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Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova

Dipartimento di Storia delle Arti Visive e della Musica

SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN : Storia e Critica dei Beni Artistici, Musicali e


dello Spettacolo
INDIRIZZO: Storia e Critica del Teatro
CICLO XXIII

«Il s’agit d’être».


Teoria e pratiche di formazione dell’attore
secondo Jacques Copeau

Direttore della Scuola : Ch.ma Prof.ssa Vittoria Romani


Supervisore :Ch.ma Prof.ssa Elena Randi

Dottoranda : Gessica Scapin


Alle mie colleghe di dottorato, dal volto di chi ha condiviso:

a Marzia, Giulietta, Fani, Silvia, Sara, Barbara, Stefania.

C’è un confine oltre il quale non siamo più noi ad inseguire le nostre passioni,

sono loro che, ostinatamente, vogliono noi.

2
Indice

Abbreviazioni ................................................................................................................................................... 6

Premessa
I presupposti e le tappe della scuola di Copeau ........................................................................... 10
I tempi e i mezzi dell’educazione drammatica ........................................................................... 10
La lunga germinazione dell’École .............................................................................................. 14

Capitolo primo
Essere attori nella Francia del XVIII e XIX secolo:
improvvisazione o preparazione? ...................................................................................................... 31
L’esperienza del palcoscenico come scuola ............................................................................... 31
Il nutrimento del talento: studio ed esercizio ............................................................................. 36
La preparazione attorica al Conservatoire: dalla scuola al palcoscenico ................................... 42

Capitolo secondo
La formazione dell’attore secondo Copeau: tradizione e innovazione............................... 68
L’attore fra arte e mestiere ......................................................................................................... 68
Una rete di insegnamenti per un piano didattico organico ......................................................... 78
L’artista completo dell’École: l’influenza dell’Arena Goldoni ................................................. 87
L’impegno statale. Verso un centro di cultura teatrale .............................................................. 97

Capitolo terzo
Il linguaggio condiviso fra pedagogia e arte teatrale ............................................................... 104
Il sacerdozio artistico................................................................................................................ 104
Oltre la scuola: la volontà del sacrificio e il valore della comunità ......................................... 114
Lontano dal centro alla ricerca delle origini ............................................................................. 124
Delsarte e Copeau. La traccia di una via pedagogica all’arte .................................................. 129
Educazione e comunità come paradigmi della regia ................................................................ 138

3
Capitolo quarto
L’enfant. Le suggestioni e i presupposti dell’educazione drammatica ............................ 146
La natura e lo sviluppo della vocazione drammatica ............................................................... 146
Il mito dell’infanzia .................................................................................................................. 155
Pueri docibiles .......................................................................................................................... 166
Il gioco come base dell’apprendimento .................................................................................... 170
Una pedagogia teatrale puerocentrica ...................................................................................... 176
Montessori e Claparède: modelli di riferimento per uno sguardo pedagogico
nuovo ............................................................................................................................................ 181

Capitolo quinto
La costruzione della fisicità attorica ............................................................................................... 188
Il corpo “educato” .................................................................................................................... 188
La componente fisica alla base dell’espressione ...................................................................... 201
La ritmica e i giochi improvvisati ............................................................................................ 207
Educazione allo spazio scenico ................................................................................................ 213

Capitolo sesto
L’improvvisazione: dai primi studi alla costruzione del personaggio .............................. 215
Il gioco simbolico come modello di creazione improvvisata ................................................... 215
Dall’improvvisazione come alleata del testo al progetto di una Comédie
Nouvelle ........................................................................................................................................... 220
La libertà della creazione nello svolgimento dello spettacolo.................................................. 225
La cura della forma nei primi esercizi elementari .................................................................... 231
L’abitudine all’improvvisazione .............................................................................................. 236
L’épanouissement del personaggio .......................................................................................... 241
La costruzione della messinscena............................................................................................. 256

Capitolo settimo
Scrittura e mise en scène: i due tempi dello stesso atto .......................................................... 262
Una scuola per gli autori drammatici ....................................................................................... 262
È di scena il poeta ..................................................................................................................... 269
Il regista e l’esegesi del testo .................................................................................................... 274
Lo sguardo del regista e l’anima del pedagogo, dentro e fuori la mise en scène ..................... 278

Bibliografia critica ....................................................................................................................................... 285

Appendici ...................................................................................................................................................... 312

4
Avvertenze al testo e alle note

Pe quanto riguarda il materiale edito, in testo si è utilizzata la traduzione


italiana, che è nostra laddove non indicato diversamente. In nota si trova invece la
citazione in lingua originale. Per un numero esiguo di documenti, di volta in volta
segnalati, si è fatto riferimento a pubblicazioni e traduzioni italiane, trattandosi o di
un documento di difficile reperibilità, o addirittura mai pubblicato interamente in
francese. Nelle note della citazione in testo viene indicata solo la fonte da cui si
ricava la citazione e non eventuali altre pubblicazioni.
Stessi criteri per il materiale inedito, riportato in traduzione italiana,
inevitabilmente nostra, con qualche accortezza in più rispetto al materiale edito:
poiché i documenti esaminati sono spesso elenchi e note schematiche, la
punteggiatura è stata inserita e/o modificata al fine di rendere più organico e
maggiormente comprensibile il senso del testo. La lettera minuscola dopo il punto è
stata trasformata in maiuscola, come nell’uso italiano corrente.
In nota i manoscritti sono stati riportati con scrupolosa aderenza all’originale,
sia per quanto riguarda maiuscole e minuscole, sia per segni grafici e di
interpunzione. Con [?] viene segnalata una parola che non è stato possibile decifrare.
In nota la fonte del manoscritto è riportata abbreviata, e per una maggiore
comprensione si rimanda il lettore alle bibliogragia ragionata sull’argomento.

5
Abbreviazioni

ATV MARIA INES ALIVERTI (a cura di), Artigiani di una


tradizione vivente. L’attore e la pedagogia teatrale,
Firenze, La Casa Usher, 2009.

CONSERVATOIRE CONSTANT PIERRE, Le Conservatoire National de


musique et de déclamation. Documents historiques et
administratifs recuillis ou rencontrés par l’auteur,
Paris, Imprimerie Nationale, 1900.

CVC2 JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, in


«Les cahiers du Vieux-Colombier», n. 2, novembre
1921.

CRITIQUE JACQUES COPEAU, Études d’art dramatique.


Critiques d’autre temps, Paris, Nouvelle Revue
Française, 1923.

COPEAU-ROMAINS OLIVIER RONY, Correspondance Jacques Copeau –


Jules Romains. Deux êtres en marche, Paris,
Flammarion, 1978.

JOURNAL 1901-1916 JACQUES COPEAU, Journal, texte établi, présenté et


annoté par Claude Sicard, Paris, Seghers, 1991, vol. I.

JOURNAL 1916-1948 JACQUES COPEAU, Journal, texte établi, présenté et


annoté par Claude Sicard, Paris, Seghers, 1991, vol. II.

6
LT MARIA INES ALIVERTI (a cura di), Il luogo del
teatro. Antologia degli scritti, Firenze, La Casa Usher,
1988.

NRF «Nouvelle Revue Française».

NOTES JACQUES COPEAU, Notes sur le métier de comédien,


notes recueillies dans le journal et les écrits de Jacques
Copeau par Marie-Hélène Dasté, Paris, Brient, 1955.
Comprende Réflexions d’un Comèdien sur le
“Paradoxe” de Diderot, Lettre à Valentine Tessier,
Souvenir sur la radio.

PREMIÈRE CONFÉRENCE JACQUES COPEAU, Art dramatique et industrie


théâtrale. Note della conferenza tenuta al Little Theatre
di New York il 12 marzo 1917. È pubblicata in REG. IV
AMERICA, pp. 499-503.

PROJET 1916 JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier.


Projet d’une École technique pour la rénovation de
l’Art Dramatique Français. Scritto del 1916, pubblicato
in REG. VI ÉCOLE, pp. 124-141. La traduzione italiana si
trova in LT, pp. 56-65 e in ATV, pp. 169-181.

TROISIÈME CONFÉRENCE JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier.


Note della conferenza tenuta al Little Theatre di New
York il 19 marzo 1917. È pubblicata in REG. IV

AMERICA, pp. 507-513 e in REG. VI ÉCOLE, pp. 171-184.

CINQUIÈME CONFÉRENCE JACQUES COPEAU, Le renouvellement del’Art


scénique. Note della conferenza tenuta al Little Theatre

7
di New York il 26 marzo 1917. È pubblicata in REG. IV
AMERICA, pp. 514-518.

REG. I APPELS JACQUES COPEAU, Appels, registre I, textes


recueillis et établis par Marie-Héléne Dasté et Suzanne
Maistre Saint-Denis, Paris, Gallimard, 1974.

REG. II MOLIÈRE JACQUES COPEAU, Molière, registre II, textes


rassemblés et présentés par André Cabanis, Paris,
Gallimard, 1976.

REG. III JACQUES COPEAU, Les Registres du Vieux-


Colombier, registre III, première partie, textes recueillis
et établis par Marie-Hélène Dasté et Suzanne Maistre
Saint-Denis, Paris, Gallimard, 1979.

REG. IV AMERICA JACQUES COPEAU, Les registres du Vieux


Colombier. America, registre IV, textes recueillis et
établis par Marie-Hélène Dasté et Suzanne Maistre
Saint-Denis, Paris, Gallimard, 1984.

REG. V JACQUES COPEAU, Les Registres du Vieux-


Colombier 1919 à 1924, registre V, troisième partie,
textes recueillis et établis par Suzanne Maistre Saint-
Denis avec Marie-Hélène Dasté, Paris, Gallimard,
1993.

REG. VI ÉCOLE JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier,


registre VI, textes établis, présentés et annotés par
Claude Sicard, Paris, Gallimard, 2000.

8
SOUVENIRS JACQUES COPEAU, Les Souvenirs du Vieux-
Colombier, Paris, Nouvelles Editions Latines, 1931.

9
Premessa

I presupposti e le tappe della


scuola di Copeau

I tempi e i mezzi dell’educazione drammatica

Jacques Copeau impegna tutta la sua carriera di regista e di pedagogo teatrale


ad operare un cambiamento nella pratica e nella cultura del teatro, ossia nel modo in
cui il mestiere teatrale è concepito e vissuto all’interno della comunità. Egli mira
all’organizzazione di una educazione drammatica, destinata sia all’attore che allo
spettatore, e si impegna concretamente per una sua realizzazione1. Chiunque si
dedichi attivamente a questo ideale, o lo condivida negli intenti, deve prima di tutto
tenere in considerazione che la sua attuazione avviene solo su tempi lunghi e pertanto
non esiste ricompensa immediata. Scrive Copeau all’apertura del Théâtre du Vieux-
Colombier nel 1913:

1
«Délivrer le comédien de sa grimace et l’arracher à sa spécialisation dégradante, le rendre au monde,
à la vie, à la culture, à la grande simplicité humaine, en faire un homme parmi les hommes, que son
public en l’applaudissant ne cesse pas d’estimer et qu’il aime en l’admirant, relever la profession de
comédien – comme l’avait fait Molière en son temps et comme l’a fait en Russie le grand Stanislavski
– du décri trop mérité par de faux artistes, la replacer au rang des plus nobles, rendre enfin au théâtre
sa dignité de grand art et, permettez-moi d’ajouter, sa mission religieuse qui est de relier entre eux les
hommesde tout rang, de tout classe, j’allais dire – et je dois le dire ici – de toute nation, voilà ce qui a
été tenté au Vieux-Colombier depuis dix ans». JACQUES COPEAU, Discours au public, conferenza
tenuta a Ginevra nel 1923, estratti in NOTES, pp. 37-40. Citazione a p. 40.
10
Essa [l’opera] è vasta e sarà faticosa. Quasi non ci illudiamo di portarla a termine. Altri da
noi, forse, completeranno la costruzione. Cerchiamo almeno di formare questo piccolo nucleo
da cui irradierà la vita, attorno al quale cresceranno i grandi apporti dell’avvenire 2.

L’impossibilità di definire i tempi è, secondo il regista, la condizione di


chiunque basi i propri successi su uno sforzo continuo, costante e disinteressato alle
regole del mercato teatrale, e questa idea percorre come un mantra fondamentale
molti suoi scritti. Nella conferenza The spirit in the Little Theatres del 1917, si
trovano queste parole:

Non andate troppo in fretta. Non vi affrettate a concludere e a cristallizzarvi. Datevi il tempo
di preparare la terra, di dissodarla e di renderla fertile, e cercate di farvi attecchire qualche
pianta dalla germinazione lenta e difficile, ma robusta3.

Il medesimo avvertimento verso il fascino esercitato da un entusiasmo


iniziale, ma non supportato da un reale spirito di sacrificio, si ritrova nel cahier
dedicato all’École del 1921:

La follia, io la vedo piuttosto in questi innumerevoli giovani uomini che, nei due continenti,
creano grandi “teatri d’arte”, per divertimento, eccitazione, ambizione, senza avere appreso e
meditato mai niente, senza sapere cosa vogliono né dove vanno. Essi si investono di una
formula. Affrontano l’impresa per il lato più seducente che essa presenta. In capo a poco
tempo si fermano, lasciando il lavoro abbozzato, […] privati di formazione primaria e di tutti
i metodi, non trovano nei loro tentativi incoerenti alcun ordine di sviluppo 4.

2
«Elle [l’œuvre] est vaste, et sera laborieuse. Nous ne nous flattons guère de la mener à bout. D’autres
que nous, peut être, achèveront l’édifice. Essayons au moins de former ce petit noyau d’où rayonnera
la vie, autour duquel l’avenir fera ses grands apports». JACQUES COPEAU, Un essai de rénovation
dramatique, in «NRF», n. 57, 1 Septembre 1913, pp. 337-353. Citazione alle pp. 341-342.
3
«N’allez pas trop vite. Ne vous hâtez pas de conclure et de vous cristalliser. Donnez-vous le temps
de préparer la terre, de l’ameublir et de la féconder, et tâchez d’y faire prendre racine à qualque plante
de germination lente et difficile, mais robuste. Tout pousse un peu trop fort, un peu trop vite dans
votre jeune sol américain». JACQUES COPEAU, The spirit in the Little Theatres, in REG. I APPELS,
pp. 120-130. Citazione a p. 127.
4
«La folie, je la vois bien plutôt chez ces innombrables jeunes hommes qui, dans les deux continents,
donnent naissance à de grands “théâtres d’art», par amusement, par excitation, par ambition, sans
11
Al pubblico americano si rivolge nel 1927, accusandolo di essere votato alla
produzione e al consumo, e di costringere così l’artista a produrre in tempi
brevissimi, dimenticando che le grandi opere maturano con pazienza: l’artista ha
necessità «di lavorare in silenzio, nella solitudine e nell’oscurità». Copeau critica al
vecchio continente di lasciar morire l’artista per disinteresse, a quello nuovo di
spremerlo chiedendogli troppo presto il frutto del suo lavoro, e così continua: «Prima
di ottenere un uomo di genio, è necessario forse assicurare l’esistenza di più
generazioni di artisti liberi. Vi prego di essere pazienti»5.
L’arte e la ricerca non devono continuamente confrontarsi con il tempo e il
denaro: in questo senso Copeau proclama la libertà dell’artista dai vincoli della
società. Deve essere previsto, secondo il regista, un luogo in cui senza fretta e in un
clima di fiducia, si possa fare esercizio, provare, esercitare la creatività. Questo
luogo, fucina di idee e progetti, Copeau lo chiama scuola:

Perseguite il vostro sviluppo solamente dall’interno e in profondità. Consacrate tutte le


risorse al perfezionamento del lavoro, dei vostri metodi, della vostra persona. Non rinunciate
mai a questo bel titolo, laboratorio. […] Un teatro di repertorio, di tipo commerciale,
inaridisce i suoi collaboratori, esaurisce il proprio potenziale creativo, se non è completato da
una scuola o da un laboratorio dove possa continuamente attingere forze nuove e vivificanti.
[...]. Dire che il teatro non deve, non può essere commerciale non è abbastanza; è dire una
cosa ormai diventata banale e che oggi si ripete macchinalmente, senza approfondirne il

avoir jamais rien appris ni médité, sans savoir ce qu’ils veulent ni où ils vont. Ils se saisissent d’une
formule. Ils attaquent l’entreprise par le côté le plus séduisant qu’elle leur présente. Au bout de peu de
temps ils s’arrêtent, laissant le travail au point où se montre l’épreuve, [...] privés de formation
première et de toute méthode, ils ne trouvent dans leurs tentatives incohérentes aucun ordre de
développement». CVC2, pp. 26-27.
5
«De travailler en silence, dans la solitude et l’obscurité. [...] Avant d’obtenir un homme de génie, il
faut peut-être assurer l’existence de plusieurs générations d’artistes libres». JACQUES COPEAU,
Conferenza senza titolo tenuta al Laboratory Theatre di New York nel 1927, in REG. I APPELS, pp. 135-
144. Citazione alle pp. 141-142. D’ora in poi Conférence au Laboratory Theatre.
12
senso. Bisogna dire che il teatro non deve essere quotidiano. Più è frequente più tende alla
degradazione6.

Copeau mette in guardia dai rischi che si corrono quando, cedendo alla
routine, ci si allontana da questo modus operandi. Al concetto viene dedicato ampio
spazio all’interno dei Souvenirs du Vieux-Colombier, uno dei testi “testamento” di
Copeau:

Un’industria non può fare a meno del laboratorio. È chiaro che il cervello non fa i suoi calcoli
in mezzo alle macchine. L’arte si impoverisce o si disorienta se non poggia sui principi della scuola,
che valgono a sostenere certuni, a stimolare certi altri, sia pure colpendoli. Scuola o laboratorio sono
indispensabili al teatro che è ad un tempo arte e industria e che, in quanto arte, avendo l’uomo come
materia e come mezzo, intende formarlo. La pratica vale quel che vale. Se si deforma, sta alla teoria
rettificarla. Solo la scena fa l’attore, come fa l’autore. Ma li distrugge anche. Può essere opportuno, di
quando in quando, riprenderglieli7.

Lo sguardo di Copeau è fisso sull’allievo, colui che si prepara alla scena


prima di salirvi, perché solo in quella direzione egli scorge una speranza per il teatro
del futuro. Nel 1920, assistendo ad una prova degli allievi, proclama entusiasta:

6
«Ne poursuivez votre développement qu’à l’intérieur et en profondeur. Consacrez toutes vos
ressources au perfectionnement de votre travail, de vos méthodes, de votre personnel. Ne renoncez
jamais à ce beau titre de laboratoire. [...] Un théâtre de répertoire, sur le pied commercial, épuise ses
collaborateurs, il épuise son pouvoir de création, s’il n’est complété par une école ou laboratoire, où il
puisse constamment puiser des forces nouvelles et rafraîchissantes. [...] Dire que le théâtre ne doit pas,
ne peut pas être commercial, ce n’est pas assez dire, c’est dire une chose qui est devenue banale et
qu’on répète aujourd’hui machinalement sans en approfondir le sens. Il faut dire que le théâtre ne doit
pas être quotidien. Plus il est fréquent, plus il tend à se dégrader». Ivi, pp. 142-144.
7
«Une industrie ne peut se passer de laboratoire. Ce n’est pas au milieu des machines que le cerveau
fait ses calculs. L’art s’appauvrit ou s’affole, s’il ne s’appuie sur les principes de l’école. Ils
soutiennent les uns, stimulent les autres, fût-ce en les blessant. École ou laboratoire sont
indispensables au théâtre, qui est un art à la fois et une industrie et qui, en tant qu’art, ayant l’homme
pour matière et pour moyen, s’applique à le façonner. La pratique vaut ce qu’elle vaut. Si elle s’écule,
c’est à la théorie de la redresser. La scène seule fait le comédien, comme seule elle fait l’auteur. Mais
elle les défait aussi. Il peut être bon, de temps en temps, de lui reprendre». SOUVENIRS, pp. 89-90.
13
Continuate a lavorare insieme così. Grazie a ciò gli allievi permetteranno al Vieux-Colombier
realizzazioni che non può sperare ora… Così, essere allievo non è meno che essere attore, è
di più, perché negli allievi risiedono i nostri sogni più cari… Continuando a lavorare così
l’anno prossimo faremo ascoltare gli allievi a qualche intimo e protettore del Vieux-
Colombier, perché comprendano ciò che ora, quando viene spiegato loro, non riescono a
credere: una educazione nuova i cui risultati saranno altri… 8.

La lunga germinazione dell’École

Poiché il nostro sforzo innovatore poggia sul carattere e la natura di individui già segnati da
influenze anteriori, siamo certi di scontrarci con forti resistenze. Per questo vorremmo, su
questo punto, far risalire più a monte la nostra riforma. Si tratterà di creare,
contemporaneamente al teatro, al suo fianco e sullo stesso piano, una vera e propria scuola di
attori9.

È in questo modo che, nel 1913, alla vigilia della fondazione del Théâtre du
Vieux-Colombier, Jacques Copeau introduce il desiderio di creare una scuola per
comédiens. Tuttavia, impegnato nell’imminente nascita del teatro, rimanda
esplicitamente il proposito a quando sarà in grado di dedicargli più tempo.

8
«Continuez ainsi à travailler ensemble. Grâce à cela les élèves permettront au Vieux-Colombier des
réalisations qu’il ne peut espérer maintenant... Ainsi être élève n’est pas moins qu’être comédien, c’est
plus, parce que dans les élèves reposent nos rêves les plus chers... En continuant à travailler ainsi, il se
sent que l’année prochaine nous fassions entendre les élèves à quelques intimes et protecteurs du
Vieux-Colombier, qui comprendront alors ce qu’ils ne peuvent croire quand on leur explique: une
éducation nouvelle dont les résultats seront autres...». Boîte 2, cartella 12, p. 41. Lo stesso pezzo, ma
con qualche variazione di trascrizione, si trova anche in un cahier di Suzanne Bing del 1920
pubblicato da Claude Sicard in REG. VI ÉCOLE con il titolo Classes du Vieux-Colombier, pp. 214-226.
Citazione a p. 219. Si tratta di note sull’École dal 1 marzo al 22 giugno 1920. D’ora in avanti
SUZANNE BING, Classes du Vieux-Colombier, 1920.
9
«Notre effort de renouvellement portant sur le caractère même et la nature d’individus déjà modelés
par des influences antérieures, nous ne doutons pas qu’il ne se heurte à des fortes résistances. Aussi
voudrions-nous, sur ce point, faire remonter plus haut notre réforme. Il s’agirait de créer, en même
temps que le théâtre, à côté de lui et sur le même plan, une véritable école de comédien». JACQUES
COPEAU, Un essai de rénovation dramatique, cit., p. 349.
14
Il motivo per cui il Théâtre precede l’École nella realizzazione pratica si lega
alla necessità di esistere e di familiarizzarsi con un pubblico prima di averne il
sostegno in un progetto tanto importante e innovativo come quello di una scuola10.
Tuttavia, sin dal principio, la stessa compagnia di attori del Vieux-Colombier
rappresenta un gruppo su cui esercitare un’azione educativa, come spiega Copeau:
«non ho mai cessato di considerare il teatro come una scuola e d’inserire, bene o
male, all’interno di una gestione spesso molto dura, quanto più potevo una disciplina
educatrice»11.
Il tempo di dedicarsi alla scuola arriva con lo scoppio della guerra. La
momentanea sospensione delle attività a causa della dispersione degli attori della
compagnia, offre l’occasione di sviluppare un’altra idea presente sin dall’inizio, sulla
quale Copeau si era già chiaramente espresso, cioè una scuola gratuita aperta anche
ai bambini12.
Il regista intravede una duplice direzione di lavoro: da un lato la formazione
dell’adulto, dall’altro, risalendo più a monte, l’educazione rivolta al bambino.
Alla fine dell’anno 1915, grazie all’aiuto di Paulet Thévenaz e dell’amica di
lui, Mme de Manziarly, Copeau raduna al Club de Gymnastique Rythimique, in rue
de Vaugirard13, una dozzina di bambini, reclutati senza rendere partecipi i genitori
dei reali progetti e proponendo ogni giovedì delle attività imprecisate di svago e
divertimento. In realtà Copeau delinea già un programma base composto da quattro
insegnamenti: ginnastica tecnica, ginnastica ritmica e giochi, affidati a Thévenaz, e

10
Cfr. Pourquoi le Théâtre a précédé l’École, in PROJET 1916, p. 126.
11
«Je n’ai jamais cessé de considérer le Théâtre comme une École et d’insérer, bien ou mal, dans les
nécessités d’une exploitation souvent très dure, le plus que je pouvais de discipline éducatrice». CVC2,
p. 28.
12
JACQUES COPEAU, Un essai de rénovation dramatique, cit, p. 349.
13
Il locale, ubicato nel sesto arrondissement di Parigi, in rue de Vaugirard, è affittato da Jaques-
Dalcroze a partire dal 1913, per ospitare inizialmente un corso di ginnastica ritmica tenuto da
Emmanuel Couvreux. Il 4 febbraio 1914 viene fondato il Club de Gymnastique Rythmique,
interamente affidato alla gestione di Couvreux. Il Club diventerà successivamente École du
Luxembourg, poi École de Vaugirard, e infine Institut Jaques-Dalcroze de Vaugirard. Quando, nel
1915, Couvreux viene reclutato in guerra, Paulet Thévenaz e alcuni collaboratori si assumono la
gestione della scuola.
15
solfeggio, sotto la guida di Lily de Lanux. Jeanne de Lanux e Suzanne Bing come
assistenti14. I bambini iscritti sono dodici, dai sei ai quattordici anni, la maggior parte
dei quali supera i dieci anni. Ben presto se ne aggiungono altri, sui quali però non si
possiedono informazioni15.
Nello stesso anno viene avviato un secondo gruppo di lavoro, composto da
giovani attori professionisti e dilettanti dai venti ai venticinque anni, liberi dagli
obblighi di reclutamento militare16.
Copeau prevede la possibilità di trasferire dopo un po’ di tempo gli adulti e i
bambini con particolari attitudini drammatiche in campagna, al Limon, per investire
in una prima forma di educazione al teatro e nel 1916 espone compiutamente i suoi
propositi nel famoso Projet d’une École technique pour la rénovation de l’Art
Dramatique Français. Il programma prevede di arrivare a tre gruppi di allievi. Un
primo gruppo di giovani attori dai venti ai venticinque anni, professionisti o
dilettanti. Per loro Copeau prevede una immediata possibilità di inserimento al
Théâtre du Vieux-Colombier dopo la guerra: «I migliori fra gli allievi si abitueranno
alla scena, tenendo i piccoli ruoli. Saranno figuranti pieni di zelo, vivaci, da noi ben
conosciuti e già disciplinati. In caso di malattia o di incidente capitato a qualche

14
Successivamente, in seguito a problemi con gli insegnanti titolari, Copeau affida a Suzanne Bing il
quarto insegnamento, quello dei giochi. Sembra tuttavia che sia Copeau a dirigere talvolta la lezione.
Cfr. JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, cahier redatto nel 1916, ma contenente
anche informazioni relative al periodo precedente. Parte del cahier è pubblicato in REG. VI ÉCOLE, pp.
69, 76-78, 80-89, 91-123; la pubblicazione è intervallata da altri documenti per i quali si invia il
lettore allo spoglio di REG. VI ÉCOLE in bibliografia. Il documento sarà citato d’ora in poi come
JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, 1915-1916.
15
Alla data 25 gennaio 1916 Copeau segna nel Journal che i bambini sono ventidue; una seconda
nota di Copeau, datata 20 febbraio 1916, all’interno di un cahier, ne riporta ventiquattro. Fra di loro
alcune bambine russe che hanno già preso lezione con Isadora Duncan. Cfr. JOURNAL 1916-1948, p. 7
e JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, 1915-1916, cit., p. 115.
16
Dal cahier di Copeau i nomi degli iscritti alle «réunion périodiques de travail»: Blanche Albane,
Suzanne Bing, Mme Bogaert-Lefebvre, André Chotin, Alice Desvergers, Madeleine Geoffroy (già
attrice del Vieux-Colombier), Jeanne Lambert, Jane Lory, Nemo, Jean Sarment (già allievo per un
anno al Conservatoire), Vermoyal (già attore del Vieux-Colombier), Weck. Come uditori Mme Canque
e Mlle Gédolge. Cfr. Ivi, p. 116.
16
interprete, la scuola potrà fornire dei doublures»17. Un secondo gruppo sarà
composto di ragazzi dai sedici ai vent’anni. La loro formazione sarà più lunga, ma
più completa, poiché avverrà in un’età in cui mente e corpo sono ancora malleabili e
poco irrigiditi da stereotipie. Infine, si concepisce la presenza di un terzo gruppo
comprendente allievi bambini dai dieci ai quindici anni. Saranno proprio loro a poter
godere di un insegnamento compiuto, cioè iniziato in età giovane e protratto per anni
alimentato solamente dai contenuti e dalla modalità proposte dalla scuola di Copeau,
basato integralmente sui principi cardine della sua poetica.
L’esperienza si chiude lasciando inattuati gli obiettivi del progetto, ma
portando comunque dei frutti. In particolare, per quanto riguarda le attività al Club,
Copeau ne fa un vero e proprio terreno di sperimentazione. I bambini vengono infatti
attentamente osservati in giochi ed esercizi semi-strutturati, e nonostante l’assenza di
un programma specifico e dettagliato da seguire, il regista trae da questi esperimenti
indicazioni significative per la preparazione dell’attore. Nondimeno l’esperienza
alimenta di entusiasmo il suo spirito e rinforza l’idea che il rinnovamento dell’arte
drammatica necessiti di una scuola e di giovani apprendisti. Suzanne Bing,
intervistata molti anni dopo da Maurice Kurtz, rivela: «I bambini non erano allievi, e
ancor di meno allievi-attori: eravamo noi ad essere allievi professori che facevamo
un’esperienza propedeutica»18.
Alla fine dell’anno 1916 Philippe Berthelot propone a Copeau una tournée
negli Stati Uniti al fine di accrescere il prestigio del teatro francese in America. In

17
«Les meilleurs de nos élèves s’habitueront à la scène en tenant les petits emplois. Ils seront des
figurants zélés, vivants, bien connus de nous et déjà disciplinés. Dans le cas de maladie ou d’un
accident survenu à quelqu’interprète, l’École fournira des “doublures”». PROJET 1916, p. 130.
18
«Les enfants n’étaient donc pas des élèves, à plus forte raison des élèves-comédiens: c’est nous qui
étions des élèves-professeurs, qui faisions quelque chose comme notre propédeutique». Intervista
condotta da Maurice Kurtz a Suzanne Bing nel 1951 e riportata frammentata da altri scritti in REG. VI
ÉCOLE, pp. 32-35, 113-114, 416. La citazione in testo si trova a p. 114. D’ora in poi il documento sarà
citato come Intervista a Suzanne Bing, 1951.
17
conseguenza dei pochi finanziamenti di cui dispone, il regista non riesce a partire con
tutta la troupe ed è costretto ad iniziare da solo l’avventura americana19.
Il nuovo continente gli offre l’opportunità di fare utili conoscenze, fra le quali
quella dell’industriale Otto Khan, che si assume la responsabilità finanziaria di
riunire in America la compagnia del Vieux-Colombier e mette a disposizione di
Copeau il Garrick Theatre, nominandolo direttore del teatro. Al regista non resta che
rientrare a Parigi per preparare la partenza della compagnia e affidare il teatro
parigino in gestione a Jane Bathory, che lo tiene aperto con cicli di conferenze,
letture e spettacoli20.
Il lungo e stancante lavoro di preparazione vede gli attori reclutati impegnati
non solo nelle prove degli spettacoli, ma anche in varie attività che si strutturano in
una sorta di “para-scuola”: nel pomeriggio Jessmin conduce lezioni di tecnica
corporea, ritmica, giochi, pantomima, danza e alcune prime nozioni di solfeggio 21.
Il periodo americano non rappresenta una parentesi nell’evoluzione del
Vieux-Colombier, né tanto meno nei progetti pedagogici e scolastici del suo
fondatore. Stimolato da Daisy Hardenberg Andrews, segretaria del teatro a New
York, egli intravede la possibilità di realizzare il progetto della scuola proprio nel
nuovo continente, affidando l’organizzazione di alcune matinées di disegni ed
esposizioni per bambini piccoli a Marie-Hèlène Dasté22. Se da un lato questa idea
non trova attuazione, dall’altra si apre una nuova strada: l’occasione di sperimentare

19
Al periodo americano di Copeau e il Vieux-Colombier è stato dedicato un intero volume. Si tratta di
THOMAS JOHN DONAHUE, Jacques Copeau’s Friends and Disciples. The Théâtre du Vieux-
Colombier in New York City, 1917-1919, New York, Peter Lang, 2008.
20
Nel 1916 Copeau aveva chiesto la collaborazione a Jane Bathory per organizzare corsi di canto: «Je
lui demande sa collaboration pour l’École: cours de chant aux comédiens et aux élèves; organisation
d’une petite troupe de chanteurs et de musiciens pour les divertissements». JACQUES COPEAU,
L’École du Vieux-Colombier, 1915-1916, cit., p. 119.
21
Note di Suzanne Bing inerenti la preparazione della compagnia per la partenza americana,
pubblicate in REG. VI ÉCOLE, con il titolo Cahier des notes de Suzanne Bing, pp. 185-191. Il
riferimento agli esercizi di Jassmin si trova a p. 190. D’ora in poi il documento sarà citato come
SUZANNE BING, Notes avant America, 1917.
22
Cfr. THOMAS JOHN DONAHUE, Jacques Copeau’s Friends and Disciples [...], cit., in
particolare pp. 39-58.
18
talune idee pedagogiche arriva con Margaret Naumberg Frank e la Children’s
School, scuola di cui è direttrice.
Copeau ne viene a conoscenza grazie a Waldo Frank, marito della Naumberg.
Alla scuola vengono proposte delle attività ai bambini con l’obiettivo esplicito di
risvegliare e aumentarne le doti artistiche, creative ed immaginative, e con dichiarato
riferimento al metodo Montessori. Alla scuola si sviluppano anche drammatizzazioni
e Suzanne Bing è incaricata di condurre delle attività con i bambini, preziosa
occasione per osservare le loro reazioni e l’efficacia delle proposte23. Copeau è
letteralmente elettrizzato: rinforzato nella sua idea, vede la possibilità di proporre una
scuola simile a Parigi e immagina possibile la sua realizzazione anche grazie alla
collaborazione con la Naumberg.
Nuove sperimentazioni vengono portate avanti anche con il lavoro della
compagnia, che si è insediata, nel maggio 1918, a Cedar Court (Morristown, New-
Jersey), nella proprietà di Otto Khan, per preparare la seconda stagione. Si elaborano
nuovi esercizi tesi ad indagare il rapporto fra movimento ed espressione e si
sviluppano primi lavori di improvvisazione.
All’inizio del 1919, di ritorno dall’estenuante tournée americana, si rafforza il
progetto di creare una scuola. Copeau è desideroso di seguire l’esempio di Craig e di
Stanislavskij. Scrive in seguito, col ricordo a quegli anni: «Fin d’allora chiedevo che
mi si accordassero pochi metri quadrati di terra battuta sotto un capannone e del
tempo, un po’ di tempo. Fin d’allora, sarei voluto uscire dal teatro per servirlo
meglio»24. La scuola diviene la sua preoccupazione costante:

Ho quarant’anni. Il tempo passa. Mi sono sempre preparato. Mi vedo occupato nella grande
costruzione del Vieux-Colombier, di cui forse ho sopravvalutato l’importanza, e nel sogno di
una scuola. Comincio ad acquisire la nozione del tempo, a comprendere che non mi sarà più

23
Per le informazioni sulla collaborazione di Suzanne Bing con la Children’s School cfr. REG. VI
ÉCOLE, pp. 198-202 in cui Sicard raduna delle note della Bing sull’esperienza. D’ora in poi
SUZANNE BING, Children’s School; cfr. inoltre THOMAS JOHN DONAHUE, Jacques Copeau’s
Friends and Disciples [...], cit., in particolare pp. 119-124.
24
«Déjà, je demandais qu’on m’accordât quelques mètres carrés de terre battue sous un hangar, et du
temps, un peu de temps. Déjà, j’aurais voulu sortir du théâtre, afin de le mieux servir». SOUVENIRS, p.
82.
19
permesso di ricominciare, di riprendere, di modificare; che devo dare, così com’è, ciò che
posso dare. Non più accatastare note e dossier, non rimandare più all’indomani 25.

La confidenza, lasciata alle pagine del Journal, data 26 luglio 1919. I tempi
sono maturati. Dopo la lunga gestazione, trascorsa fra idee, tentennamenti e
sperimentazioni, l’École du Vieux-Colombier sta per nascere. Si tratta, molto
probabilmente, del progetto più caro a Copeau, come ricorda Jules Romains:

Copeau aveva per la scuola una particolare tenerezza. Non nascondeva di vedere in essa la
parte migliore della propria opera e volentieri vi cercava rifugio – rifugio per la propria fede,
per il proprio entusiasmo, per i propri sogni – quando le difficoltà del presente gli si facevano
troppo amare26.

Nel 1920 Copeau e Suzanne Bing riescono a mettere in piedi un embrione di


scuola con una dozzina di allievi, sulla cui organizzazione si sono conservati dei
fogli di appunti della Bing:

I giovani che desiderano ricevere l’insegnamento del Vieux-Colombier saranno ammessi


dopo l’audizione con Copeau. Se durante il corso degli studi Copeau ne giudicherà
insufficiente l’attitudine, ne pronuncerà l’esclusione. Gli studiosi si dividono in due
categorie: 1. Apprendisti attori. L’insegnamento è gratuito. In cambio di questo insegnamento
assumeranno tutti i ruoli (comparse, parti, doublures, ecc.), negli spettacoli in cui la direzione

25
«J’ai quarante ans. Le temps passe. Je me suis toujours préparé. Me voici engagé dans cette grande
construction du Viex-Colombier, dont je me surfais peut-être l’importance, et dans ce rêve une école.
Je comence à acquérir la notion du temps, à comprendre qu’il ne me sera plus permis de
recommencer, de reprendre, de retoucher, qu’il me faut donner, tel quel, ce que je peux donner. Ne
plus entasser de notes et de dossiers, ne plus rien remettre au lendemain». JOURNAL 1916-1948, pp.
153-154. Dal ritorno americano la scuola prende il posto del teatro nei pensieri e nelle attenzioni di
Copeau, suscitando un senso di abbandono negli attori della compagnia; tuttavia non si tratterà mai,
neppure nelle fasi successive, con il ritiro in Borgogna, di un atto di negazione del Vieux-Colombier,
ma piuttosto di un suo compimento: l’obiettivo rimane il rinnovo del teatro attraverso l’educazione
degli artisti.
26
Intervento di Jules Romains in CLAUDE CÉZAN (a cura di), Hommage à Copeau par..., in «Les
Nouvelles Littéraires», 10 février 1949, pp. 1,4 e 8. Per la citazione in testo si è utilizzata la traduzione
italiana in «Il Dramma», n. 80, 1 marzo, 1949, pp. 40-44. Citazione a p. 42.
20
richiederà il loro concorso. Questi costituiranno una parte attiva dell’apprendistato. 2. Gli
allievi che, non legandosi al teatro al di fuori delle classi, saranno allievi paganti. Le classi
sono le stesse per gli apprendisti e per gli allievi 27.

Oltre a questi studiosi “attivi” è prevista la presenza autorizzata di uditori


paganti. Può trattarsi di amateurs, artisti, insegnanti, attori della troupe del Vieux-
Colombier, collaboratori e fondatori appartenenti all’Association des amis du Vieux-
Colombier28.
Si stabilisce che le lezioni avranno luogo tre volte alla settimana: lunedì,
mercoledì e venerdì dalle 9.00 alle 12.00, ma successivamente la classe del lunedì si
divide in due gruppi, al fine di separare dai professionisti gli allievi “giovani”. Gli
allievi scelti per figurare dentro agli spettacoli possono far parte dell’uno o dell’altro
gruppo, infatti secondo una nota della Bing Pradel, che fa parte del secondo gruppo,
viene chiamato per comparire in Le Conte d’hiver29.

27
«Les jeunes gens désirant recevoir l’enseignement du Vieux-Colombier seront admis après audition
par Monsieur Copeau. Si au cours des études Monsieur Copeau juge leur aptitude insuffisante, il
prononcera leur exclusion. Les étudians se divisent en deux catégories: 1. Les apprentis comédiens.
L’enseignement est gratuit. En échange de cet enseignement et en l’acceptant, ils s’engagent à remplir
tous les emplois (figuration, rôles, doublures, etc.), dans les spectacles où la Direction demanderait
leur concours, ceci constituant pour eux une partie active de leur apprentissage. 2. Les Élèves qui, ne
se liant pas au Théâtre en dehors des classes, seront des élèves payants. Les classes sont les mêmes
pour les apprentis et pour les élèves». Foglietti scritti dalla mano di Suzanne Bing e riportanti il
regolamento dell’École du Vieux-Colombier del 1920, in REG. VI ÉCOLE, pp. 211-214. D’ora in poi
SUZANNE BING, Organisation, 1920. In ulteriori appunti della Bing sono trascritti i nomi degli
allievi; fra i primi allievi ad iscriversi: Marie-Madeleine Gautier (19 anni) e Charles Goldblatt (14
anni). In Seguito Mme Allard, Mlle Authié, Baranger, Boverio, Mlle Daulte, Mlle Esquerré, Eva Reynal,
M. Galland, Gaultier, M. Honegger, Mlle Mohor, Marika Monte-Santos, Verdier, M. Pradel, Villard.
L’inizio delle lezione ha luogo il primo marzo 1920.
28
Ivi, pp. 212-213.
29
Nota Suzanne Bing: «Le Patron [...] entre sur la fine de la leçon. Nous décidons que cette classe
sera coupée en deux plus courtes, lundi et mardi, de 10 h à 12 h. Le soir, pour faire le partage, le
Patron me les désigne, me signalant le vrai point de vue, qui n’est pas: les plus ou moins avancés,
mais: séparer des autres ceux qui sont intacts». In nomi indicati da Copeau sono: Mme Allard, Authié,
Boverio, Daulte, Mlles Mohor, Pradel, Renaud-Rolland, Villard. SUZANNE BING, Classes du Vieux-
21
I corsi propongono dei testi che vengono studiati come esercitazione e non
con finalità di allestimento, e per questo motivo le parti distribuite agli attori sono fra
di loro intercambiabili. In modo particolare le lezioni si concentrano sulla lettura dei
testi: Tristano e Isotta, Preghiera a Nostra Signora di Villon, Alessandro il Grande
di Plutarco, e alcuni racconti da Le Mille e una Notte.
Nell’estate dell’anno 1920 Copeau sembra impaziente di trasformare questi
corsi isolati in una vera e propria scuola professionale:

Torno indietro, alla mia idea fissa, e mi dico che non esisterà niente finché non esisterà la
scuola. Ne abbiamo avuto un embrione, questo inverno, sotto la sola direzione di Suzanne.
Occorre fondarla e organizzarla per l’anno prossimo. Non ho né locali né denaro. Ho davanti
a me un mese per concepire l’organizzazione, il regolamento, i metodi, due mesi per ottenere
una esistenza materiale compatibile con i miei progetti 30.

In dicembre Bing propone a ragazzi tra i quattordici e i diciotto anni dei corsi
mattutini gratuiti di ginnastica, danza, canto, dizione, nello spazio del secondo piano
al di sopra del teatro, dove già lavora con i suoi allievi dal mese di marzo. Inoltre, nel
marzo 1921, si avvia, ogni mercoledì, un corso pubblico sul teatro classico francese e
in modo particolare sulla commedia di Molière31. Le scarne note della Bing
permettono di rilevare l’esistenza di esercizi di espressione, come comunicare

Colombier, 1920, cit., p. 216. Dalle note della Bing sembra che la classe del lunedì e quella del
martedì svolgano le stesse attività, cfr. note di pagina 219-220.
30
«Je reviens en arrière, à mon idée fixe, et je me dis que rien n’existera tant que n’existera pas
l’École. Nous en avons eu un embryon, cet hiver, sous la seule direction de Suzanne. Il la faut établir
et organiser pour l’an prochain. Je n’ai ni local ni argent. J’ai devant moi un mois pour concevoir
l’organisation, le règlement, les méthodes, deux mois pour obtenir une existence matérielle
compatible avec mes projets». JOURNAL 1916-1948, p. 178. In REG. VI ÉCOLE Sicard pubblica note,
lettere e appunti che testimoniano l’incessante attività del Vieux-Colombier per l’organizzazione
materiale della scuola, in particolare cfr. pp. 227-230.
31
Le informazioni sull’esistenza di questi corsi sono fornite dagli studi di Claude Sicard, che pure, a
causa della mancanza di documenti sull’argomento, non offre molti dati. Gli scritti rimanenti su
questo anno di gestazione sono alcuni appunti della Bing che comprendono note dal 13 dicembre 1920
al 1 luglio 1921, trascritti in REG. VI ÉCOLE, pp. 232-234. D’ora in poi SUZANNE BING, Exercices,
1920-1921.
22
semplici stati interiori, e di improvvisazione a partire da semplici indicazioni. Per
esempio: un signore va ad aprire la porta ad una donna e la fa sedere, oppure: due
mendicanti implorano la carità, oppure: una persona ascolta una spiegazione, si
concentra progressivamente e poi, d’improvviso, comprende. Copeau inizia a
concentrarsi sul tema dell’immobilità e del silenzio32.
Tuttavia il regista non è ancora soddisfatto. La scuola deve possedere un
posto adeguato e un programma completo con molteplici insegnamenti connessi
l’uno all’altro. Durante l’estate lavora con Jules Romains, al quale affida la direzione
della scuola per il primo anno, e stila un progetto che prevede diverse categorie di
fruitori. L’École du Vieux-Colombier, installata definitivamente in rue Cherche-Midi
9 e attiva da novembre 1921, è suddivisa infatti in tre corsi: fermés, ouverts e publics.
I corsi chiusi ospitano due tipologie di allievi, appartenenti alle divisioni A e
B. Della divisione A fanno parte giovani a partire dai dodici anni, che non avendo
ancora una particolare predisposizione vengono iniziati a tutte le professioni del
teatro. Per loro si parla di diversi anni di assidua presenza. Gli iscritti alla divisione B
compiono invece il loro percorso in un tempo massimo di tre anni. Devono avere
raggiunto la maggiore età e indirizzare la loro formazione in modo specifico alla
professione del comédien. Quando giudicati adeguatamente preparati, possono
completare gli studi teorico-pratici con l’esperienza diretta sulla scena del Vieux-
Colombier rivestendo parti piccole e di comparsa. Entrambe le tipologie frequentano
obbligatoriamente gli stessi corsi, che sono sia di natura teorica, sia pratica:
esercitazioni e lavori d’ateliers.
Per gli allievi di entrambe le divisioni l’ammissione avviene previa
presentazione di un curriculum, vagliato direttamente dalla direzione. Possono
iscriversi anche ai corsi aperti senza l’obbligo di frequentare tutti gli insegnamenti,
ma con la possibilità di gestirli in base al proprio tempo.

CORSI CHIUSI
1. Educazione fisica. Sotto la direzione di Lieutenant Hébert. Igiene e allenamento del corpo,
agilità, respirazione, resistenza, padronanza.

32
Ivi, pp. 232-233.
23
2. Corso di musica. Professore Luois Brochard: a) musica corporea: camminata, evoluzioni,
ritmo; b) musica vocale: solfeggio e canto, impostazione della voce, canto corale, canto
individuale; c) musica strumentale: flauto, tamburo, tamburino, crotali, cembali, strumenti a
corde. d) poesia cantata, poesia antica (con la collaborazione di Georges Chennevière).
3. Corso di lingua francese. Professoressa Marthe Esquerré. Esercizi di grammatica,
vocabolario, spiegazione di testi.
3 bis. Esercizi di memoria. Professoressa Marthe Esquerré. Educazione della memoria.
Recitazione di testi.
4. Corso elementare di lettura e dizione. Professoressa Suzanne Bing. Lettura ad alta voce,
meccanismo dell’elocuzione, dizione, studio dei generi e degli stili, declamazione: ode,
melopea, racconto, a una voce e in coro.
5. Educazione dell’istinto drammatico. Cultura della spontaneità e dell’invenzione presso
l’adolescente, racconti, giochi di destrezza e giochi di spirito, canto, danza, improvvisazione,
dialogo improvvisato, pantomima. Utilizzo dei diversi mezzi acquisiti dall’allievo nel corso
della sua istruzione generale. Esercizi diretti da Jacques Copeau e Suzanne Bing, con
l’eventuale coinvolgimento di altri professori.
6. Sviluppo del senso drammatico. Professor Jacques Copeau. Corsi ed esercizi ad uso degli
allievi della divisione superiore.
7. Corsi di dizione e di messinscena. Professori André Bacqué e Georges Vitray. Dizione,
gioco, messinscena, commedia, tragedia, dramma. Studio del repertorio, in particolare studio
completo e realizzazione scenica delle pièces scelte fra il repertorio del Vieux-Colombier e
che saranno oggetto di commento nel corsi pubblici di Copeau.
8. Lavori d’atelier. Studio pratico del materiale della scena. Capo laboratorio: Marie-Hélène
Copeau; consiglieri tecnici: Louis Jouvet, Albert Marque. Disegno geometrico, modelage,
pittura, falegnameria, lavoro del cuoio e del cartone. Taglio e cucito. Questi lavori d’atelier
lasceranno il più possibile il posto all’iniziativa, al gusto spontaneo dell’allievo. Si
alterneranno, secondo le possibilità, con letture, giochi, passeggiate insieme (visite di musei,
monumenti, giardini, ecc.)33.

33
«COURS FERMÉS. - Éducation physique. – Sous la direction du Lieutenant Hébert. Hygiène et
entraînement du corps. Assouplissement. Respiration. Endurance. Maîtrise du corps. 2 – Cours de
musique. – Professeur, M. Louis Brochard. a/ Musique corporelle: marche, évolutions, rythme. b/
Musique vocale: solfège et chant, pose de la voix, chant choral, chant individuel. c/ Musique
instrumentale: flûte, tambour, tambourin, crotales, cymbales, instruments à cordes. d/ Poésie chantée,
poésie antique (avec le concours de M. Georges Chennevière). 3. – Cours de langue française. –
Professeur, Mlle Marthe Esquerré. Exercices de grammaire. Vocabulaire. Explication de textes. 3 bis. –
Exercices de mémoire. – Professeur, Mlle Marthe Esquerré. Culture rationnelle de la mémoire.
Récitation de textes. 4. – Cours élémentaire de lecture et de diction. – Professeur, Mme Suzanne Bing.
24
I corsi aperti e quelli pubblici sono invece studiati per allievi e uditori
interessati a seguire dei corsi dell’École, ma senza indirizzarsi in modo specifico
all’arte attorica. Hanno la facoltà di scegliere liberamente il loro programma di studi
fra i corsi aperti, senza avere possibilità di accesso a quelli chiusi. Gli uditori
possono scegliere di seguire anche un solo corso. Gli iscritti ai corsi fermés e publics
si dicono appartenenti alla divisione C e possono essere «giovani scrittori, giovani
autori o critici drammatici, allievi attori non professionisti, ecc.»34. La differenza fra i
due corsi riguarda la tipologia e la quantità degli insegnamenti. I corsi pubblici,
tenuti esclusivamente da Copeau, prevedono un ciclo di letture, spiegazione e
indicazioni di mise en scène, utilizzando testi del repertorio del Vieux-Colombier. Vi
può accedere chiunque, anche estraneo alla scuola, pagando un biglietto d’ingresso a
ogni singola lezione. Più articolati i corsi aperti, comprendenti una serie di

Lecture à haute voix. Mécanisme de l’élocution. Diction, étude des genres et des styles. Déclamation:
ode, mélopée, récit, à une voix et à plusieurs voix. 5. – Éducation de l’instinct dramatique. Culture de
la spontanéité et de l’invention chez l’adolescent. Récits, jeux d’adresse et jeux d’esprit, chant, danse,
improvisation, dialogue impromptu, pantomime. Mise en œuvre des moyens divers acquis par l’élève
au cours de son instruction générale. Exercices dirigés par M. Jacques Copeau et Mme Suzanne Bing,
avec le concours éventuel des autres professeurs. 6. – Développement du sens dramatique. –
Professeur, M. Jacques Copeau. Cours et exercices à l’usage des élèves de la division supérieure. 7. –
Cours de diction et de mise en scène. – Professeurs, MM. André Bacqué et Georges Vitray. Diction.
Jeu. Mise en scène. Comédie. Tragédie. Drame. Étude du répertoire, en particulier étude complète et
réalisation scénique de pièces choisies dans le répertoire du Vieux-Colombier et qui auront fait l’objet
d’un commentaire dans le cours public de M. Jacques Copeau. 8. – Travaux d’atelier. Étude pratique
du matériel de la scène. – Chef d’atelier: Mlle Marie-Hélène Copeau. Conseillers techniques: MM.
Louis Jouvet, Albert Marque. Dessin géométrique. Modelage. Moulage. Peinture. Travail du bois, du
cuir, du carton. Coupe et couture. Ces travaux d’atelier laisseront la plus grande place à l’initiative, au
goût spontané de l’élève. Ils alterneront, selon l’opportunité, avec des lectures, des jeux, des
promenades en commun (Visites de musées, de monuments, de jardin, etc.)». Présentation de l’École,
son fonctionnement et ses programmes, documento non firmato, riguardante l’anno scolastico 1921-
1922, in REG. VI ÉCOLE, pp. 257-266. Citazione alle pp. 260-261.
34
«Les jeunes écrivains, les jeunes auteurs ou critiques dramatiques, les élèves comédiens non
professionnels, etc». Ivi, p. 262.
25
insegnamenti legati l’uno all’altro, secondo il carattere di interdisciplinarietà che è
caratteristica della scuola di Copeau.

CORSI PUBBLICI
Il repertorio del Vieux-Colombier. Professore Jacques Copeau. Studio delle principali opere
del repertorio del Vieux-Colombier in particolare di quelle classiche. Lettura, commento,
spiegazione dei punti di vista letterario e tecnico, in relazione alla recitazione e alla messa in
scena.
CORSI APERTI
1. Teoria del teatro. La tragedia greca. Professore Jacques Copeau. Origini religiose e portata
sociale del teatro greco, nascita e sviluppo del sentimento drammatico, della forma tragica,
dello strumento teatrale, la rappresentazione greca, il gioco degli attori e la disposizione
scenica, le opere: Eschilo, Sofocle, Euripide, il dramma satiresco, la commedia, Aristofane.
1 bis. Teoria dell’architettura teatrale. Il teatro greco. Professore Luois Jouvet. Studio del
teatro greco dal punto di vista dell’architettura e del materiale, rapporti tra il pubblico e
l’orchestra, tra l’orchestra e la scena, tra la scena e il pubblico. Questioni d’acustica, di
visibilità, di luce, di praticabilità, ecc.
I corsi 1 e 1 bis si completano l’un l’altro e non possono essere seguiti separatamente.
2. Corso di tecnica poetica. Professor Jules Romains. Elementi di prosodia generale, prosodia
antica, teoria della versificazione francese classica, teoria della versificazione moderna.
2 bis. Lavori di tecnica poetica. Professore Georges Chennevière. Analisi, dimostrazioni,
esercizi pratici relativi alla prosodia generale, alla prosodia antica, alla versificazione
francese classica, alla versificazione moderna. Correzione di lavori scritti.
I corsi 2 e 2 bis si completano l’un l’altro e non possono essere seguiti separatamente.
3. Le scuole, le comunità e la civilizzazione. Le scuole e le comunità nella vita greca.
Professore Georges Chennevière. I paesi, la razza, lo spirito, visione d’insieme sulla storia
della civilizzazione greca. I grandi uomini e le collettività, scuole filosofiche, scuole letterarie
e artistiche, corporazioni, vita quotidiana degli individui, dei gruppi e delle città, come questa
vita si esprime nella poesia, nella musica, nel teatro greco.
4. Corsi di dizione. Professore Romain Bouquet. Dizione, recitazione, mise en scène, studio
del repertorio, in particolare quello del Vieux-Colombier, in relazione con i corsi pubblici di
Jacques Copeau.
5. Corsi di canto. Professore Jane Bathori. Solfeggio e canto, impostazione della voce, canto
corale, canto individuale35.

35
«COURS PUBLIC. Le répertoire du Vieux-Colombier – Professeur, M. Jacques Copeau. Étude des
principales œuvres du répertoire du Vieux-Colombier, en particulier des œuvres classiques. Lecture,
commentaire, explication aux points de vue littéraire et technique, sous le rapport du jeu et de la mise
26
Dalla descrizione dei programmi, emerge che i corsi aperti e quelli chiusi
hanno pari importanza: anche se per i primi si prevedono più insegnamenti e si pone
l’obbligo di frequenza, i secondi ne hanno pochi di meno36 e Copeau impiega fra gli
insegnanti Louis Jouvet, Jules Romains e se stesso. Sono inoltre previste delle
Bourses d’études e delle Bourses d’entretien per gli allievi particolarmente degni di
interesse; non essendo segnalato diversamente rimane inteso che non ci siano

en scène. COURS OUVERTS. 1. – Théorie du théâtre. La tragédie grecque. – Professeur, M. Jacques


Copeau. Origines religieuses et portée sociale du théâtre grec. Naissance et développement du
sentiment théâtral. La représentation grecque. Le jeu des acteurs et la disposition scénique. Les
œuvres: Eschyle, Sophocle, Euripide. Le drame satyrique, la comédie, Aristophane. 1 bis. – Théorie
de l’architecture théâtrale. Le théâtre grec. – Professeur, M. Louis Jouvet. Étude du théâtre grec au
point de vue de l’architecture et du matériel. Rapports de l’auditoire et de l’orchestre, de l’orchestre et
de la scène, de la scène et de l’auditoire. Questions d’acoustique, de visibilité, de lumière, de
praticabilité, etc. Les cours 1 et 1 bis se complètent l’un l’autre et ne pourront être suivis séparément.
2. – Cours de technique poétique. – Professeur, M. Jules Romains. Éléments de prosodie générale.
Prosodie antique. Théorie de la versification française classique. Théorie de la versification moderne.
2 bis. – Travaux de technique poétique. – Professeur, M. Georges Chennevière. Analyses,
démonstrations, exercices pratiques relatifs à la prosodie générale, à la prosodie antique, à la
versification française classique, à la versification moderne. Correction des travaux écrits. Les cours 2
et 2 bis se complètent l’un l’autre et ne pourront être suivis séparément. 3. – Les écoles, les
communautés et la civilisation. Les écoles et les communautés dans la vie grecque. – Professeur, M.
Georges Chennevière. Les pays. La race. L’esprit. Vue d’ensemble sur l’histoire de la civilisation
grecque. Les grands hommes et les collectivités. Écoles philosophiques. Communautés
philosophiques et religieuses. Écoles littéraires et artistiques. Corporations. Vie quotidienne des
individus, des groupes et des villes. Comment elle s’exprime dans la poésie, la musique, le théâtre
grec. 4. – Cours de diction. – Professeur, M. Romain Bouquet. Diction. Jeu. Mise en scène. Étude du
répertoire. Étude particulière du répertoire du Vieux-Colombier, en relation avec le cours public de M.
Jacques Copeau. 5. – Cours de chant – Professeur, Mme Jane Bathori. Solfège et chant. Pose de la
voix. Chant choral. Chant individuel». Ivi, pp. 259-260.
36
Si tratta di otto insegnamenti più uno bis per i corsi chiusi, cinque più due bis per i corsi aperti.
27
distinzioni fra allievi e corsi di studi, e che quindi l’aiuto economico sia previsto per
gli aspiranti attori così come per gli aspiranti autori37.
Per l’anno 1922-23 l’École subisce una riorganizzazione. Copeau riflette
sull’impossibilità di coniugare la scuola con un gruppo di exploitation, ossia con un
gruppo impegnato in messinscene e tournées e decide di apportare dei cambiamenti
per gli allievi della divisione B, quelli che appunto si dividono tra formazione e
rappresentazione38. Per loro viene meno l’obbligo di frequentare i corsi della scuola
secondo un orario stabilito. Seguiranno le lezioni e le conferenze a loro piacimento,
ma non si devono sottoporre ad un corso tutto l’anno se sentono di non averne
bisogno per la loro professionalità. La scuola diventa infatti per gli attori un posto di
perfezionamento della loro cultura generale e competenza tecnica.
Copeau nota uno scarso interesse fra gli amatori. I corsi per loro non sono
abbastanza completi e chi li frequenta è privo dello spirito giusto, sicché vi regna un
clima troppo rilassato che diffonde al di fuori della scuola l’idea che non si pratichi al
suo interno un programma serio. Copeau rivede pertanto il corso, ma non esplicita in
che modo.
Anche il personale subisce modifiche consistenti. Romains viene invitato ad
occuparsi degli studi letterari, mentre Copeau si assume interamente la direzione
della scuola e la coordinazione degli studi drammatici. Per sovraintendere alla
sezione musicale è invece candidato Henry Prunières, direttore della rivista mensile
«La revue musicale». Daniel Lazarus avrà il corso di musica, Louis Brochard di
canto, Mlle Lamballe di danza. Il lavoro di segreteria è affidato a Marie-Hélène
Dasté39.
Nell’ultima stagione parigina dell’École du Vieux-Colombier, quella del
1922-1923, Copeau si consacra sempre più alla scuola, mentre fonda per il teatro una

37
Non essendo indicata la differenza fra i due tipi di borse, si ipotizza che essa sia relativa la tempo di
richiesta ed erogazione: la borsa d’entrata potrebbe essere accordata all’allievo al suo ingresso nella
scuola, mentre la borsa di studio erogata successivamente ai più meritevoli.
38
In realtà il testo di Copeau parla di troupe A e non B, tuttavia la descrizione del gruppo porta a
pensare che si tratti di un errore.
39
Lettera di Jacques Copeau a Jules Romains, datata 12 settembre 1922, in COPEAU-ROMAINS, pp.
169-176; estratti in REG. VI ÉCOLE, pp. 356-359.
28
seconda troupe al fine di far fronte ad esigenze di ordine pratico. Il nuovo gruppo,
più giovane e numeroso rispetto al primo, che rimane attivo, si prepara ad un nuovo
repertorio di commedie classiche e moderne. Questa seconda troupe, pur
comprendendo attori che hanno fatto parte della scuola, non va confusa con il gruppo
di allievi, che continua il lavoro di preparazione lontano dal palcoscenico40.
Per tutti gli anni in cui la scuola esiste a Parigi, Copeau si divide tra la
preparazione degli spettacoli e l’insegnamento. Un senso di responsabilità lo tiene
legato agli attori del Vieux-Colombier, ma sente che le forze gli mancano e che
l’energia e l’entusiasmo possono venirgli solo dedicandosi completamente alla
scuola. Così, nel 1924, Copeau lascia il Vieux-Colombier e si ritira in Borgogna con
allievi, collaboratori e famiglie a seguito, realizzando una vera e propria comunità
familiare di artisti41.
L’intento alla base della nuova impresa è di continuare l’esperienza della
scuola iniziata a Parigi, ma svincolati da impegni commerciali. Tuttavia dopo pochi
mesi, avendo la compagnia necessità di trovare dei finanziamenti per mantenersi,
Villard, Boverio, Bing, Aman Maistre, Chancerel e Michel Saint-Denis decidono di
dare degli spettacoli nei villaggi vicini, e saranno da subito battezzati dai contadini
come i Copiaus, ossia gli attori di Copeau.

40
Scrive Copeau il 10 maggio 1922: «Aujourd’hui s’éclaire en moi cette idée: faire dès l’an prochain
une seconde troupe avec les élèments de l’École augmentés et encadrés par quelques éléments choisis
de la troupe actuelle: Suzanne Bing, Noro, Boverio, Nat, Vibert, Vitray et moi-même». JOURNAL
1916-1948, p. 197.
41
Oltre alla famiglia (la moglie, Marie-Hélène Dasté, Edwig e Pascal), seguono Copeau in Borgogna
Michel Saint-Denis, nipote di Copeau, con la moglie e il figlio Jérôme, Suzanne Saint-Maistre, sorella
di Michel e anch’essa nipote di Copeau, il marito Aman Maistre, allievo del Vieux-Colombier. Ci
sono poi Suzanne Bing e i due figli, Claude Varese e Bernard Bing, nato da una relazione clandestina
con Copeau, Georges Chennevière con la moglie e i figli, allievi dell’École. C’è poi la famiglia
Janvier, macchinista-elettricista del teatro. Infine Léon Chancerel, Auguste e Suzanne Boverio, Jean e
Charlotte Boverio e François Vibert. Il gruppo degli allievi, oltre a quelli già menzionati (Maria-
Hélène Dasté, Aman Maistre, André Chennevière, Michel Saint-Denis) prevede Yvonne Galli, Jean
Dasté e un giovanissimo Etienne Decroux. Per tutte le informazioni sull’esperienza borgognese si
invia il lettore a consultare JOURNAL COPIAUS.
29
Nel dicembre del 1925 la compagnia si sposta da Morteuil a Pernard, dove
Copeau prende casa mentre gli altri si sistemano presso gli abitanti del villaggio o nel
borgo vicino. A questo punto Copeau attiva dei corsi per i giovani allievi: esercizi
fisici, dizione, esercizi drammatici, musica corporea e storia del teatro;
l’insegnamento, il divertimento e il l’organizzazione del gruppo, occupano tutto il
loro tempo. Quando ritenuto opportuno Copeau li recluta per l’allestimento degli
spettacoli.
L’esperienza in Borgogna non solo realizza un approfondimento della scuola,
sempre più vicina ai desideri del regista, ma anche, attraverso le mises en scène dei
Copiaus il grande progetto del Vieux-Colombier: la Commedia all’Improvviso, di cui
L’Illusion, La Dance de la Ville et des Champs, La Tragédie imaginaire,
rappresentano il massimo trionfo.
La grande e lunga avventura dell’École du Vieux-Colombier si chiude alla
fine di maggio del 1929, quando Copeau, cinque anni dopo il ritiro in Borgogna,
lascia la campagnia e la scuola per accettare il posto di amministratore generale della
Comédie Française.

30
Capitolo primo

Essere attori nella Francia del XVIII e


XIX secolo: improvvisazione o
preparazione?

L’esperienza del palcoscenico come scuola

Il concetto di “formazione” è tutt’altro che univoco: sottoposto ad evoluzioni


spazio-temporali e a rielaborazioni personali, esso assume significati storici, sociali e
professionali differenti e definisce i suoi confini tra mero addestramento ed
educazione, tra pratica e teoria, tra sapere e saper fare, implicando di volta in volta
processi mentali e investimento personale diversi. La pluralità di connotazioni che
caratterizza il concetto di “formazione” va tenuta in considerazione anche quando si
fa riferimento alla categoria dell’attore.
Mancano studi completi in grado di tracciare l’evoluzione storica delle scuole
di recitazione e delle accademie, organizzate in modo più o meno organico, e
impegnate nella formazione dell’interprete. Alcune informazioni si ritrovano sparse
qua e là e documentano l’esistenza di un processo discontinuo, in cui l’esigenza di
formazione non nasce come bisogno collettivo di un gruppo ben definito, ma si
esprime piuttosto secondo esigenze individuali, in modo incerto e diseguale, e si lega
più spesso ad una formazione direttamente sul palcoscenico, o al tutoraggio di un
maestro nei confronti di un singolo allievo, o ad una preparazione tecnica e letteraria
autonoma, che non ad una formazione scolastica, intendendo con “scolastica” una

31
formazione operante con la finalità esplicita di preparare degli attori, e che preveda
un’iscrizione, delle norme disciplinari e un programma, ciò a prescindere dal fatto
che si tratti di una scuola privata o statale. In fondo la professione dell’attore si è
dimostrata nel corso della storia ambigua, contraddittoria, ricca di forme, e non
stupisce che essa sia pertanto varia anche nella formazione del singolo artista42.
Martine de Rougemont, in uno studio sulla vita teatrale in Francia nel XVIII
secolo, dedica qualche pagina alla formazione dell’attore nel Settecento, mettendo in
rilievo come la sua preparazione avvenga nella maggior parte dei casi sur le tas. Non
c’è bisogno di una scuola a cui iscriversi, con materie di insegnamento e professori
preposti a tale ruolo: si impara direttamente sul palcoscenico, osservando gli altri,
imitando, accettando suggerimenti. In un simile contesto è l’esperienza ad essere
posta alla base della formazione dell’attore. Quando non è l’ambiente familiare a
preparare ed accogliere i giovani (come avviene nelle numerose compagnie di giro),
essi fanno pratica nei teatri di provincia che rappresentano una sorta di scuola,
preliminare ai grandi teatri della capitale, come segnala la studiosa:

Dei principianti, che l’esperienza formerà, sono impegnati nei grandi teatri anche a
quattordici o quindici anni; le compagnie di bambini li prendono a quattro o cinque. La
provincia rappresenta un serbatoio di teatri-scuole per Parigi; c’è la “circolazione”: gli inizi
infelici nella capitale fanno conoscere gli attori che le compagnie di provincia poi
ingaggiano; dopo qualche anno di pratica, l’attore più capace può essere convocato per una
prova a Parigi43.

42
La formazione istituzionalizzata peraltro, quando esistente, viene talvolta critica perché ritenuta
lesiva della creatività artistica, sinonimo di recitazione accademica e ampollosa. Un esempio lo si trae
dalla posizione di Adelaide Ristori: «Di accademie e conservatori non vorrei mai sentirne a parlare. La
sola loro denominazione denota quanto sia pesante ed antiquata la loro istituzione. Del resto, quanti
esempi non si hanno della poca necessità di accademie per chi ha una vocazione scenica innata, e
racchiude in sé i germi drammatici?». ADELAIDE RISTORI, Mie teorie e precetti sull’arte
drammatica, in EUGENIO BUONACCORSI, L’arte della recita e la bottega, Genova, Bozzi, 2001,
pp. 117-126. Citazione alle pp. 120-121.
43
«Des débutants, que l’expérience enseignera, sont engagés même dans les grands théâtres à 14 ou
15 ans; les troupes d’enfants les prennent à 4 ou 5 ans. Pour Paris, la province offre un reservoir de
théâtres-écoles; c’est la «circulation»: des débuts malheureux dans la capitale font connaître les
acteurs, que les troupes de province engagent; après quelques années de pratique, l’acteur qui réussit
32
Ancor più del teatro professionale fuori provincia, sono i théâtres des
amateurs (o non-professionnels o teatri di società)44 a rappresentare un banco di
prova per i futuri attori del teatro, compensando la mancanza di un vero e proprio
insegnamento formale. Secondo le informazioni raccolte da Rougemont, quasi tutti i
grandi attori del XVIII secolo prima di tentare il successo in provincia hanno recitato
nei teatri di società: «Decine di teatri di società vedono defilarsi ogni anno a Parigi
centinaia di dilettanti; molti professionisti arrivano da queste fucine»45.
Grandi comédiens e comédiennes quali Michel Baron, Mme Champmeslé,
Lekain, Larive, Préville - solo per citare alcuni nomi francesi - non sono usciti da una
scuola, ma hanno saputo abbinare ad un innato virtuosismo un’intensa attività
esperienziale, che, affinando la tecnica, l’interpretazione, la disinvoltura, può passare

peut être convoqué pour un essai à Paris». MARTINE DE ROUGEMONT, La vie théâtrale en France
au XVIIIe siècle, Paris-Genève, Champion-Slatkine, 1988, p. 196.
44
Secondo Martine de Rougemont sotto questi nomi si possono riunire le attività teatrali «discontinue
e non lucrative», cioè che possiamo definire come amatoriali. Ivi, p. 297. Sul teatro amatoriale cfr. in
particolare il cap. XIII. Roberto Tessari, che preferirebbe utilizzare la denominazione di théâtres
particuliers, delinea una bibliografia essenziale sull’argomento, in ROBERTO TESSARI, Tra
dominio della ragione e impero dei sensi. I théâtres particuliers nel Settecento francese, in
ROBERTO ALONGE (a cura di), L’impero dei sensi. Da Euripide a Ōshima, Bari, Pagina, 2009, pp.
119-138. In particolare p. 124.
45
«Des dizaines de théâtres de société voient défiler chaque année à Paris des centaines d’amateurs;
beaucoup de professionnels sont issus de ces foyers». Ivi, p. 196. La situazione non si presenta diversa
nell’ambiente teatrale inglese, anzi: «Chiunque entri a far parte della professione lo fa con l’obiettivo
di raggiungere Londra, dopo aver passato un periodo di apprendistato, anche molto lungo, nelle
compagnie itineranti e in quelle di circuito. […]. Sui palcoscenici di provincia si svolge la maggior
parte dell’attività di apprendistato, anche se non tutti gli interpreti che recitano in questi ambiti sono
tirocinanti; al contrario per lo più si tratta di attori alla fine della carriera o che per qualche motivo
(mancanza di sufficiente talento o casualità) non sono riusciti a ottenere un ingaggio nella metropoli.
È proprio osservando questi interpreti di consumato mestiere che i nuovi adepti imparano le basi
dell’arte attorica e, passando di compagnia in compagnia, aumentano il loro bagaglio professionale».
PAOLA DEGLI ESPOSTI (a cura di), La scena del Romanticismo inglese (1807-1833). Poetiche
teatrali e tecniche d’attore, Padova, Esedra, 2001, p. 10. Anche in questi casi dunque, la formazione
dell’attore è frutto di un’auto-formazione che si alimenta per la maggior parte di insegnamenti
indiretti, in cui è spesso la compagnia a garantire la preparazione professionale dell’interprete.
33
incolume sotto la definizione di formazione. La precisazione è tesa, una volta di più,
ad evitare l’identificazione tout court della formazione dell’attore con la
preparazione accademica e, a rovescio, la mancanza di studio e preparazione con la
mancata frequenza di una scuola. Se ne deduce che le accuse mosse all’interprete da
alcuni filosofi e letterati sulla mancata preparazione riflettono una situazione
generalizzata di superficialità, ma non possono comprendere l’intera popolazione di
attori.
La complessità del discorso merita ulteriori approfondimenti al fine di
indagare le variabili che possono influire sulla preparazione dell’attore francese di
fine Settecento e dell’Ottocento. Essa presenta certamente livelli diversi a seconda
del genere teatrale in cui l’interprete si specializza: la modalità di recitazione del
vaudeville e del mélo non richiede probabilmente l’abilità tecnica che deve
presentare un attore impegnato a rivestire un ruolo nella tragedia o nella commedia.
Ciò diviene ancor più vero quando si pensa che in epoca romantica il sistema dei
ruoli inizia a venire meno, lasciando sempre più spazio alla elaborazione di
personaggi dall’Io complesso e frammentato, la cui costruzione sulla scena richiede
un lavoro maggiore da parte del comédien. Di conseguenza, se l’attore viene
ingaggiato alla Comédie-Française, ha maggiori possibilità di aumentare il bagaglio
di conoscenza tecnica, rispetto a chi viene arruolato in un piccolo teatro di provincia:
si prepara su tempi più lunghi, è guidato da sapienti drammaturghi e régisseurs, ha
accesso a consigli più dotti ed è incitato da un pubblico più esigente.
Non esiste nella Francia del 1700 una formazione istituzionalizzata (o
scolastica) del mestiere dell’acteur o, quanto meno, se non si può escludere che siano
esistite accademie di recitazione, esse hanno probabilmente avuto vita breve e non
particolarmente significativa per il mondo teatrale. L’ipotesi è sostenuta anche dallo
spoglio di notizie biografiche relative agli attori, anche importanti46.
A partire dagli ultimi decenni del secolo l’urgenza di una maggiore cultura e
preparazione per il comédien inizia ad essere argomento di rilievo da parte di filosofi,
letterati, ma anche attori. In Italia Vittorio Alfieri è fra i promotori di una nuova

46
Cfr. HENRY LYONNET, Dictionnaire des comédiens français (ceux d’hier): biographie,
bibliographie, iconographie, Gèneve, Slatkine, 1969.

34
educazione degli attori, tradottasi poi nell’impegno concreto di Antonio Morrocchesi
e Gustavo Modena. In Germania Gotthold Ephraim Lessing e Johann Gottsched sono
fra i nomi più autorevoli, mentre in Francia, oltre a Denis Diderot, troviamo
impegnati in questa direzione gli attori della Comédie Préville e Molé47. Sono
soprattutto loro ad attivarsi per un formazione più elevata per l’attore, una miglior
preparazione tecnica e, non da ultimo, una condotta meno scandalosa da parte degli
uomini di teatro, individuando in queste modifiche i presupposti per una
rivalutazione sociale del mestiere dell’attore. Infatti, nella maggior parte dei casi, la
codificazione di regole del mestiere, con la possibilità di un loro apprendimento per
l’attore, viene considerata come strumento di ascesa sociale48.
Sono almeno due le linee da seguire in questo percorso che inizia a delinearsi
nel Settecento e che continuerà anche nel secolo seguente. In primo luogo la presa di
consapevolezza che la professione dell’attore non si sviluppa solamente sulle doti
che la natura ha dato al comédien, perché la crescita di tali potenzialità richiede uno
studio lungo, costante e soprattutto meditato. In secondo luogo, la questione della
teorizzazione del sapere teatrale e di un apprendimento non solo esperienziale, ma
anche di approfondimento teorico; tema che introduciamo formulato da Luigi
Allegri:

È necessario preliminarmente sciogliere la questione se e come l’arte teatrale sia trasmissibile


didatticamente, ossia se la recitazione si possa insegnare tramite precetti astratti e non solo

47
Cfr. alcuni testi principali di riferimento: VITTORIO ALFIERI (a cura di Pietro Cazzani), Parere
dell’autore sull’arte comica in italia, a cura di Pietro Cazzani, Milano, Mondadori, 1966, pp. 1095-
1099; ANTONIO MORROCCHESI, Lezioni di declamazione de l’arte teatrale (1832), Roma,
Gremese, 1991; EUGENIO BUONACCORSI, L’arte della recita e la bottega, cit., in particolare pp.
17-74; Per quanto riguarda Lessing e Gottescheld si invita il lettore alla lettura del saggio introduttivo
di Paolo Chiarini a GOTTHOLD EPHRAIM LESSING, Drammaturgia d’Amburgo, (a cura di Paolo
Chiarini), Roma, Bulzoni, 1975, pp. VII-LXIV. Per la bibliografia dei francesi citati si rimanda invece
al prossimo paragrafo.
48
Ad essere impegnati per un miglioramento della condizione dell’attore, attraverso un nuovo modo
di concepire il mestiere e una maggiore preparazione, sono spesso anche le compagnie di dilettanti
formate per la maggior parte da colti borghesi. Queste in Italia si organizzeranno in Accademie di
dilettanti, diventando in alcuni casi vere e proprie scuole per attori.
35
con l’esempio e la pratica. La proliferazione dei manuali dimostra che la cultura ottocentesca
ritiene assolutamente percorribile la strada della didattica. Questo perché evidentemente
ritiene che, fatte salve le maggiori o minori capacità individuali, si possa comunque stabilire
una tavola delle corrispondenze tra le passioni da esprimere e i gesti e le inflessioni che
servono a rappresentarle49.

I manuali di recitazione scritti dagli attori sono certamente un dato


inequivocabile al quale ne andrebbe però aggiunto un altro, rendendo ancora più
incisiva la convinzione che il mestiere attorico preveda una componente di studio
teorico abbinato alle esercitazioni. Per quanto riguarda l’ambiente francese questo
dato è rappresentato emblematicamente dalla nascita di corsi di declamazione
all’interno dell’istituto del Conservatoire.

Il nutrimento del talento: studio ed esercizio

Uno dei più ferventi sostenitori della necessità di studio e pratica per l’attore,
secondo il quale la natura, non disciplinata ed educata, può addirittura danneggiare
l’interpretazione, è Diderot. Leggiamo nel Paradosso sull’attore:

È la natura che dà le qualità personali, l’aspetto, la voce, l’intelligenza, la finezza; sono lo


studio dei grandi modelli, la conoscenza del cuore umano, la pratica della vita, il lavoro
assiduo, l’esperienza, l’abitudine al teatro, che riescono a perfezionare le doti naturali 50.

L’attore non può contare solo sulle virtù innate: per essere un grand comédien con
«un’uguale disposizione per ogni sorta di caratteri e di parti»51, attraverso un
continuo studio, deve sviluppare capacità osservative e mimetiche e deve anche saper
rappresentare i sentimenti umani con movimenti studiati appositamente per la scena.

49
LUIGI ALLEGRI, L’arte e il mestiere. L’attore teatrale dall’antichità ad oggi, Roma, Carocci,
2005, p. 123.
50
DENIS DIDEROT, Paradosso sull’attore, a cura di Paolo Alatri, Roma, Editori Riuniti, 1972, p.
72.
51
Ivi, p. 75
36
Natura e arte si distinguono in Diderot: «E come potrebbe la natura senza l’arte
formare un grand’attore, dal momento che niente si svolge sulla scena esattamente
come in natura?»52. L’arte, intesa come studio e tecnica, perfeziona la natura e
l’istinto, poiché a teatro le emozioni non si esprimono come nella vita, ma seguono il
«modello ideale immaginato dal poeta»53 senza enfatizzarlo e stravolgerlo:

Noi vogliamo che quella donna cada con decoro, languidamente, e che quell’eroe muoia
come un gladiatore antico, al centro dell’arena, tra gli applausi del circo, con grazia, con
nobiltà, in un atteggiamento elegante e pittoresco. Chi soddisferà la nostra attesa: l’artista
prostrato dal dolore e sfigurato dalla sensibilità, oppure l’atleta uscito dall’accademia che si
controlla e mette a frutto le lezioni di ginnastica mentre esala l’ultimo respiro? 54.

Secondo Diderot, l’attore in grado di far vibrare il pubblico di emozione, di


trasmettere intensità di sentimenti e di farlo soprattutto con la stessa forza ad ogni
rappresentazione è colui che ha studiato questa passione, affrontandola di “testa”,
sviscerandone i meccanismi e ricomponendone la manifestazione esteriore. Ciò non
può essere che risultato di prove, esercitazioni, studio, abilità intellettive e
suggerimenti provenienti da un maestro o da un modello, anche se la descrizione del
filosofo suggerisce una realtà diversa:

Un giovane dissoluto, invece di recarsi assiduamente nello studio del pittore, dello scultore,
dell’artista che l’aveva adottato, ha sprecato gli anni più preziosi della vita, e si è trovato a
vent’anni senza mezzi e senza saper fare niente. Che volete che diventi? O soldato o attore.
Eccolo quindi ingaggiato in una compagnia di provincia. Andrà vagabondando finché non
potrà sperare in un debutto nella capitale. Una povera creatura ha marcito nel fango del vizio;
stanca di questa condizione tanto abbietta, quella di cortigiana di basso rango, impara a
memoria alcune parti e si reca un giorno a casa della Clairon, come lo schiavo dell’antichità
si recava dall’edile o dal pretore. Costei la prende per mano, le fa fare una piroetta, la tocca
con la sua bacchetta e le dice: «Va a far ridere o piangere gli sciocchi»55.

52
Ivi, p. 73.
53
Ivi, p. 86.
54
Ibidem.
55
DENIS DIDEROT, Paradosso sull’attore, cit., pp. 122-123.
37
Pur denunciando la scarsa o la mancata preparazione di uomini e donne che si
impratichiscono alla scena in poco tempo, senza coltivare particolari qualità, e privi
di un minimo di vocazione, Diderot non fa coincidere la preparazione dell’attore con
una formazione necessariamente scolastica. Basti pensare alle lodi e alla stima
elargite alla Clairon, grande attrice di commedia che non aveva forgiato il suo talento
che attraverso lo studio e la pratica personali56.
L’analisi e lo studio come componenti essenziali del lavoro d’attore non sono
auspicate solamente dai fautori di una “recitazione fredda” quale quella diderottiana,
ma, seppur con accenti diversi, percorrono tutto l’Ottocento romantico57. Si prenda a
titolo di esempio il caso di Charles Nodier, per il quale l’ispirazione deve subentrare
nell’attore solo in seguito ad un accurato lavoro di analisi del personaggio, che
conduca a riconoscerne le intenzioni e a costruire una rete sottintesa al dramma,
individuadone cioè il sottotesto, secondo una terminologia di un secolo più tarda.
Qualcosa di simile avviene anche per Théophile Gautier, per il quale l’indispensabile
capacità di immedesimarsi nella dramatis persona sarebbe favorita da una sorta di
predisposizione conquistata, o comunque nutrita, dall’abitudine a vivere in molteplici

56
Cfr. HENRY LYONNET, Dictionnaire des comédiens français (ceux d’hier): biographie,
bibliographie, iconographie, Genève, Slatkine, 1969, alla voce Cairon, Mlle Claire, pp. 342-352.
57
Uscendo dall’ambiente francese si vuole ricordare il caso dell’attore inglese Edmund Kean. Rimasto
alla storia come esempio di grande passionalità e fervore in scena, emblema dell’immedesimazione,
non era esente da un lungo lavoro di analisi e studio. Luigi Allegri a questo porposito riporta una
citazione del critico George Henry Lewes: «provava ogni dettaglio con vigilanza e pazienza,
sperimentando i toni finché l’orecchio non era soddisfatto, esercitando le espressioni e i gesti finché il
suo senso artistico non era soddisfatto; e, una volta regolate queste cose, non le cambiava mai». La
citazione si trova in LUIGI ALLEGRI, L’arte e il mestiere […], cit., p. 127. Si sa che Kean arriva,
come molti altri attori, da un teatro di provincia che gli fornisce una prima elementare forma di
educazione al mestiere. Egli è dunque l’esempio di un interprete perlopiù autodidatta, che pur non
avendo ricevuto una formazione istituzionalizzata, riesce ad attivare delle notevoli risorse personali,
alimentate da costanza, impegno, esercizio ed osservazione, nonché, plausibilmente, dal consiglio di
attori maturi. La sua biografia è ancora una volta l’esempio di come preparazione dell’attore e scuola
non seguissero strade parallele. Notizie biografiche su Edmund Kean in BARRY CORNWALL, The
life of Edmund Kean, London, Benjamin Blom, 1835, in particolare i primi due capitoli. A risolvere
definitivamente la querelle della contrapposizione tra costruzione di una parte e immedesimazione è il
pedagogo Konstantin Stanislavskij con l’elaborazione del cosiddetto “sistema”.
38
situazioni. L’attore può così, senza definire tutto nei minimi dettagli, entrare in una
parte in virtù di una conoscenza empatica con il personaggio. Altrimenti non può
scattare il processo identificativo58.
Tuttavia in questi esempi non compare il riferimento ad una scuola e la
formazione dell’attore è una decisione arbitraria, lasciata all’impegno personale. È
solo all’interno della Comédie-Française, nel teatro in cui la maggior parte degli
attori ambisce a recitare, che l’esigenza di educazione dell’attore inizia a sfociare in
una organizzazione formale, con l’istituzione, nel 1786, di un corso di déclamation
all’interno dell’École de musique (successivamente ribattezzata Conservatoire).
L’istituzione del corso segna una svolta significativa rispetto a prima: per la
professione dell’attore viene ufficialmente riconosciuta la necessità di una
preparazione basata su un bagaglio di conoscenze tecniche e di esercizio59.
Del resto non è un caso che proprio dai grandi attori della Comédie sorga
l’esigenza di preoccuparsi non solo della personale formazione, ma anche di attivare
un sistema per l’insegnamento in generale; essi diventeranno i primi insegnanti di
tecnica teatrale. Inoltre, sono proprio i professori di declamazione al Conservatoire
ad incrementare notevolmente, mediante memorie ed appunti, le teorizzazioni in
ambito attorico, esprimendo l’esigenza che il comédien sia preparato seguendo
tecniche codificate. Così, sebbene il presupposto per accedere alla professione
rimanga una certa predisposizione intellettuale e fisica, Préville, Molé e molti altri si
dichiarano sostenitori di un’educazione indispensabile a stimolare le capacità innate
degli aspiranti attori, che non possono risparmiarsi un lungo allenamento per
perfezionare la mimica, la dizione e la capacità interpretativa del personaggio e del
dramma.
58
Cfr. ELENA RANDI, Anatomia del gesto. Corporeità e spettacolo nelle poetiche del Romanticismo
francese, Padova, Esedra, 2001, pp. 59-61 e 165-169.
59
Ancor prima di questa tappa fondamentale, la Comédie dimostra sensibilità e severità riguardo alla
formazione dell’attore. Un esempio lo traiamo dal vissuto del grande Molé: ricevuto un ingaggio al
celebre teatro, egli, a causa di una voce debole e di una declamazione appena ampollosa fu rimandato
per qualche anno in una troupe di provincia prima di rientrare nelle scene parigine. M. ÉTIENNE,
Notice sur Molé, in MOLÉ, Mémoires, Genève, Slatkine, 1968, pp. j-lxiv. Come abbiamo già visto era
consuetudine che i théâtres des provinces funzionassero come scuole, accogliendo giovani attori da
formare mediante un lungo esercizio.
39
Préville, ad esempio, ritorna più volte nei Mémoires sulla necessità di essere
naturalmente dotati di un certo grado di capacità camaleontica per essere abili a
rivestire differenti parti e a passare rapidamente da uno stato d’animo all’altro; del
resto lui stesso è capace di rivestire molteplici emplois, anche quando presentano
caratteristiche molto diverse fra loro. Tuttavia non va dimenticato che lui è anche
maestro di allievi, e i suoi appunti sull’arte del comédien costituiscono uno dei primi
tentativi di fissare in teoria gli insegnamenti impartiti agli attori, segno evidente del
ruolo attribuito alla formazione60.
Illustre esempio di attore alla Comédie e di insegnante nel Settecento è
Rémond de Sainte-Albine, autore dello scritto Le comédien, incentrato sull’arte
dell’attore. Il volume raccoglie con molta probabilità le sue lezioni ai giovani allievi.
Seppure insista a più riprese sulle disposizioni naturali e gli avantages necessari
soprattutto agli attori che rivestono parti di prim’ordine - addirittura entrando
dettagliatamente nella descrizione di tali doni - non dimentica di sottolineare
l’importanza dello studio:

Mi sono solamente proposto di dissipare l’errore di coloro che credono sia sufficiente, per
essere attori, di avere memoria, e di poter parlare, camminare, gesticolare. Sforzandomi di
mostrare come gli attori debbano studiare per arrivare alla perfezione della loro arte, io non
penso affatto di vincere la pigrizia di coloro che sono nemici dell’applicazione e del lavoro 61.

In Le comédien, infatti, Rémond de Sainte-Albine non illustra solamente i


doni interiori che un attore dovrebbe possedere, ma anche il modo affinché li possa
meglio utilizzare, attraverso un corretto uso del corpo e della voce e tenendo conto
delle caratteristiche del dramma e del personaggio da rappresentare. A questo
proposito insiste sulla necessità per l’attore di coltivare l’esprit, cioè lo spirito, che,

60
PRÉVILLE, Mémoires, in PRÉVILLE ET DAZINCOURT, Mémoires, revue, corrigés et augmentés
d’une notice sur ces deux comédiens par M. Ourry, Genève, Slatkine, 1968, pp. 3-181.
61
«Je me suis proposé seulement de dissiper l’erreur de celles qui croient qu’il suffit, pour être
comédien, d’avoir de la mémoire, et de pouvoir parler, marcer et gesticuler. En m’efforçant de
montrer combien les comédiens doivent étudier pour arriver à la perfection de leur art, je ne songe
point à vaincre la paresse de ceux qui sont ennesi de l’application et du travail». RÉMOND DE
SAINTE-ALBINE, Le comédien, in MOLÉ, Mémoires, cit., pp. 95-330. Citazione alle pp. 189-190.
40
nel suo vocabolario, inscrive anche la capacità di riflessione. Con il termine esprit,
Sainte-Albine fa infatti riferimento alla coscienza, allo spirito critico, alla capacità di
analisi e di giudizio del comédien, necessaria a comprendere una parte e a realizzarla
dotandola di sfumature e chiaroscuri:

L’attore ha ugualmente necessità di finezza e di precisione per far valere il discorso e per
rendere i sentimenti. Non ne ha meno necessità per osservare le dinamiche che devono
accompagnare l’espressione; per comporre non solamente la fisionomia, ma anche tutta
l’esteriorità, secondo il rango, l’età e il carattere del personaggio da rappresentare, e per
adeguare i toni e le azioni alla situazione in cui si trova. L’esprit è dunque necessario
all’attore quanto il pilota lo è al vascello. È l’esprit che tiene il governo; è lui a dirigere le
manovre e ad indicare e calcolare la rotta62.

Per Sainte-Albine, l’attore, tanto nella commedia quanto nella tragedia, non
può contare solamente su doti naturali. Deve invece esercitarsi e riflettere sugli
esercizi compiuti, sul modo di condurre una tirata e di respirare, sul ritmo da dare al
dialogo, sui gesti per esprimere meglio l’interiorità del personaggio, sulla maniera di
graduare il sentimento, ecc. Per fare questo l’attore deve saper condurre un lavoro di
analisi e scavo sull’intensità, le sfumature e l’espressione dei sentimenti, legandoli al
carattere, alla natura, all’età e all’educazione del personaggio dipinti dal dramma,
perché «la collera d’Achille non è la stessa di Cremete, e il dolore d’Ariane è diverso
da quello di una borghese che piange l’infedeltà dell’amante»63.
Anche in L’art théâtral di Isidore Samson, uno dei più famosi insegnanti
della scuola nell’Ottocento, è affrontato il tema del rapporto fra doti naturali e
formazione del comédien. Il suo intervento è molto più deciso di quelli di Préville e
Molé nell’attribuire un ruolo prioritario all’educazione. Scrive Samson:
62
«L’acteur a besoin également de finesse et de précision pour faire valoir les discours et pour rendre
les sentimens. Il n’en a pas moins besoin pour observer les convenances qui doivent accompagner
l’expréssion; pour composer non seulement sa physionomie, mais encore tout son extérieur, selon le
rang, l’âge et le caractère de la personne qu’il représente, et pour mesurer ses tons et son action à la
situation dans laquelle il est place. L’esprit est donc aussi nécessaire au comédien que le pilote l’est à
un vaisseau. C’est l’esprit qui tient le gouvernail; c’est lui qui dirige la manœuvre et qui indique et
calcule la route». RÉMOND DE SAINTE-ALBINE, Le comédien, cit., p. 113.
63
Ivi, pp. 192-193.
41
Occorre con amore istruire la giovinezza,
Reprimerne l’orgoglio, rimproverarne la pigrizia.
Utilizzare di volta in volta il freno e lo sperone,
Trattenere l’imprudente, stimolare i paurosi,
Correggere la natura e domare l’abitudine.
L’arte dell’attore esige un lungo studio.
Compatisco chi viene, d’imprudente tentativo,
Domandando all’ispirazione il successo,
E, ben persuasi che alla sola richiesta
Il talento discenderà dal cielo alla sua testa,
Sprezzante delle lezioni, del lavoro e dell’arte64.

L’arte dell’attore, per un maestro come Samson, non si improvvisa, ma


richiede una preparazione che permetta all’interprete di far fruttare il naturale talento.
In versi accalorati l’attore francese esorta allo studio della grammatica, della
prosodia, della storia e della poesia. Il giusto tono e i gesti corretti per rendere i
discorsi sublimi dei poeti verranno indicati all’allievo dal maestro e dagli antichi
esempi, ed egli dovrà studiare e provare senza sosta. Ciò che la folla vedrà alla fine
come ispirazione divina sarà invece frutto di un lungo lavoro65.

La preparazione attorica al Conservatoire: dalla scuola al


palcoscenico

La prima scuola istituzionalizzata in Francia di cui abbiamo conoscenza certa


è il Conservatoire, la cui importanza e originalità risiede anche nella natura statale,

64
«Il faut avec amour instruire la jeunesse, / Réprimer son orgueil, gourmander sa paresse. / Employer
tour à tour le frein et l’éperon, / Retenir l’imprudent, exciter le poltron, / Réformer la nature et
dompter l’habitude. / L’art du comédien veut une longue étude. / Je plains celui qui vient, en
d’imprudents essais, / À l’inspiration demander ses succès, / Et, bien persuadé qu’à sa seule requête /
Le talent va du ciel descendre sur sa tête, / Dédaigneux des leçons, du travail et de l’art». ISIDORE
SAMSON, L’art théâtral, Paris, Dorbon-Ainé, 1912, pp. 9-10.
65
Ivi.
42
pubblica e gratuita. Lo storico Conservatoire parigino nasce come École royale de
chant nel 1784 e, nonostante il corso di déclamation tenuto da Molé, si rivolge ad
“attori” destinati all’opera lirica66. Solo successivamente, nel 1786, nasce l’École
royale dramatique, una delle prime istituzioni francesi impegnate nella formazione
dell’attore. A fare richiesta al re di una scuola di declamazione è il duca di Duras,
preoccupato che gli attori, a causa della diffusione di generi popolari di bassa qualità,
dell’allentamento del legame con la tradizione drammaturgica e della mancanza di
confronto con i modelli offerti dai grandi attori tragici e comici del passato, finiscano
per scoraggiarsi e perdere talento.
Sebbene il duca si faccia in qualche modo portavoce della richiesta, il
desiderio di una preparazione intellettuale e tecnica più seria, secondo gli studi di
Martine de Rougemont, viene dall’esigenza crescente di riconoscimento sociale di
alcuni comédiens. A dimostrarlo l’appoggio pratico di alcuni attori famosi della
Comédie-Française al progetto dell’École proposto dal duca. Inoltre, prima della
nascita dell’École, nella seconda metà del XVIII secolo, Préville, dopo aver
inutilmente presentato assieme a Lekain e Bellecourt un progetto bocciato dai
Gentilhommes de la Chambre, tenta per alcuni anni un’esperienza, sovvenzionata
dallo Stato, con alcuni giovani attori. Anche se deve però chiudere a causa del
disequilibrio fra spese sostenute e risultati prodotti67.
Anche l’École dramatique, pochi anni dopo l’inaugurazione, chiude. La
cessazione della scuola è ordinata ufficialmente da Luigi XVI il 20 dicembre 1789,
pare a causa dell’impossibilità di continuare a sostenerne i costi68.
La nascita del Conservatoire, che nel 1795 va a sostituire l’École du chant et
de déclamation (che non ha modificato il nome dopo l’arresto dei corsi drammatici),
non fa riferimento all’insegnamento della declamazione, che ritroviamo solo in un
decreto del 3 marzo 1806. Sembra pertanto che dalla chiusura dell’École dramatique
ai primi anni del 1800 nessun corso per aspiranti attori si impartisse all’interno della
scuola di musica. Nel documento del 1806, voluto da Napoleone, si legge: «Tre

66
Cfr. CONSERVATOIRE, in particolare il capitolo L’École royale de chant et de déclamation, pp. 1-61.
67
Per la descrizione sommaria di questo e degli altri progetti, cfr. MARTINE DE ROUGEMONT, La
vie théâtrale en France au XVIIIe siècle, cit., p. 197.
68
Lettre du 20 décembre 1789 ordonnant la fermeture de l’École, in CONSERVATOIRE, p. 70.
43
classi di declamazione saranno aggiunte a quelle già esistenti all’interno del
Conservatoire. Due di queste classi saranno destinate all’insegnamento della
declamazione applicabile alla scena lirica; le altre due saranno affidate
all’insegnamento della declamazione drammatica». Inoltre: «Sarà istituito un fondo
particolare […] per costruire, dentro la principale sala del Conservatoire, un teatro
atto all’esecuzione degli esercizi drammatici»69.
La prima enunciazione del documento fa pensare che esistano ancora, dopo il
1785 e prima del 1806, nonostante la chiusura dell’École dramatique, delle classi di
declamazione. Però, esaminando gli elenchi del personale insegnante e dei relativi
corsi del Conservatoire di musica, rileviamo che nell’arco di tempo additato non
esistono insegnamenti di déclamation dramatique, che iniziano a comparire invece
negli elenchi del 180870. Questo aspetto e l’analisi di altri dati ci consente di
confermare la tesi che dall’anno di chiusura al decreto del 1806 non siano presenti
insegnamenti per attori.
Facciamo riferimento innanzitutto ai registri con le date di impiego di
professori e collaboratori per i corsi destinati al teatro. Le date di assunzione non
precedono mai il 1807 e nei due casi in cui succede è sufficiente andare a controllare
nelle liste degli insegnamenti degli anni precedenti per notare che questi professori
erano inizialmente impegnati in corsi destinati agli allievi di musica. Dugazon è
professore all’École dal 1798 al 1809, ma negli anni che precedono il 1808 si occupa
di declamazione lirica o canto declamato, e Lafon, sebbene la data di assunzione
riportata sia 1805, diviene professore di declamazione drammatica nel 1807: nei due
anni precedenti era impiegato come répétiteur per gli allievi della scuola di musica.

69
«Trois classes de déclamation seront ajoutées à celles déjà existantes dans le Conservatoire. Deux
de ces classes seront affectées à l’enseignement de la déclamation applicable à la scène lyrique; les
deux autres seront affectées à l’enseignement de la déclamation dramatique». «Il sera fait un fonds
particulier […] pour l’établissement, dans la principale salle du Conservatoire, d’un théâtre propre à
l’exécution des exercices dramatiques». Décret du 3 mars 1806 sur l’établissemment d’un
pensionnatet d’une École de déclamation au Conservatoire, in CONSERVATOIRE, p 163.
70
Non siamo in possesso delle liste inerenti gli anni 1806 e 1807, ma non è influente a rilevare se
esistono corsi prima del 1806. Cfr. Personnel administratif et enseignant 1795-1900, in
CONSERVATOIRE, pp. 407-459.
44
In secondo luogo, a consolidare la tesi, viene l’esame delle esibizioni
pubbliche degli allievi: la prima - indicata come exercice dell’École de déclamation -
porta la data del 19 maggio 180871.
Comprovato che prima del 1806 i corsi di declamazione sembrano totalmente
inesistenti, rimane da capire a cosa si riferisca il decreto napoleonico.
Presumibilmente le classi già esistenti di cui si fa menzione sono quelle di
declamazione lirica tenute, nel 1805, da Dugazon e Guichard. A queste il
provvedimento aggiunge tre classi di déclamation dramatique, presumibilmente
tenute da Monvel, Lanzicourt e Lafon72. Tuttavia, i dati a disposizione non
consentono di comprendere perché il decreto distingua due classi di declamazione
lirica e due di declamazione drammatica, considerando che dalla lista degli
insegnanti e dei relativi corsi del 1808 si rileva che, mentre a Guichard rimane la
formazione per la déclamation lyrique, Dugazon prende, assieme a Monvel,
Lanzicourt e Lafon, le classi di declamazione drammatica, che a questo punto
sarebbero quattro e non tre. Non si possono che ipotizzare dei cambiamenti
intervenuti durante i primi anni, in cui scelte pratiche vanno a contrapporsi a
regolamenti iniziali.
Il regolamento del 14 ottobre 1808, pur presentando qualche differenza
rispetto alle disposizioni generali dello stesso anno - e sollevando pertanto ulteriori
dubbi73 - ripropone l’ipotesi che le classi di declamazione lirica siano affidate non

71
Exercices des élèves (concerts et représentations). Notice Historique. Programmes, in
CONSERVATOIRE, pp. 461-510. La notizia della prima esibizione è a p. 486.
72
I nomi dei tre professori si ricavano dal registro degli insegnamenti del 1808. Una circolare del
1806 e le disposizioni generali del 1808 indicano invece come professori Monvel, Dugazon, Fleury,
Dazincourt, Talma e Lafon. Circulaire relative au reclutement des élèves pour le pensionnat, in
CONSERVATOIRE, pp. 163-164 e Dispositions générales du 8 janvier 1808 de l’organisation du
Conservatoire, in CONSERVATOIRE, pp. 165-168.
73
Come già segnalato, le disposizione generali nominano Dugazon, Dazincourt, Lafond e Monvel
come professori, Talma e Fleury come membri onorari. Nel regolamento, invece, di Monvel e
Dugazon non c’è più traccia, mentre vengono segnalati, assieme agli altri due che rimangono, Talma,
Baptiste, Grandménil (o Grandmesnil) e Saint-Prix. Poiché le disposizioni datano 8 gennaio e il
regolamento 14 ottobre si presume che le differenze siano relative a scelte diverse intervenute nel
corso del tempo.
45
alla scuola di musica, ma all’École dramatique, che fa comunque parte del
Conservatoire. Così si legge: «Il Conservatoire imperiale è stabilito per la
conservazione e la diffusione della musica e della declamazione in tutte le loro parti.
Lo stabilimento comprende due scuole speciali, una di musica, l’altra di
declamazione. Nelle classi della prima, sono insegnate tutte le parti dell’arte
musicale; in quelle della seconda, si insegna la declamazione speciale, tragica e
comica, la declamazione degli stessi generi applicati alla scena lirica e la
declamazione oratoria»74. In effetti lo stesso documento indica come professore in
servizio Baptiste, che la lista dei professori e dei relativi corsi del 1810 conferma
come insegnante all’École dramatique, ma con l’insegnamento di declamazione
lirica.
Le incongruenze esistenti tra i vari documenti a disposizione e la mancanza di
ulteriori informazioni non consentono per ora di risolvere tutti i dubbi che possono
sorgere rispetto ad un tema tanto vasto75.
Dato certo è che il Conservatoire, nuovamente École royale de musique nel
1815, prevede al suo interno, a partire dal primo decennio del 1800, un’École de
déclamation. Il 3 settembre del 1831, però, la scuola, che nel 1822 aveva radunato i
suoi corsi sotto il nome di École de déclamation spéciale, viene soppressa 76. Non se
ne conoscono i motivi, ma già alcuni decreti precedenti erano intervenuti con
l’intento di riorganizzarla e - come recita la legge - di «far cessare gli abusi che si

74
«Le Conservatoire impérial est établi pour la conservation et la propagation de la musique et de la
déclamation dans toutes leurs parties. Cet établissement comprend deux Écoles speciales, l’une de
Musique, l’autre de Déclamation. Dans les classes de la première, toutes les parties de l’art musical
sont enseignées; dans celles de la seconde, on enseigne la déclamation spéciale, tragique et comique,
la déclamation des mêmes genres appliquée a la scène lyrique et la déclamation oratoire». Règlement
du 14 octobre 1808. Conservatoire impérial de musique et de déclamation, , in CONSERVATOIRE, pp.
237-245. Citazione a p. 237.
75
È fra l’altro d’obbligo tenere in considerazione, nell’analisi dei documenti, che se da una parte
regolamenti e decreti richiedono tempi di organizzazione per essere attuati, e sono dunque passibili di
modifiche non formalizzate, dall’altra, i registri del personale e dei corsi sono stati presumibilmente
ricostruiti e possono quindi presentare degli errori.
76
Arrêté du 3 septembre 1831 portant suppression des classes, in CONSERVATOIRE, pp. 316-317.
46
sono introdotti e di renderla, tramite i suoi risultati, utile ai théâtres royaux e
vantaggiosa all’arte e agli allievi»77.
Pochi anni dopo, all’inizio dell’anno 1836, due classi di studi drammatici
vengono ripristinate. Una nota del ministero ne decreta la riapertura considerando
che «la soppressione delle classi di declamazione al Conservatoire di musica è
oggetto di reclami numerosi e fondati; che le opere dei nostri grandi maestri
rischiano di restare senza interpreti, e che, già troppo raramente rappresentate,
finiranno forse per essere interamente abbandonate; che queste opere sono per la
maggior parte scomparse dai repertori della provincia; che è dunque importante
formare allievi capaci di assistere il piccolo numero di artisti che rappresentano
ancora i nostri capolavori e di rimpiazzare questi artisti quando essi lasceranno la
scena»78.
L’ultimo documento raccolto da Constant Pierre riguardo all’École de
déclamation, data 5 maggio 1896. Il decreto non introduce variabili significative alla
storia della scuola e delibera più che altro in materia di organizzazione interna (corpo
insegnanti, comitato d’insegnamento, giuria d’ammissione, giuria dei concorsi, ecc.).
Da altre fonti risulta che un decreto del 1935 classifica il Conservatoire
national de musique et d’art dramatique come Établissement d’enseignement
supérieur des Beaux-Arts. Poco più di un anno dopo il Conservatoire viene diviso in
due istituzioni distinte: da una parte il Conservatoire National de musique, dall’altra
quello d’art dramatique. L’ultimo decreto attualmente in vigore, stabilisce, nel 1971,
che la scuola sia designata come Conservatoire National Supérieur d’Art

77
«Faire cesser les abus qui s’y sont introduits et de la rendre, par ses résultats, utile aux théâtres
royaux et avantageuse à l’art et aux élèves». Arrêté du 29 décembre 1824. Organisation de l’École de
déclamation spéciale, , in CONSERVATOIRE, pp. 312-314. Citazione a p. 312.
78
«La suppression des classes de déclamation au Conservatoire de musique a été l’objet de
réclamations nombreuses et fondées; que les ouvrages de nos grands maîtres sont menacés de
manquer d’interprètes, et que, déjà trop rarement représentés, ils finiraient peut-être par être
abandonnés entièrement; que ces ouvrages ont, pour la plupart, disparu des répertoires de la province;
qu’il importe donc de former des élèves capables de seconder le petit nombre d’artistes qui
représentent encore nos chefs-d’oeuvre et de remplacer ces artistes quand ils quitteront la scène».
Arrêté du 20 janvier 1836 portant création de deux classes d’études dramatiques, , in
CONSERVATOIRE, p. 317.
47
Dramatique, nome con il quale è attualmente conosciuta. Essa rientra fra gli istituti di
insegnamento pubblico le cui spese sono a carico dello Stato79.
Cerchiamo ora di riportare in sintesi alcune informazioni relative
all’organizzazione della scuola d’arte drammatica, seguendone gli sviluppi intercorsi
durante gli anni.

INSEGNAMENTI E PROFESSORI

Il regolamento del 1786 designa, come professori di déclamation, grandi


nomi della Comédie-Française: Molé, Dugazon e Fleury80, e gli allievi prendono
lezioni da tutti e tre gli insegnanti. Il progetto di Molé prevede anche un maestro di
danza, uno d’armi (Donadieu) e un corso da affidare a Parizot sui principi della
poesia francese e della prosodia; lo stesso è incaricato di seguire gli allievi durante le
prove per la preparazione degli spettacoli della scuola. Tuttavia, di Donadieu e di
Parizot e di questi possibili insegnamenti non si trova più traccia né nel regolamento,
né nella lista del personale dell’École apparsa in «Les Spectacle de Paris» nel 1788 e
178981. In quest’ultimo trafiletto, raccolto anch’esso da Constant Pierre, troviamo
invece come insegnante di lingua francese Delaporte, Marchand come «maître de
danse pour les formes théâtrales», un corso di mitologia, storia e geografia tenuto da

79
Cfr. il sito ufficiale del Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique (CNSAD), all’indirizzo
www.cnsad.fr.
80
In realtà il progetto di Molé prevede solo se stesso e Préville come insegnanti di declamazione. Di
quest’ultimo non se ne ha poi più traccia nei documenti ufficiali. Secondo quanto sostenuto da
Martine de Rougemont e da Jean Valmy-Baysse egli si ritira dal progetto e rifiuta la classe che gli era
stata assegnata. Del resto, il 1 aprile del 1786 Préville lascia la scena e si ritira. Cfr. MARTINE DE
ROUGEMONT, La vie théâtrale en France au XVIIIe siècle, cit., p. 198 e JEAN VALMY-BAYSSE,
Naissance et vie de la Comédie-Française, Paris, Floury, 1945, p. 176. Per quanto riguarda le
informazioni relative all’organizzazione della prima École dramatique, Constant Pierre fornisce due
documenti di cui ci serviamo: si tratta, da una parte, dei primi progetti di Molé sull’istituto e,
dall’altra, del regolamento del 1786, presumibilmente quello approvato. MOLÉ, Idées jettées au
hazard sur l’établissement de l’École, in CONSERVATOIRE, pp. 62-64 e Règlement de l’École, 24 mai
1786, in CONSERVATOIRE, pp. 64-65.
81
CONSERVATOIRE, p. 64.
48
Des Essarts e Marsy «en scène avec les élèves»82. Nel regolamento del 1786 non si
parla di questi insegnamenti e Delaporte, segretario della Comédie-Française, è
invece indicato come répétiteur, che ogni giorno di lezione, a partire dalle dieci, è
incaricato di aiutare gli allievi nella preparazione delle parti loro assegnate, sulle
quali i maestri daranno successivamente consigli.
Molé fornisce alcune indicazioni rispetto alla conduzione dell’insegnamento:
si affiderà agli allievi lo studio di diverse pièces e di esse ognuno apprenderà la parte
legata al proprio ruolo:

Daremo diverse pièces da studiare; se ci sono, suppongo, due grandi coquettes, si darà a una
quella del Misantropo, all’altra Madame Orgon nel Tartufo, a una soubrette quella delle
Folies, all’altra Cleanthis, e quando una avrà appreso la coquette del Misantropo e l’altra
Madame Orgon, quando una soubrette avrà rappresentato quella delle Folies e l’altra
Cleanthis, si farà scambiare loro la parte all’interno della stessa pièces; buono per
l’imitazione83.

Almeno due riflessioni si aprono da questa citazione risalente all’anno


178684: da una parte, l’insegnamento tiene evidentemente conto del sistema dei ruoli,
dall’altra, è probabile che non si preveda un lavoro d’insieme, nel senso che ogni
attore prepara individualmente la sua parte. L’ipotesi è suggerita da un’ulteriore
notizia fornita da Molé: «Che dite allora di fissare il tempo durante il quale si

82
Condividiamo l’ipotesi di Martine de Rougemont che questo «en scène avec les élèves» indichi un
aiuto nelle prove date dagli allievi.
83
«Nous donnerons plusieurs pièces à étudier; s’il y a, je suppose, deux grandes coquettes, on donnera
à l’une celle du Misanthrope, à l’autre Mme Orgon dans Tartuffe, à une soubrette celle des Folies, à
l’autre Cleanthis, et quand l’une aura bien répété la coquette du Misanthrope et l’autre Mme Orgon,
quand une soubrette aura joué celle des Folies et l’autre Cleanthis, on les fera troquer de rôle dans les
mêmes pièces; bon pour l’émulation». Idées jettées au hazard […], cit., p. 63.
84
Non possediamo la data esatta del documento, ma se la scuola apre nel 1786 è verosimile che il
progetto di Molé sia datato allo stesso anno o, al massimo, all’anno precedente.
49
ascolterà ognuno? Se si dà una mezz’ora ciascuno saranno cinque a mattina
supponendo due ore e mezza di scuola; gli altri ascolteranno»85.
Secondo le indicazioni di Molé, sarà Parizot a seguire gli allievi nelle
répliques. Egli ritiene tuttavia che sarebbe più utile far svolgere questo lavoro
direttamente agli attori, al fine di abituarli alla lettura e vedere cosa riveli il lavoro
“d’istinto”, quindi come si comportino di fronte ad una parte sconosciuta, senza che
altri suggeriscano loro le intenzioni del personaggio. Non conosciamo i motivi per
cui questa possibilità di lavoro non viene accettata, ma presumiamo che, laddove
possibile, Molé utilizzi questo sistema con i suoi allievi.
Nelle disposizioni generali del 1808 si stabilisce per la prima volta un
comitato d’insegnamento; esso è specifico per l’École de declamation, ma presieduto
dal direttore generale del Conservatoire.
Gli insegnamenti sono condotti con l’obiettivo di formare allievi sia nel
genere tragico che comico (prova che i comédiens français, nonostante la loro
specializzazione, dovevano sapersi districare in entrambi i generi). Il numero delle
classi di declamazione per il 1808 non è specificato ma si presume che siano le tre
precedentemente indicate. Viene inoltre confermata una classe di danse, già prevista
da un decreto dell’agosto 1807, tenuta da Despréaux; all’interno di essa «M.
Déspreaux vi insegna la posizione del corpo, come camminare e muoversi secondo i
diversi caratteri drammatici»86. Vista la precedente descrizione, più che di danse
sembra che Déspreaux si occupi di maintien, corso che gli viene attribuito nelle liste
degli insegnamenti. Dei corsi di cultura generale (lingua francese, mitologia, storia e
geografia) non si fa menzione.
Il ruolo di répétiteurs è spesso affidato ad allievi di livello più avanzato, che
completano così i loro studi.

85
«Que diriez-vous alors de fixer le temps pendant lequel on en entendra un? Si on leur donne une
demi-heure à chacun, ce seroit cinq par matinées en supposant deux heures et demie d’école les autres
écouteront». Ibidem.
86
«M. Déspreaux y enseigne la position du corps, sa marche et ses développements suivant les divers
caractères dramatiques». Dispositions générales du janvier 1808. Organisation du Conservatoire, cit.
p. 166.
50
Da un’analisi dei professori che conducono l’insegnamento nell’anno 1808 si
rileva che essi sono sempre attori della Comédie-Française; e nel caso di Monvel
abbiamo a che fare con un docente che riveste nel contempo, fuori dal Conservatoire,
la doppia funzione di attore e drammaturgo87. Tuttavia, trattandosi di un caso isolato,
non siamo affatto portati a pensare che nell’affidargli l’incarico di professore le sue
competenze drammaturgiche siano state considerate più di quelle attoriche, non
essendoci fra l’altro in quegli anni ancora alcun riferimento allo studio della
drammaturgia francese per le classi di declamazione88.
Un decreto del 1816 attribuisce maggior potere ai singoli professori di
declamazione: sono loro a poter decidere le modalità di conduzione della lezione,
anche se li si incoraggia ad alternare il più possibile gli esercizi degli allievi, in modo
che tutti possano recitare a turno. L’insegnamento di maschi e femmine è
completamente separato89.
Nel 1817 si prevede un aumento del personale insegnante: un quarto
professore di declamazione drammatica e due répétiteurs90.
Nell’anno 1822 un nuovo regolamento dell’École ricorda che gli allievi non
hanno spese se non per i testi necessari allo studio: la loro formazione è un dono del
re. L’insegnamento viene per la prima volta diviso per gradi, nei seguenti modi:
«Terzo Grado: Classe di lingua e versificazione francese, analisi drammatica, storia e
mitologia; tre volte a settimana. Secondo Grado: Classe di ascolto e di declamazione,
tutti i giorni. Primo Grado: Insegnamento e esercizi di declamazione; tutti i giorni.
Classe di maintien du corps; tre volte a settimana»91. L’ipotesi più probabile, in

87
In realtà, ci fa notare M. Étienne, che diversi attori avevano tentato la carriera di autori drammatici,
ma, come per esempio Molé, avevano rinunciato in seguito a debutti poco promettenti.
88
Ibidem.
89
Arrêté du 26 avril 1816, in CONSERVATOIRE, p. 267.
90
Rapport au Ministre de la Maison du Roi sur l’augmentation du personnel ensegnant, 20 novembre
1817, in CONSERVATOIRE, pp. 208-209.
91
«3e Degré: Classe de langue et versification française, analyse dramatique, histoire et mythologie;
trios fois par semaine. 2e Degré: Classe d’audition et de déclamation; tous les jours. 1er Degré:
Enseignement et exercices de déclamation; tous les jours. Classe de maintien du corps; trois fois par
semaine». Règlement de l’École royale de chant et de déclamation, 5 juin 1822, in CONSERVATOIRE,
pp. 245-250. Citazione a p. 246.
51
assenza di spiegazione, è che il grado indichi una progressione nell’insegnamento:
l’allievo inizia con delle lezioni di teoria, per poi passare alla declamazione, prima
osservando, poi esercitandosi attivamente. Esiste anche una sezione di declamazione
lirica, tragica e comica per gli allievi di canto.
Il regolamento del 1841 prevede ventisette insegnamenti, tra cui, per entrambi
i sessi: letture ad alta voce, lingua francese e scrittura, maintien teatrale, studio delle
parti, studi drammatici. Per ognuna di queste spécialités possono essere previste
anche più classi, a seconda del numero degli allievi. Il direttore nomina un répétiteur
fra gli allievi della classe.
Il comitato di studi drammatici è composto dal direttore, da due professori di
declamazione, due autori drammatici e dal commissario del Théâtre Français con il
solo compito di consultazione. Il comitato esamina gli aspiranti, stabilisce le
modalità dei concorsi e gli allievi che vi prendono parte, nonché i vincitori, propone
misure utili all’insegnamento, assiste agli esami, giudica i progressi degli allievi e
dichiara terminato il percorso di studi. I professori, titolari o aggiunti, sono nominati
dagli organi governativi. Quelli aggiunti sono scelti di preferenza fra gli allievi
laureati92.
Il regolamento del 1850 semplifica l’insegnamento, riportando tre classi di
declamazione, un insegnamento di danza e uno di scherma.
Il comitato si compone del direttore, del commissario del Governo, dei
professori delle classi di declamazione e di tre membri esterni all’istituto. Non viene
chiarito di chi possa trattarsi, ma di fatto non si fa riferimento in modo esplicito ad
autori drammatici. È previsto ancora il ruolo di répétiteur93.
Un’ordinanza del 1854 decreta che una parte essenziale dell’insegnamento
deve essere di natura teorica, sicché si inserisce una classe di storia e letteratura
drammatica94. Probabilmente soppresso nel corso tempo, il corso viene istituito

92
Règlement du Conservatoire royal de musique et de déclamation, 9 novembre 1841, in
CONSERVATOIRE, pp. 250-255.
93
Règlement du Conservatoire de musique et de déclamation, 22 novembre 1850, in CONSERVATOIRE,
pp. 255-259.
94
Arrête du 22 décembre 1854 créant une classe d’histoire et de littérature dramatique, in
CONSERVATOIRE, p. 309.
52
nuovamente nel 1871 e comprende «lo studio sommario della storia nei suoi rapporti
con l’arte drammatica. L’analisi dei capolavori del teatro francese e dei teatri
stranieri»95.
Il decreto e il regolamento attuativo del 1878 introducono una significativa
modifica negli insegnamenti: il corso di declamazione drammatica prende la dicitura
di “lettura ad alta voce, dizione e declamazione drammatica”, e conferma il corso di
storia e letteratura drammatica. Sono previste classi di maintien da seguire
obbligatoriamente (divise tra uomini e donne) e una classe di scherma.
Il consiglio d’amministrazione per gli studi drammatici è così composto: il
direttore generale e il vice direttore delle Beaux-Arts, tre autori drammatici membri
dell’Académie Française e scelti dal Ministro, il decano dei professori di
declamazione al Conservatoire, il capo della segreteria della scuola96.
Nel 1890 viene steso un programma d’insegnamento che mette in rilievo la
crescente attenzione nei confronti di una formazione letteraria dell’allievo. Risulta
utile riportare la lettera, pubblicata da Constant Pierre, che il Ministre de l’Instruction
publique et des Beaux-Arts manda, nel 1890, al direttore del Conservatoire.
Ricordando che l’amministrazione pubblica ha sempre riposto fiducia negli
insegnanti della scuola e lasciando loro la facoltà di applicare con gli studenti i
metodi ritenuti più opportuni, tiene ad indicare una direzione di studio:

L’insegnamento musicale e drammatico del Conservatoire deve essere fondato sullo studio
del nostro repertorio classico. Consacrate dal tempo, le opere che lo compongono hanno dato
dimostrazione d’eccellenza e restano al di sopra delle variazioni di gusto; esse offrono un
carattere comune di semplicità, di equilibrio e di misura, che costituiscono le qualità
essenziali dei nostri geni nazionali; esse sono le guide migliori per la formazione e la
direzione primarie dei talenti97.

95
«L’étude sommaire de l’histoire dans ses rapports avec l’art dramatique. L’analyse des chefs-
d’œuvre du theater français et des théâtres étrangers». Proposition de création, 31 août 1871, in
CONSERVATOIRE, p. 310.
96
Trattasi del capo dell’ufficio amministrativo, incaricato di tutto ciò che riguarda la disciplina
interna, il materiale e la contabilità.
97
«L’enseignement musical et dramatique du Conservatoire doit être fondé sur l’étude de notre
répertoire classique. Consacrées par le temps, les œuvres qui le composent ont fait leurs preuves
53
Non vengono dichiarate meno importanti le opere di autori contemporanei,
«ma, prima di accordare loro un posto predominante, bisogna che il tempo abbia
donato loro la sua consacrazione»98. Gli allievi tendono a preferirle perché,
trattandosi di opere molto apprezzate dal pubblico, credono che portino
inevitabilmente più successo, ma è necessario che essi non le considerino superiori al
repertorio classico. Perciò si dispone che ai concorsi l’allievo presenti un numero
limitato di opere moderne, rendendo invece obbligatoria la preparazione su pezzi
antichi, intendendo per «pezzi antichi quelli che sono presi da autori del XVII e
XVIII secolo, e della prima metà del XIX»99.
Nel 1892 viene nominata una commissione con il compito di studiare le
modifiche apportate da vari regolamenti al Conservatoire National de musique et de
déclamation, al fine di decidere sulla sopravvivenza e la gestione dell’insegnamento
drammatico. Ritenuta opportuna la formazione degli allievi destinati al teatro, la
commissione si chiede se convenga tenere separati l’insegnamento di musica e quello
di arte declamatoria, per decretare, infine, che essi sono distinti, ma non separati.
Inoltre, si mantiene il Consiglio superiore d’insegnamento per gli studi drammatici,
che deve comporsi di dodici membri, fra cui professori, autori drammatici e membri
scelti dal ministro (che possono essere autori drammatici, critici o artisti rinomati).
Le classi sono portate a sei, ciascuna con un solo professore e, per permettere
ai giovani di essere meglio seguiti, si fissa il numero di questi a dieci per classe; si
limita a due il numero di uditori per aula.
Gli allievi, oltre alla propria, seguiranno altre due classi, in modo da avere
ogni giorno almeno una lezione.

d’excellence et restent au-dessus des variations du goût; elles offrent un caractère commun de
simplicité, de justesse et de mesure, qui constituent les qualités essentielles de notre génie national;
elles sont les meilleurs guides pour la formation et la direction premières des talents». Programme
d’enseignement et repertoire des classes de chant et de declamation lyrique et dramatique, 25 janvier
1890, in CONSERVATOIRE, pp. 289-290. Citazione alle pp. 289-290.
98
«Mais, avant de leur accorder une place prédominante, il importe que le temps leur ait donné sa
consécration». Ibidem.
99
«Morceaux anciens ceux qui sont empruntés aux auteurs des XVIIe et XVIIIe siècles, et de la
première moitié du XIXe». Ibidem.
54
Ancora una volta, pur lasciando ogni professore libero di condurre
l’insegnamento nella sua classe, si ricorda l’importanza del contatto con le opere
classiche:

All’epoca in cui fu fondato il Conservatoire, ci si preoccupava solamente di formare attori


per il Théâtre-Français, poiché i teatri di genere non esistevano. Oggi questi teatri sono
numerosi. Senza dubbio il Conservatoire è chiamato a fornire loro artisti; senza dubbio,
bisogna che l’insegnamento sia più vario, più abbondante di ciò che è stato; tuttavia, se la
nazione ha creato un Conservatoire di declamazione, è perché gli allievi vi ricevano una
educazione fondamentale e classica, indispensabile per fortificare e regolare il talento di
coloro che hanno manifestato felici attitudini. La declamazione, per impiegare un’espressione
poco giusta ma condivisa, è un’arte che si raggiunge solo attraverso un lavoro metodico e
ostinato, e soprattutto tramite lo studio del repertorio antico. In questo consiste l’utilità
dell’insegnamento classico al Conservatoire, e gli attori e le attrici che hanno approfittato di
questo insegnamento si riconoscono sempre in seguito, a qualsiasi teatro appartengano 100.

Si ritiene inoltre che «la lettura ad alta voce e la dizione siano la base
dell’insegnamento declamatorio. La dizione deve comportare un insegnamento
tecnico preparatorio, corrispondente a quello del solfeggio per il canto. Ma
apprendere a camminare, a saltare, a gesticolare, fa anch’esso parte della grammatica

100
«À l’époque où fut fondé le Conservatoire, on devait se préoccuper seulement de faire des
comédiens pour le Théâtre-Français, puisque les théâtres de genre n’existaient pas. Aujourd’hui ces
théâtres sont nombreux. Sans doute le Conservatoire est appelé à leur fournir des artistes; sans doute,
il faut que l’enseignement soit plus varié, plus abondant qu’il n’était autrefois; cependant, puisque la
nation a créé un Conservatoire de déclamation, c’est pour que les élèves y reçoivent une éducation
première et classique, indispensable pour fortifier et régler le talent de ceux qui auront manifesté
d’heureuses aptitudes. La déclamation, pour employer une expression peu juste mais consacrée, est un
art qui ne s’acquiert que par un travail méthodique et opiniâtre, et surtout par l’étude du répertoire
ancien. C’est là qu’est l’utilité de l’enseignement classique au Conservatoire, et les comédiens et
comédiennes qui ont profité de cet enseignement se reconnaissent toujours par la suite, à quelque
théâtre qu’ils appartiennent». Rapport au ministre de l’intérieur, par la commission du Conservatoire
national de musique et de déclamation, sur le modifications à introduire dans le régime de cet
établissement, 18 juillet 1848, in CONSERVATOIRE, pp. 353- 369. Citazione alle pp. 389-390.
55
dell’arte dell’attore»101, sicché la classe di maintien diventa anche classe di mimica
teatrale. Si mantengono la classe di scherma e soprattutto l’obbligo di frequentare il
corso di storia e letteratura drammatica. Ovviamente il tema è così vasto che, al di là
delle capacità del singolo professore, non si può pensare che ad uno studio rapido,
ma comunque indispensabile ad offrire stimoli e risorse a cui attingere.
Viene eliminata la figura del répétiteur, i cui consigli sono ora ritenuti
passibili della colpa di fuorviare l’allievo e non essere in accordo con quelli forniti
dall’insegnante. È ritenuta fondamentale infatti l’unità d’insegnamento.
Nel 1894 le classi di declamazione drammatica risultano sei, con dieci allievi
al massimo per classe102.
Un decreto del 1896 istituisce nuovamente la figura dei répétiteurs e per gli
aspiranti attori prevede due insegnamenti: il primo racchiude lettura ad alta voce,
dizione e declamazione drammatica, il secondo storia e letteratura drammatica103. La
presenza, seppur talvolta discontinua, di quest’ultimo corso, almeno a partire dalla
seconda metà del 1800, è indice dell’apertura del Conservatoire verso la necessità di
una cultura generale per l’attore, a sostegno delle competenze tecniche.

CRITERI DI AMMISSIONE ALLA SCUOLA E DISTRIBUZIONE DEGLI ALLIEVI NELLE

CLASSI

Uomini e donne
A partire dal 1808 l’insegnamento di uomini e donne è diviso: essi si possono
incontrare solo in caso di riunioni e negli esercizi pubblici e sempre sotto il controllo
di un professore. Dal 1850 non si prevedono più classi separate.

101
«La lecture à haute voix et la diction sont les bases de l’enseignement de la declamation. La diction
doit comporter un enseignement technique préparatoire, correspondant à celui du solfège pour le
chant. Mais apprendre à marcher, à saluer, à gesticuler, fait aussi partie de la grammaire de l’art du
comédien». Ivi, p. 390.
102
Arrêté du 6 août 1894 portant modifications au règlement du 11 septembre 1878, in
CONSERVATOIRE, pp. 264-265.
103
Décret du 5 mai 1896 portant organisation du Conservatoire national de musique et de
déclamation, in CONSERVATOIRE, pp. 265-267.
56
Requisiti
L’analisi dei vari documenti a disposizione permette di rilevare che
l’ammissione alla scuola non prevede mai particolari pre-requisti; a variare è più
spesso l’età degli allievi, comunque sempre molto giovani. Il primo regolamento
della scuola, risalente al 1786, fissa il numero degli allievi a dodici e pone come
unica clausola non avere meno di quattordici anni: questo induce a pensare che
chiunque possa essere ammesso alla scuola. Leggiamo all’art. 15 dello stesso
regolamento: «I signori professori hanno l’onore di proporre attualmente i soggetti
qui nominati»104. Segue la lista dei giovani ammessi alla scuola, ma non si fa
menzione di esami d’ammissione. Probabilmente l’ingresso si basa sul giudizio
personale del professore che presenta l’aspirante attore.
Nel 1808 il nuovo regolamento istituisce un comitato d’insegnamento con il
compito di esaminare il candidato e di decidere per l’ingresso o meno alla scuola. A
questo punto viene meno l’arbitrio dei singoli professori, chiamati a confrontarsi con
gli altri. Si fissa, rispetto al periodo precedente, non solo un’età minima ma anche
massima, precisamente: dai quindici ai venticinque anni per gli uomini, dai
quattordici ai ventuno per le donne. Gli aspiranti devono saper leggere e scrivere e
conoscere i principi della lingua francese. Inoltre tutti devono possedere una buona
costituzione fisica, necessaria al genere di studi che intendono seguire.105.

104
Non ci sono riferimenti precisi alla nazionalità dello studente. All’art. 6 del regolamento si trova
una frase ambigua, sulla quale ci siamo soffermati: «Les sieurs professeurs n’amèneront ancun
étranger à la chose» non fa comprendere se l’ammissione sia interdetta agli stranieri o agli estranei
all’istituto. Consideriamo poi l’articolo successivo: «Les parents ou conducteurs des élèves resteront
dans le foyer pendant les leçon». Queste indicazioni porterebbero a considerare gli artt. 6 e 7 come
legati: l’articolo appena citato sarebbe una specificazione dell’articolo precedente, se si considera
étranger come estraneo. Tenendo poi conto che anche nei regolamenti successivi torna di frequente la
tutela degli spazi della scuola, che devono essere interdetti ai non autorizzati, siamo propensi a
ritenere che non vi sia ancora alcuna indicazione circa la nazionalità degli iscritti. Cfr. Règlement du
l’École, 24 mai 1786, cit., p. 64.
105
Règlement du Conservatoire impérial de musique et de déclamation, 14 octobre 1808, cit. I vari
documenti esaminati forniscono indicazioni contrastanti sulla distribuzione di uomini e donne
all’interno delle classi, che possono essere così chiarite: le disposizioni generali e il primo
regolamento sono datati gennaio 1808 e in entrambi troviamo che maschi e femmine sono riuniti
57
Non si riscontra nessun cambiamento significativo nel regolamento del 1822
per quanto concerne i pre-requisiti obbligatori: agli aspiranti attori si richiede
un’alfabetizzazione di base e conoscenze letterarie, senza altre specificazioni.
Nel 1841 l’età minima degli allievi viene abbassata a dieci anni e nel 1850 a
nove, quella massima a ventidue. In caso di età maggiore si può essere ammessi solo
quando particolarmente dotati e con la promessa di terminare il percorso di studi
entro un biennio. L’età viene nuovamente elevata e differenziata fra uomini e donne
a partire dal 1878: non si accettano più allievi al di sotto dei quattordici anni per le
donne e dei sedici per gli uomini, né al di sopra dei venti per le prime e dei
ventiquattro per i secondi.

Ammissione provvisoria o definitiva, ruolo degli uditori


Nel 1786 l’introduzione alla scuola è provvisoria: i giovani, una volta
ammessi, sono sottoposti ad un periodo di valutazione di tre mesi prima di essere
iscritti nel registro degli allievi. Il giudizio, presumibilmente rilasciato dall’insieme
dei professori, terrà conto dell’attitudine del soggetto alla recitazione.
Nel 1808 l’ammissione è diretta, mentre ritorna provvisoria nel 1822 con
alcune modifiche rispetto al primo regolamento della scuola: l’allievo,
temporaneamente accettato (aspirant), esprime per iscritto la classe nella quale
vorrebbe essere inserito. Una lista degli aspiranti viene così proposta ai professori
delle varie classi che scelgono se ammettere l’allievo sulla base delle sue possibilità,
cioè in considerazione del suo «grado di educazione in rapporto al genere della classe
in cui domanda di essere inserito»106. Gli aspiranti sono ammessi inizialmente come
uditori (figura non prevista nei regolamenti precedenti) e non sono considerati allievi
fino al superamento di un esame d’ingresso in cui si riconoscano loro delle capacità e
quindi la possibilità di essere accettati in modo definitivo.

all’interno della stessa classe; diverso il regolamento del 14 ottobre che li distribuisce su classi
diverse. Considerate le date sembra corretto ritenere che sia semplicemente intervenuta una diversa
scelta.
106
Ibidem.
58
Il ruolo di uditori può essere attribuito anche ad élèves en exercice, quando il
professore, al fine di sviluppare le doti di allievi particolarmente avanzati, decida di
dedicarsi per un periodo solo al lavoro con loro.
Nel 1841 non si chiarisce se l’ammissione sia definitiva o provvisoria, ma
siamo portati a pensare che essa sia definitiva, almeno sino al 1892, in cui si
specifica che l’ingresso alla scuola è provvisorio sino al superamento dell’esame
semestrale. Non se ne dà più notizia per gli anni successivi.

Distribuzione nelle classi


Secondo il regolamento del 1876, gli allievi sono obbligati a frequentare tutti
e tre gli insegnamenti di declamazione, ottenendo perciò una formazione
declamatoria abbastanza varia.
Nel 1808, invece, l’allievo è affidato ad una specifica classe, che non può
superare il numero massimo di dodici allievi; la distribuzione nelle classi non segue
particolari criteri, se non quello di ripartire gli studenti in numero uguale. Si può fare
eccezione per gli aspiranti presentati alla commissione da uno dei professori: in
questo caso l’allievo è inserito nella classe dell’insegnante che l’ha accompagnato. Si
devono seguire solo le lezioni della propria classe, non si può essere ammessi alle
altre neppure come uditori. È a partire dal 1850 che gli allievi devono frequentare
nuovamente le lezioni di tutti i professori.
Nel 1892 si fissa il numero di allievi a dieci per classe e si limita a due il
numero di uditori per aula. Nella maggior parte dei casi la distribuzione all’interno
delle classi avviene a discrezione del direttore.

Allievi stranieri
Nel 1841 per la prima volta si parla esplicitamente di allievi stranieri, che
possono essere ammessi al Conservatoire con un’autorizzazione speciale.
Nel 1887 il Ministro della pubblica istruzione, constatando che il numero
degli allievi stranieri va aumentando e che ciò riduce la possibilità di ingresso agli
aspiranti francesi, decide di limitare il numero degli studenti stranieri a due per
classe.

59
FREQUENZA

In alcuni regolamenti si trovano precise indicazioni sulla durata delle lezioni,


che invece mancano in altri. Possiamo comunque rilevare che ogni insegnamento
dura dalle due alle due ore e mezza. Se pensiamo ai casi in cui gli allievi devono
frequentare le lezioni di tutti i professori (nel 1808, per esempio, l’insegnamento è
attivato tutti i giorni eccetto le festività) e teniamo presente che oltre a frequentare
devono presentarsi all’École per il lavoro con i répétiteurs, se ne trae facilmente che
l’impegno richiesto per gli aspiranti attori sia notevole.

VALUTAZIONE

Nel primo regolamento che disciplina la scuola, si stabilisce che i progressi


degli allievi sono valutati una volta al mese, in seguito all’allestimento di una prova
generale. Non viene chiarito chi si occupi della valutazione, presumibilmente tutti e
tre i professori.
Nel 1808, alla riapertura dei corsi di déclamation, la valutazione del giovane
diviene trimestrale. A condurre l’esame è il professore della classe che ascolta
l’allievo sia in un’esecuzione da solo che insieme agli altri, mentre i membri del
comitato prendono singolarmente nota e ne valutano i progressi; in seguito il
direttore riassume queste note in un giudizio complessivo iscritto nel registro.
A partire dal 1822 la frequenza degli esami diviene semestrale, possibile
segno di un maggior rilievo dato alla formazione dell’attore, la cui preparazione si
valuterebbe su tempi più lunghi. L’attenzione viene posta non solo sui progressi, ma
anche sullo zelo e la predisposizione. Nel 1878 viene introdotta la regola che il
professore di una classe non può far parte del Comitato di valutazione della sua
classe o del suo stesso insegnamento.

DISCIPLINA

Sin dal principio la scuola stabilisce numerose regole e rigide punizioni per
chi non le rispetta. Nel 1786 il regolamento prevede l’esclusione per coloro che non
dimostrano precisione e puntualità e che abbiano saltato tre lezioni senza
giustificazione. Sono richiesti disciplina e rispetto: quando gli altri provano, i

60
compagni devono rimanere in rispettoso silenzio e in generale devono esentarsi da
invidie e cattivi propositi.
Nel 1808 le indicazioni in merito al comportamento degli allievi divengono
più precise. Ogni giorno, prima di iniziare, viene fatto l’appello, dopo il quale essi
non possono più essere ammessi in classe. Quattro assenze consecutive non
giustificate vengono punite con la radiazione. Gli allievi possono ottenere un
congedo dal direttore che però non deve superare i tre mesi. Al di là di questo
termine essi saranno nuovamente sottoposti ad esame di ammissione. Sono ritenuti
responsabili di danni apportati personalmente alla struttura e agli strumenti.
Il decreto del 1822 stabilisce che gli allievi debbano arrivare con un certo
anticipo rispetto all’inizio della lezione per prendere posto in classe. Nessun allievo
dovrà trovarsi in giro per i corridoi senza giustificazione durante l’orario delle
lezioni107.
Per quanto riguarda i maestri, già nel progetto steso per l’École Molé auspica
che ci sia unione di intenti tra loro, e che essi siano anche legati da un rapporto di
amicizia e onestà, offrendo così un buon esempio ai giovani allievi108.
Nel 1808 il decreto pone l’insegnante sotto precise regole riguardanti
malattie, permessi e congedi. Egli contrae dei doveri rispetto alla scuola e agli allievi.
Per esempio, firma l’entrata e l’uscita dall’aula e una sua dimenticanza viene segnata
come assenza. L’unico motivo che la giustifica è la malattia, che richiede un
certificato medico e viene testimoniata dalla visita dell’addetto all’amministrazione.
Gli allievi hanno il diritto di recuperare le lezioni perse. All’inizio di ogni mese, il
direttore manda al ministro di Stato un resoconto delle lezioni tenute da ogni
professore nel mese precedente. Nel 1841 si aggiunge che i professori in caso di
inadempienza vengono sostituiti.
Dettagliate regole sulla disciplina degli allievi e degli insegnanti si ritrovano
in tutti i decreti e i regolamenti successivi.

ESERCITAZIONI PUBBLICHE

107
Règlement de l’École royale de chant et de declamation, 5 juin 1822, cit., p. 246.
108
Idées jettées au hazard […], cit., p. 63.
61
Le esercitazioni compaiono per la prima volta nel regolamento del 1808. Si
tratta di esibizioni pubbliche previste per gli allievi di livello più avanzato, che vi
prenderanno parte con l’obiettivo di esercitarsi nella recitazione del genere prescelto
e di essere formati «all’insieme dell’esecuzione»109. Le esibizioni consistono nella
recitazione di opere (o frammenti di opere) che possono essere tragiche o comiche,
ma sempre appartenenti ad autori francesi.
Nel 1822 si stabilisce che le esercitazioni sono parte essenziale
dell’insegnamento, non meno delle lezioni, e gli allievi, designati dal comitato, non
possono rifiutarsi di prenderne parte110.
Nel regolamento del 1841 si decide che gli esercizi vengano condotti
mensilmente. Tuttavia non troviamo più indicazioni così precise sulla loro frequenza
all’interno delle disposizioni successive, che fra l’altro non introducono alla sezione
particolari modifiche.

CONCORSI PUBBLICI

Il regolamento del 1808 attiva un concorso pubblico annuale in cui vengono


assegnati premi per le tre categorie: declamazione tragica, comica, oratoria. Per
ciascuna delle sezioni non si può ricevere più di un primo premio, due secondi premi,
e due menzioni.
Nel 1841 l’attribuzione dei premi agli studenti meritevoli diviene
formalmente un criterio di promozione o sbarramento. Recita l’art. 44: «Gli allievi
che, dopo due anni e mezzo di studi, non sono stati ammessi a concorrere per i premi,
sono radiati dalla scuola. Cessano ugualmente di far parte del Conservatoire gli
allievi che, avendo concorso tre volte, non hanno ottenuto premi, e coloro che,

109
«À l’ensemble de l’exécution». Règlement du Conservatoire impérial de musique et de
déclamation, 14 octobre 1808, cit. Citazione a p. 238. Probabilmente il riferimento è alla cooperazione
fra gli allievi dentro l’esecuzione dell’esercizio, oppure al fatto che l’attore debba coordinare l’azione
drammatica con altri elementi scenici.
110
Arrète spécial du 13 juin 1822. Question à résoudre par S. E. le ministre, dont la décision
deviendra une loi réglementaire, in CONSERVATOIRE, p. 273.
62
avendo ottenuto un secondo premio, hanno concorso due volte senza successo per il
primo»111. È il comitato a scegliere quali allievi possano partecipare al concorso.
Di poco conto le modifiche apportate dai regolamenti successivi.

DEBUTTO E INGAGGIO

Il primo regolamento pone l’assoluto divieto, per il periodo di permanenza


all’istituto, di recitare nei piccoli teatri, mentre si contempla l’ingaggio nei teatri di
provincia, ma dopo formale consenso dei Gentilshommes de la chambre e dietro
certificato rilasciato dai professori. Non bisogna dimenticare che gli attori sono
formati per essere principalmente reclutati all’interno della Comédie, i cui sociétaires
pongono l’obbligo di essere preparati sia nella tragedia che nella commedia112.
Scrive Molé già nel suo progetto: «intendendo sua Maestà stabilire questa scuola
solo per i suoi teatri reali, le città del suo soggiorno e la provincia»113.
Così come per l’École dramatique precedente, anche nel 1808 il debutto degli
allievi viene regolato: sia che si tratti dei quattro principali teatri parigini sia dei teatri
secondari, sono i professori e il direttore della scuola ad accordare il permesso
all’ingaggio. Per quanto riguarda poi i grandi teatri della capitale, l’articolo 155 del
regolamento precisa: «La domanda di debutto deve essere indirizzata al direttore del
Conservatoire tramite il Direttore o il Commissario del Governo vicino ai grandi

111
«Les Éleves qui, après deux années et demie d’études, n’ont pas été admis à concourir pour les
prix, sont rayés des contrôles. Cessent également de faire partie du Conservatoire des élèves qui, ayant
concouru trois fois, n’ont pas obtenu de prix, et ceux qui, ayant obtenu un second prix, ont concouru
deux fois sans succès pour le premier». Règlement du Conservatoire royal de musique et de
déclamation, 9 novembre 1841, cit., p. 253.
112
Si pensi a questo proposito a Talma, primo allievo dell’École dramatique che abbia debuttato alla
Comédie-Française mentre frequentava ancora la scuola. Il debutto dell’allievo era considerato una
prova, tant’è che non veniva riportato in cartellone né il nome dell’attore, né tantomeno il fatto che
fosse allievo dell’École royale. Tale informazione veniva fornita solo nei cartelloni successivi se
l’esecuzione era andata bene.
113
«Entendant Sa Majesté n’établir cette École que pour ses théâtres royaux, les villes de son séjour et
la province». MOLÉ, Idées jettées au hazard […], cit. Citazione a p. 62.
63
teatri»114. Possono quindi essere i teatri a richiedere uno specifico allievo che sarà
esaminato dal direttore, dal comitato e dai professori del Conservatoire. Il permesso
finale al debutto deve però essere accordato, almeno da un punto di vista formale, dal
Ministro dell’Interno. Addirittura un decreto di un anno seguente impone il divieto ai
direttori dei teatri di richiedere gli allievi senza l’autorizzazione ministeriale115.
Il debutto dell’allievo è considerato una prova, tant’è che nello spettacolo non
viene riportato in cartellone né il nome dell’attore, né tantomeno il fatto che sia
allievo dell’École royale. Tale informazione viene offerta nei cartelloni successivi,
con il titolo Éleve du Conservatoire impérial, solo se l’esecuzione è andata bene. La
data del debutto e la scelta della parte devono essere definite di comune accordo fra
le persone coinvolte.
Il regolamento del 1822 stabilisce che in occasione degli esami semestrali i
professori decidano quali allievi sono pronti al debutto, cioè all’esibizione pubblica,
che prevede solo opere del repertorio francese.
L’ingaggio avviene sempre in seguito al permesso della scuola e segue le
stesse condizioni previste nel regolamento precedente. Una significativa differenza
sembra relativa alla scelta della parte da interpretare: a differenza del precedente
regolamento, quello del 1822 recita: «L’allievo ammesso ai debutti non può
debuttare che nella parte scelta dal professore come più conveniente alle sue
possibilità. Queste parti devono rientrare nelle opere del repertorio del teatro al quale
l’allievo è stato chiamato»116; la scelta deve essere poi sottoposta al comitato
d’amministrazione.
Nelle disposizioni successive le regole relative all’ingaggio non cambiano: è
necessario il permesso del direttore per recitare in un teatro. Addirittura, nel 1855, si
114
«La demande de début doit être adressée au Directeur du Conservatoire par le Directeur ou
Commissaire du Gouvernement près les grands théâtres». Règlement du 14 octobre 1808. École royal
de chant et de déclamation, in CONSERVATOIRE, p. 237-245, citazione a 244 art. 155.
115
L’arrêté du 25 avril 1807 portant règlemet pour les théâtres, rendu en éxecution du décret du 8
juin 1806, estratto, in CONSERVATOIRE, p. 285.
116
«L’élève admis aux débuts ne peut débuter que dans les rôle choisis par les Professeurs comme
étant plus convenable à ses moyens. Ces rôles doivent faire partie des ouvrages qui sont au répertoire
du Théâtre auquel l’Élève est appelé». Règlement du Conservatoire royal de musique et de
déclamation, 5 juin 1822, pp. 245-250. Citazione a p. 250.
64
stabilisce che al termine degli studi, gli allievi debbano rimanere a disposizione del
Ministro di Stato per tre anni, nel caso in cui vengano reclamati a servizio per uno
dei teatri imperiali.
Nel 1892, per la prima volta, viene posto l’accento sul valore pedagogico dei
limiti all’ingaggio, che proteggerebbe l’allievo, non ancora formato, da facili vanità
ed esibizionismi.

DURATA DEGLI STUDI

Non esistono indicazioni riguardanti la durata degli studi. Leggendo le


disposizioni che regolano gli anni successivi al 1786, si può ipotizzare che non sia
fissato un periodo prestabilito ma sia il professore a decidere quando l’allievo è
pronto al debutto. Questo significherebbe un notevole riconoscimento al ruolo
dell’insegnante. La facoltà di selezionare gli allievi nel 1808 passa al comitato, che
può radiare l’alunno per causa d’incapacità117.
A partire dal 1822 si prevede la possibilità che gli allievi, terminati gli studi,
dedichino un anno alla scuola in qualità di répétiteurs, d’accompagnateurs o
exécutants nelle esercitazioni, dando una mano ai più giovani118.
Solo nel 1894, per la prima volta, si stabilisce un termine del periodo di studi,
che viene fissato a tre anni.

BIBLIOTECA

Indice di interesse verso una prima forma di acculturamento dell’attore


drammatico, ma soprattutto segno di prestigio per la Francia, è l’istituzione di una
biblioteca con una sezione dedicata in modo specifico all’arte drammatica. Essa
comprende, nell’anno della sua istituzione, il 1808, cinquemila volumi fra opere
letterarie, poemi tragici, comici e lirici, nonché manoscritti di antichi misteri. Il
contatto dell’attore con le opere persegue l’intento di ristabilire un legame con i
grandi autori e di stimolarne l’emulazione.

117
Règlement du Conservatoire royal de musique et de déclamation, 14 octobre 1808, in
CONSERVATOIRE, pp. 237- 245.
118
Réglement de l’École Royale de Chant et de Déclamation, 5 juin 1822, cit.
65
Lo stabile è aperto al pubblico per alcuni giorni durante la settimana, negli
altri giorni è invece riservato agli allievi del Conservatoire. Sono disciplinati gli
accessi e i prestiti dei volumi.
Il patrimonio librario viene aumentato nel 1850, prevedendo di aggiungere
alla biblioteca una collezione di capolavori drammatici e di opere didattiche sull’arte
drammatica e la declamazione.

PENSIONNAT

La parola pensionnaires indica gli studenti del Conservatoire con vitto e


alloggio a carico della scuola: lo stesso vocabolo è usato per identificare gli attori
della Comédie assunti a tempo determinato, non di rado gli ex allievi del
Conservatoire.
Per gli aspiranti attori della scuola i posti sono previsti a partire dal 1812,
anno in cui Napoleone, per mezzo di un nuovo decreto, istituisce classi di
declamazione speciale indirizzate a diciotto allievi (nove femmine e nove maschi), di
almeno quindici anni, destinati al Théâtre Français119. Il documento non indica se si
tratti di classi aggiuntive rispetto a quelle già esistenti, ma non lo escludiamo:
sebbene non si sia conservato il registro degli insegnamenti per l’anno 1812, quello
del 1815 (il primo a disposizione) indica due classi di declamazione in più rispetto al
1810 e sia Michelot che Saint-Fal sono ingaggiati come professori di déclamation
dramatique a partire dal 1813120.
I vari regolamenti che si succedono ne modificano di volta in volta lo statuto.
Gli allievi vengono inizialmente ammessi su indicazione del Ministro dell’Interno,
negli anni successivi sono valutati da una commissione. Anche i posti a loro riservati
subiscono leggere modifiche nel tempo.
Ogni anno si esaminano i progressi degli allievi e in caso di risultati non
soddisfacenti essi sono sostituiti. Coloro che, dopo un periodo variabile di frequenza

119
Il pensionnat per gli allievi di musica è stato creato invece con il decreto del 1806.
120
Ci sembra di poter dire che questioni logistiche possano far slittare, almeno nella maggior parte dei
casi, l’attuazione della legge all’anno successivo alla sua emanazione. In conseguenza i cambiamenti
portati dal decreto del 1812 sarebbero riscontrabili nell’anno 1813. Naturalmente la suddetta
considerazione, che vale per tutti i casi considerati, deve tener conto anche del mese di emanazione.
66
delle lezioni, sono giudicati capaci possono essere messi alla prova all’interno del
teatro per un anno, con la prospettiva di diventare poi sociétaires. Altrimenti gli
studenti non ancora del tutto pronti potranno essere ingaggiati per un certo tempo
all’Odéon121.
Nel 1892 una commissione incaricata della riorganizzazione dell’École rifiuta
il pensionnat per gli allievi di declamazione ritenendola una spesa inutile, non
determinante ai fini dell’apprendimento.

121
Décret sur la surveillance, l’organisation, l’administration, la comptabilité, la police et la
discipline du Théâtre Français; création de classes de déclamation au Conservatoire. Titolo VIII Des
élèves du Théâtre Française, in CONSERVATOIRE, p. 173.
67
Capitolo secondo

La formazione dell’attore secondo


Copeau: tradizione e innovazione

L’attore fra arte e mestiere

Nel 1921 Jacques Copeau redige un cahier dedicato alla formazione


dell’uomo di teatro e intitolato L’École du Vieux-Colombier. Lo scritto si sviluppa a
partire dalla dialettica fra arte e mestiere ed offre, in modo più compiuto e maturo
che altrove, le motivazioni che spingono il regista ad investire nella formazione
dell’artista.
Già nel 1909 Copeau aveva preso posizione rispetto alla distinzione fra arte e
mestiere, cercando di saldare, come nell’antichità e nel Medioevo, quella che
riteneva un’ingiusta rottura, soprattutto considerato che «da nessun’altra parte più
che a teatro si avverte il funesto malinteso»122 di considerarli due concetti distinti,
addirittura opposti. Egli afferma: «Noi respingiamo la vecchia e vana distinzione, in
un’opera intellettuale, tra ciò che appartiene alla materia e ciò che dipende dallo
spirito, tra la forma e il contenuto. Allo stesso modo, rifiutiamo di concepire una
dissociazione artificiosa tra l’arte e il mestiere»123.

122
«Nulle part mieux qu’au théâtre ce funeste malentendu n’est sensible». JACQUES COPEAU, Le
métier au théâtre, in CRITIQUES, pp. 182-188. Citazione a p. 183.
123
«Nous repoussons la vieille et vaine distinction, dans une œuvre intellectuelle, entre ce qui
appartient à la matière et ce qui dépend de l’esprit, entre la forme et le fond. De même, nous nous
refusons à concevoir une dissociation factice entre l’art et le métier». JACQUES COPEAU, Le métier
au théâtre, cit., p. 185.
68
A questo proposito Copeau introduce una distinzione tra “falso mestiere” e
“vero mestiere”: «In favore del vero mestiere, così intimamente associato all’arte che
non si potrebbe distinguerlo e in mancanza del quale nulla si può esprimere, noi
insorgiamo contro il falso mestiere, quello che solo si esibisce e che non esprime
nulla»124.
Nel tentativo di restituire dignità al concetto di métier egli introduce il
termine di formule. La formula, cioè il falso mestiere, sarebbe la sclerotizzazione
della tecnica in clichés, in forme fisse e banalizzanti. Essa si presenta come l’esatto
contrario del mestiere “vero”; scrive Copeau sulla definizione di formula: «È ciò per
cui tutte le produzioni mediocri si assomigliano: la parodia del mestiere nella sua
decrepitezza. È il sequestro, da parte di anonimi, di una facoltà che, dal momento in
cui essi se ne servono, si muta in procedimento e decade dal campo dell’arte a quello
dell’industria»125.
Il problema non è di natura terminologica, ma concettuale. Disquisire sui
rapporti fra mestiere e arte significa ragionare intorno al ruolo dell’artista e alle
competenze che deve possedere. Proprio su questo riflette Copeau nello scritto del
1921, nel quale, indagando questioni precedentemente affrontate, attribuisce all’arte
la nozione di sapere (savoir) e al mestiere quella di metodo (méthode).
L’attribuzione spartiacque proposta da Copeau (il sapere all’arte e il metodo
al mestiere) non è in realtà così netta: insistendo sulla necessaria complementarietà di
arte e mestiere come due parti di uno stesso processo (quello artistico) non si può
pensare che il regista attribuisca tanto radicalmente all’una e all’altra due
competenze separate. La classificazione gli fa invece gioco per l’approfondimento
della problematica posta.
Egli sostiene che l’artista non può prescindere né dal sapere né dal metodo:
curando una sola di queste componenti egli è senz’altro incompleto e può ottenere

124
«En faveur du vrai métier, si intimement associé à l’art qu’on ne l’en saurait distinguer et faute
duquel rien ne se peut exprimer, nous nous insurgeons contre le faux métier, celui qui s’exhibe seul et
qui n’exprime rien». Ivi, p. 187.
125
«Est ce par quoi toutes les productions médiocres se ressemblent: la parodie du métier en sa
décrépitude. C’est la main-mise, par des anonymes, sur une faculté qui, du moment où ils
l’empruntent, se mue en procédé et tombe du domaine de l’art dans celui de l’industrie». Ivi, p. 186.
69
successo, ma solo soddisfacendo la moda del momento, dunque per un periodo
limitato nel tempo; più precisamente, per Copeau la combinazione dei due elementi
«è la regola del ben pensare che sfocia nella facoltà del ben fare»126. In un altro
passaggio, citando André Vaillant, riporta quanto segue: «Il lavoratore che fa un dato
mestiere non esiste positivamente se non quando la sua formazione si è elevata sino
alla coscienza della teoria»127. Come a dire che il metodo, cioè il saper fare, trae
validità dalla conoscenza teorica. Quando la tecnica riconosce o elabora la teoria
sulla quale si fonda può diventare un sapere riconosciuto e condiviso, trovando
perciò una sua legittimazione. Un processo parallelo avviene per l’artista, che
altrimenti, privo del possesso del sapere che sta alla base del metodo, rimane un
mestierante. Nello specifico del poeta drammatico, Copeau afferma: «Il mestiere
drammatico trae la sua necessità, la sua forma e la sua coesione dall’invenzione
drammatica. […] Laddove la verità dei caratteri e la sincerità languono, la forma
perde tutto il valore svuotandosi di tutto il significato»128.
Copeau lamenta che gli uomini di teatro mancano di formazione tecnica
oppure, se presente, essa rimane superficiale perché non efficacemente integrata con
un sapere generale e teatrale. Così la scarsa considerazione sociale del comédien
sarebbe alimentata da un reale e diffuso stato di bassa cultura: a teatro ovunque ci si
scontra con «l’incultura, l’ignoranza, la leggerezza, la bassezza del carattere e i
fortissimi interessi»129. Secondo Copeau, ciò porta a ritenere che per fare teatro sia
sufficiente un’arbitraria e zoppicante formazione, che nella maggior parte dei casi
avviene direttamente in palcoscenico, alimentata da pretese di successo e banali
vanità.

126
«C’est la règle du bien penser aboutissant à la faculté du bien faire». CVC2, p. 7.
127
«Le travailleur d’un métier n’existe positivement que quand sa formation s’est élevée jusqu’à la
coscience de la théorie». ANDRÉ VAILLANT, Théorie de l’architecture: économie architecturale,
observations, critiques, apprentissage, Paris, Nouvelle Librairie Nationale, 1919. Citato da Copeau in
CVC2, p. 15.
128
«Le métier dramatique ne tire sa nécessité, sa force et sa cohésion que de l’invention dramatique.
[…] Où languissent la vérité des caractères et la sincérité, la forme perd toute valeur en se vidant de
toute signification». JACQUES COPEAU, Le métier au théâtre, cit., p. 187.
129
«l’inculture, à l’ignorance, à la légèreté, à la bassesse du caractère, à de formidables intérêts». Ivi,
p. 183-184.
70
Negli anni Copeau fa più volte esplicito riferimento al Conservatoire, senza
modificare la sua opinione; questa istituzione «può produrre qualche virtuoso, ma
non forma veri servitori del Teatro, provvisti della cultura integrale richiesta dalla
professione»130. Troviamo un passaggio dall’identico significato anche nello scritto
sul teatro popolare:

L’esperienza mi permette di affermare che la cultura teatrale è quella che soprattutto manca
agli attori francesi d’oggi. Non ce n’è all’Accademia né nei teatri di Stato, anche se soltanto
la cultura è capace di preservare dall’istrionismo, di ispirare il rispetto del mestiere, dei
grandi maestri e delle grandi opere131.

Questa situazione, registrata al Conservatoire, ma anche all’interno dei corsi


privati, va affrontata al fine di sopperire alle lacune con una cultura completa per il
comédien.
Già in una conferenza americana del 1917 Copeau si era espresso molto
negativamente sul tipo di formazione offerta dalla più importante scuola drammatica
di Parigi:

Sapete cos’è l’insegnamento ufficiale? L’insegnamento del Conservatoire? Ve lo dico. Entro


i sedici o venti anni un giovane o una giovane si presentano al Conservatoire. Hanno già
rappresentato i grandi premiers rôles nelle messinscene di dilettanti, declamato pezzi di
poesia nelle matinées di beneficenza, circolato nei teatri e sanno già imitare Mounet-Sully e
De Max, Mlle Roques e Mme Réjane. Entrano al Conservatoire. Due o tre volte alla
settimana, due ore di corso tenute da un sociétaire della Comédie-Française. I buoni
professori sono rari. La maggior parte vengono derisi. Cosa possono fare i migliori con due
ore di lezione, due o tre volte alla settimana? L’allievo lavora ad una parte, o piuttosto ad una
scena del suo “ruolo”. Lo si corregge. Trita lo stesso testo. Arriva a dirlo circa come il suo
professore. Trucchi, tics, abitudini, modi di fare. L’allievo recita già. Va in tournée con il
maestro. Fa del cinema. Arriva svogliato alla lezione. Per una danzatrice dell’Opéra c’è la

130
JACQUES COPEAU, Leva teatrale 1934, in «Scenario», n. 1, gennaio 1934, pp. 1-4. Citazione a
p. 4.
131
JACQUES COPEAU, Le Théâtre populaire, Paris, PUF, 1941. Per questo articolo ci si avvale
della traduzione di Gianni Gozzi, in PAOLO PUPPA (a cura di), Il teatro popolare. Eroi e massa,
Bologna, Pàtron, 1979, pp. 107-146. Citazione a p. 127.
71
classe di allenamento. Classe di letteratura per una piccola pedina, amico di un deputato.
[Corsi] facoltativi. Non ci si va. Concorsi. Giuria. Premi. Entrata all’Odéon o alla Comédie-
Française. Debutto nello stesso rôle del concorso. Nessuna prova, nessun lavoro, niente di
nuovo. [Eccolo] il piccolo allievo del Conservatoire. Andamento stereotipato. Assomiglia
alla sua fotografia132.

Per il fondatore del Vieux-Colombier l’attore necessita di preparazione


tecnica di alto livello, da affiancarsi però ad una formazione intellettuale, con
l’obiettivo di evitare inutili virtuosismi che si nascondono dietro una specializzazione
eccessiva fine a se stessa:

Penso che occorra educarli, ma non esclusivamente nella pratica della loro specialità, e
inoltre non per renderne più raffinata la tecnica quanto per uno sviluppo armonioso e
l’acquisizione progressiva di tutte le conoscenze della loro arte, attinte alle fonti più nobili.
Solo una cultura generale restituirà loro le alte qualità umane e la dignità del nome
d’artista133.

132
«Savez-vous ce qu’est l’enseignement officiel? L’enseignement du Conservatoire? Je vais vous le
dire. Entre 16 et 20 ans un jeune homme ou une jeune fille se présente au Conservatoire. Ils ont déjà
joué les grands premiers rôles dans les représentations d’amateurs, déclamé des morceaux de poésie
dans les matinées de bienfaisance, roulé dans les théâtres et ils savent déjà imiter Mounet-Sully et De
Max, Mlle Roques et Mme Réjane. Ils entrent au Conservatoire. 2 ou 3 fois la semaine, 2 heures de
cours par un sociétaire de la Comédie-Française. Bons professeurs rares. La plupart s’en fichent. Que
peuvent faire les meilleurs avec 2 h de leçon 2 ou 3 fois la semaine? L’élève travaille un rôle, ou
plutôt une scène “de son emploi”. On le corrige. Il ressasse le même texte. Il arrive à le dire à peu près
comme son professeur. Trucs, tics, habitudes, façons de faire. L’élève joue déjà. Va en tournée avec
son maître. Fait du cinéma. Arrive vanné à la leçon. Classe de maintien, par une danseuse d’Opéra.
Classe de littérature, par un petit pion, ami d’un député. Facultatifs. On n’y va pas. Consours. Jury.
Prix. Entrée à l’Odéon, ou à la Comédie-Française. Débute dans son rôle de concours. Pas de
répétition, pas de travail ni de renouvellement. Le petit élève du Conservatoire. Allure stéréotypée. Il
ressemble à sa photographie». TROISIÈME CONFÈRENCE, p. 174.
133
«Je pense moi, qu’il les faut éduquer, mais non point exclusivement dans la partique de leur
spécialité, et meme non point tant pour le raffinement de leur technique que pour un développement
harmonieux et l’acquisition progressive de toutes les connaissances de leur art, puisées aux plus
nobles sources. Seule une culture générale leur restituera les hautes qualités humaines et la dignité du
nom d’artiste». CVC2, pp. 14-15.
72
Copeau mette in guardia anche dal rischio contrario: non si tratta solo di
riassegnare piena dignità al concetto di mestiere, ricongiungendolo a quello di arte e
spogliandolo da una connotazione spesso negativa, ma anche di rifondare l’arte
considerando il metodo come parte imprescindibile del suo statuto: «L’arte privata
del mestiere, che le assicura forza e durata, è un fantasma inafferrabile»134; da questa
considerazione trae le riflessioni sulla necessità dell’apprendistato: «La questione
dell’apprendistato si pone oggi dentro tutti i mestieri. Essa è la stessa per noi,
nell’industria del teatro, quanto nelle altre industrie»135.
L’apprendistato, inteso come tempo e spazio strutturati appositamente per
l’apprendimento mediante il “fare”, ponte protetto tra la scuola e il palcoscenico, se
non addirittura parte integrante della scuola, è giudicato indispensabile anche da
Gordon Craig, che nella rivista «The Mask» affronta la questione rilevando che
l’attore, a differenza di altri professionisti, impara e si sperimenta direttamente a
contatto con il pubblico, ingiustamente sottoposto alle critiche altrui quando si trova
ancora in fase di apprendimento136.
Per Copeau il sapere e il metodo non si presentano come componenti innate,
ma devono essere acquisite all’interno di un processo di formazione, più o meno
strutturato, più o meno lungo, più o meno consapevole. Queste considerazioni
rimettono senz’altro in discussione l’idea che l’artista sia solamente un uomo di
genio, o che comunque il talento sia una sua qualità preponderante.

134
«L’art privé du métier, qui lui assure force et durée, c’est un fantôme insaisissable». JACQUES
COPEAU, Le métier au théâtre, cit., p. 185.
135
«Cette question de l’apprentissage elle se pose aujourd’hui dans tous les métiers. Elle est la même
pour nous, dans industrie du théâtre, que dans les autres industries». CVC2, p. 21.
136
«A young painter, or a young musician, a young poet, or a young architect, or a young sculptor
may never enter an Academy during his life, and may have ten years knocking about in the world
learning here, learning there, experimenting and labouring unseen and his experiments unnoticed. The
young actor may not enter an Academy either, and he may also knock about in the world, and he too
may experiment just the same as the others, but...and here is the vast difference... all his experiments
he must make in front of a public. Every little atom of this work from the first day of his commencing
until the last day of his apprenticeship must be seen, and must come under the fire of criticism».
GORDON CRAIG, The artists of the theatre of the future, in «The Mask. The journal of the art of the
theatre», vol. 1, n. 3-4, june 1908, pp. 57-70. Citazione a p. 66.
73
Il fondatore del Vieux-Colombier non disconosce la presenza di uomini
talentosi e non nega l’esistenza di casi in cui l’istinto dell’artista ne abbia condotto
l’opera ad altissimi livelli anche senza passare per una trasmissione formalizzata del
sapere, tuttavia nota che, in questi casi, tali notevoli capacità sono state
probabilmente nutrite da «insegnamenti secolari» e da una «tradizione vivente»137, a
cui l’artista è riuscito ad attingere. Perciò, anche se la formazione non è stata
realizzata all’interno di un’istituzione organizzata (la scuola, l’accademia) e di un
rapporto diretto (maestro–allievo), essa può essere avvenuta tramite apprendimenti
derivanti dall’esperienza, dal confronto, dalle letture, dall’instancabile e vigile
ricerca di modelli, esempi, filosofie e insegnamenti con cui alimentare innate
capacità, che avrebbero altrimenti corso il rischio di rimanere ad uno stato solamente
potenziale.
Il regista francese, dunque, non desidera imbrigliare le oneste capacità di
questi uomini in una formazione pedante e avvilente. Al contrario, «reclamando
meno libertà, più cultura e più formazione professionale per l’uomo di mestiere»,
non si propone «di metterne in penitenza dentro un buio seminario i più bei doni.
Vorrei solamente – precisa l’autore - che essi fossero serviti meglio»138. A chi ritiene
che la vocazione sostituisca l’insegnamento e che al genio non serva una formazione,
Copeau risponde che ciò è possibile, ma è allo stesso tempo probabile che tale
mancanza, compensata autonomamente da alcuni, porti altri a smarrirsi per strada o a
ritardare la propria maturità.
Il concetto è ravvisabile anche in un artista contemporaneo come Max
Reinhardt che, inaugurando a Vienna il Seminario di Recitazione e Regia della
Scuola Superiore di Musica e Arte Drammatica, alla fine del 1928, e sostenendo
come Copeau e come Craig la necessità di una scuola per attori, dichiara:

Non lamentatevi del duro “addestramento all’arte”, della “limitazione della genialità”, della
“repressione delle peculiarità dell’individuo”, della “violazione della natura”, ecc. Queste

137
«Enseignements séculaires, […] tradition vivante». CVC2, p. 7.
138
«En réclamant moins de licence, plus de culture et de formation professionnelles pour l’homme
d’un métier, je ne me propose pas de mettre en pénitence dans un noir séminaire les plus beaux dons
de l’artiste. Je voudrais seulement qu’ils fussent mieux servis». CVC2, p. 8.
74
esecrazioni nascondono spesso soltanto la maledizione della sterilità – una natura sana non è
piagnucolosa. Non le può accadere nulla. Ha la grazia del concepimento e accoglie tutto ciò
che può crescere dentro di lei. Chi teme per la propria essenza, non ne ha alcuna 139.

L’insegnamento, così come lo intende il regista francese, diviene inoltre strumento


indispensabile per ritrovare un’eredità artistica e culturale proveniente dalle creazioni
dei maestri del passato; questi modelli, infatti, generano un confronto e stimolano
produzioni di alto valore estetico solo se compresi. Scrive Jules Romains,
introducendo il corso di tecnica poetica previsto dall’École du Vieux-Colombier e
riportando certamente un pensiero condiviso da Copeau: «Voi contemplate e
invidiate un risultato i cui mezzi vi sono sconosciuti. Siete dunque condannati, nel
vostro lavoro, o a non tenerne conto, oppure a imitare, a simulare»140. Solo il
possesso di adeguati strumenti di lettura rende possibile la penetrazione di un’opera,
permettendo l’accesso al suo senso profondo e fornendo così la spinta al lavoro
dell’artista. Per essere apprezzata nei secoli, un’opera necessita, secondo Copeau, di
ancorarsi ad una tradizione e di essere riallacciata a lontani legami perduti, che la
modernità avrebbe spazzato via in nome del mito della libertà, della naturalezza e
della spontaneità: la naïveté, secondo la definizione di Copeau. Come se le nuove
opere dovessero nascere dal nulla, eliminando il già stato per ricominciare da capo,
senza riferimenti e paragoni.
Per riscoprire il legame con il passato si rende necessario rivedere la diffusa
contrapposizione tra il concetto di formazione e quello di naïveté, o spontaneità,
inteso in questo contesto come «esercizio dell’istinto in libertà»141. Guardando ai
suoi contemporanei, Copeau si stupisce di quanto si esalti una creazione spontanea e

139
MAX REINHARDT, La formazione dell’attore, 1929. Estratti di un discorso tenuto in occasione
dell’inaugurazione del Seminario di Recitazione e Regia della Scuola Superiore, al Teatro di Corte di
Schönbrunn, in MAX REINHARDT, I sogni del mago, a cura di Edda Fuhrich e Gisela Prossnitz,
Milano, Guerini, 1995, pp. 142-144. Citazione a p. 143.
140
«Vous contemplez et vous enviez un résultat dont les moyens se dérobent à vous. Vous êtes donc
condamné ou à n’en pas tenir compte, pour votre propre travail, ou bien à imiter, à simuler». JULES
ROMAINS, Petite introduction à un cours de Techinique poétique, in COPEAU-ROMAINS, pp. 252-257.
Citazione a p. 254.
141
«Exercices de l’instinct en liberté». CVC2, p. 8.
75
libera, e di come in nome della naturalezza, il suo secolo rinunci ad una direzione e
ad una guida, fondamentali invece all’acquisizione di un metodo. Così, in un gioco
solo apparentemente paradossale, l’eccessiva libertà limiterebbe l’artista, perché
«non è sufficiente voler essere sinceri. Bisogna esserne capaci»142. Copeau riprende
nel precedente passaggio un termine chiave all’interno della propria poetica –
sincérité - utilizzato con sfaccettature differenti e che richiama qui ciò che l’artista
possiede «di più spontaneo, di più intimo, di più personale»143.
L’uomo sprovvisto di savoir e méthode, secondo Copeau, non può infondere
sincerità alla propria opera; seppur ricco di doti naturali, egli deve alimentare il suo
sapere e acquisire un metodo per dar vita ad una creazione artistica, pena il loro
avvizzirsi: «Quanti uomini vediamo restare separati dalla loro genialità, bisognosi di
un’educazione propria all’arte che esercitano, bisognosi di un insegnamento adatto
alla loro natura»144.
Fino ad ora ci siamo occupati delle riflessioni di Copeau intorno alla genialità
o al talento, da lui chiarite in risposta alle critiche mossegli da chi contrappone questi
doni alla formazione dell’artista. In realtà il regista non è interessato a doti eccelse e
fuori dal comune. Ritiene senza dubbio che debba esistere un fondo naturale su cui
lavorare, ma più che alla consistenza di tali potenzialità (che sono una dote innata e il
cui possesso non rende merito al possessore) egli guarda al valore della formazione
utile a condurle a maturazione. Il merito sta nel lavoro, nell’abnegazione e nella
disciplina, del maestro e dell’allievo. Scrive Copeau:

Un insegnamento vivente e continuo, ben equilibrato nelle sue parti, se è dato e ricevuto
seriamente, purché si eserciti sufficientemente presto sull’allievo, quand’anche si indirizzi a
capacità mediocri, produrrà risultati che il talento senza guida non può neanche aspettarsi e
renderà possibile realizzazioni artistiche di cui il nostro secolo ha perduto persino la
nozione145.

142
«Il ne suffit pas de vouloir être sincère. Il faut en être capable». CVC2, p. 9.
143
«De plus spontané, de plus intime, de plus personnel». CVC2, p. 8.
144
«Combien d’hommes voyons-nous qui restent séparés de leur propre génie, faute d’une éducation
propre à l’art qu’ils exercent, faute d’un enseignement bien adapté à leur nature». CVC2, p. 9.
145
«Un enseignement vivant et continu, bien proportionné dans ses parties, s’il est sérieusement donné
et reçu, pourvu qu’il s’exerce assez tôt sur l’élève, et même s’il ne s’adresse qu’à des capacités
76
Continua poi così: «Al punto in cui stiamo, non sono lontano dal vedere
nell’educazione, in materia d’arte, un fattore più importante di quello della
vocazione»146.
Già negli anni intorno al ’10, riferendosi al teatro, Copeau scrive con
amarezza che l’uomo ancora speranzoso di trovare nell’opera drammatica
contemporanea e nella sua realizzazione scenica «la vita nella sua espansione; la
realtà nella sua profondità e nel suo movimento: tangibile e segreto, plastico, lirico,
musicale; la verità del mondo, l’angosciante e complessa bellezza vivente del
mondo»147 rimarrà profondamente deluso: «dappertutto fiacchezza, disordine,
indisciplina, ignoranza e stupidità, disprezzo per i creatori, odio per la bellezza»148.
In particolare, Copeau si rivolge all’attore trovando insensato parlare di
vocazione in un’epoca in cui tutti vogliono farsi comédiens, sebbene privi della
benché minima passione, guidati spesso da frivolezza e vanità e abbagliati dall’idea
di un facile successo. Scrive infatti:

Nove volte su dieci, molta frivolezza di spirito, pigrizia e vanità, piacere di costumi facili,
una notevole assenza di formazione, di questo minimo di conoscenze elementari richieste in
tutti gli altri mestieri. Ho visto sufficienti uomini e donne “destinarsi” al teatro da poter dire
che la loro vocazione era più spesso l’indizio delle meno buone inclinazioni della loro
natura149.

moyennes, produira des résultats auxquels le talent sans guide n’atteint pas, et rendra possible des
réalisations artistiques dont notre siècle a perdu même la notion». CVC2, p. 12.
146
«À l’heure où nous sommes, je ne suis pas éloigne de voir dans l’éducation, en matière d’art, un
facteur plus important que celui de la vocation». Ibidem.
147
«La vie dans son expansion; la réalité dans sa profondeur et son mouvement: tangible et secrète,
plastique, lyrique, musicale; la vérité du monde». JACQUES COPEAU, Lieux Communs, in
CRITIQUES, pp. 223-231. Citazione a p. 225.
148
«Partout veulerie, désordre, indiscipline, ignorance et sottise, dédain du créateur, haine de la
beauté». JACQUES COPEAU, Un essai de rénovation dramatique. [...], cit., p. 338.
149
«Neuf fois sur dix, beaucoup de frivolité d’esprit, de paresse et de vanité, le goût des mœurs
faciles, une remarquable absence de formation, de ce minimum de connaissances élémentaires requis
dans tout autre métier. J’ai vu assez d’hommes et de femmes “se destinant” au théâtre pour dire que
77
Le sue parole non sono affatto dissimili da quelle espresse da Diderot nel
Paradoxe due secoli prima:

Che cos’è che spinge a calzare il socco o il coturno? La mancanza di educazione, la miseria e
il libertinaggio. Per loro il teatro è un rifugio, mai una scelta. Mai nessuno si è fatto attore per
amore della virtù, per desiderio di essere utile alla società e di servire il proprio paese o la
propria famiglia, per uno di quegli onesti motivi che potrebbero spingere uno spirito retto, un
cuore ardente, un animo sensibile verso una così bela professione [...]. Se si vedono così
pochi attori, la colpa è dei genitori che non destinano i loro figli alla carriera del teatro; infatti
nessuno vi viene preparato con un’educazione che inizi fin dalla giovinezza [...], spinti al
teatro come lo potrebbero essere verso la carriera militare o forense o ecclesiastica, da una
scelta o da una vocazione e con il consenso dei loro tutori naturali 150.

Diderot vede la possibilità di intervenire sulla qualità dell’ambiente teatrale e


del prodotto artistico mediante la diffusione di un’alta concezione del mestiere
attorico, magari partendo proprio dall’educazione dell’attore. Allo stesso modo
Copeau, che si inserisce però in un quadro novecentesco preciso, in cui il discorso
intorno all’attore e alla posizione che deve assumere nei confronti del testo e
all’interno della rappresentazione si veste di un carattere centrale. Rifiutando l’idea
di “eliminare l’attore” o di sostituirlo con una marionetta, Copeau è più propenso a
vedere per lui una possibilità di soluzione e di riscatto nella formazione.

Una rete di insegnamenti per un piano didattico organico

All’interno dell’École du Vieux-Colombier le varie materie fanno riferimento


ad un programma scolastico stilato sulla base della filosofia e dell’etica di Jacques
Copeau. Egli ritiene che gli insegnamenti impartiti abbiano un senso solo se
emergono da una disciplina condivisa, come scrive nel 1920: «L’insegnamento che

leur vocation n’était le plus souvent que l’indice des moins bons penchants de leur nature». CVC2, p.
13. Sul tema della vocazione cfr. il capitolo terzo della tesi.
150
DENIS DIDEROT, Paradoxe sur le comédien, cit., pp. 117 e 119-120.
78
voglio dare agli allievi non deve arrivare a loro come il punto di incontro di tecniche
diverse»151. Scende più in dettaglio nel cahier sull’École dell’anno seguente:

Non si tratta solamente di informare gli allievi attori, o d’abbellire lo spirito, o di sviluppare
in loro tale o tal’altro virtuosismo possibile. Non si tratta di far fare loro ginnastica o
letteratura, al fine di renderli più agili o più istruiti. L’insegnamento che essi ricevono deve
essere d’essenza drammatica e d’intenzione drammatica, collegato ad una disciplina comune,
subordinato a una comune concezione drammatica 152.

La visione olistica alla base dell’impianto organizzativo scolastico del Vieux-


Colombier porta Copeau a scelte originali. Gli insegnanti devono essere disposti a
perseguire una direttiva unica di lavoro, non solo per evitare di incorrere in
dissidenze interne, ma soprattutto per costruire un metodo di insegnamento
omogeneo e contraddistinto da linee comuni. Perciò, preventiva alle materie
d’insegnamento è la scelta degli insegnanti. Al fine di garantirsi collaboratori fedeli,
Copeau dapprima designa il maestro, poi pensa ad una disciplina adatta alle sue
competenze:

Invece di preparare dall’inizio un elenco delle materie d’insegnamento per domandarci in


seguito quale sarà, per ogni materia, il professore qualificato, abbiamo al contrario
cominciato distinguendo attorno a noi i collaboratori competenti al fine di limitare ai loro
nomi quelli delle materie di insegnamento. Poiché una sola cosa, ai nostri occhi, può essere
feconda: un lavoro ben collegato153.

151
«L’enseignement que je veux donner aux élèves ne doit pas être en eux le point de rencontre de
techniques diverses». JOURNAL 1916-1948, p. 180.
152
«Il ne s’agit pas seulement de renseigner les élèves comédiens, ou d’orner leur esprit, ou de
développer chez eux telle ou telle virtuosité possible. Il ne suffit pas de leur faire faire de la
gymnastique ou de la littérature, afin qu’ils soient plus agiles ou plus instruits. Tout enseignement
qu’ils reçoivent doit être d’essence dramatique et d’intention dramatique, rattaché à une doctrine
commune, subordonné à une commune conception dramatique». CVC2, p. 39.
153
«Au lieu de dresser tout d’abord un tableau des matières de l’enseignement pour nous demander
ensuite quel serait, pour chaque matière, le professeur qualifié, nous avons au contraire commencé par
distinguer autour de nous les collaborateurs compétents afin de limiter à leur nombre celui des
matières d’enseignement. Car une seule chose, à nos yeux, peut être féconde: c’est un travail bien lié».
CVC2, pp. 39-40.
79
La scelta è chiaramente espressione di una priorità data al gruppo, alla
unitarietà e alla condivisione dei fini e delle metodologie rispetto al contenuto della
materia. I professori sono scelti accuratamente per condividere un’etica di lavoro
basata su un rapporto umano prima che professionale, su valori etici prima che
estetici. Secondo la poetica di Copeau, la trasmissione del sapere avviene attraverso
due esseri che sperimentano una fiducia reciproca. Il carattere dell’insegnante
esercita di per sé una disciplina sull’allievo e lo influenza nella formazione della
personalità. Copeau lo nota nel cahier del 1921: «Il contatto di un uomo nato per il
nobile lavoro dell’insegnamento, che ne ha la competenza e la dignità, la fiducia che
ispira e il rispetto che gli si porta, formano i caratteri»154. In questo modo il regista
riconosce alla relazione un potere educativo.
A differenza del Conservatoire, i professori scelti non sono grandi attori,
padroni del palcoscenico e detentori di tecniche declamatorie e di ricette sicure per il
successo, non si tratta di maestri di dizione, drammaturgia o declamazione, come
scrive nel Journal: «Come mi è impossibile, per ottenere le realizzazioni che voglio,
servirmi di attori già formati, così sarà un grave errore, per formarne di nuovi,
chiamare a me per le differenti branche d’insegnamento tecnici già compiuti»155. Per
creare un’équipe solida e affiatata Copeau individua i professori per l’École per lo
più fra collaboratori, amici, attori del Vieux-Colombier, tutte persone che hanno
dimostrato stima e devozione verso di lui e affinità alle sue idee.
L’ottica interdisciplinare è confermata anche dalla sollecitazione costante ad
un lavoro di gruppo. Tutti i maestri devono avere contatti, comunicazioni e scambi
continui perché, nonostante la specializzazione individuale, la crescita presuppone –
secondo Copeau – una condivisione di conoscenze ed esperienze ed una direzione
generale unica. L’unità di insegnamento infatti introduce ad un altro punto
fondamentale: l’unité de direction, rappresentata da un’unica figura competente:

154
«Le contact d’un homme né pour cette noble tâche d’enseigner, qui en a la compétence et la
dignité, la confiance qu’il inspire et le respect qu’on lui porte forment les caractères». CVC2, p. 12.
155
«Autant il m’est impossible, pour obtenir les réalisations que je veux, de me servir de comédiens
déjà formés, autant ce serait une erreur grave, pour en former de nouveaux, d’appeler à moi dans les
différentes branches de l’enseignement des techniciens déjà accomplis». JOURNAL 1916-1948, p. 180.
80
«C’è bisogno della vigilanza senza sosta di un direttore, e la sua presenza reale su
tutti i punti in cui si dimostra necessario. Ecco quello che sino ad oggi è mancato ai
nostri tentativi di una scuola: una personalità che coordini tutti gli sforzi, assicurando
la disciplina»156.
Copeau comprende di non potersene occupare personalmente, preso com’è
dalle faccende legate al teatro, e individua la figura direttiva in Jules Romains, al
quale chiede di accettare, oltre al ruolo di professore, anche l’incarico di direttore
della scuola. Il contratto è stipulato nel settembre 1921 ed ha la durata di un anno. Il
progetto è delicato e richiede presenza e controllo costanti: «Ho bisogno di un uomo
a cui accordare fiducia, con il quale mi sia facile comunicare, uno spirito formato,
una mente solida, una volontà retta e tenace. Trovo tutto ciò in Jules Romains»157.
Allo scrittore francese ricorda però che ogni scelta relativa al programma di
studi, ai collaboratori e al regolamento interno va discussa e concordata insieme. La
verità è che a Romains Copeau lascia la parte esecutiva, assicurandosi il controllo su

156
«Il y faut la vigilance sans relâche d’un directeur, et sa présence réelle sur tous les points où elle est
nécessaire. Voilà, précisément, ce qui, jusqu’à ce jour, avait le plus manqué à notre École dans ses
diverses tentatives: une personnalité coordonnant tous les efforts, en assurant la discipline». CVC2, p.
41.
157
«Il me fallait un homme en qui je pusse mettre ma confiance, avec lequel il me fut aisé de
communiquer, un esprit bien fait, une tête solide, une volonté droite et résistante. Je trouve
aujourd’hui tout cela en Jules Romains». CVC2, pp. 41-42. I due uomini si conoscono dal 1913 e
nonostante qualche incomprensione manifestano una stima intellettuale reciproca, nonché una certa
vicinanza pedagogica. Nel corso del loro rapporto, ancor prima del 1921 si rintracciano dimostrazioni
significative di stima. Nel 1913 Copeau chiede a Romains di tenere alcune conferenze al Vieux-
Colombier, incarico non accettato dallo scrittore per motivi economici; Romains, nel 1916, invia a
Copeau per un parere professionale il manoscritto di L’Homme offert; l’anno seguente Romains
accorda la disponibilità per alcune matinées littéraires al Vieux-Colombier, poi non realizzate per
mancanza di fondi; nel 1920 con la regia di Copeau viene messe in scena la pièce Cromedeyre-le-Viel
di Romains. Per quanto riguarda la critica estetica e pedagogica, entrambi sostengono il ruolo attivo e
cosciente del pubblico, il ridimensionamento del décor a favore della valorizzazione del jeu
dell’acteur, la necessità di un legame con la tradizione che va ristabilito tramite un passaggio fecondo
da maestro ad allievo. Un’interessante e accurata analisi dei rapporti fra Copeau e Romains si trova in
COPEAU-ROMAINS.

81
quella decisionale158. Ciò risulta ancora più chiaro l’anno seguente, il 12 settembre
1922, quando Copeau invia una lettera a Romains in cui, ripensando l’organizzazione
della scuola, dichiara di volersi assumere l’impegno, anche formale, della direzione.
Con questo atto il regista conferma il forte accentramento della struttura nelle sue
mani. Nonostante l’apporto indispensabile di amici e collaboratori che si affiancano
al progetto e lo sostengono materialmente e praticamente, dando prova infinita di
fiducia, stima e sacrificio gratuito, l’École è organizzata e disposta secondo precise
indicazioni di Copeau159.
L’unitarietà dell’insegnamento è dunque rappresentata per prima cosa proprio
dalla presenza del Patron, che garantisce una coordinazione fra i professori, le
materie, i saperi, come scrive lui stesso: «Ogni professore deve avere familiarità con
tutte le materie dell’insegnamento generale e [...] il nodo di questo insegnamento è
l’incontro pedagogico che avrò ogni settimana con i miei professori riuniti»160.
La ricerca di unità si riflette in modo particolare sull’organizzazione dei corsi
e sulla cura con cui si rintracciano i legami fra le materie, fornendo così un carattere
di interdisciplinarietà all’insegnamento. Rispetto al funzionamento del
Conservatoire, infatti, Copeau prevede non solo molti più corsi, ma si preoccupa
anche di farli rientrare in un piano educativo strutturato. Lo verifichiamo dall’analisi
del programma per l’anno 1921, in cui i vari insegnamenti trovano basi comuni di
appoggio e si sviluppano attraverso connessioni continue. I corsi organizzati per gli
aspiranti attori sono otto e sono pensati per fornire un’educazione completa al
giovane: sviluppo di abilità e competenze fisiche, musicali, dell’eloquio e

158
Cfr. vedere lettere del 30 giugno 1921 e del 1 luglio 1921, in COPEAU-ROMAINS, pp. 144-146.
159
Meno accentrata nelle mani di una sola persona ci sembra invece la Scuola d’Arte di Mosca, che
sviluppa i suoi Studi attorno a figure più autonome, come Zulerski, Vachtangov, Mejerchol’d. La
lettera di Copeau a Romains è datata 12 settembre 1922 ed è pubblicata in COPEAU-ROMAINS, pp. 169-
176.
160
JACQUES COPEAU, Éducation de l’acteur, 1920, cit. Per questo testo utilizziamo la traduzione
italiana di Maria Ines Aliverti, che risulta essere la più completa pubblicazione del testo. Si trova in
ATV, pp. 193-206. Citazione a p. 201. Per approfondimenti cfr. la bibliografia critica.
82
dell’espressione verbale, di drammatizzazione, messa in scena e competenze
artigianali mediante vari laboratori161.
Il primo corso descritto è Educazione fisica, affidato da Copeau a Georges
Hébert, ufficiale della Marina francese, che intorno ai primi anni del 1900 sviluppa,
fra studi e sperimentazioni, il “metodo naturale” di educazione fisica. Per Hébert
l’individuo si sviluppa infatti attraverso attività semplici (utilitaires indispensables)
quali camminare, correre, saltare, lanciare, ecc. Si tratta, cioè, di funzioni che l’essere
umano compie in natura senza la necessità di ausili. Il suo metodo consiste in un
esercizio costante e giornaliero di questi mezzi “naturali” di cui l’uomo si serve nelle
sue attività di movimento, lavoro e difesa162. All’interno dell’École du Vieux-
Colombier, il metodo di Hébert si inserisce in un obiettivo di potenziamento della
muscolatura, di aumento di forza, resistenza e flessibilità, attraverso esercizi corporei
e il miglioramento della respirazione. Per Copeau l’educazione fisica prevista per
l’attore non deve mai essere pensata in vista di creare atleti, ginnasti, acrobati o
virtuosi del fisico. Si persegue invece l’assouplissement e la maîtrise del corpo, al
fine di ampliarne le possibilità, migliorare i tempi di reazione, aumentare la
coordinazione e la sicurezza. Per essere in grado di adattare movimenti, andature,
tonicità e contrazioni muscolari alle esigenze sceniche.
La capacità cinestetica dell’attore non è sviluppata però solamente
dall’educazione fisica, ma anche dall’insegnamento ritmico, a cui Copeau si affida
per allenare la coordinazione fra musica e movimenti corporei. Non è una novità che
il fondatore del Vieux-Colombier abbia sviluppato certe considerazioni a partire
dalle tesi di Appia e Dalcroze. L’unione fra un’educazione fisica e un’educazione
musicale è presente già nella scuola di Dalcroze, come l’insegnante svizzero dichiara
nei suoi scritti: «Non si tratta dunque solo di esercitare l’orecchio e la voce del

161
Plan pour une Classe de “Plastique”, Plan d’enseignement de la Plastique de scène, testo
dattiloscritto anonimo, in REG. VI ÉCOLE, pp. 266-268. Citazione a p. 261. D’ora in poi Plan pour
Plastique.
162
GEORGES HÉBERT, L’éducation physique ou l’entrainement complet par la méthode naturelle,
Paris, Vuibert, 1929.
83
fanciullo, ma tutto quanto nel suo corpo coopera ai movimenti ritmati; tutto quanto,
nervi e muscoli, vibra, si stende e si allenta sotto lo stimolo degli impulsi naturali»163.
Ora, mentre la ginnastica ritmica è posta nel progetto del 1916 del Vieux-
Colombier alla base dell’educazione drammatica, nel programma del 1921 non se ne
trova traccia; tuttavia il corso di musica prevede una sezione dedicata alla «musica
corporea: camminata, evoluzioni, ritmo»164. Inoltre, sebbene nel tempo Copeau
ridimensioni il ruolo della ginnastica ritmica di Dalcroze, continua a prevederla nei
programmi successivi, come dimostrano alcuni appunti manoscritti della Bing su un
progetto di riorganizzazione scolastica:

Giovani

Ginnastica e Ginnastica ritmica 2 volte a settimana – h 1 ora


Solfeggio musica 1 volta a settimana – h 1 ora
Musica Canto (??) 2 volte a settimana – h 1 ora
Tecnica corporea 4 volte a settimana – h ½ ora165

Allievi-attori

163
ÉMILE JAQUES-DALCROZE, Ritmo, musica e educazione, Milano, Hoepli, 1925, p. 7.
Riportiamo anche la seguente citazione: «Il dono del ritmo musicale non proviene unicamente dal
ragionamento: è di essenza fisica […]. Noi lo consideriamo altresì come il riflesso dei movimenti
corporali istintivi e come derivando dal buon equilibrio e dall’armonia generale di questi movimenti.
Se un fanciullo sano e senza alcuna tara fisica, ha un’andatura irregolare, tale irregolarità
corrisponderà musicalmente a un modo irregolare di misurare il tempo. […] sarà possibile dare il
senso del ritmo musicale ad un aritmico, abituando il suo corpo a movimenti regolari e misurati, che il
suo occhio ed il suo senso muscolare possono controllare». Ivi, pp. 37-38.
164
«Musique corporelle: marche, évolutions, rythme». Présentation de l’École, son fonctionnement et
ses programmes, cit., p. 260.
165
Boîte 2, cartella 13, p. 39.
84
Ginnastica ritmica ? 2 volte a settimana – h ½ ora
Tecnica corporea ? 4 volte a settimana – h ½ ora
Canto ? 1 volta a settimana – h 1 ora
Canto corale ? 1 volta a settimana – h 1 ora
166
Solfeggio ?

Nel programma gli insegnamenti di ritmica, canto e tecnica sono compresi in


un unico gruppo. Come si nota, il corso rivolto ai giovani viene nominato Ginnastica
e Musica; il secondo, pur non essendo titolato, viene distinto dagli altri insegnamenti
del corso – qui non riportati – da uno spazio di separazione, evidenziando così che si
tratta di un gruppo di insegnamenti distinto dagli altri. Pertanto l’insegnamento di
ginnastica ritmica rimane importante all’École du Vieux-Colombier, segno che il
regista continua a sostenere un rapporto tra musica, corpo e ritmo che può essere
sviluppato in direzione artistica.
Se la padronanza del corpo dell’attore non riguarda dunque solo la capacità di
compiere fisicamente un’azione, ma si sviluppa su un piano più ampio e complesso
di conoscenza dei ritmi corporei, l’educazione ritmica del corpo, quella fisica e
quella musicale trovano piani d’appoggio comuni, legando così i vari corsi ad un
unico obiettivo.
Sul corso di Educazione dell’istinto drammatico, Copeau è poco chiaro,
offrendo solo un elenco di molteplici e differenti attività: «Racconti, gioco d’agilità e
giochi d’esprit, canto, danza, improvvisazione, dialogo improvvisato,
pantomima»167. L’insieme, apparentemente sconnesso, rientra invece con molta
probabilità nel percorso graduale delineato dal regista: dalla ginnastica, alla ritmica,
alla danza, al mimo, all’uso della voce. Così infatti Copeau riassume una decina
d’anni dopo il metodo della scuola: «Si passava progressivamente dalla ginnastica
alla nozione del ritmo interiore, alla musica, alla danza, al mimo mascherato, alla
parola, alle forme drammatiche elementari, alla recitazione consapevole,

166
Ivi, p. 41. I punti interrogativi fanno parte del testo manoscritto.
167
«Récits, jeux d’adresse et jeux d’esprit, chant, danse, improvisation, dialogue impromptu,
pantomime». Présentation de l’École, son fonctionnement et ses programmes, cit., p. 261.
85
all’invenzione scenica, alla poesia»168. Questo evidenzia che le materie non sono
studiate separatamente, ma costituiscono l’una il presupposto dell’altra: l’attore non
somma le diverse conoscenze, ma le integra e le sviluppa contemporaneamente.
Si prendano poi in esame i corsi di Dizione e di Messa in scena. Sia nei corsi
“chiusi” che in quelli “aperti” (per i quali è previsto solo il corso di Messa in scena)
spiegazioni ed esercitazioni utilizzano i drammi del repertorio del Vieux-Colombier,
che sono anche oggetto di studio per gli iscritti ai corsi pubblici, in cui vengono letti
e commentati.
Evidenti connessioni anche nei corsi “aperti”, strutturati in insegnamenti che
«si completano l’un l’altro e non possono essere seguiti separatamente»169. Il corso di
Teoria del teatro tenuto da Copeau si integra con Teoria dell’architettura teatrale di
Louis Jouvet, entrambi sviluppati attorno alla storia del teatro greco. Scrive Copeau
all’attore: «Questo corso sulla disposizione materiale del teatro dovrà approfondire in
certi punti il mio»170. Qualche settimana dopo aggiunge:

[Il] tuo corso sulla genesi architettonica e il dispositivo materiale del teatro non è separato dal
mio. […] Seguiremo questo metodo: quando io avrò stabilito il programma del mio corso,
lezione per lezione, ti mostrerò i vari punti sui quali dovrai intervenire per completarmi 171.

Per finire, il corso di Tecnica poetica organizzato da Romains prevede


obbligatoriamente una parte pratica e di esercitazioni svolta da Georges Chennevière.
Allo stesso è affidato un corso intitolato Le scuole, la comunità e la civilizzazione
nella vita greca, il cui contenuto richiama in causa i corsi di Copeau e Jouvet.

168
SOUVENIRS, p. 63.
169
«Se complètent l’un l’autre et ne pourront être suivis séparément». Présentation de l’École, son
fonctionnement et ses programmes, cit., p. 259.
170
«Ces cours sur la disposition matérielle du théâtre devra approfondir en certains points le mien».
Lettera di Jacques Copeau a Louis Jouvet datata 8 agosto 1921, in REG. VI ÉCOLE, pp. 240-241.
Citazione a p. 240.
171
«[Il] ton cours sur la genèse architecturale et la disposition matérielle du théâtre n’est pas séparé du
mien. […] La méthode à suivre sera que quand j’aurai établi le programme de mon cours, leçon par
leçon, je te montre les différents points sur lesquels tu auras à prendre la parole pour me compléter».
Copeau a Jouvet in una lettera del 26 agosto 1921, in REG. VI ÉCOLE, p. 242.
86
L’artista completo dell’École e l’influenza dell’Arena Goldoni

Nel Projet d’une École technique pour la rénovation de l’Art Dramatique


Français del 1916, Copeau dichiara di avere come obiettivo ultimo la formazione di
un comédien completo, e, prendendo come esplicito modello i comici della
Commedia dell’Arte, lo descrive capace di far fronte a tutte le questioni sceniche, in
grado di arricchire la performance con molteplici competenze:

Vogliamo formare attori completi, ai quali niente della loro arte sia estraneo, idonei a tutte le
esigenze del mestiere, attori che siano allo stesso tempo, così come gli Italiens del XVI
secolo, cantanti, danzatori, musicisti, giocolieri, acrobati e improvvisatori 172.

Pertanto gli esercizi per l’attore descritti nel Projet sono di diversa natura:
l’allievo deve praticare sia ginnastica tecnica che ritmica, al fine di risvegliare il
corpo e le sue sensazioni; l’allenamento massimo delle sue prestazioni fisiche è
fornito però dall’acrobazia e dai jeux d’adresse (salto, capriola, equilibrio,
giocoleria); danza, solfeggio, canto e l’utilizzo di diversi strumenti musicali (piano,
chitarra, mandolino, flauto, trombetta e tamburo) sono insegnati in vista
dell’acquisizione di competenze di danza e di musica.
Ad accompagnare la descrizione di questi insegnamenti, il regista introduce
degli obiettivi che approfondiscono l’idea personale sulla scuola. A proposito degli
insegnamenti di danza ed educazione musicale, scrive: «Più avanti, l’École potrà
formare una piccola troupe di danzatori esperti. [...] Sarà auspicabile che la scuola
possa formare inoltre qualche musicista d’orchestra, specialmente con riferimento al

172
«Nous voulons former des comédiens complets, auxquels rien de leur art ne soit étranger, aptes à
toute exigence de leur métier, des comédiens qui soient en même temps, comme les Italiens du XVIe
siècle, chanteurs, danseurs, musiciens, jongleurs, acrobates, et même improvisateurs». PROJET 1916, p.
131.
87
teatro»173, cioè specializzato nella composizione e realizzazione di musiche per gli
spettacoli. Pertanto, oltre all’attore completo, qualificato in tutte le discipline
sceniche, Copeau lascia intravedere per il futuro un ampliamento delle potenzialità
della Scuola: la possibilità di formare musicisti e danzatori: Copeau non vuole
limitare L’École du Vieux-Colombier alla formazione degli attori, ma desidera
organizzarla in modo tale che ad una formazione di base (composta da ginnastica
tecnica e ritmica, educazione musicale, danza, studio dei testi, improvvisazione,
cultura generale), seguano delle specializzazioni volte a formare differenti figure
professionali del teatro174.
Su una questione affine insiste Gordon Craig, che auspica l’istituzione di una
scuola per la formazione dell’artista del teatro, in grado di gestire tutto ciò che
riguarda l’arte teatrale e i mestieri ad essa legati175. Copeau e l’eclettico artista
inglese si incontrano per la prima volta nell’autunno del 1915, a Firenze, e il regista
francese annota al suo ritorno:

Mai dimenticherò le ore passate all’Arena. [...] Ho respirato l’atmosfera di questo asilo di
bellezza. Mi sono seduto al sole sui gradini di pietra dove cresce una giovane catalpa. Sentivo
salire l’esaltazione che dà il puro lavoro, che aveva rispettato questa profonda quiete, e

173
«Non seulement les élèves, mais tous les comédiens du Vieux-Colombier, suivront les cours de
danse. Plus tard, l’École pourra former une petite troupe de danseurs spécialistes. [...] Il serait
souhaitable que l’École pût former en outre quelques musiciens d’orchestre, spécialement attachés au
Théâtre». PROJET 1916, p. 133.
174
Ad affrontare nuovamente la questione della formazione del personale tecnico del teatro in Francia
sarà Jean Vilar, quando nel 1951, divenuto direttore del Théâtre Nationale Populaire, riterrà di doversi
attivare per costituire una scuola accanto alla scena, ritenendo che non esista in Francia nessuna
istituzione di questo tipo. GIAN RENZO MORTEO, Il teatro popolare in Francia, Rocca San
Casciano (Bologna), Cappelli, stampa 1960, p. 99.
175
Si ricordi che invitato da Jacques Rouché, nel 1910, a prendere la direzione del Théâtre des Arts,
Craig pone come condizione necessaria la chiusura del teatro per un periodo di dieci-quindici anni, al
fine di dedicare tutte le energie alla formazione di un gruppo di allievi capaci in futuro di sostenere un
rinnovamento drammatico. Cfr. CVC2, p. 26.
88
ritrovavo nella memoria delle parole che voglio fare mie: “Non c’è che una soluzione se
volete che la gioia di vivere sia resa all’arte. Occorre accogliere la giovinezza” 176.

Nonostante la differente concezione dell’attore e le riserve di Copeau su


Craig, considerato certamente geniale ma criticato per la mancanza di senso pratico,
l’Arena Goldoni, per il programma, la modalità di lavoro e gli intenti, oltre a
stimolare il regista francese nel progetto della scuola, si pone certamente come
modello di confronto e arricchimento delle idee iniziali. A tal proposito Copeau
dichiara:

Lo spirito della scuola [...] è eccellente. Non mi apre alcuna prospettiva che io non abbia già
considerato. Il suo programma è il mio: attraverso la diversità e l’universalità delle ricerche e
delle conoscenze, rendere il futuro attore meno specializzato; farne un essere umano aperto,
armonioso, un artista maestro della sua arte ma anche fornito di cultura generale 177.

Più che di eredità, si deve parlare, stando a Copeau, di una vera e propria
sintonia di intenti fra lui e Craig. Fra gli appunti del regista francese si trova la
traduzione dall’inglese dei seguenti passaggi di A Living Theatre, brochure diffusa
come programma dell’Arena Goldoni178:

176
«Mais je n’oublierai pas les heures que j’ai passées dans cette Arena Goldoni. […] J’ai respiré
l’atmosphère de cet asile de beauté. Je me suis assis au soleil sur les gradins de pierre où croît un
jeune catalpa. Je sentais monter en moi l’exaltation du pur travail qu’eût abrité cette profonde
quiétude, et retrouvais dans ma mémoire des paroles que je veux faire miennes. “Il n’y a qu’une
solution à tout ceci si vous voulez que la joie de vivre soit rendue à l’art. Il faut que vous fassiez
accueil à la jeunesse”». CVC2, p. 16.
177
«L’esprit de l’École, tel qu’il est décrit ci-dessus, est excelent. Il ne m’ouvre aucune perspective
que je n’aie déjà considérée. Son programme est le mien: par la diversité, par l’universalité des
recherches et des connaissance, déspécialiser, renormaliser le futur acteur; en faire un être humain,
ouvert, harmonieux, un artiste maître dans son art mais de culture générale». Note di Copeau
sull’Arena Goldoni, in REG. VI ÉCOLE, pp. 64-71 Citazione alle pp. 66-67.
178
A Living Theatre, inizialmente una sorta di brochure informativa stilata da Craig. In seguito
pubblicata come volume: EDWARD GORDON CRAIG, A Living Theatre: the Gordon Craig School,
the Arena Goldoni, the Mask, Florence, School for the art of the theatre, 1913.
89
La Scuola consiste in due corpi separati; il corpo che compone la prima divisione è costituito
da lavoratori e insegnanti che contemporaneamente studiano i metodi di Craig, e li
sperimentano sotto la sua direzione. Tra questi ci sono musicisti, elettricisti, intagliatori,
modellisti, disegnatori, fotografi, scenografi, falegnami, ecc. Ciascuno insegna agli altri
qualcosa della propria arte, ed impara qualcosa da tutti gli altri. L’altro corpo della scuola è
conosciuto come seconda divisione, ed è costituito da studenti paganti che imparano i diversi
mestieri dagli insegnanti e dei lavoratori della Prima Divisione. Questi studenti sono tenuti ad
avere una buona conoscenza generale, e a dimostrare delle capacità per avere possibilità di
aderire alla scuola. Questa seconda divisione non fa parte del piano originale della scuola, ma
è stata pensata in seguito per offrire allo studente capace l’occasione di acquisire sufficiente
conoscenza pratica al fine di qualificarsi per i lavori pagati in prima Divisione 179.

Sebbene Copeau non riconosca un’influenza diretta della scuola di Craig, ed


effettivamente non si possa parlare di un debito dell’École du Vieux-Colombier
verso l’Arena Goldoni, è interessante far notare che se nel 1913 il regista francese
presenta la scuola che vuole aprire a Parigi come École des comédiens, nel 1916,
dopo la visita a Firenze, nel Projet descrive l’obiettivo della scuola nei termini di una
preparazione dell’artista e dell’artigiano del teatro futuro. In un passaggio sostituisce
il termine “attore” con quello più ampio di “personale del teatro” e infine la
penultima sezione del documento in questione è dedicata interamente alle diverse
specializzazioni:

179
Si riporta di seguito l’originale inglese: «The School consists of two separate bodies; one body,
styled the First Division, is composed of workers who are at the same time students of Mr Craig’s
methods, and who experiment under his direction. Among these are Musicians, Electricians, Wood-
carvers, Modellers, Designers, Carpenters, etc., each of whom teaches the others something of his own
particular craft, and who is himself taught something by all the others. The other body is known as the
Second Division, and is composed of paying students who learn various crafts from the teachers and
workers in the First Division. These students are expected to have a good general knowledge, and
must be of proved capacity before they will be allowed to join the school. This second division was
not a part original plan of the school, but it has been thought that it will afford an opportunity for a
really serious student to gain sufficient practical knowledge to qualify him for paid work in the first
Division». GORDON CRAIG, A Living Theatre: the Gordon Craig School, the Arena Goldoni, the
Mask, cit., p. 44.
90
L’École du Vieux-Colombier si propone di dare ai suoi allievi tutte le conoscenze tecniche la
cui applicazione deve concorrere alla realizzazione totale del teatro nuovo. La scuola
formerà, nella stessa atmosfera, artisti e artigiani: disegnatori, scenografi, tintori, costruttori,
falegnami, macchinisti, elettricisti, addetti agli accessori, costumisti e stilisti, ecc. Questa
branca dell’insegnamento si dividerà in tre classi: a) Disegno e modellaggio; b) Taglio e
cucito; c) Arti manuali180.

Pertanto ad una educazione generale impartita a tutti gli allievi, segue


un’educazione specialistica secondo le attitudini di ciascuno. Tuttavia, ogni
specialista, attore compreso, è tenuto in seguito a fornire le conoscenze di base sulla
sua materia agli altri specialisti, in modo da ottenere che ognuno possieda, oltre alle
proprie competenze, un bagaglio di nozioni di tutte le arti della scena.
La coincidenza di questa parte didattica del programma del Vieux-Colombier
con quella della scuola di Craig è evidente. Tuttavia occorre riconoscere che, sia pure
in germe, l’idea di sviluppare la scuola tenendo conto non solo degli attori, ma anche
delle molteplici figure professionali che lavorano a teatro emerge già in alcuni scritti
di Copeau, e che quindi piuttosto l’influenza di Craig riguarda più la maturazione che
la nascita di tale idea. Già nel 1915, in una lettera indirizzata a Jouvet, esponendo il
progetto di educazione teatrale pensato per la figlia maggiore, Copeau rivela l’intento
di una scuola in cui la formazione dell’attore sia una parte importante, ma non
esclusiva:

Dall’età di quindici-sedici anni le farò apprendere l’arte dell’incisione e il mestiere della


produzione iconografica. Inoltre le farò apprendere a fondo il taglio e il cucito, e tutto ciò che
riguarda le stoffe, le tinture e i diversi materiali, rapportando questi insegnamenti ai costumi e
agli ornamenti teatrali. Entro otto-dieci anni avremo con noi qualcuno che sarà capace181.

180
«L’École du Vieux-Colombier se propose de donner à ses élèves toutes les connaissance
techniques dont l’application doit concourir à la réalisation totale du Théâtre nouveau. Elle formera,
dans la même atmosphère, des artistes et des artisans: dessinateurs, peintres décorateurs, teinturiers,
constructeurs, menuisiers, machinistes, électriciens, accessoiristes, costumières et habilleuses, etc.
Cette branche de l’enseignement se divisera en trois classes: a) Dessin et modelage b) Couture et
coupe c) Arts manuels». PROJET 1916, pp. 139-140.
181
«Des l’âge de 15-16 ans je la mettrai en véritable apprentissage, pour apprendre la gravure et tout
le métier d’imagerie. En outre de quoi, je lui ferai apprendre à fond la coupe et couturerie, tout ce qui
91
In una lettera di qualche giorno dopo, ancora indirizzata a Jouvet, Copeau
espone l’idea di una rivista destinata a vari operatori coinvolti nell’ambito
spettacolare, confermando che l’interesse di formazione è esteso a più categorie
professionali. Così si rivolge al giovane allievo: «La grande rivista del Vieux-
Colombier. Ecco il libro del buon artigiano, in cui si insegnano tutte le scoperte, si
scrivono le ricette, si notano a margine le osservazioni. Il grande libro dei
macchinisti, degli scenografi, degli architetti, dei pittori, stampatori, intagliatori,
sarti»182.
Ancor prima che nella Scuola, è nel Teatro che inizia a decollare questo
progetto. Durante la preparazione della stagione americana si intensifica il lavoro dei
laboratori di fabbricazione di costumi e accessori183.
Nella conferenza sull’École del 19 marzo 1917, il pedagogo francese riprende
la questione, insistendo su una educazione che preveda un’istruzione generale unita
ai divertimenti, al lavoro manuale e ai giochi: «1) Disegno, pittura, modelage. Taglio
e cucito. 2) Arti manuali (falegnameria, meccanica, pittura, elettricità, ecc. 3)

concerne les etoffes, teinture, matières diverses, se rapportant au costume et à l’ornement. Et dans 8
ou 10 ans nous aurons avec nous quelqu’un qui sera capable». Lettera di Copeau a Jouvet del 19
agosto 1915, in REG. VI ÉCOLE, p. 37.
182
«C’est le grand périodique Vieux-Colombier. Voilà le livre des bons artisans, où viendra se
enseigner toute découverte, s’inscrire toute recette, se noter en marge toute remarque. Grand livre des
machinistes, décorateurs, architectes, teinturiers, imagiers, sculpteurs sur bois, couturiers, etc.».
Lettera di Copeau a Jouvet del 25 agosto 1915, in REG. III, pp. 269-271. Citazione p. 270. Di questa
rivista «Les cahiers du Vieux-Colombier» escono solamente due numeri redatti interamente da
Copeau: L’École du Vieux-Colombier e Les Amis du Vieux-Colombier, redatti rispettivamente nel
1921 e 1920.
183
Cfr. la preziosa testimonianza fotografica del lavoro all’atelier di costumi, in MARIE-
FRANÇOISE CHRISTOUT, NOËLLE GUILBERT, DANIÈLE PAULY, Théâtre du Vieux-
Colombier 1913-1993, Paris, Norma, 1993, p. 27. Se l’atelier dei costumi è costituito all’interno del
teatro e presente sin dalla partenza per la tournée americana, solo più tardi, Copeau chiederà a Jouvet i
laboratori di costruttori, elettricisti, falegnami. Cfr. Ivi, pp. 81-86. I laboratori e la costruzione
autonoma da parte della compagnia dei materiali che servono all’allestimento dello spettacolo, hanno
probabilmente per Copeau il valore attribuito al gioco dei bambini quando «tout est inventé, composé,
fabriqué de leurs mains».
92
Esercizi fisici: ginnastica, sport, scherma 4) Musica, solfeggio e canto. Danza: danze
molto semplici, popolari, infantili: girotondi accompagnati dal canto»184. In questo
caso Copeau delinea un programma in cui gli allievi seguiranno tutti i corsi elencati
per specializzarsi in seguito. Quando Copeau stende il piano per la scuola del 1921
definisce i corsi per attori: dizione, tecnica poetica, messa in scena. Fra questi corsi si
ritrovano i laboratori artigianali («Disegno geometrico; Modellismo; Moulage;
Pittura; Lavoro del legno, del cuoio, della carta; Taglio e cucito»185), utili a far
acquisire agli allievi-attori competenze costumistiche, scenigrafiche,
illuminotecniche, quanto meno rudimentali. Per questi ateliers, che lasceranno
grande spazio al gusto spontaneo dell’allievo, alla sua iniziativa e creatività, e che si
accompagneranno a viste a musei, monumenti e giardini, Copeau designa come
insegnante Marie-Hélène Dasté, come consiglieri tecnici Jouvet e Albert Marque.
All’interno del suo programma anche Craig prevede numerosi corsi:
ginnastica, musica, training vocale, scenografia e pittura, modello e confezionatura
dei costumi, modelling, scherma, danza, mimo, improvvisazione, teorie
dell’illuminazione, storia del teatro, disegno, costruzione e uso di marionette,
costruzione di modelli.
Entrambi gli artisti poi sono particolarmente attenti alla libertà dell’allievo di
scegliere, in seguito ad una obbligatoria e comune formazione di base, una
specializzazione che assecondi il piacere e la predisposizione personale. Questo per
Craig riguarda la seconda divisione, essendo la prima già composta da professionisti,
e in merito scrive: «Tutti gli allievi devono iniziare lo studio dell’eloquio e del

184
«1) Dessin, peinture, modelage. Couture et coupe. 2) Arts manuels (menuiserie, mécanique,
peinture, électricité, etc.) 3) Exercices physiques: gymnastique, sports, escrime 4) Musique, solfège et
chant. Danse: danses très simples, populaires, enfantines: rondes accompagnées de chant». TROISIÈME
CONFÉRENCE, pp. 511-512. I lavori manuali sono previsti anche dal metodo naturale di Georges
Hébert, assunto da Copeau come insegnante di educazione fisica nel 1921. Hébert, di cui si parlerà
approfonditamente in un seguente capitolo, affianca agli esercizi fisici, definiti di “utilità
indispensabile”, giochi, sport, canti, danze e l’apprendimento di lavori manuali, che aumentano il
senso pratico e contribuiscono allo sviluppo generale dell’individuo. GEORGES HÉBERT,
L’éducation physique ou l’entrainement complet par la méthode naturelle, cit.
185
«Dessin géométrique. Modelage. Moulage. Peinture. Travail du bois, du cuir, du carton. Coupe et
couture». Présentation de l’École, son fonctionnement et ses programmes, cit., p. 261.
93
movimento, e se uno tra di loro è dotato per un mestiere particolare o desidera
apprenderlo, sarà libero di farlo»186.
Seguendo il ragionamento sino a questo punto, sembrerebbe che la scuola di
Craig e quella di Copeau perseguano lo stesso obiettivo. In realtà, oltre la
convergenza dei programmi e della varietà degli insegnamenti, oltre il
riconoscimento di una cultura completa e ricca per l’allievo, esistono almeno due
differenze sostanziali negli intenti degli autori. Per Copeau l’École, sin dall’atto di
nascita, si sarebbe dovuta occupare di formare non solo attori e tecnici (elettricisti,
decoratori, costumisti, ecc.), ma anche autori, scrittori, critici, registi, régisseurs,
direttori di teatri, linguisti, archeologi, storici187. Anche se questo progetto fu in

186
« All pupils take up the study of speech and movement, and if any student has a talent for, or desire
to learn any special craft, he will be given once opportunity». GORDON CRAIG, A Living Theatre
[…], cit. p. 46.
187
«L’École du Vieux-Colombier fait appel non seulement aux futurs comédiens pour leur donner la
connaissance de leur art et la pratique de leur métier; non seulement aux jeunes artistes et artisans du
théâtre: architectes, électriciens, décorateurs, costumiers, parce que l’école du théâtre et que ceux qui
les exercent doivent faire leur apprentissage à l’intérieur du théâtre; Mais encore aux jeunes écrivains
et poètes, pour qu’ils y soient mis en garde d’une part contre les formules toutes faites et la creuse
virtuosité, et pour que d’autre part ils y acquièrent la vraie science qui ne sépare pas l’art du métier, le
vrai sens dramatique qui n’est point seulement littérature et ne saurait se développer qu’au contact des
réalités du théâtre; Aux jeunes critiques, parce que pour juger les mérites et les défauts d’une
représentation théâtrale, il ne suffit pas d’être journaliste, ou littérateur, ou romancier, ou même auteur
dramatique, mais il faut savoir apprécier la composition d’un ouvrage et son style, la vérité des
personnages et la qualité du dialogue, le jeu des acteurs et celui des figurants, , la diction, l’attitude, la
chorégraphie et le costume, la plantation du décor et son éclairage, enfin l’esprit de la mise en scène.
C’est ce qu’aucun critique dramatique de l’heure présente n’est capable de faire, et cette décadence de
la compétence critique est pour beaucoup dans la décadence générale du goût théâtral; Aux jeunes
régisseurs, metteurs en scène et directeurs de théâtres, parce qu’ils seront mis en présence du
problème théâtral considéré dans son ensemble, du point de vue professionnel; Aux érudits du théâtre:
spécialistes, historiens, archéologues, linguistes, afin que soit constituée dans l’avenir une section
d’études, et que soient rapprochés les uns des autres ceux qui cherchent et ceux qui réalisent, ceux qui
savent et ceux qui expérimentent. Car il n’aient pas d’information, et que les hommes d’étude n’aient
pas de sens dramatique, faute de quoi toute leur science reste lettre morte; Au public enfin, en premier
lieu au public du Vieux-Colombier, à ses fondateurs, à ses amis et abonnés, aux étudiants, aux
amateurs, aux étrangers, afin que leurs connaissances de la chose dramatique s’élargisse, que leur goût
94
seguito ridimensionato: la formazione si concentrò in modo particolare sulla figura
dell’autore e, ancor più, dell’attore, sebbene rimangano attivi i laboratori di maschere
e costumi.
Craig, invece, trattando della formazione dell’«artista del teatro» con l’obiettivo
ultimo di riformare la scena, fa riferimento esclusivo al regista. Si legge dal primo
dialogo:

IL REGISTA L’Arte del Teatro, come vi ho già detto, comprende tanti mestieri diversi: la
recitazione, la scenografia, i costumi, l’illuminazione, le macchine, il canto, la danza ecc., e
bisogna rendersi conto fin dall’inizio che occorre una riforma RADICALE, non PARZIALE; che nel
teatro ciascun mestiere è in diretta relazione con ogni altro, e che non ci si può attendere niente da
una riforma discontinua, irregolare; solo una progressione sistematica darà dei risultati. Perciò la
riforma dell’Arte del Teatro potrà essere realizzata soltanto da quegli uomini che hanno studiato e
praticato ogni mestiere attinente al teatro.
LO SPETTATORE Cioè a dire dal vostro regista ideale.
IL REGISTA Sì. Ricorderete che all’inizio della nostra conversazione vi avevo detto che la mia
fiducia nella Rinascita dell’Arte del Teatro si basa sulla fiducia nella Rinascita del regista, e che
quando costui avrà compreso esattamente come servirsi degli attori, della scena, dei costumi,
dell’illuminazione, della danza, e si sarà impadronito di tutti i mestieri necessari
all’interpretazione, a poco a poco raggiungerà il pieno dominio dell’azione, della linea, del colore,
del ritmo, delle parole, quest’ultima forza che scaturisce da tutte le altre... Allora l’Arte del Teatro,
dicevo, riconquisterà tutti i suoi diritti, sarà autosufficiente come ogni arte creativa, e non si
limiterà più ad essere una tecnica d’interpretazione 188.

La seconda notevole differenza riguarda il concetto di compagnia, intesa


come vera e propria congregazione di artisti sufficiente a se stessa, capace di
rispondere in autonomia a tutte le esigenze di allestimento e promozione dello
spettacolo. Scrive Copeau:

s’éclaire, que leur exigence s’aggrave, qu’ils prennent mieux conscience de ce que nous sommes, de
ce que nous cherchons, de ce que nous ferons, et que de jour en jour une unité plus étroite et plus pure
se réalise entre eux et nous». CVC2, pp. 47-48.
188
EDWARD GORDON CRAIG, L’arte del teatro. Primo dialogo fra un uomo di mestiere (il
regista) e un frequentatore di teatro (lo spettatore), in EDWARD GORDON CRAIG, Il mio teatro, a
cura di Ferruccio Marotti, Milano, Feltrinelli, 1971, pp. 83-95. Citazione a p. 94. Il dialogo è stato
pubblicato per la prima volta nel 1905.
95
Dalla necessità di un nuovo organismo viene la necessità di una scuola, ma non più quale
semplice raccolta di allievi diretta da un maestro unico, ma come una vera comunità capace
in seguito di essere sufficiente a se stessa e di poter rispondere a tutti i propri bisogni 189.

La visione d’insieme che questo pensiero sottintende è sviluppata in Copeau ad un


punto tale da essere il cardine dell’intero lavoro della scuola. Se qualcosa di simile si
può rinvenire in Craig, che in un passaggio si esprime facendo riferimento alla
necessità di sentirsi dentro alla scuola come in una famiglia190, non è certamente con
lo stesso obiettivo. Per il regista francese è dal lavoro di gruppo come comunità che
emerge la possibilità di una visione unitaria dello spettacolo; per Craig, invece, è il
regista a condensare in sé tutte le competenze, a coordinare i vari artigiani della
compagnia nel loro lavoro191.
Un’altra differenza significativa riguarda poi l’ambito più propriamente
educativo. Craig inserisce nella prima divisione tecnici esperti, mentre della seconda
fanno parte giovani già in possesso di una formazione intellettuale superiore, e per
cui il percorso all’Arena è previsto come completamento 192. L’educazione teatrale
inizia per l’artista inglese a seguito di un’educazione generale e quindi ad un’età in
cui la personalità dell’individuo è già formata. La formazione drammatica pensata da
Copeau, invece, dovrebbe cominciare sin dalla più tenera età, assecondando nel
bambino l’istintività ludica e il gioco simbolico. Per il regista francese non si tratta
tanto di preparare l’uomo a diventare un operatore teatrale, ma di procedere alla sua
educazione guidati da una solida teoria estetica che se ne prenda a carico la
formazione intellettuale, tecnica e soprattutto morale. L’educazione dell’attore deve
superare la frammentarietà a cui la formazione accademica e sur le tas lo ha portato.

189
JACQUES COPEAU, Intervista a Copeau, in «Impero», 23 dicembre 1961, p.
190
«Every pupil feels he is “one of the family”». GORDON CRAIG, A Living Theatre […], cit, p. 46.
191
EDWARD GORDON CRAIG, L’arte del teatro. […], cit, pp. 92-93.
192
«The type of pupil desired is the young man of public school or universty education. He will be
taught that he has not learned before - namely, a general course in the arts and craft which should
round off and complete him mentally and physically». GORDON CRAIG, A Living Theatre […], cit.,
p. 46.
96
Questa visione riflette una concezione unitaria dell’individuo e della sua formazione,
legata fortemente, come vedremo, a certa pedagogia romantica.

L’impegno statale. Verso un centro di cultura teatrale

Secondo Copeau, che attribuisce all’arte e al teatro un valore sociale, a farsi


carico della formazione dell’artista creando un luogo di apprendimento e fioritura
delle sue capacità dovrebbe essere lo Stato.
La citazione seguente, tratta da uno scritto del 1941 sul teatro popolare, mette
bene in evidenza il ruolo assegnato da Copeau agli organi di Governo:

Si dice un luogo comune, che è poi una verità eterna, dicendo che nessuna arte come il teatro,
dato che la sua esistenza stessa è legata al numero, rivela lo stato sociale e religioso
predominante. Ogni volta che prevale la volontà di uno Stato forte, noi vediamo questo Stato
preoccupato dal problema teatrale. Esso vuole fare del teatro una branca dell’educazione
pubblica, l’espressione di un pensiero nazionale, in altre parole uno strumento di propaganda.
[…] Le modalità di una tale pressione saranno più o meno forti o più o meno primarie, si è
comunque obbligati a riconoscere che essa influenza la libertà degli spiriti. Ma d’altra parte si
deve osservare che un regime che non esercita per nulla la sua influenza sulla produzione
artistica non è sempre quello che ne stimola di più la fecondità; infatti una eccessiva
tolleranza può dare corso a una produzione sfatta e rilassata e un troppo grande rispetto della
libertà può essere frutto dell’indifferenza e non produrre negli scritti altro che un’indifferente
libertà. La costrizione è una garanzia di fecondità e l’approvazione o la disapprovazione
venute dall’alto difendono dai disordini del gusto pubblico193.

Lo Stato dovrebbe perciò «prendere contatto direttamente con le forze


creative»194 con l’obiettivo di stimolare e vigilare sullo sviluppo culturale. Il compito
formativo, riguardante l’ambito teatrale, richiesto dal regista all’organizzazione
politica francese, è assai concreto: essa dovrebbe assumersi l’impegno di organizzare
«un centro di studi in cui potesse riunirsi un piccolo numero di uomini abbastanza

193
JACQUES COPEAU, Le Théâtre populaire, cit., p. 115.
194
Ivi, p. 126.
97
maturi per parlare in base all’esperienza, ma anche abbastanza giovani per pensare
all’avvenire del teatro secondo metodi e bisogni nuovi»195 che devono essere espressi
direttamente dagli artisti. Copeau arriva ad ipotizzare la costituzione di un

centro di cultura teatrale, cioè di una grande scuola largamente sovvenzionata dallo Stato,
dove siano studiate e praticate tutte le forme dell’invenzione e della rappresentazione
drammatica, dove ogni sezione sia affidata all’uomo più qualificato, senza tener conto dei
titoli ufficiali o delle raccomandazioni politiche, dove l’insieme riceva un impulso armonioso
dominato da una intenzione196.

Anche prima di arrivare ad una formulazione così specifica del ruolo e dei
compiti dello Stato, già precedentemente, nel 1921, troviamo nel cahier dedicato
all’École un’importante annotazione in questo senso; infatti, riferendosi alla scuola
come ad un «luogo d’elezione» in cui si applica una forte disciplina e si respira
un’atmosfera di convivialità e rispetto, Copeau conclude l’argomento dichiarando
che «è allo Stato che apparterrebbe, dentro ad una società ben fatta, di assicurarne la
sicurezza e il fiorire»197. Mentre in una articolo del 1934, accusando il Governo di
disinteresse, aggiunge: «Chiaramente i problemi gli si porrebbero innanzi, se volesse
prestarvi attenzione. E primo fra tutti quello della riorganizzazione
dell’insegnamento drammatico in Francia»198.
In Théâtre populaire il regista insiste sull’intervento statale anche per favorire
un processo di decentramento delle forze innovatrici, sostenendo così uno dei primi
obiettivi del Théâtre National Populaire che era nato con Firmin Gémier nel 1920. La
concentrazione delle attività teatrali a Parigi esclude per forza di cose la classe
sociale economicamente e culturalmente più povera, a cui invece il teatro di Gémier
si vuole rivolgere. Se l’organizzazione economica viene reimpostata sulla base di
fondi posseduti dal Governo, o di precise disposizioni ministeriali, l’investimento

195
Ivi, pp. 126-127.
196
Ivi, p. 127.
197
«C’est à l’État qu’il appartiendrait, dans une société bien faite, d’en assurer la securité et
l’épanouissement». CVC2, p. 19.
198
JACQUES COPEAU, En marge des concours du Conservatoire, 1934. Per questo articolo ci si
avvale della traduzione italiana a cura di Maria Ines Aliverti, in LT, pp. 51-52. Citazione a p. 52.
98
potrà seguire obiettivi culturali e non più logiche affaristiche, dettate certo da
ambizioni e vanità, ma anche da necessità e contingenze di vita a cui sono soggetti i
privati, problematiche a cui dovrebbe invece essere estraneo il massimo ente
pubblico rappresentato dallo Stato. Perciò lo Stato, secondo Copeau, dovrebbe farsi
inoltre «guida severa e anche, bisogna aggiungere, ben informata»199, assumere cioè
un ruolo super partes, intento a garantire gli interessi di pubblico, compagnia e poeta
allo stesso modo.
Senza più doversi occupare di problemi economici e di sopravvivenza, i teatri
potrebbero così realizzare un duplice movimento di sviluppo: verso l’esterno,
mediante una decentralizzazione fisica, e verso l’interno, coordinandosi nel comune
obiettivo di servire l’arte. Unirsi, nella concezione di Copeau, non significa diventare
un’unica cosa: ogni gruppo rimarrebbe caratterizzato dalle proprie specificità di
scelte, attori e repertorio, ma collaborerebbe nell’organizzazione. Scrive Copeau
rispetto ai piccoli teatri popolari diffusi all’epoca: «Queste compagnie sono
numerose, anche troppo, dice qualcuno lamentando che si ostacolino reciprocamente.
Ma è un inconveniente passeggero; per agire efficacemente, basterà che si
organizzino e che accettino di subire un severo controllo sulla gestione»200.
Sulla cooperazione fra teatri si dilunga in un articolo del 1932, di cui si
riporta un corposo e significativo passaggio:

Nessuno contesterà senza dubbio che questa riunione sia in linea di principio augurabile. Ma
essa è possibile? Non lo so proprio. Gli uomini a cui penso hanno molte idee, gusti e forse
ancor più aspirazioni in comune. Essi differiscono per temperamento e per doti. La voce
pubblica ha spesso il torto di metterli in competizione. Si temono forse un po’ l’un l’altro.
Ciò non è né giusto, né salutare. Da dieci anni ciascuno di loro ha fatto le proprie prove e
conquistato la propria parte di gloria. Hanno raggiunto la maturità. Li si conosce bene. Si sa
in che cosa ciascuno eccelle. Il merito dell’uno non può essere confuso con quello dell’altro.
Una cooperazione non cancellerebbe queste differenze, al contrario le metterebbe in mostra.
Poiché infatti l’insieme sarà per il pubblico una garanzia di varietà, ciascuno avrà più che mai
il permesso di abbandonarsi alla propria originalità, di metterla in luce e di spingere
all’estremo, senza temere la monotonia, scegliendo nella produzione le opere verso le quali si

199
JACQUES COPEAU, Théâtre populaire, cit., p. 126.
200
Ivi, p. 130.
99
sentirà più naturalmente portato e che faranno appello alla parte più sincera della sua
ispirazione. Se gli uni e gli altri, in occasione di questa spartizione, dovranno acconsentire a
qualche sacrificio, non sarà mai a scapito dell’essenziale, ma al massimo di una di quelle
particolarità che non riguardano il lato migliore del carattere e al di sopra delle quali è bene
sollevarsi. È poco a confronto delle riduzioni infinitamente più severe, più frequenti che
l’artista si vede imposte dalla fatica e dallo smarrimento, sotto il fardello di un’impresa
isolata. E il disinteressamento di cui ciascuno si fa un giusto merito nella propria ingrata
solitudine, porterebbe frutti migliori se fosse applicato a far valere, non già una persona, ma
una comunità. L’emulazione fra i talenti non sarebbe meno grande se si esercitasse in uno
stesso istituto, sotto uno stesso segno. Essa sarebbe forse più pura, certamente più feconda,
poiché ogni vittoria personale servirebbe l’interesse generale, ogni mancanza potrebbe essere
presto riparata a profitto di questo stesso interesse 201.

Al di là della supervisione statale, Copeau comprende la necessità di una


guida interna a questa “comunità” di teatri, un capo, ma nel senso più democratico
del termine:

Una testa libera, informata, calma, volitiva. L’impresa che ho cercato di abbozzare non potrà
farne a meno. Che questi sia l’uomo di teatro completo, che ha imparato tutti i mestieri della
scena e li ha sperimentati, che li possiede a fondo ma ha deciso di non praticarli più lui stesso
al fine di dirigerli. Chi sarà questo capo? Colui che verrà designato dai suoi pari.
Guardiamoci dal sospettare a priori di questa nozione di capo che il corso delle cose, in ogni
settore, rende oggi così urgente. Perché vederla circondata solo di immagini opprimenti?
Perché non immaginare questa guida delle volontà abbastanza saggia da non abusare della
propria, abbastanza modesta da considerarsi solo come serva di coloro che proteggerà nella
libertà di lavoro e di creazione, abbastanza prudente per chiamare tutte le voci a consiglio
delle sue decisioni e per suscitare solo ragioni di intesa e di amicizia, abbastanza sicura per
ricevere, conservare e arricchire un deposito di idee, di discipline di interessi ben
concertati?202.

Con questa presa di posizione Copeau propende certamente per favorire un


teatro nazionale e popolare, non solo come luogo di spettacoli, ma come spazio in cui

201
JACQUES COPEAU, Pour la sauvegard du théâtre d’art, in «Le temps», 5 settembre 1932, p. 5.
Per questo articolo ci si avvale della traduzione italiana di Maria Ines Alverti, in LT, pp. 46-50.
Citazione a p. 48.
202
Ivi, pp. 49-50.
100
generare cultura mediante incontro, dialogo, scambio. L’originalità di Copeau sta
nell’avere sostenuto per lo Stato un ruolo che non sia solo di finanziamento, ma di
garanzia e in parte di gestione, anche se non ne chiarisce nei dettagli i compiti.
I suoi discorsi offrono inoltre spunti di riflessione che il tempo trascorso non
ha reso meno attuali, cioè la necessità che lo Stato si preoccupi di generare e
diffondere cultura, stimolando idee, proposte e progetti che arrivano dalle nuove
generazioni, dotate di energia creatrice che va supportata con possibilità e mezzi di
realizzazione e sperimentazione. Si tratta di una diatriba piuttosto accesa anche di
questi tempi, in cui la necessaria razionalizzazione delle risorse equivale spesso a
tagli drastici nel settore teatrale203.
L’argomento considerato, che Copeau affronta nel corso degli anni senza
particolari modifiche, parte dall’osservazione della situazione circostante. Lo
sguardo si muove sconsolato: gli sembra che solo una scuola in Europa meriti di
essere indicata a modello; si tratta di quella stanislavskiana, ritenuta come la più
valida scuola di teatro moderno di cui abbia sentito parlare204. E se da un lato il
regista si esprime anche a riguardo delle scuole della Duncan e di Jaques-Dalcroze,
ritenendo i lavori condotti su base musicale come preparatori agli studi d’arte
drammatica (seppur non si possa ovviamente parlare di scuole di teatro), nessun
riferimento si trova invece alla scuola di recitazione fondata nel 1905 da Max

203
Si tratta di un argomento molto sentito in Italia, specialmente nell’ultimo periodo. Cfr. per esempio
i numerosissimi interventi di studiosi e uomini del settore e riniuiti sotto il titolo Dove va il teatro
pubblico uscito in due parti, in «Venezia musica e dintorni», nn. 38-39, gennaio-febbraio 3 marzo-
aprile 2011, pp. 26-62 e 37-67.
204
Copeau non ha ancora una conoscenza diretta dello Studio del Teatro d’Arte e del lavoro di ricerca
che vi si compie, ma le testimonianze di allievi e stimatori del maestro russo lo hanno colpito
positivamente: «Attraverso I libri di Gordon Craig e di Alexandre Bakshy, attraverso I discorsi dei
viaggiatori, i racconti del mio vecchio amico Charles Salomon, quelli di Michel Slakhovich e di
qualche emigrate russo che frequentava il Vieux-Colombier, sapevo che un uomo geniale realizzava la
perfezione della nostra arte […]. Così la gloria del Teatro d’Arte di Mosca risplendeva fino a noi. Pur
non conoscendolo il suo esempio ci infondeva coraggio. Una delle nostre ambizioni era di mostrarci
degni di lui…Ho conosciuto Konstantin Stanislavskij a Parigi, nel dicembre 1922». JACQUES
COPEAU, Préface a KONSTANTIN STANISLAVSKIJ, Ma vie dans l’art, Paris, Librairie Théâtrale,
1950, pp. 5-15.
101
Reinhardt, che fra l’altro, come Copeau, insiste sulla necessità di un intervento
statale per garantire una scuola autonoma di recitazione e regia, considerata decisiva
per i tempi critici delle istituzioni teatrali205.
Per quanto riguarda la situazione francese, Copeau dipinge un quadro
piuttosto negativo: non vede in Francia scuole di teatro che meritino particolare
attenzione. Parlando, per esempio, di uomini del suo tempo quali Antoine, Guitry,
Gémier, egli, pur riconoscendone l’esempio e lodandone il lavoro, sostiene che in
fondo non hanno «modificato l’attore nella sua essenza»206 perché, prima di tutto,
non hanno creato quel

luogo riservato, in cui in un’atmosfera di semplicità, d’onestà, di cameratismo, e sotto una


forte disciplina, i giovani servitori del teatro acquisiscono la tecnica completa e lo spirito
della loro professione, in cui apprendono a considerare la loro arte non come un gioco facile,
un mestiere brillante e vantaggioso, ma come un ideale che domanda, per essere raggiunto,
una forte abnegazione del carattere, un lavoro duro, accanito, complesso, spesso ingrato, un
lavoro che non si fa solamente con la bocca, né con la bocca e lo spirito, ma anche con il
corpo e il cuore, con tutta la persona, con tutte le facoltà, con tutto l’essere 207.

205
Riguardo alle scuole della Duncan e di Jaques-Dalcroze, Copeau scrive: «L’École Isadora Duncan
et l’Institut Jaques Dalcroze [...] ne sont pas des écoles de théâtre, mais il faut reconnaître que leurs
travaux préparent la constitution d’une école dramatique et lui serviront peut-être de base, si l’on veut
bien ressaisir cette antique et fondamentale vérité: que l’art dramatique est avant tout musique et que
l’éducation du dramatiste (poète ou acteur) doit être avant tout musicale». CVC2, pp. 18-19 note. Per
approfondimenti sulle scuole di Max Reinhardt a Berlino e a Vienna cfr. MAX REINHARDT, I sogni
del mago, cit., pp. 137-144. Copeau, prima di lasciare l’America, visita un paio di volte la scuola di
danza di Elisabeth Duncan. Se ne trova notizia in REG. IV AMERICA, p. 486.
206
«Modifié l’acteur dans son essence». CVC2, p. 17.
207
«Lieu réservé où, dans une atmosphère de simplicité, d’honnêteté, de camaraderie, et sous une forte
discipline, les jeunes Serviteurs du Théâtre acquerront la technique complète et l’esprit de leur
profession, où ils apprendront à considérer leur art, non pas comme un jeu facile, un métier brillant et
avantageux, mais comme un idéal qui demande, pour être atteint, avec une haute abnégation du
caractère, un travail dur, acharné, complexe, souvent ingrat, - un travail qui ne se fait pas seulement
avec la bouche, ni même avec la bouche et l’esprit, mais avec le corps aussi, et le cœur, avec toute la
personne, toutes les facultés, avec tout l’être». CVC2, p. 18.
102
Il luogo privilegiato, d’élection, dovrebbe essere creato con il sostegno
statale. Tuttavia l’unico istituto che in Francia goda di questo privilegio è il
Conservatoire national de musique et de déclamation, a cui Copeau fa spesso cenno
assai negativamente nei suoi scritti sulla scuola. Evidentemente perché questa antica
istituzione costituisce per lui e per altri uomini di teatro, quanto meno della società
francese del tempo, un modello di riferimento conservatore nel senso meno nobile
del termine rispetto ad una educazione istituzionalizzata del sapere drammatico. Va
ricordato che anche Antoine critica aspramente la formazione degli attori usciti dal
Conservatoire, preferendo dei non professionisti, e prima di lui Delsarte giudica
negativamente il metodo dei professori della prestigiosa scuola, basato su precetti
convenzionalmente accettati, piuttosto che su una teoria empiricamente fondata208.

208
Per la critica di Antoine agli allievi del Conservatoire cfr. la lettera indirizzata a Henry Fouquier il
3 aprile 1887, in JAMES B. SANDERS, La correspondance d’André Antoine. Le Théâtre Libre,
Québec, Préambule, 1987, 66-68 e la nota 4 di Sanders a p. 68. A Delsarte è dedicato un
approfondimento nel capitolo della tesi Il linguaggio condiviso tra pedagogia e arte teatrale,
all’interno del presente lavoro di tesi. È giusto far presente che, nonostante le aspre dichiarazioni di
questi illustri autori, anche il metodo d’insegnamento al Conservatoire tenta negli anni un
miglioramento, come fa notare Elena Randi in breve inciso sulla questione dell’École de déclamation
e sugli stereotipi che sembrerebbero adottare gli allievi, che poi diventano spesso attori della
Comédie-Française. ELENA RANDI, La Comédie-Française nei primi decenni dell’Ottocento, in
UMBERTO ARTIOLI (a cura di), Il teatro dei ruoli in Europa, Padova, Esedra, 2000, pp. 29-83. Per
un approfondimento delle considerazioni di Copeau sulla Comèdie-Française cfr. JACQUES
COPEAU, Sur la Comédie-Française, in «Nouvelles Littéraires», 26 ottobre 1929, p. 12.
103
Capitolo terzo

Il linguaggio condiviso
fra pedagogia e arte teatrale

Il sacerdozio artistico

Quando, nel mese di aprile del 1913, Copeau inizia le audizioni per formare
la compagnia che sarebbe nata di lì a poco sotto il nome di compagnia del Théâtre du
Vieux-Colombier, è con lo sguardo al Théâtre Libre che lo fa. Partendo infatti dalle
stesse considerazioni di Antoine sulla degenerazione della scena francese a lui
contemporanea, Copeau vede in lui il suo primo maestro. La passione che nutre per il
teatro, la fedeltà verso l’opera drammatica e l’autorità del suo forte temperamento lo
affascinano. In Antoine attore, Copeau vede la forza dell’interprete dotato di
carattere, di personalità, che tuttavia non primeggia sull’opera rappresentata, ma
riesce invece a metterne brillantemente in luce il valore. In Antoine fondatore del
Théâtre Libre prima, e del Théâtre Antoine poi, ammira il distacco dai
condizionamenti del teatro commerciale, il coraggio di rischiare con opere nuove, la
ricerca dell’armonia dei vari elementi scenici nel rispetto del testo drammatico209.

209
Copeau, in una lettera pubblica ad Antoine, confessa che la strada “morale” percorsa dal Vieux-
Colombier è quella tracciata dal Théâtre Libre e dichiara di sentirsi lusingato quando qualche critico
vede delle affinità nel tentativo intrapreso dai due artisti. «Lei ha sviluppato in me, durante i miei
giovani anni, questo grande amore del dramma che governerà tutta la mia vita. Il suo insegnamento è
stato la base sulla quale si sono elevate le mie prime aspirazioni e le mie prime certezze». JACQUES
104
Così, anche durante la selezione degli attori per il nuovo progetto teatrale, Copeau
non dimentica le scelte compiute dal suo primo maître, ma si pone l’obiettivo di
individuare nei giovani che gli sfilano davanti le stesse caratteristiche ricercate da
Antoine nei suoi comédiens con l’obiettivo di «riunire una buona troupe di attori,
giovani, entusiasti, docili, omogenei, e di allenarla in modo tale che sia un insieme
perfetto tanto quanto quello dell’antico Théâtre Libre, di gloriosa memoria!...»210.
Questa la linea guida per scegliere fra i numerosi giovani che si presentano
all’audizione: Copeau, consapevole di difettare delle conoscenze di tecnica attorica,
non mira a scoprire il grande attore, ma a discernere dalla tecnica la volontà, a
intravedere buone doti di educabilità, a riconoscere l’umiltà e la sensibilità verso
l’arte, ritenendole qualità prioritarie per il suo teatro. Non vuole attori già formati,
che vantino importanti esperienze nei teatri commerciali211. Al contrario: per lui
un’arte nuova esige attori nuovi212.

COPEAU, Lettre ouverte à M. André Antoine, in «Gil Blas», 29 septembre 1913, p. 4. Sui ricordi che
Copeau ha di Antoine cfr. REG. I APPELS, pp. 69-73 e la conferenza My Memories of the Theatre al
Theatre Guild di New York il 23 gennaio 1927, nella quale Copeau fa un resoconto del suo primo
imbarazzante incontro con Antoine; la traduzione italiana di questa descrizione è in LT, pp. 15-18.
Inoltre, sul rapporto Antoine – Copeau cfr. SIMONA MONTINI, Antoine critique de Copeau,
contributo al Convegno internazionale Jacques Copeau hier et aujourd’hui, tenutosi il 15-17 maggio
2009 a Bratislava. Gli atti sono in corso di pubblicazione. Va notato che, seppure Copeau riconosca
l’influenza di Antoine rispetto agli intenti, l’entusiasmo, il carattere e l’opera registica, giudicando il
suo lavoro lodevole, lo reputa in complesso lontano dall’ideale di scuola da lui invece perseguito.
210
«Réunir une bonne troupe de comédiens, jeune, enthousiaste, souple, homogène, et de l’entraîner
de telle sorte qu’elle fût capable d’exécuter des ensembles aussi parfaits que ceux de l’ancien Théâtre
Libre, de glorieuse mémoire!...». JACQUES COPEAU, Le Théâtre du Vieux-Colombier, in «Le
Théâtre», septembre 1913, pp. 17-21. Citazione a p. 20.
211
Copeau impiega il termine “teatri di boulevards” per definire i teatri commerciali, come spiega
Marco Consolini: «Un termine ambiguo che, perduto il suo originario significato toponomastico,
diventa quasi sinonimo di giudizio morale: pronunciato da Gide o dal suo amico Jacques Copeau
significa pressappoco tutta la produzione parigina “che conta”, “che fa cassetta”». Cfr. MARCO
CONSOLINI, Rivolte, utopie e tradizioni nel teatro francese, in ROBERTO ALONGE, GUIDO
DAVICO BONINO (a cura di), Storia del teatro moderno e contemporaneo. Avanguardie e utopie del
teatro. Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001, III vol., pp. 331-433. Citazione a p. 337.
212
Cfr. il ricordo dell’audizione in SOUVENIRS, pp. 19-20 (pp. 20-21 per l’edizione italiana). Copeau,
nell’articolo Un essai de rénovation dramatique. Le Théâtre du Vieux-Colombier (art. cit.), definisce
105
La novità non riguarda né la tecnica, né la cultura, né l’esperienza, ma prima
di tutto un particolare modo d’essere della persona. Già nel 1912 Copeau pubblica
nella «Nouvelle Revue Française» un appello ai giovani, che in alcuni passaggi si
presenta come una vera e propria dichiarazione d’intenti: «La sola [materia] in cui ci
sentiamo capaci di fare qualcosa, è questa materia sempre nuova e palpitante:
l’uomo, e ancora l’uomo»213. Lo stesso concetto si ritrova nei testi delle conferenze
tenute negli anni seguenti: «Che l’attore ridiventi un essere umano, e tutti i
cambiamenti all’interno del teatro vi seguiranno». E ancora: «Per creare, bisogna,
prima di tutto, avere il dono umano, essere un uomo fra gli uomini»214. La stessa
affermazione di principio la ritroviamo alla fine di una lunga carriera, nel 1944, in
parole destinate ancora una volta alla jeunesse:

Un rinnovamento [teatrale] di questa natura, per portare frutti che non siano né fittizi né
effimeri, deve cominciare dalla persona umana. Senza ripiegamento, senza egoismo, con
tanta modestia quanto ardore, è soprattutto e in primo luogo da voi stessi che dovete
pretenderlo, attraverso la lucidità, la semplicità, la serietà, l’applicazione e il coraggio. Quali
che siano i vostri desideri e aspirazioni, quale che sia la carriera che vi proponete di
intraprendere, quale che sia la tecnica che avete intenzione di padroneggiare, prima di tutto
sforzatevi di essere uomini. Non lasciatevi inaridire, né corrompere, ma con volontà
applicatevi a far regnare dentro il vostro carattere una bella, solida, sorridente, coraggiosa e
leggera armonia umana. Vedete, amici miei, importa soprattutto, unicamente, in mezzo ad
215
una tale confusione, fare un patto con la propria anima. E di attenersi lealmente .

la compagnia come un insieme di attori giovani, disinteressati al successo, entusiasti, la cui ambizione
è servire l’arte alla quale si consacrano.
213
«La seule dont nous nous sentions capables de faire quelque chose, c’est cette matière toujours
neuve et palpitante: l’homme, et encore l’homme». JACQUES COPEAU, Notes. L’enquête d’Agathon
sur “Les jeunes gens d’aujourd’hui”, in «NRF», n. 47, 1 novembre 1912, pp. 929-935.
214
«Que l’acteur redevienne un être humain, et tous les grands changements dans le théâtre
s’ensuivront». JACQUES COPEAU, The spirit in the Little Theatres, cit., p. 124; «Pour créer, il faut,
avant tout, avoir le don humain, être un homme parmi les hommes». Testo della conferenza tenuta da
Copeau il 26 marzo 1918, pubblicato in REG. I APPELS sotto il titolo di Conférence à la Drama League
of America, pp. 130-135. Citazione a p. 131.
215
«Un renouvellement de cette nature, pour porter des fruits qui ne soient pas factice et ne soient
point éphémères, doit commencer par la personne humaine. Sans repliement, sans égoïsme, avec
autant de modestie que d’ardeur, c’est surtout, c’est premièrement à vous-mêmes que vous devez vous
106
Sia in questi che in altri scritti216, Copeau individua come preliminare a
qualsiasi mestiere un certo “stato” dell’essere uomo, caratterizzato da una honnêteté
e una sincérité che egli pone al di sopra di qualsiasi talento. L’imperativo «sforzatevi
di essere uomini» non viene esplicitamente chiarito, ma alcuni passaggi, appartenenti
agli scritti, possono essere messi in correlazione ad esso ed aiutare ad interpretarlo.
Copeau, nel 1912, fa precedere alla dichiarazione sull’intenzione di occuparsi
della “materia uomo”, queste parole: «Vogliamo conoscere e scegliere i nostri amici
solo fra chi sia capace di fare qualcosa insieme ad altri uomini e bruci per essere
ingaggiato per il lavoro della vita»217. Nella concezione della rappresentazione
teatrale come ensemble, la forte passione dell’attore non deve escludere, ma
comprendere, lo spirito del lavoro comune. Nella conferenza dedicata al movimento
dei Piccoli Teatri, Copeau introduce poi il concetto di simplicité a teatro e
nell’interpretazione: «Non dico: realismo, verità, né naturalezza. Dico semplicità,
questa qualità umana superiore che dà all’opera d’arte tutto il suo movimento, tutta la
sua potenza patetica»218. Auspicando la semplicità, Copeau la collega al carattere

en prendre, par la lucidité, par la simplicité, par le sérieux, l’application et le courage. Quels que
soient vos désirs et vos aspirations, quelle que soit la carrière que vous vous proposez de courir, quelle
la technique que vous avez l’intention de maîtriser, avant tout tâchez d’être des hommes. Ne vous
laissez pas dessécher, ni débaucher, mais par la volonté appliquez-vous à faire régner dans votre
caractère une belle, une solide, une souriante, vaillante et souple harmonie humaine. Voyez-vous, mes
amis, il importe surtout, il importe uniquement, au milieu d’une telle confusion, de faire un pacte avec
son âme. Et de s’y tenir loyalement». JACQUES COPEAU, La dévotion à l’art dramatique, in
«Comoedia», 27 mai 1944. Si tratta di una conferenza tenuta alla Salle Récamier il 16 maggio 1944.
216
Si sono riportati solamente alcuni passaggi significati sull’argomento. Riferimenti simili si
ritrovano tuttavia disseminati in tutta la poetica di Copeau.
217
«Nous ne voulons connaître et choisir nos amis que parmi ceux qui sont capables de faire quelque
chose à l’unisson du commun des hommes et qui brûlent d’être embauchés pour le travail de la vie».
JACQUES COPEAU, Notes. L’enquête d’Agathon sur “Les jeunes gens d’aujourd’hui”, cit.
218
«Je ne dis pas: le realisme, la vérité, ni même le naturel. Je dis la simplicité, cette qualité
supérieurement humaine qui donne à l’œuvre d’art toute sa liberté d’allure, toute sa puissance
pathétique». Abbiamo tradotto qualité supériurement humaine con qualità umana superiore
preferendola alla traduzione qualità superiormente umana, è infatti molto probabile che Copeau
individui la semplicità come una delle qualità umane superiori piuttosto che come una qualità che
107
dell’individuo. Un aiuto alla comprensione viene dalla descrizione della tirata di
un’attrice anonima:

Mancava assolutamente di tecnica. Non ne aveva la minima idea. Per esempio, non sapeva
camminare sulla scena, né entrare, né uscire. Non sapeva nemmeno accompagnare la parola
ai gesti appropriati all’azione del dialogo […]. Solamente alla fine del suo monologo allargò
le braccia, tacque bruscamente, guardando davanti a sé come se continuasse a seguire il suo
pensiero in silenzio. Questo gesto era ammirevole, c’era dentro il suo sguardo una emozione
umana che mi fece piangere. Avevo veramente una donna davanti a me 219.

Copeau vede in questa attrice la semplicità nell’interpretazione, ed ella lo


commuove perché umile nel lavoro. Così continua il testo della conferenza: «Per
dare un piacere poetico completo, l’interpretazione deve lasciar librare sopra di sé
qualcosa di superiore, di intangibile: lo spirito impalpabile del dramma, la presenza
indicibile dell’animo del poeta»220.
Mettendo in relazione questi passaggi, il riferimento all’uomo, che va
considerato ancor prima dell’artista, si chiarirebbe nel senso dello sviluppo di una

appartiene in modo superiore all’uomo. JACQUES COPEAU, The spirit in the Little Theatres, cit., p.
124.
219
«Elle manquait absolumente de technique. Elle n’en avait pas la moindre idée. Par exemple, elle ne
savait pas marcher sur la scène, ni entrer, ni sortir. Elle ne savait pas non plus accompagner sa parole
des gestes appropriés à l’action du dialogue […]. Et seulement à la fin de sa tirade elle écarta ses deux
bras tout simplement, et elle se tut brusquement, en regardant devant elle comme si elle continuait à
suivre sa pensée dans le silence. Eh bien ce geste était admirable, et il y avait dans ce renard une
emotion humaine qui fit monter des larmes dans le mien. J’avais vraiment une femme devant moi».
JACQUES COPEAU, The spirit in the Little Theatre, cit., p. 125. Riflessioni simili si trovano nel
bellissimo ricordo che Copeau fornisce del primo incontro con Valentine Tessier, all’audizione per il
Vieux-Colombier, in SOUVENIRS, pp. 29-30. La Tessier rappresenta uno degli esempi massimi di
fiducia verso la missione del Vieux-Colombier, a cui rimane fedele nonostante le numerose e
interessanti proposte di altri teatri. Cfr. frammenti di lettere fra Copeau e la sua attrice, corredate dalle
note di Sicard, in REG. III, pp. 366-368 e Lettre à Valentin Tessier del 1944 in NOTES, pp. 67-73.
220
«Pour donner un plaisir poétique complet, l’interprétation doit laisser planer au-dessus d’elle
quelque chose de supérieur à elle, d’intangible, qui est l’esprit impalpable du drame, qui est la
présence indicible de l’âme du poète». JACQUES COPEAU, The spirit in the Little Theatres, cit., pp.
126-127.
108
mentalità, di uno spirito, che rifiuta la smorfia, l’esagerazione e l’affettazione,
alimentandosi nel valore del lavoro comune, della passione e dell’umiltà, intesa
quest’ultima come consapevolezza dell’artista di essere strumento, mezzo e non fine
del lavoro221, esprimendo così un pensiero che si sta diffondendo nell’ambiente
teatrale all’epoca di Copeau.
L’approfondimento maggiore della pratica di Copeau su questo punto si deve
agli scritti successivi a quelli appena esaminati. Nel 1944, nella conferenza cui si è
poco sopra fatto riferimento, dopo essersi rivolto con tanto fervore all’uomo in
generale, Copeau si rende conto di quanto sia poco immediato scovare un legame fra
le sue affermazioni e il mestiere teatrale e tenta di metterlo in luce introducendo il
concetto chiave di dévotion:

Vi direte probabilmente che siamo lontani dal teatro e dalla devozione teatrale. Lontani dal
teatro, forse, ma non dalla devozione che io ritengo necessaria e che bisognerà ancora per
molto tempo apportare se ci si propone di farvi regnare uno spirito nuovo 222.

Il punto di collegamento tra uomo e artista si troverebbe in questo concetto


forte di devozione, che pare caratterizzare il cammino verso «l’armonia umana» e il
«patto con se stessi» delineato precedentemente da Copeau. La devozione fa coppia

221
«L’essentiel c’est de savoir renoncer à l’égoïsme, c’est de se donner sans espoir de recompense,
c’est de se débarrasser de la notion de succès». JACQUES COPEAU, Conférence à la Drama League
of America, cit. Citazione a p. 133. Sono molteplici gli scritti in cui Copeau insiste su un cambio di
mentalità e di spirito degli operatori del teatro, con particolare riferimento all’attore. Fra gli altri, cfr.
Lieux Commun, cit., The spirit in the Little Theatres, cit., Pour les amateurs, in «L’Est dramatique», 4
novembre 1925, pp. 2-3, Conférence au Laboratory Theatres, cit., Art dramatique et industrie
théâtrale, conferenza tenuta il 12 marzo 1917 al Little Theatre e pubblicata in REG. IV AMERICA, pp.
499-504 e Le poète au théâtre, in «La Revue des Vivants», 5 mai 1930, pp. 678-687. Sul rapporto fra
estetica ed etica in Copeau cfr. CLEMENT BORGAL, Jacques Copeau, Paris, L’Arche, 1960, pp.
179-184, FABRIZIO CRUCIANI, La tradizione della nascita, in «Teatro Festival», n. 5, ottobre-
novembre 1986, pp. 18-27 e Jacques Copeau o le aporie del teatro moderno, Roma, Bulzoni, 1971.
222
«Vous vous dites probablement que nous voilà bien loin du théâtre et de la dévotion au théâtre.
Loin du théâtre, peut-être, mais point de la dévotion que je pense qu’il y faut et qu’il y faudra
longtemps encore apporter si l’on se propose d’y faire régner un esprit nouveau». JACQUES
COPEAU, La dévotion à l’art dramatique, cit.
109
con le caratteristiche dell’umiltà, della semplicità, dell’ardore, dell’applicazione, e -
non ultimi - del coraggio e della volontà, come per delineare un percorso difficile, in
cui è possibile smarrirsi, cedere, cadere223.
Questi concetti delineano una concezione in cui la devozione è più di una
scelta o di una passione: è una vocazione, che il regista pone più volte e con forza
alla base di ogni cammino, in particolare di quello artistico. La vocazione si distingue
dal genio, e tale distinzione assume in Copeau caratteristica pecularie: l’attore viene
apprezzato più per la costanza e la perseveranza con cui si dedica al lavoro, che per il
talento. Al cabotinage, alla scena commerciale, alla bruttezza e alla decadenza
dell’ambiente teatrale, si oppone la purezza, l’irriducibilità di una volontà che si fa
missione, alla quale questo propugnatore di un teatro “puro” ed “etico”, nel senso più
che nei contenuti, non esita ad attribuire un significato spirituale. Già nella
conferenza dedicata al movimento dei Piccoli Teatri si riferisce allo spirito che guida
queste piccole realtà come ad una «cosa divina»224, ma torna chiaramente sul
concetto nell’introduzione ad un corso per attori. In alcune note manoscritte
dell’allieva Marie-Madeleine Gautier, si ritrova la seguente citazione di Copeau:

La vocazione, dal latino vocare, è la chiamata; avere una vocazione è essere chiamato. C’è
qualcosa di forte e di potente in questo termine che richiama quello della Bibbia: «Ci saranno

223
Proprio il concetto di devozione, con le sue implicazioni, è lo strumento che permette di
comprendere certe scelte di Copeau e di rileggere il suo percorso, sia da un punto di vista
professionale, il Vieux-Colombier, la scuola a Parigi e in Borgogna, sia riguardo alle scelte di vita
personali, come l’allontanamento dalla capitale, l’estremo ancoramento ai principi inizialmente
enunciati, l’enorme sofferenza per qualche compromesso (come certi spettacoli allestiti in America) e
le incomprensioni del periodo borgognese con amici e allievi, e la solitudine intellettuale a cui lo
portano certe scelte radicali.
224
«On les traite d’orgueilleux parce qu’ils se conduisent comme si rien d’autre n’existait, parce que,
en fait, rien d’autre pour eux n’existe que les quatre planches de leur petite scène toute neuve et
dépourvue de tous les perfectionnements modernes, mais où déjà vit, brûle et s’élève cette chose
divine, ce don de la jeunesse et de la foi, cette promesse de vie: un esprit». JACQUES COPEAU, The
spirit in the Little Theatres, cit., p. 121.
110
molti chiamati, ma pochi eletti». La vocazione è qualcosa di piuttosto vago e indeterminato,
ma di forte e potente225.

In una conferenza successiva Copeau impiega termini e paragoni che


sembrano scelti appositamente per lasciar trasparire una sorta di comunanza tra la
vocazione professionale e la vocazione spirituale. Vocaboli come sacrifice,
transfiguré, âme, esprit, ma soprattutto considerazioni legate all’emozione religiosa
che suscita il teatro, si ritrovano disseminati nel testo:

Occorre donare la nostra vita. Mi rivolgo a voi, giovani attori e studenti, e vi dico che non
farete niente di straordinario se non donerete la vostra vita. […] Per la purezza del teatro, la
sua grandezza vivente e la sua poesia, non è solamente della vostra intelligenza e del vostro
talento che abbiamo bisogno, ma di tutta la vostra persona, di tutta la vostra vita, di un
gioioso sacrificio. […] Sappiamo che per raggiungere questo grado di bellezza
nell’interpretazione occorre che un’ispirazione sovrana dia l’impulso alla respirazione, ai
discorsi e ai movimenti di un gruppo di uomini e di donne trasportati e trasfigurati
dall’amore per ciò che fanno. Sappiamo che il teatro d’oggi può essere ancora la celebrazione
che era nelle grandi epoche, che può destinarci ad una emozione che chiamo religiosa,
purché lo spirito sia ritrovato, purché una forza spirituale animi il sapere e il dono, e noi
sappiamo che la potenza di un tale jeu e la sua forza persuasiva sono in proporzione diretta
con la convinzione e l’amore nell’anima di coloro che jouent. […] Non vorrei che trovaste
eccessivo e quasi ridicolo questo avvicinamento del nostro lavoro profano a una missione
divina226.

225
«La vocation, du latin vocare c’est l’appel; avoir une vocation c’est être appelé. Et il y a quelque
chose de forte et de puissant dans ce terme qui rappelle celui de la Bible: “Il y aura beaucoup
d’appelés mais peu d’elus”. La vocation c’est quelque chose d’assez vague et indétermine, mais de
forte et puissant». Boîte 7, cartella 10, p. 1 fronte.
226
«Il faut donner notre vie. Je m’adresse à vous, jeunes acteurs et étudiants, et je vous dis que vous
ne ferez rien d’extraordinaire si vous ne donnez pas votre vie. […] pour la pureté du théâtre, sa
grandeur vivante et sa poésie, ce n’est pas seulement de votre intelligence et de votre talent que nous
avons besoin, mais de toute votre personne, de toute votre vie, d’un joyeux sacrifice. […] Nous
savons que pour atteindre à ce degré de beauté dans l’interprétation il faut qu’une inspiration
souveraine donne le branle à la respiration, aux discours et aux mouvements d’un groupe d’hommes et
de femmes transportés et transfigurés par l’amour de ce qu’ils font. Nous savons que le théâtre
d’aujourd’hui peut être encore la célébration qu’il était aux grandes époques, qu’il peut nous affecter
d’une émotion que j’appelle religieuse, pourvu que l’esprit soit retrouvé, pourvu qu’une force
111
L’accostamento fra teatro e sfera sovramondana non deve essere frainteso.
Per il regista non vi è un’energia divina che si manifesta nello spettacolo, il
riferimento alla religione deve intendersi piuttosto come similitudine ad una missione
alla quale tutta la vita va sacrificata con gioia, in uno spirito di abnegazione e umiltà:
«Occorre che ciascuno di voi, nel segreto della sua anima, sia un eroe. Direi anche,
se non credessi di essere mal compreso, e lo dico a mezza voce, in confidenza: un
eroe… e un santo per se stesso»227.
Il passaggio di una conferenza datata 1918 e destinata al pubblico americano
introduce un ulteriore approfondimento. In questa occasione Copeau parla di coloro
che desiderano rivoluzionare il teatro, mettendo su due piani differenti i teorici e i
travailleurs, con uno scacco matto che conferma vincitrice l’azione sulla polemica
inerte:

Siamo in molti, nei due mondi, a inseguire, sia isolatamente, sia in gruppo, questo
rinnovamento del teatro, il cui programma è semplice e netto, ma la cui realizzazione è ardua
e complicata. Ci sono, fra noi, dei teorici, spiriti assoluti e intransigenti, staccati dalla vita,
poco preoccupati di lottare con lei e di subirne i danni, ostili a tutto ciò che è, critici spietati,
che seminano idee feconde e ancora irrealizzabili, i quali profetizzano un teatro dell’avvenire
la cui fondazione non esiste ancora sul suolo reale. Altri lavoratori, meno geniali forse, ma
più modesti, più umani, più innamorati della vita e delle sue precarie realizzazioni, vogliono
tentare la fortuna del combattente con le armi di cui dispongono, e di mettersi all’opera con le
attrezzature imperfette di cui sono dotati. Rischiano di essere disprezzati, ripudiati dalla
massa stagnante, a cui disturba la routine, e dai pionieri intrattabili che non vedono

spirituelle anime le savoir et le don, et nous savons que la puissance d’un tel jeu et sa force persuasive
sont en proportion directe de la conviction et de l’amour dans l’âme de ceux qui jouent. […] Je
voudrais que vous ne trouviez pas excessif et presque ridicule ce rapprochement de notre tâche
profane avec une mission divine». JACQUES COPEAU, Conférence au Laboratory Theatre, cit., pp.
138-140. I corsivi delle parole in italiano sono nostri.
227
«Il faut que chacun de vous, dans le secret de son âme, soit un héros. Je dirais même, si je ne
craignais d’être mal compris, et je le dis à mi-voix, en confidence: un héros… et un saint pour soi-
même». JACQUES COPEAU, Conférence à la Drama League of America, cit., p. 109. A proposito
del tema religioso e del rapporto tra estetica ed etica, in cui Copeau assimila la lezione platonica della
coincidenza tra bello e bene, cfr. CLÉMENT BORGAL, Jacques Copeau, cit., pp. 179-184.
112
soddisfatte le loro alte esigenze. Questi sono i sacrificati, coloro che respirano un’aria
intossicata ma sanno difendersi contro la sua malignità, coloro che avanzano un passo alla
volta su un terreno cedevole, coloro che difendono giorno per giorno il loro lavoro
minacciato e le povere piccole conquiste amaramente contese. Ma essi mostrano il cammino.
E a poco a poco la compagnia di coloro che li seguono si ingrossa. Qualcuno cade. Altri li
rimpiazzano. Lo stesso spirito condurrà più lontano i nuovi venuti, purché essi abbiano forza,
perseveranza, abnegazione. Niente di vitale, niente di grande né di durevole si compie sulla
terra che non sia frutto di sacrificio e di comunione. Per creare occorre prima di tutto avere il
dono umano, essere uomo fra gli uomini 228.

L’artista è apostolo dell’arte drammatica solo quando persevera nel cammino


per diffonderla, anche in seguito alle difficoltà e alle amarezze. Essere derisi e
abbandonati, vittime della incomprensione e di alcuni momenti di smarrimento, fa

228
«Nous sommes beaucoup, dans les deux mondes, à poursuivre, soit isolément, soit par groupes,
cette rénovation du théâtre, dont le programme est si simple et si net, mais dont la réalisation est si
compliquée et si ardue. Il y a, parmi nous, des théoriciens, esprits absolus et intransigeants, détachés
de la vie, peu soucieux de lutter avec elle et de subir ses atteintes, hostiles à tout ce qui est, critiques
impitoyables, semant des idées fécondes et encore irréalisables, prophétisant un théâtre de l’avenir
dont la première fondation n’est pas encore assise sur le sol du réel. D’autres travailleurs, moin
géniaux peut-être, mais plus modestes, plus humains, plus amoureux de la vie et de ses précaires
réalisations, veulent tenter la chance du combat avec les armes dont ils disposent, et se mettre à
l’ouvrage avec les outils imparfaits dont ils sont pourvus. Ils risquent d’être méconnus, répudiés à la
fois par la masse stagnante dont ils dérangent la routine, et par ces pionniers intraitables dont ils ne
satisfont pas la hautaine exigence. Ce sont les sacrifiés, ceux qui respirent un air empoisonné mais
savent se défendre contre sa malignité, ceux qui avancent pas à pas dans un terrain défoncé, ceux qui
défendent au jour le jour leur travail menacé et leurs pauvres petites conquêtes amèrement disputées.
Mais ils montrent le chemin. Et peu à peu la troupe de ceux qui les suivent grossit. Quelques-uns
tombent. D’autres les remplaceront. Le même esprit conduira plus loin les nouveaux venus, pourvu
qu’ils aient la force, la persévérance, l’abnégation. Rien de vital, rien de grand ni de durable ne
s’accomplit sur terre qui ne soit le fruit du sacrifice et de la communion. Pour créer, il faut, avant tout,
avoir le don humain, être un homme parmi les hommes». JACQUES COPEAU, Conférence à la
Drama League of America, cit., pp. 130-131. Fare dell’attore «un homme parmi les hommes» è un
concetto ripreso anche nel 1923 in Discours au public nel quale aggiunge: «rendre enfin au théâtre sa
dignité de grand art et, permettez-moi d’ajouter, sa mission religieuse qui est de relier entre eux les
hommes de tout rang, de toute classe, j’allais dire – et je dois le dire ici – de toute nation». JACQUES
COPEAU, Discours au public, cit., p. 40.
113
parte del percorso di chi abbraccia una vocazione, perché il sacrificio di se stessi è
naturalmente insito nella “chiamata” e va semplicemente compreso nella propria vita,
come si accetta la solitudine degli eletti.

Oltre la scuola: la volontà del sacrificio e il valore della comunità

Prima di essere un istituto preposto all’insegnamento del mestiere dell’attore,


la scuola del Vieux-Colombier è una fucina di giovani entusiasti, in cui sviluppare e
condividere, senza fretta e senza vanità, le capacità e l’amore per l’arte.
Allo stesso modo in cui sollecita l’unione dei vari teatri in una grande
comunità culturale, che, rispettando le differenze, garantisca il confronto e lo
sviluppo, Copeau si impegna perché una compagnia di teatro ponga nel gruppo le
basi della sua evoluzione. Per il regista, infatti, l’apprendimento non prescinde dal
contesto relazionale, che diviene elemento precipuo di sviluppo. Sin dall’esperienza
al Limon, il metteur en scène intuisce la virtù educativa del lavoro condiviso,
comunitario, come ricorda nel 1921: «Ho potuto dirmi che la mia prima concezione
non era affatto falsa, che occorreva mantenere a tutti i costi questa comunità, questa
continuità d’influenza di una stessa volontà sugli stessi individui»229. Inizia così a
prendere forma l’idea di una confraternita, di un gruppo separato e autoregolantesi
all’interno del quale il clima di accettazione e fiducia stimoli lo sviluppo armonico
del singolo.
L’idea viene maturata da Copeau e proposta in modo più articolato negli anni
a venire. All’interno del cahier sull’École, dopo aver ricordato le origini di questo
pensiero, lo sviluppa nel modo seguente:

229
«Et j’ai pu me dire que ma conception première n’était point fausse, qu’il fallait maintenir à tout
prix cette communauté, cette continuité d’influence d’une même volonté sur les même individus».
CVC2, p. 29. Marco Consolini interpreta la costante ricerca di Copeau di costituire una comunità come
il tentativo di ritrovare lo spirito di unione che aveva caratterizzato la prima stagione della compagnia,
spezzato dalla tragedia della prima guerra mondiale. Cfr. MARCO CONSOLINI, Rivolte, utopie e
tradizioni nel teatro francese, cit., pp. 331-433.
114
È certo che un attore di nostra scelta – purché non ci sbagliamo sulla scelta – che entra al
Vieux-Colombier, si trova dopo un po’ di tempo modificato, e qualche volta trasformato. È
per l’atmosfera che respira, per le qualità dei compagni e degli esempi che incontra o delle
preoccupazioni generali che vi regnano, per la natura del repertorio che interpreta, per il
modo in cui viene guidato il lavoro? È per il sentimento acquisito di appartenere a una
comunità in cui niente di ostile lo minaccia, in cui la sua personalità si trova
contemporaneamente rispettata e guidata, dove tutto infine vuole contribuire ad aumentare il
suo benessere e il suo valore come uomo e come artista?230.

Non deve ingannare la formulazione interrogativa: Copeau trasforma in un


vero e proprio pilastro educativo l’intuizione iniziale del 1913: il sentimento di
appartenere ad una comunità, di contribuirne allo sviluppo e di essere
contemporaneamente compreso nella propria unicità, genera un sentimento di gioia
che è di per sé trasformativo. La sua importanza è tale da condizionare anche la
scelta dei suoi componenti: «Scegliamo i nostri allievi secondo il loro grado di
educabilità, il carattere, l’origine, le qualità o attitudini individuali, e in vista
dell’insieme armonioso che la loro riunione deve formare»231.
Il senso più profondo di questa microsocietà per Copeau è fornito in una
conferenza del 1931, oggi pubblicata all’interno di Souvenirs:

L’importante non era mettere in valore individui eccezionali, ma raccogliere, far vivere in
accordo e istruire una compagnia. Direi, in termini più appropriati, in termini drammaturgici,

230
«Il est certain qu’un comédien de notre choix – pourvu que nous ne nous soyons pas trompés dans
ce choix même, - qui entre au Vieux-Colombier, s’y trouve dans un temps assez court modifié, et
quelquefois transformé. Est-ce par l’atmosphère qu’il y respire, par la qualité des camaraderies et des
exemples qu’il y encontre ou des préoccupations générales qui y règnent, par la nature du répertoire
qu’il interprète, par la méthode et la direction du travail? Est-ce par le sentiment qu’il y acquiert
d’appartenir à une communauté où rien d’hostile ne le menace, où sa personnalité se trouve à la fois
respectée et dirigée, où tout enfin veut contribuer à augmenter son bien-être et sa valeur comme
homme et comme artiste?». CVC2, p. 30-31.
231
«Nous choisirons nos élèves selon leur degré d’éducabilité, d’après leur caractère, leur origine,
leurs qualités ou aptitudes individuelles, et en vue de l’ensemble harmonieux que leur réunion doit
former». CVC2, p. 38.
115
che si trattava di formare un coro, nel senso antico. [...] Il coro è la cellula madre di ogni
poesia drammatica232.

Prendiamo in considerazione anche un importante passaggio della conferenza


americana del 1917. Qui il regista tratteggia un programma di vita e lavoro
coincidenti: «Virtù nel lavoro costante; nel lavoro in comune e nella ricerca
d’omogeneità [...]. Vita insieme, affetto reciproco e diretto dei servitori della scena,
niente gelosie, pasti in comune»233. Se ne trae che l’educazione drammatica è
strettamente connessa alla vita quotidiana e alle sue relazioni, così come Copeau
conferma anni più tardi, in un’intervista di Silvio D’Amico, raccontando la scelta del
trasferimento in Borgogna:

Un’educazione completa dell’attore richiede che tutta la sua vita sia dedicata all’arte, e io non
potevo trattenere con me gli allievi se non alcune ore. Bisognava che io li avessi tutti e
sempre con me, in una sorta di convitto o di comunità artistica. Ed è quello che ho fatto
ritirandomi in provincia234.

Questa sorta di sovrapposizione fra mestiere e vita235, intesa come totale


consacrazione all’arte è un tema sentito nel mondo teatrale novecentesco. I maestri

232
«L’important n’était pas de mettre en valeur des individus exceptionnels, mais d’assembler, de
faire vivre d’accord et d’instruire une équipe. Je dirais en meilleurs termes, en termes dramaturgiques,
qu’il s’agissait de former un chœur, au sens antique. [...] le chœur est la cellule-mère de toute poésie
dramatique». SOUVENIRS, p. 92.
233
«Vertu dans le travail constant; dans le travail en commun et recherche d’homogénéité; [...] La vie
ensemble, l’affection réciproque et vis-à-vis des serviteurs de la scène, pas de jalousies, repas ne
commun». TROISIÈME CONFÉRENCE, p. 509.
234
Jacques Copeau nell’intervista condotta da Silvio D’Amico e riportata con il titolo La scuola di
Copeau, in SILVIO D’AMICO, Tramondo del grande attore, Firenze, La Casa Usher, 1985, pp. 152-
154.
235
Vale la pena sottolineare che questo stesso sconfinamento si riflette anche nell’estetica di
Vachtangov dopo il 1918. Ribaltando il sistema di Stanislavskij, egli sostiene che l’attore, prioritario
rispetto al personaggio, non deve avvicinarsi ad esso facendo ricorso ad elementi della propria
interiorità, ma adattare il personaggio a sé. Ciò significa saperlo vivere come in qualsiasi contesto e
situazione, sino a poterlo agire anche oltre il testo (non il senso) dato dall’autore, riscrivendo la parte
con parole proprie.
116
russi sono fra i più ferventi sostenitori di una filosofia teatrale che coinvolge tutto
l’essere e si alimenta all’interno di una comunità-laboratorio. Con l’espressione
laboratorio si intende uno spazio e un tempo di esercizio, scoperta e sperimentazione
delle potenzialità personali e di gruppo, uno studio consapevole dei meccanismi che
sottendono il processo creativo, senza che ci sia una diretta relazione con
l’allestimento di uno spettacolo specifico.
Copeau ha conoscenza di Stanislavskij e di Mejerchol’d, dei quali non nega il
fascino e l’influenza esercitati su di lui: da una parte apprezza l’etica e il rigore
stanislavskiani, dall’altra il lavoro fisico e la pratica dell’improvvisazione
nell’educazione attorica di Mejerchol’d. È necessario però far notare quanto
l’intensità pedagogica, caratteristica centrale nel lavoro del regista francese, ed
esercitata all’interno di una comunità di artisti in cui crescita individuale e collettiva
si fondono, assimili Copeau anche alle figure di Leopol’d A. Suleržickij e di Evgenij
B. Vachtangov, che gli studi teatrali hanno lasciato maggiormente in ombra, e di cui
il regista francese non conosce probabilmente il pensiero. Egli non ci consegna infatti
nessun riferimento, neanche parziale, a questi due grandi artisti del teatro russo. Del
resto se Suleržickij viene a mancare nel 1916, lasciando ricordi importanti fra i
collaboratori ma nessuno scritto, lo stesso Vachtangov, morto giovanissimo, nel
1922, non ebbe la possibilità di fissare in un testo teorico compiuto la sua poetica e la
traduzione dei suoi diari risale a tempi più recenti236. La conoscenza indiretta di Suler
da parte di Copeau potrebbe essere avvenuta non solo tramite Stanislavskij, ma anche
tramite Gordon Craig, che, conosciuto Suler a Mosca per la messinscena di Amleto,
potrebbe averne parlato al regista francese prima che Copeau lo conoscesse
attraverso gli studi di Stanislavskij. Vista l’inesistenza di qualsiasi testimonianza in
tal senso tra le carte di Copeau esaminate, l’ipotesi appare poco probabile. La stessa
conclusione si può trarre per la conoscenza di Vachtangov. Se, dunque, tra Copeau e
i due artisti russi si riscontra una consonanza, essa dev’essere il frutto di un comune
sostrato culturale più che di un’influenza diretta.
Suleržickij, di fede tolstoiana, sogna una congregazione di artisti devoti
all’arte teatrale, che vivano e lavorino assieme, lontano dalle scene ufficiali,

236
In Russia la prima edizione di documenti del regista russo Vachtangov risale al 1939.
117
impegnati, quando non si preparino allo spettacolo, a lavorare la terra. Il ricordo del
lavoro di Suler è raccolto da Stanislavskij e consegnato al lettore nel tentativo di non
lasciare all’oblio la figura di un uomo carismatico e importante per gli allievi del
Teatro d’Arte:

L. A. Suleržickij sognava di creare insieme con me qualcosa come un ordine spirituale di


artisti. [...] I mezzi per tale studio fuori città si sarebbero ricavati non solo dagli spettacoli, ma
anche dai prodotti agricoli: in primavera e in estate durante la semina e la mietitura, i lavori
dei campi dovevano essere fatti dagli studenti stessi. Ciò avrebbe avuto una grande
importanza per lo stato d’animo generale e per l’atmosfera di tutto lo studio: la gente che si
incontra normalmente nell’ambiente snervante delle quinte non può stabilire quegli stretti
rapporti amichevoli, che sono necessari a una comunità di artisti. [...] D’inverno, invece, nel
tempo libero dal lavoro creativo, i membri dello studio avrebbero dovuto lavorare sulla
messinscena delle opere, cioè, dipingere gli scenari, cucire i costumi, fare i modelli, ecc 237.

Un’esperienza fu tentata per due o tre anni con un gruppo di studenti che,
guidati da Suler, si trasferirono in Crimea, sulla riva del Mar Nero, costituendo una
piccola comunità in cui ognuno contribuiva, con il compito che gli era stato
assegnato, alla sopravvivenza e al mantenimento dell’ordine “familiare”238.
Dello stesso spirito comunitario e di dedizione è intrisa la poetica di
Vachtangov che da Suler assorbe «un rigore morale assoluto nella professione e una
dedizione mistica al lavoro»239, tanto da essere definito dagli studiosi che se ne sono
occupati come il maggior seguace dell’aiuto regista di Stanislavskij240.

237
KONSTANTIN S. STANISLAVSKIJ, La mia vita nell’arte, Torino, Einaudi, 1963. Citazione alle
pp. 432-433.
238
L’esperienza è brevemente descritta in ivi, p. 433.
239
FAUSTO MALCOVATI, Alla scoperta di Vachtangov, in «Quaderni Teatro», n. 9, agosto 1980,
pp. 16-23. Citazione a p. 16.
240
Fausto Malcovati fa giustamente notare che quando si parla di “etica” nel teatro russo degli inizi
del secolo il primo nome è certamente quello di Konstantin Sergeevič Stanislavskij, che dedica uno
scritto preciso alla questione: KONSTANTIN S. STANISLAVSKI, Etica, in KONSTANTIN S.
STANISLAVSKIJ, L’attore creativo, Firenze, La Casa Usher, pp. 153-180. Tuttavia è Vachtangov a
sviluppare questo concetto all’interno dei suoi Studi sino all’estremo. La prima pubblicazione di
alcuni testi di Vachtangov risale alla fine degli anni trenta (EVGENIJ B. VACHTANGOV, Zapiski.
118
In una lettera molto intensa e appassionata all’allieva Strarobinec dello Studio
Habima, Vachtangov rivela tutto il suo attaccamento, dai caratteri quasi morbosi, al
lavoro teatrale:

Riflettete a fondo su questa domanda: amate il teatro al punto da servirlo, da considerarlo la


cosa più importante della Vostra vita terrena, quella stessa vita che viene data una volta sola?
Oppure c’è qualche altra cosa per cui ritenete necessario vivere, che rende degna la Vostra
vita terrena e davanti a cui il teatro passa in secondo piano e diventa inutile, come un
bell’ornamento per le giornate che con gioia dedicate a quello che per Voi è importante? Se
alla prima domanda risponderete affermativamente, se l’arte del teatro è per Voi la cosa più
importante, riflettete: date a questa cosa tanto importante tutto ciò che è indispensabile
affinché sia degna del posto che le concedete nella Vostra vita? Le cose importanti
richiedono sempre molto. Le cose importanti richiedono sacrificio. In nome di ciò che è
importante si sacrifica tutto il resto241.

Così, com’è per l’École du Vieux-Colombier, l’ammissione allo Studio


Vachtangov, oltre ad un esame volto ad accertare le competenze teatrali, ha lo scopo
di esaminare la personalità dell’allievo, la sua situazione personale e la
predisposizione al lavoro di gruppo242. Già in una lettera del 1912 il regista russo lo
mette in evidenza: «Tutti amici. Dolcemente, con discrezione ci avviciniamo

Pis’ma. Stat’i, Moskva-Leningrad, Iskusstvo, 1939). La conoscenza italiana di Suleržickij si deve


invece ad Angelo Maria Ripellino, in ANGELO MARIA RIPELLINO, Il trucco e l’anima, Torino,
Einaudi, 1965, pp. 213-222.
241
Evgenij B. Vachtangov, lettera a R.M. Starobinec, datata 1 novembre 1918, pubblicata in italiano
in EVGENIJ B. VACHTANGOV, La gioia della scena. Diari, lettere, appunti di lavoro, a cura di
Fausto Malcovati, Pozzuolo del Friuli, Il Principe Costante, 2002, pp. 57-59. Citazione a p. 58. Si
legga anche: «Se non fossi entrato al Teatro d’Arte la mia vita sarebbe stata vuota. Tutto quello che so
l’ho imparato lì, lì mi sono purificato a poco a poco, lì ho capito il senso della mia vita». Lettera di
Vachtangov a Nemirovič-Dančenko datata 17 gennaio 1919 e pubblicata in EVGENIJ B.
VACHTANGOV, Il sistema e l’eccezione, a cura di Fausto Malcovati, Firenze, La Casa Usher, 1984,
pp. 172-173. Citazione a p. 173.
242
Cfr. FABIO MOLLICA, Tappe della vocazione teatrale di E.B. Vachtangov, in «Teatro e Storia»,
n. 2, ottobre 1990, p. 214, che in FAUSTO MALCOVATI, Alla scoperta di Vachtangov, cit. Così
come per Copeau anche per Vachtangov ci sono sconosciuti i criteri di questa valutazione, che
probabilmente si basava su un certo intuito nutrito dall’esperienza.
119
all’animo di ognuno. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro. Sinceri e affettuosi.
Sensibili alla sacralità»243. Ma ancora più forti e inequivocabili sono le parole scritte
ad un’allieva, nel 1915: «Credete in una cosa ancora: il teatro, nell’accezione
positiva della parola, è un fenomeno collettivo e dipende dal gruppo che lo fa. La
ricerca è possibile laddove esista un gruppo stabile e non in continuo mutamento»244.
Il teatro è lavoro d’insieme e gli attori devono essere preparati non solo sul piano
teatrale e artistico, ma anche morale245.
Sono le parole di Fausto Malcovati, conseguenti ad un lungo lavoro di
ricerca, a portare a galla le scelte etiche di Vachtangov, permettendo di riconoscerlo,
più dello stesso Stanislavskij, come il regista pedagogo per eccellenza:

Il buon attore deve cominciare ad essere un uomo buono. È curioso leggere i rimproveri fatti
in certe lettere ai membri dello Studio: scortesie, scorrettezza, eccessiva famigliarità, il tutto
viene denunciato come indice di “non studietà”, di mancanza di coscienza nei confronti di
tutto lo Studio. E la rettitudine, la coerenza, la solidarietà erano virtù tassativamente richieste,
non solo auspicate all’interno dello Studio. Tanto da sottoporre ad una minaccia di espulsione
il trasgressore. E anche in questo senso, il criterio di ammissione di permanenza nello Studio

243
Lettera alle attrici V.V. Sokolova e V.A. Alechina in risposta alla loro richiesta di guidare uno
Studio, datata 8 maggio 1912 e pubblicata in EVGENIJ B. VACHTANGOV, La gioia della scena
[...], cit., p. 19 e EVGENIJ B. VACHTANGOV, Il sistema e l’eccezione, cit., pp. 182-183.
244
Lettera ad un’allieva dello studio Vachtangov datata 10 luglio 1915 in EVGENIJ B.
VACHTANGOV, La gioia della scena, cit., p. 25 e EVGENIJ B. VACHTANGOV, Il sistema e
l’eccezione, cit., pp. 200-201.
245
EVGENIJ B. VACHTANGOV, Il sistema e l’eccezione, cit., p. 175. Le micro comunità di attori
non sono prerogativa del Novecento. Le compagnie di giro o le famiglie di attori settecentesche e
ottocentesche vivevano come comunità a sé stanti, spesso ritenute inferiori dalla società ed
emarginate. Prima del XX secolo i gruppi di attori erano connotati in senso negativo e il legame che li
univa era legato a questioni di sopravvivenza economica e sociale. La novità dei gruppi novecenteschi
consiste in un modo radicalmente nuovo di percepirsi e di costruire un’immagine verso l’esterno.
Senza negare un rapporto costruttivo con il pubblico, in un processo di inclusione e condivisione,
l’attore sente la necessità di una specificità riconosciuta, da costruirsi in un gruppo appartato, distinto
dalla società dei non-attori, facendone non solo il luogo dell’identità, ma anche quello privilegiato
della ricerca e dell’apprendimento. È sempre maggiore la consapevolezza che la trasmissione di un
sapere passa anche attraverso la relazione. Cfr. MIRELLA SCHINO, Contrattore e attore-norma.
Una proposta di continuità, in «Teatro e Storia», n. 17, 1995, pp. 56-63.
120
non era subordinato all’effettivo talento teatrale dell’individuo. Anzi: lo Studio doveva
servire da aiuto in un’esistenza senza amore, da punto fermo in un mondo senza fede. Gli
allievi imparavano a stare insieme a rispettarsi, a soccorrersi, a parlare, a discutere, a
sperimentare. L’obbedienza e l’amore per il mestiere erano sufficienti a giustificare la
presenza di chiunque. Il legame tra gli allievi non era di tipo artistico: era, ripeto, di tipo
etico. Non si estrometteva chi diceva male una battuta, ma chi non era solidale con il
compagno. Lo Studio di Vachtangov accolse così, nei nove anni di esistenza, personaggi
eterei che, fuori di lì, imboccarono poi le strade più diverse: alcuni rimasero nel teatro e
divennero attori professionisti. Molti però impararono da lui una partecipazione, un fervore,
una capacità di totale dedizione che portarono con sé, poi, per tutta la vita246.

Si ritrova nel lavoro del regista russo la stessa carica etica che caratterizza la
rivoluzione del Vieux-Colombier, lo stesso amore per l’allievo e il sacrificio
dell’individualità a guadagno del bene comune. Peculiarità presenti anche in
Stanislavskij, ma veri e propri pilastri in Vachtangov, le cui parole ricordano da
vicino quelle di Copeau. Si legga a questo proposito il pensiero di Copeau, qualche
anno dopo la fondazione del teatro:

Insisto su questo punto, che non solo le doti fisiche e intellettuali, non solo l’entusiasmo della
vocazione e l’autenticità del talento devono essere considerate nella scelta dei membri di una
compagnia di un teatro nuovo, ma anche soprattutto, almeno per cominciare, il valore umano
di ogni persona, la sua resistenza morale, la sua facoltà operativa in quanto membro di una
comunità in cui tutto deve tendere alla creazione e all’armonia 247.

Il volto pedagogico che queste comunità assumono è senz’altro un aspetto


nuovo, ma la fede riposta nella compagnia e la fiducia accordata all’allievo non si
risolvono mai in una gestione collettiva del gruppo. Da una parte l’inevitabile
presenza carismatica dei suoi fondatori, dall’altra la necessità di una guida che, anche
quando non fisicamente presente a seguire gli allievi, li amministri autorevolmente e
si riservi il diritto di confermare i principi guida. La comunità, sia di Vachtangov che
di Copeau, mantiene pertanto forti elementi eterodiretti. Vachtangov, dal letto di
ospedale, intesse una fitta corrispondenza con gli allievi, attento a mantenere il ruolo,

246
EVGENIJ B. VACHTANGOV, Il sistema e l’eccezione, cit., p. XX.
247
JACQUES COPEAU, Conférence au Laboratory Theatre, cit., p. 45.
121
a rinforzare il legame e ad ammonirli quando la tensione costruttiva si allenta,
quando i rapporti si diradano o prendono una piega ritenuta sbagliata, ricordando
l’impegno, perché la scuola funzioni, a rispettare i più vecchi, gli anziani, fra i quali,
sebbene non esplicitato, rientra anche lui. Ancora più marcata è la presenza del
regista francese all’École du Vieux-Colombier, che vigila sugli allievi affinché non si
esca troppo dall’imprinting dato, principio ordinatore di tutte le sperimentazioni che
si svolgono all’École. Il confronto, il dialogo, la costruzione in itinere del percorso,
non aprioristicamente definito e definibile, rimangono caratteristiche precipue della
sua scuola-comunità, ma solo a partire dalla condivisione dei medesimi precetti
artistici. Ne sono esempi Charles Dullin e Louis Jouvet, che, rotto il rapporto
simbiotico con la figura di Copeau, lasciano l’amato Patron e la sua impresa, pur
senza disconoscerne mai il contributo alla formazione artistica. Ne sono esempi Jean
Vilard, Léon Chancerel e Aman Maistre, attori dei Copiaus, che negli ultimi anni con
Copeau avvertono pesantemente la sua difficoltà a lasciarli condurre il lavoro con
una certa dose di autonomia248.
La vicinanza di Copeau alla teoria pedagogica dei maestri teatrali russi è
certamente motivo di interesse, ma non si può parlare di una vera e propria influenza,
che viene invece con buona probabilità esercitata dall’Unanimismo francese. Maria
Ines Aliverti, nell’introduzione all’ultima raccolta antologica di testi dell’autore offre
a proposito uno spunto di riflessione249: l’organizzazione comunitaria a cui il regista

248
Per i rapporti con i Copiaus cfr. JOURNAL COPIAUS.
249
Di Jacques Copeau Maria Ines Aliverti si è occupata per molti anni. Negli anni Ottanta pubblica
due saggi sugli spettacoli fiorentini di Copeau: Regia e Regime. Il caso Savonarola, in «Quaderni di
teatro», n. 9, agosto 1980, pp. 64-75 e Note e documenti sulla “Santa Uliva” di Jacques Copeau, in
«Teatro Achivio», n. 6, gennaio 1982, pp. 12-103. Segue la prima antologia italiana intitolata Il luogo
del teatro (Firenze, La Casa Usher, 1988), che raccoglie molteplici scritti tradotti per la prima volta in
italiano e pubblica la prima utile bibliografia critica sul regista francese. Nel 1997 pubblica con
Laterza Jacques Copeau, dedicato a ricomporre le tappe, l’evoluzione e la poetica dell’artista.
Ventun’anni dopo la prima antologia viene ripubblicata con maggiore accuratezza e completezza di
testi e fonti; il testo Artigiani di una tradizione vivente (Firenze, La Casa Usher, 2009) è preceduta da
una corposa introduzione che si sofferma in modo particolare sulla pedagogia di Copeau.
L’accostamento di Copeau all’estetica dell’unanimismo è ravvisato ancor prima da Maurice Kurtz, in
MAURICE KURTZ, Jacques Copeau. Biographie d’un théâtre, Paris, Nagel, 1950, p. 107.
122
francese aspira sin dai tempi del Limon, e che si realizza nella sua forma più evoluta
con il ritiro in Borgogna, manifesta consonanze con il movimento dell’Unanimismo,
fra i cui esponenti troviamo Jules Romains, Georges Duhamel, Georges Chennevière,
Charles Vildrac, tutti molto legati, com’è noto, a Copeau e all’École du Vieux-
Colombier.
Scegliere la vita “unanime” significa contemplare la possibilità dell’individuo
di crescere nel rapporto con un gruppo, nell’unità collettiva, che se da un lato
sacrifica qualcosa dell’uno, dall’altro gli conferisce una nuova completezza, più
elevata sia sul piano morale che intellettuale250. Lo spirito comunitario si compie solo
quando l’uomo acquista la consapevolezza della superiorità del gruppo, all’interno
del quale, per Romains, capostipite del movimento, deve esistere una figura guida,
solitamente quella del poeta, che sostiene il gruppo nella vie unanime, come nota
Anna Paola Mossetto Campra che, a partire da un testo sull’argomento di André
Cuisenier, individua in questo modo il pensiero di Romains:

La materia instabile delle «formes inférieures» raggruppamenti casuali e precari quali si


formano nelle piazze e nelle strade, incomincia ad un certo punto a «s’éclairer de pensée» per
merito di uno di quegli esseri innumerevoli che la compongono. Lo stesso avviene negli
«unanimes conscients», nei quali si elabora una coscienza collettiva: il sentimento, cioè, di
appartenenza ad un’anima comune, che nasce brusco ed effimero in ogni singolo membro
dell’assemblea, propagandosi e generando fusione fra tutti. In queste due forme di vita
sociale è dunque l’individuo che, prendendo atto del proprio io come parte di un insieme,
conferisce a questo insieme un’esistenza, almeno sul piano della conoscenza251.

Questa visione di Romains sarebbe intimamente in sintonia con il pensiero di


Copeau, per il quale il gruppo si stabilisce a partire dalla consapevolezza e
dall’accettazione di un’appartenenza, che viene però resa possibile dall’esistenza di
un “uno”, che, dall’interno, in quanto parte integrante del gruppo, si riconosce e

250
LEO SPITZER, l’Unanimismo di Jules Romains, in Marcel Proust e altri saggi di letteratura
francese moderna, Torino, Einaudi, pp. 187-188.
251
ANNA PAOLA MOSSETTO CAMPRA, Percezione e coscienza dell’Unanime nell’“Être en
marche” di Jules Romains e Georges Chenneviere, in JULES ROMAINS, Unanimismo, Roma,
Bulzoni, 1978, pp. 229-251. Citazione a p. 230.
123
viene riconosciuto garante della coscienza collettiva. Nel caso di Copeau si tratta
ovviamente di se stesso, figura di maestro e regista.

Lontano dal centro alla ricerca delle origini

Un rapporto contraddittorio con la capitale caratterizza la vita privata e


professionale di Copeau. A fine settembre 1910, dopo aver tanto desiderato un po’ di
tranquillità fuori Parigi, si insedia al Limon, in una casa situata nei pressi della Ferté-
sous-Jouarre, in collina, dotata di un giardino e di uno studio252. Nelle sue memorie,
nel corso di quell’anno, ricorre più volte l’ipotesi di un trasferimento in campagna,
immaginando di allevarvi i figli e di lavorare in un clima di solitudine e
raccoglimento. In tranquillità avrebbe potuto occuparsi dei suoi scritti. Il desiderio
diviene sempre più necessità ed egli inizia ad organizzare il ritiro dopo aver
guadagnato una piccola somma di denaro dalla vendita dello stabilimento paterno 253.
Copeau vive con la capitale un rapporto contrastato, ma proprio di molti intellettuali
del suo tempo: impossibile non lasciarsi sedurre dal fascino di Parigi, dalla sua
frenesia, dalla sua ricchezza intellettuale; la città lo inebria e lo ubriaca, ma al punto
a volte di spossarlo, stringendolo in una morsa dalla quale si libera solo con la calma
che gli procura il ritorno alla campagna, nelle passeggiate serali fra il paesaggio nero
e bianco del suo giardino. Per riposarsi da «Parigi che non cessa di vivere»254 il
252
Stava allora lavorando all'adattamento teatrale dei Fratelli Karamazov su incarico di Jacques
Rouché, che sarà messo in scena con grande successo di pubblico e critica.
253
Cfr. JOURNAL, appunti del 26 gennaio 1910 p. 455, del 27 gennaio 1910 p. 456, del 2 febbraio 1910
p. 458, 20 febbraio 1910 p. 462, 24 febbraio 1910 p. 463, 26 agosto 1910 p. 506. Più volte Copeau
all'interno del suo Journal esprime il bisogno di solitudine per riposarsi e meglio lavorare. Prima di
trasferirsi al Limon aveva già preso in affitto una casa in campagna (a Maisons-Laffitte), cfr. JOURNAL
17 aprile e 4 maggio 1908, pp. 404-405.
254
«Paris qui ne cesse pas de vivre. […] Ah! Que toutes ces forme set, vaguement, touts les
sentiments qu’elles couvrent, vivent dans mon cœur!...». («Ah! Che tutte queste forme e, vagamente,
tutti i sentimenti che esse ricoprono, vivano dentro il mio cuore»). JOURNAL, p. 521. Si vedano anche
le note del 5 novembre 1910 pp. 514-515, e del 13 gennaio 1911 p. 518. A Parigi, per motivi di lavoro
e di amicizia, continua a recarsi spesso, con soggiorni più o meno lunghi. Copeau lavora in campagna,
124
Limon diviene il luogo del rifugio.

Avendo faticato egli stesso a trovare la concentrazione al lavoro attorniato


dalla magica atmosfera parigina, nell’estate del 1913, in procinto di iniziare il lavoro
con gli attori radunati mesi prima, ritiene che la sistemazione adeguata sia lontano
dalla città e opera così il trasferimento di tutta la troupe al Limon, nella casa che
possiede già da qualche anno255. Fin dal principio, infatti, nel metteur en scène
francese il problema dell’entraînement dell’attore va affrontato in modo strettamente
connesso al luogo in cui deve avvenire. Sebbene dunque, ai tempi della fondazione
del Vieux-Colombier, non sia ancora definita una metodologia del lavoro d’attore, è
presente con fermezza la convinzione che la sua buona riuscita sia legata a particolari
condizioni di lavoro.
La semplice intenzione di allontanare la compagnia dalle distrazioni, non
basta però ad analizzare la scelta di Copeau. Il motivo ha infatti giustificazione più
profonda e risponde all'esigenza di tenerla al riparo dalla “fabbrica” commerciale che
il teatro rappresenta a Parigi: pur sapendo di non poter mantenere gli attori ad uno
stato di purezza (sebbene non ancora troppo famosi, ognuno di loro ha già calcato le
scene e, se non ancora saggiato, quanto meno visto la fastosità dei teatri dei
Boulevards) Copeau spera di inserirli in un’atmosfera propizia al loro sviluppo
umano e professionale.
Come si è visto e analizzato, sin dal principio il regista ritiene che il
risollevamento delle sorti del teatro sia dipendente da un cambiamento di cultura,
dell’attore e dello spettatore. Tuttavia, secondo la sua opinione, la superficialità
intellettuale pervade la società ad un punto tale che non è più possibile distinguere la
falsità portata in scena da quella che si genera nella vita quotidiana. Il circolo vizioso
così si compie: quando l’uomo è immerso in un determinato stato di cose la capacità
di interpretare ciò che lo circonda è viziata da tale condizione ed egli non è pertanto
più in grado di esigere qualcosa di differente. Il concetto emerge chiaramente nella

ma trova linfa vitale nella città e nelle sue amicizie. Già un anno dopo egli prospetta alla moglie
Agnes la possibilità di installarsi nuovamente in centro. Lettera di Agnes del 6 novembre 1911
riportata in JOURNAL, pp. 541-542.
255
Gli attori della compagnia si trasferiscono al Limon dal 30 giugno al primo settembre 1913.
125
definizione di cabotinage, principio base della poetica del regista:

Ma il cabotinage che cos'è? Non sappiamo più molto bene cosa sia, talmente ne siamo
saturati, infettati. Tutti si lamentano del cabotinage e ognuno è un po’ cabotin. Il cabotinage
è una malattia che non infierisce solo nel teatro. È una malattia dell’insincerità, o piuttosto
della falsità. Chi ne viene colpito cessa di essere un individuo autentico, un essere umano. È
svalorizzato, snaturato. La realtà esterna non riguarda più il cabotin. Non prova più
sentimenti. Al momento in cui nascono, si distaccano in certo modo dalla sua personalità. Il
cabotinage indica debolezza, povertà, piuttosto che perversità. Comporta tutti i gradi, tutte le
sfumature. Perciò dico che noi ne siamo avvelenati e che lo riconosciamo solo laddove la sua
smorfia è più volgare ed offensiva: a teatro, e tuttavia non sempre. Ma se avessimo
veramente la nozione di ciò che è la semplicità, nella sua grazia, nella sua libertà, nel suo
equilibrio, di ciò che è l'assenza totale, non dico di convenzione, ma di affettazione, di ciò
che è l'armonia nel carattere, nelle proporzioni, nel sentimento e nel gesto, non potremmo
neanche gettare gli occhi sulla scena, poiché vi vedremmo tutto corrotto, sofisticato,
menzognero256.

L’unica soluzione per evitare di cadere nel baratro dell’arte scenica


“mercantile” è allontanarsene, sviluppare un teatro sottratto alle dinamiche
commerciali. Un teatro “sano” non può crescere in un ambiente “malato” e così

256
«Mais qu’est-ce que le cabotinage? Nous ne savons plus très bien ce que c’est, tellement nous en
sommes saturés, infectés. Tout le monde se plaint du cabotinage, est tout le monde est un peu cabotin.
Le cabotinage est une maladie qui ne ravage pas seulement le théâtre. C’est la maladie de l’insincérité,
ou plutôt de la fausseté. Celui qu’elle atteint cesse d’être un individu authentique, cesse d’être un être
humain. Il est démonétisé, dénaturé. La réalité extérieure n’atteint plus le cabotin. Ses propres
sentiments il ne les éprouve plus. Au moment où ils naissent, ils se détachent en quelque sorte de sa
personnalité. Il implique de la faiblesse, de la pauvreté, plutôt que de la perversité. Il comporte tous
les degrés, toutes les nuances. C’est pourquoi je dis que nous en sommes empoisonnés et que nous ne
le reconnaissons que là où sa grimace est la plus grossière et la plus offensante: sur le théâtre, et
encore pas toujour. Mais si nous avions vraiment notion de ce que c’est que la simplicité, dans sa
grâce, dans sa liberté, dans son équilibre, de ce que c’est que l’absence totale, je ne dis pas de
convention, mais d’affectation, de ce que c’est que l’harmonie dans le caractère, dans les proportions,
dans le sentiment et dans le geste, nous ne pourrions même pas jeter les yeux sur la scène parce que
nous verrions que tout y est corrompu, sophistiqué, mensogner». JACQUES COPEAU, The spirit in
the Little Theatre, cit, p. 123.
126
l’educazione degli allievi, la formazione tecnico-morale e i rapporti fra gli individui
del gruppo di attori, devono trovare un contesto favorevole al loro sviluppo. Si tratta
di una concezione che ricorda molto l’educazione teorizzata da Jean Jacques
Rousseau, la sua idea di un “essere buono” per natura, la cui crescita può essere
garantita solo dall’isolamento temporaneo dai vizi sociali, per essere formato in un
ambiente adatto prima di organizzare il ritorno in società. Allo stesso modo, per
Copeau, l’allontanamento del gruppo, intenso sia in senso reale che metaforico,
prevede un ritorno, ma solo a seguito di una formazione abbastanza stabile e radicata
da non poter subire facilmente degenerazioni.
L’idea non abbandona Copeau nel corso degli anni, ma si acuisce sino a
condurlo ad una scelta radicale: la vendita di teatro e repertorio e il trasferimento in
Borgogna. La decisione realizza il progetto più radicato nella poetica del regista, alle
cui considerazioni precedenti si uniscono in questo momento nuove argomentazioni
legate ai movimenti del decentramento teatrale a favore di un teatro popolare.
Lungi dall’essere un aspetto banale o secondario, la scelta di abdicare a Parigi
in favore di un luogo più appartato, ha aperto fra gli studiosi delle riflessioni che
hanno posto Copeau all’interno di una corrente novecentesca definita da Cruciani
«fuga dal centro»257, concetto di cui andrebbe accuratamente indagato non solo il
significato fisico, ma anche metaforico. La fuga è il tentativo di ricostruire
un’identità, personale e sociale, di fronte all’acuirsi dell’individualismo da una parte,
e alla massificazione e alla perdita di sé dall’altra. Scrive Franco Cambi a proposito
della situazione del primo Novecento:

I comportamenti (individuali e sociali) e le mentalità si sono radicalmente trasformati nel


corso del secolo e in ogni area del globo. Si sono emancipati da tradizioni, da subculture, da
concezioni del mondo identiche e diffuse da secoli per assumere dimensioni del tutto inedite.
Prima di tutto si è esasperato l’individualismo. Poi è cresciuto l’edonismo. Infine si è dilatata
l’influenza della massa258.

258
FRANCO CAMBI, Manuale di pedagogia, cit., p. 272.
127
Tessere i fili della propria identità a contatto con un gruppo ristretto di
persone è un modo per ristabilire un centro nella perdita di sé, ritrovandolo in una
micro-società che condivide lo stesso humus culturale e che genera valori, attitudini e
rituali.
Il movimento dell’Unanimismo risponde certamente a questo tentativo, ed è
uno degli esempi possibili. Il Novecento ha infatti prodotto molti gruppi, micro-
società, associazioni, che pur senza chiudersi ai rapporti con l’esterno, permettono
scambi ridotti, consapevoli, mirati, con un’apertura cauta verso poche persone scelte,
e in cui l’essere diversi diviene un valore da proteggere. Questi gruppi spesso si
caratterizzano anche per la scelta alternativa del luogo di vita, che rifiuta la città nella
sua dimensione commerciale, affaristica, di superficialità di tempi e rapporti, per
ritrovare uno spazio nuovo nel contatto con la natura. Oltre all’esempio già gitato dei
giovani del Teatro d’Arte, è necessario ricordare una delle più radicali esperienze in
tal senso: il noto rifugio di Monte Verità, dove, fra gli altri, sceglie di abitare per un
certo tempo Rudolf von Laban. Qui l’attività pedagogica degli allievi è completata
dai lavori dell’orto, dalla preparazione di materiali e cibo, all’aria aperta, lontano dai
ritmi cittadini e dalle regole del vivere sociale, ritenute troppo rigide259.
L’elemento originale infatti, oltre a quello della dimensione comunitaria, è la
rivalutazione del rapporto Uomo-Natura, sia da un punto di vista pedagogico, che
poi, di riflesso, sotto il profilo artistico e culturale. Si hanno così esperienze che
vanno dalla nascita del movimento dei Boy Scouts, alle scuole sorte in campagna,
lontano dalla città, come quella del francese Edmond Demolis o del tedesco
Hermann Lietz, alla riscoperta dei flussi energetici del corpo collegati agli elementi
naturali; si pensi a certa modern dance o all’euritmia di Rudolf Steiner.
Successivamente questa “corrente” si sviluppa considerevolmente fino a
comprendere molte compagnie teatrali in cui, anche in mancanza di un reale
allontanamento dalla città, vi è una riorganizzazione interna che ricrea il gruppo

259
In italiano sull’argomento, Cfr HARALD SZEEMANN et al., Monte Verità: antropologia locale
come contributo alla riscoperta di una topografia sacrale moderna, Milano, Electa, 1978 e i saggi
della Casini Ropa. In particolare Il teatro nel diverso: gli stranieri di Monte Verità, in «Quaderni di
Teatro», n.12, maggio 1981 e l’intervento dal titolo Rudolf Laban: gli spazi della danza, in AA. VV.,
Rudolf Laban: gli spazi della danza, Atti del convegno omonino, 2002.
128
come un “mondo altro”, separato e parallelo; il pensiero va inevitabilmente, più tardi,
al Teatro Laboratorio di Grotowski, all’Odin Teatret, al Living Theatre.
Su questa linea troviamo anche l’esperienza di Copeau, in cui il valore della
comunità presenta un significato più definito rispetto alle esperienze
primonovecentesche, anticipando quelle citate della seconda metà del secolo. Per il
fondatore dell’École, creare un gruppo significa operare una distinzione, più o meno
stretta, più o meno strutturata, fra un “interno” e un “esterno”, e definirne i rapporti. I
contatti fra le due sfere sono di fondamentale importanza per il regista perché “il
pubblico”, “lo spettatore” viene selezionato per far parte, in tempi e spazi definiti,
della comunità di artisti.
Il processo di formazione deve essere “preservato”, cioè avvenire lontano,
anche fisicamente, da ambienti e principi non conformi alla filosofia e alla
metodologia del Vieux-Colombier, almeno sino alla completa maturazione del
gruppo. La paura del cabotinage, il timore di vedere vanificati i propri sforzi e
desideri, porta il regista a muoversi guardingo verso le molteplici figure che a vario
titolo ruotano attorno al teatro. Nonostante le dichiarazioni, le conferenze, gli articoli,
gli spettacoli, in cui espone le sue teorie e mostra le sue ricerche, pochi eletti
condividono lo studio e la sperimentazione quotidiana, che si consuma nel gruppo,
all’interno del quale insegnanti e allievi selezionati vengono invitati a guardare con
cautela verso l’esterno. Agli allievi è interdetto recitare in teatri esterni, e per i più
giovani fra loro la rappresentazione non è possibile neppure al Théâtre du Vieux-
Colombier, nel timore che il contatto con il pubblico possa turbare lo spirito della
loro formazione.

Delsarte e Copeau. La traccia di una via pedagogica all’arte

L’elaborazione della poetica teatrale di François Delsarte e quella di Jacques


Copeau parte da un presupposto condiviso: la critica all’insegnamento ufficiale del
Conservatoire. Il principale istituto preposto in Francia alla formazione del comédien
sarebbe colpevole di utilizzare una metodologia didattica basata su indicazioni

129
soggettive che i professori traggono dall’esperienza personale, e che, in assenza di un
metodo organicamente definito, divengono semplici convenzioni.
Negli anni Copeau fa più volte esplicito riferimento al Conservatoire, senza
cambiare opinione: questa istituzione «può produrre qualche virtuoso, ma non forma
veri servitori del Teatro, provvisti di quell’integrale cultura richiesta dalla loro
professione»260. Il regista francese lamenta una formazione deficitaria per il giovane
iscritto al Conservatoire, che si esercita su parti di pièces, l’insegnante come
modello, e termina la preparazione quando le capacità declamatorie e recitative si
sono conformate a quelle del maestro261. I forti dubbi verso questa istituzione, che
Copeau ritiene appesantita da una metodologia vecchia, non supportata dalla
disciplina e mancante di passione, vengono esplicitati con toni severi:

Il Conservatoire national non è più una scuola. Nessuna disciplina unisce i membri fra loro.
Nessuna dottrina domina l’insegnamento. Non vi presiede alcun metodo. Non c’è una scuola
in cui gli allievi parlino con più disprezzo dell’insegnamento che ricevono, in cui i professori
si rassegnino di più alla scarsa efficacia dei loro sforzi e, per la maggior parte, si
disinteressino del loro lavoro; in cui i metodi abbiano per risultato di sedimentare negli allievi
trucchi e tic […]; in cui infine i giovani che dovrebbero essere le nostre speranze di domani
soggiornino come in un luogo di passaggio, in un concorso a premi da cui uscire il prima
possibile conseguendo un pezzo di carta262.

260
JACQUES COPEAU, Leva teatrale 1934, in «Scenario», n. 1, gennaio 1934, pp. 1-4. Citazione a
p. 4. Con il termine “integrale” Copeau intende una cultura che integri aspetti pratici e teorici ad una
formazione etica sul valore dell’arte e del lavoro artistico.
261
Scrive Copeau: «L’élève travaille un rôle, ou plutôt une scène de son emploi. On le corrige. Il
ressasse le même texte. Il arrive à le dire à peu près comme son professeur. Trucs, tics, habitudes,
façons de faire». JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier. Note della conferenza tenuta al
Little Theatre di New York il 19 marzo 1917, in REG. VI ÉCOLE, pp. 171-180. Citazione a p. 174.
D’ora in poi JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, 1917.
262
«Le Conservatoire National n’est plus une École. Aucune discipline ne relie ses membres entre
eux. Aucune doctrine ne domine son enseignement. Aucune méthode n’y préside. Il n’y a plus d’École
là où les élèves parlent avec mépris de l’enseignement qu’on y reçoit; là où les professeurs se
résignent au peu d’efficacité de leur effort et, pour la plupart, se désintéressent de leur tâche; là où les
méthodes ont pour résultat certain d’encrasser les élèves de trucs et de tics […]; là enfin où les jeunes
êtres qui devraient être notre espoir de demain ne séjournent que comme dans un lieu de passage, dans
130
Le critiche delsartiane all’insegnamento del Conservatoire mettono in rilievo
gli stessi difetti di soggettivismo e incompletezza del metodo denunciati da Copeau.
Allievo dell’illustre istituto parigino per più di tre anni, Delsarte ricorda che ogni
professore gli suggeriva un differente tipo di recitazione, mandandolo nella
confusione più assoluta263. Quando successivamente, in una conferenza del 1855, si
ritrova a parlare dei clichés interiorizzati che guidano i movimenti del comédien in
scena, torna a criticare l’insegnamento nelle scuole d’arte: «Abbiamo visto [...] che la
maggior parte degli effetti consacrati nelle scuole speciali d’arte è basata
precisamente su manie di mestiere e, come tale, profondamente sbagliata»264. E
ancora, in una conferenza del 1865: «Il fatto è che l’arte, malgrado la sua antica
origine, è ancora, dal punto di vista della didattica, ignorata persino a chi la
professa»265.
Per entrambi gli autori, dunque, l’allievo uscito dal Consevatoire e dichiarato
pronto alla scena dal maestro, non ha in realtà sviluppato un metodo di lavoro,
nessuna dottrina è alla base dell’insegnamento ricevuto, ma possiede piuttosto un
bagaglio di trucchi e maniere, che deve autonomamente traslitterare da una parte
interpretata all’altra266.

une boîte à concours d’où il s’agit de sortir le plus vite possible en emportant un parchemin». CVC2,
pp. 19-20.
263
FRANÇOIS DELSARTE, Esthétique Appliquée. Des Sources de l’Art, in BATTAILLE, PRIVAT-
DESCHANEL, FÉVAL, DELSARTE, Conférences de l’Association Philotechnique. Année 1865,
Paris, Victor Masson et Fils, 1866, pp. 89-139. Estratti si trovano in ELENA RANDI (a cura di),
François Delsarte: le leggi del teatro. Il pensiero scenico del precursore della danza moderna, Roma,
Bulzoni, 1993, pp. 127-129 e 143-158, da cui sono prese tutte le citazioni in testo. L’episodio citato è
riportato anche in ELENA RANDI, Il magistero perduto di Delsarte. Dalla Parigi romantica alla
modern dance, Padova, Esedra, 1996. Citazione alle pp. 25-26.
264
FRANÇOIS DELSARTE, manoscritto di una conferenza tenuta nel 1855. Il passo riportato si trova
in ELENA RANDI, Il magistero perduto di Delsarte […], cit., p. 119. Pur non parlando
esplicitamente del Conservatoire ci sembra molto probabile, considerate anche le critiche precedenti,
che Delsarte parlando di «scuole speciali d’arte», includa in modo particolare l’antico istituto.
265
FRANÇOIS DELSARTE, Esthétique Appliquée. Des Sources de l’Art, cit., p. 144.
266
Il metodo adottato dal Conservatoire è indubbiamente funzionale al sistema teatrale basata su una
distribuzione per ruoli, ma la sua validità inizia a venir meno quando i personaggi, sempre più
131
Le considerazioni avanzate dai due autori aiutano a ricostruire un quadro sulle
metodologie di insegnamento al Conservatoire, ma si devono accostare con una certa
dose di criticità. Gli studi attuali consentono infatti di rivalutare il metodo di lavoro
del Conservatoire, o quanto meno di riconoscere delle modifiche rispetto agli
insegnamenti tradizionali, come suggerisce Elena Randi in uno studio che
approfondisce la questione degli emploi alla Comédie Française, istituto di cui
l’École de déclamation è serbatoio di attori:

Se un valet come Isidore Samson è il maestro di Rachel, cioè di una tragédienne, o, diversi
anni dopo, della coquette Pierrette Devoyod, il premier rôle tragique Talma era stato
l’allievo del comico Dugazon, illustre insegnante anche della amoureuse e coquette Mlle
Mars; mentre il comique Claude Cartigny prenderà lezioni dal père noble e confident Baptiste
ainé. Non c’è dunque una trasmissione da detentore anziano di un dato ruolo a detentore
giovane dello stesso ruolo: il maestro può frequentare, come attore, un emploi completamente
diverso da quello del discepolo, sicché poco verosimile appare l’idea che quest’ultimo erediti
degli ipotetici stereotipi recitativi propri del suo ruolo267.

In ogni caso si tratta di modiche aperture rispetto al processo rivoluzionario di


riformare la pedagogia attorica, a cui sia Copeau che Delsarte dedicano gran parte
dei loro studi. Il regista francese, sin dal principio, vede possibile la riforma del
teatro solo previa riforma dell’uomo nel teatro, ponendo l’attore al primo posto di
questa nuova educazione, e tutti gli sforzi, soprattutto a partire dal 1919, sono tesi
alla creazione di una scuola. Non da meno il fondatore dell’estetica applicata, che per

soggettivamente caratterizzati, rivelano una psicologia complessa e assolutamente originale. Scrive


ancora Copeau: «Le Conservatoire National n’est plus une École. Aucune discipline ne relie ses
membres entre eux. Aucune doctrine ne domine son enseignement. Aucune méthode n’y préside. Il
n’y a plus d’École là où les élèves parlent avec mépris de l’enseignement qu’on y reçoit; là où les
professeurs se résignent au peu d’efficacité de leur effort et, pour la plupart, se désintéressent de leur
tâche; là où les méthodes ont pour résultat certain d’encrasser les élèves de trucs et de tics […]; là
enfin où les jeunes êtres qui devraient être notre espoir de demain ne séjournent que comme dans un
lieu de passage, dans une boîte à concours d’où il s’agit de sortir le plus vite possible en emportant un
parchemin». CVC2, pp. 19-20.
267
ELENA RANDI, La Comédie-Française nei primi decenni dell’Ottocento, cit., p. 77.
132
gran parte della vita si dedica eslusivamente all’insegnamento e alla divulgazione
delle sue teorie sull’arte attorica, tenendo convegni, conferenze e lezioni.
Entrambi gli artisti non hanno lasciato scritti organicamente strutturati
sull’arte teatrale da loro elaborata, anche se per motivi profondamente diversi. Per
Delsarte, come evidenzia Elena Randi in uno dei libri dedicati all’estetologo, si tratta
di un netto rifiuto della scrittura a stampa, ritenuta “immobile”, e quindi incapace di
essere un adeguato mezzo per comunicare la natura profonda e divina dell’arte.
Questo pensiero, così radicale e negativo verso la forma scritta, è assente in
Copeau. Più volte egli esprime invece il sogno di produrre il grande romanzo della
sua vita e le pièces, edite ed inedite da lui composte, sono la prova non solo del
valore attribuito alla scrittura, ma anche dell’amore che le rivolge. Del resto il
Théâtre du Vieux-Colombier nasce proprio con l’intento di salvaguardare le grandi
opere drammaturgiche e di rinnovare le leggi e i contenuti della composizione
drammatica268.
Premesso questo, riteniamo che un approfondimento del pensiero di Delsarte
sul testo scritto, permetta di riconoscere alcuni principi che appartengono non meno
alla dottrina di Copeau. Il disconoscimento delsartiano del valore della scrittura
considera il rischio, insito nella sua struttura fissa, di privare l’insegnamento
dell’elemento dinamico, e di renderlo dunque inutile, se non addirittura dannoso
quando impartito in questa unica forma. È in questo snodo interpretativo che si
supera l’apparente diversità del pensiero fra Copeau e Delsarte, consentendo di
individuarne invece la coincidenza nel valore attribuito alla trasmissione orale, unica
modalità considerata valida nell’incontro tra maestro e discepolo.
La trasmissione diretta, vis à vis, presuppone la componente fondamentale
della relazione, assente nel testo scritto. Né in Delsarte né in Copeau troviamo per la
verità l’impiego di questo concetto, che tuttavia risulta implicitamente e fortemente
presente nel loro pensiero.
Prendiamo innanzitutto in considerazione un passaggio di Delsarte:

268
Per gli scritti editi ed inediti di Copeau cfr. MAURICE KURTZ, Jacques Copeau. Biographie d’un
théâtre, cit., appendice D, pp. 250-252 e NORMAN H. PAUL, Bibliographie Jacques Copeau, Paris,
Société Les Belles Lettres, 1979, pp. 33-62.
133
L’emozione, l’interesse e la persuasione, tali sono i fini primari dell’arte. Commuove per
mezzo dei suoni, con la voce: l’agente dell’emozione più potente è l’agente vocale. Interessa,
seduce lo spirito attraverso il linguaggio articolato, ma convince, persuade grazie al gesto.
Ecco il mezzo persuasivo per eccellenza. Vi sono dunque tre agenti: quello vocale, la parola
articolata e il gesto269.

L’estetologo fa qui esplicito riferimento allo scopo dell’arte, ma lo stesso concetto si


può trasferire alle modalità di insegnamento teatrale. Il maestro, infatti, per preparare
l’allievo all’elevatissimo compito di rilevare, ricomporre e rivelare i frammenti divini
sparsi nel mondo sensibile, non deve compiere lo stesso processo che l’artista
attiverà un giorno, a sua volta, con lo spettatore? Non deve emozionarlo, interessarlo
e persuaderlo? E come può farlo se non ponendosi di fronte all’allievo nella “trinità”
della sua persona, servendosi dei mezzi vocale, gestuale e fonetico?
Dagli scritti di Delsarte si apprende infatti che la riluttanza ad attribuire al
testo scritto capacità di trasmissione deriva dall’impossibilità per la parola fissata su
carta di essere tramite del Verbo divino, perché mancante di «gesto e d’accento»,
come scrive Umberto Artioli in un saggio270. Se la natura incompleta della scrittura è
dunque all’origine della scarsa considerazione che l’autore le rivolge, occorre, al
rovescio, vedere nell’unità di gesto, voce e parola, l’unica possibilità di veicolare un
insegnamento, che si realizza pertanto a condizione che ci sia la presenza viva di un
soggetto che si rivolge ad un altro.
Veniamo ora a Copeau, che in uno scritto tardo rivela: «I metodi tecnici della
scena non si dimostrano in un quarto d’ora. Ci sono qui, come altrove, segreti che
vengono dal cuore e che non sono molto trasmissibili. La qualità suprema di ogni
arte è ciò che c’è di inesprimibile»271. Tuttavia ben altre parole sono quelle che

269
FRANÇOIS DELSARTE, Cours de Mons. Delsarte, manoscritto parzialmente pubblicato in
ELENA RANDI (a cura di), François Delsarte: le leggi del teatro. [...], cit., pp. 158-164. Citazione
alle pp. 163-164.
270
UMBERTO ARTIOLI, Contro l’arbitrio del significante: Delsarte e l’estetica dell’espressione, in
Ivi, pp. 11-41.
271
«Les méthode techniques de la scène ne se démontrent pas en un quart d’heure. Il y a là comme
partout ailleurs des secrets qui viennent du cœur et qui ne sont guère transmissibles. La qualité
suprême de tout art est ce qu’il y a d’inexprimable». JACQUES COPEAU, Une rénovation
134
utilizza quando fa riferimento al rapporto con l’allievo, come in un scritto del 1929,
probabilmente il più maturo del regista sull’argomento:

L’arte di aiutare l’attore, di risvegliarlo, di sbrogliarne il cammino, è probabilmente quella


che ho praticato con più piacere e successo. È un’arte delicata. [...]. Le indicazioni devono
essere leggere. Più sono leggere, più sono efficaci. Si deve conoscere l’uomo o la donna a cui
ci si indirizza, e trattarli con tatto. Importa che anche loro vi conoscano bene, che vi amino, e
che vi accordino tutta la loro fiducia272.

Il passaggio citato, contestualizzato all’interno della poetica del fondatore del Vieux-
Colombier, porta a considerare il termine «inesprimibile» al di fuori del significato
letterario e ad interpretarlo come “non esprimibile in formule lapidarie, in tempi
brevi, con ricette facili, a parole”; la trasmissione è per il regista un processo
conoscitivo e trasformativo, in cui l’allievo è accompagnato all’apprendimento
tramite l’esempio personale e stimoli appropriati. Per certo presuppone la vicinanza
di una guida, la presenza costante di un maestro.
Accolte queste considerazioni, è chiaro che per Copeau come per Delsarte la
relazione sia considerata elemento principale del processo d’insegnamento, in quanto
produttrice di un significato che sostanzia il contenuto. Infatti, il progetto didattico di
entrambi gli autori non si esaurisce in un passaggio di informazioni di tipo
contenutistico fra l’insegnante e l’allievo, ma presuppone la comprensione e la
condivisione dell’humus filosofico, culturale, estetico che presiede le scelte di
didattica teatrale. Se per Delsarte docente e discente devono essere accomunati da
una profonda consonanza intellettuale, per Copeau essi devono essere intrisi di uno
stesso spirito, di una medesima concezione artistica.

dramatique est-elle possible?, in REG. I APPELS, pp. 253-273. Si tratta della conferenza tenuta il 16
febbraio 1926 a Bruxelles. Citazione a p. 183.
272
«L’art d’aider l’acteur, de lui révéler, de lui débrouiller son chemin, est peur-être celui que j’ai
pratiqué avec le plus de plaisir et de réussite. C’est un art délicat. [...]. Les indications doivent être
légères. Plus elles sont légères, plus elles sont efficaces. On doit bien connaître l’homme ou la femme
à qui on s’adresse, et les traiter avec tact. Il importe également qu’ils vous connaissent bien, qu’ils
vous aiment, et qu’ils vous accordent toute leur confiance». JACQUES COPEAU, Souvenirs pour la
Radio, in NOTES, pp. 41-44. Citazione alle pp. 42-43.
135
L’intima condivisione richiesta come presupposto dell’insegnamento riduce i
destinatari della formazione, motivo per cui, nonostante siano per entrambi numerosi
gli incontri pubblici, è nell’intimità di un insegnamento diretto a pochi o singoli
allievi che avviene la trasmissione del sapere al suo livello più profondo. Per Copeau
la scuola prende la forma di una comunità di artisti che condivide la quotidianità, il
lavoro, l’etica, sicché in riferimento al ritiro al Limon, alla scuola in rue Cherche-
midi e a quella in Borgogna si può parlare di vere e proprie congregazioni di artisti,
che ricordano l’amore per le confraternite di eletti amate da Delsarte, come mette in
evidenza Elena Randi:

Delsarte non è interessato alla comunicazione con le masse. Quel che conta, per lui, è la
discussione fra eletti, fra anime belle. [...] Le relazioni faccia a faccia avvengono di
preferenza all’interno di una cerchia selezionatissima di persone. Lo dimostra la passione per
le sette segrete, le confraternite, i clan ristretti273.

L’insegnamento, così come concepito da Delsarte e Copeau, basato sulla


relazione e sullo stretto rapporto di condivisione e fiducia, perde la mera funzione di
apprendimento per divenire formazione intesa come processo che nella preparazione
dell’attore non può prescindere dalla trasformazione della persona. In questo si
presenta un’ulteriore chiave di lettura per comprendere la grande differenza esistente
tra l’educazione teatrale dei due autori e quella sviluppata al Conservatoire, almeno
seguendo le indicazioni da loro fornite sull’istituzione parigina. Anche le lezioni
private ad aspiranti comédiens in uso nel Settecento e nell’Ottocento, impartite
dall’attore esperto al giovane allievo, sebbene consumate in incontri di tipo duale,
non sottintendono certo le stesse premesse.
Cerchiamo di approfondire la questione. È noto che le considerazioni di
Delsarte prendono le mosse dalla natura e dall’origine dell’uomo, che in quanto
riverbero del Divino è materia principale di studio, come lui stesso scrive, in seguito
ad un discorso approfondito sulla questione artistica: «Dopo aver così definito l’Arte,
esaminiamo la natura del suo oggetto. L’uomo costituisce questo oggetto, e, a questo

273
ELENA RANDI, Il magistero perduto di Delsarte, cit., pp. 80-81.
136
titolo, dev’essere specialmente studiato»274. L’interesse verso l’essere umano è
diretto anche ad una nuova educazione della funzione artistica e del ruolo dell’artista
all’interno dell’arte:

Se l’artista non si ponesse al di sopra di questa realtà più o meno deforme, se non
intravvedesse qualcosa di meglio foggiato di sé, e se, posto faccia a faccia con se stesso, non
si sentisse preso da un sentimento di profonda pietà, confessiamo, Signori, che sarebbe
difficile supporlo capace di elevarsi molto in alto. Per l’artista serio è dunque l’arte, non
l’uomo, a dover essere offerta all’ammirazione dell’uomo 275.

Poche pagine prima aveva denunciato la tendenza a vedere nell’arte solo il


riflesso di se stessi, sostenendo che questa direzione è reversibile: «La semplicità di
cuore e la retta volontà possono farne giustizia»276.
Per quanto riguarda Copeau, poi, si è già visto come siano molteplici i
riferimenti ad una presa in carico dell’uomo nella sua totalità, al fine di trasformarne
la mentalità e la “spiritualità”, svilupparne uno spirito contrario alla smorfia e alla
vanità, che lo conduca con umiltà e abnegazione a riconoscersi strumento e non fine
dell’arte277.
Per entrambi l’educazione teatrale non può pertanto prescindere da un
ripensamento dell’uomo, e non solo all’interno del fatto artistico. Come si constaterà,
si intravede in questo nuovo sistema di insegnamento, oltre ad una concezione
unitaria dell’individuo che si sta diffondendo in molte arti, a partire dalla danza,
anche il mezzo per infondere unità all’interpretazione: per Copeau, al testo e allo
spettacolo nel suo complesso; per Delsarte, l’interesse è più alla cura della parte che
all’insieme spettacolare, per cui ogni attore rappresenta un’unità conchiusa in sé, ma
perfettamente coerente con una linea interpretativa del testo278. In ogni caso, si punta

274
FRANÇOIS DELSARTE, Esthétique Appliquée. Des Sources de l’Art, cit., p. 156.
275
Ivi, p. 149.
276
Ivi, p. 146.
277
A questo proposito cfr., all’interno della tesi, l’approfondimento nel paragrafo Il sacerdozio
artistico all’interno del capitolo L’enfant. Le suggestioni e i presupposti dell’educazione drammatica.
278
Su Delsarte cfr. FRANÇOIS DELSARTE, Esthétique Appliquée. Des Sources de l’Art, cit., pp.
141-142.
137
al superamento della disorganicità dell’attore, quando l’interpretazione della parte
non è unitaria o se la concertazione con gli attori di uno spettacolo non tiene.

Educazione e comunità come paradigmi della regia

Se è storicamente condiviso che a partire dall’Illuminismo l’educazione viene


riconosciuta come processo che interviene a modificare, sostenere, favorire lo
sviluppo individuale, politico, sociale, è anche vero che il pensiero di Copeau
consiste, due secoli dopo, nel considerarne anche un’ulteriore possibilità: l’azione
educativa viene elevata a strumento per rivoluzionare il sistema teatrale, non
modificabile altrimenti. Pertanto, non l’arte in funzione dell’educazione, ma
l’educazione come mezzo di profonda e radicale modifica della vita artistica,
pensiero già formulato da Diderot nel Settecento, elaborato da Delsarte
nell’Ottocento e riacquisito su larga scala nel Novecento.
La scuola di Copeau, dotata di un’organizzazione e di un programma
didattico costruito su materie ed orari, deve essere pensata sempre tenendo conto di
caratteristiche peculiari che la riguardano: la dimensione di laboratorio e quella di
comunità. La dimensione “laboratoriale” – abbiamo visto – è intesa come zona di
studio e ricerca non direttamente connessa con lo spettacolo; la caratteristica
comunitaria invece mette in evidenza la forma prima ed essenziale di educazione al
Vieux-Colombier: l’educazione all’ensemble, in cui la preparazione degli attori e
degli operatori che a vario titolo ruotano attorno all’attività teatrale sia funzionale
all’ottica del regista.
Per una maggiore comprensione si torni ancora una volta alle critiche da
Copeau rivolte al Conservatoire. L’insegnamento impartitovi getta, secondo il regista
francese, una luce negativa sull’idea stessa di scuola, «oppone la nozione di
personalità a quella di educazione, indica la stravaganza come antidoto
all’accademismo»279. L’affermazione è densa di implicazioni. I termini personnalité

279
«[Il] oppose la notion de personnalité à celle d’éducation, désigne l’extravagance comme antidote
de l’académisme». CVC2, p. 20.
138
ed extravagance richiamano, molto probabilmente, le riflessioni di Copeau intorno
alla figura dell’attore. Il passaggio potrebbe indicare una correlazione fra la
mancanza di formazione, o comunque fra il tipo di formazione impartito dal
Conservatoire, e l’attore protagonista della scena, l’attore istrione, che primeggia sul
palcoscenico rispetto al dramma, agli altri attori e alle varie componenti sceniche.
L’attore “di tradizione” non sarebbe cioè abituato a ragionare nei termini di
“gruppo”, di legame fra le parti, di rispetto del testo, di rigore e disciplina nel lavoro.
Basti pensare che in certi contesti geografici, appena prima della nascita artistica di
Copeau, il comédien spesso non possedeva il copione completo, ma quello
“scannato”, comprensivo cioè solo delle battute della sua parte; di tutto il copione era
invece in possesso il suggeritore. Questo è da sé sufficiente per sostenere che di
frequente l’attore non possedeva una visione completa della vicenda. Si può
aggiungere che, in un sistema di questo tipo, in cui l’attore viene preparato in vista di
un lavoro quasi solitario, e al premier rôle vengono riservate lunghe tirate e
monologhi spesso concepiti appositamente per lui, diviene scontato che il comédien
migliore, più capace, con maggiori possibilità di essere notato e apprezzato, sia
quello molto dotato e che su di lui poggi per gran parte la buona riuscita di una
messinscena. Copeau, insomma, da regista, rimprovera al metodo d’insegnamento
del Conservatoire di perpetuare una tipologia d’attore con le caratteristiche tipiche
del sistema pre-registico.
È nel momento in cui aumentano i tentativi di imprimere unitarietà allo
spettacolo e si rivede lo spazio da assegnare all’attore protagonista, nel momento in
cui, in altri termini, si diffonde la regia come garante di un ensemble, che il regista
francese inizia ad interrogarsi seriamente sulla questione della riorganizzazione delle
scuole per attori, per ripensarne la formazione in vista di un nuovo modo di
concepire lo spettacolo teatrale.
Tuttavia, ancora una volta, le critiche da Copeau rivolte all’antico istituto
parigino non tengono conto di alcune modifiche che nascono proprio in seno al suo
teatro di riferimento: la Comédie-Française, che per alcuni aspetti presenta una
situazione più evoluta rispetto agli altri teatri francesi. Prima di tutto il periodo di
prove è più lungo che altrove, consentendo ad ogni attore di conoscere meglio la
propria parte e le relazioni con le altre parti. Inoltre spesso vi è la presenza del
139
drammaturgo, che coordina l’accordo fra gli attori e garantisce un maggior rispetto
del testo280. Così, se i Comédiens français vengono seguiti nella preparazione dello
spettacolo attraverso un lavoro di concerto, è molto probabile che gli insegnanti del
Conservatoire, per la maggior parte attori dell’antico teatro francese, educati a questa
consuetudine, veicolino ai propri allievi i principi della medesima modalità
operativa, anche se ovviamente siamo ancora agli inizi di questo processo. Gli scritti
di Elena Randi, che ha approfondito lo studio degli allestimenti ottocenteschi alla
Comédie, si soffermano altresì su questa questione, evidenziando proprio un
passaggio preso da L’Art théâtrale di Samson, che qui si riporta:

A volte sulla scena un talento egoista, troppo innamorato di sé per occuparsi degli altri, vuole
attirare gli sguardi dello spettatore soltanto su di sé [...]. Praticare l’arte così significa
praticarla male. [...] La vostra recitazione serva sempre a quella degli altri. Attraverso i mezzi
offerti dall’arte al talento, dovete concorrere all’effetto generale 281.

È pertanto probabile che i cambiamenti nella modalità di allestire lo


spettacolo influiscano sull’insegnamento al Conservatoire, anche se per certo la
novità con Copeau è la rivalutazione consapevole del legame tra la formazione e la
messinscena, tra il “processo” e il “prodotto”. Il principio che sostiene lo sviluppo
della regia è, per il regista francese, quello della “formazione corale”, il cui valore
risiede nel piacere di un lavoro condiviso, nella relazione che si fa terreno di
fioritura, ma soprattutto nella nascita del sentimento d’insieme che deve dominare la
rappresentazione. L’educazione in comunità diviene pertanto educazione alla
comunità, ed è proprio questo uno dei modi attraverso cui il regista desidera superare
la rappresentazione come assemblaggio di elementi, in cui alcuni solitamente
predominano su altri. Si tratta, in altre parole, di trovare una unité d’esprit, alla base
di una nuova estetica teatrale. Egli scorge così in una metodologia di apprendimento
di gruppo la base per il cambiamento della prassi teatrale: l’allievo non si formerebbe
280
Cfr. ELENA RANDI, I primordi della regia. Nei cantieri teatrali di Hugo, Vigny, Dumas, Bari,
Pagina, 2009.
281
Cfr. ELENA RANDI, La Comédie-Française nei primi decenni dell’Ottocento, cit. Cfr in
particolare pp. 76 e seguenti. Per la citazione p. 80. Ripresa da ISIDORE SAMSON, L’Art Théâtral,
cit., p. 40.
140
individualmente, per essere poi invitato, in scena, a tenere conto degli altri; la
percezione dell’insieme, del gruppo, si sviluppa invece contemporaneamente al
singolo, creando una forte interdipendenza fra i due poli. Acquisito nella
quotidianità, questo modus operandi diviene parte integrante dell’allievo e quindi
trasferito in modo automatico in scena, come emerge implicitamente in certi
passaggi:

Per eliminazione progressiva sono arrivato a organizzare una casa, con uno spirito, delle
abitudini, un onore, a comporre una vera comunità in cui tutti i membri avevano coscienza di
lavorare alla stessa opera, con lo stesso ardore e lo stesso disinteresse, e di aver diritto alla
stessa considerazione. Regnavano l’ordine e la disciplina, ma una disciplina illuminata
dall’intelligenza, consentita dalla fiducia e dall’amicizia. Che rapporto aveva questo con
l’arte drammatica? Un rapporto molto stretto, se si pensa alla solidità che questo organismo
ben connesso dava all’impresa, se ci si rende conto che la cassiera alla porta e il macchinista
sul palco, non sentendosi emarginati dall’insieme né diminuiti dalle loro funzioni, trovavano
una ricompensa personale nella bellezza dei risultati 282.

Pertanto il lavoro di concerto fra le varie componenti sceniche è subordinato


alla possibilità di disporre di un corpo unico di attori, elettricisti, scenografi,
costumisti, ecc., tutti rispondenti alle necessità del metteur en scène, formati secondo
una disciplina condivisa, abituati al gruppo, che si definiscono solo in quanto parte di
un insieme che non è, gestalticamente parlando, la semplice somma delle sue parti.
Nasce così l’idea di una compagnia come confraternita di artisti, gruppo intimo di
allievi e collaboratori. La vita e il lavoro comuni, quotidiani, condivisi, garantiscono
l’evoluzione organica e sinergica, in cui le specificità di ognuno diventano essenziali
perché si integrano a formare un’unità. La coscienza di gruppo si fa parte costitutiva
dell’individuo e rappresenta l’antidoto contro la mentalità individualista che spesso
permea lo spettacolo dell’Ottocento, giustificando pertanto la presenza di una figura,
il regista, che disponga di questo tutto e ne mantenga e garantisca la coesione.
Si tratta dello stesso principio seguito da registi come Stanislavskij, che
inaugurano la scuola accanto al teatro e che vedono negli Studi la fonte a cui
attingere le risorse dell’arte drammatica. Anche in ambito tedesco circolano idee

282
JACQUES COPEAU, Une rénovation dramatique est-elle possible?, cit., p. 182.
141
simili. Per esempio, Reinhardt ritiene che proprio per mezzo di una scuola si possa
sviluppare la “competenza all’insieme”, e così nella scuola da lui fondata durante il
secondo anno di iscrizione il lavoro di gruppo diviene prioritario. Del resto lavorare
in teatro è appartenere ad una comunità, ad una sorta di confraternita, come lui stesso
dichiara ai giovani studenti:

Mantenete fra di voi una collegialità cordiale, gaia a cavalleresca, ma tenetevi lontani dalle
avventure. Restate puliti, dentro e fuori. Pensate che oggi siete entrati a far parte di un ordine
e sottomettetevi alle sue regole interne, che sono inespresse ma per chi ha orecchi per
intendere saranno presto riconoscibili. Perché ciò che vagheggiamo come il più bel traguardo
del nostro comune lavoro, è la graduale crescita di un’omogenea compagnia artistica, in
intima sintonia spirituale e musicale [...]. Quest’arte è un’arte collettiva, un’arte d’insieme e
solo in un insieme in cui ognuno sia per tutti e tutti per la causa, sboccia l’imperituro
miracolo del teatro283.

Il rapporto tra questa concezione del lavoro comune e la nascita della regia è
suggerito anche da Mirella Schino, che in un saggio sui registi pedagoghi del
Novecento interpreta la comunità come il tentativo di ovviare al protagonismo del
grande attore ottocentesco: «I padri della regia hanno lavorato attraverso gli
spettacoli e attraverso l’attività pedagogica per creare un insieme di attori che fosse
equivalente alla forza, all’intensità di un grande attore in scena»284. Il gruppo, come
soggetto unico, rappresenta pertanto una possibile risposta a sentite esigenze del
teatro di regia: la risposta organizzata da chi ritiene che non si possa eliminare il
grande attore senza opporgli un gruppo capace di stabilire lo stesso rapporto intenso
con il pubblico, dotato della medesima forza performativa e vibrante.
Difatti, la cartografia teatrale, a partire dalla prima metà del secolo XX, rende
visibili un fiorire di Studi, laboratori, ateliers, che inaugurano la tradizione dei
283
MAX REINHARDT, La formazione dell’attore, cit., p. 144.
284
MIRELLA SCHINO, Teorici, registi e pedagoghi, in ROBERTO ALONGE e GUIDO DAVICO
BONINO (a cura di), Storia del teatro moderno e contemporaneo […], cit., pp. 7- 97. Citazione a p.
54. Nell’articolo la Schino si preoccupa di mettere in evidenza una linea di continuità tra teatro
ottocentesco e novecentesco, individuandola in un dialogo, piuttosto che in una soppraffazione, tra
Grande Attore e regista. Il medesimo concetto si ritrova in MIRELLA SCHINO, La nascita della
regia teatrale, Bari, Laterza, 2005, in particolare pp. 34-38.
142
piccoli teatri, teatri-comunità, teatri-laboratorio, tracciando una direzione che sarà
poi seguita, secondo caratteristiche e specificità proprie, per tutto il Novecento, e alla
quale ampi studi, a partire da Fabrizio Cruciani, hanno dedicato approfondimento285.
In queste ricerche si mette in evidenza che il legame fra pedagogia ed estetica si fa
via via più intenso, acquistando un valore di rilievo nella ricerca teatrale e portando a
una profonda revisione delle modalità di preparazione dell’attore, in linea non solo
con le teorie educative novecentesche, ma anche con una nuova visione dello
spettacolo. In un momento tanto delicato nella storia del teatro, quello della
diffusione e del consolidamento della mise en scène, sarebbero infatti i fautori della
regia ad appropriarsi dello strumento della formazione.
A questo proposito si potrebbe sottolineare l’influenza che l’esperienza
pedagogica del Vieux-Colombier ha nella diffusione della regia Italia. È in
particolare Silvio D’Amico, sostenitore di una scuola per attori e registi, ad
accogliere l’insegnamento del metteur en scène francese per trasferirlo al contesto
italiano. Secondo D’Amico, infatti, la didattica teatrale è necessaria a dare slancio ad
una nuova mentalità e a formare figure competenti nell’arte attorica e registica, e
costituirebbe la base per lo sviluppo della regia ancora assente in Italia rispetto al
resto del mondo. È questo il pensiero guida su cui si erge la fondazione, nel 1935,
dell’Accademia d’Arte drammatica di Roma, la cui direzione D’Amico avrebbe
voluto affidare peraltro proprio al collega francese286.

285
Cfr. uno dei primi lavori sul tema: FABRIZIO CRUCIANI, Teatro nel Novecento. Registi
pedagoghi e comunità teatrali del XX secolo, Firenze, Sansoni, 1985, e uno degli ultimi: MIRELLA
SCHINO, Alchimisti della scena. Teatri laboratorio del Novecento europeo, Bari, Laterza, 2009. Si
riconosce che la realtà della compagnia teatrale, e i suoi labili confini tra vita e mestiere, avendo
caratterizzato le compagnie di giro per molti secoli, non può dirsi figlia del Novecento. In questo
secolo tuttavia si appropria di caratteristiche assolutamente originali, che ne fanno un fenomeno di
rottura rispetto al passato. Cfr. ancora un lavoro della Schino: MIRELLA SCHINO, Teorici, registi e
pedagoghi, cit. In particolare La marginalità e i suoi equivalenti, pp. 56-64.
286
Cfr. SILVIO D’AMICO, Per una regia italiana, in «Scenario», n. 10, ottobre 1933, pp. 505-512 e
il saggio GIOVANNA PRINCIOTTA, D’Amico, Costa, Copeau, in «Teatro e Storia», n. 29, 2008, pp.
213-255. All’interno dello stesso numero Francesca Ponzetti indaga l’influenza di Copeau in Italia
attraverso le considerazioni di D’Amico e Bragaglia: FRANCESCA PONZETTI, Dalla Francia
all’Italia. La storia di Copeau fra illusione e disillusione, pp. 157-170. Per quanto riguarda le
143
Tuttavia, sebbene l’aspetto pedagogico del fare teatrale abbia avuto una certa
importanza nel Novecento per l’ampliamento dell’ambito di ricerca, la diffusione e
l’innovazione, non lo si può identificare con tutto il teatro di regia, né ritenerlo la
pompa principale di questo sistema. I registi pedagoghi hanno condotto la
formazione in modo così originale rispetto al passato, da catalizzare spesso
l’attenzione sulla dimensione pedagogica del fare teatro, come se la funzione
registica fosse imprescindibile dalla costituzione di un laboratorio permanente come
crescita collettiva, dalla trasformazione del regista in maestro, dall’attenzione al
processo educativo dell’attore. Si tratta evidentemente di una generalizzazione. Basti
mettere accanto ai nomi di Copeau, Stanislavskij, Vachtangov, Grotowski, Barba o il
Living Theatre, quelli dei Meininger, Antoine, Paul Fort, o quello di registi italiani
come Carmelo Bene. Quest’ultimo gruppo comprende registi che si sono impegnati a
superare la frammentazione spettacolare, conferendo unità alla messinscena durante
le prove e l’allestimento, senza la necessità di riservare un tempo e uno spazio alla
formazione del gruppo né dell’attore anche al di fuori dell’ambito professionale. Il
collante di questa modalità registica è il regista-demiurgo, che analizza, dirige e
coordina tutti gli elementi ed è in grado di far lavorare insieme e bene gli attori e i
vari tecnici a prescindere dal loro grado di conoscenza e condivisione.
Pertanto, se lo scopo prefisso nel porre qui la questione da un lato è
certamente portare un approfondimento ad un tema molto dibattuto e in continua
evoluzione, arricchendolo con uno studio specifico, dall’altro è anche riconsegnargli
la giusta porzione di importanza nella storia del teatro. Ridimensionare i rapporti tra
la formazione dell’attore e degli operatori teatrali e lo sviluppo della regia, non
significa ridurne la rilevanza, ma al contrario riconoscerli non come fenomeno
collettivo, dettato quasi da una inevitabile influenza di massa, da un modello “di
moda”, ma in quanto scelta particolare, originale, consapevole, di un certo filone
teatrale, indubbiamente diffusa e affascinante, ma non certamente l’unica, tanto da
essere posta alla base della nascita e del consolidamento della regia.

interviste di D’Amico a Copeau cfr. SILVIO D’AMICO, La scuola di Copeau e Le recite torinesi di
Jacques Copeau, risalenti al 1929 e ripubblicate in SILVIO D’AMICO (a cura di), Cronache del
teatro, Bari, laterza, 1964, vol. II, pp. 22-32. La scuola di Copeau si trova anche in SILVIO
D’AMICO, Il tramonto del grande attore, cit.
144
145
Capitolo quarto

L’enfant. Le suggestioni e i
presupposti dell’educazione
drammatica

La natura e lo sviluppo della vocazione drammatica

È ormai chiaro che Copeau insiste sulla validità del mestiere artistico scelto
con dedizione e abnegazione, congiunto ad un certo pensiero e stile di vita, sino a
riconoscerlo, oltre la categoria di una professione, come vera e propria vocazione.
Date queste premesse viene da chiedersi però dove risieda la culla di questa
vocazione drammatica.
Agli allievi dell’École du Vieux-Colombier, Copeau offre l’esempio del
bambino che seduto a tavola assieme ad un vecchio medico, amico del padre, ne
percepisce il fascino e crede di voler fare il medico a sua volta, sedotto da aspetti
esteriori e da suggestioni legate ad un immaginario a volte poco corrispondente alla
realtà. Secondo Copeau,

questo miraggio, questa seduzione di alcune cose che impressionano vivamente il bambino fa
sì che possa credersi falsamente destinato. Questi primi movimenti della giovinezza fanno sì
che ci si chieda: “Questo stato d’inquietudine, di preparazione, di desiderio vuole dirmi
qualche cosa?”287.

287
Ce mirage, cet attrait des choses qui impressionnent vivement l’enfant font [sic] qu’on peut se
croire destine faussement. Ces premiers movement de la jeunesse qui font qu’on se demande: “est-ce
146
La citazione raffigura un adulto che riflette sui moti dell’anima provati
nell’infanzia e/o nella giovinezza e si chiede se siano segni di una predisposizione o
se quella sentita tanto vivamente in giovane età non sia invece una falsa vocazione.
All’interno del Journal di Copeau si trovano riflessioni utili ad approfondire
la questione, anche se in esse non si parla ancora esplicitamente di vocazione, ma di
sincerità, e sebbene siano note precedenti alle riflessioni più mature di Copeau sul
tema. Sono infatti datate 23 settembre 1901. Egli commenta:

Un’osservazione raramente scritta è che la sincérité è in noi un sentimento acquisito e il


risultato di una volontà che si depura. Credo che nelle nature medie – non parlo né delle
nature nobili né di quelle ignobili – l’imitazione, la moina e l’esibizionismo, siano primitivi,
essenziali. Le più belle aspirazioni, le più nobili attività che si sono incorporate alla nostra
natura hanno, per la maggior parte, una origine mediocre e sospetta. Inutile insistere su
questo punto, tanto sorprendente, che in amore si comincia con la menzogna e si finisce con
la sincerità. È necessario, in tutte le emozioni, in tutti i sentimenti, il tempo di liberarsi dai
disturbi psicologici, dall’entusiasmo nervoso che li provoca, per attendere se stessi,
riconoscersi, e giudicarsi in rapporto all’oggetto di una certa emozione, di un certo
sentimento288.

Nella maggior parte dei casi, dunque, la sincerità partirebbe dalla menzogna e
dall’auto-convincimento che una cosa sia come la si desidera. Illuminante il
riferimento all’amore: affermare che esso incomincia con una bugia è svelare i suoi
magici meccanismi. In fondo l’innamorato altro non è che un mentitore: sedotto dal

que l’entends quelque chose” cet état d’inquiétude, de preparation, de désir?». Boîte 7, cartella 10, p.
2 fronte.
288
«Une remarque rarement écrite est que la sincérité est en nous un sentiment acquis et le résultat
d’une volonté qui s’épure. Je crois que dans les natures moyennes – je ne parle ni des sublimes ni des
ignobile – la simulation, la singerie et le cabotinage sont primitifs, essentiels. Les plus belles
aspirations, les plus nobles activités qui se sont incorporées à notre nature ont, la plupart, une origine
médiocre et louche. Il est inutile d’insister sur ce point, si frappant, qu’en amour on commence par le
mensonge et on finit par la sincérité. Il faut, en toute emotion, en tout sentiment, le temps de se
dégager du trouble physiologique, de l’enthousiasme nerveux qu’il provoque, pour s’atteindre soi-
même, se reconnaître et se juger par rapport à l’objet de ladite emotion, dudit sentiment». JOURNAL
1901-1916, p. 46.
147
piacere derivante dallo stato leggero dell’innamoramento e dal profilo che egli
attribuisce all’amante. Prima di essere una persona “reale”, l’amato è l’idea che di
esso si ha, e dunque è questa pre-visione a meritare i sospiri dell’innamorato.
Questo stesso processo menzognero, in quanto principiato da un’idea, da un
pensiero, da una proiezione, e non da una cosa reale, si attiva anche quando l’amore
non è rivolto verso un soggetto, ma si dirige a quelle che Copeau chiama attività,
aspirazioni. Anche in questo caso si tratta di una lucente proiezione di cui
l’innamorato si auto-compiace. Tuttavia, il regista non condanna la menzogna, ma
insiste affinché essa sia assunta e addirittura ravvivata dall’innamorato, al quale
viene richiesto di adottare, verso l’oggetto amato, un atteggiamento impegnato e
attivo:

Un bellissimo amore può avere avuto come punto di partenza una menzogna. Non si può
divenire un grande pensatore, un grande artista se i primi indici della vocazione sono stati una
simulazione di atteggiamenti e di discorsi? Non cominciamo sempre dalla finzione prima di
raggiungere la realtà? Non siamo naturalmente menzogneri? Un uomo si dichiara attirato
verso la solitudine e la meditazione dai più grandi problemi del pensiero. Non è vero. Si ritira
dal mondo, si chiude dentro una stanza dove s’annoia a morte, si lascia crescere i capelli, dà
alla sua bocca una certa piega, si circonda di scartoffie e in-folio, organizza un disordine, si
piega su libri che non capisce. Ammira tutti questi gesti assurdi che esegue per se stesso. Ne
prova benessere. Sottomette tutto il suo essere ad abitudini. Cammina da sapiente, si siede e
si corica da sapiente, mangia e beve da sapiente. Recita una parte. Non è sulla strada per
divenire sapiente che si fanno importanti scoperte? Il mezzo per diventare sapiente non è di
pensare giorno e notte di essere sapiente? […] Eliminate certi gesti che accompagnano le
nostre attività essenziali, e modificherete queste attività. Prendete la pipa al pensatore, e ne
intaccherete il pensiero289.

289
«Un très bel amour peut avoir eu pour point de départ un mensonge. Ne peut-on devenir un très
grand penseur, un très grand artiste et que les premiers indices de la vocation aient été une simulation
d’attitudes et de discours? Ne commençons-nous pas toujours par la fiction avant d’atteindre la
réalité? Ne sommes-nous pas naturellemet mensongers? Un home se declare attire vers la solitude et
la meditation des plus grands problems de la pensée. Ça n’est pas vrai encore. Il se retire du monde,
s’enferme dans une chamber où il s’ennuie à crever, laisse pousser ses cheveux, donne à sa bouche un
certain pli, s’entoure de paperasses et d’in-folio, organize un désordre, se penche sur des livres qu’il
ne comprend pas. Il admire, executes par lui, tous ces gestes absurdes. Il en éprouve du bien-être. Il
incline tout son être à des habitudes. Il marche en savant, s’assied, se couche en savant, il mange et
148
Volendo pertanto acquisire una certa condizione, raggiungere un dato modo
di essere, la persona dovrebbe, attraverso un processo cosciente e volontario,
esercitare le attività, i pensieri e i discorsi appartenenti allo status desiderato.
Educandosi ad essere in una maniera che all’inizio non gli è propria e sforzandosi di
assumere, dapprima esteriormente e superficialmente, i tratti di questa condizione,
l’uomo può compiere un processo di auto-formazione. Ciò che dapprima esercitava
attraverso uno sforzo, in modo esteriore e superficiale, diviene poi abitudine della
sua natura e pertanto, in questo senso, naturale, spontaneo e sincero. Questo concetto
apparirà elaborato e approfondito all’interno della poetica teatrale per la parte che
riguarda la costruzione del personaggio e l’immedesimazione, sulla quale ci
soffermeremo a tempo debito290.
A questo punto, tornando alla domanda iniziale, e cioè se i movimenti dell’età
infantile siano da considerarsi predestinazione, si può meglio comprendere e
analizzare la successiva affermazione di Copeau:

Questi primi movimenti sono importantissimi perché si è nell’età in cui tutto ciò che si riceve
ci determina per sempre; “una grande opera - ha detto Vigny - è un pensiero di gioventù
realizzato nell’età matura”. Ciò che c’è di più bello, ed è una cosa di cui non ci si accorge
durante tutto il corso della vita a causa della cattiva osservazione oppure delle apparenze, è di
vedere come i grandi uomini si sono formati nel pensiero della prima età. E la perfezione sta
nell’uomo che rimane fedele a ciò che ha innanzitutto pensato 291.

boit en savant. Il s’éprouve savant. Il joue un role. N’est-il pas sur la voie de devenir un savant, de
faire d’importantes découvertes? Le moyen de devenir un savant n’est-ce pas de penser jour et nuit à
être un savant? […] Retirez certains gestes qui accompagnent nos activités essentielles, vous modifies
ces activités. Retirez la pipe au penseur, vous attaquez sa pensée». JOURNAL 1901-1916, pp. 46-47.
290
Cfr. il capitolo sesto della tesi: L’improvvisazione: dai primi studi alla costruzione del
personaggio.
291
«Ces premiers mouvements de la pensée sont très importants car on est à l’âge où tout ce qu’on
reçoit nous détermine pour toujours “une grande œuvre, a dit Vigny, c’est une pensée de la jeunesse
réalisée par l’âge mur”. Ce qu’il y a de plus beau, et c’est une chose dont on ne s’aperçoit pas pendant
la durée de leur vie à cause de la mauvaise observation ou des apparences, c’est de voir comme le
grands hommes sont formés dans la pensée de leur premier âge. Et la perfection, c’est l’homme qui
reste fidèle à ce qu’il a tout d’abord pensé». Boîte 7, cartella 10, p. 2 fronte e retro.
149
I primi moti giovanili, sebbene autentici (il bambino non mente sul fatto di
voler fare il medico, l’insegnante o l’astronauta), non hanno ancora la profondità e la
coscienza che si realizza quando l’uomo assume queste aspirazioni in sé a tal punto
da consacrarvi progressivamente tutta l’esistenza. Sembra che per il regista, infatti,
sedotto dal “mito della fanciullezza”, sia proprio nei fermenti dell’età infantile ad
innescarsi una vocazione, anche se egli consegna all’età matura la responsabilità
della sua accettazione e realizzazione, perché solo l’adulto è capace dell’atto di
volontà che distingue una bonne da una mauvaise vocation.
Che Copeau nelle note del Journal del 1901 si stia implicitamente riferendo
alla vocazione, si chiarisce dall’approfondimento successivo, in cui apre il discorso
alla fede religiosa, intesa da lui come un tipo particolare di vocazione. Egli vede
come necessità, per i credenti, l’esercizio delle pratiche esteriori richieste dalla
religione: «Non bisogna dunque disprezzare, senza critica, le pratiche puramente
esteriori della religione. Esse fanno parte integrante della Fede. Un grande
sentimento si assimila attraverso gesti abituali. C’è come una mnemotecnica
meccanica necessaria alle anime più ricettive»292.
Nel rapporto fra uomo e Divino, Copeau riconosce alla volontà umana e
all’attivazione di segni esteriori un ruolo primario. Dalle poche righe riservate
all’argomento si può ipotizzare che, nella sua concezione, il fedele, nel rapporto con
la Divinità, non debba rimanere inerte, in attesa di ricevere linfa vitale da una forza
superiore. Al contrario, il sentimento della fede può essere tanto più profondo,
quanto più viene supportato e stimolato da attività e gesti esteriori, che acquisteranno
valore e forza nel tempo. La profondità spirituale viene raggiunta per mezzo di segni
inizialmente vuoti, come accade durante l’educazione religiosa del bambino, fatta di
rituali che la sua mente infantile ancora non può comprendere nel pieno valore.

292
«Il ne faut donc pas mépriser, sans critique, les pratiques purement extérieurs de la religion. Elles
font partie intégrante de la Foi. Un grand sentiment nous est rendu assimilable par les gestes habituels.
Il y a comme une mnémotechnie mécanique, nécessaire aux âmes les plus attentives». JOURNAL 1901-
1916, p. 47. La considerazione che i segni esteriori inducono ad un sentimento interiore viene
elaborata da Copeau sino a confluire nella costruzione del personaggio. Ancora una volta, per un
approfondimento, cfr. il capitolo sesto della tesi.
150
L’esecuzione del rito non è solo necessaria al suo apprendimento, ma è il vero e
proprio inizio del cammino di fede.
Così com’è per la vocazione religiosa, anche per quella artistica l’attesa ha un
valore particolare all’interno del percorso di maturazione. Per il regista la vocazione
drammatica deve essere assecondata, ma non forzata, perché il soggetto rischia
altrimenti di essere viziato, intrappolato in una passione fittizia, fatta solo di
emozione. La vocazione invece esige una parte di ragione, di scelta, di
consapevolezza, che arriva con l’età e con le prove della vita; Copeau pone la sua
esperienza ad esempio:

Avrei potuto, come molti altri, cedere sotto il fascino di una vocazione precoce, entrare
troppo presto nel teatro e lasciarmene divorare. Una sorta di pudore mi ha sempre trattenuto.
Forse per questo, in tutta la mia vita, ho guardato con una certa diffidenza a vocazioni troppo
vive. Una vera vocazione deve essere messa alla prova. Deve subire dei contrattempi, degli
impedimenti. Raramente può maturare senza una buona educazione 293.

Assecondare precocemente i primi segni esteriori di un interessamento alla


professione attorica è molto pericoloso perché si rischia di «prendere per aspirazione
ciò che è solo infatuazione»294, come spesso accade secondo Copeau. Infatti:

Ciò che si chiama vocazione per il teatro, nove volte su dieci non merita di essere
incoraggiato. La vocazione è già deformazione. Vocazione è ciò che fa questo ometto in
corsetto il quale riceve ogni mattina la manicure. Specializzato nell’arte di apparire e di
produrre effetto. Vocazione, indice di brutto carattere, vocazione all’ignoranza e alla pigrizia.
Io l’ho conosciuto il ragazzo che, fin dall’età di quindici anni non studia più niente a scuola
con il pretesto che sarà attore. Ho l’ho conosciuto la ragazza stupida che non sa affatto
riconoscere “una giubba dalle braghe”, scrive commedia con la k e conservatorio con due s.

293
«J’aurais pu, comme tant d’autres, céder à l’attrait d’une vocation précoce, entrer trop tôt dans le
théâtre et me laisser dévorer par lui. Une sorte de pudeur m’a toujours retenu. C’est peut-être pour
cela que, toute ma vie, j’ai gardé une certaine défiance des vocations trop vives. Une vraie vocation
doit se laisser éprouver. Elle doit subir des détails, des empêchements. Elle peut rarement se passer
d’une bonne éducation». Note non datate di Jacques Copeau, in REG. I APPELS, pp. 43-44.
294
«On peut prendre pour une aspiration ce qui n’est qu’un engoûment». JACQUES COPEAU, The
spirit in the Little Theatres, cit., p. 127.
151
Vorrebbe “recitare”. Si droga per farsi venire il “pallore tragico” e la sua vocazione
incomincia dal trucco. Tali sono i candidati a teatro. Nati viziati 295.

Affronta la medesima questione con gli allievi, secondo le note prese da


Marie-Madeleine Gautier al corso del regista:

Si può sbagliare facilmente sulla realtà e sulla qualità di una vocazione. È senza dubbio per
questo che la natura vuole che ogni volta che un individuo sente una vocazione, ci siano
accanto a lui delle persone che si oppongono e che lo mettono in ridicolo, che lo censurano
nelle sue aspirazioni. Tutti hanno più o meno una vocazione, buona o cattiva, e qualche volta
gli impedimenti, le difficoltà, producono una esasperazione che rende cattiva una vocazione
buona, poiché nella giovinezza queste misteriose chiamate sono poco chiare296.

Connettere la vocazione alla giovinezza significa legarla ad uno stadio della


vita in cui chi vi si trova tende a scegliere trasportato da motivi passionali ed
estemporanei, ragione in più per cui le prove del lungo cammino a cui il giovane si
destina siano naturalmente tracciate da difficoltà. Solo così si può distillare una vera
vocazione o scoprire, al contrario, che si tratta d’altro. La realizzazione di un

295
«Ce qu’on appelle vocation pour le théâtre, 9 fois sur 10 ne mérite pas d’être encouragé. Vocation
est déjà déformation. Vocation est ce qui fait ce petit jeune homme en corset qui reçoit chaque matin
la manucure. Spécialisé dans l’art de paraître et de faire de l’effet. Vocation, indice de mauvais
caractère, vocation à l’ignorance et à la paresse. Je l’ai connu le jeune garçon qui, dès l’âge de 15 ans,
n’étudie plus rien à l’école sous prétexte qu’il va être comédien. Je l’ai connue la jeune fille stupide
qui ne sait point reconnaître “un pourpoint d’avec un haut de chausses”, écrit comédie avec un k et
conservatoire avec deux s. Elle voudrait “déclamer”. Elle prend des drogues pour acquérir la pâleur
tragique et sa vocation commence par le maquillage. Tels sont les candidats au théâtre. Pourris dans
l’œuf». TROISIEME CONFERENCE, in REG. VI ECOLE, p. 175. Sul tema della vocazione cfr. CVC2, in
particolare pp. 12-13.
296
«On peut se tromper facilement sur la realité et sur la qualité d’une vocation. Est c’est sans doute
pour cela que la nature veut que chaque fois qu’un individu sent une vocation, il y ait auprès de lui des
gens qui s’opposent et qui le somment en ridicule, qui le sommentent dans ses aspirations. Toute le
monde a plus ou moins une vocation, bonne ou mauvaise et quelquefois les empêchements, les
difficulties produisent une exasperation qui fait d’une vocation bonne une mauvaise, car dans le
jeunesse ces mysterieux appels sont peu clairs». Boîte 7, cartella 10, p. 1 retro.
152
progetto, di un desiderio o di un’aspirazione contempla sempre qualche fallimento.
Del resto «non è possibile vedere al primo tentativo l’opera a cui si è destinati»297.
Eppure, nonostante ravvisi come la vocazione prematuramente incoraggiata
possa trasformarsi presto in affettazione, Copeau ritiene indispensabile che la
preparazione al teatro sia iniziata in tenera età. A sostegno di questa tesi il regista
pone due motivi. Prima di tutto: l’essere infantile, dotato di un’innata propensione
all’imitazione, arricchita da capacità immaginative e creative di notevole portata,
possiede il germe dell’espressione, come ricorda Maiène, primogenita del regista:

Papà s’interessava molto ai nostri giochi; credeva di vedere là l’origine di tutte le vocazioni
drammatiche. Egli pensava che favorire questo genere d'immaginazione nei bambini dotati
potesse essere la chiave di un’educazione drammatica nuova suscettibile di dare risultati
sorprendenti per l'avvento di un nuovo tipo di attori creatori e improvvisatori 298.

Pertanto, lavorare in vista di un attore nuovo significherebbe per Copeau plasmare un


materiale pre-esistente all’adulto in quanto patrimonio del bambino. Ecco il secondo
motivo che lo spinge a pensare l’educazione drammatica sin dalla tenera età: non
essendo ancora intervenuto alcun tipo di formazione, queste risorse si trovano ad uno
stato “grezzo”, passibili di essere forgiate senza incorrere in resistenze e
cristallizzazioni.
Il presupposto che tutela il bambino da una sclerotizzazione, o ancor peggio
da una perdita, delle facoltà espressive, risiede per Copeau in un modo nuovo di
concepire l’educazione drammatica, diversa da quella del Conservatoire e delle
Accademie, offerta, almeno inizialmente, senza l’obbligatorità di diventare attori o
operatori del teatro, ma intenta solo a sviluppare le potenzialità infantili con l’uso di

297
«On ne voit pas du premier coup l’œuvre à laquelle on est destiné». JACQUES COPEAU,
Conférence au Laboratory Theatre, cit., p. 140.
298
«Papa s’intéressait beaucoup à nos jeux; croyant voir là l’origine de toute vocation dramatique. Il
pensait que favoriser ce genre d’imagination chez des enfants doués pouvait être la clef d’une
éducation dramatique nouvelle susceptible de donner des résultats surprenants pour l’avènement d’un
nouveau type de comédiens créateurs et improvisateurs». MARIE-HÉLÈNE DASTÉ, Éclats de
souvenirs, [s.l.], Association des Amis du Vieux-Colombier, 2007, p. 30.
153
una metodologia rispettosa delle inclinazioni, dei tempi, delle aspirazioni del singolo
e della sua età di appartenenza. Così si esprime in una conferenza del 1918:

Incoraggiare i bambini nei giochi, l’attività creatrice dei bambini liberi e felici all’interno di
un mondo costantemente rinnovato dalla loro vita fertile di invenzioni; comprendere,
stimolare, sviluppare in loro il bisogno di divertimento che è l’essenza dell’arte drammatica:
tale è il comportamento semplice che adottiamo, fedeli in ciò ai migliori metodi moderni
dell’educazione. Si tratta di incoraggiare contemporaneamente, e armoniosamente, certe
facoltà che, senza tendere alla specializzazione, potranno più tardi evolvere. Ginnatica,
danza, canto, pittura e disegno, archittettura, fabbricazione di costumi, poesia,
improvvisazione, ecco qualcuno dei divertimenti che possono facilmente costituire una parte
essenziale delle attività del bambino, senza alcuna idea di rappresentazione, senza
l’ambizione di un diploma da conquistare, ma unicamente per il suo piacere, per rispondere a
un bisogno interiore o ad un’esuberanza naturale 299.

Non di meno, Copeau si preoccupa di una formazione generale


dell’individuo, caratterizzando la sua preparazione in modo totalmente differente
rispetto a quella specialistica e settoriale prevista al Conservatoire:

Aggiungendoci lo studio delle lingue, della geometria, della storia, du tissage, della ceramica
e altre scienze, arti e mestieri, l’educazione del bambino non avrà trascurato niente. La
conoscenza, l’amore e il rispetto dei capolavori drammatici oltrepasserà il più piccolo
desiderio di velleità nell’interpretazione300.

299
«Encourager les enfants dans leur jeu, l’activité créatrice d’enfants libres et heureux dans le monde
toujours neuf de leur vie fertile en inventions; comprendre, stimuler, développer en eux ce besoin de
divertissement qui est l’essence de l’art dramatique: telle est l’attitude très simple que nous adoptons,
fidèles en cela aux meilleures des méthodes modernes d’éducation. Il s’agit d’encourager en même
temps, et harmonieusement, certaines facultés qui, sans tendre à la spécialisation, pourront plus tard
évoluer. Gymnastique, danse, chant, peinture et dessin, architecture, fabrication de costumes, poésie,
improvisation, voilà quelques-uns de ces divertissements qui peuvent facilement constituer une part
essentielle des activités de l’enfant, sans aucune idée de représentation, sans l’ambition d’un diplôme
à conquérir, mais uniquement pour son propre plaisir, pour répondre à un besoin intérieur ou à son
exubérance naturelle». JACQUES COPEAU, Children and the future Art of the Theatre, articolo
pubblicato in «The Modern School» nel 1918 e ripubblicato in REG. VI ECOLE, pp. 202-205. Citazione
a p. 204.
300
Ibidem.
154
Il mito dell’infanzia

L’adulto che ha abbracciato una vocazione sviluppa caratteristiche peculiari


in relazione al cammino scelto. Questo discorso viene approfondito da Copeau in
riferimento all’artista, che sarebbe dotato della capacità di sorprendersi del mondo e
di lasciarsene incantare, in quanto capace di sentire e percepire cose ed esseri in
modo più intenso rispetto agli altri. Già in uno scritto del 1905 è affrontato il tema:

La grande arte è dipingere ingenuamente somiglianze [...]. È far sognare evocando,


suggerendo la vita molteplice e misteriosa, trarre dalle cose e dagli esseri il loro canto
profondo, non tappare la prospettiva del mondo con pesante giudizio, non opporsi ai
301
fenomeni, essere semplice, familiare .

Sono le note prese da Marie-Hélène Gautier al corso per attori, molti anni
dopo, ad approfondire ancora una volta le riflessioni del pedagogo teatrale:

Cartesio diceva che “il selvaggio è colui che provava stupore davanti a tutte le cose”. Alcune
persone non hanno questa “ammirazione”, questa “attrazione”, non si lasciano sorprendere.
Altre, al contrario, si meravigliano di tutto, contemplano e ammirano tutto. […]. L’artista
(drammaturgo, poeta, pittore) è colui per cui il mondo esiste di più; per l’uomo ordinario, via
via che invecchia, il mondo si spopola e si decolora. Per l’artista il mondo diviene sempre più
popolato, sempre più colorato. La sua naïveté non viene mai meno, né viene meno la sua
attenzione. Egli è in perpetua comunione con ciò che non è lui 302.

301
JACQUES COPEAU, Lieux communs, cit., p. 19.
302
«C’est Descartes qui disait que “le savant était celui qui avait de l’étonnement devant toutes les
choses”. Cette “admiration”, cette “attirance” il y a des gens qui ne l’ont pas, que rien n’étonne. Il en
est d’autres au contraire qui s’étonnent de tout, qui contemplent admirent tout. […]. L’artiste
(dramatique, poète, peintre) est celui pour qui le monde existe le plus, pour l’homme ordinaire, à
mesure qu’il vieillit, le monde se dépeuple et se décolore. Pour l’artiste le monde devient de plus en
plus peuplé, de plus en plus coloré. Sa naïveté ne faillit jamais, non plus que son attention. Il est en
perpétuelle communion avec ce qui n’est pas lui». Boite 7.
155
Naïveté è semplicità, sensibilità, freschezza, che consente all’animo
dell’artista una giovinezza infinita, non scalfita dal deperimento che la vecchiaia, la
stanchezza, la routine possono causare. Così, mentre per l’uomo ordinario la vita
esteriore perde di fascino e di attrattiva con l’avanzare dell’età, l’artista continua
magicamente a cogliere i molteplici aspetti e le sfumature che rendono il mondo
circostante una fonte di ricchezza, di conoscenza e di stupore303.
Condividendo l’intuizione di Cartesio, anche per Copeau il selvaggio è colui
che più di altri uomini vive uno stato simile a quello dell’artista. L’attenzione del
regista è rivolta però ad un tipo particolare di “selvaggio”: il bambino. Essere
traboccante di fantasia e curiosità, non si limita a scoprire la realtà, ma reinventa i
legami mediante un processo di decostruzione-costruzione dell’esterno. Così
continua il discorso di Copeau agli allievi:

Un bambino di due anni possiede più di un uomo la facoltà di restare incantato. Egli è come
una pagina bianca ed è questo che fa la sua curiosità (toccato da tutto). Il bambino rompe la
sua bambola per vedere la musica che ha dentro, smonta un orologio per conoscerne il
meccanismo304.

La curiosità che il bambino possiede innata nei confronti del mondo, il


desiderio di scoprire, legato ad un’età in cui il desiderio di conoscenza ha
un’attrattiva forse inconsapevole, ma comunque fortemente presente, è un dato che
non sfugge agli studi pedagogici all’inizio del Novecento. Maria Montessori, che

303
Il regista francese dipinge l’artista donandogli uno sguardo privilegiato sul mondo, la capacità di
coglierlo in uno stato così completo da sorpassare ciò che è tangibile, in grado di pervenire così ad una
conoscenza più approfondita e dunque superiore. Sebbene non ci siano riferimenti ai concetti di
“simbolo” e di “teoria delle corrispondenze”, risulta evidente l’affinità di pensiero su questo punto con
la filosofia romantica, pre-simbolista o simbolista. Si ricordi che proprio André Gide, Georges
Duhamel Henri Ghéon e Paul Claudel, amici e collaboratori di Copeau, sono annoverati fra gli
scrittori che hanno seguito l’ispirazione simbolista in molti dei loro lavori.
304
«Un enfant de deux ans possède plus qu’un homme fait, cette faculté d’étonnement, il est comme
une page blanche et c’est ce qui fait sa curiosité (touche à tout). L’enfant casse sa poupée pour voir la
musique qui est dedans, il démonte une montre pour en connaître le mécanisme». Boîte 7, cartella 10,
p. 3 retro.
156
contribuisce a diffondere in Italia una pedagogia scientifica, dopo anni di lavoro con
i bambini paragona la loro sensibilità a quella dei poeti e dei santi:

Solo i poeti sentono il fascino di un fino rivoletto di acqua sorgiva tra i macigni, come lo
sente il piccolo bambino, che si entusiasma e ride, e vuol fermarsi a toccarlo con la mano
come per accarezzarlo. Nessuno che io sappia, fuori di S. Francesco, ha ammirato l’insetto
modesto o il profumo di un’erbicciuola senza attrattive, come uno di questi piccolini 305.

Ma non solo la Natura è motivo di fascino, anche le cose, gli oggetti, le


situazioni. Copeau racconta come, nella sua infanzia, costruisse teatri e spettacoli a
partire da dati ed elementi esterni, spesso privi di magia per un adulto; e così le sedie,
i gatti, il movimento degli alberi, il cristallo blu sul mobile nero, una donna che si
acconcia i capelli, diventavano passaggi segreti verso l’anima arcana delle cose306.
L’immaginazione di Copeau bambino non è dissimile da quella degli altri
bambini, e dalla sua esperienza il metteur en scène ricava una considerazione di
carattere generale:

L’anima del bambino vacilla fra queste apparenze. Egli collega le proprie magie alle briciole
di realtà che osserva con occhio implacabile, con cuore intrepido. È così che noi componiamo
i nostri primi drammi, che li proviamo dentro ai nostri giochi, che li rimuginiamo nei nostri
silenzi. Il silenzio inespugnabile del bambino, i suoi sogni cupi, la sua facoltà di sistemare
sotto un tavolo o dentro un armadio il rifugio delle sue anticipazioni, eccolo il vero crogiolo
originale in cui si forgia la potenza creatrice che ritroveremo per tutto il resto della vita il più
spesso delle volte indebolita. A partire dai nostri venti o venticinque anni non inventiamo più
niente. [...] Consumiamo i tesori accumulati al riparo da tutti i travestimenti della giovane età.
Lasciamo ad uno ad uno tutti i segreti della nostra infanzia e della nostra adolescenza 307.

305
MARIA MONTESSORI, La scoperta del bambino, Milano, Garzanti, 2005, p. 76.
306
Non si riportano i passaggi in cui Copeau descrive questa attività infantile privilegiata, perché già
pubblicati in REG. I APPELS, sotto al titolo Vocation, pp. 31-46.
307
«L’âme de l’enfant vacille parmi ces apparences. Il relie ses propres féeries aux bribes de réalité
qu’il observe ou qu’il absorbe d’un œil implacable, d’un cœur intrepid. C’est ainsi que nous
composons nos premiers drames, que nous les essayons dans nos jeux, que nous le ruminons dans nos
silences. Le silence inexpugnable de l’enfant, ses mornes rêveries, sa faculté d’aménager sous une
table ou dans un placard le refuge de ses anticipations, voilà véritablement le creuset originel où se
157
Nel tempo immobile dell’infanzia le giornate sono piene di scoperte e
avventure, ogni cosa è degna d’attenzione e una situazione che per l’adulto accade
ordinariamente, per il bambino può essere la porta verso un mondo inimmaginabile
in cui passare intere giornate308.
Prendere il mondo circostante come avvio e nutrirlo di fantasia a tal punto da
crearne uno parallelo, è una modalità ludica i cui tratti sono ravvisati anche da un
artista quale Baudelaire. Nel suo scritto Morale del giocattolo fa notare che i bambini
parlano ai loro giochi, ma soprattutto sanno giocare senza giocattoli, e prende ad
esempio i giochi del treno e della guerra, tanto diffusi fra i bambini:

La diligenza, l’eterno dramma della diligenza rappresentato con le seggiole; la diligenza-


seggiola, i cavalli-seggiole, i viaggiatori-seggiole; solo il postiglione è vivo! La muta resta
immobile, e tuttavia egli divora con una rapidità ardente spazi fittizi. Quale semplicità di

forge la puissance créatrice que nous ne ferons que retrouver tout le reste de notre vite et le plus
souvent bien affaiblie. A partir de notre vingtième ou vingtcinquième année, nous n’inventons plus
rien. [...] Nous dépensons les trésors que nous avons accumulés à l’abri de tous les déguisements du
jeune âge. Nous livrons un à un tous les secrets de notre enfance et de notre adolescence». Conferenza
data al Theatre Guild di New York il 9 gennaio 1927, in REG. I APPELS, pp. 35,37 e 41-43. Citazione
alle pp. 36-37. D’ora in poi Conférence au Theatre Guild.
308
Questo mondo fantastico, che Copeau bambino popola di personaggi e scenografie, non evidenzia,
secondo la sua lettura a posteriori, una specifica vocazione teatrale, una predestinazione: «Je ne crois
pas pouvoir déterminer de circonstance fatale qui m’ait poussé vers le théâtre. Ma vocation ne
remonte à aucun moment précis. Je la trouve éparse et constamment présente dans tous les sentiments,
toutes les curiosités, toutes les habitudes et toutes les aspirations de mon enfance et de ma jeunesse».
Reg. I, p. 42. Pur in mancanza di un evento scatenante, si rintraccia una certa educazione al teatro e
all’opera letteraria sin dall’infanzia. il padre lo porta talvolta alla Porte-Saint-Martin oppure
all'Ambigu e gli permette di accedere alla sua biblioteca di opere classiche e moderne; così Copeau,
prima dei dieci anni, aveva già letto l'Iliade e l'Odissea, ma anche romanzi e testi teatrali di Dumas
père e di personalità come Félix Pyat e Anicet Bourgeois. Scrive Claude Sicard: «infanzia sognante,
dominata da una viva sensibilità, un senso arguto dell'osservazione, una immaginazione fertile». Per
una cronologia accurata di Copeau, cfr. JOURNAL, pp. 33-41 (i dati bibliografici sono limitati al
periodo 1879-1901) e nota Jacques Copeau et le Vieux-Colombier, pp. XXI-XXX.
«On peut prendre pour une aspiration ce qui n’est qu’un engoûment». The spirit in the Little Theatres,
cit., p. 127.
158
sceneggiatura! E non c’è da far arrossire della sua impotente immaginazione questo pubblico
viziato che esige dai teatri una perfezione fisica e meccanica, e non concepisce che i drammi
di Shakespeare possono rimaner belli con un apparato di una semplicità barbara? E i fanciulli
che giocano alla guerra! Non alle Tuileries con veri fucili e vere sciabole, parlo del fanciullo
solitario che regge e conduce da solo alla battaglia due eserciti. Da soldati possono fare
turaccioli, piastrelle da domino, pedine, aliossi; le fortificazioni saranno tavole, libri, ecc., i
proiettili biglie o qualsiasi altra cosa; ci saranno morti, trattati di pace, ostaggi, prigionieri,
tributi309.

Baudelaire riconosce al bambino una notevole capacità di identificazione e,


come Copeau, nota che la naturale drammatizzazione di cui è capace è collegabile
alle potenzialità artistiche:

Simile facilità di contentare la propria immaginazione testimonia la spiritualità dell’infanzia


nelle sue concezioni artistiche. Il balocco è la prima iniziazione del fanciullo all’arte, anzi ne
è per lui la prima attuazione e, sopravvenuta l’età matura, le attuazioni perfezionate non
daranno al suo spirito gli stessi fervori, né gli stessi entusiasmi, né la stessa fede 310.

Sembra addirittura che nell’infanzia sia racchiuso un segreto che solo ad essa
può appartenere con tale intensità e forza, tanto da farla apparire all’adulto come una
dimensione magica irrecuperabile. Tuttavia esiste per una particolare categoria di
uomini la possibilità di accedere a questo universo sommerso tramite la facoltà
dell’immaginazione, che va sostenuta e stimolata. Artista e bambino sono infatti
accomunati dalla possibilità di ricreare il mondo, illusorio, forse, ma certamente
“vero” per chi vi si sa immergere completamente311.

309
CHARLES BAUDELAIRE, Morale del giocattolo, in LEONE TRAVERSO (a cura di), Bambole,
Firenze, Passigli, 1992, pp. 41-65. Citazione pp. 49-51.
310
CHARLES BAUDELAIRE, Morale del giocattolo, cit., pp. 52-53.
311
Scrive Marina Guerrini in un bellissimo testo dedicato all’infanzia di Baudelaire: «Il bambino e
l’artista vedono nella realtà cose che gli adulti inibiti non riescono a scorgere e, nell’onnipotenza
dell’immaginazione, si instaura l’inevitabile parallelo tra gioco ed arte, strumenti di creazione e
rappresentazione del reale». MARINA GUERRINI, Baudelaire: teatro e infanzia, Roma, Bulzoni,
1990, p. 38.
159
La rilevanza e il peso che l’infanzia, come età della vita, assume nell’adulto è
sottolineata anche nell’opera di Charles Vildrac. Essa si manifesterebbe
nell’individuo con le caratteristiche che le sono proprie: l’immaginazione e la
curiosità, che consentono una visione positiva delle cose e del mondo, anche laddove
esiste la tristezza e la desolazione, come evidenzia in un saggio sull’autore Franca
Bevilacqua Caldari:

I motivi relativi all’infanzia sono sempre presenti in tutta l’opera di questo poeta che scrisse
per lei, da innamorato qual era, anche dei libri stupendi. Perfino nei Chants du déspéré, così
carichi di dolore, non mancano le immagini infantili, come per esempio quella della graziosa
Alice, una bimba seria e dignitosa, che pur nelle gravi ristrettezze economiche del periodo di
guerra, non perde la freschezza ed il brio della fanciullezza. Vildrac suggerisce agli adulti di
conservare per la loro felicità il fervore dell’infanzia [...]. L’uomo triste ed afflitto è colui che
ha spezzato per sempre gli slanci della fanciullezza e della gioventù 312.

Il bambino è l’uomo-poeta, capace di scorgere il bello del mondo anche nella


quotidianità in cui spesso l’adulto rimane impastato di noia, di noncuranza, di
indifferenza. Gli occhi dell’infanzia vedono meglio, come sembra dire in una
conferenza del 1957: «I bambini non aspirano ad una felicità lontana, ipotetica.
Vogliono la felicità in ogni momento e ciò che trovano nel loro modo di guardare è
fondato sull’osservazione e l’immaginazione. Insomma, sono dei poeti a cui non si è
ancora tarpato le ali»313.
Le virtù animatrici e immaginative dell’infanzia comprendono per Copeau i
molteplici giochi di imitazione di persone, che, arricchiti da elementi nuovi e
originali, sovente fungono da pretesto per la creazione di altre figure. In diversi casi i
bambini, attraverso queste attività, giungono ad una vera e propria identificazione

312
FRANCA BEVILACQUA CALDARI, La poesia quotidiana di Charles Vildrac, in JULES
ROMAINS, Unanimismo, Roma, Bulzoni, 1978, pp. 361-403. Citazione a p. 380.
313
«Les enfants n’aspirent pas à un bonheur lointain, hypothétique. Ils veulent le bonheur à tout
moment et celui qu’ils trouvent dans leur yeux est fondé à la fois sur l’observation et l’imagination.
En somme ce sont des poètes à qui l’on n’a pas encore coupé les ailes». CHARLES VILDRAC, La
poédie quotidienne, in «Cahiers Laïques», mai-juin 1957, n. 39, p. 58. Conferenza pronunciata da
Vildrac il 7 febbraio 1957 al Cercle Parisien de la Langue Française de l’enseignement.
160
con i personaggi inventati. Essi realizzano in tal modo il compito che Copeau
attribuisce all’artista, sintetizzato in Discours au public del 1923: «Il dono dell’attore
e il suo piacere, è di entrare nel personaggio. Suo dovere e difficoltà lavorare per
restarci, identificarsi in lui, vivere e agire, come dice Nietzsche, per altri corpi e altre
anime diversi dai suoi»314.
A questo proposito, dopo aver osservato per lungo tempo i giochi dei figli,
annota nel Journal, già nel 1912:

Da diverso tempo sentivo i bambini nei loro giochi servirsi di questo termine aku (pronunciate
acou). «Essere aku», «Tu non sei aku». Ho la spiegazione. Aku è l’abbreviazione della parola
danese akurat che vuol dire: davvero, completamente. Essere aku, nel gioco, è confondersi
davvero con il personaggio, la cosa, l’avvenimento che si vuole rappresentare, è far corpo con
il proprio gioco, prenderlo per la realtà, provarne i sentimenti, mimarne i gesti con continuità
senza permettere agli altri, ai genitori, né a se stessi, la nozione di una finzione provvisoria 315.

Nel 1922, ai suoi allievi, fa notare che in questo desiderio prolungato, e nella
soddisfazione che ne deriva, risiede il segreto dell’infanzia:

Bisogna ricordare di seguito la depersonalizzazione che permette al bambino di essere un


personaggio durante i giorni della settimana, per dei mesi, che rende la sua arte più vera della
realtà [...]. È in questo momento che egli è puro e cesserà di esserlo quando desidererà
rappresentare Hernani o prendere le intonazioni di un vecchio 316.

314
«Le don de l'acteur et son plaisir, c'est d'entrer dans son personnage. C'est son devoir, et c'est sa
difficulté tâche d'y rester, de s'identifier à lui, de vivre et d'agir, comme dit Nietzche, par d'autres
corps et d'autres âmes que les siens». JACQUES COPEAU, Discours au public, cit.
315
«Depuis assez longtemps j’entendais les enfants dans leur jeux se servir de ce terme: aku
(pronuncez acou). «Etre aku», «tu n’es pas aku». J’ai l’explication. Aku est l’abréviation du mot
danois akurat qui veut dire: tout à fait, complètement. Etre aku, dans le jeu, c’est se confondre tout à
fait avec le personnage, la chose, l’événement qu’on veut représenter, c’est faire corps avec son jeu, le
prendre pour la réalité, en éprouver les sentiments, en mimer les gestes avec continuité sans permettre
aux autres, aux parents, ni à soi-même, la notion d’une feinte provisoire». JOURNAL 1901-1916, p.
557.
316
«Et il faut remarquer tout de suit la dépersonnalisation qui fait que l’enfant est un personnage
pendant des jours, des semains, des mois, qui fait que pour l’activité son art est plus vrai que la réalité
161
Quel «piacere di vivere e d’agire per altre anime e altri corpi che non siano i
propri», si riconosce così pienamente nell’infanzia, perché non contaminata da altri
scopi, non sedotta dai modelli, dalla teorie e dalle tecniche, non corrotta da quel
desiderio di riuscire che spesso non si distingue dalla vanità. Questi rischi non fanno
parte dell’infanzia, per Copeau, ma si insinuano invece nell’età adulta, o già in quel
delicato momento di transizione che è l’adolescenza:

Se vi dico questo è per mettervi in guardia dall’operare una rottura tra l’infanzia e il momento
in cui si crede di diventare molto di più. Una bella vocazione drammatica è comandata molto
più da tutto ciò che è infantile, con gli occhi e il grande piacere favorevole alle meditazioni
incoscienti, che quando arriva con le prime teorie dei diciassette anni, nel momento in cui si
comincia a divenire idiota, a scimmiottare delle cose di cui si è incapaci, a imbrattarsi per
“farsi somigliante”, e a uscire dal naturale. Questo cambiamento non è forzato ma,
abbastanza sovente, c’è un momento in cui si abbandona la giovinezza. Per alcuni è
provvisoriamente, ma per altri è per sempre. Qualcuno perde la naïveté per accostare delle
immagini di sé più o meno vergognose. Si ha a che fare spesso con persone che sono state
delle creature autentiche e affascinanti fino ai quindici anni e che mai sono diventate
qualcuno317.

Nell’incoscienza di se stesso e del gesto compiuto il bambino è perfetto, ma il


desiderio di rimirarsi e di apparire agli altri, la gioia del gioco schiacciata
dall’obiettivo di imitare forzatamente qualcuno mediante tecniche e clichés,

[…]. C’est à ce moment-là qu’il est pur et il cessera de l’être quand il désirera jouer Hernani ou
prendre les intonations d’un vieillard». Boîte 7, cartella 10, p. 4 verso.
317
«Si je vous dit tout cela, c’est pour vous mettre en garde de faire une rupture entre l’enfance et le
moment où on croit que l’on devient beaucoup plus commandée par tout ce qui est ditations
inconscientes, qu’elle ne se prend aux premières théories de la dix-septième année, au moment où l’on
commence à devenir idiot et à singer des choses dont on est incapable, et à se barbouiller de «faire-
semblant», et à sortir de son naturel. Ce changement n’est pas forcé mais, bien souvent, il y a un
moment où l’on quitte sa jeunesse. Pour les uns c’est provisoirement, mais pour les autres c’est pour
toujours. On perd sa naïveté pour courir après des images de soi plus ou moins honteuses. On a à faire
bien souvent à des gens qui ont été des créatures authentiques et charmantes jusqu’à quinze ans et qui
jamais ne sont redevenues quelqu’un». Boîte 7, cartella 10, p. 7 fronte e retro.
162
intervengono sulla bellezza della spontaneità (intesa qui evidentemente come qualità
di un atteggiamento gioioso e non consapevole) e ne fanno finzione e artificialità.
Per Copeau, il legame fra il mondo infantile e quello dell’artista adulto non si
esaurisce in un parallelismo nel modo di guardare e ricreare il mondo, ma sarebbe
proprio l’infanzia, con i suoi legami immaginifici, il pozzo di creatività da cui
l’artista trae le immagini che riversa nella sua opera, come dice velatamente in una
conferenza già citata del 1927, quando mette in evidenzia che nell’infanzia si trova
«il vero crogiolo originale in cui si forgia la potenza creatrice che ritroveremo per
tutto il resto della vita il più spesso delle volte indebolita. A partire dai nostri venti o
venticinque anni non inventiamo più niente»318.
Se veramente «non inventiamo più niente», dove può l’artista trovare
ispirazione per le sue opere se non nel ricorso all’immaginario infantile? Alle
esperienze, alle letture, alle sensazioni, agli incontri, ai giochi e alle amicizie
dell’infanzia, periodo in cui tutto viene vissuto con la massima intensità? Copeau non
è esplicito nell’affermare quanto si può solo dedurre, tuttavia l’attenzione verso il
mondo dei balocchi, l’amore per autori come Dickens, la cura verso le attività
ludiche dei figli, l’elaborazione di una poetica teatrale che si nutre di osservazioni sul
gioco dei bambini, non può che definirsi alla fine come “il mito dell’infanzia”, in cui
l’adultità non è altro che realizzare quanto si trova in germe nell’età infantile, nonché
recuperare le forti impressioni di questo periodo magico. Le impressioni sono spesso
così forti e importanti da essere, nelle anime più sensibili, foriere di elementi nuovi e
originali anche per gli anni successivi:

Sono portato a dare maggiore importanza a queste prime impressioni che ad altre influenze
più letterarie o più artistiche di ciò che chiamerò la seconda giovinezza. È perciò che
l’infanzia ha un’influenza tanto forte e si può sempre vedere presso tutti coloro che hanno
fatto qualche cosa di grande, o anche solo qualche cosa, che la giovinezza ha una importanza
decisiva. Tutto ne dipende nella loro creazione [presumibilmente quel loro si riferisce a
«coloro che hanno fatto qualche cosa di grande»], sia che sfortunatamente abbiano dovuto
lottare contro degli impedimenti, sia che il primo periodo sia stato per loro qualcosa
d’inebriante, pieno d’ispirazione [...]. I grandi romanzieri che hanno avuto la più grande
fortuna (Balzac o Dickens per esempio) devono molto alla loro giovinezza. Dickens,

318
JACQUES COPEAU, Conférence au Theatre Guild, cit.
163
soprattutto, che ha ampiamente la natura del romanziere, ha popolato i suoi libri di un
numero di genti conosciute nella giovinezza. Il campo di creazione di Dickens si è popolato
tra i dieci e i sedici anni. Ciò che ha fatto e ciò che ha fatto di più importante viene dalle sue
impressioni di giovinezza. Egli stesso dichiara di essere a cinquant’anni perfettamente
cosciente che tutti i doni di romanziere li aveva a quattordici anni. Ciò non vuol dire che a
quattordici anni sarebbe stato capace di scrivere come a quaranta. E ciò vale anche per un
uomo come Dostoïevski319.

Esistono dei fattori, secondo Copeau, che sostengono le competenze creative


e consentono di accrescere infinitamente il mondo fantastico del bambino.
Intervenendo nella maturazione dell’innata vocazione drammatica, costituiscono i
primi elementi dell’educazione artistica del soggetto, a prescindere da come
impiegherà nel futuro le sue capacità. Agli allievi fornisce queste preziose
indicazioni: «Le frequentazioni e le amicizie possono favorire una vocazione
drammatica», si tratti di un amico provvidenziale, un padre, una madre o un fratello
maggiore320. Essi possono creare attorno al soggetto degli stimoli, e alimentare, così

319
«Je suis porté à attacher plus grande importance à ces impressions premières qu’à d’autres
influences plus littéraires ou plus artistiques de ce que j’appellerai la seconde jeunesse. C’est pour ça
que l’enfance a une influence si grande et on peut toujours voir chez tous ceux qui ont fait quelque
chose de grand, ou même simplement quelque chose, que la jeunesse a une importance décisive. Tout
en dépend dans leur création, soit que, malheureux, ils aient eu à lutter contre les empêchements, soit
que la première période ait été pour eux quelque chose d’enivrant, de plein d’inspiration. […] Les
grands romanciers qui ont eu la plus grande abondance (Balzac ou Dickens par exemple) doivent
beaucoup à leur jeunesse. Dickens surtout, qui a amplement la nature du romancier, a peuplé ses livres
de nombre de gens connus dans sa jeunesse. Le champ de création de Dickens s’est peuplé entre sa
dixième et sa seizième année. C’est qu’il a fait, et ce qu’il a fait de plus important, vient de ses
impressions de jeunesse. Il déclare lui-même: «qu’il est parfaitement conscient à cinquante ans que
tous ses dons de romancier il les avait à quatorze ans». Ce qui ne veut pas dire qu’il ait été capable à
quatorze and d’écrire comme à quarante. Et c’est pareil pour un homme comme Dostoïevski». Boîte 7,
cartella 10, p. 8 fronte e retro.
320
Copeau racconta del nonno, la traccia ereditaria del suo percorso di amore per il teatro, dei grandi
attori della sua infanzia, Melingue, Dumaine, Lacressonniere, Lemaître e dei teatri, l’Ambigu, la Porte
Saint Martin, la Gaité. Per quanto riguarda poi il valore delle frequentazioni e delle amicizie, si sa
quanto Copeau consideri le sue realizzazioni legate ad un determinato milieu di amici e fedeli, ai quali
164
come smorzare, le passioni infantili. Le persone hanno pertanto grande influenza sul
bambino, ma anche i luoghi sono carichi di suggestioni irresistibili, come nota il
regista: «Ci sono luoghi in cui la vocazione drammatica si sviluppa più facilmente
poiché sono particolarmente drammatici. Il granaio, per esempio: un luogo in cui
nessuno va, un posto riservato e misterioso con una sua atmosfera particolare»321.
L’autoanalisi retrospettiva sui ricordi d’infanzia consente certamente a
Copeau di raggiungere queste riflessioni, ma prima di fissarle negli scritti è, ancora
una volta, nell’educazione dei figli che le sperimenta. Nella casa al Limon allestisce
per loro la chambre des enfants, che Marie-Hélenè Dasté con queste parole ci lascia
intuire:

Era situata al pianterreno della nostra casa al Limon, dall’altro lato di un corridoio che
portava ad una scala conducente ai due piani superiori. Essa dava sul giardino tramite una
finestra bassa che si scavalcava facilmente. Povera di mobilia [...]. Le pareti di fondo erano il
dominio dei nostri “bambini” con i loro letti, le loro culle, un piccolo comò a diversi cassetti
dove, in ordine perfetto, erano disposti i loro corredi. A lato di questo muro, di fronte al
caminetto, il nostro “pensoir”, vecchio canapè dove ci si stendeva prima di disegnare o di
scrivere una storia, per “pensare” e concentrarsi. Contro questo stesso muro una piccola
biblioteca a vetrate che, oltre i libri, avrebbe dato ricovero, durante la guerra del 1914, a uno
dei personaggi del gioco di “Fru Spejer”, il marito di M me Lim (interpretata da Pascal)322.

dedica il primo numero del cahier du Vieux-Colombier. Cfr. JACQUES COPEAU, Les Amis du
Vieux-Colombier, in «Les cahiers du Vieux-Colombier», n. 1, novembre 1920. In particolare pp. 3-20.
321
«Si nous disons tout cela, c’est pour attacher le théâtre du Vieux-Colombier à notre propre
expérience: il faut dire en effet que cela a pris naissance dans l’esprit d’un enfant et dans un grenier».
Boîte 7, cartella 10, p. 4 verso e 5 fronte.
322
«Elle était située au rez-de-chaussée de notre maison du Limon de l’autre côté d’un couloir qui
menait à un escalier conduisant aux deux étages supérieurs – en face de la sale à manger. Elle donnait
sur le jardin par une fenêtre basse qu’on franchissait aisément. Fort peu de meubles. […]. Le mur du
fond était le domaine de nos “enfants” avec leurs lits, leurs berceaux, une petite commode à plusiers
tiroirs où, dans un ordre parfait, étaient ranges leurs trousseaux. Au coin de ce mur, face à la
cheminée: notre “pensoir”, vieux canapé où on s’étendait avant de dessiner ou d’écrire une histoire,
pour “penser”, et concevoir. Contre ce meme mur, une petite bibliothèque à porte vitrée qui, outré les
livres, devait arbiter, pendant la guerre de 1914, un des personnages du jeu de “Fru Spejer”, le mari de
Mme Lim (incarnée par Pascal)». MARIE-HÉLÈNE DASTÉ, Éclats de souvenirs, cit., p. 11.
165
L’intimità dei rapporti, la fiducia, i luoghi, le atmosfere, creano un milieu in cui le
vocazioni sono assecondate, protette, nutrite.
Insistendo sui concetti appena approfonditi Copeau compie un atto
autobiografico e consegna l’origine stessa del Vieux-Colombier, come spiega agli
allievi: «Raccontiamo questo per legare il teatro del Vieux-Colombier alle esperienze
personali: bisogna dire in effetti che esso è iniziato con lo spirito di un bambino e
dentro un granaio»323. Anche senza queste parole è impossibile non vedere i semi
dell’opera di Copeau nei suoi racconti sullo sviluppo di una vocazione: è nell’intima
protezione di una comunità, intesa come cerchia di amici e collaboratori, in una
definizione personale di spazi, ritmi e rapporti, che le sue idee attecchiscono,
volutamente lontano dalle leggi del commercio teatrale.

Pueri docibiles

Il quinto capitoletto di Un essai de rénovation dramatique, manifesto


programmatico del Théâtre du Vieux-Colombier del 1913, si intitola Les élèves-
comédiens e vi si trova esposta pubblicamente l’idea di Copeau sulla scuola. Egli
prospetta per il futuro una école des comédiens gratuita, che ospiti uomini e donne
senza particolare preparazione attorica, giovani e bambini. La presenza di allievi più
piccoli è prevista, dunque, sin dall’inizio del progetto, ma il ruolo loro attribuito
appare ancora piuttosto marginale rispetto alle successive considerazioni di
Copeau324.

323
«Si nous disons tout cela, c’est pour attacher le théâtre du Vieux-Colombier à notre propre
expérience: il faut dire en effet que cela a pris naissance dans l’esprit d’un enfant et dans un grenier».
Boîte 7, cartella 10, p. 5 fronte.
324
JACQUES COPEAU, Un essai de rénovation dramatique. […], cit. Copeau scrive anche di
«hommes et des femmes ayant l’amour et l’instinct du théâtre, mais qui n’auraient pas encore
compromis cet instinct par des méthodes défectueuses et des habilités de métier». Ivi, p. 37. Questo ci
induce a pensare che dal suo iniziale appello alla jeunesse, ai giovani, alla gioventù, egli non si rivolga
166
Tra il 1915 e il 1916, l’interesse nei confronti dell’educazione infantile si
manifesta in progetti e azioni concrete: da una parte l’attivazione di un corso per
bambini al Club de gymnastique ritmique, dall’altra la stesura del Projet d’une École
technique pour la rénovation de l’Art Dramatique Français, in cui Copeau prevede
di creare una scuola, poi mai realizzata, da installare al Limon e comprendente tre
differenti équipes: una di allievi adulti, una di ragazzi e una di bambini («Infine, il
terzo e ultimo gruppo dell’École si compone di bambini dai dieci ai quindici
anni»)325.
Durante la conferenza tenuta al Little Theatre di New York il 19 marzo 1917,
Copeau, non avendo realizzato le proprie aspettative, torna a parlare della prospettiva
di aprire una scuola che si ponga come primario interesse il lavoro con i bambini.
Dichiara di fronte al pubblico americano:

La scuola del Vieux-Colombier, ancor più del teatro, è nell’infanzia. […] Il teatro e la scuola,
la stessa cosa, ma a livelli differenti: a teatro ci sono soggetti già formati: bisogna limitarsi a
riformarli. Non è educazione, ma allenamento. [...]. Più sono giovani, più sono malleabili.
Prenderli il più giovani possibile. Radunare la troupe. Radunarla per la scuola. Ci saranno
ancora uomini e donne di diciotto e venti anni all’interno della scuola. Ma ci saranno
soprattutto bambini, veri bambini. I nostri bambini. Terremo gli occhi su di loro. Occorre
prenderli fin d’ora e consacrare loro tutte le nostre cure se vogliamo vedere l’alba di una
rinascita drammatica. Poiché prevedo che quando essi calcheranno la scena, vedremo
spettacoli come non li abbiamo mai visti. […] Dunque accogliamo i nostri allievi a partire dai
dodici anni. Di tutte le condizioni, del popolo, borghesi, figli d’arte. Città, provincia,
campagna326.

semplicemente alla categoria “giovani”, ma a quella dimensione di freschezza e di spensieratezza di


animo e di pensiero che era andata perduta nell’approccio al teatro.
325
«Enfin, le troisième et dernier groupe de l’École se compose d’enfants de 10 à 15 ans». PROJET
1916, p. 130.
326
«L’École du Vieux-Colombier, plus encore que le théâtre du Vieux-Colombier, est dans l’enfance.
[…] Le théâtre et l’école, seul et même chose, à des degrés différens: au théâtre sujets déjà formés: il
faut se borner à les reformer. Non pas education mais entraînement. [...]. Plus ils sont jeunes, plus ils
sont maniables. Les prendre les plus jeunes possibles. Donc rajeunir la troupe. La rajeunir par l’école.
Il y aura encore des hommes et des femmes de dix-huit et vingt and dans l’école. Mais il y aura
surtout des enfants, des vrais enfants. Nos enfants. Nous avons les yeux sur eux. Il faut les prendre dès
167
Il bambino ha per Copeau un elevato stato di educabilità, in quanto soggetto
da formare, che pone poche resistenze all’educazione. Egli non agisce secondo
schemi mentali già consolidati, né è dominato da prospettive di successo, sentimento
che il regista ritiene diffuso fra gli artisti di teatro. Il bambino, non ancora corrotto
dal sistema teatrale dominante, non deve dunque subire un processo di
“decabotinage”.
Non per questo il lavoro condotto con i bambini si presenta più semplice o
più veloce, al contrario: non solo è molto più lungo, ma anche più complesso, perché
si assume la responsabilità dell’educazione totale dell’allievo impegnandosi a
provvedere ad una formazione tecnico-professionale e ad un bagaglio di cultura
generale del giovane, ma anche – prima di tutto – ad occuparsi della sua educazione
morale ed estetica.
Considerato tutto questo, è altamente improbabile che il rifiuto dell’education
a favore dell’entraînement da parte di Copeau si rivolga ai piccoli allievi, mentre
l’espressione si addice perfettamente al lavoro con gli adulti: con loro, che sono già
stati protagonisti di una forma di preparazione al teatro, in qualche modo già
“compromessi”, l’intervento non può essere totale. Si può prevedere per l’adulto un
addestramento, ma egli non può crescere nell’ottica dell’amore profondo e
dell’abnegazione verso il teatro con la stessa profondità che contraddistingue chi
inizia in un’età giovane. Nel famoso cahier sull’École du Vieux-Colombier, datato
1921, Copeau riprende così la questione:

Si può influenzare con successo un giovane uomo di venti anni, già impiegato nella vita e nel
suo mestiere, che arriva segnato dall’ambiente d’origine, dalle compagnie e dagli esempi, già
forte di una serie di esperienze e di giudizi personali. Lo si può dirigere, allenare, riformare.

maintenant et leur consacrer tous nos soins si nous voulons voir l’aube d’une renaissance dramatique.
Car je prédis que quand ils monteront sur la scène, nous verrons des spectacles tels que nous n’en
avons jamais vus. [...]. Donc accueillons nos élèves dès dix-douze ans. De toutes conditions, enfants
du peuple, bourgeois, nés d’artistes. Ville, province, campagne». TROISIÈME CONFÉRENCE, pp. 509-
510.
168
Non lo si può più formare, educare. Poiché non è più il bambino in atteggiamento ricettivo, in
attesa di una dottrina, docile, cioè educabile: puer docibilis327.

La conferenza del 1917 continua così: «Occorre prenderli fin d’ora [i giovani
soggetti da formare] e consacrare loro tutte le nostre cure se vogliamo vedere l’alba
di una rinascita drammatica»328. Il bambino non è solo flessibile, malleabile,
educabile, ma, potendo consacrare molti anni alla sua formazione, rappresenta anche
la possibilità di costruire un percorso su tempi lunghi, necessità sulla quale il regista
francese insiste più volte. Al termine del lavoro «vedremo spettacoli come non li
abbiamo mai visti» - sostiene Copeau – che ripone le più alte speranze
nell’educazione del bambino, rintracciando un nesso significativo fra la sua presa in
carico e i risultati estetici che se ne otterranno.
Tali considerazioni non conoscono distinzioni: i bambini partono tutti dallo
stesso stato di educabilità a prescindere dalle condizioni economiche o culturali. Per
il regista l’educazione drammatica procede secondo un criterio democratico.
Dieci anni dopo, durante la conferenza tenuta al Laboratory Theatre,
dedicando grande spazio al carattere di apostolato che dovrebbe assumere la vita
dell’artista, ritorna sull’importanza di dedicarsi alla formazione drammatica dei
bambini:

Sappiamo dunque che occorre ritrovare lo spirito, che è inutile cercare di fare qualunque cosa
senza questo. Occorre ritrovarlo e comunicarlo. Occorre scegliere gli esseri a cui
comunicarlo, e sceglierli nell’età, nel momento della vita in cui siano in condizione di essere
educati, in cui sono, seguendo l’espressione della scolastica antica, degli esseri docili: pueri
329
docibiles .

327
«On peut influencer heureusement un jeune homme de vingt ans, dejà engagé dans la vie et dans
son métier, qui vient à nous déjà marqué par son milieu d’origine, par des frequentations et des
exemples, déjà fort d’une série d’expériences et de jugements personnels. On peut le diriger,
l’entraîner, le reformer. On ne peut déjà plus le former, l’éduquer. Car il n’est plus l’enfant en attitude
de réceptivité, en attente d’une doctrine, docile, c’est-à-dire educable: puer docibilis». CVC2, p. 32.
328
Per il testo in francese cfr. nota 40 del capitolo.
329
«Nous savons donc qu’il faut que l’esprit soit retrouvé, qu’il est inutile d’essayer de rien faire sans
cela. Il faut qu’il soit retrouvé, et il faut qu’il soit communiqué. Il faut choisir les êtres auxquels il sera
communiqué, et les choisir à l’âge, au moment de leur vie où ils sont en état d’être éduqués, où ils
169
Il gioco come base dell’apprendimento

In un manoscritto risalente agli anni della scuola si trova questa nota di


Copeau: «Come si manifesta la prima attività del bambino? Tramite il gioco! Il gioco
è l’inizio. Se si giocava bene da piccoli, si saprà giocare sempre meglio fino a
divenire attori»330. Il gioco è per il regista la primaria attività del bambino e qualsiasi
processo formativo che lo riguardi, anche quello artistico-teatrale, deve tenerne
conto. Lo dichiara già nella conferenza tenuta al Metropolitan Theatre di New York
nel marzo del 1917, in cui offre note concise, ma molto interessanti, sul gioco
infantile, accostandole ad una precisa modalità di lavoro con i bambini:

Tutto l’insegnamento come un grande gioco differente, al quale ci si sente sempre più
trasportati dallo sviluppo delle facoltà. E che ciò non sappia di pedagogia. Il gioco resti il più
libero possibile. Il gioco, imitazione delle attività e dei sentimenti umani. Attraverso il gioco
si fa tutta l’esperienza del bambino. Egli sceglie il suo gioco, seguendo la sua inclinazione, il
suo carattere. È sincero e fedele a se stesso. […]. Il gioco. I bambini ci insegnano. Invenzione
autentica. Favorire i loro giochi, esaltarli senza intromettersi troppo. Aiutarli. La loro
immaginazione diminuisce in mancanza di un accessoire: suggerire l’accessoire 331.

sont, suivant l’expression de l’ancienne scholastique, des êtres dociles: pueri docibiles». JACQUES
COPEAU, Conférence au Laboratory Theatre, cit., p. 139. Copeau sa che i bambini si trovano nell’età
in cui si più maggiormente insistere sul «valeur humaine de chaque personne, sa résistance morale, sa
faculté ouvrière en tant que membre d’une communauté où tout doit tendre à la création et à l’armonie
dans la création». Ibidem.
330
«Comment se manifeste la première activité de l’enfant? Par le jeu! Le jeu, c’est le début. Si on
joue bien étant jeune, on saura jouer de mieux en mieux jusqu’à devenir un acteur». Boîte 7, cartella
10, p. 3 fronte.
331
«Tout l’enseignement comme un grand jeu divers, auquel on se sent de mieux en mieux entraîné
par le développement des facultés. Et que cela ne sente pas la pédagogie. Le jeu reste le plus libre
possible. Le jeu, imitation des activités et sentiments humains. Par le jeu se fait toute l’expérience de
l’enfant. Il choisit son jeu, suivant son inclination, son caractère. Il est sincère et fidèle à lui-même.
[...]. Le jeu. Les enfants nous enseignent. Invention authentique. Favoriser leurs jeux, les exalter, sans
s’y mêler trop. Les aider». TROISIÈME CONFÉRENCE, p. 512.
170
Il regista si sofferma sulla conoscenza, inconsapevole, che il bambino ha di
sé: egli è in grado di scegliersi il gioco più appropriato, di farlo in armonia con la sua
«inclinazione, il suo carattere». In virtù di questa innata “saggezza”, è errato insistere
su altri giochi o cercare di distogliere l’attenzione del piccolo dall’oggetto o
dall’attività prescelta: meglio di altre essa avrà le caratteristiche idonee a svilupparne
i bisogni. Per questo motivo il gioco deve restare «libero», cioè condotto senza essere
imbrigliato e limitato dalle indicazioni dell’adulto, che deve cercare di rimanere
esterno all’organizzazione dell’attività ludica. Copeau, in questo modo, riconosce
l’importanza dell’adulto educatore: il “lasciar fare” non è sintomo di disinteresse, ma
cela una precisa intenzionalità educativa. Nell’assunzione di un ruolo osservativo
l’adulto si deve porre come obiettivo la conoscenza approfondita del soggetto, in
modo da poter intervenire, in modo discreto e non invasivo, solo quando necessario.
Il contributo dell’educatore non deve sostituirsi all’iniziativa del bambino, ma offrire
suggerimenti in grado di ravvivare, sollecitare, approfondire un gioco o un esercizio
avviato autonomamente.
Per approfondire queste indicazioni sono utili i ricordi d’infanzia di Marie-
Hélène Dasté, primogenita del regista, che offrono un’idea del modo in cui il padre si
introduce nei giochi dei figli. Scrive la Dasté:

Mi ricordo di un giorno in cui mi sorprese, mentre singhiozzavo sul nostro “pensatoio” nella
camera dei bambini. Avevo fallito, quel giorno, in tutti i miei tentativi di disegni e di storie, e
mi perdevo nella disperazione; persuasa che non ce l’avrei mai fatta, che tutto era finito. La
sera stessa mi portò un quaderno di disegni tutto nuovo, di un formato più grande del
precedente, una bella scatola d’acquerelli splendente e dei pennelli in pelo di martora. La
mattina seguente tutto ricominciò meglio. Egli ci indicava anche le cave nei dintorni dove
potevamo trovare della creta e ci suggeriva di provare a modellarla. Mi misi subito a
modellare i personaggi della mia storia di zingari. Un’altra volta ci raccontò l’avventura di
Bernard Palissy che ci lanciò immediatamente dentro un’impresa di vasellame. Egli
ispezionava minuziosamente i nostri lavori, si domandava con noi se non fosse possibile

171
migliorare le nostre materie prime, variandone l’aspetto, per esempio incorporando alla creta
332
un po’ di sabbia fine o trovando un modo migliore di cuocerla .

Copeau incoraggia tramite consigli pratici e interpella i bambini,


coinvolgendoli per cercare possibilità di miglioramento e arricchimento del loro
gioco, senza anticipare i tempi di crescita: «Papà lottava sempre in tutte le cose
contro la routine, l’appagamento di sé, ci apriva costantemente vie e prospettive
nuove, ma che fossero alla nostra misura, in accordo con le nostre possibilità»333.
Un’altra valida risorsa per stimolare l’attività ludica è quanto Copeau
definisce «l’accessoire»; riprendiamo a questo proposito dalle note della conferenza
del 1917 al Metropolitan Theatre: «La loro immaginazione [quella dei bambini]
diminuisce in mancanza di un accessoire: suggerire l’accessoire»334. L’“accessorio”,
nella traduzione italiana, indica per Copeau l’oggetto apparentemente secondario che
diviene in realtà molto importante all’interno del gioco. L’esempio viene anche
questa volta dalla vita personale. Copeau narra della costruzione di una spada per il
gioco della sua bambina Edvig (soprannominata Edi): «La spada d’Edi. Lei non ha la
pazienza di farne una bella. Gliela faccio io, così che veda la mia pazienza, la mia

332
«Je me souviens d’un jour où il me surprit , sanglotant sur notre “pensoir” dans la chambre des
enfants. J’avais échoué, ce jour là, dans toutes mes tentatives de dessins et d’histoires, et m’abîmais
dans le désespoir; persuade que c’était pour toujours – que tout était fini. Le soir même il m’apportait
un cahier de dessin tout neuf, d’un format plus grand que les precedents, une belle boîte d’aquarelles
rutilante et des pinceaux en poil de martre. Dès le lendemain matin tout était reparti de plus belle. Il
nous indiquait aussi les carrières des environs où nous pourrions trouver de la terre glaise et nous
d’essayer de la modeler. Je me mis aussitôt à modeler les personages de mon histoire de tziganes. Une
autre fois il nous raconta l’aventure de Bernard Palissy qui nous lança immédiatement dans une
entreprise de poterie. Il inspectait minutieusement nos travaux, se demandant avec nous, s’il ne serait
pas possible d’améliorer nos matières premières, en varier l’aspect, par exemple en incorporant à la
glaise un peu de sable fin ou trouver un meilleur moyen de caisson». MARIE-HÉLÈNE DASTÉ,
Éclats de souvenirs, cit., p. 31.
333
«Papa luttait toujours en toutes choses contre la routine, la satisfaction de soi – il nous ouvrait
constamment des voies et des perspectives nouvelles, mais qui fussent à notre mesure, en accord avec
nos possibilités». Ibidem.
334
«Leur imagination se relâche faute d’un accessoire: suggérer l’accessoire» TROISIÈME
CONFÉRENCE, p. 512.
172
accuratezza, le faccio desiderare la spada lungamente. I sogni crescono intorno ad
essa. Dall’amore nei suoi confronti nasce il personaggio del cavaliere»335.
Prolungando l’attesa, e dunque la soddisfazione del desiderio, Copeau alimenta le
aspirazioni di Edvig, che, ancor prima di possedere l’oggetto amato, immagina (e in
qualche modo vive) tutte le cose che potrà farci. La fantasia è così stimolata non da
un impulso cognitivo, ma da uno emotivo. Ancor meglio se l’adulto non solo evita di
soddisfare immediatamente le richieste del giovane, ma lo aiuta ad «eseguire
materialmente gli oggetti che richiede per i suoi giochi»336, sviluppando così anche la
capacità manipolatoria e la gioia impagabile di fare da soli.
Le riflessioni di Copeau sull’educazione del bambino sono quanto mai attuali:
parla della necessità di suggerire l’accessoire quando il giovane, per qualche motivo,
non trova stimoli all’immaginazione; ma volendo cogliere con maggior profondità il
discorso, ci si trova di fronte ad una seconda preziosissima indicazione: non è la
sovrabbondanza di oggetti, giochi, “accessori” a soddisfare le necessità ludiche,
perché una mente sovraeccitata funziona come una mente non eccitata: è
improduttiva, sterile di immagini, di idee, di possibilità e di desiderio. Il bambino che
ha tutto non può liberare l’energia creatrice che inizia solitamente ancor prima di un
gioco, manifestandosi con l’attesa337.

335
«L’épée d’Edi. Pas la patience d’en faire une belle. Je la lui fais. Elle voit ma patience, mon soin, je
la lui fais désirer longtemps. Les rêves grandiront autour de l’épée. De l’amour qu’elle lui porte, naît
le personnage du chevalier». TROISÈME CONFÉRENCE, p. 512.
336
Boîte 2, cartella 12, p. 1.
337
Il tema dell’attesa è caro a Copeau, che si dilunga sugli effetti che essa produceva in lui quando,
bambino, il padre gli prometteva di condurlo alla Comédie Française come ricompensa ad un buon
rendimento scolastico. Cfr. Boîte 7, cartella 10, p. 6 fronte e verso. Il valore dell’attesa aumenta
l’effetto positivo di una rappresentazione, come conferma anche nella conferenza al Laboratory
Theatre del 1927: «La promessa dello spettacolo, l’anticipazione dello spettacolo come una
ricompensa liberava in noi le fonti più delicate dell’immaginazione. Ricordatevi cos’era la vostra
attesa e cosa vi aggiungeva d’impazienza deliziosa e di amore ogni dilazione. Ricordatevi con che
sentimento vi addormentavate la vigilia dello spettacolo, vi svegliavate il giorno dello spettacolo,
superavate la distanza che vi separa dal teatro, ne oltrepassavate la soglia, entravate nella sala,
respiravate il suo odore, prendevate posto, aspettavate il segnale e vedevate infine alzarsi il sipario per
rivelarvi un altro mondo, e che risonanza acquistava nel vostro cuore la prima parola detta. E una
volta svanito il prestigio, fatto silenzio, chiuso il sipario, ricominciata la vita normale, quel
173
Copeau riprende con queste sue considerazioni un caposaldo di alcune teorie
pedagogiche. Fra i teorici moderni, John Locke si esprime così rispetto al gioco e al
giocattolo:

I bambini dovrebbero fabbricarsi da sé i loro giocattoli, o almeno provare a farlo con alacrità.
Fino ad allora non dovrebbero possederne alcuno e fino ad allora non avranno bisogno di
giocattoli di grande artificio. Una pietra levigata, un pezzo di carta, il mazzo di chiavi della
mamma, o altra cosa con cui non si possano far male, servono a divertire i bimbi quanto i più
costosi e strani giocattoli dei negozi, che vengono subito rovinati e rotti... 338.

prolungamento infinito del ricordo suscita l’esistenza quotidiana che non ha né l’armonia, né la
continuità, né la pienezza dello spettacolo inventato». JACQUES COPEAU, Conférence au
Laboratory Theatre, cit, p. 46.
338
JOHN LOCKE, Il pensiero educativo, a cura di Diega Orlando, Brescia, La Scuola, 1981, pp. 31-
32. Anche Ovide Decroly mette in evidenza che la povertà di oggetti e giocattoli non è sinonimo di
assenza di gioco, semmai uno stimolo all’esercizio fantastico: «I giocattoli preferiti dai bambini sono
le materie prime alle quali possono variare la forma e adattarne l’uso, secondo i bisogni del momento.
Abbiamo osservato che dei fanciulli già altini, dai dieci ai dodici anni, i quali non disponevano che di
due vecchi trespoli e di alcune tavole da steccati, si costruivano ora un areoplano, ora una nave, ora
una casa, un teatro, una fortezza, ecc., e vi si divertivano attorno per parecchie settimane, non senza
organizzare, naturalmente, dei viaggi, dei combattimenti, dei naufragi, delle catastrofi varie, con
l’ausilio di questi oggetti». OVIDE DECROLY, Avviamento all’attività intellettuale e motrice
mediante i giuochi educativi, Firenze, La Nuova Italia, 1969. Citazione a p. 10. Prima edizione
Delachaux &Niestlé S. A., 1913. Anche Baudelaire condivide il pensiero che il giocattolo semplice sia
per il bambino uno stimolo maggiore della miriade di giocattoli super accessoriati che stancano presto:
«Analizzate questo immenso mundus infantile, considerate il giocattolo barbaro, il giocattolo
primitivo, in cui pel fabbricante il problema consisteva nel costruire un’immagine il più possibile
approssimativa con gli elementi più semplici e meno costosi: per esempio, il pulcinella mosso da un
solo filo; i fabbri che picchiano; i fabbri che picchiano sull’incudine; il cavallo col suo cavaliere
ornato d’una piccola piuma, che è un gran lusso; è il giocattolo da cinque soldi, da un soldo. Credete
che queste immagini semplici creino una realtà minore nello spirito del fanciullo che quelle meraviglie
di Capodanno, che son piuttosto un omaggio della parassitica servilità alla ricchezza dei genitori che
un regalo alla poesia infantile?». CHARLES BAUDELAIRE, Morale del giocattolo, cit., p. 53. A
questo proposito si cita anche Dalcroze, che scrive: «Non vi è nulla che piaccia tanto al fanciullo
quanto di fabbricare per conto suo e di ornare a sua fantasia gli oggetti che servono a divertirlo. Così
egli s’interessa maggiormente agli studi nei quali può mettere un po’ del suo io». ÉMILE JAQUES-
DALCROZE, Ritmo, musica e educazione, cit., p. 42.
174
Proprio per l’importanza di fare da soli, Copeau riconosce che aiutare in certi
casi i bambini nella fabbricazione dei giochi non significa sostituirsi a loro, che
devono invece essere incoraggiati a costruirli autonomamente, e ad organizzarsi
all’interno dell’attività ludica con uno spirito di autonomia e d’iniziativa che fa
fermentare l’immaginazione.
Dalle note della conferenza di Copeau si possono estrapolare altre riflessioni.
«Il gioco – dice l’autore – imitazione delle attività e dei sentimenti umani». Il
bambino impara presto a cogliere le manifestazioni esteriori di un sentimento; perciò,
all’interno dei giochi, non ripropone solo il “fare” dell’adulto, ma anche la
manifestazione esteriore dello stato interiore che lo accompagna. Nel suo discorso
Copeau si limita a parlare di «imitazione», senza intervenire sullo stato interiore del
bambino. Non c’è interesse da parte del regista per quello che il piccolo prova,
mentre vuol mettere in evidenza il rapporto stretto fra gioco e ambiente circostante.
A confermarlo anche il passo successivo. Enunciando che «attraverso il gioco
si fa tutta l’esperienza del bambino», il regista ne mette in evidenza la funzione
esperienziale, perché attraverso l’azione del gioco il bambino conosce il mondo
circostante, lo acquisisce, sperimenta le potenzialità sue e dell’oggetto e si corregge
in caso di errore. Copeau dunque rivela che non siamo di fronte ad un’attività
minore, con significato di svago e diletto: il bambino non gioca per piacere (semmai
gioca con piacere), ma con una finalità di conoscenza che gli è istintiva339.
Nonostante queste dichiarazioni di evidente carattere pedagogico, Copeau
prende fermamente le distanze dalla «pedagogia». Si può dire che utilizzi il termine
secondo una interpretazione particolare, alquanto soggettiva. In questo preciso
contesto pare infatti impiegarlo per indicare una formazione rigida, non rispettosa dei
principi che va enunciando. Scrive infatti: «E che tutto ciò non sappia di pedagogia»,
cioè non sia una forma di costrizione, una metodologia di lavoro inflessibile, poiché

339
In un racconto pubblicato in «L’Ermitage» Copeau affronta anche l’estremo opposto: il non gioco,
in cui la mancanza del piacere ludico nel bambino viene indicata come un aspetto negativo, contrario
alla natura dell’essere umano. Cfr. JACQUES COPEAU, L’enfant oisif, in JACQUES COPEAU,
Notes d’enfance, in «L’Ermitage», novembre 1902, pp. 340-342.
175
lo sviluppo armonico e libero del bambino richiede all’educatore di accettare un
metodo che si costruisca su una base di osservazione, continua rivalutazione e
instancabile sperimentazione. Solo rifiutando l’aspetto didascalico, l’insegnamento
può realizzarsi come un «grande gioco» e condurre il bambino all’apprendimento
tramite il piacere e la libertà di esprimersi. Sarà lui che, sentendosi accettato nella sua
natura e godendo dello sviluppo delle sue facoltà, sentirà nascere l’impulso gioioso,
il trasporto verso un insegnamento guidato, che, superata la fase del gioco libero, è il
solo strumento in grado di consentirgli un continuo miglioramento delle competenze.

Una pedagogia teatrale puerocentrica

Quando Jacques Copeau fa riferimento al gioco come principale attività del


bambino, che deve essere stimolata e non repressa perché strumento di conoscenza
del mondo, quando revisiona il ruolo dell’educatore, che non impone né giudica, ma
osserva e stimola, quando mette il soggetto al centro dell’attività educativa
riconoscendo un apprendimento come sviluppo e non come trasmissione, esce da un
ambito propriamente teatrale e si appropria di concetti e linguaggi che appartengono
alla pedagogia umana.
Si consideri anzitutto l’assunzione dell’infanzia a modello di spontaneità e di
innocenza. Il suo mito si può far risalire all’età moderna: in questo lungo periodo
storico nasce un sentimento nuovo verso il mondo infantile, considerato nelle
peculiarità e nei bisogni che lo distingue da quello adulto. Alcune delle istanze sorte
e portate avanti fra il 1500 e il 1800 si ritrovano approfondite nei secoli XIX e XX,
confermate dal supporto indispensabile della psicologia infantile.
Copeau nella didattica teatrale elaborata inserisce innanzitutto contenuti di
matrice romantica. Le sue teorie sul gioco richiamano intimamente quelle di
Friedrich Froebel, che concepisce l’attività ludica come espressione propria
dell’anima infantile, e ne raccomanda il libero esercizio per garantire lo sviluppo
armonico del soggetto.
Il principio che permea le riflessioni del filosofo tedesco corrisponde alla
visione unitaria dell’uomo e dell’universo, intesi come riverberi del Divino. In
176
quanto abitato da un Dio riconosciuto come entità buona, l’uomo, se lasciato libero
di svilupparsi, non può che manifestare all’interno e all’esterno «l’ottimo», «il
giusto»340. Tuttavia la corruzione del vivere sociale oscura il connubio originario con
il mondo celeste, che rimane invece intatto in soggetti puri come i bambini e si rivela
nella loro attività privilegiata: «Il giuoco è la manifestazione più pura e spirituale
dell’uomo in questo periodo. […]. Le fonti di ogni bene giacciono in esso, da esso
sgorgano»341.
A partire da queste concezioni il filosofo elabora un metodo educativo
pressoché identico a quello del fondatore del Théâtre du Vieux-Colombier, che pone
il bambino come punto di partenza dell’educazione drammatica, sebbene
nell’approccio propugnato dal regista sia assente il valore metafisico di cui è intrisa
invece certa poetica romantica. Il gioco come prima manifestazione di sé, idea
presente nel pensiero froebeliano, riemerge nell’educazione artistica di Copeau,
seppur scevra di riferimenti metafisici e più prossima a principi psicologici,
antropologici ed estetici: interessandosi ai meccanismi che sottendono al gioco e alle
possibilità di sviluppo di funzioni cognitive (il pensiero simbolico, la creatività,
l’immaginazione, l’immedesimazione).
L’attività ludica deve essere sostenuta dalla costruzione di ambienti idonei e
di spazi attrezzati, ma anche da precise azioni educative. Indica Froebel:
«l’educazione, l’istruzione e l’insegnamento fin dall’inizio e nei loro primi elementi
devono necessariamente lasciar fare, assecondare (solo preservando, proteggendo) e
non prescrivere, determinare, intromettersi»342. La pedagogia di Froebel è dunque
una paidòs che tollera e asseconda, fintanto che la natura si manifesta nel suo stato
integro e originario, e da questa considerazione deriva la metafora dell’educatore
340
Per Froebel l’interno e l’esterno sono congiunti nella vita di tutte le cose in quanto derivanti
ugualmente da Dio, che si fa conoscere attraverso le cose create (gli uomini e la natura) e le loro
manifestazioni.
341
FRIEDRICH FROEBEL, L’educazione dell’uomo e altri scritti, Firenze, La Nuova Italia, 1960, p.
44.
342
Ivi, p. 8. Si consideri anche la seguente citazione: «Ogni insegnamento, educazione e istruzione che
agisca, ordini, determini, s’imponga, deve necessariamente esercitare un influsso che annulla,
impedisce, turba l’azione del divino e gli uomini stessi considerati nella loro purezza e sanità
originaria». Ivi, p. 9.
177
“giardiniere” che coltiva ciò che è già potenzialmente in essere nella natura umana.
Allo stesso modo, per Copeau, deve essere guidata l’educazione estetica:

Il metodo doveva assecondare nel bambino lo sviluppo naturale dell’istinto del gioco,
limitandosi a incoraggiarlo, a fornirgli punti di appoggio, a procurargli i mezzi per esprimersi
secondo il suo gusto, la sua immaginazione, il suo bisogno di divertimento [...]. L’istruzione,
uniforme per tutti in partenza, avrebbe dovuto differenziarsi via via che in seno all’unità
corale si manifestassero le tendenze personali. A seconda delle sue inclinazioni, uno si
sarebbe trovato più spinto verso la musica, l’altro verso l’invenzione del dialogo, quello
all’improvvisazione, quest’altro all’interpretazione e l’altro ancora alla regia, ecc.343.

Per finire, in un’iniziazione precoce dell’educazione artistica si trova


un’ulteriore coincidenza tra Copeau e Froebel. Il filosofo, infatti, in sintonia con altri
pensatori romantici, ne riconosce il valore per la crescita del bambino, sebbene non
contempli in modo specifico il teatro:

Il senso artistico, l’arte è una proprietà generale, una disposizione generale dell’uomo, e
quindi deve essere in lui coltivata per tempo, almeno sin dalla fanciullezza. L’uomo sarà così
messo in grado – anche se le forze del suo spirito e della sua vita, le sue attività non sono
indirizzate in modo speciale all’arte ed egli non debba diventare un artista – di intendere
almeno ed apprezzare le opere d’arte e, in possesso di questa seria cultura fornitagli dalla
scuola, si guarderà bene dal pretenderla ad artista, quando non abbia per l’arte una vera,
intima vocazione344.

La vicinanza ad alcuni aspetti delle teorie froebeliane non esaurisce certo il


contatto di Copeau con la pedagogia: se da un lato egli riprende contenuti di matrice
romantica, dall’altro li revisiona con elementi propri della pedagogia positivista, che

343
«La méthode devait suivre le développement naturel de l’instinct du jeu chez l’enfant, se bornant à
l’encourager, à lui fournir des points d’appui, à lui procurer les moyens de s’exprimer selon son goût,
son imagination, son besoin de divertissement […]. L’instruction, uniforme pour tous à l’origine,
devait se différencier à mesure qu’au sein de l’unité chorale s’accusaient les dispositions personnelles.
Selon ses dons, l’un se trouverait davantage poussé vers la musique, l’autre vers l’invention du
dialogue, celui-ci vers l’improvisation, celui-là vers l’interprétation, cet autre vers la mise en scène,
etc». SOUVENIRS, pp. 92-93.
344
FRIEDRICH FROEBEL, L’educazione dell’uomo e altri scritti, cit., pp. 169-170.
178
caratterizza l’inizio del secolo XX. Si fa riferimento al periodo in cui si diffonde in
Europa e in Nord America il movimento dell’attivismo, che in pedagogia sostiene un
apprendimento “problematizzato”, secondo cui il bambino imparerebbe quando,
maturate le condizioni psico-fisiche, avverte la necessità di risolvere problemi di
origine concreta: il chiarimento di una situazione particolare in cui è coinvolto lo
porterebbe a scoprire, per induzione, la regola generale. A livello educativo e
didattico le ripercussioni di questo approccio sono rivoluzionarie perché stabiliscono
il perno dell’evoluzione umana nell’attività, nel fare, che nel bambino si manifesta
inizialmente come gioco. Scrive lo studioso di pedagogia Franco Cambi, con
riferimento ai sostenitori di una pedagogia attiva:

L’infanzia, secondo questi educatori, va vista come un’età pre-intellettuale e pre-morale,


nella quale i processi cognitivi si intrecciano strettamente all’operare e al dinamismo, anche
motorio oltre che psichico, del fanciullo. Il fanciullo è spontaneamente attivo e necessita
quindi di esser liberato dai vincoli dell’educazione familiare e scolastica, permettendogli
invece una libera manifestazione delle sue inclinazioni primarie. [...] L’apprendimento deve
avvenire a contatto con l’ambiente esterno, alla cui scoperta il fanciullo è spontaneamente
interessato, e attraverso attività non esclusivamente intellettuali, ma anche di manipolazione,
rispettando in tal modo la natura “globale” del fanciullo, che non tende mai a separare
conoscenza e azione, attività intellettuale e attività pratica 345.

L’attenzione verso lo sviluppo “globale” della persona, la valorizzazione


delle attività pratiche, il pericolo di una eccessiva e precoce “intellettualizzazione”,
conduce molti educatori a recuperare un’educazione “secondo natura”. Riprendendo
istanze di Jean-Jacques Rousseau, il concetto esprime, da una parte, una prassi
educativa impostata, in generale, sulle possibilità insite in ogni fase di sviluppo e, in
particolare, sui tempi della singola persona, dall’altra, e l’idea del “naturale” riflette
anche una precisa scelta rispetto al luogo in cui far maturare le singole risorse, cioè il
più possibile a contatto con la natura, e così ecco sorgere, in particolare in Francia e

345
FRANCO CAMBI, Manuale di storia della pedagogia, cit., p. 275.
179
in Germania, gruppi, scuole, comunità, che trovano sede in aperta campagna, e che
prevedono attività a contatto diretto con la natura346.
Una formazione che rispetti la persona si traduce in un processo rivolto alla
realizzazione dell’essere nella sua totalità, sostenendo una congiunzione tra teoria e
prassi. La praxis infatti è una componente dell’uomo, che deve evolvere al pari della
sfera intellettuale. Nella pedagogia novecentesca si recupera questo ideale, presente
sia nella corrente illuminista che in quella romantica come componente essenziale
del processo formativo. È nel secolo dei Lumi, effettivamente, che l’educazione
dell’uomo inizia a rivalutare l’egemonia umanista per aprirsi ad ambiti di studio che
privilegiano un sapere meno speculativo-filosofico e più esperienziale. John Locke
introduce il concetto di “educazione professionale”, insistendo sull’innovazione
curriculare: l’uomo non deve solo disquisire filosoficamente, ma trovare un contatto
con la materia e sviluppare così il pensiero a partire dal concreto, dalle attività del
mondo. Per il padre dell’empirismo moderno, l’apprendimento di un mestiere
manuale deve accompagnare il curriculum di studi: giardinaggio, falegnameria,
lavorazione del ferro. Tali materie non solo favoriscono una formazione completa,
considerando il soggetto sotto molteplici aree di sviluppo, ma muovono anche dai
bisogni concreti del bambino, che sono prevalentemente fisici e motori e niente
affatto astrattamente intellettuali347.
Le istanze illuministe, pur avendo gettato le basi su cui costruire una nuova
mentalità, si tradurranno in cambiamenti concreti nelle scuole solo con l’Ottocento. Il
XIX secolo è testimone del fiorire di scuole tecniche che sovvertono la tradizione
umanista per inserire programmi e materie scientifiche. Di questo cambiamento sono
sostenitori anche filosofi e pedagogisti romantici, per i quali non solo i programmi
scolastici devono farsi carico di una formazione più complessa, comprendendo lavori
manuali e artigianali, ma si deve altresì considerare la necessità di mantenere, al fine

346
E così ecco sorgere, in particolare in Francia e in Germania, gruppi, scuole, comunità, che trovano
sede in aperta campagna, e che prevedono attività all’aperto. Non è un caso che proprio in questo
periodo si sviluppi l’elioterapia come pratica medica ed educativa. Cfr. GIOVANNI BATTISTA
ROATTA, L’elioterapia nella pratica medica e nell’educazione, Milano, Hoepli, 1914.

347
JOHN LOCKE, Il pensiero educativo, cit. Sul curriculum si veda in particolare pp. 88-105.
180
di una crescita armoniosa, un rapporto diretto con la natura, di cui uno dei più
ferventi sostenitori è Froebel, per il quale il contatto con la natura tramite
osservazione e trasformazione rappresenta un mezzo privilegiato di conoscenza348.
Fra i modelli romantici, un metodo che ha particolari assonanze con
l’educazione esercitata da Copeau si trova in Pestalozzi, il fautore della formazione
come unità di cuore, mente e mano, cioè mirante ad uno sviluppo morale,
intellettuale e professionale, sfere tra loro congiunte349. Si tratta della stessa
complessità educativa condivisa da Copeau. Per entrambi infatti qualsiasi intervento
di educazione deve prendere in considerazione l’uomo nella globalità del suo essere,
senza sviluppare una parte a discapito di un’altra. Non si dimentichino le parole di
Copeau: «Per imprese come la vostra, come la mia, il problema fondamentale non è
quello artistico, ma quello sociale, quello dell’esistenza»350. L’uomo necessita di
cultura generale che sostanzi e arricchisca la formazione professionale, ma
soprattutto di un cambiamento di mentalità, di visione, di percezione. Copeau, come
Pestalozzi, individua il mezzo di riuscita dell’educazione nella disciplina, dapprima
data, infine interiorizzata grazie ad un’intima approvazione e condivisione dei
principi guida: quando la formazione del “cuore” sarà sviluppata, l’allievo saprà da
sé sottomettersi con gioia ad un imperativo interiore.

Montessori e Claparède: modelli di riferimento per uno sguardo


pedagogico nuovo

Gli approfondimenti consentono di mettere in evidenza quanto la pedagogia


dell’uomo sia importante per il Vieux-Colombier, benché, per quanto è a nostra
conoscenza, Copeau non citi mai nei suoi scritti i nomi dei pedagogisti sin qui
proposti. Al di là del pensiero illuminista e romantico e delle sue rilevanti

348
FRIEDRICH FROEBEL, L’educazione dell’uomo e altri scritti, cit. p. 144.
349
JOHANN HEINRICH PESTALOZZI, L’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1967, in particolare
pp. 75-78.
350
JACQUES COPEAU, Conférence au Laboratory Theatre, cit., p. 46.
181
consonanze con la poetica elaborata da Copeau, altrettanto ricchi sono gli intrecci, i
rimandi, le suggestioni, che arrivano dall’incontro tra la didattica teatrale del regista
francese e una scienza dell’educazione primonovecentesca, con particolare
riferimento alla pedagogia attiva, che in Francia si diffonde soprattutto grazie al
contributo di Ovide Decroly, Edmond Demolins, Célestin Freinet ed Edouard
Claparède. Si ritiene che Copeau, conoscitore dei movimenti pedagogici in auge,
abbia assorbito questa nuova e importante filosofia educativa, traslitterandone alcuni
capisaldi all’interno della sua poetica. A sostegno di questa tesi, viene il ritrovamento
fra gli appunti manoscritti di Copeau di una breve bibliografia di testi di cui è autore
proprio Edouard Claparède.
La pedagogia di Claparède riflette lungamente sull’indispensabile esercizio
della componente ludica, che emerge in modo spontaneo perché legata allo sviluppo
naturale, nel senso di biologico, del bambino. Se egli occupa gran parte del tempo nel
gioco significa che questa attività è necessaria alla sua crescita psichica e fisica,
trattandosi di un modo per esercitare ed accrescere la fantasia e l’immaginazione, ma
anche per sviluppare e allenare la muscolatura, l’agilità e la forza. Scrive Claparède:

La natura, quello che fa, fa bene; ed è, nella biologia, maestra più sicura di tutti i pedagoghi
del mondo, dei quali dovrebbe essere la guida migliore nel curare lo sviluppo del fanciullo.
Ora, che cosa ci mostri la natura? Essa ha dato al fanciullo bisogni, desideri, corrispondenti
alle esigenze dello sviluppo; e tutto ciò che può soddisfare questi bisogni e attuare questi
desideri, esercita un’attrattiva particolare su di lui. Le attività necessarie al fanciullo per il suo
sviluppo e aventi un ufficio educativo, si esplicano nel gioco; e l’imitazione, se vi interviene,
si presenta sempre come gioco o è richiesta da un gioco. Possiamo trovare qui gli elementi
fondamentali di una pedagogia, che è, credo, la vera; quella cioè che vuole esercitare
un’attività nel fanciullo solo in quanto se ne trova nel fanciullo il bisogno naturale, o dopo
averlo abilmente suscitato in esso quando non vi sia istintivo; così da destare nel fanciullo
l’interesse per l’oggetto di quell’attività e il desiderio di raggiungerlo, e da conferire
all’attività stessa la forma di gioco351.

351
EDOUARD CLAPARÈDE, Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale, Pavia, Mattei,
Speroni e & C., 1912, p. 128.
182
Per lo psicologo francese nell’elaborazione di una metodologia lavorativa non
si deve tener conto solo dei programmi, cioè del contenuto che si vuole insegnare,
ma anche prendersi cura del soggetto destinatario dell’educazione, che deve pertanto
essere studiato, osservato, compreso nei suoi specialissimi bisogni e valorizzato nelle
competenze. È proprio per questo che il gioco, la cui comparsa è libera e spontanea,
non indotta o insegnata, viene riconosciuto come base di partenza352. Si tratta di un
punto fondamentale di contatto fra Copeau e Claparède ed è probabile che il regista
sia stato condotto ad elaborare una teoria e una prassi educativa fondata sul gioco
proprio dallo studio del pensiero dello studioso svizzero, che non rappresenta però
l’unico contatto certo con la pedagogia attivista novecentesca.
Gli altri studi a cui Copeau fa riferimento sono quelli di Maria Montessori, le
cui idee furono introdotte in Francia già all’inizio del secolo, anche se il regista ne
viene probabilmente a conoscenza in America (dove peraltro la pratica
montessoriana conosce inizialmente la massima diffusione), seguendone i metodi in
una scuola per bambini gestita da Margaret Namburg Frank. La moglie di Waldo
Frank, laureata in psicologia, aveva istituito nel 1915 a New York la Walden School,
in seguito Childrens School, organizzata sulla base del metodo Montessori, appreso
durante un periodo di formazione in Italia.
Montessori e Claparède, come molti altri, prevedono l’adozione di un metodo
che prenda avvio dal bambino, dalle peculiarità legate alla sua età, ma anche dal suo
essere individuo singolo e originale:

Un cardine fondamentale della pedagogia scientifica deve essere perciò una scuola che
permetta lo svolgimento delle manifestazioni spontanee e della vivacità individuale del
bambino. Se una pedagogia dovrà sorgere dallo studio individuale dello scolaro, sarà dallo
studio inteso in questo modo: tratto dall’osservazione di bambini liberi, cioè studiati e vigilati
ma non compressi353.

352
EDOUARD CLAPARÈDE, Psicologia del fanciullo e pedagogia sperimentale, cit. In particolare
pp. 1-9.
353
MARIA MONTESSORI, La scoperta del bambino, cit., p. 20.
183
Il primo dovere di un educatore è pertanto la conoscenza profonda del suo
discente, che avviene inizialmente mediante osservazione. Siamo di fronte ad un
cambio di prospettiva del ruolo che l’allievo assume all’interno del processo
formativo: egli diviene il perno attorno al quale ruotano metodi e attività354. I fautori
di una pedagogia attiva sostengono l’esistenza di leggi naturali che regolano lo
sviluppo psichico dell’uomo, e concepiscono pertanto un’educazione che non
intervenga a modificare o accelerare il corso della natura, ma che le lasci libera
evoluzione senza ostacolare le attività spontanee dei bambini, semmai favorendole,
come scrive Montessori: «Il bambino impara veramente solo quando può esercitare
le sue proprie energie secondo i procedimenti mentali della natura, che agiscono
qualche volta in modo assai diverso da quello che si suppone comunemente»355.
Le manifestazioni spontanee del bambino possono essere condizionate
dall’ambiente che lo circonda: in un ambiente costrittivo il soggetto mette in atto
comportamenti che non sono naturali, ma indotti356, sicché è indispensabile creare un
ambiente che al contrario li favorisca. Seguendo questa prospettiva educativa, il
maestro non insegna al bambino, ma funge da trait-d’union tra l’ambiente e le leggi

354
Il fatto che si tratti di un pensiero organicamente elaborato all’inizio del Novecento, non significa
che non se ne trovi già traccia nei periodi precedenti. Si pensi per esempio a Locke che assegna,
all’interno del processo formativo, un ruolo fondamentale al precettore, il quale deve essere persona
prudente e calma, disponibile a trattare l’allievo secondo le sue inclinazioni, adattandovi l’intervento
educativo: «Cominciate dunque per tempo a studiare l’indole di vostro figlio, quand’egli è più libero,
durante il gioco, e quando non crede di essere osservato. Osservate quali sono i suoi sentimenti
dominanti e le sue inclinazioni più forti; se è fiero o mite, coraggioso o timido, compassionevole o
crudele, schietto o riservato, ecc. A seconda di queste diversità dovranno differire anche i metodi e la
vostra autorità dovrà esercitarsi in modo diverso su di lui». JOHN LOCKE, Il pensiero educativo, cit,
pp. 20-21.
355
MARIA MONTESSORI, Formazione dell’uomo. Pregiudizi e nebule. Analfabetismo mondiale,
Milano, Garzanti, 1950, p. 52. Sull’argomento cfr. in particolare le pp. 43-44 e 51-60 del testo in
questione e MARIA MONTESSORI, Il segreto dell’infanzia, Milano, Garzanti, 1975, pp. 145-148.
356
MARIA MONTESSORI, La scoperta del bambino, cit., p. 77. Oltre a predisporre un ambiente
adatto, in cui il piccolo possa organizzare da solo i giochi senza incorrere in pericoli, la Montessori
non dimentica l’importanza del contatto con la Natura, e del fascino che gli eventi e le cose naturali
esercitano sul bambino, per cui prevede giochi all’aria aperta, passeggiate e attività come il
giardinaggio.
184
naturali di sviluppo dell’allievo, preoccupandosi di salvaguardare ciò che già
appartiene alla sua natura. Il ruolo dell’educatore viene rivisto nelle funzioni, ma il
suo valore nel processo educativo rimane elevato, a tal punto che «l’allievo può dare
i suoi sorprendenti risultati solo se il maestro applica la tecnica scientifica di un
“intervento indiretto” nell’aiutare lo sviluppo naturale del bambino»357.
Se adottare questo punto di vista è innovativo nel campo pedagogico, è a dir
poco rivoluzionario in quello dell’insegnamento teatrale. Non è infatti così scontato
che una scuola per attori imposti la modalità di insegnamento a partire
dall’osservazione dell’allievo, attribuendogli un ruolo protagonista nel processo di
formazione. Al Conservatoire, o nell’insegnamento privato, l’allievo aspirante attore
imita il maestro per apprenderne i segreti, ma assai più raro è il contrario, e cioè che
il maestro (spesso un attore adulto) debba osservare il giovane apprendista per
favorirne la vocazione drammatica, individuarne le capacità e procedere lentamente a
favorirne lo sviluppo, ciò che è invece obiettivo dell’École du Vieux-Colombier.
Nella scuola di Copeau, il maestro riconosce all’allievo l’attitudine alla
drammatizzazione e alla teatralizzazione, alla fantasia, all’attività ludica, sicché
organizza e predispone un’educazione che favorisca lo sviluppo di queste
componenti. Il rapporto maestro-allievo non si esaurisce nella trasmissione intesa
come passaggio di informazioni, come processo in cui un agente dà e l’altro riceve,
ma in un percorso di stimolazione delle qualità personali, in cui la competenza
drammatica sia inizialmente l’esercizio di una personale predisposizione.
La naturale propensione del bambino al gioco costituisce per Copeau la base
sulla quale impostare una lunga formazione, la cui prima fase è strutturata al fine di
contrastare la progressiva atrofizzazione delle capacità immedesimative e
improvvisative e contribuire di contro ad un loro rafforzamento. La preparazione
artistica al Vieux-Colombier deve infatti seguire il giovane assicurando lo sviluppo
delle competenze innate di cui gode, come si deduce dalle indicazioni, preziose
anche se purtroppo sintetiche, che Copeau fornisce sull’educazione alla creatività,
alla fantasia, al gioco libero, e più in generale sull’educazione drammatica del
357
MARIA MONTESSORI, Formazione dell’uomo. […], cit., p. 52. Cfr. anche MARIA
MONTESSORI, Il segreto dell’infanzia, cit., pp. 145-148.

185
bambino, prima nel Projet del 1916, poi nella conferenza a New York nell’anno
1917:

Per quanto riguarda i giochi: Osservo il bambino nei suoi giochi. Prima di impartirgli un
insegnamento, gli chiedo con pazienza che sia lui a insegnare a me con quale mezzo, con
quale metodo invisibile, con quale astuzia mi sarà permesso di guidarlo verso un’espressione
drammatica comprensibile senza fargli perdere nulla della sua spontaneità naturale, della sua
primitiva freschezza. Sul gioco, attraverso cui i bambini imitano consciamente o
inconsciamente tutte le attività e tutti i sentimenti umani, e che costituisce per loro un
avviamento naturale verso l’espressione artistica e, per noi, un repertorio vivente delle più
autentiche reazioni, sul gioco, dunque, voglio costituire, non un sistema, ma un’esperienza
educativa358.

Prendere tutto da lui. Non imporre niente. Aiutarlo nello sviluppo senza che lo percepisca.
Non vogliamo toccarne la spontaneità, la freschezza, deformarlo. Non ispiriamo ancora, non
359
dirigiamo la loro espressione. Attendiamo che abbiano qualche cosa da dire .

Copeau è preoccupato che l’educazione drammatica segua il naturale


sviluppo del giovane, senza anticipare interessi o forzare capacità ancora premature.
È la formazione drammatica che deve adattarsi alle tappe evolutive, sfruttando
l’energia ludica legata a quella particolare fase di crescita in cui si interviene. Il gioco
rappresenta il punto di partenza dell’educazione drammatica per mezzo del quale si
può pervenire alla costruzione del metodo di lavoro.

358
«Nous observons l’enfant dans ses jeux. Avant de l’enseigner, nous lui demandons patiemment
qu’il nous enseigne à nous-même par quel moyen, par quelle méthode invisible, par quelle ruse il nous
sera permis de le guider vers une expression dramatique intelligible sans lui rien faire perdre de sa
spontanéité naturelle, de sa fraîcheur primitive. C’est sur le jeu, par lequel les enfants imitent
consciemment ou inconsciemment toutes les activité et tous les sentiments humains, qui est pou eux
un acheminement naturel vers l’expression artistique, et pour nous un répertoire vivant des réactions
les plus authentiques, - c’est sur le jeu que nous voudrions construire, non pas un système, mais une
expérience éducatrice». PROJET 1916, p. 134.
359
«Tout prendre de lui. Ne rien lui imposer. Ne rien lui enlever. L’aider dans son développement
sans qu’ils s’en aperçoive. Nous ne voulons pas toucher à sa spontanéité, à sa fraîcheur, le déformer.
Nous n’inspirons pas encore, nous ne dirigeons pas leur expression. Nous attendons qu’ils aient
quelque chose à dire». TROISIÈME CONFÉRENCE, p. 513.
186
Se all’inizio il bambino viene lasciato libero nelle sue attività ludiche,
successivamente il maestro inizia a dirigere i giochi nell’ottica dell’educazione
drammatica, mediante i primi esercizi. Questo delicato passaggio può realizzarsi solo
nel momento in cui si sia instaurato un rapporto di fiducia tra l’educatore e l’allievo.
Nel momento in cui si sente protetto da una guida autorevole, il giovane può
abbandonare il gioco libero per accettare le prime indicazioni provenienti
dall’esterno; scrive Copeau: «Dirigere i loro giochi. Prenderli per mano. Esercizi:
nell’istante in cui iniziano i bambini si sentono sollevati da terra da una mano
irresistibile che non li lascerà più. Confidenza e affetto»360.
Questo tipo di rapporto lega l’educatore all’educando, che solo
successivamente assumeranno consapevolmente la parte di aspirante attore e regista,
mantenendo il legame di stimolo alla crescita non solo professionale, ma personale.
È infatti il regista ad assumere su di sé, secondo Copeau, la parte del maestro nei
riguardi del singolo e del gruppo361.

360
«Diriger les jeux, les prendre en main. Exercices: À l’instant où ils commencent, l’enfant se sent
saisi et soulevé de terre par une main irrésistible qui ne les lâchera plus. Confiance et affection».
TROISIÈME CONFÈRENCE, p. 513.
361
Cfr. il paragrafo L’anima del regista e lo sguardo del pedagogo, dentro e fuori la mise en scène nel
capitolo settimo della tesi.
187
Capitolo quinto

La costruzione della fisicità


attorica

Il corpo “educato”

All’École du Vieux-Colombier l’allievo viene invitato a rivolgere tutta


l’attenzione allo sviluppo dei mezzi espressivi di cui la natura lo ha dotato, senza
occuparsi prematuramente della questione tanto dibattuta a teatro: come modificare il
proprio stato psico-emotivo, in sintonia col personaggio e in relazione all’effetto da
indurre nello spettatore, ovvero come far scaturire un’emozione in se stessi. Il punto
di partenza dell’educazione del comédien non si trova nell’apprendimento di una
tecnica che miri a risvegliare un certo stato interiore, ma semmai nel
perfezionamento dei meccanismi preposti a trasmetterlo.
In un cahier del 1920, Copeau, dopo aver iniziato ad occuparsi
dell’espressività dell’attore, si interrompe e precisa: «Mi accorgo già che corro anche
troppo, e che mischio ciò che, nell’insegnamento, almeno all’inizio, sarà per forza
separato. Mi occupo già di espressione e di mimica allorché si dovrebbe trattare solo
di ginnastica pura»362. Dunque per il regista il primo passo dell’educazione del
comédien, preliminare a qualsiasi possibilità di espressione del movimento,
comprende «la conoscenza e l’esperienza del corpo umano»363, di cui si entra in

362
JACQUES COPEAU, Éducazione de l’acteur, cit., p. 201.
363
Ivi, p. 196.
188
possesso prima di tutto attraverso la ginnastica, intesa come l’esercizio del corpo
epurato di qualsiasi significato.
Non a caso i due termini impiegati, «conoscenza» ed «esperienza», si
accompagnano. Scrive Suzanne Bing in un cahier di data imprecisata: «L’attore con
la sua presenza è il primo dato del dramma. È il suo proprio strumento e lo strumento
del Poeta. L’educazione di questo strumento: ginnastica, acrobatica, musica
corporea, è dunque il punto di partenza di tutto l’insegnamento. [...]. Si tratta di
svegliare un giovane attore alla conoscenza del servizio che può ottenere dal suo
corpo. Facilitargli questa presa di possesso di se stesso: I. Risvegliandogli delle
risorse; II. Esercitandole»364.
Nel cahier del 1920, Educazione dell’attore, Copeau offre le medesime
indicazioni:

[L’attore] dovrà acquisire la conoscenza anatomica, il controllo muscolare del suo strumento,
il suo proprio volto. [...] Non è studiando i capolavori della pittura e della statuaria, per
imitarli, che l’attore realizzerà nel proprio corpo la bellezza plastica, se il suo stesso corpo
non gli procura, attraverso il gioco naturale degli elementi muscolari e articolari, la coscienza
di tale bellezza365.

Dunque, la conoscenza del corpo, la padronanza di limiti, risorse, potenzialità


e l’acquisizione di competenze fisiche, si ottiene tramite l’esercizio del corpo e non
per osservazione e/o imitazione di opere d’arte o della statuaria.
Tuttavia se l’osservazione costituisce una parte del percorso di formazione,
non lo esaurisce: poiché esso richiede una partecipazione attiva e una
sperimentazione concreta e non immaginata, domanda conoscenza ed esperienza,
non imitazione. Per questo motivo l’educazione fisica non cessa mai di far parte della

364
«L’acteur et sa présence est [sic] la donnée première du drame. Il est son propre instrument et
l’instrument du Poète. L’education de cet instrument: gymnastique, acrobatie, musique corporelle, est
donc le point de depart de tout l’enseignement. Il s’agit de réveiller un jeune acteur à la conscience du
service qu’il peut obtenir de son corps de lui faciliter cette prise de possession de lui-même I en lui
révélant des ressources, II en les exerçant». Boîte 2 école, cartella 12, p. 35 e 141.
365
JACQUES COPEAU, Éducazione de l’acteur, cit., p. 196.
189
formazione all’École du Vieux-Colombier, i cui esercizi rappresentano una novità
rispetto agli insegnamenti del Conservatoire.
All’interno di questa antica istituzione si prevedono soprattutto corsi di
declamazione, con particolare attenzione all’attività oratoria, senza tempi specifici
dedicati all’educazione fisica. Potrebbe fare eccezione l’insegnamento di maintien.
Denominato a volte maintien du corps, altre maintien théâtrale, altre solo maintien,
compare nei programmi della scuola a partire dal 1808 e lo si trova sino al 1900, con
qualche breve interruzione. A partire dal 1880 il corso viene distinto fra uomini e
donne e questo fa ancor più pensare che al suo interno si prevedano esercizi di
portamento, stile, andatura, in cui l’impiego del corpo si fa essenziale, tanto da
ritenere opportuno distinguere gli uomini dalle donne, probabilmente per una
questione di decoro e di pudore in una società in cui l’uso del corpo è soggetto a
rigide regole e consuetudini moralistiche.
Solo nel 1815 abbiamo un insegnamento di danse et placement du corps,
proprio l’anno in cui manca la classe di maintien. La giustificazione è quasi
certamente nella similitudine di questi due corsi, e questo confermerebbe
ulteriormente l’ipotesi che l’insegnamento abbia come obiettivo una qualche forma
di educazione del corpo.
Considerato che il Conservatoire è il serbatoio da cui si attingono attori per la
Comédie, è probabile che, in sintonia con la recitazione richiesta ai comédiens
français, alla scuola si segua un’impostazione classica, legata alla statuaria e a
posizioni studiate del corpo, “scultoree”. Per questo ci sentiamo autorizzati a ritenere
che qualsiasi educazione del corpo prevista al Conservatoire differisca notevolmente
da quella del Vieux-Colombier, alla quale viene peraltro dedicato un tempo
superiore. Infatti, sin dagli esordi la troupe di Copeau dedica una parte del lavoro
quotidiano all’allenamento fisico. Illustrando le varie attività che impegnano la
compagnia nei mesi estivi al Limon, fra letture ad alta voce, spiegazione dei testi e
prove per gli spettacoli, il regista conclude: «Un’ora era concessa ogni giorno agli
esercizi del corpo»366.

366
«Une heure a été accordée chaque jour aux exercices du corps». JACQUES COPEAU, Le Théâtre
du Vieux-Colombier, cit., p. 20.
190
Nell’esperienza condotta con i primi attori l’entraînement du corps si
configura come vera e propria attività ginnica. Anche se non viene offerta la
descrizione dell’attività compiuta all’interno dell’ora dedicata all’allenamento fisico,
si possiede una fotografia indicativa. L’illustrazione in bianco e nero, pubblicata in
«Le Théâtre» nel settembre del 1913, mostra un gruppo di otto attori del Vieux-
Colombier mentre sta compiendo un esercizio en plain air sotto la direzione di Roger
Karl. Disposti su due file, una davanti all’altra, gli allievi portano il braccio destro in
alto, poco oltre la spalla, voltando il viso e ruotando leggermente il busto nella stessa
direzione. Anche il braccio sinistro segue lo stesso verso, ma viene tenuto a gomito
piegato a novanta gradi; in alcuni attori questo braccio è accostato al busto, in altri
no. Osservando la foto si può dire che non è richiesta la precisione nell’esecuzione.
Si tratta abbastanza chiaramente di un esercizio di allungamento o di riscaldamento
muscolare.
Sebbene la sensibilità verso la preparazione fisica del comédien emerga già in
questo primo momento educativo, il training fisico, inserito in un lavoro di circa
sette ore giornaliere, si pone per ora come obiettivo l’assouplissement del corpo,
inserendolo in un’ottica di disciplina completa dell’attore, al fine di prepararlo ad una
“sottomissione” spontanea e gioiosa di se stesso all’arte del teatro.
L’interesse verso la sfera corporea dell’attore aumenta progressivamente ed
approda ad un’intensa sperimentazione delle sue potenzialità espressive negli anni
successivi. Per Copeau non sarà mai ritenuto minoritario l’allenamento ginnico
“puro” che, considerato come insegnamento basilare, viene previsto in quasi tutti i
corsi e i programmi scolastici del Vieux-Colombier.
Prima di tutto nelle sperimentazioni compiute nel 1915-1916 con
giovanissimi allievi al Club de Gymnastique Rythmique. Il corso, della durata di due
ore, comprende quattro insegnamenti: ginnastica tecnica, solfeggio, ginnastica
ritmica e canto. Escluso l’insegnamento di solfeggio, gli altri tre sono tutti
inizialmente affidati a Paulet Thévenaz, danzatore allievo di Dalcroze.
Alcuni degli esercizi arrivati sino a noi in molti casi mettono insieme i tre
insegnamenti, tanto da non permetterne una netta distinzione. Prendiamo per
esempio, l’esercizio seguente: i bambini sono chiamati a compiere tutti insieme
un’azione semplice precedentemente concordata (come sedersi, alzarsi, saltare) da
191
fare all’unisono al battito delle mani del maestro che scandisce così i tempi. Lo
stesso esercizio si ripete anche con la consegna di emettere contemporaneamente un
suono. In questo caso, la ritmica guida certamente l’esercizio, che serve a sviluppare
anche la prontezza delle membra dei bambini e lo fa creando un clima di piacere.
Come fa notare Copeau, durante la seduta i piccoli si sentono «travolti, esaltati»367.
Esistono tuttavia anche esercizi di sola preparazione atletica, come l’attività
di tenersi in piedi sulle mani, di arrampicarsi su piccole colonne o il gioco con la
palla. Un esempio di attività: i bambini devono lanciare la palla e riprenderla senza
muoversi dal posto ed evitando di scomporsi, il corpo ben dritto; oppure devono
passarsela in cerchio, dall’uno all’altro, sempre più velocemente. In altri casi gli
allievi si dispongono in riga e il maestro lancia loro la palla all’improvviso, senza
avvisarli. Il bambino deve prenderla e liberarsene in fretta. Il gioco stimola
l’attenzione, la coordinazione oculo-manuale e rende svelti alla decisione, che è
prontezza fisica prima che mentale368.
Probabilmente in questo periodo Copeau realizza che il corpo, oltre ad essere
uno strumento essenziale per l’attore, prevede livelli differenti di abilità. Non è
necessario che l’interprete raggiunga il massimo grado di competenza fisica, ma è
comunque auspicabile che il corpo sia ben preparato e allenato, in misura maggiore
di quanto la quotidianità gli richieda. All’interno di un cahier di data imprecisata,
intitolato Exercices dramatiques 105 ff, Suzanne Bing parla infatti di «corpo
drammatico», definizione che mette in rilievo una differenza tra l’uso quotidiano del
corpo e il suo impiego in scena. Possedere una buona capacità cinestetica non è
sufficiente al comédien, che deve conoscere e padroneggiare in dettaglio le
possibilità che la struttura corporea gli offre.
Per raggiungere un grado sufficiente di sicurezza e maestria l’educazione
fisica deve essere strutturata, continua e progressiva. Essa deve comprendere
molteplici insegnamenti, che permettano un’evoluzione per tappe delle potenzialità
dell’attore. Così, quando nel gennaio del 1916, il regista stende il progetto per
l’istituzione della scuola, all’interno del programma prevede, oltre alla ginnastica
367
«Ils se sentent emportés, exaltés». JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, 1915-1916,
cit., p. 99.
368
Gli esercizi sono riportati in Ivi, pp. 94-106 e 113-114.
192
tecnica, anche sport atletici, scherma, acrobazia e giochi di destrezza, arricchendo
pertanto l’insegnamento dell’educazione fisica rispetto al modo in cui viene praticata
al Limon e al Club:

Ogni mattina, al risveglio, una mezz’ora sarà dedicata a esercizi di ginnastica tecnica e
movimenti respiratori. Igiene e allenamento del corpo. Sviluppo delle facoltà di resistenza
corporea. Un attore, per potersi dare completamente, e nello stesso tempo per conservare la
padronanza dei propri nervi, deve essere in possesso della pienezza delle sue facoltà fisiche.
Gli sport atletici saranno praticati con lo stesso obiettivo di rafforzamento fisico. La scherma
ha sempre fatto parte dell’educazione dell’attore 369.

Aggiunge di seguito, per quanto riguarda l’acrobazia e i giochi di destrezza:

Rendere all’attore, assieme alla forza, quell’agilità corporea, quella perfetta elasticità e
padronanza di tutte le membra, quella destrezza di mano ecc., che costituivano in gran parte il
carattere dell’antica commedia, che aumenteranno le possibilità della messinscena e
permetteranno di variare all’infinito, nella maniera più imprevista, l’interpretazione di parti
comiche o leggere, nella commedia e nella farsa. Gli esercizi di acrobazia e i giochi di
destrezza (salto, capriola, equilibrio, jonglerie ecc.) saranno insegnati da un clown370.

La competenza fisica ideale per un attore è, secondo Copeau, quella dei


Comici dell’Arte. Scrive a questo proposito in riferimento ai comédiens a lui
contemporanei in un cahier del 1920: «Si direbbe che non osino, o semplicemente

369
«Chaque matin, au réveil, une demi-heure sera consacrée à des exercices de gymnastique technique
et de mouvements respiratoires. Hygiène et entraînement du corps. Développement des facultés de
résistance corporelle. Un comédien, pour se donner complètement, et en même temps pour garder la
maîtrise de ses nerfs, doit être en possession de la plénitude de ses facultés physiques. Les sports
athlétiques seront pratiqués dans le même but d’accroissement physique. L’escrime a toujours fait
partie de l’instruction du comédien». PROJET 1916, p. 132.
370
«Rendre au comédien, avec la force, cette souplesse corporelle, cette parfaite élasticité et maîtrise
de tous les membres, cette adresse de main, etc., qui étaient pour beaucoup dans le caractère de
l’ancienne comédie, qui accroîtront les possibilités de la mise en scène et permettront de varier à
l’infini, de la manière la plus imprévue, l’interprétation des rôles comiques ou légers, dans la comédie
et dans la farce. Les exercices d’acrobatie et jeux d’adresse (saut, culbute, équilibre, jonglerie, etc.)
seront enseignés par un clown». PROJET 1916, pp. 132-133.
193
che non si lascino andare, come se il loro corpo, sulla scena, si trovasse sottratto alle
leggi della pesantezza o della durata»371. La perdita di abitudine alla prontezza fisica
rispetto al passato è causata anche dai testi messi in scena: «Occorre aggiungere che
la commedia moderna, letteraria, intellettuale, di conversazione o di discussione, ha
singolarmente impoverito i mezzi fisici dell’attore»372. Copeau si prefigge di ricreare
un attore abile come il Comico dell’Arte.
Riprendendo le indicazioni di Copeau sulla maniera per conseguire tale
obiettivo, Suzanne Bing, all’interno del cahier Exercices dramatiques 105 ff,
specifica che «la ginnastica è l’acquisizione di una salute e di qualità fisiche.
L’acrobatica è un’applicazione, uno sviluppo di queste qualità, più direttamente
collegate alle possibilità drammatiche»373. Dunque, mentre la ginnastica favorisce lo
sviluppo naturale del corpo, ed è necessaria all’attore per avere un fisico atletico,
robusto, reattivo, l’acrobatica costituisce già un passo oltre: è possibile solo ad un
corpo allenato ed è quindi già il risultato di un allenamento ginnico; è perciò
intimamente connessa al movimento in scena, come già Copeau indica nel 1916.
Troviamo un approfondimento della questione in una conferenza del 1917,
quando, prevedendo l’esercizio fisico (ginnastica, sport, scherma) all’interno di un
programma di istruzione generale, insiste su un apprendimento che proceda per
gradi: «Quando il suo corpo [quello dell’allievo] è ammorbidito, quando l’allievo è
padrone delle sue membra, quando ha guadagnato, assieme alla forza, la sicurezza e
l’audacia, passiamo agli esercizi acrobatici e ai giochi di agilità: saltare, ribaltare,
equilibrare, palleggiare»374.
La gradualità e i tempi personali necessari a raggiungere le varie fasi vanno
rispettati: l’allievo non può dilettarsi nell’acrobazia prima di aver raggiunto piena

371
JACQUES COPEAU, Éducation de l’acteur, cit. p. 195.
372
Ivi, pp. 195-196.
373
«La gymnastique est l’acquisition d’une sauté et de qualités physiques. L’acrobatie est une
application, un développement de ces qualités, plus directement rattachés à des possibilités
dramatiques». Boîte 2 école, cartella 12, p. 36.
374
«Quand son corps est assoupli, qu’il est maître de ses membres, qu’il a gagné avec la force de
l’assurance et même de l’audace, nous passons aux exercices d’acrobatie, jeux d’adresse: sauter,
culbuter, équilibrer, jongler». TROISIÈME CONFÉRENCE, p. 177.
194
padronanza dei movimenti più semplici richiesti al corpo, o prima di essere in grado
di svolgerli adeguatamente in sequenza. Copeau delinea un modo di procedere di tipo
“naturale”: sviluppando senza pressioni le sue potenzialità, il giovane acquisisce la
coscienza delle risorse possedute e si raffigura da solo i risultati raggiungibili, senza
pretendere di compiere un salto mortale quando non è ancora in grado di eseguire
una capriola. Saranno i traguardi raggiunti e la percezione di un aumento delle
capacità personali a fornirgli il desiderio di un’ulteriore progressione e
sperimentazione di sé. In questo senso l’affermazione del regista ad una conferenza
del 1917 riguarda anche l’educazione e le potenzialità fisiche: «Metodi naturali.
Progressivi. Forniamo agli allievi mezzi sempre più completi per esprimersi
naturalmente»375.
Della scuola voluta da Copeau e organizzata dalla Bing nel marzo del 1920,
possediamo solo alcune note dell’artista francese, pubblicate a cura di Claude Sicard
nel sesto registre del Vieux-Colombier. Da queste si legge di alcuni esercizi di
respirazione, che però non vengono trascritti, e segue un’annotazione sull’assenza di
un corso di ginnastica, probabilmente a causa della mancanza del tempo necessario
ad organizzarlo376. Tuttavia la sua importanza viene ribadita a seguito
dell’osservazione di una composizione drammatica su una sciarada, a proposito della
quale la Bing annota: «I difetti generali, come il carattere di ciascuno, saltano fuori
come visti al microscopio. Le gambe, i piedi, che sembrano non partecipare al gioco.
Da qui la ginnastica. Durante l’estate Copeau la raccomanda»377.

375
«Méthodes naturelles, progressives. Nous fournissons aux élèves des moyens de plus en plus
complets pour s’exprimer naturellement. Nous n’inspirons pas encore, nous ne dirigeons pas leur
expression. Nous attendons qu’ils aient quelque chose à dire». Ibidem.
376
Nota di Suzanne Bing del 10 marzo 1920: «Je les prie [gli allievi] de considérer tout ce que nous
faisons dans ces matinées comme des indications, des conseils, que nous n’avons pas le temps de rien
pousser à fond et que le moment n’est pas venu où nous pourrons avoir une classe de gymnastique».
SUZANNE BING, Classes du Vieux-Colombier, 1920, cit, p. 218. Effettivamente dalla lettura delle
note di diario non emerge alcuna indicazione su esercizi di ginnastica. Le lezioni vertono soprattutto
sulle letture, sulla ritmica, sui giochi e l’improvvisazione.
377
«Les défauts généraux, comme le caractère de chacun, ressortaient là comme vus au microscope.
Les jambes, les pieds, qui semblent ne pas participer au jeu. D’où la gymnastique. Pendant l’été, il
[Copeau] leur recommande surtout cela». Ivi, p. 226.
195
L’allenamento fisico ritrova il suo posto nel progetto elaborato da Jules
Romains per la scuola del 1921, inserito in un corso che prevede anche la danza378.
Nel programma effettivo approvato da Copeau, con il nome di Educazione fisica e
separato dal balletto (insegnamento quest’ultimo che non avrà poi un seguito
pratico), l’esercizio del corpo viene previsto esclusivamente per i corsi chiusi, sia
all’interno della divisione A (giovani a partire dai dodici anni, per i quali la
preparazione si distribuisce su diversi anni) che B (allievi maggiori di diciotto anni
interessati ad una formazione professionale per un impiego al Vieux-Colombier o in
altri teatri). Il corso viene affidato al luogotenente Georges Hébert, e comprende:
«Igiene e allenamento del corpo. Rilassamento. Respirazione. Resistenza.
Padronanza del corpo»379. Georges Hébert, per molti anni istruttore di educazione
fisica alla marina militare, viene arruolato come professore di Educazione fisica al
Vieux-Colombier nell’anno 1921.
Per Hébert l’uomo, come tutti gli esseri viventi, deve pervenire allo sviluppo
fisico integrale mediante la sola utilizzazione dei mezzi naturali di locomozione, di
lavoro, di difesa. A tal fine elabora degli esercizi che rientrano nelle attività di
camminare, correre, saltare, arrampicarsi, sollevare, lanciare, nuotare e attività di
difesa naturale. La camminata, la corsa e il salto rappresentano gli esercizi naturali
per eccellenza. Al di fuori di questi ci sono esercizi definiti secondari e ristretti a
categorie di persone; si tratta della scherma, dell’equitazione, del cannottaggio;
oppure di giochi, sports, esercizi acrobatici. Nessuno di questi però è indispensabile
allo sviluppo armonico dell’individuo. L’esperienza del luogotenente è
corrispondente alle esigenze e alle aspettative di Copeau, per il quale il corpo
dell’attore deve essere preparato in vista dell’espressione mediante la cura della
forma, della resistenza e la padronanza dei nervi380.

378
Il progetto di programma per l’anno 1921-22, inviato da Jules Romains a Jacques Copeau
nell’estate del 1921, si trova pubblicato in REG. VI ÉCOLE, pp. 238-239. D’ora in poi Projet Jules
Romains 1921-1922.
379
«Hygiène et entraînement du corps. Assouplissement. Respiration. Endurance. Maîtrise du corps».
Présentation de l’École, son fonctionnement et ses programmes, cit., p. 260.
380
Sul metodo di Hébert, sulla sua presenza al Vieux-Colombier e sul valore della preparazione fisica
e della plasticità al Vieux-Colombier cfr. FRANCO RUFFINI, Teatro e boxe. L’«atleta del cuore»
196
L’educazione fisica, nel 1921, è una parte integrante del corso di Plastica di
scena, come si evince da un testo dattiloscritto sul tema381. L’interdipendenza fra i
due insegnamenti si chiarisce meglio alla lettura dei primi due “gradi” di
apprendimento ed esercizio del corso di Plastica. Il piano prevede:

Educazione del movimento: serie di esercizi di rilassamento, di respirazione e di stiramento


destinati a far conoscere all’allievo il vero meccanismo del suo corpo e a fargli apprendere
come riconoscere e sentire un movimento naturale e plasticamente giusto. Studi dei differenti
modi di respirazione. Rieducazione della cinghia muscolare addominale del cantante. (Questo
primo grado, che deve precedere tutta l’educazione corporea, corrisponde, nello studio del
canto, all’impostazione della voce). Dopo qualche lezione si aggiunge progressivamente il
secondo grado. II. L’educazione fisica e la Tecnica corporea. Allenamento destinato a
rendere resistenti le membra inferiori con il rilassamento simultaneo delle spalle e del collo.
Giocoleria con palle pesanti e con palle leggere cantando. Esercizi di portare sulla testa,
legati ad esercizi di equilibrio, a passi ritmati. Da evitare per i cantanti gli esercizi che
provocano l’affanno. Per gli attori l’allenamento sarà più intenso. Molti esercizi
d’ammorbidimento – salti – acrobazia. Tendere il più possibile a dare al movimento la
massima espansione; genere di tecnica indispensabile per una plastica di scena 382.

nella scena del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 63-89. Per un approfondimento più ampio
sull’hébertismo e sui rapporti con Copeau cfr. PIERRE PHILIPPE-MEDEN, Georges Hébert: un
gymnaste de référence pour Jacques Copeau, contributo al Convegno internazionale Jacques Copeau
hier et aujourd’hui, tenutosi il 15-17 maggio 2009 a Bratislava. Gli atti sono in corso di
pubblicazione.
381
Présentation de l’École, son fonctionnement et ses programmes, cit., p. 266.
382
«Éducation du mouvement: série d’exercices de relaxation, de respiration et d’étirement destinée à
faire connaître à l’élève le vrai mécanisme de son corps et à lui apprendre à reconnaître et à sentir un
mouvement naturel et plastiquement juste. Étude des différents modes de respiration. Rééducation de
la sangle musculaire abdominale du chanteur. (Ce premier degré, qui doit précéder toute éducation
corporelle, correspond, dans l’étude du chant, à la pose de la voix.) Après quelques leçons, le 2ème
degré est ajouté progressivement. II. L’Éducation physique et la Technique corporelle. Entraînement
destiné à rendre résistants les membres inférieurs avec la relaxation simultanée des épaules et du cou.
Jonglages avec balles lourdes – avec balles légères en chantant. Exercices de porter sur la tête, alliés à
des exercices d’équilibre, des pas rythmés. À éviter pour les chanteurs: ceux qui provoquent
l’essoufflement. Pour les comédiens l’entraînement sera plus poussé. Beaucoup d’exercices
d’assouplissement – des sauts – acrobatie. Tendre le plus possible à donner au mouvement son
197
Altri dati confermano l’importanza rivestita dall’educazione del corpo
all’École du Vieux-Colombier. L’elenco proposto da Suzanne Bing di un insieme di
esercizi che gli allievi devono presentare a Copeau come esame di fine anno
scolastico nel 1922, prevede al terzo punto proprio la ginnastica383. Ancor più
rilevante una nota segnata da Copeau sul retro di alcuni fogli in cui Marie-Hèléne
Dasté consegna una descrizione degli esercizi elencati dalla Bing. Fra gli appunti
Copeau scrive: «Esercizi fisici alla base»384. Ancora una volta, dunque, viene
confermata la priorità per l’attore di avere un corpo abile e reattivo.
Per le vacanze estive del 1922 l’esercizio fisico viene caldamente
raccomandato: «Prima di tutto, e costantemente, mantenersi in stato d’allenamento
fisico. Coloro che non avranno l’occasione di fare camminate, scalate, nuoto, lancia,
dovranno, tutti i giorni, più o meno per un’ora (mezz’ora il mattino, mezz’ora la
sera), fare del salto in lungo e in alto, saltare la corda, correre, fare in generale tutti
gli esercizi d’ammorbidimento e di forza che vi sono stati insegnati e che potete
eseguire senza la presenza del professore»385.

maximum d’amplitude; genre de technique indispensable pour une plastique de scène». Plan pour
Plastique, cit., p. 267.
383
Si fa riferimento agli esercizi trascritti da Claude Sicard in REG. VI ÉCOLE, pp. 298-310. Le
esercitazioni comprendono molte improvvisazioni con o senza maschera. L’esame di fine anno 1922 è
riportato in REG. VI ÉCOLE, pp. 313-314, ed è seguito da una descrizione degli esercizi di Marie-Hélène
Dasté, pp. 314-317.
384
«Exercices physiques à la base». Note di Jacques Copeau a MARIE-HÉLÈNE DASTÉ, Examen de
fin d’année 1922. Exercices d’improvisation et de masque, in REG. VI ÉCOLE, pp. 314-316. Note alle
pp. 316-317. Citazione a p. 316.
385
«1. Avant tout, et constamment, se maintenir en état d’entraînement physique. Ceux qui n’auront
pas l’occasion de faire de la marche, de l’ascension, de la nage, du canot, devront tous les jours,
pendant au moins une heure (1/2 h le matin, 1/2 h le soir), faire du saut en longueur et en hauteur,
sauter à la corde, courir, faire en général tous les exercices d’assouplissement et de force qui vous ont
été enseignés et que vous pouvez exécuter sans la présence du professeur». Il testo è scritto da Marie-
Hélène Dasté e si trova con il titolo Grandes Vacances 1922 in REG. VI ÉCOLE, pp. 347-348. Come
riporta in nota Sicard, Maiené prevede una copia dello scritto per Copeau, una per Suzanne Bing, una
per Maistre, una per Dorcy e una per ciascun allievo della divisione A.
198
Il progetto di riorganizzazione dell’École per l’anno scolastico 1922-23 e gli
innumerevoli appunti degli allievi, in particolare di Marie-Hélène Dasté, permettono
una ricostruzione delle attività. Dai documenti si apprende che all’apertura della
nuova stagione, l’ultima a Parigi, l’educazione fisica si ritrova nei corsi della scuola
sotto il nome di Ginnastica386.
Allievi e attori durante la settimana sono impegnati in quattro sedute, due
all’interno dell’atelier e due all’aperto, guidate, come si evince dal Livre de bord di
Maiené, da M. Moine. Dorcy, che fa fare pratica agli allievi di esercizi militari,
raggruppamenti e movimenti d’insieme, tiene una sola lezione alla settimana e si
esercita, spesso sotto la vigilanza di M. Moine, a rivestire il ruolo di insegnante. È
sempre lui a preparare gli allievi alle attività acrobatiche e a sostituire Georges
Hébert nel 1922387.
Il progetto di riorganizzazione per l’ultimo anno di scuola a Parigi prevede
infatti anche l’acrobazia:

Una seduta a settimana a Médrano (tutti). Si incomincia una nuova serie di esercizi più
puramente d’indirizzo: giocoleria, ecc. (si definiranno più avanti). Questo nuovo
insegnamento sarà ricevuto in modo particolare da Dorcy a Médrano, mentre gli altri
lavoreranno a parte, e saranno impartiti da lui a quelli più dotati, al di fuori del circo (definire
l’orario). I Fratellini si interessano particolarmente a Dorcy, e i risultati saranno migliori
fornendo un insegnamento completo ad un solo allievo molto dotato, piuttosto che occuparsi
di tutti indifferentemente388.

386
MARIE HÉLÈNE DASTÉ, Livre de bord de l’École du Vieux-Colombier 1923-1924, pubblicato
come inserto in REG. VI ÉCOLE, pp. 384-392.
387
Ivi, pp. 379 e 388. Il corso di M. Moine viene tenuto nella sua palestra «L’Élan Spirituel». Cfr.
anche JEAN DORCY, J’aime la Mime, Paris, Denoël, 1962.
388
«Acrobatie. Une séance par semaine à Médrano (tout le monde). En abordant une nouvelle série
d’exercices plus purement d’adresse: jongler, etc. (on verra à spécialiser plus tard). Ce nouvel
enseignement serait plus particulièrement reçu par Dorcy à Médrano, pendant que les autres
travailleraient de leur côté, et serait communiqué par lui à d’autres [les plus] doués, en dehors du
cirque (réserver le temps à l’horaire). Les Fratellini s’intéressent particulièrement à Dorcy, et les
résultats seront bien meilleurs s’ils donnent un enseignement complet à un seul élève bien doué, que
s’ils essaient de débrouiller tous les autres indifféremment». MARIE-HÉLÈNE DASTÉ, Projet de
réorganisation de l’École pour 1923-1924, in REG. VI ÉCOLE, pp. 378-382. Citazione a p. 379.
199
È in quest’anno che si realizza pienamente il progetto di insegnamento
acrobatico, già previsto da Copeau a partire dal 1916, ma rimasto in parte da
realizzare. I celebri Fratellini si occupano di questa speciale didattica, in uno spazio
adeguato come il Circo Medrano. Inoltre si avvia un progetto di specializzazione
degli allievi e di progressione differenziata nell’apprendimento389.
Dorcy viene individuato come l’allievo più dotato nel settore e dunque le
lezioni vengono offerte a lui in modo privilegiato. Agli altri allievi l’acrobatica non è
preclusa, ma la ricevono dall’allievo più competente, appunto Dorcy, secondo tempi
differenti e in conformità alle capacità di ognuno. L’attenzione differenziata è la
concretizzazione di un intento che Copeau aveva già manifestato rispetto ad
un’educazione individualizzata, che tenesse sempre conto dei bisogni e delle capacità
individuali dei singoli allievi, anche quando si trattava di educazione del corpo: «Il
maestro lavorerà per dare agli allievi non uno sviluppo uniforme, ma a ciascuno di
loro lo sviluppo corrispondente alla capacità fisica, alle attitudini più evidenti, alla
forma, allo stile corporeo e per così dire al carattere»390.
Nel corso dell’anno 1924 il ruolo della ginnastica viene ridotto. Da alcune
note di Jean Dasté: «Facciamo meno ginnastica, non ne facciamo più all’Atelier, ma
non di meno è una delle cose che va meglio, facciamo progressi in forza e
elasticità»391.
Insistendo sull’educazione fisica dell’attore, Copeau non dimentica di
sottolineare i rischi di un eccessivo accanimento, che perda di vista l’obiettivo
principale del lavoro, come scrive nel 1919:

389
L’ammirazione di Copeau per il lavoro dei Fratellini si esplica anche nella Préface al testo LES
FRATTELLINI, Histore de trois clowns, recuille par Pierre Mariel, Ile de France, Socièté anonyme
d’édition, 1923, pp. 17-20.
390
JACQUES COPEAU, Éducation de l’acteur, cit, p. 197.
391
«Nous avons moins de gymnastique, nous n’en faisons pas à l’Atelier, mais néanmoins c’est une
des choses qui vont le mieux, nous faisons des progrès tous en force et en souplesse». Note di Jean
Dasté datate 2 marzo 1924 pubblicate in REG. VI ÉCOLE, p. 398-400. Citazione a p. 399.
200
Non si tratta di formare, con metodi appropriati, degli atleti. D’altronde non ne saremmo
capaci. Non si tratta di sviluppare un’attitudine o un artificio corporeo qualunque, di creare
abitudini estetiche per sostituire abitudini inestetiche. Bisogna ottenere che corpi
normalmente sviluppati possano piegarsi, darsi a qualunque azione intraprendono. Bisogna
che in loro ogni movimento si accompagni a uno stato di coscienza intima, propria del
movimento compiuto392.

L’educazione fisica non è mai fine a se stessa, ma è condotta per ottimizzare


le risorse fisiche personali con l’obiettivo di esprimere al meglio un’intenzione o uno
stato d’animo, in contrasto con la situazione dominante: «Potrei facilmente provare
che la maggioranza degli attori, attori spesso eccellenti, hanno a loro disposizione
solo due o tre gesti, due o tre espressioni della fisionomia, per non parlare dei casi in
cui questi gesti ed espressioni sono dei tic»393. Il professionista che Copeau cerca non
è dunque l’atleta o il virtuoso del fisico. Anzi, egli mette in guardia da un esercizio
eccessivo del corpo: «Nessun atletismo voluto, arcaico, per così dire letterario […].
L’attore fisicamente troppo sviluppato è un cabotin del muscolo, un virtuoso
dell’accademia, esecrabile sulla scena come ogni altro virtuoso»394.

La componente fisica alla base dell’espressione

Al fine di risollevare le sorti del teatro, Copeau rivolge molta della sua
attenzione all’elaborazione di una nuova formazione, che consideri l’attore nella
globalità e complessità di diverse aree di sviluppo. Si mira pertanto ad un
approfondimento della cultura generale, ad un cambiamento di “spirito”, ma anche al
potenziamento dei mezzi d’espressione, che sono per Copeau di ordine
essenzialmente fisico: il corpo e la voce.
Questi due fondamentali canali espressivi sono, secondo il regista,
d’abitudine mal esercitati e il loro semplice possesso non garantisce una conformità

392
JACQUES COPEAU, Éducation de l’acteur, cit., 196.
393
Ivi, p. 199.
394
Ivi, pp. 196-197.
201
tra potenzialità e competenze; per questo motivo spesso gli attori si rivelano
inadeguati ad essere tramite poetico dall’autore allo spettatore, come spiega il
fondatore del Vieux-Colombier:

Il poeta drammatico ha solo uno strumento incompleto, che non risponde perché incosciente.
Manca a tutto questo sistema muscolare perfezionato il suo canone, la conoscenza della
materia stessa del suo gioco, della sua musica, gli manca la coscienza del suo uso, gli manca
d’essere entrato nel dominio musicale che è quello in cui l’attende il poeta. Quando si
incontreranno, basterà che il poeta domandi un gioco o l’altro, senza dover più insegnare
come si gioca395.

Il corpo dell’attore, sia pure ricco di opportunità di espressione, rimane inutile al


poeta, addirittura dannoso, come uno strumento non accordato da cui si voglia far
uscire una buona musica. Il primo passo è dunque l’educazione del comédien al
potente mezzo espressivo del corpo. Secondo Copeau, la padronanza delle proprie
capacità apre nuove risorse espressive, permettendo l’uso di un linguaggio condiviso
e una sintonia di intenzioni tra attore e autore. Di fronte ad uno strumento dalle
ampie possibilità, il drammaturgo non solo può concretizzare i suoi disegni, ma può
ricevere stimolo per ulteriori progetti, come il musicista di fronte ad uno strumento
tecnicamente superiore.
In un cahier di appunti del periodo della Borgogna, presumibilmente della
Bing, leggiamo: «Azione. Individui corporei, capaci di espressione totale con i mezzi
che la Création ci ha dato»396. Il termine Création pone qualche difficoltà di
interpretazione: da un lato potrebbe indicare il Creato, soprattutto se poniamo
l’attenzione sull’utilizzo della lettera maiuscola, mettendo così in evidenza la

395
«Le poète dramatique n’a qu’un instrument incomplet, qui ne répond pas, parce qu’inconscient. – il
manque à tout ce système musculaire perfectionné son canon, la connaissance de la matière même de
son jeu, de sa musique, il lui manque la conscience de son emploi, il lui manque d’être entré pour sa
part dans ce domaine musical qui est celui oû l’attend le poète. Il faut quand ils s’y rencontreront, que
le poète n’ait plus qu’à demander tel jeu ou tel autre, et non plus à enseigner comment on joue». Boîte
3, cartella 2, p. 12.
396
«Action. Individus corporels, capable d’expression totale avec les moyens que la Création nous a
donnés». Boîte 2, cartella 8, p. 5.
202
dimensione spirituale-religiosa che tanta parte ha nella poetica di Copeau; dall’altra,
se si tiene presente l’importanza attribuita dal regista al testo, Création potrebbe
riferirsi alla creazione drammatica. In molti scritti egli richiama l’attenzione sugli
elementi intrinseci nella scrittura (il ritmo, la disposizione delle battute, le sfumature,
le sospensioni di dialogo, ecc.), che dettano le indicazioni necessarie a costruire
l’azione scenica secondo le intenzioni dell’autore. Esemplari sono in questo senso,
per lui, i testi di Molière.
In ogni caso, la differente interpretazione del termine non modifica le nostre
riflessioni: gli attori sono fatti di corpo, «individui corporei» che per mezzo della
fisicità hanno la possibilità di esprimersi in modo «totale». L’accento posto sulla
corporeità dell’attore va secondo noi letto, da una parte, come il riconoscimento della
sua ineluttabilità, dall’altra, come il definirsi di una direzione di lavoro: l’insistenza
sull’educazione corporea dell’attore, sulla sua presenza in scena, sul ritmo
dell’azione, sono scelte sintomatiche della preminenza data al valore espressivo del
corpo, che deve essere formato affinché l’interprete, come uno strumento ben
accordato, possa servire al meglio il compito assunto nei confronti della poesia e del
poeta: «L’attore con la sua presenza fisica è il primo dato del dramma. È il suo
strumento e quello del poeta»397.
Il corpo, in alcuni appunti di lavoro di Suzanne Bing, viene elencato sia tra i
fattori che fra gli organi dell’espressione. Ella annota: «I quattro fattori
dell’espressione: l’intelligenza, il corpo, la volontà, la sensibilità. Gli organi
dell’espressione: la respirazione, il corpo (tronco, membra, testa, collo), la voce, la
parola, il viso»398. In alcune pagine seguenti le parti che compongono il corpo
vengono elencate aggiungendo muscoli e articolazioni.
Una chiave di interpretazione viene fornita dall’influenza che Jaques-
Dalcroze può avere avuto su Copeau rispetto a questo argomento. Si noti infatti che
Copeau si esprime esattamente come Dalcroze rispetto a ciò che entrambi

397
«L’acteur et sa présence physique est la donnée première du drame. Il est son proper instrument et
l’instrument du Poète». Boîte 2, cartella 12, p. 35.
398
«Les 4 facteurs de l’expression: l’intelligence, le corps, la volonté, la sensibilité. Les organes de
l’expression: la respiration, le corps (tronc, membres, la tête, le con), la voix, la parole, le visage».
Boîte 2, cartella 13, p. 1.
203
definiscono come i “fattori dell’espressione”. Così scrive infatti Dalcroze, insistendo
sulla necessità di organizzare un’educazione completa per il giovane:

La scuola prepara alla vita di società, ossia, i fanciulli, dopo aver lasciato la scuola, non
devono solo essere preparati ad adempiere i diversi obblighi della vita sociale, ma devono
saper usare della loro volontà nella vita pratica, ognuno secondo la propria individualità e
senza usurpare gli uguali diritti altrui. E l’educazione impartita a scuola, della loro
intelligenza, del loro corpo, della loro volontà e della loro sensibilità, dovrebbe farsi
simultaneamente, senza che nessuno di questi quattro indispensabili fattori venga trascurato a
vantaggio di un altro. Che cosa accadrebbe, infatti, se ci si occupasse esclusivamente di
sviluppare l’agilità corporale senza coltivare l’intelligenza? A che cosa serve l’intelligenza
senza la volontà? E d’altronde, l’intelligenza e la volontà riunite non valgono nulla se esse
non sono, per così dire, regolate, moderate e armonizzate dalla sensazione 399.

Lo scritto, pubblicato nella traduzione italiana nel 1925, è del 1915. Due anni
dopo, nel ’17, Dalcroze ritorna sulla questione dei quattro fattori in modo più chiaro,
insistendo sulla necessità di organizzare un’educazione che possa sviluppare
contemporaneamente per una formazione completa dell’individuo:

Uno dei primi risultati di questi esercizi è d’insegnare al bambino a veder chiaro in sé, a
conoscersi, a dominarsi, a prendere possesso della sua personalità. Istruito nel meraviglioso e
ammirevole organismo che è il corpo, che Dio ci ha dato non perché lo disprezziamo ma
perché lo prepariamo a contenere degnamente l’anima, certo di poter eseguire facilmente tutti
i movimenti suggeriti da altri o voluti da lui, senza sforzo, senza preoccupazione, il bambino
sviluppa la volontà di usare delle forze abbandonate che sono in potenza. A questo punto si
sviluppa anche l’immaginazione, poiché lo spirito, liberato dalle costrizioni, di tutta
l’inquietudine fisica, può abbandonarsi alla fantasia400.

399
ÉMILE JAQUES-DALCROZE, Ritmo, musica e educazione, cit., pp. 150-151.
400
«Un des premiers résultats de ces exercices est d’apprendre à l’enfant à voir clair en soi-même, à se
connaître, à se dominer, à prendre possession de sa personnalité. Instruit du merveilleux mécanisme
de ce corps admirable, que Dieu nous a donné non pas pour que nous le méprisions mais bien pour
que nous le préparions à loger dignement notre âme, certain de pouvoir exécuter aisément tous les
mouvements suggérés par d’autres ou voulus par lui-même, sans effort, sans préoccupation, l’enfant
sent se développe de même, car son esprit, délivré de toute contrainte, de toute inquiétude physique,
peut dès lors se laisser aller à toute sa fantaisie». ÉMILE JAQUES-DALCROZE, La rythimique.
204
Dire che per Dalcroze il corpo è espressione del sentimento, è dunque
riduttivo. La gestualità e il movimento non solo svolgono la funzione di comunicare,
ma riescono anche, attraverso uno strumento corporeo bene esercitato, a risvegliare e
generare le emozioni stesse, riconoscendo così una relazione fra interno ed esterno,
che Dalcroze spiega con queste parole:

Le sensazioni si trasformano in sentimenti; ovvero, le azioni esterne provocano un’attività


interna. Il ricordo di un movimento crea una sensazione analoga a quella del movimento
stesso... Insomma noi ci commuoviamo davanti ad un’opera d’arte solo in maniera indiretta.
Voglio dire che le fonti delle nostre emozioni nascono nel nostro io interiore e che si
stabilisce una complicità tra i nostri vari pensieri risvegliati dalla sensazione. Il pensiero dello
scrittore è spesso suggerito dai movimenti della penna sulla carta. Una sola parola
caratteristica trovata nel dizionario fa nascere un’idea. Un breve tema musicale fa sgorgare
nel nostro cervello tutti gli elementi della composizione 401.

Sembrano esserci per Dalcroze sensazioni reputate di origine fisica, capaci di


risvegliare pensieri ed emozioni. Questo, da un lato inserisce il ginevrino all’interno
di una corrente teatrale per cui il gesto richiama il sentimento, probabilmente
subendo l’influenza dell’opera di Delsarte402, dall’altra lo stimola ad investire sulla
ginnastica ritmica. Essa sarebbe in grado di amplificare le possibilità di espressione e
sperimentazione del corpo, consentendo di aumentare anche il richiamo e il risveglio
di pensieri e stati emotivi. Scrive infatti Dalcroze:

Enseignement pour le Développement de L’instincct rythimique et mètrique, du sens de l’Harmonie


plastique et de l’Equilibre des mouvements, et pour la Régularisation des habitudes motrice,
Lausanne, Jobin & Cie, 1917, p. VII. I corsivi in testo sono nostri.
401
JAQUES DALCROZE, Esplorare il pensiero di Jaques Dalcroze, a cura di Suzanne Martinet,
Mercatello sul Metauro (PU), Progetti Sonori, 2008, p. 29.
402
Sull’influenza di Delsarte nel lavoro di Dalcroze cfr. SUSANNE FRANCO, Armonie del corpo,
del gesto e del movimento. Influenza dell’estetica applicata di Françoise Delsarte e del delsartismo
nella pedagogia plastico-musicale di Jacques Dalcroze, in «Biblioteca Teatrale», n. 34, 1995, pp. 5-
44.
205
Bisogna che il vostro organismo sia interamente padrone dell’insieme delle vostre facoltà
motrici sempre vivificate. Non è sufficiente che siate possessori di un’ammirevole tecnica
specialistica [...]. La tecnica suprema, integrale, consiste in una connessione di tutte le nostre
capacità corporee e spirituali. Tra le diverse tecniche che dobbiamo avere occorre citare
quella dell’arresto, del riposo e del silenzio 403. E ancora: Occorre sviluppare tanto i propri
riflessi che gli automatismi, il proprio gusto estetico come le facoltà acrobatiche e i mezzi
d’espressione come le facoltà e le competenze fisiche [...]. Ecco perché io reputo
assolutamente necessario inserire nei programmi scolastici lo studio delle relazioni psico-
fisiche. Sono le sensazioni forti che ingenerano i grandi sentimenti. Senza stimoli corporei,
nessun grande volo d’idee 404.

In questo modo la poetica di Dalcroze interferisce non solo nel campo


dell’educazione musicale, ma anche in quello dell’educazione fisica. Per Dalcroze i
vari metodi di ginnastica elaborati si preoccupano solo della misura del corpo e non
del ritmo, che ne è invece l’animatore, assicurando precisione e regolarità dei
movimenti. Ogni atto corporeo deve essere studiato in tutte le sue condizioni e con
diversi gradi di energia, stabilendo così dei legami tra movimento, spazio e tempo405.
L’approfondimento mette in rilievo ancora una volta la centralità del corpo, la
cui educazione permette di mettere in moto tutti gli altri fattori, che non riguardano la
sfera materiale: l’intelligenza, la volontà e la sensibilità non hanno infatti apparati o
organi fisici di riferimento. Se gli organi riguardano i mezzi e dunque la possibilità di
esprimersi dell’uomo, i fattori sono all’origine dell’espressione. In altri termini,
senza l’intelligenza di elaborare stimoli (interni ed esterni), la sensibilità di coglierli e
la volontà di esprimerli, ciò che si percepisce rimane bloccato ad uno stato
inespresso. Il corpo gioca allora un ruolo fondamentale: essenziale non solo per
esprimere, ma ancor prima per raccogliere e suscitare stimoli.
Per questo motivo molti esercizi di lavoro condotti dagli allievi del Vieux-
Colombier hanno come obiettivo una corretta percezione delle informazioni raccolte
dal corpo dell’attore. All’interno degli esercizi viene per esempio distinto il concetto

403
JAQUES DALCROZE, Esplorare il pensiero di Jaques Dalcroze, cit. p. 31.
404
Ivi, p. 51.
405
SUSANNE FRANCO, Armonie del corpo, del gesto e del movimento. […], cit., p. 12.

206
di vedere e guardare, oppure di sentire e ascoltare, come se ci fossero due livelli di
percezione, uno generale e uno più particolare eseguito con attenzione e cognizione
per raccogliere precise informazioni. Nel primo caso si dimentica facilmente ciò che
si “vede” o si “sente”, nel secondo ciò che viene “guardato” o “ascoltato” diviene
oggetto di conoscenza.
La percezione non riguarda solo il singolo senso coinvolto: tutto il corpo
tende a reagire di fronte agli stimoli o agli impulsi esterni. In questo senso esso non
figura solo come organo di espressione, ma anche come organo ricettivo, e dunque,
ancor prima di esprimere, raccoglie le informazioni e le rielabora attivando gli altri
fattori, creando pertanto la base dell’espressione.

La ritmica e i giochi improvvisati

La preparazione fisica del comédien inizia ad arricchirsi di nuovi e più


complessi significati espressivi in seguito all’incontro di Copeau con le teorie di
Émile Jaques-Dalcroze. Come risaputo, nel 1914, egli comincia ad interessarsi
all’euritmica dalcroziana. Inizialmente scettico, rimane in seguito tanto affascinato
dal pedagogo ginevrino da porre l’educazione ritmica alla base della formazione
dell’attore:

In un modo generale, questo primo contatto con le idee di Jaques-Dalcroze mi fa sentire che
lo spirito del suo metodo non è lontano dalle mie intuizioni, e che l’educazione ritmica, già
costituita e sviluppata, poteva forse fornire la prima base di cui ero alla ricerca per
l’istruzione degli attori futuri406.

406
«D’une manière générale, ce premier contact avec les idèes de Jaques-Dalcroze me faisait sentir
que l’esprit de sa méthode n’était pas éloigné de mes propres intuitions, et que l’éducation rythmique,
déjà constituée et développée, pouvait peut-être fournir cette première base dont j’étais en quête pour
l’instruction du comédien futur». JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, 1915-1916, cit.,
p. 77.
207
Lo stesso concetto si ritrova nel Journal, alla data del 20 ottobre 1915: «Sono
ora certo del punto di contatto e d’intenti tra il metodo di Dalcroze e quello che io sto
meditando, della virtù di una educazione ritmica generale come base dell’istruzione
professionale dell’attore»407.
L’apertura alla ginnastica ritmica, ai giochi strutturati o improvvisati, e a
prime forme di espressione attraverso l’uso del corpo, inizia già alla fine del 1915. In
rue Vaugirard, al Club de Gymnastique Rythmique, sotto la direzione di Copeau, si
iniziano a tenere delle lezioni per un gruppo di bambini e ragazzi dai sei ai
quattordici anni. Il corso, della durata di due ore, comprende gli insegnamenti di
ginnastica tecnica, solfeggio, ginnastica ritmica e canto, in cui gli insegnamenti di
ritmica vengono affidati a Paulet Thévenaz, allievo di Dalcroze408.
Suzanne Bing appunta diligentemente per Copeau l’andamento della giornata,
e la lettura dei resoconti permette di cogliere alcune preziose riflessioni. La prima è
di carattere metodologico: sin dalla prima lezione si ipotizzano due gruppi di lavoro
per dividere i grandi dai piccoli. Vi è perciò una particolare attenzione all’età del
bambino, probabilmente nella consapevolezza che dai sei ai quattordici anni le
possibilità corporee e la loro padronanza, nonché il grado di capacità e l’interesse
verso le attività variano, tanto da rendere necessaria una loro differenziazione. La
seconda considerazione riguarda la condizione psico-fisica in cui la ritmica lascia il
bambino. La Bing nota che l’insegnamento della ritmica sprigiona una certa energia
e porta i bambini in uno stato di eccitamento che li spinge a saltellare, giocare,
improvvisare. All’osservazione non fanno seguito delle conseguenze operative, ma,
in considerazione del fatto che Copeau sostiene più volte che l’apprendimento e il
piacere si innescano l’un l’altro, non si ritiene opportuno interrompere i bambini:
l’importanza della ginnastica ritmica risiederebbe anche nella capacità di sprigionare
energie da indirizzare verso altre attività.

407
«Je suis dès maintenant certain du point de contact et d’entente certaine entre les méthodes de
Dalcroze et celles que je médite – de la vertu d’une éducation rythmique générale comme base de
l’instruction professionnelle du comédien». JOURNAL 1901-1916, p. 754.
408
La scelta di impiegare la Bing come assistente e non come insegnante potrebbe rivelare proprio
l’importanza attribuita inizialmente da Copeau alla ginnastica ritmica nell’educazione drammatica, in
cui Thévenaz infatti è certamente più competente in materia.
208
Attraverso queste prime sperimentazioni Copeau sembra chiarire meglio il
ruolo della ritmica, come si osserva nel Projet del 1916:

Vorremo sviluppare il bambino, senza deformarlo, con i mezzi che egli stesso ci fornisce,
verso i quali si sente maggiormente portato, con il gioco, nel gioco, tramite giochi, cioè,
impercettibilmente disciplinati ed esaltati. E il primo intermediario, il tramite più sottile che
si offre tra noi e il bambino è la musica. Il primo tentativo di influenzarlo avviene per mezzo
dell’“esperienza musicale” alla quale viene introdotto, cioè la ginnastica ritmica, che è, essa
stessa, un gioco già disciplinato dai poteri più delicati e più irresistibili. In un punto di
incontro della ginnastica ritmica con il gioco naturale si trova forse il segreto dal quale
scaturirà il mio metodo409.

Non si scordi, infatti, che per Copeau il punto di patenza dell’educazione del
bambino al Vieux-Colombier, rimane sempre il gioco naturale, mentre la ritmica
viene piuttosto individuata come strumento per dirigirlo verso un’espressione
drammatica.
Così, ad esercizi di ritmica “pura” (compiere tutti insieme un movimento
semplice dettato dal battito delle mani, come sedersi, alzarsi, saltare; battere i piedi o
le mani all’unisono; fare lo stesso esercizio emmettendo un suono410), seguono
esercizi di integrazione fra gioco ed educazione ritmica. Ecco l’esempio di una
semplice e breve scenetta proposta da Copeau: il padre (impersonato da Suzanne
Bing) sta per partire e saluta i figli in un diapason piano; disposti in riga davanti a lui,
i bambini, devono rispondere al saluto nello stesso registro di voce. Poi il genitore, in
quattro passi, corre al treno. Al quarto passo gli allievi devono ripetere fortissimo
«adieu papa». Successivamente, la Bing scandisce il tempo attraverso il battito di

409
«Nous voudrions développer l’enfant, sans le déformer, par les moyens qu’il nous fournit, envers
lesquels il se sent lui-même le plus d’inclination, par le jeu, dans le jeu, par des jeux insensiblement
disciplinés et exaltés. Et le premier intermédiaire, le plus subtil truchement qui s’offre entre nous et
l’enfant, c’est la musique. La première tentative de notre influence se fait au moyen de l’“expérience
musicale” que nous lui enseignons, c’est-à-dire la Gymnastique Rythmique, qui est elle-même un jeu
déjà discipliné par les puissances les plus délicates et les plus irrésistibles. En quelque point de
rencontre de la gymnastique avec le jeu naturel se trouve peut-être le secret d’où jaillira notre
méthode». PROJET 1916, p. 135.
410
JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, 1915-1916, cit., p. 99.
209
mani e i bambini devono ripetere perfettamente la sequenza. Anche gli esercizi di
“raggrupamento” e “de-raggruppamento” rapidi possono avvenire sotto forma di un
gioco accompagnato dalla musica: i bambini fingono una gita all’aria aperta.
Passeggiano in fila a due a due, prima con la musica, poi senza. Camminando si
mettono a contare. Immaginano di arrivare in un prato e iniziano a giocare con i
palloni. Il rumore improvviso di un tuono deve farli fermare e scappare, poi tornano
a giocare e a raggruparsi per poi scappare nuovamente all’udire il tuono411. Anche
improvvisare una scenetta sulle note di Frère Jacques, esercizio descritto nel 1920,
soddisfa l’esigenza di costruire il movimento su un ritmo imposto dall’esterno412.
Il metodo di Dalcroze insiste sul valore del corpo come cassa di risonanza per
la musica, per cui il sentimento musicale dipenderebbe in realtà dalle sensazioni
corporee. Inizia così un lavoro pratico sul ritmo, basato sulla camminata e sulla
danza, e l’educazione corporea diviene in tal modo parte integrante
dell’insegnamento musicale. Sulla base di questi presupposti egli elabora una
ginnastica ritmica definita da Susanne Franco «né ginnastica, né danza, né gestique,
ma espressione artistica del sentimento attraverso il corpo animato dalla musica»413.
Dalcroze influisce su Copeau probabilmente anche per quanto riguarda gli
studi sull’improvvisazione. Per il ginevrino, l’atto di improvvisare è il mezzo ideale
per ricreare un connubio tra corpo, anima e mente:

Saper radunare velocemente le proprie idee e velocemente esprimerle, altrimenti detto:


“improvvisare”, è una facoltà che non è da tutti [...]. Il suo ruolo consiste nello sviluppare la
rapidità di decisione e realizzazione, di concentrazione senza sforzo, di ideazione immediata
degli schemi e nello stabilire delle comunicazioni dirette tra l’anima che vibra, il cervello che
immagina e coordina, e le dita, le mani e le braccia che realizzano. [...] Si è potuto spesso
constatare che i migliori operatori nell’arte sono, in tutti i campi, coloro che sanno
immaginare, creare, fare un’opera personale414.

411
Ivi, p. 113.
412
Descrizione in SUZANNE BING, Classes du Vieux-Colombier, 1920, cit., pp. 221-222.
413
SUSANNE FRANCO, Armonie del corpo, del gesto e del movimento. […], cit., p. 5.
414
JAQUES DALCROZE, Esplorare il pensiero di Jaques Dalcroze, cit., pp. 34-35.
210
Dalcroze insiste sulla validità di un insegnamento musicale tramite
l’improvvisazione, così poco considerata da maestri e professionisti, e così tanto
amata invece dai bambini. L’esperienza con i piccoli permette al musicista di
sostenere che l’improvvisazione non è solo un dono, ma può essere sviluppata e
allenata.
Il bambino nell’euritmica dalcroziana si muove su una base musicale, e
questa è per Copeau la grande similitudine fra ritmicista e attore, quest’ultimo
esecutore di movimenti che rispondano alla musica del poeta. Secondo il regista,
almeno nella concezione iniziale, se la ritmica può aiutare a comprendere la musica,
può anche favorire la comprensione del ritmo del dramma.
In seguito, però, Copeau inizia a ritenere che la ginnastica ritmica dalcroziana
si fondi su un principio inverso a quello da lui perseguito: mentre il linguaggio
musicale esisterebbe prima dell’allievo e gli verrebbe proposto dal di fuori, il gioco
drammatico del bambino non gli è pre-esistente, non deve essergli dato dall’esterno,
ma costruirsi nell’improvvisazione. Così si esprime la Bing sulla concezione di
Copeau rispetto alla ginnastica ritmica:

Questa ginnastica è esaltante, sana e gioiosa e per questo può essere utilizzata, ma nessun
contatto si stabilisce tra un linguaggio basato su una convenzione esterna e la libera
improvvisazione, creata, proposta, tramite il gioco del bambino, la musica interiore di questo
gioco, si potrebbe dire. In questo caso il ritmicista si trova disorientato 415.

Il ruolo giocato dalla ritmica, posta inizialmente come base del lavoro con gli
allievi, specie bambini, viene a questo punto ridimensionato, perché Copeau vi
scorge una certa meccanizzazione del corpo: «Ho commesso un errore, tempo fa,
credendo di trovare il punto di partenza nella ginnastica ritmica. Essa non può
applicarsi direttamente al nostro insegnamento; in se stessa, porta già
un’affettazione»416. Probabilmente in seguito a queste considerazioni, la ginnastica di
Dalcroze viene esclusa dal programma della scuola del 1921, che non comprende la
voce Ginnastica ritmica. Tuttavia il corso di musica, tenuto da Louis Brochard,

415
JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, 1915-1916, cit., p. 114.
416
JACQUES COPEAU, Éducation de l’acteur, 1920, cit. pp. 193-194.
211
prevede una sezione di musica corporea, comprendente camminate, evoluzioni,
ritmo. Un qualche insegnamento di ritmica corporea continua pertanto ad essere
presente nell’educazione musicale. Inoltre, in un cahier successivo all’apertura della
scuola, redatto da Suzanne Bing, si trova un progetto di riorganizzazione dei corsi
per i giovani e per gli allievi-attori, in cui ricompare la ginnastica ritmica417.
La critica mossa da Copeau al metodo di Dalcroze è ravvisata già da Rudolf
Bode nel saggio pubblicato nel 1914. Allievo di Dalcroze, fondatore della ginnastica
espressiva, Bode ritiene che la ritmica dalcroziana, dal suo inventore ritenuta
generatrice di movimenti organici e diretti alle sue forze inconsapevoli, in realtà cada
nell’automatismo motorio, rischiando di esaurirsi in sterili esercizi ginnici. Secondo
Bode, la ritmica, in quanto diretta alle energie vitali e inconsapevoli dell’individuo,
non può essere tecnica418.
Altra similitudine tra il pensiero di Bode e quello di Copeau è ravvisabile nel
pensiero che gli ostacoli inibenti i movimenti non siano all’esterno dell’individuo,
ma all’interno, in una interruzione della connessione che va dall’impulso spirituale al
movimento. La ginnastica espressiva da lui elaborata intende fornire i mezzi
necessari per ritrovare la perduta abitudine di tradurre gli impulsi emotivi in
movimenti originari: non si rappresentano i sentimenti ma si risveglia il sentimento,
eliminando i blocchi e accrescendo le possibilità espressive del corpo. La corretta
esecuzione dei movimenti naturali non può essere imitata, ma solo suscitata419.
Anche secondo Copeau, il legame tra movimento e impulso emotivo si può
recuperare attraverso un’educazione del corpo, per cui, sebbene la ritmica moderna
di Dalcroze sia stata concepita in alternativa ai metodi di educazione diffusi

417
Si fa notare inoltre che la ginnastica, l’educazione puramente fisica, viene sostituita dalla voce
Tecnica corporea.
418
Cfr. SUSANNE FRANCO, Ginnastica e corpo espressivo. Il metodo Bode, Ginnastica e corpo
espressivo. Il metodo Bode, in «Teatro e Storia», n. 19, 1997, pp. 67-96. In particolare pp. 72-74.
Dalcroze e Bode partono da un differente presupposto: nel metodo dalcroziano il ritmo è considerato
un elemento originario della musica, mentre secondo Bode il ritmo è espressione della natura
personale di ciascun allievo. Dalcroze educa alla musica attraverso il movimento fisico, Bode parte
dalle possibilità motorie dell’allievo per risvegliare il ritmo, e solo successivamente ricorre all’ausilio
della musica. Ivi, p. 75.
419
SUSANNE FRANCO, Ginnastica e corpo espressivo. Il metodo Bode […], cit., p. 81.
212
all’epoca, Copeau non la sostituisce mai alla ginnastica fisica (o ginnastica tecnica o
tecnica corporea), che mantiene un suo posto di rilievo all’interno della preparazione
dell’attore al Vieux-Colombier. Esattamente come Bode, egli ritiene, che
un’educazione fisica completa debba essere composta da una disciplina ritmico-
motoria atta a stimolare l’espressività e da disciplina sportiva, che sviluppi la
padronanza dell’apparato muscolare.

Educazione allo spazio scenico

L’educazione del corpo mira al conseguimento di una certa obbedienza.


L’attore costruisce i suoi rapporti in base ad uno spazio, egli deve acquisire la
capacità di conoscere e valutare lo spazio d’azione. Copeau prevede degli esercizi
che definisce di “valutazione dello spazio”, importanti per acquisire l’abilità di
muoversi e disporsi nello spazio circostante. Riportiamo l’esempio di un esercizio
svolto all’interno della scuola, diviso in semplici compiti da svolgersi all’interno di
uno spazio stabilito, senza uscirne:

a. Attraversare in dieci passi, in dodici, otto, sei, ecc. di cui bisogna in anticipo valutare la
lunghezza. b. Idem in dieci passi, in dodici, otto, sei, ecc. fermandosi al centro dello spazio.
c. Idem in dieci passi, in dodici, otto, sei, ecc. fermandosi ai 2/3 dello spazio. d. realizzando
un ritmo, un movimento, dicendo una frase 420.

In questo esercizio l’allievo è chiamato a valutare lo spazio dapprima


mentalmente e solo poi ad agire all’interno di esso, compiendo movimenti che
servono allo svolgimento dell’esercitazione, ma sono già allo stesso tempo la verifica
delle sue valutazioni. L’allievo è così portato a comprendere che anche il corpo è uno
strumento di misura ed è anzi per lui l’unico strumento a disposizione. L’ultima

420
«a. Traverser en 10 pas, en 12, 8, 6 etc. don’t il faut à l’avance évaluer la longueur. b. Idem en 10
pas, en 12, 8, 6, etc. en s’arrêtant au milieu de l’espace. c. Idem en 10 pas, en 12, 8, 6, etc. en
s’arrêtant aux 2/3 de l’espace. d. en réalisant un rythme, un mouvement, en disant une phrase». Boîte
3, cartella 2, p. 2.
213
sezione dell’esercizio, che prevede di unire al movimento la parola, è già
evidentemente un passo in avanti, ma non sappiamo in questo contesto se l’impiego
della voce serva ad abituare l’attore a mantenere la concentrazione sul movimento o
a fornire un’intenzione all’azione per valutare se e come si modifichi l’azione
intenzionale (coprire una distanza con dieci passi per prendere un treno che sta per
partire o coprirla con lo stesso numero di passi per andare incontro ad un pericolo,
modifica certamente il movimento dell’attore, anche se lo spazio da coprire e il
numero di passi rimane lo stesso).
Altri esercizi dello stesso tipo introducono una variabile significativa: il corpo
degli altri allievi nella stanza. Un esercizio prevede che essi descrivano con il corpo,
all’interno dello spazio previsto, delle figure molto semplici, cercando però di non
ostacolarsi l’un con l’altro nel cammino. In un altro si aumenta ulteriormente il grado
di difficoltà: un gruppo corre e si ferma ad un certo punto della sala in una posizione
semplice, un secondo gruppo lo raggiunge e cerca di assumere una posizione
complementare. Partono poi un terzo e un quarto gruppo che, a loro volta,
completano la figura421. Questo esercizio è alquanto complesso rispetto agli altri
perché richiede l’analisi attenta di diversi elementi (lo spazio, il rapporto che gli altri
hanno stabilito con quello spazio e fra di loro), ma anche una competenza creativa
per accostarsi al corpo degli altri con il proprio coprendo lo spazio rimasto vuoto in
modo non banale.

421
Questo e gli esercizi precedenti si trovano descritti in ivi, pp. 2-3.
214
Capitolo sesto

L’improvvisazione: dai primi studi


alla costruzione del personaggio

Il gioco simbolico come modello di creazione improvvisata

Nel prezioso cahier del 1916, intitolato Comédie Improvisée, Copeau riunisce
alcune riflessioni derivanti dall’osservazione e dall’analisi del gioco infantile, che
devono essere indagate come punti cardine della sua poetica sull’educazione
drammatica del comédien. Sin dall’inizio dello scritto Copeau evidenzia una
somiglianza tra attività ludica del bambino e jeu dell’attore:

Ci sono bambini che giocano male – o che non sanno a che giocare – così come ci sono attori
che rappresentano male, senza slancio, senza gioia né fantasia, prendendo dagli altri tutto
quel che fanno, copiandosi gli uni gli altri. I bambini che giocano bene, che sanno giocare,
sono modelli di vitalità, di naturalezza e d’inventiva. Sono maestri nell’improvvisazione 422.

422
«Il me paraît que la meilleure initiation à la Comédie Improvisée, la plus directe, sera l’observation
du jeu des enfants. Il y a des enfants qui jouent mal – ou qui ne savent jamais à quoi jouer –
exactement comme il y a des comédiens qui jouent mal, sans élan, sans joie ni fantaisie, empruntant
d’autrui tout ce qu’ils font, se copiant les uns les autres. Mais les enfants qui jouent bien, qui savent
jouer, sont des modèles de verve, de naturel et d’invention. Ils sont des maîtres en improvisation».
Comédie Improvisée, cahier redatto da Jacques Copeau nel 1916, in REG. VI ÉCOLE, p. 110. Per
215
Il fondatore del Vieux-Colombier riconosce due livelli nel gioco del bambino,
uno “buono” e uno “cattivo”, che corrispondono a due modi di recitazione per
l’attore: il primo è l’imitazione, il secondo comprende l’improvvisazione e
l’invenzione; questi due ultimi momenti sono distinti, ma non antitetici e, come si
vedrà, spesso sovrapponibili. Allo stesso modo anche l’imitazione non è da
considerarsi come modalità contrapposta alle altre; al contrario, un approfondimento
consente di chiarire che per il regista l’attività imitativa costituisce un inevitabile
punto di partenza. Nel 1917, durante la conferenza al Metropolitan Theatre, definisce
infatti il gioco come «imitazione delle attività e dei sentimenti umani»423, e in uno
scritto precedente ricorda che da bambino cercava di ricreare lo stato emotivo della
madre intenta a cucire imitandone i gesti. Copeau e Henri Ghéon inventano un
personaggio a partire dalla caricatura di un giovane sergente conosciuto al Ministero
della Guerra, prendendo ispirazione dai giochi dei figli, che nascono dalle imitazioni
di persone o categorie di individui424. L’analisi del gioco conduce inoltre Copeau ad
osservare che dalla realtà il bambino trae elementi significativi da trasformare e che
«l’immaginazione aggiunge all’imitazione tratti sempre più sicuri»425. In pratica, il
gioco aavrebbe origine dall’imitazione per evolvere presto verso la creazione, che lo
rende, così, più ricco e costruttivo. Questo giustifica la nostra iniziale ipotesi: il

informazioni sul cahier cfr. la sezione bibliografia della presente tesi alla voce Comédie Improvisée.
D’ora in poi JACQUES COPEAU, Comédie Improvisée, 1916.
423
«Le jeu, imitation des activités et sentiments humains ». TROISIEME CONFERENCE, p. 512.
424
Il racconto di Copeau bambino e dell’imitazione della madre è riportato in REG. I, pp. 38-39. Il
frammento del gioco fra lui e Ghéon si trova all’interno del cahier Comédie Improvisée, di cui
riportiamo la traduzione italiana di Maria Ines Aliverti: «Durante l’inverno 1915, al Ministero della
Guerra, il sergente Lavarde: un biondo, mal fatto, che parla in modo strano dal naso e che commenta
tutti gli avvenimenti della guerra con un pessimismo innato. Con questi due tratti: voce nasale e
pessimismo, Ghéon e io avevamo composto un personaggio grottesco che incarnavamo a turno». ATV,
p. 151. I giochi di Marie-Hélène, Hedwig e Pascal, i tre figli di Copeau da cui prende ispirazione, sono
riportati nella già citata pubblicazione della primogenita: MARIE HÉLÈNE DASTÉ, Éclats de
Souvenir, cit.
425
«L’imagination ajoute à l’imitation des traits de plus en plus assurés, parodiques et quasi
fantastiques». JACQUES COPEAU, Comédie Improvisée, 1916, cit., p. 111.
216
rapporto tra imitazione e creazione non è per Copeau di contrapposizione, ma di
sequenzialità auspicata. Laddove lo stadio imitativo non viene superato, la
competenza ludica rimane ad un livello primitivo e di interazione elementare con la
realtà; altrimenti, se da un lato il bambino assorbe gli avvenimenti che lo circondano,
i comportamenti delle persone, ciò che esse fanno e dicono, come si relazionano, e
tenta di riprodurli (imitazione appunto), dall’altro interviene con la fantasia sui dati
del reale, modificandoli a piacere per trovare soluzioni ai problemi, arricchire storie
che già appartengono al suo mondo fantastico, per approfondire personaggi solo
abbozzati o per originarne di nuovi.
Copeau aggiunge a questa osservazione un’altra considerazione. I dati
estrapolati dal reale e aggiunti alle prime semplici imitazioni, quanto Copeau
definisce nella citazione che segue come «primo abbozzo», nella maggior parte dei
casi sono ingigantiti come in una parodia, in modo poco realistico, rilevando nel
bambino una competenza più ironica che drammatica:

Tutto ciò che viene ad arricchire questo primo abbozzo procede dall’osservazione scrupolosa
della realtà – mezzi, caratteri, difetti, manie, tic – ma leggermente ingigantiti e parodiati,
deformati sempre nello stesso senso. L’immaginazione aggiunge all’imitazione tratti sempre
più definiti, parodistici e quasi fantastici426.

In questo modo nascono personaggi tipizzati. Essi si dividono in categorie,


che presentano caratteristiche semplici e ben definite. Copeau fa accenno a due
tipologie osservate nel gioco. Un primo gruppo è definito dai figli con il termine
“Visma”: sono figure dotate di un’eccessiva affettazione nei gesti e nelle intonazioni,
volutamente esagerate per creare un atteggiamento poco naturale e ridicolo. Al
rovescio, i tipi classificati con l’epiteto “Kirgallup”, che Copeau descrive purtroppo
in righe poco esaurienti, ma che ne lasciano comunque intuire il profilo: «Il giovane

426
«Tout ce qui vient enrichir cette première ébauché procède de l’observation scrupuleuse de la
réalité – mœurs, caractères, travers, manies, tics – mais légèrement grossi et parodié, déformé toujours
dans un même sens. L’imagination ajoute à l’imitation des traits de plus en plus assurés, parodiques et
quasi fantastiques». Ibidem, p. 111.
217
spavaldo e simpatico, sportivo, indisciplinato ma intelligente e buono, poi il
marinaio, il pirata, ecc.»427.
I bambini definiscono il carattere dei personaggi in pochi tratti, sempre
identici e poco complessi: non c'è bisogno di delinearli nei minimi dettagli perché,
una volta definiti i tratti base, il resto viene da sé, in modo non programmato. Infatti,
oltre alla creazione, il secondo elemento, che secondo Copeau descrive il livello più
approfondito di gioco, è l’improvvisazione: «[I bambini] Sono maestri
nell’improvvisazione» perché nell’invenzione non seguono un piano stabilito, nessun
programma preliminare prescrive le azioni: in ogni momento della giornata in cui è
possibile, i giovani improvvisatori lasciano posto ad un personaggio, che vive così i
tempi e gli spazi quotidiani dei suoi creatori come propri:

Vedo i miei tre piccoli (tredici, dieci e sette anni) giocare dal momento in cui si svegliano fino
al momento in cui si addormentano, senza uscire un istante dal personaggio che si sono
reciprocamente assegnati. Alle ore dei pasti sono costretto a invitarli a lasciare da parte la
finzione per poter ritrovare i miei veri bambini, con l’aria e la voce che sono loro naturali428.

Nei giochi di drammatizzazione non mancano le comparse: le persone che i


bambini incontrano forniscono spesso spunti per nuovi personaggi, ed entrano a far
parte del gioco in modo del tutto inconsapevole; oppure vengono utilizzate bambole
o anche personaggi puramente immaginati, che compaiono solo di tanto in tanto.
Oggetti e persone sono così inglobati in un universo parallelo di fantasia. Marie-
Hélène Dasté lo rivela nel racconto dei giochi d’infanzia:

427
«Le petit garçon dévergondé et sympathique, entraîné aux sports, indiscipliné mais intelligent et
bon, puis le marin, le pirate, etc.» Ivi, p. 112.
428
«Je vois mes trois petits (treize, dix et sept ans) jouer depuis le moment où ils s’éveillent jusqu’au
moment où ils s’endorment, sans sortir un istant du personnage qu’ils se sont réciproquement assigné.
À l’heure des repas je suis obligé de les inviter à laisser de côté la fiction afin que je retrouve mes
vrais enfants, avec leur allure et leur voix naturelles». Ibidem.
218
È anche così che certe circostanze della vita reale, certe persone incontrate o lungamente
frequentate, scatenavano la nostra immaginazione e venivano immediatamente afferrate e
aggiunte a vantaggio di un gioco già esistente oppure per dare vita a un nuovo gioco 429.

Nessuno scrive le storie inventate e contemporaneamente vissute dal


bambino, che rimangono però fissate nella sua memoria, per essere richiamate,
trasformate, arricchite in qualsiasi momento. Continuando a trarre informazioni dal
gioco dei figli, Copeau nota infatti che essi non improvvisano ogni volta su qualcosa
di diverso, ma con il passare del tempo ripetono pressoché gli stessi giochi, sicché i
personaggi da loro incarnati non appartengono ad un solo giorno, smettendo di
esistere il giorno dopo, ma, riproposti per settimane, e ripescati anche a distanza di
mesi, viene loro donata una vita lunga, e così si esprime proseguendo nella lettura del
cahier:

Vi sono due o tre giochi o canovacci diversi, non di più. Ciascuno vi riprende ogni volta la
stessa parte da anni, obbedendo a una sorta di tradizione. [...] Il canovaccio è invariabile, e su
di esso improvvisano con una perfetta disinvoltura, facendo di volta in volta scoperte sul loro
personaggio, ma sempre nello stesso senso, nello stesso stile, con una perfetta coerenza. Per
quanto lontano li porti la fantasia (o la mia curiosità quando li interrogo) il personaggio non
sfugge mai loro. E ho idea che provino una vera gioia ad arricchire dei tipi creati da loro.
Sono felice di sentirli così profondamente radicati nella realtà 430.

429
«C’est ainsi aussi que certaines circonstances de notre vie réelle, certaines personnes rencontrées,
étaient immédiatement happées et ajoutées au profit d’un jeu déjà existant ou bien donnaient naissance
à un nouveau jeu». MARIE HÉLÈNE DASTÉ, Éclats de Souvenir, cit., p. 13. Un esempio viene
fornito alle pp. 13-15.
430
«Il y a deux ou trois jeux, ou canevas différents, pas plus. Chacun y reprend toujours le même rôle,
depuis des années, obéissant à une sorte de tradition. […] Le canevas est invariable, sur lequel ils
improvisent avec une parfaite aisance, faisant de temps en temps des découvertes à leur personnage,
mais toujours dans le même sens, dans le même style, avec une parfaite cohérence. Si loin que les
mène leur fantaisie (ou ma curiosité, si je les interroge), leur personnage ne leur échappe jamais. Et
j’ai l’idée qu’ils éprouvent une véritable jouissance dans l’enrichissement des types créés par eux. Ils
sont heureux de les sentir si profondément enfoncés dans la réalité». JACQUES COPEAU, Comédie
Improvisée, 1916, cit., pp. 111-112.
219
In tal modo il personaggio cresce progressivamente definito da dettagli che sono
dapprima improvvisati, ma poi, a mano a mano che il gioco si ripresenta, si fissano
sino ad incorporarsi perfettamente al personaggio ed entrare a far parte della sua
natura. Con il passare del tempo, il bambino non solo affina le caratteristiche del
personaggio, ma acquista un bagaglio di modi di fare, di trucchi, di intonazioni, di
espressioni adattabili ad ogni situazione, e talmente parte della struttura del “tipo” in
questione che lo rendono immediatamente riconoscibile, in modo non dissimile da
ciò che avveniva con i Comici dell’Arte.
Il “fissaggio”, la memorizzazione dei tratti del personaggio, avviene tramite
la loro ripetizione, anche se possono essere introdotte delle variabili nelle situazioni
in cui egli si trova. Annota Copeau rispetto ai figli:

Ciascuno di loro è sempre lo stesso personaggio: un certo tono di voce, due o tre gesti o
atteggiamenti, un accessorio rudimentale del costume, sono sufficienti a costruire la
fisionomia esteriore del personaggio, e a suggerirne il carattere. Ripetizione dello stesso
tratto431.

Il personaggio, o il tipo, viene definito così bene nelle sue caratteristiche essenziali e
provato a tal punto dal bambino, da poter essere ripescato anche a distanza di tempo:
bastano pochi oggetti e un guardaroba essenziale a ridefinire alcuni tratti esteriori, e
il bambino ritrova la sua creazione immediatamente, anche se la lascia per mesi.

Dall’improvvisazione come alleata del testo al progetto di una


Comédie Nouvelle

Le riflessioni sulla creazione improvvisata, da cui secondo Copeau non


nascono solo personaggi, ma veri e propri drammi, si aggiungono agli studi
sull’improvvisazione che affascinano il regista negli stessi anni. Nell’anno 1916,

431
«Chacun d’eux est toujours le même personnage: un certain ton de voix, deux ou trois gestes ou
attitudes, un accessoire rudimentaire du costume suffisent à constituer la physionomie extérieure du
personnage, et à suggérer son caractère. Répétition du même trait». Ivi, p. 111.
220
infatti, iniziano al Vieux-Colombier, sotto la guida di Suzanne Bing; gli esercizi di
improvvisazione, e gli scambi epistolari fra Copeau, Dullin e Jouvet intorno a questa
nuova modalità di lavoro d’attore si fanno intensi. Parallelamente il regista legge dei
frammenti di Ruzzante e ne rimane così colpito da decidere di farsi spedire tutta
l’opera dall’Italia432.
Inizialmente Copeau e Jouvet riflettono sulla possibilità di utilizzare
l’improvvisazione col fine di rivitalizzare il dramma. Sull’argomento esiste un
intenso scambio epistolare tra i due artisti, in cui Jouvet fa notare al regista che
spesso, e nel caso dell’interpretazione dei classici in particolare, l’attore recita senza
infondere vitalità allo spartito drammaturgico, ripetendo senza troppo entusiasmo
quanto ha imparato a memoria, come chi ripete per l’ennesima volta una poesia
perdendone via via la freschezza, meccanicamente. La ripetitività della forma
porterebbe all’espressione stereotipata del componimento, dal quale l’attore non si
lascia più entusiasmare, né sorprendere.
L’idea di Jouvet per contrastare questo processo prevede di non consegnare
all’attore il testo, bensì uno scheletro dell’azione, una sorta di canovaccio su cui
improvvisare; suggerisce l’attore a Copeau:

Non crede che certi testi potrebbero essere rivivificati, rigenerati da un esercizio che consista
nel ridurli a canovacci, riassunti, specie di scheletri dell’azione – che l’attore dovrebbe per
prima cosa improvvisare, animare e vestire da sé? [...] Dare ai debuttanti solo una copia – un
testo deformato ed essenziale di tale o talaltra opera classica – poi più tardi, come suprema
iniziazione, dar loro il vero testo in tutto il suo splendore e la sua perfezione? 433.

432
Un estratto significativo della lettera di Dullin del 6 aprile 1916 è pubblicata in REG. VI ÉCOLE, pp.
142-143. Il riferimento a Ruzzante si trova invece in una lettera indirizzata a Jouvet e trascritta nel
JACQUES COPEAU, Comédie Improvisée, 1916, cit., p. 118-119.
433
«Ne croyez-vous pas que certains textes pourraient être revivifiés, régénérés par un exercice qui
consisterait à les réduire à des canevas, des résumés, sortes de squelettes de l’action – que l’acteur
devrait préalablement improviser, animer et habiller par lui-même. […] Donner aux débutants qu’une
copie – un texte déformé et substantiel de telle ou telle pièce classique – puis plus tard, comme
suprême initiation, de leur donner le vrai texte dans toute sa splendeur et sa perfection?». Scrive nello
stesso testo Copeau a proposito di queste considerazioni di Jouvet: «Je trouve ces observations
tellement justes et neuves, tellement fécondes que je n’hésite pas à fonder sur elles un des principaux
chapitres de la méthode à appliquer pour l’éducation des jeunes. J’en ai résumé l’essential dans mon
221
La proposta viene abbracciata ed approfondita con entusiasmo dal regista francese.
Al Vieux-Colombier era già stato tentato qualcosa di simile: ritirando il testo
all’attore gli si chiedeva di riscriverlo con parole proprie. Tuttavia, secondo il
giudizio di Copeau, l’improvvisazione in questo caso andava a discapito del testo,
che subiva un declassamento nella cifra stilistica. La nuova soluzione, invece, è
giudicata più rispettosa dell’opera scritta.
L’essenza del progetto, la cui validità è confermata a Copeau anche dalle
improvvisazioni di Dullin con i suoi farceurs al fronte (dei cui resoconti è a dir poco
entusiasta434), è riassunta inoltre nel Projet pour la rénovation de l’art dramatique,
che il regista stende nel 1916. All’interno dello scritto Copeau sostiene che quando
testi fondamentali della tradizione francese, come le opere di Racine o di Molière,
vengono trasmesse da un jeu dell’attore imprigionato in forme scolastiche e clichés
logori, la loro vitalità e la loro contemporaneità viene tradita. La soluzione delineata
è l’eliminazione temporanea e preliminare del testo. Citiamo dal Projet:

Ebbene, se questo testo logorato dalla tradizione è l’ostacolo che interdisce agli allievi di
comunicare con lo spirito dei grandi autori classici, lo sopprimerò, questo testo. Le commedie
di Molière, per esempio, le proporremo per lo studio sotto forma di scenari o canovacci,
scheletri dell’azione e dei caratteri che l’attore, secondo la propria ispirazione, rimpolperà di
carne viva, vestirà di nuovi colori, per mezzo dell’improvvisazione. E più tardi, quando
l’allievo avrà ritrovato l’accento naturale, il movimento e l’entusiasmo della vita, gli
restituiremo come una ricompensa, questo testo messo da parte, al riparo, questo bel testo
integrale dell’opera classica, in tutto il suo splendore e la sua perfezione435.

mémoire relatif à la création de l’École. Cette idée de renouvellement, de revivification était bien le
fond de ma pensée, au moment où je me suis tourné vers l’improvisation. Mais l’application de la
méthode au répertoire classique, comme procédé de régénération, appartient à Jouvey». JACQUES
COPEAU, Comédie Improvisée, 1916, cit., in REG. III, pp. 333-334.
434
Cfr. lettera di Dullin a Copeau, in REG. VI ÉCOLE, pp. 142-143 e estratti della lettera di Copeau a
Jouvet del 13 aprile 1916, in ivi, p. 145.
435
«Eh bien, si ce texte éculé par la tradition est l’obstacle qui interdit à nos élèves de communier
avec l’esprit des grands auteurs classiques, nous le supprimerons, ce texte. Les comédies de Molière,
par exemple, nous le proposerons à l’étude sous forme de scénarios ou canevas, squelettes de l’action
et des caractères que l’acteur, selon sa verve, remeublera de chair vivante, habillera de neuves
222
A questa possibilità offerta dalla pratica dell’improvvisazione, se ne accosta
un’altra che, con riferimento alla creazione improvvisata osservata nel gioco dei
bambini, apre la strada all’ipotesi di una nuova forma teatrale, che Copeau indica
come Comédie Nouvelle436:

Non contento di ricorrere all’improvvisazione come a un esercizio atto a rinnovare


l’interpretazione della commedia classica, spingerò più lontano il mio tentativo e cercherò di
far rinascere un genere: La Nuova Commedia all’Improvviso con personaggi e soggetti
moderni437.

André Gide riporta nel suo Journal le parole di Copeau su questo progetto:

Discutiamo a lungo sulla possibilità di formare una piccola troupe d’attori, sufficientemente
intelligenti, abili e ben addestrati, per improvvisare su uno scenario proposto, e capaci di
ravvivare la commedia dell’arte, al modo italiano, ma con tipi nuovi: il borghese, il nobile, il
mercante di vino, la suffragette rimpiazzeranno Arlecchino, Pierrot e Colombina. Ciascuno di
loro avrà un costume, una parlata, un’andatura, una psicologia propri. Ciascuno degli attori
non incarnerà solo un tipo, lo terrà, e non l’abbandonerà, ma l’arricchirà e l’amplificherà
senza sosta. [...] Ben presto tali rappresentazioni (che non prevedo coprire tutto il
programma, ma precedere, seguire o inserirsi nei principali spettacoli) assicureranno il

couleurs, au moyen de l’improvisation. Et, plus tard, quand l’élève aura retrouvé l’accent naturel, le
mouvement et l’enthousiasme de la vie, nous le lui restituerons comme une récompense, ce texte mis
en réserve, à l’abri, ce beau texte intégral de l’œuvre classique, dans toute sa splendeur et sa
perfection». JACQUES COPEAU, Comédie Improvisée, 1916, cit., p. 137.
436
Il termine Comédie Nouvelle è utilizzato da Copeau per indicare un nuovo genere teatrale,
svincolato dal testo letterario e molto simile alla Commedia dell’Arte, ma per il quale non ha ancora
trovato un nome.
437
«Non contents de recouir ò l’improvisation, comme à un exercice, pour renouveler l’interprétation
de la comédie classique, nous pousserons plus loin notre tentative et tâcherons de faire renaître un
genre: La Nouvelle Comédie Improvisée, avec des personnages et des sujets modernes». PROJET 1916,
p. 139. Lo stesso obiettivo lo dichiara, un anno più tardi, nel 1917, agli uditori della terza conferenza
al Little Theatre: «Création complète, en collaboration avec les comédiens, d’une comédie moderne
toute neuve, improvisée, avec des types tirés de la société actuelle. Une farce française du 20e s.».
TROISIEME CONFERENCE, p. 183.
223
successo del teatro e prenderanno una grande importanza; faranno la satira delle parti – una
satira eccellente, sana, nel nome del buon senso438.

Ben presto, dunque, dall’apertura del Vieux-Colombier, Copeau inizia a


riflettere sulla funzione dell’attore, considerato non più solamente come rigoroso
esecutore del dramma e portavoce del suo autore, ma auspicando la possibilità che il
comédien, solo in certi casi, diventi una sorta di co-autore, lavorando su materiale da
lui improvvisato sino a dar vita a veri e propri personaggi, dotati di un bagaglio di
caratteristiche, tic, manie che ne costituiscano i tratti peculiari e tipici.
Adottando questa modalità di lavoro, il comédien non solo prende ispirazione
dall’antica Commedia dell’Arte, ma si riappropria della competenza ludica che
438
Indicazioni simili si trovano anche nel cahier Comédie improvisée, in cui, con riferimento ai
personaggi della nuova commedia, Copeau scrive: «Non pas des personnages de moralités,
symbolisant une faculté de l’âme, une passion humaine out elle classe de la société. Mais les arrière-
neveux de Pierrot, d’Arlequin, du Docteur Bolonais, etc., des personnages identiques à eux-mêmes
dans leur essence comme dans leur aspect physique (silhouttes et costumes absolument neuf, mais non
sans parenté avec ceux de la Commedia; personnages d’une très large extension humaine et sociale,
capables de défrayer suivant la posture qu’ils prennent une infinité de combinaisons dramatiques,
depuis la farce la plus crue et le pur divertissement jusqu’à la comédie la plus subtile et le drame le
plus rigide. Ils changent d’expression sans changer de caractère ni d’aspect, suivant le scénario où ils
sont engagés, et grâce à une nuance du costume, à l’addition d’une accessoire». JACQUES COPEAU,
Comédie Improvisée, 1916, cit., in REG. III, p. 325. Un esempio di tipo moderno lo traiamo da
un’improvvisazione di Marcel Millet, reclutato per la stagione americana e impegnato negli esercizi a
Cedar Court, al quale Copeau confida del cahier sull’improvvisazione: «Quelques exercices
d’improvisation. Dès le premier [...] Millet se révèle improvisateur, dans un personnage de Marseillais
bavard. Je vois poindre en lui le personnage du “représentant”». note di Copeau sugli esercizi a Cedar
Court datate 23 e 25 maggio 1918, in REG. VI ÉCOLE, pp. 193-196. Citazione a p. 195. Di questo ruolo
Roger Martin du Gard scrive a Pierre Margaritis: «Lé représentant. Copeau me parle d’un personnage
de la Comédie du Tréteau, le représentant. Celui qui représente aussi bien une maison de commerce
que les Droits imprescriptibles de la Révolution de 89, les intérêts d’un syndicat que ceux du peuple,
le fonctionnaire, le député, l’ambassadeur. Et, en face de lui, l’homme qui n’est qu’un homme, discret
et “authentique”, et qui est “représenté par l’autre, quoi qu’il veuille ou pense”». JACQUES
COPEAU, ROGER MARTIN DU GARD, Correspondance, notes et index de Claude Sicard, Paris,
Gallimard, 1972, p. 263 nota. All’argomento della Comédie de tréteau, Du Gard dedica uno scritto
datato 1917 e oggi pubblicato in ivi, pp. 819-825. In questo testo espone esempi di tipi moderni
pensati per la nuova commedia.
224
caratterizza il gioco infantile, tanto innalzato da Copeau a modello di un nuovo
metodo di lavoro. L’attore, come il bambino, deve vivere quotidianamente con il
personaggio, comportandosi come se fosse lui nelle varie situazioni e quindi venendo
inevitabilmente ad approfondire la personalità di questo nuovo essere con cui vive
parallelamente, esattamente come si esprime il regista nel cahier Comédie
Improvisée del 1916:

Una vera confraternita: i farceurs del Vieux-Colombier. Ciascuno di questi attori


s’impossessa di uno dei personaggi della Commedia Nuova. Ne fa la sua proprietà. Lo nutre,
lo ingrassa della propria sostanza, si identifica con la sua personalità, ci pensa
continuamente, vive con lui. [...] Ci si esercita, senza sosta, senza mai riprendere lo stesso
scenario più di quattro o cinque volte. Ci si esercita in ogni occasione, durante la passeggiata,
durante i pasti, consultando il proprio personaggio su tutto ciò che accade. Si diventa il
personaggio439.

Come si vedrà, proprio su questa concezione si gioca idealmente il rapporto attore-


personaggio nella poetica di Copeau.

La libertà della creazione nello svolgimento dello spettacolo

Copeau riconosce nella storia teatrale una certa tradizione, che a partire dai
Comici dell’Arte prosegue sino alle sciarade e ad alcuni giochi di società, con la
caratteristica di consegnare al comédien uno spazio, più o meno esteso, di
improvvisazione e intervento personale e diretto sullo spartito drammaturgico:

439
«Une vraie confrérie: les farceurs du Vieux-Colombier. Chacun de ces comédiens s’empare d’un
personnages de la nouvelle comédie. Il en fait sa propriété. Il le nourrit, il l’engraisse de sa propre
substance, il identifie avec lui sa personnalité, il y pense continuellement, il vit avec lui. […] On
s’exerce, sans relâche, mais sans jamais reprendre le même scénario plus de quatre ou cinq fois. On
s’exerce à tout propos, à la promenade, pendant les repas, en consultant son personnage sur tout
incident. On devient son personnage». JACQUES COPEAU, Comédie Improvisée, 1916, in REG. III,
pp. 325-326.
225
Una vera troupe come quella dei Variétés oggi, come quella del Palais Royal un tempo,
avendo l’abitudine di recitare insieme, può dedicarsi, relativamente a certi testi, a
improvvisazioni riuscite e anche brillanti. Un attore come Max Dearly, che ha del pagliaccio,
non tralascia di inserire nel dialogo lazzi di sua invenzione che spesso sono il meglio della
parte. Gli attori di rivista, gli attori dei music hall – soprattutto dei music hall popolari – in
cui la comunicazione con il pubblico è molto stretta – i clown del circo, sono improvvisatori
più o meno degenerati. Ci sono nel popolo (sulla piazza pubblica, al bistrò, in caserma, ai
pranzi di nozze e alle feste popolari, per non parlare degli ambulanti e dei ciarlatani) degli
imbonitori o improvvisatori di prim’ordine. Diversi giochi di società (sciarade ecc.)
assomigliano alla commedia primitiva. Sono divertimenti di questo genere che, di
improvvisazione in improvvisazione, condussero Maurice Sand e i suoi amici a una specie di
rinnovamento fugace della Commedia dell’Arte nel piccolo teatro di Nohant, verso il 1848 440.

Si tratta di esempi delle molteplici possibilità di improvvisazione di cui può


profittare l’attore, una delle quali si attua durante la realizzazione spettacolare,
permettendogli di giocare, all’interno di una partitura fissa, diverse variabili a favore
di un jeu scenico più ricco e vario. La possibilità per il comédien di intervenire sulla
drammaturgia e di improvvisare in scena è una modalità di lavoro che il regista
riprende in modo particolare dai clown e dagli artisti del circo. In una lettera alla
moglie Agnès, Copeau descrive l’impressione procuratagli dalla vista di un
giocoliere inglese:

440
«Une véritable troupe, comme celle des Variétés aujourd’hui, comme celle du Palais-Royal
naguère, ayant l’habitude de jouer ensemble, peut se livrer sur certains textes à des improvisations
réussies et même brillantes. Un acteur comme Max Dearly, qui tient du paillasse, ne laisse pas
d’insérer dans le dialogue des lazzi de son cru qui sont souvent la meilleure partie de son rôle. Les
acteur de Revues, les comèdiens de music-hall – sourtout des music-halls populaires don’t la
communication avec leur public est très étroite – les clowns du cirque, sont des improvisateurs plus ou
moins dégénérés. Il y a, dans le peuple (sur la place publique, chez le bistro, à la caserne, dans les
repas de noces et les fêtes populaires, sans parler des camelots et des charlatans) des bonimenteurs ou
improvisateurs de premier ordre. Maints jeux de société (charades, etc.) tiennent à la comédie
primitive. Ce sont des divertissements de cette sorte qui, d’improvisation en improvisation,
conduisirent Maurice Sand et ses amis à une espèce de rénovation fugitive de la Commedia dell’Arte,
sur le petit théâtre de Nohant, vers 1848». JACQUES COPEAU, Comédie Improvisée, 1916, in REG.
III, p. 324.
226
Era di una sobrietà e di una compostezza notevoli. L’umore e la disposizione variavano molto,
da una sera all’altra. Il suo numero – esercizi, lazzi, evoluzioni sulla pista, entrate e uscite – era
rigorosamente stabilito. Lo eseguiva sempre con la stessa precisione, la stessa coscienza. Ma se
era ben disposto, gioioso, ardente, me ne accorgevo immediatamente dalla maniera nervosa e
gioiosa con cui afferrava al volo il suo primo oggetto strizzandogli l’occhio, dalla freschezza
deliziosa dei suoi lazzi, dalla qualità più incisiva dei gesti e della voce, dalle leggere sfumature
nelle intonazioni, dalle sottili varianti, dal modo in cui tutte le cose, quella sera, gli ubbidivano,
da come ricercava la difficoltà, da come approfittava del più piccolo imprevisto,
improvvisando una parola, un gesto, un atteggiamento, con discrezione e, al contempo, con
autorità. Una sera, uno dei suoi lazzi provocò il riso sonoro e prolungato di una signora in
galleria. Il giocolierie si arrestò e, ritto di profilo, individuò chi rideva, senza muoversi, le
sopracciglia alzate. E siccome la donna rideva sempre di più, non cessava di guardarla. Poi
riprese il suo esercizio, e non fece niente, quella sera, che non fosse in funzione di quella
complicità che aveva stabilito dentro alla sala. Il sapore del suo gioco ne fu decuplicato 441.

Il frammento chiarisce come Copeau sia interessato alle nuances che rendono
lo spettacolo ogni sera diverso, ed è ammirato dalla capacità del farceur di trarre
profitto da un accidente, da un imprevisto e addirittura, a volte, di cercarlo,
improvvisando una parola o un gesto, senza che con la modifica del numero venga
meno la precisione dei movimenti. L’improvvisazione all’interno dello spettacolo
può essere dettata anche dall’umore dell’attore, da una certa disposizione personale,
che può influire come variabile positiva, come possibilità di vivificare lo spettacolo.

441
«Il était d’une sobriété, d’une distinction remarquables. Assez variable, suivant les soirs, dans son
humeur, dans sa disposition. Son numéro: exercices, lazzi, évolutions sur la piste, entrées et sorties,
rigoureusement établis. Il l’exécutait toujours avec la même précision, la même conscience. Mais s’il
était bien disposé, joyeux, ardent, je m’en apercevais tout de suite à la manière nerveuse et enjouée
dont il saisissait son premier accessoire en lui clignant de l’oeil, à la fraîcheur plus exquise de ses
lazzi, à la qualité plus incisive de son geste, de sa voix, à de très légères nuances d’intonations, à de
subtiles variantes, à la manière dont toute chose, ces soirs-là, lui obéissait, dont il cherchait la
difficulté, dont il profitait du moindre accident, improvisant un mot, un geste, une attitude, avec
discrétion, à la fois, et autorité. Un soir, l’un de ses lazzi déclenche le rire sonore et prolongé d’une
dame de la galerie. Le jongleur s’arrêta net et, campé de profil, dévisagea la rieuse, sans bouger, les
sourcils hauts. Et comme la femme riait de plus en plus, il ne cessait de la regarder. Puis il reprit son
exercice, et il ne fit rien, ce soir-là, qui ne fût en fonction de cette complicité qu’il avait dans la salle.
La saveur de son jeu en était décuplée». JACQUES COPEAU, Comèdie Improvisée, 1916, in REG. III,
pp. 319-320.
227
L’importante è che l’artista non perda mai di vista la partitura prefissata e la
“presenza mentale” rispetto a quanto sta facendo. Sull’argomento coinvolge anche
Jouvet e in una lettera dello stesso periodo di quella indirizzata ad Agnès - siamo nel
gennaio del 1916 - gli scrive in questi termini a proposito della Commedia Nuova a
cui sta pensando:

L’umore dell’improvvisatore, la disposizione personale nel momento in cui entra in scena e


getta il primo sguardo al pubblico hanno una grande importanza. […] Non dimentichiamo che
siamo qui di fronte a una forma di espressione artistica in cui tutto ciò che è individuale e
passeggero sarà di un’importanza e di un valore capitali. È esattamente il contrario di quanto
avviene nell’interpretazione della commedia scritta. L’improvvisatore ha solidamente stabilito
la parte. Ma approfitta di ogni accidente 442.

Anche in questo caso, l’improvvisazione all’interno dello spettacolo è


possibile solo se il comédien ha il completo controllo del personaggio, in altre parole
quando l’identificazione con esso è tale da permettergli di variare la partitura
rimanendo all’interno di un certo modo di agire e di pensare, che è appunto quello
della parte designata. Ricordiamo infatti che rispetto alla creazione improvvisata, che
dovrebbe servire da modello per l’attore, i bambini variano le situazioni di gioco
senza tradire il personaggio e procedendo sempre in un certo senso e con una certa
coerenza. Copeau auspica presumibilmente altrettanto per l’attore, a modello dei
farceurs e dei bambini.
Ciò che succede quando l’attore riesce a improvvisare in scena, rimanendo
fedele alla parte stabilita, rientra perfettamente nelle possibilità, individuate da
Copeau e Jouvet, di rianimare il testo scoprendone significati nascosti, come se
l’improvvisazione agisse al pari di un sottotesto. Come quando la compagnia mette
in scena La Dodicesima Notte nella traduzione di Théodore Lascaris:

442
«L’humeur de l’improvisateur, sa disposition personnelle au moment où il entre en scène et jette
son premier regard au public – cela est d’une grande importance. […] N’oublions pas que nous avons
affaire ici à une forme d’expression artistique où tout ce qui est individuel et passager sera d’une
importance, d’une valeur capitales. C’est exactement le contraire de ce qui se passe dans
l’interprétation de la comédie écrite. L'improvisateur a solidement établi son rôle. Mais il profite de
tout accident». JACQUES COPEAU, Comédie Improvisée, 1916, in REG. III, p. 330.
228
Nel corso delle repliche, in scena, cento modifiche furono ammesse. Ogni volta che abbiamo
ripreso La Nuit des Rois, dal 1917 al 1920, s’imponevano dei nuovi emendamenti che ci
vergognavamo di non aver praticato dall’inizio. La pièce era maturata, all’interno di ciascuno
di noi, e viveva sulla scena. Consegnava agli attori dei segreti che la sola investigazione
letteraria non avrebbe affatto chiarito... Ebbene! Ciò non ha impedito che io rivedessi,
ricevessi, parecchio tempo dopo, da un noto sheakespeariano [studioso di Sheakespeare],
trenta pagine di scrittura fitta contenente note e critiche fra le più legittime sulla nostra
traduzione di La Nuit des Rois. È vero che questo commento andava contro il principio stesso
che noi abbiamo seguito nel nostro lavoro. Ce l’aveva con l’esattezza. Noi abbiamo cercato
soprattutto la libertà, fosse anche a discapito del purismo, per il bene della poesia443.

443
«Au cours des répétitions, sur la scène, cent retouches furent admises. Chaque fois que nous avons
repris La Nuit des Rois, de 1917 à 1920, de nouveaux amendements s’imposaient que nous étions
honteux de n’avoir pas pratiqués dès l’abord. C’est que la pièce avait mûri, au-dedans de chacun de
nous, en vivant sur la scène. Elle livrait aux acteurs des secrets que la seule investigation littéraire
n’avait point éclairés… Eh bien ! Cela n’a pas empêché que je reçoive, longtemps après, d’un
shakespearisant distingué, trente pages d’écriture serrée contenant remarques et critiques des plus
légitimes sur notre traduction de La Nuit des Rois. Il est vrai que ce commentaire allait à l’encontre du
principe même que nous avions suivi dans notre travail. On en avait à l’exactitude. Nous avions
surtout cherché la liberté, fût-ce aux dépens du purisme, pour le bien de la poésie». JACQUES
COPEAU, Shakespeare en France. Un nuoveau traducteur de la “Tempête”: Pierre-Louis Matthey,
in «Nouvelles Littéraires», 2 gennaio 1932, p. 7. Anche per quanto riguarda La Jalouisie du
Barbouillé, Copeau scrive nel programma del 1920: «Ogni volta che abbiamo ripreso il Barbouillé vi
abbiamo trovato nuovo piacere. Si può dire, in questo senso, che questa piccola farsa ci ha insegnato
molto, invitandoci a rinnovare, variare, sfumare la nostra interpretazione a partire da uno stesso dato.
Attraverso essa, forse, ci siamo trovati ad aver preso la direzione di un genere burlesco molto
sommario e molto libero che, rendendo all’attore il sentimento delle sue risorse personali e lasciando
andare la briglia alla sua invenzione e alla sua fantasia, potrebbe un giorno fargli ritrovare un po’ di
quella gioia professionale che, ai tempi nostri, si vede solo in certi clown del circo o in certi fantasisti
del music-hall. La farsa non è un genere letterario. Non bisogna aspettarsi, io credo, di vederla fiorire
nuovamente sotto la penna di qualche letterato, tra le quattro mura di qualche studio. Solo con dei
buoni farceurs si fanno buone farse». Jacques Copeau, dal programma del Théâtre du Vieux-
Colombier del 27 ottobre 1920, in REG. II, pp. 43-45. Noi lo riportiamo qui nella traduzione italiana di
Maria Ines Aliverti in LT, pp. 101-103. Citazione a pp. 102-103.
229
Le teorie di Copeau sull’improvvisazione si possono accostare, ancora una
volta, a Vachtangov. Il regista russo concede alla pratica dell’improvvisazione uno
spazio rilevante quanto quello offerto da Copeau, e con le medesime conseguenze
per quanto riguarda il rapporto dell’attore con il testo e con la parte. La ricostruzione
della poetica di Vachtangov si deve in gran parte alle ricerche di Fausto Malcovati
che, nell’introduzione alla raccolta antologica dedicata al regista russo, evidenzia
così il ruolo attribuito all’improvvisazione:

L’attore è libero di variare il disegno del personaggio secondo i propri umori, le proprie
situazioni contingenti: non deve esistere un’intonazione fissata a priori, sarà comunque
connessa con lo stato d’animo in cui si trova l’attore in quel dato momento, a condizione
beninteso che egli abbia assimilato totalmente i parametri su cui si muove il personaggio.

E ancora:

Alle prove di uno spettacolo i suoi attori possono per lungo tempo non toccare il testo o
utilizzarlo solo come punto di partenza. Capire, interiorizzare e poi salire sul palcoscenico:
improvvisare in modo controllato, ossia sul canovaccio segnato dall’autore. Solo così l’attore
può essere totalmente contemporaneo nell’interpretazione del personaggio, a qualunque
epoca esso appartenga: egli saprà imprimere il segno della propria personalità, della propria
sensibilità di uomo (non di attore) del suo tempo 444.

444
Il concetto si trova espresso in EVGENIJ B. VACHTANGOV, Il sistema e l’eccezione. Taccuini,
lettere, diari, a cura di Fausto Malcovati, Pisa, ETS, 2004, p. 19 e seguenti. Citazione a p. 20. La
prossimità fra alcuni passaggi nelle teorie registiche di Copeau e di Vachtangov relativamente al
concetto di improvvisazione, viene meno nelle riflessioni sul rapporto attore-personaggio; le loro
teorie appaiono in alcuni passaggi addirittura opposte. Dall’analisi di Malcovati sui documenti di
Vachtangov: «L’attore non deve andare alla ricerca di frammenti di sensazioni che si adattino alla
psicologia del personaggio: deve conservare intatta la propria personalità, e investirne totalmente il
personaggio. “Che sia assolutamente tranquillo – dice agli attori di Rosmersholm – che rimanga fino
alla fine e a tutti i costi se stesso e che persino il suo viso rimanga nei limiti del possibile senza
trucco”. Questo accento posto sul primato dell’attore nei confronti del personaggio è, a mio parere,
fondamentale: raggiunta la completa “comprensione” delle componenti psicologiche e ideologiche del
personaggio, l’attore deve fagocitarlo, farne una propria appendice, adattarlo a sé e non adattarvisi».
Ivi, p. 19.
230
Per Vachtangov l’attore deve saper riscrivere la parte improvvisando sul testo
dell’autore. L’improvvisazione libererebbe la parte inconscia del comédien, sola
componente in grado di sprigionare energie indispensabili per intervenire nel
processo creativo445. L’abitudine di eliminare il testo affinché l’attore si abitui
all’improvvisazione è una pratica che ha dei richiami con il lavoro di Grotowski; il
regista polacco, come quello francese, priva inizialmente gli attori dell’opera,
consegnata solo al termine della costruzione di una partitura gestuale e fonetica. Lo
scopo non è certo l’abolizione dell’opera.

La cura della forma nei primi esercizi elementari

Copeau e la Bing intraprendono nel 1915, al Club de Gymnastique


Rytmique, un’esperienza con un gruppo di bambini. Gli esercizi e i giochi condotti
non seguono un metodo già definito, e l’obiettivo che il regista e la collaboratrice si
pongono è di trovare mediante l’osservazione e la sperimentazione punti di appoggio
alle intuizioni, ancora embrionali, di Copeau sul gioco del bambino, per costruire una
teoria che guidi l’educazione drammatica. Esiste un cahier sulle attività condotte al
Club de Gymnastique Rythmique in cui la Bing descrive le esercitazioni della
mattinata e su cui Copeau inserisce preziose annotazioni.
Esaminiamo uno dei giochi proposti, avviato a partire dalla lettura e dalla
spiegazione della favola di La Fontaine Il gatto e il topo. I bambini vengono invitati
a mimarla nei passaggi essenziali. Copeau nota che da principio, chiamati a fare il
gatto, essi non fanno altro che mettersi a quattro zampe senza caratterizzarlo
ulteriormente. Il maestro allora chiede di fare un cane e i bambini ripetono la stessa
azione. A quel punto viene loro richiesto di riproporre il gatto. Senza intervenire con
spiegazioni Copeau ottiene il risultato voluto: i bambini, o almeno alcuni di loro, si
rendono conto che vanno introdotti dei particolari affinché l’animale sia meglio
caratterizzato e distinto da bestie simili. Così, al tentativo successivo, il gatto è

445
EVGENIJ B. VACHTANGOV, Il sistema e l’eccezione. […], cit. Cfr l’introduzione di Fausto
Malcovati a p. 20.
231
imitato con movimenti più allungati, sinuosi e silenziosi. Alle sollecitazioni di
Copeau, che chiede l’origine di questo nuovo movimento, un allievo risponde: «Per
non fare rumore, perché il topo non senta». A questo punto il maestro ha ottenuto il
risultato voluto: i bambini, mettendo insieme informazioni personali e dati della
storia, comprendono che il gatto, in quanto cacciatore, e a differenza del cane, non
deve farsi sentire, sicché ha movimenti più lenti e morbidi.
Nel corso dell’attività Copeau stimola un miglioramento a partire da ciò che
viene eseguito, fornendo minime indicazioni. Suggerisce il nascondiglio ai bambini
che fanno i topolini e si devono nascondere, ricorda al bambino che mima il gatto di
fare piano, ma non esorta mai all’immedesimazione. Non vi è, all’interno del gioco,
alcun tentativo di provare dei sentimenti. Nessuno chiede ai bambini di immaginare
quanto potente e forte si debba sentire il gatto e quanto spaventati i piccoli topolini,
eppure Suzanne Bing, osservatrice scrupolosa e sensibile, annota: «Li si sente tutti
dentro al loro personaggio»446. Sono infatti la situazione e i ritmi della scena ad
intervenire sullo stato emotivo: qualunque bambino, e spesso anche l’adulto, in una
situazione come scappare e prendere viene colto da una sorta di ansia adrenalinica,
seppure consapevole di essere in una situazione di gioco. In questo caso potrebbe
essere proprio l’eccitamento fisico a innescare un’esaltazione interiore, una
considerazione che troverà ampio spazio all’interno della teoria di Copeau,
permettendo di connetterlo a teorie e pratiche simili.
Successivamente le indicazioni sulla mimica si fanno più dettagliate e
preziose, ma riguardano dettagli esteriori e non lo stato emotivo. In una seduta
successiva Copeau fornisce individualmente consigli, per esempio mostrando ai
bambini le immagini di alcuni topolini, del modo in cui agitano le teste. Poi li fa
muovere in piedi, spiegando che per quanto possano imitare bene gli animali, non lo
saranno mai e la loro imitazione sarà sempre parziale. Per questo motivo – pensa -
sono sufficienti pochi gesti ben curati e definiti, utili a suscitare l’idea in chi guarda.
Il regista inizia a curare i movimenti degli allievi, le entrate, le uscite, i
raggruppamenti. Niente deve essere lasciato al caso: i passi vanno contati e gli

446
«On les sentait tous dans leur personnage». JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier,
1915-1916, cit., p. 100.
232
incroci fra i vari topolini regolati. Anche se tutto questo non si conclude in una
rappresentazione di fronte al pubblico, ma in una scenetta fra allievi.
La descrizione sin qui proposta del lavoro è accompagnata da riflessioni di
Copeau sul modo di condurre l’educazione drammatica dei giovani allievi. Leggiamo
dal cahier:

Ho già sottolineato, in particolare riguardo a Dalcroze, che l’allievo, nel momento in cui fa
appello ad un sentimento (fatica, gioia, tristezza, ecc.) per provocare un movimento,
determinare una mimica, subito, e forse inconsapevolmente, per bisogno, lascia predominare
nell’azione l’elemento intellettivo, il gioco di fisionomia. Questa è una porta aperta alla
letteratura e al cabotinage447.

Nel momento in cui si chiede all’allievo di concentrarsi su uno stato emotivo


interno che non è ancora in grado di indurre, egli sopperisce alla mancanza agendo
dall’esterno, e consegnando alla ragione il posto del timoniere. L’intelletto, che opera
laddove l’attore non “sente”, non agisce sul sentimento, ma richiama le informazioni
relative al modo in cui esso si manifesta. Nel tentare di riprodurre uno stato interno
l’allievo rischia di esagerare il movimento e di cadere nel cabotinage,
nell’affettazione. Per questo motivo, inizialmente, i giovani eseguono esercizi
elementari di espressione, privilegiando l’imitazione di animali, ideale punto di
partenza secondo il regista francese, presumibilmente in quanto il loro agire non è
regolato da sentimenti complessi:

Credo che per gli esercizi di espressione più semplici, l’ispirazione dovrà arrivare
dall’osservazione degli animali. Partire dall’imitazione realistica per elevarsi
progressivamente all’interpretazione umana ed estetica, all’inizio dagli animali di cui il corpo
umano non può riprodurre atteggiamenti e movimenti (come l’uccello, ecc.) 448.

447
«J’ai déjà remarqué, notamment chez Dalcroze, que l’élève, dès l’instant où l’on fait appel chez lui
à un sentiment (fatigue, joie, tristesse, etc.) pour provoquer un mouvement, déterminer une mimique,
aussitôt, et peut-être inconsciemment, par besoin, il laisse prédominer dans son action l’élément
intellectuel, le jeu de physionomie. C’est la porte ouverte à la littérature et au cabotinage». Ivi, p. 101.
448
«Je crois que, pour les exercices d’expression les plus simples, c’est de l’observation des animaux
qu’il faudra nous inspirer. Partir de l’imitation réaliste pour sìélever progressivement à l’interprétation
233
Copeau sviluppa l’idea che l’allievo, almeno all’École du Vieux-Colombier,
prima di occuparsi dell’analisi interiore del personaggio, di far scaturire un
sentimento o di comunicarlo, debba curare gli aspetti esteriori, e trarre dalle
imitazioni un bagaglio di possibilità espressive da poter in seguito riutilizzare:

Fare osservare all’allievo gli animali in natura, poi nell’arte. Fargli disegnare, ritagliare
profili di animali, inventare accessori che, adattati all’uomo, suggeriscano l’essenziale di una
fisionomia d’animale. E, più tardi, questa miniera di osservazioni e l’esperienza di questi
esercizi saranno di grande aiuto all’artista per la rappresentazione più o meno forzata e
caricaturale dei personaggi della commedia 449.

In questo caso Copeau auspica l’apprendimento tramite l’osservazione,


l’imitazione e addirittura il disegno. Non si tratta infatti di conoscere il proprio corpo,
conoscenza per la quale è fondamentale l’esercizio diretto, ma di imitare gli animali
che possono essere conosciuti mediante l’indagine, lo studio dei movimenti, le
rappresentazioni artistiche. Copeau osserva l’utilità che perviene dall’uso di oggetti,
con i quali compensare naturali mancanze e avvicinare il corpo dell’allievo alla
fisionomia dell’animale. La loro rappresentazione aiuta il giovane a concentrarsi sui
movimenti esteriori del corpo, lasciando l’emozione in secondo piano, obiettivo più
difficile quando si tratta di mettere in scena personaggi umani.
In uno scritto ben più tardo, del 1920, avente per oggetto la formazione del
comédien, Copeau affronta la questione della costruzione del personaggio,
continuando a rifiutare il tentativo di imitazione di stati interiori:

humaine et esthétique, d’abord pour les animaux don’t le corps humain ne peut reproduire l’attitude et
les mouvements (comme l’oiseau, etc.)». Ibidem.
449
«Faire observer par l’élève les animaux dans la nature, puis dans l’art. Lui faire dessiner, découper
des silhouettes d’animaux, inventer des accessories qui, adaptés à l’homme, suggèrent l’essentiel
d’une physionomie d’animal. Et, plus tard, cette mine d’observations et l’experience de ces exercices
seront d’un grand secours à l’artiste pour la representation plus ou moins force et caricature des
personages de la comédie». Ibidem.
234
Senza bandire l’osservazione umana o le conoscenze estetiche dall’educazione dell’attore,
non è tuttavia cercando di riprodurre i segni esteriori della passione osservata su un viso, né
osservando l’alterazione del proprio volto in uno specchio, che l’attore regolerà l’intensità
della sua espressione drammatica. Egli dovrà conoscere dall’interno le passioni che esprime,
o per esperienza personale, o per quella sorta di divinazione propria dell’artista 450.

Per prepararsi all’interpretazione l’attore del Vieux-Colombier non deve simulare un


sentimento, ricalcandone la manifestazione esteriore così come la osserva sul volto
degli altri o nel suo quando tenta di imitarli. E dunque poiché le passioni, per il
regista, non si riproducono copiando l’esterno, ma conoscendole dall’interno, l’attore
non può esprimere adeguatamente un sentimento che non ha mai provato451. La
componente dell’esperienza personale è essenziale. In mancanza di essa può
subentrare una specie di «divinazione», come se il comédien potesse esprimere un
sentimento che non conosce per mezzo di un’intuizione, di un’illuminazione.
All’École du Vieux-Colombier, oltre agli esercizi di imitazione di animali, ne
seguono altri in cui l’attenzione è rivolta ai movimenti esterni dell’attore. Prendiamo
per esempio la descrizione di alcuni esercizi proposti nel 1921, in cui si prevedono
osservazione e imitazione di cose inanimate: gli allievi devono rappresentare alberi,
arbusti, piante mossi dall’aria, oppure elementi naturali come il vento o l’acqua. Si
aggiunge inoltre l’imitazione di semplici attività, come spazzare o cucire, anche
senza l’aiuto di oggetti452. In alcuni casi tali attività vengono messe in sequenza,
componendo una scenetta, come nell’esempio:

450
JACQUES COPEAU, Éducation de l’acteur, cit.
451
La costruzione del personaggio basata sulla somiglianza al modello proposto dal maestro, è
secondo Copeau uno degli errori commessi nell’insegnamento al Conservatoire, in cui la preparazione
si basa sull’osservazione e la ripetizione di intonazioni e pose impartite dall’esterno. Il regista francese
insiste piuttosto sull’allenamento e l’esercizio dei mezzi espressivi affinché l’attore trovi in autonomia
un punto di incontro con il personaggio. Nell’intervista di D’Amico del 1926, Copeau ricorda che
l’educazione drammatica al Vieux-Colombier comincia dalla ginnastica pura e semplice prima di
arrivare all’azione drammatica. Solo in seguito «essi [gli allievi] imparano ad atteggiarsi secondo i
sentimenti umani più elementari, per passare poi via via ai più complessi: l’attesa, lo stupore, lo
sbalordimento, la gioia». JACQUES COPEAU, La Scuola di Copeau, 8 aprile 1926, in SILVO
D’AMICO, Tramonto del grande attore, cit., p. 153.
452
Per questo e altri esercizi cfr. boîte 2, cartella 12, p. 18 e 11.
235
Storm e Villard entrano portando un grande tappeto. Storm, Villard, Margot e Claude lo
srotolano e lo sistemano. Storm, Villard, Margot e Claude entrano portando un grande tavolo
e lo sistemano. Storm porta un piatto pieno. Villard apre con difficoltà una bottiglia. Margot e
Claude prendono dal piatto di Storm le salviette, i coperti, ecc. che dispongono sul tavolo,
compiendo evoluzioni intorno ad esso. Storm, Margot, Claude, Villard prendono un
bicchiere, Villard versa, tutti bevono 453.

Si tratta anche in questo caso di riprodurre azioni primarie (entrare, prendere,


aprire, portare) in cui l’attore si concentra solo sul movimento da compiere. Le
attività semplici (singole o in sequenza) hanno - annota Suzanne Bing - la finalità di
far acquisire all’allievo coscienza muscolare, escludendo riferimenti allo stato
interno.

L’abitudine all’improvvisazione

La drammaturgia dei tipi fissi in Copeau e l’improvvisazione all’interno dello


spettacolo sono obiettivi raggiunti solo parzialmente con alcuni spettacoli della
compagnia del Vieux-Colombier e con i Copiaus in Borgogna454. Tuttavia la pratica
dell’improvvisazione entra nella pedagogia della scuola, arricchendo la preparazione
dell’attore e il suo rapporto con il testo, e fornendo un’idea delle modalità attraverso
cui, almeno teoricamente, debba nascere il personaggio455.
Il processo di costruzione del personaggio al Vieux-Colombier non prevede
dunque di procedere dall’interno verso l’esterno, cioè dal sentimento al movimento,
dalla compartecipazione emotiva all’espressione drammatica. E il cahier della Bing

453
Boîte 2, cartella 12, p. 11.
454
Cfr. i saggi di Livia di Lella in LT, pp. 105-116 e di Patrik Gaudart in LT, pp. 127-140.
455
Come evidenzia anche Gaetano Oliva, gli esercizi di Copeau non hanno pretesa letteraria, non sono
intesi come costruzione di una tecnica, modo per costruire un personaggio. Sono piccole
improvvisazioni da cui poi arrivano vere e proprie azioni drammatiche. Una fonte di ispirazione. Cfr.
la presentazione di Gaetano Oliva a MARCO MIGLIONICO, Il progetto educativo del teatro di
Jacques Copeau e l’Educazione alla Teatralità, XY.IT, Arona (Novara), 2009, pp. 9-13.
236
Exercices dramatiques, offrendo indicazioni sull’educazione drammatica per il primo
anno scolastico all’École, lo confermerebbe:

Basarsi sull’esperienza personale immediata del bambino. Per i bambini (dai sei ai
quattordici anni) i suoi giochi. A stento aiutarlo o fornirgliene. Aiutarlo piuttosto a eseguire
materialmente gli oggetti che vorrebbe per i giochi. Osservarlo. Per il primo anno (dai
quattordici ai diciotto anni), nutrire l’interno dall’esterno. Non domandargli [all’allievo] di
produrre da dentro a fuori. Fargli scoprire e osservare ciò che prova realmente,
incominciando dagli atti primitivi e naturali: vedere, guardare, intendere, ascoltare, ecc456.

Gli esercizi di improvvisazione riportati qualche pagina più avanti nello


stesso cahier sono probabilmente elaborati a partire dalla precedente osservazione.
Ne riportiamo due a titolo di esempio:

Intendere. Ascoltare.
Improvvisazione: intendere, ascoltare; guardare, vedere.
Claude entra per andare a prendere un oggetto. Al momento di prenderlo, il suo gesto è
sospeso per via di un leggero rumore sentito. Si dirige dolcemente verso la direzione di
questo rumore, e cerca di vedere cosa può essere, guarda, ma non vede niente, ritorna alla sua
attività che è stata ritardata. Il suo gesto è di nuovo interrotto, ella sente il rumore, va a
vedere con maggior precauzione, guarda rapidamente e vede (il topo?) che scappa. Non
vedendolo più, cessa di guardare, ritorna all’oggetto che era venuta a cercare, lo prende,
esce457.

456
«Bases sur l’experience personnelle et immediate de l’enfant. Pour les enfant (6 à 14 ans) ses jeux.
A peine l’y aider ou lui en fournir. L’aider plutôt à executer matériellement ses objets qu’il
réclamerait pour son jeu. L’observer. Pour la 1re année (14 à 18), nourrir le dedans par le dehors. Ne
rien lui demander de produire du dedans au dehors. Lui faire découvrir et observer ce qu’il éprouver
réellement, en commençant par les actes primitifs et naturels: voir, regarder, entendre, écouter, etc.».
Boîte 2, cartella 12, pp. 1-2.
457
«Entendre, écouter. Improvisation: entendre, écouter; regarder, voir. Claude entre pour venir
prendre un objet. Au moment de le saisir, son geste est suspendue par un leger bruit qu’elle entend.
Elle se dirige doucement vers l’endroit de ce bruit, là elle cherche à voir ce que ce peut être, regarde,
et ne voyant rien, retourne à son activité qui a été retardée. Son geste est de nouveau suspendu, elle
entend, va voir avec une plus grande précaution, regarde rapidement et voit (le souris?) qui se sauve.
Elle ne voit plus, et cesse de regarder, retourne à l’objet qu’elle venait chercher, le prend, sort». Boîte
2, cartella 12, p. 14.
237
Improvvisare per vedere, l’oggetto d’interesse è uno degli allievi: Storm è sdraiato, dorme.
Margot e Claude entrano assieme, passeggiano. Una curva nel cammino consente loro di
vedere l’essere addormentato. Si fermano. Risveglio progressivo osservato dalle ragazze,
paura. Balzo dell’essere verso un fiore, giocando con il fiore sposta il suo sguardo sulle
ragazze. Spaventate, esse si separano con piccoli balzi. Egli le insegue a turno. Alla fine la
paura cede al gioco; continuano a scappare ma gettandogli della sabbia. L’essere si difende.
Avanzano verso di lui in modo minaccioso. Raggiunto, gli prendono la mano. Girotondo. Gli
lasciano la mano, guardano ciascuna la mano dell’essere, lo trascinano, egli finge di resistere,
ma alla fine si lascia andare, avvinto dal gioco 458.

Non si capisce se gli allievi improvvisino gli esercizi su una traccia offerta o
se ne improvvisino anche la struttura. Anche quando fanno emergere un sentimento,
come la paura nel secondo esempio, gli esercizi non si costruiscono sulle emozioni
del personaggio, ma sulle azioni. Questo è evidente in modo particolare nel primo
esempio, nel quale peraltro si introduce la distinzione tra ascoltare e sentire, vedere e
guardare, in modo che l’allievo, tramite una pratica, acquisisca consapevolezza di
una differenza tra le due azioni sperimentate.
Un’ulteriore indicazione della Bing consente di confermare, ancora una volta,
che nella costruzione del personaggio la prima fase non deve in alcun modo essere
l’analisi delle emozioni:

Nessuna interpretazione degli stati interiori: tristezza, speranza, ecc. Osservazione della
natura, degli animali, del loro ambiente, individui, classi d’individui, cogliere dei tipi,
favorire la concezione dei personaggi, aiutarli a constatare che affinché ci sia azione
drammatica il personaggio è primo. Piccole improvvisazioni che alimentano la vita del
personaggio. A proposito di queste improvvisazioni nutrire le prime necessità drammatiche:

458
«Improviser pour voir, l’objet d’intérêt étant l’un des éléves: St. est coach, dort. M. et Cl. Entrent
ensemble, se promenant. Une courbe de leur promenade leur fait voir l’être couché. Arrêt. Réveil
progressif, observé par les filles, crainte. Bond de l’être vers une fleur, son jue avec cette fleur pose
son renard sur les filles. Effarouchées elles se séparent par petits bonds. Il les poursuit tour à tour. Par
le jeu de la fin de la [?] leur crainte a cédé au jeu; elles fuient mais font le jeu de lui jeter du sable. Il
se défend. Elles s’avancent sur lui en jeu menaçant. Arrivées auprès, elles lui prennent les mains.
Ronde. Elles se quittent la main, gardant chacune une main de l’être, l’entraînent, il joue le jeu de
résister mais laisse courir ses jambes, ravi». Boîte 2, cartella 12, pp. 14-15.
238
forma, leggibilità, continuità, ecc. Procedere con l’insegnamento, naturalmente; per piccola
che sia l’informazione, se c’è nucleo, embrione del personaggio, nutrirlo, svilupparlo, dargli
una vita propria e naturale; non affrettarlo con nessun artificio459.

Queste indicazioni di lavoro riportano alle condizioni della creazione


improvvisata, già analizzata in riferimento ai bambini. La prima condizione è
l’osservazione. L’allievo deve anzitutto cogliere dalla realtà elementi su cui lavorare.
Individuare il modo in cui le persone si comportano nel loro ambiente, i vizi, le
manie, le caratteristiche, i tic, le espressioni ricorrenti. Si inizia dai dati generici e
stilizzati, per dare via via sostanza all’individuo da sviluppare. La genesi del
personaggio realizza la seconda condizione della creazione improvvisata: l’allievo
lavora sui dati inizialmente improvvisati per ripulirli e definirli, senza fretta, dettaglio
su dettaglio. Le improvvisazioni vanno cioè curate, affinate, approfondite, e – seppur
brevi – devono essere condotte secondo le «necessità drammatiche»: devono avere
una forma, un senso, seguire una logica, integrarsi le une alle altre in modo che, per
quanto inizialmente semplice, il personaggio si manifesti con un carattere ed una
organicità, in altre parole con tratti che si ripetano e permettano di riconoscerlo.
Tutto ciò consente all’improvvisazione di essere “pulita”, cioè comprensibile. È
evidente a questo punto che Copeau utilizza in modo generico il termine
“improvvisazione”, facendolo corrispondere a due fasi lavorative, di cui una è di
certo l’improvvisazione in senso stretto, l’altra è il lavoro sul materiale improvvisato.
L’improvvisazione vera e propria è ciò a cui, presumibilmente, si riferisce la
Bing quando usa il termine “germe” in alcune pagine successive: «Per i nostri studi il
germe è più interessante del pieno sviluppo, poiché siamo all’inizio di una ricerca
che, sino a qui, si è chiarita meglio nelle circostanze in questione che non durante le

459
«Ancune interpretation d’états intérieurs: tristesse, espoir, etc. Observation de la nature,
d’animaux, de son entourage, individus, dégager des types, favoriser la conception de personages, les
amener à constater que pour qu’il y ait action dramatique le personage est premier. Petites
improvisations qui alimentent la vie du personnage. À propos de ces improvisations dégager les
premières nécessités dramatiques: forme, lisibilité, continuité, etc. Procéder pour l’enseignement,
naturellement; si petite que soit la donnée, s’il y a noyan, embryon de personnage, le nourrir, le
développer, lui donner sa vie propre, et naturelle; ne la hâter pour ancun artifice». Boîte 2, cartella 12,
p. 2.
239
esercitazioni»460. Accettata l’ipotesi che con “germe” si intenda il primo nucleo da
cui si dipanerà il personaggio, a cosa si fa riferimento quando si parla di «circostanze
in questione»? Il passo successivo aggiunge informazioni che possono aiutare
l’interpretazione: «Completare tramite circostanze d’origine e prime improvvisazioni
di personaggi veritieri. Confermando il personaggio come épanouissement, non come
insegnamento primario»461. Se dunque il personaggio si manifesta attraverso uno
sviluppo, progressivamente, tramite informazioni “scoperte” e non per informazioni
date, allora le «circostanze in questione» potrebbero coincidere con quelle
«circostanze d’origine» che si definiscono a partire dalle improvvisazioni e che
conducono il lavoro successivo di analisi, mentre le esercitazioni costituirebbero un
altro momento, che non ha necessariamente a che vedere con il processo di
costruzione del personaggio.
Nelle pagine successive del cahier seguono alcune note schematiche
appuntate dalla Bing e che dovrebbero tornare utili per approfondire
l’improvvisazione, conducendo gli allievi verso una definizione sempre meno
approssimativa del personaggio. Queste indicazioni fornite all’attore, utili nella fase
di scavo, potrebbero paragonarsi alle “circostanze date” del metodo stanislavskiano:

Esercizi drammatici
Personaggi
Primo anno. Improvvisazioni.
Apparenza fisica e andamento generale;

460
«Pour notre étude le germe est plus intéressant que le plein développement, puis-que nous sommes
au début d’une recherché qui, jusqu’ici, s’est le mieux éclairée dans les circonstances en question et
non dans les exercices. Aucune interpretation d’états intérieurs: tristesse, espoir, etc. Observation de la
nature, d’animaux, de son entourage, individus, classes d’individus, dégager des types, favoriser la
conception de personnages, les amener à constater que pour qu’il y ait action dramatique le
personnage est premier. Petites improvisation qui alimentent la vie du personage. A propos de ces
improvisations dégager les premières necessités dramatiques: forme, lisibilité, continuité, etc.». Boîte
2, cartella 12, pp. 1-2.
461
«Compléter par circonstances naissance et 1res improvisations de veritable personages. Confirmant
comme épanoissement, non comme enseignement primaire». Boîte 2, cartella 12, p. 6.
240
Ricongiungimento ad una classe di individui;
Caratteristiche di questa classe;
Osservazioni dell’ambiente, delle occupazioni e abitudini;
Dettagli comuni caratteristici di questa classe: vocabolario, manie
professionali;
Dettagli particolari dell’individuo: vocabolario, manie professionali, etc.;
Dedurre il suo particolare stato, salute, carattere, ecc.

Con questi dati metterlo in presenza dei fatti giornalieri che provocano le
reazioni più familiari;
in presenza di fatti eccezionali;
in presenza di altri individui.

Lavoro continuo d’osservazione e d’assimilazione che giornalmente


arricchisce il vocabolario, definisce l’aspetto esteriore, migliora il
costume462.

In questo modo l’esecuzione inizialmente improvvisata viene


progressivamente curata nei minimi dettagli, e le indicazioni appuntate in questo
cahier confermerebbero l’ipotesi che ad una iniziale fase improvvisativa ne segua
una di “studio”, di analisi, definita impropriamente dal regista “improvvisazione”.

L’épanouissement del personaggio

Di Copeau non si possiedono scritti compiuti sul lavoro che guida l’attore alla
messa in forma del personaggio, tuttavia nella ricostruzione della sua poetica, dopo il

462
«Exercices dramatiques. Personnages. 1er année. Improvisations. Apparence physique allure
générale. Rattachement à une classe d’individus. Caractéristiques de cette classe. Observation du
milieu, des occupations et habitudes. Détails communs caractéristiques de cette classe. Vocabulaire,
tics professionnels. Détails particuliers à l’individu choisi de cette classe: vocabulaire, tics, etc. En
déduire son état particulier, sauté, caractère, etc. Avec cet données le mettre en presence des faits
journaliers qui provoquent les reactions les plus familières; en présence de faits exceptionnels, en
presence d’autres individus. Travail continue d’observation et d’assimilation qui journellement
enrichit le vocabulaire, accentue le physique, décide du costume». Boîte 2, cartella 12, pp. 7-8.
241
cahier Comédie Improvisée datato 1916, un documento di rilevante utilità è costituito
dalle Réflexions d’un Comédien sur le “Paradoxe” de Diderot, pubblicato come
prefazione del Paradosso nell’edizione Plon del 1929.
In questo scritto Copeau mette in evidenza l’importanza del primo approccio
al testo:

Penso un attore davanti al testo di una parte che ama e che capisce, il cui carattere conviene
alla sua natura, il cui stile si adatta ai suoi mezzi. Sorride a proprio agio. Decifra senza sforzo
questa parte. La prima lettura che ne fa sorprende per quanto è giusta. Tutto vi è
magistralmente indicato, non solo nell’intenzione generale, ma già sino alle sfumature 463.

La “naturale” e istantanea padronanza della parte sarebbe pertanto subordinata alla


predisposizione dell’attore ad interpretare un certo tipo di personaggio; mentre
sembra, al contrario, che lo studio e l’analisi della parte non siano necessari in questo
primo momento. Nel Projet del 1916 Copeau scrive qualcosa di simile:

Leggere ad alta voce un testo che non è stato preparato, è tentare un’espressione modesta e
sincera, alla quale nessun trucco o artificio presterà la sua falsa apparenza. È ritrovare un po’
di ingenuità. [...] Una buona lettura, spoglia di affettazioni, ecco il terreno libero sul quale
costruire una sana interpretazione464.

463
«Je suppose un comèdien devant le texte d’un rôle qu’il aime et qu’il comprend, dont le caractère
convient à sa nature, dont le style s’adapte à ses moyens. Il sourit d’aise. Ce rôle, il le déchiffre sans
effort. La première lecture qu’il en donne surprend par sa justesse. Tout y est magistralement indiqué,
non seulement dans l’intention générale, mais déjà jusqu’aux nuances». JACQUES COPEAU,
Réflexions d’un Comèdien sur le “Paradoxe” de Diderot, Paris, Plon, 1929. Per la presente ricerca è
stato utilizzato il testo che si trova pubblicato in NOTES, pp. 15-33. Citazione a p. 27.
464
«Lire à haute voix un texte qui n’a pas été travaillé, c’est tenter une expression modeste et sincère,
à laquelle aucun truc factice ne viendra prêter son faux-semblant. C’est retrouver un peu de naïveté.
[…] Une bonne lecture, dénuée d’affectation, voilà le terrain libre sur lequel bâtir une saine
interprétation». PROJET 1916, p. 136. La lettura ad alta voce faceva già parte degli esercizi del 1913 al
Limon, anche se all’epoca erano semplicemente considerati come «exercices d’assouplissement
intellectuel et d’articulation vocale». CVC2, p. 28.
242
Anche in questo caso dunque la non preparazione del testo, in altre parole
l’improvvisazione, consente l’espressione sincera, perché non vi è ancora la
memorizzazione e il rischio della meccanizzazione e della stereotipia
nell’interpretazione. L’improvvisazione dunque, essenziale a vivificare il testo nella
fase dello spettacolo - come Copeau evidenzia nel cahier Comédie Improvisée –
conserva le stesse possibilità sotto forma di prima lettura del testo.
All’interno del cahier sull’educazione dell’attore del 1920 si trova la
medesima citazione sul valore della lettura ad alta voce che Copeau aveva inserito
nel Projet di qualche anno prima, alla quale vengono tuttavia fatte precedere, poche
righe sopra, alcune affermazioni in apparente contrasto con quanto affermato dopo:

Sia nella lettura ad alta voce, che nell’interpretazione parlata e nel gioco o nell’azione,
l’interprete parte sempre da un atteggiamento fittizio, da una smorfia corporea, mentale,
vocale. Il suo attacco è insieme troppo voluto e non abbastanza premeditato, o, cosa ancora
più semplice e più grave, non abbastanza sentito 465.

La supposta contraddizione, trovandosi all’interno dello stesso scritto, si può


addebitare alla natura del documento, stilato da Copeau sotto forma di appunti,
presumibilmente per se stesso e non destinati alla pubblicazione. Si tratta infatti del
Journal, edito postumo. Un testo, dunque, che non richiede successive spiegazioni
poiché già nella mente del lettore. L’apparente inconciliabilità delle affermazioni
troverebbe la seguente risoluzione: Copeau, da una parte, mette in guardia dal rischio
che sempre esiste per l’attore, in qualsiasi momento del suo lavoro, di cadere nel
manierismo, nell’affettazione, dall’altra riconosce che tale pericolo si riduce
drasticamente quando l’attore, approcciandosi al testo per la prima volta, si limita
alla semplice lettura ad alta voce, senza tentare alcuna memorizzazione. In questo
caso, infatti, l’interpretazione del testo mantiene una certa freschezza, riducendo al
minimo la possibilità di manierismo o affettazione e di procedere in modo meccanico

465
«Aussi bien dans la lecture à haute voix, que dans l’interprétation parlée et que dans le jeu ou
action, l’interprète part toujours d’une attitude factice, d’une grimace corporelle, mentale, vocale. Son
attaque est à la fois trop voulue et pas assez préméditée, ou ce qui est encore plus simple et plus grave,
pas assez ressentie». JACQUES COPEAU, Éducation de l’acteur, cit.
243
e stereotipato. La seconda affermazione dà così ragione alla tesi che è più
compiutamente offerta nel 1929, in Réflexions d’un Comédien.
Rimane però insoluta la questione iniziale, cioè come sia possibile evitare la
smorfia e cosa porti l’attore, nella fase inziale di prima lettura, ad affrontare il testo
senza falsarlo, trovandosi immediatamente in uno stato di vicinanza con il
personaggio, senza avere avuto ancora il tempo di studiarlo e approfondirlo. Nel
prosieguo del cahier sull’educazione dell’attore del 1920, il regista insiste su questo
punto: il comédien mantenga un atteggiamento il più neutro possibile
sull’interpretazione del testo, cercando uno stato di tranquillità e calma, sia di tipo
fisico, che psicologico. Copeau indica questo atteggiamento con il termine sincerità,
a cui fa seguire la seguente definizione:

Ciò che noi chiamiamo sincerità, che non è senza dubbio solo emozione o gaiezza vere, ma
un sentimento di calma e di potenza, di dominio che permette all’artista […] ad un tempo di
essere posseduto da ciò che esprime e di dirigerne l’espressione. Questo sentimento è
qualcosa di vero, di naturale, di sicuro. Credo che abbia per punto di partenza una sorta di
purezza, d’integrità dell’individuo, uno stato di calma, di naturalezza, di distensione. […]
Non so come descrivere, né soprattutto come ottenere in altri questo stato di buona fede, di
sottomissione, di umiltà che voglio rappresentarmi, in certa misura e da tutti i punti di vista
che ci interessano, come dipendente dalla cultura (fisica e intellettuale) e, per dire tutto con
una sola parola, dalla buona educazione. Non è privo di similitudine con quello stato di
serenità, di calma e di sicurezza senza affettazione che si vede negli esseri di buona
costituzione, ben portati e ben allenati. Per ora posso solo servirmi di metafore che i miei
allievi, i quali non le colgono, non capiscono. Dico loro: prendete il testo con calma… niente
intonazione… espirate… ecc. Abbiamo a che fare sempre, nella voce dell’attore, con un
ronron, una melodia prestabilita, un’abitudine infine, o un atteggiamento qualunque che essi
chiamano la loro personalità466.

Ma che cosa succede all’attore nei momenti in cui riesce ad ottenere questo
stato di sincerità, e in che modo favorisce l’interpretazione? In Réflexions d’un
Comédien, Copeau affronta in questi termini il rapporto fra attore e personaggio:

466
JACQUES COPEAU, Éducation de l’acteur, cit., p. 199.
244
Troppa intelligenza si prende gioco dell’attore. I più vivaci, i più dotati, apparentemente,
d’immaginazione, coloro che vanno più facilmente incontro ad un personaggio, non sono
generalmente i più sinceri né i più sicuri. Il personaggio resiste a chi non osserva verso di lui
le forme e i riguardi necessari. Occorre saperlo prendere, o piuttosto lasciarsi prendere da
lui467.

Se ne deduce che né la ricchezza immaginativa né il ragionamento sono in questo


momento strumento necessario all’attore. È invece nello stato di calma e distensione,
in cui si limita il pensiero anticipatorio dei movimenti da compiere, delle intonazioni
da dare e delle sfumature della parte, che il personaggio può accostarsi al comédien e
prenderne a prestito l’essere al fine di manifestarsi. Accade in pratica ciò che è
proprio della creazione improvvisata, in cui si fa spazio al personaggio all’interno
della vita quotidiana, approfittando di ogni possibilità per farlo emergere. Proprio
queste considerazioni possono costituire una chiave di lettura per comprendere il
significato delle parole consegnate dal regista alle pagine delle Réflexions d’un
Comédien sur le “Paradoxe” di Diderot del 1929, uno dei suoi scritti più compiuti
sul lavoro d’attore. In questo scritto, Copeau, nel fornire approfondimenti per la
lettura del Paradosso di Diderot e nel prendere, sia pure cautamente, le distanze dalla
posizione del filosofo francese, discute il rapporto attore-personaggio, delineando un
cambio di prospettiva significativo rispetto alla visione stanislavskiana:

Voi dite di un attore che entra in una parte, che si mette nella pelle di un personaggio. Mi
sembra che questo non sia esatto. È il personaggio che si avvicina all’attore, che gli domanda
tutto quello di cui ha bisogno per esistere a spese sue, e che a poco a poco lo rimpiazza nella
sua pelle. L’attore si sforza di lasciargli il campo libero 468.

467
«Trop d’intelligence abuse l’acteur. Les plus vifs, le plus doués, en apparence, d’imagination, ceux
qui se portent avec le plus d’aisance à la rencontre d’un personnage, ce ne sont pas généralement les
plus sincères, ni les plus sûrs. Le personnage résiste à qui n’observe pas envers lui les formes et
ménagements nécessaires. Il faut savoir le prendre, ou plutôt se laisser prendre par lui». JACQUES
COPEAU, Réflexions d’un Comédien […], cit., p. 25.
468
«Vous dites d’un comèdien qu’il entre dans un rôle, qu’il se met dans la peau d’un personnage. Il
me semble que cela n’est pas exact. C’est le personnage qui s’approche du comèdien, qui lui demande
tout ce dont il a besoin pour exister à ses dépens, et qui peu à peu le remplace dans sa peau. Le
comédien s’applique à lui laisser le champ libre». Ibidem.
245
Il personaggio viene pirandellianamente dotato di una volontà, alla quale
l’attore deve prestare la possibilità di esprimersi. Analizzare il personaggio nelle
caratteristiche psico-fisiche che lo compongono, con i pieni e i vuoti della sua
personalità, attraverso un lungo lavoro interpretativo non è il punto più importante
per Copeau:

Non basta vedere bene un personaggio, né capirlo, per essere pronti a diventarlo. Non basta
neppure possederlo a fondo per dargli la vita. Occorre esserne posseduti [...]. Il personaggio
resiste a chi non osserva nei suoi riguardi le forme e le cautele necessarie. Occorre saperlo
prendere, o piuttosto lasciarsene prendere469.

Non è l’interprete che recupera consapevolmente il vissuto personale per


accostarsi alla parte, ma, viceversa, l’attore che si mette da parte per riempirsi del
personaggio. Dunque, per la prima volta di fronte alla parte, l’artista auspicato da
Copeau, sospendendo qualsiasi giudizio critico, in fase di ascolto, senza pretese,
produrrebbe uno stato di immobilità del pensiero, di calma interiore, lasciandosi
raggiungere dal personaggio e comprendendolo per intuizione.
Per facilitare l’identificazione con il personaggio, Copeau scopre il valore
della maschera, che, come nota Marco De Marinis nel suo volume sul mimo,
«diventò il principale mezzo tecnico-espressivo per gli esercizi e le
470
drammatizzazioni ». Indossando una maschera l’attore rinuncia al suo volto,
privandosi così di un elemento essenziale della propria identità. A questo punto,
spogliandosi di se stesso, l’attore può indossare qualsiasi identità:

Non è solo il suo volto a venirne modificato, ma tutta la sua persona, il carattere stesso dei
suoi riflessi in cui già si preformano sentimenti che egli era ugualmente incapace di provare e
di fingere a viso scoperto. Se è danzatore tutto lo stile della sua danza, se è attore l’accento
stesso della sua voce, gli sarà dettato dalla maschera – in latino persona – cioè da un

469
Ibidem.
470
MARCO DE MARINIS, Mimo e teatro nel Novecento, Firenze, La Casa Usher, 1993, p. 67.
246
personaggio senza vita fintanto che egli non lo sposa, che da fuori è venuto a coglierlo e si
sostituirà a lui471.

Alcuni scritti di Jean Dasté offrono una descrizione dei primi esercizi di
questo tipo, oltre a dimostrare come Copeau sia fedele ai suoi progetti di lavorare su
scenari senza dare testi scritti agli attori:

Scoprivo, coprendo il volto, che non ero più il mio “io” abituale, l’“io” quotidiano; ero come
abitato da un “altro”, esistente in una dimensione che non era la mia, e scoprivo che
l’esercizio che cercavo di compiere dettava al mio corpo altri gesti, altri atteggiamenti.
Je découvris, en changeant de visage, que je n’était plus le “moi” habituel, le “moi”
quotidien; j’était comme habité par un “autre”, que cet autre existait dans une dimension qui
n’était pas la mienne, et que l’exercice que je cherchais à exprimer commandait à mon corps
d’autres gestes, d’autres attitudes.

L’uso della maschera, nascondendo il volto dell’attore, sembra privarlo


dell’identità personale e conosciuta, permettendogli di concentrarsi sul personaggio
per farsi investire di una nuova personalità e compiendo dunque l’atto estremo di fare
dono di sé472. Questa operazione consente di farsi “abitare” dal personaggio –
secondo una terminologia cara a Copeau - come rivela ancora Dasté:

L’un m’avait obligé à habiter une espèce de professeur ou de philosophe, sentencieux,


vaniteux, autoritaire, en même temps que naïf, maladroit et peu sûr de lui. J’étais entré dans
le personnage du premier coup (il correspondait sans doute à quelque chose de caché en moi).
Quand il se trouvait dans une situation qui lui permettait d’exprimer violemment son
indignation, sa vanité, ou ce qui pouvait l’exalter, je me sentais porté dans son “monde”,
surpris moi-même par ce qu’il disait, proclamait, décidait.

471
JACQUES COPEAU, Réflexions d’un Comédien […], cit., p. 125.
472
Scrive Lessing con riferimento alla maschera: «Sotto di essa, senza dubbio, è molto più agevole per
l’attore conservare il controllo: la sua personalità ha meno occasione di manifestarsi, e – ove si
manifestasse – più difficile sarebbe accorgersene». GOTTHOLD E. LESSING, Drammaturgia
d’Amburgo, cit., p. 258.
247
In pratica, tanto più l’attore si identifica con il personaggio, tanto più facilmente
utilizza comportamenti che nella vita “reale” non gli sono propri.
Sull’aspetto creativo legato alla maschera abbiamo anche una testimonianza
di Decroux:

A differenza delle maschere cinesi, la nostra era inespressiva. Il corpo era nudo quanto lo
permetteva la decenza. Misura indispensabile. Perché annullato il volto, il corpo aveva
bisogno di tutte le sue parti per sostituirlo. Si riproducevano i rumori della città, della casa,
della natura, i gridi degli animali. E questo con la bocca, le mani, i piedi. Era mimo e suono. I
personaggi passavano dall’uno all’altro in tutta verosimiglianza. Eravamo nel giugno del
1924473.

Tutto ciò rappresenta in ogni caso solo una preparazione, l’introduzione alla
fase successiva, al momento in cui si deve procedere con la parte razionale di
costruzione del personaggio, fin qui volutamente trascurata. A questo punto Copeau,
per introdurre la seconda fase del lavoro, inserisce una frase che potrebbe trarre in
inganno: l’attore, pur essendo entrato d’acchito nel personaggio, non è soddisfatto:
«Egli non si lascia infatti ingannare da quella prima presa di possesso in cui solo lo
spirito aveva la sua parte»474. Durante la prima lettura, infatti, l’interprete di Copeau
non utilizza che la voce, il personaggio è colto solo nello spirito: manca del corpo e
della carne, e il suo “spirito” è ancora allo stadio di abbozzo, manca di sfumature.
L’inevitabile entrata in gioco del movimento porta alla luce una serie
complessa di questioni, che sottopongono l’istintività alla riflessione. Scrive Copeau
riguardo all’attore che inizia la seconda fase:

Eccolo che si mette al lavoro. Ripete a mezza voce, con precauzione, come se temesse di
cancellare qualche cosa all’interno di se stesso. Queste prove confidenziali conservano
ancora la qualità della lettura. Le sfumature dell’emozione vi sono ancora percettibili per
qualche ascoltatore privilegiato. L’attore, ora, possiede la sua parte, a memoria. È il momento
in cui comincia a possedere un po’ meno il suo personaggio. Vede quello che vuol fare.

473
ETIENNE DECROUX, Parole sul mimo, Roma, Audino, 2003.
474
«C’est qu’il n’est point dupe de cette première prise de possession où l’esprit seul avait sa part».
JACQUES COPEAU, Réflexions d’un Comédien […], cit., p. 27. Il corsivo è nostro.
248
Compone e sviluppa. Dispone le concatenazioni, le transizioni. Ragiona sui suoi movimenti,
classifica i suoi gesti, riprende le sue intonazioni. Si guarda e si ascolta. Si distacca e si
giudica. Non sembra dar più niente di se stesso. A tratti si interrompe nel lavoro per dire: non
sento questo. Propone, spesso con ragione, una modifica del testo, una inversione della frase,
un ritocco alla messa in scena che gli permetterebbe, crede, di sentir meglio. Cerca i modi di
mettersi in posizione, in stato di sentire: un punto di partenza che a volte sarà nella mimica, o
nel diapason della voce, in una decontrazione particolare, in una semplice respirazione... Si
sforza di accordarsi. Tende le sue reti. Organizza la cattura di qualche cosa che ha compreso
e presentito da molto, ma che gli resta esterno, che non è ancora entrato in lui, che non
alberga in lui... Egli ascolta, con orecchio distratto, le indicazioni essenziali che gli vengono
fornite, dal proscenio, sulle emozioni del personaggio, i suoi moventi, tutto il suo
meccanismo psicologico. E tuttavia la sua attenzione sembra assorbita da dettagli irrisori475.

Come si può comprendere, Copeau non fornisce indicazioni sul modo di


procedere nella costruzione del personaggio. Ciò che dice è che in questa fase tutte le
energie del comédien sono tese a rendere concreta l’intuizione, ottenendo tuttavia
l’effetto opposto: la parte razionale inibisce quella emotivo/istintuale e l’attore “non
sente” più il personaggio. Il testo viene memorizzato, i movimenti provati e definiti,
le intenzioni scandagliate, ma quanto più la riflessione scava nei dettagli, tanto più
attore e personaggio si allontanano, come se l’istantaneo riconoscimento si fosse

475
«Le voilà qui se met à travailler. Il répète à mi-voix, avec précaution, comme s’il craignait
d’effaroucher quelque chose au-dedans de soi-même. Ces répétitions confidentielles gardent encore la
qualité de la lecture. Les nuances de l’émotion y sont encore perceptibles pour quelques auditeurs
privilégiés. L’acteur, maintenant, possède son rôle, de mémoire. C’est le moment où il commence à
posséder un peu moins son personnage. Il voit ce qu’il veut faire. Il compose et développe. Il met en
place les enchaînements, les traditions. Il raisonne ses mouvements, classe ses gest, reprend ses
intonations. Il se regarde et s’entend. Il se détache. Il se juge. Il semble ne plus rien donner de soi-
même. Parfois il s’interrompt dans son travail pour dire: je ne sens pas cela. Il propose, souvent avec
raison, une modification du texte, une inversion de la phrase, une retouche à la mise en scène qui lui
permettrait, croit-il, de mieux sentir. Il cherche les moyens de se mettre en posture, en état de sentir:
un point de départ, qui n’est pas encore entré en lui, logé en lui… Il écoute d’une oreille distraite, les
indications essentielles qui lui sont fournies, de l’avant-scène, sur les émotions du personnage, ses
mobiles, tout son mécanisme psychologique. Et cependant son attention semble absorbée par des
détails dérisoires». Ivi, p. 28.
249
annullato. Come quando, identificata una fisionomia lontana, ci si accorge, tanto più
le distanze si fanno prossime, di aver commesso uno sbaglio.
In realtà Copeau non parla di errore per l’attore. La percezione iniziale è
corretta, tanto che scrive: «La prima lettura che ne fa [l’attore della parte] sorprende
per la sua giustezza»476; è la riflessione che vizia la naïveté, la spontaneità e la
purezza dell’intuito. Tuttavia lo stato di disorientamento a cui porta la componente
riflessiva è indispensabile per pervenire ad un maggiore livello di completezza.
Occorre far ritorno al passaggio precedente, quando l’intuito coglie l’“anima”
del personaggio, ma non gli dà corpo, se lo raffigura, ma non lo materializza.
Dunque in questa fase manca la componente dell’azione, indispensabile per operare
un’unione fra idea e concretizzazione. Senza la componente intellettiva dell’attore,
che decompone per approfondire e poi ricostruire, il personaggio rimarrebbe
immateriale e incompleto. A cosa è affidata questa fase? Quale modalità di lavoro
consente all’attore di scavare nel personaggio e di approfondirlo nei dettagli, sino a
prenderne pieno possesso? Sebbene Copeau non faccia in Réflexions d’un comédien
alcun riferimento all’improvvisazione, apprendiamo dagli scritti precedentemente
indicati, che l’improvvisazione è la modalità che conduce l’attore
all’approfondimento del personaggio. Guidato dalle prime intuizioni e – come si
vedrà – da indicazioni registiche, egli procederebbe prima improvvisando la parte, e
poi definendola nei minimi dettagli. «Diderot ha ragione» afferma Copeau – almeno
su un punto: «Tutto è stato misurato, combinato, appreso, ordinato»477.
Ciò conferma ulteriormente la definizione generica di improvvisazione, che
comprende certo un momento iniziale in cui l’attore crea nell’hic et nunc, quasi
ispirato, un primo “germe” del personaggio, ma anche una seconda fase di analisi.
Molto probabilmente non è studiando a tavolino che l’attore riflette sui dati emersi
dalla creazione improvvisata, ma mediante l’azione, dando carne al proprio
personaggio. E nel momento in cui i gesti prendono vita, si accende anche il
sentimento, come già visto con i primi esercizi elementari d’espressione. Proprio
descrivendo il processo della creazione improvvisata, Copeau fa riferimento a

476
«La première lecture qu’il en donne surprend par sa justesse». Ivi, p. 27.
477
«Diderot a raison: “tout a été mesuré, combiné, appris, ordonné». Ivi, p. 31.
250
condizioni primariamente fisiche: «Certi sentimenti arrivano a incorporarsi al
personaggio, a farsi provare da lui solo accompagnati da certi movimenti, da certi
gesti, da certe contrazioni localizzate, sotto un certo costume, in funzione di certi
accessori»478. Il sentimento affiorerebbe dunque da taluni atteggiamenti e movimenti
fisici. Per prima cosa conta la corporeità del comédien: egli possiede un corpo, che
non può essere un corpo qualunque, quotidiano, ma deve svilupparsi in modo agile,
flessibile, per adattarsi ai molteplici movimenti del personaggio, per plasmarsi
secondo le esigenze della personalità che lo abiterà. Si tratta poi di curare i dettagli
esteriori, dell’abbigliamento e degli accessori per raggiungere una somiglianza fisica
con il personaggio. In riferimento alla messinscena di La Jalousie du Barbouillé
Copeau riconosce il ruolo dei costumi nella realizzazione e rifinizione dello
spettacolo e l’interpretazione:

Inizialmente dovevano solo rivestire i personaggi. Essi divennero poco a poco i personaggi
stessi. Quella fragilità, quella consistenza quasi aerea che essi conferivano all’interprete,
hanno condotto l’attore, senza che se ne avvedesse, a un certo incedere, a certi movimenti,
automatismi, giochi scenici o toni di voce479.

In ragione di questo comprendiamo la critica di Copeau agli attori che


provano senza costumi, senza oggetti di scena e accessori oppure sostituendoli fino al
momento della prima o, peggio, dello spettacolo480. Anche nel parallelismo tra il
gioco simbolico del bambino e il lavoro d’attore, Copeau sottolinea la possibilità per
il piccolo comédien di richiamare un personaggio inventato anche molto tempo prima
facendo ricorso a semplici ed essenziali dettagli esteriori. E già nel 1901, con
riferimento alla vocazione, il regista indica l’assunzione di certi aspetti esteriori (il
vestito, l’atteggiamento, l’arredo della propria casa) come supporto indispensabile
nel processo di acquisizione di una parte, ma anche, più profondamente, di

478
«Certains sentiments n’arrivent à s’incorporer au personnage, à se faire éprouver par lui
qu’accompagnés de certains mouvements, de certains gestes, de certains contractions localisées, que
sous un certain costume, en fonction de certains accessoires». Ivi, p. 25.
479
Jacques Copeau, dal programma del Théâtre du Vieux-Colombier del 27 ottobre 1920, cit.
Citazione a p. 102.
480
JACQUES COPEAU, Le poète au théâtre, cit., in particolare pp. 172-173.
251
trasformazione del pensiero e del Sé. Sebbene allora egli non avesse ancora,
probabilmente, la consapevolezza della centralità che il concetto avrebbe assunto nel
lavoro creativo dell’attore.
L’azione fisica trova pertanto ampio spazio nella modalità di lavoro
dell’attore, azione che sembra aumentare le associazioni, la libertà del pensiero,
l’acutezza dell’analisi; perché personaggio e attore sono prima di tutto corpo.
Adottando tale linea nel procedimento che conduce alla messa in forma di una parte,
Copeau si avvicina certamente alla fase più matura di Stanislavskij nel lavoro
d’attore, ma si ricordi che questo stesso principio è quello intorno a cui si dirama,
ben più tardi, la poetica grotowskiana: il performer segue le associazioni di idee a
partire dai movimenti del corpo e lavora sul materiale prodotto481.

481
La teoria secondo cui il gesto mette in moto l’emozione non è una novità. Si tratta di un pensiero
diffuso. Ancor prima di Stanislavskij, Copeau e Grotowski, ne tratta Lessing, che nella Drammaturgia
D’Amburgo espone una sorta di processo circolare fra esterno ed interno: sarebbero i segni esteriori a
produrre delle modificazioni dell’anima, che determinerebbero, a loro volta, quei piccoli movimenti
involontari, indici indispensabili di vera commozione. Cfr. GOTTHOLD E. LESSING,
Drammaturgia D’Amburgo, cit. In particolare pp. 20-25. La tesi è sostenuta anche da Delsarte, le cui
analogie con Copeau abbiamo già rilevato in un capitolo precedente. L’estetologo seguirebbe nel
processo di costruzione del personaggio un percorso prossimo a quello di Lessing, almeno secondo
l’interpretazione che ci consegna Elena Randi nei suoi studi e di cui riportiamo un breve e riassuntivo
frammento: «Delsarte concepirebbe l’attore come colui che, in possesso di un ricchissimo vocabolario
fonetico-gestuale, è in grado di eseguire in maniera tecnicamente perfetta tutti i gesti volontari che la
partitura emotiva del suo personaggio comporta. Suo compito sarebbe allora di riprodurli in sequenza,
secondo un preciso disegno, per un numero tanto elevato di volte, da ottenerne lo scorrere meccanico.
Arrivato al punto di poter ripetere la propria sequenza vocale e motoria in maniera automatica, il
comédien giungerebbe ad immedesimarsi nel proprio personaggio per quel curioso fenomeno (ben
noto a Stanislavskij) grazie a cui i gesti (le azioni fisiche) influenzano l’anima allo stesso modo in cui
l’anima è il motore segreto del gesto». ELENA RANDI, Il magistero perduto di Delsarte, cit., p. 115.
Anche in autori posteriori a Delsarte e segnalati da Anne-Marie Dranin viene trattata la questione (cfr.
ANNE-MARIE DRANIN, Sémiologie du geste, jeu théâtrale et simulation: l’artificie au service de
l’explication du vivant, in «LudusVitalis», n. 4, 1995, pp. 127-155; in particolare p. 133). La Dranin
aggiunge che l’effetto dell’anima messa in moto dal gesto può essere definito «effet Campanella en
souvenir d’une anecdate racontée sur l’auteur de la Cité du Soleil, par Burke, et reprise par Dugald
Stewart, puis par Albert Lemaine et William Jones. Campanella, dit-on, lorsqu’il désirait savoir ce
passait dans l’esprit d’une autre personne, contrefaisait de son mieux son attitude et sa physionomie
252
All’interno delle Réflexions sur le comédiens, si può analizzare ulteriormente
il rapporto fra Copeau e Diderot e notare che, a parte la convergenza sull’importanza
attribuita all’analisi del personaggio, le differenze fra i due sono sensibili. Anzitutto -
come visto - Copeau crede che l’intuito operi prima dell’intelletto e costituisca il
punto di partenza per l’analisi della parte. Ancor più importante, per il fondatore del
Théâtre du Vieux-Colombier, esiste una terza fase nel lavoro d’attore, che così
descrive:

Solo quando [l’attore] avrà compiuto questo studio di se stesso in rapporto a un personaggio
dato, articolato tutti i suoi mezzi, esercitato tutto il suo essere a servire le idee che si è
formato e i sentimenti ai quali prepara la vita nel corpo, nei nervi, nello spirito, fin nel
profondo del cuore, allora si riprenderà, trasformato, e tenterà di donarsi 482.

actuelles, en concentrant, en même temps, son attention sur ses propres émotions». Ibidem. Anche
Jaques-Dalcroze sostiene qualcosa di molto simile, e sottolinea: «È possibile anche che il gesto
preparato sia vivificato da un’emozione spontanea e si ritrovi allora la sua potenza suggestiva».
Jacques Dalcroze, p. 60. La questione è tema di rilevanti ricerche anche al di fuori dell’ambito
teatrale. A fine Ottocento il medico fisiologo Ivan P. Pavlov riconosce come principio base del
condizionamento classico la presenza di uno stimolo sensoriale esterno capace di influenzare la
reazione interna. Allo stesso modo, più di mezzo secolo dopo, Jacob L. Moreno, psichiatra, elabora la
psicodramma come reazione alla psicoterapia classica, convinto che l’impiego del corpo e dell’azione
fisica nel mettersi in scena liberi un’energia che l’analisi mentale non consente. Cfr. IVAN P.
PAVLOV, I riflessi condizionati, edizione curata da Luciano Mecacci e Celso Balducci, Roma,
Newton, 2006 e JACOB LEVI MORENO, Manuale di psicodramma. Il teatro come terapia, a cura di
Ottavio Rosati, Roma, Astrolabio, 1985. All’inizio del Novecento anche la psicomotricità trova in
ambito francese il suo primo sviluppo. Dagli studi approfonditi compiuti da Bernard Acouturier e
André Lapierre emerge una relazione tra strutture motorie sottocorticali e centri di integrazione delle
emozioni cioè dell'ipotalamo. Pertanto la dimensione affettiva e psichica appare direttamente collegata
al corpo, alla sensorialità, al tono e alla motricità. Questa organizzazione, che possiamo definire
"tonico-emozionale", getta un ponte robusto tra il corpo e lo spirito, e richiama antiche pratiche
orientali. Cfr. BERNARD ACOUTURIER, ANDRÉ LAPIERRE, La simbologia del movimento,
Cremona, Padus, [s.d.].
482
«C’est seulement quand il [l’acteur] aura accompli cette étude de soi-même par rapport à un
personnage donné, articulé tous ses moyens, exercé tout son être à servir les idées qu’il s’est formées
et les sentiments auxquels il prépare la voie dans son corps, dans ses nerfs, dans son esprit, jusqu’au
profond se son cœur, c’est alors qu’il se ressaisira, transformé, et qu’il tentera de se donner».
JACQUES COPEAU, Réflexions d’un Comédien […], cit., p. 29.
253
Non solo esiste la possibilità di una conciliazione di immedesimazione e
riflessione, ma sarebbe proprio la dimensione dell’analisi, stimolata e sperimentata
nell’azione, a recuperare per altre vie l’iniziale istintività. L’attore definisce il
personaggio, lo sperimenta, lo coglie nei suoi molteplici aspetti e quando approda ad
una forma “giusta”, che combacia con l’idea iniziale, fissa movimenti, gesti, tonalità,
intenzioni e li interiorizza a tal punto da non doverci più pensare. Nel momento in
cui la riflessione si ritira, l’interprete si riappropria di uno stato di calma e
distensione, fisica e mentale. In tal modo la dimensione emotiva ha nuovamente
campo libero e può tornare, in modo più saldo e sicuro di quanto non fosse
inizialmente:

Il nostro mestiere, con la disciplina che presuppone, con i riflessi che ha fissato e che
comanda, è la trama stessa della nostra arte, con la libertà che questa esige e le illuminazioni
che incontra. L’espressione emotiva proviene dall’espressione giusta. Non solamente la
tecnica non esclude la sensibilità: essa la autorizza e la libera. Ne è il supporto e la
salvaguardia. Grazie al mestiere noi possiamo abbandonarci, poiché è grazie a esso che
sapremo ritrovarci. Lo studio e l’osservanza dei principi, un meccanismo infallibile, una
memoria sicura, una dizione controllata, la respirazione regolare e i nervi distesi, la libertà
della testa e dello stomaco, ci procurano una sicurezza che ci ispira l’ardimento. La costanza
negli accenti, nelle posizioni e nei movimenti preserva la freschezza, la chiarezza, la
diversità, l’invenzione, l’eguaglianza, il rinnovamento. Essa ci permette di improvvisare. [...]
Via via che questi segni si definiscono in giustezza, in accento, in profondità, via via che essi
prendono possesso del corpo e della sua abitudine, stimolano a loro volta i sentimenti
interiori che sempre più realmente si insediano nell’anima dell’attore, la riempiono, la
soppiantano. A questo grado del lavoro germina, matura e si sviluppa una sincerità, una
spontaneità conquistata, ottenuta, della quale si può dire che agisce alla maniera di una
seconda natura, che ispira a sua volta le reazioni fisiche e dà loro l’autorità, l’eloquenza, la
naturalezza e la libertà483.

483
«Notre métier, avec la discipline qu’il suppose, avec les réflexes qu’il a fixés et qu’il commande,
c’est la trame même de notre art, avec la liberté qu’il exige et les illuminations qu’il rencontre.
L’expression émotive sort de l’expression juste. Non seulement la technique n’exclut pas la
sensibilité: elle l’autorise et la libère. Elle en est le support et la sauvegarde. C’est grâce au métier que
nous pouvons nous abandonner, parce que c’est grâce à lui que nous saurons nous retrouver. L’étude
et l’observance des principes, un mécanisme infaillible, une mémoire sûre, une diction obéissante, la
254
Il rapporto fra sensibile e razionale diviene alla fine del percorso un rapporto
complementare e circolare. La spontaneità dell’attore perde, mediante il travagliato
percorso del razionale, la connotazione puramente istintuale, per raggiungere la
naïveté ad un livello più profondo, elevato, consapevole. Si potrebbe dire che essa
lascia lo spazio al sentimento più maturo484.
Tuttavia per Copeau il meccanismo non è automatico, perché il sentimento
non nasce a comando e l’attore, in palcoscenico, può trovarsi disorientato di fronte al
personaggio. Può naturalmente accadere che questo gli sfugga, lo abbandoni in
alcuni momenti; difficile che rimanga ininterrottamente una fusione perfetta tra lui e
l’attore. In tal caso il comédien deve confidare nella preparazione, nella tecnica, che
sola potrà fornirgli quello stato di calma interiore, da cui rifiorisce l’emozione. E così
Copeau recupera nuovamente Diderot:

È il martirio a cui i migliori si espongono giornalmente, poiché nessuno tra loro sa mai se non
si sentirà improvvisamente devastato dall’aridità, in uno di quei terribili momenti in cui si
sente parlare, in cui si vede recitare, in cui si giudica e, più si giudica, più si sfugge. Diderot
dirà che «si è dimenato senza dir nulla». Se si è visibilmente “dimenato”, è in effetti perché
non sentiva. Era per sentire485.

Per il regista francese “dimenarsi” è il metodo con cui l’attore cerca


nuovamente l’ispirazione, il sentimento. Quando il personaggio esce da lui, l’attore

respiration régulière et les nerfs détendus, la liberté de la tête et de l’estomac nous procurent une
sécurité qui nous inspire la hardiesse. La constance dans les accents, les positions et les mouvements
préserve la fraîcheur, la clarté, la diversité, l’invention, l’égalité, le renouvellement. Elle nous permet
d’improviser». Ivi, p. 31.
484
La poetica di Copeau a questo punto, seppur scevra di riferimenti spirituali, potrebbe ricordare
qualche assonanza con Kleist: mediante l’iper-riflessione, la grazia, l’innocenza, la purezza,
inizialmente allontanate dalla riflessione, riemergerebbero in una nuova forma.
485
«C’est le martyre auquel les meilleurs s’exposent tous les jours, car nul d’entre eux ne sait jamais
s’il ne se sentira pas soudain dévasté par la sécheresse dans l’un de ces affreux moments où il s’entend
parler, où il se voit jouer, où il se juge et, plus il se juge, plus il s’échappe. Diderot dira qu’ “il s’est
démené sans rien sentir”. S’il s’est visiblement “démené” c’est en effet parce qu’il ne sentait pas.
C’est pour sentir». JACQUES COPEAU, Réflexions d’un Comédien […], cit., p. 27.
255
perde l’immedesimazione, e deve procedere di “mestiere”, aggrapparsi alla tecnica,
ossia continuare a seguire la parte così come è stata definita e come l’ha provata tante
volte. La dizione, la respirazione, la memoria devono essere sotto controllo e il
personaggio deve continuare ad esistere nei suoi tratti esteriori. Accade così,
metaforicamente, che il personaggio riconosce il suo attore e ritrova, una volta
perduta, la strada di casa. È il momento in cui riaffiora l’emozione e l’attore è
nuovamente immedesimato. In questi momenti, nella completa identificazione con il
personaggio, l’attore può lasciarsi andare ad una certa dose di improvvisazione anche
all’interno dello spettacolo. Le micro-azioni improvvisate consentiranno di evitare il
rischio della stereotipia, perché «il lavoro drammatico improvvisato deve conservare
flessibilità, spontaneità: non bisogna meccanizzare la manifestazione esteriore di una
emozione vera»486.

La costruzione della messinscena

Il paragrafo che segue riprende la questione del primissimo contatto


dell’attore con il testo, in pratica la lettura, evidenziando la delicatezza del passaggio
dalla “messinscena immaginata”, a quella “attuata”. Abbiamo visto che per Copeau
l’acteur adeguatamente preparato ha la capacità di entrare immediatamente nel
personaggio, di coglierlo nelle sfumature, ma che tale immediatezza viene
inzialmente falsata dal necessario lavoro di costruzione del personaggio, in cui non
basta più il pensiero, ma si deve agire e coordinarsi ai vari coefficienti scenici.
Troviamo in un manoscritto di Copeau questa analisi:

Prendo l’attore nel momento in cui sta per comparire in scena. Egli è una figura. Ha che fare
solo con se stesso. Ciò da cui è abitato non comanda ancora che il suo corpo, il suo proprio
essere. Egli appare in scena. Il corpo è entrato dentro al mondo dei rapporti. Ha dovuto fare
un passo dentro ad uno spazio drammatico, il luogo scenico. […] Poiché la vita drammatica

486
«Le travail dramatique improvisé doit garder de suplesse, de spontaneité: ne pas mécaniser la
représentation extérieure d’une émotion vraie». Boîte 2, cartella 12, p. 2.
256
non può essere inerzia, e per quanto poco egli inclini la testa o sposti un braccio, lo fa in
rapporto ad uno spazio che gli è proprio487.

L’influenza degli altri elementi avviene nella fase successiva, ossia nel
momento in cui il comédien inizia le prove per l’interpretazione del personaggio,
quando si attiva inevitabilmente una serie di rapporti tra lo “strumento” attore da un
lato, e gli altri attori e gli altri coefficienti scenici dall’altro. I rapporti che si attivano
sono di diversi tipi:

Tutti gli obblighi dei suoi spostamenti lo mettono in rapporto con lo spazio scenico. Questo
spazio è più o meno libero, l’attore dovrà agire in rapporto ai suoi limiti costruiti: porte,
tende, ecc., in rapporto alle sue costruzioni interne: mobili, scale, ecc. [e] in rapporto agli
altri attori, singoli o in gruppi488.

È in questa fase che l’attore mette in forma il personaggio, approfondito e


modificato, e, nell’attivazione dei vari rapporti, si innesca una serie di azioni e di
reazioni fisiche e psicologiche che infonde “vita” al personaggio. Scrive Copeau:

Solamente dentro la messinscena del fatto e dei dati precisi, architettonici, comincia un gioco
d’ordine musicale, poiché tutti i dati esistono, non si tratta più solamente di ricerche, sia
psicologiche che fisiche, ma tutte individuali, si tratta di stabilire tutti i rapporti che
contribuiscono all’accordo perfetto del gioco489.

487
«Je prends l’acteur au moment où il va paraître en scène. Il est une figure. Il n’a à faire qu’à lui-
même. Ce dont il est habité ne commande encore que son corps, son être propre. Il paraît en scène. Ce
corps est entré dans le monde des rapports. Il a dû faire un pas dans un espace dramatique, le lieu
scénique […]. Car la vie dramatique ne peut être inertie, et si peu qu’il incline la tête ou qu’il déplace
un bras, il agit par rapport à cet espace qui lui est propre». Boîte 3, cartella 2, pp. 31-32.
488
«Toute obligation de se déplacer le met en rapport avec l’espace scénique. Cet espace est plus ou
moins libre, l’acteur aura à agir par rapport à ses limites construites: porte, rideau,… Par rapport à ses
constructions intérieures: meubles, escaliers… Par rapport aux autres acteurs, individuels on en
groupes». Boîte 3, cartella 2, p. 33.
489
«Dans la mise en scène, seulement, du fait de données précises, architecturales, commence un jeu
d’ordre musical, parce que toutes les données existent, il ne s’agit plus seulement de recherches soit
psychologiques, soit physiques mais tout individuelles, il s’agit d’établir tous les rapports qui
contribueront à l’accord parfait du jeu». Boîte 3, cartella 2, p. 24.
257
Potremmo a questo punto dire che il primo ordine di rapporti è dato dalla
relazione tra la scena costruita nell’immaginario e la sua realizzazione effettiva; esso
determina ed è determinato da un secondo ordine di rapporti costituito da un
continuo e dinamico scambio tra l’attore e gli elementi scenici che condizionano il
suo movimento fisico e psicologico. In questo senso comprendiamo l’espressione di
Copeau che «la vita dell’attore in rapporto allo spazio è movimento. […] Altrimenti
detto noi chiameremo movimento tutte le manifestazioni della vita drammatica in
rapporto allo spazio scenico, tutto ciò che dà allo spazio una inflessione»490.
I rapporti tra attore e luogo d’azione all’interno della scena avrebbero dunque
duplice direzione: l’attore viene condizionato dallo spazio, che però, a sua volta
viene valorizzato, ridimensionato, e assume diverse valenze a seconda dei movimenti
dell’interprete e sulla base delle dinamiche relazioni che questi stabilisce di volta in
volta con esso. Il movimento infatti si realizza in una molteplicità di possibilità, in
quanto subisce le «leggi di equilibrio, di direzione, di durata, d’ampiezza, di
sviluppo, di peso (crescere-diminuire), d’intensità, di continuità»491. Ciò che Copeau
definisce qualità fondamentali.
«Ciascuna delle qualità fondamentali può passare per una infinità di gradi»
che donano varietà e sfumature al movimento; alcune delle coppie che rappresentano
gli estremi di questi gradi sono: «forza-debolezza; durezza-dolcezza; lentezza-
vitalità; pesantezza-leggerezza; grandezza-piccolezza, ecc.»492. Ecco che, per
esempio, per quanto riguarda la durata si va dalla lentezza alla vitalità massima,
mentre quando si tratta di peso dalla pesantezza alla leggerezza massima. Queste
coppie vengono definite da Copeau «qualità secondarie».

490
«La vie de l’acteur par rapport à l’espace, est mouvement. […] Autrement dit, nous appellerons
mouvement toute manifestation de la vie dramatique par rapport à l’espace scénique, tout ce qui donne
à l’espace une inflexion». Boîte 3, cartella 2, pp. 34-35.
491
«Lois d’équilibre, de direction, de durée, d’amplitude, de développement, de poids, d’intensité,
continuité. Ce sont les qualités fondamentales». Boîte 3, cartella 2, p. 34.
492
«Chacune des qualités fondamentales peut passer par une infinité de degrés […] force, faiblesse;
duvet, douceur; lenteur, vitesse; lourdeur, légèreté; grandeur, petitesse,…etc.». Boîte 3, cartella 2, p.
36.
258
I rapporti di una qualità in riferimento a se stessa (per esempio la forza)
possono essere di «continuità, aumento, diminuzione, persistenza, ripetizione,
frammentazione, stabilizzazione, fissità, inflessione, ecc.», mentre i rapporti che
legano i due estremi della coppia (per esempio forza-debolezza) possono essere di
«combinazione, alternanza, successione, ripetizione, associazione, opposizione,
trasferimento, astrazione»493.
Dalla combinazione delle qualità fondamentali con le qualità secondarie e
dalle varie gradazioni che le qualità possono assumere si sviluppa il movimento. Il
tipo di rapporto che si instaura fra queste componenti non deve essere di tipo casuale,
ma «è in funzione dell’opera da esprimere»494. Copeau non approfondisce questo
punto e non dà ulteriori indicazioni sui criteri di scelta, ma dal momento in cui i
rapporti si stabiliscono e si definiscono in funzione di una comunicazione
consapevole, tutte le qualità diventano «qualità espressive»495. Sono esse a
influenzare lo spettatore. Infatti «dalla vita dei rapporti tra le qualità espressive
nascono per lo spettatore gli effetti sensibili»496.
Le qualità espressive sono intese dunque come le qualità di un movimento
pensate e mirate a trasmettere una certa comunicazione, producendo perciò sullo
spettatore un «effetto sensibile» voluto.
È a questo punto del discorso che Copeau introduce il concetto di ritmo:

Tutta la vita ha il suo movimento, è questo movimento qui che si nomina Ritmo. Possiamo
noi dunque dare questa definizione del ritmo all’interno dell’arte drammatica: il ritmo è il
497
movimento dei rapporti tra le qualità espressive .

493
«Continuité, augmentation, diminution, persi stance, répétition, fragmentation, stabilisation, fixité,
inflexion, etc. […] combinaison, alternance, succession, répétition, association, opposition, mutation,
abstration». Boîte 3, cartella 2, p. 37.
494
«[Le rapport] est en fonction de l’œuvre à exprimer». Ibidem.
495
«À ce moment des rapports elles deviennent qualités expressives». Ibidem.
496
«De la vie des rapports entre les qualités expressives naît pour le spetacteur les Effets sensibles
Boîte 3, cartella 2, p. 38.
497
«Toute vie a son mouvement, c’est ce mouvement ici qui se nomme le Rythme. Pouvons-nous donc
donner cette définition du Rythme dans l’art dramatique: Le Rythme est le mouvement des rapports
entre les qualités expressives». Ibidem.
259
In altre parole, per il regista francese, il ritmo si definisce nella relazione
dinamica tra le varie qualità espressive: con il passaggio da una qualità all’altra, da
una sfumatura all’altra, da una gradazione all’altra, si crea e si comunica il ritmo
dello spettacolo.
Tutti questi rapporti sono definiti da Copeau di ordine musicale. Il regista è la
figura incaricata di “orchestrare” i vari elementi e di dirigere i rapporti per una
“melodia” del dramma funzionale ad un piacere estetico. Lo deve fare con pari
accortezza, conoscenza e padronanza delle componenti sceniche di un compositore
che voglia produrre una sinfonia combinando le note a disposizione. Per tale motivo
Copeau definisce il metteur en scène un musicista che deve conoscere la musica per
suonarla. Il linguaggio musicale per un metteur en scène è ovviamente il linguaggio
scenico:

Il regista è il musicista incaricato di ottenere un gioco dopo averlo conosciuto – e più egli è
questo musicista, più questo gioco si avvicina all’opera conosciuta dal poeta – ma lo otterrà
perfetto da attori che saranno degli esecutori, sia pure brillanti, piuttosto che musicisti 498.

L’arte del teatro è musica nel senso che manifesta «l’accordo segreto degli
elementi che la compongono, l’architettura della voce e della parola e dei movimenti
del corpo»499. Per combinare tali elementi in unità il regista deve agire come un
direttore d’orchestra così come l’attore deve possedere un senso musicale. Sviluppare
tale qualità però non significa essere un musicista: «Bisognerà rallegrarsi che un
attore conosca il solfeggio e la musica e essi avranno insegnato all’allievo (?). Ma il

498
«Le metteur en scène est le musicien chargé d’obtenir ce jeu après l’avoir conçu par le poète – mais
il ne l’obliendra pas parfait d’acteurs qui seraient les exécutants, même brillants, plutôt que des
musiciens». Boîte 3, cartella 2, p. 24.
499
«L’accord secret des élèments qui la component l’architecture, de la voix et de la parole, du
mouvement corporel». Boîte 3, cartella 2, p. 25.
260
suo senso musicale non potrà dipendere da questa scienza; si tratta di fornire al suo
senso musicale, in vista del teatro, il suo sviluppo e la sua tecnica particolare»500.
Copeau si rende conto che padroneggiare la musica non è equivalente a
possedere un senso musicale. L’espressione “senso musicale” va intesa a fini teatrali,
come la capacità di muoversi in relazione agli elementi scenici. Rispetto
all’educazione di questo particolare senso, gli appunti di Copeau proseguono in
questo modo: «Si tratterà di dare all’attore un’idea completa delle risorse del proprio
corpo come strumento. Un’idea quanto più vasta possibile dei rapporti fisici di
questo strumento con gli altri strumenti scenici. [Fornire] occasioni diverse e
possibili di esercitare questo strumento ai giochi d’insieme con gli altri strumenti»501.

500
«Il faudra se réjouir qu’un acteur connaisse le solfège er la musique et ils aurons enseignés à
l’élève (?), mais son sens musical ne saurait dépendre de cette science; il s’agit de fournir à son sens
musical en vue du théâtre, son développement et sa technique particulière». Ibidem.
501
«Il s’agira de donner au comédien une idée compléte des ressources de son corps entant
qu’instrument; une idée aussi nombreux que possible des rapports physiques de cet instrument avec
les autres instruments scéniques; des occasions aussi diverses que possible d’exercer cet instrument
aux jeux d’ensemble avec les autres instruments». Boîte 3, cartella 2, p. 27.
261
Capitolo settimo

Scrittura e mise en scène: i due


tempi dello stesso atto

Una scuola per gli autori drammatici

L’attenzione rivolta da Copeau alle produzioni drammatiche del tempo si


accompagna alla critica verso i giovani autori contemporanei e i loro lavori, nei
riguardi dei quali si rivolge con una certa durezza già in uno scritto giovanile del
1905:

Si parla qualche volta di movimento drammatico. È un termine giornalistico. Fa comodo a


certi commercianti per vantare l’eccellenza di una mercanzia in cui trafficano e a qualche
giovane per assicurarsi l’avvenire a profitto di vaghe aspirazioni. Non corrisponde ad alcuna
realtà contemporanea. [...] Gli autori che si recitano, tengono solo al fatto di essere recitati.
Le loro concezioni non sono assolutamente necessarie, ma provvisorie e amorfe. Essi
inventano personaggi in funzione degli attori che li interpretano, che ne saranno i veri, i soli
creatori502.

502
«On parle quelquefois de mouvement dramatique. C’est un terme journalistique. Il est commode à
certains commerçants, pour prôner l’excellence d’une denrée dont ils trafiquent, à quelques jeunes
hommes pour confisquer l’avenir, au profit de leurs vagues aspirations. Il ne correspond à aucune
réalité contemporaine. [...] Les auteurs qu’on joue, tiennent uniquement à être joués. Leurs
conceptions ne sont nullement nécessaires, mais provisoires et amorphes. Ils inventent des
personnages en fonction des comédiens qui les interpréteront, qui en seront les véritables, les seuls
créateurs». JACQUES COPEAU, Lieux Communs, cit., pp. 223 e 227.
262
In una conferenza di molti anni più tardi affronta ancora l’argomento: «Il
sentimento drammatico moderno non ha ancora trovato la sua forma»503, il poeta non
è in grado di esprimere i cambiamenti e i bisogni che sono protagonisti della sua
epoca, causando una rottura nel rapporto con lo spettatore.
Tuttavia l’amarezza palesata per la situazione non è mai stato motivo di
sconforto per il fondatore del Vieux-Colombier, che con il suo repertorio di testi
classici e moderni intende rinsaldare il legame tra la scrittura, il teatro e i principali
protagonisti di questo rapporto (ossia attore, autore e pubblico):

Ho scritto già altre volte che prima di tentare utilmente qualsiasi riforma del teatro,
bisognerebbe purificarlo e rendergli onore, riportandovi le grandi opere del passato, affinché i
poeti d’oggi, presi da filiale rispetto per quella scena tanto avvilita, ambiscano a loro volta ad
accedervi. Nostra prima cura quella di mostrare una particolare venerazione verso i classici
antichi e moderni, francesi e stranieri. Non si esagera nel dire che sono pressoché ignorati dal
pubblico. Noi li proporremo come costante esempio, come antidoto al falso gusto e alle
ubriacature estetiche, come termine di riferimento del giudizio critico, come rigoroso
insegnamento per gli autori e gli interpreti del teatro d’oggi 504.

503
«Le sentiment dramatique moderne n’a pas encore trouvé sa forme». JACQUES COPEAU,
Conférence au Laboratory Theatre, cit., p. 137. Si segnala in questa nota, in breve, che le
considerazioni di Copeau sul poeta teatrale si modificano nel corso degli anni. In Théâtre populaire
annota dei cambiamenti significativi rispetto al passato: «I giovani […] hanno ripreso il contatto con i
grandi classici, Molière è vivo per loro, anche il teatro greco lo è, non ignorano i teatri orientali e
hanno dato un’occhiata alla Commedia dell’Arte. Possiedono una grande fiducia nell’attore e non
cercano più di stupire con dei cambiamenti di scena. Hanno ritrovato la poesia». JACQUES
COPEAU, Il teatro popolare, p. 131.
504
«J’ai déjà écrit qu’avant de tenter utilement sur le théâtre une réforme quelconque, il faudrait
l’assainir, l’honorer, en y rappelant les grandes œuvres du passé, afin que les poètes d’aujourd’hui,
repris d’un filial respect pour cette scène qu’on leur avait ternie, ambitionnent d’y monter à leur tour.
Notre premier souci sera de marquer une vénération particulière aux classiques anciens et modernes,
français et étrangers. Il n’est point excessif de dire qu’ils sont ignorés du public. Nous les proposerons
comme un constant exemple, comme l’antidote du faux goût et des engoûments esthétiques, comme
l’étalon du jugement critique, comme une leçon rigoureuse pour ceux qui écrivent le théâtre
d’aujourd’hui et pour ceux qui l’interprètent». JACQUES COPEAU, Un essai de rénovation
dramatique, cit., pp. 344-345. Identico pensiero è espresso anche in PREMIÈRE CONFÉRENCE. Sul
repertorio del Vieux-Colombier e il rapporto di Copeau con la drammaturgia cfr. MARIA INES
263
Lo scritto, se da un lato mette ancora una volta in rilievo il giudizio negativo che
Copeau riserva alla maggior parte della produzione drammatica del tempo, dall’altro
evidenzia la possibilità di far assurgere il testo classico a modello di riferimento per i
nuovi autori che desiderano accostarsi con sapienza e sensibilità alla scena. Lo studio
degli antichi in particolare è posto come modello imprescindibile, da cui l’arte
francese deve sentirsi discendente:

Il linguaggio antico è stato temperato e comune a tutti. L’arte è delicatezza, gioiosità, ironia e
semplicità, è l’espressione di uno stato di civilizzazione perfetta. L’arte antica ha l’odio dei
falsi ornamenti, il disprezzo dell’esagerazione, il disgusto degli effetti violenti e ricercati, è
scarna e universale, è le pur naturel ellenico. Questa scioltezza, questa ponderazione, questa
purezza naturale si ritrovano nelle opere francesi [...]. L’arte della Francia barcollerebbe il
giorno in cui perdesse di vista le sue origini greco-latine505.

Nonostante lo sguardo volga alle grandi opere del passato, il metteur en scène
è attento all’educazione e all’incoraggiamento dei giovani poeti: «Per rendere il
teatro a se stesso, non bisogna che renderlo al poeta. Non al poeta di ieri. Ma a quel
creatore drammatico di domani che, prendendo coscienza di sé, comprenderà di
essere il maestro della scena che abbiamo costruito per lui»506.

ALIVERTI, Jacques Copeau, Bari, Laterza, 1997, pp. 3-31. Alle pp. 95-98, Aliverti segnala date e
luoghi delle prime rappresentazione con la regia di Copeau o dei Copiaus.
505
«Le langage attique lui-même était tempéré et commun à tous. L’art est délicatesse, enjoument,
ironie et simplicité, c’est l’expression d’un état de civilisation parfaite. L’art attique a la haine des
faux ornements, le mépris de l’exagération, le dégoût des effets violents et cherchés, il est dépouillé et
universel, c’est le pur naturel hellénique. Cette aisance, cette pondération, ce pur naturel se retrouvent
dans les œuvres françaises [...]. L’art de la France tituberait le jour où il perdrait de vue ses origines
gréco-latines». note prese da Marie-Hèlène Dasté al corso di Teoria del teatro, tratte da un cahier
intitolato École du Vieux-Colombier 1921-22, pubblicato in REG. VI ÉCOLE, pp. 283-295. La citazione
si trova a p. 288. D’ora in poi il documento verrà citato MARIE-HÉLÈNE DASTÉ, École du Vieux-
Colombier 1921-22. Corso di Teoria del teatro.
506
«Pour rendre le théâtre à lui-même, il n’est besoin que de le rendre au poète. Non pas au poète
d’hier. Mais à ce créateur dramatique de demain qui, en prenant conscience de lui-même, comprendra
qu’il est le maître de la scène que nous aurons construite pour lui». JACQUES COPEAU,
264
A sottolineare la speranza riposta nell’autore teatrale, non solo gli appelli di
Copeau alla categoria all’interno di alcuni scritti (L’Appel du Théâtre à la Poésie, Le
Poète au Théâtre, Conferenza al Laboratory Theatre), non solo le numerosissime
messe in opera di testi contemporanei (di Jean Schlumberger e Henri Gheon, di
Georges Duhamel, Charles Vildrac e René Benjamin507), ma anche il Vieux-
Colombier come ricettacolo di numerosi manoscritti di giovani drammaturghi che,
alla ricerca di un ingaggio o di un consiglio, inviano i copioni a Copeau508. Più di
ogni altra cosa, però, la grande fiducia riposta nel giovane poeta viene rivelata dalla
scuola del Vieux-Colombier.
Fin dal principio Copeau dichiara di volere organizzare un insegnamento in
grado di modificare il teatro dalle fondamenta: «Dobbiamo rinnovare da cima a
fondo il personale del teatro [...]. Ci proponiamo oggi di creare un’École du Vieux-
Colombier, scuola professionale degli artisti e degli artigiani del teatro futuro»509.
Riconoscendo che per Copeau, almeno nei primi anni di lavoro, le basi del teatro si
rintracciano nella drammaturgia, il programma potrebbe fare implicito riferimento,
fra la schiera di artisti e di artigiani da formare, anche ad un’educazione
drammaturgica, cioè allo studio e all’esercizio della scrittura teatrale. Infatti,
all’interno di un cahier dedicato alla scuola e redatto nel 1921, Copeau
approfondisce la questione e conferma l’ipotesi:

Renouvellement, testo pubblicato all’interno del programma del Vieux-Colombier per le messinscena
di Paquebot Tenacity di Charles Vildrac e di Carosse du Saint-Sacrement di Prosper Mérimée il 5
marzo 1920, in REG. I APPELS, pp. 167-168.
507
Degli autori citati Copeau mette in scena le seguenti opere: Jean Schlumberger, Les Fils Louverné
(1913) e La mort de Sparte (1921); Henri Gheon, L’eau de vie (1914) e Le pauvre sous l’escalier
(1921); Georges Duhamel, L’œuvre des athlètes (1920); Charles Vildrac, Le paquebot Tenacity (1920)
e Michel Auclair (1922); René Benjamin, La pie borgne (1922), Les palisirs du hasard (1922) e Il faut
que chacun soit à sa place (1923). Molti dei contemporanei scelti appartengono allo stesso milieu
culturale e letterario di Copeau.
508
«Penso agli sconosciuti, e in più gran parte non rappresentati, che ci spediscono i loro copioni e
sollecitano i nostri consigli. Sono moltissimi». JACQUES COPEAU, Leva teatrale, cit., p. 4.
509
«Nous avons à renouveler de fond en comble le personnel du théâtre [...]. Nous nous proposons
aujourd’hui de créer une École du Vieux-Colombier, école professionnelle des artistes et des artisans
du Théâtre futur». PROJET 1916, pp. 124-125.
265
L’École du Vieux-Colombier fa appello non solamente ai futuri attori per dar loro la
conoscenza della loro arte e la pratica del loro mestiere [...], ma ancora ai giovani scrittori e
poeti, perché siano messi in guardia da una parte contro le formule fatte e il vuoto
virtuosismo, e dall’altra perché imparino la vera scienza che non separa l’arte dal mestiere, il
vero senso drammatico che non è affatto solamente letteratura e può svilupparsi solo a
contatto delle realtà del teatro510.

Non si dimentichi, infine, che Copeau si pone come obiettivo futuro una
École générale de Théâtre et de Littérature, un nome che già di per sé indica
l’attenzione della scuola non verso per gli operatori di teatro in senso stretto, ma
anche per autori, critici, letterati.
Per l’anno scolastico 1921-1922 i corsi denominati aperti e quelli definiti
pubblici sono espressamente organizzati per chi non si indirizza in modo specifico
all’arte attorica, fra cui Copeau menziona i giovani scrittori, autori o critici
drammatici. I corsi pubblici consistono nello studio del repertorio del Vieux-
Colombier, a partire dai testi classici: «Letture, commenti, spiegazioni dei punti di
vista letterari e tecnici, in rapporto al jeu e alla mise en scène»511. I corsi aperti,
invece, sono strutturati in modo tale da prevedere una parte teorica consistente; in
Teorie del teatro si forniscono modelli di riferimento ed esempi concreti di opere
antiche: così si legge e si discute della tragedia di Eschilo, Sofocle, ed Euripide, del
dramma satirico, della commedia, di Aristofane. Un secondo insegnamento, Tecnica
poetica, è diviso in due parti: la prima, tenuta da Jules Romains, affronta le regole
della prosodia generale e antica e le teorie di versificazione francese classica e

510
«L’École du Vieux-Colombier fait appel non seulement aux futurs comédiens pour leur donner la
connaissance de leur art et la pratique de leur métier [...]; mais encore aux jeunes écrivains et poètes,
pour qu’ils y soient mis en garde d’une part contre les formules toutes faites et la creuse virtuosité, et
pour que d’autre part ils y acquièrent la vraie science qui ne sépare pas l’art du métier, le vrai sens
dramatique qui n’est point seulement littérature et ne saurait se développer qu’au contact des réalités
du théâtre». CVC2, p. 47. Il testo continua elencando le altre categorie per cui si prevede una
formazione all’interno della scuola, e cioé: régisseurs, metteurs en scène, direttori, studiosi di teatro,
ma anche semplicemente amatori.
511
«Lecture, commentaire, explication aux points de vue littéraire et technique, sous le rapport du jeu
et de la mise en scène». Présentation de l’École, son fonctionnement et ses programmes, cit., p. 258.
266
moderna; la seconda parte prevede invece dimostrazioni ed esercizi pratici assieme a
Georges Chennevière. Nel programma si trova l’indicazione: «Correzione di lavori
scritti»512, facendo pensare che si propongano agli allievi delle esercitazioni da
svolgere, forse in orario extrascolastico. Nell’introduzione al corso Romains descrive
la parte del collega con riferimento a esercizi di prosodia, esempi sul modo in cui si
applicano le regole drammatiche, si costruiscono versi, strofe, poemi 513. Infine, per la
formazione del poeta drammatico, Copeau e collaboratori reputano necessaria non
solo la conoscenza degli autori antichi, ma anche della vita comunitaria,
dell’organizzazione, delle scuole filosofiche, della storia dell’antica civiltà greca, in
considerazione di un rapporto strettissimo tra l’arte e la società ellenica. Questo corso
viene tenuto da Chennevière.
I corsi chiusi, istituiti per gli aspiranti attori, prevedono invece una sola
materia letteraria: lingua francese con esercizi di grammatica, vocabolario e
spiegazione di testi. I corsi di Tecnica poetica e Teoria del teatro (incentrata sul
teatro greco), sono inseriti solo nei corsi aperti, a riprova che questi sono pensati per i
giovani letterati.
Una scuola di scrittura drammatica si presenta come una novità agli inizi del
Novecento, almeno secondo quanto scrive Jules Romains, che, come già ricordato,
oltre ad essere insegnante di tecnica poetica assieme a Chennèviere, è anche direttore
dell’École per il primo anno:

Se, sentendovi una vocazione poetica, volete apprendere il mestiere di poeta, non scoprirete
in tutto il mondo una sola scuola dove si insegna questo mestiere, non un laboratorio, non un
corso di campagna. A voi reinventare il vostro mestiere, coglierne i segreti per briciole e con
un po’ di fortuna. A meno che, disgustati da tale sforzo, non decidiate un bel giorno che non
c’è più il mestiere del poeta, e che l’opera sia un oggetto che cade dal cielo già formato514.

512
«Correction des travaux écrits». Ivi, p. 259.
513
JULES ROMAINS, Petite introduction à un cours de Technique poétique, cit., p. 257.
514
«Si, vous sentant une vocation de poète, vous voulez apprendre le métier de poète, vous ne
découvrirez pas dans le vaste monde une seule école où l’on enseigne ce métier-là, pas même un
atelier, pas même une cour de campagne. À vous de réinventer votre métier, d’en attraper les secrets
par bribes et au petit bonheur. À moins que, dégoûté d’un tel effort, vous ne décidiez un beau jour
267
La considerazione di Romains, certamente condivisa da Copeau, lascia intendere la
convinzione che scrivere non sia un’arte che “discende dal cielo”, un dono naturale,
ma che, come le altre arti, necessiti di una componente di mestiere, in cui si
apprendano gli strumenti per osservare il mondo e filtrarlo attraverso la complessità e
la ricchezza della lingua scritta. L’inclinazione alla drammaturgia non va mai
disgiunta dall’educazione, come sostiene con forza anche Copeau:

L’istinto non basta. Chi dice “grande arte” dice intelligenza e ragione. Non basta sentire.
Occorre pensare, e ben pensare. Per ben sentire, in ambito artistico, bisogna ben pensare. Non
sentire qualsiasi cosa, indifferentemente. Sentire scegliendo. Ciò è il risultato, nell’artista ben
educato e istruito, di un matrimonio misterioso fra l’istinto e la ragione, fra sentire e pensare.
Niente nasce senza il dono. Niente si sviluppa né dura senza la Scienza 515.

Copeau, Romains, Chennevière, non teorizzano alcunché di nuovo quando


parlano dell’esistenza di regole poetiche e di versificazione, ma sostengono con forza
che i principi insegnati nelle varie scuole siano “decadenti”; in fondo, dichiara
Romains, «i prodotti più belli dell’arte moderna non hanno per origine la rivolta
dell’istinto creatore contro l’insegnamento tradizionale?»516. Pertanto gli strumenti di

qu’il n’y a plus de métier de poète, et que le poème est un objet qui tombe du ciel tout façonné». Ivi, p.
253.
515
«L’instinct ne suffit pas. Qui dit “grand art” dit intelligence et raison. Il ne suffit pas de sentir. Il
faut penser, et bien penser. Pour bien sentir, en art, il faut bien penser. Ne pas sentir n’importe quoi,
indiscrètement. Sentir avec choix. C’est la résultat, chez l’artiste bien doué et bien instruit, d’un
mariage mystérieux entre l’instinct et la raison, le sentir et le penser. Rien ne naît sans le don. Rien ne
se développe ni ne dure sans la Science». Note inedite di Jacques Copeau sul corso di Teoria del
teatro, in REG. VI ÉCOLE, pp. 281-283. Citazione a p. 282. D’ora in poi JACQUES COPEAU, Teoria
del teatro. Alle sue parole fanno eco quelle di Chennevière: «Devrons-nous répéter, une fois de plus,
que nous ne nous proposons pas – ce qui serait ridicule – d’enseigner le génie, mais de fournir aux
poètes l’outil qui leur permette de s’en servir?». GEORGES CHENNEVIÈRE, L’École du Vieux-
Colombier, in «L’Alsace française», 17 décembre 1921, pp. 817-819.
516
«Les plus beaux produits de l’art moderne n’ont-ils pour origine la révolte de l’instinct créateur
contre l’enseignement traditionnel?». JULES ROMAINS, Petite introduction à un cours de Technique
poétique, cit., p. 254.
268
supporto al genio creativo vanno rivoluzionati, stimolando un apprendimento attivo
dell’allievo.
Per questi autori la necessità di ritrovare nuovo slancio è impellente, pena la
continua depauperazione dei testi teatrali e della scena. La scuola rappresenta parte
della soluzione: uno scrittore di teatro deve conoscere quanto meno le opere alla base
della cultura teatrale di appartenenza, ma lo studio teorico non esaurisce la
formazione. Egli deve anche crescere a contatto con le regole del palcoscenico, per
comprendere che l’opera non è scrittura in astratto, ma si costruisce attraverso un
dialogo costante con le problematicità e le possibilità poste dalla mise en scène517.

È di scena il poeta

Così come per l’attore, anche per l’autore la formazione deve essere teorica e
pratica. Ma per Copeau il poeta drammatico non solo si deve formare a contatto con
la scena, ma la dovrebbe considerare il luogo di lavoro: «Una buona opera
drammatica non deve adattarsi alla scena. Ci è nata, per così dire. La occupa e la
possiede naturalmente. L’azione si tiene in sospeso dentro al testo, come un
danzatore immobile è ispirato già dal ritmo che lo libererà»518. La considerazione è
sostenuta dagli esempi di grandi drammaturghi del passato come Eschilo,
Shakespeare e Molière. In un intervento dedicato allo scrittore inglese Copeau scrive:

517
Copeau comprende presto, precisamente con l’adattamento teatrale di Les frères Karamazov, che
esiste una differenza fra le regole del testo drammaturgico e quelle della scena, che devono però
incontrarsi nella mise en scène.
518
«Un bon œuvrage dramatique n’a pas à s’adapter à la scène. Il y est né pour ainsi dire. Il l’occupe
et la possède naturelement. L’action se tient en suspens dans le texte, comme un danseur immobile est
inspiré déjà par le rythme qui va le délivrer». JACQUES COPEAU, Metteur en scène, in «Nouvelles
Littéraires», 15 octobre 1932, p. 10. Concetti simili si ritrovano disseminati in numerosi scritti, di cui
si riportano brevi citazioni: «Il creatore drammatico deve avere sotto i piedi la sua scena, il suo
strumento». SIXIÈME CONFÉRENCE, p. 522. «Il est vrai qu’à la formation du dramaturge ne suffit pas le
travail enragé sur la page écrite. Il y faut l’expérience réeditée de la scène». JACQUES COPEAU,
Pour la sauvegarde du théâtre d’art, cit.
269
La rappresentazione di un’opera di Shakespeare libera tutte le risorse dell’emozione umana,
scuote tutte le facoltà dell’immaginazione. Da dove viene questo ascendente del poeta? Dalla
sua libertà. E da dove viene questa libertà? Dal suo genio, s’intende. Ma da un genio che
funziona all’interno di condizioni tecniche date, su uno strumento al quale si adatta, e le cui
resistenze lo ispirano519.

Il contatto diretto e prolungato con la scena e la compagnia influenza secondo


Copeau la produzione poetica perché pone la creazione drammatica di fronte ai
problemi concreti, e non supposti, che sorgono dall’organizzazione delle componenti
sceniche, e che stimolano l’autore a risoluzioni creative. Copeau ricorre all’esempio
di Eschilo e Shakespeare, che creano i loro drammi in funzione di una architettura
ben definita, l’uno per la scena greca, l’altro per quella elisabettiana; allo stesso
modo dovrebbe lavorare l’autore contemporaneo, per essere consapevole delle
potenzialità e dei limiti a disposizione. Tuttavia non si tratta solo del dialogo fra la
struttura drammatica e la struttura teatrale, ma anche del rapporto tra autore e attore,
che richiama in causa la Comédie Nouvelle. Nella nuova forma teatrale pensata da
Copeau il comédien offre le sue improvvisazioni all’autore che ha così accesso ad un
ricchissimo bagaglio da utilizzare e riutilizzare, plasmare e affinare nelle sue
creazioni; l’autore dovrebbe scrivere battute e scenari, traendoli da esercizi,
improvvisazioni, profili di personaggi, spettacoli precedenti. È questa, secondo
Copeau, una capacità propria di Molière, di Ruzante, di Gozzi e dalle loro storie
ricava queste considerazioni:

Credo che sia eccellente per l’autore drammatico ai suoi inizi, non doversi troppo
preoccupare di originalità e di distinzione, né doversi dar pena di personaggi, sentimenti e
idee, ma al contrario accettare semplicemente di piacere al pubblico, e, per questo, prendere a
prestito dalle rozze abitudini della scena i tipi, le storie, i movimenti, i costumi e gli

519
«La raprésentation d’une œuvre de Shakespeare délivre toutes les sources de l’émotion humaine,
ébranle toutes les facultés de l’imagination. D’où vient cette emprise directe du poète? De ce que nous
appelons sa liberté. Et d’où lui vient cette liberté? De son génie bien entendu. Mais d’un génie qui
fonctionne dans conditions techniques données, sur un instrument auquel il est adapté, et dont les
résistances l’inspirent». JACQUES COPEAU, Shakespeare ou la livraison de l’emotion humaine, in
Shakespeare degli italiani. I testi scespiriani ispirati da fatti e figure della nostra storia e della nostra
leggenda, Torino, Società editrice Torinese, 1950. Citazione a p. LXXI.
270
accessori, e infine mettere alla prova il proprio talento nel maneggiare questo materiale
ridotto, nel disegnare qualche gesto, nel legare qualche battuta520.

Anche il carattere, il temperamento e le abitudini dell’attore possono rivelarsi


preziosi per ispirare il poeta, sicché Copeau guarda con nostalgia alla consuetudine
passata del drammaturgo di rimanere a seguito di una compagnia, scrivendo
personaggi ad hoc per gli attori, al pari del sarto che cuce l’abito a pennello per la
persona che lo vestirà. Così come il costumista necessita di prendere esattamente le
misure per confezionare un vestito, così l’autore può tener conto della natura e della
personalità dell’attore per ideare il personaggio. È solo attraverso la frequentazione
della troupe, che l’autore può avere a disposizione tutto questo materiale ricco e
multiforme, da plasmare con genio ed esperienza, con maestria e pazienza:

Ebbene, io sostengo che l’attore, per riconoscere così la delicata sovranità del poeta, deve
anzitutto essere conosciuto da lui. Perché l’attore reciti per il poeta occorre che il poeta
sappia scrivere per l’attore. Se pretendiamo dall’attore che comprenda la particolarità di un
carattere, il senso di una situazione, il meccanismo di una scena, il fraseggio di una battuta, in
una parola se pretendiamo da lui che penetri fino a un certo punto nei procedimenti dell’arte
del poeta, è giusto – e ancor più necessario – che chiediamo al poeta di assimilare abbastanza
profondamente i procedimenti dell’arte dell’attore per non ostacolarli, ed anzi per imprimere
loro lo slancio, invitarli alla loro perfezione, toccando la tastiera nel punto più sensibile e più
giusto521.

520
«Je crois qu’il est excellent pour l’auteur dramatique à ses débuts de n’avoir point trop à se soucier
d’originalité et de distinction, ni à se mettre en peine de personnages, de sentiments et d’idées, mais au
contraire d’accepter tout de go de plaire au public et, pour cela d’emprunter aux grosses habitudes des
planches leurs bonshommes, leurs histoires, leurs mouvements, leurs costumes et leurs accessoires, et
enfin de mettre ò l’épruve ce qu’on a de talent au maniement de ce matériel réduit, au dessin de
quelques gestes, à la cohésion de quelques répliques». JACQUES COPEAU, Molière farceur,
prefazione a MOLIÈRE, Farces, Lyon, IAC, 1943, pp. I-XXIV, in REG. II MOLIÈRE, pp. 76-85.
521
«Eh bien je dis que pour reconnaître ainsi la délicate souveraineté du poète, il faut que le comédien
ait tout d’abord été connu par lui. Pour que l’acteur joue pour le poète, il faut que le poète sache écrire
pour l’acteur. Si nous exigeons de l’acteur qu’il ait à comprendre la particularité d’un caractère, le
sens d’une situation, le mécanisme d’une scène, le phrasé d’une réplique, en un mot si nous exigeons
de lui qu’il entre jusqu’à un certain point dans les procédés de l’art du poète, il est juste – et il est
encore plus nécessaire – que nous demandions au poète de s’assimiler assez profondément les
271
Niente di tutto questo ha a che vedere con la sottomissione all’arroganza di
quegli attori che si ritagliano la parte o che la commissionano su misura per mettersi
in luce attraverso il testo. Copeau sostiene fortemente il contrario: la conoscenza
approfondita dell’attore e il rispetto che questi può sviluppare nei confronti del poeta
dalla sua vicinanza, consente al primo di riconoscerne l’autorità e al secondo di non
cedere alle debolezze morali, ai ricatti, alla pigrizia del comédien.
Il poeta, secondo quest’ottica, deve ritrovare il suo posto in scena, rinsaldare
una rottura che lo ha portato, differentemente dal passato, ad essere estraneo alla
realizzazione dei suoi drammi, indifferente ai mezzi materiali di messinscena522.

procédés de l’art de l’acteur pour ne pas les contrarier, mais, au contraire, leur donner l’essor, les
inviter à leur perfection, en frappant le clavier au point le plus sensible et le plus juste». JACQUES
COPEAU, Le poète au théâtre, cit., pp. 162-184.
522
Scrive Copeau consigliando Roger Martin du Gard sui suoi lavori: «Nous devons renoncer à être
des gens de lettres écrivant en vue de la scène. […] Il s’agit de se soumettre à des conditions, d’obéir,
d’être entraîné, forcé». Lettera di Copeau a Du Gard del 1919, in REG. III, pp. 48-50. Citazione a p. 48.
In Copeau non troviamo riferimento a drammaturghi come Dumas, Vichy e Hugo che non solo
presenziano all’allestimento dei loro spettacoli, ma dirigono apertamente la mise en scène. Questo
dimostra che una modalità di lavoro in cui la composizione drammatica si modella sulla
rappresentazione è già in qualche modo in essere nell’ambito francese ottocentesco, in quelli che sono
stati recentemente studiati come esempi di pre-regia. Elena Randi lo mette ben in evidenza in un
volume di rilevante importanza. Fra i molti esempi riportiamo un passo dell’analisi della messinscena
del Chatterton di Vigny: «Dalla stretta affinità tra le redazioni per lo spettacolo e per la pubblicazione
si possono compiere due deduzioni. La prima è che Vigny detiene un potere direttivo forte, una
notevole autorità, una resistenza a lasciarsi prendere la mano dagli attori: ogni decisione assunta in
sede di répétitions è da lui approvata, non è il frutto di un suo cedimento ad una volontà degli
interpreti non condivisa, come conferma la conformità tra la prima edizione e le scelte operate nella
rappresentazione testimoniate dalle recensioni. […] La seconda deduzione è che la messinscena
costituisce la tappa finale della creazione: se la partitura drammaturgica più antica, composta “a
tavolino” ed espressa dal manoscritto autografo, è il pre-testo di una creazione successiva che si
realizza a teatro, il prodotto a stampa (quanto meno quello del Chatterton) è per Vigny, come Daniels
osserva, un mero “post-testo, il pallido riflesso di un’opera d’arte che esiste soltanto in scena». Elena
Randi in nota chiarisce che la citazione è di B. V. Daniels in Alfred de Vigny, poète et metteur en
scène. ELENA RANDI, I primordi della regia. Nei cantieri teatrali di Hugo, Vigny, Dumas, Bari,
272
Un esempio viene dalla collaborazione con Paul Claudel, di cui Copeau
ammira l’opera523. Nel 1914 al Vieux-Colombier viene rappresentata la commedia in
tre atti L’Échange, accolta con un tiepido successo di pubblico. Si sa che, come negli
usi della Comédie Française, Claudel, arrivato a Parigi il 9, lavora allo spettacolo
prima della rappresentazione, che avviene il 23 gennaio 1914. La presenza di Claudel
è tale che il catalogo dell’esposizione organizzata per il cinquantesimo anniversario
del Théâtre du Vieux-Colombier lo indica come il regista della pièce524. La presenza
dell’autore alle prove, ma anche la precedente corrispondenza fra Copeau e Claudel,
rileva il ruolo attivo del poeta nel fornire consigli e quello del regista di essere
mediatore, permettendo dei confronti anche sulla scelta degli attori. Claudel
dapprima chiede a Copeau di essere messo a conoscenza delle linee guida sulla
messinscena, poi gli fornisce precisazioni sulla psicologia dei personaggi, e avanza
anche indicazioni sui costumi. Dal canto suo, Copeau gli sottopone le maquettes dei
costumi, avanza proposte di realizzazione scenica, e lo consiglia sul modo di guidare
gli attori, secondo l’ideologia del Vieux-Colombier: suggerire e fornire indicazioni
generali, ma lasciando al comédien una certa libertà di “vivere” nel personaggio.
Dagli studi compiuti su Claudel si conosce il desiderio di presenziare alle
prove dei suoi lavori con l’obiettivo non solo di assicurare la fedeltà al testo, ma
anche di verificare il testo stesso e operarne sulla base delle prove con gli attori,
come segnalano Jacques Petit e Pierre Kempf nella pubblicazione critica dell’Otage:
«Mai Claudel ha partecipato alle prove di una delle sue pièces solamente per

Pagina, 2009, pp. 162-163. Per i riferimenti su Daniels nota 23. Prima ancora questa consuetudine era
proprio di autori settecenteschi quali Voltaire e Goldoni, e addirittura secenteschi se si pensa a Racine.
523
Per il rapporto su Copeau e Claudel e la pubblicazione della loro corrispondenza, cfr. PAUL
CLAUDEL, Claudel homme de théâtre. Correspondances avec Copeau, Dullin, Jouvet, établies et
annotées par Henri Micciollo et Jacques Petit, Paris, Gallimard, 1966. Tuttavia, colui che più di tutti
riesce a realizzare il sogno di Copeau di un poeta che si unisce alla scena, parte integrante della
compagnia, per la quale scrive e con la quale realizza, è André Obey. Cfr. SOUVENIRS, pp. 78-79.
524
Cfr. Jacques Copeau et le Vieux-Colombier, exposition organisée pour le cinquantième
anniversaire de la fondation du Théâtre et l’entrée, à la Bibliothèque de l’Arsenal, de la Collection
Jacques Copeau, Paris, Bibliothèque Nationale, 1963.
273
assicurarsi della fedeltà degli interpreti al suo testo, ma per scoprire con loro, per
loro, ciò che questo testo andava divenendo»525.
In realtà, ciò non realizza solamente una convinzione dello scrittore, ma
anche del regista Copeau, per il quale restituire la scena, laddove possibile,
all’autore, ha un significato che va oltre il desiderio di assicurarsi che il testo sia
rappresentato secondo il volere del suo creatore. Il rispetto dell’opera è
fondamentale, ma, ancor prima, la presenza assidua del poeta è il riconoscimento del
ruolo della mise en scène come parte integrante della creazione: essa verifica,
corregge, arricchisce il testo.

Il regista e l’esegesi del testo

Fra i registi primonovecenteschi che supportano e consolidano la nascita della


regia si inserisce certamente Jacques Copeau. Fedele a questa rivoluzione teatrale,
egli consacra la difesa e la valorizzazione del testo a baluardo della mise en scène526.
Per il regista francese l’ideale della creazione drammatica è rappresentato
dalla presenza viva del drammaturgo nel processo di allestimento, a contatto diretto
con gli attori. Nell’attesa che si rinsaldi la frattura tra il poeta e la scena, e nella
considerazione che per ovvie limitazioni temporali non sempre questo si verifica,
l’«unità primitiva» – come la chiama Copeau – fra l’autore e la sua opera può essere
ricucita dalla presenza del regista, che si pone come mediatore e «animatore»
drammatico, e al quale spetta il compito di intendere le intenzioni dell’autore e di
rispettarle. In questo senso va intepretata l’affermazione che segue: «Niente è più
terrificante di un regista che ha delle idee. Il suo ruolo non è avere delle idee, ma di

525
«Jamais Claudel n’a participé aux répétitions d’une de ses pièces seulement pour s’assurer de la
fidélité des interprètes à son texte, mais pour découvrir avec eux, par eux, ce que ce texte allait
devenir». JACQUES PETIT, PIERRE KEMPF, L’Otage de Paul Claudel: introduction, variantes et
notes, Paris, Les Belles Lettres, 1977.
526
Cfr. Maria Ines Aliverti, in MARIA INES ALIVERTI, Jacques Copeau, cit, pp. 80-91.
274
comprendere e rendere quelle dell’autore, non forzarle né attenuarle in nulla, tradurle
con fedeltà nel linguaggio del teatro»527.
Per questo motivo, secondo Copeau, trattandosi di comprendere e svelare il
significato implicito al testo, l’interpretazione “giusta” dello scritto non può che
essere una sola: «Penso che per un’opera ben concepita per la scena esista una messa
in scena necessaria, e una sola, quella che è inscritta nel testo dell’autore»528.
Ma come procede il regista di fronte al testo? Mentre per l’attore, l’autore e
gli altri operatori del teatro (macchinisti, scenografi, costumisti) Copeau rivendica la
necessità di un’educazione che sovverta il peso attribuito alla vocazione, alle
capacità naturali, all’istinto, per quanto riguarda la figura del regista, la capacità
intuitiva e la propensione al mestiere, sembrano essere invece facoltà prioritarie:
«Quali sono i metodi che conducono a leggere bene un testo? Sarei molto
imbarazzato a dirlo. Credo che non si possa apprenderlo. È un dono, è una grazia che
ci è data; è un’ispirazione analoga a quella del poeta, di un ordine meno elevato, ma
della stessa natura»529.
Più di dieci anni dopo, al Maggio musicale fiorentino, il concetto viene
ripreso da Copeau. In questo intervento conferma la proprietà naturale di cui gode il
regista, la capacità innata di interpretare i segni, sfuggendo ancora una volta il
discorso del metodo, ma offrendo almeno un nuovo riferimento: quello alla sincerità,
intesa come la qualità morale della semplicità e dell’umiltà. Il regista deve sviluppare
la consapevolezza di essere, al pari dell’attore, lo strumento del poeta:

Se si tratta di un testo letterario, e in particolare di un testo drammatico, da cosa saremo


guidati, quale segno ci farà riconoscere il cammino nascosto che è il cammino della verità?

527
«Rien n’est plus terrifiant qu’un metteur en scène qui a des idées. Son rôle n’est pas d’avoir des
idées, mais de comprendre et de rendre celles de l’auteur, de ne les forcer ni de les atténuer en rien, de
les traduire avec fidélité dans le langage du théâtre». JACQUES COPEAU, Une rénovation
dramatique est-elle possible?, cit, p. 268.
528
«Je pense que pour une œuvre bien conçue pour la scène il existe une mise en scène nécessaire, et
une seule, celle qui est inscrite dans le texte de l’auteur». Ivi, pp. 268-269.
529
«Quelles sont les méthodes qui conduisent à bien lire un texte? Je serais bien embarrassé de le dire.
Je crois que cela ne peut guère s’apprendre. C’est un don, c’est une grâce qui nous est donnée; c’est
une inspiration analogue à celle du poète, d’un ordre moins élevé». Ivi, pp. 268.
275
Poiché, verso ogni realizzazione, esiste un cammino della verità, un cammino per il quale
l’autore è passato e che è nostra missione ritrovare per passarvi a nostra volta. Ancor più: noi
riconosceremo il valore di un testo drammatico per l’appello che ci fa nel senso della fedeltà,
per il poco di libertà che ci lascia, per i comandi che ci dà, per la servitù che ci impone. E
lavorando entro questi limiti, dibattendoci in questi legami, ritroveremo la confidenza del
mistero e il segreto della vita. Tramite quale operazione? Proprio questo è difficile a dirsi.
Non mi inoltrerò in considerazioni tecniche. Ciò che mi interessa qui è l’atteggiamento di un
interprete supremo di fronte a un’opera suprema. Definirò questo atteggiamento facendo
ricorso all’uso di doni intellettuali quali l’intelligenza e la forza dell’attenzione, ma
soprattutto a qualità morali tra cui le più rare e preziose sono la semplicità e l’umiltà. Questi
doni, queste qualità, illuminati dallo studio, e fortificati dal lavoro, producono in noi ciò che
si designa con una parola che occorre ben capire poiché dice tutto: la sincerità. È la sincerità
a introdurci alla conoscenza profonda. Ma questa conoscenza stessa permane quasi
indefinibile. Essa non fa parte dell’ordine della conoscenza intellettuale, e non si ottiene né
attraverso i dati dell’erudizione, né attraverso i ragionamenti logici, e neppure con
l’applicazione di metodi speciali. È una facoltà di contatto, una intuizione naturale, una
rivelazione che, oserei dire, è di essenza musicale. [...] Si tratta semplicemente di mettersi in
condizioni di sensibilità per ritrovare la vita, per rianimare lo stile 530.

530
«S’il s’agit d’un texte littéraire, singulièrement d’un texte dramatique, par quoi seron-nous guidés,
à quel signe reconnaîtrons-nous le chemin caché qui est le chemin de la vérité? Car, vers toute
réalisation, il existe un chemin de la vérité, un chemin par lequel l’auteur a passé et que notre mission
est de retrouver pour y passer à notre tour. Bien plus: nous reconnaîtrons la valeur d’un texte
dramatique à l’appel qu’il nous fait dans le sens de la fidélité, au peu de liberté qu’il nous laisse, aux
commandements qu’il nous donne, à la servitude qu’il nous impose. Et c’est en travaillant dans ces
limites, en nous débattant dans ces liens que nous trouverons la confidence du mystère et le secret de
la vie. Par quelle opération? C’est ce qu’il est difficile de dire. Je ne m’engagerai pas dans des
considérations techniques. Ce qui m’intéresse ici c’est l’attitude d’un interprète suprême vis-à-vis
d’un ouvrage suprême. Je la définirai, cette attitude, par l’usage des dons intellectuels comme
l’intelligence et la force de l’attention, mais surtout par des qualités morales dont les plus rares, les
plus précieuses sont la simplicité et l’humilité. Ces dons, ces qualités, éclairés par l’étude et fortifiés
par le travail, produisent en nous ce qu’on désigne d’un mot qu’il faut bien entendre car il dit tout: la
sincérité. C’est la sincérité qui nous introduit à la connaissance profonde. Mais cette connaissance
elle-même demeure presque indéfinissable. Elle n’est pas tout à fait de l’ordre de la connaissance
intellectuelle, et ne s’obtient ni par des données d’érudition, ni par des raisonnements logiques, ni
même par l’application de méthodes spéciales. C’est une faculté de contact, une intuition naturelle,
une révélation dont j’oserai dire qu’elle est d’essence musicale. [...] Il’ s’agit simplement de se metter
en état de sensibilité pour retrouver la vie, pour ranimer le style». JACQUES COPEAU,
276
Per sondare le intenzioni dell’autore, per impadronirsi della conoscenza
dell’opera, il metteur en scène non deve ricorrere a un processo razionale, tecnico,
ma intuitivo, sensibile, che tuttavia può essere sostenuto dallo studio e soprattutto
dall’esperienza. Ecco perché l’entusiasmo della giovinezza, in questo caso, non
facilita il lavoro: «Si dovrebbe definire dal principio la nozione stessa di sincerità,
mostrare che non è, come comunemente si crede, una virtù di primo impeto, una
virtù di giovinezza, facile e intraprendente, ma al contrario una virtù di maturità»531.
Con molta probabilità proprio l’assenza di un metodo rigoroso e preciso
nell’analisi del testo, e la fiducia accordata alla sfera sensibile, così suscettibile di
variazioni, portano Copeau a intravedere nella figura del regista non solo le
possibilità, ma anche i rischi, i tranelli, di questa nuova professione. Il timore di
Copeau è che alla mancanza di una struttura unitaria della rappresentazione, si
sostituisca la personale interpretazione del metteur en scène. Egli, in quanto garante
assoluto della scrittura drammatica, alla quale viene fra l’altro attribuita una sola
possibilità di interpretazione, potrebbe peccare di soggettivismo, confondere le
intenzioni dell’autore con le sue idee e le sue manie o, peggio, con i suoi desideri di
trionfo, di vanità; come Copeau osserva in una conferenza del 1917, ma non smette
di indicare anche oltre:

Abbiamo respinto con orrore questa specie d’attore che nel dramma non vede che se stesso e
cerca, in tutte le cose, di farsi valere. Guardiamoci da un’altra sorta di infatuazione, quella del
producer artiste, che mette le mani sull’opera poetica, se ne impossessa e, con il pretesto di
servirla, si mette a farle dire di più e altro rispetto a ciò che ha da dire; con il pretesto di
esaltarne lo stile, ne fa a pezzi lo spirito e la composizione. Certi grandi attori, grazie alla loro
tecnica folgorante, sono stati tra i più grandi nemici dell’arte drammatica. Essi possiedono la

L’interprétation des ouvrages dramatiques du passé, intervento al Maggio musicale fiorentino del
1938, pubblicato in REG. I APPELS, pp. 197-201. Citazione pp. 200-201.
531
«On devrait définir d’abord la notion même de sincérité, montrer que ce n’est pas, comme on le
croit communément, une vertu de prime-saut, une vertu de jeunesse, facile et entreprenante, mais au
contraire une vertu de maturité». JACQUES COPEAU, Une rénovation dramatique est-elle possible?,
cit., p. 268.
277
terribile facoltà di “fare qualcosa con niente”. La pretesa del regista d’oggi, se non stiamo
attenti, non è di natura molto diversa 532.

L’unico modo per ovviare a questo rischio, sempre presente, è di


ricongiungere il processo di scrittura e quello di mise en scène, non solo prevedendo
la collaborazione del regista e dell’autore, ma addirittura proponendo, un po’
drasticamente, di riunire queste due figure: «Ci si può augurare un poeta che
soppianti ed elimini il regista, che riprenda in mano tutto il mestiere. Non un uomo di
mestiere, per quanto esperto, [...] che faccia le veci del poeta»533.

Lo sguardo del regista e l’anima del pedagogo, dentro e fuori la


mise en scène

Quando, alla vigilia della nascita del Vieux-Colombier, Copeau pubblica Un


essai de rénovation dramatique, dedica un paragrafo alla mise en scène e al regista:

Per mise en scène noi intendiamo lo schema di un’azione drammatica. È l’insieme dei
movimenti, dei gesti e degli atteggiamenti, l’accordo delle fisionomie, delle voci e dei silenzi,
è la totalità dello spettacolo scenico immaginata da un’unica intelligenza, che la concepisce,
la plasma e la rende armonica. Il regista crea e fa regnare tra i personaggi quel legame segreto
ma visibile, quella reciproca sensibilità, quella misteriosa corrispondenza dei rapporti, senza i

532
«Nous avons repoussé avec horreur cette espèce de comédien qui dans le drame ne voit que lui-
même et cherche, en toutes choses, à se faire valoir. Gardons-nous d’une autre sorte d’infatuation,
celle du producer artiste, qui met la main sur l’œuvre poétique, s’en empare et, sous prétexte de la
servir, entreprend de lui faire dire plus et autre chose que ce qu’elle a à dire; sous prétexte d’en exalter
le style en écartèle l’esprit et la composition. Certains grands comédiens, grâce à leur techinique
foudroyante, ont été parmi les plus grands ennemis de l’art dramatique. Ils possédaient la terrible
faculté de “faire quelque chose avec rien”. La prétention du metteur en scène d’aujourd’hui, si nous
n’y prenons garde, n’est pas de nature très différente». JACQUES COPEAU, The spirit in the Little
Theatres, cit, pp. 128-129.
533
LT, p. 206.
278
quali il dramma, anche interpretato da eccellenti attori, perde il meglio della sua
espressione534.

Questa visione demiurgica si ammorbidisce nel contatto con il gruppo,


nell’esperienza di un apprendimento comune e nell’avanzare della dimensione
pedagogica. così, senza che mai venga meno la funzione di coordinamento, il regista
assume nei confronti dell’attore caratteristiche che sottolineano maggiormente il suo
ruolo di guida, pedagogo, maestro, che quello di detentore assoluto della verità
poetica.
Pertanto, se da una parte la funzione del regista rimane estetica, cioè consiste
nell’adempiere al compito di trasporre l’opera dal campo della pagina a quello della
materialità della scena secondo una visione unitaria, dall’altra, assume considerevoli
e originali risvolti pedagogici, come emerge chiaramemente da uno scritto un po’
tardo, del 1935. All’interno del documento Copeau descrive per sommi capi le fasi di
allestimento dello spettacolo, permettendo di cogliere quali sono le modalità e i
tempi in cui il ruolo di pedagogo si accompagna a quello registico.
Dopo aver penetrato il senso del testo, secondo Copeau, il regista inizia il
lavoro di costruzione dello spettacolo assieme agli attori, che devono radunarsi
intorno a lui con fiducia e rispetto. Egli legge l’opera e ne consegna agli interpreti le
chiavi di lettura: trasmette le intenzioni dell’autore, i principi guida del testo,
soffermandosi su certi possibili malintesi e su aspetti nodosi. Tuttavia, l’accesso al
significato più recondito della composizione scritta non può essere consegnato come
un dono, ma richiede una conquista da parte dell’attore, che inizia ad improvvisare i
movimenti del personaggio e poco alla volta lo delinea, anche se per il momento ad
un livello generale e superficiale. Il regista è presente in questa seconda fase di
lavoro, disponibile alla discussione e al confronto, perché questo è anche il suo
534
«Pour mise en scène nous entendons: le dessin d’une action dramatique. C’est l’ensemble des
mouvements, des gestes et des attitudes, l’accord des physionomies, des voix et des silences, c’est la
totalité du spectacle scénique, émanant d’une pensée unique, qui le conçoit, le règle et l’harmonise. Le
metteur en scène invente et fait régner entre les personnages ce lien secret et visible, cette sensibilité
réciproque, cette mystérieuse correspondance des rapports, faute de quoi le drame, même interprété
par d’excellents acteurs, perd la meilleure part de son expression». JACQUES COPEAU, Un essai de
rénovation dramatique, cit, p. 350.
279
momento di verifica dell’interpretazione data e dunque di approfondimento; scrive
Copeau: «È questa a un tempo l’occasione per il regista di verificare le sue
concezioni, di modificarle se è il caso, e di apportare alla suo progetto i ritocchi
necessari»535.
Non sarebbe ragionevole, infatti, pensare che se l’autore è stimolato nella
scrittura dal confronto con il lavoro dell’attore, non si attivi lo stesso processo anche
per il regista, che in qualche modo ne fa le veci. Pertanto l’acteur spostando la
concentrazione da un piano astratto ad uno materiale, può illuminare sfumature del
testo che non erano state colte, indagare su silenzi dell’opera oppure fornire puntelli
su cui poggia o da cui riparte il pensiero del metteur en scène. Copeau, già nel 1919,
aveva scritto nel suo diario: «Non creda [l’attore] che quanto gli apporto sia qualcosa
che gli tolgo. In realtà noi non lavoriamo mai l’uno senza l’altro»536.
Conquistato anche questo gradino, il lavoro si fa in ascesa per l’attore, che
deve provare con costanza per identificarsi nel personaggio, delinearlo nei dettagli, e
la presenza del regista diviene fondamentale:

Il regista sarà la guida, il mentore e il sostegno dell’attore. Avrà per missione non solo di
trattenerlo nella linea e nei limiti della parte, non solo di segnalargli i punti in cui si avvicina
alla verità e di correggere i suoi difetti, ma anche di comprendere qual è la natura delle
difficoltà in cui s’imbatte e di fornirgli i mezzi per risolverle. […]. Troppa libertà lasciata
all’attore è pericolosa. Ma una costrizione cieca esercitata a danno della sua spontaneità lo è
ancora di più537.

Agli attori deve pertanto essere lasciata iniziativa al fine di coinvolgerli nella
realizzazione. Copeau, che non ha nessuna intenzione di eliminare l’attore o di
soppiantarlo con una marionetta, ne reclama la funzione attiva che non deve in alcun

535
JACQUES COPEAU, La mise en scène […], cit., p. 201.
536
«Qu’il [l’acteur] ne doit pas croire que ce que je lui apporte est quelque chose que je lui retire. En
réalité nous ne travaillons jamais l’un sans l’autre». JOURNAL 1916-1948, pp. 99-100.
537
JACQUES COPEAU, La mise en scène, in L’interprétation dramatique, Encyclopédie Française,
Larousse, XVII, 64, pp. 1-5 (décembre 1935). Traduzione italiana in LT, pp. 199-206. Citazione pp.
201-202.
280
modo venire meno con l’avvento del regista, che coordina, guida, sprona,
ridimensiona, ma non sostituisce.
Quali sono però le condizioni affinché questo avvenga? Come può il regista
sostituire un’imposizione con uno zampillio che nasca direttamente dentro all’attore?
Come guidare un processo di apprendimento attivo rinunciando al dominio
sull’interprete? Riorganizzando le idee, nel 1942, Copeau torna a parlare del ruolo
del metteur en scène, e indica le qualità essenziali che ne costituiscono la
metodologia:

La prima virtù del metteur en scène è la pazienza. Non si riesce ad immaginare quanto
occorra perché l’interprete maturi uno stato interiore, il più semplice movimento, il gesto più
elementare. La seconda virtù del metteur en scène è la discrezione. Non bisogna mai, con il pretesto di
aiutarlo, sostituirsi all’attore. È sufficiente richiamare, innescare in lui certi sentimenti, fare
accenno a certe azioni che li esprimono, ma senza eseguirle, poiché ci sono cose che non si
esprimono pienamente, realmente, che secondo i mezzi e secondo il temperamento, la
personalità dell’attore. Ecco perché dicevo che un buon metteur en scène deve avere delle
parti d’attore, ma che non deve esserlo completamente 538.

Il regista non deve chiedere tutto e subito all’attore, ma imparare a rispettare i


personali tempi di ciascuno, senza mai sostituirsi o imporre la sua visione per non
portare ad uno stato di passività e indifferenza. Per riuscire al meglio dovrebbe essere
anche lui un po’ attore. Sebbene Copeau non ne spieghi le ragioni è abbastanza facile
rintracciarle in uno stato di empatia e vicinanza, che può crearsi quando il regista,
pur mantenendo il suo ruolo, si mescola ai comédiens.
La condizione base, infatti, che sostiene tutte le altre, è certamente la
conoscenza intima e profonda di ogni singolo membro della compagnia. Un buon

538
«La première vertu du metteur en scène, c’est la patience. On n’image pas combien il en faut pour
que mûrisse chez un interprète un état intérieur, le plus simple mouvement, le geste le plus
élémentaire. La seconde vertu du metteur-en-scène, c’est sa discrétion. Il ne faut jamais, sous prétexte
de l’aider, se substituer à l’acteur. Il suffit d’appeler, d’amorcer en lui certains sentiments, de faire
signe à certaines actions qui les exprimeront, mais sans les exécuter, car il y a des choses qui ne
s’expriment pleinement, réellement, que selon les moyens et selon le tempérament, selon la
personnalité de l’acteur. C’est pourquoi je disais qu’un bon metteur-en-scène doit avoir des parties
d’acteur, mais qu’il ne doit pas l’être tout à fait». NOTES, pp. 42-43.
281
maestro deve conoscere l’allievo, aver costruito un rapporto di affinità e fiducia, e
questo, secondo Copeau, viene facilmente quando si lavora a stretto contatto e per un
lungo periodo:

L’arte di aiutare l’attore, di risvegliarlo, di sbrogliare il suo cammino, è probabilmente quella


che ho praticato con più piacere e successo. È un’arte delicata. C’è bisogno di un attore che
non lo sia troppo. Le indicazioni devono essere leggere. Più sono leggere, più sono efficaci.
Si deve conoscere l’uomo o la donna a cui ci si indirizza, e trattarli con tatto. Importa che
anche loro vi conoscano bene, che vi amino, e che vi accordino tutta la loro fiducia. È cosa
relativamente facile quando si lavora sempre con gli stessi539.

Nel ’35 il regista indicava qualcosa di simile con il termine di “simpatia”: «la
sua influenza più attiva si eserciterà con la simpatia, se ha un’esperienza abbastanza
vecchia dei suoi collaboratori, abbastanza obiettiva e approfondita per conoscere la
sensibilità, l’umore particolare e i mezzi di ciascuno di essi»540.
Copeau riconosce al ruolo del regista, a questa figura di cui l’Europa va
progressivamente prendendo conoscenza, un compito di primaria importanza. Per lui
il metteur en scène è il mediatore fra l’autore e l’attore ma, come per qualsiasi buon
mediatore, è bene che il compito sia svolto in modo delicato: «Il ruolo del regista, e il
suo privilegio, è dunque di essere presente dappertutto, e contemporaneamente
invisibile, senza opprimere la personalità dell’attore, né offendere il pensiero del
poeta, utilizzando il suo genio al servizio dell’uno e dell’altro»541.
Vi è un’ultima considerazione, condizione indispensabile all’esistere del
regista: egli deve accettare di rivestire il ruolo a tempo determinato. Vi è un

539
«L’art d’aider l’acteur, de lui révéler, de lui débrouiller son chemin, est peut-être celui que j’ai
pratiqué avec le plus de plaisir et de réussite. C’est un art délicat. Il y faut un comédien, mais qui ne le
soit pas trop. Les indications doivent être légères. Lus elles sont légères, plus elles sont efficaces. On
doit bien connaître l’homme ou la femme à qui on s’adresse, et les traiter avec tact. Il importe
également qu’ils vous connaissent bien, qu’ils vous aiment, et qu’ils vous accordent toute leur
confiance». Ivi, p. 42.
540
JACQUES COPEAU, La mise en scène […], cit., p. 201.
541
«Le rôle du metteur-en-scène, à la fois son devoir et son privilège, est donc d’être présent partout,
et cependant invisible, sans opprimer la personnalité de l’acteur, ni froisser la pensée du poète, et ne
dépensant son génie qu’à servir l’un et l’autre». NOTES, p. 43.
282
momento in cui l’attore, all’interno del processo creativo, non può che continuare da
solo: «Arrivati a un certo punto, conviene lasciare che l’attore si inoltri solo nel
personaggio. E d’altronde viene sempre un momento in cui il regista non può fare più
niente per l’attore»542. Non è negativamente che si deve leggere questo pensiero, che
non ha nulla a che vedere con la rassegnazione, ma che abbraccia invece una precisa
intenzionalità, che conduce all’obiettivo più difficile dell’impresa educativa, e per
descriverlo sembrano così appropriate le parole che Suzanne Bing rivolge molti anni
prima a Copeau: «Che può esserci di meglio per un maestro di constatare che
l’allievo è capace a sua volta di una giusta creazione?»543.
Questo non significa certamente che Copeau preveda la possibilità di una
regia collettiva, ritenendo indispensabile per la messinscena la presenza di un’unica
mente che assembla, ma questo è il compito che in ultima istanza gli rimane: mentre
l’attore partecipa con l’autore alla creazione, il regista, in principio mediatore,
maestro, conduttore, rientra umilmente nel ruolo di coordinatore.
Copeau rivela per certo una particolarità nel pensiero rispetto a quello
dominante dell’epoca, concentrato sull’esaltazione incondizionata del ruolo di
metteur en scène. Sia l’autore che l’attore necessitano di lui come tramite, ma
l’obiettivo finale che la sua poetica persegue, il più alto punto d’arrivo che la
creazione estetica possa raggiungere, prevede l’eliminazione di questa figura, per
lasciare spazio al dialogo costruttivo e produttivo fra i due protagonisti del teatro:
l’attore e l’autore, che Copeau vorrebbe a loro volta uniti in un’unica figura. Se da un
lato Copeau auspica un poeta allestitore dei suoi drammi, dall’altro non esita a
riconoscere all’attore una possibilità creativa che lo porti, adeguatamente formato, a
diventare l’ideatore (e non più il co-autore) della drammaturgia. Lo enuncia
chiaramente quasi come l’obiettivo finale di tutto il lavoro sull’École in Une
rénovation dramatique est-elle possible? del 1926: «Credo infine che nel seno di
questa scuola, e solo là, si potrà realizzare l’unità di tutti gli elementi del dramma, di

542
«Parvenu à un certain point, il convient de laisser l’acteur tout seul s’enfoncer dans le personnage.
Et d’ailleurs un moment vient toujours où le metteur-en-scène ne peut plus rien pour l’acteur».
Ibidem.
543
«Que peut-il y avoir de meilleur pour un maître que de constater que l’élève est capable à son tour
d’une juste création?». JOURNAL 1916-1948, p. 93.
283
cui abbiamo parlato, attraverso una riconciliazione dell’inventore con il realizzatore,
forse con una identificazione dell’autore con l’attore».
La completezza del discorso esige che si ricordi che questo è quanto riguarda
la teoria di Copeau, che emerge dagli scritti e che pertiene pertanto ad un livello
razionale. Se l’esempio di Claudel ci mostra un Copeau capace di collaborare
positivamente con l’autore di un testo, rispettandone il più possibile le intenzioni,
nell’esperienza dei Copiaus il regista si trova spesso a confermare il proprio ruolo
registico, in modo talvolta poco sensibile alle esigenze degli attori, sempre più
desiderosi e capaci di autonomia. Le testimonianze dei comédiens che hanno lavorato
con lui in Borgogna evidenziano una certa insofferenza verso le disposizioni
autoritarie di Copeau, che richiama il gruppo alla dimensione scolastica,
rivendicando così un ruolo di maestro rispetto all’allievo, piuttosto che riconoscere
l’autonomia raggiunta da allievi che non sono più tali. Essi invece non solo
raggiungono il successo di pubblico, ma, a ben vedere, lo fanno proprio portando a
compimento gli insegnamenti dell’École544.
Esiste evidentemente una certa contraddizione nel pensiero e nell’azione di Copeau
rispetto all’interpretazione del testo. Se in alcuni scritti privilegia il ruolo del regista,
come garante del testo drammatico, capace di fornirne l’unica interpretazione
possibile, dall’altra esorta l’attore ad un contatto “libero” con l’opera da intepretare.
È molto probabile che ad attenuare questa incongruenza interva ancora una volta il
valore dell’educazione dell’acteur: se adeguatamente formato secondo i principi e i
dettami sino a qui delineati, l’attore può riuscire a cogliere il significato del testo,
compensando con la formazione ciò che il regista tende a coglierebbe per intuizione.

544
Cfr JOURNAL COPIAUS, in particolare pp. 29-32 e i ricordi di Jean Villard in JEAN VILLARD, Mon
demi-siècle, Lausanne, Payot, 1954.
284
Bibliografia critica

Materiale edito di Copeau

Gli scritti di Copeau sono citati in bibliografia secondo i criteri che seguono.
L’informazione iniziale fornisce l’indicazione della prima pubblicazione del
testo in lingua francese. In secondo luogo viene offerta, laddove esistente,
l’informazione sulla ripubblicazione in lingua francese dell’intero scritto. Fanno
eccezione a tale criterio cronologico i casi in cui le pubblicazioni successive alla
prima risultino più importanti e più conosciute; in presenza di questa condizione,
infatti, la prima pubblicazione dell’opera o dell’articolo viene data come seconda
informazione. In ogni caso, seguono, nell’ordine, le informazioni su altre eventuali
pubblicazioni: estratti del documento in lingua francese e traduzioni italiane
dell’intero documento o di parti consistenti di esso. Nell’esempio «JACQUES
COPEAU, Lieux Communs, in CRITIQUES, pp. 223-331», questa non è la prima
pubblicazione dell’articolo, ma è certamente quella più conosciuta. Seguono le
informazioni sulla prima pubblicazione, gli estratti e la traduzione in italiano:
«L’articolo è comparso per la prima volta in «L’Ermitage», n. 2, 15 février 1905, pp.
116-123. Alcuni estratti si trovano anche in REG. I, pp. 93-99. La traduzione italiana è
pubblicata in LT, pp. 19-22».
Per quanto riguarda il materiale edito, i testi di Copeau sono selezionati in
linea con l’oggetto di indagine della tesi. Oltre agli scritti che fanno riferimento
all’École du Vieux-Colombier, una seconda sezione raggruppa i documenti che, pur
non riguardando la scuola nello specifico, contengono riflessioni di Copeau sulla
formazione dell’attore, sugli istituti preposti ad occuparsene (come il Conservatoire)
e sul ruolo dello Stato nei riguardi dello sviluppo del teatro e della cultura. Per ogni
scritto si riporta una breve descrizione del contenuto.
Un’altra sezione riguarda alcuni scritti di pedagogia d’attore, utili a fornire
una visione più completa sull’argomento principe della tesi.
Dalla seguente bibliografia sono stati esclusi i testi che forniscono
informazioni sulla scuola di tipo manualistico, indispensabili ad un primo approccio
al tema, ma di scarsa utilità per un suo approfondimento.
Una bibliografia utile e dettagliata su Jacques Copeau è stata stilata da
Norman H. Paul, in NORMAN H. PAUL, Bibliographie Jacques Copeau, Paris,
Société Les Belles Lettres, 1979. Il volume è diviso nelle sezioni Écrits de Copeau e
Écrits sur Copeau et le Vieux-Colombier. Il primo gruppo contiene anche manoscritti
conservati al Fonds Copeau, con il limite, però, di non fornirne la collocazione.

Principali scritti editi in cui Copeau fa esplicito riferimento alla


scuola

Un essai de rénovation dramatique. Le Théâtre du Vieux-Colombier, in


«Nouvelle Revue Française», n. 57, 1 Septembre 1913. Pubblicato anche in
JACQUES COPEAU, Études d’art dramatique. Critiques d’autre temps, Paris,
Nouvelle Revue Française, 1923, pp. 232-250 e in JACQUES COPEAU, Appels,
registre I, textes recueillis et établis par Marie-Hélène Dasté et Suzanne Maistre,
Paris, Gallimard, 1974, pp. 19-32. La traduzione italiana si trova sia nella prima che
nella seconda antologia degli scritti di Copeau, entrambi a cura di Maria Ines Aliverti
e pubblicati dalla Casa Usher, Firenze: Il luogo del teatro. Antologia degli scritti
(1988), pp. 32-39, e Artigiani di una tradizione vivente. L’attore e la pedagogia
teatrale (2009), pp. 101-111. È il manifesto programmatico del Vieux-Colombier.
Copeau riunisce idee già proposte in articoli precedenti (Lieux Communs, Le métier
au théâtre e Le Théâtre du Vieux-Colombier), introduce il concetto di cabotinage e
per la prima volta espone in modo sistematico il progetto di rinnovamento
drammatico che lui e il suo gruppo intendono avviare. Copeau organizza il discorso
dividendolo in sei capitoli: I. Emplacement. Organisation; II Alternance des
spectacle; III. Répertoire; IV. La troupe; V. Les élève-comédiens; VI. Mise en scène

286
et décoration scénique. Interessa in modo particolare il capitolo quinto del progetto,
in cui viene proposta per la prima volta una scuola per attori da realizzare in futuro e
da considerarsi come “serbatoio” del teatro nascente.

L’École du Vieux-Colombier. Projet d’une École technique pour la


rénovation de l’Art Dramatique Français, scritto del 1916. Il testo si trova
pubblicato in JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, registre VI, textes
établis, présentés et annotés par Claude Sicard, Paris, Gallimard, 2000, pp. 124-141.
La traduzione italiana si trova sia nella prima che nella seconda antologia degli scritti
di Copeau, entrambi a cura di Maria Ines Aliverti e pubblicati dalla Casa Usher,
Firenze: Il luogo del teatro. Antologia degli scritti (1988), pp. 56-65, e Artigiani di
una tradizione vivente. L’attore e la pedagogia teatrale (2009), pp. 169-181. Si tratta
del progetto, steso da Copeau, di organizzazione di una scuola per gli artisti del
teatro. Il progetto si articola in dieci capitoli. In alcuni si riepilogano l’idea iniziale
dell’École e la sua evoluzione, in altri si espone il programma. Riportiamo i titoli dei
capitoli, indicazione del loro contenuto: I. Les résultats acquis et le but à atteindre;
II. Première idée de l’École (1913); III. Pourquoi le Théâtre a précédé l’École; IV.
Le Théâtre considéré comme une École; V. Travaux du Vieux-Colombier pendant la
guerre; VI. Création de l’École du Vieux-Colombier; VII. But de l’École; VIII.
Fonctionnement dell’École; IX. Les artistes et les artisans du théâtre; X. Rôle de
l’École au lendemain de la guerre. Una prima e parziale pubblicazione si trova anche
in REG. III, pp. 253-256 e in 315-317.

L’École du Vieux-Colombier, conferenza tenuta al Little Theatre di New York


il 19 marzo 1917. Si trova pubblicata in REG. IV AMERICA, pp. 507-513 e in REG. VI

ÉCOLE, pp. 171-180. Nessuna delle due pubblicazioni è purtroppo completa; si


trovano nell’una estratti mancanti nell’altra e viceversa. Mettendole insieme, però, se
ne ricava il documento nella sua integrità.

L’École du Vieux-Colombier, in «Les cahiers du Vieux-Colombier», n. 2,


Novembre 1921. Secondo e ultimo numero della rivista del Vieux-Colombier. Alcuni

287
estratti in JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, registre VI, textes
établis, présentés et annotés par Claude Sicard, Paris, Gallimard, 2000, pp. 244-256.
Preziosa pubblicazione in cui Copeau espone per la prima volta, e unica in modo
approfondito, le sue teorie sulla necessità di una scuola per l’educazione dell’attore e
sui principi guida. Gli argomenti affrontati si dividono grosso modo in due parti
(Copeau ne indica tre, ma noi riteniamo che la seconda e la terza possano confluire in
un’unica sezione); nella prima si tratta della formazione del comédien: congiunzione
di arte e mestiere, riflessioni sulla situazione generale, ruolo dello Stato nella
costruzione di una scuola, opinioni sul Conservatoire, valore dell’apprendistato e
della cultura; nella seconda parte Copeau fa specifico riferimento all’École du Vieux-
Colombier. I temi affrontati sono i seguenti: storia dell’evoluzione della scuola ed
esperienza al Limon come prima tappa, unità di principi e d’insegnamento, obiettivo
dell’École e destinatari.

Souvenirs du Vieux-Colombier, Paris, Les Nouvelles Éditions Latines, 1931.


Il testo si trova anche in italiano nella traduzione di Annamaria Nacci: JACQUES
COPEAU, Ricordi del Vieux-Colombier, Milano, Il Saggiatore, 1962. Il volume
raccoglie i testi di due conferenze tenute al Théâtre du Vieux-Colombier il 10 e il 15
gennaio 1931. Nella prima Copeau ripercorre la storia del teatro, dalla formazione
della compagnia ai primi spettacoli; nomina molti compagni, e il ricordo più
affettuoso lo dedica a Valentine Tessier. Descrive inoltre gli scambi con la Duse e
con Stanislavskij, senza tralasciare di citare la stima per Antoine. Lo scritto, denso di
ricordi personali di Copeau, risulta poco utile ai fini della nostra ricerca. Molto più
interessante la seconda conferenza, in cui, partendo dalle fatiche della tournée
americana, il regista avvia un lungo discorso sulla commercializzazione del teatro,
l’istituzione di una scuola come luogo di ricerca, la relazione fra dimensione umana,
sociale e artistica. Considerevole spazio è lasciato all’esperienza in Borgogna.

Scritti di Copeau inerenti la pedagogia teatrale

288
Le métier au théâtre, in JACQUES COPEAU, Études d’art dramatique.
Critiques d’autre temps, Paris, Nouvelle Revue Française, 1923, pp. 182-188.
L’articolo è comparso per la prima volta in «Nouvelle Revue Française», 1 mai 1909,
pp. 319-326. Alcuni estratti si trovano anche in JACQUES COPEAU, Appels,
registre I, textes recueillis et établis par Marie-Hélène Dasté et Suzanne Maistre,
Paris, Gallimard, 1974, pp. 100-104. La traduzione italiana si trova sia nella prima
che nella seconda antologia degli scritti di Copeau, entrambi a cura di Maria Ines
Aliverti e pubblicati dalla Casa Usher, Firenze: Il luogo del teatro. Antologia degli
scritti (1988), pp. 23-25, e Artigiani di una tradizione vivente. L’attore e la
pedagogia teatrale (2009), pp. 97-100. Copeau affronta la distinzione fra arte e
mestiere (che troverà poi approfondimento in JACQUES COPEAU, L’École du
Vieux-Colombier, registre VI, textes établis, présentés et annotés par Claude Sicard,
Paris, Gallimard, 2000), con particolare riferimento all’autore drammatico.

The spirit in the Little Theatres, conferenza tenuta a New York il 20 aprile
1917, negli spazi del gruppo Washington Square Players. L’intervento è pubblicato
in francese con il titolo L’esprit des Petits Théâtres in «Cahiers Renaud-Barrault», n.
4, 1954, pp. 8-20 e con il titolo originale; testo in francese anche, in JACQUES
COPEAU, Appels, registre I, textes recueillis et établis par Marie-Hélène Dasté et
Suzanne Maistre, Paris, Gallimard, 1974, pp. 120-130. La traduzione italiana si trova
sia nella prima che nella seconda antologia degli scritti di Copeau, entrambi a cura di
Maria Ines Aliverti e pubblicati dalla Casa Usher, Firenze: Il luogo del teatro.
Antologia degli scritti (1988), pp. 40-45, e Artigiani di una tradizione vivente.
L’attore e la pedagogia teatrale (2009), pp. 112-120. La conferenza ruota attorno al
tema dei piccoli teatri, che si pongono come movimento di rinnovamento morale
prima che estetico. Copeau ritorna, con lievi approfondimenti, su temi già affrontati:
il cabotinage, il valore morale dell’artista, della comunità-laboratorio, della
semplicità della scena.

Conferenza senza titolo tenuta al Laboratory Theatre di New York nel 1927 e
pubblicata con il titolo Conférence au Laboratory Theatre in JACQUES COPEAU,
Appels, registre I, textes recueillis et établis par Marie-Hélène Dasté et Suzanne
289
Maistre, Paris, Gallimard, 1974, pp. 135-144. La traduzione italiana si trova in
«Teatro Festival», n. 1, dicembre 1985, pp. 44-46. In questo articolo Copeau fa il
punto sulla situazione del teatro e critica la società (in particolare quella americana)
di consumo sfrenato, basato su un sistema di soddisfazioni immediate, illusorio per i
giovani. Ampio spazio viene dato all’“apostolato” dell’attore e al valore della ricerca
umana ed artistica che si può perseguire solo in una scuola laboratorio. Brevissimo
riferimento al teatro popolare.

Pour la sauvegard du théâtre d’art, in «Le Temps», 5 septembre 1932, p. 5.


Traduzione italiana in MARIA INES ALIVERTI, Il luogo del teatro. Antologia degli
scritti, Firenze, La Casa Usher, 1988, pp. 46-50. Copeau, preoccupato che piccoli
teatri decentrati portino ad una dispersione delle energie, riprende la proposta,
esposta anche in JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, in «Les cahiers
du Vieux-Colombier», n. 2, novembre 1921, di un unico centro per questi piccoli
teatri d’arte e “teatri di letteratura”. Copeau questa volta non si limita a fare
riferimento allo Stato come garante dell’unione, ma fa il nome di un’istituzione
statale come la Comédie-Française che, solo se rinnovata, potrebbe assumere il ruolo
di “catalizzatore” delle risorse dei piccoli teatri per una riorganizzazione teatrale su
tutto il territorio francese con garanzia di qualità.

Réflexions d’un Comédien sur le “Paradoxe” de Diderot. Inserito come


prefazione all’edizione Plon del 1929 di DENIS DIDEROT, Paradoxe sur le
comédien. Pubblicato in JACQUES COPEAU, Notes sur le métier de comédien,
notes recueillies dans le journal et les écrits de Jacques Copeau par Marie-Hélène
Dasté, Paris, Brient, 1955, pp. 16-33. Si trova in traduzione italiana sia nella prima
che nella seconda antologia degli scritti di Copeau, entrambi a cura di Maria Ines
Aliverti editi dalla Casa Usher, Firenze: Il luogo del teatro. Antologia degli scritti
(1988), pp. 120-129, e Artigiani di una tradizione vivente. L’attore e la pedagogia
teatrale (2009). Partendo dall’analisi del famoso Paradoxe di Diderot, Copeau
fornisce un approfondimento al tema del rapporto attore-personaggio, e delineando
punti di incontro e di allontanamento con le riflessioni del filosofo francese, si dipana
la sua teoria sulla costruzione della parte e il ruolo dell’immedesimazione.
290
Discours au public, in Notes sur le métier de comédien, notes recueillies dans
le journal et les écrits de Jacques Copeau par Marie-Hélène Dasté, Paris, Brient,
1955, pp. 37-40. Si trova pubblicato anche in JACQUES COPEAU, Appels, registre
I, textes recueillis et établis par Marie-Héléne Dasté et Suzanne Maistre Saint-Denis,
Paris, Gallimard, 1974, pp. 156-157 e 213-214. Estratti di una conferenza tenuta a
Ginevra nel 1923 in cui Copeau dedica un approfondimento alla figura dell’attore e
al rapporto con il pubblico, con un confronto tra passato e presente.

Cahier Comédie Improvisée del 1916, contenente fondamentali riflessioni di


Copeau sulla Creazione Improvvisata, sulla Comédie Nouvelle, sul gioco dei
bambini, con la trascrizione di lettere inviate da Jouvet e Dullin sull’argomento,
arricchite da commenti personali di Copeau, considerazioni sui Fratellini e sul lavoro
dei clown. Il cahier non è mai stato interamente pubblicato in un’unica edizione, ma
estratti si trovano distribuiti in JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier,
registre VI, textes établis, présentés et annotés par Claude Sicard, Paris, Gallimard,
2000, pp. 107-112 e 118-119, e in JACQUES COPEAU, Les Registres du Vieux-
Colombier, registre III, première partie, textes recueillis et établis par Marie-Hélène
Dasté et Suzanne Maistre Saint-Denis, Paris, Gallimard, 1979, pp. 323-349. A Maria
Ines Aliverti si deve la cura, la traduzione e la pubblicazione di gran parte del
documento in JACQUES COPEAU, Artigiani di una tradizione vivente. L’attore e la
pedagogia teatrale, Firenze, La Casa Usher, 2009, pp. 145-168; si rimanda alla nota
7 a p. 16 dell’introduzione a questo volume per l’accurata descrizione del
manoscritto che ne fa la curatrice. Il cahier sulla Comèdie Improvisée è pubblicato
con qualche variante anche nella precedente antologia dell’autrice dedicata a
Copeau: JACQUES COPEAU, Il luogo del teatro. Antologia degli scritti, Firenze,
La Casa Usher, 1988, pp. 66-75. Salvo diversa indicazione, le traduzioni all’interno
del testo sono nostre, con riferimento alle pubblicazioni francesi contenute nei
registres, di cui di volta in volta si dà indicazione.

Souvenirs pour la Radio, estratti in Notes sur le métier de comédien, notes


recueillies dans le journal et les écrits de Jacques Copeau par Marie-Hélène Dasté,
291
Paris, Brient, 1955, pp. 41-44. L’estratto qui pubblicato parte dalle possibili difficoltà
incontrate dall’attore nella costruzione del personaggio, per soffermarsi sul ruolo che
il regista ha nei suoi confronti.

Éducation de l’acteur del 1920, estratto da un cahier redatto tra il 1919 e il


1930. Il documento è parzialmente pubblicato in Notes sur le métier de comédien,
notes recueillies dans le journal et les écrits de Jacques Copeau par Marie-Hélène
Dasté, Paris, Brient, 1955, pp. 45-53, e nel Journal, pp. 180-184. La traduzione
italiana si trova sia nella prima che nella seconda antologia degli scritti di Copeau,
entrambi a cura di Maria Ines Aliverti editi dalla Casa Usher, Firenze: Il luogo del
teatro. Antologia degli scritti (1988), pp. 76-86, e Artigiani di una tradizione vivente.
L’attore e la pedagogia teatrale (2009), pp. 193-206. Testo essenziale
sull’educazione dell’attore, che tocca diversi aspetti anche se troppo superficialmente
e privandoli di un adeguato approfondimento. Copeau sostiene la necessità di un
insegnamento istituzionalizzato e organico che può realizzarsi interamente solo
partendo dall’infanzia. Ridimensiona il ruolo della ginnastica ritmica, inizia a
riflettere sulla corrispondenza fra movimento e sentimento, sostiene l’importanza di
una scena povera di accessori e décor, riconosce il ruolo fondamentale e basilare del
corpo dell’attore, che deve essere conosciuto tramite esperienza, riflette
sull’immobilità come stato di calma e punto di partenza dell’espressione.

Le théâtre populaire, Paris, Plon, 1941. Lo scritto si trova ripubblicato in


JACQUES COPEAU, Appels, registre I, textes recueillis et établis par Marie-Héléne
Dasté et Suzanne Maistre Saint-Denis, Paris, Gallimard, 1974, pp. 277-313. Una
versione ridotta viene offerta da Copeau al Convegno Volta, e pubblicata in Il teatro
drammatico. Convegno di lettere, 8-14 ottobre 1934-XII, pp. 293-300, e ripubblicata
in «Scenario», n. 10, ottobre 1934, pp. 511-516.

Scritti monografici sull’École du Vieux-Colombier

292
MARIE-HÉLÈNE DASTÉ, Éclats de souvenirs, Aurillac, Caractère SA,
2007. Opera fuori commercio, stampata per conto dell’assocation des Amis de
Jacques Copeau. Ne sono stati prodotti dieci esemplari numerati da I a X, seguiti da
novanta esemplari numerati da 11 a 100. Marie-Hélène Dasté concede incantevoli
ricordi di infanzia e ricordando i giochi con i fratelli, la loro natura e
l’organizzazione, consente di ricostruire come un sottotesto l’educazione impartita da
Copeau, e di trovare le origini del regista sulla considerazione del gioco come base
dell’educazione drammatica.

JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, registre VI, textes


établis, présentés et annotés par Claude Sicard, Paris, Gallimard, 2000. Comprende:
(( Prefazione de Claude Sicard, pp. 26; estratto di una lettera di Jacques Copeau a
Marie-Hélène Dasté datata 31 luglio 1922, p. 31; testimonianza di Jacques Copeau su
Suzanne Bing, pp. 31-32; testimonianza di Suzanne Bing rilasciata a Maurice Kurtz
datata 22 aprile 1951, pp. 32-35; estratto di Étienne Decroux sui ricordi dell’École
du Vieux-Colombier, oggi pubblicato in Paroles sur le mime, pp. 35-36; frammento
di Bernard Bing su Suzanne Bing, tratto da En pure perte, pp. 36-37; estratto di una
lettera di Copeau a Louis Jouvet del 19 agosto 1915, p. 37; estratto di una lettera di
Louis Juovet a Copeau datata 22 agosto 1915, pp. 37-38; estratto di una lettera di
Copeau a Jouvet del 25 agosto 1915, pp. 38-39; resoconto di Copeau sul primo
incontro con Craig, Firenze, settembre-ottobre 1915, p. 40; note di diario di Copeau
sul soggiorno fiorentino del 1915, datate 11-14-15-18-26 settembre, 5-6-7-8-10-13-
17 ottobre, pp. 40-64, note pubblicate anche in JACQUES COPEAU, Journal, texte
établi, présenté et annoté par Claude Sicard, Paris, Seghers, 1991; note di Copeau
sull’Arena Goldoni, nessuna indicazione della fonte, pp. 64-71; estratto di una lettera
di Jacques Copeau a Gordon Craig datata 20 ottobre 1915, pp. 71-72; estratto di una
lettera di Craig a Copeau del 27 ottobre 1915, p. 72; estratto di un cahier inedito di
Copeau intitolato L’École du Vieux-Colombier del 1916, i frammenti qui riportati
riguardano i primi incontri con Émile Jaques-Dalcroze ed Adolphe Appia, pp. 69, 76-
78, 80-89; gli estratti del precedente cahier sono intervallati da frammenti di diversa
natura: principi della ginnastica ritmica di Jaques-Dalcroze inseriti dal curatore
perché ritenuti vicini al pensiero di Copeau, pp. 74-75; brevissimo frammento di una
293
lettera di Copeau alla moglie del 19 ottobre 1915, p. 78; note di diario di Copeau del
19 ottobre 1915, p. 79, del 20 ottobre, pp. 82-83 e del 23 ottobre, p. 83, tutte estratte
da JACQUES COPEAU, Journal, cit.; estratto di una lettera di Copeau a Jouvet del
23 ottobre 1915, pp. 84-85; risposta di Appia ad una lettera di Copeau, 26 ottobre
1915, p. 85; note del Journal del 29 e 30 ottobre 1915, pp. 88-89; estratto di una
lettera di Copeau a Craig del 10 novrembre 1915, pp. 89-90; estratti di due lettere di
Craig a Copeau del 18 e 23 novembre 1915, p. 90; estratto di una lettera di Copeau a
Craig del 6 dicembre 1915, pp. 91-92; cahier inedito di Copeau intitolato L’École du
Vieux-Colombier del 1916, riguardante i primi tentativi di fondare una scuola,
inclusa l’esperienza al Club de Gymnastique Rythmique, Copeau vi ricopia anche
alcuni appunti di Suzanne Bing, sono incluse note del 1,11 e 25 novembre 1915, 2,
23 e 26 dicembre, 13 gennaio 1916, pp. 91-123; Il cahier è pubblicato intervallato da
altri documenti dello stesso periodo: estratto di una lettera di Copeau a Jouvet del 29
novembre 1915, p. 98; estratto di una lettera di Copeau a Jean Sclumberger del 20
dicembre 1915; estratto di una lettera di Copeau a Jouvet del 25 dicembre 1915;
estratti di un cahier di Copeau sulla Commedia all’Improvviso del 1916, in cui viene
riportata anche una lettera di Jouvet a Copeau del 10 gennaio 1916, pp. 107-112.
JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier. Projet d’une École technique
pour la rénovation de l’Art Dramatique Français, scritto del 1916, pp. 124-141;
estratto di una lettera di François Porché a Copeau del 30 marzo 1916, p. 142;
estratto di una lettera di Charles Dullin a Copeau del 6 aprile 1916, pp. 142-143;
estratto di una lettera di Romain Bouquet a Louis Jouvet del 6 aprile 1916, pp. 143-
144; estratto di una lettera di Roger Martin du Gard a Jacques Copeau, 16 aprile
1916, p. 144; estratto di una lettera di Copeau a Jouvet del 13 aprile 1916, p. 145;
resoconto sull’esperienza alla Comédie di Ginevra, nota di diario del 28 giugno
1916, pp. 145-148, tratto da JACQUES COPEAU, Journal, cit.; note di Copeau sulle
due conferenze tenute a Ginevra, non vi è alcuna indicazione delle fonti, pp. 148-
152; note del Journal di Copeau dal 30 aprile al 24 giungo, pp. 153-161, anche in
JACQUES COPEAU, Journal, cit.; cahier di Copeau indicato come Cahier spécial
sur l’École, pp. 161-167, presumibilmente, come indicato anche negli altri registres
in cui queste pagine si trovano inserite, si tratta del cahier intitolato École du Vieux-
Colombier del 1916, di cui una parte è pubblicata alle pagine precedenti del presente
294
volume; estratti di due lettere di Charles Dullin a Copeau del 15 giugno e del 17
luglio 1916, p. 168; estratto di una lettera di François Porché a Copeau del 18 luglio
1916, p. 168; estratto di una lettera di Jacques Copeau a Jouvet datata 20 luglio 1916,
pp. 168-169; JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, note della
conferenza tenuta al Little Theatre di New York il 19 marzo 1917, pp. 171-180;
JACQUES COPEAU, Le problème du Théâtre moderne, note della sesta conferenza
tenuta al Little Theatre di New York il 29 marzo 1917, pp. 180-184; note di Suzanne
Bing sulla preparazione della compagnia per la partenza americana, indicate da
Sicard come Cahier de notes de Suzanne Bing, note dell’esperienza riportanti le date
di agosto, 8-10-11-15-21 settembre e una nota di dicembre 1917, pp. 185-191;
estratto da JACQUES COPEAU, Les Souvenirs du Vieux-Colombier, Paris,
Nouvelles Éditions Latines, 1931, pp. 191-193; note di Copeau sugli esercizi a Cedar
Court, estratte dal Journal (JACQUES COPEAU, Journal, cit.), datate 23 e 25
maggio 1918, pp. 193-196; Cahier de Suzanne Bing sugli esercizi alla Children’s
School, New York, pp. 197-202; estratti di JACQUES COPEAU, Children and the
future Art of the Theatre, articolo pubblicato in «The Modern School» nel 1918, qui
alle pp. 202-205; estratto di una lettera di Copeau a Roger Martin du Gard del 12
dicembre 1918, pp. 205-206; estratto di un discorso ai giovani attori della Play
House, tenuto nel 1919 al teatro di Raymond O’Neil, nessun riferimento alla fonte,
pp. 206-207; Monologue du Directeur pronunciato nella stessa occasione da Copeau,
pp. 207-208; quattro brevi note tratte dal Journal (JACQUES COPEAU, Journal,
cit.) del 21 aprile, 3 giugno, 26 luglio e 7 agosto 1919, pp. 208-210; estratti da un
cahier della Bing, nota del 22 dicembre 1919, pp. 210-211; foglietti scritti da
Suzanne Bing che riportano il regolamento dell’École du Vieux-Colombier, pp. 211-
214; Cahier inedito di Suzanne Bing Classes du Vieux-Colombier, note dal 1o marzo
1920 al 22 giugno, pp. 214-226; nota del 13 agosto 1920 tratta dal Journal
(JACQUES COPEAU, Journal, cit.), p. 227; estratto di una lettera di Copeau a
André Antoine, datata 1920, p. 227; estratto di una lettera di Copeau a Jouvet del 24
agosto 1920, pp. 227-228; note del Journal del 1o agosto, 1o e 9 settembre 1920
(JACQUES COPEAU, Journal, cit.), pp. 228-229; estratto di lettera di Jouvet a
Copeau del 2 settembre 1920, p. 228; estratto da JACQUES COPEAU, Les Amis du
Vieux Colombier, in «Les cahier du Vieux-Colombier», n. 1, novembre 1920, qui alle
295
pp. 230-231; Notes de Suzanne Bing relatives aux exercices de la saison 1920-1921,
note dal 13 dicembre 1920 al 1 luglio 1921, pp. 232-234; lettera di Jacques Copeau a
Jules Romains del 30 giugno 1921, pp. 235-236; due lettere di Romains a Copeau del
luglio 1921, pp. 236-237; estratto di una lettera di Jacques Copeau a Roger Martin du
Gard del 3 agosto 1921, pp. 237-238; Jules Romains, projet de programme 1921-
1922, pp. 238-239; promemoria di Copeau per l’incontro con Romains, nessun
riferimento sulle fonti, pp. 239-240; breve estratto di una lettera di Jouvet a Copeau
del 4 agosto 1921, p. 240; estratto di una lettera di Copeau a Jouvet datata 8 agosto
1921, pp. 240-241; estratto di una lettera di Copeau a Jouvet del 15-16 agosto 1921,
pp. 241-242; estratto di una lettera di Copeau a Jouvet, 26 agosto 1921, p. 242;
estratto di una lettera di Copeau a Jean Schlumberger, 30 settembre 1921, pp. 243-
244; estratto da JACQUES COPEAU, L’École du Vieux-Colombier, in «Les cahiers
du Vieux-Colombier» n. 2, novembre 1921, qui alle pp. 244-256; Présentation de
l’École, son fonctionnement et ses programmes: I. But de l’École, II. Administration
et Enseignement, III. Tableau d’ensemble des Cours et Travaux de l’École, IV.
Division dell’École, V. Conditions d’admission, pp. 257-266; Plan pour une Classe
de “Plastique”, Plan d’enseignement de la Plastique de scène, pp. 266-268; lettera
di Jules Romains a Copeau del 18 settembre 1921, pp. 268-269; lettera di Copeau a
Romains del 18 settembre 1921, pp. 269-270; Note di Jacques Copeau per l’ingresso
degli allievi al Vieux-Colombier, 1 dicembre 1921, pp. 270-271; Inscrits des l’École
Professionnelle du Vieux-Colombier pour 1921, pp. 271-274; Travaux d’atelier
pensant l’année scolaire 1921-1922, note di Marie-Hélène Dasté intervallate da
ricostruzioni di Sicard, pp. 274-275; estratto da GEORGES CHENNEVIÈRE,
L’Ècole du Vieux-Colombier, pubblicato in «L’Alsace française», 17 dicembre 1920,
qui alle pp. 276-279; estratti da JULES ROMAINS, Petit introduction à un cours de
Technique poétique, in OLIVIER RONY, Correspondance Jacques Copeau – Jules
Romains. Deux êtres en marche, Paris, Flammarion, 1978, qui alle pp. 279-280; note
inedite di Jacques Copeau sul corso di Teoria del Teatro, pp. 281-283; note prese da
Marie-Hèlène Dasté al corso di Teoria del Teatro, tratte da un cahier intitolato École
du Vieux-Colombier 1921-22, pp. 283-295; note complementari del corso di Teoria
del Teatro, si tratta di sette foglietti conservati all’inerno del cahier sopra citato, pp.
295-297; cahier di Marie-Hélène Dasté sugli esercizi di improvvisazione e di
296
maschere dell’anno 1921-22, pp. 298-307; note complementari al cahier sopra citato,
in particolare alcuni fogli sono chiusi da una graffetta e intitolati Éducation
dramatique – Exercices, pp. 307-310; estratto di una lettera di Jules Romains a Louis
Jouvet del 7 marzo 1922, p. 310; estratto da JACQUES COPEAU, Souvenirs, cit.,
qui alle pp. 310-311; estratto di un articolo di Fernand Nozière, À propos de Saül, in
«L’Avenir», 17 giugno 1922, qui a p. 311; estratto di un articolo di Lucien Dubech
sullo spettacolo Saül, in «L’Action française», 26 giugno 1922, qui a p. 312; estratto
di una lettera di Copeau a Lucien Dubech del 26 giugno 1922, pp. 312-313; lettera di
Copeau a Charles Goldblatt del 30 agosto 1948, p. 313; Suzanne Bing, Examen de fin
d’année 1922. Exercices d’improvisation et de masque, pp. 313-314; Marie-Hélène
Dasté, Examen de fin d’année 1922. Exercices d’improvisation et de masque, pp.
314-316; Jacques Copeau, Examen de fin d’année 1922. Exercices d’improvisation et
de masque, pp. 316-317; Exercices de fin d’année 1921-22. Psyché, pp. 317-324;
estratto di una recensione di Henri Bidou a proposito dello spettacolo Psyche
presentato a fine anno dagli allievi, pp. 324-325, l’articolo si trova in «Journal des
Débats», 10 luglio 1922; recensione di Pierre Scize sullo spettacolo al Vieux-
Colombier, pp. 326-329, l’articolo intitolato L’Autre Conservatoire si trova in
«Bonsoir», 12 luglio 1922; recensione di Eugène Marsan, pp. 329-330, si trova in
«Paris-Journal», 23 luglio 1922; estratto di una lettera di Romains a Jouvet datata
fine giugno 1922, p. 330; lettera di Jouvet a Romains datata luglio 1922, pp. 330-
331; Notes de Suzanne Bing, division A, Juillet 1922, pp. 331-332; Notes de Mlle
Esquerré, pp. 332-333; Notes de M. Brochard, l’enseignement musical à l’École du
Vieux-Colombier (année 1921-22), pp. 333-335; Notes de M. Marque, lettre à Jules
Romains du 1er Juillet 1922, pp. 335-336; Notes de Georges Vitray, adressés à Jules
Romains (s.d.), pp. 336-337; Rapport d’André Bacqué sur le travail de l’année 1921-
1922, pp. 337-338; Jugement de Suzanne Bing sur quelques élèves de la division A.
Fin de l’année scolaire 1921-1922, pp. 339-340; Notes de synthèse sur le élèves, pp.
340-341; Exercices en préparation du 14 juillet, redatti da Marie-Hélène Dasté, pp.
341-343; Les activités culturelles en marge du Vieux-Colombier et de l’École, anno
1922-23, pp. 344-345; articolo pubblicato da Yvan Noé, Les Vendredis de M.
Jacques Copeau, in «Paris-Journal», 2 luglio 1922, qui alle pp. 345-347; Grandes
Vacances 1922, esercizi previsti per le vacanze estive, documento redatto da Marie-
297
Hélène Dasté, pp. 347-348; Exercices d’animaux, si tratta di esercizi inventati dagli
allievi dell’École durante l’estate del 1922, non c’è indicazione di chi possa aver
trascitto il documento, pp. 349-354; estratto di un articolo di André Suarès, Pour
Jacques Copeau, in «Comœdia», 12 settembre 1922, qui alle pp. 354-355; estratti di
due lettere di Copeau a Romains del 7 e del 12 settembre 1922, pp. 356-359; estratto
di una lettera di Jouvet a Roger Martin du Gard datata 4 ottobre 1922, pp. 359-360;
nota del Journal di Copeau (cit.) del 15 ottobre 1922, p. 360; breve articolo di Lucien
Dubech, Chronique dramatique, in «L’Action Française», 27 novembre 1922, qui
alle pp. 360-361; Jacques Copeau. La Seconde Troupe et l’École (décembre 1922),
estratto del Programma n. 9 della stagione 1922-23, qui alle pp. 361-362; Cours de
Jacques Copeau sur l’histoire du Vieux-Colombier, note prese da Marie-Madeleine
Gautier durante l’anno 1922-1923, pp. 363-374; Livre de bord de l’École du Vieux-
Colombier 1922-1923, redatto da Marie-Hèlène Dasté, inserto non numerato tra p.
376 e p. 377; note di Sicard al Livre de bord, pp. 375-377; Projet de réorganisation
de l’École pour 1923-1924, redatto da Marie-Hélène Dasté, include un progetto di
budget per la scuola, pp. 378-382; note sparse di Suzanne Bing e altri allievi che
vanno a completare il Livre de Bord di Marie-Hélène Dasté e che Sicard riunisce
sotto il nome Livre de bord 1923-1924, pp. 384-404; estratto di un testo di Jean
Dasté sul lavoro di maschere, p. 405; frammenti di una lettera di Copeau a Suarès,
pp. 405-406; frammento della conferenza My memories of the theatre, pronunciata al
Theatre Guild di New York il 23 gennaio 1927, p. 406; testimonianza di Decroux
sullo spettacolo tenuto dagli allievi del Vieux-Colombier il 13 maggio 1924, tratta da
Paroles sur le mime (cit.), qui alle pp. 406-407; resoconto di Parijanine del lavoro
presentato il 13 maggio 1924, pp. 407-409, si trova pubblicato con il titolo L’Art du
Théâtre – L’École du Vieux-Colombier in «L’Humanité», 15 maggio 1924; bilancio
di Suzanne Bing sulle attività della scuola, posteriore al 1924, pp. 409-410; scritto di
Copeau senza data, pp. 410-411; intervista di Jean Dasté da parte di Michel Saint-
Denis, datata luglio 1958, pp. 411-415; lettera di Suzanne Bing a Maurice Kurtz
datata 11 gennaio 1951, p. 418; testimonianza di Jean Dasté del 12 marzo 1992
sull’esperienza in Borgogna, p. 417; lettera di Étienne Decroux a Georges
Chennevière del 7 luglio 1924, p. 417; lettera di Jean Dorcy a Jacques Copeau e
Georges Chennevière del 7 luglio 1924, p. 418; frammento tratto da Les Journal de
298
bord des Copiaus (JACQUES COPEAU, Les Journal de bord des Copiaus 1924-
1929, édition commentée par Denis Gontard, Paris, Seghers, 1974), pp. 418-419;
testimonianza di Jean Villard tratta da JEAN VILLARD-GILLES, Mon demi-siècle
et demi, Lausanne, Éditions Rencontre, 1970, qui a p. 419; lettera di Georges
Chennevière a Jacques Copeau del 24 settembre 1924, pp. 420-422; estratto di una
lettera di Jean Schlumberger a Loup Mayrisch datata 15 ottobre 1924, pp. 422-423;
estratti di due lettere di Agnès Copeau al marito del 15 ottobre 1924, pp. 423-424;
estratto di una lettera di Marie-Hélène Dasté a Copeau del 16 ottobre 1924, pp. 424-
425; estratto di una lettera di Suzanne Bing a Copeau del 20 ottobre 1924, pp. 425-
426; estratto di una lettera di Bing a Michel e Miko Saint-Denis del 22 ottobre 1924,
pp. 426-427; Georges Chennevière a Copeau, estratto di una lettera del 26 ottobre
1924, pp. 427-429; Marie-Hélène Dasté a Copeau, estratto di lettera datato 26 ottobre
1924, pp. 429-431; Notes pour un exposé à Lille et Roubaix, note di Copeau del 28 e
29 ottobre 1924, pp. 431-434; frammenti di un’intervista di Denis Gontard a Aman
Maistre, datata 10 ottobre 1966, pp. 435-435; Léon Chancerel a Copeau, frammento
di una lettera datata 9 novembre 1924, p. 436; testimonianza di Chancerel
sull’esperienza dei Copiaus, tratta da JACQUES COPEAU, Les Journal des
Copiaus, cit., qui a p. 436; biglietti di servizio di Copeau ai Copiaus, datati 25
dicembre 1924, 4 e 22 gennaio 1925, pp. 437-440; testimonianza di Jean Villard in
JEAN VILLARD, Mon demi-siècle et demi, cit., p. 440; estratti di una lettera di
Chancerel alla moglie del 25 gennaio 1925, p. 441; Liévin Danel a Jacques Copeau,
estratto di una lettera del 26 gennaio 1925, p. 441; Copeau ad Agnès, estratto del 27
gennaio 1925, p. 441; Eugène Mathon a Copeau, estratto del 27 gennaio 1925, pp.
441-442; Copeau a Mathon, estratto di una lettera del 4 febbraio 1925, p. 442; nota di
Copeau del 6 febbraio 1925, tratta dal Journal (cit.), pp. 442-443; lettera di Copeau a
Michel Saint-Denis, pp. 443-444; estratti da Les Journal des Copiaus (cit.), pp. 444-
445; Chennevière a Copeau, estratto di una lettera del 25 marzo 1925, p. 445; estratto
di una lettera di Yvonne Galli a Copeau, senza data, p. 445; estratto di una lettera di
Copeau a Galli del 28 agosto 1925, p. 446; nota del 30 ottobre 1927, p. 446.

299
Pur trattandosi di testi monografici, si fa eccezione rispetto a quanto indicato
precedentemente e si menzionano, per il rilevante interesse che rivestono, i due saggi
che accompagnano le antologie di Copeau curate dall’Aliverti:
MARIA INES ALIVERTI, Le rose di Provins, in JACQUES COPEAU, Il luogo del
teatro. Antologia degli scritti, a cura di Maria Ines Aliverti, Firenze, La casa Usher,
1988, pp. 215-274. In particolare pp. 233-253. Si consideri inoltre l’appendice 2 Gli
esercizi della scuola, pp. 290-298 e, della stessa autrice, l’introdizione a Artigiani di
una tradizione vivente. L’attore e la pedagogia teatrale, Firenze, La Casa Usher,
2009.

300
Materiale inedito

Tutto il materiale inedito a cui si fa riferimento all’interno della tesi si trova


nel Fonds Jacques Copeau, conservato nella Bibliothèque Nationale de Paris,
Département des Arts du Spectacle. Vi si trovano, oltre a manoscritti del regista,
copie di alcune sue note riscritte per l’edizione dei registres, una gran quantità di
quaderni e appunti manoscritti di alcuni allievi, in particolare ad opera della figlia
Marie-Hélène Copeau (in Dasté), esercizi, note e trascrizioni delle lezioni prese da
Suzanne Bing, corrispondenze, manoscritti di materiale edito. Il fondo versa in uno
stato di notevole disordine, rendendo difficoltosa la consultazione. Delle circa
trecento boîtes depositate nell’archivio, solo le prime cento (riguardanti materiale
sugli spettacoli) sono state catalogate dalla biblioteca. Le restanti contengono
materiale vario, non ordinato. A Marco Consolini si deve un primo tentativo di
schedare il fondo e di descriverne in modo approssimativo il contenuto. Gli appunti
del lavoro, eseguito per motivi di ricerca personale e tanto generosamente
concessimi, sono stati uno strumento indispensabile per un primo orientamento fra i
documenti dell’archivio.
Esistono poi otto boîtes, che non rientrano tra le precedenti, spogliate e
sommariamente schedate da Simone Drouin, ex conservatrice del Fondo. A ognuna
di esse è stata attribuito un numero arabo progressivo da 1 a 8 e la scritta École
(indicate in testo B1ÉCOLE, B2ÉCOLE, ecc.). All’interno di ogni scatola si trova un
numero diverso di chemises, che conservano e dividono i documenti. A matita, sul
fronte di ogni cartelletta, l’indicazione del documento contenuto, per la maggior
parte materiale relativo alla scuola, fra cui molti documenti inediti, sia di Copeau sia
di allievi e collaboratori, soprattutto di Marie-Hélène Dasté e Suzanne Bing.
Di seguito lo spoglio dei manoscritti.

Boîte 1
Boîte 2
Sul frontespizio della boîte: Fonds Copeau. L’École boîte 2 acquisition de 1995.
301
All’interno:
Cartella 1: L’École. Lettre de Leon Chancerel à M. Saint-Denis (( un foglio
manoscritto firmato da Leon Chancerel.
Cartella 2: L’École. Notes ms éparses 19 ff (( Contiene fogli manoscritti sparsi. Note
sulla respirazione e la dizione.
Cartella 3: L’École. Notes de Suzanne Bing. L’espace scénique, le mouvement, le
rythme. (( Contiene sette fogli manoscritti compilati solo fronte e numerati a partire
dal numero 3. Appunti sull’educazione fisica dell’attore e sul rapporto fra il
movimento e lo spazio scenico.
Cartella 4: quaderno manoscritto di Suzanne Bing? 1922-1923 (( appunti sul rapporto
fra azione dell’attore e spazio scenico, esercizi, accordo voce – movimento.
Cartella 4: L’École Cahier de notes de Suzanne Bing (( quadernetto marrone della
Bing sulla scuola. Il titolo del frontespizio: École Paris 1922-23. Il quadernetto è
compilato per 29 pagine numerate e manoscritte.
Cartella 5: Musique corporelle cours 1ere année Pernard 1926 13 ff ms (( contiene
sette fogli protocollo compilati fronte retro e non numerati.
Cartella 6: L’École (Morteuil). Cahier de Suzanne Maistre 1924 (( comprende un
blocchetto note a spirale arancione. Manoscritto e compilato solo fronte.
Cartella 7: L’École. Suzanne Bing “propos et conseils sur le travail de la diction”
(premier defré). Dactylographié relié. Cahier ms [manoscritto].
Cartella 8: L’École (Morteuil). Cahier de Suzanne Maistre. 1 petit cahier beige ((
quadernetto marrone manoscritto. Sul frontespizio del quadernetto: Cahier à faué
dactylographier concernant école. Cahier à faué (???) dactylografier concernant École
= Morteuil + Pernard. Notes Suzanne Bing = prises tantôt aux cours J. C. tantôt =
réflexions de S.B. sur exercices des élèves ou sur les paroles prononceés par J. C. La
mancanza del nome di Suzanne Maistre e la grafia che potrebbe essere quella di Suzanne
Bing fanno pensare che il documento appartenga a quest’ultima e non a Suzanne Maistre.
Cartella 9: L’École. Textes copiées par Suzanne Bing pour étayer les principes de la
doctrine de l’École 22 ff ms [manoscritti] et dactylogr.
Cartella 10: L’École. Histoire du costume. Cahier ms [manoscritto] de M.-H. [Marie-
Hélène] Dasté. (( Quadernetto rosa che contiene note del corso di storia del costume

302
di M. Ruppert. Temi affrontati: histoire du costume, le costume antique, origines du
costume, le vêtements antique, matières, la draperie dans l’antiquité.
Cartella 11: L’École. Notes de Suzanne Bing sur la voix 17 ff ms.
Cartella 12: L’École. Notes ms de Suzanne Bing classées alphabétiquement (2) 105 ff
exercices dramatiques.
Cartella 13: L’École. Notes de travail de Suzanne Bing (( contiene un grosso cahier
rossiccio.
Cartella 14: L’École. L’acteur.
Cartella 15: L’École.

Boîte 3
Sul frontespizio della boîte: Fonds Copeau. L’École boîte 3 acquisition de 1995.
Cartella 1: Notes sur la diction des personnages de “l’Avare” 7 ff ms
Cartella 2: Essai de méthode par l’enseignement d’un techinique corporelle 21 ff ms
(( fogli non numerati.
Cartella 3: Examen de fin d’année 1922.
Cartella 4: Premier projet de programmes des cours année scolaire 1921-1922 5 ff
Cartella 5: “Le chant du jeudi” de Georges Chennevière (( quaderno rossiccio
manoscritto sulla messinscena dello spettacolo. Mise en scène Marie-Madaleine
Gautier, note di Cheres Goldbaltt, conduite Marie-Hélène Dasté.
Cartella 6: Exercices dramatiques 9 pièces ms (( Fogli sparsi, alcuni numerati.
Cartella 7: Exercices dramatiques, jeux, 20 pièces
Cartella 8: Exercices dramatiques: exercices d’animaux 6 pièces (( fogli sparsi di
esercizi vari.
Cartella 9: 1 cahier bordeaux Jean Dasté
Cartella 10: Plan de cours de Suzanne Bing 1 grand cahier beige (( note molto
schematiche. Il frontespizio del cahier riporta: Suzanne Bing. Le quatre facteurs de
l’expression, les moyens d’education musculaire et intellectuelle, les organes de
l’expression, les sens à eduquer.
Cartella 11: Musique vocale (( comprende: La Polyphonie sacrée, estratti di «La
Revue de Bourgogne», n. 2, 15/2/1923 e un articolo Les chorales religieuse et les
chanteurs de Saint Gervais.
303
Cartella 12: Testo a stampa sul maquillage.
Cartella 13: La musique 5 ff (( cinque fogli compilati solo fronte, numerati, due fogli
manoscritti, compilati solo retro e non numerati, un foglio manoscritto compilato
fronte e non numerato.
Cartella 14: Jeux 5 ff ms (Jean Dasté?)
Cartella 15: Anatomie. Notes de Jean Dasté 1925 19 ff (( quaderno di appunti,
compilato fronte e retro, manoscritto). Sul frontespizio, presumibilmente di mano di
Dasté: Janvier 1925. École du Vieux-Colombier, Pernard à Vergelesses (Cote d’Or),
cahier d’étude d’anatomie, Jean Dasté. Comprende anche disegni molto dettagliati
sul corpo umano, muscoli e legamenti.
Cartella 16: Gymnastique. Notes de Jean Dasté 23 ff (( comprende: 1 piccolo cahier a
spirale blu, 1 grosso cahier rosso.
Cartella 17: Exercices dramatiques 5 ff ms [manoscritto]

Boîte 4
Sul frontespizio della boîte: Fonds Copeau. L’École boîte 4 acquisition de 1995.
Cartella 1: L’École 1923. Livre de bord (( quaderno marrone, scritto fronte e retro.
Sul frontespizio: Livre du bord 1923 et notes pour le livre de bord.
Cartella 2: L’École 1923. Livre de bord 36 ff ms.
Cartella 3: Diction. Cours de Suzanne Bing. 1 cahier blue ms M.-H. Dasté. ((
Quaderno blu, sull’interno del frontespizio: Diction cours de Suzanne Bing. ((
comprende anche note sul ritmo e la musicalità del dramma.
Cartella 4: L’École 1921-1922 langue française. 1 cahier vert ms [manoscritto]
Marie-Hélène Dasté (( contiene un quadernetto verde chiaro. Sul frontespizio: École
du Vieux-Colombier 1921-22. Il quaderno contiene appunti sul corso di grammatica
francese.
Cartella 5: L’École 1921-1922 les écoles, les communautés, la civilisation de la
Grece ancienne. Cours de G. Chennevière. 1 cahier ms Marie-Hélène Dasté ((
quadernetto marrone.
Cartella 6: L’École [1921-1922]. Tecnique poètique. 1 cahier beige ms [manoscritto]
Marie-Hélène Dasté. (( quadernetto marrone, scritto su 23 pagine compilate fronte e
retro e non numerate.
304
Cartella 7: L’École 1922-1923. Musique II. 1 cahier ms [manoscritto] Marie-Hélène
Dasté (( quadernetto marrone, scritto su 36 pagine compilate fronte e retro e non
numerate. Comprende appunti su musica moderna, musica francese del XVIII secolo
e musica classica.
Cartella 8: L’École 1922-1923 grec petit carnet ms Marie-Hélène Dasté (( piccolo
quaderno marrone chiaro, scritto su 24 pagine compilate fronte retro e non numerate.
Cartella 9: Numéro spécial de «Mime Journal», n. 9-10, 1979.

Boîte 5
Cartella 1: Projet d’un école technique par la rénovation de l’art dramatique
français 1 ex 5 ff dactylogr. 1 ex 24 ff dactylogr. (( comprende due fascicoli,
entrambi riportano lo stesso titolo della cartella.
Cartella 2: Gontard, Denis “Jacques Copeau et l’École” 5 ff dactylogr. (( si tratta in
realtà di sette fogli, scritti solo fronte e firmati da Denis Gontard, datati maggio
dicembre 1979. Breve resoconto della storia del Vieux-Colombier, sino alla nascita
della scuola con l’elenco di alcuni corsi.
Cartella 3: Carnet de fuillets mobiles de Suzanne Maistre (( quaderno ad anelli rosso
compilato solo fronte, manoscritto.
Cartella 4: “Jacques Copeau’s school for actors” de Barbara Kluster Leight 19 ff
imprimés.
Cartella 5: Liste de dossiers restés chez M.-H. Dasté 10 ff dactylogr. (( dieci fogli
compilati solo fronte, numerati a partire dalla pagina due.
Cartella 6: Plan pour une classe de “plastique” (education et art du mouvement au
théâtre) 6 ff ((
Cartella 7: Correspondance Charles Peguy

Boîte 6
Sul frontespizio della boîte: Fonds Copeau. L’École boîte 6 acquisition de 1995.
All’interno:

305
Cartella 1: Dossier d’élèves. Michelle Bossu 16 ff (( pagella per l’anno 1923 e
questionario da compilare per il candidato che vuole entrare all’École du Vieux-
Colombier.

Boîte 7
Sul frontespizio della boîte: Fonds Copeau. L’École boîte 7 acquisition de 1995.
All’interno:
Cartella 1. Sul frontespizio: L’École. Theorie du théâtre. Notes prises par Marie-
Hélène Dasté. Contiene:
(( Un quadernetto rosso. Sulla prima pagina il titolo: La theorie du théâtre M.C.
[Marie Copeau]. École du Vieux-Colombier 1921-22. Pagine scritte fronte e retro,
non numerate.
Appunti presi sul concetto di “bien penser”, sull’interazione fra istinto ed
educazione, arte e mestiere, teatro greco e teatro popolare, rapporto fra autore, attore
e spettatore nell’ideale visione di Copeau e in riferimento al teatro greco. All’interno
del quaderno sette fogli sparsi, scritti fronte e retro, non numerati e tenuti assieme da
un fermacarte. Nella prima pagina: Notes prises par Maiéne Copeau aux cours de
J.C. [Jacques Copeau]. Theorie du théâtre (1922-1923). Appunti presi sul rapporto
fra teoria e pratica e il legame del mestiere con la tradizione, sul ruolo della cultura
nella formazione dello spirito e quindi sulla necessità dell’insegnamento, breve
riferimento al rapporto attore – personaggio e alla musica come base
dell’insegnamento.
Cartella 2. Sul frontespizio: L’École. Théorie du théâtre. Notes ms [manoscritte]
prises par Marie-Madeleine Gautier. Contiene:
(( Serie di fogli A4 scritti solo fronte ad inchiostro blu. I fogli sono raggruppati in
diverse cartelline. Sul frontespizio di ogni cartellina, ad inchiostro blu, la descrizione
del contenuto con il riferimento alle pagine: 1. Theorie du théâtre 1ere leçon. (la
cartella è però vuota); 2. Theorie du théâtre 2e leçon. origines religieuses: Les
mystères d’Eleusis 1 à 4 / Dionysos 5 à 6 / Culte de Dionysos 6 à 8 / Fête
Dionysiaques 8 à 9; 3. Theorie du théâtre 3e leçon. Le dithyrambe: Le lyrisme choral
10 à 12 / Concours dithyrambiques 12 / Progrès developpement 13 à 14; 4. Theorie

306
du théâtre 4e leçon. Caractère religeux et social: Passion et competence dramatique
15 / Caractère religeux 16 / Prédecesseurs d’Eschyle 17 / Concours tragiques 18 /
Prèliminaires 18 à 19 / La représentation 19 à 20 / Le public 20 à 23. 5. Theorie du
théâtre 5e leçon. Rapport du poète à l’interprète: Enseignement 24 à 25 / Le choeur
25 à 26 / Disposition choral 27 à 29 / La musique 29 à 30 / La danse 30 à 32. 6.
Theorie du théâtre 6e leçon. L’acteur: Le costume 33 à 35 / Le masque 36 à 37 / Le
jeu ou expression dramatique 37 à 39 / Le dialogue 39 à 40 / Les acteurs 40 à 43. 7.
Theorie du théâtre 7ere leçon: la scène: La scène 44 à 46 / La diction 47 à 48 / Les
accessoires et machineries de scène 48 à 49.
Cartella 3. Sul frontespizio a matita: L’École. Notes ms [manoscritte] de Jacques
Copeau sur le théâtre grec.
Cartella 4. Sul frontespizio: L’École 1922-1923 “Education dramatique”. Notes
prises par Marie-Madeleine Gautier au cours de Jacques Copeau. Contiene:
(( Quadernetto privo di copertina, scritto su sessantasette pagine fronte e retro. Nella
prima pagina, in alto si trova descritto il contenuto: 1922-23 Marie Madeleine
Gautier. Notes prises au cours de Jacques Copeau “education dramatique”.
I primi appunti hanno lo stesso contenuto, e sono molto simili anche nella forma, a
quelli presi da Marie-Hélène Dasté nel 1921-22 (si veda cartella il quadernetto rosso
della cartella 1 della boîte 7); si trovano poi note sul teatro greco (Doinysos, fetes de
Dionysos, les Dionysies rurales, les lénéennes; les anthestéries, les grandes
Dionysies, les mysteres d’Eleusis, petits misteres et grands misteres, le lyrisme
choral, le péan, le prosodion, l’hypochéme, le parthenée, le daphnéphonique,
l’orchophonique, le dithyrambe), appunti sulla vita e la civilizzazione greca, le
ultime dodici pagine riguardano il corso di tecnica poetica, così com’è riportato sulla
prima pagina in alto: Tech. Poétique.
Cartella 5: Sul frontespizio: L’École 1922-23. Programme des cours. Contiene:
(( Due copie del programma del corso, ogni copia dattiloscritta fronte e retro su un
foglio non numerato. In alto sulla prima facciata: 1922-23 École professionelle du
Vieux-Colombier. Lo scritto contiene la definizione e l’organizzazione del Groupe
d’apprentissage.
Cartella 6: Sul frontespizio: L’École. Exercices, expression corporelle 17 ff ms.
Contiene:
307
(( Cinque fogli protocollo scritti fronte e retro e 8 foglietti staccati scritti fronte e
retro, riportano lo stesso contenuto dei fogli protocolli, ma in bella calligrafia. In
questa copia ci sono alcune aggiunte rispetto all’altra, a partire dai titolo, assente nei
fogli protocollo: p. Exercices – expression corporelle. État preable. Meine –
Masque; p. 2 Decontraction. Silence. Immobilité. Si tratta in ogni caso di note e
descrizione sintetiche di esercizi.
Cartella 7. Sul frontespizio: L’École. Riunion d’enfants 5 ff ms.
Cartella 8. Sul frontespizio: L’École. Cours d’électricité 1 ff ms.
Cartella 9. Sul frontespizio: L’École. Notes de Suzanne Bing 7 ff ms. Contiene anche
una copia dattiloscritta.
Cartella 10: Sul frontespizio: L’Histoire du théâtre depuis le Théâtre Libre ms
[manoscritto] de Marie-Madeleine Gautier. Contiene:
(( Quadernetto senza copertina, scritto fronte e retro su pagine non numerate. Sulla
prima pagina si chiarisce la fonte dello scritto: Marie Madeleine Gautier. Notes de
cours à l’École du Vieux-Colombier. I primi appunti riguardano la natura della
vocazione drammatica e i suoi legami con l’infanzia. Altri appunti sono raggruppati
sotto il titolo di Théâtre Libre e comprendono considerazioni di Copeau sulla storia,
la natura, l’evoluzione e le influenze del teatro naturalista in generale e del teatro di
Antoine in particolare. Uno spazio all’interno della lezioni viene dedicato al
simbolismo, a Paul Fort e a Lugné Poe. Copeau prosegue raccontando della filosofia
del Vieux-Colombier e della sua nascita.
Cartella 11: Sul frontespizio viene riportato a matita l’elenco dei titoli come segue (la
descrizione del contenuto è invece a nostra cura):
Rapport de Brochan à Jules Romains (( si tratta di una lettera manoscritta distribuita
su cinque fogli da quadernetto scritti solo fronte. La lettera è datata 29 giugno e
firmata Brochan. In alto, nella prima pagina: Anneé 1921-22. Einsegnement musical
à l’École du V.C.
Rapport de Marque 1922 (( si tratta di un foglio formato A4 manoscritto, compilato
fronte e retro e datato 13 luglio 1922. È firmato Marque.
Rapport de Georges Vitray 1f ms ((si tratta di un foglio formato A4 manoscritto,
compilato fronte e retro. Contiene resoconto non datato su Gallard, Villard, Dorcy,

308
Maistre, Mlle Stressel, Heckeren, Rousseau, Vlaiery, Smith. È firmato Georges
Vitray.
Notes de Suzanne Bing 33 ff ms (( tre fogli manoscritti solo fronte, non numerati. In
alto, a destra qualcuno ha scritto notes Suzanne Bing. Si tratta di un resoconto, datato
luglio 1922, del lavoro su senso drammatico, dizione e musica corporea per la
divisione A, che comprende: Maiene, Madaleine, Yvonne, Monique, Charles, Eva.
Notes 3 ff ms (( si tratta di tre fogli manoscritti, compilati solo fronte senza
indicazione alcuna del suo autore.
Liste de cours 3 ff ms (( si tratta di tre fogli dattiloscritti, compilati solo fronte, che
riportano gli insegnamenti, i professori e le divisioni interessate per i corsi pubblici e
quelli chiusi.
Réglements 3 copies dactylogr. 9 ff (( si tratta di tre fogli dattiloscritti, ma numerati a
mano, compilati solo fronte e riprodotti in triplice copia. In alto a matita qualcuno ha
scritto 1921-22. Riporta il regolamento della scuola.
Programme des cours et réflexion 8 ff dactylogr. (( si tratta di otto fogli scritti solo
fronte e numerati a partire dalla pagina 2 (la pagina 1 non è numerata). Riflessioni
sulla ginnastica all’interno del corso, secondo il metodo naturale di Georges Hébert.
Cartella 12: Sul frontespizio: cours d’életricité 1 ff ms (( si tratta in realtà di una
lettera scritta su foglio A4 compilato fronte e retro. La lettera è indirizzata a Copeau
e datata 29 ottobre, firmata Mony e illustra a grandi linee l’andamento del corso in
cui si prevede una parte di teoria sull’elettricità e i suoi rapporti con il teatro e una
parte con esercizi pratici. Un foglietto più piccolo, scritto fronte e retro riporta i temi
del corso: le courant électrique, les générateurs d’életricité, les contateurs
d’életricité, applications pratiques des theories precedentes.
Cartella 13: Sul frontespizio: Projet d’examen 1922 (( un foglio manoscritto solo
fronte e non numerato.
Cartella 14: Sul frontespizio: L’École 1921-1922. Budgets 6 ff (( sei fogli scritti solo
fronte e non numerati.
Cartella 15: Sul frontespizio: Dialogue du leux communs de J. Copeau 23 ff ms ((
fogli scritti solo fronte; in alto, a matita: pour eleves Pernard.
Cartella 16: Sul frontespizio: L’École 1921-1922 (( Comprende: tre copie di Grandes
vacances 1922 (scritto a matita su una delle copie) una copia manoscritta e due
309
dattiloscritte. Premier projet du programme de cours 4 ff dactylogr. Scritti solo fronte
e non numerati. Si tratta del progetto dei corsi per l’anno 1921-1922.
Cartella 17: Frontespizio: L’École. Notes de Suzanne Bing 7 ff ms Copia dactylogr.
(( Si tratta di sette fogli manoscritti compilati solo fronte. La copia dattiloscritta
comprende quattro fogli compilati solo fronte.
Cartella 18: L’École. Achats Livres 5 ff (( note, presumibilmente di Copeau. Elenco
di testi e articoli di vari autori. Fra questi dei testi di Édouard Claparède e testi di
antropologia editi dalla Clarendon Press Books di Oxford.
Cartella 19: Plan du magasin du Vieux-Colombier. École de 1923-1924. ((
Planimetria.
Cartella 20: Projet de classe d’élèves professionnelle de M. Vitray 2 ff dactylogr. 1 f
ms [manoscritto]
Cartella 21: L’École. Exercices. La femme muette 20 ff ms. La belle au bois dormant
9 ff ms
Cartella 22: s.d. programme de cours 4 ff dactylogr. (( Alcuni estratti del programma
che si trova nella cartella 11, Liste de cours.
Cartella 23: L’École 1921-1923. Programme du cours 4 ff ms (( Contiene in realtà
cinque fogli dattiloscritti, compilati solo fronte e numerati con numeri romani ad
eccetto del primo e ultimo foglio che non sono numerati. Il programma del corso è
relativo all’anno 1921-1922 e illustra brevemente i contenuti dei corsi pubblici e dei
corsi chiusi, sezione A.
Cartella 24: L’École 1922-1923. Projet de programme 6 ff ms. Budget 5 ff ((Projet de
programme 6 ff ms. In realtà si tratta di sette fogli numerati e compilati solo fronte;
Budget 5 ff , comprende cinque fogli manoscritti solo fronte più due foglietti
manoscritti solo fronte sul budget relativo all’École 1923-24. La trascrizione precisa
del contenuto di questa cartella si trova in REG. VI ÉCOLE, pp. 378-383, riunito da
Calude Sicard sotto il titolo Projet de réorganisation de l’École pour 1923-1924.

310
311
Appendice

Boîte 2, cartella 10, p. 2.

Exercices dramatiques

Bases sur l’experience personnelle et immediate de l’enfant. Pour les enfant (6 à 14


ans) ses jeux. A peine l’y aider ou lui en fournir. L’aider plutôt à executer
matériellement ses objets qu’il réclamerait pour son jeu.
L’observer.
Pour la 1re année (14 à 18), nourrir le dedans par le dehors. Ne rien lui demander de
produire du dedans au dehors. Lui faire découvrir et observer ce qu’il éprouver
réellement, en commençant par les actes primitifs et naturels: voir, regarder,
entendre, écouter, etc. Aucune interpretation d’états intérieurs: tristesse, espoir, etc.
Observation de la nature, d’animaux, de son entourage, individus, classes
d’individus, dégager des types, favoriser la conception de personnages, les amener à
constater que pour qu’il y ait action dramatique le personage est premier.
Petites improvisations qui alimentent la vie du personnage. À propos de ces
improvisations dégager les premières nécessités dramatiques: forme, lisibilité,
continuité, etc.
Procéder pour l’enseignement, naturellement; si petite que soit la donnée, s’il y a
noyan, embryon de personnage, le nourrir, le développer, lui donner sa vie propre, et
naturelle; ne la hâter pour ancun artifice».
Autant il faut d’exigence pour ce qui depend des soins dans l’exécution: bonne tenue,
et en general dans les exercices purs, autant le travail dramatique improvise doit
garder de souplesse, de spontanéité: ne pas mécaniser la representation extérieure
d’une émotion vraie.

312
Boîte 2, cartella 10, pp. 6-11.

Exercices dramatiques

Car l’émulation pour la réussite favorise pour les commençants ou les moins doués la
“bonne idée” et tout sont l’extérieur. Il y a une emulation créatrice, où l’accueil de
tous, la critique bienveillante et exprimée, mais par le maître autant que possible,
sont elements d’encouragement et de progress.
L’esprit de tous à ce moment doit être le meme qu’aux exercices dramatiques,
curieux chez autrui du germe qui tend peut-être à se développer.
Pour notre étude le germe est plus intéressant que le plein développement, puis-que
nous sommes au début d’une recherché qui, jusqu’ici, s’est le mieux éclairée dans les
circonstances en question et non dans les exercices. Fc, ms, boite 2 école, Suzanne
Bing exercices dramatiques, p. 6.
Compléter par circonstances naissance et 1res improvisations de veritable
personages. Confirmant comme épanoissement, non comme enseignement primaire.
Personnages.
1er année. Improvisations.
Apparence physique allure générale.
Rattachement à une classe d’individus.
Caractéristiques de cette classe.
Observation du milieu, des occupations et habitudes.
Détails communs caractéristiques de cette classe.
Vocabulaire, tics professionnels.
Détails particuliers à l’individu choisi de cette classe: vocabulaire,
tics, etc.
En déduire son état particulier, sauté, caractère, etc.
Avec cet données le mettre en presence des faits journaliers qui
provoquent les reactions les plus familières;
en présence de faits exceptionnels,
en presence d’autres individus.

313
Travail continue d’observation et d’assimilation qui journellement
enrichit le vocabulaire, accentue le physique, décide du costume.
Improvisations dialoguées
2me année ?
Étant donné tel personnage particulier choisir une circonstance familière où il soit en
face de telle personne, d’ordre général, et convenir d’une donnée simple et unique de
dialogue:
exemple: questions et réponses, un nombre determine.
Variantes: questions et réponses [?]
absence de réponses.
etc.
Les réactions de personages, et les variations de forms dialoguées, seront l’objet
d’une etude lente, très dosée, et strictement suivant les dons de l’élève.
Il me parâit même que cette période du dialogue doit être rèservée à des élèves de
3me année, en possession des principes dramatiques, capable d’identification
complète et en possession de leur personnage.
L’expérience a été = de jeunes acteurs

Développement

En 4e année, parallèlement à la découverte de personnages dans les improvisations


spontanées de la vie en communs, les exercices dramatiques ont tendu à une
expression neuve par la création d’un langage proprement dramatique, nouveau en
cela qu’il n’était ni pantomime ni danse ni plastique animée, mais une représentation
au moyen de signes proprement dramatiques.
Pluis l’identification de l’élève avec le sujet représenté était profonde, plus les signes
étaient dépouillés et plus il y avait représentation.
Les élèves n’étaient plus masqués. Ils avaient acquis assez de contrôle pour garde le
visage à son (non capisco la parola) et n’en être plus gênés.

Saltation

314
Le moyen dramatique don’t les improvisations les meilleures se rapprochaient le plus
était la Saltation a ce degré d’enseignement ces essais étaient l’aboutissement de
l’éducation reçue, spécialement les exercices dramatiques avec masque, la musique
corporelle, l’éducation physique, en ce sens que seuls des élève ainsi éduques étaient
capables d’essais furent les premiers balbutiements d’un langage nouveau. Nous
savons qu’il existe et avons l’apprendre. Car le crèerne sera pas l’inventer, mais
découvrir, le déchiffrer, en éprouver les sens divers, le rendre lisible, en formuler les
lois.
L’Identification ensemble la condition.

Boîte 2, cartella 10, pp. 14-16.

Pernard. Mai 1926 Exercices dramatiques


Première année. 3 élèves. Storm, Margot, Claude.
1 Apercevoir. Voir. Regarder.
Improvisation: Margot considère à terre un petit animal qui à la fois l’intéresse et
l’effraie.
Storm et Claude entrent et se (non capisco la parola), aperçoivent Margot, dont
l’attitude attire leur attention sur l’animal, qu’ils considérent à leur tour: esquisse de
groupement, Margot les voit et les trois se regardent, et observent l’animal, même jeu
d‘intérêt et d’effroi. Storm le saisit, se redresse et l’examine dans sa main. Tous trois
se rapprochent sur lui, Storm part tenant l’animal, en compagnie de Claude, et
Margot est entraînée dans le (non capisco parola) par la continuité de son intérêt pour
l’animal.
Sortie à trois.

2 Entendre, écouter.
Improvisation: entendre, écouter; regarder, voir. Claude entre pour venir prendre un
objet. Au moment de le saisir, son geste est suspendue par un leger bruit qu’elle
entend. Elle se dirige doucement vers l’endroit de ce bruit, là elle cherche à voir ce
315
que ce peut être, regarde, et ne voyant rien, retourne à son activité qui a été retardée.
Son geste est de nouveau suspendu, elle entend, va voir avec une plus grande
précaution, regarde rapidement et voit (le souris?) qui se sauve. Elle ne voit plus, et
cesse de regarder, retourne à l’objet qu’elle venait chercher, le prend, sort».

3 Observer des animaux. Claude fait une poule, Margot le chaval.

4 Improviser pour voir, l’objet d’intérêt étant l’un des éléves: Storm est coach, dort.
Margot et Claude Entrent ensemble, se promenant. Une courbe de leur promenade
leur fait voir l’être couché. Arrêt. Réveil progressif, observé par les filles, crainte.
Bond de l’être vers une fleur, son jue avec cette fleur pose son renard sur les filles.
Effarouchées elles se séparent par petits bonds. Il les poursuit tour à tour. Par le jeu
de la fin de la (non capisco la parola) leur crainte a cédé au jeu; elles fuient mais font
le jeu de lui jeter du sable. Il se défend. Elles s’avancent sur lui en jeu menaçant.
Arrivées auprès, elles lui prennent les mains. Ronde. Elles se quittent la main,
gardant chacune une main de l’être, l’entraînent, il joue le jeu de résister mais laisse
courir ses jambes, ravi. Fc, ms, Suzanne Bing excercices dramatiques 105 ff, pp. 14-
15.

5 Attendre
Improvisations individuelles.
Improvisations: une attente commune.
Les 3 élèves, en place, attendant. Ils ne se voient, n’ont pas pris contact: chacun
attend individuellement.
Les phases de leur attende, impatience, espoir, les orientent l’un vers l’autre, leur
intérêt individuel situé dans une direction commune. Ils prennent contact par un
regard et retournent à leur attende, tendus vers le même point. Détente et déception
commune, départ ensemble et séparation, mais individuellement quant au sentiment:
rien de communiqué sauf le regard d’un instant.
Improvisation: attente mutuelle
Les trois élèves sont assis, de dos l’un à l’autre. Longue attente. L’un deux se lève et
décrit un petit cercle, regard baissé, dans [?] de l’attente.
316
Les duex autre de même, à court intervalle les uns des autres. Les cercles
s’agrandissent, des sorte qu’à une [?] de plus grand cercle les trois dos ou épaules se
frôlent. Regards, arrêt, reconnaissance, groupement assis l’un vers l’autre. (fino a p.
16)

Boîte 2, cartella 10, pp. 30-31.

Exercices dramatiques

L’Éleve en rapports avec un milieu


Personnages La Forme et la Composition d’une action dramatique sont
travaillées plus utilement dans les improvisations parlées, ou
mimées, à plusieurs personnages.
Les improvisations placent l’élève en rapport avec son
entourage: d’autres personnages, la vie extérieure et sociale.
Les principes [?] à la création dramatique par la création de
personnages me semblant avoir été moins éprouvés ou
assimilés par les élèves, et par là, la conviction du maître a pu
être moins convertie en enseignement. Nous en restons à ce
qu’on a fait, entrevoyant ce qu’il faut faire, sans savoir encore
comment le faire.
C’est très tard, à Morteuil, sur des élèves déjà adultes, que le
goût de la création d’une personnage s’est dessiné, et grâce à
un milieu constant de création commune et de vie en
commune, sous l’exicitation et la demande constante du
Patron.
Arrête complet à Pernard, à cause de la dispersion du travail du
Patron, et le centre de création dramatique ne s’étant établi
[nulle] autre part, et parce que le seul bien de vie en commun
n’était plus une maison commune, mais chez Madame Copeau.

317
Il faudrait que la cuverie, ou la prairie, ne soient pas seulement
lieu de travail ou de répétitions, mais que s’il y a amusement,
déguisement, solennité, ou improvisation, ce soit là. Il faudrait
surtout que tous osent oser pour eux-mêmes, chercher,
librement et spontanément, et que tout recherche, toute
aspiration, trouve accueil et non critique, le degré de réussite
n’entrant jamais en ligne de compte.

Boîte 2, cartella 10, p. 35-36.

L’acteur et sa présence physique est la donnée première du drame.


Il est son propre instrument et l’instrument du Poète.
L’éducation de cet instrument:
gymnastique, acrobatie, musique corporelle, est donc le point de départ de tout
l’enseignement.
C’est, là aussi, partir de la Nature. Étude et maîtrise par l’élève de son être naturel
avant d’en faire un interprète.
Au cours des différents degrés d’enseignement les exercices physiques sont
maintenus, le plus doués se spécialisant.
L’acteur ne cessera pas de s’entretenir en bon état physique.
La gymnastique est l’acquisition d’une sauté et de qualités physiques.
L’acrobatie est une application, un développement de ces qualités, plus directement
rattachés à des possibilités dramatiques.
La musique corporelle est la discipline du corps humain au service du drame au
moyen de la musique contenue dans le drame. Pp. 35-36

318
Boîte 2, cartella 10, p. 44.
L’Interprète
C’est généralement celui qui s’interpose entre l’œuvre et l’auditeur, au lieu de
présenter l’œuvre à l’auditeur.
La lecture d’un enfant, presque syllabique, est préférable.
Dans un texte non-dramatique, s’il y a drame il ressot des mots mêmes et de leur
place, souvent non perçue par le lecteur-interprète. Exemple Tristan et Iseut: Le Roi
sourit dans l’arbre. Les élèves eux-mêmes remarquent constament le plaisir
(constant), qu’on goûte au récit, quand un élève peu brillant mais modeste, lit
clairement sans s’interposer.

Boîte 2, cartella 10, p. 51.


[jeux]
Attention, présence d’esprit, observation, imagination.

Jeux: aux Portraits


Improvisation Proverbes
Improvisation Charades parlées
Improvisation Enigmes et devinettes
Dans mon corbillon… nota: gioco di società che consiste nel
rispondere alla domanda “Que met-on dans me corbillon?” con una risposta che
faccia rima con corbillon.
Où habite Mr O. (I, etc.), ou
Le chien de Mr le Curé n’aime pas le os…
Improvisation Synonymes:
Proposer un mot. Chacun me remettra le plus vite possible un
papier contenant le plus de synonymes.
Improvisation Dictionnaire:
Proposer un mot. Chacun à sa manière définira emploiere ce
mot. Une conversation, une discussion sur ce mot peuvent
suivre.
319
Improvisation Citations:
Dans quelle œuvre de quel auteur se trouve: …
Quel grand homme a dit: …
Dans quelles circostances fait-on cette citation?
Supposer une conversation
Orthographe:
Les lettres de l’alphabet sont chacune inscrites sur un carré
indépendant, bois ou carton, à plusieurs exemplaires. L’un
présent en désordre à l’autre, un tas de lettres qui formeront un
mot quand celui-ci en aura débrouillé et fixé l’ordre.
Cache-sampon
Cache-sampon visible
Pêle-Mêle:
Présenter sur une table ou dans un mouchoir, pêle-mêle, un
certain nombre d’objets distincts, pendant quelques secondes
avant de les recevoir à nouveaux; les élèves doivent nommer
ce qu’ils ont distingué.
Improvisation Monsieur et Madame:
par ces mots sont désignés deux objets, l’un masculin l’autre
féminin, que l’usage réunit, exemple: le bougeoir et la bougie;
le fil et l’aiguille même, le soleil et la terre, le piano et la main.
On fait sortir “A”. Les personnes qui restent conviennent des
noms à faire deviner. “A” rentre. Une conversation générale
s’engage où chacun s’exprime sur le compte de Monsieur et de
Madame considérés comme personnes, jusqu’à ce que “A” ait
deviné.
Aimez-vous votre voisin?
Une cercle de personnes assises par terre, autour de “A” assis
au milieu.
“A” demande à n’importe qui (X)
Aimez-vous votre voisin?
Le mot “voisin” désigne le voisin de gauche de X.
320
X peut répondre:
- Oui. Dans ce cas personne ne bouge.
- Non, ou, pas beaucoup, ou assez bien: le voisin de gauche
et celui de droite changent de place.
- Pas de tout, Changement général.
Le dernier qui reste debout prend le milieu. En cas d’oubli ou
d’erreur, le manquant va au milieu.
Improvisation La poste court.
Quelqu’un est maître de Postes.
Chacun des autres lui dit en secret le nom d’une ville qu’il a
choisie pour se désigner.
Le maître de Postes les inserit.
Tous s’asseyent.
Le maître de Postes annonce: La poste court entre Varsavia et
Passy-sur-Aube.
Ces deux doivent échanger leurs places.
Le maître de Postes peut faire circuler plusieurs Villes à la fois.
Ceux qui observent reconnaissent bientôt la dsignationde
chacun. Quand celle-ci est devenue trop familière à tous, on
change le maître et les Villes.
Cris d’animaux:
On bande le yeux à “A”. Les autres autour de lui tiennent le
silence, afin que leur place et leur voir ne soient pas reconnues.
“A” dèsigne du doigt quelqu’un “X” en lui nommant un animal
dont “X” devra imiter le cri.
Cette imitation peut être fantaisiste. “A” reconnaîtra “X” par le
son de la voix, par la manière de l’imitation, ou par la manière
de sa plaisanterie.
Quand “X” est reconnu il devient “A”.
Sentiment collectif deviné:
par “A” qui sort. Les autres conviennent du sentiment à faire
deviner. Par exemple: Mélancolie.
321
Le sentiment général que trouve “A” quand il revient,
l’attitude général – sans paroles, mais l’immobilité complète
nest pas imposée – doivent être ceux de la mélancolie, non de
la tristesse ou de l’ennui ou du chagrin. Et “A” doit deviner ce
mot exact. On conviendra que “A” désignera pour sortir à son
tour, ou celui qui lui a mieux suggéré le mot, ou le contraire.
Improvisation En [?], donner au moyen de la déclamation et de la mimique,
l’idée du contenu d’un récit ou d’un poème, comme si l’on
entendait une langue étrangère.

Jeux
- La dèsignation Jeu, indique un jeu existant, amusant, et
comportant l’exercice de certains facultés. Exemple: les
barres, quatre coins; proverbes, Monsieur-Madame.
- Récreation indique un jeu existant, ne comportant ni
exercice ni enseignement, mais sujet d’amusement et de
délassement.
- Exercices, inventés par nous, l’enseignement y revêt un
caractère de jeu mais y prime l’amusement, et peut aboutir
à un jeu d’application. Ex. un accord de groupements et de
marches sur la chanson Frère Jacques.
- Jeu d’application indique un essai de rèalisation, au moyen
des diverses facultés exercées d’autre part.
Je ne noterai pas tous les jeux connus: les barres, Saute-Mouton, tennis, ballon, etc.
ou croquet, asselet, jonchets, Coli-Maillard ect, tous excellents et complétant plus
spècialement l’éducation gymnastique.

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