Canzone

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Canzone

Se, ai nostri giorni, il termine ‘canzone’ ha esteso notevolmente la sua sfera semantica
(sovrapponendo la forma poetica con il componimento musicale, ad esempio ‘una canzone di
Guccini’ o, per chi preferisce…, ‘una canzone di Gigi D’Alessio’), in metrica italiana “canzone” è
un componimento identificabile in maniera abbastanza chiara e precisa; con “canzone” ci si
riferisce a una struttura poetica composta da un numero variabile di stanze (nella maggior parte,
dalle cinque alle sette) formate di endecasillabi e settenari (anche quinari, nella poesia delle
origini), cui si aggiunge un congedo, cioè una stanza più breve e dalla funzione conclusiva, in cui di
solito l’autore indica alla canzone stessa il cammino da percorrere e i destinatari da raggiungere.
Questo modello, detto “canzone antica” o “canzone petrarchesca”, è quello più noto ed
autorevole, in quanto codificato prima dalla pratica di Dante (che dedica all’argomento anche
alcuni passi del suo De Vulgari Eloquentia) e poi dai Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca,
che si impongono come termine di paragone - non solo per la poesia in volgare italiano - per
almeno un paio di secoli.
Dal punto di vista tecnico e strutturale, una stanza di canzone si può dividere in due blocchi: fronte
(parte iniziale) e sirma (detta anche coda, perché costituisce la parte finale della stanza). Tanto la
fronte che la sirma possono essere formate da due sottoinsiemi, chiamati rispettivamente piede
(nella fronte) e volta (nella sirma).
L’estensione del congedo può essere variabile. I tipi più frequenti sono: 1) congedo di estensione
identica a quella della stanza; 2) congedo identico alla sirma; 3) congedo che riprende gli ultimi tre
versi della sirma.
Dante fu il primo a replicare l’ultima rima della fronte come rima iniziale della sirma, definendola
chiave o diesi.
Altra regola generale nella testura della canzoni prevede che la formula sillabica [= FS, vd. tabella
sotto], cioè la sequenza di endecasillabi e settenari, e lo schema rimico della prima stanza devono
essere rigorosamente riprodotti in tutte le stanze successive.
Nella pratica precedente a Dante nessuna rima della fronte veniva rimodulata nella sirma. Come
esempio di forma pre-dantesca della stanza di canzone, possiamo fare riferimento alla prima stanza
della canzone Al cor gentil rempaira sempre amore di Guido Guinizzelli:

FS Rima Divisione Testo sottodivisione

11 A Fronte Al cor gentil rempaira sempre amore I piede


11 B come l’ausello in selva a la verdura;

11 A né fe’ amor anti che gentil core, II piede


11 B né gentil core anti ch’amor, natura:

Indivisa: pur
7 c Sirma ch’adesso con’ fu ’l sole, essendo
divisibile in
11 D indivisa sì tosto lo splendore fu lucente, due parti di 3
7 c né fu davanti ’l sole; vv., le due
parti
11 E e prende amore in gentilezza loco presentano
diversa FS
7 d così propiamente (7,11,7 VS
11,7,11)
11 E come calore in clarità di foco.
Questa canzone presenta un congedo che ha la stessa estensione della stanza.

Prendendo a modello la canzone dantesca Donne ch’avete intelletto d’amore (canzone di


soli endecasillabi, e tale scelta sottolinea l’altezza morale e /o dottrinale della materia trattata),
possiamo verificare un esempio di stanza in cui sono presenti sia la ripartizione in piedi (nella
fronte) che in volte (nella sirma). In tal caso, secondo alcuni studiosi di metrica, sarebbe opportuno
definire la stanza come formata di piedi e volte (senza ricorrere alla definizione un po’ ridondante di
“stanza con fronte di due piedi e sirma di due volte: ma in questa fase la ridondanza può essere
giustificata, se serve a fissare bene la denominazione delle varie parti della stanza).

La prima stanza di Donne ch’avete intelletto d’amore è il classico esempio di stanza di piedi e
volte, con schema di rime ABBC ABBC CDD CEE:

(I piede)
A Donne ch'avete intelletto d'amore,
B i' vo' con voi de la mia donna dire,
B non perch'io creda sua laude finire,
C ma ragionar per isfogar la mente.
(II piede)
A Io dico che pensando il suo valore,
B Amor sì dolce mi si fa sentire,
B che s'io allora non perdessi ardire,
C farei parlando innamorar la gente:
(I volta)
C E io non vo' parlar sì altamente, [la rima C –ente, impiegata nella fronte,svolge funzione di chiave o diesi]
D ch'io divenisse per temenza vile;
D ma tratterò del suo stato gentile
(II volta)
C a respetto di lei leggeramente,
E donne e donzelle amorose, con vui,
E ché non è cosa da parlarne altrui.
Anche questa canzone, come quella già considerata di Guinizzelli, presenta il congedo di estensione
pari a quella della stanza.

Per quanto riguarda Petrarca, si può ricordare che fa suo l’uso dantesco di usare la chiave o diesi,
reimpiegando l’ultima rima della fronte come prima della sirma, ma che nelle sue canzoni mentre
troviamo la divisione in piedi (fronte), la sirma è sempre indivisa.
Assumiamo due canzoni per esemplificare due diverse tipologie di congedo.
Canzone 126 (stanza di 13 versi endecasillabi e settenari: la prevalenza di settenari, 9 su 13,
sottolinea l’ambientazione più ‘leggera’, ‘idillica’, una più marcata ricerca di musicalità; si ricordi
che la rima di un settenario si indica con lettera minuscola):
I stanza
(I piede)
a Chiare fresche e dolci acque
b ove le belle membra
C pose colei che sola a me par donna;
(II piede)
a gentil ramo ove piacque,
b con sospir mi rimembra, 5
C a lei di fare al bel fianco colonna;
(sirma indivisa)
c erba e fior che la gonna [diesi o chiave]
d leggiadra ricoverse
e co l'angelico seno;
e aere sacro sereno 10
D ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse:
f date udienzia insieme
F a le dolenti mie parole estreme.

Questa canzone presenta un congedo di tre versi con rime che seguono lo schema DfF (si può
indicare anche con le lettere AbB) della parte finale della sirma.
Se tu avessi ornamenti quant'ài voglia,
poresti arditamente
uscir del bosco, et gir in fra la gente.

Canzone 128 (stanza di 16 versi endecasillabi e settenari: la prevalenza degli endecasillabi [11/16]
indica l’altezza del tema e la più elevata tonalità retorica del dettato; il congedo è identico alla
sirma).
I stanza
(I piede)
A Italia mia, ben che ’l parlar sia indarno
b a le piaghe mortali
C che nel bel corpo tuo sì spesse veggio,
(I piede)
B piacemi almeno che’ miei sospir sian quali
a spera ’l Tevero e l’Arno, 5
C e ’l Po, dove doglioso e grave or seggio.
(sirma indivisa)
c Rettor del cielo, io cheggio
D che la pietà che ti condusse in terra
E ti volga al tuo diletto almo paese:
e vedi, segnor cortese, 10
D di che lievi cagion che crudel guerra;
d e i cor, che ’ndura e serra
f Marte superbo e fero,
G apri tu, padre, e ’ntenerisci e snoda;
f ivi fa che ’l tuo vero, 15
G qual io mi sia, per la mia lingua s’oda.

Si osservi che i piedi non devono di necessità presentare identica successione di rime (come nella
canzone 126: abC abC): è sufficiente che siano modulati sulle stesse rime indipendentemente dalla
loro successione, ma è necessario che presentino identica formula sillabica. In questo caso: AbC
BaC (nel II piede le prime due rime sono invertite Ab → Ba), dove si osserva che la riproposizione
con ordine diverso della prime tre rime non modifica la formula sillabica che rimane invariata =
11, 7, 11; 11, 7, 11.
congedo

Canzone, io t’ammonisco
che tua ragion cortesemente dica;
perché fra gente altèra ir ti convene 115
e le voglie son piene
già de l’usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
fra magnanimi pochi a chi ’l ben piace: 120
di’ lor: «Chi m’assicura?
I’ vo gridando: Pace, pace, pace».

La successione delle rime, aperta dal verso-chiave con rima –eggio, segue lo schema della sirma
(cDEeDdfGfG).

N. B. Questi appunti non esauriscono la problematica della ‘canzone’ dal punto


di vista metrico (sull’argomento esistono trattati e repertori), ma sono le nozioni
minime che occorre sapere per il primo esame di Letteratura italiana.

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