, ancora frequenti
in quegli anni in altri territori del sud d’Italia.
Già dagli anni ’90 nascono le prime associazioni atte alla valorizzazione della
coreutica della pizzica, ma contemporaneamente la pizzica diviene moda. È da
notare che dalla loro comparsa, alla fine del XX secolo, i convegni sono
frequentati in maniera preponderante da giovani universitari con origini salentine,
pugliesi o, più genericamente, meridionali. Presumibilmente questi giovani sono
in fuga dalla massa delle discoteche e dalla noia determinata dalla perdita delle
100
G. M. GALA, «La pizzica ce l’ho nel sangue», cit., p. 112.
101
L’età media registrata era infatti di circa settant’anni.
102
G. M. GALA, «La pizzica ce l’ho nel sangue», cit., p. 114.
90
antiche usanze e costumi tradizionali, ricercando un rifugio nella trance
folklorica.
Così, il primo obiettivo del Taranta Power è la diffusione a banda larga della
stessa Taranta, da intendersi come ballo e come stile musicale appartenente al
mondo mediterraneo, ma connotato da una forte componente identitaria.
Come ben annota Gala, il revival della pizzica non è stato originato da una
trasmissione diretta e generazionale. A mancare sono state proprio le competenze
necessarie al recupero del fenomeno, ossia un’esauriente documentazione
audiovisiva e la giusta lettura delle poche esecuzioni coreutiche registrate, nonché
il contatto e il racconto che nelle piccole comunità può perpetrare la tradizione.
91
Manca la fonte principale: la trasmissione orale infragenerazionale, senza la
quale si perde il significato profondo e autentico della tradizione. I giovani spesso
ignorano del tutto l’origine del fenomeno: secondo M. Merico103 infatti è scorretto
parlare di ripresa della tradizione musicale popolare poiché, nonostante rimangano
pressoché invariati gli schemi coreutici, a cambiare sostanzialmente sono le
motivazioni che muovono sia i musicisti che il pubblico cui si riferiscono. E
aggiunge:
103
M. MERICO, Identità meridiane e patrie culturali: i giovani e la musica popolare salentina, in Il
ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, Edizioni Aramirè, Lecce 2002, p.
31.
104
M. MERICO, Identità meridiane e patrie cultuali, cit., p. 31-32.
92
3.3 Il tarantismo nel cinema postmoderno
A partire da quegli anni, il tarantismo e la pizzica sono stati temi ricorrenti nei
film e nei documentari etnografici. Al 1965 appartiene un breve cortometraggio di
Luigi Di Gianni, Il male di San Donato106, presentato al sesto ‘Festival dei Popoli’
(una rassegna del cinema documentario di livello internazionale) ed avente come
tema i festeggiamenti che hanno luogo a Montesano Salentino (LE) in onore di
San Donato (protettore degli epilettici e dei malati di mente). Il rituale legato alla
figura del Santo, nella forma in cui viene presentato nel documentario, è
facilmente collegabile al fenomeno del tarantismo così come lo abbiamo descritto
nel corso di questo testo.
Negli anni ottanta esce il film La sposa di San Paolo107, di Gabriella Rosaleva,
ambientato negli ultimi decenni del 1600. La protagonista del lungometraggio è
Anna, una donna inviata a Galatina per essere curata dal morso della taranta; è
interessante notare l’interesse antropologico dell’autrice che, non solo tratta di un
argomento classico nell’etnografia folklorista italiana, ma che introduce anche la
105
G. MINGOZZI, La Taranta, documentario girato a Nardò e a Galatina sotto la consulenza
di Ernesto De Martino, testi di Salvatore Quasimodo, 1962, 18’.
106
L. DI GIANNI, Il male di San Donato, Nexus film, 1965, 10’.
107
G. ROSALEVA, La sposa di San Paolo, 1990, 88’.
93
figura di un uomo di chiesa (quello che potremmo definire un missionario
etnografo) inviato dal Papa per raccogliere informazioni sul tarantismo
direttamente sul luogo d’origine.
Pochi anni dopo, nel 1992, vede la luce Der tanz der oleine spinne – Die
apulische tarantella108 (tradotto La danza del piccolo ragno – la tarantella
pugliese) di Raimund Koplin, documentario tedesco avente come oggetto il
tarantismo pugliese e, di riflesso, il contesto musicale che ad esso si accompagna.
Anche il revival di cui abbiamo finora trattato ha avuto un certo impatto sulla
produzione cinematografica riguardante soprattutto la realtà contadina del
meridionale italiano; tale diffusione delle tematiche centrali nel recupero
dell’identità salentina ha a sua volta fomentato il revival in un circolo virtuoso di
riscoperta storico-culturale.
108
R. KOPLIN, Der tanz der oleine spinne – Die apulische tarantella, Monaco Di Baviera
1992, 60’.
109
E. WINSPEARE, Pizzicata, film, 1996, 95’.
94
Del 2000 è invece Sangue Vivo110, in cui Winspeare dota il Salento di immagini
cariche di sensualità e magia; i personaggi del film, qualunque sia la loro età,
appaiono come depositari di un sapere ‘originario’ non ancora contaminato dalla
modernità, dalla globalizzazione e dalla tecnologia. Per questi motivi, tale opera è
stata considerata una sorta di manifesto della popolazione salentina.
Donato, il più giovane, non ha un lavoro fisso e si trova a fare i conti con la
propria tossicodipendenza. Mentre Pino tenta un’ascesa sociale continua
(incontrando gli ostacoli posti dalla giustizia e dalla malavita), le amicizie
sbagliate di Donato lo porteranno ad una rapida caduta: verrà coinvolto in una
rapina che provocherà la morte del fratello, che per caso si trovava ad assistere al
misfatto. Tra i due fratelli è presente lo scarto generazionale e paiono sempre
messi a confronto; il Salento di Sangue vivo è carico di contrasti: lo Stato, la
piccola nobiltà, la mafia locale, la delinquenza e la modernità si fronteggiano nella
vita quotidiana della popolazione, in preda a continui dissidi.
110
E. WINSPEARE, Sangue vivo, film, 2000, 91’.
95
3.4 Manifestazioni ed eventi della ‘Pizzicomania’
«La Notte della Taranta è diventata nel corso del tempo forse il più
importante e prestigioso appuntamento musicale di massa della
scena italiana, con pochi eguali anche in campo internazionale.
Basterebbe la dimensione: le decine i migliaia di persone,
soprattutto giovani, che ogni anno confluiscono in Salento; la
partecipazione del meglio della popular music e della riproposta
della musica popolare italiana, con significative incursioni in
campo internazionale […] La Notte della Taranta, insomma, è una
vera e propria istituzione culturale, con importanti ricadute anche
economiche, turistiche, di immagine, e un grande evento
musicale»111
111
D. QUARTA (a cura di), La Notte della Taranta, Editore GuiTar, Lecce 2007.
96
È dalla collaborazione dell’Unione dei Comuni della Grecìa Salentina 112 e
dell’Istituto Diego Carpitella113 che nasce il festival in sé, nel tentativo di riunire
in un unico evento le band esponenti del folk revival, o comunque ad esso
riconducibili. Com’è facile immaginare, l’Unione dei Comuni si occupa
soprattutto dell’amministrazione e degli aspetti burocratici de La Notte della
Taranta, mentre la struttura e l’organizzazione dell’evento sono affidati ad un
gruppo di esperti.
112
Area ellenofona della Puglia meridionale, costituita da undici centri: Calimera, Carpignano
Salentino, Cutrofiano, Castrignano de’ Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano,
Melpignano, Soleto, Sternatia, Zollino.
113
L’istituto nasce nel 1997 al fine di valorizzare e analizzare il contesto storico, artistico e
culturale del Salento; obiettivi primari del centro sono il recupero delle tradizioni orali e la
promozione territoriale dell’area.
114
D. QUARTA (a cura di), La Notte della Taranta, Editore GuiTar, Lecce 2007, p. 16.
97
Il Concerto Notturno di Melpignano si struttura come una grande jam session
di musica popolare salentina; nella piazza San Giorgio, gremita, si mettono in
mostra entrambe le correnti su citate.
Le ultime due edizioni de La Notte della Taranta, 2010 e 2011, sono invece a
cura del torinese Ludovico Einaudi: pianista e compositore di musica classica e da
camera; moltissimi sono i suoi brani utilizzati come colonna sonora in celeberrimi
film.
98
3.5 Revival e identità
Le ragioni che hanno condizionato la diffusione del revival della pizzica e del
tarantismo in generale rintracciate dagli studiosi sono svariate; moltissimi sono gli
accademici che parlano di spaesamento e di incertezza, nella maggior parte dei
casi originate dalla globalizzazione e dall’individualismo dilagante, a cui la
ricerca della tradizione e delle proprie radici porrebbe rimedio fungendo da
elemento di coesione. In questo senso possiamo pensare alla musica popolare
come capace di fomentare l’identità collettiva anche tra i giovani che cercano
ideali sotto cui riunirsi, mentre la modernità porta inevitabilmente
all’individualismo.
115
M. MERICO, Identità meridiane e patrie cultuali, cit., p. 35.
99
inseriscono nel movimento in questione e che traggono sicurezza dalla comunità
che generano. Non si tratta di abbandonare la modernità per abbracciare il
contesto tradizionale, bensì di rivivere la cultura popolare in una situazione storica
del tutto diversa dal passato: avventurarsi nel futuro con la consapevolezza del
‘proprio’ passato.
100
Conclusioni
I secondi – la location, i ‘colori’ e gli oggetti del rito – hanno permesso una
fruizione sempre originale del fenomeno che viene elaborato secondo le esigenze
dell’individuo cardine dell’azione rituale, il tarantato per l’appunto. L’azione
rituale è dunque varia e tali diversità sono sancite proprio dalla vittima-
protagonista che, attraverso gli atteggiamenti decisi dalla taranta che l’ha morsa e
che lo tiene in pugno, parla una sorta di linguaggio rituale compreso e messo in
pratica dalla comunità a cui si riferisce ed appartiene. Le fonti analizzate ci
raccontano di tarantate che manifestano atteggiamenti vanitosi, che esigono quindi
la presenza di uno specchio; altre tarantate necessitano di drappi e fazzoletti dai
colori sgargianti, tipici delle nobildonne più che delle contadine; altre ancora
hanno espressioni lussuriose.
Attraverso questo studio dei più importanti elementi del tarantismo è emersa
una preponderante presenza femminile tra le sue vittime; già nel XVII secolo,
101
Giorgio Baglivi116 aveva distinto due tipi di tarantismo: uno reale, medico,
riconducibile ad un vero e proprio morso di ragno (latrodectismo), mentre un altro
fittizio, che egli chiama carnevaletti delle donne117.
116
G. BAGLIVI, Dissertatio de anatome, morsu et effectibus tarantulae, in Opera omnia, Venezia
1754.
117
G. BAGLIVI, Dissertatio de anatome, morsu et effectibus tarantulae, cit., p. 310.
102
La ‘pizzica pizzica’ è stata osservata e descritta nella sua struttura e nel suo
impatto sulla comunità cui essa si riferisce. Della danza sono trattati diversi
aspetti e diverse varietà, come la fondamentale pizzica a scherma, simile per certi
aspetti alle danze armate presenti in tutta la nostra penisola, con cui viene altresì
comparata. Altro argomento di grande interesse antropologico, che potrebbe
essere ulteriormente approfondito, riguarda l’esecuzione della ‘pizzica a scherma’
da parte di uomini di etnia zingara. Questi, presenti sul luogo ormai da diversi
secoli, ballano una variante più violenta e pericolosa di pizzica che non prevedere
la simulazione delle armi nel combattimento danzato ma la loro presenza
concreta. Il coltello acquista (o meglio ri-acquista) l’importanza fondamentale di
cui godeva nei secoli scorsi: infatti, in base alla nostra analisi è possibile
ricondurre l’origine della ‘pizzica a scherma’ ai regolamenti di conti legati alle
questioni d’onore ed alla mafia locale.
Ampio spazio è stato dato anche alla trattazione della nuova forma di
tarantismo e pizzica, che ha invaso l’Italia permettendo la diffusione della musica
popolare salentina che è stata comunque reiventata e fusa a sound ‘esotici’ e
postmoderni. Risulta evidente come tale diffusione nazionale ed internazionale
della danza abbia sostanzialmente influenzato il suo spessore. Spesso, come
abbiamo visto, i giovani frequentatori degli eventi collegati al revival del
tarantismo ignorano del tutto le sue radici e la parte rituale e cultuale del
fenomeno stesso. Ciononostante, numerosi giovani si discostano dalla banale
fruizione musicale del revival: in questi gruppi infatti è spesso presente un
interesse identitario; le nuove generazioni risulterebbero spaesate dal dilagante
individualismo e cercherebbero rifugio nella ricerca delle proprie radici, spesso
rintracciate nel tarantismo e nelle sue evoluzioni.
Per meglio comprendere l’impatto che questa nuova concezione e pratica del
tarantismo può avere su chi ne fruisce, il presente lavoro è stato integrato con
alcune interviste organizzate in modo semplice e chiaro e rivolte ad un gruppo di
persone eterogeneo in quanto molto diversificato al suo interno per età, studi,
provenienza ed interessi dei partecipanti, accomunati però dalla passione per la
musica e la danza, soprattutto nelle forme popolari, anche di nuova
interpretazione. Dati i risultati di tale indagine possiamo concludere che,
103
nell’insieme, c’è un forte interesse per il revival del tarantismo e i soggetti
indagati dimostrano di essere attenti anche alle manifestazioni minori quali sagre
di paese, festival o rappresentazioni teatrali (anche in vernacolo).
Si percepisce una forte curiosità verso ciò che fa parte della pura tradizione, in
tutte le sue forme. L’esito più inaspettato riguarda però il modo in cui viene
differentemente percepito il fenomeno da chi vive nei luoghi in cui questo nasce e
si manifesta pienamente, cioè in Salento, rispetto a chi lo segue con attenzione ma
abita in altre regioni. I soggetti residenti in Puglia sentono gli eventi legati alla
‘pizzicomania’ come un’opportunità di sviluppo economico e turistico del loro
paese; coloro che vivono al di fuori del contesto salentino nutrono invece il
desiderio di non perdere le tradizioni, l’esigenza di conoscerne le vere origini.
Forse perché chi vive nella culla del tarantismo dà per scontate le conoscenze
storiche del fenomeno, o forse perché l’osservazione entusiasta e in parte un po’
nostalgica di chi vive in altri contesti riesce a cogliere maggiormente un
impoverimento dei significati.
Per quanto chi scrive ritenga fondamentali gli aspetti tradizionali e cultuali del
tarantismo e della sua variante ludica, con tutte le loro caratteristiche ed i loro
elementi chiave, è altrettanto importante riconoscere l’importanza sociale del folk
revival e della neopizzica. Questi, reintroducendo e reinterpretando aspetti della
danza tradizionale salentina, ci mostrano come la cultura sia malleabile e si adatti
alle svariate epoche e situazioni. In quest’ottica, anche la ‘moda’ e la
‘pizzicomania’ risultano importanti, degni d’attenzione antropologica e
fondamentali oggetti d’analisi. Inoltre, grazie alla diffusione moderna
dell’interesse per il fenomeno sono nati numerosi nuovi dibattiti e sono stati dati
alle stampe numerosi testi sul tarantismo.
Le danze antiche sono l’espressione di ciò che una civiltà è stata, di ciò che ha
vissuto e di come si è evoluta.
Per quanto riguarda la pizzica - anche nel suo aspetto più semplice e slegato dal
tarantismo - ripensiamo che era l’unico sfogo durante il lavoro nei campi, l’unica
104
possibilità, durante le feste di paese, di guardare negli occhi la persona amata e di
corteggiarla; spesso per le donne il solo modo di esprimere la passione e la
sensualità. Tutto questo si deve vedere nei suoi movimenti e si deve ascoltare nel
battito delle sue terzine.
105
Appendice
Interviste
Età: 49 anni
106
perché me ne avevano parlato bene, coinvolge soprattutto gruppi italiani di musica
folk e mi ha molto colpito perché non immaginavo potesse essere così
coinvolgente.
5) Come si vede e vive il folk revival? Si crede che il reale fenomeno sia stato
dimenticato? O che sia una possibilità per il territorio e per il fenomeno di
ritrovare la vitalità perduta?
E' una possibilità del territorio di fronte a crisi economica e di ridefinizione dei
rapporti sociali di fronte alla globalizzazione con conseguente "generalizzazione e
standardizzazione" di molti modelli di vita presenti fino a qualche anno fa. Il
significato terapeutico originale si è un po' perso, ma rimane il ballo come
espressione liberatoria. Certo, si potrebbe accostare ai grandi eventi di cui
abbiamo parlato una serie di convegni che però coinvolgano più le scuole e meno
gli accademici!
Età: 51 anni
Due o tre volte all' anno per rilassanti vacanze e meno rilassanti visite parenti.
107
Notte della taranta in agosto a Melpignano, sagre paesane, tutto via TV locali e a
volte, sporadicamente, dal vivo.
Non posso giudicare non essendoci mai stato, posso solo commentare che le
partecipazioni di artisti di oggi a fianco degli storici interpreti della taranta di una
volta è senza dubbio un ottimo esempio di continuità tra vecchio e nuovo, passato
e presente e segno quindi di una storia che prosegue...
5) Come si vede e vive il folk revival? Si crede che il reale fenomeno sia stato
dimenticato? O che sia una possibilità per il territorio e per il fenomeno di
ritrovare la vitalità perduta?
Le tradizioni popolari in Salento sono molto radicate, sia quelle relative alle
gustose sagre paesane estive che quelle meno note invernali (presepi viventi
allestiti in masserie con costumi dell'epoca e ricordiamo inoltre la Focara di
Novoli a fine gennaio per S. Antonio che ha risonanza mondiale).
108
Dati soggetto intervistato:
Età: 37 anni
Soprattutto i concerti dei gruppi salentini (Alla Bua, Mascarimirì, Ballati tutti
quanti, Aria Frisca…) dal vivo
5) Come si vede e vive il folk revival? Si crede che il reale fenomeno sia stato
dimenticato? O che sia una possibilità per il territorio e per il fenomeno di
ritrovare la vitalità perduta?
109
gioia che si esprime ballando…l'importante è che quando si avvicinano per
saperne di più, trovino qualcuno che gli spieghi anche quello che sta dietro e che
non si vede. Come diceva qualcuno ieri sera al corso, il percorso parte dalla
malinconia e arriva alla liberazione. E per me è questo: liberazione ed energia!
Età: 34anni
Ho assistito ad alcuni dei piccoli concerti che si svolgono nei giorni della Notte
della Taranta, ma mai all’evento di Melpignano, il concerto vero e proprio.
110
Mah, non avendo visto la notte di Melpignano probabilmente non posso giudicare.
5) Come si vede e vive il folk revival? Si crede che il reale fenomeno sia stato
dimenticato? O che sia una possibilità per il territorio e per il fenomeno di
ritrovare la vitalità perduta?
Negli ultimi anni la Puglia (ed particolare il Salento) si è classificata ai primi posti
tra le mete turistiche estive a livello nazionale. Il merito è sicuramente della
bellezza del nostro mare, dei luoghi, della bontà della nostra cucina, ma anche e
forse soprattutto, alla riscoperta e valorizzazione delle nostre tradizioni popolari di
cui la massima espressione è proprio la taranta che è diventata ambasciatrice della
nostra terra in Italia e nel mondo. Per cui penso che il folk revival possa essere
davvero una possibilità per il territorio e per il fenomeno di ritrovare la vitalità
perduta.
Età: 23 anni
111
Tengo molto a partecipare alla Notte della Taranta, durante il periodo estivo, ma
da qualche hanno non posso per via dello studio e degli esami universitari. Cerco
però di partecipare alle sagre locali o ai vari santi patroni.
5) Come si vede e vive il folk revival? Si crede che il reale fenomeno sia stato
dimenticato? O che sia una possibilità per il territorio e per il fenomeno di
ritrovare la vitalità perduta?
Del reale fenomeno si sa poco o niente, quello che io so l’ho sentito dai parenti.
Ai ragazzi poco interessa del Tarantismo, la Notte della Taranta ci fa incontrare e
ci fa ballare. Penso che per il territorio sia importante lo stesso, il turismo aumenta
e il tarantismo (anche se in modo diverso) rivive.
Età: 30 anni
112
1) Con quanta frequenza si va in Salento? Per quali motivi?
Bè, io ci vivo nel Salento... Il mio Paese fa parte di quel lembo di terra che un
tempo era denominato Terre d'Otranto. Solo amministrativamente Manduria ora
appartiene alla Provincia di Taranto ma possiamo dire che per tradizioni, origini,
usanze, siamo molto più salentini...
Dal vivo ho assistito a molti dei concerti organizzati nei giorni della Notte della
Taranta in diversi comuni, però non ho mai assistito dal vivo al concertone. L'ho
però seguito tramite la diretta tv negli ultimi due anni.
Sicuramente ritengo che una delle più belle edizioni sia stata quella alla quale
prese parte anche Francesco De Gregori, nel 2005.
5) Come si vede e vive il folk revival? Si crede che il reale fenomeno sia stato
dimenticato? O che sia una possibilità per il territorio e per il fenomeno di
ritrovare la vitalità perduta?
Oh Dio, la riscoperta della musica popolare credo sia oltre che di immanente
attualità, anche qualcosa di necessario. In una società iper-moderna, riscoprire i
gusti della semplicità del passato delle nostre terre penso sia qualcosa capace di
mantenere ancora l'uomo in contatto con la semplicità delle cose quotidiane.
113
Galleria Fotografica
114
Figura 3- antico spartito per il rito. Figura 4- Antica stampa con tarantata.
115
Figura 6- Tarantata distesa a terra al centro di una ronda.
116
Figura 8- Antica stampa raffigurante una coppia intenta a ballare la pizzica; i ballerini
compiono un passo ‘spalla a spalla’e compaiono le castagnole suonate con le mani.
Figura 9- Ballerini compiono un passo frontale con battito del piede posto in avanti.
117
Figura 12 e Figura 13- Ballerine di ‘Pizzica pizzica’.
118
Figura 15- Pizzica suonata e danzata da salentini e tunisini presso il centro di accoglienza
del Campo Militare di Oria (Br), primavera 2011.
Figura 16 -Pizzica (e ronda) improvvisata in attesa dei concerti de La Notte della Taranta.
119
Figura 17- Concerto dell’etnogruppo ‘Alla Bua’.
120
Figura 20- Volantino della ‘Notte Bianca della Pizzica’ che si è svolta ad Ugento.
121
Figura 22- Logo de ‘La Notte della Taranta’.
122
Rassegna stampa
Tarantismo, pizzica e folk revival in Italia
2010
26 Febbraio 2010
123
5 Marzo 2010
5 Luglio 2010
Luigi Stifani
23 Agosto 2010
Tarantella e Tarantismo
124
7 Settembre 2010 – Gazzetta del Sud
125
8 Settembre 2010 – La Repubblica
15 Ottobre 2010
La taranta e il toro
126
18 Ottobre 2010 – Gazzetta di Parma
2 Novembre
22 Novembre 2010
28 Novembre 2010
20 Dicembre 2010
Salento, tanto popolare oggigiorno per le vacanze estive quanto dimenticato per
lunghi anni come semplice periferia, ha qualcosa di magico, un legame tra la
natura magnifica e la gente che qui abita, nei cui occhi si riflette la luce accecante
127
di questa terra. Il ricchissimo e sottovalutato patrimonio culturale di questo popolo
ha trovato nuova luce e nuova vita nel festival “La Notte della Taranta”, dedicato
alla musica che più appartiene a questo popolo, oggi mischiata e rinnovata dalle
fusioni con i generi più disparati, dal rock alla musiche a sinfonica: si tratta della
pizzica tarantata, un fenomeno di costume, oltre che musicale, chiamato
tarantismo, che vedeva la vittima morsa da un ragno, la tarantola appunto,
liberarsi dalla possessione quasi demoniaca ballando al ritmo della musica veloce
e ritmata che ha poi preso il nome dal ragno stesso. Con il tempo, la pizzica
tarantata, da non confondere con la tarantella, si è staccata dal fenomeno del
tarantismo per divenire genere musicale a se stante, portandosi però dietro il ballo
saltellante delle vittime del morso del ragno, che viene eseguito ancora oggi in
tutta la Puglia e portato in tutto il mondo da gruppi di ballo e di rievocazione
storica.
Dal 1998 La Notte della Taranta è una festa popolare, una celebrazione musicale
con cadenza annuale a cui partecipano anche artisti di fama mondiale. Il festival è
articolato in una serie di esibizioni in giro per i paesi del Salento, con gruppi della
tradizione popolare locale e artisti della world music. Si chiude in bellezza con il
“Concertone finale”, che vede il repertorio tradizionale riletto ogni volta da un
diverso maestro concertatore. Tra gli organizzatori si sono visti Miles Davis e
Sting, mentre il palco della notte finale ha visto negli anni sfilare artisti Franco
Battiato, Gianna Nannini, Franceso de Gregari, Piero Pelù, Lucio Dalla, Carmen
Consoli e Vinicio Capossela. Il risultato è un connubio originale e incredibilmente
vitale tra tradizione ed innovazione, vitale come questa terra che sembra quasi
fatata.
30 Dicembre 2010
128
2011
6 Marzo 2011
29 Marzo 2011
Tarantismo: dalla danza rituale alla danza estetica delle nuove tarantate
Sono tornate le tarante. Ma chi sono? Da diversi anni assistiamo ormai, soprattutto
d’estate, ad un’orgia di danze che si richiamano espressamente alla danza della
tarantolata e al tarantismo.
Così non passa giorno che non leggiamo su giornali e riviste l’inaugurazione di
qualche resto ritrovato o la nascita di “ Gruppi”, sempre con il massimo impegno
di scavare nelle nostre tradizioni folcloristiche salentine.
129
di Virgilio, con Pan che se ne va allegro per i campi ad inseguire Ninfe in calore,
o un Eden, tutto odori e sapori buoni da gustare. Una visione virtuale esangue,
un’estetizzazione consumistica.
Non avrei scritto quest’articolo sul tarantismo e le nuove tarante se non fossi stato
testimone di un confronto-scontro culturale fra una padre, della generazione che
oggi ha superato i cinquanta anni e la figlia, nuova tarantolata. Lei si meravigliava
che il padre non sapesse nulla sul tarantismo e la sua cultura, e meno ancora chi
fosse Ernesto De Martino, l’etnologo che nel 1959 scese nel Sud con un’equipe
per studiare il fenomeno del tarantismo. Il padre aveva solo vaghi ricordi su S.
Donato e gli epilettici, altro fenomeno, il resto era silenzio.
In questo confronto mi è parso di vedere una frattura fra una generazione che è
fuggita dal Sud per dimenticare ed una generazione che pare sia tornata
finalmente ad interessarsi del proprio passato. Infatti, possiamo notare come la
maggior parte di coloro che stanno dietro alla tarantola, alle sue ricerche e
convegni, siano gruppi giovanili d’ogni estrazione sociale; mentre è del tutto
assente il dibattito tra la generazione dei quei padri nati negli anni quaranta e
cinquanta e che hanno visto e subito l’emigrazione di massa. Mi riferisco
naturalmente alla cultura in senso generale, tralasciando coloro che si sono sempre
interessati del fenomeno tarantismo, quasi sempre studiosi, o cultori e suonatori
del tamburello nei riti terapeuti del tarantismo.
Questa generazione di padri che è fuggita dal Sud e dalla sua cultura, e che ha
subito l’oppressione dei propri padri ed ora subisce l’oppressione dei figli, spesso
si meraviglia di quanta retorica e letteratura amena si trovi nelle sue
rappresentazioni. Per loro il passato è stato fatica, sudore, “miseria nera”, come si
diceva. Un passato che non si ricorda tanto facilmente, che nel richiamarlo alla
memoria fa male anche dopo tanti anni. C’era la fame, la sporcizia, il sudore e
l’odore del grasso ti tabacco sulle dita, talmente spesso che si poteva arrotolare fra
pollice e indice e fare una pallina da ping-pong. E poi i calli alle mani, le toppe “
n’culu “ e alle ginocchia, - arte moderna prima che Burri usasse gli stracci per
realizzare i suoi quadri, - e pantaloni griffati di buchi– E le malattie vere, e anche
“ Le febbri artificiali e la malaria presunta di cui tremavano e battevano i denti era
130
il loro giudizio sui governi e la storia” , come dice Bodini in Xanti-yaca. Il cesso
un buco nero, la mattina una bacinella d’acqua fredda per lavarsi, il vestito
riciclato del fratello, “acquassale”, legumi e verdure il loro agriturismo
quotidiano. E’ vero: questo “popolo di formiche” ha anticipato tutte le mode!
Può questa generazione innalzare un inno o una elegia a questo mondo? Cosi è
stata una generazione sempre in fuga con un silenzio alle spalle. Riempire questo
silenzio con la memoria di quello che veramente è stato il sud in quegli anni penso
che possa costituire un vero dialogo di confronto fra queste generazioni. E la
cultura del tarantismo, nella visione storica di De Martino potrebbe essere un
ottimo terreno.
5 Giugno 2011
Le origini del Tarantismo dietro la festa dei Santi Pietro e Paolo a Galatina
22 Giugno 2011
28 Giugno 2011
30 Giugno 2011
131
2 Agosto 2011
5 Agosto 2011
14 Agosto 2011
17 Agosto 2011
118
L’articolo è una critica-commento all’articolo, precedentemente citato di L. Baldrighi del
14.08.2001
132
12 Settembre 2011
20 Dicembre 2011
2012
1 Gennaio 2012
5 Gennaio 2012
6 Gennaio 2012
7 Gennaio 2012
133
16 Gennaio 2012
La serata entra finalmente nel vivo, con l’entrata in scena degli oltre trenta
musicisti che occupano l’intero palco. Gli esponenti della musica straniera si
trasformano per una notte in Salentini coriacei, assorbendo tutta la cultura
dell’entroterra leccese. E’ così che Joji Hirota & The Taiko Drummers,
giapponesi abili virtuosi delle percussioni, il maliano maestro della kora Ballakè
Sissoko, Justin Adams & Juldeh Camara e il polistrumentista turco Mercan Dedè
si intendono a meraviglia con i musicisti nati e cresciuti nella provincia di Lecce.
La mancata partecipazione dei Chieftains, gruppo folk irlandese e atteso piatto
134
forte della serata, passa in secondo piano di fronte allo spettacolo allestito dal
nipote del secondo presidente della Repubblica, con l’ausilio del violinista e
tamburellista Mauro Durante. Splendidi i percussionisti e i tamburellisti (Antonio
Marra e Alessandro Monteduro su tutti, da anni nel cast della Notte della Taranta),
che fanno da sfondo alle voci dei protagonisti e delle protagoniste della serata.
Guido “Cavallo” Giagnotti, Enza Pagliara, Anna Cinzia Villani, Alessia Tondo,
Antonio Amato, Emanuele Licci con il suo bouzouki, Antonio Castrignanò, Ninfa
Giannuzzi: ciascuno di loro, accompagnato dall’immancabile tamburello, ha il
proprio momento di gloria nel corso della serata. Un boato accoglie i Sud Sound
System, beniamini di casa e artisti di punta del reggae italiano, quando alle 2.30
sbucano sul palco. Scagliata una feroce critica contro la diossina rilasciata
nell’ambiente dall’Ilva, stabilimento siderurgico di Taranto, e contro la
costruzione di un porto nella zona di Porto Miggiano (“Salento non fa rima con
cemento”), i tre salentini si scatenano a suon di pizzica, facendo scatenare ancor di
più l’ormai stremata folla.
Una serata fatta di musica, ma anche di danze. Sul palco, infatti, si alternano a
intervalli ripetuti giovani ballerine di pizzica, che, fin dalle origini, è una sensuale
danza di corteggiamento. C’è spazio anche per un danzatore rotante, appartenente
ai Sufi dervisci, e per i danzatori di origine rom della danza delle spade, tradizione
tramandata da secoli all’interno della stessa famiglia.
Unica nota negativa di una serata altresì perfetta è l’inciviltà di una parte della
folla: bottiglie abbandonate, cartacce, fiasche di vino rotte: il prato dell’ex
convento degli Agostiniani sembra una discarica a cielo aperto, complice una
percentuale degli spettatori accorsa esclusivamente per gli eccessi che il festival
comporta.
Ludovico Einaudi ha ideato per l’occasione una Sinfonia perfetta, un flusso unico
di canzoni che emozionano e esaltano fino alle prime ore dell’alba, in un mix tra
arrangiamenti elettronici, che affondano, però, le radici nella tradizione musicale
salentina. Sulle note della grica Kali Nifta e di Santu Paulu l’orchestra saluta il
pubblico festante, dando appuntamento all’anno prossimo, per una nuova,
emozionante, edizione della Notte della Taranta.
135
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www.pizzicata.it
www.pizzicapizzica.it
www.pugliafedefolklore.it
www.studioantropologico.it/public/ernesto
www.suonidalmediterraneo.it
150
www.taranta.it
www.tarantate.com
www.tarantularubra.it
www.trovasalento.it/musica/tarantismo
www.pizzica.altervista.org
www.lanottedellataranta.it
www.ilcorallo1.com
www.ilcalameo.com
www.archiviosonoro.org/puglia/
www.ilsuonodelsalento.it
www.salentu.com
www.pizzicasalentina.com
151
www.araknemediterranea.com
www.salentonline.it
www.nelsalento.com
www.turismopugliaesalento.com
www.salentoeventicommunication.it
www.salentolive.com
152
Ringraziamenti
Vorrei anzitutto ringraziare il Professor Natale Spineto per aver accolto con
entusiasmo l’idea basilare di questa tesi e la Dott.ssa Annamaria Fantauzzi per
avermi seguito durante questo percorso di ricerca.
Mia nonna, Lisa, che ha fatto nascere in me interesse per il fenomeno del
tarantismo attraverso i suoi innumerevoli racconti; la mia famiglia che mi ha
seguita ed appoggiata in ogni momento e, in particolare, mio figlio Gioele che mi
ha incentivato a concludere i miei studi. Inoltre un sentito ringraziamento va al
Duo Brio-Prodon per la consulenza in ambito musicale e alle svariate associazioni
culturali del territorio salentino, per avermi fornito non pochi spunti riguardanti il
revival e la neopizzica. Ringrazio anche la mia insegnante di danze del sud,
Antonella che mi ha aiutata a comprendere a fondo le dinamiche che soggiacciono
alla ‘pizzica pizzica’, ad approfondirne la tecnica e a riavvicinarmi a questa mia
passione. La mia riconoscenza va inoltre a tutti coloro che hanno compilato i
questionari per le interviste.
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