Limes 87
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1/2023 • mensile
CONSIGLIO SCIENTIFICO
Rosario AITALA - Geminello ALVI - Marco ANSALDO - Alessandro ARESU - Giorgio ARFARAS
Angelo BOLAFFI - Aldo BONOMI - Edoardo BORIA - Mauro BUSSANI - Mario CALIGIURI - Vincenzo
CAMPORINI - Luciano CANFORA - Antonella CARUSO - Claudio CERRETI - Gabriele CIAMPI - Furio
COLOMBO - Giuseppe CUCCHI - Marta DASSÙ - Ilvo DIAMANTI - Germano DOTTORI - Dario FABBRI
Luigi Vittorio FERRARIS - Marco FILONI - Federico FUBINI - Ernesto GALLI della LOGGIA - Laris
GAISER - Carlo JEAN - Enrico LETTA - Ricardo Franco LEVI - Mario G. LOSANO - Didier LUCAS
Francesco MARGIOTTA BROGLIO - Fabrizio MARONTA - Maurizio MARTELLINI - Fabio MINI
Luca MUSCARÀ - Massimo NICOLAZZI - Vincenzo PAGLIA - Maria Paola PAGNINI - Angelo
PANEBIANCO - Margherita PAOLINI - Giandomenico PICCO - Lapo PISTELLI - Romano PRODI
Federico RAMPINI - Bernardino REGAZZONI - Andrea RICCARDI - Adriano ROCCUCCI - Sergio
ROMANO - Gian Enrico RUSCONI - Giuseppe SACCO - Franco SALVATORI - Stefano SILVESTRI
Francesco SISCI - Marcello SPAGNULO - Mattia TOALDO - Roberto TOSCANO - Giulio TREMONTI
Marco VIGEVANI - Maurizio VIROLI - Antonio ZANARDI LANDI - Luigi ZANDA
CONSIGLIO REDAZIONALE
Flavio ALIVERNINI - Luciano ANTONETTI - Marco ANTONSICH - Federigo ARGENTIERI - Andrée BACHOUD
Guido BARENDSON - Pierluigi BATTISTA - Andrea BIANCHI - Stefano BIANCHINI - Nicolò CARNIMEO
Roberto CARPANO - Giorgio CUSCITO - Andrea DAMASCELLI - Federico D’AGOSTINO - Emanuela C. DEL RE
Alberto DE SANCTIS - Alfonso DESIDERIO - Lorenzo DI MURO - Federico EICHBERG - Ezio FERRANTE - Włodek
GOLDKORN - Franz GUSTINCICH - Virgilio ILARI - Arjan KONOMI - Niccolò LOCATELLI - Marco MAGNANI
Francesco MAIELLO - Luca MAINOLDI - Roberto MENOTTI - Paolo MORAWSKI - Roberto NOCELLA - Giovanni ORFEI
Federico PETRONI - David POLANSKY - Alessandro POLITI - Sandra PUCCINI - Benedetta RIZZO - Angelantonio
ROSATO - Enzo TRAVERSO - Fabio TURATO - Charles URJEWICZ - Pietro VERONESE - Livio ZACCAGNINI
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I manoscritti inviati non saranno resi e la redazione non assume responsabilità per la loro perdita. Limes rimane
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Stiamo vivendo un cambio di paradigma. La storia ha in trent’anni di vita. Tutte le lezioni sono tenute dalla
ripreso a correre. Sono necessarie nuove chiavi di lettura. Direzione didattica e si avvalgono delle testimonianze
Per capire come cambia il mondo attorno a noi. di esperti provenienti dai paesi in esame e dotati di
Per collocare il nostro paese nelle competizioni conoscenze dirette del tema afrontato, dall’intelligence
internazionali. E per difendere e promuovere i nostri alle Forze armate, dall’alta tecnologia alla cibernetica.
interessi in un pianeta sempre più disordinato.
La Scuola non dura un anno. Stiamo costruendo
La Scuola di Limes è nata per contribuire alla formazione di una comunità, attraverso la rete degli Alumni di Limes.
una nuova cultura e di una nuova sensibilità per la geopolitica Per continuare a confrontarci con chi condivide la passione
nella classe dirigente italiana. Oggi la sua missione è ancora per lo Stato e per i temi che trattiamo.
più rilevante.
La III edizione della Scuola prende il via venerdì 10 marzo
Lo studio dei confitti nello spazio e nel tempo è il sale 2023: 120 ore di lezione, tre fne settimana al mese,
della geopolitica. La nostra Scuola ofre un metodo da marzo a giugno e da settembre a dicembre.
di analisi peculiare, assente nei centri di formazione Con alcune lezioni dal vivo ed esercitazioni per imparare
accademici. Ed essenziale per interpretare le crisi a scrivere e a cartografare analisi geopolitiche.
che determinano il nostro tempo e il posto dell’Italia
nel mondo. La crisi d’identità americana. La competizione È possibile candidarsi inviando curriculum e lettera
Usa-Cina. La Russia in guerra. Il lungo declino degli imperi di motivazione all’indirizzo [email protected]
europei. L’ascesa di nuove potenze, dalla Turchia
al Giappone. E molte altre, sino a un rigoroso esame La Scuola di Limes è aperta a tutti. Da chi già fa parte
strategico dell’Italia, alfa e omega del nostro ragionamento. della classe dirigente a chi aspira a entrarvi. Da chi vuole
acquisire strumenti analitici da integrare nella propria
La Scuola ofre ai partecipanti l’esperienza e l’autorevolezza professione a chi è semplicemente mosso da passione
della vasta rete di analisti e decisori intessuta da Limes e curiosità.
SOMMARIO n. 1/2023
EDITORIALE
7 Come un ladro nella notte (in appendice Agnese ROSSI
Spezzatini di Russia in salsa ucraina, polacca e americana)
LIMES IN PIÙ
293 Elio CIRILLO - Leuropa parla inglese per far fnta di esistere
AUTORI
301
303
LA GUERRA CONTINUA?
1. F. FUKUYAMA, The End of History and the Last Man, New York, NY 2006, The Free Press.
L’edizione originale è del 1992, elaborata dal saggio «The End of History?», The National
Interest, estate 1989. Con imprudente omissione del punto interrogativo, per cui l’autore si
morderà pubblicamente le dita.
2. Ivi, p. 344.
8 3. Cfr. S. HUNTINGTON, Who are We? America’s Great Debate, London 2004, Simon & Schuster.
LA GUERRA CONTINUA
3. Quest’anno i liceali
russi sono chiamati dal
presidente Putin a testimo-
niare il proprio patriotti-
smo partecipando al con-
corso a premi «Novorossija:
da Caterina la Grande ai
nostri giorni». Scocca in-
fatti il duecentoquarante-
Manifesto per il concorso sulla Nuova Russia
simo anniversario del ma-
nifesto con cui la zarina
di stirpe germanica incorporava nell’impero Crimea, penisola di Taman’
e territorio di Kuban’ – nucleo originario della Novorossija (Nuova Rus-
sia), affaccio russo sul Mar Nero (fgura). I giovani patrioti sono esortati
a «immergersi nella storia» per «ricostruire la Russia e riprenderci tutto
quello che è nostro, indipendentemente dall’opinione e dall’opposizione
dei nostri partner occidentali, destinata a durare a lungo». Cinque le
nominations neorusse tra cui scegliere per sfogare la propria creatività:
«Nato dal profondo dell’anima» (bibliografa); «Fermati un attimo» (pit-
tura); «Melodie della Novorossija» (musica); ArchHistory – licenza occi-
dentale sfuggita al correttore; «Destini» (vite di personalità storiche).
Obiettivo: mobilitare gli studenti nello «studio di eventi storici che testi-
moniano la comunanza culturale di Russia e Nuova Russia» 6. Pura pe-
dagogia imperiale.
La Nuova Russia è la posta per cui Putin sta rischiando il suo residuo
d’impero nello scontro con l’«Occidente collettivo» (carta a colori 3). Mito
geopolitico, indefnito nello spazio e nel tempo perché strumentale all’e-
spansione della patria. Metafora territoriale e spirituale. Evocativa delle
regioni affacciate sul Mar Nero strappate da Caterina II agli ottomani
tra 1768 e 1774. Imperniate su Odessa e di lì estese fno alle coste del
Mar d’Azov, abitate da popolazioni di vario ceppo. Ancora nel censi-
mento del 1926 i russi erano netta minoranza (17%), con prevalenza di
ucraini e minoranze tatare, romene, ebraiche. Per la russifcazione del-
la Nuova Russia toccherà attendere l’industrializzazione staliniana de-
gli anni Trenta.
Ma a che valgono le statistiche di fronte alla sacralità della terra che
la Russia vuole rinnovare eponima? La Nuova Russia è avanguardia del
vagheggiato Mondo Russo (Russkij Mir), da scavare nello spazio già so-
vietico per aggruppare sotto Mosca un impero che ridia ferezza al popo-
lo russo. Civiltà prima che nazione. Frantumata via parto cesareo mul-
tiplo della morente madre sovietica, che nella notte fra il 25 e il 26 di-
cembre 1991 abbandonò in Stati altrui 25 milioni di «compatrioti». Ver-
gogna da riparare. Impresa per la quale Putin intende passare alla sto-
ria. Improbabile. Ma senza cogliere il valore identitario del molto opera-
tivo mito neorusso poco si capisce della guerra in Ucraina.
La riconquista della Nuova Russia eleverebbe Putin a erede della
grande Caterina. Con parole sue: «In tempi zaristi ciò che si chiamava
Nuova Russia – Kharkov, Lugansk, Doneck, Kherson, Nikolaev e Odessa
– non era parte dell’Ucraina. Quei territori vennero dati all’Ucraina ne-
gli anni Venti del Novecento dal governo sovietico. Perché? Chissà. (…)
Il centro di quella terra era Novorossijsk, sicché la regione è chiamata
Novorossija». (carta 1) 7.
Cent’anni dopo, la Nuova Russia torna al centro dello scontro fra
Mosca e Washington via Kiev. Se Putin riuscirà a riportarla a casa, avrà
incassato un tattico premio di consolazione, spendibile in casa, che ad-
dolcirà l’arretramento strategico su scala globale cui l’avventura del 24
febbraio l’ha esposto. Se fallirà, passerà alla storia come l’ultimo impera-
tore. E la Federazione Russa sarà umiliata, forse spartita fra potenze
esterne e potentati o mafe domestiche.
Gli strateghi del Cremlino lavorano da anni alla demarcazione del-
lo spazio neorusso, adattabile come ogni leggenda. Dalla poetica del
mito alla prosa geopolitica. Come rivelato da Dmitrij Trenin, analista
flo-occidentale deluso dalla deriva asiatica, già nel 2008 «alcuni am-
bienti non propriamente accademici di Mosca giocavano con l’idea di
ridisegnare radicalmente l’area del Mar Nero settentrionale, per cui l’U-
craina meridionale, dalla Crimea a Odessa, si sarebbe staccata da Kiev
per formare uno Stato cuscinetto flomoscovita, Nuova Russia» (carta 2) 8.
L’idea era e rimane prendere tre piccioni con una fava: chiudere all’U-
craina lo sbocco al mare, per costringerla a rigravitare attorno alla Rus-
sia; rovesciare il declino avviato con il suicidio sovietico ravvivando lo
spirito grande-russo; per poi trattare con la Turchia, guardiana degli
Stretti, un condominio eusino tale da garantire a Mosca l’accesso libero
al Medioceano. L’annessione delle quattro oblast’ ucraine che saldano
alla patria la Crimea – per Putin l’equivalente russo-ortodosso di Geru-
1 - LA SECONDA PROVINCIA DI
NOVOROSSIJSK TRA 1796 E 1800
Fonte: G. Turčenko, F. Turčenko, Проект «Новороссия» 1764–2014 гг. (Progetto «Novorossija» 1764-2014)
14
LA GUERRA CONTINUA
9. L. HARDING, «Russia ready to annex Moldova region, Nato commander claims», The
Guardian, 23/3/2014.
10. Il progetto russo di annessione è in «Novaya Gazeta’s “Kremlin papers” article: Full text
in English», unian.info, 25/2/2015. Per l’uso espansionistico delle Euroregioni da parte
tedesca, specie bavarese, cfr. M. KORINMAN, «Euroregioni o nuovi Länder?», Limes, «L’Europa
senza l’Europa», n. 4/1993, pp. 65-78.
11. N. MACFARQUAR, A.E. KRAMER, «Praising Rebels, Putin Toughens Tone on Ukraine», The
New York Times, 29/8/2014. 15
COME UN LADRO NELLA NOTTE
getto neorusso, ricorda come dopo il ratto della Crimea il presidente rifu-
tasse di scagliare le sue truppe in quell’avventura, pretendendo che fossero
insorti locali a fare la prima mossa 12. Risultato: oggi Putin si trova con «il
culo su due sedie che si stanno allontanando lentamente l’una dall’altra».
Dobbiamo l’elegante metafora a Igor’ Girkin, famigerato colonnello del-
l’Fsb e combattente irredentista antemarcia 13.
Le stenografe mediatiche trascurano che Putin non ha né mai ha
avuto il controllo diretto della partita del Donbas. Il presidente è il rego-
latore supremo delle iniziative affdate zona per zona alla responsabilità
dello specifco kurator, fgura vicariale – variante russa di un modello
tipico degli Stati patrimoniali altamente informali – cui il capo affda
pro tempore la regia delle operazioni sul campo. Missione ardita in quel
groviglio di opportunisti, fanatici, paracapitalisti di ventura, mercenari
e signori della guerra in competizione permanente. L’Ucraina è un cimi-
tero di procuratori russi falliti o liquidati. La disgrazia del primo kurator
dell’avventura neorussa, Vladislav Surkov, scintillante ideologo di cui si
sono perse le tracce, illustra il caos in cui s’è impantanata l’operazione
Nuova Russia. Difatti non ve n’è mai stata una, ma diverse per ispirazio-
ne, qualità, risorse, obiettivi. Tre le principali, di cui nessuna perfetta-
mente allineata con Putin, una addirittura avversa, ma tutte da lui
strumentalizzate quando necessario. Esitazioni e contraddizioni del
Cremlino dallo smacco di Kiev (febbraio 2014) in avanti sono anche
fglie dei contrasti fra le tre correnti neorussiste, identifcabili come ros-
sa, bianca e bruna. Sfumature di ultranazionalismi in armi, dotati di
supplementi d’anima e misticismi assortiti. Tutto molto russo 14.
La corrente rossa è neosovietica. Colora di socialismo le utopie della
Grande Russia. Il suo mentore è Aleksandr Prokhanov, in collaborazio-
ne con Aleksandr Dugin (quest’ultimo infuente anche fra bianchi e
bruni). Il primo, ormai ottantacinquenne, era già noto scrittore e gior-
nalista in età sovietica, più comunista del Partito comunista dell’Urss di
cui infatti rifutava la tessera. La sua Nuova Russia fa leva sul flosovie-
tismo diffuso nel Donbas – semplifcato in florussismo dal mainstream
occidentale – che vorrebbe libero dagli oligarchi. In vista del Quinto
12. Cfr. G. TOAL, Near Abroad. Putin, the West and the Contest over Ukraine and the Cau-
casus, Oxford 2017, Oxford University Press, pp. 249 s.
13. A. BRASCHAYKO, «Chi è Igor Girkin, il “falco” russo condannato per l’abbattimento del
volo MH17», Il Foglio, 17/11/2022.
14. Seguiamo qui l’interpretazione proposta da M. LARUELLE, «The three colors of Novoros-
siya, or the Russian nationalist mythmaking of the Ukrainian crisis», Post-Soviet Affairs, vol.
16 32, n. 1, 2016, pp. 55-74.
1 - TUTTO UN ALTRO MONDO Teatri della Guerra Grande
CAOSLANDIA Epicentri della Guerra Grande
Area di massima concentrazione
dei confitti, del terrorismo
e della dissoluzione degli Stati
Via della seta artica
prossima ventura
russo-americana
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o-americana
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Il triangolo Guam (Usa)
della Guerra Grande MALAYSIA
Guerra russo-americana
Coppia sino-russa in crisi USA
Sfda sino-americana INDONESIA
Avanguardie antirusse
Alleato Nato ambiguo e autocentrato AUSTRALIA
Quad (Usa, Australia, Giappone, India)
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Basi strategiche Usa per la pressione verso la Cina
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Isole o atolli statunitensi
ITALIA Avanguardie anticinesi
NA Sub-imperi in (ri)formazione
PAG Proiezione Usa
S Tensioni coreane nell’Oceano Pacifco
Paesi dell’EuroQuad
CAOSLANDIA
2 - CAOSLANDIA (VERSUS ORDOLANDIA) Area di massima concentrazione
dei confitti, del terrorismo
LIMES INTERMARIUM e della dissoluzione degli Stati
Linea di faglia tra Nato e Russia
compresa tra il Mar Baltico e il Mar Nero
FEDERAZIONE RUSSA
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dell’ordine e Caoslandia
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LA Area di crisi
Confitti e instabilità siro-irachene ND del Levante
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Progetto di una nuova centrale
4 - FORTEZZA TRANSNISTRIA
idroelettrica che ridurrebbe
drasticamente il fusso di acqua Possibili infltrazioni dall’Ucraina
di gruppi ultranazionalisti TRANSNISTRIA
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governate da Chișinău Giurgiulești
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) Rečica Zyabrovk Fascia minata attorno
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VOLINIA Bovharka FEDERAZIONE RUSSA alla linea di contatto
Przewodów Blocco navale russo
(15/11/22) località Volodymyr RIVNE ČERNIHIV (Mar Nero)
polacca dove è caduto il Pastoyalye Dvory
missile terra-aria “ucraino” Černihiv
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Battaglia d’attrito per Bakhmut Kamensk-Shakhtynsky
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Incidente di elicottero a Brovary Kuzminsky
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del 18/01/2023, in cui hanno Tiraspol Mykolajiv Kadamovsky
perso la vita il ministro dell’Interno Kherson Zaporižžja ZAPORIŽŽJA
Odessa
Denys Monastyrs’kyj, il suo vice Melitopol’ Centrali nucleari operative
Evgenij Enin e il segretario di Stato iv N. Kakhovka Mariupol’
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all’Interno Jurij Lubkovič O KHERSON Berdjans’k Centrale nucleare dismessa
Bombardamento di un condominio Territorio controllato dalla Russia
di Dnipro del 14/01/2023 che ha Ma r
d’ A zo v Obiettivi strategici della campagna
causato 44 morti civili Delta del Isola Novoozerne 1 e 2 CRIMEA militare russa
Danubio dei Serpenti
Riconquista ucraina Opuk Territori russi e florussi
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Possibile penetrazione Krug Cdaa Rep. Popolare di Luhans’k
di Russia e Bielorussia Sebastopoli
verso Kiev Rep. Popolare di Donec’k
M a r N e r o Crimea
5 - IL FRONTE UCRAINO Transnistria (regione moldava florussa)
Fonti: Liveuamap e autori di Limes aggiornata al 30 gennaio 2023 ore 13
6 - CORIANDOLI DI RUSSIA
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Rotta principale Cina-Europa I N D O N E S I A
★
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Direttrici strategiche cinesi ★ ★
★
per il dominio dell’Indo-Pacifco:
oltre la seconda catena di isole
e oltre Malacca AUSTRALIA
8 - UNA STRATEGIA ITALIANA PER METÀ SECOLO Medioceano
(Mar Mediterraneo
FEDERAZIONE RUSSA più Mar Rosso)
Berlino Aree di stabilizzazione
e moderata
infuenza italiana
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Rotta balcanica
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AFGHANISTAN
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Tensione MAROCCO
permanente
Marocco- Algeria
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DEL TRIANGOLO STRATEGICO ARABIA SAUDITA
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23
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20
Russia 21
Unione Russa
annesse dalla Russia
Ucraina il 27 settembre 2022
annessa dalla Russia
il 21 marzo 2014
Province disputate
Regioni ucraine
1 Transcarpazia 8 Khmel’nyc’kyi 15 Mykolajiv 21 Crimea
2 Leopoli 9 Vinnycja 16 Cernihiv 22 Zaporižžja
3 Ivano-Frankivs’k 10 Žytomyr 17 Sumy 23 Donec’k
4 Černivci 11 Kiev 18 Poltava 24 Kharkiv
5 Ternopil’ 12 Cerkasy 19 Dnipropetrovs’k 25 Luhans’k
6 Volinia 13 Kirovohrad 20 Kherson
7 Rivne 14 Odessa
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FED. RUSSA
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COME UN LADRO NELLA NOTTE
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Užhorod Dnipropetrovs’k
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MOLDOVA
ROMANIA
pr
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Dn
15. S. PURI, Russia’s Road to War with Ukraine, London 2022, Biteback, p. 251.
16. V. TAVBERIDZE, «Dominic Lieven: “It’s Against Ukraine’s Interest to Take Back Crimea”»,
RadioFreeEurope-RadioLiberty, 11/12/2022. 23
COME UN LADRO NELLA NOTTE
17. E. UMERENKOV, «The crisis of half a century is coming to an end – Why Russia clashed
with the West and how it will all end», Komsomolskaya Pravda, 4/1/2023.
18. A. FOTYGA, «The dissolution of the Russian Federation is less dangerous than leaving it
ruled by criminals», Euractiv, 27/1/2023.
19. C. KUBE, M. GAINS, «Air Force general predicts war with China in 2025, tells offcers to
24 prep by fring “a clip” to a target, and “aim for the head”», Nbc News, 28/1/2023.
LA GUERRA CONTINUA
Stati Uniti, sicché va colpito e affondato al più presto. Secondo gli omo-
loghi cinesi, oggi minoritari, occorre profttare della «tempesta» america-
na per colpire Washington prima che si riprenda. Ma proprio mentre
l’Indo-Pacifco si riscalda, cinesi e americani hanno discretamente rico-
minciato a discutere ascoltandosi, dopo anni di insulti e propaganda
(carta a colori 7). Motivo: se l’America attraversa una profonda crisi
d’identità, la Cina è alle prese con una revisione tattica radicale.
Tre anni di Covid-19 mal gestito, di approccio arrogante al resto del
mondo, insieme a crisi delle nuove vie della seta, sofferenze nel mercato
immobiliare e fnanziario, fuga di imprenditori e tensioni domestiche –
da Hong Kong a Taiwan alla lotta fra i gerarchi del Partito – hanno
azzoppato l’economia e demoralizzato la popolazione. L’anno scorso il
pil è cresciuto appena del 3%, ben sotto il livello di guardia. Siccome il
regime sta o cade per il consenso garantito dal benessere o per il suo de-
grado, Xi Jinping è intervenuto secco. Dopo il Congresso di ottobre le
città hanno riaperto alla vita normale, le fabbriche alla produzione
standard. E sono scattate le purghe in ambito politico e diplomatico. I
«lupi guerrieri», specialisti nel distribuire sprezzanti pagelle a europei,
americani e asiatici con il risultato di slabbrare il già tenue tessuto del
soft power sinico, sono stati rimessi in riga. Qualcuno in punizione. Da
novembre Pechino ha ristabilito un canale confdenziale di comunica-
zione con Washington. All’insegna del pragmatismo. Obiettivo: calmare
il gioco e dividere gli avversari. Con qualche ritardo, Xi Jinping sembra
aver aderito alla massima universale per cui i nemici vanno separati
non uniti. Vale per europei e americani, ma anche per i partner asiatici
di Washington, giapponesi e sudcoreani su tutti. Di qui a immaginare il
leader cinese impegnato a spegnere l’incendio in Ucraina molto ne cor-
re, ma il sostegno alla Russia sarà limitato allo stretto necessario. Per
evitarne il collasso.
Xi ha studiato la lezione ucraina e ne ha tratto quattro conclusioni.
Primo: non fdarsi di Putin, che non lo ha correttamente informato
sull’invasione e si è cacciato in una trappola da cui la Russia uscirà al
meglio ridotta in prestigio e potenza, al peggio liquidata. Secondo: gli
Stati Uniti dispongono di un sistema di alleanze a vasto raggio, dotato
di risorse militari, economiche e immateriali in grado di dissuadere chi
osasse sfdarli. Terzo: nel clima di sfrenate sanzioni e deglobalizzazione
incipiente, investimenti stranieri e accesso ai mercati esteri restano vet-
tori essenziali del rilancio economico, ovvero della stabilità domestica.
Quarto: l’invasione di Taiwan è impossibile, oggi, domani e forse sem- 25
COME UN LADRO NELLA NOTTE
L
I N D I A
BANG
Surat Kolkata
Hyderabad
Vishakhapatnam
Monsoni Vijayawada
Golfo
Inverno (nord-est) Bangalore del Bengala
Is. Andamane
Estate (sud-ovest) Coimbatore (India)
Laccadive
Zona di convergenza Cochin Confni dell’India
intertropicale Confni disputati
Confne aperto in base al
Luoghi più piovosi al mondo MALDIVE SRI LANKA Trattato di pace del 1950
(11.462 mm all’anno in media) Territori contesi
Fonte: ministero dell’Interno indiano
podio dei tre paesi più militarizzati del pianeta. Nel menu delle commes-
se missili ipersonici, batterie terra-aria e droni.
Washington schiera in Giappone il suo massimo contingente milita-
re all’estero. A ridosso di quello disposto a difesa della Corea del Sud,
imperniato su un quartier generale congiunto che potrebbe allargarsi ai
nipponici, malgrado la diffdenza fra i due principali soci asiatici
dell’impero a stelle e strisce. Americani e giapponesi stanno inoltre rio-
rientando lo schieramento armato verso sud-ovest, centrandolo sulle iso-
le prossime a Taiwan per proteggere l’arcipelago della «provincia ribelle»
dalla minaccia cinese. Punta avanzata Yonaguni – appena 111 chilo-
metri da Taiwan – coperta da Ishigaki e Miyako, con Okinawa perno del 27
COME UN LADRO NELLA NOTTE
Il Forum delle libere nazioni della post-Russia, cornice di dialogo che raccoglie le
istanze indipendentiste di minoranze etniche e realtà regionali russe (e dei loro
simpatizzanti euroatlantici – americani, polacchi e baltici), il 31 gennaio si è riunito
al Parlamento europeo per il suo quinto incontro. Il gruppo ha presentato il proprio
progetto di «decolonizzazione e ricostruzione» della Federazione Russa a Bruxelles,
sponsorizzato dalla componente polacca del Partito dei conservatori e riformisti
europei. Anna Fotyga, eurodeputata e già ministro degli Esteri polacco (Pis, partito
Diritto e giustizia) coinvolta nei lavori del Forum Ɠn dai suoi albori, ne ha ribadito la
missione fondativa: «Come nel caso del Terzo Reich tedesco, la Federazione Russa,
in quanto minaccia esistenziale per l’umanità e l’ordine internazionale, dovrebbe
subire drastici cambiamenti. È ingenuo pensare che la Russia, dopo essere stata
deƓnitivamente sconƓtta, rimarrà all’interno della stessa cornice costituzionale e
territoriale. La comunità internazionale non può assumere una posizione comoda
e deƓlata in attesa degli sviluppi, ma deve intraprendere una (…) rifederalizzazione
dello Stato russo, tenendo conto della storia del suo imperialismo e nel rispetto
dei diritti e dei desideri delle nazioni che lo compongono» 1. Tra i relatori dell’ulti-
mo Forum Ɠgura anche l’analista statunitense di origini polacche Janusz Bugajski,
già consigliere per il dipartimento di Stato e della Difesa cui non per nulla è stato
assegnato l’epiteto di «nuovo Brzezinski». Il suo ultimo libro Failed State. A guide
to Russia’s Rupture è Ɠnito nel mirino della stampa russa 2, additato come breviario
dei piani americani per lo smembramento della Federazione via promozione dei
separatismi etnici.
Dalla sua inaugurazione (lo scorso 8 maggio a Varsavia) a oggi, il Forum è cresciuto
in termini di notorietà e adesioni. La prima mappa prodotta dal gruppo (pubblicata
nel numero 9/22 di Limes) prospettava un’implosione della Russia da cui sarebbero
originati oltre una trentina di Stati diversi, delimitati secondo disparati criteri etnici
e culturali. Ne riproduciamo qui un aggiornamento (carta a colori 6): la variazione
più importante consiste nel ridimensionamento della regione di Mosca a favore
di nuovi progetti etnico-nazionali. Ad esempio, alcuni esponenti delle regioni di
Pskov e Tver’ (antichi principati non rappresentati nella versione precedente) in-
sieme alla regione di Smolensk/Smalandia hanno annunciato la nascita della «Piat-
taforma della Kryvia orientale», raggruppamento nato allo scopo di «integrare i
popoli del Grande Baltico» e inclinante «verso la variante est-europea del percorso
euroatlantico, che implica la conservazione dell’identità e dei fondamenti culturali
1. A. Fotyga, «The dissolution of the Russian Federation is far less dangerous than leaving it ruled by crimi-
nals», Euractiv, 27/1/2023.
2. V. Nikiforova, «V SŠA obnarodovan plan razrušenija Rossii» («Negli Stati Uniti reso pubblico il piano di
distruzione della Russia»), Ria Novosti, 16/9/2022; V. Kornilov, «Time to drop our illusions, the West is wa-
ging a war to destroy Russia», RT, 20/9/2022.
e demografici dei paesi e dei popoli» 3. Nella nuova versione della carta guada-
gnano poi spazio e conƓni speciƓci anche le repubbliche caucasiche di Inguscezia,
Ossezia e Cabardino-Balcaria. A detta dei loro stessi autori, questa mappa-matrice
è aperta a varianti potenzialmente inƓnite. Purché al servizio di un unico obiettivo:
immaginare «strategie per uno smantellamento controllato, costruttivo e non vio-
lento dell’ultimo impero coloniale in Europa» 4.
I separatisti russi e i loro portavoce euroatlantici non sono gli unici a prodursi in
simili esercizi cartograƓci. Su una parete dell’ufƓcio del capo dell’intelligence mili-
tare ucraina Kyrylo Budanov, fotografata da alcuni giornalisti durante un’intervista,
campeggia la carta a colori 6 bis. Tracciate a pennarello, le linee di partizione della
Russia immaginata da Kiev contestano e sostituiscono gli attuali conƓni federali: il
Giappone (Япония) ottiene le contese isole Curili, la Germania (ФРГ) Kaliningrad
(Königsberg), la Finlandia (Ф) la Carelia e una porzione del Nord-Ovest russo. Alla
Cina (Китай, cui corrisponde la lettera К) vanno tutta la Siberia e l’Estremo Orien-
te. Nella parte centrale dell’attuale Federazione dovrebbe poi prendere forma una
«Repubblica centrasiatica», marchiata con la sigla ЦАР (Car). Alla Russia vera e pro-
pria, decapitata della sua testa orientale, resta il territorio segnato dalle lettere РФ
(RF). In corrispondenza del Caucaso si legge «Ičkerija», nome della repubblica se-
paratista cecena proclamata nel 1991 nonché territorio che il parlamento ucraino
ha di recente riconosciuto come «temporaneamente occupato» dai russi 5, ciò che
il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj aveva già fatto per le isole Curili 6. So-
prattutto, nei conƓni ucraini sono ricompresi non solo Donbas e Crimea ma anche
le regioni di Kursk, Belgorod e Kuban’. È stato chiesto a Budanov se la carta rappre-
sentasse i piani di espansione territoriale di Kiev una volta riconquistati i conƓni del
1991. La risposta è stata sibillina: «Ognuno vede ciò che vuole vedere. Forse è solo
un indicatore di massima. O forse no» 7.
Se la prima mappa fraziona il corpo della Federazione lungo le sue linee etniche
e secondo il criterio «autoctono» dei diritti storici, la seconda ricorda i progetti di
partizione dell’Eurasia in sfere d’inŴuenza elaborati da una certa corrente strategi-
ca degli apparati americani 8. Statunitensi, polacchi, ucraini e separatisti etnici im-
maginano geometrie di disgregazione diverse, funzionali alle rispettive proiezioni
geopolitiche. Ciò che più conta rilevare, al netto della plausibilità degli scenari
prospettati, è però proprio la crescente diffusione e risonanza di simili cartograƓe,
segno del recupero della dimensione spaziale nella grammatica delle potenze.
A sancire l’obsolescenza della tesi della Ɠne della storia sta forse anche il ritorno
della geograƓa.
Parte I
il SENSO STRATEGICO
della GUERRA UCRAINA
LA GUERRA CONTINUA
UN NUOVO TIPO
DI GUERRA MONDIALE di Fëdor LUK’JANOV
larga scala. Tuttavia, in primo luogo, la paura che incute la guerra atomica è chia-
ramente molto minore oggi rispetto a quaranta-cinquanta anni fa. All’epoca si
trattava di un’eventualità da scongiurare in qualsiasi circostanza; ora su queste
circostanze si comincia a rifettere, anche se fnora solo nelle fantasie più cruente
e irresponsabili. In secondo luogo, l’esempio della campagna ucraina dimostra che
il grado di scontro indiretto, anche se apertamente dichiarato, può farsi molto ele-
vato. Si allontana a parole l’eventualità di impiegare mezzi estremi, dando l’impres-
sione che la questione sia esclusa. Non v’è però certezza che non si tratti solo di
un’illusione. Lo spettro della guerra mondiale si profla spiacevole nella retorica di
tutte le parti in gioco.
3. Il papa ha defnito il confitto in Ucraina una guerra mondiale che non fnirà
presto, dato che vi si trovano già coinvolte molte «mani» e molti interessi. Il ponte-
fce probabilmente ha ragione. La campagna militare in corso ha tutte le caratteri-
stiche di un’autentica sfda tra grandi potenze. La disponibilità di armi nucleari le
conferisce un carattere speciale, ma questo non rende la lotta meno feroce o fatale.
La forma stessa dello scontro è particolare. Gli Stati Uniti (in quanto leader di un
generico Occidente) sono coinvolti indirettamente ma molto attivamente, mante-
nendo in vita il proprio agente belligerante, l’Ucraina. La Russia conduce le opera-
zioni militari da sé, scontrandosi direttamente con l’agente dell’America sul campo
di battaglia. La Cina rimane in disparte, cercando un equilibrio, ma considera l’esi-
to del confitto un fattore molto importante per il proprio futuro. Nonostante la sua
categorica riluttanza a intervenire, Pechino ritiene che un ipotetico successo degli
Stati Uniti in questo confitto sia svantaggioso per la Cina e si impegnerà perché
non si realizzi.
Tutti e tre i giocatori si stanno giocando il rango nella gerarchia internaziona-
le in vista della prossima fase. Dei tre, la Russia è quella che rischia di più rispet-
to agli altri, perché è direttamente coinvolta e ha effettivamente avviato questa
forma di confitto, senza valutarne correttamente lo sviluppo. Gli Stati Uniti hanno
meno da perdere e più da guadagnare, anche in senso strettamente economico.
L’Europa, altro attore coinvolto in questo confitto, si trova in una posizione par-
ticolare. Non sta lottando per un proprio ruolo futuro, ma per il mantenimento
(impossibile) del precedente modus vivendi. In tutto l’Occidente si ripete lo slo-
gan dell’inammissibilità della revisione dell’attuale «ordine internazionale basato
sulle regole». Tuttavia, per l’America si tratta di difendere il proprio dominio, il
quale, in linea di principio, può venire garantito anche in altri modi. Per l’Europa,
invece, la fne del sistema precedente signifca la scomparsa di una forma di esi-
stenza politica che le aveva garantito un discreto successo a partire dal secondo
Novecento.
Anche ammettendo che il confitto termini come auspica l’Occidente, la por-
tata dei cambiamenti politici, economici e psicologico-culturali nel continente
europeo esclude il ritorno all’età dell’oro dell’integrazione. I principali paesi euro-
pei, uno dopo l’altro, si stanno accorgendo della necessità di potenziare le proprie
capacità come singoli. Non è ancora chiaro fno a che punto queste capacità sa-
ranno congiuntamente europee, così come resta aperta la questione del futuro
dell’Ue. In un certo senso, per l’Europa è ora preferibile che il confitto continui.
La forza maggiore provoca dispute interne e maggiori costi economici, ma funge
anche da collante. Tanto più che le principali linee d’azione sono stabilite da Wa-
shington e l’Ue può permettersi di non scervellarsi sulla propria strategia, per il
momento.
Tutto ciò (non entriamo nel merito del comportamento di altri attori di primo
piano, tra cui l’India, la Turchia, le petromonarchie del Golfo, l’Iran e molti altri
paesi che contano sui dividendi del confitto) conferma il messaggio di papa Fran-
cesco: la portata degli interessi in gioco è quella di una guerra mondiale, che può 37
UN NUOVO TIPO DI GUERRA MONDIALE
continuare nel tempo e persino ampliarsi, anche via armi nucleari. Certamente
queste ultime limitano il quadro, che resta però abbastanza ampio da lasciare spa-
zio a una lunga e feroce battaglia di logoramento.
Cosa signifca tutto questo per la Russia, che ha deliberatamente deciso di
lanciarsi in uno scontro serrato nel febbraio 2022?
4. Dietro a una guerra mondiale, qualsiasi forma essa assuma, si cela un pro-
blema di gerarchia internazionale. I confitti più specifci che si svolgono al suo
interno si inseriscono in un quadro generale. Tuttavia, se uno degli attori attribui-
sce un signifcato storico o addirittura esistenziale a uno di questi singoli confitti,
lo scontro assume una sfumatura particolare, non sempre razionale. Tale è la que-
stione ucraina per la Russia. L’attuale operazione militare speciale include almeno
tre singole campagne, ciascuna con una propria logica e propri retroscena. Per
certi versi si completano a vicenda, per altri si contraddicono. Il fatto che fn dall’i-
nizio dell’operazione era evidente quanto gli obiettivi fossero confusi e i piani
poco chiari è legato proprio a questo.
La motivazione che ha scatenato le azioni militari è stato il mancato rispetto
delle garanzie di sicurezza a lungo termine richieste dalla Russia nel dicembre
2021. Mosca ha raccolto tutte le proprie critiche rispetto all’ordine politico-militare
europeo sorto dopo la guerra fredda e le ha esposte in forma di ultimatum. L’ulti-
matum non è stato accettato e dunque sono state varate delle «misure tecnico-mi-
litari». Tutto questo si inserisce nella logica della guerra mondiale.
La seconda componente della crisi è dovuta al problema della costruzione
statale/nazionale all’interno di uno spazio di civiltà comune che negli ultimi decen-
ni ha subìto degli sconvolgimenti. La questione è legata a circostanze storiche e
culturali, le quali sono notoriamente soggettive e non si prestano a freddi calcoli.
Un fenomeno tanto fragile come il sentimento nazionale e le reazioni sociali che
esso suscita non costituiscono il miglior presupposto per un gioco geopolitico ra-
zionale. Questi primo e secondo livello del confitto sono stati saldamente legati tra
loro sei mesi prima dell’inizio della campagna in un articolo di Vladimir Putin inti-
tolato «Sull’unità storica di russi e ucraini».
La terza questione è di politica interna. In che misura il desiderio di cambiare
radicalmente la natura dello sviluppo della Russia abbia motivato la scelta, lo si
può solo tirare a indovinare. Vladimir Putin torna regolarmente sul tema dell’inde-
bolimento della sovranità tecnologica e della crescente dipendenza dall’estero co-
me risultato del periodo post-sovietico. La leadership russa è convinta che la vec-
chia globalizzazione sia fnita e che stia arrivando un’epoca di autosuffcienza. Di
conseguenza, i legami del passato devono essere tagliati. E non si tratta solo di
troncare rapporti, ma soprattutto di un riorientamento interno, anche per quanto
riguarda le strutture di base e il tessuto sociale.
Una terapia d’urto ha drasticamente fatto voltare la Russia verso il mondo. Ce
38 ne vorrà un’altra per spingerla a invertire la marcia. Alla luce del primo anno di
LA GUERRA CONTINUA
combattimenti, quali sono le possibilità di successo della Russia nelle diverse di-
mensioni del confitto?
7. Un secolo fa, nel 1923, il mondo mise la parola fne a un periodo di terribi-
li sconvolgimenti. A Losanna venne frmato un trattato che fssò gli ultimi esiti
della Grande guerra del 1914-18. In Russia la resa del generale Pepeljaev in Estre-
mo Oriente pose fne alle ultime battaglie della guerra civile. Ci fu una pausa di un
decennio e mezzo, che si rivelò preparatoria al secondo round della sfda mondia-
le. Ora è l’opposto: la pausa è terminata. Tuttavia la guerra mondiale, che questa
volta non si presenterà come un unico scontro generale ma come una serie di
scontri distinti, sta prendendo il via. Non sarà questione di un anno o di un bien-
nio: il riassetto si preannuncia di lunga durata e su larga scala.
È nel corso dell’anno appena iniziato, il 2023, che le prospettive del nostro
paese verranno in gran parte determinate. Le dinamiche su tutti e tre i fronti sopra
descritti si chiariranno. Così come le probabilità di vittoria, per come la possiamo
intendere.
41
LA GUERRA CONTINUA
‘L’America accelera
in Ucraina per non fare
la Guerra Grande’
Conversazione con Jeffrey MANKOFF, ricercatore al Center for Strategic Research
della National Defense University, a cura di Federico PETRONI
LIMES Gli Stati Uniti sono in vantaggio nella competizione strategica con Cina e
Russia?
MANKOFF Per il momento, gli Stati Uniti sono in buona posizione. La guerra in
Ucraina è un fasco strategico per la Russia. Mosca ha perso 180 mila soldati, mi-
gliaia di carri armati e di altri sistemi sofsticati, la sua economia è colpita da san-
zioni che alla lunga incideranno sulla capacità di rigenerare le risorse belliche:
uscirà dal confitto drammaticamente indebolita. Manterrà l’arma nucleare e mezzi
per minacciare i vicini, ma quella minaccia sarà assai ridotta rispetto al preguerra.
Anche la Cina si è indebolita nel corso degli ultimi anni. Il consolidamento del
potere di Xi Jinping è avvenuto a spese del sistema di autoritarismo collettivo co-
struito dai suoi predecessori; così è più facile commettere errori, come la politica
«zero Covid», che ha depresso la crescita e alimentato frustrazioni sociali. Ancora
prima, la Repubblica Popolare stava già entrando nella trappola delle potenze a
medio reddito, il diffcile passaggio dallo sviluppo alla diffusione delle opportunità
e delle capacità tecnologiche. Di fatto, per Pechino è fnita l’èra degli obiettivi faci-
li. Sono anche diminuiti gli investimenti infrastrutturali usati per incoraggiare o
costringere altri paesi a seguire la volontà cinese. Il timore che Pechino usi risorse
fnanziarie per modifcare importanti pilastri del sistema internazionale è oggi me-
no pressante. Tutto questo ha peggiorato l’equilibrio complessivo per la Repubbli-
ca Popolare.
LIMES La Cina in diffcoltà potrebbe essere più pericolosa?
MANKOFF Esatto. Il divario tra Cina e Stati Uniti in questi anni era calato, ma credo
si stia tornando ad allargare. Per questo la dirigenza cinese potrebbe essere spinta
a fare qualcosa per compensare la perdita di iniziativa. Continua a investire pesan- 43
‘L’AMERICA ACCELERA IN UCRAINA PER NON FARE LA GUERRA GRANDE’
temente nelle Forze armate, in particolare nella Marina, con il proposito di ripren-
dere Taiwan. A Washington c’è preoccupazione per questa prospettiva. Se si guar-
da all’equilibrio militare non è più chiaro se gli Stati Uniti, Taiwan e gli alleati siano
in grado di sconfggere un’offensiva cinese.
LIMES Qual è l’obiettivo degli Stati Uniti in questa competizione, se esiste?
MANKOFF Sul fronte indo-pacifco, dissuadere i cinesi dall’attaccare Taiwan nel bre-
ve periodo e nel medio-lungo ridurre gli investimenti militari necessari a Forze
armate in grado di costruire una sfera d’infuenza. Sul fronte europeo, far fallire
l’invasione russa e indebolire Mosca come avversario strategico, rendendola meno
capace di porre minacce ai vicini. Se dovessi trovare il minimo comun denomina-
tore, gli Stati Uniti vogliono impedire a russi e cinesi di avere i mezzi per costruirsi
sfere d’infuenza. Vogliono il fallimento delle aspirazioni neoimperiali della Russia
di Putin e della Repubblica Popolare Cinese.
LIMES Avete i mezzi per conseguire questi obiettivi?
MANKOFF Chiaramente li abbiamo nei confronti della Russia, che uscirà dalla guer-
ra con minore infuenza sui vicini, con la non irrilevante eccezione della Bielorus-
sia. Il concetto di Mondo Russo (Russkij Mir) ne uscirà compromesso. Con la Cina
è più diffcile da dire. C’è un forte consenso interno negli Stati Uniti sulla necessità
di impedire un attacco a Taiwan e nel caso di respingerlo. Ma se si arrivasse alla
resa dei conti, non so se saremmo in grado di prevalere militarmente. Per esempio,
per i cinesi è molto più facile ottenere il controllo delle acque che li separano
dall’isola che per gli americani negarglielo. Per questo il nostro obiettivo primario
è la dissuasione, spiegando che i costi di un’offensiva sarebbero troppo alti. Se i
cinesi attaccassero, avremmo dunque fallito in partenza. Non vuol dire che avrem-
mo automaticamente perso la guerra, ma che sarebbe molto più diffcile combat-
terla rispetto a quella in Ucraina.
LIMES Nel suo ragionamento sullo stato di salute della Cina pesa molto il fattore
della legittimazione popolare del governo. Anche gli Stati Uniti hanno i loro pro-
blemi di consenso.
MANKOFF Sì, uno dei rischi più grandi che corrono gli Stati Uniti è sul fronte interno
e riguarda la fragilità dell’ordine politico americano. Le forze che hanno scatenato
l’insurrezione culminata nell’assalto al Congresso del 2021 si sono affevolite, non
esaurite. Biden è l’ultimo presidente della generazione della guerra fredda. Ha
un’idea degli Stati Uniti, del loro ruolo nel mondo, del rapporto con l’Europa, del
posto del governo federale nel sistema interno che non è più ampiamente condi-
visa tra la popolazione come un tempo. Quando al potere salirà un altro presiden-
te, di qualunque partito, questa idea sarà molto più contestata.
La domanda più ampia riguarda la legittimazione delle istituzioni americane e del
ruolo nel mondo che l’America ha giocato durante e dopo la guerra fredda. Le ali
estreme di entrambi i partiti, sempre più affollate, hanno fgure infuenti che dico-
no che gli Stati Uniti dovrebbero fare di meno nel pianeta e preoccuparsi di più dei
propri problemi domestici. E la discordia sulla struttura interna della politica ame-
44 ricana rischia di generare tensioni che possono velocemente scatenare il caos. In
LA GUERRA CONTINUA
caso di autentica instabilità, la nostra capacità di fare da garanti del sistema inter-
nazionale sarebbe intaccata.
LIMES Se gli americani contestano l’idea di un’egemonia statunitense sembrano
comunque determinati a difendere il loro primato dai rivali.
MANKOFF Sì ma primato per fare cosa? E con quale obiettivo? Questo è il dibattito.
Non gradisco l’espressione «ordine liberale internazionale» perché non è necessaria-
mente liberale né globale. Ma l’idea è che gli Stati Uniti dal 1945 hanno iniziato a
costruire istituzioni e norme pensate per rafforzare il primato americano e per strut-
turare le relazioni tra le nazioni di modo che rifettessero i nostri interessi e i nostri
valori. Nell’ultima generazione, quindi non solo sotto Trump, ci siamo concentrati
sul mantenimento del primato, assicurandoci di disporre della forza militare più ef-
fcace e che la Cina non si costruisse una sfera economica per sfdarci. Tuttavia, la
fede in quel sistema di norme e istituzioni è andata calando.
Con Biden si è assistito a un ritorno di quella tradizione, di cui il presidente è un
prodotto. Ma è un ritorno al futuro, cioè a un mondo che nel frattempo è cambiato
molto. E con esso è cambiata l’America. Biden è un atlantista di ferro, capisce che
avere dalla propria parte un’Europa prospera è il più importante moltiplicatore di
potenza che si possa sperare. Non so se le giovani generazioni, a prescindere dall’o-
rientamento politico, condividano questa profonda convinzione. Spero che la guerra
d’Ucraina possa cambiare qualcosa, mostrando che la Russia è una minaccia concre-
ta per gli interessi nostri e degli europei e che dunque è importante avere un’Europa
in grado di provvedere alla propria sicurezza. I segnali sono incoraggianti: esiste un
supporto piuttosto trasversale in America per continuare a fornire all’Ucraina armi e
denaro per respingere l’aggressione. Per la prima volta molte persone vedono che
l’Europa e la Nato sono rilevanti per la sicurezza nazionale americana.
LIMES Al tempo stesso, molti in Europa dubitano della credibilità degli Stati Uniti.
La vicenda dei carri armati è un buon esempio: i tedeschi hanno preteso che anche
gli americani ne inviassero perché non ritengono suffcienti le garanzie di protezio-
ne di Washington?
MANKOFF Sì. È innegabile che fno al 24 febbraio ci fossero dubbi sull’impegno
americano verso la Nato. Ricordiamo le parole di Angela Merkel: gli europei devo-
no abituarsi ad assumersi responsabilità perché l’America non sarà sempre lì per
noi. La causa di questa posizione ha molto a che vedere con Trump e il suo atteg-
giamento verso l’Europa. Ma Trump è il sintomo di un distacco più profondo, che
si può ripresentare in futuro con un’amministrazione non così legata alla Nato co-
me quella attuale. Di morte cerebrale dell’Alleanza Atlantica non si parla più. Però
gli anni scorsi hanno lasciato ferite che si saneranno solo col tempo e non è scon-
tato che non vengano riaperte.
LIMES A proposito di carri armati: una decisione simbolica, ma segna un cambio di
passo. La guerra russo-ucraina è sempre più una guerra russo-occidentale?
MANKOFF È sempre stata e continua a essere una guerra di prossimità tra la Russia
e l’Occidente, come lo era quella in Afghanistan negli anni Ottanta. Mosca non
minaccia soltanto Kiev, ma pure la sicurezza generale in Europa, dunque gli inte- 45
‘L’AMERICA ACCELERA IN UCRAINA PER NON FARE LA GUERRA GRANDE’
ressi fondamentali degli Stati Uniti. Il tipo di armamenti fornito altera i rapporti di
forza sul terreno, non la natura di questo confitto. Anzi, secondo me il ritmo con
cui abbiamo inviato armi in Ucraina è stato più lento di quello che ci saremmo
potuti permettere. L’approccio dell’aumento calibrato è fondamentalmente reattivo
e non permette agli ucraini di riprendere l’iniziativa. Penso però che stia iniziando
a cambiare, anche se il cambiamento non è ancora maturato. L’importanza della
decisione sui carri sta nel fatto che ora appoggiamo apertamente il tentativo di Kiev
di condurre prossimamente una controffensiva su larga scala.
LIMES Perché gli Stati Uniti hanno necessità di accelerare?
MANKOFF In parte perché il governo ha superato l’iniziale paura di innescare un’e-
scalation. In parte è un’ammissione che più la guerra va avanti e maggiori sono i
costi non solo per l’Ucraina, ma pure per gli europei. In parte infuisce anche la
Cina e la consapevolezza di non potersi permettere il protrarsi della guerra vista la
necessità di tenersi pronti nell’Indo-Pacifco.
LIMES Qual è il dibattito interno all’amministrazione?
MANKOFF Il dibattito ruota attorno ai nostri obiettivi fnali, alle risorse disponibili e
ai rischi. Quanto agli obiettivi, ora la domanda è: aiutare gli ucraini a riprendere i
territori persi dopo il 24 febbraio o quelli persi nel 2014? Oppure imporre soltanto
costi altissimi ai russi senza legarsi a un preciso obiettivo geografco? Biden dice
che la decisione spetta agli ucraini. E questa è la linea pubblica. È tutto da vedere
se aiuteremo Kiev a riprendere la Crimea.
Diversi fattori informano questa reticenza. Anzitutto, una differenza di status im-
portante tra la penisola e gli altri territori occupati: la Russia ha formalmente annes-
so la Crimea, quindi potrebbe percepire diversamente da altre operazioni un ten-
tativo di riconquistarla; se così fosse, sulla base della sua dottrina nucleare, potreb-
be ricorrere all’atomica. Poi, l’aspetto logistico: una cosa è fare grandi manovre
militari nelle piane orientali, un’altra è entrare in una penisola montagnosa e con-
nessa al continente da un istmo strettissimo. Infne, la questione demografca, ossia
la maggioranza russa: è diffcile capire che cosa preferisca visto che vive in regime
di occupazione da nove anni, ma è possibile che in un libero referendum la mag-
gioranza preferisca la Russia all’Ucraina.
Per questo fnora gli Stati Uniti non hanno permesso a Kiev di usare i loro arma-
menti per bersagliare la Crimea. Gli ucraini hanno già colpito la penisola un paio
di volte e il ponte di Ker0’ con l’evidente obiettivo di dimostrare agli americani di
avere le capacità per farlo e che i russi non reagiscono con rappresaglie massicce.
Al punto che oggi il governo di Washington inizia a dibattere se autorizzare Kiev a
colpire la Crimea, ma siamo soltanto all’inizio. E non vuol dire che sosterremo una
riconquista militare della penisola.
L’altra componente del dibattito riguarda i rischi. Biden ha detto più volte che uno
dei suoi obiettivi principali è impedire al confitto di espandersi in territorio Nato,
per tenere uniti gli alleati. Per esempio, la Spagna potrebbe non essere interessata
a difendere la Polonia. Non è una strada che vogliamo testare. Anche per questo,
46 all’inizio la percezione dell’amministrazione era che la Russia avrebbe potuto ve-
LA GUERRA CONTINUA
dere qualunque fornitura d’arma agli ucraini come una provocazione. Oggi abbia-
mo visto che tutte queste linee rosse di Mosca non erano poi così rosse. Ma ecco-
ci davanti a un altro rischio: abituarci troppo all’idea contraria, che nessuna nostra
mossa sia intollerabile e che a un certo punto il Cremlino si senta obbligato ad al-
zare la posta. Il missile della contraerea ucraina caduto in territorio polacco è stato
un episodio pericoloso, che il governo di Varsavia ha gestito bene, senza fretta,
chiarendo l’accaduto. E la Russia per ora ha rispettato l’articolo V del Patto Atlanti-
co, intuendo che siamo determinati a difenderlo. Ma ciò non vuol dire che non ci
saranno altri momenti perigliosi.
LIMES Gli ucraini dicono che dopo i carri riceveranno qualunque tipo di arma.
Concorda?
MANKOFF Non penso sia saggio dare loro tutto ciò che vogliono. Gli interessi ucraini
non sono necessariamente gli stessi di quelli americani. Kiev deve capire di non
essere l’unica preoccupazione degli Stati Uniti. La competizione con la Cina non
sparirà perché l’Ucraina resiste. Washington deve calibrare ciò che può dare agli
ucraini con una robusta posizione dissuasiva nell’Indo-Pacifco. E poi c’è la linea
rossa fondamentale di non portare la guerra in Russia. Se la linea del fronte si sposta
e si avvicina al confne della Federazione, anche l’artiglieria a raggio più corto che
abbiamo già fornito potrebbe colpire il territorio russo. La questione quindi non è
tecnica ma geopolitica: dobbiamo convincere gli ucraini a non bersagliare la Russia.
LIMES Se tra qualche tempo si arriva a uno stallo, agli Stati Uniti può andare bene
che la Russia rinunci a sottomettere l’Ucraina e l’Ucraina rinunci, non formalmente
ma nella sostanza, alla Crimea?
MANKOFF Finché c’è Biden presidente credo che la linea pubblica resterà: «Niente
sull’Ucraina senza gli ucraini». Ma dietro le quinte continueranno le pressioni, già
cominciate, affnché Kiev si dimostri più disponibile a negoziare, specie se si arriva
a uno stallo dai costi insostenibili. Il problema è che una cessione di territori fssa
un terribile precedente, non solo con la Russia ma pure con la Cina. E poi c’è la
questione delle garanzie: come impedire che la guerra ricominci? Non mi piace
questo approccio, ma se l’Europa, a differenza di quest’anno, non riuscisse a schi-
vare la pallottola energetica nell’inverno 2024, potrebbero scatenarsi pressioni po-
polari tali da portare a cambiare politica in Ucraina.
LIMES A proposito di guerra economica. Le sanzioni mordono ma non stanno cam-
biando i calcoli di Putin. Sono un fallimento?
MANKOFF Da tempo critico l’approccio statunitense alle sanzioni: non riusciamo a
spiegare a cosa servono, a parte a dire che stiamo facendo qualcosa, che siamo
tutti dalla stessa parte e a far sostenere ad altri il grosso dei costi. Ma gli obiettivi
strategici sono molto più vaghi. Sin dal 2014. Se lo scopo delle sanzioni era impe-
dire una guerra, hanno chiaramente fallito. Se era far smettere l’aggressione dopo
il 24 febbraio, hanno fallito. Se era innescare proteste contro il regime, hanno fal-
lito e probabilmente continueranno a fallire. Se era indebolire le capacità russe di
rigenerare risorse utili alla guerra, direi che hanno avuto successo e ne avranno
ancora di più se resteranno in vigore. 47
‘L’AMERICA ACCELERA IN UCRAINA PER NON FARE LA GUERRA GRANDE’
LIMES Per ora però i russi compensano la riduzione della qualità delle risorse mili-
tari con la quantità.
MANKOFF È così e più avanti va la guerra più costi avrà, per tutti. Ma se la pensiamo
in termini di competizione strategica, è ovviamente nel nostro interesse avere una
Russia più debole. Se Mosca è costretta a prendere i microchip dei suoi missili
dalle lavatrici è chiaro che le sanzioni stanno avendo un impatto che a un certo
punto avrà costi insostenibili per la sua industria e la sua economia. Non è detto
che ciò cambierà i piani di Putin o che provocherà la sua rimozione dal potere. Ma
nel lungo periodo la posizione russa sarà nettamente indebolita. Quello per me è
il vero obiettivo delle sanzioni. Non è molto d’aiuto per gli ucraini, lo è più per la
Nato e gli Stati Uniti.
LIMES Vi conviene una Russia così dipendente dalla Cina?
MANKOFF Finché Putin è al potere non avremo molta infuenza a Mosca. La nave
sino-russa è salpata molto tempo fa, direi nel 2014. Putin ha riconosciuto che non
si poteva tornare al ruolo di bilanciatore tra Stati Uniti e Cina. Almeno dal 2011, si
è convinto che l’Occidente voglia abbattere il suo regime. Non ha un grande mar-
gine di manovra nei confronti di Pechino. Ma non avremo molto controllo sulle
circostanze che porteranno alla sua fuoriuscita. Quindi non penso che in questo
momento il nostro atteggiamento stia spingendo la Russia verso la Cina perché le
due potenze sono già vicine. Quello che possiamo fare è diminuire il valore di
Mosca come partner di Pechino. È una parte dei motivi dietro le sanzioni.
LIMES Più indebolite la Russia e più la Cina guadagna infuenza nelle sue ex peri-
ferie imperiali, in particolare in Asia centrale. Vi conviene?
MANKOFF L’impero russo-sovietico è in graduale refusso da fne anni Ottanta. Nel-
le ex periferie, Mosca ha mantenuto infuenza politica, economica e sociale anche
dopo la fne dell’Urss. Ma in Asia centrale la classi dirigenti stanno cambiando:
prima erano madrelingua russe, erano un prodotto della scuola sovietica, guarda-
vano a Mosca come risolutrice dei problemi; oggi sono meno legate alla Russia.
Inoltre, la guerra ha accelerato l’erosione dell’effettiva sovranità imperiale di Mosca,
con la non marginale eccezione della Bielorussia. È evidente nel Caucaso, dove gli
scontri tra Armenia e Azerbaigian a differenza del passato non hanno visto un ruo-
lo decisivo della Russia, sostituita da altre potenze. Tutto questo è il frutto di dina-
miche che sfuggono al nostro controllo.
Inoltre, non è chiaro se la penetrazione cinese in Asia centrale sia completamente
contro i nostri interessi. Pechino ha certo un’infuenza predatoria, illiberale e noci-
va per le minoranze che sono scappate dalla Repubblica Popolare. Ma per i gover-
ni locali avere rapporti più diversifcati con Cina, Turchia e Occidente li stabilizza
e li protegge da minacce alla loro indipendenza. Gli Stati Uniti devono essere
modesti in Asia centrale: non è una priorità e non riusciremo mai a pareggiare
l’interesse e le risorse di Pechino per quest’area, così importante per la stabilità dei
suoi confni occidentali. Il che non vuol dire che dobbiamo dimenticarcene: dob-
48 biamo assicurarci che la regione non passi da un egemone all’altro.
LA GUERRA CONTINUA
LIMES Eliminare l’identità imperiale della Russia è un obiettivo del governo degli
Stati Uniti?
MANKOFF Dovrebbe esserlo. È lì la genesi della sfda russa all’ordine a guida ame-
ricana. Perché è la nostra mentalità a non ammettere altri imperi, nemmeno tra i
nostri alleati. Basta vedere come abbiamo facilitato la dissoluzione dell’impero
francese durante la decolonizzazione.
LIMES Avete i mezzi per cambiare questa identità imperiale?
MANKOFF No.
LIMES Allora perché dovrebbe essere un obiettivo qualcosa che non avete i mezzi
per raggiungere?
MANKOFF Non possiamo necessariamente cambiare quel che accade in Russia e
l’idea dei russi di sé stessi e del loro paese. Ma possiamo assicurarci di limitare i
mezzi con cui Mosca conduce una politica imperiale all’estero. E nel tempo questa
limitazione avrà effetti sugli sviluppi interni alla Russia. È un’infuenza indiretta, che
potrà produrre conseguenze nell’arco di alcune generazioni. Quindi non è un
obiettivo di breve periodo.
LIMES Se non è possibile per gli Stati Uniti coesistere con altri imperi, non è nem-
meno possibile un ordine mondiale?
MANKOFF Non penso sia possibile un concerto di potenze à la Kissinger. Finché
Russia e Cina rifutano i loro attuali confni, cercano di espandersi e di sottomette-
re i vicini, non possono stare in un sistema che rifuta questo tipo di logica. Non
vuol dire che ne stanno completamente fuori, visto che fanno parte di alcune isti-
tuzioni internazionali. Ma il sistema non sarà mai in armonia. Non è un caso che i
nostri rapporti con la Turchia, un alleato diffcile ma comunque un alleato, siano
peggiorati proprio quando sono tornate a galla le tracce del suo passato imperiale.
Ankara è una rivale di Mosca, gioca un ruolo importante nella guerra d’Ucraina, è
meno minacciosa di russi e cinesi a causa di mezzi inferiori, sostiene in larga parte
gli interessi americani in Medio Oriente – con l’importante eccezione della Siria. Ma
le sue ambizioni imperiali generano inevitabilmente frizioni con gli Stati Uniti. E
probabilmente nel tempo genereranno tensioni ancor più intense.
LIMES Nel suo recente libro Empires of Eurasia, ha scritto che un impero plasma le
strutture sociali e le istituzioni politiche delle periferie. Quindi anche gli Stati Uniti
sono impero?
MANKOFF Sì, lo sono stati e in un certo senso lo sono ancora. Non ci piace come si
comportano gli altri imperi perché quel diritto lo vogliamo per noi stessi. È ipocri-
ta? Sì, ma a Washington è marginale chi crede davvero che l’America non debba
dire agli altri come gestire i loro affari domestici. Nessuno che abbia una vera in-
fuenza politica pensa che gli Stati Uniti non debbano incoraggiare i paesi stranieri
alla trasparenza, alla democrazia e a tutto il resto. Nemmeno l’amministrazione
Trump ha cambiato questa logica: aveva valori diversi da diffondere, ma sempre di
diffusione si trattava.*
* Le opinioni qui espresse non rifettono quelle del dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America. 49
LA GUERRA CONTINUA
aveva frmato a Mosca nel giugno 2019. Ogni parola di questa formula ricopriva
una funzione precisa. Con «strategica» si sottolineava una forte propensione alla
sicurezza e alla difesa. Il termine «globale» era volto a defnire un ambito di coope-
razione ben più ampio della sola interazione economica. «Partnership» ribadiva che
non si trattava di un’alleanza formale. Infne, «nuova èra» contribuiva a sottolineare
il peggioramento dei rapporti con gli Stati Uniti dopo che Washington aveva iden-
tifcato Cina e Russia come principali avversari strategici 1.
Prima dell’inizio della guerra in Ucraina, Pechino e Mosca si sono regolate su
questi princìpi per sostenersi a vicenda. Ci si può chiedere se la successiva aggiun-
ta dell’espressione «senza limiti» abbia indicato un salto di qualità nella cooperazio-
ne strategica, magari in direzione di un’alleanza segreta. È una formula che, anche
a causa delle sue tempistiche, ha destato particolari attenzioni a livello globale. Ha
forse favorito la decisione di Putin di ordinare l’invasione? I media occidentali sem-
brano propendere per questa logica. Il contenimento sempre più militarizzato di
Washington ha spinto i due paesi ad avvicinarsi ulteriormente. «Senza limiti» po-
trebbe quindi suggerire quali siano le aspettative dei dirigenti cinesi qualora si av-
verasse lo scenario peggiore, ovvero una resa dei conti con gli Stati Uniti. In quel
caso, Mosca dovrebbe tenere impegnate le forze americane in un confitto su due
fronti, arginandole in Europa. Allo stesso modo, non è escluso che la Cina possa
aumentare il proprio contributo se la Russia fosse in una situazione disperata. «Sen-
za limiti» esclude però la cooperazione in una guerra contro uno Stato sovrano,
come confermato dal ministro degli Esteri cinese Qin Gang 2. Anche Putin ha di-
chiarato di non aspettarsi che i due attori concordino su tutto.
La Cina è contraria alla guerra perché pensa che la possa danneggiare. Nel
2021 è stata infatti il primo partner commerciale di Kiev, importando beni preziosi
come grano, ferro e componenti per le attrezzature militari 3. I suoi investimenti nel
paese hanno raggiunto i 9 miliardi di dollari e potrebbero essere andati persi nella
loro interezza. Inoltre, fno all’inizio del 2022 gran parte delle merci cinesi dirette
in Europa passavano attraverso la rete ferroviaria eurasiatica, resa oggi inutilizzabi-
le dalla politica di sanzioni contro Mosca. Un duro colpo per la Belt and Road
Initiative (Bri o nuove vie della seta) 4.
Pechino non intende lasciarsi trascinare nella spirale del duello tra Russia e
Occidente. Per questo motivo il ministero degli Esteri cinese ha presto fornito
un’interpretazione uffciale del signifcato di «senza limiti». La formula si riferisce a
una cooperazione bilaterale di ampio respiro, ma ha precise linee di fondo. Per
esempio, durante il vertice di novembre con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, Xi
Jinping ha rimarcato la propria contrarietà all’utilizzo di armi nucleari in Europa,
accennando alle minacce russe in tal senso 5. Il gesto del presidente cinese va inte-
1. Cfr. «National Security Strategy 2022», The White House, 12/10/2022.
2. Z. HUANXIN, «Envoy at Aspen: Take steps to avoid new Cold War», China Daily, 21/7/2022.
3. Cfr. B. GIRARD, «The cost of the war to the China-Ukraine Relationship», The Diplomat, 30/2/2022.
4. E. WILSON, «War in Ukraine threatens BRI, disrupts China-Europe rail freight», Euromoney, 3/2/2022.
5. A. RINKE, «Xi opposing nuclear weapons in Ukraine was reason enough to visit China, Scholz says»,
52 Reuters, 5/11/2022.
LA GUERRA CONTINUA
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LA CINA SI VEDE COSÌ: CONTRO L’AMERICA E SOPRA LA RUSSIA
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Nel frattempo, a Pechino si dibatte su quale tipo di guerra possa meglio servi-
re gli interessi cinesi. Un confitto di breve durata riporterebbe il mondo rapida-
mente alla normalità e concederebbe alla Repubblica Popolare di riprendere i
propri affari con le altre potenze in tutta tranquillità. D’altra parte, se i combatti-
menti si protraessero a lungo gli Stati Uniti sarebbero costretti a prosciugare ulte-
riormente le loro energie per aiutare l’Ucraina, sottraendo risorse al teatro indo-pa-
cifco. Non è un caso che diversi leader occidentali abbiano già iniziato a fare di-
chiarazioni concilianti per stabilizzare i rapporti con la Cina. La guerra sembra in-
fatti aver conferito a Pechino un ulteriore vantaggio per compensare le pressioni di
Washington.
La cooperazione militare sino-russa sembra essersi complicata. È stata rafforza-
ta in campi come le esercitazioni congiunte, le vendite bilaterali, la ricerca e lo
sviluppo di nuove tecnologie. Nell’esercitazione di fne dicembre 2022, i due paesi
hanno simulato la pratica di un blocco navale nei punti nevralgici del Mar Cinese
Meridionale. Si sono inoltre impegnati in operazioni anti-aeree e antisommergibile.
Eppure, la Repubblica Popolare ha evitato con decisione qualsiasi collaborazione
che potesse associarla allo sforzo bellico in Ucraina. Ha sospeso le forniture alla
Russia di chip per computer Longxin-3, ampiamente utilizzati dall’Esercito popola-
re di liberazione (Epl) per la sua modernizzazione militare. Il confitto russo-ucrai-
no non presenta le stesse opportunità strategiche della guerra americana al terrori-
smo, ma potrebbe nuocere alla postura globale degli Stati Uniti, impegnati ad af-
frontare simultaneamente Cina e Russia 6.
È così che si spiega l’auspicio emotivo di alcuni analisti cinesi che Mosca pos-
sa vincere la guerra. Gli Stati Uniti stanno indirizzando le proprie risorse migliori
per contrastare l’impegno bellico della Russia. Vogliono impedire un potenziale
attacco nucleare contro un paese della Nato. Nonostante la retorica anticinese con-
tinui a essere aspra, negli ultimi mesi le azioni ostili contro Pechino sono notevol-
mente diminuite. Per esempio, è calata la frequenza con cui le navi americane ef-
fettuano operazioni di libertà di navigazione (Fonop) nel Mar Cinese Meridionale.
Inoltre, l’incontro tra il segretario di Stato Antony Blinken e il nuovo ministro degli
Esteri cinese Qin Gang si è contraddistinto per l’utilizzo di toni particolarmente
pacati. L’atmosfera in cui si è svolto il vertice bilaterale di Bali tra Xi e Biden, avve-
nuto lo scorso 15 novembre, ha inoltre ribadito l’intenzione di Washington di non
compromettere eccessivamente i rapporti con Pechino. Il presidente americano si
è congratulato con il suo omologo cinese per aver ottenuto il terzo mandato e ha
confermato il proposito di non interferire nel sistema politico della Repubblica
Popolare, di non cercare una nuova guerra fredda o uno scontro militare, di non
sostenere l’indipendenza di Taiwan e di rispettare il principio «un paese, due siste-
mi». In altri termini, la Casa Bianca intende dare priorità alle sfde più urgenti in
patria, dall’alta infazione alla recessione incombente. E per questo cerca di allen-
tare le tensioni con Pechino.
6. B. GLOSSERMAN, «The invasion of Ukraine is an opportunity for China», Japan Times, 30/3/22. 55
LA CINA SI VEDE COSÌ: CONTRO L’AMERICA E SOPRA LA RUSSIA
7. «Shankou xinzhi, Zhongguo he E Wu zhanzheng: Zhong E gongtong fan Mei guanxi de shenhua
yu juxian» («Yamaguchi Shinji, la Cina e la guerra russo-ucraina: l’approfondimento e i limiti delle
relazioni congiunte sino-russe in funzione anti-americana»), Nids Paper, n. 218.
8. Sul tema si veda B.K. YODER, «Power shift, third-party threats, and credible signals: explaining Chi-
56 na’s successful reassurance of Russia», International Politics, vol. 57, n. 3, 2020.
LA GUERRA CONTINUA
9. Cfr. L. DITTMER, «The strategic triangle: an elementary game-theoretical analysis», World Politics, vol.
33, n. 4, 1981.
10. D. BRUNNSTROM, H. PAMUK, M. MARTINA, «U.S., Chinese diplomats clash in high-level meeting of Biden
administration», Reuters, 19/3/2021.
11. L.J. AUSTIN III, «Secretary of Defense Budget Posture Hearing Opening Testimony at the Senate
Armed Services Committee», U.S. Department of Defense, 7/4/2022.
12. Cfr. M. RYAN, A. TIMSIT, «U.S. wants Russian military “weakened” from Ukraine invasion, Austin
says», The Washington Post, 25/4/2022.
13. «US “understands” India’s position on Ukraine war», Deccan Herald, 12/4/2022. 57
LA CINA SI VEDE COSÌ: CONTRO L’AMERICA E SOPRA LA RUSSIA
14. B. LO, Axis of Convenience: Moscow, Beijing, and the New Geopolitics, Washington D.C. 2008,
Brookings Institution Press.
58 15. R. JERVIS, «The Dustbin of History: Mutual Assured Destruction», Foreign Policy, 9/11/2002.
LA GUERRA CONTINUA
59
LA GUERRA CONTINUA
WASHINGTON
GIOCA COL FUOCO BANDOW di Doug
1. I
L CONFLITTO TRA UCRAINA E RUSSIA
imperversa da un anno. Scatenare il demone della guerra è stato un crimine ter-
ribile e ingiustifcato, malgrado le molte menzogne e provocazioni dell’Occiden-
te. Tuttavia, i paesi Nato dovrebbero smetterla con le grida di battaglia. America
ed Europa non sono innocenti: Washington e i suoi alleati fanno ciclicamente
guerre contro Stati più deboli e hanno ucciso molte più persone della Russia,
comprese centinaia di migliaia di civili – involontariamente, certo, ma ciò impor-
ta poco ai morti e ai loro cari – in Iraq, Libia, Afghanistan e Yemen. Ci sono
anche le vittime innocenti delle letali sanzioni economiche, sulle quali una fred-
da Madeleine Albright disse: «È un prezzo che vale la pena pagare» 1.
Sinora il sostegno statunitense ed europeo a Kiev ha consentito a Zelens’kyj
di frustrare gli aggressivi intenti russi di conquista o smembramento dell’Ucraina.
Malgrado i benvenuti successi di questo sforzo difensivo, la vittoria resta però
sfuggente. Incerte sono, in particolare, le prospettive delle offensive prospettate
da ambo le parti. Con un sistema informativo così sbilanciato verso l’Ucraina, è
diffcile valutare le affermazioni secondo cui Kiev avrebbe quasi esaurito le sue
riserve di uomini e mezzi, mentre Mosca si appresterebbe a sferrare un attacco
potenzialmente devastante. In ogni caso, la riconquista ucraina di Donbas e Cri-
mea sarebbe possibile solo se Vladimir Putin evitasse l’escalation e accettasse la
sconftta: ipotesi a dir poco fantasiosa.
Mentre scrutano cupi l’incerto futuro, Stati Uniti e alleati continuano a dibatte-
re sui limiti dell’aiuto all’Ucraina. La Germania ha ceduto sull’invio dei carri Leo-
pard, ma la Polonia e altri Stati baltici appaiono molto più propensi a rischiare la
1. «Madeleine Albright justifes the deaths of 500,000 Iraqi children as “worth it”», Cbs (60 minutes),
YouTube, 9/2/1997. 61
WASHINGTON GIOCA COL FUOCO
presume che se l’Europa dichiara guerra alla Russia, a combatterla sarà l’Ameri-
ca. Del resto, l’esercito britannico possiede appena 227 carri armati 18. Votato
alla sconftta di Mosca, il governo Sunak ne ha generosamente offerti 14 all’U-
craina 19. Contestualmente, il premier britannico ha però ritrattato il precedente
impegno all’aumento della spesa militare 20. Come stupirsi, allora, se anche la
Germania ridimensioni la sua «svolta» (Zeitenwende)? Se guerra sarà, sarà l’Ame-
rica a fare il grosso del lavoro sporco, con gli europei seduti a guardare.
Anche alcuni negli Stati Uniti premono per uno scontro aperto con la Russia.
Tisdall ha citato Wesley Clark, il comandante della Nato licenziato dall’ammini-
strazione Clinton. Decenni dopo aver ordinato ai suoi subordinati di rischiare la
guerra con Mosca 21 fronteggiando le truppe russe che accorrevano in Kosovo
sulla scia dell’offensiva Nato in Jugoslavia, un Clark in pensione e alquanto con-
fuso – come si evince anche dalle sue tirate guerrafondaie in vari webinar sull’U-
craina – non esiterebbe a rischiare di nuovo una guerra contro il Cremlino.
Joe Biden è più realista e sembra speri ancora di scongiurare il baratro del
confitto con Mosca. Donde la cautela della sua amministrazione nell’evitare l’e-
spansione e l’intensifcazione della guerra. Kiev può decidere i propri obiettivi
bellici, ma non pretendere il sostegno alleato a qualsiasi sua scelta. Non è nell’in-
teresse di nessuno, specie di americani ed europei, venire alle armi con una
potenza nucleare.
18. S. MANSOOR, «Ukraine Is Getting British Tanks. What Its Military Really Needs Is German Leopard
2s», Time, 19/1/2023.
19. P. WINTOUR, D. SMITH, «UK foreign secretary defends “moral imperative” of sending tanks to Ukrai-
ne», The Guardian, 17/1/2023.
20. J. SCOTT, «Rishi Sunak ducks 3% defence spending commitment - but points to “track record” on
investment», Sky News, 14/11/2022.
21. M. TRAN, «“I’m not going to start Third World War for you”, Jackson told Clark», Guardian, 2/8/1999.
22. «Mortality in the Democratic Republic of Congo: An ongoing crisis», International Rescue Commit-
66 tee, 1/5/2007.
LA GUERRA CONTINUA
23. Per dati e statistiche dettagliate, cfr. l’osservatorio «Cost of war» del Watson Institute for Internatio-
nal and Public Affairs, Brown University. 67
WASHINGTON GIOCA COL FUOCO
pace globale. Stolto sarebbe anche ignorare i seri timori per la sicurezza nazio-
nale nutriti da molti russi infuenti. Con buona pace dei moralisti, non ci sono
soluzioni semplici.
È tempo che gli Stati Uniti impongano la condivisione dell’impegno militare.
Con la nuova maggioranza repubblicana alla Camera dei rappresentanti, l’ammi-
nistrazione Biden dovrebbe fornire l’aiuto militare già autorizzato solo se gli altri
membri della Nato corrispondono altrettanto. Washington dovrebbe inoltre riti-
rare i 20 mila soldati aggiuntivi schierati in Europa dal febbraio 2022, invitando
altri Stati dell’alleanza a compensare l’ammanco. Il governo federale degli Stati
Uniti spende più di quanto incassi e alimenta un debito enorme anche senza
guerre o epidemie virali. L’America non può più permettersi di essere il benefat-
tore dell’Europa, specie a fronte della sfda cinese.
La guerra scatenata dalla Russia in Ucraina è orribile e deve fnire il prima
possibile. A sopportarne il costo maggiore sono gli ucraini, ma il rischio di esca-
lation e allargamento del confitto minaccia anche gli alleati europei della Nato,
sempre più ostaggi di una guerra per procura contro Mosca. I governi europei
dovrebbero essere franchi con le loro popolazioni e iniziare un serio dibattito sui
crescenti pericoli del sostegno a Kiev.
68
LA GUERRA CONTINUA
Un anno dopo
Che cosa è diventata
la guerra in Ucraina
Tavola rotonda con Nicola CRISTADORO, Germano DOTTORI e Virgilio ILARI
a cura di Lucio CARACCIOLO e Giuseppe DE RUVO
re del «suicidio dell’Occidente liberale», in cui gli Stati Uniti decisero l’ingresso
della Cina nel nell’Organizzazzione mondiale del commercio, l’invasione dell’Iraq
e il secondo allargamento della Nato. Con l’effetto di trasformare la Cina nella prin-
cipale minaccia geoeconomica, di spingere Mosca verso Pechino e di offrire a en-
trambe l’occasione di sfruttare il boomerang occidentale della «lunga guerra al ter-
rore» sfondando il settore centrale del containment atlantico dell’Eurasia e dilagan-
do in Medio Oriente e nell’intera Africa. Incoraggiando anche gli altri ex imperi
asiatici (Turchia, Persia e India) a ridiscutere l’egemonia, sedicente «benigna», degli
Stati Uniti. Conseguenze prevedibili, e previste dalla minoranza di politologi realisti
(come George Kennan, Henry Kissinger e John Mearsheimer), ma volutamente
ignorate in ossequio all’ideologia liberal, che ha sostituito il progressismo socioe-
conomico del secolo scorso con un cupo estremismo messianico e distopico che
porta a ignorare e fraintendere non solo le ragioni e gli interessi del resto del mon-
do, ma lo stesso principio di realtà. Quel che noi chiamiamo «guerra russo-ucraina»
è solo un aspetto, vistoso ma non centrale e tanto meno decisivo, di una transizio-
ne storica di cui non è possibile prevedere durata ed esiti.
CRISTADORO Mi viene in mente un parallelismo paradossale tra la guerra condotta
dagli Usa in Vietnam e il confitto tra Russia e Ucraina. Gli Usa, in Vietnam, stavano
per vincere sul piano tattico, ma persero a livello strategico. Allo stesso modo, la
Russia può senz’altro vincere sul campo, anche grazie alla clamorosa superiorità
numerica: i russi, infatti, possono permettersi di sacrifcare quattro soldati per ogni
ucraino che riescono a uccidere, tanto sono impari le forze sul piano quantitativo.
In termini strategici, però, Mosca ha già perso. All’inizio di dicembre, Putin ha te-
nuto un discorso in cui ha affermato di voler continuare l’operazione militare spe-
ciale in Ucraina, sottolineando che «l’annessione di ogni nuovo territorio è un im-
portante risultato». Con queste dichiarazioni, Putin vuole far accettare alla popola-
zione la guerra di lungo periodo. Ciò signifca che la Russia non è in grado di ot-
tenere una vittoria nel breve periodo. Putin, in quello stesso discorso, ha fatto rife-
rimento a Pietro il Grande, sottolineando come egli, al pari dello zar, sia riuscito a
garantire a Mosca il controllo del Mar d’Azov. Da queste premesse, capiamo che
per il presidente russo vincere signifca oramai ottenere il riconoscimento di quei
territori che è riuscito ad annettere. Ma questa è una vittoria esclusivamente tattica.
La sconftta strategica è data dalla sempre più pressante necessità di mantenere il
consenso interno e dall’aver compromesso la propria credibilità internazionale. Su
un punto, però, bisogna essere cauti: per quanto Putin abbia perso prestigio, prima
o poi qualcuno tornerà a fare affari con lui, almeno a livello economico. Pecunia
non olet.
DOTTORI Di guerre in corso a mio avviso ce ne sono almeno due. La prima è quel-
la che si combatte sul campo tra Ucraina e Russia. La seconda è quella che con-
trappone la Russia all’Occidente: ha una dimensione economica e logistica impor-
tante, investendo le forniture energetiche russe all’Europa e gli aiuti militari della
Nato a Kiev. Lo scontro tra ucraini e russi è parte di quello più ampio che coinvol-
70 ge l’intero Occidente. Il legame emergerebbe ancora più chiaramente qualora, in
LA GUERRA CONTINUA
dal Golfo, dall’Africa e dal Sud America, e che accresce la dipendenza della Russia
dalla Cina. E sceneggiando su Taiwan, distoglie l’attenzione dalla rotta artica.
DOTTORI Un anno fa pensavo che i cinesi si sarebbero in qualche modo rafforzati,
magari mediando con la Russia e cercando di ottenere qualcosa da Washington. Mi
sono evidentemente sbagliato. In realtà, Pechino si sente danneggiata dal protrarsi
della guerra e dall’indebolimento russo. I cinesi vedevano nella Russia un alleato
forte, in grado di stabilizzare l’Eurasia, proteggendo così le nuove vie della seta.
Invece, alla fne dei conti, si ritrovano con un partner in diffcoltà, il cui prestigio
politico-militare è stato scosso. Non sottovalutiamo, peraltro, che in America non
tutti sono d’accordo sul fatto che la Cina sia il nemico numero uno: per i repubbli-
cani è certamente così, e in questo senso vanno viste le aperture di Trump alla
Russia. Per i democratici, invece, la Russia è ancora il male assoluto, perché veico-
la un’ideologia radicalmente conservatrice che agli occhi di alcuni ne farebbe la
guida della destra globale, una formazione transnazionale di cui sarebbe parte
forse anche il Partito repubblicano. Parliamo ovviamente di percezioni.
CRISTADORO Noi spesso parliamo della competizione tra queste tre grandi potenze,
ma dobbiamo tenere a mente che hanno tutte enormi problemi interni. Pensiamo
alla tempesta americana e al clamoroso fallimento dell’Afghanistan. La Russia è
frammentata internamente e la guerra la sta distruggendo anche economicamente.
La Cina è stata messa in ginocchio dal Covid, che ne ha mostrato le criticità interne,
svalutandone anche il marchio. Al di là dei contrasti, queste grandi potenze hanno
a che fare con problematiche interne, che non possono essere sottovalutate.
LIMES Come è la situazione sul campo in Ucraina? Dove vogliono arrivare russi e
ucraini? Come potrebbe fnire la guerra?
CRISTADORO Come abbiamo detto, c’è un rapporto di quattro a uno tra attacco e
difesa. Cosa non straordinaria, perché è la condizione numerica di base per fare un
attacco, dato che chi difende è avvantaggiato. I russi hanno questa superiorità nu-
merica, però nella guerra di posizione che si sta svolgendo tra Bakhmut e Donec’k
stanno subendo perdite enormi. Certo, stanno combattendo soprattutto mercenari
e persone appositamente scarcerate, la cui perdita non impatta più di tanto sull’o-
pinione pubblica. Sul campo ci sono diversi contrattacchi locali degli ucraini. So-
stanzialmente, i russi attaccano guadagnando posizioni. Poi, però, si fermano. Al-
lora gli ucraini contrattaccano e i russi ripiegano. È un modello da prima guerra
mondiale, da trincea. In alcune zone, i russi non hanno più logistica medica, per-
ché stanno subendo tantissime perdite che non riescono a gestire. Curare i feriti sta
diventando un problema, non hanno sangue per le trasfusioni.
Per quanto riguarda gli ucraini, è evidente che Kiev voglia ricacciare i russi nei loro
territori, all’altezza di Rostov sul Don. I russi vorrebbero arrivare quantomeno a
Lyman, persa dal generale Lapin che infatti ha subìto un promoveatur ut amoveatur.
È uno snodo logistico fondamentale perché in quel settore la rete viaria (strade e
ferrovie) è importante tanto per i rifornimenti alle truppe impegnate negli scontri
quanto per lo sgombero dei feriti. Al momento, i russi hanno perso quella zona. E
hanno perso anche i territori a sud di Kharkiv e intorno a Kherson. I russi sono 73
UN ANNO DOPO. CHE COSA È DIVENTATA LA GUERRA IN UCRAINA
arrabbiati perché costretti a cedere pezzi di territorio che avevano conquistato e che
servivano per legittimare una sconftta accettabile, facendola passare per vittoria. In
questo momento, oltre al personale precettato d’autorità, Mosca sta mandando al
fronte i mobilitati appartenenti alla «riserva volontaria» (Bars), che però stanno già
subendo numerose perdite, accanto ai mercenari della Wagner. Inevitabilmente, la
Russia dovrà ricominciare a mobilitare. Questa guerra sta facendo tantissime vittime
ed è per questo che si evitano battaglie nei grandi centri abitati, dove le morti au-
mentano esponenzialmente. Nessuno ha le risorse umane necessarie.
Non dimentichiamoci, inoltre, che gli ucraini sono estremamente motivati. Hanno
una fortissima volontà di vendetta. Al contrario, ci sono soldati russi che disertano
e che vengono giustiziati se scoperti.
Sul piano quantitativo, i russi possono mobilitare rapidamente altri trecentomila
uomini. Ma poi bisogna vedere quanti non si presenteranno alla coscrizione, quan-
ti diserteranno. È già successo nell’ultima mobilitazione. In linea teorica, comun-
que, i russi possono arrivare a impiegare anche due milioni di uomini.
Gli ucraini possono mobilitare, con uno sforzo enorme, circa un milione di uomini,
ma più realisticamente fno a seicentomila. È interessante che, per ora, i russi stiano
mobilitando poche donne, mentre ci sono molte donne ucraine al fronte. Ciò,
nuovamente, è sintomo della differente carica motivazionale dei due paesi.
Non è possibile escludere che la guerra termini con uno scenario coreano. Ma
comunque gli ex florussi dovrebbero abbandonare i territori ucraini, perché le
epurazioni saranno estremamente severe. Altrimenti, potrebbe fnire con una bal-
canizzazione, con la creazione di enclave da tutelare col peacekeeping.
ILARI Le perdite russe (che al 15 gennaio la Bbc stimava a oltre 22 mila caduti e
77 mila tra feriti, dispersi, disertori e prigionieri) sono, al momento, composte
per il 36% dalle milizie del Donbas e dalla Wagner. I caduti appartenenti alle
forze regolari della Federazione Russa saranno al massimo 15 mila, per lo più
tratti da aree periferiche e non di etnia russa. L’impatto sul morale dell’esercito
dipende dal successo. Senza contare che l’esperienza del fronte agguerrisce chi
sopravvive. Come disse a luglio un uffciale ucraino: «Adesso i russi stupidi sono
tutti morti».
Sotto il proflo militare, a parità di caduti e feriti, l’Ucraina è in svantaggio di quat-
tro a uno, e il differenziale di patriottismo ed eroismo non può supplire in eterno.
Il suo armamento ex sovietico si sta esaurendo e quello occidentale è insuffcien-
te per mezzi, munizioni e catena logistica. La brutale strategia di bombardamento
aereo e missilistico della rete energetica incide anche sotto il proflo militare. Con
tutto ciò l’Ucraina non è a rischio di essere interamente occupata né ovviamente
spartita come nel 1921. È possibile che l’offensiva russa si concentri su Zaporižžja:
sia perché le riserve ucraine che dovevano sfondare su Berdjans’k tagliando in
due le forze russe e minacciando la Crimea sono state consumate nell’inutile di-
fesa di Bakhmut, sia perché una volta caduta Zaporižžja sarebbe segnata anche la
sorte delle forze ucraine nel Donbas. Se riuscisse nell’intento entro marzo, prima
74 dell’arrivo dei due battaglioni di Leopard, la Russia avrebbe interesse a fermarsi e
LA GUERRA CONTINUA
trattare. Non però l’Ucraina e la Nato, motivo per cui seguirebbe una nuova con-
troffensiva con un maggiore coinvolgimento dell’Alleanza Atlantica.
DOTTORI Tornerei sul discorso del rapporto quattro a uno. Qui non si tratta di far
valere una superiorità locale per realizzare uno sfondamento o un aggiramento.
Qui si cerca invece di «consumare» letteralmente gli ucraini creando un tritacarne
come a Verdun. Per questo è guerra totale: agli occhi dei russi più anziani è giusto
sacrifcare i giovani, anche tanti, purché muoia il maggior numero di ucraini. Chi
deve andare a combattere, ovviamente, la pensa diversamente: c’è sicuramente
una frattura generazionale, ma non sono i ragazzi a decidere. Se il meccanismo è
questo, e si è disposti a sostenere perdite eccezionali, è chiaro che Mosca pensa
ancora di poter imporre la propria volontà a Kiev.
Restando al paragone con la prima guerra mondiale, non è escluso che al Cremlino
qualcuno punti tuttora alla «vittoria di Hindenburg», cioè alla debellatio di Kiev. E
qui sorge il quesito se l’Occidente lo possa o meno tollerare. Non ci sono certezze.
Tuttavia, alla vigilia dell’attacco russo all’Ucraina, Zelens’kyj era stato abbandonato
al proprio destino. Se «perdessimo» ora la guerra sul campo, avremmo comunque
indebolito sensibilmente la Russia. E non sarebbe la fne della supremazia statuni-
tense: l’America fu sconftta in Vietnam, ma vinse la guerra fredda. Il conto più
salato lo pagherebbe l’Europa, che verrebbe costretta a rinunciare per un periodo
prevedibilmente molto lungo a qualsiasi interazione con la Russia, indebolendosi
economicamente e forse anche geopoliticamente. D’altra parte gli Stati Uniti non
hanno più lo stesso interesse al successo del federalismo europeo che contraddi-
stinse la loro azione ai tempi del Piano Marshall.
LIMES Come si comporterebbe l’Italia in caso di confitto tra Nato e Russia? E come
vi comportereste se foste Zelens’kyj o Putin?
ILARI Possiamo fornire intelligence, forze aeronavali, polizia militare e ad pompam
un paio di battaglioni per insaporire i pasticci di passero e d’elefante sperimentati
nelle «missioni di pace» e nella dozzina di brigate miste che la Nato ha dislocato a
scopo dissuasivo lungo le sue frontiere avanzate. Alla Cernaia i caduti piemontesi
furono 91 e il resto morì di colera. Cercheremmo, come del resto tutti, tranne bal-
tici e polacchi, di farci e fare il minor male possibile. Non vedo perché i russi do-
vrebbero sprecare un missile ipersonico per noi. Ma siamo vulnerabili agli attacchi
informatici, satellitari ed energetici, oltre all’eventuale fall-out nucleare.
Se fossi Zelens’kyj, Putin o Meloni farei esattamente ciò che stanno facendo, non
perché li approvi, ma perché non avrei scelta. Se fossi Biden o Scholz farei Trump
o Merkel. Non vedo Churchill, Roosevelt o Truman in giro da noi. Il resto sono
personaggi insignifcanti e perciò assolutamente intercambiabili.
DOTTORI In Italia non abbiamo molto da offrire, se il problema fosse quello di spie-
gare in Ucraina truppe che ora iniziano a scarseggiare. Non è un limite solo italia-
no. Nessuno possiede più in Europa eserciti di massa potentemente corazzati. Nel
1991 si è smesso di credere all’eventualità di un grande confitto convenzionale nel
nostro continente e si sono adottati modelli di strumento militare adeguati a scena-
ri del tutto diversi: operazioni di polizia internazionale o peacekeeping in terre 75
UN ANNO DOPO. CHE COSA È DIVENTATA LA GUERRA IN UCRAINA
remote. Così, la nostra assicurazione sulla vita è ora più che mai la dissuasione
nucleare. Per questo motivo è grave che sia stata messa in discussione e che nes-
suno creda più all’ipotesi che la Bomba possa essere utilizzata. Ciò nonostante, una
guerra diretta tra la Nato e la Russia mi pare ancora improbabile. Meno irrealistico
è invece un intervento polacco al di fuori della cornice dell’Alleanza Atlantica, nel-
lo scenario estremo di un collasso ucraino. Salvo il caso di massiccia rappresaglia
russa contro gli alleati europei degli Stati Uniti, la Nato ne resterebbe fuori. Comun-
que siamo fortunatamente ancora molto lontani da tutto questo. Peraltro, non
aiuta la causa del negoziato e della tregua la circostanza che Putin e Zelens’kyj
abbiano ingaggiato tra loro un duello personale che andrà avanti fnché uno dei
due non cadrà. Siamo in presenza di uno scontro che riguarda due paesi, ma anche
due leader che non hanno molti margini di compromesso.
CRISTADORO La Nato può intervenire solo se attaccata da un nemico esterno. Se, per
ipotesi, ci fosse un attacco polacco alla Russia, anche autorizzato dagli Usa, la Na-
to non entrerebbe automaticamente in guerra.
Qualora però il confitto si allargasse, l’Italia si comporterebbe da alleato: se doves-
se arrivare l’ordine di partecipare, procederemmo a contribuire con i mezzi, le
unità e gli uomini necessari. Sicuramente ci impegneremmo poi nel peacekeeping,
ma ciò implica una situazione pacifcata.
Anche io ritengo che Putin e Zelens’kyj non possano fare diversamente. Ci sono
troppi punti di non ritorno. Per Putin le cose sono andate troppo per le lunghe,
oramai si è compromesso. Zelens’kyj che altro può fare?
76
LA GUERRA CONTINUA
L’IMPERATORE È SOLO
COME IL SUO IMPERO di Orietta MOSCATELLI e Mauro DE BONIS
Putin si identifica con la Russia quale inviato di Dio per salvarla. Il
timore per l’unità della Federazione supera quello per la campagna
in Ucraina. La rottura con l’Occidente invita a guardare a est, ma
la penetrazione cinese in Asia centrale frustra questa aspirazione.
Paesi membri
L’IMPERATORE È SOLO COME IL SUO IMPERO
Myanmar Mongolia
SINGAPORE
Singapore Pakistan
Thailandia Tagikistan
Oceano Indiano IND
Vietnam ONESIA Uzbekistan
LA GUERRA CONTINUA
1. A. VINOKUROV, «Vybory ne za gorami» («Le elezioni non sono così lontane»), kommersant.ru, 13/1/2023. 79
L’IMPERATORE È SOLO COME IL SUO IMPERO
sano reggere in ogni scenario. Il che signifca applicarsi all’unico tema non passi-
bile di revisioni da qui all’estate, cioè allo scontro con l’Occidente per la sovranità
e l’esistenza stessa della Russia. C’è anche un gruppo di lavoro su un «nuovo corso»
post-bellico incentrato sul rilancio di una «economia sovrana» con cicli produttivi
indipendenti dall’Occidente. Tuttavia si ragiona in termini di grandi categorie uti-
lizzabili in chiave elettorale, i piani concreti per la tanto invocata «nuova idea per
la Russia» latitano.
k al
Altre proposte di progetti ferroviari
Baj
Kuragino
o
Autostrada costruita dalla Cina
ag
L
Posti di blocco
L’IMPERATORE È SOLO COME IL SUO IMPERO
Datong
CMREC C I N A PECHINO Dalian
China-Mongolia-Russia Economic Corridor Tianjin Golfo di Liaodong
LA GUERRA CONTINUA
4. La solitudine e le diffcoltà del capo del Cremlino fanno il paio con quelle
dell’intera Federazione Russa, paese in guerra chiamato a rimodulare il proprio
posto nel mondo. Sfornito di autentici alleati di peso e tranciati i legami con Euro-
pa e Occidente tutto, l’erede del già impero sovietico si trova giocoforza costretto
a guardare altrove per provvedere al sostentamento delle sue genti e mantenere
alto il proflo di potenza. Svoltare defnitivamente verso oriente appare la soluzione
più naturale, sia perché la Russia è eurasiatica per geografa e storia, sia perché
conta sulla possibile integrazione del macrocontinente ora che l’ordine globale a
guida americana è a parere di molti avviato al tramonto. 83
L’IMPERATORE È SOLO COME IL SUO IMPERO
IL POTERE DI PUTIN
Putin Presidenziali
Singolo 2024
Elezioni
2023
DI STATO (ALLINEATI/SILENTI)
LLINEATI/SILENTI) PRIVATI (IN BILICO)
Aleksej Miller Gazprom Oleg Deripaska Basic Element,
Element magnate
ma dell’alluminio
Igor’ Sečin Rosneft Mikhail Friedman Alfa Group, Alfa-Bank, di origini ucraine
German Gref Sberbank Roman Abramovič Agente di collegamento/negoziatore
Sergej Čemezov Rostech
4. F. LUK’JANOV, «Globalizacija snizu vverkh» («Globalizzazione dal basso verso l’alto»), globalaffairs.ru,
21/9/2022.
5. T. BORDA0ËV, «Azija, Evrazija i evropejskij krizis: itogi 2022 goda» («Asia, Eurasia e crisi europea: i
risultati del 2022»), russiancouncil.ru, 9/1/2023.
86 6. Si veda la nota 3.
LA GUERRA CONTINUA
per il prossimo anno 7. Un passo ulteriore per legare Mosca a Pechino, nella spe-
ranza che il gigante asiatico possa in futuro assorbire le perdite dovute alla rottura
dei rapporti commerciali tra la Federazione e l’Unione Europea. Un rafforzamento
della cooperazione con la Cina che rimane priorità incondizionata della politica
estera del Cremlino, spiega il numero due della diplomazia russa Andrej Rudenko 8.
Col rischio però di diventarne vassalla, viste le turbolenze economiche previste in
arrivo sulla Russia. Oggi però partner irrinunciabile sia per la tenuta fnanziaria sia
per mantenere infuenza sulla regione ex sovietica dell’Asia centrale.
DALL’OPERAZIONE SPECIALE
ALLA GUERRA NORMALE
CONTRO GLI ‘AMERIKANI’ PELLICCIARI di Igor
1. I. PELLICCIARI, «Questa è la Russia, voi non capite», Limes, «La Guerra Grande», n. 7/2022, pp. 173-184. 89
DALL’OPERAZIONE SPECIALE ALLA GUERRA NORMALE CONTRO GLI ‘AMERIKANI’
mai etnici. Sarebbe una contraddizione criticare collettivamente gli ucraini mentre
se ne rivendica l’unità con i russi. Non a caso a Capodanno le parole di Vladimir
Putin sono state dirette contro l’Occidente e il suo «uso cinico della popolazione
ucraina».
Secondo. La convinzione che un confitto con gli Usa fosse inevitabile, sicché
era solo questione di tempo prima che scoppiasse, declassa la decisione di inva-
dere l’Ucraina da incomprensibile\incauta a semplice casus belli. Si è attaccato
per difesa, prima che lo facesse l’Ucraina armata da Usa e Canada già dal 2014,
per ammissione dello stesso segretario della Nato Jens Stoltenberg. Qualcuno si
spinge a ipotizzare che le ultime elezioni americane siano state falsate con il voto
postale proprio per fare vincere Joe Biden e arrivare allo scontro con Mosca. Tutti
gli intervistati sono dell’opinione che con Donald Trump alla Casa Bianca non ci
sarebbe stata la guerra.
Terzo. Il sostegno militare all’Ucraina dell’Occidente, e in particolare degli
Usa, riabilita agli occhi dei russi il bilancio e le aspettative di un’invasione militare
che – oramai è chiaro a tutti – non ha preso la piega sperata e anzi sta incontrando
serie diffcoltà. Una cosa è doversi giustifcare per un fallimento (non essere riusciti
a schiacciare la debole Ucraina, subendo peraltro forti perdite), altra vantarsi di
tenere testa alla coalizione dell’intero Occidente, guidata apertamente dagli Stati
Uniti, ovvero dalla principale potenza militare al mondo. Da questa prospettiva,
la missione del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj a Washington è servita a
sostenere tale narrazione e a rafforzare l’idea di trovarsi nel mezzo di una guerra
Usa-Russia, cui il russo medio non solo è preparato mentalmente ma che da sem-
pre è stata raffgurata come un processo lungo e tutt’altro che facile. Dove conta il
risultato fnale, non quello parziale.
In altre parole, ha attecchito una tradizionale cultura storico-bellica russa che
prende in considerazione solo il bilancio conclusivo della guerra e considera il suc-
cesso fnale tanto più importante se ottenuto dopo un percorso sofferto e doloroso,
costellato se serve di battaglie perse (l’ultimo caso è il confitto in Cecenia). Solo la
vittoria defnitiva è «gloriosa» e celebrata con il rito delle parate (radicato nei russi
come quello del ferragosto negli italiani). Un interlocutore mi fa notare che prima
di conquistare Berlino, l’Urss era quasi capitolata davanti alle forze naziste, arrivate
alle porte di Mosca mietendo sul campo vittorie su vittorie e uccidendo milioni e
milioni di sovietici.
Quarto. L’«americanizzazione» della guerra porta a caricarla di temi che poco
hanno a che vedere con l’andamento del confitto e rimandano allo storico scontro
frontale con la cultura dell’Occidente (in particolare quella anglosassone). È un
terreno di confronto polemico al quale i russi sono mediamente abituati. Né sono a
corto di argomenti, forniti da decenni di narrazioni domestiche volte a sottolineare
le ipocrisie dell’Occidente.
Si creano le condizioni per riproporre consolidate rivendicazioni storiche russe
(dal «mito dell’incomprensione» a quello della «difesa contro lo straniero» all’«u-
90 no-contro-tutti») che hanno nobilitato il confitto come espressione del redde ra-
LA GUERRA CONTINUA
tionem in uno scontro identitario tra civiltà. Dove, quasi per nemesi storica, Mosca
si erge a difesa di molti di quei valori «tradizionali» che per settanta lunghi anni
l’ideologia sovietica ha strenuamente negato e combattuto.
tattiche belliche e per questo pessime nel gestire i rapporti con il pubblico (il
portavoce dell’esercito è lo stesso Igor’ Konašenkov che nell’aprile 2020, a latere
della missione di aiuti russi all’Italia, sforò l’incidente diplomatico con Roma).
Analogo riserbo circonda la disponibilità di armamenti russa, che tuttavia
non sembra essere agli sgoccioli, come da alcuni mesi vanno invece ripetendo
i servizi di intelligence britannici. L’industria bellica russa, che a differenza di
quella statunitense è pienamente controllata dallo Stato, pare stia funzionando
a pieno ritmo e sopperendo, grazie a forniture esterne in arrivo da paesi amici,
alla fondamentale crisi della componentistica tecnologica oggetto delle sanzioni
occidentali. L’ultimo dei problemi a Mosca sembra sia quello di restare senza
armamenti.
Questa ricaduta politica sul piano interno, che di fatto svuota i ranghi del
dissenso, offre una diversa chiave di lettura sull’effcacia di una decisione che
l’Occidente ha ad oggi valutato criticamente solo da una prospettiva militare. Un
apparente paradosso è che alla crescita esponenziale del silenzio-assenso verso il
confitto corrisponde un tangibile calo delle vibrazioni positive e dei toni ottimistici
che l’estate scorsa accompagnavano le vicende belliche. Al netto dello spleen di
cui sempre soffrono nei mesi invernali i russi (popolo molto più meteoropatico di
quanto si creda in Occidente), si tratta di un sentimento non legato tanto ai timori
sull’esito della guerra quanto alla rassegnazione per il suo protrarsi nel tempo. L’u-
nica sensazione comune a tutti – letteralmente – gli intervistati è quella di una crisi
destinata, tra alti e bassi, a durare a lungo. Anche militarmente.
Le menti più politiche fanno notare che all’origine di questa impasse non vi è
solo l’alta posta in gioco ma anche una più banale considerazione. In questa fase
la fne del confitto non servirebbe a nessuno, né agli aggressori né agli aggrediti.
L’escalation militare ha rafforzato e congelato i gruppi dirigenti che gestiscono il
potere a Mosca e a Kiev. Finché la guerra è in corso non ci sono vincitori, né so-
prattutto vinti.
Superata la generale sorpresa iniziale per l’azione militare, lo stato di guerra è
stato oramai metabolizzato, con annesse conseguenze negative. Delle quali nessu-
no si rallegra ma che sono affrontate con l’approccio di chi si prepara a conviverci
piuttosto che a rimuoverne le cause. In altre parole, non saranno le pressioni dal
basso a spingere la leadership russa al cambio di rotta in Ucraina.
Ucraina sarebbe maturato all’interno delle stesse Forze armate, previo il consenso
non solo formale del presidente, che tuttavia non proviene dall’esercito, non ha una
formazione militare né pretende di averla (si fatica a trovare – anche di questi tem-
pi – ritratti uffciali di Putin in uniforme militare). È un aspetto non secondario per
una superpotenza militare in periodo di guerra, dove lo Stato maggiore delle Forze
armate, con a capo un generale da combattimento come Valerij Gerasimov, detta
la linea al ministero della Difesa, retto da Sergej Šoigu, la cui esperienza di gestione
amministrativa e contiguità con il mondo politico ricordano il curriculum dei vertici
militari occidentali.
Per quanto riguarda il Gruppo Wagner, è ancora percepito come un elemen-
to «nuovo» dell’azione militare russa, tradizionalmente statalista e non abituata alla
fgura del contractor di derivazione statunitense. Wagner è un corpo estraneo non
solo all’esercito ma a tutta la mastodontica funzione pubblica russa. Sembrano mol-
to azzardate le ipotesi occidentali che vorrebbero lanciato verso ruoli istituzionali il
suo leader e fondatore Evgenij Prigožin, fgura estranea allo Stato profondo russo.
Piuttosto, c’è da chiedersi il motivo dell’esaltazione che i media di Stato fanno dei
successi di Wagner (come nel caso dell’offensiva a Soledar) o l’ampio spazio che
danno alla prosa violenta e gotica di Prigožin, spesso carica di feroci critiche nei
confronti delle gerarchie dell’esercito.
Questo mainstream istituzionale sarebbe impensabile senza il placet del Crem-
lino. E sortisce effetti non casuali. Sprona le gerarchie militari a ottenere risultati
migliori sul campo, ne responsabilizza pubblicamente le scelte tattiche, ne limita
l’infuenza politica al di fuori della gestione della guerra. Dà inoltre voce alle aspetta-
tive della pancia patriottica e movimentista del paese, insofferente dei tatticismi della
guerra ibrida stile «dottrina Gerasimov», mentre invoca nei confronti di Kiev il pugno
di ferro di sovietica memoria. Il personaggio mediatico Prigožin ripropone una tecni-
ca di comunicazione istituzionale che ruota attorno alla fgura del «superfalco» battito-
re libero (in passato impersonata da Vladimir Žirinovskij), interprete di un linguaggio
volutamente truce e sopra le righe, a marcare la spontaneità di critiche che tuttavia
hanno dei target mirati, concordati con il Cremlino. Diffcile pensare che siano ca-
suali gli strali lanciati da Prigožin contro il rammollito stile di vita occidentale e quei
russi che lo rimpiangono o che vi si sono rifugiati per evitare la chiamata alle armi.
Per quanto riguarda fgura e ruolo del presidente, resto della mia vecchia
convinzione che in Russia l’impero conti più dell’imperatore e che il paese non
sia quella Putinlandia spesso raffgurata in Occidente da quanti sono convinti che
un’uscita di scena dell’attuale inquilino del Cremlino risolverebbe tutto come per
incanto. Illusione irrealistica e pericolosa se, come sembra, Putin si confermerà lea-
der e punto di sintesi per tenere insieme gruppi di potere in stato di competizione
interna permanente.
Il carisma presidenziale comunque resta ancora forte e, altro paradosso, ha
sofferto più ieri per via dell’epidemia (nonostante il successo della scoperta dello
94 Sputnik V) che oggi per via della guerra (nonostante le diffcoltà incontrate nel
LA GUERRA CONTINUA
Sanzioni macro
Nella contrapposizione con le narrazioni occidentali, in Russia le sanzioni
restano l’argomento preferito dopo le vicende belliche. Per il loro impatto macro- 95
DALL’OPERAZIONE SPECIALE ALLA GUERRA NORMALE CONTRO GLI ‘AMERIKANI’
economico e per i risvolti che hanno sulla vita quotidiana. Vi è quasi sorpresa nel
constatare che non si sono avverate le previsioni occidentali di default a marzo
2022, a cui i russi – memori del crack del 1998 e in genere pessimisti sul proprio
futuro economico – avevano inizialmente creduto. Grande risalto viene dato sui
media locali a una stima del Fondo monetario internazionale quasi introvabile su
quelli occidentali: la Russia sarebbe diventata la nona economia al mondo con un
pil da 2.100 miliardi di dollari nel 2022, grazie anche a un rublo forte e alle spese
militari, sicché è riuscita a superare Italia, Brasile e Corea del Sud.
Il paradosso è che, rispetto agli annunci fatti dal Cremlino all’indomani dell’in-
vasione dell’Ucraina, si sono avverate le previsioni in campo economico e non
quelle in campo militare. Esattamente il contrario di quanto immaginabile sulla
base della recente storia del paese, a partire dallo stesso crollo dell’Urss, scatenato
dallo spettacolare fallimento dell’economia sovietica. L’impressione è che la tenuta
dell’economia sia l’elemento su cui si basa l’attuale credibilità della leadership del
paese. Per converso, è uno dei motivi che ha portato ad accogliere con maggiore
scetticismo rispetto al passato i ricorrenti proclami catastrofsti sul futuro russo,
economico e non, che continuano ad arrivare dall’Occidente.
Più che facilitare il processo di disgregazione della Russia sul modello dell’Urss,
le sanzioni sembrano avere prodotto un altro paradosso. Molti dei massicci investi-
menti russi riversatisi a oriente sono confuiti nei paesi dell’ex Urss, dando nuovo
impulso a quella cooperazione economica eurasiatica che da tempo Washington
teme possa preludere alla nascita di uno spazio geopolitico sovietico 2.0 a trazione
russa. È il caso dell’Uzbekistan, dove pare oramai siano migliaia le società aperte da
imprenditori russi, spalleggiate dal sistema bancario locale, estraneo alle sanzioni.
Altri effetti positivi sul piano macro-economico si avvertirebbero nel campo f-
nanziario, segnato dal massiccio rientro in patria di grandi e grandissime ricchezze,
invertendo la cronica fuga dei capitali verso l’estero e realizzando così un vecchio
obiettivo strategico della Banca centrale russa. Questo fenomeno viene accompa-
gnato sul piano interno da una comunicazione istituzionale già vista nel 2012-13
in occasione del congelamento dei conti dei correntisti russi nella crisi fnanziaria
cipriota. Esemplifcata al meglio dalle parole dello stesso Putin, rivolte a quanti,
oligarchi e non, hanno avuto le loro ricchezze bloccate all’estero: «Ja že vam go-
voril»: («Ve l’avevo detto», che i vostri soldi fuori dalla Russia non erano al sicuro).
Sanzioni micro
Le sanzioni sono, con diversa intensità, parte integrante della quotidianità rus-
sa degli ultimi due decenni. Al di là della infnita disputa sulla loro effcacia macro-
economica, è nella dimensione micro del commercio al dettaglio che offrono una
prospettiva unica sui cambiamenti nella vita socioculturale del paese.
Dal punto di vista pratico, l’impressione è che non esistano le «sanzioni per-
fette» per colpire il quotidiano e che il commercio – un po’ come l’umidità in un
96 muro – trovi sempre una via alternativa per manifestarsi. Commercio al dettaglio e
LA GUERRA CONTINUA
Per quanto riguarda i paesi «non amici» (defnizione uffciale data a quanti
hanno votato le sanzioni alla Russia), la novità principale sta nei distinguo intro-
dotti verso alcuni, a dimostrazione appunto dell’attività bilaterale svolta negli ultimi
mesi. I rapporti con gli Usa sono al minimo storico. Non ci sono contatti di rilievo,
se non per operazioni singole come gli scambi di prigionieri, che confermano il
clima da guerra fredda.
La stessa apertura pubblica fatta intendere da Sergej Lavrov nei confronti di
John Kerry (i due si dice abbiano evitato che l’attuale confitto esplodesse già nel
2014) non sembra il frutto di una strategia diplomatica verso la chimera di una
Helsinki 2 quanto il banale tentativo di rimettere in piedi un canale di dialogo f-
duciario tra Washington e Mosca. Oggi del tutto assente, al punto che le rispettive
ambasciate sono ridotte a mere basi lunari inattive.
Al netto della degenerazione dei rapporti russo-americani, la tensione con
altri paesi dell’Alleanza Atlantica (Germania e Italia su tutti) pare essere calata ri-
spetto alle punte toccate all’inizio della crisi. Nessuno sembra nutrire speranze su
un cambio di linea politica a Roma sui principali dossier (Ucraina, Libia, energia
eccetera), ma i toni diplomatici più moderati adottati dal governo di Giorgia Meloni
sono visti a Mosca come un passo avanti. Soprattutto dopo la retorica aggressiva
di Mario Draghi.
Infne, è interessante come il protrarsi della guerra abbia creato nello spazio di
mezzo tra alleati e nonamici una terza zona fuida di cosiddetti «non nemici» su cui
convergono quanti cercano di ottenere i notevoli benefci e vantaggi di cui hanno
goduto paesi quali Turchia, Serbia, Ungheria, che sono riusciti a fare coesistere
condanna formale e collaborazione sostanziale nei confronti di Mosca.
Ormai non si parla quasi più di iniziativa multilaterale, a dimostrazione del
calo di interesse russo nei confronti di quello che a lungo è stato il primo piano
su cui la Russia ha puntato per riemergere come superpotenza e contenere il
predominio Usa, in nome della dottrina che ha formulato le linee guida del-
la politica estera post-sovietica, promossa da Evgenij Primakov (fgura ancora
oggi stimatissima e che, dettaglio evocativo, era nato a Kiev nel 1929). Questo
riguarda l’Onu ma anche la Ue, trattata con un disinteresse che rifette la fne
dell’ossessione russa della ricerca di un riconoscimento europeo, culturale oltre
che geopolitico.
Il divorzio dagli europei sta tutto nel commento di un interlocutore sulla de-
cisione russa di abbandonare in via defnitiva il Consiglio d’Europa davanti alla
dura ma prevedibile condanna dell’invasione dell’Ucraina: «A Bruxelles stanno dei
burocrati arricchiti, a Strasburgo solo dei burocrati. Pagare loro lo stipendio per
ottenerne in cambio le critiche – anche no, grazie».
Decisamente, ai russi non interessa più avere il nostro apprezzamento. Sicché
rallentano il battito cardiaco in vista di un altro letargo nei rapporti con l’Occidente.*
QUALCOSA DI NUOVO
SUL FRONTE DEL DONBAS MUSSETTIdi Mirko
1. «Remarks by President Biden on Continued Support for Ukraine», ambasciata degli Stati Uniti in
Italia, 25/1/2023. 99
QUALCOSA DI NUOVO SUL FRONTE DEL DONBAS
alla preparazione dei carristi ucraini selezionati, che non può essere in alcun modo
frettolosa. Inoltre, è sbagliato porre troppa speranza in veicoli per loro natura al-
tamente vulnerabili alle moderne tattiche belliche, che contemplano l’impiego di
droni e missili anticarro guidati e spalleggiabili. Abrams e Leopard non possono
essere la panacea che Kiev va cercando.
I carri armati Leopard-2 tanto agognati dalle autorità ucraine sono già stati og-
getto di studio russo in Siria, dove le truppe affliate a Mosca hanno avuto modo di
distruggerne in discreta quantità. La Turchia ha infatti optato per il loro inconsulto
impiego offensivo nel Levante in violazione dei caveat imposti dalla Germania, che
ne vincola l’export alle sole fnalità difensive per l’acquirente. Per la Russia non
si tratta quindi di un’arma ignota. Mosca certamente non si lascia impressionare
dall’alone di invulnerabilità alimentato dai media ucraini e occidentali. In tal senso,
il portavoce del Cremlino Dmitrj Peskov è stato piuttosto chiaro seppur con toni
sconsolati: «Bruceranno nello stesso modo degli altri» 2.
La scelta di inviare carri armati all’Ucraina infastidisce il decisore politico russo
non tanto per l’impatto che potrebbero avere nell’economia del confitto quanto
per la probabile alterazione dei ritmi bellici che tali mezzi potrebbero apportare.
L’uso precipuo di artiglieria signifca guerra lenta; l’impiego virulento di carri armati
presagisce guerra veloce.
Sul piano teorico, la comparsa di tanks moderni potrebbe accelerare il corso
della guerra, sparigliando le carte sul tavolo degli strateghi moscoviti. Fallito il ten-
tativo iniziale di inglobare l’Ucraina mediante una guerra lampo, la Russia ha ini-
ziato a scommettere su un confitto armato lungo dove le sorti si legano all’enorme
disparità demografca e di risorse dei belligeranti. In un confitto lento, la Grande
Madre può alla lunga prevalere sull’ex paese satellite persino perdendo uomini e
asset in un rapporto disonorevole di quattro a uno.
L’escalation non sarebbe irrefrenabile, come testimonia il caso del missile di Pr-
zewodów, ma allontanerebbe le speranze di profcui negoziati tra le due superpo-
tenze nucleari (Stati Uniti e Russia) protagoniste della guerra per procura.
Nel caso di mezzi particolarmente sofsticati come gli Abrams può rendersi
poi necessaria una maggiore presenza di tecnici militari americani in prossimità
del campo di battaglia, assottigliando di molto la linea che separa una guerra per
procura da uno scontro diretto tra Occidente e Russia. Ecco perché, disdegnando
le parole di Biden del 25 gennaio secondo cui «non si tratta di una lotta contro la
Russia, ma di una lotta per la libertà», Peskov ha preferito andare dritto al punto: «Ci
sono state ripetute dichiarazioni dalle capitali europee e da Washington secondo
cui l’invio di vari sistemi d’arma in Ucraina, compresi i carri armati, non signif-
cherebbe in alcun modo il coinvolgimento dei loro paesi nelle ostilità. Non sono
d’accordo. Mosca percepisce tutto questo come un coinvolgimento diretto nel con-
fitto» 3. La non cobelligeranza sarebbe ormai solo questione di retorica.
L’interesse della Federazione Russa è preservare una superiorità numerica di
carri armati al fronte rispetto alla controparte ucraina/occidentale. Per questa ra-
gione, l’accelerata produzione in serie dei potenti tanks russi T-90M – paragonabili
per prestanza proprio ai Leopard-2 − prevale per i notabili di Mosca sulla messa
in servizio anticipata del carro armato di ultima generazione T-14 Armata (Oggetto
148), attualmente in fase di test.
In una guerra d’attrito la quantità conta spesso più della qualità, sia in termini
di stock (unità immediatamente disponibili) sia in termini di fusso (capacità di
rimpiazzo). Ed è proprio per questo motivo che il Pentagono ha mostrato aperta
riluttanza verso la scelta della Casa Bianca di trasferire a Kiev carri armati Abrams,
suggerendo e sponsorizzando invece l’invio dei tedeschi Leopard 1 (modello vetu-
sto) e 2 (modello aggiornato).
Rimane assai improbabile nel breve periodo assistere a duelli tra T-14 russi
(armi migliori) e Abrams americani (alta mobilità); mentre sarà assai più probabile
assistere al confronto tra i moderni carri armati russi T-90 e i Leopard tedeschi di
pari valore e di più facile utilizzo per i carristi ucraini.
A ogni modo, i trentuno carri armati americani promessi da Biden non po-
tranno giungere in Ucraina prima dell’autunno, secondo un calcolo piuttosto otti-
mistico. La scelta statunitense di fabbricare ex novo gli Abrams sollecitati da Kiev è
sostenuta da diverse ragioni di natura interna e tecnico-operativa. Primo, la fornitu-
ra dei principali mezzi Usa per il combattimento campale diviene un meccanismo
indiretto per sovvenzionare l’industria bellica a stelle e strisce; i nuovi mezzi do-
vranno essere comprati da società nazionali o straniere e poi trasferiti in Ucraina.
Secondo, il Numero Uno – già alle prese con una inaspettata carenza di munizioni
– non ha alcuna intenzione di intaccare le proprie riserve di armamenti, essenziali
per affrontare future crisi in altri emisferi. Terzo, e forse più importante, la produ-
zione dei trentuno Abrams destinati al teatro bellico ucraino terrà conto di apposite
3. «Involvement of US, collective West in confict in Ukraine grows: Kremlin», Tass, 26/1/2023. 101
QUALCOSA DI NUOVO SUL FRONTE DEL DONBAS
preziosa in mani amiche o nemiche che possano praticare reverse engineering (in-
gegneria inversa, studio delle componenti e del funzionamento). Questo il motivo
principale per cui l’insistita richiesta della Turchia di acquistare una batteria Samp/T
è sempre stata rigettata, anche prima della compravendita operata da Ankara del
sistema russo S-400 Triumph. Non solo, l’Esagono teme che le potenze rivali pos-
sano studiare il modo per neutralizzare l’effcace sistema difensivo. Mostrare in un
contesto di guerra non direttamente legato alla sicurezza dello Stato gli ignoti tallo-
ni d’Achille di un sistema d’arma sofsticato comprometterebbe per sempre la sua
prestanza e dunque la sicurezza nazionale. Ecco perché le voci che si sono rincorse
durante l’incontro tra i ministri della Difesa Guido Crosetto e Sébastien Lecornu
del 27 gennaio 2023 relative all’acquisto di 700 missili Aster-30 (commessa di oltre
due miliardi di euro) per i sistemi Samp/T da inviare in Ucraina sono state pronta-
mente smentite dagli interessati. Assumersi la responsabilità di consegnare al paese
dell’Europa orientale i missili prodotti dal consorzio Eurosam signifca ammettere
che gli stessi non potranno essere imbarcati sulle fregate italo-francesi Fremm, che
operano lo stesso sistema missilistico per creare «bolle» difensive. Per proteggere il
territorio altrui, Italia e Francia rischiano di rimanere nude per mare.
Il nervosismo in Russia per le proposte/iniziative di riarmo e sostegno all’U-
craina trapela peraltro in modo sempre più palpabile, al punto che il vicecapo del
Consiglio di sicurezza e già presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedev
ha defnito il ministro italiano Crosetto uno «sciocco raro» 4.
Per superare l’impasse diplomatica e contenere il malumore serpeggiante tra
le Forze armate delle due nazioni neolatine, Roma potrebbe emulare la postura
di Parigi. L’Esagono ha resistito per mesi ai solleciti di Kiev, spiegando che l’unica
batteria Samp/T dispiegabile all’estero è già destinata alla protezione del porto
di Costanza (Romania) e dunque del «corridoio del grano» per l’export di cereali
ucraini; tanto basta. Il Belpaese potrebbe adottare un simile approccio, adducendo
la necessità di inviare il Samp/T promesso all’Ucraina in Kosovo a protezione del
contingente multinazionale Kfor della Nato a guida italiana. La strumentalizzazio-
ne retorica della tensione nel paese dei merli per ovviare all’invio della batteria
a Kiev può rivelarsi una soluzione cinica, ma elegante. Anche se forse non total-
mente apprezzata dagli Stati Uniti, i quali non vedono l’ora di vedere in azione il
moderno sistema italo-francese che garantisce autonomia difensiva ai due alleati
mediterranei, studiandone le prestazioni e alleggerendo le insistite richieste ucraine
per un rapido trasferimento dei missili terra-aria Patriot di produzione statunitense.
Washington si è impegnata al momento per la consegna di una singola batteria,
per la quale un gruppo di circa cento militari ucraini è in fase di addestramento
nella base di Fort Sill (Oklahoma). Troppo poco per la difesa esaustiva dello spazio
aereo ucraino; troppo lungo il periodo di formazione del personale ucraino per
soddisfare le esigenze contingenti.
4. Pagina Telegram di Dmitrij Medvedev. 103
QUALCOSA DI NUOVO SUL FRONTE DEL DONBAS
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Olio di semi di girasole
Area d’ispezione
settentrionale DESTINAZIONE DEI CARGO (in tonnellate)
3M
TURCHIA
2M
Istanbul
1M
Area d’ispezione
meridionale
Turchia
Italia
Spagna
Cina
Kenya
E.A.U.
Malaysia
Marocco
Afghanistan
Iran
Grecia
Israele
Tunisia
Libano
Indonesia
Iraq
Oman
Paesi Bassi
Arabia Saudita
Etiopia
Irlanda
Pakistan
Portogallo
Sri Lanka
Bangladesh
Bulgaria
Egitto
Georgia
Romania
Vietnam
Germania
Regno Unito
Algeria
Gibuti
Giordania
Somalia
India
Sudan
Corea
Francia
Libia
Yemen
Belgio
104
Fonte: UN Black Sea Grain Initiative Joint Coordination Centre
LA GUERRA CONTINUA
4. Nei prossimi mesi l’Ucraina non dovrà affrontare solo il confuire sul campo
di battaglia di un consistente numero di russi mobilitati, ma anche e soprattutto
testare la tenuta del fronte politico interno. Ovvero la capacità di diramare ordini
insindacabili e immediatamente eseguibili in tutte le dimensioni operative e a tutti
i livelli amministrativi.
La capillare sostituzione ai vertici di alcune cariche statali può essere pre-
ludio di una più vasta lotta per le investiture. Nel suo ultimo anno di mandato,
il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelens’kyj sta ponendo le basi per la sua
riconferma alle urne o per il consolidamento del suo potere in assenza di voto.
Non è da escludere infatti che le elezioni presidenziali del maggio 2024 possano 105
QUALCOSA DI NUOVO SUL FRONTE DEL DONBAS
essere rinviate a causa del confitto che interessa tutto il territorio dell’Ucraina e
rende impossibile l’organizzazione delle sezioni elettorali nelle oblast’ parzialmente
occupate (circa un quinto del territorio nazionale): Kherson, Zaporižžja, Donec’k,
Luhans’k. Con ogni probabilità, chi il prossimo anno siederà nell’uffcio di via
Bankova gestirà non solo i negoziati sul cessate-il-fuoco con la Russia, ma anche i
fondi internazionali – e quindi le priorità politiche e oligopolistiche – destinati alla
ricostruzione di un paese largamente devastato.
Ecco perché l’ex attore di Kryvyj Rih sta attuando un consistente repulisti nel
mezzo di una guerra sanguinosa. La scusa/pretesto più impiegata per adoperare le
sostituzioni subitanee è la corruzione, ma anche l’assenza di zelo e l’alto tradimen-
to. «Se vogliono riposare ora, riposeranno fuori dal servizio civile. I funzionari non
potranno più viaggiare all’estero per vacanza o per qualsiasi altro scopo non go-
vernativo» 5, ha annunciato Zelens’kyj in un videomessaggio notturno, anticipando
alcune sostituzioni nella pubblica amministrazione nazionale e regionale. Il cambio
di passo è stato reso noto dopo che è emerso che il viceprocuratore generale Olek-
sij Symonenko si era concesso una vacanza riposante in Spagna per festeggiare il
Capodanno mentre il paese e la capitale erano sotto le bombe russe.
Persino il viceministro della Difesa V’ja0eslav Šapovalov è stato indotto a ras-
segnare le dimissioni a causa di uno scandalo di corruzione sulla gestione delle
forniture alimentari destinate alle truppe al fronte. Per la medesima ragione, l’in-
fuente ministro della Difesa Oleksij Reznikov deve rispondere alla Rada (par-
lamento monocamerale), rischiando la destituzione e l’incriminazione. Faccenda
piuttosto seria, se si considera che il dicastero da lui presieduto è in assoluto il più
dirimente in tempo di guerra. Zelens’kyj ha poi deposto il viceministro delle Infra-
strutture e dello Sviluppo Vasyl’ Lozyns’kyj, arrestato e accusato di aver ricevuto
una tangente di 400 mila dollari e partecipato a uno schema criminale per trarre
proftto dalla rivendita dei generatori elettrici donati dalle cancellerie occidentali
come rimedio ai frequenti blackout che investono l’intero territorio nazionale.
Anche i viceministri per lo Sviluppo comunitario e territoriale Ivan Lukerja e V’ja-
0eslav Negoda nonché il viceministro per le Politiche sociali Vitalij Muzy0enko si
sono licenziati.
Tra i dimissionari più infuenti vi è anche e soprattutto il vicecapo dell’uffcio
presidenziale Kyrylo Tymošenko, il quale ha postato sui propri profli social la foto
della lettera di dimissioni corredata da sentiti ringraziamenti verso il presidente Ze-
lens’kyj, le Forze armate e i servizi segreti (Sbu). Sempre nella cerchia più ristretta,
si registra l’inaspettata rinuncia all’incarico dell’infuente consigliere presidenziale
Oleksij Arestovy0, colpevole di aver fornito al pubblico una lettura dei fatti (de-
viazione involontaria di un missile russo da parte della contraerea ucraina) legati
alla tragedia di Dnipro (distruzione di un condominio) discostante dalla versione
uffciale (attacco intenzionale russo). Le persone che succederanno ai vertici go-
5. «Offcials will no longer be able to travel abroad for non-governmental purposes: President’s ad-
106 dress», sito web uffciale del presidente dell’Ucraina, 23/1/2023.
LA GUERRA CONTINUA
vernativi sembrano essere tutte molto legate a Andrij Jermak, capo dell’Uffcio
presidenziale di Zelens’kyj.
Il «rimpasto» pervasivo avviene in un contesto già particolarmente diffcile
sotto il proflo amministrativo e securitario, aggravato dalla decapitazione dell’in-
tero vertice del ministero dell’Interno. Il 18 gennaio 2023 sono rimasti uccisi in
un sol colpo il titolare Denys Monastyrs’kyj, il suo vice Evhenij Enin e il segreta-
rio di Stato Jurij Lubkovy0 in un incidente d’elicottero a Brovary, città situata 20
chilometri a est di Kiev. La tragedia è stata subito derubricata a tragico incidente
e l’attenzione mediatica interna si è presto spostata su altri dossier bellici e diplo-
matici, sebbene testimoni oculari abbiano riferito di un’esplosione all’interno del
velivolo. Il danno esteso da impatto al suolo tende poi a escludere la possibilità di
un’avaria al motore dell’elicottero. Ma se di attentato si tratta, la pista delle indagi-
ni diffcilmente condurrebbe ai russi. Mosca infatti non dispone di contraerea nei
dintorni della capitale (nessun testimone ha visto missili) e attuare un sabotaggio
mirato di questo genere è estremamente diffcile per i servizi speciali di qualsiasi
potenza nemica, poiché la scelta del velivolo e il percorso da seguire sono def-
niti in genere all’ultimo momento. A ogni modo, trasportare su un unico mezzo
soggetto a potenziali attacchi l’intero apice dirigenziale di un dicastero è errore
quantomeno grossolano, che non dovrà ripetersi in futuro.
L’incidente di Brovary ha visto la morte degli artefci della riorganizzazione e
dell’inquadramento legale dei gruppi territoriali di autodifesa, che nelle fasi iniziali
del confitto avrebbero potuto gettare nel caos un paese già scosso dall’invasione
inaspettata da più direzioni (nord, est, ovest). Per questo Monastyrs’kyj godeva
di una discreta reputazione all’interno delle Forze armate ucraine, sebbene non
fosse sotto i rifettori quanto i colleghi degli Esteri (Dmytro Kuleba) e della Difesa
(Oleksij Reznikov). In effetti, a Brovary ha perso la vita un potenziale candidato
alla presidenza dell’Ucraina.
Il carismatico capo di Stato non si limita a colpire con una scure legale i dica-
steri, ma adotta sanzioni anche contro gli alti prelati della Chiesa ortodossa ucraina
subordinata al patriarcato di Mosca, che «con il pretesto della spiritualità, sosten-
gono il terrore e la politica di genocidio». Il fronte confessionale è agli occhi di
Kiev una delle sfde cruciali per vincere la guerra cognitiva contro Mosca. Indurre
i fedeli a passare sotto la Chiesa ortodossa autocefala d’Ucraina serve a recidere i
legami culturali con la Russia e a compattare la popolazione contro il grande ne-
mico orientale. Persino la proposta di passare al calendario liturgico gregoriano,
ripudiando quello giuliano adottato dal patriarcato di Mosca, serve a segnalare la
vicinanza collettiva all’Occidente mediante la sincronizzazione delle principali fe-
stività (per esempio, Natale il 25 dicembre anziché il 7 gennaio). Il dispositivo della
propaganda lavora su tutti i livelli e tiene conto degli interessi nazionali, non delle
ataviche tradizioni. Soprattutto in tempi di guerra.
La portavoce del ministero degli Esteri della Federazione Russa Marija Zakha-
rova ha accolto con sentimenti contrastanti le dimissioni di massa (entusiasmo 107
QUALCOSA DI NUOVO SUL FRONTE DEL DONBAS
LA VERA POSTA
IN GIOCO
PER MOSCA PROKHANOV
di Anatolij
Le indicazioni ai soldati erano molto chiare: di fronte alla nostra avanzata nei
territori ucraini, le forze armate di Kiev si sarebbero in gran parte sfaldate e dilegua-
te. Gli ordini erano dunque di procedere verso il nemico, anche quando questo
sembrava non volersi spostare. La conquista della capitale doveva avvenire nell’arco
di pochi giorni. La fase più diffcile, veniva detto allora, sarebbe iniziata dopo la
destituzione di Zelens’kyj. In quel momento i nostri soldati sarebbero stati chiamati
a garantire manu militari l’insediamento della nuova amministrazione politica flo-
russa, composta principalmente da politici e uomini d’affari leali a Putin. Tra questi
ci sarebbero stati diversi ex membri del Partito delle regioni e del Blocco delle op-
posizioni, nonché persone giunte direttamente dalla Russia e dalla Bielorussia.
Secondo le previsioni, la fase d’insediamento sarebbe stata minacciata dalle
azioni di guerriglia dei gruppi nazionalisti ucraini e dalle componenti di esercito e
intelligence di Kiev contrarie alla nostra presenza. Per questo i nostri uomini, ac-
compagnati dalle loro fonti locali, sarebbero dovuti andare di casa in casa a prele-
vare gli elementi ostili, ponendo così fne anche all’esistenza dei gruppi nazionali-
sti che, consapevoli o meno, promuovono un’agenda flo-occidentale. Si sarebbe
trattato di una operazione militare di polizia battezzata, appunto, di «demilitarizza-
zione e denazifcazione».
Ciò spiega perché tra le truppe russe inviate a Kiev fossero preponderanti i
reparti della Rosvgardija, il corpo militare dotato di un comando posto direttamen-
te sotto il controllo di Putin specializzato nella gestione dell’ordine pubblico, nella
lotta al terrorismo, nella protezione delle sedi istituzionali e nel contrasto alle atti-
vità di guerriglia. Insomma, secondo i calcoli iniziali le operazioni più delicate sa-
rebbero state appannaggio di reparti con funzioni di polizia militare. Molti dei
nostri soldati portarono con sé negli zaini le divise da parata, pronti a marciare
attraverso la capitale ucraina (che fu sovietica e che prima ancora fu la culla della
civiltà russa) per sancirne il ricongiungimento anche simbolico con la madrepatria
e la liberazione dal regime russofobo e flo-occidentale messo al potere nel 2014.
Oggi sappiamo che la presa di Kiev è stata un fallimento. Sono ancora fumose
le motivazioni per cui il presidente Putin si mostrava convinto che avrebbe funzio-
nato. C’è chi dice che l’integrazione di intelligence ed esercito ucraini nelle struttu-
re occidentali fosse più profonda di quanto ci aspettassimo. Altri sostengono che il
presidente russo sia stato mal consigliato dai suoi consulenti, uffciali e non: c’è chi
punta il dito contro Vladislav Surkov – fno al 2020 consigliere uffciale del presi-
dente per i rapporti con Abkhazia, Ossezia del Sud e Ucraina – e contro Viktor
Medved0uk, già deputato ucraino e amico personale di Putin poi fatto arrestare da
Zelens’kyj ed evacuato in Russia con uno scambio di prigionieri. Forse non sapre-
mo mai la verità.
Conosciamo invece con certezza le condizioni in cui si sono trovati i nostri
soldati alle porte della capitale ucraina: le lunghe e lente colonne di carri armati
che avanzavano verso Kiev sono state facile preda dei droni ucraini, principal-
mente Bayraktar Tb2 turchi, che in più occasioni bombardavano il centro delle
110 colonne causando l’isolamento di quanti erano in testa. Questi, privi di riforni-
LA GUERRA CONTINUA
menti, si sono trovati a pochi metri dalle truppe ucraine che a dispetto delle pre-
visioni non si sfaldavano. Molti dei nostri soldati erano stati equipaggiati per
operare in un contesto di guerriglia urbana, non di battaglia campale nelle piatte
e gelide campagne ucraine, dunque non è diffcile capire perché non siano riu-
sciti ad avanzare. Dinamiche analoghe sono avvenute nei dintorni di altre città,
per esempio alle porte di Kharkiv.
2. Fallita la presa di Kiev già nella prima metà di marzo, le nostre truppe han-
no ricevuto l’ordine di abbandonare progressivamente i sobborghi della capitale
ucraina per essere ricollocate soprattutto nel Donbas, nell’Ucraina meridionale e
intorno a Kharkiv, i territori che le Forze armate russe erano parzialmente riuscite
a controllare. L’operazione militare speciale per come era stata inizialmente conce-
pita terminava. Al suo posto iniziava una seconda fase, ma restava vietato chiamar-
la «guerra». Questa fase doveva consistere nel ricongiungere alla Federazione tutto
il Donbas e gran parte dei territori ucraini permeati dalla storia e dalla cultura
russe: le RosR di Kharkiv, Luhans’k, Donec’k, Zaporižžja, Kherson, Mykolajiv e
Odessa, le prime quattro in parte già conquistate.
La fase due rispondeva a esigenze geostrategiche, propagandistiche e identita-
rie. Dal punto di vista geostrategico l’obiettivo restava la fne dello Stato ucraino
flo-occidentale esistito dal 2014 al 2022. Arrivate a Odessa le truppe avrebbero
potuto ricongiungersi con i nostri soldati di stanza nella vicina Transnistria, privan-
do così l’Ucraina dell’accesso al Mar Nero e concentrando in mani russe l’esporta-
zione dei prodotti ucraini verso la Turchia e il Levante. Ciò avrebbe vincolato il
paese a Mosca, perché la sopravvivenza del mercato ucraino sarebbe stata legata
ai corridoi d’esportazione verso i mari caldi concessi dalla Russia e agli aiuti occi-
dentali veicolati principalmente attraverso la Polonia. Ciò avrebbe potuto condizio-
nare gli umori dei popoli europei su cui sarebbe gravato lo sforzo economico e
militare a favore di Kiev. Grandi erano le aspettative dello Stato maggiore russo per
l’autunno caldo dell’Europa occidentale, le cui popolazioni impoverite dal rincaro
di energia e materie prime per via delle sanzioni alla Russia avrebbero chiesto ai
loro governi di non fornire più armi e aiuti all’Ucraina. I successi del nostro eserci-
to avrebbero dovuto mostrare l’inutilità di tali forniture.
Dal punto di vista propagandistico e identitario la conquista del Donbas e
dell’Ucraina meridionale avrebbe dovuto mostrare la forza dei legami tra questi
territori e la Russia, sebbene negli ultimi otto anni Kiev avesse provato a reciderli.
Pensiamo alla rimozione dei simboli russi e sovietici da Odessa o alla simbolica
colonizzazione ucraina messa in atto a Mariupol’ per mano, tra l’altro, di una for-
mazione nazionalista come il Battaglione Azov la cui convivenza con la popolazio-
ne locale era spesso diffcile, se non confittuale. Il ricongiungimento di questi
territori alla Russia sarebbe stato da esempio per le altre popolazioni di lingua e
cultura russe oggi fuori dalla Federazione, non solo in Ucraina. Ciò spiega l’acca-
nimento nel conquistare Mariupol’, nonostante da metà marzo 2022 il Mar d’Azov
fosse già sotto il nostro controllo, il che rendeva la conquista del centro urbano 111
112
LO PSEUDOREFERENDUM RUSSO IN UCRAINA
La carta rifette la situazione sul campo al 2 ottobre 2022
K I E V Kharkiv
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Mykolajiv (Enerhodar)
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ZAPORIŽŽJA
N I A
Odessa Kakhovka Percentuale del territorio
Mariupol’ dell’oblast’
Kherson KHERSON occupata dai russi
I primi quattro seggi, uno per ogni entità territoriale del
referendum, sono stati aperti in Russia nella Kamčatka, dove 91% Berdjans’k
sono dislocati molti sfollati provenienti da quelle regioni A
Percentuale voti pro annessione Ma r S
S
98,42% nella Repubblica Popolare di Luhans'k d’A zo v U
R
99,23% nella Repubblica Popolare di Donec'k CRIMEA E
93,11% nell'oblast' di Zaporižžja I O N
F E D E R A Z Controfensiva ucraina
87,05% nell'oblast' di Kherson
Territorio ucraino sotto controllo russo
L’oblast’ di Kherson includerà anche due distretti di Mykolajiv Sebastopoli Repubbliche florusse del Donbas
(città di Sniguriivka e area di Oleksandrivka) che hanno al 23 febbraio, prima dello scoppio
partecipato allo pseudoreferendum M A R N E R O della guerra
Fonti: Liveuamap e autori di Limes
LA GUERRA CONTINUA
irrilevante sul piano militare. I nostri soldati hanno combattuto fno a maggio,
quando l’ultimo soldato di Kiev si è arreso.
Malgrado questa vittoria simbolica, usata dalla nostra propaganda per compat-
tare il popolo russo, la seconda fase dell’operazione speciale ha mancato i suoi
obiettivi strategici più importanti. Dopo avere conquistato anche Sjevjerodonec’k e
Lysy0ans’k liberando così tutta l’oblast’ di Luhans’k, i nostri soldati si sono trovati
ad affrontare una potente controffensiva ucraina che a fne estate ci ha costretto a
una rovinosa ritirata dall’oblast’ di Kharkiv e addirittura alla perdita di territori lun-
go la strada che collega Svatove e Kreminna. Sjevjerodonec’k e Lysy0ans’k restano
vicine ai combattimenti, esposte al fuoco e popolate da gruppi armati flo-ucraini
che realizzano atti di sabotaggio e segnalano all’esercito ucraino le nostre posizio-
ni. I missili americani permettono all’esercito ucraino di colpire le nostre basi con
una certa precisione, risparmiando la popolazione civile se ritenuta non ostile.
A causa delle alte perdite Mosca ha dovuto indire la mobilitazione parziale dei
riservisti dell’esercito, chiamando centinaia di migliaia di uomini da tutta la Russia
a combattere nel Donbas. Poi ha ordinato a gran parte delle truppe di rimanere nel
Donbas, sebbene gli ordini iniziali fossero di trasferirsi nell’Ucraina meridionale
dove avrebbero dovuto sfondare il fronte a Mykolajiv per giungere a Odessa. Le
diffcoltà militari ci hanno imposto di difendere ciò che avevamo faticosamente
conquistato e che rischiavamo di perdere. Lo spostamento delle truppe dal Donbas
alle coste del Mar d’Azov è sempre più rischioso perché la strada che collega Do-
nec’k a Mariupol’ passa in alcuni punti a poca distanza dalle posizioni ucraine. I
missili occidentali consentono all’esercito di Kiev di bersagliare questa via di comu-
nicazione, compromettendo il trasferimento dei nostri mezzi militari. Altre strade
sono diffcilmente percorribili perché non asfaltate e minate dagli ucraini negli otto
anni precedenti.
Le nostre truppe nell’Ucraina meridionale hanno dunque fronteggiato seri pro-
blemi di approvvigionamento, aggravati dalla controffensiva ucraina dell’autunno
2022. Il ponte Antonivs’kyj, principale via di comunicazione tra la sponda Sud del
Dnepr e la città di Kherson (unico importante centro urbano sulla riva da noi con-
trollata), è stato abbattuto dall’artiglieria ucraina rendendo impossibile il trasferi-
mento in città di uomini e mezzi necessari a difenderla. Il nostro esercito è stato
quindi costretto a una progressiva ritirata sull’altra sponda, terminata a fne novem-
bre 2022, che ha segnato il tramonto delle ambizioni – almeno per il momento – di
giungere a Odessa e la fne della seconda fase.
il 2015, oppure in Siria. Le truppe del Wagner stanno avanzando nella striscia di
terra che separa Soledar da Bakhmut.
In questo momento la Russia sta dunque vincendo sul piano tattico, sottraendo
terreno all’Ucraina e infiggendole consistenti perdite umane e materiali. L’offensiva
evidenzia quanto Kiev dipenda dal sostegno occidentale e di questo Mosca è con-
sapevole, come anche del fatto che l’arrivo di nuovi armamenti – ed eventualmen-
te truppe – a sostegno dell’esercito ucraino potrebbe risultare determinante.
L’esito di questa terza fase è legato non tanto alle capacità operative degli
ucraini, che pure dimostrano tenacia e capacità organizzative inaspettate, quanto
alla determinazione occidentale nel continuare a sostenere Kiev dal punto di vista
militare, economico e politico. In questo momento la Federazione Russa deve con-
quistare più territorio possibile, a fni strategici ma anche per convincere le opinio-
ni pubbliche occidentali che il loro sostegno all’Ucraina è vano, così da rafforzare
quanti vi si oppongono.
Ormai anche noi riconosciamo apertamente che questo confitto è la manife-
stazione di un più ampio scontro tra Russia e Stati Uniti. Un esito dell’operazione
speciale che soddisf entrambe le parti, russa e occidentale, non porterebbe auto-
maticamente alla ricomposizione degli equilibri internazionali precedenti al 24 feb-
braio 2022. L’ordine prima in vigore è ormai obsoleto, servirà quindi la disponibi-
lità di entrambe le parti a crearne uno nuovo fondato sul rispetto dell’interesse
geopolitico altrui e delle linee rosse da non oltrepassare per garantire una convi-
venza accettabile.
La Russia deve pertanto assumere un approccio realista, riconoscendo che se
neanche questa operazione dovesse concludersi con un accordo soddisfacente, il
nostro collocamento nel nuovo ordine internazionale sarà inevitabilmente meno
favorevole di prima. Con l’operazione in Ucraina volevamo porre sotto scacco
l’Occidente, dando prova della nostra forza militare e della presa emotiva sulla
popolazione ucraina. Il fallimento delle prime due fasi ha invece comportato una
perdita di prestigio: diffcilmente riusciremo a tramutare gli attuali successi nel
Donbas in un vantaggio geostrategico nei confronti dei nostri avversari. Ma ci stia-
mo provando.
115
LA GUERRA CONTINUA
L’UCRAINA DI DOMANI
PUÒ SPACCARE L’EUROPA di Fulvio SCAGLIONE
1. Il programma televisivo istituito subito dopo l’inizio dell’invasione russa e che trasmette in forma
di telemaratona sulle frequenze di Rada Tv, il canale del parlamento. Ai programmi e alle news con-
tribuiscono a turno 30 diverse televisioni ucraine.
2. Il riferimento è a Servo del popolo, il partito del presidente Zelens’kyj che dal 2019 ha la maggio-
ranza assoluta in parlamento.
3. «V urjadi dodali mil’jardiv na monopol’nyj telemarofon i remont dorih» («Il governo ha aggiunto
miliardi al telethon e alle riparazioni stradali»), nashigroshi.org, 11/1/2022.
4. In una relazione al governo del 3 gennaio 2023, il premier Denys Šmyhal’ stimava i danni di guer-
ra a 700 miliardi di dollari. D. KACHKACHISHVILI, «Ukraine war has caused over $700B in damage to na-
tion’s economy: Premier», aa.com.tr, 4/1/2023. 117
L’UCRAINA DI DOMANI PUÒ SPACCARE L’EUROPA
prima dell’irruzione delle armate russe 5. E quali validi risultati 6 abbiano accompa-
gnato gli sforzi di un gruppo di comando che non ha esitato ad affdarsi anche a
giovanissimi come il trentenne Mykhailo Fedorov, ministro alla Trasformazione
digitale, vicepremier e diretto interlocutore di Elon Musk 7 per le questioni legate
allo sfruttamento della rete di satelliti Starlink che il miliardario ha messo gratuita-
mente a disposizione dell’Ucraina. Ma non è questo il punto.
Il punto è che di questioni come questa, che pure animano la vita politica e
sociale dell’Ucraina, nessuno parla. Perché il paese, oggi, è surgelato nell’immagine
che l’Occidente ha voluto dare di questa guerra e che Kiev, per comprensibilissime
ragioni (cioè, per avere le armi con cui difendersi e il denaro con cui sopravvivere),
si è acconciata a adottare e a promuovere. E che, forse semplifcando, possiamo
sintetizzare così. La Russia invade perché è un paese con l’imperialismo nel dna; è
lo scorpione che morde la rana, anche se questa gli fa attraversare il fume, perché
mordere è nella sua natura. L’Ucraina combatte per la libertà sua e nostra, combat-
te per la democrazia di tutti. Bisogna sostenere l’Ucraina per evitare che l’idea e la
pratica della democrazia vengano erose prima qui e poi chissà dove, con un ragio-
namento che molto somiglia a una riedizione della «teoria del domino» che il pre-
sidente americano Dwight Eisenhower illustrò nell’aprile 1954 8. Teoria che portò a
una lunga serie di interventi militari in tante parti del mondo e che oggi consente
di costruire un effcace parallelo mediatico tra la Russia di Vladimir Putin e l’Unio-
ne Sovietica di Iosif Stalin.
C’è chi va oltre e all’interno della stessa impostazione sottolinea che questa
guerra cambierà l’Europa che – come prevede Andrew A. Michta dell’Atlantic
Council’s Scowcroft Center for Strategy and Security – uscirà rinvigorita da questa
battaglia esistenziale e dall’ascesa di un’Europa nord-orientale che godrà, grazie al
compatto appoggio alla causa ucraina, della dispersione «del concetto un tempo
nebuloso dell’Europa orientale come un ristagno dell’Occidente» 9.
Dentro questo genere di approccio fdeistico c’è spazio solo per l’Ucraina che
combatte. Anche perché l’Ucraina che intanto prova a costruirsi un futuro, a deci-
dere che cosa fare di sé in previsione della fne di una guerra che peraltro è con-
vinta di poter vincere, potrebbe non essere perfettamente allineata a certe speran-
ze o previsioni.
Pensiamo a che cosa avrebbero scritto i giornalisti di Naši Groši, per esempio,
se avessero immaginato quel che sarebbe successo dopo la loro invettiva. Se aves-
sero visto la hotline aperta dagli ispettori generali del dipartimento della Difesa, del
dipartimento di Stato e dell’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale (Usaid) per
consentire ai cittadini ucraini di denunciare eventuali casi di uso improprio, frode,
appropriazione indebita (e persino di sfruttamento e abuso sessuale) degli aiuti
5. G. GAGLIANO, «Cyber e hacker per difendere l’Ucraina», letteradamosca.eu, 1/3/2022.
6. F. SCAGLIONE, «Guerra in Rete, vince l’Ucraina», ivi, 7/7/2022.
7. «Il piano di Fedorov, fedelissimo di Zelensky e “amico” di Elon Musk», quifnanza.it, 31/7/2022.
8. «Eisenhower explains the Domino theory (1954)», alphahistory.com.
118 9. A.A. MICHTA, «Ukraine: A battle over the future of Europe», politico.eu, 26/12/2022.
LA GUERRA CONTINUA
del nuovo Servizio per la sicurezza economica, ramo dei servizi segreti affdato
al trentaseienne Kyrylo Budanov, «falco» dalla rapidissima ascesa all’interno degli
apparati zelenskiani. Il repulisti non si è fermato al luglio scorso ma ha alzato la
sua spada di Damocle sul capo di molti altri personaggi diventati improvvisamen-
te, solo per occhi che non vogliono vedere il quadro generale, scomodi: per fare
solo qualche esempio, V’ya0eslav Boguslayev 11, governatore della Banca centrale
Kyrylo Ševcenko 12 e Alena Lebedeva, fglia di un ex ministro ucraino della Difesa,
titolare dell’Aurum Group, importante azienda del settore militare. Tutti accusati
di corruzione o, peggio, di tradimento o di «azioni di fnanziamento connesse con
l’obiettivo di impadronirsi o rovesciare il potere dello Stato», come nel caso di
Lebedeva. Un modo piuttosto effcace per fare spazio a nuove leve di fedelissimi
e piazzarli nei gangli decisivi del sistema politico ed economico ucraino. E intan-
to trasmettere agli ucraini la sensazione di una coerenza e di un’effcienza che, al
di fuori dal settore strettamente collegato alle operazioni militari e alla resistenza
all’aggressione russa, sono lungi dall’essere raggiunte.
Piuttosto prevedibile, quindi, che la strategia venisse applicata anche in questa
fase, con le truppe del Cremlino all’offensiva nel Donbas, l’addensarsi di fosche
previsioni di nuovi e massicci attacchi russi nei prossimi mesi, la richiesta pressan-
te agli Usa e all’Unione Europea di armamenti sempre più potenti. Insomma, con
la consapevolezza che l’Orso russo, dato per bolso e confuso nell’autunno scorso,
nel quadro della controffensiva di Kiev, ha invece ancora carte da giocare.
2. È ovvio che le svolte sul campo di battaglia abbiano avuto una forte in-
fuenza sulla postura della classe dirigente ucraina, dal presidente Zelens’kyj
all’ultimo dei ministri. La controffensiva – che ha consentito a Kiev di ripristinare
il controllo su almeno metà del territorio perso nei primi mesi dell’invasione russa
e di recuperare la città di Kherson, l’unico capoluogo di oblast’ che Mosca fosse
riuscita a conquistare – li ha convinti che la disfatta totale è stata ormai evitata e
che, più o meno mutilata o addirittura totalmente ripristinata nei confni del 1991
al momento della dichiarazione di indipendenza, un’Ucraina autonoma, affranca-
ta dalla tutela del Cremlino e padrona del proprio destino continuerà comunque
a esistere. Chi scrive non ha mai creduto che l’obiettivo del Cremlino fosse la
conquista totale dell’Ucraina 13, al più la conquista da nord a sud della parte del
paese a est del fume Dnepr, com’era quattro secoli fa quando a ovest comanda-
va la Polonia. Resta il fatto che, per strategia cosciente o per necessità imposta, al
momento i russi proprio quello fanno: si attestano sul Dnepr, da usare come
confne naturale, e attaccano nel Donbas per conquistare l’intero territorio ammi-
nistrativo delle regioni di Donec’k e Luhans’k, ovviamente più ampio di quello
11. Amministratore delegato del gruppo Si0, principale produttore ucraino di motori per aerei ed
elicotteri.
12. Costretto a dimettersi per accuse di corruzione, è scappato all’estero e ha poi chiesto asilo politi-
co in Austria.
120 13. F. SCAGLIONE, «Il piano preparato dalla Russia vuole riportare l’Ucraina al 1656», avvenire.it, 9/3/2022.
LA GUERRA CONTINUA
più o meno controllato dalle due ex repubbliche autoproclamate nel 2014 e rese
obsolete dall’annessione alla Russia decretata a fne settembre 2022. Il che confer-
ma quanto si diceva: se anche Mosca riuscisse nel proprio intento, conquistando
Luhans’k e Donec’k con parte della regione di Kherson e di Zaporižžja, restereb-
be pur sempre dall’altra parte un’Ucraina popolosa e vigorosa, aiutata dall’intero
Occidente e con qualche non illusoria speranza di riuscire a farsi accettare sia
nella Ue sia nella Nato.
Zelens’kyj e i suoi operano chiaramente all’interno di questa prospettiva e di
questa convinzione. E altrettanto chiaramente, pur impegnati a combattere una
guerra durissima e sanguinosa, lavorano per costruire l’Ucraina del futuro. E quale
dovrebbe essere, questa Ucraina di domani?
Molto, com’è ovvio, dipende dalla durata della guerra. Volodymyr Zelens’kyj
è stato eletto nella primavera 2019 e poco dopo è stato rinnovato il parlamento.
Entrambi restano in carica cinque anni, quindi la prossima tornata elettorale do-
vrebbe in teoria svolgersi nel 2024, tra poco più di un anno. Tutti ovviamente
pensano e sperano che per quell’epoca la guerra sia già fnita, ma l’ipotesi contra-
ria, o qualcosa che le somigli, non può essere scartata a priori: con un confitto
ancora in corso, o con la legge marziale in vigore, o magari nel pieno di una trat-
tativa con la Russia e con una faticosa ricostruzione da avviare e dirigere, siamo
sicuri che l’architettura politica e sociale dell’Ucraina potrebbe reggere anche l’im-
pegno del rinnovo della massima carica istituzionale e della sede della rappresen-
tanza popolare? E che non troverebbe legittimamente più facile rinviare il voto a
tempi migliori, continuando ad affdarsi al presidente eroe e al parlamento, che è
una catena di trasmissione delle sue decisioni (Servo del popolo, il partito di Ze-
lens’kyj, nel 2019 ha ottenuto 254 dei 450 seggi della Verkhovna Rada, il parlamen-
to monocamerale ucraino, e gode dell’appoggio di una quarantina di altri deputati)
e si è forgiato dalle diffcoltà della guerra?
3. Teoria, dicevamo. Passiamo allora alla pratica, alle decisioni concrete che
l’amministrazione Zelens’kyj ha preso da quando è cominciata l’invasione russa,
cioè da quando ha dovuto impegnarsi per combattere una guerra che, come tutti
dicono, da Mosca a Kiev a Washington passando per Bruxelles, è «esistenziale»,
ovvero deciderà degli equilibri mondiali per chissà quanti decenni a venire. E stia-
mo parlando delle decisioni che poco hanno a che fare con generali e soldati,
carri armati e aerei, missili russi e vittime civili, e che invece sembrano mostrare un
orientamento abbastanza preciso di rimodellamento della società.
Per prima cosa va notato che con pochi tratti di penna su qualche decreto,
approfttando delle leggi emergenziali prima (confitto nel Donbas) e della legge
marziale poi (invasione russa), Zelens’kyj ha messo fuorilegge qualunque forma
organizzata di reale opposizione politica. A destra come a sinistra. Prima della
guerra erano state tacitate con la revoca della licenza e il sequestro dei beni le
televisioni come Zik, Newsone e 112 Ukraine legate ai partiti florussi come Piat- 121
L’UCRAINA DI DOMANI PUÒ SPACCARE L’EUROPA
taforma di opposizione per la vita 14. Poi, a guerra iniziata da venticinque giorni,
sono state sospese le attività di undici partiti. In primo luogo quelle di Piattafor-
ma di opposizione per la vita e Blocco di opposizione. Che erano di certo so-
spettabili di aver sostenuto e magari di sostenere ancora posizioni «florusse», ma
erano anche le uniche forze davvero critiche all’interno del parlamento con i
loro 43 e 6 deputati rispettivamente. Eliminate quelle, la distribuzione dei seggi
in parlamento è diventata ancor più favorevole al già preponderante schiera-
mento zelenskiano.
Ma non basta. La grande maggioranza dei partiti messi al bando con la gene-
rica accusa di essere florussi (che è diventata il passepartout di una miriade di
provvedimenti) non era nemmeno rappresentata in parlamento, e andava dal
partitino personale come il Partito di Šarij 15 al Partito socialista d’Ucraina. Di fatto,
dopo quel provvedimento hanno potuto operare legalmente in Ucraina solo i
partiti governativi di sicura fede zelenskiana e la destra di Svoboda, fondato e
diretto da Oleh Tyahnybok, a suo tempo già fondatore della formazione di ispi-
razione neonazista Partito social nazionalista ucraino. Nel 2004, diventato presi-
dente, Tyahnybok ha ripulito il partito degli elementi più estremisti, portandolo
nel 2012 a ottenere il 10,45% dei voti nelle elezioni politiche e ottenendo così 37
seggi in parlamento, e nel 2014, dopo Jevromajdan e la fuga del presidente Ja-
nukovy0, ad avere un’importante rappresentanza nel primo governo Jacenjuk 16.
Poi il declino, il crollo dei consensi, le dimissioni dei ministri e nel 2019, alle
elezioni che diedero la maggioranza assoluta a Servo del popolo, l’alleanza con
Pravy Sektor e altri partitini ultranazionalisti, portando in parlamento un solo
deputato.
Si produce così, dal punto di vista della pratica democratica, un risultato para-
dossale: un partito pure assurdo come quello di Šarij, che aveva raccolto nel 2019
il consenso del 2,24% dei votanti (327.152 persone, tutte florusse e traditrici?) è
stato cancellato mentre Svoboda e compagni, con il loro 2,16% dei voti (315.568
persone) hanno ricevuto la patente non solo di legalità ma di autentico patriotti-
smo. Ma l’accusa di floputinismo, putinismo o addirittura di tradimento passa co-
me uno schiacciasassi su qualunque altra considerazione. Riesce onestamente dif-
fcile credere che le migliaia di procedimenti aperti per sospetto tradimento corri-
spondano a effettive collusioni con il nemico, anche perché i processi non sono
certo celeri e le sentenze in proposito tardano ad arrivare. Per non parlare poi dei
casi clamorosi come quello di Denys Kireev, fnanziere e membro della prima de-
legazione ucraina che provò a trattare con i russi. Nel febbraio 2022 Kireev è stato
ucciso a colpi d’arma da fuoco nel centro di Kiev. Come si disse allora, da agenti
dei servizi segreti ucraini che cercavano di arrestarlo perché, appunto, colpevole di
14. A. DEL FREO, «Ucraina. Tre reti tv imbavagliate da Zelensky», articolo21.org, 4/2/2021.
15. Dal nome del giornalista e blogger Anatolij Šarij, critico di Zelens’kyj, convinto che la Crimea sia
ucraina e che il Donbas sia russo.
16. Erano di Svoboda il vicepremier Oleksandr Sj0, il ministro delle Politiche agricole Ihor Svaika e il
122 ministro delle Risorse naturali Andrij Mokhnyk.
LA GUERRA CONTINUA
tradimento a favore dei russi. Qualche settimana fa Kireev è stato uffcialmente ri-
abilitato dall’uffcio presidenziale di Zelens’kyj.
Mentre metteva fuorilegge tutti i partiti sgraditi e varava per decreto il canale
unico televisivo che poco piace ai giornalisti di Naši Groši, Zelens’kyj mostrava
tutta la sua astuzia politica nel servirsi della galassia di movimenti di destra, dai
nazionalisti estremi ai neonazisti, tenendoli però ai margini del sistema politico e
decisionale come gli scarsi risultati di Svoboda perfettamente dimostrano. Proprio
in quel periodo, il presidente ucraino parlò in teleconferenza al parlamento greco
facendosi «accompagnare» nel collegamento da due uffciali del Battaglione Azov,
presentati come «esponenti della comunità greca di Mariupol’», la città allora asse-
diata dai russi e difesa, appunto, dai soldati dell’Azov. Una gaffe colossale, visto
che quelli dell’Azov avevano condiviso molte esperienze con Alba Dorata, il mo-
vimento neofascista che la Grecia aveva messo al bando nel 2017, ma che ha in-
dignato solo i greci. D’altra parte Denys Prokopenko, comandante dell’Azov a
Mariupol’, aveva anche ricevuto dal presidente una delle più alte onorifcenze
ucraine, la medaglia dell’Ordine della Croce d’Oro.
Abbiamo fn qui parlato dell’Azov, e si potrebbe parlare anche dei Battaglio-
ni Aidar, Dnepr 1 e Dnepr 2, di Pravy Sektor e di tanti altri movimenti più o
meno piccoli. Potremmo anche ricordare che la Corte suprema ucraina, dopo
cinque anni di pensamenti, nell’autunno dell’anno scorso ha sentenziato che i
simboli della divisione delle SS «Galizia», così spesso ostentati nelle manifestazio-
ni degli ultranazionalisti, non sono nazisti. Per la grande soddisfazione dell’Isti-
tuto ucraino di memoria nazionale, che si era assunto l’onere della «difesa» anche
se la 14° Divisione Waffen Grenadier SS «Galizia» era stata formata da militanti
nazionalisti ucraini nel 1943 su iniziativa del governatore nazista della Galizia
Otto von Waechter ed era poi stata coinvolta in operazioni punitive e massacri
di civili.
pensano che le loro azioni servano a far rinascere la mitologica Ucraina del
passato su cui amano fantasticare. Zelens’kyj, invece, sa che servono a far na-
scere l’Ucraina del futuro.
Proprio come succede in ambito ecclesiastico, dove è partita la grande ope-
razione per mettere al bando (una legge apposita è già in discussione in parla-
mento, e ci sono pochi dubbi su come andrà a fnire) la Chiesa ortodossa rus-
sa-patriarcato di Mosca e sequestrarne strutture e proprietà. Il segnale più clamo-
roso ed evidente non è venuto dall’espulsione di due decine di vescovi e sacer-
doti, privati della cittadinanza ucraina. E nemmeno dalla serie infnta di perquisi-
zioni ai danni di chiese, parrocchie, monasteri e seminari della Chiesa stessa, o
dalle 129 chiese sequestrate nel 2022. Un fenomeno così pronunciato da portare
per la prima volta nella storia un metropolita, Antonyj di Volokalamsk, presidente
del dipartimento per le Relazioni esterne del patriarcato di Mosca, a parlare pres-
so il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che ha poi timidamente invitato le autorità
ucraine ad attenersi alle norme internazionali quando perquisiscono le chiese. A
indicare la strada che viene percorsa sono state le celebrazioni del Natale ortodos-
so nella cattedrale della Dormizione del monastero delle Grotte di Kiev, uno dei
luoghi più cari e sacri al mondo ortodosso. Fondato nel 1051 da un gruppo di
monaci che si ritirò in meditazione e preghiera nelle grotte del Monte Berestov, è
da sempre uno dei cuori pulsanti della Chiesa ortodossa russa, che peraltro nella
religiosità e spiritualità degli ucraini ha sempre trovato un grande serbatoio di
ispirazione e di vocazioni.
Quest’anno i rappresentanti della Chiesa ortodossa russa sono stati espulsi
dalle celebrazioni, che sono invece state affdate al metropolita Epifanij I (per il
mondo Serhij Petrovy0 Dumenko), metropolita di Kiev e di tutta l’Ucraina, il giova-
ne (43 anni) capo della Chiesa ortodossa ucraina autocefala, nata nel 2018 in fun-
zione palesemente antirussa sulla spinta del presidente Petro Porošenko, che con-
siderava la Chiesa ortodossa legata al patriarcato di Mosca una minaccia per la si-
curezza nazionale 18. Dal punto di vista del diritto civile e del diritto canonico è
tutto più che in regola. Il grande Monastero delle Grotte, con la sua splendida
cattedrale1 metropolita Antonyj di Volokalamsk 19, è di proprietà dello Stato e il
contratto di afftto con la Chiesa ortodossa russa-patriarcato di Mosca scadeva pro-
prio nel dicembre scorso. E la Chiesa ortodossa ucraina metropolita Antonyj di
Volokalamsk 20 è stata riconosciuta e dotata dell’autocefalia dal patriarca ecumenico
18. L’importanza che Porošenko dava al fattore religioso era in tutta evidenza anche nello slogan
scelto per la campagna elettorale del 2019: «Esercito, lingua e fede».
19. Nel 1990 il complesso è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
20. La nascita uffciale di questa Chiesa, il 15 dicembre 2018, è avvenuta tramite un «concilio di ricon-
ciliazione» con la Chiesa ortodossa ucraina-patriarcato di Kiev (fondata nel 1992 dal metropolita Fila-
ret, ovvero Mykhaylo Antonovy0 Denysenko, nell’Ucraina da poco diventata indipendente) e con la
Chiesa ortodossa autocefala ucraina. La prima nata per opera di colui che era stato il grande preten-
dente al patriarcato nel conclave del 1990 della Chiesa ortodossa russa, che aveva invece eletto Ales-
sio II. La seconda fondata nel 1921 durante la breve indipendenza ucraina, rinata nel 1942 all’ombra
dell’occupazione nazista, sopravvissuta all’estero dopo la vittoria sovietica e defnitivamente ristabili-
124 ta nel 1990 con l’indipendenza dell’Ucraina.
LA GUERRA CONTINUA
mesi dopo, il 9 giugno 2022, lo stesso Wilson Center, a frma dello stesso autore,
pubblicava un articolo intitolato «The Three Ages of Zelensky’s Presidency» 29 in cui
si prendeva invece atto del cambio di passo zelenskiano e venivano sottolineati i
crescenti consensi di un presidente poco prima quasi disprezzato.
È una realtà con cui occorre fare i conti. Zelens’kyj, che da politico improvvi-
sato è riuscito a trasformarsi nel leader autorevole di un paese in guerra, rinuncerà
agli strumenti di governo che trovano giustifcazione solo nell’attuale situazione di
crisi? Vincerà la sfda con le diffcoltà enormi di un dopoguerra in un paese che,
deposte le armi, inevitabilmente tornerà alla politica, cioè ai dibattiti e alle divisio-
ni, o sceglierà la scorciatoia dei provvedimenti di emergenza? È una domanda che
dobbiamo porci se abbiamo davvero a cuore il futuro dell’Ucraina e quello dell’Eu-
ropa, ormai strettamente legati a prescindere da qualunque accordo, trattato o
pezzo di carta ci venga presentato nei prossimi anni.
29. ID., «The Three Ages of Zelensky’s Presidency», wilsoncenter.org, 9/6/2022. 127
LA GUERRA CONTINUA
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ZAPORIŽŽJA SA
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(Giacimento
R O M A N I A
A
D.
Odessa
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Giacimenti di litio
CRIMEA
Bacino di Dnepr-Donec Bacino carbonifero
Bacino precarpatico Bacino del ferro
Bacino della Crimea
Bacino di manganese
Acciaierie che prima della guerra M a r N e r o
producevano il 50-70% di neon globale BULGARIA Gasdotti russi
LA GUERRA CONTINUA
dere. Ma alle nostre condizioni. Uno scambio indiretto con la Federazione Russa
procede comunque attraverso soggetti terzi come l’Onu o la Turchia, su temi spe-
cifci: l’accordo sul grano, i bambini deportati illegalmente in Russia, lo scambio di
prigionieri, la liberazione dei civili.
LIMES Se i russi vedessero minacciato il loro controllo sulla Crimea userebbero l’ar-
ma nucleare?
TASHEVA Il rischio c’è. Dal punto di vista russo Donec’k, Luhans’k, Kherson e Zapo-
rižžja sono ora soggetti della Federazione, perciò qualsiasi azione militare contro
questi territori equivale a una violazione dello spazio territoriale e costituzionale
russo. Specie da quando l’esercito ucraino ha liberato Kherson, la paura che Mosca
usi armi nucleari tattiche è aumentata in America ed Europa. È emersa l’idea che la
guerra sia per Kiev un’occasione di riprendersi la Crimea anche a costo di vasti
spargimenti di sangue e si è diffusa la percezione che per difendere la penisola
Mosca possa impiegare l’arma atomica. La Russia è però isolata e i suoi principali
partner, come Cina e India, osteggiano l’uso del nucleare. Non crediamo dunque
che Mosca sia davvero intenzionata a ricorrervi.
LIMES I russi esportano cereali e altre materie prime ucraine dai porti della Crimea?
TASHEVA Sì. Dall’inizio della guerra la Federazione Russa esporta dai territori occu-
pati come Zaporižžja, Kherson e Sebastopoli il nostro grano e lo rivende illegal-
mente a terzi. La procura ucraina con giurisdizione sul territorio della Crimea, co-
stretta a trasferire la sua sede a Kiev, ha denunciato per prima questi furti. Il suo
uffcio monitora costantemente i movimenti russi attraverso il Mar Nero.
LIMES A chi sono destinate queste esportazioni?
TASHEVA Ad aziende di altri paesi, specie turche. Kiev non ha mai accusato aperta-
mente la Turchia di acquistare il grano rubato in Ucraina, però ha chiesto ad An-
kara di aprire inchieste sui soggetti coinvolti.
LIMES Queste imprese rivendono poi ad altri paesi?
TASHEVA Sì. In Asia centrale e in Siria, ad esempio, sono state rilevate tracce di tali
scambi. Per strappare questo mercato illegale a Mosca, nell’ultimo anniversario
dell’Holodomor (la grande carestia del 1932-33) Kiev ha avviato un progetto uma-
nitario denominato “Grano dall’Ucraina”. Il programma è operativo da novembre
e vede la partecipazione di diversi partner come Italia, Regno Unito, Stati Uniti,
Giappone, Corea del Sud e Turchia. Questi ultimi comprano da noi il grano per poi
rivenderlo ai paesi dell’Asia centrale, dell’America latina e dell’Africa che fnora lo
acquistavano dalla Russia.
LIMES Se riprendeste il controllo della Crimea, potreste indire un referendum o di-
chiarare la penisola indipendente?
TASHEVA I tatari di Crimea otterranno probabilmente uno status speciale, ma Kiev
non ha intenzione di promuovere alcun referendum né di sostenere l’indipenden-
za della penisola. La Repubblica autonoma di Crimea è parte del territorio ucraino.
Dal punto di vista geografco è strettamente legata alla madrepatria e ne è dipen-
dente per il rifornimento di acqua, gas ed elettricità. Dall’occupazione la Russia ha 131
‘LA CRIMEA TORNERÀ UCRAINA’
133
LA GUERRA CONTINUA
ARESTOVYČ No. La posizione resta questa perché condivisa dal governo, dalla nostra
popolazione e dagli alleati occidentali, secondo cui è l’Ucraina a decidere come
fnirà il confitto. Ciò per noi include anche la riconquista della Crimea, il persegui-
mento penale dei responsabili e le indennità di guerra. A quel punto negozieremo
con qualsiasi altra persona o organo collettivo che sostituirà Putin.
Siccome Mosca ora non ha intenzione di liberare i nostri territori, le condizioni di
pace saranno defnite dopo un cambio al Cremlino. Ovvero quando chi salirà al
potere comprenderà di dover necessariamente scendere a patti con Kiev se vorrà
ottenere l’abolizione delle sanzioni occidentali.
LIMES L’ipotesi di una disgregazione dello Stato russo è verosimile?
ARESTOVYČ No. Immagino piuttosto una sostituzione della leadership e una struttu-
razione del governo su basi nuove, che permettano di riconoscere gli errori com-
piuti, di non ripeterli e di stabilire nuovi rapporti di amicizia, anche con i vicini, per
i prossimi 20-25 anni.
LIMES Gli Stati Uniti caldeggiano l’idea di trovare un accordo con chi subentrerà a
Putin?
ARESTOVYČ Agli Usa non conviene una frammentazione della Federazione Russa;
Mosca serve a Washington per contenere Pechino. Fino allo scoppio della guerra
questa ragione spingeva gli americani a mantenere i rapporti con Putin. Adesso
però il presidente russo non è più in grado di garantire tale ruolo per il suo paese;
ha offeso e ricattato le potenze occidentali, che ora lo hanno sfduciato. Non esiste
ancora un’idea comune su come sarà il mondo nell’èra post-Putin. Da una guerra
intestina tra gli ambienti politici moscoviti emergerà una persona o un gruppo che
assicurerà alla Russia il corso adeguato per la reintegrazione nella famiglia globale.
LIMES A prescindere dall’esito della guerra, l’Ucraina continuerà a confnare con la
Russia. Come immagina il rapporto tra i due Stati alla fne delle ostilità?
ARESTOVYČ Putin sparirà, la Russia no, quindi occorrerà trovare una forma di intera-
zione. Noi siamo disposti a collaborare e a raggiungere un accordo con chi succe-
derà a Putin, rispettando i reciproci interessi. A patto che il successore del presi-
dente russo riconosca il nostro diritto a una politica autonoma e che non ci consi-
deri parte della propria sfera di infuenza. Altrimenti saremo pronti a un confronto
aperto e duraturo, come avviene fra Israele e paesi arabi. Nel giro di decenni anche
i traumi di guerra si attenuano. A volte guariscono prima di quanto impieghino
persone sagge a salire al governo di certi paesi.
LIMES Quanti sono attualmente i soldati ucraini e quanti di questi sono in fase di
addestramento?
ARESTOVYČ Il totale degli uomini impiegati nel settore militare (compresa la polizia,
la Guardia nazionale eccetera) ammonta a circa un milione e 200 mila persone. I
soldati che compongono le Forze armate ucraine sono invece tra i 600 e i 700 mi-
la, di cui più o meno 200 mila sono al fronte. Vorrei sottolineare che date le fron-
tiere con la Russia, Mar Nero incluso, la Bielorussia e la Transnistria, i cinque sesti
dei confni ucraini sono attualmente circondati da truppe russe. Non posso rivelare
il numero degli uomini che si stanno preparando in Ucraina o all’estero. 137
‘SIAMO PRONTI A NEGOZIARE CON CHIUNQUE SUCCEDERÀ A PUTIN’
139
LA GUERRA CONTINUA
LA DIFESA TOTALE
SECONDO KIEV di Matteo FRIGOLI e Maurizio MARTELLINI
Per opporsi all’aggressione russa gli ucraini hanno fatto delle
risorse militari e civili un corpo unico. Anche la Russia si avvia a
seguire tale schema. Il senso delle battaglie urbane. Niente spazio
per i compromessi. È lotta per la vita.
2. Questi aspetti devono far rifettere sulla natura e sulla gravità del confitto in
atto alle porte d’Europa, sulla strategia di difesa totale intrapresa dall’Ucraina e
sull’impiego sul campo della cosiddetta New generation warfare. Dall’inizio del
confitto lo Stato ucraino è parso giustamente convinto che nonostante la crescente
preparazione delle proprie Forze armate, l’esperienza acquisita nella guerra ibrida
nel Donbas (2014-22) e i trasferimenti di tecnologia militare dall’Occidente, il suo
esercito non possedesse le capacità per opporsi effcacemente a un’aggressione
russa su un fronte esteso senza poter attingere a un notevole serbatoio di risorse
umane da mobilitare e armare. Questa consapevolezza della situazione strategica ha
mosso il parlamento ucraino a adottare nel luglio 2021 la cosiddetta legge sui fon-
damenti della resistenza nazionale. Con tale documento sono state create le basi per
la difesa totale ucraina, cui tutte le componenti dello Stato e della società sono
chiamate a contribuire in caso di una minaccia esistenziale.
Quest’ultimo obiettivo è stato perseguito attraverso tre strumenti: le forze di
difesa territoriale, il movimento di resistenza, un sistema generale di preparazione
dei cittadini.
Nella strategia di difesa totale, il concetto di resistenza è particolarmente im-
142 portante in quanto viene scandito in due modalità operative: la popolazione tutta
LA GUERRA CONTINUA
può parteciparvi, ma allo stesso tempo si istituisce un corpo più ristretto, il movi-
mento di resistenza, dotato di organizzazione, dotazione e fnanziamenti secretati,
con il compito di creare cellule all’interno dei territori ucraini temporaneamente
occupati. La strategia di difesa totale richiede all’Ucraina di resistere all’aggressore
su terra, mare, aria, nonché all’interno dello spazio informatico e informativo invo-
cando il suo «potenziale nel dominio militare, politico, economico, diplomatico,
spirituale e culturale». E impone di impegnarsi in tutte le forme di combattimento,
inclusa la guerra asimmetrica. In particolare, si prefgge l’obiettivo di infiggere al
nemico inaccettabili perdite politiche, economiche, militari o di altro genere, co-
stringendolo a fermare l’escalation e quindi la guerra.
La strategia ha avuto evidenti rifessi sulle tattiche utilizzate dall’esercito ucrai-
no. Quest’ultimo ha infatti combattuto l’avversario russo prevalentemente nelle
città. Il confitto in Ucraina è un confitto per le città piuttosto che uno scontro in
campo aperto. I combattimenti in aree urbane hanno due effetti principali: rendono
qualunque operazione offensiva russa più complessa e danno l’opportunità a for-
me di resistenza irregolare di emergere e colpire. Proprio questa tattica, caratteriz-
zata dalla dispersione della resistenza e da un modello decisionale decentralizzato,
ha permesso alle Forze armate ucraine, posizionate lungo l’immenso fronte, di in-
traprendere iniziative a livello di singolo plotone spesso essenziali per la difesa.
Tali dimensioni del confitto si legano al tipo di minaccia cui lo Stato ucraino
è sottoposto: dal punto di vista di Kiev è una guerra per la sopravvivenza. L’aggres-
sione russa individua come bersagli sia obiettivi militari sia obiettivi civili, compien-
do inoltre atroci crimini di guerra. Per questa caratteristica il confitto tende ad as-
sumere per l’Ucraina una dimensione di totalità, di lotta per la sopravvivenza
contro una minaccia esistenziale. Questa caratteristica viene rifessa nelle tattiche di
difesa totale, di formazione delle forze di difesa territoriale e di emersione di forme
di guerriglia irregolare urbana condotta da cittadini in armi.
1. Per approfondimenti si segnalano i testi seguenti: H. SHELEST, «Defend. Resist. Repeat: Ukraine’s
Lessons for European Defence», Ecfr Policy Brief, novembre 2022; E.I. KOTOULAS, W. PUSZTAI, «Geopoli-
tics of the War in Ukraine», Foreign Affairs Institute, giugno 2022; O.C. FIALA, «Resilience and Resistan-
ce in Ukraine», smallwarsjournal.com, 31/12/2022; Per la legge «Sui fondamenti della resistenza na-
zionale» si veda zakon.rada.gov.ua, 2022; «President signed laws on national resistance and increasing
the number of the Armed Forces», President of Ukraine, offcial website; H.I. SUTTON, «Why Ukraine’s
Remarkable Attack On Sevastopol Will Go Down In History», navalnews.com, 17/11/2022; G. WOLO-
SHYN, E. STAKIV, «Ukraine’s “Total Defense”: A Critique», bintel.org.ua, 19/1/2022. 145
LA GUERRA CONTINUA
Parte II
EUROPEI PERDENTI
TURCO VINCENTE
LA GUERRA CONTINUA
LIMES C’era una volta l’Italia che inventò la Quarta Sponda. Oggi nel Mediterraneo
sembriamo non esserci più. Che succede?
MINNITI Non siamo più capaci di leggere e interpretare cosa avviene nel mondo
perché siamo disabituati a misurare il peso delle parole. Ci troviamo di fronte a
un tornante decisivo dopo il quale nulla sarà come prima. Eppure, non ce ne
stiamo accorgendo.
Partiamo dal confitto in Ucraina. Che è insieme rottura della storia e brusca
svolta della contemporaneità. Innanzitutto, la guerra non è conclusa. Né sappia-
mo quando fnirà perché non ne conosciamo l’orizzonte effettivo. Se qualcuno,
il 24 febbraio 2022, ci avesse detto che il confitto dopo un anno non sarebbe
fnito, non gli avremmo creduto. E invece la convivenza con una guerra lunga,
allargata, sta diventando possibile. Persino l’idea di convivere con un 38° paral-
lelo – la linea che ha permesso di congelare la guerra di Corea – nel cuore d’Eu-
ropa sta diventando l’unica ipotetica soluzione. Parallelamente, l’interconnessio-
ne del nostro mondo non è cambiata. Anzi, neanche quel contrasto icastico tra
lockdown e interconnessione rappresentato dall’epidemia è riuscito a raffredda-
re il sistema globale.
Di qui, le grandi onde d’urto che dall’Ucraina partono e hanno un rifesso, così
come una soluzione, nel Mediterraneo. La prima onda d’urto è quella energetica.
L’Europa risolverà la crisi dell’energia iniziata in Ucraina nel Mediterraneo allargato,
da Algeri al Cairo. Poi c’è la crisi alimentare, di cui non conosciamo l’esito. In Eu-
ropa se si parla di impennata infattiva si pensa ai prezzi del carburante. In Africa
al rincaro dei beni di prima necessità, dal grano al pane. Il rischio di un dramma
irrisolto è la destabilizzazione generale di un’area intera.
Caso di scuola è la Tunisia. L’unico paese dell’Africa settentrionale ad aver attraver-
sato, dopo il 2011, un processo democratico viene ora piegato dalla crisi economi- 149
‘IL MIO PIANO PER L’AFRICA’
ca: l’infazione genera disaffezione politica, quindi tensioni sociali sempre più forti,
con appena l’8% della popolazione che a dicembre si è recato a votare e il reclu-
tamento di tantissimi giovani nelle fle dello Stato Islamico.
LIMES Ecco, le «primavere arabe». Cosa è successo nel 2011?
MINNITI Noi europei abbiamo lasciato un popolo da solo. Ci siamo fermati prima
di raggiungere l’obiettivo. Perciò, abbiamo enormi responsabilità nell’esito falli-
mentare delle «primavere arabe». Non ho alcuna nostalgia del colonnello Muammar
Gheddaf, ma l’intervento militare in Libia su iniziativa franco-britannica è stato
disastroso. E siamo stati incapaci di comprenderlo. Stesso errore commesso in Af-
ghanistan, che si è aggiunto ai precedenti di Iraq e Libia. Tutte esperienze che
hanno trasmesso il messaggio secondo cui le grandi democrazie sono capaci nella
promozione di iniziative militari, ma incapaci di dare continuità politica alle opera-
zioni belliche. La storia della Libia è emblematica. In quell’iniziativa militare le
componenti particolarmente egoistiche, ossia quella britannica e quella francese,
sono emerse quando le truppe di Õaftar hanno circondato Tripoli nel 2019. Di
fronte alla richiesta di aiuto di Fåyiz al-Sarråã, capo del governo formalmente rico-
nosciuto dalle Nazioni Unite e per cui ci eravamo battuti, l’Europa è stata riluttante.
Si è girata dall’altra parte. Lo stesso avviene con la maggior parte delle convenzio-
ni internazionali che sono segnate da grande ambiguità.
Basti pensare alla Conferenza di Berlino del 2020. Sulla carta, si decise l’embargo
di tutte le armi verso la Libia. Nella realtà, ecco le immagini delle navi turche che
consegnano armi sulle coste libiche. Nulla è avvenuto di quanto stipulato. Perché
le grandi conferenze hanno il baco della grande ipocrisia. Insomma, si sa che cer-
ti princìpi sono frmati per essere disattesi. Non esiste solo l’assolutezza del dogma.
Esiste la black diplomacy. L’Europa non ha né l’una né l’altra cosa.
LIMES A differenza delle grandi potenze imperiali.
MINNITI Il problema è proprio questo: nel 2019, con l’ingresso della Turchia in Tri-
politania e della Russia in Cirenaica, abbiamo avuto il coronamento di due sogni
imperiali che si materializzano entrambi sulla Quarta Sponda.
Il primo sogno è quello dei russi. Arrivando in Cirenaica, Vladimir Putin compie il
passo defnitivo di un disegno – imperiale e non neosovietico, necessario distin-
guere – in grado di toccare tre vette: Artico, Siria, Libia. Il tutto senza colpo ferire.
E proprio per l’assenza di una risposta occidentale il disegno è proseguito in Ucrai-
na. Putin ha approfttato del caos e ora persegue il caos. Prima del 24 febbraio, il
presidente russo aveva fatto votare alla Duma l’annessione del Donbas. La protesta
dell’Occidente non era stata sensazionale. Così, di fronte a un processo tattico im-
portante, Putin pensa di poter andare oltre perché tutto può essere preso con la
forza. Soprattutto l’Ucraina. Guerra utile anche per capire quanto, nonostante tutto,
resta fondamentale e strategico il Nord Africa. Per quale ragione la Russia, in evi-
dente diffcoltà militare in Ucraina, dopo una mobilitazione parziale e dopo aver
aumentato di 1,5 milioni gli effettivi delle sue Forze armate, non pensa di ritirare
gli uomini del Gruppo Wagner da Cirenaica, Sahel e Repubblica Centrafricana per
150 spostarli in Donbas? Come mai, prima di aprire una tensione interna col suo popo-
LA GUERRA CONTINUA
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che è stato rimosso dai progetti
di comune interesse europeo)
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(Esistente)
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lo, Putin non ritira le truppe da altri contesti? Perché la Russia continua a pensare
all’Africa come a un quadrante strategico fondamentale. Perché Putin ritiene che
l’Europa possa essere stretta in una morsa che è la stessa morsa dell’Africa.
LIMES E poi c’è il disegno imperiale turco.
MINNITI Che è parallelo a quello russo. E questo rappresenta un unicum nella sto-
ria, perché prima russi e turchi si ammazzavano. Ora no. Ora russi e turchi compe-
tono e cooperano. Soprattutto in Nord Africa. La dimensione imperiale turca è
importante per capire come essere leader a livello internazionale permetta di esse- 151
‘IL MIO PIANO PER L’AFRICA’
re leader in casa propria. Il presidente Recep Tayyip Erdoãan si sta giocando tutto
sulla dimensione globale di Ankara. Nonostante un’infazione che oscilla tra il 60 e
l’85%, la Turchia non è mai stata messa fnanziariamente alle corde. Perché il suo
ruolo nel mondo è troppo importante. Questa dev’essere una lezione per tutti: il
ruolo geopolitico produce consenso interno. Nel mondo interconnesso l’interesse
nazionale si gioca fuori dai confni nazionali e dentro il contesto internazionale.
Il 24 febbraio 2022 la Russia invade l’Ucraina. La Turchia sostiene Kiev vendendole
armi. Ma, unico membro della Nato, non impone sanzioni a Mosca. Poi però non
riconosce l’esito del referendum di annessione del Donbas. E svolge un ruolo stra-
ordinario nel mondo perché è l’unica potenza in grado di dare risonanza alle Nazio-
ni Unite che, altrimenti, non avrebbero avuto alcuna voce in capitolo. Così Ankara
fa frmare alle parti in guerra l’accordo per il grano. Un capolavoro diplomatico.
LIMES All’appello manchiamo noi europei.
MINNITI L’Europa non capisce che nel Mediterraneo allargato si gioca il proprio
ruolo nel mondo. Perché Africa ed Europa sono due entità speculari. Non è pen-
sabile la prosperità dell’Africa senza l’Europa. Non è pensabile un assetto stabile
dell’Europa senza l’Africa.
Entrambe vivono tre crisi tra loro collegate e tra loro risolvibili. Quella energetica,
quella alimentare, ma soprattutto quella demografca. In senso opposto: l’Europa
non fa fgli, l’Africa ne fa tanti. Ed è nella crisi demografca che si gioca il futuro
della cooperazione tra i due continenti. Perché la crescita della popolazione è un
fattore di potenza. Guardiamo alla Cina: i dati più recenti mostrano il primo declino
demografco dal 1963. Pechino si sente più debole, vede il calo come un collasso,
tutti i media internazionali ne parlano. Ma nessuno parla con analoga enfasi della
crisi demografca che da anni attanaglia diversi paesi dell’Europa, dall’Italia alla
Germania e non ultima la Francia. Caso opposto è l’India, che invece sarà sempre
più protagonista grazie all’incremento della popolazione.
Di nuovo, il problema della retorica irrealistica e dell’incapacità di connettere i
problemi. Non dobbiamo parlare di fussi migratori. Si chiama crisi demografca e
si tratta di squilibri demografci. Un problema che l’Europa può risolvere proprio
con l’Africa. Nel mondo interconnesso il fattore umano conta sempre di più. L’Eu-
ropa ha bisogno di materiale umano ma è in crisi di natalità perché il fenomeno
demografco è drammatico e mal governato. Non capiamo che lasciare la gestione
degli spostamenti di esseri umani ai traffcanti signifca consegnare loro le chiavi
delle nostre democrazie. Anche gli Stati Uniti, che hanno scelto il Pacifco come
teatro strategico principale, hanno bisogno di un’Europa autonoma in grado di
occuparsi del Mediterraneo.
Ma l’Europa si sta geopoliticamente suicidando. Anche in Ucraina. Certo, siamo
rimasti uniti di fronte alla guerra. Però, nella mia visione, pensavo che dovessimo
diventare un grande attore internazionale capace di farsi promotore di pace, ad
esempio con un accordo sul grano. L’Europa non è stata capace di farlo perché
non ha colto la centralità del Mediterraneo allargato. Perché tutti gli europei hanno
152 una tattica, ma nessuno ha una visione.
LA GUERRA CONTINUA
154
LA GUERRA CONTINUA
LE SANZIONI
TRA MASCHERA
E VOLTO MARONTA di Fabrizio
1. N. BERTRAND, K.B. LILLIS, «Russian sanctions slow to bite as US offcials admit frustrations over pace
of pain in Moscow», Cnn, 16/9/2022. 155
LE SANZIONI TRA MASCHERA E VOLTO
2. AA.VV., «Financing Putin’s war: Fossil fuel exports from Russia in the frst six months of the invasion
of Ukraine», Crea, 6/8/2022.
3. E. TERAZONO, «Russian fertiliser export revenue surged 70% in 2022 as prices jumped», Financial
Times, 15/1/2023.
4. AA.VV., «How have sanctions impacted Russia?», Bruegel, 26/10/2022.
5. F. MARONTA, «La madre di tutte le sanzioni è un’arma spuntata», Limes, «La Russia cambia il mondo»,
156 n. 2/2022, pp. 87-99.
LA GUERRA CONTINUA
6. Sul tema, cfr. A. DEMARAIS, «The End of the Age of Sanctions?», Foreign Affairs, 27/12/2022.
7. F. MARONTA, op. cit.
8. «Factbox: What is China’s onshore yuan clearing and settlement system CIPS?», Reuters, 28/2/2022. 157
158
SI FA PRESTO A DIRE SANZIONI PAESI BASSI 1 - ESTONIA 7 - ROMANIA SLOVACCHIA
BELGIO 2 - LETTONIA 8 - BULGARIA UNGHERIA
LUSSEMBURGO 3 - LITUANIA 9 - ALBANIA CROAZIA
4 - POLONIA 10 - GRECIA SLOVENIA
5 - GERMANIA 11 - MALTA
6 - REP. CECA 12 - CIPRO
FINLANDIA
SVEZIA
ISLANDA
Alaska NORVEGIA
(STATI UNITI)
DANIMARCA F EDE RA ZIONE RU SSA
LE SANZIONI TRA MASCHERA E VOLTO
Russia sanzionata
Paesi che hanno imposto GUIANA FR.
sanzioni contro la Russia
PAESI PIÙ ESPOSTI <2% VOLUME DEGLI SCAMBI (dopo l’invasione)
AL COMMERCIO 2%-3% India +310 %
CON LA RUSSIA 3%-6% Turchia +198 %
(prima dell’invasione) >6% Brasile +106 %
Belgio + 81 %
Cina + 64 % AUSTRALIA
Paesi Bassi + 32 %
Giappone + 13 %
Germania - 3 %
Corea del Sud - 17 %
Stati Uniti - 35 %
Svezia - 76 % Dati paragonati NUOVA ZELANDA
Regno Unito - 79 % alla media mensile
del periodo 2017-2021
Fonte: Peterson Institute for International Economics; Eiu
LA GUERRA CONTINUA
lute. Anche in questo campo, la Cina è capofla: circa 300 milioni di cinesi (grosso-
modo la classe media del paese) usano oggi il renminbi digitale in oltre 20 città 9
tra cui ovviamente Pechino, Shanghai e Shenzhen, che da sole fanno 60 milioni di
abitanti. Alle Olimpiadi invernali di Pechino del 2022 i pagamenti potevano essere
effettuati con Visa o moneta (cinese) elettronica. L’anno prima, il governo cinese
aveva stretto accordi con Emirati e Thailandia per regolare le pendenze commer-
ciali con tale strumento. Emesso dalla Banca centrale cinese, il conio digitale è
detenuto in portafogli elettronici archiviati nelle memorie degli smartphone di chi
li usa, dunque gli Stati Uniti non hanno modo di inibirne l’uso. Fatte salve, forse,
vaste operazioni di hackeraggio in stile nordcoreano, che tuttavia presentano serie
controindicazioni d’immagine, legali e diplomatiche (essendo veri e propri atti
d’aggressione).
Oltre a depotenziare le sanzioni, questi e altri metodi creano enormi coni
d’ombra in cui veicolare fussi fnanziari illeciti – evasione, riciclaggio, traffci ille-
gali, terrorismo – sottraendoli allo sguardo delle autorità statunitensi e degli altri
paesi intenti a contrastarli.
3. Nel caso specifco della Russia e della guerra in corso, l’aggiramento delle
sanzioni avviene soprattutto mediante alcuni stratagemmi 10. Il petrolio è esportato
occultandone l’origine. Come? Mescolandolo – in mare aperto o presso porti di
paesi compiacenti – con greggio di altra provenienza, da cui un mix noto come
miscela lituana o turkmena. Se il petrolio russo presente nel mix è inferiore al 50%,
normativamente la miscela non è più di origine russa ed è così sdoganata.
L’esclusione dai principali circuiti di pagamento elettronico (Visa, Mastercard,
American Express) è invece attenuata attraverso il cosiddetto turismo delle carte di
credito. Soggetti russi e bielorussi – persone fsiche e giuridiche – sanzionati apro-
no conti presso banche di paesi non sanzionati (12 mila al marzo 2022 nel solo
Kazakistan) 11: non possono usarne le carte su sistemi e in negozi russi, ma posso-
no pagarci servizi stranieri e abbonamenti online.
Lo schema forse più effcace, tuttavia, è l’import parallelo 12: l’importazione di
beni leciti – nel senso di ammessi al consumo e non contraffatti – senza il consen-
so del produttore. Consenso sovente impossibile da ottenere, essendo a oggi oltre
mille le aziende – di ogni comparto e dimensione – uffcialmente ritiratesi dal mer-
cato russo 13. La scappatoia è squisitamente giuridica e ineliminabile, perché con-
naturata all’estrema ramifcazione dei commerci internazionali. Si chiama «decaden-
za del diritto d’autore» (copyright exhaustion) e prevede che il diritto del fabbrican-
9. A. HULD, «China Launches Digital Yuan App – All You Need to Know», China Briefng, 22/9/2022.
10. «Top Ten Most Common Russian Sanction Evasion Schemes», Integrity Risk International,
10/8/2022.
11. «Citizens of Russia, Belarus open about 12,000 banks accounts in Kazakhstan since Feb 24», Inter-
fax, 8/4/2022.
12. A. PANDEY, «How Russia is dodging Western sanctions», DW, 18/8/2022.
13. «Over 1,000 Companies Have Curtailed Operations in Russia – But Some Remain», Yale School of
Management, 9/1/2023. 159
160
SANZIONI AGGIRATE STRUMENTI FINANZIARI ANTI-SANZIONI STRUMENTI COMMERCIALI ANTI-SANZIONI
PAESI CHE NON APPLICANO Relazione diretta tra banche centrali Export di idrocarburi
LE SANZIONI ALLA FED. RUSSA dei paesi che hanno rapporti con la Federazione Russa Mescolanza di petrolio russo con altri greggi
Sviluppo di circuiti interbancari alternativi provenienti da paesi consenzienti nei porti
Principali paesi che aiutano la Fed. Russa o in mare aperto (miscela lituana o turkmena)
ad aggirare i canali d’import ufciali (Cips, Cross-Border Interbank Payment
in sostituzione dello Swift) Import parallelo
Paesi attraverso cui avvengono Valute digitali Beni leciti ammessi al consumo nella Fed. Russa,
altre operazioni di aggiramento (versione digitale delle monete sovrane) che non hanno più bisogno del consenso del produttore,
importati con una triangolazione attraverso
Turchia, Bielorussia, Armenia o Kazakistan
LE SANZIONI TRA MASCHERA E VOLTO
SVIZZERA
F E D E R A Z I O N E R U S S A
Settori industriali russi
BIELORUSSIA in grave crisi per le sanzioni: SAKHALIN II e III
UNGHERIA Mosca - Automobilistico
- Estrazione minerali ferrosi Power of Siberia
BOSNIA ERZ. - Estrazione del carbone (Progetto)
SERBIA KRASNOJARSK
MOLD. Oblast’ di Kemerovo
(cuore del settore JAKUTIA Blagoveščensk
carbonifero russo)
IRKUTSK
C I N A
(maggior benefciario
TURCHIA delle importazioni
GEORGIA di idrocarburi russi)
KAZAKISTAN Centri di produzione
ARMENIA di gas orientati verso
AZERB. COREA DEL NORD
SIRIA il mercato asiatico Paese alleato
Krasnojarsk della Fed. Russa
EGITTO KIRG. Irkutsk
IRAQ SVIZZERA
TAG. Jakutia Centrale per il sistema
IRAN Sakhalin di pagamento internazionale Swift,
Guerra in Ucraina PAK. ma anche connessione
INDIA Giacimenti siberiani di gas economico-fnanziaria per la Fed. Russa
LA GUERRA CONTINUA
te al controllo del proprio prodotto decada con la prima vendita dello stesso. Ogni
ulteriore cessione a titolo oneroso affranca il rivenditore dal rispettare le volontà
del fabbricante sulla destinazione fnale del bene. La ratio è consentire di dirottare
merci dove e quando serve nei complessi mercati internazionali; in pratica, questo
consente alla Russia – o a ad altri sanzionati – di importare ciò che non potrebbe.
Per questo già a maggio 2022 Mosca ha pubblicato una prima lista (poi ampliata)
di beni importabili attraverso schemi paralleli che includeva prodotti strategici co-
me mezzi da guerra, ricambi per auto e treni o componentistica elettronica, ma
anche elettrodomestici, vestiario, calzature, cosmetici. Tra i marchi loro malgrado
(?) coinvolti fgurano molte aziende occidentali arcinote. Con la pubblicazione del-
la lista, il Cremlino autorizzava gli operatori nazionali ad aggirare i canali d’impor-
tazione uffciali, spesso mediante triangolazioni con paesi dello spazio ex sovietico
(in particolare Kazakistan, Armenia e Bielorussia) e con la Turchia. L’ente statistico
russo (Rosstat) calcola che nel 2022 le importazioni parallele abbiano toccato i 16
miliardi di dollari, contro un crollo delle importazioni uffciali che altre stime col-
locano tra il 50% e il 70% 14.
Infne, le società russe sanzionate possono operare ristrutturazioni aziendali
volte a occultare i benefciari ultimi dei beni sanzionati. Caso tipico è quello degli
oligarchi che liquidano i loro asset trasferendoli ad amministratori fduciari. Dal
Chelsea di Abramovi0 in giù (o in su), gli esempi abbondano.
Questo stato di cose concorre a spiegare l’impatto sin qui relativamente con-
tenuto delle sanzioni sulla Russia e sulle controparti fortemente esposte come l’Ita-
lia 15. Sulla carta l’embargo pregiudica oltre il 44% dell’interscambio italo-russo, per
un valore di circa 10 miliardi di euro (rispetto al 2019). Il controvalore dell’export
italiano sanzionato è di circa 4 miliardi di euro, a valere soprattutto su meccanica,
legno-arredo, tessile-abbigliamento, alimentare e beni di consumo. L’impatto reale
nel 2022 non ha però superato il miliardo di euro, mentre per il 2023 dovrebbe
attestarsi sotto i 2 miliardi. Al netto degli aggiramenti, infatti, non tutti i 4 miliardi
di export sanzionato (dalla Ue o dall’America per via secondaria) sono effettiva-
mente bloccati, in ragione dei criteri di deroga.
Situazione simile per l’import sanzionato, pari a circa 6 miliardi di euro (sem-
pre rispetto ai volumi del 2019). L’embargo su greggio e prodotti petroliferi (5 mi-
liardi di euro) ha prodotto effetti marginali (circa 400 milioni) nel 2022, essendo
scattato solo il 5 dicembre. Nel 2023 l’ammanco è potenzialmente ben maggiore,
ma l’impatto effettivo sull’economia italiana andrà calcolato solo e nella misura in
cui i medesimi beni importati da mercati alternativi costeranno di più. Per quanto
riguarda greggio e derivati, la voce più importante, price cap europeo e recessione
asiatica potrebbero continuare a calmierare i prezzi (il Brent, riferimento europeo,
14. Z. DARVAS, C. MARTINS, «Russia’s huge trade surplus is not a sign of economic strength», Bruegel,
8/9/2022.
15. I seguenti dati sono tratti da un rapporto di Awos (A World Of Sanctions) pubblicato in GeoTrade,
n. 4, agosto 2022, «La bomba delle sanzioni», una cui sintesi si trova in «Sanzioni alla Russia: sotto
restrizione il 44% dell’interscambio con l’Italia», Notizie geopolitiche, 20/12/2022. 161
LE SANZIONI TRA MASCHERA E VOLTO
Minerali Panasonic, Rio Tinto, Iluka, Scania, Volkswagen, Volvo, Land Rover, Renault,
Porsche, Ferrari, Toyota, Daf, Bugatti (tra gli altri).
Sostanze inorganiche, composti chimici organici, Henkel, EnviroFALK, Edgewell Personal Care, Johnson & Johnson (tra gli altri).
prodotti farmaceutici
Coloranti, pigmenti, tinture, oli essenziali, L’Oréal, Cacharel, Diesel, Oral-B, Gillette, Old Spice, Fiberfrax, Rema, Mato, Gcp
profumeria, cosmetici, saponi, detersivi, cere, Italiana, Bentonorit, Bonderite (tra gli altri).
sostanze proteiche, enzimi, esplosivi, agenti
pirotecnici, altri prodotti chimici
Plastiche, gomme e derivati Fhf, Siemens, Henkel, Thunderfex, Emer, Rema, Michelin, Goodyear,
Bridgestone, Bosch, Vickers, Scania, Chevrolet, BMW, Maserati, Wabco, Volvo,
Daf (tra gli altri).
Pellame e pellicce Indipendentemente da marchio e produttore.
Carta Indipendentemente da marchio e produttore.
Seta, lana, cotone e tessuti derivanti da altre Dessau, Siemens, Mühlen Sohn, Gore, ZAB Zementanlagenbau, più altri
piante, flati artifciali indipendentemente da marchio e produttore.
Vestiario Indipendentemente da marchio e produttore
Calzature, copricapi, ombrelli Indipendentemente da marchio e produttore.
Prodotti in pietra, ceramiche, vetro Eltra, Leko, FLSmidth, Refratechnik Cement, Hermes, Yamaha, Bando,
ContiTech, Land Rover, Hummer, Bentley, Maybach, Smart, Man, Peterbilt,
Kenworth (tra gli altri).
Metalli scuri, rame, alluminio, piombo, zinco, Aeroni, Dms, Griggs Steel, Wabtec, Bosch, Siemens, Scania, Mercedes-Benz,
latta e derivati Volkswagen, Daf, Mitsubishi, Chevrolet, Lamborghini, Wabco, Aleastur,
Asturiana de Aleaciones, Reading Alloys, più altri indipendentemente da
marchio e produttore.
Utensili Wikus, Pryor, Hilti, Knipex, Atlas Copco, Kyocera, Berg, Eltool, Faro, Seco,
Cadillac, Gmc, Lincoln, Subaru, Honda, Volkswagen, Bugatti, più altri
indipendentemente da marchio e produttore.
Altri beni fatti di metalli non pregiati Scania, Bosch, Mitsubishi, Land Rover, Hummer, Dodge, Audi, Porsche, Ferrari,
Peterbilt, Volvo, Kenworth, Freightliner (tra gli altri).
Reattori nucleari, caldaie, unità meccaniche e Trellix, Mtu, Omvl, Valtek, Cummins, Volvo, Scania, Volkswagen, Ecomotive
attrezzature Solutions, Detroit Diesel, Wilo, Lowara, HiRef, Electrolux, Metabo,
Siemens, Tenova, Delonghi, Midrex, Rotofx, Abb, Dessau, Daikin, più altri
indipendentemente da marchio e produttore.
Macchinari elettrici, registratori audio/video, Abb, Siemens, General Electric, Philips, Nippon, Panasonic, Epcos, Traco
videogiochi e loro parti Electronic, Euroquartz, Rockwell, Schneider Electric, Renata, Gauss Magneti,
Energizer, GoPro, Electrolux, De’ Longhi, Apple, Siemens, Scania, Nokia,
Logitech, Bose, Kyocera, Intel, Hp, Daimler, Volkswagen, Lamborghini,
BMW, Maybach, Man, Aston Martin, Scania, Volvo, Xbox, PlayStation (Sony),
Nintendo (tra gli altri).
Motori ferroviari, materiale rotabile, Dellner, Alfred Heyd, ZF Friedrichshafen, Bontatrans Group, Faiveley Transport
162 attrezzature ferroviarie Bochum, WelserProfle, Itt Holdings (tra gli altri).
LA GUERRA CONTINUA
BENI PRODUTTORI
Veicoli terrestri e loro parti Hummer, Mercedes-Benz, Crysler, Bentley, Gm, Cadillac, Maserati, Volkswagen,
Seat, Skoda, Bugatti, Subaru, Audi, Bosch, Vickers, Knorr-Bremse, Volvo, Rolls-
Royce, Porsche, Honda, Nissan, Scania, Man, Daf, Infniti, Jaguar (tra gli altri).
Natanti Indipendentemente da marchio e produttore.
Strumenti ottici, fotografci, di misurazione, Conteg, Hp, Ninebot, Apc, Tripp Lite, Siemens, Schneider Electric,
medici e chirurgici Aic, Powercom, Vertiv, Mercedes-Benz, Jeep, Kenworth, più altri
indipendentemente da marchio e produttore.
Orologi e loro parti Apple, Acer, Samsung, Motorola, Sony, Siemens.
Strumenti musicali Pirastro, Besson, Bulgheroni, Graph Tech, Höfner, Savarez (tra gli altri).
Armi e sistemi d’arma Indipendentemente da marchio e produttore.
Mobili, illuminazione, materiali edili Land Rover, Jeep, Jaguar, Mercedes-Benz, Freightliner, Mack Trucks, Peterbilt
(tra gli altri).
Prodotti fniti vari O.B., Carefree, Lovular, Merries, Moony, Synergetic, più altri
indipendentemente da marchio e produttore.
è passato dai 120 dollari di marzo agli 80 attuali). Molti più danni, insomma, ha
fatto la via crucis dell’economia cinese infitta dalla politica «zero Covid» di Xi Jin-
ping, al cui svelto disconoscimento molti – in Italia e altrove – guardano per discer-
nere l’immediato futuro dell’economia globale.
Il gas rimane fuori dal discorso, in quanto il suo ammanco si deve alla scelta
russa di ridurre drasticamente le forniture via tubo. Ciò nulla toglie all’impatto in-
fattivo della mossa, anche se fnora clima mite, stoccaggi pieni e approvvigiona-
menti alternativi (Nord Africa, Stati Uniti, Qatar) hanno tamponato l’emergenza. Ma
il primo è aleatorio, i secondi diffcilmente ripristinabili in egual misura alle soglie
dell’inverno 2023-24 stante l’indisponibilità del gas russo, i terzi – specie il gnl d’Ol-
treoceano – strutturalmente più cari.
Resta che le sanzioni non sono la cappa impenetrabile che gli estensori spera-
vano. Assomigliano piuttosto a uno scolapasta, dai fori più o meno grandi (a se-
conda dei settori considerati) ma comunque impossibili da tappare tutti. Per questo
il 2 dicembre scorso la Commissione europea ha sentito l’urgenza di proporre
l’armonizzazione delle normative nazionali sulla violazione dei pacchetti sanziona-
tori, da rendere penalmente rilevanti ed egualmente sanzionabili in tutti gli Stati
dell’Unione. Ciò in quanto «è essenziale che le misure restrittive siano pienamente
rispettate e che la loro violazione non paghi» 16. Accompagna la proposta una lunga
«lista dei reati connessi alla violazione delle sanzioni», catalogo di Arsenio Lupin
che bene illustra la sottile arte del contrabbando.
16. «Ukraine: Commission proposes to criminalise the violation of EU sanctions», Commissione euro-
pea, 2/12/2022. 163
LE SANZIONI TRA MASCHERA E VOLTO
17. V. MILOV, «Beyond the Headlines: The Real Impact of Western Sanctions on Russia», Wilfried Mar-
tens Centre for European Studies, novembre 2022.
18. C. OSTROFF, «How Russia’s Central Bank Engineered the Ruble’s Rebound», The Wall Street Journal,
164 28/3/2022.
LA GUERRA CONTINUA
Import
di petrolio
Import
di gas
Import
di carbone
Import
di oro
Import di metalli
(es. ferro, acciaio)
Export
di metalli
Export di beni
di lusso
Import di beni
di lusso
Export
di tecnologia
Oscuramento
media ufciali russi
Export di servizi
avanzati (es. consulenze,
contabilità)
Restrizioni accesso
a fondi Wb e Fmi
Revoca clausola
nazione più favorita
Acquisti
di debito
19. V. MILOV, op. cit.; «Impact of sanctions on the Russian economy», Consiglio europeo, 19/12/2022;
S. ONGENA, A. PESTOVA, M. MAMONOV, «The price of war: Macroeconomic effects of the 2022 sanctions
on Russia», Centre for Economic Policy Research (Cepr), 15/4/2022; H. SIMOLA, «War and sanctions:
Effects on the Russian economy», Centre for Economic Policy Research (Cepr), 15/12/2022.
20. «Estimated steel production in Russia from January 2021 to November 2022», Statista, 9/1/2023;
«Russian steel output expected to grow 4% in 2023 after falling 5.5% in 2022 - strategy of the steel
industry», Interfax, 9/1/2023.
21. «Cumulative gas exports by Gazprom to the far abroad from January to December 2022», Statista,
3/1/2023.
22. G. HOWARD, «Russian coal exports down, tonne-miles up», Seatrade Maritime News, 20/10/2022.
166 23. M. PLOEGMAKERS, «Russia moves to end import dependence on seeds», All About Feed, 15/11/2022.
LA GUERRA CONTINUA
parco macchine agricole, settore dominato dai grandi produttori americani, giap-
ponesi ed europei.
tutto incapace di produrre da sé. Quel poco di produzione nazionale è stata vero-
similmente compromessa 27 visto che componentistica, materie prime (di cui la
Russia dispone, ma che vanno raffnate) e macchinari sono di provenienza statuni-
tense, europea e asiatica.
Mosca non ha risparmiato gli sforzi per tenere in piedi canali d’importazione
parallela della microelettronica. Tra marzo e ottobre il paese ha importato compu-
ter e relativa componentistica per 2,6 miliardi di dollari, quasi 800 milioni dei
quali di produttori occidentali 28: soprattutto le americane Intel, Amd (Advanced
Micro Devices), Texas Instruments e Analog, oltre alla tedesca Infneon, i cui com-
ponenti sono sistematicamente rinvenuti nei resti delle armi più sofsticate usate
dai russi in Ucraina. A garantire questo fusso è una galassia di importatori oscuri
operante da Cina (Hong Kong), Turchia e altri paesi non sanzionanti. Ma in alcuni
casi anche dalla Ue, come appurato in relazione a un intermediario che agiva da
Tallinn (Estonia).
Eppure, malgrado gli sforzi la Russia accusa scarsità di schede video, memorie,
processori e componentistica cruciale per le telecomunicazioni, tanto che nel 2022
il mercato dei computer usati è esploso 29. A risultare penalizzate non sono solo
l’industria bellica, quella dell’auto e la miriade di altre fliere civili che incorporano
microelettronica, ma anche le infrastrutture nazionali: dalle reti di telecomunicazio-
ni (la cui manutenzione diviene più diffcile e onerosa) al settore bancario, che
banalmente fatica a manutenere e aggiornare i bancomat. La penuria non riguarda
infatti solo l’hardware, ma anche i software proprietari di norma associati ai sistemi
informatici complessi.
stimare gli aumenti dei prodotti di base e a sottorappresentare il cibo nel suo pa-
niere statistico, pertanto è probabile che il dato reale sia ben maggiore. Riprova ne
è che malgrado il miracoloso deprezzamento del dollaro sul rublo alla Borsa di
Mosca, i prezzi al consumo – anche dei beni importati – non sono calati in misura
proporzionale. Segno che il valore reale della divisa russa è sostanzialmente mino-
re. Dove invece il rublo artifcialmente forte fa la differenza, in negativo, è nel
commercio estero: nel 2022 le esportazioni di prodotti non energetici sono calate
di circa il 17% in volume 32, sebbene i principali acquirenti – Cina, Bielorussia, Ka-
zakistan, Turchia – non applichino sanzioni.
Resta la domanda delle domande: quanti soldi ha il governo russo? Risposta:
pochi per compensare il deterioramento strutturale della sua posizione economi-
co-fnanziaria; abbastanza per continuare la guerra in una logica (lucidamente
folle) del tutto per tutto. La spia è l’ammontare del Fondo sovrano russo, i cui da-
nari – frutto pressoché esclusivo dei proventi di gas e petrolio accumulati in passa-
to – sono conservati sui conti del ministero delle Finanze presso la Banca centrale.
A inizio ottobre 2022 il fondo totalizzava quasi 11 mila miliardi di rubli, pari a 166
miliardi di dollari al cambio reale, che è di circa 15 centesimi di dollaro per rublo 33.
Di questi, tuttavia, «solo» 113 miliardi (di dollari) sono effettiva liquidità, il resto
essendo investito in azioni, obbligazioni e altri asset fnanziari di grandi aziende
russe, diffcilmente disinvestibili senza perdite secche sul valore nominale e senza
aggravare la posizione degli emettitori.
Al ritmo attuale di spesa – per esigenze belliche e per compensare i danni
delle sanzioni – è plausibile che la liquidità del fondo si esaurisca in 18-24 mesi,
ma se il confitto si intensifca (specie con il ritorno della bella stagione) e le con-
dizioni socioeconomiche interne si aggravano, il depauperamento può accelerare.
Al che Mosca può scegliere: disinvestire la porzione azionario-obbligazionaria,
emettere debito, stampare moneta. O un mix delle tre opzioni. In ogni caso, con
notevoli controindicazioni. Rispettivamente: aggravamento della crisi industriale;
drastico aumento del debito (il premio di rischio sui titoli russi sarebbe elevato,
ammesso e non concesso che la Cina, unico paese in grado di acquistarne grandi
quantità, si presti all’esercizio), avvitamento dell’infazione.
Vista dall’Ovest, ce n’è abbastanza per considerare probabile se non imminen-
te il collasso del fronte interno russo: rivolte di piazza e cambio di regime, che visti
i precedenti storici (1917, 1991) implicherebbe forse il collasso dello Stato russo.
Tuttavia, se la Russia è Occidente – i russi stessi si arrovellano sul tema – lo è a
modo suo. In totale assenza di opposizione, di spazi di dissenso per una cittadi-
nanza critica e organizzata, di élite dirigenti estranee al sistema putiniano, e stante
la popolarità di un confitto ritenuto giusto dai più perché venduto e accettato co-
me guerra difensiva contro un «Occidente collettivo» sprezzante e minaccioso, non
stupirebbe se il Cremlino proseguisse imperterrito per la sua strada. Una strada
32. «Russia’s non-energy exports in 10 months down 1.5% in value terms – Manturov», Interfax,
26/12/2022.
33. Quotazione al 15/1/2022 tratta da bloomberg.com 169
LE SANZIONI TRA MASCHERA E VOLTO
che, se percorsa fno in fondo, promette di sacrifcare per decenni l’economia rus-
sa sull’altare della guerra.
A Washington non sono in molti, da un lato all’altro dello spettro politico, a
strapparsi le vesti per questo. Nella misura in cui quella in corso è ormai una con-
clamata guerra tra Nato e Russia, l’America appare proiettata verso un redde ratio-
nem che contempla come fne strategico il ridimensionamento strutturale della
potenza russa. Costi quel che costi. Nell’intervista alla Cnn citata in apertura, un’al-
tra voce dell’amministrazione offriva una visione diversa, più realista e meno naïve,
delle sanzioni: «Volevamo degradare le capacità economiche e industriali russe.
Pertanto, fn dall’inizio abbiamo concepito questo esercizio come uno sforzo a lun-
go termine»34. Parafrasando Keynes, nel lungo periodo tuttavia potremmo essere
tutti morti.
LA GERMANIA RISCOPRE
LA GUERRA GIUSTA DIETER di Heribert
1. J. SÜSSMANN, «Wir alle sind heute Morgen fassungslos, aber wir sind nicht hilfos», Die Zeit, 24/2/2022. 171
LA GERMANIA RISCOPRE LA GUERRA GIUSTA
più cauto e sottolineano i rischi dell’escalation. Erich Vad, a lungo consigliere mili-
tare di Angela Merkel, è rapidamente assurto a campione di un approccio pruden-
te. Nel gennaio 2023 ha ammonito: i carri armati consentono a Kiev di attaccare la
Russia, che resta la maggiore potenza nucleare del pianeta 2.
Ma cos’è ad aver causato questo rapido mutamento del clima politico e me-
diatico tedesco? La società tedesca è cambiata radicalmente nell’ultimo secolo? L’at-
tuale politica estera di Berlino rifette una lettura romantica, irrealistica del mondo
che enfatizza gli obiettivi morali al punto da trascurare tutti gli altri? Molti tedeschi
considerano inopportuno, se non inaccettabile, fnanche sollevare il quesito. Per
molti la Germania di oggi è affatto diversa da quella del passato: società multi-
culturale dove i diritti di qualsiasi minoranza – per quanto piccola – sono tutelati,
paese che sostiene con passione l’integrazione europea e magnifca i benefci del
post-nazionalismo. Eppure, questo stesso paese non si fa scrupolo di distinguere i
richiedenti asilo in base all’origine etnica, mentre sul fronte della politica energetica
non ritiene utile consultare i partner europei, fguriamoci altri. Nella società tedesca
tali questioni non sono granché discusse.
2. Fin dall’inizio della guerra in Germania c’è stato notevole sostegno ai rifugiati
ucraini, che sono stati trattati in modo diverso dagli altri: hanno il medesimo accesso
dei tedeschi allo Stato sociale, possono lavorare o benefciare di generosi sussidi. I
richiedenti asilo di altri paesi, come la Siria, hanno molti meno diritti. Diffcile trovare
una formula che renda presentabile questa politica: semplicemente, ucraini e siriani
sono di etnie diverse e i primi sono trattati meglio dei secondi, che vengono discri-
minati perché non appartengono a un paese europeo. La società tedesca preferisce
gli ucraini agli arabi: molti tedeschi rigetterebbero con decisione tale assunto, ma dal
febbraio 2022 è il proflo etnico a guidare la politica tedesca dell’accoglienza.
Ciò è importante in quanto altrove i politici tedeschi insistono che non debba-
no sussistere discriminazioni di sorta. L’eccezionale sostegno agli ucraini ha diverse
ragioni. Molti tedeschi li ritengono ovviamente le vittime innocenti dell’aggressione
di Mosca, altri nutrono una profonda antipatia per i russi e il loro presidente, ma
l’elemento etnico ha un suo non indifferente peso.
La Germania ha poi accantonato il suo multilateralismo al momento di perse-
guire politiche economiche senza particolare riguardo per le conseguenze su altri
paesi. In particolare, il ministro dell’Economia Robert Habeck (Verdi) non ha preso
in minima considerazione le ricadute delle sue politiche sui paesi europei e non.
Nell’estate 2022 la Germania ha messo le mani su tutto il gas naturale liquefatto
(gnl) che poteva e Stati estremamente poveri come il Bangladesh – che non ha
nulla a che spartire con questa guerra e che dipende dal gnl per la propria gene-
razione elettrica – si sono dovuti arrendere al superiore potere di spesa tedesco.
Dacca ha dovuto fronteggiare un’acuta crisi energetica che ha obbligato la sua
forente industria tessile a un blocco temporaneo. Tanti saluti al sacrosanto dovere,
172 2. E. VAD, «Was sind die Kriegsziele?», Emma, 12/1/2023.
LA GUERRA CONTINUA
più volte ribadito da Berlino in passato, di considerare gli effetti delle politiche
nazionali sui paesi terzi, specie se vulnerabili.
Il dibattito tedesco sull’Ucraina non esclude posizioni contrarie all’uso mas-
siccio della forza militare, ma queste trovano poco spazio sui media principali
(stampa, tv, internet) dove predomina il militarismo. Vad, il generale che propugna
la de-escalation, sostiene che i media non stiano facendo un buon lavoro perché
esibiscono un’eccessiva uniformità di opinioni. Il governo non dice certo ai giorna-
listi cosa pubblicare o dire, ma il livello di autocensura è elevato 3: molti giornalisti
hanno scelto di schierarsi e le voci fuori dal coro sono rare.
Situazione simile si riscontra nel mondo universitario, dove si assiste a strani
paragoni come la frequente analogia tra l’invasione dell’Ucraina a opera di Putin e
l’attacco alla Russia voluto da Hitler. Alcuni, come l’ex leader dei Verdi Ralf Fücks,
bollano quella ucraina come «guerra di annientamento» 4. Il richiamo al nazismo
serve a schierare l’opinione pubblica con l’Ucraina, facendo leva sulla responsabi-
lità storica dei tedeschi e sul loro conseguente dovere di evitare un altro confitto
prolungato in Europa. Ma è un paragone sensato?
Secondo lo storico Ulrich Herbert, assolutamente no. Nella seconda guerra
mondiale le forze naziste uccisero milioni di ebrei e slavi in Europa orientale; in
Ucraina vi sono state fnora migliaia di vittime, ma la situazione è diversa. Herbert
afferma senza mezzi termini che il paragone serve a far sentire i tedeschi moral-
mente responsabili per le sorti dell’Ucraina. I fautori dell’analogia storica affermano
inoltre che, rifutando di impegnarsi a fondo, i politici tedeschi rischiano di causare
la caduta di Kiev e di mettere a repentaglio l’intera Europa. Di nuovo Herbert ri-
futa la tesi, vedendovi una grossolana esagerazione delle capacità politico-militari
della Germania 5. Il sociologo Hartmut Rosa ha criticato gli appelli «da salotto»
all’escalation, denunciando la sorprendente assenza nel dibattito tedesco delle vit-
time di questo confitto. Ha anche evidenziato che le ultime guerre combattute in
nome della giustizia e di un mondo migliore (Afghanistan, Iraq, Libia) sono state
dei completi fallimenti 6.
Studiosi e militari hanno criticato la mancanza di una strategia tedesca, evi-
denziando che crescenti forniture di armi in assenza di obiettivi defniti sono puro
militarismo 7. Per lo studioso Wolfgang Merkel, quanti in Germania sostengono che
i negoziati debbano iniziare solo quando tutti i territori occupati dalla Russia siano
stati riconquistati da Kiev dovrebbero specifcare quante vite sacrifcare allo sco-
po 8. Si discute molto poco del fatto che la Germania attaccò la Russia zarista nella
prima guerra mondiale e l’Urss nella seconda e che pertanto dovrebbe ponderare
bene ciò che fa oggi contro Mosca.
3. Ibidem.
4. R. FÜCKS, «Krieg in der Ukraine: Das Ungeheuerliche nicht hinnehmen», Ukraineverstehen, 5/1/2023.
5. S. REINECKE, «Mit Hitler hat das nichts zu tun», Die Tageszeitung, 1/7/2022.
6. H. ROSA, «Ukrainekrieg: Haltet ein!», Der Spiegel, 23/7/2022.
7. E. VAD, op. cit.
8. W. MERKEL, «Ohne Bemühungen um eine Verhandlungslösung wird der Ukrainekrieg weiter eska-
lie-ren», Der Tagesspiegel, 6/7/2022. 173
LA GERMANIA RISCOPRE LA GUERRA GIUSTA
ma comunque superiori al 60%. L’unica eccezione è AfD, dove i favorevoli alle for-
niture di armi pesanti a Kiev non superano il 20% 12. Nel bacino elettorale dei Verdi
c’è persino una maggioranza relativa (46%) favorevole all’utilizzo di tanks tedeschi
per riconquistare la Crimea (soluzione rigettata dal 40%).
Perché degli ex pacifsti sono così inclini a (far) combattere (gli altri)? Una
possibile spiegazione sta nell’entusiasmo con cui storicamente i Verdi perseguono
i loro obiettivi politici: si tratti di immigrazione, lotta al cambiamento climatico o
tutela delle minoranze, le posizioni del partito sono sempre state massimaliste.
«Ultima generazione», gruppo radicale che chiede il rapido cambiamento delle
politiche energetiche anche a costo di una signifcativa deindustrializzazione della
Germania, prende ispirazione dai politici verdi e dai loro scenari apocalittici.
Il confitto in Ucraina ha scioccato molta parte della società tedesca. A oltre
trent’anni dalla fne della guerra fredda, i tedeschi credevano sinceramente che il
mondo fosse entrato in una fase di non violenza e cooperazione armoniosa. Se la
si guarda da questa prospettiva, l’aggressione russa è stata un fulmine a ciel sere-
no. Per la maggioranza di non occidentali che popola questo mondo, la realtà è
diversa: in molti paesi africani, asiatici e latinoamericani l’insistenza dell’Occidente
sull’adesione a un «ordine internazionale basato sul diritto» suona ingenua o falsa,
comunque autoreferenziale. Nella loro ottica l’aggressione da parte dell’Occidente
è la norma, non l’eccezione. In India, ad esempio, il governo di Delhi continua a
diffdare degli appelli ad applicare norme e standard occidentali. Questa incom-
prensione tra i paesi dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico) e molte economie in via di sviluppo è in parte alimentata proprio dal
tipo di politiche che i governanti tedeschi amano promuovere.
la Russia e ha sostenuto che per Mosca l’Ucraina non sarà mai un paese come gli
altri 14. Il realismo distingue tra l’esportazione della democrazia liberale e la sua
difesa in patria: giudica dannosa la prima e necessaria la seconda 15.
In Germania i realisti si contano ormai sulle dita di una mano. La politica estera
è guidata da considerazioni normative: il mondo non è valutato con sobrietà per
ciò che è, ma enfaticamente per come dovrebbe essere. Nella guerra in corso la
posizione di Baerbock è normativa, pertanto gli appelli a una pace negoziata sono
regolarmente ignorati. La diplomazia non ha grande corso nell’odierna politica
estera tedesca. Il giurista Reinhard Merkel ha suscitato polemiche quando a fne
dicembre 2022 ha criticato il rifuto dei negoziati, affermando che se anche l’Ucrai-
na vincesse la guerra (non impossibile, visto l’ingente aiuto occidentale), l’enorme
distruzione infittale ne renderebbe vana la vittoria 16. Nessun politico tedesco di
spicco, tuttavia, condivide tale posizione. Il presidente Frank-Walter Steinmeier
e i ministri, compreso il nuovo titolare della Difesa Boris Pistorius, preferiscono
ispezionare i campi di battaglia ucraini e non avanzano alcuna proposta di pace.
A lungo i tedeschi hanno rifutato il coinvolgimento della Germania in un con-
fitto militare, ma l’invasione russa dell’Ucraina ha rotto questo tabù. Oggi la Ger-
mania sta tornando a posizioni militaristiche, forgiando nuovamente i suoi vomeri
in spade 17. Fatte salve l’estrema sinistra e l’estrema destra, l’intero spettro politico
– inclusa tutta la coalizione di governo e il maggior partito d’opposizione – sta
contribuendo alla guerra con armi, denaro e sostegno morale. Il paese ha inoltre
abbandonato l’approccio post-nazionale in favore di una postura «Germany frst»,
come evidenzia la politica energetica.
Queste circostanze spingono a chiedersi quanto drastica e strutturale, in pro-
spettiva, sia la svolta tedesca. Si dice che l’ex cancelliere Helmut Schmidt abbia sem-
pre considerato al Germania una «nazione a rischio» 18. Il pericolo cui Schmidt allu-
deva è la tendenza del paese a concepire la politica in una dimensione prettamente
morale. Ma l’assenza dell’elemento realista, inclusa un’analisi dei rischi connessi al
coinvolgimento in cause apparentemente giustifcate, è rischioso. Troppo spesso
Berlino ha combattuto «guerre giuste». Un’importante lezione della storia è che anche
le guerre più giustifcate portano spesso benefci molto inferiori ai costi.
14. H. KISSINGER, «The right outcome for Ukraine», The Washington Post, 6/3/2014.
15. R. CZADA, op. cit.
16. R. MERKEL, «Verhandeln heißt nicht kapitulieren», Frankfurter Allgemeine Zeitung, 28/12/2022.
17. «A risk-averse Germany enters an age of confrontation», The Economist, 19/3/2022.
176 18. E. VAD, op. cit.
LA GUERRA CONTINUA
LA PARALISI STRATEGICA
DEL REGNO UNITO ARDISSINO
di Elettra
tismi che bollono a fuoco lento in Scozia e in Irlanda del Nord. L’attenzione del
primo ministro Rishi Sunak è volta rigorosamente all’interno. La situazione si pro-
lungherà probabilmente ben oltre le prossime elezioni parlamentari, in program-
ma per il 2024.
1. G. FALCONBRIDGE, «Britain’s spy chief claims intelligence scoop on Putin’s invasion of Ukraine», Reu-
ters, 25/2/2022.
2. A. ANTEZZA ET AL., «The Ukraine Support Tracker», Kiel Working Papers, n. 2218, Kiel Institute for the
World Economy, giugno 2022.
3. T. ROGAN, «Guided by British special forces, Ukraine is escalating the “deep battlespace” fght
178 against Russia», Washington Examiner, 19/8/2022.
LA GUERRA CONTINUA
4. «Liz Truss backs people from UK who want to fght», Bbc, 27/2/2022.
5. M. O’CONNOR, D. FAULKNER, «Russia blames Liz Truss and others for nuclear alert», Bbc, 28/2/2022. 179
180
INSTALLAZIONI MILITARI BRITANNICHE NEL MONDO 5 British Army Germany
Mar Glaciale Artico GERMANIA
6 GIBILTERRA
7 Raf
Troödos - CIPRO
8 Raf
Akrotiri - CIPRO
9 Raf Jssu
Ayios Nikolaos - CIPRO
Regno
Unito
1 Portsmouth 5
LA PARALISI STRATEGICA DEL REGNO UNITO
6. P. WINTOUR, «Boris Johnson declares he is “fervently Sinophile” as UK woos China», The Guardian,
21/2/2021.
7. L. BAKER, J. CHALMERS, «As Britain bans Huawei, U.S. pressure mounts on Europe to follow suit»,
Reuters, 14/7/2020.
8. T. DIVER, D. NICHOLLS, «Liz Truss to declare China a ‘threat’ to the UK», 11/10/2022.
9. L. TRUSS, «Liz Truss: we have a duty to fx the problems of the Northern Ireland protocol», Financial
Times, 26/6/2022. 181
LA PARALISI STRATEGICA DEL REGNO UNITO
10. S. BLEWETT, «Sunak pledges “robust pragmatism” not “grand rhetoric” with foreign policy», The In-
dependent, 27/11/2022.
182 11. R. SUNAK, «PM speech to the Lord Mayor’s Banquet», discorso del 28/11/2022.
LA GUERRA CONTINUA
ridefnizione delle priorità britanniche nel mondo che vadano oltre le relazioni
commerciali.
In questo contesto, risulta diffcile immaginarsi che i due anni che rimangono
a Sunak prima delle elezioni basteranno agli apparati non eletti e ai conservatori
per ridefnire una strategia nazionale che resti nei parametri dell’Alleanza Atlantica
ma che stabilisca e persegua anche interessi nazionali non strettamente economici.
D’altra parte il Labour, primo partito d’opposizione e probabile vincitore delle
prossime elezioni, non è mai stato particolarmente ferrato in ambito strategico.
Dalla fne della seconda guerra mondiale, forse l’unica decisione di vero peso ge-
opolitico presa da un governo «rosso» è stata la partecipazione britannica alla guer-
ra americana in Iraq sancita da Tony Blair.
Ci possiamo quindi aspettare abbastanza poco da un governo capitanato da
Keir Starmer, l’attuale leader laburista. Secondo Starmer, il partito ha un’anima mol-
to più europeista rispetto ai conservatori e sarà pertanto ben posizionato per tro-
vare alleati nell’amministrazione pubblica, anch’essa tendenzialmente Remainer.
Tuttavia, la classe dirigente laburista ha poco spessore strategico ed è improbabile
che prenderà decisioni signifcative o di rottura in questo ambito. Ci vorrà dunque
molto tempo, probabilmente almeno una legislatura completa, prima che i tories
possano tornare al governo pronti a reinterpretare l’identità britannica nel mondo
e ridefnire l’orientamento strategico del Regno Unito in tutti i suoi aspetti.
L’asse polacco-britannico
Un altro ambito in cui si è osserva una preoccupante assenza di iniziativa riguar-
da i rapporti con la Polonia. I tentativi dei governi Johnson e Truss di formalizzare
un asse strategico tra Varsavia e Londra, costruito non solo sull’oltranzismo antirusso
ma anche sull’anti-europeismo, sono stati abbandonati da Sunak, che sta cercando
di ristabilire un rapporto costruttivo con l’Ue fondato sugli scambi commerciali.
Regno Unito e Polonia sono entrambi oltranzisti nei confronti della Russia in
Ucraina, anche se la matrice di questa posizione è leggermente diversa. Mentre
Varsavia è nemica atavica di Mosca, Londra cerca di fortifcare la sua posizione
come alleato principale degli Stati Uniti. In altre parole, dal punto di vista polacco
la Russia andrebbe resa permanentemente incapace di vessare i suoi vicini, mentre
il Regno Unito non ha una chiara idea di chi sia il principale nemico, suo o dell’or-
dine internazionale che difende. Una falla importante, conseguenza naturale
dell’assenza di una bussola strategica. In ogni caso, i due governi si sono palese-
mente dati corda a vicenda per quanto riguarda il raggiungimento di obiettivi
massimalisti in Ucraina. Per esempio, ai primi di gennaio 2023 hanno fatto circo-
lare la notizia di essere pronti a fornire carri armati a Kiev 12. Un assenso implicito
di Washington è necessario, come dimostra il fatto che nel marzo 2022 la Polonia
12. S. PFEIFER, B. HALL, J.P. RATHBONE, H. FOY, «UK weighs supplying Ukraine with Challenger tanks»,
Financial Times, 9/1/2023. 183
LA PARALISI STRATEGICA DEL REGNO UNITO
ha dovuto accantonare l’idea di trasferire MiG all’Ucraina di fronte alla ferma op-
posizione americana. In ogni modo, l’oltranzismo romantico-ideologico di John-
son e Truss – che evidentemente ha sostenitori negli apparati anche dopo la loro
dipartita – ben si è sposato con l’oltranzismo strategico dei polacchi.
Ad accomunare Londra a Varsavia non è solo il massimalismo verso Mosca. A
guidarle sono governi di destra anti-europeista, che hanno reso il confronto con
Bruxelles un cavallo di battaglia elettorale. Dunque, il senso di un asse polacco-bri-
tannico dal punto di vista di Londra sarebbe anche stato quello di disporre un ca-
vallo di Troia all’interno del Consiglio europeo che avrebbe potuto fungere da al-
leato in futuri scontri con l’Ue su questioni relative al Brexit, in primis quella sui
controlli frontalieri nordirlandesi.
E qui nascono i problemi. Perché dopo il passaggio di testimone da Truss a
Sunak le priorità a Downing Street sono cambiate in senso più economicistico,
privilegiando i rapporti commerciali. Il nuovo primo ministro non vuole irritare più
di tanto Bruxelles e la Germania. Ma anche le condizioni esterne sono cambiate. Il
passaggio al Congresso statunitense dell’Infation Reduction Act, un’enorme misura
fscale che garantisce sussidi al settore delle energie rinnovabili, ha riaperto la pos-
sibilità che Ue e Stati Uniti si ritrovino a lungo termine con politiche industriali
concorrenti 13. Il Regno Unito rischierebbe di essere tagliato fuori dall’uno e dall’al-
tro mercato. Meglio quindi non dare troppo fastidio ai burocrati della Commissione
europea. In quest’ottica, un’intesa Londra-Varsavia basata anche sul confronto con
Bruxelles non è l’idea migliore. D’altra parte anche i polacchi si augurano che pri-
ma o poi il Regno Unito ritorni nell’Ue, dato che la Francia non sta riuscendo a
controbilanciare la Germania come lo facevano i britannici. Le manovre per trova-
re un’intesa probabilmente continueranno, anche grazie agli obiettivi comuni in
Ucraina, ma al rallentatore. Durante il governo Sunak probabilmente non vedrà
ancora la luce un vero e proprio asse.
Le crisi interne
La ragione principale per cui sia il Partito conservatore sia gli apparati non
eletti si trovano impossibilitati ad accordarsi su una nuova e coesa direzione è il
fatto che, a partire dal 2016, le crisi interne hanno consumato praticamente tutta
l’attenzione della classe dirigente: prima il Brexit, poi l’emergenza Covid, ora il
caro energia aggravato dalla guerra in Ucraina. Nei prossimi 12-24 mesi è molto
probabile che questa situazione non cambierà granché.
La prima crisi interna è quella economica. Secondo le ultime previsioni della
Bank of England 14, il pil calerà nel 2023 e avrà solo una lievissima ripresa nel 2024.
Il programma fscale del governo Sunak prevede importanti aumenti di tasse e tagli
alla spesa pubblica, con effetti profondamente negativi su occupazione e consumi
13. «Why EU leaders are upset over Biden’s Infation Reduction Act», France 24, 16/12/2022.
184 14. C. GILES, «BoE outlines two bleak scenarios for taming infation», Financial Times, 3/11/2022.
LA GUERRA CONTINUA
Conclusione
Da oltre sei anni, il Regno Unito si trova a un crocevia ma ancora non ha scel-
to quale strada prendere. Il Brexit ha incrinato il rapporto con i paesi dell’Europa
continentale e a lungo termine renderà più diffcile per i britannici giocare un ruo-
lo di punta nelle questioni geopolitiche europee. Anche se l’impegno dimostrato in
Ucraina ha fornito un’occasione di redenzione, almeno agli occhi degli Stati Uniti.
Allo stesso tempo, la superpotenza guarda sempre più all’Indo-Pacifco, geograf-
camente distante dal Regno Unito e fuori dal suo raggio di proiezione militare.
Politici e apparati britannici sono confusi e stanchi, chiamati a rispondere a crisi
interne sempre più pressanti. Il probabile vincitore della prossima tornata sarà il
Labour, un partito storicamente debole in politica estera. È facile che si produca un
governo non dotato di grande profondità diplomatica e geopolitica. Bisognerà
quindi probabilmente aspettare fno al 2029, se non oltre, per assistere a un vero
rinnovamento dell’orientamento britannico e al ritorno del Regno Unito come atto-
re dotato di qualche margine di indipendenza sul palcoscenico globale. Forse ap-
pena in tempo per una grande crisi a Taiwan.
186 18. «NI election results 2022: Who are the Alliance Party and what do they stand for?», Bbc, 8/5/2022.
LA GUERRA CONTINUA
LA GUERRA
PUÒ DECLASSARE
LA FRANCIA di Olivier KEMPF
Macron sostiene l’Ucraina con armi e sanzioni. Al contempo,
parla con Putin. È la tradizionale ricerca di una terza via tra
Mosca e Washington. Parigi continua a professarsi alleata, non
allineata agli Stati Uniti. Ma non importa più a nessuno.
pianeta. Sul piano militare, è una potenza nucleare riconosciuta dal trattato di non
proliferazione e le sue armate sono viste come le migliori d’Europa, dotate di un’e-
sperienza operativa continuativa (e autorizzata dal sistema istituzionale) e sapien-
temente modernizzate, in modo da disporre di una forza completa di uno o più
campioni per ogni capacità.
Questo insieme di caratteristiche basterebbe da solo a distinguere la Francia.
Eppure, conviene precisare la sua situazione: a differenza degli altri paesi europei,
la dissuasione nucleare le garantisce una completa «indipendenza» strategica. Per-
sino l’arsenale atomico del Regno Unito dipende in parte dagli Stati Uniti. E notia-
mo di passaggio che gli accordi di Lancaster House del 2010 contengono disposi-
zioni di cooperazione in materia di nucleare militare che permettono ai britannici
di accedere ad alcune installazioni francesi per i test, garantendo loro in tal modo
una certa autonomia in questo settore.
Ora, questa indipendenza strategica genera automaticamente una postura
molto diversa da quella degli altri paesi europei: a differenza di questi ultimi, la
Francia non ha bisogno dell’ombrello nucleare americano garantito dall’Alleanza
Atlantica. Essa conserva margine di scelta là dove i suoi partner continentali non
ne hanno. Può militare per un’«autonomia europea» là dove gli altri la ritengono
un piccolo accessorio, visto che l’essenziale della loro sicurezza è garantito dalla
Nato e dal rapporto con gli Stati Uniti. In ambito strategico, esiste dunque una
vera e propria eccezione francese. Ciò spiega in gran parte il sentimento di Parigi,
spesso dato per scontato, di essere differente. Constatiamo però che dal 24 feb-
braio anche la Germania ha dato più volte questa impressione, sia pure in modi
assai diversi.
Questa eccezione della Francia ben spiega alcune sue posizioni. Lo storico
può riconoscervi la lontana eredità della ricerca da parte di de Gaulle di una terza
via fra i due blocchi. È in questa chiave che possiamo comprendere la nozione di
«potenza degli equilibri» (notare il plurale) articolata da Macron nella sua allocuzio-
ne agli ambasciatori il 1° settembre 2022: «Indipendenza non è equidistanza. Ho
letto ciò che si sarebbe potuto dire quando parlavo di Francia potenza degli equi-
libri. Noi siamo indipendenti, vale a dire che abbiamo gli Stati Uniti come alleati,
una grande democrazia con la quale condividiamo valori e interessi comuni, ma da
cui non vogliamo dipendere. Abbiamo la Cina, un rivale sistemico, con la quale
non condividiamo i nostri valori democratici, ma con la quale dobbiamo continua-
re ad agire per trovare risposte a sfde comuni – clima, biodiversità – e con la
quale vogliamo continuare a parlare per cercare di contribuire a regolare alcune
crisi regionali e alcuni elementi di destabilizzazione. La Francia e l’Europa devono
dunque costruire questa indipendenza anche geopolitica rispetto al duopolio che
va costituendosi» 1.
2. T. PROUVOST, «Hollande: “There will only be a way out of the confict when Russia fails on the
ground”», The Kyiv Independent, 28/12/2022. 189
LA GUERRA PUÒ DECLASSARE LA FRANCIA
un’intervista con alcuni quotidiani regionali: «Non bisogna umiliare la Russia per-
ché il giorno in cui i combattimenti cesseranno, potremo costruire un cammino di
uscita attraverso vie diplomatiche. Io sono convinto che è questo il ruolo della
Francia, essere una potenza mediatrice. (…) Penso, e gliel’ho detto, che Vladimir
Putin abbia commesso un errore storico e fondamentale, per la sua gente, per lui
stesso e per la Storia. Nondimeno, la Russia resta un grande popolo» 3.
Tali affermazioni suscitano ondate di proteste, fra cui quelle del ministro degli
Esteri ucraino Dmytro Kuleba: «Gli appelli a non umiliare la Russia non possono
che umiliare la Francia». Osserviamo che il discorso di Macron riprende in parte la
propaganda moscovita, tanto più che il presidente francese non ha esitato a evo-
care la nozione dei «popoli fratelli» russo e ucraino, cosa che ha profondamente
irritato Kiev 4.
3. «Exclusif. Emmanuel Macron à La Dépêche du Midi: “La réforme des retraites entrera en vigueur
dès l’été 2023”», La Dépêche du Midi, 3/6/2022.
4. Vedi per esempio O. SCHMITT, «“Il ne faut pas humilier la Russie”. La formule et ses implications
190 politico-stratégiques», Le Rubicon, 16/6/2022.
LA GUERRA CONTINUA
Un’inversione in corso?
La politica dell’equilibrio passa per il sostegno al negoziato, dunque dalla pre-
sunzione che quest’ultimo fosse possibile. In molti l’hanno creduto, almeno fno
all’autunno. Gli ucraini, certo, hanno conseguito importanti successi (presa di Izjum,
ritirata russa da Kherson), ma nello stesso tempo Putin ha indurito la sua posizione
con l’annessione delle quattro oblast’, la mobilitazione parziale di 300 mila uomini e
l’uso da gennaio in poi della parola «guerra» al posto di «operazione militare speciale».
Soprattutto, all’arrivo dell’inverno i russi hanno stabilizzato il fronte e hanno
dato l’impressione di poter logorare le posizioni ucraine, come a metà gennaio
2023 ha confermato la caduta di Soledar. Inoltre, nessuno dei belligeranti ha perso
o ha guadagnato tanto da avere incentivi ad aprire un negoziato. Più probabile,
quali che siano le variazioni marginali del fronte, che la guerra si perpetui in un
tempo molto lungo. L’ora della discussione sembra passata.
In questo quadro, osserviamo una recente evoluzione da parte di Parigi. È
passata per l’organizzazione nella capitale francese della conferenza di sostegno
all’Ucraina del 13 dicembre, che ha messo a disposizione fondi per affrontare l’e-
mergenza umanitaria ma anche per la ricostruzione del paese, e per l’annuncio, a
inizio gennaio 2023, dell’invio dei «carri leggeri» (parole dell’Eliseo) Amx-10Rc cita-
ti in precedenza. Questa comunicazione è intervenuta mentre Parigi e Berlino di-
scutevano da diverse settimane di una risposta comune da dare all’Ucraina. L’an-
nuncio in solitaria della Francia è stato anche un modo per forzare le reticenze
Conclusione
Tenuto conto di questi elementi, possiamo affermare che la guerra d’Ucraina
ha declassato la Francia?
Diciamo anzitutto che la crisi non è fnita e che, come da proverbio francese,
è alla fne della fera che si conta lo sterco. A oggi il bilancio è negativo per la
Russia e positivo per gli Stati Uniti. Per l’Unione Europea le cose si fanno più am-
bigue. Ha mantenuto la propria unità senza grandi diffcoltà, malgrado le classiche
divisioni interne. Ha rapidamente approvato delle sanzioni e le ha man mano raf-
forzate 6. Subisce però evidenti contraccolpi economici in ambito energetico e per
via dell’infazione. La sua posizione strategica si è piuttosto indebolita: la bussola
pubblicata in primavera, sotto la presidenza francese, è insipida. Perché l’insieme
degli europei è allineato all’Alleanza Atlantica. Il resto del mondo non si fa molti
problemi e rifuta di immischiarsi nella guerra d’Ucraina, vista come «affare occi-
dentale». Non è certo che l’Europa ne tragga vantaggi.
Parigi ha perseguito i propri obiettivi al rischio di apparire contraddittoria. Non
è una novità: basti ricordare le critiche degli alleati al generale de Gaulle in occa-
sione del ritiro francese dalle strutture di comando della Nato oppure la posizione
di Chirac nella guerra in Iraq nel 2003. Ma tale apparente continuità è ingannevole:
in questi precedenti, la Francia trovava in cambio un certo numero di appoggi
oppure convinceva alcune capitali della propria indipendenza. Ecco la differenza
con la situazione odierna: le critiche sono rimaste, ma nessuno crede davvero all’e-
quilibrio francese. Alleata e non allineata? Benissimo. Ma alla fne cambia qualcosa?
La maggior parte dei partner della Francia risponde: no.
In questo sta il declassamento relativo: la Francia pesa ancora in Europa – chi
lo dubita? – ma la sua aura è impallidita, come quella degli altri occidentali. Mentre
nel XX secolo le guerre civili europee erano divenute questioni mondiali, questa
nuova guerra civile europea non trascina più con sé l’ordine globale. È una que-
stione che va ben al di là del rango della Francia.
ITALIANI
ALLINEATI
E COPERTI DOTTORI di Germano
1. L’
ITALIA RITIENE DI AVERE, PER
propria cultura politico-strategica, una vocazione al dialogo e alla mediazione. Non
sono state poche né brevi le fasi della sua recente storia nel corso delle quali i suoi
governanti di turno hanno accarezzato il sogno di fare del nostro paese un ponte
tra Oriente e Occidente. È successo, ad esempio, durante la guerra fredda, quando
Roma sviluppò una propria Ostpolitik nei confronti dei regimi d’Oltrecortina che,
se non poteva competere con quella di Bonn, fece comunque arricciare il naso
alle amministrazioni americane del tempo. I diari segreti di Giulio Andreotti attesta-
no in più punti quanto fosse diffcile svolgere un’azione internazionale di questo
tipo senza suscitare sospetti. Vi si dà conto delle frequenti interlocuzioni con l’am-
basciata americana di via Veneto, nell’ambito delle quali il defunto statista demo-
cristiano si preoccupava di rassicurare il maggiore alleato circa l’effettiva portata
delle nostre iniziative 1. A questa tradizione si sarebbe fatto appello anche dopo il
crollo del Muro di Berlino e non solo nei confronti di Mosca, ma altresì in scacchie-
ri molto più lontani. A un certo punto, Lamberto Dini immaginò per il nostro pae-
se addirittura un ruolo da battistrada per conto di Washington nei confronti dei
regimi con i quali risultava più diffcile o inopportuno per gli Stati Uniti avviare dei
rapporti diretti, come la Corea del Nord, la Libia o l’Iran: allo scopo di acquisire
benemerenze, provavamo a proporci come facilitatori di intese successive 2.
1. G. ANDREOTTI, I diari segreti 1979-1989, Milano 2020, Solferino. La lettura rivela l’ampiezza e l’im-
portanza dei contatti intrattenuti dallo scomparso statista democristiano, che incontrava pressoché
regolarmente tanto l’ambasciatore sovietico quanto quello statunitense. Di quest’ultimo registrava
puntualmente l’inquietudine per quanto accadeva in Italia. Ma Andreotti non si limitava a rassicurare:
a volte, specialmente a Gardner, spiegava con pazienza ciò che apprendeva grazie alla propria rete
di amicizie internazionali e all’assidua frequentazione dei vertici della Chiesa cattolica. Cercò tra l’altro
di contribuire alla soluzione della crisi degli ostaggi americani a Teheran.
2. Cfr. M. ANSALDO, «Dini ai nordcoreani: Fate come la Cina», la Repubblica, 30/3/2000. 193
ITALIANI, ALLINEATI E COPERTI
venti parlamentari dell’allora titolare della Farnesina Luigi Di Maio, che mentre l’I-
talia ribadiva la sua adesione alla politica della «porta aperta», riconoscendo il dirit-
to sovrano di chiunque a chiedere l’adesione alla Nato, Roma avrebbe comunque
tenuto conto dell’articolo 10 del Patto Atlantico, che subordina l’accettazione di
ogni richiesta alla valutazione dell’effettivo contributo alla difesa collettiva da parte
dello Stato richiedente.
Per preparare la visita di Draghi, il 17 febbraio 2022 Di Maio si era anche re-
cato a Mosca: un fatto che aveva generato sensazione a Washington, come prova
la circostanza che a una conferenza stampa svoltasi il giorno dopo presso la Casa
Bianca un giornalista avesse chiesto al viceconsigliere per la Sicurezza nazionale
Daleep Singh se il premier italiano fosse o meno sul punto di rompere il fronte
antirusso a causa della diffcoltà di Roma a sostenere le sanzioni che avrebbero
potuto colpire il gas 4.
L’Italia sembrava dunque addirittura in bilico: altro elemento che contribuisce
a rendere razionalmente incomprensibile la scelta di Putin di ricorrere alla forza,
insensata anche qualora fosse stata coronata da successo, per via delle conseguen-
ze negative che la Russia avrebbe inevitabilmente dovuto sopportare in termini di
sanzioni e isolamento internazionale. Di contro, alla vigilia del riconoscimento
unilaterale dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste sorte nel Donbas, il
Cremlino aveva a portata di mano la «vittoria di Sunzi», ovvero quella raggiunta
senza sparare un colpo che dovrebbe essere perseguita da ogni stratega saggio.
Giova oggi ricordare a questo proposito come, proprio mentre l’intelligence ame-
ricana e quella britannica paventavano come imminente l’attacco russo, Stati Uniti,
Gran Bretagna e Canada avessero abbandonato Zelens’kyj al suo destino ritirando
da Kiev tutti i propri consiglieri militari e dimostrando al presidente ucraino i limi-
ti dell’opzione euroatlantica che il suo paese aveva deciso di percorrere. Mosca
pareva altresì sul punto di concedere a Draghi, il banchiere e politico europeo
occidentale forse più vicino agli ambienti democratici della East Coast americana,
il privilegio di portare a casa un accordo che avrebbe scongiurato la guerra, divi-
dendo al loro interno la Nato e l’Unione Europea.
4. Cfr. «Press Briefng by Press Secretary Jen Psaki, Deputy National Security Advisor for Cyber and
Emerging Technology Anne Neuberger, and Deputy National Security Advisor for International Eco-
nomics and Deputy NEC Director Daleep Singh», White House, 18/2/2022. Singh dette peraltro una
risposta assai elusiva. 195
ITALIANI, ALLINEATI E COPERTI
5. H. PAMUK, S. LEWIS, «U.S. Blinken cancels meeting with Lavrov, says Russian moves are “rejection of
196 diplomacy”», Reuters, 23/2/2022.
LA GUERRA CONTINUA
Alla prosecuzione del confitto, che secondo i critici del governo sarebbe per-
messa anche dalle forniture di armi garantite all’Ucraina, molti tra l’altro riconduco-
no anche la recente lievitazione dei costi dell’energia, che invece dipende in misu-
ra non trascurabile dalle conseguenze della massiccia iniezione di liquidità decre-
tata dalla Fed e dalla Bce nel biennio 2020-21 per contrastare gli effetti economici
dell’epidemia. Altri lamentano invece la perdita delle occasioni di guadagno causa-
ta dall’interruzione degli scambi con la Russia. Periodicamente, qualcuno pubblica
anche delle stime sull’entità degli ammanchi di fatturato che sarebbero imputabili
alla posizione assunta dall’Italia nella guerra, peraltro senza mai interrogarsi sul
costo che il nostro paese avrebbe potuto e potrebbe pagare adottando un atteggia-
mento diverso. Sarebbe invece importante farlo, per comprendere meglio la vera
natura del «vincolo esterno» che comprime la sovranità del nostro paese quando
siano in questione delle scelte di campo di particolare importanza.
Gli interessi e la loro magnitudine in effetti non ammettono deroga: soltanto
in questo 2023 l’Italia dovrà infatti rinnovare titoli del suo debito pubblico in sca-
denza per oltre 410 miliardi di euro e a questa cifra si aggiungeranno altri 105 mi-
liardi ulteriori di nuovo indebitamento 8. Visto che ci troviamo in un’area monetaria
governata da una Banca centrale indipendente cui è vietato di coprire i defcit
degli Stati con l’emissione di carta moneta, questi soldi dovranno essere interamen-
te reperiti sul mercato, rivolgendoci ai risparmiatori piccoli e grandi di tutto il mon-
do che acquistano i nostri titoli, direttamente o per il tramite di investitori più
grandi, a un tasso d’interesse che dipende dal merito di credito della Repubblica.
Per convincerli a comprare senza corrispondere una remunerazione esorbitante, è
essenziale proteggere la reputazione del paese e la politica estera è uno dei criteri
che concorrono a determinarla.
Basta poco per perdere la fducia delle Borse: è suffciente un attacco coordi-
nato condotto da poche ma infuenti testate aventi risonanza globale – come New
York Times, Washington Post, Financial Times ed Economist (si ricorderà certa-
mente l’«unft», «inadatto», riservato a Berlusconi da una sua celebre copertina) – a
far scappare i potenziali compratori, spingendo lo spread alle stelle e avvicinando
il Tesoro italiano allo spettro del default che porterebbe al collasso del paese, com-
portando il blocco di ogni servizio pubblico, dagli ospedali alle scuole, dai tribu-
nali ai presidi di polizia. È per questa stringente ragione, e non per servilismo, che
specialmente in tempo di crisi l’interesse nazionale italiano non può essere defni-
to in modo divergente rispetto a quelli delle più forti potenze fnanziarie e media-
tiche del pianeta di cui siamo alleati senza che sia pagato un prezzo insostenibile.
Tale circostanza spiega perché, mentre infuria una guerra che coinvolge la Russia
nella posizione di Stato aggressore, i margini d’azione e iniziativa dell’Italia siano
scomparsi. Noi non siamo l’Ungheria, che ha un debito sovrano al 75% del pil e
8. Le cifre si rinvengono nello stato di previsione del bilancio dello Stato per il 2023 approvato dal
parlamento lo scorso 28 dicembre. Il ricorso al mercato è autorizzato per ben 516,82 miliardi di euro,
cifra che corrisponde a oltre un quarto del prodotto interno lordo. La spesa pubblica complessiva sarà
198 pari a oltre 1.183 miliardi, ovvero quasi il 60% del pil italiano.
LA GUERRA CONTINUA
199
LA GUERRA CONTINUA
IL SECOLO
DELLA TURCHIA? di Daniele SANTORO
1. I
L 28 OTTOBRE 2022, ALLA VIGILIA DEL
novantanovesimo anniversario della fondazione della repubblica, Recep Tayyip
Erdoãan ha proclamato uffcialmente l’avvento del «secolo della Turchia», declinan-
do contestualmente «spirito, flosofa ed essenza» di una «visione» che si annuncia
compiutamente imperiale. Perché si vuole volta innanzitutto a lenire le piaghe dei
perseguitati, a proteggere gli oppressi, a governare equanimemente le molteplici
anime dell’impero in gestazione. «Il musulmano che viene emarginato a causa
della sua fede, il curdo che viene discriminato per la sua lingua, l’alevita che viene
oppresso in ragione della sua identità, i fgli cristiani ed ebrei di queste terre che
sono esposti all’ingiustizia» 1. Con l’obiettivo di ricomporre le innumerevoli faglie
anatoliche, compattare l’elemento umano del nucleo territoriale dell’impero, miti-
gare le vulnerabilità antropologiche della Turchia. Per poi esportare nelle periferie
imperiali tale modello di giustizia, che il presidente turco immagina intrinsecamen-
te attraente per le masse arabe e balcaniche orfane di uno Stato che sappia tute-
larne le necessità primarie e incoraggiarne le aspirazioni. Nemesi ottomana in
piena regola.
La visione del «secolo della Turchia» è l’ultima manifestazione ideale delle ine-
stirpabili ambizioni imperiali dei turchi repubblicani, che grazie alle dinamiche in-
nescate dalla guerra russo-americana in Ucraina hanno infne assunto una tangibi-
le dimensione geopolitica. Dalla prospettiva di Ankara il confitto ucraino è stato
testimonianza epifanica dell’ineluttabile destino imperiale, l’atteso evento trasfor-
mativo che ha permesso alla repubblica fondata da Mustafa Kemal di liberarsi
dalle redini con le quali europei e americani ne imbrigliarono le aspirazioni dopo
le due guerre mondiali. La Turchia attendeva con angoscia tale opportunità quan-
1. «Erdoãan declares “Century of Turkey vision”, signaling new constitution», Duvar, 28/10/2022. 201
IL SECOLO DELLA TURCHIA?
terre rare nella provincia di Eskiúehir 7 – permetteranno ad Ankara di ridurre già nel
breve periodo la dipendenza energetica dall’estero, con inevitabili effetti sul saldo
della bilancia commerciale. Anche in considerazione del ruolo sempre più centrale
che la Turchia è destinata ad assumere nel mercato del gas in conseguenza della
potenziale realizzazione nella Tracia orientale dello hub energetico proposto dal
presidente russo Vladimir Putin. Le cospicue risorse – non solo e non tanto econo-
miche – convogliate nello sviluppo di infrastrutture strategiche (ferrovia Baku-Tbli-
si-Kars, alta velocità nell’occidente anatolico, Marmaray) hanno poi permesso ad
Ankara di divenire snodo logistico quasi imprescindibile tra Cina ed Europa e di
aumentare proporzionalmente il suo potere di interdizione geopolitico. Che Er-
doãan intende accrescere ulteriormente mediante la realizzazione di Canale
Istanbul, esplicitamente citato nel discorso sul «secolo della Turchia».
I progressi materiali sono stati alimentati e hanno a loro volta alimentato la
pervasività del soft power anatolico, il cui potere di fascinazione ha permesso ad
Ankara di generare un marchio originale e perfettamente distinguibile. Dotato di
recente di un logo che intende manifestare l’autonomia strategica raggiunta dalla
Turchia. O meglio Türkiye, toponimo che Erdoãan ha imposto alle Nazioni Unite
in sostituzione di Turkey 8. Uffcialmente per ragioni di ambigua omonimia ornito-
logica 9, concretamente come esibizione di nazionalismo imperiale. Il cui successo
è testimoniato dalla decisione del dipartimento di Stato – dietro formale richiesta
dell’ambasciata turca a Washington – di accogliere la variazione toponomastica 10.
Viziata a monte da una (solo apparente) contraddizione strutturale. Türkiye è infat-
ti tarda turchizzazione del toponimo Turchia, con il quale i mercanti italiani battez-
zarono l’Anatolia nel XII secolo e che nelle sue varianti divenne di uso comune in
Europa. Talmente estraneo alla tradizione turca che ancora vent’anni dopo la fon-
dazione della Repubblica di Turchia (Türkiye Cumhuriyeti) era largamente diffusa
la pronuncia «Türkiya», tanto che nel 1950 la Grande Assemblea Nazionale dovette
approvare un’apposita legge sulla pronuncia del nome dello Stato. «In verità – scri-
ve ølber Ortaylı, massimo storico turco vivente – battezzare così il nostro paese è
stato piuttosto bizzarro, perché a chiamarlo con questo nome non furono i nostri
antenati ma gli italiani, che lo conoscevano benissimo. I nostri antenati lo chiama-
vano terra di Roma (øklim-i Rum), il loro obiettivo era conquistare l’impero roma-
no». In altri termini, «quella che gli italiani chiamavano Turchia per i nostri antena-
ti era Roma» 11. Il logo della potenza anatolica – che si immagina imperiale – origi-
na dunque dalla vittoria del colonialismo toponomastico occidentale, che simbo-
leggia la transizione dall’impero (Roma) allo Stato nazionale (Turchia). Sconftta
che nella coscienza anatolica è tuttavia al contempo passaggio vitale che ha per-
messo ai turchi di preservare la loro indipendenza, dal momento che la fne dell’im-
7. «Turkey touts discovery of world’s 2nd-largest rare element reserve», Daily Sabah, 12/7/2022.
8. «Turkey wants to be called Türkiye in rebranding move», bbc.com, 2/6/2022.
9. «Why Turkey is now ‘Turkiye”, and why that matters», Trt Word, 13/12/2021.
10. C. CHUNG, «For the State Department, Now It’s Türkiye, Not Turkey», The New York Times, 5/1/2023.
11. ø. ORTAYLI, Türklerin Tarihi (Storia dei turchi), østanbul 2016, Timas Yayınları, pp. 19-21. 203
204
L’ACCORDO MARITTIMO TRA TURCHIA E LIBIA T U R C H I A
M ar M edit er rane o G R ECI A
Rifornimenti di armi,
miliziani dalla Siria
TU NISIA e logistica dalla Turchia
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IL SECOLO DELLA TURCHIA?
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L I B I A E G I T T O
rzūq F E Z Z A N
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la -Q Lna - Esercito nazionale
ALG ERIA .
libico e alleati (Haftār)
Kufra Appoggiato da:
NIG ER E.A.U., Egitto, Russia e Francia
Gna - Governo di accordo nazionale
Area di forti scontri e alleati (al-Sarrāğ)
Appoggiato da: Turchia, Italia, Usa,
EUNAVFORMED IRINI Regno Unito, Algeria, Qatar
Grecia e Italia si alternano ogni sei mesi al CIA D
comando in mare della missione Ue incaricata
di applicare l’embargo sulle armi alla Libia, che Milizie locali (tebu e tuareg)
sconta però l’ostilità turca e una componente S UDAN
navale sottodimensionata. Brigate di Misurata
LA GUERRA CONTINUA
Sfax
6 Mare di Creta
Tājūrā’
Oceano Tripoli 4 5 Misurata
6 7 Dodecaneso
Atlantico al-Watiyya
. 9 8 Golfo di Alessandretta
ALG ER IA 9 Canale di Suez
Ma
r
Ramo atlantico
Ro
Ramo indo-pacifco
M A LI ss o
Corridoio del Mediterraneo centrale
Sawákin 9
NIG ER
Dakar 7 SENEGAL
SUDA N
GAMBIA 10
S O MA LIA
Infrastrutture costruite o controllate dalla Turchia E T IO PIA
1 Porto di Aliağa Origine del corridoio afro-oceanico Oceano
2 Porto di Taranto della Turchia Indiano
3 Porto di Malta Sbocchi oceanici dell’Anatolia
4 Aeroporto internazionale di Mitiga (Tripoli) Snodi imprescindibili del corridoio 8 Mogadiscio
5 Aeroporto militare e base navale di Misurata afro-oceanico della Turchia KE NYA
6 Base aerea di al-Watiyya Paesi di rilevanza strategica per il
corridoio afro-oceanico della Turchia
7 Aeroporto internazionale Blaise Diagne di Dakar
Arco d’interdizione mediterraneo
8 Aeroporto internazionale e porto commerciale di Mogadiscio della Turchia - Zee turca
9 Progetto di base militare turca sul Mar Rosso Arco d’interdizione mediterraneo TA NZAN IA
Centri di addestramento delle Forze armate libiche della Turchia - Zee libica
LA GUERRA CONTINUA
logo americano 14. In quella fase, la marcia turco-azerbaigiana veniva già scandi-
ta dallo slogan «un solo esercito» 15. E da alcuni mesi i treni merci avevano preso
a fare la spola tra Çerkezköy (Tekirdaã) e Xi’an 16.
Al momento dell’invasione russa dell’Ucraina la Turchia aveva dunque già
creato i presupposti strategici di un’iniziativa che per compiersi pienamente aveva
tuttavia bisogno di uno scossone geopolitico in grado di smuovere defnitivamente
gli attori coinvolti. In primo luogo la Cina, forzata dagli eventi ad avvalersi del
Corridoio centrale, dunque a riconoscere ad Ankara un ruolo sempre più cardina-
le nel proprio progetto imperiale. Ma a garantire il successo dell’iniziativa è stata
soprattutto la capacità della Turchia di inserirsi con successo nelle contese tra gran-
di potenze, di interpretare correttamente la natura dell’impatto della guerra su
queste ultime. Ankara ha innanzitutto colto il desiderio degli Stati Uniti di aprire un
secondo fronte con la Russia, offrendosi come avanguardia americana nel Caucaso
meridionale e consentendo alla superpotenza di estromettere i russi dal proprio
cortile di casa. Contestualmente, Erdoãan ha approfttato delle frizioni tra Mosca e
Pechino generate dall’impatto delle sanzioni sui commerci eurasiatici, proponen-
dosi alla Cina come alternativa per ridurre la dipendenza infrastrutturale dalla piat-
taforma russa. E solleticando la brama cinese di incunearsi nell’impero americano
offrendo a Pechino l’opportunità di sviluppare rapporti sempre più strategici con
un paese membro della Nato. Consapevole che gli Stati Uniti lasciano fare perché
convinti che l’aumento dell’infuenza turca in Asia centrale porterà inevitabilmente
Ankara e Pechino alla rotta di collisione nel medio periodo, tanto che gli strateghi
washingtoniani spingono strumentalmente i turchi a proiettarsi verso la «Cina occi-
dentale» fn dagli anni Novanta 17. A differenza di quanto avvenuto tra il 2011 e il
2016 in Siria – dove è rimasta schiacciata nello scontro tra Usa e Russia – nel Cau-
caso meridionale la Turchia è riuscita a manipolare a proprio vantaggio le grandi
potenze e i loro interessi, rendendosi indispensabile a cinesi e americani e premu-
randosi di compensare i russi su un altro fronte.
210 18. «Turkish foreign minister says he could meet Syrian counterpart in early February», Reuters, 12/1/2023.
LA GUERRA CONTINUA
turchi verso la Siria – di cui Ankara nel 2011 era primo partner commerciale – sareb-
be in grado di aumentare esponenzialmente le possibilità di sopravvivenza del regi-
me. Permettendo alla Russia di continuare a disporre di un governo amico nel Le-
vante e degli avamposti militari di ¡ar¿ûs e Õumaymøm con il minimo dispendio di
energie. E consentendo alla Turchia di tornare a proiettare in Siria un’infuenza
egemonica, di rifare di al-Asad il governatore arabo di un vilayet di fatto turco. A
condizioni molto più stringenti rispetto a dodici anni fa.
Tale prospettiva preoccupa non poco gli americani, consapevoli che la propria
intransigenza siriana nei confronti della Turchia riposa sulla rivalità tra Ankara e
Damasco e sulla conseguente inconciliabilità delle posture turca e russa di medio
periodo. La rappacifcazione tra Erdoãan e al-Asad indebolirebbe dunque la posi-
zione di Washington, soprattutto perché la normalizzazione turco-siriana non po-
trebbe prescindere da un accordo volto a combattere più o meno congiuntamente
gli agenti di prossimità della superpotenza a est dell’Eufrate. In un contesto nel
quale gli Stati Uniti hanno opzioni molto limitate, non potendo bilanciare l’intesa
turco-russa arruolando l’altro escluso, l’Iran. A sua volta consapevole di non poter
oscillare tra Washington e Mosca come Ankara, travolto dalle convulsioni interne
e dunque costretto a fare buon viso a cattivo gioco, a elemosinare le briciole dal
tavolo di Erdoãan e Putin. Stimolare la reazione della superpotenza è d’altra parte
uno degli obiettivi insiti nell’accennata riconciliazione con al-Asad, mediante la
quale la Turchia punta a indurre gli americani a rivedere la propria politica siriana.
Per scongiurare l’allineamento turco-russo nel Levante. E soprattutto per evitare
che tale allineamento evolva in un’intesa più strutturale, come lascia ad esempio
intendere la proposta di Putin di creare nella Tracia orientale uno hub energetico
che permetterebbe ai turchi di (ri)vendere agli europei il gas russo che transitava
attraverso Nord Stream.
Naturalmente la Turchia non intende mettere tutte le uova anatoliche nel pa-
niere di al-Asad. Anche in caso di scenografca stretta di mano a Mosca tra Erdoãan
e il presidente siriano, è alquanto improbabile che Ankara e Damasco raggiungano
un accordo reciprocamente soddisfacente sulle questioni più spinose: rimpatrio dei
profughi, sorte dei territori conquistati dalle Forze armate turche, azioni congiunte
contro il Pkk, modalità della ricostruzione. Nel caso in cui il processo di riconcilia-
zione si arenasse, l’intesa turco-russa sulla cogestione della Siria salterebbe e ver-
rebbe meno anche la minaccia all’infuenza americana nell’Oriente siriano. Ma la
Turchia resterebbe comunque in vantaggio.
Nella sua dimensione minimalista la tentata riconciliazione con al-Asad è infatti
un espediente tattico per mettere i russi con le spalle al muro. Putin riconosce ormai
da anni la legittimità delle preoccupazioni turche e la necessità di Ankara di allonta-
nare la minaccia terroristica dal proprio confne, ma continua a chiedere strumental-
mente a Erdoãan di affdare al regime damasceno il compito di «ripulire» il territorio
siriano dal Pkk. Nell’illusione che il presidente turco non si sarebbe potuto spingere
a normalizzare i rapporti con il suo rivale regionale per eccellenza. Bevendo l’amaro
calice assadiano, Erdoãan intende dunque prendere i russi in contropiede. Consape- 211
212
Bosnia
Kosovo Mar
Macedonia M ar N er o
C as pi o
del Nord İstanbul GEORGIA
(capitale della confederazione) Batumi
IL SECOLO DELLA TURCHIA?
T U R C H I A
Nahçivan
(Regione autonoma
M ar M edi ter r an eo CIPRO NORD
dell’Azerbaigian)
SIRIA Corridoio
Punto di contatto di Zangezur
delle Zee turca e libica IRAQ
Golfo
L I B I A Persico
(Riunifcata)
vole che in caso di fallimento del processo di riconciliazione Putin non avrebbe più
pretesti per impedire ad Ankara di completare la zona di sicurezza al confne tur-
co-siriano, che in ragione dell’evoluzione dei rapporti di forza tra Turchia e Russia
innescata dalla guerra in Ucraina potrebbe assumere dimensioni ben più ampie di
quelle fnora pubblicizzate dal Reis. In caso contrario i russi dovrebbero assumersi
la responsabilità di rompere l’intesa tattica con i turchi. In una fase in cui non pos-
sono permetterselo, stante la crescente dipendenza dalla Turchia. Piattaforma vitale
per aggirare le sanzioni occidentali, sentinella delle vie d’acqua che per Mosca rap-
presentano l’unica via d’uscita dal contenimento americano, snodo sempre più fon-
damentale dei fussi di gas provenienti dalla Federazione.
Indipendentemente dall’esito della tentata riconciliazione con al-Asad, Ankara
riuscirà dunque ad avanzare i propri interessi in Siria senza compromettere l’intesa
tattica con la Russia. Volgendo ulteriormente a proprio favore i rapporti di forza
con Mosca e riservandosi di poter continuare a oscillare tra americani e russi (e
cinesi) nei quadranti di prevalente interesse strategico. A eccezione dell’unico in
cui la posta in gioco è realmente vitale.
19. «Cumhurbaúkanı Erdoãan’ın “Çılgın Türkler yürür” sözleri Yunan medyasına damga vurdu» («Le
parole di Erdoãan sui “pazzi turchi” sono state marchiate sui media greci»), Yeni ùafak, 21/1/2023.
20. «Erdoãan: Atina rahat durmazsa vururuz» («Se Atene non sta calma, colpiremo»), Sözcü, 11/12/2022. 213
IL SECOLO DELLA TURCHIA?
214 21. «Finland OKs 1st military exports to Türkiye since 2019 amid NATO row», Daily Sabah, 25/1/2023.
LA GUERRA CONTINUA
da follia, non a caso richiamata da Erdoãan nella stilettata retorica riflata ai greci il
20 gennaio. E il momento propizio si avvicina.
Il 29 ottobre 2023 ricorre il centenario della repubblica, evento di cui il presi-
dente turco ha gonfato a dismisura l’importanza geopolitica. Creando aspettative
che non si può permettere di disattendere, facendolo paradossalmente coincidere
con l’attesa resurrezione dell’impero. La quale a sua volta si traduce inevitabilmen-
te nell’abiura del trattato di Losanna del 1923. Da anni sconfessato pubblicamente
dai vertici dello Stato turco, che rinnegano ormai apertamente la costituzione geo-
politica della repubblica di cui sono rappresentanti. Nella consapevolezza che il
battesimo del «secolo della Turchia» non potrà che essere celebrato al funerale di
Losanna.
215
LA GUERRA CONTINUA
NON ISOLIAMO
I BALCANI POLITI di Alessandro
1. A. VU0I©, «Il piano per il Kosovo e Metohija è stato accettato da tutti i membri Ue», Rts, 23/1/2023. 217
NON ISOLIAMO I BALCANI
mento eretto sul luogo della battaglia di Kosovo Polje del 1389) nel seicentenario
della sanguinosa disfatta medievale. Il discorso che rivendicava il Kosovo come
culla imprescindibile della nazione e dell’identità serbe, contribuendo al fatale
cammino verso la guerra nel 1998-1999.
Il fascino forte della disfatta gloriosa che semina e segna per sempre il destino
ineluttabile di una nazione, costruendone l’identità, non è certo patrimonio di quel
paese soltanto. I francesi hanno la débâcle di Alesia (52 a.C.), migliorando poi il
mito nazionalista con la vittoria di Orleans (8 maggio 1429). I tedeschi hanno usa-
to la vittoria nell’imboscata di Teutoburgo (9 d.C.) come mattone per la costruzione
del loro nazionalismo e anche il fascismo si è ben guardato dal fare del massacro
di Canne (216 a.C.) il suo culto nazionalista, preferendo la vittoria contro il «barba-
ro infdo» Annibale a Zama (202 a.C.).
Bisogna continuare a constatare asciuttamente che nel XIX secolo sono state
gettate le basi di quei nazionalismi che hanno insanguinato per almeno un quarto
di millennio il mondo, costruendo miti identitari proiettati in un passato eroico e
praticamente avulso dalla storia concreta. Una coalizione disparata di galli non fa
un’orda di protofrancesi, le quadrate legioni non sono i soldati con le stellette, così
come una variopinta schiera di signori del tardo medioevo provenienti da Albania,
Bosnia, Epiro, Bulgaria, Grecia, Ungheria e anche Serbia non crea un esercito di
sempiterni serbi. Del resto è interessante notare che – passata la febbre nazionalista
fomentata da Miloševi© il giorno della celebrazione della battaglia, con un milione
stimato di presenti – dal 2017 si riuniscono poche centinaia di persone in un’atmo-
sfera da scampagnata sempre meno carica di simboli guerreschi, attorno a un mo-
numento assai poco curato per il resto dell’anno.
È certo che il preambolo della costituzione serba del 2006 contiene esplicita
menzione della provincia autonoma di Kosovo e Metohjia come parte integrante
della Serbia, sia pure dotata di sostanziale autonomia in linea di principio. Un
emendamento costituzionale, specie sulle materie più importanti (preambolo inclu-
so), deve essere approvato dai due terzi dell’Assemblea nazionale e può richiedere
un referendum popolare. Non è una strada agevole, ma nemmeno impossibile.
Ovviamente il mito di Kosovo Polje implica l’inalienabilità della culla della
nazione, circostanza fortemente e comprensibilmente emotiva che la storia si è
incaricata più volte di smentire: l’Italia non è meno italiana senza Nizza e Savoia,
la Germania resta tedesca anche senza l’Alsazia, la Lorena, la Slesia e la Prussia
Orientale e la Russia, più volte nella sua storia, si è dimostrata capacissima d’igno-
rare le sue radici secolari nel principato di Kiev. Nonostante le proprie ricorrenti
crisi, l’Unione Europea, nella quale tanto Belgrado quanto Prishtina vogliono en-
trare, è riuscita a sgretolare in molti paesi le croste nazionaliste, rendendo le fron-
tiere molto meno rilevanti rispetto al passato e permettendo a decisori politici e
popolazioni, grazie alla libertà di circolazione, di sganciarsi da pezzi di terra intrisi
di sangue per secoli, a favore di un’identità più mutevole e molto più resiliente di
quanto immaginassero le precedenti generazioni.
218
LA GUERRA CONTINUA
mafose, che troppo spesso godono di una contiguità assai compenetrante con i
governi. La Kfor a guida italiana e i carabinieri della Msu (Mononational Speciali-
zed Unit) non hanno troppe diffcoltà a vedere la fligrana: anche in città divise
come Mitrovicë/Kosovska Mitrovica, la collaborazione e divisione di zone e atti-
vità criminali interetniche tra padrini funziona molto bene, come documentato
per tutta la regione da ampia letteratura investigativa e scientifca. Del resto chi
analizzava la guerra di dissoluzione della Jugoslavia senza una griglia mafosa,
non capiva metà del confitto e il problema persiste anche nella comprensione di
guerre più oscure o più eroiche a seconda dei capricci politico-mediatici.
L’ultima crisi sulle targhe sembra pretestuosa e pare essere stata condotta in
modo forse troppo deciso dai due contendenti. In realtà ha fondamento in due
esigenze: affermare la sovranità delle istituzioni per Prishtina e proteggere la
minoranza serba per Belgrado. Le targhe automobilistiche sono un segno chiaro
di controllo del territorio ed è abbastanza ovvio che a Prishtina si vogliano tar-
ghe con una sigla kosovara, anziché con sigla serba per i residenti serbofoni
kosovari nel nord del paese. Altrettanto evidente è che Belgrado non voglia
targhe kosovare che implichino una sovranità non riconosciuta; meno evidente
è che, per ragioni geografche, i valichi del Kosovo settentrionale siano assai
utili per traffci illeciti interetnici e che l’ambiguità delle targhe male non faccia
agli «affari».
D’altro canto, la Serbia osserva che l’istituzione di una associazione/comunità
delle municipalità serbe (10 in tutto il paese) con ampia autonomia locale è stata
rinviata tenacemente da Prishtina per nove lunghi anni; in effetti sarebbe assai
produttivo se si cominciasse a creare una situazione di tipo altoatesino nei quattro
comuni in cui i serbi sono maggioranza. Le obiezioni a Prishtina sono che Belgra-
do esercita un ferreo controllo sulle enclave serbe; le strutture parallele di sicurez-
za sono state messe in quiescenza, ma non smantellate (come le ultime tensioni
dimostrano, con blocchi stradali tutt’altro che improvvisati – i locali ne hanno
mappe come per gli autovelox); simili associazioni in passato sono state strumen-
to d’ingerenza anche sovversiva in Bosnia. L’attuale premier Albin Kurti sembra
sottovalutare la presenza della Kfor, che fa una differenza capitale rispetto alla
Bosnia-Erzegovina prebellica.
intendimento del mondo di oggi; quindi anche nei Balcani ci deve essere la zampa
del feroce Orso russo.
Perciò si parla del tentato colpo di Stato in Montenegro, dell’infuenza russa
sulle Chiese ortodosse locali, delle forniture di Gazprom a prezzo di favore, delle
mene del soft power moscovita nelle società, media e classi politico-affaristiche lo-
cali, delle vendite di armi alla Serbia, della possibile presenza di basi d’intelligence
russe, del supporto al leader serbo-bosniaco Milorad Dodik nei suoi tentativi di
spaccare la Bosnia-Erzegovina e della discordia seminata occultamente tra Atene e
Skopje nella controversia sul nome della Macedonia del Nord.
Quasi tutte cose che realmente sono accadute (con qualche dubbio ragione-
vole sul tentato golpe montenegrino), incluse alcune interessanti campagne nel
settore cibernetico. Al quadro si può aggiungere, per esempio, il sostegno tenace
al governo illiberale ed etnicista di Nikola Gruevski in Macedonia del Nord, fno
alla sua caduta spettacolare in parlamento, che ha fruttato un dividendo politico
non meno importante delle sponde apertamente neutraliste di Belgrado o decisa-
mente florusse della Repubblica Srpska. Inoltre, la presenza di mafosi e oligarchi
russi flogovernativi con radici e interessi nel riciclaggio di denaro ha continuato a
non essere trascurabile e probabilmente si è rafforzata durante il confitto ucraino
per aggirare le sanzioni.
Tirando le somme, si vede però un quadro strategico differente dalle paranoie.
La Russia era presente sul terreno dentro la Kfor (il cui stemma per metà è in ciril-
lico) sino al 2003, ma da allora, compreso che non c’erano grandi ritorni, il gover-
no russo ha usato i Balcani per dare il massimo fastidio col minimo costo, senza
speciali rischieramenti o investimenti. Ancora oggi chi è sul terreno riferisce pun-
tualmente che i russi possono combinare piuttosto poco, a dispetto dell’immagine
tenebrosa dei loro servizi d’intelligence.
5. I Balcani occidentali sono stati la comoda fnzione per isolare i paesi dell’a-
rea da due realtà cui appartengono pienamente: l’Europa, che si è occupata di
questa zona dai tempi della Questione orientale (1804), e i Balcani in senso geo-
politico, che includono ovviamente Grecia, Turchia, Bulgaria e Romania. Infatti, la
Nato Defense College Foundation considera i Balcani e il Mar Nero come una
singola regione geopolitica, e non semplicemente per la guerra russo-ucraina.
L’area dei Balcani ancora non pienamente integrata, per le ragioni già esposte,
è stata tenuta in sospeso ed è certamente molto e sempre più stabile nel comples-
so rispetto alla fne delle campagne di dissoluzione della Jugoslavia: basti pensare
che la Nato è arrivata in Kosovo con 55 mila soldati e adesso ne conta 3.700 circa
con il compito di rinforzare, se necessario, la missione Eufor in Bosnia-Erzegovina,
forte di 1.100 unità.
La recente crisi delle targhe automobilistiche (dicembre 2022) è l’ultima di
una serie ricorrente, ma non sarebbe saggio trattare questi fenomeni come acces-
si di febbre ciclici e passeggeri perché, insieme alla fragilità di sicurezza, progre- 223
NON ISOLIAMO I BALCANI
224
LA GUERRA CONTINUA
Per Chișinău era previsto uno scenario analogo. Con la differenza che, di per
sé, la Repubblica Moldova non è un tassello strategico per Mosca: troppo lontana,
troppo diffcile da controllare e troppo piccola. In ottica russa, il caso moldavo
doveva piuttosto servire da esempio riuscito di pacifcazione attraverso la federa-
lizzazione forzata, a dimostrare che lo stesso processo poteva essere replicato in
Ucraina. La guerra iniziata il 24 febbraio scorso è anche conseguenza di questo
calcolo errato del Cremlino, che sta cercando ora di risolvere per vie militari ciò
che non è riuscito a ottenere al tavolo dei negoziati. Indipendentemente dall’esito
del confitto in corso, la Moldova è tuttavia destinata a restare uno Stato fallito dal
punto di vista socioeconomico e un problema irrisolto da quello geopolitico.
Uffcialmente la Moldova è uno Stato neutrale, ma nei fatti non c’è nessuno
che garantisca tale neutralità, né ci sarà mai. Nel testo costituzionale è affermata la
«neutralità permanente» del paese, che ripudia «il dispiegamento di truppe militari
di altri Stati sul suo territorio». Modifche relative alla disposizione di neutralità po-
tranno essere valutate «solo in seguito alla loro approvazione attraverso referen-
dum, con il voto della maggioranza dei cittadini iscritti alle liste elettorali». Nel 1994,
momento in cui la costituzione entrava in vigore senza alcuna consultazione popo-
lare, le truppe russe – mai menzionate nel testo – si trovavano già illegalmente sul
territorio moldavo. In pratica, la costituzione è stata violata dal primo istante della
sua adozione. Fino a oggi, visto che la Russia mantiene circa 1.500 soldati in Trans-
nistria, divisi tra le truppe deputate al «mantenimento della pace» e quelle inquadra-
te nel cosiddetto Gruppo operativo delle forze russe, a difesa dei depositi di muni-
zioni di Cobasna/Kolbasna. L’articolo costituzionale che rifuta la presenza di con-
tingenti stranieri è servito solo a tenere la Nato il più lontano possibile dai confni
moldavi e a impedire la cooperazione con le forze dell’Alleanza, mentre gli effetti
su un eventuale ritiro delle truppe russe sono stati nulli. Lo status di neutralità san-
cito dalla Costituzione, benché non garantito da nessuno, ha comunque indotto
Chișinău a disinvestire nelle politiche di difesa.
I problemi della Moldova sono radicati molto più a fondo della congiuntura
che attraversa ora. Questa piccola repubblica è di fatto in crisi dal primo momen-
to in cui è apparsa sulla mappa. Dal giorno della sua indipendenza (27 agosto
1991), Chișinău ha sempre dovuto fare affdamento su aiuti esterni per sopravvive-
re (rimesse, prestiti, sovvenzioni). Ciò cui assistiamo oggi in seguito all’invasione
russa dell’Ucraina è solo l’esacerbarsi di una crisi che non è mai veramente scom-
parsa. Prima di affrontare la questione della sicurezza militare della Moldova, oc-
corre discutere la situazione socioeconomica di un paese che ha tutte le caratteri-
stiche di uno Stato fallito.
2. Dal punto di vista demografco, la Moldova registra il tasso più alto di spo-
polamento in Europa, pur non essendo più stata in guerra dal 1992. Villaggi e
piccole città si sono svuotati. Se nel 1991 la popolazione era di 4 milioni e 364
226 mila abitanti (inclusi quelli della Transnistria, circa 731 mila), ora il paese ne conta
LA GUERRA CONTINUA
Moldava 14 Moldava 12
3. V. IONIță, «În ultimii 5 ani Moldova a cunoscut cel mai mare exod al populației din istoria sa» («Ne-
gli ultimi cinque anni la Moldova ha conosciuto il più grande esodo di popolazione della sua storia»),
13/7/2021.
4. P. PEIU, «În Basarabia abandonată de București, nu va mai exista niciun colac de salvare pentru mult
timp de acum înainte» («Nella Bessarabia abbandonata da Bucarest, non ci sarà un’ancora di salvezza
per molto tempo a venire»), Gândul, 26/9/2022.
5. Un euro vale circa 20 lei moldavi. 227
228
IPOTESI SCENARIO DELLA CADUTA DI ODESSA
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L’UNICA GARANZIA DI SICUREZZA DELLA MOLDOVA È LA RESISTENZA DELL’UCRAINA
3. La terza città più grande dell’Ucraina, Odessa, è anche l’unico porto in acque
profonde del paese. Prima dell’invasione militare russa, da qui passava circa il 65%
del commercio marittimo dell’Ucraina nonché il 70% del volume totale delle sue
importazioni ed esportazioni 10. Attualmente è l’unico porto che esporta cereali sul
mercato internazionale, in attuazione dell’accordo umanitario marittimo tra Russia e
6. B. NIGAI, «Rata infației în decembrie 2022 a constituit 30%» («Il tasso di infazione nel dicembre 2022
è stato pari al 30%»), radiomoldova.md, 11/1/2023.
7. O. HARMASH, «Ukraine’s 2022 infation hits 26.6%, but lower than forecast», Reuters, 10/1/2023.
8. «Russian monthly infation was 0.78% in December – Rosstat», Reuters, 13/1/2023.
9. B. OJA, H. WRIGHT, «Estonia’s infation fell to 17.5 percent in December», ERR News, 6/1/2023; «Latvia
Infation Rate», tradingeconomics.com; «Lithuania Infation Rate», tradingeconomics.com
10. C.A. COSTEA, «The strategic importance of the port of Odessa, Romanian Centre for Russian Stu-
dies», Romanian Centre for Russian Studies, 25/3/2022. 229
L’UNICA GARANZIA DI SICUREZZA DELLA MOLDOVA È LA RESISTENZA DELL’UCRAINA
Ucraina mediato dalle Nazioni Unite e dalla Turchia (Black Sea Grain Initiative 11). Da
un punto di vista strategico, Odessa è anche un nodo di comunicazioni stradali e
ferroviarie verso altre regioni del paese, verso la capitale Kiev e verso la Moldova.
Considerati gli obiettivi iniziali dell’invasione militare russa e quelli energetici degli
ultimi mesi, non si può escludere che in caso di ripresa di un’offensiva militare su
larga scala Mosca scelga di colpire le infrastrutture economiche e i canali di esporta-
zione marittima di merci, bersagliando il porto cittadino di Odessa e le coste regio-
nali adiacenti (Mykolajiv/Nikolaev e Bugeac/Budjak). In questo caso, la Russia non
solo otterrebbe il pieno controllo della costa ucraina dal Mar d’Azov alle foci del
Danubio, ma si assicurerebbe anche un corridoio strategico verso la regione separa-
tista della Transnistria e verso Kiev. La riconquista dell’Isola dei Serpenti nei primi
giorni dell’invasione è indicativa in tal senso.
Le truppe russe potrebbero prendere Odessa con una vasta azione armata
combinata coinvolgendo le forze di terra di Kherson, che dovrebbero prima impa-
dronirsi della città di Mykolajiv con operazioni di sbarco navale e aereo tra gli
estuari di Tylihul e Kuyalnik, per poi stabilire teste di ponte a nord della riva orien-
tale del fume Nistru/Dnestr e infne accerchiare Odessa. Queste manovre andreb-
bero coadiuvate da artiglieria e aviazione navale e richiederebbero il supporto
diretto del fuoco missilistico delle navi da guerra russe. A seconda del successo
dell’operazione di accerchiamento, i russi potrebbero poi valutare di dirigersi ver-
so la regione di Bugeac/Budjak al fne di raggiungere le foci del Danubio.
D’altra parte, il porto cittadino di Odessa è molto diffcile da conquistare. Non
solo per la confgurazione della costa e per le caratteristiche fsiche del terreno
nelle vicinanze della città, ma anche in ragione delle misure adottate dall’Ucraina
per difendere la linea costiera: difesa tattica anti-aerea, opere permanenti di inge-
gneria e fortifcazioni interrate. Nonostante il rinfoltimento del 22° Corpo d’Armata
russo in Crimea (subordinato alla Flotta del Mar Nero), il riarmo dell’Aeronautica e
il potenziamento delle difese aeree qui dispiegate, le perdite umane e materiali
sarebbero elevatissime per la Federazione e avrebbero un impatto psicologico e
mediatico estremamente negativo sia sulle le forze russe sia sull’opinione pubblica
e sullo stesso Putin. È quindi improbabile che Mosca si lanci in una vasta operazio-
ne aeronavale e terrestre per l’occupazione di Odessa e delle regioni adiacenti.
Piuttosto, continuerà a mantenere il suo blocco navale e a controllare le rotte ma-
rittime commerciali dell’Ucraina, che passano per quel porto.
230 11. «Infographic – Ukraine grain exports explained», Consiglio dell’Unione Europea, 4/1/2023.
LA GUERRA CONTINUA
iume
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Debrecen
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R O M A N I A MOLDOVA
UNGHERIA Oradea
Fiume
Emanoil Ionescu
1
Câmpia Turzii
Siret
Arad
Sibiu Focșani
Lugoj
Isola dei
F. D an u bio
Timișoara Serpenti
Mar Nero
1 Base militare Emanoil Ionescu, SOFIA
B U L G A R I A
ospita caccia e droni americani
KOSOVO
2 Base militare di Deveselu, sede
dello scudo missilistico Nato Svilengard
3 Base aerea Mihail Kogălniceanu Plovdiv
CentraleMnucleare
A C E D diO Cernavodă
NIA
Isola strategica
D E L ucraina.
N O R DLe forze TURCHIA
russe l’hanno catturata nel
febbraio 2022, per poi ritirarsi GRECIA Mar
nel giugno successivo di Marmara
Alessandropoli
Basi Nato bulgare
ALBANIA Salonicco
Porto militare
Mar Egeo
Direttrici d’infuenza romene TURCHIA
verso Balcani, Grecia e Ucraina
231
L’UNICA GARANZIA DI SICUREZZA DELLA MOLDOVA È LA RESISTENZA DELL’UCRAINA
autorità d’Oltre Nistru erano considerate agenti al soldo di Mosca. Chișinău continua
peraltro a sovvenzionare le élite economiche di Tiraspol’: tutto il gas venduto dalla
Federazione Russa alla Moldova viene infatti inviato in Transnistria, dove l’impianto
di Cuciurgan lo trasforma in energia elettrica e lo vende… alla Moldova. In pratica,
nonostante la guerra e il separatismo promosso dalle autorità transnistriane, il rap-
porto tra Chișinău e Tiraspol prosegue senza ostacoli, anzi forse meglio di prima.
Il formato 5+ 2 per la regolamentazione del confitto transnistriano, di cui fan-
no parte Moldova, Transnistria, Ucraina, Russia e Osce (e anche, con status di
ospiti, Stati Uniti e Unione Europea) non è di fatto mai stato ripudiato dai moldavi.
Ciò signifca che a guerra fnita questa cornice negoziale potrà essere riattivata e
che Mosca potrà sfruttare una eventuale partecipazione ai lavori del format per ri-
guadagnare dignità sul piano internazionale. In caso gli ucraini vincessero, è tutta-
via improbabile che accetterebbero di sedere al fanco dei russi.
Anche nel caso ideale in cui i soldati russi si ritirassero e nel territorio separa-
tista si instaurasse un regime di autonomia, la Transnistria rimarrebbe comunque
un problema per la Moldova. Per almeno tre ragioni di carattere politico, prima
ancora che economiche o di sicurezza. Anzitutto, la regione ha sviluppato negli
ultimi 30 anni una forte identità locale. In un sondaggio del 2019 12, il 38% degli
abitanti si defnisce «transnistriano» e il 36% «russo», mentre solo il 14% si identifca
come «moldavo». In secondo luogo, la popolazione della regione non è flo-euro-
pea, nonostante le illusioni di alcuni politici di Chișinău: nelle ultime elezioni pre-
sidenziali ha votato per Maia Sandu il 14% degli elettori transnistriani (4.413 citta-
dini). Ciò vuol dire che l’ingresso della popolazione della Transnistria nel campo
elettorale moldavo farebbe pendere la bilancia elettorale verso il polo flo-orienta-
le almeno per il prossimo decennio, mettendo così a repentaglio il percorso di
integrazione europea di Chișinău. In tal modo, Mosca acquisirebbe per altro un’im-
portante leva di infuenza nel processo. Questo senza contare il debito di quasi 8
miliardi di dollari contratto dalla Moldova per aver fornito gas alla Transnistria 13
negli ultimi trent’anni né i problemi di corruzione e criminalità organizzata che
l’integrazione di questo territorio separatista porterebbe al paese.
Infne, nella prospettiva di negoziati fnali per il confitto ucraino, il dossier
transnistriano potrebbe essere evocato per risolvere il problema dello status ambi-
guo di alcuni territori dell’Ucraina: c’è quindi la possibilità che la soluzione delle
autonomie territoriali, rifutata da Kiev nell’ambito degli accordi di Minsk, venga
ripresa facendo leva sul precedente della Moldova.
12. T. COJOCARI, D. DUNGACIU, R. CUPCEA, «Perceptions, attitudes and values of the population from the
left bank of Dniester river», Black Sea University Foundation (Funm) e Cbs-Axa Sociological Investi-
gation and Marketing Centre, 2019.
13. P. REMLER, «Transdniestria, Moldova, and Russia’s War in Ukraine», Carnegie Endowment for Inter-
232 national Peace, 2/8/2022.
LA GUERRA CONTINUA
Romania, questione che si pone soprattutto in tempi di crisi. La nostra tesi è che la
prospettiva di un’unione sia per i cittadini moldavi al massimo una soluzione in ne-
gativo: la situazione è peggiorata a tal punto che il ricongiungimento con la Romania
sul modello tedesco e il conseguente ingresso nell’Ue e nella Nato sono visti come
male minore. Una popolazione che per il 70% vede il futuro dei propri fgli al di
fuori della Moldova 14 è una popolazione che non crede più in questo Stato.
In Romania, circa il 75% degli abitanti si esprime a favore dell’unione con la
Moldova. Si tratta tuttavia di una sorta di posizione politica di rito, che la popola-
zione romena abbraccia senza avere una vera consapevolezza dell’effettiva situa-
zione geopolitica di Chișinău e delle conseguenze economiche di tale progetto 15. I
sondaggi condotti in Moldova rivelano invece che i suoi abitanti sarebbero favore-
voli alla prospettiva unionista per il 35-40%: è l’unico tasso in costante crescita
dagli anni Novanta, anche se di fatto non è supportato da dichiarazioni unioniste
da parte di Chișinău o di Bucarest. Questo orientamento è motivato da diversi fat-
tori. Un ruolo importante è giocato dal cambio generazionale: rispetto ai primi
giorni di indipendenza della repubblica, oggi si sta affermando una generazione
che non nutre più le fobie sovietiche della precedente. Inoltre – e questo è l’ele-
mento più importante – l’aumento delle simpatie unioniste è sintomo del fallimen-
to della Repubblica Moldova come progetto politico. Negli ultimi 30 anni Chișinău
ha sperimentato i regimi più disparati: governi di sinistra, florussi, flo-europei,
coalizioni Est-Ovest con rappresentanti di entrambe le correnti. Nessuno di questi
ha funzionato, nessuno è riuscito a proporre un programma nazionale di successo.
Neanche l’esenzione dai visti per i cittadini moldavi può essere considerata una
vera vittoria, perché gran parte di loro (oltre un milione 16) possedeva già un pas-
saporto romeno – dunque europeo – con cui poter circolare e stabilirsi nel Vecchio
Continente. La reintegrazione della regione transnistriana non c’è stata, le truppe
russe non hanno lasciato il paese, la prosperità non è arrivata. La Moldova è rima-
sta un paese diviso tra Oriente e Occidente.
Lo stesso riconoscimento dello status di paese candidato all’ingresso nell’Ue è
percepito positivamente solo dalla metà dei cittadini. È per altro diffusa la sensa-
zione che il merito principale non sia da attribuire a Chișinău ma alla guerra in
Ucraina. Uno studio del 2019 sulla sociologia dell’unionismo moldavo 17 evidenzia
come la prospettiva di un ricongiungimento con la Romania sia in realtà percepita
con diverse sfumature dalla popolazione locale. Una parte di essa propende ad
esempio per un «unionismo potenziale»: non voterebbe per l’unione ma la ritiene
234
LA GUERRA CONTINUA
ROMANIA
FRONTE
DEL PORTO COLIBășANU e George SCUTARU
di Antonia
delle navi militari di Stati non rivieraschi al Mar Nero è disciplinato dalla conven-
zione di Montreux, che prevede limiti di stazza e riduce la permanenza a un mas-
simo di 21 giorni. Per questo la presenza di navi Nato nel Mar Nero è limitata e a
rotazione, quindi dispendiosa e laboriosa. In tempi di guerra – come ora – la Tur-
chia ha chiuso gli Stretti alle navi militari, perciò l’accesso al Mar Nero di navi Nato
provenienti da Stati non rivieraschi è impossibile 2.
Peculiarità della regione del Mar Nero è la presenza di confitti congelati: la
Transnistria nella Repubblica di Moldova; il Donbas in Ucraina: Abkhazia e Ossezia
del Sud in Georgia; il Nagorno Karabakh al confne tra Armenia e Azerbaigian.
Contese destabilizzanti che possono causare in qualsiasi momento confitti armati,
come accaduto nel 2020 in Nagorno Karabakh e oggi in Ucraina. Iniziati o diretti
dalla Russia, questi confitti e sono stati mantenuti dormienti da Mosca per fungere
da strumenti di pressione sugli Stati interessati. Tali paesi sono rimasti nella sfera
d’infuenza russa, come l’Armenia; o hanno sperimentato sviluppi democratici len-
ti e tortuosi infuenzati dalla Russia, come la Repubblica di Moldova; o ancora sono
stati vittime di aggressione diretta quando Mosca non è più stata in grado di in-
fuenzarli, come la Georgia nel 2008 o l’Ucraina nel 2014 e nel 2022.
Altra specifcità è la scarsa coesione tra gli stati Nato che si affacciano sul Mar
Nero. La Romania ha una postura flo-americana e vuole una maggiore presenza
dell’Alleanza Atlantica nella regione, consapevole della propria inferiorità militare
rispetto alla Russia. La Turchia ha un atteggiamento ambivalente verso la Russia,
avendo interessi complementari o antagonisti nel Caucaso, in Asia centrale, in Me-
dio Oriente e in Nordafrica. Il neo-ottomanismo del presidente Erdoãan ha fatto sì
che Ankara abbia adottato una politica di equilibrio piuttosto che di confronto, con
atteggiamenti benevoli verso Mosca o Putin, anche a costo di infastidire Washin-
gton. La Bulgaria ha legami tradizionali con la Russia di natura storica, culturale,
linguistica e religiosa. Popolo slavo-ortodosso resosi indipendente dai turchi nel
XIX secolo grazie al sostegno e al coinvolgimento militare russo, i bulgari conser-
vano forti sentimenti positivi verso Mosca anche oggi, dopo l’invasione dell’Ucrai-
na 3. Un sondaggio condotto nell’ottobre 2022 mostra che il 48% dei bulgari non
sostiene né Ucraina né Russia in questo confitto, il 23% parteggia per Kiev e il 21%
circa per Mosca. Se nel Baltico la Polonia agisce all’unisono con le omonime re-
pubbliche, nel Mar Nero i tre Stati Nato raramente sono disposti a una vera coope-
razione, soprattutto se antirussa.
Mare rivendicato
M
Limite delle Zee
OL
frutto di un accordo dalla Russia
UCRAINA
DO
bilaterale Mare rivendicato
dall’Ucraina
VA
Limite d’equidistanza
virtuale Nuova rivendicazione
2014
4 della Russia
201
Crimea
FEDERAZIONE
ROMANIA RUSSA
Abkh
azia
BULGARIA
GEORGIA
M a r N e r o
TURCHIA
Aree di libera
navigazione disturbate
IL PICCOLO GRANDE MAR NERO dalla Federazione Russa
Accordo tra Bulgaria Decisione della Corte Accordo tra Turchia Scambio di note tra Accordo tra Turchia
e Turchia (4/12/1997) int. di giustizia tra e Urss (23/6/1978) Turchia e Urss e Georgia (14/7/1997)
Romania e Ucraina (tra il 23/12/1986
(3/2/2009) e il 6/2/1987)
Fonte: Black Sea News e Confits
de greche volevano sepolto qui dopo aver perso la vita nell’assedio di Troia. L’isola
fu governata da romani, bizantini, genovesi, turchi, russi (per un breve periodo) e
di nuovo dai turchi, poi dalla Romania tra il 1878 e il 1947, quando fu presa
dall’Urss. Nel 1991 divenne parte dell’Ucraina. La Romania ne ha riconosciuto im-
plicitamente l’assetto territoriale con il trattato bilaterale romeno-ucraino del 1997.
I negoziati tra i due paesi per la delimitazione della piattaforma continentale e
delle Zone economiche esclusive (Zee) nel Mar Nero sono proseguiti anche dopo,
ma senza esito. Romania e Ucraina hanno quindi portato la questione alla Corte
internazionale di giustizia dell’Aia. Tra il 2004 e il 2009 Kiev e Bucarest hanno pre-
sentato varie proposte di condivisione dell’area contesa (11 mila kmq), tutte incen-
trate sullo statuto dell’Isola dei Serpenti: abitata con risorse proprie secondo gli
ucraini, roccia per i romeni. Lo statuto dell’isola era importante per l’assegnazione
della contesa piattaforma continentale. Nel 2009 la Corte internazionale si è pro-
nunciata a favore della Romania, che ha ricevuto 9.700 kmq a fronte dei 2.300 as-
segnati all’Ucraina. Il modo civile con cui i due paesi hanno risolto la spinosa
controversia rappresenta un punto di riferimento a livello internazionale 4.
A sud dell’isola la Romania ha scoperto importanti riserve di gas naturale, sti-
mate in 200 bcm (miliardi di m3). Il giacimento maggiore, Neptun Deep, situato 150
4. A. COLIBășANU, L. DINU, J. GODZIMIRSKI, G. SCUTARU, «How the Snake Island Matters in the context of
the 2022 War in Ukraine?», New Strategy Center, Norwegian Institute of International Affairs (Nupi)¸
24/11/2022; «11 years since romania’s trial to the hague, which brought Romania 9,700 km2 of conti-
nental shelf and exclusive economic zone», Romanian Ministry of Foreign Affairs, 3/2/2020. 237
ROMANIA, FRONTE DEL PORTO
km al largo e vicino alle Zee di Bulgaria e Turchia, ha riserve stimate di 100 bcm.
Bucarest è sul punto di iniziare la costruzione dell’infrastruttura necessaria a sfrut-
tare il gas di Neptun Deep, la cui estrazione dovrebbe iniziare nel 2027. Dall’agosto
2022 ha inoltre iniziato a estrarre gas naturale dal giacimento offshore Ana, a sud
dell’isola, e nei prossimi 8-10 anni preleverà 1 bcm/anno 5. La Romania consuma
ogni anno 12 bcm 6, la Repubblica di Moldova 1,1 (escludendo la Transnistria) 7, la
Bulgaria 3,2 8. L’erario romeno incamererebbe circa 26 miliardi di dollari 9 solo dal-
lo sfruttamento di Neptun Deep: cifra pari al bilancio della difesa di 5 anni. Dopo
la chiusura del giacimento olandese di Groningen nel 2022, la Romania è diventa-
ta il maggiore produttore di gas naturale dell’Unione Europea 10, il che le conferisce
un vantaggio strategico e aiuta l’Ue a ridurre il potere di ricatto della Russia. Il fatto
che queste risorse energetiche romene si trovino a sud dell’Isola dei Serpenti, alcu-
ne nell’area assegnata alla Romania dalla Corte internazionale di giustizia, porta
Bucarest a temere che se la Russia rioccupasse l’isola potrebbe disconoscere l’arbi-
trato del 2009. Mosca usa spesso false argomentazioni legali o interpretazioni cap-
ziose per giustifcare i suoi abusi, come i referendum con cui ha annesso la Crimea
nel 2014 e le regioni dell’Ucraina meridionale nel 2022.
Questo comportamento rientra nell’arsenale della guerra ibrida che la Russia
sta portando avanti contro l’Occidente. Esempio eloquente ne è il blocco di por-
zioni del Mar Nero con il pretesto di condurre esercitazioni navali, alcune reali e
altre fttizie, onde impedire la libera navigazione. Si tratta di una pratica legale, ma
se utilizzata ripetutamente determina effetti negativi sul commercio marittimo. A
partire dal 2017 e fno all’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, la Russia vi ha
fatto spesso ricorso. Nell’estate del 2009, ad esempio, bloccò circa un terzo della
superfcie totale del Mar Nero.
La guerra scatenata da Mosca ha esposto le compagnie di navigazione ope-
ranti nel Mar Nero a nuovi rischi, che hanno fatto lievitare i costi di assicurazione,
trasporto, movimentazione e produzione dei beni movimentati. Qualsiasi nuovo
progetto in grado di ridurre la dipendenza energetica dell’Ue dalla Russia, come
quello della Romania nell’area in questione, sarà dunque più costoso e nel caso
specifco richiederà a Bucarest di investire più risorse per scoraggiare possibili
aggressioni di Mosca nella propria Zee.
5. A. FILIP, «Investiția record din Marea Neagră a fost inaugurată. “Ana” și “Doina” vor asigura Român-
iei 90% din consumul de gaze» («L’investimento record nel Mar Nero è stato inaugurato. “Ana” e “Doi-
na” assicureranno alla Romania il 90% dei consumi di gas»), Observator, 28/6/2022
6. S. OZON, «Cum a ratat România șansa de a deveni cel mai mare producător de gaze naturale din UE.
Istoria scandaloasă a Legii Offshore» («Come la Romania ha perso l’occasione di diventare il più gran-
de produttore di gas naturale nell’Ue. La storia scandalosa della legge Offshore»), ziare.com, 19/3/2022.
7. P. PODOLEANU, «Tabloul gazelor în Republica Moldova: Consumatorii casnici și-au crescut simțitor
cantitățile utilizate în ultimii ani» («Tabella del gas nella Repubblica Moldava: negli ultimi anni i con-
sumatori domestici hanno aumentato signifcativamente le quantità utilizzate»), Agora, 1/11/2021.
8. «Bulgaria Energy Information», Enerdata.
9. S. OZON, op. cit.
10. «România ar putea deveni cel mai mare producător de gaze naturale din UE. 5 miliarde de lei/an în
plus la buget, doar din Marea Neagră» («La Romania potrebbe diventare il più grande produttore di gas
238 naturale dell’Ue. 5 miliardi di lei all’anno in più per l’erario solo dal Mar Nero»), Wall-Street.ro, 19/5/2022.
LA GUERRA CONTINUA
F. Nist
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Cernavoda
Costanza
Sebastopoli
Canale artifciale
Danubio-Mar Nero
BULGARIA
Confne marittimo attuale (Zee)
Confne reclamato dalla Romania
Confne reclamato dall’Ucraina
Limite delle acque territoriali (12mn)
Porti principali
Rotte strategiche per l’export
di grano ucraino
Centrale nucleare romena
UCRAINA
MOLD.
TURCHIA ROMANIA FEDERAZIONE
Crimea RUSSA
Istanbul
BULGARIA Mar Nero Ossezia del Sud
Abkhazia
GEORGIA
ARM. AZERB.
TURCHIA
Nagorno
Karabakh 239
Fonte: Hague Justice Portal, Petroleum Economist
ROMANIA, FRONTE DEL PORTO
– e il traffco navale presso i porti romeni di Sulina e Costanza. Inoltre, i russi po-
trebbero utilizzare l’isola per attività di disturbo e alterazione dei segnali Gnss
(Global Navigation Satellite System) 16, causando incidenti nei giacimenti offshore
collocati nella Zee romena.
Il controllo ucraino dell’isola è dunque fondamentale, mentre per Mosca l’atol-
lo rappresenta un avamposto da cui strozzare l’economia di Kiev, faccandone così
la resistenza militare. Visto che al momento oltre il 30% del territorio ucraino è
minato 17 e che tra le maggiori insidie all’attività marittima fgurano le mine, l’attivi-
tà economica è già diminuita. Questo pone seri dilemmi all’Ue, la cui industria è
stata danneggiata dalla crisi dell’economia ucraina e dal rincaro di energia e mate-
rie prime, ma anche dalla crisi in cui versa la produzione di fertilizzanti, di cui
prima della guerra Kiev era grande esportatrice. A ciò si aggiungono il rischio di
nuove ondate di rifugiati e la crisi alimentare che incombe sui paesi (molti africani)
importatori di cibo ucraino, essenziale per la loro stabilità e – di rifesso – per quel-
la europea.
242 20. «1936 Convention Regarding the Regime of the Straits», 20/7/1936.
LA GUERRA CONTINUA
Parte III
VIRATE in CORSO
nell’ INDO-PACIFICO
LA GUERRA CONTINUA
1. «2023 gong jian “yidai yilu”: Shi nian zhengcheng zai chufa» («La costruzione congiunta di “Una
cintura, una via”: il viaggio ricomincia dieci anni dopo»), Guanming ribao, 28/1/2023. 245
LA GUERRA GRANDE COLPISCE LE NUOVE VIE DELLA SETA
2. Sul piano statistico i risultati della Bri non paiono così negativi. Il progetto
coinvolge 150 paesi e 32 organizzazioni internazionali. Nel 2022 il commercio tra
questi e la Repubblica Popolare è cresciuto del 20,4% 2 e lungo le rotte ferroviarie
dirette verso l’Europa sono stati trasportati 1,6 milioni di teu (unità equivalente a
venti piedi, misura standard dei container), circa il 10% in più rispetto al 2021.
Eppure non tutti i percorsi hanno avuto la stessa rilevanza. Circa 750 mila teu
sono passati per il corridoio Cina-Asia centrale-Asia occidentale. Si tratta di un in-
cremento annuo del 18,5%. Potrebbe essere un indizio del fatto che Pechino stia
ridimensionando il ruolo delle altre due rotte terrestri della Bri (il corridoio econo-
mico Cina-Mongolia-Russia e il Nuovo ponte terrestre Asia-Europa) reputate geo-
politicamente instabili a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.
Neanche il corridoio Cina-Pakistan pare affdabile. Lo scorso dicembre nuove
proteste anticinesi si sono verifcate presso il porto pakistano di Gwadar, che do-
vrebbe consentire alla Repubblica Popolare di accedere all’Oceano Indiano evitan-
do lo Stretto di Malacca, collo di bottiglia presidiato dagli Stati Uniti. Negli ultimi
due anni, il Pakistan è stato teatro di diversi attentati terroristici contro lavoratori
cinesi. Il più emblematico è quello sferrato nell’aprile 2022 all’Istituto Confucio di
Karachi. Pechino aveva da poco scelto di puntare sulla città portuale per schivare
gli attentati jihadisti in Balucistan 3.
Neanche l’idea di allacciare l’Afghanistan al corridoio sino-pakistano sta dando
i frutti sperati. Dopo il ritiro dei soldati americani e della Nato dalla «tomba degli
imperi» nel 2021, Pechino ha promesso ai taliban investimenti e sostegno sul piano
internazionale. In cambio, ha chiesto loro di impedire il ritorno di estremisti di et-
nia uigura, minoranza musulmana e turcofona che abita nel Xinjiang. Come risul-
tato, a gennaio la Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas Company ha ottenuto
il permesso di estrarre petrolio nel bacino dell’Amu Darya. Eppure lo scorso dicem-
bre Pechino ha invitato tutti i suoi connazionali ad abbandonare il paese dopo che
alcuni militanti dello Stato Islamico hanno condotto un attentato contro l’hotel
Longan di Kabul, di proprietà cinese. Segno che non sarà così semplice operare in
Afghanistan.
La Repubblica Popolare ha intensifcato le attività in Asia centrale a inizio 2022,
quando Xi ha presieduto un incontro in teleconferenza con i leader di Kazakistan,
Tagikistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Turkmenistan (i cosiddetti C5) per festeggia-
re i trent’anni di relazioni diplomatiche tra Pechino e le repubbliche centrasiatiche.
In quell’occasione il leader cinese ha annunciato di voler accrescere lo scambio
commerciale con i C5 da 50 a 70 miliardi di dollari entro il 2030 e fornire loro aiu-
ti del valore di 500 milioni per l’attuazione di programmi di sostentamento.
Poi lo scorso settembre Xi si è recato a Samarcanda. Erano due anni e mezzo
che non lasciava la Cina, complice l’epidemia di Covid e le lotte di potere nel Par-
tito. Nella capitale uzbeka il suo scopo non era solo mostrare a Putin il disappunto
2. Y. ZHANG, «BRI, other China-led visions high on 2023 agenda», China Daily, 26/12/2023.
3. Cfr. G. CUSCITO, «Soft power e nuove vie della seta: i bersagli cinesi dell’attentato in Pakistan», lime-
sonline.com, 29/4/2022. 247
248
LA QUARTA CRISI DELLO STRETTO
Limite della piattaforma Aree delle esercitazioni Mar
continentale rivendicato condotte dalla Cina Cinese
dalla Cina 1995-1996
Orientale
Confni marittimi tra la Cina 2022
e gli arcipelaghi taiwanesi
Isole Senkaku
(GIAPPONE, rivend.
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da Cina e Taiwan)
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OCEANO INDIANO MALAYSIA
MALDIVE SINGAPORE
I N D O N E S I A AUSTRALIA
2 - DI CHI È TAIWAN?
Z H E J I A N G
Nanchang Amami
Mar Tokuno
Wenzhou Cinese
Orientale
I
E
J I A N G X I Okinawa
S
Isole Senkaku O C E A N O
N
(GIAPPONE, rivend. P A C I F I C O
A
C I N A Fuzhou da Cina e Taiwan)
E
N
N
F U J I A N E
143 km Miyako L O
Yaeyame O P
n
Hsinchu Taipei S
Xiamen 108 km I P Keelung City
wa
Taipei City
i
Taichung
Yonaguni I A
Ta
G U A N G D O N G 155 (GIAPPONE) G Lienchiang TAIWAN Taoyuan
km
di
Chaozhou
to
Guangzhou REP. DI CINA Hsinchu New Taipei City
t
(TAIWAN) Yilan
Tainan Miaoli
tre
Kaohsiung
S
Kowloon Quemoy Taichung City
Macao
Hong Kong Changhua 1
Penghu Nantou
15
Canale di Bashi Hualien
6k
Yunlin
m
E Chiayi City Chiayi
Isole Pratas Isole Batan (FILIPPINE)
Arcipelago
IN
(TAIWAN, rivendicate dalla Cina)
Tainan
P
della Repubblica di Cina Mar Canale di Balintang City
(TAIWAN) Babuyan Kaohsiung City Taitung
IP
Cinese Calayan
TAIWAN Meridionale Dalupiri Fuga Camiguin
Pingtung
FIL
ISOLE MATSU
QUEMOY Limite della piattaforma
continentale rivendicato Laoag Taitung
Isola di Luzon
PESCADORES dalla Cina LE CONTEE DELLA
Acque contese tra Tuguegarao REP. DI CINA
LANYU Confni marittimi Giappone e Cina FILIPPINE (TAIWAN)
Popolazione totale del paese: Le montagne
3 - NUCLEI GEOPOLITICI A FORMOSA di Taiwan
23.264.640 (2022) 3.997
Composizione etnica di Taiwan 2.500
Fonte: www.taiwan.gov.tw Personale militare:
2,5% 1.800
Aborigeni 1% Cinesi continentali 1.826.000 (di cui 169.000 soldati in attività 1.200
Isole Ryūkyū e 1.657.000 in riserva)
austronesiani Macao, Hong Kong e stranieri (Giappone) 500
Fonte: Archivio statistico della Repubblica di Cina (2022) 0 metri
e Military Balance (2022)
Han (inclusi hoklo,
hakka e altri cinesi
96,5% provenienti dalla
terraferma)
Lanyu
TA I WA N (Taiwan)
Isole Batan
Taipei (Filippine)
M a r C i n e s e
O r i e n t a l e Taoyuan Yu Shan
Hsinchu 3.997 m
Sede di Taiwan Semiconductor
Canale di Bashi
S
t Pia
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a
e di Ch Tainan
Wenzhou Matsu t ianan
Kaohsiung
to
(Taiwan) Maggior porto
d per trafco container
i
T
Z H E J I A N G a
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a n Isole Pescadores
Fuzhou M a r C i n e s e
(Taiwan)
M e r i d i o n a l e
F U J I A N Quemoy
C I N A (Taiwan) Confni marittimi
Nanping Nuclei geopolitici
Xiamen
di Taiwan
Potenziali punti di sbarco
Nuova Taipei di un eventuale attacco della
Rep. Pop. Cinese
4 - USA CONTRO CINA Misawa
Anti-Access/Area Denial (A2/Ad) PRESENZA MILITARE PERSONALE
Strategia cinese di interdizione dello spazio COREA GIAPPONE
USA NEL PACIFICO MILITARE DEL NORD
Prima catena di isole Yakota
(Spazio dove la Cina intende bloccare Hawaii 41.008 COREA
la proiezione di potenza statunitense Giappone 55.666 DEL SUD Tōkyō
acquisendo adeguate capacità militari) Yokosuka
Corea del Sud 25.726 Osan sede della 7°
Seconda catena di isole Guam 6.290 fotta Usa
(Strategia cinese, molto ambiziosa, Pechino Iwakuni
di creare una Blue Water Navy Singapore 203
per estendere la propria infuenza Principali basi aeree Usa
Thailandia 106 Kunsan
nell’Oceano Pacifco)
Australia 792 Jinae-gu
Gittata massima dei missili Principali basi navali Usa
+ 2.200 marines a rotazione
cinesi antinave basati a terra
nella base di Darwin Sasebo Principali basi dell’Esercito Usa
Filippine 187 + truppe a rotazione Shanghai
Hong Kong 13 Isole Senkaku
U-Tapao A. Bautista
VIETNAM
00 m
1.3
Isole contese
BRUNEI
Paese ambiguo
MALAYSIA
Paesi pro-Cina Singapore Darwin
Paesi parte del contenimento anticinese
per il protrarsi della guerra alle porte dell’Europa. La trasferta serviva anche a get-
tare le basi per nuovi accordi con i C5. Peraltro, proprio durante quel viaggio il
leader cinese ha espresso esplicito sostegno alla sovranità e all’indipendenza del
Kazakistan, evidentemente in funzione antirussa. Poi a gennaio la Repubblica Po-
polare e il Turkmenistan hanno elevato i loro rapporti al livello di «partnership
strategica complessiva», frmato accordi di cooperazione nell’ambito delle nuove
vie della seta e parlato espressamente del progetto ferroviario che dovrebbe riguar-
dare i due paesi, il Kirghizistan e il Turkmenistan.
L’aumento della presenza cinese nei C5 può avere delle controindicazioni.
Innanzitutto rappresenta un elemento di frizione con Mosca, per nulla interessata
a rinunciare alla propria infuenza in Asia centrale. Inoltre, può spingere la Cina
ad accrescere la collaborazione con la Turchia, le cui ambizioni panturaniche ri-
guardano anche questa parte di mondo. Pechino e Ankara fanno affari da tempo
ma non hanno rapporti idilliaci. Il governo guidato dal presidente Recep Tayyip
Erdoãan si oppone a fasi alterne alla repressione degli uiguri (musulmani e turco-
foni) nel Xinjiang. Mentre quello cinese non gradisce l’intraprendenza turca e
russa in Libia, dove le aziende della Repubblica Popolare stentano a tornare dopo
l’evacuazione del 2011.
3. A ogni modo, per Pechino le rotte marittime contano sempre di più di quel-
le terrestri. Non potrebbe essere altrimenti, visto che oltre l’80% del commercio
mondiale avviene su acqua. Soprattutto, la Repubblica Popolare sa che per com-
petere sul piano geostrategico con gli Usa ha bisogno di allontanare la linea di
difesa dalla costa, di trasformare il Mar Cinese Meridionale nel proprio cortile di
casa e di accedere al Pacifco libera dal costante pattugliamento americano. L’anel-
lo di congiunzione tra questi tre elementi è Taiwan, considerata il punto di accesso
geografcamente e storicamente migliore all’oceano lungo la prima catena di isole
che si staglia dal Giappone all’Indonesia.
Taipei non intende accettare l’unifcazione pacifca con la Repubblica Popola-
re. Anzi, con il supporto americano si sta attrezzando per respingere un’eventuale
offensiva dell’Esercito popolare di liberazione (Epl). Il quale nel frattempo conti-
nua a condurre esercitazioni sempre più vicino alle coste taiwanesi sulla falsariga
di quelle attuate lo scorso agosto, dopo la visita a Formosa della speaker della
Camera statunitense Nancy Pelosi.
Qualcosa bolle in pentola sul fronte propagandistico cinese. Secondo il quoti-
diano nipponico Nikkei, Wang Huning, ideologo del Partito comunista, potrebbe
essere incaricato di sviluppare un nuovo tipo di rapporto tra Pechino e Taipei. Il
piano sarebbe logico, visto che i taiwanesi hanno rifutato l’unifcazione a cavallo
dello Stretto tramite la formula «un paese, due sistemi», che ormai garantisce solo
formalmente autonomia a Hong Kong e Macao 4. Se confermato, il ruolo di Wang
4. K. NAKAZAWA, «Analysis: Xi puts top brain in charge of Taiwan unifcation strategy», nikkei.com,
26/1/2023. 249
LA GUERRA GRANDE COLPISCE LE NUOVE VIE DELLA SETA
potrebbe diventare cruciale con l’avvicinarsi della sfda tra Partito progressista de-
mocratico (Ppd, contrario all’unifcazione) e Kuomintang (Kmt, più flo-Pechino)
alle presidenziali del 2024. Tuttavia, la vittoria del Kmt alle elezioni locali di novem-
bre non è automatico preludio al trionfo su scala nazionale. Diversamente da
quanto accaduto recentemente alle urne, la posta in gioco non sarà la gestione
politica del territorio ma l’indipendenza de facto di Taiwan, argomento capace di
catalizzare la coesione di tutta la popolazione.
Pechino continuerà a esibire i muscoli per mostrare che è pronta a tutto per
ottenere l’unifcazione. In più, fnanzierà progetti infrastrutturali (civili e militari) in
paesi bagnati dal Mar Cinese Meridionale e dal Pacifco. Basti pensare alla ristrut-
turazione in corso della base militare di Ream in Cambogia, la quale un tempo
ospitava soldati americani e presto potrebbe fare lo stesso con quelli dell’Epl. Op-
pure all’accordo di sicurezza siglato con le Isole Salomone, che pure potrebbero
diventare sede di un avamposto militare della Repubblica Popolare. Il proposito di
Pechino è guadagnare partner nelle acque rivierasche, accerchiare Taiwan e con-
trobilanciare la presenza di Washington in Oceania.
Al momento questa parte di mondo resta nella quasi totale disponibilità statu-
nitense. Lo scorso maggio nove paesi insulari del Pacifco (Papua Nuova Guinea,
Figi, Micronesia, Vanuatu, Niue, Samoa, Kiribati, Tonga e le stesse Isole Salomone)
hanno rifutato di stipulare un’intesa economica e militare multilaterale con Pechi-
no. Segno che pur incassando il denaro cinese non vogliono rinunciare all’ombrel-
lo securitario dell’America, dell’Australia e agli investimenti del Giappone. Intendo-
no infatti preservare i rapporti con i tre attori che insieme all’India costituiscono il
dialogo quadrilaterale di sicurezza (Quad), il cui scopo è arginare la Repubblica
Popolare nell’Indo-Pacifco in sinergia con la Nato.
È in tale ambito che la scorsa estate Washington e T§ky§ hanno organizzato
con i paesi della regione rispettivamente l’incontro dei Partner del Pacifco blu (Par-
tners in the Blue Pacifc, Pbp) e il Simposio dei leader anfbi del Pacifco. Il fatto che
al secondo evento Taiwan partecipasse in qualità di osservatore è diretta conseguen-
za dell’importanza geostrategica attribuita all’isola da parte del paese del Sol Levante.
Per inciso, il riarmo nipponico prosegue lento ma incessante. Lo scorso dicem-
bre T§ky§ ha aggiornato la sua strategia di sicurezza nazionale per dotarsi della
capacità di «contrattacco» e potenziare le operazioni spaziali e cibernetiche. Il Giap-
pone non è ancora sul punto di riformare la costituzione pacifsta ma, complice lo
scoppio della guerra in Ucraina, ha compreso che non può più puntare solo sul
sostegno degli Stati Uniti per gestire l’ascesa militare cinese, la minaccia missilistica
della Corea del Nord e le insolute tensioni con la Russia attorno alle isole Curili.
Tale dinamica induce la Repubblica Popolare a rivitalizzare il rapporto con le
Filippine, il cui arcipelago si sviluppa a sud di Taiwan. A gennaio Pechino e Mani-
la hanno frmato un accordo per allentare le tensioni legate alle dispute marittime
e accrescere la cooperazione economica. In ballo ci sono investimenti cinesi pari a
23 miliardi di dollari. Ciò non stravolge lo stato delle relazioni bilaterali. Le attività
250 militari dell’Epl attorno agli atolli contesi con le Filippine nell’arcipelago delle
LA GUERRA CONTINUA
Spratly e quelli nello Stretto di Luzon rappresentano una minaccia alla sicurezza di
Manila. Il governo guidato dal neopresidente Ferdinand Romualdez Marcos jr. non
si fda di Pechino e non rinuncerà alla protezione degli Stati Uniti ora che questi
promettono nuove strutture militari e investimenti nella rete 5G locale.
La presenza cinese resta consistente pure in Indonesia ed è fnalizzata all’indi-
viduazione di rotte marittime alternative a quella pakistana. In base a un accordo
bilaterale siglato a dicembre, China Harbour Engineering Company amplierà il
porto di Dumai. Lo scalo marittimo è ubicato sull’isola di Sumatra, si affaccia sullo
Stretto di Malacca e ospita la Marina indonesiana. Giacarta considera gli investi-
menti cinesi utili a migliorare i collegamenti infrastrutturali tra le 17 mila isole sotto
la sua sovranità e quindi ad assicurare l’unità del paese. Cionondimeno, gli indo-
nesiani non accolgono sempre positivamente la presenza della Repubblica Popo-
lare. Basti pensare alle furiose proteste di cui sono stati protagonisti alcuni operai
impegnati in attività estrattive sull’isola di Sulawesi per conto di Jiangsu Delong
Nickel Industry. Queste vicende, al pari degli attentati, possono dissuadere gli stes-
si cinesi dall’operare in contesti pericolosi.
ci in Italia) per monitorare e in caso rimpatriare membri della diaspora cinese. Atti-
vità che sottintendono una raccolta informativa su vasta scala nei paesi ospitanti.
5. Nei prossimi mesi la Cina intensifcherà gli sforzi all’estero per convincere i
governi stranieri che non è sua intenzione giungere allo scontro con gli Stati Uniti
e che le nuove vie della seta possono produrre ancora effetti benefci.
I tentativi di dialogo con Washington e le potenze europee non determineran-
no la fne della collaborazione sino-russa. Semmai Pechino continuerà a stringere
i rapporti energetici e militari con Mosca per imporsi come partner di maggioranza.
Allo stesso tempo potrebbe incoraggiare il Cremlino a giungere quantomeno a un
cessate-il-fuoco con l’Ucraina, attore su cui la Repubblica Popolare in passato pun-
tava come fonte di armi e beni agricoli.
Inoltre, Xi ha promesso di voler dare sostanza a due progetti per ora fumosi:
l’Iniziativa di sicurezza globale e quella di sviluppo globale. La prima pare di par-
ticolare rilevanza. Alla sua base vi è il concetto di sicurezza «indivisibile» (usato
anche dalla Russia), secondo cui nessun paese può rafforzare la propria a danno
di quella altrui. Apparentemente la Repubblica Popolare vuole creare insieme a
Mosca un nuovo consesso fnalizzato alla legittimazione dei propri obiettivi geopo-
litici. A cominciare dall’unifcazione con Taiwan.
Il successo dei piani di Pechino non è scontato, anche perché nel 2023 potreb-
bero assumere forme più defnite la Partnership for Global Infrastructure and In-
vestment (Pgii) e la Global Gateway. Cioè i piani infrastrutturali abbozzati rispetti-
vamente da Stati Uniti e Unione Europea per strappare partner alle nuove vie
della seta e ridimensionare l’affato globale di Pechino. Il loro successo dipenderà
dalla quantità di denaro messa effettivamente sul piatto e dai requisiti economici e
politici richiesti ai potenziali partecipanti.
Per l’ennesima volta, lo stato dell’arte assegna all’Italia un ruolo di rilievo. Il
memorandum di adesione dell’Italia alla Bri sarà effcace fno al 2024. Dopo di ciò
si rinnoverà automaticamente, salvo un esplicito cambio di posizione da parte di
Roma. Il tessuto imprenditoriale nostrano preserva ancora un forte interesse per il
mercato della Repubblica Popolare e il monitoraggio delle attività cinesi nelle in-
frastrutture critiche della penisola ha ridotto signifcativamente i rischi per il nostro
interesse nazionale - e americano. Tuttavia, la fne della partecipazione italiana alle
nuove vie della seta non è impossibile. Lo scorso settembre (poco prima di essere
eletta) proprio l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva detto che
avrebbe voluto abbandonare il progetto cinese 6. Se così fosse, l’Italia arrecherebbe
un signifcativo danno al soft power di Pechino in uno dei momenti più delicati
della presidenza di Xi.
6. «Meloni says would pull out of China’s Belt & Road scheme», ansa.it, 23/9/2023. 253
LA GUERRA CONTINUA
‘Ombre cinesi’
Conversazione con Bernardino REGAZZONI, già ambasciatore di Svizzera presso
la Repubblica Popolare Cinese, a cura di Lucio CARACCIOLO e Giorgio CUSCITO
problemi hanno raggiunto il culmine nella primavera 2022. Non ho vissuto in prima
persona il lockdown di Shanghai – era impossibile andarci – ma so che il console
generale svizzero assegnato alla città ha vissuto momenti davvero diffcili.
LIMES Perché le misure non sono state allentate prima?
REGAZZONI Pechino voleva mostrare la superiorità del proprio sistema. Da questo
punto di vista, l’apertura attuale è sconcertante, anche perché è avvenuta improv-
visamente. Il 16 ottobre, durante il XX Congresso nazionale del Partito comunista
cinese (Pcc) – il presidente Xi Jinping rivendicava la superiorità della politica «zero
Covid». L’improvviso cambio di atteggiamento è diffcile da spiegare e da giustif-
care. Certo ci sono state delle proteste estese, ma non credo siano state decisive. Il
fattore economico ha pesato maggiormente. Nel 2021 il tasso di crescita del pil
cinese è stato dell’8%. L’anno dopo è stato pari solo al 3%, due punti e mezzo in
meno rispetto a quanto previsto da Pechino. Non si può escludere un terzo possi-
bile motivo dietro al cambio di rotta: il governo potrebbe essersi reso conto che il
suo sistema non è poi così perfetto.
LIMES Che percezione ha avuto del cinese medio?
REGAZZONI Come dice il mio amico Marco Müller (produttore e critico cinematogra-
fco, n.d.r.), i cinesi sono i «mediterranei dell’Asia»: sono molto simpatici, fanno
rumore, amano contrattare e – nonostante la barriera linguistica – è facile instaura-
re una comunicazione con loro. Sono persone pratiche, quindi non fatico a crede-
re che il progresso garantito dal Pcc negli ultimi quarant’anni gli sia parso in fn dei
conti un buon affare. Stanno molto meglio di prima, e quindi sopportano.
Però ci sono due problemi fondamentali.
Il primo è il rallentamento della crescita economica, che rende diffcile investire in
occupazione giovanile. Nel marzo 2022 il Partito ha ammesso che è prioritario su-
perare questa diffcoltà. Del resto, secondo dati uffciali la disoccupazione tra le
nuove generazioni ha raggiunto il 20%. Una forte pressione grava sui «fgli unici»,
su cui si concentrano l’attenzione e le speranze delle famiglie. Questo fattore ri-
schia di far scricchiolare il sistema su cui la Cina si regge da quarant’anni.
Il secondo problema è che l’ideologia di Xi pervade la quotidianità del paese. Il
patto sociale su cui si fonda la stabilità non si impernia solo sul benessere registra-
to da Deng in poi, ma anche sulla garanzia di una relativa libertà, economica e
ideologica, concessa a chi non si occupa di politica. Con Xi, questo principio sta
venendo meno. Vale un esempio apparentemente banale: nelle sale da concerto,
la musica classica è ormai defnita semplicemente «occidentale» e le esibizioni sono
spesso seguite dall’esecuzione di melodie cinesi. Insomma, il Partito entra dapper-
tutto. E non sempre viene accolto positivamente.
LIMES Quanto hanno infuito le lotte interne al Pcc sullo stravolgimento della ge-
stione del virus? Il fatto che Xi si sia assicurato il terzo mandato ha permesso di
andare oltre la tattica «zero Covid»?
REGAZZONI Col senno di poi è facile dirlo, perché effettivamente i due eventi sono
avvenuti a distanza di poche settimane. Personalmente, non conosco alcun sinolo-
256 go che abbia una fonte di prima mano sulle lotte interne al Pcc. Alcuni giornalisti
LA GUERRA CONTINUA
che in passato si occupavano di Unione Sovietica mi hanno detto che bene o ma-
le nel Partito comunista dell’Urss si riusciva a trovare qualche fonte che aiutasse a
ricostruire le discussioni in seno al Comitato centrale. In Cina, fno a una decina di
anni fa, si sapeva che certi giornali erano più vicini a specifche correnti del Pcc.
Oggi invece i quotidiani ripetono tutti esattamente le stesse cose. Non sono gior-
nali in senso stretto, ma organi di propaganda. Inoltre, è impossibile avere contat-
ti diretti con qualcuno ai vertici: si può al massimo inferire, cercare di collegare gli
elementi. L’uscita di scena dell’ex presidente Hu Jintao durante il XX Congresso del
Partito è stata simbolica. Ne sapremo le reali ragioni tra qualche anno o decennio,
oggi possiamo solo fare ipotesi. Insieme a Hu sono stati fatti fuori gli ultimi rima-
sugli della Lega della gioventù comunista (Lgc), ma probabilmente quest’ultima era
fnita già prima del XX Congresso. È indubbio che all’interno del Partito ci sia un’a-
la mercantilistica e meno ideologica, però è ridotta ai minimi termini. Per capirlo
basta leggere le biografe dei politici che siedono con Xi nel nuovo comitato per-
manente del Politburo: tutti hanno fatto carriera con lui nel Fujian o nello Zhejiang.
Sono suoi fedelissimi. Insomma, ai vertici del Pcc non c’è più alcun tipo di dibatti-
to, c’è omogeneità totale. Almeno così pare.
Alcuni sostengono che l’allentamento delle misure anti-Covid fosse già nel cassetto
da un po’ di tempo e che sarebbe stato implementato a partire da marzo. Forse
l’esito del Congresso ha spinto Xi ad anticipare queste misure, ma non ritengo ci
sia stato un dibattito interno. Nei tre anni e mezzo che ho passato in Cina non ho
visto nulla che potesse assomigliare a qualcosa del genere. Al contrario, ho assisti-
to a un controllo sempre più forte da parte della leadership. Avere a che fare con
il linguaggio dei funzionari del ministero degli Esteri cinese è stata una delle espe-
rienze più frustranti della mia carriera: sapevo in anticipo le parole che mi avreb-
bero detto.
LIMES Quindi è fnito il periodo in cui, in alcune occasioni come le cene, i funzio-
nari potevano aprirsi di più?
REGAZZONI Penso che quella fase sia fnita. Bisogna poi considerare che, in qualità
di ambasciatore, incontravo al massimo i viceministri. Poi, lavorando sodo, un pa-
io di volte l’anno si poteva interloquire con funzionari di livello superiore, con i
quali il dialogo può talvolta essere più aperto. I funzionari che si incontrano abi-
tualmente pensano in primo luogo a non compromettersi. Nessuno è mai stato
nemmeno ironico. Tuttavia un dialogo fnisce per instaurarsi, per quanto formale.
LIMES In quanto svizzero, lei come era visto?
REGAZZONI È diffcile dirlo. Le relazioni sono buone. Per il resto, la cultura cinese è
indiretta, raramente si dicono le cose schiettamente. Anche in Sri Lanka all’inizio
pregavo i miei collaboratori locali di dirmi apertamente di no, senza girarci troppo
attorno. La loro risposta era: «Yes, sir». Fa parte della cultura asiatica, lo comprendo.
Però ho rilevato che le persone esposte all’Occidente si aprono di più, sono più
dirette. È anche capitato che qualcuno mi dicesse: «Non ce la facciamo più». Non
in maniera drammatica, sempre con il sorriso. Spesso poi si scopre che queste
persone hanno anche il passaporto di un altro paese. 257
‘OMBRE CINESI’
1. Lo studio, disponibile sul sito dell’ambasciata svizzera in Cina, a cui fa riferimento l’ambasciatore è B.
258 BIKALES, Refections on Poverty Reduction in China, ambasciata di Svizzera, Pechino 2021.
LA GUERRA CONTINUA
un futuro indefnito. Nel discorso tenuto in occasione del centenario del Partito
(1921-2021), Xi ha fatto riferimento al «grande risorgimento della nazione» per ben
ventiquattro volte in un’ora. Quella espressione si riferisce al defnitivo superamen-
to del «secolo dell’umiliazione» iniziato con le guerre dell’oppio (1839-1860) e con-
clusosi con la fondazione della Repubblica Popolare (1949). Tale obiettivo implica
il «recupero» di Taiwan. Quando sento la propaganda intestardirsi molto su un te-
ma, tendo a non sottovalutarlo. Ovviamente, tutto ciò non implica che vi sia – a
livello di opinione pubblica – un vero dibattito al riguardo. Il cinese medio ne
parla piuttosto poco, ma sa quale è il piano del governo.
LIMES Come ha percepito i rapporti tra Cina e Russia?
REGAZZONI Ero a Pechino il 4 febbraio 2022, quando i due paesi si sono giurati
«amicizia senza limiti». Invito tutti a rileggersi la dichiarazione congiunta che stabi-
lisce i termini del partenariato sino-russo. Esso prevede un ridimensionamento del
multilateralismo per come lo conosciamo. In particolare, insiste sul fatto che cia-
scuno Stato deve essere lasciato libero di seguire la propria strada verso la sicurez-
za e lo sviluppo, indipendentemente dal rispetto del multilateralismo classico. I
valori sottesi alla Carta delle Nazioni Unite vengono completamente relativizzati.
Sotto questo aspetto, rimane un’oggettiva convergenza d’interessi tra Russia e Cina.
Ci sono però due elementi che vanno sottolineati. Primo, entrambi i paesi si con-
siderano azionisti di maggioranza del loro rapporto: Mosca per ragioni storiche,
dovute anche all’infuenza avuta dall’Urss sulla Repubblica Popolare durante la
guerra fredda; Pechino per ragioni innanzitutto materiali. Secondo, il confitto in
Ucraina incide su tale relazione. A mio parere, il 4 febbraio Putin ha raccontato a
Xi una mezza verità sull’invasione. Probabilmente il presidente russo ha detto al
suo omologo cinese che l’operazione militare sarebbe stata breve – una settimana
o poco più – e facilmente realizzabile. Magari Putin pensava davvero che sarebbe
andata così. L’Ue ha chiesto alla Cina di condannare l’invasione russa. A nome
della Svizzera, ho invitato Pechino a far ragionare il Cremlino, a esercitare su di
esso un’infuenza in virtù della loro amicizia. A quel punto, per la prima volta ho
sentito ciò che poi è stato ripetuto ad infnitum: che non erano loro i responsabili
dell’invasione e che, se proprio avessimo voluto trovarli, avremmo dovuto cercarli
in Ucraina e in America.
Sicuramente l’invasione ha messo in imbarazzo i cinesi, ma non credo che questa
faccenda avrà ripercussioni profonde sul rapporto tra Mosca e Pechino. Anche al
vertice di Samarcanda avvenuto lo scorso settembre non è stato Xi a esprimere
turbamenti. Semmai è stato Putin ad affermare che la Russia avrebbe risposto alle
preoccupazioni cinesi. Le sue parole hanno generato un certo clamore mediatico,
ma è cambiato veramente poco o addirittura nulla nelle relazioni sino-russe. Ho
capito fn dai primissimi giorni che non ci sarebbe stato alcun tentativo cinese di
infuenzare la Russia in questa guerra. Figuriamoci di svolgere il ruolo di mediato-
re. Pechino sarà anche rimasta sorpresa dalla mossa di Putin, ma non si metterà
mai contro Mosca. Alla fne, ai cinesi fa anche comodo vedere i russi imbarcarsi in
260 imprese che danno fastidio agli americani.
LA GUERRA CONTINUA
LIMES Che impatto hanno sulla Svizzera le sanzioni imposte alla Russia?
REGAZZONI Dal primo giorno di guerra, gli americani hanno verifcato minuziosa-
mente che tutti applicassero le sanzioni. Joe Biden ha addirittura affermato che
«anche la Svizzera» le aveva adottate. Quell’«anche» non ci ha fatto piacere, ma
senza dubbio ci siamo comportati come dovevamo. Abbiamo preservato la nostra
neutralità e sottolineato allo stesso tempo l’importanza per la Svizzera di una coo-
perazione internazionale rafforzata in materia di sicurezza anche in termini di inte-
roperabilità con la Nato. Volevo aggiungere una cosa: mi hanno colpito le parole
molto dure verso la Germania di un recente editoriale di Limes, in cui si sottoline-
ava la strutturale tendenza tedesca a interagire con la Russia, quasi Berlino fosse il
ventre molle dell’Europa. L’aiuto tedesco all’Ucraina resta pur sempre il secondo
più importante in Europa, dopo quello del Regno Unito.
LIMES Come può crollare un regime come quello cinese?
REGAZZONI Ormai nella Repubblica Popolare vi è una totale sovrapposizione tra
Stato e Partito, ancora più radicale che in Unione Sovietica. Come dicevo, il regime
basa la sua legittimità sulla crescita economica. Negli ultimi quarant’anni, questa ha
permesso a molti cinesi di uscire dalla povertà e ad alcuni persino di arricchirsi.
Non bisogna sottovalutare nemmeno il clamoroso sviluppo infrastrutturale degli
ultimi decenni. Dati i miglioramenti della loro condizione materiale, gli abitanti
della Repubblica Popolare hanno sostenuto sinceramente il regime. Se si dovesse
rompere questo equilibrio, la legittimità del Partito, dunque dello Stato, potrebbe
venire meno.
LIMES Il crollo del Pcc potrebbe generare la nascita di molte Cine? Oppure potreb-
be emergere un altro regime con ambizioni imperiali?
REGAZZONI Fatico a immaginare una Cina senza Pcc, ma in sua assenza potrebbe
subentrare un altro partito, comunista o no, con caratteristiche diverse in grado di
tenere insieme il paese.
A ogni modo, stiamo facendo troppe speculazioni. Pechino deve evitare che il
rallentamento della crescita metta in discussione il patto sociale, ma non vedo una
grande domanda di democrazia. Certamente Taiwan può essere un fattore destabi-
lizzante e iniziare una guerra può essere un azzardo. La problematicità di questo
argomento sta nel fatto che, se Pechino dovesse recuperare l’isola, il dominio ame-
ricano nel Pacifco verrebbe ridimensionato drasticamente. Pur non mirando a
vaste guerre di conquista, l’espansione attuale della Repubblica Popolare nel Mar
Cinese Meridionale è un fattore destabilizzante. Certo, l’azzardo fa parte della sto-
ria. Non bisogna dimenticare che il potere pechinese ha una forte connotazione
imperiale. Spesso in Occidente si traduce Zhongguo (il nome della Cina) con l’e-
spressione «Impero di Mezzo», ma per loro signifca «Impero al Centro» del mondo.
Mondo che peraltro li interessa relativamente poco. Si sentono ancora in qualche
modo circondati dai barbari.
LIMES Quanto è esportabile tale sistema? La Cina può avere un soft power parago-
nabile a quello americano? 261
‘OMBRE CINESI’
REGAZZONI No, la Cina non dispone di soft power. Nemmeno in luoghi dove i suoi
investimenti sono consistenti, come l’Africa. Inoltre, non vuole esportare il proprio
sistema. A Pechino sono contenti se qualcuno decide di adottarlo, ma niente di più.
In ogni caso, non signifca che la Repubblica Popolare non voglia crearsi basi di
approvvigionamento economico ovunque nel mondo. Anzi, questo è un suo obiet-
tivo. Ha bisogno di radicarsi all’estero visto che non è autosuffciente e dipende
particolarmente dal commercio con l’America.
Fino a qualche anno fa pensavamo che ciò avrebbe reso impossibile qualsiasi for-
ma di confitto. Oggi dobbiamo certamente essere più cauti, ma tale vincolo rima-
ne ancora molto forte: anche gli Usa hanno bisogno della Cina sul piano economi-
co. Sia chiaro, tali dinamiche sono sempre condizionate dalla politica. Valse anche
per il lancio della politica di riforma e apertura promossa da Deng. In un regime
come quello cinese la politica assume molteplici forme. Spazia dalla dimensione
economica a quella di Machtpolitik (politica di potenza, n.d.r.) passando – ed è
fondamentale ricordarlo – per quella ideologica.
Nella Repubblica Popolare questi tre elementi sono sempre stati interconnessi. Con
la diffusione dell’epidemia di Covid sono diventati più visibili, come del resto i
problemi che da tempo affiggono il sistema cinese.
262
LA GUERRA CONTINUA
TOˉKYOˉ PREPARA
IL CONTRATTACCO di SATAKE Tomohiko
Yoshida, cioè la politica adottata dall’eponimo primo ministro dopo la fne della
seconda guerra mondiale.
mento della dottrina Yoshida. Nei primi anni Duemila, le missioni e le capacità
delle Fad aumentarono. In particolare, nel 2001 navi giapponesi si spinsero nell’O-
ceano Indiano per svolgere operazioni di supporto alla Marina americana e a quel-
le degli alleati impegnati nella guerra al terrorismo. Quattro anni dopo, le Forze di
autodifesa svolsero operazioni umanitarie e di salvataggio nell’ambito della rico-
struzione post-bellica in Iraq.
Queste attività erano ancora inquadrabili all’interno della dottrina Yoshida. Le
Fad non erano impegnate in combattimento e dunque non «usavano la forza» all’e-
stero. All’epoca l’obiettivo era mantenere e consolidare l’alleanza nippo-america-
na. Operando in Afghanistan o in Iraq, T§ky§ intendeva assicurarsi l’impegno Usa
a difesa del paese del Sol Levante e mostrare come quest’ultimo fosse pronto a
dare il suo contributo alla sicurezza globale. Così il Giappone affrontò la Repub-
blica Popolare Cinese e la Corea del Nord attraverso il trattato di sicurezza nip-
po-americano e contestualmente contenne le spese per la Difesa in una fase eco-
nomica stagnante.
Fatta eccezione per i costi di mantenimento delle basi americane tra il 2002 e
il 2012 T§ky§ ha ridotto ogni anno le spese per la Difesa nonostante l’ascesa di
Pechino e l’aggressività di P’y$ngyang. Il paese del Sol Levante credeva di poter
rispondere adeguatamente alla pressione di questi attori ospitando strutture statu-
nitensi e rinnovando il suo attivismo internazionale, senza dover ampliare le pro-
prie capacità militari. Di fatto, contava ancora sulla solida alleanza con la superpo-
tenza americana.
5. La nuova Strategia di sicurezza nazionale riconosce che dalla fne della secon-
da guerra mondiale la congiuntura geopolitica non è mai stata così complessa e
pericolosa. Prendendo atto che la globalizzazione e l’interdipendenza non garanti-
scono pace e sviluppo, T§ky§ vuole rafforzarsi in ogni ambito: dalla diplomazia alla
difesa, passando per la tecnologia e l’intelligence. Viene anche sottolineata l’impor-
tanza della «autonomia strategica» nipponica e la sua «indispensabilità» per quanto
riguarda la sicurezza economica globale.
Il governo giapponese articola in sette aree le capacità di difesa: la resistenza a
un attacco; l’integrazione tra difesa aerea e contraerea; l’automatizzazione; lo svolgi-
mento di operazioni ibride; le funzioni di comando, controllo e intelligence; il dispie-
gamento mobile e protezione della nazione; sostenibilità e resilienza. Il piano preve-
de l’identifcazione di attività per migliorare le Fad nell’arco di cinque o dieci anni,
anche in termini di approvvigionamento di armi ed equipaggiamento.
Il cambiamento più radicale previsto dai «tre documenti» è senza dubbio la
«possibilità di contrattacco». Con questa espressione si intende che, in caso di lan-
cio missilistico verso il Giappone da parte di un nemico, T§ky§ può rispondere
per prevenire ulteriori aggressioni mentre si protegge dai vettori in arrivo attraver-
so la sua rete di difesa. In passato l’attacco a basi rivali non era propriamente in-
costituzionale, ma la scelta politica del governo è sempre stata quella di non
possedere i mezzi per condurlo.
Tuttavia, la crescente minaccia missilistica proveniente dalla Corea del Nord,
quelle derivanti dall’uso di droni e missili da crociera e lo svantaggio nei confronti
della Cina nel campo dei vettori terra-aria di medio raggio hanno fatto comprende-
re al Giappone che bisogna possedere una capacità di contrattacco per complicare
i calcoli degli avversari e ritardarne quanto più possibile un’offensiva.
Inoltre, la guerra in Ucraina ha palesato a T§ky§ la necessità di rafforzare le
sue infrastrutture, in particolare le basi militari maggiormente vulnerabili. Secondo
una teoria, le riserve di munizioni dell’esercito giapponese potrebbero esaurirsi
dopo soli due mesi di guerra effettiva. Per questo la strategia di difesa nazionale
prevede di dotare prima possibile il paese di un numero suffciente di rifornimenti,
aumentando la capacità di produrli autonomamente e rendendo sicuri i depositi.
Inoltre, il Giappone sta sviluppando un sistema in virtù del quale tutto l’equipag-
giamento sarà sempre disponibile per le operazioni, fatta eccezione per il carbu-
rante, la progettazione e la manutenzione. Dato che l’attuale congiuntura storica
non è fatta di «zone grigie» ma di un effettivo ritorno dell’uso della forza, è sempre
più necessario che le Fad siano «pronte a combattere» indipendentemente dalla
protezione americana.
La Strategia di sicurezza nazionale sottolinea anche che per il Giappone è vi-
tale collaborare con alleati e partner per «raggiungere un nuovo ordine internazio-
nale». Ciò è in linea con il proposito nipponico di garantire un «Indo-Pacifco libero
e aperto». Il documento propone alcune linee guida per coinvolgere il resto del
pianeta in tale progetto: la creazione di una zona di commercio libero ed equo; il
268 miglioramento dei legami tra gli attori regionali; il potenziamento delle capacità a
LA GUERRA CONTINUA
269
LA GUERRA CONTINUA
rio del 2008 che scuote l’Occidente e soprattutto con l’ascesa del nuovo timoniere
Xi Jinping. Tanto nel Mar Cinese Meridionale quanto lungo i confni. Secondo, la
percezione dell’India quale paese che rifugge una guerra aperta ma che ha il po-
tenziale per minare, come già sta facendo, i piani cinesi nella regione e non solo.
Sotto la guida (dal 2014) di Narendra Modi, fgura carismatica che ormai ha assun-
to tratti mistici, l’India sta infatti attraversando nevralgiche trasformazioni con l’o-
biettivo di diventare entro il 2047 un attore geopolitico di statura mondiale.
Tibet e America sono variabili costanti nei rapporti sino-indiani. Ma ciò che
realmente conta non sono i confni in sé quanto le configgenti traiettorie geopoli-
tiche di due Stati civiltà. La Repubblica Popolare intende primeggiare in Asia, obiet-
tivo che passa per il controllo dei Mari Cinesi ma pure per la stabilità dei suoi
confni sud-orientali. L’India si sente accerchiata dalla Cina. Malgrado l’asimmetria
economico-militare e malgrado i due paesi abbiano collaborato e continuino a
farlo specie sul piano commerciale, è in atto una competizione aperta che coinvol-
ge il Sud-Est asiatico, l’Asia meridionale, l’Africa orientale e l’Oceano Indiano. Delhi
valuta le mosse di Pechino in Pakistan, Sri Lanka, Maldive, Bangladesh e lungo la
Lac come funzionali a tenerla in scacco nel suo intorno strategico.
In tal senso, l’Indo-Pacifco comincia sull’Himalaya. Quanto accade sul Tetto del
mondo rileva soprattutto in quanto termometro di equilibri più articolati. È strumen-
to con cui Pechino vuole ricordare al vicino meridionale chi abbia il coltello dalla
parte del manico. I fatti del Ladakh hanno portato alla Cina il vantaggio pratico di
aver reso terra di nessuno aree a sovranità contestata ma fno a tre anni fa pattuglia-
te dagli indiani. Eppure i cinesi potrebbero aver vinto la battaglia ma perso la guerra,
posto che quanto avvenuto nel bel mezzo della prima ondata di Covid ha pressoché
azzerato qualsiasi possibilità – ammesso esistesse – che gli indiani accettassero, o
quantomeno non avversassero attivamente, le ambizioni della Cina. Nei circoli stra-
tegici cinesi l’India resta minaccia di secondo piano rispetto agli Usa e alla loro stra-
tegia per un Indo-Pacifco «libero e aperto». Cionondimeno l’India costituisce una
sfda per i piani cinesi, anche in ragione della sinergia tra Delhi e Washington.
Il ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar ha ribadito più volte
che i rapporti con Pechino «dipendono dallo stato delle frontiere». Concetto che va
legato a un altro punto che rimarca spesso il capo della diplomazia indiana, giudi-
cato dai cinesi tra i più flo-americani nell’establishment dell’India. Ovvero che la
creazione dell’ordine globale multipolare anelato da Delhi è a sua volta funzione
di un ordine asiatico multipolare. In cui non sia la Cina a dettare legge e l’India
abbia il suo posto al sole.
La posta in gioco alle frontiere non è dunque meramente territoriale. Afferisce
alla «autonomia strategica» dell’India a fronte del «risorgimento della nazione cinese»
marchio di Xi Jinping. In altri termini, agli assetti geopolitici dell’Asia.
Nonostante gli accordi del 1993, 1996 e 2005 – centrati sull’astensione dall’uso
della forza, sul rispetto della Lac e sulla creazione di meccanismi per la risoluzione
delle controversie – negli ultimi dieci anni in particolare le frizioni si sono inasprite.
Come testimoniano gli incidenti del 2013, 2014, 2015 e 2020 nel Ladakh, del 2017
e del 2021 nell’Arunachal Pradesh, nel Sikkim eccetera.
Ma sono stati i sanguinosi scontri di tre anni fa a convincere Delhi a liberarsi
della sua tradizionale prudenza nei riguardi di Pechino. Crisi che si è tradotta
nell’accelerazione dei progetti infrastrutturali su entrambi i versanti della frontiera
e in nuove tensioni come quelle dell’agosto 2021 a Barahoti (Uttarakhand) e del
mese successivo nell’area di Tawang (Arunachal Pradesh), preludio di quanto av-
venuto a dicembre. L’India ha inviato alla Cina segnali inequivocabili. Ha consoli-
dato la cooperazione con gli Usa, gli altri membri del Quad (Giappone e Australia)
e i paesi sud-estasiatici. Ha richiamato alla stabilità nei Mari Cinesi e lanciato strali
contro le nuove vie della seta. Ha operato una stretta contro la penetrazione delle
aziende cinesi nei comparti sensibili della sua economia. Ha approvato nuove re-
gole di ingaggio che cancellano il divieto di usare armi da fuoco entro due chilo-
metri dalla Lac, lungo la quale peraltro ha piazzato altri 50 mila uomini, che oggi
ammonterebbero a circa 200 mila. Il più numeroso dispositivo mai schierato ai
confni settentrionali, secondo Jaishankar.
A fne novembre il capo dell’Esercito indiano, generale Manoj Pande, aveva
confermato che non c’è stata alcuna smobilitazione da parte cinese, descrivendo la
situazione come «stabile ma imprevedibile». In questa cornice, che si riaccendesse
la disputa sull’Arunachal Pradesh – «Tibet meridionale» per la Cina, che ne rivendi-
ca la sovranità – e dunque su Tawang, vista la sua rilevanza strategica e simbolica,
era solo questione di tempo.
Partiamo dalla geografa, che ha giocato un ruolo cruciale nel plasmare l’evo-
luzione della geopolitica del subcontinente indiano e le sue interazioni con la Cina.
Il subcontinente è separato dal resto dell’Asia da ostacoli naturali ben defniti, mol-
to più di quelli che dividono Asia ed Europa. A nord, lungo le due direttrici sud-o-
vest e nord-est si estende la più imponente catena montuosa del mondo, l’Hima-
laya, che poi si congiunge al Karakorum e che continua fno ad aprirsi nell’Hin-
dukush. Dietro il Karakorum e l’Himalaya si staglia il più vasto altopiano al mondo,
il Tibet. L’orografa ha plasmato storicamente le comunicazioni tra India e Cina,
rendendole complicate in ambito civile e quasi impossibili in quello militare, se si
escludono la spedizione anglo-indiana in Tibet nel 1904 e la breve guerra sino-in-
diana del 1962. Nonostante le scaramucce e i tentativi di guadagnare posizioni a
detrimento dell’avversario, le caratteristiche del teatro himalayano scoraggiano – se
non impediscono – un’invasione su larga scala. Un cambio di paradigma vi sareb-
be soltanto nel caso in cui l’India controllasse il Tibet, poiché potrebbe minacciare
direttamente il nucleo geopolitico della Repubblica Popolare. Oppure se i cinesi
mettessero le mani sul Nepal o sull’Arunachal Pradesh.
Nell’ottica di Pechino, Tibet e Xinjiang sono regioni che assolvono alla fonda-
mentale funzione di scudo a protezione del nucleo geopolitico cinese e di ponte 273
274
IL PROGETTO KALADAN
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ANCHE L’INDIA HA IL DILEMMA DI MALACCA C I N A Capitale aho
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Porto costruito e/o gestito dalla Cina T H A I L A N D I A
PECHINO CONTRO DELHI: L’ETERNA SFIDA SUL TETTO DEL MONDO
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LA GUERRA CONTINUA
4. L’instabilità ai confni rende per l’India sempre più complicato scegliere tra
burro e cannoni. Dal suo insediamento Modi ha infatti cercato di trovare un acco-
modamento con l’ingombrante vicino. Per questo ha incontrato Xi 18 volte prima
dei fatti del 2020 e per questo in occasione della prima visita del presidente cinese
nel 2014 ha voluto accoglierlo nel suo Stato natale (Gujarat). Del pari, inizialmente
ha fatto esercizio di prudenza verso la questione tibetana, ha negato la partecipa-
zione dell’Australia alle esercitazioni Malabar (con Usa e Giappone) e l’istituziona-
lizzazione del Quad, organismo che gli indiani si sono più volte premurati di def-
nire «non diretto contro un paese in particolare». Così come ha tentato di ricucire
anche a seguito della crisi del Doklam nel 2017 con i vertici bilaterali di Wuhan
(2018) e di Chennai (2019) e invitando i propri funzionari di partito a non presen-
ziare alle commemorazioni per il 60º anniversario dell’esilio del Dalai Lama.
Ma il nazionalismo indù, insieme allo sviluppo socioeconomico, asse fonda-
mentale del governo Modi, è arma a doppio taglio. Ciò che i cinesi comprendono
e sfruttano. Tanto che sulla scia delle critiche piovute dalle opposizioni il premier
indiano è stato costretto a sbandierare che «non si è verifcata alcuna perdita di
territorio» a opera dei cinesi nel Ladakh. Posto che nel 2019 il ministro dell’Interno
aveva affermato in parlamento che il Kashmir è parte integrante dell’India, compre-
278 se le zone sotto il controllo di Pechino e Islamabad.
LA GUERRA CONTINUA
K ar a
ko del verifcati scontri e incidenti
ru Karakorum in diverse località lungo la
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PAKISTAN Lac (Line of actual control),
tra cui Ladakh orientale,
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PECHINO CONTRO DELHI: L’ETERNA SFIDA SUL TETTO DEL MONDO
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di Siliguri
Sotto Biden la musica non cambia. Nel 2022 la speaker della Camera Nancy
Pelosi ha ricevuto a Washington il capo del governo tibetano in esilio Penpa Tse-
ring e dopo gli scontri del dicembre 2022 Donald Lu, successore di Wells, ha criti-
cato apertamente le mosse della Cina alle frontiere, affermando che «non abbiamo
visto la Repubblica Popolare fare passi in buona fede per risolvere il confitto.
Piuttosto il contrario, abbiamo visto mosse aggressive, da ultimo negli Stati dell’In-
dia nord-orientale».
L’India sta cercando di recuperare il terreno perduto nei confronti della Re-
pubblica Popolare. Di questo lavorio è emblematico l’Arunachal Pradesh, che
compare nelle mappe ferroviarie solo nel 2014, ben 67 anni dopo l’indipendenza.
Qui sono state costruite e sono in costruzione linee ferroviarie e stradali (oltre
tremila chilometri nello scorso quinquennio), aeroporti ed eliporti. Particolarmen-
te rilevante la Transarunachal Highway, ad oggi completata al 60%, che parte
dall’ultimo avamposto settentrionale indiano (Dhola) nell’area di Tawang per
giungere a Kanubari. Come pure la Arunachal Frontier Highway, che correrà lun-
go la linea McMahon. Trasformando l’Arunachal Pradesh tradizionalmente neglet-
to, per motivi economici e perché i governi indiani temevano che lo sviluppo
infrastrutturale del Nord-Est indiano avrebbe agevolato i cinesi nel caso di un’ag-
gressione. Tale politica ha subìto una revisione nell’ultimo ventennio ma è soltan-
to da metà anni Dieci che i progetti hanno vissuto un abbrivio. Nel novembre
2022, a Itanagar (capitale dell’Arunachal Pradesh) Modi ha dichiarato che il gover-
no «considera i villaggi delle aree di frontiera come i primi villaggi del paese» e
che il Nord-Est dell’India è all’alba di un’èra di speranza e opportunità. Messaggio
diretto alla popolazione locale quanto ai cinesi.
Sempre nell’Arunachal Pradesh, lo scorso 3 gennaio il ministro della Difesa
Singh ha inaugurato il ponte sul fume Siyom, affuente del Brahmaputra, insie-
me ad altre 27 infrastrutture strategiche dislocate tra Ladakh, Jammu e Kashmir,
Arunachal Pradesh, Sikkim, Punjab, Uttarakhand e Rajasthan. Tutti Stati e Terri-
tori dell’Unione che confnano con Cina e Pakistan. Come hanno reso noto fon-
ti del dicastero della Difesa indiano dopo gli scontri di Tawang, «Pechino dovrà
imparare ad accettare strade e ferrovie indiane vicino alla Lac». Anche il Ladakh
è al centro di progetti che, per esempio, hanno portato in dote nell’ultimo bien-
nio infrastrutture per ospitare 20 mila uomini e 450 mezzi di terra a ridosso del-
la frontiera.
Espulsi da mille chilometri quadrati nel Ladakh tre anni fa – pressoché sulla
linea rivendicata nel 1959 da Pechino, mai riconosciuta da Delhi – gli indiani si
sentono sempre più sotto pressione anche nei quadranti centrale e orientale della
frontiera. Quanto impone di spingere sull’acceleratore dell’ammodernamento mi-
litare. L’India è attualmente il terzo paese per spese belliche, stando al Sipri rad-
doppiate tra 2011 e 2021. Spese che tuttavia sono mal ripartite e lontane da quel-
le cinesi (circa un terzo). Il problema, accentuato dalle operazioni di Mosca in
Ucraina, è anzitutto la dipendenza dalle forniture russe. Perciò l’India punta sia a
diversifcare le importazioni, sfruttando soprattutto i rapporti con Usa, Francia e 281
PECHINO CONTRO DELHI: L’ETERNA SFIDA SUL TETTO DEL MONDO
Israele, sia a strutturare l’industria della difesa domestica. Due obiettivi che ri-
schiano di rallentare la rincorsa al nemico cinese. Problema che fa il paio con la
retorica governativa, che per salvaguardare l’aura di uomo forte di Modi ha por-
tato quasi il 70% degli indiani (sondaggio Stimson del 2022) alla convinzione di
sconfggere la Repubblica Popolare in caso di guerra.
Gli indiani sanno bene che slogan come quello recitato dal ministro degli Este-
ri cinese durante la sua prima visita in India dopo due anni, per cui la Cina rispet-
ta il «tradizionale ruolo regionale dell’India», sono destinati a restare lettera morta.
E infatti già nel 2014 l’allora capo della diplomazia indiana Sushma Swaraj asseriva
senza mezzi termini che «perché l’India acconsenta alla politica “una sola Cina”, la
Cina deve riaffermare la sua politica “una sola India”».
L’inverno dei rapporti sino-indiani è comprovato dal fatto che sono ormai
quindici anni che tale formula diplomatica non compare nei comunicati uffciali
indiani. Come anche dal trattamento riservato da Delhi al Dalai Lama, cui ad
esempio la scorsa estate è stato concesso l’utilizzo di un velivolo dell’Aeronautica
pochi giorni dopo la visita di Pelosi a Taiwan che ha scatenato la quarta crisi del-
lo Stretto. Il sentire anticinese è ormai trasversale allo spettro politico indiano,
tanto che Modi ha subìto critiche riguardo al suo approccio alla Cina sia per boc-
ca del leader del Partito del congresso Rahul Gandhi sia delle frange hindutva più
estremiste. Ed è diffuso anche tra la popolazione, come dimostra un recente son-
daggio che rileva come il 58% degli indiani abbia ridotto l’acquisto di prodotti
Made in China e il 59% dismesso applicazioni cinesi, di cui centinaia messe al
bando dal governo dopo il 2020. Da ultimo, il servizio di intelligence interno ha
creato un dipartimento (China Coordination Centre) incaricato di collaborare con
gli altri apparati per investigare sulle aziende cinesi che operano in India al fne
di plasmare l’opinione pubblica, penetrare il tessuto economico, acquisire e trafu-
gare dati privati e industriali.
283
LA GUERRA CONTINUA
‘ROCKET MAN’
SI TIENE STRETTI
MISSILI E BOMBE di Riccardo BANZATO
Che P’y$ngyang rinunci al programma nucleare in cambio di
aiuti economici è irrealistico. Atomiche e vettori sono la polizza
sulla vita dei Kim. I precedenti storici. Le ombre cinesi e giapponesi.
L’audace iniziativa di Yoon resterà sulla carta.
Kim Jong-un, chiedendo quando avrà la possibilità di visitare la Corea del Nord.
«Perché non ora?», risponde sornione Kim che lo prende per mano e lo porta ad
attraversare la linea di demarcazione dove insieme i due leader ripetono più volte
un rito di passaggio nel territorio altrui. Secondo molti osservatori, è un momento
di profonda rilevanza storica e pregno di simbologia, signifcato e aspettative per
un futuro di riconciliazione tra due paesi in guerra da oltre sessant’anni.
Molti videro nella visita di Kim Jong-un la prova che il giovane leader fosse
diverso da padre e nonno, che avesse la seria intenzione di aprire il Nord a una
genuina cooperazione con il Sud. La giovane età, l’aver frequentato scuole svizze-
re, la partecipazione della delegazione olimpica nordcoreana alle Olimpiadi inver-
nali di P’y$ngchang sotto lo sguardo di Kim Yo-jong – potente e fdata sorella del
leader, presente alla cerimonia di apertura – sembravano delineare una nuova èra
nelle relazioni intercoreane. Gli atleti del Nord e del Sud marciarono insieme all’a-
pertura dei Giochi e una squadra mista di hockey femminile prese parte alla com-
petizione. Artisti nordcoreani, tra cui l’orchestra Samjiy$n, poterono esibirsi e la
nave Man Gyong Bong 92 che li trasportò fu la prima imbarcazione nordcoreana
ad approdare nella Repubblica di Corea dal 2002. Il primo aprile gruppi di k-pop
sudcoreano portarono a P’y$ngyang una rappresentazione dal titolo La primavera
sta arrivando, a indicare la speranza di una nuova stagione tra le due Coree dopo
un lungo inverno di astio e provocazioni. Il concerto si svolse sotto gli occhi entu-
siasti di Kim Jong-un e moglie; le performance che seguirono, a cui parteciparono
oltre 150 artisti sudcoreani, furono le prime ospitate in Corea del Nord dal 2005. La
consueta propaganda reciprocamente denigratoria, da ambo i lati, fu sospesa e il
«telefono rosso» tra Seoul e P’y$ngyang, muto da quasi due anni, fu ripristinato per
facilitare le comunicazioni fra i governi.
Tutto questo aiutò a spianare il terreno per il vertice del 2018. La dichiarazione
conclusiva suonava forse troppo ottimistica nei toni e negli intenti per essere reali-
stica, soprattutto a fronte della situazione geopolitica in Asia orientale. I due paesi si
impegnavano infatti a cessare le ostilità e a frmare un trattato di pace che sostituis-
se l’armistizio del 1953. La guerra di Corea sarebbe terminata uffcialmente di lì a un
anno. Ancor più audace la promessa di collaborare per raggiungere in tempi brevi
la riunifcazione della penisola e la sua denuclearizzazione, cominciando dalla ces-
sazione di tutte le attività militari lungo la fascia di confne. Al summit seguirono
varie riunioni ad alto livello e un ulteriore incontro (26 maggio) tra i due leader, per
preparare quello tra Kim Jong-un e il presidente americano Donald Trump. Tale
incontro ebbe luogo il 18 giugno a Singapore e sebbene già emergesse l’inconcilia-
bilità delle posizioni di Nord e Sud, che determinerà il fallimento dei negoziati al
summit di Hanoi del febbraio 2019, il vertice Kim-Trump fu celebrato dal governo
(sudcoreano) di Moon come un grande successo. Cinque giorni dopo Seoul sospen-
deva le esercitazioni militari con Washington previste a settembre, da sempre moti-
vo di nervosismo e rappresaglie da parte di P’y$ngyang. In agosto viene organizza-
to un incontro sul monte Kumgang, in Corea del Nord, tra le famiglie divise dall’ar-
286 mistizio del 1953, mentre a settembre Kim ospita Moon a P’y$ngyang e promette di
LA GUERRA CONTINUA
nale del presidente sudcoreano e le successive elezioni portano alla Casa Blu il
conservatore Yoon Suk-yeol.
Nell’agosto 2022, a tre mesi dall’insediamento, Yoon Suk-yeol mostra il suo
approccio alla questione nordcoreana con l’«audace iniziativa», strategia mirante
alla graduale denuclearizzazione della penisola. Sulle orme di molti suoi predeces-
sori d’orientamento conservatore, Yoon propone a P’y$ngyang aiuti economici in
cambio della progressiva rinuncia all’arsenale nucleare. L’approccio denuncia una
volta di più la profonda incomprensione delle priorità di P’y$ngyang. Per quanto
disperato sia il bisogno di aiuti, vista la disastrosa situazione economica con cui il
Nord versa da anni, la dinastia Kim non intende mettere a repentaglio in alcun
modo la sopravvivenza propria e del regime. Lo sviluppo economico è di grande
rilevanza, ma è subordinato alla preservazione del regime e della nazione e in tal
senso l’unica vera garanzia per P’y$ngyang è la deterrenza nucleare.
Da qui la secca risposta della ieratica Kim Yo-jong alle profferte del Sud: «Non
tutto può essere scambiato o negoziato. Pensare di barattare la cooperazione eco-
nomica con il nostro onore, l’arma nucleare, è il grande sogno, la speranza, il
piano di Yoon. Un piano semplicistico e infantile. Nessuno è disposto a scambiare
il proprio destino per un pezzo di torta di mais». Kim Yo-jong affda queste parole
a un comunicato stampa del 18 agosto 2022 intitolato «Non avere sogni assurdi»,
replica al discorso commemorativo pronunciato da Yoon tre giorni prima per il
giorno della Liberazione (dalle truppe del Nord).
Il 2022 ha visto un record di lanci missilistici da parte del regime nordcoreano:
ne sono stati contati 65. Yoon ha ribadito di voler rafforzare l’alleanza militare con
gli Stati Uniti e ha condannato i test missilistici di Kim, rifutando qualsiasi compro-
messo in merito. Dalla fne degli anni Novanta i governi di Seoul, conservatori e
liberali, hanno tentato invano di indurre P’y$ngyang ad abbandonare il programma
di sviluppo dell’arma nucleare. Storicamente i governi di stampo liberale, come
quelli di Kim Dae-jung (1998-2003), Roh Moo-hyun (2003-2008) e Moon Jae-in
(2017-2022), hanno scelto di offrire aiuti economici ed umanitari incondizionati,
come segno distensivo e viatico di dialogo. Gli esecutivi conservatori di Lee Myung-
bak (2008-2013) e Park Geun-hye (2013-2017) hanno invece vincolato gli aiuti alla
verifcabile limitazione o sospensione del programma missilistico e nucleare nor-
dcoreano. Considerando che dal 2006 P’y$ngyang ha condotto sei test nucleari
(2006, 2009, 2013, gennaio e settembre 2016, 2017), pare evidente lo scarso inte-
resse dei Kim per qualsivoglia compromesso in materia. Il possesso di un arsenale
atomico era, è e resterà il pilastro della politica di sicurezza nordcoreana.
L’«audace iniziativa» non porta dunque nulla di nuovo. Essa ricalca la politica
di Lee Myung-bak fnalizzata a riequilibrare lo sviluppo economico delle due Coree
tramite cospicui aiuti di Seoul in cambio della rinuncia all’arsenale atomico di Pyon-
gyang. Nell’approccio politico di Yoon emerge lo iato con il precedente governo
Moon, che ha sempre favorito posizioni più morbide e di compromesso cercando
anzitutto di instaurare e mantenere il dialogo con il leader nordcoreano. Esempio
288 della politica di Yoon è la ripresa delle esercitazioni militari con gli Stati Uniti nelle
zone di confne, tra i fattori scatenanti le rappresaglie nordcoreane sotto forma di
LA GUERRA CONTINUA
Diga Yunfang
Man’po Hyesan
Kanggye
Ch’osan RYANGGANG
CHAGANG Kimch’aek
Diga Supung
Diga Taipingwan HAMGYŎNG MERID. Tanch’ŏn
COREA
Shinŭiju Hamhŭng
P’YŎNGAN D E L N O R D
SETT.
P’YŎNGAN
MERID.
Anju Mare dell’Est
test missilistici. Yoon non manca di sottolineare come questi test rappresentino una
minaccia non solo per Seoul, ma anche per T§ky§ e Washington, a conferma che
nella sua visione strategica il contenimento di P’y$ngyang passa per l’allineamento
con lo storico alleato statunitense, ma anche con il Giappone. Il fatto che il Nord
abbia testato anche missili a lungo raggio in grado di colpire le basi americane nel
Pacifco e che diversi vettori abbiano sorvolato lo spazio aereo giapponese rafforza
nei due alleati di Seoul la convinzione che Moon abbia ragione.
Nel dicembre 2022 cinque droni nordcoreani hanno violato – primo caso dal
2017 – lo spazio aereo sudcoreano per almeno cinque ore, fno a raggiungere
(sembra) la zona Nord di Seoul dove si trova la dimora presidenziale. L’incapacità
delle Forze armate sudcoreane di abbatterli e di rispondere prontamente all’intru-
sione ha evidenziato la vulnerabilità del Sud ad attacchi non convenzionali e ha
dimostrato che P’y$ngyang, malgrado le disastrose condizioni economiche, resta
militarmente temibile e capace di colpire inaspettatamente con i mezzi più dispa-
rati. Yoon ha pertanto ordinato di creare una nuova unità militare operante con
droni e di rafforzare le difese contro questo genere di armi, affnché la nazione «si
prepari a una guerra con superiorità schiacciante» con l’obiettivo di pacifcare la 289
penisola e l’area limitrofa.
‘ROCKET MAN’ SI TIENE STRETTI MISSILI E BOMBE
290
LA GUERRA CONTINUA
1. C ON L’ESPRESSIONE «MULTILINGUISMO
europeo» ci si riferisce alla pluralità di lingue che vengono parlate nel Vecchio
Continente. Da questo dato di fatto può essere derivata quella che chiameremo
«politica del multilinguismo», in virtù della quale la pluralità di lingue non è sem-
plicemente constatata come «fatto», ma proposta come «valore» da promuovere
normativamente. In generale, l’obiettivo del multilinguismo è tenere vivo il proli-
ferare di una ricca molteplicità di codici di comunicazione, cercando di tenere al-
lenata la capacità degli individui di servirsi di lingue diverse per comunicare e
comprendersi. In tutti i report europei sul tema del multilinguismo si insiste infatti
sull’importanza di una società quanto più possibile ricca di competenze linguisti-
che differenziate.
Ma c’è anche una terza accezione del termine. Il multilinguismo europeo può
anche designare una «pratica istituzionale» oggettiva, per cui è d’obbligo che tutti i
trattati e i documenti legislativi – nonché la Gazzetta Uffciale – siano tradotti nelle
lingue uffciali degli Stati membri. Inoltre, la traduzione simultanea in tutte le lingue
uffciali dell’Unione durante i dibattiti in parlamento deve sempre essere garantita 1.
Il multilinguismo è quindi un «fatto oggettivamente osservabile», uno «scopo da
perseguire» e una «pratica istituzionale» consolidata.
I vantaggi, i problemi e le conseguenze del multilinguismo nel Vecchio Conti-
nente sono discussi da decenni. Il dibattito, di gran complessità giuridico-flosofca,
si è fatto particolarmente caldo a partire dal 2002, quando la questione linguistica
fu affrontata dal Consiglio europeo di Barcellona. In quell’occasione si iniziarono
a delineare politiche linguistiche comuni, attraverso la creazione di un quadro eu-
ropeo di riferimento per le lingue e l’introduzione dell’insegnamento «di almeno
2. Cfr. «Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Barcellona (15 e 16 marzo 2002)», p. 19, §
44 punto 2.
3. G. TAVONI, «Il Multilinguismo: ostacolo o vantaggio?», Giornale di informazione sociale, 22/5/2014.
4. Corrispondente all’attuale articolo 342 del Tfue.
5. Bulgaro, ceco, croato, danese, estone, fnlandese, francese, greco, inglese, irlandese, italiano, let-
tone, lituano, maltese, olandese, polacco, portoghese, rumeno, slovacco, sloveno, spagnolo, svedese,
294 tedesco e ungherese.
LA GUERRA CONTINUA
legislativi siano tradotti nelle 24 lingue. L’impresa è notevole, nonché unica. Orga-
nizzazioni sovranazionali come l’Onu o la Nato, ad esempio, hanno selezionato un
numero limitato di idiomi da usare all’interno dei propri apparati: la prima ha sele-
zionato sei lingue 6, a fronte di 193 Stati facenti parte, la seconda soltanto due 7.
Tale scelta è stata fatta nonostante la Nato sia linguisticamente «più estesa» dell’Ue,
includendo sotto la sua egida un paese come la Turchia.
Ma torniamo al regolamento 1/1958. Fondamentale è l’articolo 2, in cui si af-
ferma che i cittadini dell’Ue hanno il diritto di comunicare con qualsiasi istituzione
usando una lingua uffciale di loro scelta e hanno il diritto di ricevere risposta nel-
la medesima lingua. Sullo stesso punto insiste anche il trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea (Tfue) all’articolo 20 (paragrafo 2 punto d), in cui viene san-
cito che i cittadini dell’Unione hanno «il diritto di presentare petizioni al Parlamen-
to europeo, di ricorrere al Mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli
organi consultivi dell’Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una rispo-
sta nella stessa lingua». È evidente che i diritti sanciti in queste righe abbiano lo
scopo di difendere e incoraggiare l’attiva partecipazione dei cittadini al progetto
europeo, evitando che si interpongano discriminazioni di tipo linguistico.
Il regolamento 1/1958 prescrive inoltre che i regolamenti e gli altri documenti
di carattere generale debbano essere pubblicati in ciascuna delle lingue uffciali
(articolo 4) e che lo stesso provvedimento debba applicarsi alla Gazzetta Uffciale
dell’Unione Europea (articolo 5). È chiaro dall’articolo 5 come l’intenzione dei legi-
slatori dell’Ue fosse quella di permettere a tutti i cittadini di essere a conoscenza
delle attività delle istituzioni.
Tuttavia, se si vogliono capire le ragioni profonde del multilinguismo come
pratica istituzionale, bisogna leggere le due righe più rilevanti in materia, poste
paradossalmente a chiosa del regolamento stesso: «Il presente Regolamento è ob-
bligatorio in tutti i suoi elementi e “direttamente applicabile” in ciascuno degli
Stati membri». Questa conclusione contiene la ragione implicita della difesa del
multilinguismo come «pratica istituzionale». I regolamenti e alcune norme comuni-
tarie sono infatti «direttamente applicabili» all’interno degli ordinamenti degli Stati
membri: essi non vincolano semplicemente i governi di quegli Stati – come succe-
de per gli ordinamenti Onu o di altre organizzazioni internazionali – ma anche i
singoli cittadini e tutti i residenti sul territorio dell’Ue. Sovrapponendosi alle leggi
interne dei singoli Stati 8 e scalzandole in caso di confitto.
Ora, se tutti gli atti dell’Ue non venissero redatti nelle 24 lingue uffciali indi-
cate dall’articolo 55, n. 1 Tue, ci si troverebbe nella situazione in cui un cittadino,
assoggettato a una legislazione direttamente applicabile a lui, sarebbe titolare di
diritti e doveri espressi in una lingua che potrebbe risultargli incomprensibile. Si
potrebbe pensare di redigere tutti i documenti in inglese, lingua globale per eccel-
6. Francese, inglese, spagnolo, cinese, russo, arabo.
7. Inglese e francese.
8. Cfr. U. DRAETTA, Elementi di diritto dell’Unione Europea. Parte istituzionale, ordinamento e struttu-
ra dell’Unione Europea, Milano 2009, Giuffrè, pp. 282-283. 295
LEUROPA PARLA INGLESE PER FAR FINTA DI ESISTERE
lenza. Ma questa soluzione – visto che, ad esempio, l’86,6% degli over-65 italiani
non conosce l’inglese 9 – appare totalmente insoddisfacente. Tradurre è dunque
una condizione necessaria affnché tutti siano messi nella condizione di capire, per
poter rispettare e benefciare della legislazione europea.
Una seconda ragione per sostenere il multilinguismo come pratica istituziona-
le riguarda il principio di trasparenza del processo decisionale. All’articolo 1, com-
ma 2 del Trattato sull’Unione Europea è richiesto che le decisioni nell’ambito
dell’Ue vengano prese «nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile
ai cittadini». Perché ciò sia garantito, i diversi organi comunitari devono impegnar-
si a minimizzare l’impatto negativo dovuto a eventuali ostacoli linguistici. Questi
pregiudicherebbero infatti la comprensione del materiale cui si ha diritto di accesso
per vigilare sul lavoro delle istituzioni 10.
La terza ragione riguarda il concetto di «democraticità». I cittadini, infatti, non
solo possono votare, ma possono anche candidarsi alle elezioni europee. Se l’in-
glese diventasse la lingua uffciale dell’Ue e non fosse conseguentemente più ga-
rantita la traduzione simultanea durante le sedute del parlamento, una fetta enorme
della popolazione europea diverrebbe ineleggibile de facto – per insuffcienti com-
petenze linguistiche – mentre i cittadini di un paese anglofono (come l’Irlanda)
sarebbero avvantaggiati. Perché la democraticità delle istituzioni rimanga intatta,
dunque, coloro che vengono eletti devono essere in grado di svolgere i compiti cui
sono stati demandati indipendentemente dalla conoscenza delle lingue straniere.
In questo contesto, il multilinguismo funge da garante dei valori democratici dell’Ue
e, in particolare, del Parlamento europeo.
Fra i più rilevanti documenti in cui si sottolinea l’importanza attribuita alla
questione del multilinguismo, si devono inoltre ricordare la Carta dei diritti fonda-
mentali dell’Unione Europea 11 e il trattato sul funzionamento dell’Unione Europea
(Tfue). Nella Carta, è l’articolo 21, comma 1 a vietare «qualsiasi forma di discrimi-
nazione», fra cui si annoverano esplicitamente quelle fondate sulla lingua; su que-
sta linea battono anche l’articolo 207 § 4 e l’articolo 165 § 2 Tfue, in cui si legge che
«l’azione dell’Unione è intesa (…) a sviluppare la dimensione europea dell’istruzio-
ne, segnatamente con l’apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati mem-
bri». L’obiettivo è chiaro: favorire un maggior scambio e una migliore comprensio-
ne reciproca fra cittadini appartenenti a diverse comunità nazionali. L’apprendi-
mento di una lingua personale adottiva 12 va visto in questa luce. Inoltre, le com-
petenze linguistiche aumentano le possibilità di lavorare, studiare e viaggiare in
tutta Europa. Vi sono anche vantaggi commerciali ed economici: «Se la società
prospera è una società multilingue, un’economia competitiva è un’economia poli-
glotta» 13, nella quale le imprese europee sono in grado di muoversi con successo
9. «L’uso della lingua italiana, dei dialetti e delle lingue straniere», Istat. Report e Ricerche, 2015.
10. Cfr. art. 15, n. 2 e n. 3 (co. 3), Tfue.
11. Art. 22: «L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica».
12. Su questo, cfr. Language rich Europe, British Council, Cambridge 2012, Cambridge University Press.
13. Cfr. M. C. LUISE, «Plurilinguismo e multilinguismo in Europa: per una Educazione plurilingue e
296 interculturale», LEA - Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, n. 2/2013, p. 531.
LA GUERRA CONTINUA
anche nel mercato mondiale «grazie alle competenze interculturali e plurilingui dei
loro addetti» 14. Le competenze linguistiche stimolano la creatività e l’innovazione,
promuovendo fessibilità e know-how 15.
Senza il multilinguismo come pratica istituzionale, l’idea stessa di «forum euro-
peo» crollerebbe. Esso rappresenta perciò un carattere «sostanziale» dell’Unione.
Nonostante ciò, esiste anche un’altra linea di pensiero. In molti, infatti, riten-
gono che l’uso dell’inglese come lingua uffciale dell’Unione potrebbe ridurre i
problemi e garantire una maggiore integrazione.
3. Sono stati gli anni del Brexit a far rinascere il dibattito circa la possibilità di
utilizzare l’inglese come lingua uffciale dell’Ue. Tale posizione è stata espressa da
diverse personalità di spicco. Per quanto le argomentazioni siano variegate, è pos-
sibile suddividerle in due tipologie, a seconda che l’uso dell’inglese venga ritenuto
garanzia di maggiore competitività commerciale e di semplifcazione della macchi-
na istituzionale o catalizzatore del processo di formazione dell’identità comune
europea.
Fra le argomentazioni del primo tipo va inserita quella di Mario Monti 16, che
nel 2017 ha affermato che l’adozione dell’inglese come lingua uffciale dell’Ue «aiu-
terebbe noi europei a diventare più competitivi utilizzando meno lingue». La pro-
posta, sorda al valore sentimentale e identitario che ogni parlante attribuisce alla
propria lingua madre, ha anche indispettito un membro dell’ambasciata francese
presente all’evento. Del resto, la francofonia è considerata da Parigi utile strumen-
to geopolitico. In generale, la proposta di Monti tradisce un certo economicismo,
nella misura in cui subordina di fattori identitari, comunque presenti nell’Unione,
a esigenze mercantilistiche.
Fra le argomentazioni del secondo tipo si annoverano quelle di Joachim Gau-
ck, Jürgen Habermas e Philippe Van Parijs. Il primo – nel 2013, quando era presi-
dente della Repubblica Federale Germania – ha sostenuto in un discorso sul futuro
del progetto europeo che all’Ue manca una lingua franca 17. Introdurla permette-
rebbe la creazione di un’«agorà europea» in cui le persone riuscirebbero a dialoga-
re alla pari, confrontandosi sui problemi comuni, uscendo dalla propria ottica na-
zionale. Gauck sembra considerare l’inglese la lingua franca naturale. Nello stesso
discorso, appellandosi ai cittadini inglesi, l’ex presidente tedesco afferma che «più
Europa non può signifcare un’Europa senza di voi» 18. Sembra qui affacciarsi un’i-
dea romantica, lasciata implicita e semplicemente allusa, secondo cui l’inglese do-
vrebbe diventare lingua uffciale dell’Unione in virtù del fatto che è culturalmente
la più adatta a esprimere i valori universali alla base del progetto europeo. Si affac-
cia l’idea che la paternità flosofca, culturale, valoriale e politica dell’odierna strut-
14. Ibidem.
15. Ibidem.
16. P. DALLISON, «Mario Monti: EU should adopt English post Brexit», Politico, 21/11/2017.
17. J. GAUCK «Rede von Bundespräsident zu Perspektiven der europäischen Idee», derbundespräsident.
de, 22/2/2013.
18. Ibidem. 297
LEUROPA PARLA INGLESE PER FAR FINTA DI ESISTERE
Per quanto suggestive, queste proposte sono prive di sostanza e di reale appli-
cabilità. Infatti, non solo il continente europeo è fondato sulla diversità culturale e
linguistica (multilinguismo come «fatto»), ma la struttura democratica dell’Unione
necessita del multilinguismo (come «pratica istituzionale»). È per questo che il mul-
tilinguismo deve essere considerato come un valore da promuovere («scopo»). Inol-
tre, un approccio multilingue può generare un vantaggio competitivo in termini di
fessibilità, know-how e possibilità di aprirsi verso nuovi mercati. Esso potrebbe
infatti donare all’Unione proiezione geopolitica in scenari remoti, che tuttora parla-
no lingue europee diverse dall’inglese.
4. Dal piano normativo, tuttavia, siamo ora chiamati a scendere al piano fat-
tuale. Sebbene enunciato come principio, il multilinguismo è infatti costantemente
disatteso nella pratica: solo istituzioni come il Parlamento europeo e poche altre se
ne avvalgono realmente, mentre il Consiglio o il Tribunale optano per il monolin-
guismo o per il bilinguismo francese e inglese 24.
In un articolo precedente abbiamo ricostruito la lunga genesi dello slogan Green
Deal, mostrando come l’inglese si presti a un uso sloganistico che permette ad alcu-
ni paesi europei di nascondere i loro interessi geopolitici dietro alla maschera
dell’Ue 25. Nell’approcciarsi all’opinione pubblica, dunque, ecco che il principio del
co-drafting e della equipollenza delle diverse lingue sembra vacillare. C’è solo l’in-
glese: lingua di comunicazione preferenziale del vertice che solo dopo viene tradot-
ta per rendere comprensibili all’opinione pubblica europea le intenzioni dei decisori.
Parrebbe dunque di essere davanti a un’ambiguità nell’atteggiamento euro-
peo. Se viene promosso il multilinguismo, perché discorsi uffciali, slogan e comu-
nicati vengono spesso proposti solo in inglese? Che senso ha parlare di «atteggia-
mento europeo» se il vertice parla in una lingua che non appartiene a nessuno
degli Stati membri? Su un punto Van Parijs ha ragione. Ora che la Gran Bretagna è
uscita dall’Ue sarà più facile per qualsiasi paese «impossessarsi» dell’inglese, anche
per obiettivi di proiezione geopolitica. Cosa che sta già accadendo.
Ma è sul peculiare caso italiano che dobbiamo concentrarci in conclusione. Se
è vero che la lingua preferenziale del vertice Ue è l’inglese, è anche vero che pae-
si come Francia e Germania spesso traducono gli slogan europei nelle proprie
lingue nazionali. È il caso, ad esempio, del piano di salvataggio implementato
dall’Ue per fronteggiare la crisi economica causata dal Covid-19. Sebbene sia stato
scelto un nome inglese – Next Generation Eu – è anche vero che la maggior parte
degli Stati membri ha declinato nella propria lingua la versione nazionale del pia-
no: si veda la Francia, col France Relance, e la Germania, dove si è parlato di
Aufbauplan e di Wiederaufbaufonds.
24. Sul tema, si veda D. COSMAI, The language of Europe: multilingualism and translation in the EU
institutions: practice, problems and perspectives, Bruxelles 2014, Éditions de l’Université de Bruxelles,
pp. 39 ss.
25. Cfr. E. CIRILLO, «Quando l’inglese si fa maschera: il Green “New Deal”», Limes, «Il triangolo sì», n.
4/2021, pp. 269-276. 299
LEUROPA PARLA INGLESE PER FAR FINTA DI ESISTERE
Di che cosa si è parlato, in Italia, prima di affdarci alla sigla Pnrr? Di Recovery
Fund. Slogan che non è uscito da Bruxelles, ma che è stato foggiato direttamente
in inglese da noi stessi 26. Diffcile ricostruirne la genesi: l’invenzione di un giorna-
lista? L’ha detto un ministro? Non siamo riusciti a determinare chi sia stato il primo
a usare questa espressione. Certo è che moltissimo si è dibattuto e scritto intorno
al «nostro» Recovery Fund. O «Found», come si ostinano a pronunciare alcuni.
Per l’Italia il problema ha due facce: chi fa comunicazione, infatti, compie l’er-
rore di presentare l’Ue come un’entità dotata di capacità decisionale sovrana e
autonoma. Affermare, con pronunciato anglismo, che «l’Europa ha fatto il Recovery
Fund» signifca dotare Bruxelles di una sovranità che semplicemente non possiede.
Ciò, ovviamente, porta chi di questa retorica è destinatario a percepire l’Ue come
un’autorità esterna e indipendente e non come un forum di paesi di cui facciamo
effettivamente parte. La scelta di non tradurre certe espressioni idiomatiche (auste-
rity, Green Deal) o addirittura di foggiare nuovi anglismi per denominare progetti
comunque già battezzati in inglese (Recovery Fund per dire Next Generation Eu)
sono segnali palesi della nostra postura passiva. Diventare più consapevoli di qua-
le sia la nostra posizione in Europa, di quali siano i vincoli esterni e quali i nostri
interessi è per noi compito ineludibile e fondamentale.
L’inglese si fa maschera. Qualsiasi progetto europeo che giunge alle orecchie
dei cittadini italiani viene immediatamente vestito di dignitoso nome british, e così
santifcato. Eccola la compatta, coesa e globale volontà dell’Unione. Raggiunta, f-
nalmente, grazie alla lingua di Shakespeare.
26. Sul sito inglese della Commissione europea, alla pagina dedicata, leggiamo: «NextGenerationEU
breakdown. Recovery and Resilience Facility (RRF): €723.8 billion, of which: loans €385.8 billion, of
which: grants €338.0 billion». Sulla corrispondente pagina italiana, leggiamo: «Ripartizione di NextGe-
nerationEU. Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza: 723,8 miliardi di euro, di cui: prestiti
385,8 miliardi di euro, di cui: sovvenzioni 338,0 miliardi di euro». Non solo l’espressione «Recovery
Fund» non ricorre in tutta la pagina, ma la parola «fund» (fondo) è scorretta per designare questo tipo
300 di facility, che si compone di sovvenzioni e prestiti.
ELETTRA ARDISSINO - Analista per Greenmantle, si occupa di politica e macroeconomia
europea. Alumna della Scuola di Limes (classe 2022).
OLEKSIJ ARESTOVY0 - Già consigliere del capo dell’Uffcio del presidente ucraino Vo-
lodymyr Zelens’kyj.
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Ronald Reagan, autore di Foreign Follies: America’s New Global Empire.
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Foreign Studies di Seoul. Si occupa di relazioni tra Cina, Giappone, Corea del Nord
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za di Roma, è titolare degli insegnamenti di Teorie e storia della geopolitica e di
Metodologia per l’analisi geopolitica. Consigliere scientifco di Limes.
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YOU JI - Professore di Relazioni internazionali e capo del dipartimento di Governo e
302 Pubblica amministrazione dell’Università di Macao.
La storia in carte
a cura di Edoardo BORIA
4-5. «Il territorio non è la causa della guerra. (…) Ciò che il territorio assicura
è un’alta percentuale di probabilità che se l’intrusione avviene seguirà la guerra»
(Robert Ardrey, L’imperativo territoriale, Giuffrè, 1984, p. 290). Questo accade per-
ché il potere esiste solo quando si manifesta e si esprime su un territorio. Non vale
solo per gli Stati. Allo stesso modo, anche la mafa e le gang di strada occupano un
territorio, si impegnano a difenderlo e puntano a ingrandirlo. Non a caso, la succi-
tata affermazione dell’etologo ricalca quella del reporter di mafa: «Il territorio è
sacro per i mafosi. Uno sgarbo fuori dalla propria giurisdizione può scatenare
faide, rappresaglie e scontri armati» (Giovanni Tizian, Atlante illustrato di Cosa no-
stra, Rizzoli, 2019, p. 26). La fgura 4-5 suddivide il territorio della Provincia di
Trapani nei quattro mandamenti in cui la mafa se l’è spartito. Il più meridionale è
quello di Castelvetrano, dove era rifugiato Matteo Messina Denaro, che Forbes
aveva inserito nella lista dei dieci latitanti più ricercati al mondo. Curiosamente, la
mafa ha suddiviso il territorio riprendendo non solo il modello rigido dello Stato
(autorità completa ed esclusiva su un territorio delimitato da confni lineari) ma le
sue stesse partizioni amministrative: ogni comune a una famiglia, ogni provincia a
una commissione (o cupola). Forse quest’organizzazione speculare del territorio si
deve a un’insospettabile carenza di fantasia, o più plausibilmente al fatto che due
poteri irriducibilmente concorrenti che si fronteggiano sullo stesso territorio ten-
dono ad adottare la medesima visione del campo di battaglia. In ogni caso ogni
potere, di qualsiasi forma e caratura morale, condivide l’esigenza di suddividere il
territorio per controllarlo.
Fonte: Giovanni Tizian, «Provincia di Trapani», da Atlante illustrato di Cosa
nostra, Rizzoli, 2019, pp. 126-127.
304
1.
2.
3.
4.
5.
RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA
15,00
RIVISTA MENSILE - 11/2/2023 - POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004, ART. 1, C. 1, DCB, ROMA