Appunti Geografia I

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Geografia delle lingue e

pianificazione linguistica

Martín Diego Orviz


Laurea in Lingue Straniere
2022 - 2023

Università degli studi di Bergamo


1. Concetti generali
La linguistica è disciplina che studia le lingue in modo scientifico. Ápplica un metodo scientifico
particolare nelle lingue in considerazione.

Osserva un fenomeno per poi procede con una tendenziale classificazione di fenomeni naturali
(suoni, parole…). Parte da una osservazione del fenomeno, per poi proporre un’ipotesi che
finalmente deve essere valutata o rifiutata.

1.1. La linguistica
La linguistica generale si propone di spiegare somiglianze o differenze tra le lingue. Formula
ipotesi sull’organizzazione delle lingue, sul funzionamento delle lingue, sulle loro parentele e
sulle dinamiche di mutamento linguistico.

Cerca di trovare il funzionamento delle lingue e identificare e le proprietà comuni a tutte le


lingue o a gruppi di lingue. Anche se il linguista studia una lingua, lo scopo è trovare una
visione generale.

Si fa domande de tipo: quali sono le differenze tra il linguaggio umano e gli altri sistemi di
comunicazione animale?, cos’è il linguaggio e come e organizzato?, quali caratteristiche sono
comuni a tutte le lingue umane?, come funzionano le lingue?, ci sono regole?, come viene
usato il linguaggio?...

Le branche della linguistica sono la tipologia linguistica, la linguistica storica, la sociolinguistica,


la linguistica areale, la lessicografia, la psicolinguistica, l’acquisizione linguistica, la linguistica
computazionale…

Il fenomeno linguistico si dà principalmente nell’oralità, solo 106 lingue sono state affidate alla
scrittura in modo adeguato a produrre letteratura (ONG 1986).

I sistemi di scrittura sono stati introdotti per fissare, diffondere, conservare documenti utili alla
comunità. Dopodiché, sono apparite le grammatiche come complesso di norme volte a creare
una scrittura comune

La linguistica contemporanea è una scienza descrittiva, cioè non studia l’uso appropriato della
lingua, bensì si fissa nelle diverse manifestazioni:

- Errore sulla grammatica normativa:

*mi hai fatto convincere di una cosa che io prima non ero convinta.

mi hai fatto convincere di una cosa di cui io prima non ero convinta.

- Errore sulla struttura base della lingua:

io non so
*so io non

È anche una disciplina empirica, poiché sia legata a fenomeni osservabili, che vengono
chiamati eventi semiotici: fenomeni linguistici possono portare a dei segni:

“vietato l’accesso” 🡪 evento semiotico: è una sequenza di caratteri che invia un


messaggio preciso

Prima osserviamo il fatto linguistico e la sua organizzazione interna e funzione, per poi
ipotizzare e arrivare infine ad una teoria

La linguistica ha il compito di spiegare i dati, non solo descriverli. Questo porta a diversi livelli
di analisi: fonetica, fonologia, morfologia, sintassi, semantica, pragmatica, lessicologia.

La pianificazione linguistica si avvale di competenze ed esperienze mutuate da una serie di


specializzazioni diverse:

- Conoscenze storiche e sociologiche sulla comunità.


- Vita economica della comunità, esigenze e sviluppo e di interconnessione con le reti
economiche e sociali del territorio.
- Conoscenze della legislazione.
- Collaborazione attiva di amministratori locali, insegnanti, intellettuali della comunità e
parlanti.

Anche si avvale delle competenze del

- linguista storico per determinare l’evoluzione di una lingua ed i mutamenti che hanno
subito
- linguista strutturale, per analizzare la grammatica e il lessico della lingua da pianificare
(confronta vocabolari, liste lessicali, corpora di testi spontanei…)
- linguista sociolinguista, che studia l’interrelazione tra le varietà spontanee esistenti sul
territorio e quella già ufficiale e quelli che forse potrebbero diventare ufficiali
- linguista percettivo, che indaga sulle aspettative e le esigenze della popolazione
riguardo al panorama linguistico di quest’ultima.

1.2. Nozioni fondamentali


Linguistica generale: studio dell’organizzazione generale del linguaggio umano e delle
caratteristiche comuni alle lingue.

Linguistica storica: studia la dimensione diacronica delle lingue e ha come oggetto di studio i
fenomeni legati a cambiamento linguistico, la documentazione e la ricostruzione delle fasi
antiche di una lingua, i rapporti tra lingue geneticamente imparentate, l’etimologia.
Sociolinguistica: studia i fenomeni linguistici sul piano sociale. Non come sistema astratto, ma
come esso si realizza concretamente nell’uso che ne fanno gli individui e i gruppi sociali alle
variazioni cui essa è soggetta in relazione ai suoi contesti d’uso.

Linguistica percettiva: percezione degli usi linguistici da parte del parlante.

Lezione 2 – 16/02/2023

1.3. La lingua come fatto sociale


È uno strumento di comunicazione condiviso da una comunità di parlanti e che si manifesta
negli usi individuali.

Nel XX secolo, Ferdinand de Saussure stabilisce la differenzia tra langue e parole:

- Langue: strumento di comunicazione condiviso da una comunità di parlanti.


- Parole: uso individuale, realizzazione della langue.

La linguistica generale ha come compito descrivere la langue a partir de la “materia” osservata,


cioè, i dati di parole.

La comunità linguistica non è omogenea (gerghi, linguaggi tecnici, usi territoriali…) e la


variazione della lingua è un fenomeno di portata sociale.

La lingua ha una doppia valenza sociale: è un patrimonio mnemonico virtuale, condiviso da una
comunità di parlanti; è un fattore della struttura relazionale costitutiva della persona umana.

1.4. Sociolinguistica e varietà


La variazione interna della lingua è il campo specifico de azione della sociolinguistica. Mette in
correlazione la lingua con la società e con gli usi linguistici delle persone.

Le varietà di una lingua sono un insieme di forme linguistiche che hanno la stessa distribuzione
sociale, cioè, che tendano a presentarsi in concomitanza con certe caratteristiche della società.

Dal punto di vista linguistico, una lingua è la somma delle diverse varietà manifestate.

Le variabili sociolinguistiche danno luogo alle varietà di lingua: un punto o unità del sistema
linguistico (pronunce, morfemi, parole, costrutti, regole…) che ammette realizzazioni diverse.
Queste variabili non mutano il valore di unità del sistema e non ne cambiano il significato;
inoltre, sono in correlazione con fattori extralinguistici.

Le lingue non sono uniformi, ma si adattano ai contesti di uso. È compito della sociolinguistica
studiare la variabilità delle lingue.
1.5. Studio della variazione
- Variazione diatopica: ambito territoriale
Gli italiani regionali, varietà di italiano in cui la variazione diatopica è molto forte,
soprattutto nell’ambito lessicale o fonologico, addirittura in ambito sintattico.
Si distinguono tanti italiani regionali, che non sono i dialetti.

Geosinonimi: legati ad una specificità geografica

anguria (it settentrionale), melone/melone d’acqua (it del sud)

straccio (nord) – cencio (Toscana), pezza (sud)

Sono evidenza della variazione diatopica

Semantica:
“curare” nel milanese, significa “sorvegliare, badare a”, mi curi la borsa “me
cuidas la bolsa”

Uso transitivo di salire in Campania invece di portare giù, Sali la valigia!

Sintassi: in Campania, Sicilia e Sardegna, il CD di persona usa la prep “a”: vedo a Paola

- Variazione diastratica (diastratía): stratificazione sociale, dipende dell’istruzione dei


parlanti.
Socioletti: varietà di lingua utilizzata da una determinata fascia sociale
(assi di variazione di Berruto, nel PDF)

Fonetica: uso del suono [r] tra vocali, in Roma si toglie il raddoppiamento, cioè, c’è
scempiamento (degeminazione) 🡪 [bi:ra], ma non [bi:rra]

Sintassi: frasi a tema sospeso, cioè, posizionamento a inizio de frase di un elemento


che non ha a che fare con quelli che si trovano attaccati.
“io la mia città è Napoli”

Costruzione del periodo ipotetica: cong imperfetto o condizionale:


“se potessi, facessi…”
“se potrei, farei…!

Deformazione de parole: vengono assomigliate ad altre più comuni o semplici.


Semplifica anche parole molto lunghe:
“prolungo” invece di “prolungamento”

- Variazione diafasica: formalità o informalità di un contesto o linguaggi settoriali (jerga):


o Registro basso e informale: scelte morfologiche particolari che dipendono del
contesto comunicativo.

sto per questo, bici, tele, cine…

Allocutivi: uso del “tu” o “voi” secondo la situazione.

Lessico: uso di parole più o meno formali.

Estrarre – tirar fuori / scendere – venire giù / confusione – casino

o Sottocodici / terminologia specifica: sono caratterizzati da termini tecnici o


scientifici dei settori a cui si fa riferimento.

- Variazione diacronica: variazione nel tempo, ci permette di capire quali sono i diversi
periodi che caratterizzano una lingua.

- Variazione diamesica: ha a che fare con il mezzo che utilizziamo: scritto (chat,
giornale…), orale (TV, radio…).

2. Cosa sono le lingue?


2.1. Cosa si intende per lingua
Lingua può essere definita come un codice, cioè, un insieme di segni interpretabili la cui
interpretazione è data a regole.

I segni sono le unità semiotiche minime interpretabili ed hanno una forma particolare. Sono
biplanari, cioè, sono rappresentati dall’unione di due cose:

- Significante: forma che assume il segno (suoni, grafemi).


- Significato: immagine mentale a cui il segno rimanda.

I segni ci servono per descrivere la realtà.

Il codice verbale serve a formulare un messaggio che permette la comunicazione.

2.2. Cos’è un dialetto


Nel linguaggio comune: non si può definire lingua perché viene parlata da pochi parlanti, non
ha grammatiche, si trasmette di generazione in generazione, non ha tradizione letteraria,
parassita della lingua standard.
Varietà poco diffusa, locale, tendenzialmente orale (poca tradizione scritta, oppure
inesistente), diversi dell’italiano standard.

Per la linguistica, il dialetto è una lingua a tutti gli effetti: ha una grammatica (in senso lato) e
un lessico, serve a comunicare, è un codice formato da segni, può esprimere i medesimi
concetti delle lingue nazionali, può avere tradizione letteraria (romanesco).

Lezione 3 — 23/02/2023

Bisogna dire che il concetto di dialetto non è così chiaro come sembra:

- Nella tradizione anglosassone, dialect corrisponde alle varietà locale dell’inglese o le


sue varietà sociali. Secondo questa definizione, l’italiano parlato a Napoli sarebbe un
dialetto, come lo sarebbe la lingua dei pescatori.

- I cosiddetti dialetti cinesi sono centinaia di varietà di almeno otto lingue non intelligibili
tra loro, unificate solo dalla scrittura
Serbo e croato, però, vengono considerate come lingue diverse anche se sono
strutturalmente uguali.

La parola dialetto viene usata in senso molto vasto anche all’interno dello stesso dominio: il
lombardo è considerato come un dialetto, e il ticinese come un dialetto del lombardo, ma
anche il ticinese ha al suo interno altri dialetti (quelli di Bellinzona, di Locarno, di Airolo…).

La situazione italiana è questa: quelli che vengono considerati come dialetti non sono varietà
dell’italiano, semmai del latino, cioè, continuazioni indipendenti del latino volgare parlato nelle
diverse aree.

2.3. Criteri distintivi tra lingua e dialetto


I criteri di distinzione fra lingua e dialetto non possono essere di tipo linguistico o strutturale

Nel parlare comune, cioè, nella conoscenza dei parlanti, ci sono differenze sul piano sociale e
funzionale, non linguistico; bisogna rifarsi a criteri esterni, principalmente a la posizione
politica dei linguaggi presi in considerazione (l’italiano è la lingua ufficiale di uno stato, il
milanese no) e la coscienza del parlante (determina gli usi linguistici all’interno delle
comunità).

Viene solitamente considerato che una lingua ha uno status ufficiale e un riconoscimento
sociale e nazionale; un dialetto non ha uno status ufficiale né un riconoscimento sociale e
nazionale. Il proprio Chomsky dice: “una lingua è un dialetto con un esercito e una marina”.
L’unico criterio universalmente valido sono le effettive condizioni d’uso da parte dei parlanti,
insieme alle loro valutazioni spontanee.

In caso di parlate per cui lo status è incerto, è solo la volontà del gruppo che vi ci si riconosce
che fa sì che assumano i caratteri di lingua e dialetto. Per esempio, il catalano: è simile alla
lingua ufficiale, è dottata di letteratura e raffinatezza linguistica (?????) per essere usata in
ambiti amministrativi, quindi è una lingua perché tale viene considerata dai suoi parlanti. VAYA
CAZZATA.

Kloss presenta un approccio al problema del riconoscimento di varietà linguistiche differenti


facendo distinzione tra:

- Lingue per distanziazione: si differenziano nettamente da ogni altra grazie alla loro
struttura interna (o si distinguono fra loro in coppie ordinate). Per esempio, il basco
rispetto alle lingue romanze che lo circondano.
- Lingue per elaborazione: per ragioni politiche, storiche o culturali, hanno sviluppato un
sistema di autoriferimento diverso da quello delle lingue circostanti. Per esempio, il
nederlandese rispetto al tedesco o lo slovacco rispetto al ceco.

Noi useremo i termini lingua e dialetto sostanzialmente nel loro senso comune.

2.4. Comunità linguistica


La sua definizione esatta è uno dei problemi più interessanti della riflessione sociolinguistica
attuale. Esistono quattro tipologie principali di comunità linguistica:

- Tipo 1: secondo Lyons (1968), sono “tutte le persone che usano una data lingua”.

- Tipo 2: secondo Gumperz (1968), “con comunità linguistica si intende ogni aggregato
umano caratterizzato da un’interazione regolare e frequente per mezzo di un insieme
condiviso di segni verbali e distinti di altri aggregati simili a causa di differenze
significative nell’uso del linguaggio”.

- Tipo 3: troviamo varie definizioni.

a) Secondo Weinreich (1974), “per poter decidere in modo aderente alla realtà quali
sia una nuova lingua, si devono prendere in considerazione gli atteggiamenti dei
parlanti”.

b) Secondo Fishman (1971), “le comunità linguistiche non sono definite come
comunità di persone che “parlano la stessa lingua […]”, ma piuttosto da comunità
tenute insieme dalla densità degli scambi comunicativi e/o dall’integrazione
simbolica riguardo alla competenza comunicativa”.

c) Secondo Labov (1970), la comunità linguistica è formata da “un gruppo di parlanti


che condivide un insieme di atteggiamenti sociali riguardo alla lingua”.
Il parlare la stessa lingua non è di per sé sufficiente per far parte di una comunità
linguistica, sono fondamentali atteggiamenti e coscienza dei parlanti.

d) Hudson (1980) nega esplicitamente l’esistenza della comunità linguistica. “Può


darsi che non esistano comunità linguistiche nella società se non come prototipi
nella mente della gente: in questo caso, la ricerca della vera definizione di
comunità linguistica è completamente priva di senso”:

e) Secondo Ferguson, “la lingua e la comunanza di stanziamento, ossia, appartenenza


ad una stessa entità geografia-politica.

Berruto (1974), però, da una definizione più ampia: “una comunità linguistica è formata da
tutti i parlanti che considerano sé stessi utenti di una stessa lingua, che svolgono regolari
interazioni attraverso un repertorio condiviso di segni linguistici e che hanno in comune una
serie di valori normativi riguardo al linguaggio: essa può coincidere o intersecarsi con, o
includere, o essere inclusa in una comunità sociale”.

Non sono sufficienti le definizioni che si limitano a considerare parlanti e territori, o parlanti e
gruppo, ma l’uso del linguaggio, norme condivise e volontà dei membri di far parte di una
comunità linguistica.

L’appartenenza ad una comunità linguistica è basata si fattori storici, sociali e socioculturali. I


membri di una comunità lignitica condividono informazioni lignitiche e sociali ed un senso di
identità verso la lingua come simbolo della loro appartenenza al gruppo.

2.5. Repertorio
Troviamo due definizioni:

a) Berruto (1995) dice che è “l’insieme delle risorse linguistiche possedute dai membri di
una lingua o comunità linguistica, vale a dire la somma di varietà di una lingua o di più
lingue impiegate presso una cerca comunità sociale”.

b) Gumperz dice che è “tutte le varietà, livelli o stili usati da una popolazione definibile
socialmente, e le regole che governano la scelta fra esse”.

Le varietà che conformano il repertorio possono essere varietà della stessa lingua, o varietà di
più lingue diverse; in un repertorio linguistico ci sono di regola, contrapposti alla lingua
standard, anche i dialetti.

I repertori possono anche essere monolingui o plurilingui (bilingui o multilingui). Di solito, la


situazione più normale è la presenza di più lingue nel repertorio, e i repertori monolingui
costituiscono l’eccezione.
Esempio del Camerun come repertorio plurilingue

È uno stato indipendente dal 1960 e ha una popolazione di circa 18 milioni.

Si contano 239 lingue, molte piccolissime, con un esiguo numero di parlanti. Le cinque lingue
principali appartengono a cinque gruppi principali: bantu, bantoide (bamileke), fulbe, ciadico e
paleosudanese (adamaua-ubang). A livello ufficiale, però, esistono solo il francese e l’inglese.

Sono 14 le lingue nazionali tutelate, di cui 5 hanno più di 250.000 parlanti (fulfulde, duala,
basaa, bamileke e beti), 22 vengono usate alla radio e 9 sono veicolari (arabo nel Nord, il hausa
lungo il confine con la Nigeria, l’ewondo nel Sud e il WAPE, West African Pidgin English).

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Chiamiamo repertorio linguistico individuale alla somma delle varietà accessibili da un


individuo con le sue personali interpretazioni delle norme di utilizzo. Nessun parlante possiede
tutte le varietà teoricamente possibili nella sua comunità linguistica.

2.6. Rapporti tra codici


Le varietà sono funzionalmente e gerarchicamente organizzate. Il luogo di contatto è costituito
dagli individui che usano le lingue.

Sono tre i tipi di rapporto che intercorrono tra due o più codici che si dividono lo stesso
territorio:

a) Diglossia (Ferguson, 1959): si tratta di una situazione sociolinguistica in cui sono


presenti nella stessa comunità almeno due codici la cui distribuzione funzionale sia
rigorosamente delimitata in una varietà alta (H o L h o acroletto) e una varietà bassa (L
o Ll o basiletto), cioè, è una differenziazione funzionale.

Queste varietà non sono sullo stesso piano e non sono intercambiabili: la bassa è la
varietà materna, appresa dalla nascita; la alta è appresa in un contesto formale
educativo.
Per individuare una situazione di diglossia si usano questi criteri:
o prestigio attribuito alla varietà A.
o Presenza di un’eredità letteraria scritta nella varietà A.
o Modo diverso di apprendere le due varietà.
o Maggiore stabilità della A (legata a standardizzazione).

Lezione 4 — 01/03/2023

I due codici hanno funzione specializzate e non si sovrappongono. In situazioni molto


stabili, si mantengono per almeno tre generazioni, dove ciascuna delle varietà si
ritaglia un proprio spazio in ambito funzionale.
Vediamo l’esempio della Svizzera tedesca: la varietà standard (Schweizerhochdeutsch
‘altotedesco svizzero’ o Schriftdeutsch) è riservata allo scritto, ma il dialetto
alemannico (Schwyzertütsch) si usa solo nell’uso orale.
Ogni varietà ha il suo ambito d’uso ben preciso 🡪 diglossia mediale.

Esempio dei paesi arabi: c’è una lingua A, l’arabo classico, che è lingua ufficiale e di
cultura, scritta o letta, quasi mia parlata a livello informale; è un codice relativamente
unitario e rappresenta peraltro la sola varietà a cui i parlanti riconoscano lo statuto di
lingua.
Oltre a quella troviamo le B, cioè, le varietà locali di arabo parlato (dialetti arabi), con
un uso di tipo esclusivamente orale e normalmente informale; queste varietà sono
molto numerose e non sempre intercomprensibili.
La mutua comprensibilità delle varietà dia arabo parlato è in effetti condizionata da
vari fattori: la distanza geografica, il prestigio di certe varietà (dialetti centri urbani
impiegati nelle produzioni radiofoniche o televisive), gli atteggiamenti dei parlanti nei
confronti del proprio dialetto o delle varietà delle regioni limitrofi e il livello
d’istruzione e acceso alla lingua classica.

b) Dilalia (Berruto, 1987): è una situazione molto frequente in cui la varietà alta
(acroletto) si usa in tutti gli ambiti, formali e informali, e forma parte della
socializzazione primaria; la varietà bassa (basiletto) però è esclusiva degli usi orali e
familiari

Esempio: lingua con dialetti, caratteristica dell’Italia contemporanea; l’italiano si usa


nella conversazione quotidiana, accanto al dialetto, con una possibile compresenza di
italiano e dialetto.
Si differenzia dalla diglossia per l’estrema facilità con cui avviene il passaggio dall’uno
all’altro.

c) Bilinguismo: si tratta della compresenza di più lingue che non assumono valori
sociofunzionalmente differenziati.
Viene chiamata individuale se la presenza si trova nel repertorio di un individuo e
nazionale se c’è la presenza di due lingue nazionali considerate sullo stesso piano
(politico, amministrativo, educativo…), per es. Canada.

2.7. Funzioni del linguaggio


Le varietà no assumono lo stesso valore ideologico nella concezione del parlante. Abbiamo due
approcci alla lingua: il punto di vista esterno e funzionale, e i meccanismi di identificazione tra
la comunità parlate e la propria lingua

Secondo Edwards (1985), il linguaggio ha due funzioni:

- Funzione simbolica: trasferisce al linguaggio i simboli di identità.


- Funzione comunicativa: lingua come veicolo per lo scambio di informazioni.
Se queste due funzioni coincidono, non si creano nel parlante frizioni fra uso linguistico e
coscienza linguistica; nelle situazioni di minoranza linguistica o di forte contrapposizione
identitaria, i valori comunicativo e simbolico possono divergere, nonostante ciò, possedere
due codici linguistici diversi non implica che questi abbiano particolari valenze identitarie.

Nel rapporto tra lingue e individuo, e tra lingua e stato, è utile la distinzione tra:

- Sentimenti di identificazione linguistica (primari): legati alla propria (micro)varietà.


- Sentimenti di identificazione secondaria (indotti): legati alle lingue nazionali.

Queste distinzioni non sono in contrapposizione: l’identificazione primaria è molto stabile,


legate sempre alla stessa varietà; l’identificazione secondaria può variare nel corso della vita a
seconda delle situazioni ideologiche e sociopolitiche dei parlanti.

Vediamo un esempio del cambiamento dell’identificazione secondaria: questi sono i dati


rilevati dall’ISTAT del 1988 e del 1995 sulla propria lingua dei residenti nella regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia.

Possiamo confermare un riorientamento della popolazione rispetto all’identificazione


secondaria: lo status del friulano nel 1988 era di dialetto dell’italiano, ma nel 1995 questa
situazione è cambiata: il friulano ha iniziato a essere percepito come altra lingua.

2.8. Lingua tetto


I repertori linguistici di una comunità dispongono in genere di (almeno) una lingua elaborata e
standard che fa da “tetto” ad altre varietà o dialetti non elaborati, ma ad essa affini.

Kloss (1952) lo chiamava “Dachsprache” e lo definiva come “una lingua usata in forma
innanzitutto scritta (ma anche orale) dotata di un prestigio sociale superiore a quello dei
dialetti parlati in una regione data”.

Distingueva tra tetti omogenei (come esempio, la lingua italiana standard al di sopra dei
dialetti lombardo, toscano, umbro) e tetti eterogenei (come il francese standard come tetto
principale dei dialetti germanici dell’Alsazia e della Lorena”.

“La pratica corrente di una lingua tetto presuppone l’esistenza di un sistema stocastico atto a
garantirne l’insegnamento e l’alfabetizzazione generale dei locutori”.
3. Language planning
3.1. Definizione
Si chiama Language Planning alla sottodisciplina della sociologia del linguaggio, della
sociolinguistica e della linguistica di contatto che studia dei rapporti fra la situazione linguistica
di una lingua e la sua situazione sociolinguistica.

Bisogna fare una differenziazione importante tra due ambiti:

- Sprachplanungswissenschaft = scienza della pianificazione linguistica, che è lo studio


scientifico della pianificazione linguistica.
- Sprachplanung = pianificazione linguistica, che sono le azioni politiche o legislative
intraprese.

La terminologia inglese fa altre differenziazioni:

- Language policy: studio scientifico ma anche presupposti ideologici e politici alla base
di una determinata politica linguistica.
- Language politics: modo in cui la lingua e le differenze linguistiche tra i popoli vengono
affrontate sul piano politico.

Nella italiana, invece, differenziamo tra politica linguistica e iniziative concrete di pianificazione
linguistica.

3.2. Politica linguistica e pianificazione


La politica linguistica è “ogni iniziativa o insieme di misure attraverso cui le istituzioni
esercitano un influsso sugli equilibri linguistici esistenti in un Paese” (Orioles, 2011). La politica
linguistica non è ambito di lavoro del linguista.

È politica linguistica, per esempio, l’articolo sul quotidiano del pubblicista sulle tendenze del
linguaggio giovanile, la scelta consapevole degli operatori pubblicitari di usare alcuni termini e
non altri, l’atteggiamento di volta in volta purista o esterofilo dell’opinione pubblica,
l’intervento diretto delle istituzioni nella vita linguistica del paese….

Gazzola (2006) lo definisce come “azioni dirette o specifiche che servono a influenzare
comportamenti delle persone per quanto riguarda l’acquisizione, la struttura (o corpus) e la
ripartizione funzionale (o status) dei loro codici linguistici”.

La pianificazione linguistica, invece, sì coinvolge al linguista: configura l’attività prettamente


linguistica di studio e intervento sulle realtà sociali plurilingui e programma azioni specifiche
che hanno come oggetto la lingua.
Questi due concetti, permettendo di distinguere tra chi prende la decisione politica e il tecnico
che la applica, sono però limitanti: non individuano le azioni istituzionale sulle lingue.

Calvet (2002) dice: “con intervento linguistico sulle situazioni linguistiche si intende ogni
comportamento o pratica cosciente che tenda a cambiare sia la forma delle lingue sia
l’articolazione tra le lingue e rapporti sociali”.

3.3. Tipi di operazioni di pianificazione


Troviamo quattro tipi:

- Language revival (revival di lingua): insieme di provvedimenti che si prendono per


riportare in suo una lingua che non risulta (estensivamente) parlata.
- Language revitalisation (rivitalizzazione di lingua): tentativo di incrementare lo status e
aggiungere nuove funzioni a una lingua minacciata. Ha come obbiettivo incrementare
l’uso e incrementare il numero di utilizzatori.
- Language reversal (reversing languge shift, inversione della deriva di una lingua):
operazioni messe in atto dalla comunità (o da altri in favore della comunità) per
supporto e assistenza a lingua la cui continuità intergenerazionale procede
negativamente con progressiva riduzione degli usi e dei parlanti.
- Language renewal (rinnovamento del linguaggio): assicurare che almeno alcuni
membri di un gruppo la cui lingua tradizionale presenta un numero gradualmente
decrescente di parlanti continuino a usare la lingua promuovendone l’apprendimento
da parte di altri membri del gruppo.

3.4. Fasi di pianificazione


Queste azioni di configurano sul piano operativo attraverso tre fasi:

a) Corpus planning: è rivolto alla lingua; si crea una codificazione ortografica, fonetica,
morfologica, sintattica e lessicale che può parere necessario applicare a una lingua
perché possa acquisire i mezzi che le permettano di far fronte alle funzioni cui è
destinata.
b) Status planning: è rivolto alle norme; è l’insieme dell’apparato normativo e legislativo
che assicura il supporto alla lingua, ed anche l’insieme delle operazioni di promozione
sociale volte ad aumentare o a consolidare il prestigio della lingua (acquisition
planning).
c) Acquisition planning: è rivolto ai parlanti; è l’insieme di interventi che mirano ad
aumentare il numero degli utenti potenziali di una lingua.

3.5. Pianificazione in vivo e in vitro


La pianificazione interviene sui normali rapporti fra lingue e società come un laboratorio: le
attività di planning tentano di accelerare o ritardare processi sociolinguistici che potrebbero
comunque avvenire, anche se forse non con le medesime modalità, anche “in natura”.

Calvet (1996) parla di due tipi di conduzione delle situazioni linguistiche:


- In vivo: i parlanti risolvono in maniera “naturale” i problemi del contatto linguistico.
Per il corpus planning, si sono adattamenti naturali della lingua (in termini soprattutto
lessicali e sintattici) alle esigenze della società che cambia (calchi, prestiti…); per lo
status planning, c’è l’incremento o riduzione degli ambiti d’uso dei codici in contatto.
- In vitro: si propongono delle metodologie atte a intervenire nel senso desiderato dalle
comunità e con queste compatibili; è poi compito degli amministratori trasferire
queste proposte “da laboratorio” nelle reali situazioni comunicative.

Ci sono però due ordini di problemi legati alla politica linguistica:

- I problemi della coerenza fra gli obbiettivi che l’amministrazione si è proposta e le


soluzioni intuitive che la popolazione ha messo in pratica.
- Il problema di un certo controllo democratico tale per cui al pianificatore non sia
lasciata una facoltà assoluta di decisione.
Lezione 5 – 02/03/2023

4. Lingua e Stato
Negli ultimi decenni, le istituzioni tendono a dare molta importanza, rispetto a quanto non
accadeva prima, alla tutela delle lingue di minoranza. È un indice importante del
riconoscimento della lingua nel fattore di coesione sociale, come fattore di una identità.

La lingua è una componente attualmente essenziale dall’identità e della coesione. Tale


necessità ha portato a fare sembrare quasi necessaria un’equazione del tipo Stato, lingua e
etnía.

4.1. Situazione in Europa


A partire degli anni 90, si sono moltiplicate le iniziative volte a valorizzare, proteggere e
tutelare le minoranze linguistiche. Dal punto di vista europeo possiamo citare due momenti
importanti:

a) Framework Convention for the Protection of National Minorities (1995): indica quali
sono le direttrici per il rispetto della diversità linguistica. La convenzione metteva in
evidenza principi particolari, quali la tolleranza (possibilità di espressione traverso una
lingua diversa rispetto a quella ufficiale), diritto all’uso dei nomi tradizionali, sistemi
educativi che dessero spazio alle minoranze, dialogo interculturale…

Ha il pregio di enunciare i principi programmatici però ha un grande difetto: non


prevede meccanismi di attuazione.
È importante perché segna il cambio di prospettiva rispetto al paradigma “uno stato –
una nazione – una lingua”

b) Carta europea per le lingue regionali e minoritarie (1998): ha come obbiettivo


proporre azioni normative e legislative per incrementare il plurilinguismo, soprattutto
in ambito dell’istruzione e amministrazione.

L’obbiettivo è il mantenimento delle tradizioni e rispetto al diritto di uso nell'ambito


pubblico e privato.

Si impegnava a far rispettare alcuni principi generali, in particolare la promozione


linguistica: incremento dell’uso di una certa lingua minoritaria in specifici confini
territoriali e funzionali.

Stabilisce i domini in cui reagire per favorire l’uso delle lingue minoritarie:
insegnamento, amministrazione della giustizia, servizi pubblici e amministrativi, i
media, attività e servizi sociali, scambi transfrontalieri…

I singoli statti devono riconoscere delle varietà linguistiche come varietà oggetto di
tutela. Aveva un problema, non prendeva in considerazione le lingue
dell’immigrazione, anzi, erano esplicitamente escluse.

L’Italia ha firmato il 27 giugno 2000.


Altre iniziative sono il sostegno economico (sovvenzioni per la tutela o studio della diversità
linguistica), sociale e ideologico.

Verso la fine degli anni 70, l’Ue è stata sollecitata da alcuni paesi che vedevano un problema
con le lingue meno diffuse; è per ciò che si è creato nel 1982 l’EBLUB (European Bureau for
Lesser Used Languages – Ufficio europeo per le lingue meno diffuse).

4.2. Minoranze linguistiche


Si chiama minoranza linguistica al gruppo di popolazione che parla una lingua materna diversa
da quella di una maggioranza (la lingua ufficiale).

Questo concetto è stato studiato in Italia da Toso, chi ha dato un concetto più ristretto:
alloglossia, cioè, l’insieme di varietà minoritarie che hanno un’origine diversa a quello della
lingua ufficiale (es. tedesco in Alto Adige).

Le varietà alloglotte sono distanziate sia per origini genetici o caratteristiche tipologiche
rispetto alla lingua ufficiale.

Secondo Berruto (1995), ci sono dei requisiti per identificale una lingua di minoranza:

- La lingua deve essere utilizzata da un gruppo di parlanti all’interno di una unità


politico-amministrativa.
- Deve essere diversa dalla lingua ufficiale
- Deve essere parlata da una minoranza
- Deve essere associata ad un fortissimo valore identitario.
- Deve essere in rischio di “language decay” o “language shift” per pressione della lingua
di maggioranza.

4.3. Situazione in Italia


La situazione delle lingue minoritarie in Italia viene regolata dalla Costituzione e da varie leggi.

L’ Art. 6 della costituzione italiana dice: “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze
linguistiche”.

La legge di attuazione di tale articolo è la legge 482/1999. Tra 1948 y 1999, tuttavia, in alcune
regioni, lingue diversi dell’italiano sono state tutelate da particolari legislazioni locali o
regionali.

Prima della legge

Dopo la IIGM, le aree di confine (Valle d’Aosta, Alto Adige e Trieste) sono state lasciate sotto la
amministrazione italiana a condizione che fossero tutelate le popolazioni di lingua diversa.
Questo portò a che si arrivasse a una differenza tra minoranze nazionali e linguistiche:
- Nazionali: popolazioni che sono legate linguisticamente alle aree otre i confini (Austria,
Germania, Slovenia, Francia…)
- Linguistiche: sono eteroglossie interne. Si riferisce a quelle comunità linguistiche che,
per effetto migratorio, avvenuto nel passato, si collegano in nuove aree geografiche.
Erano classificate così il sardo, il friulano l’occitano e il franco-povenzale, la comunità
germanofone sulle Alpi, comunità albanesi, croate o greche, il catalano.
Si aggiungono le lingue dell’immigrazione, ma non godono di alcuna attenzione
amministrativa.

Dopo la legge

Caso particolare è la Valle de Aosta, che è considerata una comunità nazionale francese, lingua
che viene utilizzata in ambito familiare da circa l’8% della popolazione (accanto a italiano e
franco-prov).

Il franco-prov (lingua di socializzazione primaria) ha avuto una situazione di minoranza


linguistica all’interno di una minoranza nazionale; non ha goduto di alcuna tutela ufficiale.

Caso particolare degli slavofoni in Friuli: gli sloveni delle province Trieste e Gorizia vengono
riconosciuti come minoranza linguistica.

La maggior parte degli slavofoni vive, tuttavia, nella provincia di Udine, dove non c’è tutela. La
popolazione si è trovata in una situazione di minoranza linguistica senza tutela.

Caso Alto Adige: nel trattato De Gasperi – Gruber (1946), veniva stipulato come doveva essere
la tutela delle lingue tedesche in Alto Adige. Questa regione formerebbe parte dell’Italia a
condizione che avesse una autonomia amministrativa ed il mantenimento del tedesco.

Si è garantito l’uso amministrativo della lingua, un sistema scolastico proprio e un canale


televisivo e uno di radio pubblici in tedesco.

Si è creata una situazione di bilinguismo separativo: due comunità diverse, una italianofona e
altra germanofona. Coabitano nello stesso territorio ma non si sovrappongono. Per l’italofoni
si usa l’italiano come lingua dell’amministrazione, ma viene richiesta la conoscenza
obbligatoria del tedesco come lingua seconda e viceversa.

Si crea una situazione strana: per la comunità “italiana”, l’italiano è la lingua di comunicazione
ordinaria anche in ambito familiare; per la comunità “tedesca”, il tedesco standard
rappresenta la varietà di prestigio negli ambiti formali, e i dialetti austro-bavaresi le varietà
basse (viale) 🡪 diglossia

È diverso al caso della Valle de Aosta, dove tutti e due parlanti formano una unica comunità
linguistica; in Alto Adige, sono comunità completamente separate.

Nelle Dolomiti, il ladino è tutelato e riconosciuto (nell’area di Bolzano). Hanno una posizione di
relativo vantaggio: sistema scolastico trilingue, conoscenza di tutti i codici effettivamente
parlati sul territorio.
Negli anni 90, nella provincia autonoma Trento, si hanno fatto interventi legislativi che hanno
culminato nell’approvazione di una legge sulla tutela. Nel Veneto, il ladino non godeva di
nessuna attenzione giuridica fino all’entrare in vigore della legge 482/1999.

Con la legge 482 è iniziato un progetto di protezione delle lingue minoritarie. Ha come
obbiettivo portare le lingue di minoranza a prendere posto come lingue dell’amministrazione e
della comunicazione extrafamiliari accanto all’italiano e promuovere l’istituzione di varietà
scritte.

Lezione 6a – 8/032023

4.4. La legge 482/1999


Aveva come obiettivo portare le lingue di minoranza a prendere posto come lingue
dell’amministrazione e della comunicazione extrafamiliare accanto all’italiano e di promuovere
l’istituzione di varietà scritte.

L’Art. 1 dice:

1. La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano.

2. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana,


promuove altresì la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente
legge.

Sancisce l’ufficialità dell’italiano ma limita allo stesso tempo al rango di lingue non ufficiali tutte
le altre esistenti su territorio, pur riconoscendone l’esistenza e garantendo ai suoi parlante una
serie di diritti.

L’Art. 2 dice:

1. In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali


stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la
cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di
quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.

Si crea una gerarchia tra minoranze: le prime si contraddistinguono per un loro carattere
etnico oltre che linguistico; le seconde sono caratterizzate esclusivamente da particolarità
linguistiche.

Sembra operare una distinzione tra minoranze nazionali e linguistiche.

L’Art. 3 dice:
1. La delimitazione dell’ambito territoriale e subcomunale in cui si applicano le
disposizioni di tutela delle minoranze linguistiche storiche previste dalla presente legge
è adottata dal consiglio provinciale, sentiti i comuni interessati, su richiesta di almeno
il quindici per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni
stessi, ovvero di un terzo dei consiglieri comunali dei medesimi comuni.

È il principio della dichiarazione di volontà di appartenenza alla minoranza da parte dei singoli.

In questi tre articoli vediamo che in nessun punto della legge si parla di competenza nella
lingua di minoranza o nella rispettiva lingua tetto da parte della popolazione locale. Il
legislatore delega tutte le questioni di corpus planning alle comunità: a essa aspetta il compito
di scegliere quale sia la lingua di riferimento e adattare tale lingua alle nuove esigenze.

- Le popolazioni di lingua francese, catalana o croata hanno il proprio standard ponto e


adatto per essere impiegato in tutti gli ambiti amministrativi e educativi richiesti dalla
legge.
- Friulani, ladini e sardi devono fare un lavoro di corpus planning prima di poter avere
uno strumento adeguato per l’ammin e l’edu.
- Le popolazioni albanesi, germaniche e greche non vorranno tutte necessariamente far
riferimento ai rispettivi standard nazionali come lingue tetto.

Gli articoli 4 – 5 – 6 sono dedicati alla scuola e toccano diversi livelli dell’insegnamento:

Art. 4

1. Nelle scuole materne dei comuni di cui all’articolo 3, l’educazione linguistica


prevede, accanto all’uso della lingua italiana, anche l’uso della lingua della minoranza
per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole
secondarie di primo grado è previsto l’uso anche della lingua della minoranza come
strumento di insegnamento.

5. Al momento della preiscrizione i genitori comunicano alla istituzione scolastica


interessata se intendono avvalersi per i propri figli dell’insegnamento della lingua della
minoranza.

Ci sono die problemi riguardi a questi 3 articoli: la confusione tra lingua come oggetto di studio
e lingua come strumento per l’insegnamento e che l’inserimento delle lingue minoritarie nel
contesto scolastico nazionale italiano difficilmente potrà giovare alle lingue oggetto di tutela.

Nei successivi 3 articoli si sancisce la priorità assoluta della lingua italiana:

Art. 7

Qualora gli atti destinati ad uso pubblico siano redatti nelle due lingue, producono
effetti giuridici solo gli atti e le deliberazioni redatti in lingua italiana.

Art. 8
[…] il consiglio comunale può provvedere […] alla pubblicazione nella lingua ammessa a
tutela di atti ufficiali dello Stato, delle regioni e degli enti locali nonché di enti pubblici
non territoriali, fermo restando il valore legale esclusivo degli atti nel testo redatto in
lingua italiana.

Art. 9

[…] è consentito, negli uffici delle amministrazioni pubbliche, l’uso orale e scritto della
lingua ammessa a tutela. Dall’applicazione del presente comma sono escluse le forze
armate e le forze di polizia dello Stato.

4.5. Minoranze linguistiche in Italia


Troviamo due tipi di minoranze linguistiche:

a) Minoranze neolatine: francoprovenzali (Valli di Torino, Valle d’Aosta e piccola colonia


in Foggia), occitane e provenzali alpine (vallate piemontese a sud dell’Alta Valle di Susa
e colonia in Cosenza), francesi (Valle d’Aosta, Alta Val di Susa e Valli Valdesi), ladine
dolomitiche (valli dolomitiche), friulane (regione del Friuli), catalane (Alghero), sarde
(varietà parlate nell’isola), galloitaliche in Toscane (Lucca), galloitaliche nell’Italia
meridionale (alcune località di Sicilia e Basilicata), liguri di Sardegna (Carloforte e
Calasetta).
b) Minoranze non neolatine: alemanniche (Verbania e Vercelli e tre comuni di Val
d’Aosta), cimbre (alcuni comuni veronesi e vicentini), slovene (Udine, Gorizia e
Trieste), croati (Molise), albanesi (in tutte le regioni del sud), greche (Salento e
Calabria).
Lezione 6b – 09/03/2023

5. Corpus planning
La pianificazione linguistica interviene sui rapporti tra le lingue all’interno di un determinato
territorio.

L’approccio teorico dice che, affinché i codici possano svolgere le funzioni delle lingue ufficiali,
è necessario che siano dotati di appropriati strumenti linguistici; nella pratica, spesso i codici
presenti nella stessa comunità hanno ricevuto un trattamento diseguale nel corso della storia.

L’obiettivo della pianificazione è fornire alle lingue più deboli un armamento di strumenti per
competere in regime di parità con le altre.

Il corpus planning è lo studio del lavoro che si compie su un codice per metterlo in grado di
assumere le funzioni di lingua dell’ammin, della scuola o dell’alta cultura.

Non tutte le situazioni di pianificazione linguistica in atto necessitano di attività di corpus


planning: alcune lingue potrebbero già essere tutte codificate e persino ufficiali, per es., il
gallese in GB, dove solo ci è voluta un’opera legislativa (status planning) e di affermazione sul
territorio (acquisition planning).

Diverse fasi (con esto pue facese el trabayu): scelta del codice da supportare (quale varietà
viene scelta), scelta dell’alfabeto, sistema ortografico, morfologia e sintassi, lessico e standard
orale.

5.1. Scelta del codice


Si cerca di scegliere una tra le varietà normalmente presenti sul territorio. Di solito è quella che
ha avuto più importanza strica, economica, demografica…

In Europa, le diverse lingue hanno raggiunto lo status di lingua ufficiale traverso percorsi
diversi:

- Il francese: fu il dialetto di una particolare regione a imporsi; una volta adottato dalla
corte prima e dalla borghesia della capitale poi, divenne lingue letteraria.
- Il tedesco: fu una mistura fra vari dialetti di area alto-tedesca e presto divenne lingua
letteraria grazie all’esempio della traduzione di Lutero de la Bibbia.

Nel caso dell’italiano, l’Italino è il risultato di una serie di scelte esplicite di politica linguistica.

Si tende a partire dall’opera di Dante (De vulgari eloquentia), che aveva già assunto la presenza
di 14 varietà regionali (lingue L)(siciliano, pugliese, toscano, calabro, sardo…) oltre al volgare
letterario (lingua H). Questo deviene in una situazione di diglossia sostanziale (?). Il volgare
letterario di Dante è toscaneggiante.
Nel XVI, il problema della lingua riemerge: il latino continua ad occupare il polo alto della
diglossia e i dialetti costituiscono il polo basso.

Si fronteggiano una serie di posizioni differenti:

a) Posizione cortigiana: era una lingua letteraria di tipo polinomica, basata sulla lingua
praticata nelle corti italiane; aveva una base di tipo toscano con lessico e costruzioni
sintattiche prese da altre lingue; era naturalmente artificiale, cioè, creata ad hoc; era
anche adatta agli usi amministrativi.

b) Posizione fiorentina: proponeva l’uso di una varietà effettivamente parlata, il


fiorentino; dipende da fattori diatopici: in Toscana, il latino (H) contro il toscano
(letterario/popolare); era sostenuta da Machiavelli e Varchi.

c) Posizione arcaizzante/bembismo: era sostenuta da Pietro Bembo, che diceva che la


lingua letteraria doveva basarsi sulle grandi opere degli scrittori fiorentini del 300’;
scartò la soluzione cortigiana per non esistere grandi opere scritte in una lingua
cortigiana e la soluzione fiorentina perché la lingua parlata toscana era “contaminata
dall’uso”.
L’obiettivo era trovare modelli di riferimento in modo di poter pianificare
precisamente la loro limitazione: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa.

Lezione 7 – 15/03/2023

La proposta di Bembo sarà determinante nella scelta del codice, era interessata solo a dare
una forma alla lingua letteraria. Non intendeva affermare che la lingua letteraria avrebbe
sostituito i dialetti parlati né i volgari illustri utilizzati nelle cancellerie.

Con la nascita dello stato unitario (1860) tuttavia, questa varietà, nata per essere solo
letteraria, fu imposta come lingua ufficiale, amministrativa e scolastica. L’obiettivo è quello di
trovare una lingua per la nazione italiana che stava per nascere. Si tollera all’inizio una
situazione di sostanziale diglossia in cui ci sono la lingua letteraria (H) e i dialetti (L).

Appare il cosiddetto dibattito tardo-ottocentesco: la lingua standard aveva delle anomalie:

- C’era un codice solo scritto che non veniva parlato neanche dalle personalità.
- Neanche esisteva una terminologia tecnica e scientifica nonché amministrativa.
- L’istruzione veniva fata in lingua dialetto e l’italiano era la L2 o a volte veicolare.
- Non era l’unica varietà alta e amministrativa a disposizione (francese, per es.).

C’erano due posizioni sulla forma del nuovo italiano:

- Graziadio Isaia Ascoli (linguista): propone che la lingua vada strutturandosi


naturalmente incrementandosi con diversi apporti provenienti dalle eterogenee realtà
locali.
- Alessandro Manzoni: propone l’uso del fiorentino parlato dalla borghesia. È quella che
prevallese.

Si crea un’uniformità linguistica che successivamente si fa tra l’industrializzazione, i movimenti


popolazioni…

Il caso della Norvegia

È un paese ufficialmente bilingue dove ci sono due varietà di lingua ufficiale:

- Bokmål: lingua dei libri


- Nynorsk: neonorvegese, è in realtà più arcaica

Situazione è consolidata esclusivamente a livello scritto, non esistono norme per la lingua orale
perché la differenziazione diatopica è infima.

La legge norvegese fa sì che tutte e due siano presenti al meno nel 25% dei documenti officiali,
mentre c’è la libertà per l’altro 50%. La questione della lingua nasce per la necessità di una
lingua per la nazione norvegese.

La bokmål era una varietà scritta del danese: ha mantenuto una grafia arcaizzante ma ha avuto
diverse riforme sin dalla fine dell’Ottocento; Il nynorsk è una varietà scritta basata sui dialetti
più arcaici dell’ovest ed è stata sottoposta successivi “ammodernamenti”.

C’è una intercomprensione tra i due standard. Nella scuola, la scelta della varietà dipende dalle
richieste degli studenti: il bokmål è preferito nel sud, il nynorsk nelle zone ovest e nei centri
montani del centro-sud. In città c’è una posizione di neutralità.

5.2. Paso 1: scelta dell’alfabeto


Decisione del sistema di scrittura. È necessaria per le funzioni di lingua ufficiale, scolastica e
amministrativa; è anche un veicolo di identificazione linguistica da parte del parlante.

Si impone la scelta di quale alfabeto usare, che dipende di motivi esterni alla lingua: si adatta
agli alfabeti presenti nelle varietà cercane. In Europa, la scelta è stata in gran parte
determinata da motivi ideologici e religiosi: alfabeto latino legato alla religione cattolica;
ortodossi usano il cirillico...

Le situazioni di digrafia sono molto poco comuni, di solito è una situazione provvisoria. Può
essere superata dottando uno dei due sistemi o creando due lingue diverse: (serbo e croato,
hindi e urdu).

- hindi e urdu: sono entrambe ufficiali in India e molto simili, hanno come base comune
il sanscrito (sono quasi lo stesso codice). Nell’hindi ha maggiore importanza il
sanscrito; l’urdu ha un maggiore apporto del persiano e l’arabo nel lessico.
La separazione è garantita dal differente sistema alfabetico: arabo per l’urdu e
devanagari per l’hindi.
Il cambio può essere motivato sulla base di criteri pratici: il mongolo aveva cirilizzato la lingua
per motivi politici; tuttavia, si sta ricuperando il vecchio sistema di scrittura, addato anche al
computer per mezzo di apposti sistemi operativi.

Le differenze alfabetiche non devono essere necessariamente molto evidenti. Per esempio, il
cambiamento totale dei caratteri per “veicolare forti rivendicazioni identitarie”.

Le piccole differenze di ortografia possono dar luogo a consapevoli differenziazioni identitarie:


inglese brit. “honour”, “defense” vs. Americano “honor”, “defence”.

Si assiste ad una “latinizzazione” del mondo: le lingue sottoposte a processi di normalizzazione


ricevono una forma grafica basata sul sistema latino. Questo si deve, da un lato, al prestigio di
alcune lingue germaniche (inglese) e neolatine (francese, spagnolo), al meno uso di segni
diacritici particolari o di lettere modificate; dall’altro, l’informatica ha promosso una
standardizzazione di tastiere e programmi di videoscrittura verso l’omologazione sul modello
dominante (il povero alfabeto inglese).

5.3. Paso 2: l’ortografia


Si riferisce alla corrispondenza tra i suoni e i grafemi.

Si bassa su basi storiche, lavorando sull’adattamento di tradizioni precedenti: gli utenti devono
poterla utilizzare non solo come codice passivo, ma anche attivamente, nel leggere e scrivere.

Nell’Europa moderna, si è scelto un sistema nel quale la relazione tra grafema e fonema sia il
più vicina possibile per facilitare l’uso scritto della nuova lingua Questo fa sì che per un
parlante sia accettabile il sistema e più semplice; il rischio è la creazione di una lingua difficile.

È importane considerare il potere identificativo che possiede una lingua scritta: una
codificazione alfabetica diversa può creare lingue diverse, l’identità linguistica è una funzione
normativa.

Esempio degli Stati Uniti

Noah Webster concluse che “una nazione di nuova formazione, se si vuole porre in diretta
concorrenza con le atre esistenti, deve anzitutto dotarsi di un proprio sistema di codifica della
lingua scritta”.

«In quanto nazione indipendente, il nostro onore richiede un sistema che sia propriamente
nostro, nella lingua come nella gestione dello stato. La Gran Bretagna, di cui siamo figli e di cui
parliamo la lingua, non dovrà più costituire per noi uno standard: perché il gusto dei suoi
scrittori è già corrotto, e la sua lingua in declino»

Iniziano qui le differenziazioni tra l’inglese americano e l’inglese europeo. Sono legate a fattori
di tipo identitario: center vs. centre, defense vs. defence, -ization vs. -isaton…

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Quando viene a delinearsi la necessità di scegliere il sistema ortografico, siamo davanti a tre
opzioni:

a) Ortografia fonetica: rappresenta il modo in cui si realizzano i suoni in una lingua,


stabilendo un rapporto biunivoco tra fonema e grafema.
Implicita il bisogno di uno standard orale o l’assenza di varianti fonetiche di rilevo
marcate in diastratia o diatopia.

Ha come vantaggi la facilità di scrittura (non bisogna conoscere regole ortografiche);


ma anche svantaggi: la corrispondenza fonema-grafema è molto difficile perché ci
costringerebbe a rendere normativi anche i fenomeni del parlato.

Uno particolarmente fonetico è il devanagari, elaborato da un linguista per il sanscrito;


inoltre, i sistemi di trascrizione più fortemente legati all’oralità sono quelli delle
trascrizione di singole varietà locali.

b) Ortografia de tipo etimologico: ci aiuta a dare prova delle derivazioni linguistiche al di


là della loro forma attuale.

Ha come svantaggio che rende la scrittura molto difficile.

Il francese ha una ortografia altamente etimologica che documenta la storia della


lingua: roi [rwa]; quando si è fissata la scrittura, si pronunciava quasi come si scriveva.

c) Ortografia mista: sono letture leggermente diverse a partire da medesime forme


scritte, che ha conseguenze sull’accettazione da parte dei parlanti.
Permette ai parlanti di riconoscersi in un medesimo sistema di scrittura consentendo
notevoli variazioni nella lingua.

Lezione 8 - 16/03/2023

La scrittura altera i rapporti tra lingua e il suo utente: conferisce un lato valore al linguaggio,
che viene percepito come una “lingua” ed apporta certi valori simbolici associati all’ortografia.

Tuttavia, la scelta di un unico sistema ortografico ha dei problemi:

a) Il parlante si renderà conto che la varietà che “vede” scritta non coincide precisamente
con la propria.
b) Il processo che mira a dare un’ortografia a una lingua da standardizzare è lungo e
tortuoso ed è destinato al fallimento qualora non tenga conto delle reazioni
psicologiche dei parlanti.
c) Compare una sorta di purismo dialettale a casa dell’attaccamento alla forma di
socializzazione primaria.
d) La lingua può essere sentita come propria, intima, legata alla propria infanzia e alla
propria identificazione primaria ma, contemporaneamente, rivelarsi anche diversa,
strana con inaspettate difficoltà di lettura.

C’è il rischio di un totale rifiuto. A volte, è più utile una ortografia vaga, imprecisa, che tenga
conto della struttura basica dell’ortografia dominante ma che accentui alcuni tratti
differenzianti immediatamente visibili.

Nonostante ciò, un sistema di scrittura troppo simile a quello dominante rischia di non venire
incontro all’esigenza di sentirsi “altri” dei parlanti.

Il caso del Bretone

Le varietà locali divergono nell’uso di [z] e [h] in contesti particolare, dunque si impiega il
digramma “zh”, che consente entrambe le letture ed è quella più frequentemente utilizzata:
nella sigla internazionale della regione BZH vengono le due grafie (Breiz o Breih ‘Bretagna’)

Flag characters

Consentono di riconoscere immediatamente che un testo è scritto in una lingua invece che in
un’altra: in Catalano si usa la grafia “ny”, che si contrappone a la “ñ” castigliana ( Catalunya –
Cataluña).

In alcune lingue africane vediamo forme come tɑ̃ invece che temps (la pronuncia è la stessa,
ma la grafia appare nettamente differente).

Il sistema ortografico

È importante la prevedibilità delle forme linguistiche: l’ortografia può essere vaga ma è


necessario che sia stabile e coerente, la frammentazione ortografica rende difficile la lettura
dei testi.

Il risultato della pianificazione deve essere necessariamente una lingua unica? No, è necessario
un sistema di forme referenziali che siano garanzia della percezione unitaria della lingua.

Si compare con il concetto di lingua polinomica, che non persegue l’unità attraverso il
consolidamento di una norma unica ma tramite la volontà die parlanti di proclamarla unica.

Caso della Turchia

L’azione di modernizzazione di Kermal Atatürk (1924) sancisce la nascita di uno stato


rigidamente monolingue.

Sul piano linguistico, l’alfabeto turco sulla base latina ha sostituito quello arabo. È un esempio
di sistemi grafici creati ex novo meglio riusciti.
Il cambio fu repentino (1924-1925): di colpo, tutte le scritte, pubbliche e private, furono
sostituite e quelle nuove realizzate direttamente con caratteri latini, il che provocò che la
popolazione si ritrovasse tutta praticamente analfabeta.

Dal punto di vista prettamente alfabetico, la riforma di Atatürk è ottima: garantisce una
corrispondenza biunivoca tra grafia e pronuncia (buono per la struttura del turco, che ha poche
variazione distopiche) di immediata comprensibilità e facile apprendibilità; gli aspetti simbolici
legati alla differenziazione e alla presenza di caratteri bandiera sono stati rispettati: è un
“alfabeto turco derivato da quello latino”, per es. caratteri “c” e “ç”, che hanno una
corrispondenza fonetica non presa da alcuna lingua.

La complessità linguistica di Malta

Malta ottenne l’indipendenza di GB in 1960. Oggigiorno, ha due lingue ufficiali:

- L’inglese: è conosciuto da tutti ed è la lingua dell’alta cultura e dei rapporti


commerciali e internazionali.
- Il maltese: ha sostituito l’italiano come lingue ufficiale del Paese ed è lingua di
comunicazione primaria.
- L’italiano: è la prima L2 e la lingua della TV.

Il maltese è una lingua semitica, un dialetto dell’arabo, che ha avuto una importane influenza
lessica del siciliano per i contatti con queste parlate.

Pur essendo una varietà di arabo, ha codificato la sua scrittura mediante l’alfabeto latino per
motivi d’uso e geopolitici. Questo alfabeto contempla quattro grafemi particolari e un digrafo
non compresi nell’inventario tipico dell’alfabeto latino.

L’arabo classico è l’unica lingua scritta ufficiale dell’area arabofona ma ogni zona ha la propria
varietà, spesso incomprensibile alle altre. Queste varianti non hanno accesso alla scrittura, il
suo uso è anche sanzionato dalla società civile araba. Malta ha dovuto differenziarsi mediante
la adozione del proprio dialetto come lingua ufficiale.

Il maltese è l’unica lingua araba si Europa, l’unica scritta in alfabeto latino e l’unica scritta tout
court oltre all’arabo classico.

5.4. Paso 3: morfologia e sintassi


Sono i livelli più idiosincratici rispetto alle singole varietà linguistiche; è difficile fornire
indicazioni standardizzabili per l’implementazione del corpus di una varietà relativamente a
questi livelli.

I criteri seguiti nelle singole attività di pianificazione in Europa sono molto diversi:

- Modellizzazione di una sola varietà, che è proposta come standard tetto di tutte le
altre: greco moderno, sulla base della varietà di Atene.
- Creazione di una koinè ortografica in cui diverse varietà si possono rispecchiare in
un’unica ortografia: catalano.
- Creazione ex novo di un codice che possa essere sentito come somma di tutti gli altri:
ladino standard.
- Adozione di uno standard particolarmente ampio che possa coprire il maggior numero
di varianti locali: i due standard norvegesi bokmal e nynorsk.

Morfologia

Se lo standard corrisponde a una variante diatopicamente o diastraticamente determinata, la


morfologia di questa diventerà modello, per es. l’italiano e fiorentino letterario

Se lo scritto supporta diverse realizzazioni fonetiche, anche i morfemi potranno essere


realizzati secondo le diverse varianti locali.

La lingua standard può codificare come “corrette” più forma alternative: il bokmal ammette
una grande varietà di forme alternative sia nella flessione nominale sia in quella verbale.

Sintassi

A livello sintattico la variazione diatopica e diastratica di una lingua coinvolge in generale un


numero basso di tratti; nel caso di divergenze sintattiche tra le varianti locali, bisogna
rispettare:

- Il criterio di maggior diffusione della sintattica da codificare.


- Il criterio di regolarità, chiarezza, univocità e trasparenza.
- Il criterio di distanziazione e originalità: preferenza alle varianti che più differiscono
dalle forme in uso nelle lingue vicine.

Caso studio: la morfosintassi del ladino

La standardizzazione della morfosintassi del latino standard cercava di creare una lingua scritta
unitaria che dovrebbe servire da lingua tetto per tutte le altre varietà ladine nelle Dolomiti.

Nel campo della morfologia, è essenziale prestare attenzione a fattori strutturali e alla
univocità della funzione e dalla coerenza del sistema morfologico. Secondo Heinrich Schmid, le
decisioni devono essere confrontate con l’accettazione o il rifiuto dei parlanti.

Schmid propone di seguire criteri di maggior diffusione, regolarità e semplicità, per esempio, le
desinenze dei verbi:

- Regolarità e semplicità: desinenze dell’imperfetto indicativo in -ov-, anche se sono


tipiche di una minoranza di idiomi ladini.
- Maggior diffusione e accettazione: desinenze degli infiniti forme senza -r (mangé,
dormì), anche se sono in netta contraddizione con il principio di chiarezza e univocità,
poiché sono anche le forme di participio).

Il criterio dell’originalità conviene anche prenderlo in considerazione: lo standard prevede un


gran numero di declinazioni e di eccezione tipiche di ogni variante dolomitica nel plurale di
aggettivi e sostantivi; sono create regole elaborate, con una lunga serie di forme irregolari.
5.5. Paso 4: lessico
Il livello lessicale aiuta a “mantenere la lingua e differenziarla il più possibile della varietà con la
quale deve essere coufficiale.

Si aggiungono al corpus planning come proposte, non imposizioni, cioè, si produce un


affiancamento e non sostituzione delle forme spontanee.

L’obiettivo della standardizzazione lessicale è creare forme di linguaggio amministrativo, non


linguaggio tout court; in ambiti personali e letterari, i parlanti sono liberi di organizzarsi
spontaneamente.

Il lavoro sul linguaggio pubblico e amministrativo avrà poi riflessi spontanei sugli altri livelli
della lingua: le forme per uso passivo, ossia solo da parte dell’amministrazione. Il parlante
potrà continuare a usar la sua varietà.

La standardizzazione lessicale parte da registri amministrativi e settoriali, a loro sono legate


pulsioni (instinto?) identificative (personale, familiare, orale): il loro mutamento o
“imbarbarimento” irrita molto meno il parlante. Tuttavia, è facile creare ex novo coniazioni
(cuñaciones) di linguaggi specialistici (lessico intellettuale europeo).

Gli obiettivi della pianificazione del corpus lessicale sono, in una fase iniziale, la produzione di
dizionari e liste lessicali specifiche e, in una fase molto più avanzata, testi completi tecnici e
burocratici (cmq testi non letterari).

Per l’elaborazione delle terminologie settoriali: ricognizione delle raccolte terminologiche nelle
lingue ufficiali egemoni sul territorio e aggiunta dei termini equivalenti in L. Non lista delle
parole possibili in una varietà ma delimitazione dell’ambito semantico dei possibili items
lessicali a seconda delle necessità degli utenti.

Si deve creare un insieme di fonti documentali che costituiranno il corpus: opere specializzate
(manuali, opere di teoria, regolamenti, norme, testi legali…), opere terminologiche (dizionari
visuali, tavole di nomenclatura, repertori di neologismo, banche di dati terminologiche…),
opere lessicografiche (dizionari di lingua generale, opere enciclopediche, dizionari di
equivalenze, dizionari etimologici…).

Per ogni campo di investigazione terminologica, bisogna l’elaborazione di un albero


concettuale. Ha come obiettivo delimitare l’ambito tematico su cui intraprendere il lavoro di
elaborazione, controllare la pertinenza dei termini e il grado di competenza dell’area
semantica e distribuire i termini per subaree tematiche.

Lezione 9 – 22?/03/2023

Neologismi

Neologismi si includono nel corpus per sopperire eventuali mancanze terminologiche. I


processi di creazione neologica si possono distinguere in:
d) Neologia formale: tipo di processo attraverso il quale viene formata una nuova forma:
derivazione, composizione, abbreviatura, prestiti interni (arcaismi, dialettalismi…)
oppure esterni (di altre lingue, si dividono tra prestiti di lusso e di necessità).
e) Neologia semantica: attraverso il ricorso a tropi (metafora, metonimia), l’attuazione di
processi di modificazione semantica (ampliamento, restrizione o cambio di significato),
la creazione di calchi (caco semantico: “stella” con il significato di “stella di
Hollywood”, oltre a corpo celeste), utilizzo di nomi propri (eponimi, denominazione
commerciale).

Quando si creano, devono rispettare precisi criteri linguistici, terminologici e sociolinguistici:

f) Linguistici: deve essere legato al codice della lingua di arrivo, deve rispettare i
parametri ortografici, morfologici e fonologici, per farsi sentire parte della lingua.
g) Terminologici: la relazione tra significante e significato deve essere univoca. Deve
avere anche una analogia formale tra il neologismo e la parola che il neologismo ha
semanticamente segnata.
h) Sociolinguistici: bisogna considerare il livello di formazione degli utenti, la loro
sensibilità linguistica e il prestigio sociale e professionale dei mezzi di diffusione.
È importante considerare anche l’appartenenza a un determinato registro, la
lontananza di connotazioni peggiorative e la facilità di memorizzazione.

Il caso del turco

È avvenuta negli anni 20 una intervenzione linguistica sul lessico. Si configurò un progetto che
fosse attento alla tradizione: si preferivano parole turche a parole arabi o persiani, si
sviluppavano nuovi significati per parole già esistenti in turco (estensioni del significato), si
sviluppavano significati astratti per parole usate solo in senso concreto (è un fenomeno +++
comune nel mondo, che succede in modo naturale; per es. “di fronte a”, automobile di
seconda “mano”…), si raccoglievano voci dei dialetti, si formarono nuove parole turche
(processi di formazione turchi), calchi di parole arabe (it. grattacelo è calco del ing. sky…),
turchizzare foneticamente parole straniere, creare neologismi che nel suono somiglino a
parole straniere.

Il caso del còrso

Ha sempre avuto fondamentalmente trasmissione orale, per cui sono stati tentativi di
standardizzazione.

La lingua che si sta elaborando vorrebbe essere una forma scritta che abbraccia tutte le
varianti locali possibili, che non si pone in contrapposizione con il parlato, che sostiene la
varietà parlate che ancora non hanno uno standard scritto e che serve di serbatoio alle varianti
locali.

Come caratteristica innovativa, la varietà standard orale è costituita dalle varietà già parlate.
5.6. Paso 5: standard orale
La presenza di uno standard scritto e fondamentale per ragioni di tipo ideologico e di prestigio
linguistico, anche a fini pratici.

La creazione di uno standard orale diverta molto più problematica, perché serve una base
ideologica di accettazione molto forte.

La proposta (o l’imposizione) di uno standard orale è un’operazione fortemente simbolica 🡪 la


sua assenza non pregiudica l’intercomprensione fra i parlanti, non è una necessità
comunicativa e non sempre è accettata nelle società altamente alfabetizzata.

Tuttavia, la presenza di uno standard orale si rivela utile: è una risorsa per insegnamento di L2
ed anche per usi di “parlato-scritto” (teatro, radio, televisione…).

La presenza di una varietà comprensibile non significa la presenza di uno standard né che lo
standard orale debba essere imposto per l’uso del parlato quotidiano.

In Norvegia, non c’è alcuna forma standard orale ufficiale, gli standard sono proposti da varie
istituzioni e organizzazioni indipendenti: il teatro nazionale si fissa autonomamente le regole,
la televisione di stato…

La legislazione della Catalogna ha scelto di codificare, per l’uso parlato, più forme, in modo da
adattarsi meglio alla diversità dialettale del territorio.

Questa è la scala di ricezione (recepción) della varietà standard orale in termini di accettabilità
da parte della popolazione: uso nella amministrazione, insegnamento scolastico, uso nei
media, uso in occasioni particolarmente formali, in discorsi, dibattiti e conferenze

Quando il tentativo di normalizzazione viene percepito come imposizione, non si accetta e non
si usa.
Lezione 10 – Sabe dios cuándo

6. Status, funzione, prestigio


Il prestigio corrisponde al passato di una lingua: una lingua con passato letterario o di codice
dei rapporti interregionali o internazionali conserva generalmente un alto prestigio presso i
parlanti. Per esempio, il latino classico

La funzione è il presente di una lingua, cioè, quello che con la lingua effettivamente si fa, a fini
comunicativi e letterari. Per esempio, le lingue veicolari o di vasta diffusione ricoprono molte
funzioni, ma non necessariamente queste sono legate a un alto prestigio; il swahili in Africa
occidentale ha molte funzioni ma poco prestigio.

Lo status si riferisce al futuro di una lingua, quello che con una lingua se potrebbe are in virtù
della sua posizione ufficiale.

Lo status e il prestigio hanno queste convergenze: le lingue ufficiali tendono a essere, almeno
in Europa, quelle di riconosciuta tradizione letteraria e di maggiore peso internazionale;
inoltre, un alto status da parte di una lingua porta nel tempo a un accrescimento del prestigio
linguistico.

Come divergenze: l’ufficialità non vuol dire prestigio.

6.1. Status e funzione


Status e funzione possono convergere su una stessa varietà, è il caso più frequente; tuttavia, le
lingue possono avere uno status ufficiale e di prestigio molto alto, ma ricoprire poche funzioni
comunicative (irlandese).

Lo status si può cambiare incrementandone le funzioni. Queste, però, possono operare anche
senza status: le funzioni della lingua sono infatti collegate strettamente con la competenza
linguistica che si mantiene con l’uso.

L’implementazione di funzioni linguistiche e la standardizzazione lessicale possono portare a


nuovi ambiti d’uso (amministrazione, scienza, istruzione universitaria, vita politica…) e far sì
che una lingua si conservi.

Kloss (1952) individuò un percorso graduale riguardo allo sviluppo dell’acquisizione di nuovi
ambiti d’uso.

Diceva che per rafforzare la posizione sociale di una lingua, bisogna incrementarne l’uso scritto
e i domini d’applicazione. Il percorso è una ascesa in varie tappe di sviluppo:

a) Grado preliminare (o gergale): umorismo semplice, trascrizioni di canzoni popolari.


b) Grado 1, lirica: poesia umoristica di tutti i generi, teatro buffo, racconti umoristici.
c) Grado 2, teatro: racconti seri in prosa, saggio giornalistico
d) Grado 3, costituzione di una lingua specializzata: libri di testo e saggi sulle tradizioni
locali, giornali divulgativi, grammatiche, dizionari scientifici.
e) Grado 4, testi didattici per tutti i domini scientifici: ricerca scientifica di grande
respiro nelle tradizioni locali, emissioni radiofoniche.
f) Grado 5, ricerca originale di grande respiro in tutti i campi del sapere: uso ufficiale nel
settore amministrativo, giornali redatti interamente in lingua locale.

Innanzitutto, è necessaria una lingua scritta e ortografia unitaria; è importante segnalare che
no si raggiungono gradi più alti senza essere passati da quelli intermedi e iniziali. Il tentativo di
passare velocemente, saltando le tappe medie, di norme, è destinato al fallimento.

Kloss (1976) creò questa tabella per identificare i campi di applicazione:


7. Status planning
È l’insieme dell’apparato normativo e legislativo volto a rendere effettivi i diritti linguistici della
popolazione.

Si fa distinzione tra:

- Diritto linguistico dello stato: l’effettiva legislazione linguistica vigente sul territorio
- Diritti lignitici delle comunità: i diritti che i parlanti acquisiscono rispetto alle diverse
varietà.
- Language policy: attuazione e implementazione dei diritti.

Il parlante ha diritto a usare la lingua che preferisce nei rapporti sociali e pubblici, cioè, sia la
lingua madre che la lingua della socializzazione primaria.

È riconosciuto il diritto almeno a poter usare nella vita social e nel rapporto con la scuola, l’alta
cultura, la giustizia, l’amministrazione, la lingua che se domina meglio, a livello individuale ma
anche collettivo.

Le comunità hanno diritto a costituirsi in comunità autonome, creare istituzioni e usare sul
proprio territorio la lingua che ritengono opportuna.

7.1. Personalità e territorialità


Il diritto linguistico dello stato in cui i parlanti si trovano a vivere regola i rapporti tra cittadini e
stato sul piano della lingua e tra cittadini che parlino lingue differenti.

Nella teoria sulla pianificazione si fa distinzione tra personalità e territorialità del diritto
linguistico:

- Personalità: possibilità teorica di un cittadino di poter usare la lingua propria in tutto il


territorio dello stato.
L’esempio europeo moderno di totale personalità del diritto linguistico legalmente
codificata era l’Impero Austroungarico: la popolazione era divisa in comunità nazionali,
ognuna con la sua lingua, in cui avevano diritti all’istruzione e alla vita culturale,
indipendentemente del territorio.
Al variare della composizione demografica e tecnico-linguistica di un’unità
amministrativa, cambiavano le lingue in uso nell’amministrazione.

- Territorialità: delimitazione territoriale di tale uso regolato in maniera differente a


seconda dell’area geografia dello stato presa in considerazione.

È oggi il regime giuridico linguistico più diffuso.


Il caso standard è la corrispondenza di uno stato – una lingua, p. es., il modello
francese.
Un caso più complesso sarebbe quello della Svizzera, uno stato con diverse lingue
statali ma divisa in regioni linguistiche monolingui.
In Italia, a una varietà egemone diffusa e ufficiale su tutto il territorio e per
tutti gli ambiti si affiancano localmente varietà diverse con differente grado di
riconoscimento giuridico.

I diritti linguistici vengono applicati nell’ambito istituzionale ed educativo e viene scelto in


maniera diversa a seconda della situazione:

- Iugoslavia fu uno stato monolingue a livello ammnistrativo, ma plurilingue nelle scuole.


- Catalogna è bilingue sul piano amministrativo ma solo catalano nell’educazione (???).
- Valle d’Aosta, pur bilingue, ha un sistema monolingue nell’ammin della giustizia (it).

Nell’ambito istituzionale, il settore giuridico è il meno permeabile al plurilinguismo. Le


legislazioni sono più spesso monolingui anche in territori che ammettono la compresenza di
più varietà ufficiali, p. ej., il Val d’Aosta.

I vari sistemi giuridici manifestano gradi differenti di esplicita attenzione alla realtà linguistica
del territorio cui si riferiscono. La mancanza di una regolamentazione giuridica della realtà
linguistica non significa effettivo disinteresse per il problema.

Non necessariamente, comunque, paesi con più lingue ufficiali presentano una legislazione
linguistica più ampia e articolata rispetto agli altri: in Svizzera, che ha quattro lingue ufficiali,
solo due articoli della Costituzione federale fanno menzione della lingue.

----------------------------- Pausa tesi di laurea 22 e 23 -----------------------------

Lezione 11 – 29/03/2023

7.2. Diritti linguistici


Il diritto linguistico esplicito spesso produce una gerarchizzazione sociale e politica delle lingue.
Si è individuata questa scala di denominazione sulla base dello status o delle funzioni
simboliche:

a) Lingua nazionale: sono quelle alle quali viene attribuita una maggiore enfasi simbolica
dalle istituzioni (Francia, Spagna, Grecia…).

b) Lingua ufficiale: ha un valore più pragmatico, più legata all’uso comunicativo. Una
lingua può essere contemporaneamente ufficiale e nazionale (Lussemburgo).

c) Lingua legislativa: definizione propria del diritto linguistico del Lussemburgo in


riferimento al francese. È un paese trilingue: il francese è la lingua legislativa, il tedesco
è della alfabetizzazione primaria.
Non conferisce alla lingua alcuna preminenza ideologica o di status e non obbliga ii
cittadini ad avere con essa un rapporto specifico.
d) Lingua propria: denominazione che nasce nel diritto linguistico della Catalogna;
assume un altissimo valore simbolico in un determinato territorio che, non essendo
una nazione, non può quindi avere una lingua.
e) Lingua regionale: proviene dell’area giuridica francese; la lingua regionale sta alla
lingua nazionale come le regioni stanno allo stato in uno stato in cui le regioni hanno
un’autonomia limitata.
È una lingua parlata in uno stato da un numero inferiore di cittadini rispetto al resto
della popolazione e radicata in una parte circoscritta del territorio.

f) Lingua minoritaria: a volte si usa come scorciatoia (atajo) per non dover distinguere i
codici presenti nel territorio, ma nel contempo per segnare in modo molto netto la
distanza rispetto alla “lingua nazionale”.
È una lingua con meno diritti rispetto alla nazionale o ufficiale; ha ricevuto una
attenzione di tipo “museale”: vengono conservate e tutelate, mantenute vive, ma
senza un lavoro adeguato per estenderle.
Questo concetto è portatore di un prestigio ridotto, ma sono molte le sfumature di
carattere sociopolitico e linguistico: alcune sono anche lingue nazionali di stati sovrani
(irlandese e lussemburghese).
Altre, anche se sono presenti en territorio, non sono considerate in nessun modo
(rumeno in Grecia).

7.3. Lingue minoritarie


Da un punto di vista sociolinguistico è opportuno distinguere tra:

a) Lingue minoritarie: status giuridico inferiore rispetto a una dominante (gaelico in


Scozia).
b) Lingue in una situazione di minoranza: lingue di grande diffusione, in minoranza
demografica o legislativa (tedesco in Italia).
c) Lingue in minoranza: lingue diverse dalle ufficiali che necessitano di sostegno e
protezione linguistico-culturale.
d) Lingue meno diffuse: forma politicamente corretta, non marcata socialmente; indica le
lingue di minoranza che secondo le leggi dell’UE hanno bisogno di una speciale
attenzione per essere conservate.
Hanno sancito i diritti delle lingue minoritarie svincolandoli dal concetto di popolazioni
di minoranza; in questo contesto, i diritti linguistici sono considerati come facenti parte
dei diritti umani politici e civili; cercano di tutelare le popolazioni nei confronti di
eventuali abusi o discriminazioni.

Sta emergendo però un’accezione di carattere positivo.

7.4. Caso di studio: Catalogna e Finlandia


La Finlandia (Suomi in finlandese) è stata concepita come il territorio di un unico popolo sin
dalla fondazione. Al momento della sua fondazione (1917), si usavano due codici: svedese
(codice alto) e finlandese (codice basso). Era una situazione di diglossia istituzionalizzata,
trasformandosi gradualmente in bilinguismo effettivo.

Fino al XX secolo, lo svedese era la lingua de cultura per la classe dominante; il finlandese si
usava per i livelli più bassi della comunicazione, aveva uno status di lingua scritta assai incerto
e il suo impiego nella letteratura era molto limitato.

A partire del XIX secolo, è stata avviata una riduzione letteraria delle tante tradizioni e
leggende orali. La scasa frammentazione dialettale del finlandese garantiva l’accesso alle
funzioni di lingua ufficiale.

Nel momento i n cui ci si accinse a redigere la Costituzione nel nuovo stato, entrambe le lingue
furono ufficiali. Il rapporto fra le lingue ha subito un’inversione: lo svedese dal 19% al 6% della
popolazione, per cui oggi viene considerata come lingue di minoranza in Finlandia.

Il Catalano ha una lunghissima tradizione letteraria, il che ha facilitato le attività di corpus


planning, facilitandone pure la rivitalizzazione dopo il Franchismo. Anche si è facilitata la sua
accettazione come codice dell’amministrazione da parte dei parlanti.

Il corpus planning è stato incentrato sulla modernizzazione lessicale e la creazione e diffusione


di un lessico tecnico specializzato.

Si è adottato il catalano standard in Catalogna, Comunità Valenziana e Baleari con accettazione


di qualche variante morfologica e lessicale; si è creato anche uno standard orale.

Il catalano perse lo status ufficiale nel 1716 ma viene a riacquisire questo status nel 1978. La
legge spagnola moderna prevede il dovere di conoscere lo spagnolo per ogni cittadino
spagnolo; tuttavia, si riconosce l’esistenza di lingue coufficiali altre lingue (galiziano,
catalano…). Nella Costituzione viene detto che le comunità autonome hanno pieno potere
sulle questioni linguistiche. Oggigiorno ci sono 6 comunità autonome con lingua propria
(Galizia, Euskadi, Navarra, Valenzia, Catalogna e Baleari).

La legislazione spagnola stabilisce una mescolanza tra criterio personale e criterio territoriale
del diritto linguistico: nelle comunità bilingue, c’è il criterio personale, cioè, il parlante può
scegliere tra le diverse lingue quale lingua utilizzare per intrattenere i suoi rapporti con la
amministrazione; al di fuori, lo spagnolo è la lingua che ha valore ufficiale.

La legislazione finlandese si bassa sul principio della totale uguaglianza tra le lingue ufficiali:
finnico e svedese sono le lingue ufficiali della Repubblica. È assicurata la redazione bilingue di
tutte le leggi.

La Generalitat di Catalunya dice che il catalano è la llengua pròpia della Catalogna, cioè, del
governo e dell’amministrazione. Acquisisce una certa importanza nel territorio: il personale
della pubblica amministrazione deve conoscere le due lingue. Gli atti ed i dibattiti all’interno
della comunità si svolgono in catalano, ogni documento è redatto in catalano esclusivamente,
cioè, la comunità favorisce l’uso della lingua propria.

La attività di corpus planning è stata molto importante poiché mostrava la possibilità speciale
del catalano a tutti i livelli e cercava di revitalizzare la lingua.
Dal punto di vista della pubblica amministrazione, entrambe le lingue hanno un corpus di leggi
linguistiche per l’implementazione del bilinguismo nelle istituzioni.

La Llei de normalitzazió lingüística (1979) dice che el català és la llengua pròpia de Cataluyna.

La legge finlandese stabilisce il principio di uguaglianza a livello costituzionale, è il cittadino a


scegliere la lingua che preferisce. La lingua del comune è quella della maggioranza nel comune,
se la minoranza è superiore all’8%, deve essere necessariamente bilingue. Ogni 10 anni, si
rideterminano i territori di lingua svedese, finlandese o bilingui.

In spagna, l’appartenenza territoriale di ogni comune a una determinata comunità autonoma


determina il carattere di ufficialità o no.

I servizi pubblici (luce, elettricità, telefono…): in Finlandia le aziende usano la lingua del
territorio in cui si trovano, tutti i cittadini possono scegliere la lingua che usare
indipendentemente della lingua del comune; in Catalogna, c’è la preferenza dello spagnolo da
parte degli enti statali, ma il catalano è usato dal governo della comunità.

Amministrazione della giustizia: in catalogna, nella amministrazione tutte e due lingue sono
ufficiali, nella giustizia è minoritario perché il sistema giudiziario è legato allo stato; in
Finlandia, nei tribunali la lingua ufficiale è quella del comune e nei livelli più alti si usano tutte e
due.

Educazione: in Catalogna, il catalano è utilizzato in tutti i livelli dell’istruzione, poiché la


Costituzione spagnola non prevede alcuna norma linguistica in materia educativa,
nell’insegnamento superiore, i docenti possono esprimersi come preferiscono; in Finlandia,
entrambe godo dello stesso diritto nell’insegnamento, i principi di distribuzione sono di tipo
personale (di comunità linguistica).

Indicazioni stradali, toponomastica, indicazioni pubbliche: in Catalogna, solo sono in spagnolo


nelle zone di interesse regionale, ma la toponimia cittadina e di partenenza comunale è in
catalano; in Finlandia, sono scritti nella lingua in uso dei comuni in cui è esposto il cartello
(doppie denominazioni).

Cultura e media: in Finlandia, ci sono tre compagnie televisive, due in finlandese e una in
svedese; in Catalogna, c’è un altissimo uso della lingua catalana, con canali esclusivamente in
catalano.

Lezione 12 – 30/03/2023
7.5. La legislazione scolastica
Tra le attività più delicate della pianificazione linguistica si trova la regolamentazione della
lingua nella scuola.

I programmi di rivitalizzazione linguistica nella scuola si rivolgono a creare delle attività di


sostegno alla lingua e di recupero culturale, spesse con un approccio fallimentare.

Il principale problema che affrontiamo è l’identificazione tra lingua e cultura tradizionale:


vengono percepite come un sistema di valori superati, cioè, la cultura tradizionale “dei nonni”
può essere vissuta dalle nuove generazioni come espressione di una realtà antiquata. Per
esempio, il gaelico irlandese, lingua della cultura tradizionale e degli antenati ma in forte
diclino rispetto all’inglese.

Non è sufficiente per una lingua essere legata a valori ideologico di recupero del passato,
perché solo assicura la sopravvivenza a livello di dialetto locale solo parlato. Il punto di svolta
(punto clave) è utilizzare la lingua di minoranza come uno strumento per veicolare nozioni utili,
adatte al mondo in cui i discenti si trovano immersi.

La lingua target deve configurarsi come uno strumento normale, non marcato, per esempio,
con comunicazioni orali tra studenti, genitori e insegnanti, e con documenti scritti ufficiali tra
istituzioni scolastiche e famiglie.

Le esigenze sociali e storiche possono richiedere l’insegnamento istituzionale in più lingue e di


più lingue.

Il caso del Paese Basco spagnolo

Troviamo tre possibili scelte di scuola:

- Tipo A: lingua di insegnamento spagnola e obbligo di studio del basco come L2.
- Tipo B: lingua bilingue basco-spagnolo.
- Tipo C: lingua di insegnamento basco e obbligo di studio dello spagnolo come L2.

Nei primi anni, la popolazione ha preferito la opzione A; oggi le scuole tipo B o C acquistano
sempre più studenti.

Sono necessari anni per la formazione di una classe di insegnati valida nella lingua target per la
produzione di libri di testo e manuali di insegnamento.

Mescolanze di sistemi

Anche il sistema educativo è bassato sui principi ti territorialità e personalità. Proprio in questo
campo sono palesi commistioni e incroci. La mescolanza di tipo negativo è più frequente: in
uno stato monolingue sono riconosciuti diritti linguistici a alcune popolazioni di minoranze
esclusivamente nel territorio in cui vivono.
La maggioranza viene protetta e tutelata ovunque, mentre le minoranze esclusivamente nei
territori storici. Si tratta di limitazioni territoriali del diritto personale che viene garantito solo
nelle aree di riconosciuta minoranza.

Il bilinguismo negativo del Belgio

Il belgio è costituito come regno federale con tre unità federale: Fiandre (Vlaanderen), Vallonia
(Wallonie), la regione di Bruxelles capitale (Zone de Bruxelles capital /Brussel-Hoofdstadlijike
gebied). Ha tre lingue ufficiali: neerlandese, francese e tedesco.

L’uso amministrativo segue il principio territoriale


puro, e divide il territorio in quattro aree
linguistiche: fiamminga, francese, tedesca e
bilingue francese-fiamminga. All’interno di queste
zone il monolinguismo è totale con la sola
eccezione della area bilingue Bruxelles-Brussel.

La situazione all’nterno e quella tipica degli stati


nazionali: un cittadino di lingua fiamminga può non
conoscere il francese così come uno di lingua
francese può non conoscere il fiammingo. Solo in
un numero limitato di comuni (communes à
facilitè) è possibile un’educazione nella lingua di
minoranza.

La Costituzione riconosce tre unità etniche che amministrano l’educazione e giocano un ruolo
anche all’interno del Parlamento.

Le comunità nazionali gestiscono i sistemi educativi: la lingua dipende strettamente dal


territorio nel quale risiedono, senza essere materia di scelta per i cittadini.
8. Acqusition planning
8.1. Nozioni di base
Fa riferimento a tutti gli interventi pubblici che tendono a promuovere l’uso di una lingua e ad
aumentare il numero di parlanti. Si tratta di operazioni molto delicate che coinvolgono nozioni
di prestigio linguistico. È necessario costruire un gancio identitario per la popolazione, cioè, si
basse su valore simbolici e identitari.

Il parlante è molto sensibile al prestigio linguistico della propria lingua. Ciascuno sa che le
diverse varietà con cui entra in contatto sono differenziate su vari piani:

- Politico: le lingue hanno status giuridici e posizioni geopolitiche diversi.


- Economico: strettamente collegato alla differenza di status politico, il prestigio
economico di una lingua è sempre fortemente sentito dal parlante.
- Estetico: le cause che producono nei parlanti giudizi estetico sulle lingue sono molto
varie e il loro studio è assai complesso.
- Identificativo: le dinamiche di identificazione primaria sono legati ad altri fattori che
non il potere politico o economico, avvicinandosi alle motivazioni.
- Prestigio coperto: il parlante si sente legato alla propria varietà perché non è
prestigiosa, perché non è standard.

L’acquisition planning è una consapevole alterazione di questi rapporti fra codici. Un altro
fattore da tener presente è che spesso il desiderio attivo di cambiare i rapporti fra i codici è
sentito solo da una minoranza non rappresentativa e atipica rispetto alla maggioranza della
popolazione interessata dal cambio linguistico.

8.2. Caso di Irlanda


Le operazioni di revival del gaelico irlandese erano già in atto nel XIX ad opera di intellettuali
irlandesi anglofoni nel tentativo di restituire status sociale alla popolazione irlandese e creare
un’ideologia etnica che sarebbe stata alla base (insieme al cattolicesimo) dell’identità degli
irlandesi.

Nel 1992, il governo fondò due mila scuole nelle quali l’irlandese era materia di studio. Venne
reso pubblico l’uso dell’irlandese a tutti i livelli accanto all’inglese.

Questa politica linguistica sin dall’inizio ha trovato delle difficolta, in particolare: l’uso pubblico
dell’irlandese ha posto dei problemi di corpus planning perché la lingua letteraria a cui si
faceva riferimento veniva percepita come lingua diversa da quella parlata dagli individui ed era
divisa in vari dialetti locali. Si è dovuto attendere al 1945 per avere uno standard ortografico
per questa lingua. Ad oggi, non esiste uno standard orale e lo scritto si rifà ad una varietà
locale, quella di Cois Fhairrghe, contea di Galway.

Il gaelico irlandese, però, ha perso un grande numero di parlanti a favore dell’inglese, che
diventa una lingua di comunicazione primaria. Si contrappone al gaelico, che viene percepita
come lingua dottata di valori ideologici e simbolici ma non utilizzata come lingua di
comunicazione primaria.

Il desiderio di riavviare questa lingua è stato sentito solo in misura ridotta e i programmi di
recupero che sono stati avviati hanno portato all’aumento del numero dei parlanti o per lo
meno del numero di persone che conoscono effettivamente la lingua, ma non vuol dire che
venga effettivamente utilizzata.

L’irlandese è materia di studio nelle scuole ma non veicolo d’istruzione.

Rimane una popolazione irlandizzata con minima competenza ma che si associa ad uno
minimo uso della socializzazione primaria. Nonostante ciò, il prestigio associato a questa lingua
è molto alto.

L’irlandese potrebbe morire. È un rischio effettivo perché le nuove generazioni tendono a


preferire l’inglese.

L’esperimento di Galway

Presenta una vera e propria innovazione rispetto alla politica linguistica sin qui attuata in
Irlanda.

Si cerca si potenziare e stimolare le potenzialità economiche della lingua minacciata. Si sta


portando avanti un sistema de pianificazione che ha lo scopo di modificare gli atteggiamenti
del parlante nei confronti con la lingua, senza intaccare gli atteggiamenti verso la lingua di
maggioranza.

La volontà di promozione linguistica dovrebbe non essere completamente esplciita.si mira a


provocare una situazione per cui la rivitalizzazione linguistica è una conseguenza
dell’operazione ma non un suo fine dichiarato.

Lo scopo è mostrare che l’uso dell’irlandese è conveniente senza implicazioni di tipo morale e a
prescindere del fatto che l’irlandese “piaccia” o meno.

Questa citta è una delle più anglicizzate. I parlanti di gaelico tendono a parlate esclusivamente
l’inglese. In città si ha un maggiore sensazione di contraste tra lingua di minoranza e di
maggioranza.

L’idea è stata di rafforzare l’uso del gaelico come lingua seconda «in modo da lenire l’influenza
negativa che questa poteva avere nel territorio circostante»

Lo scopo dichiarato del progetto è trasformare Galway nella prima città bilingue dell’Irlanda.
Comunque, è stato presentato come un progetto essenzialmente economico, rivolto alla
business community della città: le argomentazioni evitano volutamente gli argomenti di tipo
strettamente linguistico.

La decisione di implementare l’irlandese è esclusivamente rivolta al buon senso affaristico:

- Gli operatori commerciali e economici sono stati stimolati a utilizzare l’irlandese nelle
insegne, nella pubblicità, nei rapporti scritti e orali con i clienti.
- Le istituzioni pubbliche si sono limitate a fornire un’assistenza di tipo logistico (aiuti
nelle traduzioni, ricerca di mercato, sviluppi di nuove interfacce grafiche)
- Le valutazioni in termini di costi-benefici si stanno dimostrando piuttosto incoraggianti
(il progetto è infatti ancora in corso).

8.3. Il Catherine Wheel Model


Le attività di acquisition planning sono variamente strutturate e si rivolgono a settori anche
diversi della società, con metodologie e tecniche anche apparentemente lontane dall’attività
normale del linguista.

Ci sono tre gruppi principali:

- Miglioramento della competenza linguistica e comunicativa dei parlanti nella lingua


oggetto de pianificazione (Lx).
- Aumento del prestigio della Lx.
- Sviluppo dell’uso sociale e interpersonale della Lx.

Il prestigio di una lingua è direttamente proporzionale all’ascesa socioeconomica che la


conoscenza di questa dà al parlante o che il parlante crede che gli dia.

Per un migliore sviluppo dell’uso sociale e interpersonale bisognerebbe vedere assicurata la


cosiddetta «produzione e riproduzione della lingua», cioè la continuità nell’uso a livello
intergenerazionale.

Elementi della Catherine Wheel:

- Se le persone competenti in una lingua aumentano 🡪 aumenta il numero di persone


che la usa regolarmente.
- Se il numero di utenti aumenta 🡪 aumenta la richiesta di prodotti e servizi in questa
lingua.
- Se la domanda aumenta 🡪 cresce l’offerta di prodotti e servizi.
- L’aumento di prodotti i servizi in questa lingua 🡪 causa una percezione sociale di unità
della lingua stessa, e quindi una necessità di conoscerla.
- L’unità della lingua 🡪 incentiva l’interesse verso il suo studio e apprendimento.
- Il fatto di apprenderla 🡪 aumenta il numero di parlanti competenti.

Fattori esterni che possono interferire sul ciclo:

- L’insegnamento di una lingua non implica necessariamente il suo apprendimento da


parte dei discenti né tanto meno il suo uso.
- Una volta assicurato l’uso sociale della varietà, non è scontato che la popolazione
richieda prodotti e servizi in questa lingua.

8.4. Perché la pianificazione?


Gli obiettivi di una politica di acquisition planning possono dunque variare a seconda delle
circostanze e delle necessità di ogni comunità.

La maggior parte delle operazioni di language planning che vengono condotte attualmente è
costruita intorno a un fine conservativo.

Il lavoro sul prestigio della lingua minacciata è rivolto in questo caso verso il recupero di una
lingua arcaica nei confronti delle generazioni giovani che non la vogliono più parlare.

Fini espansivi: standardizzazione come meccanismo di democratizzazione = volta a rendere


disponibile agli altri la propria lingua.

Lezione 13a – nun sé cuándo

8.5. Politiche di acquisition planning


Esistono quattro tipi di politiche di acquisition planning:

- Tipo A, società nazionale monolingue: ha come scopo primo diffondere la lingua


nazionale in modo che essa venga usata in tutti gli ambiti scritti e orali della società.
Si può tollerare solo marginalmente l’esistenza di altre varietà.

Caso particolare
Uso di sistemi esplicitamente coercitivi, come violenza verbale, psicologica e fisica nei
confronti dei parlanti di lingue diverse da quella nazionale. Oggi in Europa sono molto
sanzionati.

Imposizione di un simbolo connotato come negativo all’alunno sorpreso a usare parole


nella lingua proscritta. Sistemi di violenza psicologica usato nelle scuole di molti paesi
d’Europa: cappello con le orecchie di asino, cartello appesto al collo, multa di una
moneta, obbligo di portare un oggetto ripugnante.
Per esempio, il metodo Welsh Not, usato nel XIX nelle scuole inglesi del Galles. Si dava
una piastrina sulla quale il maestro faceva una tacca (muesca, corte) ogni volta che il
bambino era sorpreso a parlare gallese.

- Tipi B-C, società nazionale e società parallele: gli obiettivi sono l’aumento del numero
di bi- o plurilingui attivi e ridare alla Lx uno status di Lh quando lo abbia perso a
vantaggio di un'altra lingua.

Il tipo “società nazionale aperta cerca di introdurre la Lx a tutti i livelli della vita sociale
o amministrativa. Ai cittadini viene concesso l’uso, almeno come prima lingua
“straniera”, della precedente lingua dominante (Ly).

Il tipo “società parallele” mira a equilibrare i rapporti sociolinguistici tra i codici. Ha


come obiettivo passare da diglossia/dilalia a bilinguismo effettivo, usando in tutti gli
ambiti la Lx, senza tuttavia perdere la conoscenza della Ly come lingua seconda.

Il tipo “società diglottica” rafforza la posizione di entrambe le lingue, ognuna nei suoi
ambiti esclusivi, delimitandone le sfere s’uso sociale. Ha come obiettivi rafforzare la Ll
(basiletto) nei suoi ambiti d’uso caratteristico senza escludere la Lh (acroletto) dalle
funzioni che le sono proprie e l’uso effettivo delle lingue equilibrato e stabile nel
tempo.

Prodotti e servizi in lingua

Bisogna distinguere tra:

- Prodotti culturali (libri, teatro…): possono entrare senza problemi sul mercato,
andandosi ad aggiungere ai corrispondenti prodotti culturali in Ly.

- Altri prodotti e servizi “della vita di tutti i giorni”: la lingua non è che un mezzo di
comunicazione.
Il labelling in Lx nei prodotti quotidiani e la disponibilità di prodotti in lingua (film
stranieri o programmi di computer) hanno un costo economico.
In mancanza di una legge che obblighi il produttore a usare la Lx, questi lo farà solo se
vedrà che i costi aggiuntivi di tale operazione gli potranno portare dei benefici.

Alcuni esempi relativi a lingue a scarsa demografia: Microsoft si è rifiutata di fare


programmi in islandese (250.000 parlanti) anche se invitata dal governo.

Fattori di conservazione di una lingua

Il più importante è la volontà d’uso: il basco è sopravvissuto alle pressioni dei primi invasori
indoeuropei, del latino sotto la dominazione romana, del visigoto, e poi dello spagnolo e del
francese negli ultimi secoli.
Ostacoli esterni per il language planning

Troviamo tre tipi di fattori:

- Fattore psicosociale: l’opposizione della popolazione


- Fattori economici e politici: i diritti linguistici sono meno importanti di altri diritti e
parlare di salvare una lingua quando la situazione economica e politica è precaria o in
declino è inutile se non dannoso.
- Fattori demografici: l’emigrazione dalle zone di origine porta a un rapido abbandono
della stessa da parte dei parlanti.

Reversing language shift

Il language planning può essere visto come un’operazione consapevole. Ci vuole mutare i
rapporti di forza fra lingue compresenti nello stesso territorio al fine di revitalizzare e
modernizzare un linguaggio in difficoltà.

L’opera di pianificazione linguistica conferisce uno status ufficiale alla lingua oggetto di
elaborazione e la dota di strumenti linguistici per far fronte alle nuove funzioni.

Gli interventi di language planning sono azioni consapevoli e volontarie sulla lingua (corpus
planning) o sui rapporti tra le lingue in compresenza.

Il momento cruciale per una inversione della deriva linguistica è la spontanea tradizione della
stessa da madre a figlio. Ha il rischio di incrementare la conoscenza della lingua ma non il suo
uso.

Possibili ambiti di incremento di funzioni della lingua in tutela

Ci sono vari ambiti che possono essere coinvolti dal bi- o plurilinguismo:

- Ambito legislativo e amministrativo: nelle redazioni delle leggi si può volere


implementare la Lx, in ambito locale (comuni croatofoni del Molise), regionale (Alto
Adige), statale (romancio in Svizzera) e internazionale (catalano, che aspira a diventare
lingua dell’UE).
- Pubblica amministrazione: ambito della sanità, modulistica e comunicazione scritte
dirette al pubblico, testi plurilingui di modulistica, regolamenti, schede, cartelli, tessere
elettorali, certificati anagrafici, documenti d’identità, patenti di guida…
- Cartellonistica stradale e pubblica: scritte plurilingue (è una delle prime richieste che
avanzano le ammin pub), stesso aspetto grafico di tutte le lingue.

L’uso della toponomastica in lingua minoritaria può applicarsi in vari modi: solo
nell’area della minoranza e solo per i toponimi riferiti all’area di minoranza; anche per i
toponimi esterni all’area di minoranza; i toponimi in Lx sono forme ufficiali su tutto il
territorio dello stato e vengono sempre riportati sui cartelli anche al di fuori dell’area
di minoranza; toponimi indicati solo e sempre nella forma ufficiale del luogo in cui
sono situati i cartelli.
Catelli e iscrizioni degli uffici pubblici: unificazione e standardizzazione linguistica e
grafica delle scritte e indicazioni esposte al pubblico e necessità di rispettare le stesse
convenienze sociali e legali per tutti i documenti.

- Labelling dei prodotti commerciali: informazioni di legge sui prodotti in commercio


nelle lingue ufficiali dei paesi (presenza dell’italiano nelle etichette). È meno ovvio che
le indicazioni siano date anche nelle lingue regionali o di ambito più locale.

Ordine delle lingue

La collocazione e il tipo di supporto sul quale compaiono le lingue determina in maniera anche
molto profonda il loro ordine di esposizione:

- Caso A: lingua nazionale al primo posto, locale al secondo, ciò in particolare negli atti
amministrativi piuttosto lunghi, nei formulari e nei documenti ufficiali.

- Caso B: lingua locale in posizione di preminenza. In alcune brevi iscrizioni


generalmente descrittive di luoghi e funzioni di ambito locale (“comune”, “biblioteca”)
e in brevi indicazioni all’interno degli uffici pubblici (“ufficio del sindaco”, “ufficio
tecnico”).
In particolare, se le istituzioni dove compaiono le scritte sono esclusive della comunità
di minoranza o direttamente pertinenti alla lingua e alla cultura di minoranza, come
musei o centri culturali, la presenza al primo posto anche di un codice di recente
normalizzazione può essere facilmente accettata e anzi ritenuta normale da tutti gli
utenti.

D’EQUÍ P’ALLANTRE NUN TA IMPRESO, HAI QUE


METELO N’OTRU WORD
Lezione 14 – 19/04/2023

9. Repertori linguistici
9.1. Tipi di repertorio
- Caso 1: sia bilinguismo che diglossia

Il bilinguismo a livello individuale è molto diffuso, e incoraggiato a livello istituzionale.


Le varietà presenti nel repertorio si ritagliano ambiti di uso complementari.

Il sentimento di appartenenza alla comunità prevede che i suoi membri possiedano


una certa competenza di entrambe.

- Caso 2: diglossia senza bilinguismo

In comunità che risultano formate dall’unione di più comunità monolingui, ma solo una
lingua (della comunità politicamente dominante) viene impiegata come varietà alta e
riceve appoggio istituzionale.

C’è l’opposizione tra la l’unica lingua utilizzata a livello ufficiale e in contesti formali e le
diverse lingue parlate localmente.

È una situazione di transizione, instabile, che può diventare bilinguismo o


monolinguismo (tipico del colonialismo).

- Caso 3: bilinguismo senza diglossia

Due sistemi linguistici sono in competizione una con l’altra per essere impiegate negli
stessi ambiti.

È poco stabile, si semplifica con il prevalere di una delle due varietà (mentre l’altra
viene gradualmente abbandonata).

- Caso 4: né diglossia, né bilinguismo

Risultato dell’evoluzione di una condizione de bilinguismo senza diglossia (caso 3): una
delle due varietà presenti finisce per prevalere a discapito dell’altra, che viene
gradualmente abbandonata. Si stabilirebbe dunque una situazione di monolinguismo.

Bilinguismo e diglossia sono parametri che mostrano i continuum tra i diversi tipi di repertori.

Per misurare il grado di diglossia o bilinguismo abbiamo vari parametri: ripartizione funzionale,
possibile sovrapponibilità, diffusione più o meno nella comunità di parlanti, gradi di
somiglianza / differenzia dei codici (il distanziamento tra le lingue a livello strutturale,
linguistico), gradi di elaborazione (il punto a cui è arrivata la standardizzazione e il corpus
planning) …

Peregunta esamen: que ye le grado di elaborazione di una lingua

9.2. Tipologie di repertori plurilingui nell’Europa


In Europa, in tutti i paesi c’è una lingua elaborata o standard che fa da “tetto” e altre varietà o
dialetti non elaborati (ma affini alla lingua tetto). A volte, la lingua standard convive con dialetti
o varietà di lingua che non possono riconoscersi come dialetti della lingua tetto in senso
stretto.

Troviamo diversi tipi:

- Tipo 1: nell’Europa, in generale, il tipo più diffuso è una varietà alta (standard) e una
bassa (varietà regionale, dialetto, dettata di autonomia strutturale per essere
considerata una lingua a sé).

- Tipo 2: varietà standard e varietà substandard, repertorio monolingue perché le due


varietà sono esempi della stessa lingua (Toscana: il dialetto toscano è l’origine
dell’italiano, sono quasi 100% comprensibili).

- Tipo 3: varietà standard + altri due tipi di varietà (a livello più basso): una varietà
dialettale che ha legami genetici con la standard ed una seconda varietà non standard,
di minoranza.

Questo repertorio ha tanti tipi diversi: si distinguono secondo il grado di diffusione


della lingua di minoranza e secondo il grado d’importanza che assume per la comunità.

3a: lingua di minoranza solo in contesto familiare.

3b: lentia alta e dialetto vengono usate uno spazio comunicativo informale.

3c: dialetto non viene più utilizzato, o comunque di una strettissima


minoranza.

- Tipo 4: i repertori di questo tipo hanno mostrano un’evoluzione negli ultimi anni,
dovuta ad alcuni fattori quali l’uso della lingua in ambito scolastico, nell’ammin pub.
vengono a delinearsi pertanto due ulteriori sottotipi:

4a: Alto Adige. Compresenza di bilinguismo italo-tedesco e diglossia solo per la


minoranza di tedesco e bavarese.

4b: Val d’Aosta. Presenza di francese in pochi ambiti formali, italiano


nell’intero repertorio e patois francoprovenzale per ambiti informali.
- Tipo 5: due varietà alte, l’ufficializzazione, l’elaborazione e la diffusione della lingua di
minoranza porta a una sorta di dilalia rovesciata: diacrolettia 🡪 compresenza di due
acroletti o varietà alte.
Nella Catalogna, alla lingua utilizzata in tutti gli ambiti funzionali (la lingua regionale,
minoritaria a livello nazionale) si aggiunge la lingua nazionale utilizzata solo
nei domini alti e sempre in sovrapposizione alla prima lingua.

9.3. Tipologie di repertori plurilingui in Africa


Lo status delle principali lingue parlate in Africa è molto diverso di quello della maggior parte
delle lingue europee.

Il termine “lingua”, in contesto africano, indica che la distanza (a livello lessicale e strutturale)
tra una varietà linguistica e le varietà ad essa più prossime dal punto di vista genetico e/o
geografico permette di considerarle a tutti gli effetti due sistemi linguistici diversi.

In Europa, l’esistenza di una varietà standard di ognuna delle principali lingue europee è un
fatto che a tende a dare per scontato. Ci sono anche accademie come la Accademia della
Crusca o la Real Academia Spagnola.

Nei paesi africani, i processi di standardizzazione sono molto recenti: è uno standard
“giovane”, non completamene sviluppato.

Gradi di standardizzazione

Kloss ha individuato sei diversi gradi:

1. Lingue standard completamente sviluppate


2. Lingue minori standardizzate lingue nazionali in Europa
3. Lingue standard arcaiche

4. Lingue di recente standardizzazione


5. Lingue scritte ma non standardizzate lingue parlate in Africa
6. Lingue non scritte

La varietà standard

La creazione di una standard è risultato della scelta tra varietà della stessa lingua in
competizione tra loro. I parlanti possono percepire lo standard come arbitrario e artificiale.

Mioni (1988) sottolinea che una varietà non standard può essere sentita come lingua propria
perché viene usata come lingua veicolare (più o meno lingua franca).

In contesto africano, ci sono molte lingue in contatto tra loro, quindi parliamo di catene
linguistiche o continua dialettali: di ogni singola lingua africana, esistono numerose varietà
diatopiche, il che provoca che i parlanti di una varietà (X) comprendono la varietà parlata
nell’area immediatamente vicina a quella dove vivono (Y), ma non quelle che si trovano
all’estremo opposto del continuum dialettale.

Lingua veicolare

Una lingua con un numero di persone che la parlano come L2 che è superiore a quello dei
parlanti madrelingua, e quindi una lingua franca. È un mezzo di comunicazione tra parlanti di
madrelingua diversa.

Le varietà veicolari sono spesso semplificate da un punto di vista strutturale e lessicale.


Svolgono funzioni comunicative e godono di prestigio variabile, che dipende delle competenze
dei singoli parlanti.

Repertori plurilingui in contesto africano

- Situazione generale: c’è spesso una esolingua, una lingua esterna, in Africa è una
lingua tipicamente europea, introdotta dal colonialismo e che ha uno status ufficiale.

Nel caso più prototipico, si associa una lingua locale da un lato e un dialetto dall’altro.
C’è una varietà alta (esolingua), di origine europea e ufficiale; a livello medio, una o più
lingue veicolari di origine africana con diffusione regionale; una varietà bassa, i
vernacoli locali, che non possiedono una forma scritta.

In Senegal, il francese è la lingua ufficiale, il wolof come lingue veicolare e tanti dialetti
locali.

- Paesi con lingua standard: A1, una lingua standard nazionale; A2, esolingua; B,
vernacolo locale.

C’è una lingua standard nazionale in competizione con l’esolingua

In Tanzania, ci sono inglese e swahili e i vernacoli locali: l’esolingua e lingua standard


nazionale si usano in contesti formali e/o scritti ed i vernacoli locali hanno un uso orale
e informale.

- Assenza di standard nazionale: A, esolingua; B, vernacolo locale.

Assenza di lingue veicolari sia a livello nazionale che a livello regionale. Esolingua
assicura comunicazione tra gruppi etnici.

Per esempio, la Costa d’Avorio, francese lingua veicolare.

In territorio africano le varietà presenti nel repertorio individuale si ritagliano domini d’uso
diversi e complementari.

C’è il vernacolo locale, che viene privilegiato nell’ambito familiare e relazione intime; le lingue
veicolari, nel dominio del lavoro e gli scambi commerciali; esolingua,

Pregunta: specificità dei repertori nel contesto africano? I tre tipi che abbiamo appena visto.
10. Il contatto linguistico
Quando due lingue entrano in contatto tra loro, le conseguenze si notano a partire delle
produzioni linguistiche del parlante. Spesso non sono tenute separate, ma alternate
nell‘ambito di uno stesso evento comunicativo.

Dalla parte del parlante, viene analizzato il come il parlante utilizza la lingua, la frequenza, la
funzione che si associa a questo uso…

Dalla parte dei sistemi linguistici, ci si è interessati al modo in cui quali elementi linguistici
prevalgono sugli altri.

10.1. Fenomeni legati al contatto


Sono tipicamente 4:

A. Alternanza di codice: il passaggio di una lingua all’altra si realizza a seconda della


situazione comunicativa o del tipo di interlocutore.
È strettamente legato al concetto di dominio: insieme delle situazioni comunicative
nelle quali una cerca lingua viene preferita. Per esempio, il familiare, lo scolastico…
Si associa alla scelta di un tipo di codice a seconda di un ambito di uso.

I fattori che influenzano la scelta sono:


o le relazioni di ruolo che legano i partecipanti all’evento comunicativo.
o Il grado di formalità/informalità dell’evento comu.
o Il luogo in cui la conversazione avviene.
o Argomento della conversazione: parlare di un certo tema in una lingua X e non
in altra Y per una serie di ragioni: non conoscere lessico specialistico oppure
che ne sia priva, non avere occasione di discutere in questa lingua, potrebbe
essere considerato inappropriato.

B. Commutazione di codice (code-switching): utilizzo funzionale di una lingua di uno


stesso parlante nel medesimo evento comunicativo. Il passaggio è fatto in maniera
intenzionata dal parlante.
Si considera funzionale il passaggio da un sistema linguistico correlato con “un qualche
cambiamento nelle intenzioni comunicative o nell’argomento o nei ruoli o nelle
(micro)funzioni (Berruto).

Può coinvolgere unità linguistiche diverse tra loro: intere frasi, sintagmi o anche
singole parole.

Potrebbe essere una maniera di misurare il livello di competenza del parlante:

o Code switching interfrasale (tra frasi diverse): parlanti meno competenti nelle
due lingue.

Stato civile, sono sposato con persona italiana? Sì …sposato con


persona dello stesso paese di origine?…GEORGE YES, BUT THE WIFE IS
NOT HERE-

Sottolinea una differenza di contenuto

o Code switching intrafrasale (all’interno della medesima frase): solo parlanti


con buona competenza nei due sistemi.

LAST TIME I WENT TO THE HOSPITAL THE DOCTOR SAID NO MORE


inglese! Adesso eh, capisci bene, brava, brava!

Intento mimetico

Gigi atena Ghana MORE THAN TEN YEARS, ontumi nka Twi!
‘Gigi ha vissuto in Ghana per più di dieci anni, e non sa parlare twi!’

Evidenza elemento saliente

C. Tag-switches (scambi-coda): sono scambi di codice in una breve proposizione


parentetica: you know; in un’interiezione: accidenti; un riempitivo: cioè, voglio dire, I
mean…
Segnalano la presenza di una competenza bassa:

Woaye adee paa! Ha capito?, Woaye adee!


‘Hai fatto molto bene! Hai capito? Hai fatto bene!’

D. Code-mixing (enunciazione mistilingue): passaggio di una lingua ad un’altra, nello


stesso microtesto, senza alcuna precisa funzione pragmatico-comunicativa.
Sono eventi casuali e asistematici, non riconducibili ad alcuna evidente funzione
comunicativa, senza una precisa intenzionalità e senza averne piena consapevolezza.
Avviene solo a livello intrafrasale.
Me BRO se won feel se GERMANY ye kyen AMERICA, aden na won atena ho?
‘Mio fratello dice: se hanno l’impressione che la Germania sia meglio
dell’America, perché allora non vanno ad abitare lì?’

B: I SEE
‘Capisco’.

A: Yen akwantufoo dee, AMERICA ye din kwa!


‘Quanto a noi immigrati, l’America la conosciamo solo di nome!'
Lezione 15

10.2. Mescolanza di codici nel sistema


Alcuni elementi rimangono sedimentati nel sistema della lingua ricevente, spesso di natura
lessicale (calchi) ma non sempre.

- Prestiti: segno linguistico, inteso come unione di significato e significante, da una


lingua-modello a una lingua-replica. Questo processo coinvolge attivamente le
strutture della lingue-replica, la quale assorbe in sé, facendo proprio, il materiale
linguistico presa dal modello di un’altra lingua.

o Prestiti integrali: rimasti nella forma originale, come computer, film, abat-jour,
garage, beige…
o Prestiti adattati: trasformati nella forma per assomigliare a parole italiane,
come bistecca (< ing. “beef-steack”), catrame (< arabo “qatran”).

A seconda della ragione per cui sono arrivati i prestiti, abbiamo:

o Prestiti di lusso: hanno un sinonimo italiano e sono in un certo senso superflui


(weekend, team, target, corner…).
Creano una sorta di gergo professionale, in cui si identificano gli addetti ai
lavori, esibiti per rimarcare competenza (quasi per snobismo).
Dipendono dal prestigio che si attribuisce ad una lingua e sono usati per inerzia
(e abitudine).
A volte, il significato viene restretto o specializzato (drink, ticket).

o Prestiti di necessità: non trovano corrispondenza o non si prestano a una


traduzione efficace (kiwi).

- Calchi: creazione di termini in base ad una struttura di una lingua di origine.


o Strutturali: una parola straniera viene realizzata con materiale linsuitico
autoctono e viene ricalcata strutturalmente.

Grattacielo < sky-scraper


Pallacanestro < basketball
Ferrovia < eisenbahn
o Semantici: una parola esistente in italiano accoglie un’altra accezione sul
modello di un uso straniero.

Intrigante: da intrigare, qualcuno che si impiccia degli affari altrui;


da francese “intrigant” ‘interesante’.

Le parti più facilmente trasferibili del discorso sono i nomi. Se il contatto è intenso e di lunga
durata e se il numero di parlanti bilingui è alto, il prestito lessicale coinvolge anche aspetti della
struttura grammaticale, per esempio strutture sintattiche e verranno presi dalla lingua-modello
anche elementi grammaticali (es. congiunzioni e preposizioni).

C’è una sottogerarchia di trasferibilità: il lessico precede la grammatica, nomi e segnali


discorsivi precedono tutte le altre parti del discorso, tra gli elementi grammaticali le
congiunzioni precedono tutto il resto.

Prestiti integrali numerosi in (sotto)settori marginali: nei linguaggi settoriali (pubblicità, mass
media…), nei linguaggi tecnico-specialistici (medicina, economia…) e nelle varietà gergali o
paragergali (varietà giovanili).

Adattamento morfosintattico dei prestiti

EN macaronis (morfema –s di plurale)

IT la authority (è di genere femminile su analogia di autorità)

il budget (è maschile su analogia di bilancio)

la escalation (nomi inglesi in –tion)

Adattamento semantico dei prestiti

L’adattamento di un forestierismo comporta la riduzione della polisemia originaria: il prestito


presenta spesso un significato più specifico del termine originario della lingua-replica, il
mantenimento del solo significato deducibile dal contesto nel quale si ha il prestito.

mouse, chat

IT: solo significato di periferica del computer e di comunicazione in tempo reale attraverso
internet, ma non con i significati più comuni di ‘topo’ e di ‘chiacchiera’.

Nascita delle lingue in contatto

a) Lingue pidgin: Varietà di lingua semplificate nate come mezzo di comunicazione tra
parlanti di lingue materne diverse, che si trovano nella necessità di comunicare
soprattutto, nell’ambito di conversazioni asimmetriche.
Visto che sono occasioni di comunicazione limitate, nessuno avverte il bisogno di
apprendere la lingua materna dell’altro.

Sono costituita da elementi di:


o Lingue indigene, dette anche di sostrato, che godono di scarso prestigio
(fonologia e alcuni elementi gram.)
o Una esolingua, detta si superstrato, che gode di elevato prestigio a livello
internazionale e presenta un elevato grado di elaborazione. Queste lingue
vengono dette lingue lessicalizzatrici, poiché forniscono al pidgin la maggior
parte di lessemi.
I pidgin vengono classificati in relazione alla lingua lessicalizzartrici: pidgin a base
inglese, pidgin a base portoghese, pidgin a base francese…

Non costituiscono la lingua materna di nessun parlante, cioè, l’apprendimento avviene


in modo del tutto spontaneo e non guidato. Non avendo parlanti nativi, sono lingue
con una grammatica estremamente semplificata, priva di distinzioni morfologiche e di
strutture sintattiche subordinanti non necessarie:
o Il sistema fonologico è molto semplice, con un inventario ridotto di fonemi.
o La morfologia ha un sistema di marche flessive e derivative estremamente
ridotto, che portano a una maggiore facilità di decodificazione e a processi di
apprendimento linguistico facilitati.
o Il lessico è pieno di parole multifunzionali, che possono fungere sia da nome
che da verbo.

Esempio del West African Pidgin English: il plurale dei sostantivi è espresso facendo
seguire al sostantivo stesso la particella dem (<’them’) 🡪 marca di numero.

Singolare: Plurale:
I get pikin I get pikin-dem
‘he has a child’ ‘he has children’

La particella dem è multifunzionale: è pronome soggetto di terza plurale, aggettivo


possessivo e pronome con la funzione di CD.

Il futuro è codificato attraverso la grammaticalizzazione del verbo ‘go’ (andare):

Inglese: WAPE:
I will cry A go krae (io piangerò)
You will cry Yu go krae (tu piangerai)

b) Lingue creole: un pidgin che con il passare del tempo viene appreso come lingua
materna.
La creolizzazione è il processo che succede quando un pidgin conduce allo sviluppo di
una lingua creola. In genere, si completa nell’arco di una o due generazioni.

I sistemi fonologici si arricchiscono di fonemi, appariscono nuove categorie


grammaticali, la flessione diventa più complessa, il lessico acquisisce item lessicali che
permetto l’impiego del creolo in un più ampio ventaglio di domini di uso.

Esempio del tok pisin (Papua Nuova Guinea)


Ha un sistema di pronomi personali che distingue singolare di plurale, esprime
categorie rare come quella di duale o triale e distingue (nella prima plurale) tra forma
inclusiva ed esclusiva:

Mipela (< ‘me’ + ‘fellow’ = ‘noi’),


mitupela (< ‘me’ + ‘two’ + ‘fellow’ ‘noi due’),
mitripela (< ‘me’ + ‘three’ + ‘fellow’ ‘noi tre’),
ol (< ‘all’ ‘loro’)
Il caso dell’inglese

Le su caratteristiche attuali sono il risultato di due secoli di contatto con la varietà di


francese antico parlata in Normandia attorno all’anno 1000, un contatto in grado di
provocare una ristrutturazione tanto rapida e radicale.

Nella sua fase più antica, fino all’XI secolo, la morfologia flessiva era molto ricca:
genere maschile, femminile e neutro; numero e caso (N,Ac, G, D); accordo sull’articolo
definito e dimostrativi; a livello sintattico, l’esplicitazione dell’articolo non era
obbligatoria.

A partire dal contatto con i Normanni, avviene una semplificazione: riduzione della
morfologia nominale, con perdita del genere nominale e delle marche di caso (eccetto
G), perdita della flessione personale; sviluppo di strutture analitiche (phrasal verbs);
ordine SVO fisso, esplicitazione del soggetto obbligatoria; sostituzione del lessico
germanico con lessemi francesi o latini.

c) Lingue miste: una lingua (o varietà) emersa in un contesto di bilinguismo comunitario


caratterizzata da una scissione per quanto riguarda l’origine, per cui una ricostruzione
genetica univoca risulta impossibile.

Ci sono due criteri per classificarle:

o Presenza di due genitori, che contribuiscano più o meno equamente alla


formazione del sistema.
o Il fatto di costituire effettivamente una lingua nuova, sufficientemente
indipendente dalle due lingue genitrici.

Si differenza dai pidgin e dai creoli per:

o Motivo funzionale: è una lingua fortemente connotata dal punto di vista


identitario, un we-code per eccellenza.
o Motivo linguistico: morfologia e sintassi derivano da entrambe le lingue, senza
che una predomini sull’altra dal punto di vista strutturale 🡪 è una lingua
naturale pienamente sviluppata.

Lezione 16

10.3. Morte di lingue


Un altro degli effetti estremi dal contatto fra le lingue. Porta all’inevitabile annullamento di una
specificità e identità linguistica.

Possibili cause e ruolo del contatto nei fenomeni di morte della lingua:
- Perdita degli ambiti d’uso all’interno della comunità nella quale funzionava
precedentemente come principale veicolo di comunicazione
- Perdita del numero di parlanti nativi (es. nei casi di emigrazione i genitori non
trasmettono più la loro lingua ai figli.

- Dal punto di vista sociolinguistico:


o rapporto gerarchico fra i codici.
o fattori di prestigio esplicito (legati ad esempio alla promozione socioeconomica
degli individui e dei gruppi) ed implicito (relativi ai valori identitari validi
internamente alla comunità).
o ruolo svolto dagli atteggiamenti linguistici.
o politica linguistica.

- Dal punto di vista linguistico


o alto grado di commistione linguistica dei parlanti giovani.

Le cause della morte di una lingua vanno cercate nel contesto sociolinguistico,
nell’atteggiamento quasi ‘suicida’ dei parlanti che per diverse ragioni (di natura non linguistica)
decidono di interrompere la trasmissione della lingua ereditata.

atteggiamenti negativi > volontà di non trasmettere il codice minoritario ai figli >
effettiva non trasmissione > mancata acquisizione.

Le lingue muoiono perché non vengono più apprese dalle nuove generazioni. È una forma di
suicidio linguistico (Denison 1977) da parte della comunità: tale processo può durare anche
abbastanza a lungo, si crea una generazione di semi-parlanti, individui che hanno interrotto
l’acquisizione della loro prima lingua molto presto, senza raggiungere una competenza
linguistica adulta.

10.4. Aspetti psico-sociali del contatto


Il parlante bilingue ha due caratteristiche: ci si presuppone un’uguale competenza in due
sistemi linguistici e può avere livelli di competenza molto diversi.

A livello individuale, viene differenziato sulla base di diversi criteri:

- Le quattro abilità linguistiche di base: comprensione orale, produzione orale,


comprensione scritta e produzione scritta.
o Bilinguismo produttivo (o attivo): riguarda produzione di nuovi enunciati
o Bilinguismo ricettivo (o passivo): semi-bilinguismo, implica soltanto una
capacità di comprensione della lingua, capacità di comprendere (orale e
scritto) senza però essere in grado di produrre enunciati.

- Apprendimento:
o Bilinguismo primario: apprendimento spontaneo
o Bilinguismo secondario: processo di istruzione formale.

- Grado di competenza:
o Bilinguismo sottrattivo: una progressiva perdita di competenze dei sistemi
linguistici già noti.
o Bilinguismo additivo: il nuovo sistema linguistico viene ad aggiungersi a quelli
già conosciuti, permettendo un ampliamento del repertorio linguistico
individuale.

- Natura del segno linguistico:


o Bilinguismo coordinante: i due sistemi linguistici si trovano giustapposti l’uno
all’altro poiché, ad esempio, sono stati appresi in periodi diversi dell’esistenza
del parlante bilingue oppure in contesti del tutto separati.
o Bilinguismo composto: tipo di bilinguismo più “puro”, ma raro. I due sistemi
linguistici si trovano fusi nella mente del parlante bilingue in un’unica rete
neuronale.
o Bilinguismo subordinante: i due sistemi si trovano l’uno subordinato all’altro.

10.5. Acquisizione di competenza bilingue


La maggior parte della popolazione del mondo possiede almeno un certo grado di competenza
bilingue.

I fattori più importanti nel processo di apprendimento sono l’input e la motivazione, persino
più importante dell’età in cui si viene a contatto con la lingua da acquisire.

Le motivazioni sono:

- Di tipo strumentale: mira all’apprendimento delle abilità strettamente necessarie ai


fini della sopravvivenza e della comunicazione essenziale,
Esclusiva presenza del tipo strumentale è responsabile dell’instaurarsi di una
condizione di fossilizzazione.

- Di tipo integrativo: caratteristica di chi si immerge nella nuova lingua, e nella cultura
che essa veicola, con l’intenzione di integrarsi, di farla propria nel migliore modo
possibile, quasi si trattasse di una seconda lingua materna
Necessaria per apprendere una L2 con successo.

Le implicazioni di una competenza bi- o plurilingue sullo sviluppo cognitivo dell’individuo è un


problema che attrae da decenni l’interesse degli studiosi. Esistono opinion molto diverse:

- Es. bilinguismo ha effetti negativi sullo sviluppo cognitivo dell’individuo 🡪 è


responsabile di deficit cognitivi.
- Es. individui bi- o plurilingui si rivelano dotati di una competenza comunicativa più
sviluppata rispetto ai monolingui.
Più sottile capacità di interpretare le caratteristiche della situazione comunicativa, di
cogliere i bisogni e le preferenze linguistiche degli interlocutori e di interpretarne il
comportamento (meta)linguistico.

Bilinguismo e rappresentazione della realtà

La capacità di comunicare per mezzo di una determinata lingua non si esaurisce


nell’apprendimento di una serie di lessemi e di regole grammaticali. Implica anche
l’interiorizzazione di un insieme di regole di comportamento 🡪 parte della competenza
comunicativa dell’individuo.

Il parlante bilingue è il luogo d’incontro di due culture.

Benjamin Lee Wholf sviluppa una teoria sul determinismo della lingua sul pensiero: la lingua
materna di un individuo determini in modo pervasivo la sua visione del mondo, quindi il
pensiero risulta in qualche modo “modellato” dalla grammatica e dalle categorie della lingua
appresa nel corso della prima infanzia.

È una teoria molto controversa, oggetto di dibattito tra li studiosi. Negli ultimi decenni,
tuttavia, questo punto di vista ha trovato numerose conferme.

Ogni lingua esercita una funzione di categorizzazione, che riflette, e al tempo stesso influenza,
il modo di interpretare la realtà della comunità che la parla. Anche lingue tra loro imparentate
e parlate in zone limitrofe, come tedesco, francese, spagnolo e italiano, strutturano la realtà in
modo diverso.

Il processo percettivo di un individuo tende essere almeno in parte condizionato dalla


strutturazione della realtà caratteristica della propria lingua materna.
10.6. Atteggiamenti linguistici
Sono l’insieme delle posizioni concettuali assunte da una persona circa un determinato
oggetto, sono importanti per determinare il prestigio di una certa varietà linguistica.

La presenza di atteggiamenti positivi nei confronti di una lingua aumenta notevolmente le sue
possibilità di sopravvivenza.

Da distinguere dalle opinioni: sono formulazioni esplicite e, in generale, sono molto più
mutevoli e superficiali degli atteggiamenti.

Labov definisce una comunità linguistica come “un gruppo di parlanti che condivide un insieme
di atteggiamenti sociali nei confronti della lingua”

All’interno di una comunità linguistica, dunque, gli atteggiamenti sarebbero relativamente


uniformi; inoltre, gli appartenenti alla comunità condividerebbero un insieme di norme
linguistiche di appropriatezza, che consentirebbero di produrre ed interpretare il parlato in
maniera relativamente omogenea.

In prospettiva sociolinguistica, gli oggetti nei confronti dei quali si nutrono atteggiamenti
possono essere:

a) Le singole lingue o varietà di lingue (chiarezza, musicalità, espressività,


difficoltà/facilità nell’essere apprese…).
b) L’impiego di una lingua (o varietà) in determinati domini o classi di situazioni (l’impiego
del dialetto da parte del docente nel corso di una lezione).
c) Le comunità che si distinguono per l’impiego di una certa lingua o varietà di lingua (es.
una comunità di immigrati, oppure una comunità alloglotta in territorio italiano).
d) L’uso di forme considerate agrammaticali o substandard.

Atteggiamenti linguistici e apprendimento

Il fatto di nutrire atteggiamenti positivi nei confronti della lingua da apprendere influisce
positivamente sia sulla velocità che sugli esiti del processo di apprendimento

È molto più facile nutrire atteggiamenti positivi nei confronti delle lingue di cui si possiede
almeno un certo grado di competenza, ma il comportamento (linguistico) di un individuo può
cambiare a seconda del contesto nel quale si trova inserito (se. in relazione alla formalità della
situazione, le preferenze e/o competenze linguistiche dell’interlocutore, l’argomento
discusso…).

Negli studi di psicologia sociale, si pe soliti distinguere tra:


- Atteggiamenti: non sono direttamente osservabili.
- Opinioni: sono verbalizzate e quindi osservabili.
- Pregiudizi: sono basati su stereotipi, cioè, caratteristiche rigide e irreversibili, che si
manifestano in credenze, opinioni, immagini mentali, ecc., in base a generalizzazioni
infondate.

Secondo Labov, i membri di una comunità linguistica tendono a condividere una serie di
stereotipi nei confronti di altri gruppi o di altre comunità (es. un enunciato in italiano
popolare 🡪 il pregiudizio potrebbe indurci a concludere che chi lo pronuncia è una persona
poco intelligente o comunque destinata ad occupare una posizione marginale nell’ambito della
società).

Funzioni degli atteggiamenti linguistici

- Funzione utilitarista: Gli atteggiamenti nei confronti di una lingua possono evolversi in
una certa direzione quando ciò si rivela particolarmente vantaggioso oppure permette
di evitare delle conseguenze spiacevoli (es. nel sistema educativo del Galles 🡪 ‘Welsh
not!’).

I parlanti devono in qualche modo essere incoraggiati all’impiego di una lingua di


minoranza, in via d’estinzione o comunque dotata di scarso prestigio, se si desidera
mantenerla in vita (es. canzoni, programmi televisivi o libri).

- Funzione di difesa dell’identità personale: un sentimento di sicurezza e di autostima è


essenziale per l’equilibrio psicologico dell’individuo.
Se tale sentimento di sicurezza viene meno, il solo modo per ripristinarlo consiste
nell’abbandonare tale lingua in favore di un sistema linguistico diverso.

- Funzione di manifestazione di valori: Gli atteggiamenti sviluppati nei confronti di una


lingua dipendono in larga parte da quanto tale lingua consente di esprimere l’identità
etnica e i valori di coloro che la parlano.

- Gli atteggiamenti sviluppati nei confronti di una lingua dipendono in larga parte da
quanto tale lingua consente di esprimere l’identità etnica e i valori di coloro che la
parlano.

- Funzione di orientamento cognitivo: gli atteggiamenti linguistici presuppongono


sempre una certa componente cognitiva, in qualche modo legata all’accesso alla
cultura, alla conoscenza ed alla comprensione della realtà che ci circonda.

Numerosi studi hanno dimostrato che gli atteggiamenti linguistici possono subire dei
mutamenti con il variare dell’età del parlante. Sembra esistere una gerarchia determinata dallo
status e dal livello di elaborazione conseguiti da un certo sistema linguistico:

- Uso in ambito istituzionale e educativo 🡪 atteggiamenti positivi


- Scuola 🡪 di tutte le istituzioni che possono in qualche modo influenzare gli
atteggiamenti linguistici di una comunità, è la più rilevante.

Come si misurano e rilevano gli atteggiamenti?

Problemi legati alla natura stessa degli atteggiamenti 🡪 sfuggono all’osservazione diretta, e
devono perciò essere dedotti sulla base del comportamento dei parlanti.

Il metodo più usato nel rilevamento degli atteggiamenti linguistici è l’inchiesta con
questionario o nell’intervista con domande sia dirette che indirette.

Limiti:

- Informanti danno l’immagine di come vorrebbero essere.


- Informanti sono influenzati dalle opinioni del ricercatore.
- Difficile selezionare un campione di informanti rappresentativo della comunità
linguistica.

Un’altra tecnica 🡪 matched guise technique

- Più dispendiosa.
- Approccio indiretto allo studio e alla misurazione degli atteggiamenti linguistici.

Registrazioni di brevi testi-stimolo.

Richiesta di opinione sulle persone che parlano, collocandole nella posizione social che sembra
loro più adatta.

L’últimu pdf nun lu pasé, ye de dialetti y situaciones de contactu de llingües n’Europa (llingües
de l’inmigración, lliga balcánica…).

Toi cansu yá de tanto pasar