Per Ripopolare Le Piazze Vuote Non Basta Guardare Al Passato
Per Ripopolare Le Piazze Vuote Non Basta Guardare Al Passato
Per Ripopolare Le Piazze Vuote Non Basta Guardare Al Passato
guardare al passato
Intervista con Vito Teti
di Enzo Mangini
«Non ricordo bene quando ebbi per la prima volta la sensazione che i luoghi avessero un loro senso, un loro
sentimento; immagino sia accaduto molto presto, nella mia infanzia. Nel paese della mia fanciullezza i luoghi
avevano un nome, ed erano tutti speciali. Avevano un segreto».
Cosi scriveva Vito Teti nel 2004 in un testo ancora fondamentale, Il senso dei luoghi. Memoria e storia dei
paesi abbandonati (Donzelli). Il paese della sua fanciullezza è San Nicola da Crissa, sulla soglia meridionale
dell’istmo della Calabria, tra Vibo Valentia e Serra San Bruno. Un paese che oggi ha poco meno di 1300
abitanti.
Docente di antropologia culturale all’Università della Calabria, Teti da oltre quindici anni ragiona, si interroga
e ci interroga su “quel che resta” dell’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni, per usare il titolo di un altro suo
libro, del 2017.
Che cos’era la piazza in un paese come principali attività commerciali, le piccole botteghe, le
San Nicola da Crissa? sartorie, i fruttivendoli, gli alimentari. Sto descrivendo
un piccolo paese, diciamo tra gli anni Cinquanta e gli
Rispondo con un aneddoto. Alla fine degli anni anni Sessanta: la piazza era anche il luogo degli
Settanta andai a Toronto, a trovare il “paese doppio” incontri e degli appuntamenti, dei bar e delle cantine.
dei miei compaesani emigrati in massa in Canada. E poi, in genere, attorno alla piazza ruotavano altri
Il loro luogo di ritrovo era un posto chiamato Plaza. due luoghi simbolo del paese, che erano la farmacia e
Anche loro, come me, vivevano una sorta di il barbiere. Tanto l’una quanto l’altro erano luoghi di
spaesamento mentale: questo non-luogo attesa, di ritrovo, di dialogo, di informazione, di
nordamericano, che poi era un posto dove chiacchiera e pettegolezzo, di litigi e scontri.
sostanzialmente non c’era nessuno, avrebbe dovuto Nelle nostre comunità, l’organizzazione dello
sostituire il pieno e la complessità della piazza del spazio paesano in genere colloca la piazza al confine
paese di partenza, per quanto piccola fosse la comunità della chiesa principale o vicino alla chiesa principale.
lasciata. La chiesa, nel nostro ordine spaziale e mentale, era il
La piazza era il luogo di concentrazione delle centro del mondo, l’axis mundi, per dirla con De
persone, perché attorno alla piazza ruotavano tutte le Martino, un punto di riferimento che ordina e
Per ripopolare le piazze vuote non basta guardare al passato
Intervista con Vito Teti di Enzo Mangini
organizza la memoria, il ricordo e scandisce anche il Con la grande emigrazione del dopoguerra e
calendario. del boom economico, quando mancano gli uomini, le
Tutto questo nella quotidianità. Ma la piazza cose cambiano e le donne si sostituiscono a loro in
era anche il luogo degli eventi eccezionali, dei rituali tutte quelle mansioni che non erano più svolte dai
collettivi: della festa del paese, e, quindi, delle mariti, figli o fratelli partiti per il Nord dell’Italia o
bancarelle, delle luminarie. Era anche il luogo dei per Altrove più lontani. E allora cambia anche la
festeggiamenti civili, delle bande, dei cantanti che piazza.
venivano in paese. Era il luogo delle rappresentazioni
delle farse di Carnevale e delle celebrazioni religiose, Cosa resta oggi, di questa piazza, per
dei comizi, delle competizioni elettorali, delle proteste. esempio in un paese come il suo?
Nella piazza si sedimentavano iniziative culturali,
simboliche, produttive, politiche, rituali che la La piazza del mio paese oggi è completamente
rendevano un inevitabile punto di riferimento e anche vuota. I balconi che, in quelle occasioni che ho
un inevitabile luogo della memoria. Per cui, per descritto sommariamente prima, diventavano i
l’emigrato lontano, il ricordo principale era proprio il palchetti affacciati su un palcoscenico popolare, sono
campanile della chiesa, la piazza, il crocevia di deserti. Questo deserto è causato da due ordini di
innumerevoli incontri, relazioni, eventi piccolissimi e motivi: i paesi si sono spopolati, vale per il mio come
grandi, di fatti. per centinaia di altri, e, nello stesso tempo, i centri
storici sono stati abbandonati. Palazzi anche di una
Quella che ha descritto, però, è una socialità certa importanza architettonica, con una loro bellezza,
molto maschile. C’era posto in piazza per le sono stati abbandonati per costruire fuori dall’abitato
donne? storico. Spesso, in Calabria come altrove, si sono
riempiti male gli spazi vuoti attorno ai paesi, lasciando
Sicuramente quella era un tipo di socialità vuoti gli spazi pieni dei centri storici. Capita spesso
molto maschile, perché in qualche modo gli spazi che le zone morte, desertificate, abbandonate, siano al
urbani, anche di giorno, erano prevalentemente spazi centro del paese, che ormai è periferia, se non in senso
degli uomini. Più ancora di notte, la piazza era uno geografico almeno in senso culturale, un posto dove
spazio degli uomini. Le donne andavano ai negozi, per non c’è motivo di andare perché non c’è nessuno, né
le compere. E c’erano luoghi di socialità femminile, niente da fare. Se usiamo la metafora del paese come
soprattutto le botteghe delle sarte, che erano un luogo corpo, allora il cuore, in molte parti d’Italia, non
esclusivamente femminile, da cui gli uomini erano batte più.
esclusi e in cui gli uomini cercavano di “passare”, per Per questo, qualche tentativo che viene fatto per
cercare le ragazze, rubare un appuntamento. La chiesa, recuperare vecchi palazzi, o sistemare qualcosa, in
e soprattutto alcuni momenti della religiosità, era assenza di un progetto complessivo rischia di diventare
anche uno spazio più “femminile” rispetto alla piazza, controproducente e quasi di amplificare il senso di
di cui però erano anche spesso il confine. Un confine vuoto. Il problema del recupero della piazza o del
poroso in molte circostanze, tanto quotidiane, quanto centro storico, allora, è un problema più ampio di
rituali. rivitalizzazione dei paesi, di “appaesamento”.
AREL la rivista Piazze ⁄
L’Italia sembra sempre oscillare tra nostalgia Quando parlo di restituire vitalità, ovviamente
e indifferenza, rispetto al passato dei suoi non immagino ricostruire la vita di una volta, sarebbe
paesi: nostalgia per quei microcosmi e impossibile perché la socialità è cambiata, il mondo è
indifferenza rispetto alla situazione attuale di cambiato e noi stessi siamo cambiati. Bisogna, come
centinaia di piccoli centri, specialmente nelle dicevo prima, immaginare una nuova comunità. È una
aree interne. Perché secondo lei? scommessa, chiaramente, il cui esito è incerto. Credo
che l’atteggiamento debba essere quello di una
Mi sembrano due facce della stessa medaglia. consapevolezza critica, verso il patrimonio materiale e
Ridare vitalità a un luogo non significa immateriale racchiuso nei paesi e rappresentato dalla
ricostruire la piazza così com’era, ma significa piazza. D’altra parte, bisognerebbe porsi il problema di
innanzitutto costruire una nuova comunità. Offrire come creare attività produttive, come attrarre nuovi
dunque, spazi di scambio e socializzazione, di cultura, abitanti o ex abitanti che potrebbero voler tornare.
di insediamenti produttivi, luoghi di ritrovo,
innanzitutto per i giovani. Nei paesi mancano del Questo atteggiamento nostalgico
tutto i luoghi di incontro che abbiano preso il posto retrospettivo incide anche sulla qualità degli
della sartoria, del barbiere, della farmacia. interventi urbanistici, quando pure ci sono?
La nostalgia della piazza e del microcosmo la
definirei come una nostalgia per conto di terzi, perché Un altro errore che si commette, secondo me, è
viene custodita da persone che non hanno curato quei quello di voler recuperare gli abitati così com’erano,
luoghi, non li hanno vissuti, e, quindi, hanno per come erano. Penso che sia qualcosa da valutare
un’immagine retorica, edulcorata, della vita del paese caso per caso, perché è evidente che non è possibile
di una volta. E poi perché questa nostalgia, anziché pensare di rendere ri-abitabili i centri storici dei piccoli
porsi il problema di come rendere abitabile un luogo, paesi senza intervenire per rendere le case adatte alla
tende a vederlo in maniera esotica, estetizzante, quasi vita contemporanea, per le famiglie, per i bambini, per
come possibile punto di attrattiva e specchio delle i giovani o anche per gli anziani. Il rispetto per
nostre ansie, solitudini, nostalgie, inquietudini. Non l’armonia e l’estetica del passato va bene, ma non deve
un luogo reale, dunque, ma un luogo immaginario. diventare un freno agli interventi non solo necessari,
Non ci si pone, quindi, quasi mai il problema di come ma in molti casi inevitabili per impedire che il declino
renderli vivi, questi luoghi, come ri-abitarli. continui e diventi, alla fine, sparizione.
La questione di come rivitalizzare i paesi Ci sono modi per intervenire in maniera
dovrebbe essere accompagnata da una nostalgia non intelligente, rispettando, per esempio, i materiali e le
retrospettiva, ma propositiva, che guardi al presente. La tecniche di costruzione di ciascun luogo. Quello che
sfida è di recuperare e custodire i luoghi della memoria vedo, invece, è che spesso si evita di mettere mano per
e, allo stesso tempo, inventare un nuovo mondo. Se la rendere i centri storici più confortevoli, e quindi
piazza vuota diventa un oggetto di contemplazione, attraenti, per paura di alterare uno sfondo, appunto,
diventa, forse, un luogo dove cercare risposte al proprio estetizzante e idealizzato, corrispondente a un’immagine
malessere, al bisogno di un Altrove, non certo un luogo del paese del passato, autentico, puro, genuino, che non
per cui immaginare un futuro possibile. esiste più e che forse non è mai esistito.
Per ripopolare le piazze vuote non basta guardare al passato
Intervista con Vito Teti di Enzo Mangini
Anche perché le cose continuano a peggiorare: dei punti di riferimento e di orientamento. Posti dove
la crisi demografica va avanti, la fuga dai paesi non si è sentirsi, di nuovo o per la prima volta, “appaesati”.
fermata.
Bisogna tenere conto, ormai, anche della In queste settimane di quarantena di piazze
differenza di percezione rispetto ai luoghi di cui stiamo obbligatoriamente deserte, molti italiani
parlando. Per me, la piazza che ricordo da bambino è hanno fatto esperienza di cosa possa significare
quella che ho cercato di descrivere all’inizio; per le un paese svuotato e contatti sociali rarefatti. La
nuove generazioni, invece, per quei pochi giovani che differenza è che, per quanto lunga e faticosa,
nascono e crescono nei paesi, la piazza è già un deserto. questa fase è passeggera per la gran parte del
Sono cresciuti in un tessuto sociale vuoto, in un paese paese, mentre in decine di piccoli centri è la
svuotato. Non c’è quindi nostalgia, per loro, non c’è condizione permanente. Che ne dice?
volontà di restauro perché il luogo non è legato ad
alcuna sedimentazione di storie, di incontri, di eventi. Qui, nei paesi, il vuoto è quello di sempre. Solo
Si vive negli stessi luoghi, a volte, ma si vivono i luoghi che adesso, magari, la gente se ne accorge, lo capisce e,
in modo completamente diverso. Anzi, il paese diventa magari, prende coscienza che la fine dell'antico paese,
il non-luogo, vuoto, mentre la modernità che entra la comunità, era già avvenuta da tempo.
attraverso i media, i social eccetera, è il luogo per loro Non ha senso, in questi casi, affermare che
riconoscibile. Un po’ il contrario di quello che avveniva "tutto tornerà come prima" o che "bisogna tornare
per i compaesani a Toronto negli anni Settanta. come prima". A parte il fatto che non si torna
Quindi le nuove generazioni spesso partono e indietro, il prima non era poi così esaltante ed è quel
non tornano per mille motivi, ma anche perché il prima che ci ha portato all'oggi.
paese che loro lasciano è un paese vuoto. Il paragone Se tutto questo passerà, come speriamo, bisogna
tra quello che si ha e il posto che si è lasciato è tutto a inventare qualcosa di diverso di prima, riempire con
svantaggio del secondo, mentre per la vecchia saggezza e progettualità i vuoti già esistenti, magari
generazione di emigranti, il ricordo – vero o inventato interrogandoci su come si potrebbe ripartire anche con
che fosse – era un mondo popolato, pieno di storie e quelli, tantissimi, che sono tornati, dal Nord, nei paesi.
di senso, da confrontare con il vuoto delle plaza delle E se la scelta e le possibilità di restare fossero portate
città dove erano andati a vivere. avanti nella normalità e non in caso di catastrofi. Tutto
Certo, bisogna distinguere tra piccoli paesi, potrebbe diventare meglio di prima, ma solo se
città di provincia e grandi città, ognuno alle prese con prendiamo atto che il “virus” è all'interno del mondo
i propri problemi di spopolamento e le proprie che noi abbiamo ereditato e costruito e, forse, era ed è
emergenze abitative. all’interno di noi. Tutto potrebbe diventare “peggio di
Il problema, anzi, quasi ovunque in Italia è prima”, se non si raccoglie, assieme al senso e al valore
proprio quello di ri-abitare i luoghi, che spesso vuol tanti dolori, sacrifici, generosità, voglia di bellezza e di
dire abitarli per la prima volta, costruire nuovi vita di moltissime persone, anche quella che suona
rapporti comunitari, non immaginare di ripristinare come una delle ultime drammatiche avvertenze date
quello che c’era nel passato, ma dare un nuovo senso ai all’Homo Sapiens che, finora, non si è accorto che
luoghi; farne dei posti dove sentirsi a proprio agio, con potrebbe correre verso la fine.