Urologia

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Lezione n°1 del 27/02/2019

Materia: Urologia
Appunti di: SZ
Argomenti: fisiologia dell’apparato urinario e semeiotica della minzione patologica

Il professore si presenta: Dr Danilo Zani, non il titolare del corso; il titolare del corso è il professor Claudio
Simeone che è impegnato per attività congressuali all’estero.
Esiste poi il professore Antonelli che, proprio perché il professor Simeone è all’estero, ha impegni di tipo
assistenziale (è occupato in ospedale).
Per questi motivi la prima lezione viene tenuta dal Dr Zani, un professore aggregato (ricercatore) che fa parte
dell’equipe universitaria occupandosi sia della parte di ricerca che della parte di didattica. Il professor Zani
non lavora agli Spedali Civili ma è il responsabile di un’unità operativa all’istituto clinico Città di Brescia,
tuttavia collaborano insieme da anni.

Le lezioni saranno molto generali: l’obiettivo è la formazione che deve avere un medico di medicina generale
quindi non verranno chieste cose specialistiche o superspecialistiche. Ci verranno fornite informazioni che
soprattutto possano essere utili nella pratica clinica quotidiana.

L’esame è orale, fatto insieme all’esame di nefrologia: è possibile fare i due esami o simultaneamente o prima
uno e poi l’altro, a vostra discrezione, e il voto finale è la media dei due esami (per quest’anno è ancora così,
probabilmente dall’anno prossimo ci saranno dei cambiamenti).

FISIOLOGIA DELL’APPARATO URINARIO


INTRODUZIONE
L’urologia si occupa dell’apparato urinario e dell’apparato genitale maschile: tutte le problematiche di
interesse chirurgico. Esistono poi delle situazioni che sono un “territorio di confine”, per esempio con il
nefrologo, per esempio la calcolosi, perché lo studio metabolico della calcolosi lo fa sia il nefrologo che
l’urologo anche se poi il trattamento effettivo delle calcolosi urinaria lo fa l’urologo. Altro esempio:
l’andrologo, colui che si occupa delle malattie dell’apparato genitale maschile di aspetto non chirurgico,
internistico. Per esempio, un calo del testosterone è un aspetto che l’urologo condivide con l’andrologo.

CENNI ANATOMICI
All’esame ci potranno essere domande sull’anatomia, non difficilissime, proprio perché questa parte è data
per scontata.

L’apparato urinario, per prima cosa, si trova profondamente nella


cavità toraco-addominale, dove i due reni si trovano esattamente
parte nella cavità toracica e parte nella cavità addominale. La
posizione molto profonda dei reni renderà ragione di tante cose
per esempio il fatto che un tumore del rene per dare segno di sé,
attraverso fenomeni di tipo espansivo e compressivo, deve
arrivare almeno a 10/12/15 cm. È ovvio che un tumore del
testicolo è molto più facile da individuare, anche se in realtà non
è sempre così.

L’apparato urinario è riccamente vascolarizzato: i vasi renali


arrivano direttamente dai vasi principali dell’organismo. Di
conseguenza, sapere da dove arriva un sanguinamento
dell’apparato urinario (ematuria) può essere molto importante:
un conto è se l’ematuria interessa la vescica (ci permette di essere
un pochino più sereni), un conto è se l’ematuria arriva dal rene,
il quale risulta essere riccamente vascolarizzato.

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Dal rene parte la via escretrice: i due ureteri, che decorrono sempre nel retro-peritoneo, scendono, entrano
nella pelvi e arrivano fino alla vescica.

La vescica, che ha la funzione di accogliere ed immagazzinare


l’urina che viene prodotta, è caratterizzata da un sistema
muscolare molto importante che prende il nome di Detrusore. Il
Detrusore ha una funzione strettamente correlata con lo sfintere
interno e uno spessore che può essere anche decisamente
importante.

Suddivisione classica degli strati muscolari del Detrusore:


Ø strato interno o plessiforme
Ø strato medio o circolare
Ø strato esterno o longitudinale
Nella realtà dei fatti questi strati cosi classificati si intersecano tra di loro creando un’unità funzionale unica.

Anatomia nell’uomo Anatomia nella donna (sx) e nell’uomo (dx)

Tra uomo e donna è diversa l’anatomia ed è diverso il sistema sfinteriale.


Nell’uomo esistono due sistemi sfinteriali che sono ben distinti l’uno dall’altro e che hanno anche delle
funzioni un pochino diverse. Esiste un:
Ø sistema sfinteriale interno che fa sempre parte del sistema muscolare liscio del Detrusore;
Ø sistema sfinteriale uretrale esterno che fa parte del diaframma urogenitale e che è costituito da
muscolatura striata.

È diversa la situazione nella donna, per quanto sovrapponibile. Esiste anche in questo caso un:
Ø sfintere uretrale interno costituito da fibre del Detrusore che si appongono in modo circolare attorno
al collo vescicale
Ø sfintere uretrale esterno costituito da muscolatura striata ma che non è così ben evidente come
nell’uomo e, a volte, è difficile anche da identificare dal punto di vista chirurgico.

L’identificazione dello sfintere uretrale esterno è importante soprattutto per certi interventi, ad esempio la
prostatectomia radicale robotica: quando si porta via la prostata bisogna preservare il più possibile questo
muscolo.

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La vescica, caratterizzata da una forma sferica, presenta una zona, delimitata dai due osti ureterali (lo sbocco
dell’uretere in vescica) e dal collo vescicale, che si chiama trigono (in particolare, questa zona si distingue in
un trigono superficiale e un trigono profondo). La muscolatura che si trova nel trigono deriva dalla muscolatura
liscia presente nell’uretere che si sfiocca determinando quella che è la struttura trigonale, superficiale e
profonda. Questa zona trigonale è molto importante perché permette la “imbutizzazione” del collo, ovvero
durante la minzione questa zona da chiusa/ristretta assume la forma di un imbuto permettendo così la
fuoriuscita dell’urina. Inoltre, contestualmente a questa modifica anatomica, si ha una convergenza degli osti
ureterali in modo tale che l’urina passi il collo vescicale ma non torni indietro e quindi non si abbia un reflusso
vescico-ureterale.

IL FUNZIONAMENTO DELLA VESCICA


Il funzionamento della vescica è molto particolare. Innanzitutto, questa è caratterizzata da dei recettori che si
trovano sia a livello muscolare sia a livello della mucosa della vescica e che sono distribuiti in un determinato
modo.
Ø Recettori colinergici muscarinici soprattutto a livello del corpo e del fondo vescicale;
Ø Recettori adrenergici che distinguiamo in alpha-adrenergici, a livello del corpo e del fondo vescicale,
e beta-adrenergici, prevalentemente a livello cervicale e del collo vescicale e in parte anche a livello
della zona trigonale e della porzione terminale dell’uretere.
Questi recettori sono molto importanti, infatti la vescica è un organo riccamente innervato il cui funzionamento
dipende proprio dall’attivazione/inattivazione di questi recettori e quindi anche dai nervi che arrivano alla
vescica. Questi sono nervi del sistema nervoso simpatico e parasimpatico e i nervi pudendi (motori) che vanno
alle fibre motorie scheletriche dello sfintere uretrale esterno.

Per quanto riguarda i nervi periferici, i nervi ipogastrici del sistema ortosimpatico originano da T10 a L2,
mentre, per il parasimpatico, i nervi pudendi originano da S2 a S4, dal nucleo di Onuf.

Esiste un controllo dei centri sovra-assiali (centri pontini e centri corticali) che presiedono il funzionamento
della vescica.
I centri corticali possono attivare o disattivare i centri pontini.
Il centro pontino può essere distinto in mediale e laterale: quello mediale facilita la minzione, quello laterale
inibisce la minzione.

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La parete della vescica è costituita da, in ordine:
Ø un epitelio di transizione, questo è rivestito da un coating: sostanzialmente una serie di proteine che
proteggono l’epitelio dall’urina, che ha abitualmente un ph acido, e da eventuali infezioni batteriche
(ovviamente fino a un certo punto)
Ø una sottomucosa, sulla quale poggia la mucosa, che svolge un ruolo significativo (vedi poi)
Ø una componente muscolare (vedi sopra).

La funzione epiteliale è quella di fare da barriera semi-permeabile, quindi possono passare solo alcune
sostanze, non tutte, anzi la maggior parte viene bloccata da questa barriera.

La cosa più importante è che l’epitelio poggia su un sistema di sottomucosa che non ha solamente il compito
di fare da supporto alla mucosa, quindi funzione vascolare (far arrivare ossigeno ed elementi nutritivi), ma ha
anche un’altra funzione molto importante (scoperta non da molto): esistono delle cellule dette cellule di Cajal
o cellule pacemaker che hanno una funzione di tipo neuro-sensoriale potendo quindi intervenire
nell’attivazione della struttura muscolare sottostante. Sembra proprio che vi sia una correlazione tra la
componente epiteliale, queste cellule e la componente muscolare.

L’urotelio (= epitelio di transizione, ndr) esiste solo a livello della vescica ed è costituito da, in ordine:
Ø cellule basali, che poggiano sulla membrana basale e giunte a maturazione diventano clavate
Ø cellule clavate, che giunte a maturazione diventano ad ombrello
Ø cellule ad ombrello che possono avere anche due nuclei e la cui funzione è quella sia di dare una
impermeabilità a quasi tutte le molecole sia di consentire una determinata distensibilità, proprio perché
la funzione della vescica è quella di fare da serbatoio.
Man mano che la vescica si riempie di urina, le cellule tendono a diventare sempre più piatte facilitando la
distensione dell’organo e quindi diventando prima cubiformi e poi, quando la vescica è completamente
distesa/piena, addirittura piatte. (Il professore, per conoscenza, aggiunge quanto segue, affermando comunque
che non occorre entrare a tal punto nei dettagli, ndr). Questo meccanismo è legato al fatto che esistono dei
vacuoli la cui azione è quella di appiattire o far tornare le cellule dell’epitelio a livello clavato, questi si
spostano dal citoplasma verso la membrana tramite dei meccanismi legati al passaggio trans-membrana di Na,
K e Ca.

Sostanzialmente la vescica svolge due funzioni:


Ø funzione di riempimento
Ø funzione di vuotamento

Durante la funzione di riempimento si ha un’attivazione del sistema sfinteriale e un rilassamento della vescica
che permettono la raccolta delle urine all’interno della vescica stessa. Questa situazione prosegue fino a
quando, in seguito al desiderio minzionale, si va a urinare e si innesca un meccanismo contrario al precedete
in cui si ha un rilassamento dello sfintere muscolare sia interno che esterno e una contrazione del muscolo
Detrusore. Una volta eliminata l’urina, riprende un nuovo ciclo minzionale con chiusura dello sfintere e
rilassamento del Detrusore.
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Quindi il ciclo minzionale è caratterizzato da due fasi:
Ø una fase di riempimento (o della continenza)
Ø una fase di vuotamento (o minzionale)

La fase di riempimento si caratterizza per due aspetti importanti:


Ø un aumento delle resistenze determinato dalla contrazione dello sfintere vescicale (costituito da collo
vescicale e sfintere uretrale esterno)
Ø un aumento della distensibilità (o compliance) ovvero il fatto che la vescica si possa distendere,
mantenendo così le pressioni al suo interno basse. Questo secondo aspetto è molto importante perché
tutto il sistema urinario, dal nefrone alla vescica, per funzionare necessita di un sistema pressorio con
bassi valori pressori, altrimenti va in tilt.

Durante la fase di riempimento si ha un’attivazione del sistema simpatico con afferenze di impulsi
propriocettivi vescicali al centro sacrale (a partenza dai recettori di distensibilità vescicali). Da qui vi è
un’integrazione con i centri sovrassiali ovvero lo stimolo raggiunge i centri sovrassiali, corticale e pontino.

Se il soggetto, in quel momento, sa di non potersi recare a urinare, il centro corticale attiva il nucleo pontino
laterale per il trattenimento dell’urina. Se invece il soggetto effettivamente si reca a urinare, verrà attivato il
centro pontino mediale che attiva e stimola la minzione.

La risposta che si ha durante la fase della continenza, un’attivazione del nucleo pontino laterale, determina:
Ø un’attivazione del nervo Pudendo à contrazione dello sfintere esterno
Ø un’attivazione dell’ortosimpatico à attivazione sia dei recettori alpha a livello del collo vescicale:
contrazione/chiusura del collo vescicale, sia dei recettori beta che hanno un’azione opposta a quella
degli alpha facilitando la distensione della vescica.
Inoltre, l’attivazione dell’ortosimpatico inibisce l’attività del parasimpatico.

Durante la fase di vuotamento, o minzione, si ha una caduta delle resistenze a livello dello sfintere esterno e
interno e un aumento di pressione all’interno della vescica dato dalla contrazione del muscolo Detrusore.
Questo aumento di pressione supera le pressioni di chiusura uretrale date dallo sfintere interno, dal collo
vescicale e dallo sfintere esterno quindi si ha la minzione.

La risposta che si ha durante la fase di vuotamento, un’attivazione del nucleo pontino mediale e una
disattivazione di quello laterale, determina:
Ø disattivazione del nervo Pudendo
Ø attivazione del parasimpatico à attivazione dei recettori muscarinici a livello del Detrusore:
contrazione del Detrusore
Inoltre, il parasimpatico inibisce l’ortosimpatico.
Quindi si “imbutizza” il collo vescicale e inizia la minzione.

Quindi la minzione è una situazione attiva nella maggior parte dei casi.

In tutto questo si inserisce anche il sistema di attivazione delle cellule di Cajal. Queste cellule sono
strettamente in contatto con l’urotelio, tra di loro all’interno della sottomucosa e col sistema detrusoriale e la
loro attivazione, a volte, può far partire lo stimolo minzionale.

Quindi le cellule di Cajal possono attivarsi e stimolare, da sole, la minzione fisiologica, integrandosi con il
sistema nervoso periferico ortosimpatico e parasimpatico visto sopra, oppure, addirittura, possono determinare
una minzione patologica.

Esempio della cistite


In caso di cistite, ovvero un’infiammazione/infezione della vescica generalmente dovuta a batteri, si genera
“caos” a livello della mucosa vescicale: il coating viene alterato dai batteri, questi interessano l’urotelio, il
quale determina un’attivazione anomala delle cellule di Cajal che fanno partire uno stimolo come se la vescica

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fosse piena. Il risultato è che uno dei sintomi tipici della cistite è quello di andare a urinare spesso anche ogni
10 – 20 min.
Quindi quando si ha un problema all’urotelio (es. cistite) queste cellule vengono attivate in modo molto più
rapido, in modo alterato determinando una minzione di tipo patologico, caratterizzata, ad esempio, da
un’aumentata frequenza minzionale e dolore alla minzione.

In condizioni fisiologiche, nel caso in cui si verifichi un’attivazione delle cellule di Cajal, il sistema nervoso è
in grado di determinare un’azione inibitoria, come visto, bloccando quella che potrebbe essere, in quel
momento, una minzione non opportuna.
In condizioni patologiche, invece, l’impulso può essere talmente importante/alterato da determinare una
minzione di tipo patologico.

SEMEIOTICA DELLA MINZIONE PATOLOGICA

I DISTURBI DEL BASSO APPARATO URINARIO


I disturbi del basso apparato urinario si suddividono in:
Ø disturbi della fase di riempimento
Ø disturbi della fase di vuotamento
Ø disturbi che si verificano dopo la minzione

Questi disturbi minzionali, che una volta si studiavano separatamente, adesso prendono il nome di LUTS
(lower urinary tract symptoms), una dizione molto generica che raggruppa tutti i sintomi. Nonostante ciò, è
importante capire bene quali sono i sintomi di una fase o dell’altra perché questa distinzione ci può essere utile
quando ci troviamo di fronte ad un paziente.

La patogenesi di questi disturbi è multifattoriale.


Una volta si diceva: “Chi ha problemi di prostata (es. ipertrofia prostatica benigna) può avere la disuria e il
mitto ipovalido, chi ha problemi di incontinenza urinaria può avere un’aumentata frequenza/un’urgenza
ecc…”. In realtà si è visto che questi disturbi si trovano un pochino in tutti i soggetti con problematiche a
questo livello per cui risulta difficile classificarli in modo assolutamente preciso. Inoltre, queste
problematiche non riguardano solo la prostata o solo la vescica, bensì tutto un sistema che funziona in modo
integrato quindi un meccanismo alterato può determinare la comparsa di questa sintomatologia.

Quindi questa sintomatologia può essere legata a:


Ø Malattia locale (es. calcolosi vescicale)
Ø Alterazioni ormonali (es. la donna in menopausa, anche perché sono stati trovati dei recettori degli
estrogeni a livello anche dell’apparato urinario, quindi il calo degli estrogeni può determinare la
comparsa di sintomatologia)
Ø Ostruzione (es. l’ipertrofia prostatica benigna, frequentissima nell’uomo con l’avanzare dell’età,
oppure una stenosi dell’uretra che può riguardare l’uomo e in alcuni casi, seppur rari, anche la donna)
Ø Invecchiamento del Detrusore che, quindi, comincia a non funzionare correttamente
Ø Anossia: durante l’ostruzione si crea un’ipertrofia della muscolatura liscia del Detrusore e, quindi,
può succedere che il Detrusore non venga irrorato in modo sufficiente
Ø Malattie legate all’età
Ø Malattie neurologiche (es. disturbi minzionali quali l’urgenza minzionale rappresenta la prima
manifestazione della sclerosi multipla nel 5% dei casi)

I DISTURBI DELLA FASE DI RIEMPIMENTO


1. Pollachiuria: aumento della frequenza minzionale non legata ad un aumento della diuresi (se il
soggetto si beve 6 litri di birra artigianale alla festa della birra non ha una pollachiuria, bensì una

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poliuria (aumento della diuresi) dal momento che più beve più deve eliminare i liquidi che ha
introdotto).

Cause funzionali:
Ø infezione della vescica (cistite acuta, vedi sopra)
Ø calcolosi vescicale
Ø vescica neurologica
La vescica, di per sé, ha una capacità normale ma dal punto di vista funzionale non riesce a espletare
tutta la sua funzione quindi non riesce a fare da serbatoio.

Cause organiche (situazioni in cui la vescica risulta piccola di volume quindi si riempie rapidamente
e il paziente deve urinare frequentemente):
Ø causa infettiva (TBC, schistosomiasi)

schistosomiasi urinaria (vedi


immagine a lato)
Il prof. accenna al caso
particolarmente sfortunato di un
paziente che presentava una
situazione particolare di
schistosomiasi poi trattata.
Ø causa iatrogena
Il prof. mostra l’immagine
radiologica di un caso particolare e drammatico: un paziente trattato in altra sede per una neoplasia
della vescica con plurime resezioni vescicali che hanno portato la vescica ad essere grande più o
meno come il palloncino del catetere vescicale.

2. Urgenza minzionale: impellente desiderio minzionale.

“Impellente” vuol dire “molto importante”, talmente importante che, a volte, si associa a una
situazione di fuga d’urina quindi a una incontinenza urinaria.

Cause:
Ø iperattività del Detrusore: il Detrusore che si contrae per i fatti suoi, senza che vi sia un
controllo dei centri sovrassiali, perché esistono delle cellule a livello della sottomucosa che
possono attivarlo indipendentemente da tutto quello che è il suo controllo neurologico.
Ø infezioni o infiammazioni della vescica (cistite)
Ø vescica neurologica: problematiche di tipo neurologico (es. trauma midollare che determina
un’interruzione dei sistemi di controllo sovrassiali per cui si innesca un meccanismo, a livello
dei sistemi ortosimpatico e parasimpatico e del nervo pudendo, che non è più controllato dai
centri sovrassiali e che funziona in modo automatico).
In presenza di una minima distensione, gli stimoli inibitori non riescono più a raggiungere il nucleo
sacrale che, quindi, dà lo stimolo per iniziare la minzione.

3. Incontinenza urinaria: perdita involontaria dell’urina attraverso l’uretra.

Cause:
Ø incontinenza urinaria da sforzo: legata soprattutto a problematiche di statica pelvica: la
vescica e l’uretra sono mantenute in sede da una serie di legamenti e di muscoli quindi, in
presenza di un cedimento di questi legamenti e di questi muscoli, la vescica e l’uretra
(soprattutto) possono scivolare in avanti determinando, durante colpi di tosse o aumenti della
pressione addominale, delle fughe d’urina.
Ø incontinenza urinaria da urgenza (vedi sopra “urgenza minzionale”)
Ø incontinenza urinaria mista che assomma in sé tutti e due i tipi di incontinenza urinaria

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Ø incontinenza urinaria da rigurgito (es. il paziente anziano con ipertrofia prostatica benigna
che impedisce la minzione: la vescica si riempie, più di tanto di urina all’interno della vescica
non ce ne sta e il soggetto comincia a perdere. Può essere che il soggetto si rechi dal medico
dicendo di avere un’incontinenza, ma il vero problema non è l’incontinenza bensì il fatto che
il paziente è in ritenzione, cioè non riesce a vuotare la vescica).
Ø incontinenza urinaria continua (goccia a goccia) (es. il paziente che va incontro a una
prostatectomia radicale dove l’unico sfintere che funziona è quello esterno; se, nonostante tutti
gli accorgimenti, quest’ultimo viene lesionato durante l’intervento, il paziente non riesce più
ad avere una continenza urinaria).

I DISTURBI DELLA FASE DI VUOTAMENTO


1. Disuria: difficoltà nella minzione/al vuotamento (termine molto generico).

Ø Cause organiche: ostruzione (es. il paziente ha lo stimolo a urinare ma la prostata è molto


grossa e l’urina fa fatica a passare dall’uretra prostatica quindi il soggetto ha una disuria; altro
es. stenosi dell’uretra da cause diverse).

Ø Cause funzionali: (es. 1) La vescica e gli sfinteri sono così dettagliatamente innervati e hanno
un funzionamento così particolare che se il meccanismo non avviene in modo perfetto si può
avere, in alcune situazioni patologiche, la contrazione contestuale del Detrusore e dello
sfintere esterno o del collo della vescica. C’è un problema di natura funzionale che fa si che il
paziente avverta una difficoltà a urinare.
Oppure, altro esempio, il paziente che ha difficoltà nella contrazione del Detrusore, è un
paziente che può dire di far fatica a urinare. Il Detrusore, per i motivi più svariati, può essere
non efficace nella contrazione, ipovalido e il soggetto avverte questa contrazione debole del
Detrusore come una difficoltà nella minzione.

2. Mitto ipovalido: flusso urinario indebolito, ridotto di calibro e pressione.


Questo è uno dei sintomi tipici dell’ostruzione e, in particolare, dell’ostruzione da ipertrofia prostatica
benigna.
Una delle domande che si fanno al paziente per capire come urina (il paziente dice sempre che urina
bene) è: “Il getto dell’urina arriva là in fondo o si urina sulle scarpe?” In caso di mitto ipovalido il
paziente risponde che si urina sulle scarpe.

3. Prolungamento del tempo minzionale: aumentato tempo di vuotamento vescicale.


Questo è uno dei sintomi tipici dell’ostruzione da ipertrofia prostatica benigna.

Il medico deve chiedere tutte queste cose, altrimenti i pazienti da soli non le diranno mai.

In caso di ostruzione, fino a un certo punto il paziente riesce a compensare, poi non più perché questa impedisce
la minzione e il paziente va in ritenzione d’urina.

LA RITENZIONE D’URINA
Generalmente la ritenzione d’urina è caratterizzata dall’incapacità a urinare ma in presenza di un intenso
stimolo minzionale. Il segno tipico della ritenzione d’urina è la presenza di un globo vescicale: il paziente
presenta un rigonfiamento, una cupola a livello sovra-pubico non legato all’adipe ma al fatto che la vescica è
piena d’urina/distesa.

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La ritenzione d’urina si classifica come:
Ø acuta
o completa
o incompleta

Ø cronica
o completa
o incompleta

La ritenzione acuta è caratterizzata dal fatto che prima il soggetto urinava bene, poi mangia, beve,
peperoncino, roba piccante che va un pochino a irritare il distretto cervico-prostatico, magari aveva già una
situazione borderline, birra e succede che a un certo punto non riesce più a espellere tutta l’urina. Quindi, in
una situazione più o meno di benessere, arriva la ritenzione d’urina legata a un problema prostatico.
Generalmente la ritenzione d’urina acuta è legata all’ipertrofia prostatica benigna ovvero un aumento
del volume della ghiandola prostatica che va a determinare un’ostruzione al deflusso dell’urina.

Il prof. ribadisce più volte che all’esame, parlando della ritenzione d’urina, non bisogna dire che c’è un
calcolo che blocca il canale uretrale: questa è una cosa che può accadere, può dare ritenzione d’urina, però
al prof. è capitato di vederla due volte in 25 anni di attività. Non è sbagliato ma la prima causa di ritenzione
acuta d’urina è l’iperplasia prostatica benigna.

La ritenzione cronica è molto più subdola, insidiosa e grave perché, mentre la ritenzione acuta è facile da
riconoscere (il paziente ha stimoli minzionali molto impellenti, viene in PS e urla dal male e quando il medico
gli mette un catetere, lui lo guarda come se gli avesse salvato la vita), la ritenzione cronica si verifica molto
lentamente nel tempo. Esistono dei meccanismi che poi vengono superati: la vescica non riesce più a espellere
tutta l’urina, si riempie e questo determina un interessamento dell’alta via escretrice (ureteri, pelvi renale, calici
renali) che va incontro a una dilatazione; questa dilatazione ha la finalità di mantenere basse le pressioni per
evitare che il nostro sistema vada in tilt smettendo di produrre urina. Nonostante ciò, la pressione un pochino
sale e questo fa si che si abbia un blocco nella produzione dell’urina.
Quindi il paziente che arriva in ritenzione cronica, più generalmente incompleta, può non arrivare con un
dolore importante a livello della pelvi, potrebbe avere o non avere un globo, ma arriva spesso con 7 di
creatinina, un equilibrio acido-base completamente sballato, un sistema idro-elettrolitico completamente
sballato perché è un paziente in insufficienza renale e con tutta una serie di problematiche molto importanti.
Queste problematiche poi si risolvono con il drenaggio di questa ritenzione, che può essere fatto mettendo un
catetere per le vie naturali quindi attraverso l’uretra o mettendo un catetere cisto-stomico.
La ritenzione cronica è una situazione in cui il paziente è molto più compromesso dal punto di vista generale.

I DISTURBI POST-MINZIONALI
1. Gocciolamento post-minzionale: aumentata e involontaria perdita di urina al termine della minzione
Perché questo accada non si sa: c’è tutta una serie di spiegazioni, pubblicate su riviste internazionali
scientifiche urologiche che partono dal 1977 e arrivano al 2005, ma di fatto cause vere e proprie di
questo prolungato gocciolamento post-minzionale non se ne conoscono. Probabilmente esiste il fatto
che un pochino di urina rimane all’interno della vescica determinando, dopo la minzione, un’ulteriore
contrazione del detrusore, che può essere anche di natura involontaria, e quindi un prolungato
gocciolamento post-minzionale.
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2. Aumento del residuo post-minzionale: aumenta la quantità di urina che rimane in vescica dopo la
minzione.
Il residuo post-minzionale dice al medico se il sistema del paziente è o meno in grado di compensare.

Se un paziente ha in vescica 300 cc di urina, va ad urinare, urina 270 cc e gli rimangono 30 cc di urina
in vescica, bene o male, anche se si tratta di un paziente (es.) con ipertrofia prostatica benigna, il suo
sistema è in compenso.

Se un paziente ha in vescica 300 cc di urina, va ad urinare e urina 120/150 cc, è più la quantità di urina
che rimane in vescica che quella che viene espulsa. In questo caso il residuo post-minzionale è un
indice indiretto del fatto che c’è qualcosa che non funziona a livello di vuotamento.

Il residuo post-minzionale può essere misurato tramite un’ecografia oppure un cateterismo oppure dei
bladder scanner. Quest’ultimo è un piccolo scanner che, messo sulla pancia del paziente, dice quanta
urina rimane in vescica.

Esistono dei valori normali (= in vescica non dovrebbe esserci nulla) e dei valori patologici, i quali
cambiano a seconda delle mode e della terapia farmacologica. In generale, valori superiori a 150 ml
cominciano a essere preoccupanti e valori superiori a 300 ml di residuo post-minzionale implicano
che probabilmente il paziente andrà trattato chirurgicamente.

Il residuo post-minzionale va misurato correttamente altrimenti si rischia di “prendere delle cantonate”


(cit.). Esempio: soggetto con vescica distesa perché deve fare l’ecografia vescicale; il medico, fatta
l’ecografia, siccome ha la fila fuori dall’ambulatorio, manda il paziente a urinare mettendogli fretta e
poi gli misura il residuo. Quello che il medico misura in quel momento non è un residuo vero bensì
condizionato da tanti fattori: la vescica troppo piena, il fatto che il paziente non si trova a suo agio per
urinare, il fatto che il medico gli mette fretta. È una situazione che va valutata di volta in volta.

3. Iscuria paradossa: perdita d’urina attraverso l’uretra determinata da una sovradistensione vescicale.

ALTRI SINTOMI
Ø Esitazione minzionale: difficoltà a iniziare la minzione
Ø Stranguria: dolore durante la minzione
Ø Oliguria: diuresi < 500 ml/24h
Ø Anuria: diuresi < 100 ml/24h

ESAME OBIETTIVO RENALE (alte vie urinarie)

Ø Manovra di Giordano: con mano a piatto si da una botta a livello dei fianchi dx e sx. Ha un valore
piuttosto relativo.
Ø Palpazione bimanuale: serve per capire se abbiamo di fronte un quadro di ritenzione cronica d’urina.

ESAME OBIETTIVO DELLA VESCICA che può essere abbastanza evidente soprattutto se il paziente è
magro.

ESAME OBIETTIVO DELLA PROSTATA

Ø Esplorazione rettale: facendo mettere il paziente in posizione litotomica e infilando un dito nel retto
del paziente, si va a palpare la parete anteriore del retto dove si sente la prostata. Quindi si valutano la
superficie, la consistenza e il volume della prostata e l’eventuale presenza di determinati noduli.
L’esplorazione rettale permette una valutazione abbastanza grossolana di tutti questi aspetti.

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Il prof. chiarisce che questa è stata la prima lezione di fisiopatologia, ma le prime lezioni di fisiopatologia e
di urologia trattano lo stesso argomento quindi sono state accorpate e questa lezione vale per entrambe le
parti.

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Lezione n° 2 del 06/03/2019
Materia: Urologia
Appunti di: CZ
Argomenti: fisiopatologia e semeiotica dell’apparato urinario

La volta scorsa si è parlato del ciclo minzionale:


atto minzionale che si compone di una fase di riempimento e una fase di vuotamento
quali sono i recettori coinvolti nelle due fasi
vie nervose che governano il ciclo minzionale
Si è poi conclusa la lezione parlando dei segni e sintomi della minzione patologica: disturbi di tipo ostruttivo,
irritativo e post-minzionali.
In data odierna, si continua la trattazione della sintomatologia dell’apparato urinario e si affrontano aspetti
di semeiotica dal punto di vista radiologico.

1. FISIOPATOLOGIA DELL’APPARATO URINARIO


1.1 EMATURIA
L’ematuria, di cui parlerà anche il Prof. Cancarini in quanto pertinente anche al campo della nefrologia, è un
sintomo che allerta sempre il paziente e lo conduce dal proprio medico curante. In passato si riteneva fosse
correlata ad un’infezione delle vie urinarie bensì, nella realtà dei fatti, l’urologo tenda ad identificare l’ematuria
come il segno di una neoplasia dell’apparato urinario, almeno finché non viene dimostrato il contrario.
L’ematuria indica la presenza di sangue nelle urine e viene classificata in macroematuria e microematuria.
Si diagnostica mediante l’esame delle urine.
Come avviene la raccolta delle urine?
1) Deve essere preceduta da una disinfezione dei genitali, altrimenti ci possono essere contaminazioni.
2) Deve essere raccolta l’urina del mitto intermedio in una provetta (circa 10ml di urina).
3) Dopo di che, viene fatta centrifugare a bassa velocità.
4) Il sedimento si striscia su un vetrino e si sottopone a microscopia.

Nel sedimento urinario si identificano i globuli rossi senza l’uso di particolari colorazioni e, inoltre, si riesce a
identificare la loro provenienza: globuli rossi di origine glomerulare, che possono indicare una patologia
glomerulare, si presentano al microscopio più irregolari rispetto a quelli non glomerulari.
Questo permette di fare una prima ipotesi della patologia di cui è affetto il paziente.

Ematuria macroscopica e microscopica hanno lo stesso significato, ovvero vengono entrambi identificati come
indice di una neoplasia a carico dell’apparato urinario.

Couvelaire, insigne urologo francese, affermò:


“L’individuazione di un’ematuria non concede alcuna leggerezza nell’interpretazione, nessuna pigrizia nelle
indagini, nessuna stupidaggine nelle terapie. L’ematuria non si tratta né con la dieta, né con il riposo, né
con gli emostatici, essa esige solo di essere presa in considerazione”.

Il professore riporta questa frase per ribadire l’importanza dell’ematuria fin tanto che non viene dimostrato il
contrario. A prova di ciò, si consideri che la prima causa di ematuria risulta essere proprio il cancro della
vescica. Seguono:
infezioni delle vie urinarie
problematiche nefrologiche
calcoli
neoplasie dell’alto tratto urinario
carcinoma renale e il carcinoma in situ.

Ematuria NON è sinonimo di uretrorragia. Quest’ultima è una problematica di tipo urologico che si
presenta come uno scolo di sangue dall’uretra, indipendente dalla minzione, conseguenza di una lesione di tipo

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traumatico. Un esempio, può essere una lesione iatrogena (immissione di un catetere) oppure una caduta a cui
fa seguito uno scolo di sangue continuo.
L’ematuria, invece, si presenta soltanto durante la minzione.
Si consideri, ad esempio, una lesione a livello dell’uretra prostatica, quale può essere una varice di una vena
prostatica che se si rompe: questa provocherebbe un grosso sanguinamento che, però, risulta contenuto dal
sistema sfinteriale esterno. Con la minzione, invece, si avrà ematuria iniziale, ovvero la presenza di sangue
all’inizio della minzione.

Esistono circostanze che o non sono ematuria o non sono di interesse urologico:
false ematurie:
o ematuria pigmentata (emoglobinuria, mioglobinuria)
o alimentare (barbabietole)
o farmacologica (rifampicina)
ematuria di origine medica:
o da FANS
o disfunzioni della aggregazione piastrinica o della coagulazione
o glomerulonefriti
o esercizio fisico

Una delle cause più frequenti nel mondo (America del Sud e Africa specialmente) è la bilharziosi urinaria
(anche detta schistosomiasi urinaria o ematuria endemica), una infestazione dell’apparato urinario che può
determinare la formazione di un particolare tumore della vescica.

Si può identificare la provenienza dell’ematuria mediante la prova dei 3 bicchieri, esame che permette di
distinguere l’ematuria in iniziale, finale e totale.
1) EMATURIA INIZIALE: identifica una problematica del collo vescicale o dell’uretra prostatica. Ad
esempio, un paziente con adenoma prostatico voluminoso spesso può sviluppare varici della ghiandola
prostatica che possono andare incontro a rottura, determinando ematuria iniziale.
2) EMATURIA FINALE: solitamente si tratta di una problematica di tipo vescicale potenzialmente
correlata ad una lesione polipoide (lesione neoplastica con aspetto arborescente con capillari
neoformati che presentano caratteristiche di maggiore fragilità). Spesso tali polipi vanno incontro a
rottura con fuoriuscita di globuli rossi che sedimentano nel basso fondo vescicale: con la contrazione
del detrusore si ha, quindi, ematuria.
3) EMATURA TOTALE: problematica delle vie urinarie superiori (rene, pelvi renale, calici renali).

Esistono dei protocolli in cui in un'unica seduta si esegue tutto l’iter diagnostico per fornire al paziente una
diagnosi completa immediata e avviare il trattamento il più velocemente possibile. Tale percorso diagnostico
si chiama ONE STOP CLINIC, ideato in una clinica milanese che visitava lavoratori a forte rischio per una
neoplasia vescicale. Si è identificato un percorso e, quindi, un servizio ad hoc per questa situazione.
A volte esistono casi più complicati, ad esempio paziente con episodio di microematuria ed esami negativi in
cui, trattandosi di un paziente a basso rischio di neoplasia (non fumatore, non lavoratore a rischio), ci si ferma
nell’iter diagnostico, senza approfondire. Se, invece, ci sono condizioni favorevoli, allora si eseguono esami
approfonditi almeno una volta all’anno.

1.2 COLICA RENALE


La colica renale è la comparsa improvvisa di un dolore spontaneo al fianco destro o sinistro che si irradia dalla
zona lombare verso gli organi genitali esterni. È un dolore di tipo colico dettato da una violenta contrazione
spastica, in cui il soggetto non riesce a trovare una posizione antalgica. Si associa a senso di nausea e vomito
o ad alterazioni dell’alvo dovuti ad un’attivazione vagale. Il quadro generale è legato ad un’improvvisa
ostruzione del deflusso urinario, generalmente dovuta ad un calcolo delle alte vie escretrici, con conseguente
forte contrazione della muscolatura liscia dell’uretere o della pelvi renale al fine di far progredire l’urina.

Altra situazione in cui si ha dolore è quella in cui si ha un accumulo di urina nella via escretrice a monte
dell’ostacolo, con conseguente distensione della capsula renale. In questo caso, il dolore è diverso dal
precedente e, nello specifico, di tipo sordo. La causa principale può essere la presenza di un calcolo.

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Esistono punti in cui più facilmente un calcolo può ostruire il passaggio dell’urina, come a livello del:
Giunto pielo – ureterale
Incrocio dei vasi iliaci
Passaggio dell’uretere in vescica
Si tratta di tre restringimenti fisiologici delle vie urinarie dove è più probabile riscontrate la presenza di calcoli.

Se trovo un calcolo a livello alto (pieloureterale) il dolore sarà molto più alto, a livello del fianco. Diversa è la
situazione in cui il calcolo ostruisce il passaggio dell’uretere in vescica: in questo caso, l’irradiazione del dolore
coinvolgerà la fossa inguinale e i genitali esterni (grandi labbra nella donna, l’emiscroto nel maschio) e si
avranno disturbi irritativi minzionali. Spesso, inoltre, si può avere tenesmo vescicale o pollachiuria.

In caso di colica renale, è fondamentale fare diagnosi differenziale con addomi acuti o peritoniti o altre
problematiche che presentano sintomatologia simile:
A volte, addirittura, può coesistere un dolore di tipo colico e una reazione peritoneale: per esempio
un calcolo che si impianta nell’uretere, determina ostruzione e una possibile fuoriuscita dell’urina nel
peritoneo, irritandolo.
Un paziente che ha una perforazione intestinale starà fermo perché ogni movimento provocherà
fuoriuscita di liquido dall’organo che si è perforato e ciò provocherebbe dolore. Al contrario, nella
colica renale il paziente cerca qualsiasi posizione pur di diminuire il dolore.
Un’altra possibile diagnosi differenziale è la rottura di un aneurisma dell’aorta addominale: genera
anch’essa una sintomatologia simile alla colica renale.

Infine, esiste una correlazione tra l’ematuria e la colica renale: a determinare una colica renale può essere sia
un calcolo sia un coagulo.
Prima la colica poi l’ematuria: è probabile che la colica sia causata da un calcolo che provoca
lacerazioni ureterali, con conseguente sanguinamento.
Prima ematuria poi colica renale: è più probabile che tale colica sia sostenuta da un coagulo causato,
per esempio, da una neoplasia che ha sanguinato.

2. SEMEIOTICA RADIOLOGICA DELL’APPARATO


URINARIO
La semeiotica radiologica assume un ruolo molto importante nel processo diagnostico in urologia.
Nella lezione odierna verrà affrontata la radiologia tradizionale: alcuni di questi esami non vengono più
eseguiti ad oggi, oppure sono eseguiti solo in casi particolari.

2.1 RADIOGRAFIA DIRETTA DELL’ADDOME


Esame molto semplice svolto tipicamente il tecnico di radiologia. Permette di individuare: le ombre renali, il
profilo degli psoas e della vescia ed eventuali calcoli che si localizzano a livello dell’apparato urinario. Può
essere utile anche per verificare la corretta immissione di un catetere.

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2.2 UROGRAFIA
È un’indagine tradizionale che ormai non viene quasi più svolta. Questa
tecnica, infatti, seppure un tempo rappresentasse il gold standard nella
valutazione della via escretrice, è stata sostituita dalla TAC.
L’urografia prevede l’uso del metodo di contrasto (MDC),
conseguentemente è controindicata in pazienti allergici o con insufficienza
renale, e dà informazioni sia di carattere morfologico che funzionale.
Indipendentemente dalla tecnica diagnostica utilizzata (TAC o radiografia),
infatti, l’uso del MDC fornisce una serie di informazioni morfo –
funzionali. Nel caso specifico della via escretrice, il MDC viene
somministrato endovena ed arriva simultaneamente a livello delle arterie
renali e, quindi, ai reni dove viene filtrato, concentrato ed, infine, escreto.
Un esempio di informazione funzionale ottenibile a questo livello è,
dunque, inerente la capacità del rene di concentrare il mezzo di contrasto.
Durante l’escrezione, inoltre, si possono effettuare scansioni seriate nel tempo in modo da vedere il passaggio
del mezzo di contrasto attraverso la via escretrice. Se nell’urografia, infatti, il MDC è bene evidenziato e
concentrato simmetricamente nei reni allora questi ultimi saranno sani, altrimenti si potrebbe sospettare uno
stato patologico (ipofunzione renale).

2.3 URETEROPIELOGRAFIA ASCENDENTE


Metodica diagnostica utilizzata in caso di “rene muto”, ovvero quando il rene non è in grado di concentrare il
mezzo di contrasto, oppure quando viene fatto un trattamento sulle alte vie escretrici.
In tale esame, il MDC viene immesso direttamente nell’uretere, non in vena.
In presenza di un lettino radiologico, il paziente viene messo in posizione litotomica o ginecologica, viene fatta
un’indagine endoscopica con cistoscopio. Una volta in vescica, si identifica l’ostio ureterale, si incanula l’ostio
con un catetere e viene immesso il MDC, identificando così tutta la via escretrice.
Tale procedura veniva usata in epoca pre – TAC, mentre oggi è effettuata solo in casi particolari di manovre
invasive sull’alta via escretrice. Permette di identificare, infatti, situazioni quali stenosi dell’uretere di natura
neoplastica o difetti di riempimento legati alla presenza di un calcolo che impedisce alla risalita del mezzo di
contrasto.

2.4 PIELOGRAFIA DISCENDENTE


Un’alternativa alla diagnostica per via ascendente è la diagnostica per via discendente.
Mediante accesso percutaneo, ricorrendo a monitoraggio ecografico, si identifica il rene e grazie all’ausilio di
un puntatore, si inserisce un ago cannula che va a pungere il rene stesso. L’ago cannula arriva fino a livello
della via escretrice e, qui, viene immesso il mezzo di contrasto.
Generalmente tale tecnica diagnostica viene effettuata quando un paziente è già portatore di un catetere
nefrostomico.

2.5 CISTOGRAFIA

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Viene eseguita abbastanza comunemente per visualizzare la vescica. Il mezzo
di contrasto viene immesso direttamente in vescica tramite l’uso di un catetere
vescicale.
Fase iniziale di riempimento: vengono effettuate lastre quando la
vescica è a medio e totale riempimento, anche in visione obliqua.
Si toglie il catetere
Si fa mingere il paziente: vengono scattate una serie di lastre durante
la minzione del paziente e si valuta il residuo post – minzionale.

La cistografia è utile:
in presenza di reflusso vescico-ureterale, ovvero il passaggio di urina
dalla vescica verso l’uretere. In tal caso, il mezzo di contrasto
immesso nella vescica viene richiamato nel lume ureterale. Per
identificare piccoli reflussi si utilizzano delle immagini oblique,
facendo ruotare il paziente.
Studio di un reflusso di rene trapiantato.
Identificare diverticoli vescicali: estroflessione della mucosa al di fuori della vescia che può essere
complicante nel caso di ipertrofia prostatica.
Patologie meno frequenti: anomala comunicazione tra vescica e vagina.
Studio del cistocele: abbassamento della vescica che può raggiungere diversi gradi.

2.6 URETROCISTOGRAFIA
Tale esame viene effettuato per lo studio dell’uretra e della vescica. Può essere eseguito sia per via ascendente
che per via minzionale e si avvale di una particolare strumentazione che serve per il passaggio del mezzo di
contrasto nell’uretra e nella vescica.
Consta di varie fasi: fase di riempimento, fase cistografica, fase minzionale e una fase del calcolo del residuo
post minzionale.
Utile per lo studio dei traumi (es. trauma del bacino, frattura o lesione da proiettile, che porta alla separazione
dell’uretra dalla vescica e dalla prostata) e per lo studio delle stenosi dell’uretra, sia in fase discendente sia
ascendente.

2.7 ECOGRAFIA DELL’APPARATO URINARIO


Indagine di primo livello che serve per lo studio morfologico di reni, vescica e postata. Non permette la visione
degli ureteri perché mascherati dall’intestino, a meno che non ci troviamo di fronte ad una dilatazione della
via escretrice a causa, per esempio, di un calcolo.
Si identificano i due reni. Si calcola il diametro bipolare renale. Si analizza il rapporto tra la parte
corticale e midollare.
Lo studio vescicale deve essere fatto sempre a vescica piena, facendo urinare il paziente e calcolando
il ristagno post – minzionale.
L’ecografia prostatica può essere eseguita per via sovrapubica oppure, come abitudine nel passato,
per via transrettale. Serve per l’identificazione della prostata e per il calcolo del suo volume, seppur
tali informazioni siano ricavabili anche tramite un esame meno invasivo quale l’ecografia addominale.
L’ecografia prostatica transrettale: viene effettuata con una sonda a livello anale che ha un
trasduttore che identifica la prostata. Permette di effettuare delle manovre come un mapping prostatico
(biopsie multiple a carico della ghiandola prostatica) o trattamenti come la brachiterapia di un tumore
della ghiandola prostatica.

5/5
Lezione n° 3 del 13/03/2019
Materia: Urologia (modulo: Fisiopatologia dell’Apparato Urinario)
Appunti di: A.S.
Argomenti: TC ed RMN (diagnostica strumentale Radiologica); uroflussometria, studio urodinamico
invasivo e profilo pressorio uretrale (tecniche diagnostiche funzionali); endoscopia del basso tratto urinario

In questa lezione il docente riprende e conclude la trattazione della diagnostica radiologica in ambito
urologico (ndr nella lezione precedente erano state analizzate le tecniche di Radiologia tradizionale ed
Ecografia). Inoltre, tratta le tecniche diagnostiche di tipo funzionale e termina la lezione con le tecniche
endoscopiche, affermando di aver completato il proprio modulo che comprende la Fisiopatologia e la
Semeiotica (ndr Fisica e Strumentale) dell’Apparato Urologico.

1. TECNICHE DIAGNOSTICHE STRUMENTALI RADIOLOGICHE

1.1 TAC ADDOMINO-PELVICA


Lo studio delle alte vie urinarie era un tempo effettuato tramite
Urografia, metodica che permetteva di evidenziare diverse
condizioni patologiche a carico del rene e della via escretrice. Oggi
essa è stata quasi del tutto soppiantata dalla TC, inoltre con essa si
possono eseguire delle ricostruzioni che richiamano molto
l’urografia. La TC che serve all’urologo è quella addomino-
pelvica, che evidenzia tutto l’apparato urinario. Può essere
effettuata:
- in bianco ovvero senza MDC (ad esempio importante nello studio della calcolosi). Essendo un esame
in bianco, dà solo informazioni di natura morfologica, e non di tipo funzionale: sede del calcolo,
dimensione dello stesso e se risulta tale da impedire all’urina nell’uretra di defluire (ha provocato quindi
idroureteronefrosi), ecc…; La TC in bianco ha, negli anni, sostituito la lastra diretta dell’addome (ndr
RX ADDOME), metodica che si eseguiva come prima indagine in passato, in associazione all’Ecografia,
in un pz che si presentava in PS con colica renale. Inizialmente la TC era stata osteggiata (in quanto
sottoponeva il pz ad un’importante dose di radiazioni), negli anni sono stati formulati dei protocolli di
studio in cui emergono gli aspetti favorevoli: tutto sommato bassa dose di irradiazione per il paziente,
fornisce molte più informazioni rispetto alle metodiche tradizionali (lastra diretta dell’addome ed
ecografia), e non per ultimo è un esame di rapida esecuzione.
- con MDC che permette di ottenere informazioni di tipo funzionale. Si distinguono tre fasi equivalenti
al percorso del MDC nell’organismo:
A. fase arteriosa in cui la fissazione delle immagini è molto rapida (ndr non approfondisce perché
afferma che questi concetti verranno ripresi nel corso di Radiologia); si evidenzia la Zona Corticale
dei reni e si ha certezza di essere in tale fase dal momento che l’aorta appare ben opacizzata.
B. fase venosa in cui i reni assumono un aspetto/colorazione uniforme;
C. fase tardiva o escretoria in cui il MDC passa dal distretto vascolare all’escretorio, quindi esso
viene concentrato a livello della via escretrice che, conseguentemente, è ben evidenziabile e
valutabile.

Dal momento che si fanno delle acquisizioni durante l’esame in tutto l’apparato escretore, dai reni alla vescica,
si può eseguire una fase ricostruttiva della TC con MDC, che consente di effettuare ricostruzioni d’imaging
urografiche (ndr concetto sopracitato e non ulteriormente approfondito per le ragioni già esposte dal docente).

1
Le principali patologie in cui è impiegata TC:
- Masse renali: l’ecografia, infatti, ci permette esclusivamente di dire se una massa è liquida (cistica) o
solida; la TC, invece, oltre a poter confermare tale dato, permette di valutare se una eventuale massa solida
sia o meno un tumore e, in caso affermativo, permette di effettuare la stadiazione della neoplasia
valutando un eventuale interessamento di organi vicini oppure presenza di metastasi linfonodali e/o a
distanza (“lesioni ripetitive”). Grazie alla TC, inoltre, le lesioni cistiche possono essere caratterizzate
(classificazione di Bosniak), fondamentale per l’urologo (ndr il prof afferma che non serve saperla) per
distinguere cisti non complicate che presentano qualche piccolo setto e necessitano di follow up ma sono
sostanzialmente benigne (Bosniak 1 o 2) da quelle che, invece, vanno tenute sotto controllo con tecniche
radiologiche (Bosniak 2F) e infine dalle lesioni cistiche con produzione solida all’interno (Bosniak 3 e 4).
Se la TC addome conferma una neoplasia va poi estesa per avere un quadro generale: TC TORACE per
controllare la presenza di metastasi a livello polmonare), TC TOTAL-BODY ed eventualmente anche
TC ENCEFALO nei pz con deficit neurologici clinicamente evidenti che possono far pensare alla
presenza di lesioni ripetitive a carico del SNC (ndr pare che per “lesioni ripetitive” intenda le metastasi
della neoplasia primaria a carico dell’apparato urinario).
- Piccole lesioni renali (sia superficiali che profonde) non riscontrate con l’Ecografia, ed è quindi utile per
guidare l’esecuzione di una manovra di enucleo-resezione della massa dal parenchima renale lasciando in
sede l’organo (ndr manovra interventistica oltre che diagnostica). Ndr Mostra un’immagine obsoleta che
non viene riportata in quanto il docente afferma che attualmente il tutto viene eseguito in laparoscopia o
con tecniche robotiche maggiormente avanzate.
- Neoplasia uroteliale (oltre alla neoplasia renale sopracitata): interessamento vescicale (con conseguente
ispessimento della parete vescicale) oppure neoplasie a carico delle alte vie escretrici a livello medio-
renale (ndr non si capisce cosa intenda, l’urotelio è infatti l’epitelio della vescica, ma le alte vie escretrici
sono rene ed uretere e sono prive di urotelio).
- Lesioni traumatiche anche di natura iatrogena quale ad esempio un trauma renale da litotrissia
extracorporea con conseguente rottura renale successiva alla formazione di un ematoma intracapsulare.
- Calcolosi urinaria: la TC permette di studiarne la morfologia e struttura (composizione del calcolo in
base all’opacità data dalla densità); utile anche il ricorso alla fase di ricostruzione per apprezzare al meglio
il calcolo.
- Atrofia del parenchima renale: quando un calcolo viene trascurato, il rene va incontro ad atrofia
idronefrosica e quando il pz viene sottoposto alla TC con MDC si ridistribuisce con difficoltà nel rene e
questo presenta una morfologia alterata (informazioni di tipo morfo-funzionale). In realtà anche con la TC
in bianco si vede che uno dei due reni è atrofico (il MDC in questo caso non dà molte informazioni
aggiuntive, quindi non è necessario utilizzarlo).
Riassumendo, la TC in ambito urologico risulta uno strumento fondamentale che permette all’urologo di
ottenere tutte le informazioni di cui ha bisogno.

1.2 RISONANZA MAGNETICA


Metodica di diagnostica strumentale radiologica meno impiegata della TC, fatta eccezione per lo studio della
prostata in quanto la RMN prostatica identifica eventuali lesioni molto meglio di altre tecniche di imaging (e

2
viceversa nel caso della prostata la TC non è assolutamente utile, tranne nella stadiazione delle neoplasie
prostatiche, ed anche l’ecografia dà solo informazioni di carattere morfologico-strutturale).
Tale RMN Prostatica è multiparametrica in quanto tiene conto di
diversi parametri morfofunzionali (criteri di Pirads ndr non da sapere)
per classificare le lesioni della prostata in cinque classi, da aree meno
sospette ad aree con elevata probabilità di presentare neoplasia
prostatica.
Con il tempo, inoltre, le tecniche diagnostiche si sono evolute e spesso
intersecate tra loro: tipico è il caso della tecnica di fusion, metodica
che prevede una fusione tra immagini di risonanza ed ecografia
estremamente utile per la diagnosi di tumore prostatico in quanto
localizza con precisione le lesioni in modo da effettuare una “biopsia
mirata”. Grazie ad essa, non si esegue più il “mapping prostatico”
(biopsie random nelle zone maggiormente sospette in presenza di
neoplasia che non è stata esattamente localizzata dalle tecniche
diagnostiche strumentali).
[nds. Concetto approfondito dopo una domanda]. Diverso è il concetto di biopsia, esame eseguito su una
lesione localizzabile esattamente con la sola ecografia (che permette di effettuare agoaspirato o agobiopsia
mirata sotto guida ecografica). Il mapping è usato necessariamente in caso di neoplasie molto piccole o piatte
a livello vescicale ma non evidenziabili con metodiche di imaging (il cui sospetto nasce da un esame citologico
delle urine).

Viene riportato un esempio di metodica di fusion in cui, dopo aver


identificato le zone di prostata sospette (RM ed ECO) e biopsiato le
stesse, si passa a modelli ricostruttivi informatici per valutare la corretta
esecuzione della procedura bioptica (e non “a random”). In futuro (non è
ancora una realtà clinica) si spera che queste metodiche diagnostiche,
permettano anche di eseguire un trattamento chirurgico focale e
preciso.

Con tale argomento, il docente conclude l’aspetto legato alla fase di


diagnostica radiologica e comincia la trattazione delle indagini
funzionali.

2. TECNICHE DIAGNOSTICHE FUNZIONALI (ndr non più morfologiche)

2.1 UROFLUSSOMETRIA (UFM)


È l’indagine funzionale più semplice, misura il flusso urinario espresso in mL/secondo che viene poi
rappresentato graficamente. Per la corretta esecuzione dell’esame il pz deve avere la vescica piena (ma non
eccessivamente) e quest’organo va riempito fisiologicamente assumendo liquidi per os. La minzione avviene
in un sistema di trasduzione che, misurando il flusso urinario attraverso diversi meccanismi, si ottengono un
grafico rappresentativo (curva di flusso) e parametri di flusso che sono: tempo minzionale, volume del
flusso urinario (almeno 150 ml per essere considerato attendibile), picco di flusso massimo, flusso medio,
residuo post minzionale (non sempre misurato). Tenendo conto di questi parametri, può essere fatta una
valutazione con nomogrammi da cui si ottengono informazioni aggiuntive sulla problematica del paziente.

3
Questo esame non rileva se il paziente è o meno ostruito, ma semplicemente come è il flusso urinario (dato
che va contestualizzato). Il flusso massimo è considerato normale quando supera 15 ml/sec ma fino a 10ml/sec
rimane entro i limiti inferiori di norma (sotto 10ml/sec è decisamente inferiore alla norma). Questo può essere
indicativo di STENOSI DELL’URETRA SERRATA (curva di flusso piatta ad andamento a dente di sega, con
parametri di flusso alterati e nomogrammi anomali) o di IPB SINTOMATICA (non dà informazioni sulla
causa di ridotta minzione: evidenzia solo che il pz ha curva di flusso un po’ appiattita e parametri di flusso
inferiori alla norma, in particolare flusso massimo basso pari a 7ml/sec in presenza di volume totale adeguato).

UFM è utile anche nei controlli (follow up) in esiti di plurimi interventi chirurgici per stenosi uretrale, in tale
situazione verrà evidenziato ai nomogrammi che il soggetto urina male; in realtà, rispetto allo stato di stenosi
per cui il paziente è stato trattato, la minzione è migliorata. Ciò ci fa comprendere come gli esami diano solo
informazioni, che vanno valutate e contestualizzate dal clinico (tenendo conto anche di cosa dice il paziente).

2.2 ESAME / STUDIO URODINAMICO INVASIVO


Esame più importante, valuta il ciclo minzionale e si compone di due fasi:

1. CISTOMANOMETRIA che valuta la fase di riempimento del ciclo minzionale. S’inserisce dall’uretra in
vescica un catetere a doppio lume (uno per riempire la vescica in quanto non è possibile aspettare il
riempimento fisiologico, l’altro per misurare le pressioni intravescicali durante la fase di riempimento
vescicale) e s’inserisce nel retto un trasduttore di pressione (per valutare la pressione addominale sempre
durante la fase di riempimento vescicale). Grazie a questi due meccanismi si ottengono PRESSIONE
VESCICALE e PRESSIONE ADDOMINALE e, dalla loro differenza, si ricava la Pressione esercitata dal
Detrusore. Quindi questo esame dà informazioni sulla distensibilità vescicale e permette di diagnosticare
l’incontinenza urinaria da urgenza legata ad iperattività detrusoriale. In tale condizione clinica, durante
la fase di riempimento aumenta la pressione vescicale, mentre la pressione addominale resta normale e ciò
fa supporre che l’aumento di pressione sia legato all’eccessivo aumento di tensione del detrusore.

2. STUDIO PRESSIONE-FLUSSO che valuta la fase di vuotamento del ciclo minzionale (rispetto alla UFG,
questa metodica permette di capire se il pz è ostruito o meno) Fornisce informazioni sulla presenza di
patologie quali: ostruzione cervico-ureterale (basso vuotamento vescicale ed alti valori pressori
detrusoriali in quanto la pressione addominale resta normale ma la pressione vescicale risulta notevole a
seguito della tensione sviluppata dal muscolo detrusore per permettere la minzione), ipocontrattilità
detrusionale (problematica esattamente contraria rispetto alla precedente, in cui il Muscolo Detrusore non
ha la forza necessaria a determinare la minzione, quindi in questo caso la pressione vescicale generata dal
detrusore sarà molto bassa) o sulla presenza di residuo post minzionale (calcolabile effettuando la
differenza tra il valore di quanto liquido viene messo in vescica e di quanto volume il paziente urina).

2.3 PROFILO PRESSORIO URETRALE:


Esame che valuta la capacità di chiusura dell’uretra e misura la lunghezza uretrale. Permette di
capire se le perdite di urina sono legate ad incontinenza urinaria da stress o da urgenza cronica.

3. TECNICHE DIAGNOSTICHE ENDOSCOPICHE DEL BASSO


TRATTO URINARIO
L’endoscopica diagnostica del basso tratto urinario sfrutta una strumentazione endoscopica (Cistoscopio)
flessibile o rigida, mentre quando la metodica assume un fine interventistico (non più diagnostica bensì
operativa) necessita di un Resettore rigido. Importanti in un’indagine endoscopica tre elementi:

4
- un liquido che estenda la cavità da esplorare o in cui si opera (per la
vescica si ricorre ad una soluzione fisiologica sterile in caso si usi un
bisturi bipolare, oppure si utilizza una soluzione con glicina in caso si
adoperi il bisturi monopolare).
- portare una fonte luminosa all’interno dell’organo tramite fibre ottiche.
- tutto viene valutato tramite un sistema di schermi e telecamere,
sostituitisi alla visione diretta.

Durante l’esame endoscopico, solitamente il paziente è in posizione litotomica (paziente supino con i piedi
posizionati o al di sopra o allo stesso livello dei fianchi e perineo posizionato sul bordo del lettino –Wikipedia)
o in posizione ginecologica, come nell’immagine mostrata dal docente a lezione. L’operatore si pone tra le
gambe del pz, inserisce lo strumento (cistoscopio o resettore) all’interno dell’uretra ed osserva il monitor di
fronte a sé che riporta esattamente ciò che lo strumento incontra lungo il percorso fino in vescica.

STRUMENTAZIONE ENDOSCOPICA

1. Lo strumento endoscopico (Cistoscopio) rigido impiegato in tale esame si compone di una camicia
citoscopica con un mandrino che ne permette l’introduzione nell’uretra (ndr ricorda la procedura
utilizzata per effettuare agoaspirato del midollo osseo). Una volta che la camicia è arrivata in sede, il
mandrino viene rimosso e sostituito da una fibra ottica, collegata a sua volta ad una fonte luminosa, e ad
una telecamera. Le fibre ottiche possono essere di diverso tipo e permettono di osservare la vescica in
modo diverso a seconda dell’asse principale della fibra (visione dritta o vari gradi d’angolazione).

2. Cistoscopio flessibile (evoluzione della condizione precedente, che aumenta la visibilità e la motilità della
procedura che risulta anche meno fastidiosa per il pz): endoscopio senza camicia che viene inserito
direttamente nell’uretra, può avere fonte luminosa e telecamera da collegare oppure può presentare un
sistema digitale che permette di vedere direttamente l’immagine su piccoli schermi a sostituzione
dell’ottica. Presenta, inoltre, dei canali operativi per il passaggio di pinze o apparecchiature che
permettono una piccola operatività (piccole biopsie, rimozione di calcoli o corpi estranei), nonostante
tale strumento non sia operativo a tutti gli effetti Esistono anche dei cistoscopi flessibili (o endoscopi)
monouso, che permettono di dare una maggior sicurezza al paziente.

3. Resettore (diversi modelli e dimensioni): strumento operativo che permette di eseguire interventi veri e
propri a livello vescicale e prostatico. Presenta anch’esso camicia e mandrino, quest’ultimo rimosso dopo
l’arrivo in uretra e sostituito da uno strumento ottico associato ad un carrello associato ad una sorgente
elettrica che alimenta l’elettrobisturi, la cui ansa scorre avanti ed indietro per eseguire la resezione (es.
rimozione di neoplasia vescicale). Anche in questo caso, all’ottica vengono collegate fonte luminosa e
telecamera per operare osservando il tutto da uno schermo.

Il docente conclude la lezione con un breve accenno sul fatto che esistano nuove tecnologie sempre più
importanti nella pratica clinica. Progressivamente, infatti, vi è una evoluzione di tutte queste strumentazioni e,
di conseguenza, anche le linee guida europee si evolvono, introducendo continuamente delle novità. Esempio
per quanto concerne l’urologia, è il problema dell’identificazione di zone vescicali neoplastiche non
precedentemente evidenziate alla luce bianca. Col tempo, sono state elaborate due soluzioni a tal problematica:

A. PDD (PHOTO DYNAMIC DIAGNOSIS): metodica con la quale si introducono in vescica delle
sostanze che, captate dalla neoplasia, ne permettono l’identificazione variando la lunghezza d’onda
della luce impiegata dalla sorgente luminosa che le colpisce (tali regioni appaiono come aree di colore
rosso in campo blu e possono essere così biopsiate).

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Più nel dettaglio si esegue instillazione endovescicale tramite
catetere vescicale di Hexyl-ALA (derivato esterasico
dell’ALA, più lipofilo) un’ora prima dell’intervento
endoscopico. L’acido viene normalmente incorporato dalle
cellule sane, che lo trasformano in EME.

Nelle cellule neoplastiche, invece, ciò non avviene: la


protoporfirina si accumula, quindi, all’interno delle cellule
neoplastiche. Servendosi di un citoscopio modificato con sorgente luminosa allo xeno, è possibile
evidenziare le aree neoplastiche che assumeranno una caratteristica colorazione rossa data la presenza
di PPIX (Protoporfirina).

B. NBI (NARROW BAND IMAGING): metodica in cui si usano filtri che permettono di vedere la
vascolarizzazione superficiale e profonda della mucosa, evidenziando la zona potenzialmente alterata
dalla presenza della neoplasia, a livello della quale si esegue la biopsia mirata. È una tecnica simile
alla precedente, ma non necessita della permette di somministrazione endovescicale di particolari
sostanze per evidenziare delle zone in vescica dove vi è un maggior sospetto di neoplasia. Viene usata
in urologia, ma non solo (es. Otorinolaringoiatria).

Vi sono poi tutta una serie di ulteriori metodiche non ancora entrate nella pratica clinica (sono ancora in fase
di validazione, quindi ad oggi non rientrano nelle linee guida):
- OCT (Optical Coherence Tomography): metodica utilizzata in oftalmologia per studiare la retina ed
in particolare essa valuta l’epitelio corneale e le strutture sottoepiteliali per evidenziare la zona sospetta
per neoplasia e centrarvi la biopsia mirata.
- Laser Monofocale (Confocal Laser Endomicroscopy): valuta direttamente al microscopio la mucosa
vescicale allo scopo di identificare lesioni preneoplastiche (in base a come si dispongono le cellule).
Usata in gastroenterologia per lo studio dell’Esofago di Barret (ancora in fase di studio in urologia).
- Cistoscopia Virtuale: non ha mai avuto grande rilevanza in urologia, contrariamente alla colonscopia
virtuale. Una lesione vescicale viene identificata, infatti, questa semplicemente in ecografia, con
successiva cistoscopia in narcosi che permette di fare diagnosi di certezza seguita da terapia.

Riassumendo, la diagnosi dei tumori non muscolo-invasivi può essere effettuata con NBI e PDD che sono a
tutti gli effetti entrate nella pratica clinica. OCT e CLE, invece, sono ancora in fase di studio.

Il docente, con questa lezione, sostiene di aver esaurito le lezioni di fisiopatologia.

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Lezione n°4 del 20/03/2019
Materia: Urologia
Appunti di: P.B.
Argomenti: Ipertrofia prostatica benigna

UROLOGIA
Il professore introduce la lezione chiedendo la differenza fra l’urologia e la nefrologia, quindi spiega che la
differenza fondamentale è che l’urologia è una specialità chirurgica.
Il professore chiede poi le nostre impressioni sul tirocinio svolto in urologia.

IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA


I sintomi più frequenti nell’ipertrofia prostatica benigna (IPB) sono: disuria, pollachiuria e stranguria (dolore
inteso come bruciore alla minzione).
L’insieme dei sintomi che spesso sono collegati all’ipertrofia prostatica benigna può essere indicato con
l’acronimo inglese LUTS (Lower Urinary Tract Symptoms), in italiano sintomi del basso tratto urinario.
I sintomi del basso apparato urinario si dividono a loro volta in:
● Sintomi ostruttivi:
- getto urinario/mitto debole;
- getto a spruzzo;
- flusso intermittente;
- esitazione: intercorre del tempo fra la volontà di urinare e l’uscita del mitto;
- disuria;
- sgocciolio post-minzionale: il paziente risulta in parte incontinente;
- senso di incompleto svuotamento.
I sintomi ostruttivi vengono definiti anche come disturbi della fase di vuotamento (minzione).
● Sintomi irritativi: sono sinonimo della risposta che la vescica dà all’ostruzione causata dall’ipertrofia
prostatica. I sintomi irritativi possono essere anche indicati come sintomi della fase di riempimento
(durante la quale l’urina che scende lunga le vie urinarie si raccoglie tra una minzione e l’altra nella
vescica):
- Pollachiuria;
- Nicturia: una delle prime domande che vengono poste in ambito urologico ai pazienti è se si
alzano di notte per urinare, la nicturia è infatti fra i sintomi iniziali di un soggetto adulto che
non svuota completamente la propria vescica a causa dell’ipertrofia prostatica benigna;
- Urgenza minzionale: desiderio acuto di andare ad urinare percepito dai soggetti con sintomi
irritativi durante la fase di riempimento della vescica. Questo è un sintomo importante da un
punto di vista sociale, può far si che il paziente debba interrompere la propria attività o
interrompere un viaggio lungo.
- Incontinenza urinaria: nella realtà, salvo lo sgocciolio post-minzionale, l’incontinenza urinaria
è una problematica poco presente nel maschio, mentre è molto più frequente nella donna.
L’uomo solitamente non presenta incontinenza, ma problematiche di tipo ostruttivo, la prostata aumentando
di volume costituisce infatti un ostacolo all’uscita dell’urina. Per questo motivo in un paziente con ipertrofia
prostata benigna o adenoma, che sono sostanzialmente la stessa cosa, i sintomi sono più frequentemente
riconducibili a problemi del vuotamento vescicale, in primo luogo la disuria, rispetto ai problemi del
riempimento (e quindi dei sintomi irritativi).
È importante distinguere molto bene situazioni di ipertrofia prostatica rispetto a tumori della prostata.
L’ipertrofia prostatica benigna è una problematica molto comune nel maschio e solitamente si sviluppa dopo
i 50 anni. In caso di IPB sono più frequenti i disturbi della fase di svuotamento, proprio per le modalità stesse

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della patologia che fanno sì che la prostata crescendo costituisca un ostacolo alla fuoriuscita dell’urina. Il
paziente avrà quindi disuria perché la prostata crescendo andrà a costituire un ostacolo all’uscita dell’urina.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
In presenza di sintomi del basso tratto urinario non ci si deve concentrare solamente sulla prostata e sulle
patologie ad essa connesse, ma è necessario considerare il paziente nel suo insieme e valutare tutte le possibili
problematiche concausa di LUTS.
Al centro di queste patologie troviamo comunque sempre la vescica. Ciò avviene perché tutti i sintomi avvertiti
dal paziente sono legati alla risposta che la vescica dà in fase di adattamento alla patologia di base. I sintomi
che il paziente avverte non sono di per sé dovuti alla presenza di una prostata voluminosa, ma sono correlati
al comportamento della vescica.
Le problematiche possibili in presenza di sintomi delle basse vie urinarie, oltre all’ipertrofia prostatica benigna,
sono:
- Infezioni o infiammazioni, che sono dei fattori locali;
- Poliuria notturna: la poliuria è un aumento della quantità totale del volume urinario. La maggior
parte dei pazienti urologici sono pazienti anziani, che prendono farmaci magari con effetto
diuretico perché affetti da ipertensione e quindi eliminano una quantità di urina durante le ore
notturne maggiore rispetto a pazienti più giovani. Se un soggetto elimina 1000 ml durante la notte
sicuramente oltre alla poliuria notturna avrà anche nicturia.
La capacità vescicale normale di un soggetto è di 500 ml, con ampio range di valori. Ci sono differenze ad
esempio fra uomo e donna. Lo spessore vescicale è maggiore nel maschio rispetto alla donna, la parete
vescicale femminile è di solito meno spessa e si adatta maggiormente a quantità d’urina elevate.
Normalmente un soggetto urina nei tempi e nei luoghi più opportuni, per cui è in grado di controllare il riflesso
minzionale e posticiparlo. Una persona può urinare anche quando la vescica non è piena, perché comunque di
base c’è un condizionamento per riuscire a controllare le proprie minzioni. Questo è possibile solo in base alla
capacità della vescica. Quando la vescica è piena e distesa lo stimolo diventa sempre più impellente e
intollerabile.
Tutti questi sintomi sono influenzati anche dal residuo post-minzionale, cioè la quantità d’urina che rimane
nella vescica al termine della minzione (n.d.r. domanda frequente in sede d’esame). Fisiologicamente un
individuo normale è in grado di vuotare completamente la propria vescica, per cui il residuo post-minzionale
sarà pari a zero se non pochi cc.
Il paziente con adenoma prostatico ha difficoltà a vuotare la vescica, deve spingere, ha disuria, mitto debole,
e la risposta del detrusore che spinge fuori l’urina risulta essere deficitaria.
A un certo punto del decorso della patologia un soggetto con ipertrofia prostatica non sarà più in grado di
vuotare completamente la vescica e comparirà allora il residuo post-minzionale, che è uno dei parametri più
importanti e oggettivabili per capire l’entità del problema del paziente.
I sintomi hanno una componente soggettiva importantissima, rappresentano ciò che riferisce il paziente, ma
ciò che è normale per un soggetto può non essere tollerabile per un altro. L’aumento di volume della prostata
nell’ipertrofia prostatica è un processo relativamente lento che impiega anni, il soggetto modificherà quindi il
suo modo di urinare molto lentamente nel tempo adattandosi alla nuova normalità. Questo fa sì che ciò che è
faticoso per un individuo sano sarà normale per un soggetto con ipertrofia prostatica.
La quantificazione del residuo post-minzionale essendo calcolabile è invece un dato di fatto.
- Patologie legate all’invecchiamento
- Malattie neurologiche: i sintomi sono collegati alla risposta della vescica, ma la vescica è
controllata da nervi. Esiste un capitolo dell’urologia che studia i problemi di tipo urologico
che un soggetto può avere in presenza di una patologia neurologica (ad es. vescica
neurologica). Esiste infatti una componente di controllo volontario sulla vescica e sui mezzi
di continenza come l’uretra, che permettono di regolare la minzione.
In tantissime malattie neurologiche compaiono problemi minzionali e talvolta è difficile capire se il
problema sia di tipo neurologico o se dipenda dall’età del paziente che magari è anziano e ha

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ipertrofia prostatica. Anche la vescica con la sua muscolatura invecchia e quindi può non avere
più la forza di espellere l’urina.

PATOGENESI DELL’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA CLINICA


Non tutti i pazienti con IPB hanno sintomi, spesso le modificazioni che portano alla formazione dell’adenoma
avvengono più o meno lentamente. L’ingrandimento della prostata non procede sempre di pari passo con il
manifestarsi dei sintomi, inoltre non sempre tutti i problemi sono riconducibili a un ingrossamento della
prostata. Ci sono soggetti anziani con un’ipertrofia prostatica considerevole che non hanno sintomi.
È importante distinguere perciò le diverse problematiche:
● EPG (Englard Prostate Gland): ingrandimento volumetrico della ghiandola prostatica.
● BPH (Benign Prostatic Hyperplasia, in italiano IPB): in italiano IPB identifica l’ipertrofia prostatica
benigna intesa come clinica. Nella realtà la prostata oltre che crescere in volume va incontro a delle
modificazioni istologiche, quando si parla di iperplasia si intende un’iperplasia volumetrica delle
cellule, poi ci sarà anche un’alterazione della componente stromale della prostata che ha come effetto
finale il fatto che il paziente mostri un aumento delle dimensioni della prostata.
Se andiamo a fare una biopsia della prostata in questi soggetti vedremo delle modificazioni istologiche che
non sono di tipo tumorale ma fisiologiche, dovute all’evoluzione naturale dell’organo. È quindi vero
che proprio per i processi di invecchiamento degli organi tutti i pazienti di una certa età possono avere
un’ipertrofia prostatica benigna istologica, questo non necessariamente però corrisponde né a sintomi
né a un aumento volumetrico della ghiandola stessa.
● BOO (Bladder Outlet Obstruction): identifica l’aspetto funzionale. L’ingrandimento della ghiandola
prostatica costituisce un ostacolo all’uscita dell’urina. Molti pazienti con aumento volumetrico della
ghiandola prostatica non hanno nella realtà un’ostruzione, nonostante nell’immaginario comune ci si
immagini che una prostata grossa porti a un’importante ostruzione e quindi a grandi problemi, mentre
un adenoma di piccole dimensioni e quindi una prostata cresciuta di poco non causi ostruzione.
Questi tre fattori non sono quindi correlati in modo così automatico.

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La prostata è posizionata tra il collo vescicale (punto di passaggio dalla vescica all’uretra) e il diaframma
urogenitale, dov’è posizionato lo sfintere uretrale. In endoscopia, mentre l’operatore entra con lo strumento, a
un certo punto si vedono i lobi prostatici, superati i quali si entra in vescica.
I lobi prostatici crescendo danno un’ostruzione di tipo compressivo
dell’uretra ostacolando il passaggio dell’urina.
Le dimensioni della prostata aumentano con l’età, nel neonato pesa pochi
grammi e poi aumenta di peso man mano l’individuo diventa adulto. È
possibile misurare anche il peso della prostata.
Riassumendo quindi possiamo avere un soggetto che ha i sintomi, ma non
ha ipertrofia. La pollachiuria è più un problema spesso legato alla vescica,
o un problema con componenti infiammatorie e neurologiche.
Possono esserci soggetti che hanno
una prostata voluminosa, ma non
hanno sintomi. Oppure soggetti che
hanno un ostacolo, ma non hanno
nella realtà sintomi o hanno sintomi
ma non hanno IPB.
L’ipertrofia prostatica benigna clinica è quindi un’unione fra:
ipertrofia, ostruzione e sintomi. I soggetti che hanno tutte queste tre
componenti mostrano IPB. Non sempre invece l’ipertrofia corrisponde
all’ostruzione.

TEST DIAGNOSTICI NEI PAZIENTI CON LUTS


L’IPB è una patologia molto comune. Prima di intraprendere un percorso terapeutico bisogna effettuare degli
esami diagnostici.

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Esistono degli esami di primo livello che vanno eseguiti all’inizio del percorso diagnostico in pazienti che
lamentano sintomi delle basse vie urinarie.
Quando il paziente arriva dal medico lamentando difficoltà a urinare, esitazione, mitto debole il primo pensiero
è sempre quello di ipertrofia prostatica benigna, ma questa diagnosi non risulta essere sempre corretta. Esistono
delle patologie che possono infatti mimare l’adenoma prostatico come la stenosi uretrale, un restringimento
del canale uretrale che dà sostanzialmente sintomi molto simili all’adenoma, ma che è più frequente nei
pazienti giovani.
Il paziente deve essere quindi sottoposto a diverse indagini prima di poter fare diagnosi di certezza:
- Anamnesi: raccolta dei sintomi che il paziente avverte. Vanno eseguite l’anamnesi patologia
prossima, remota e fisiologica. È importante chiedere il tempo intercorso dall’inizio dei sintomi. È
possibile che il paziente urini male dal giorno prima perché ha avuto una prostatite, oppure sono
mesi per non dire anni che ha notato e anche tollerato un modo di urinare che ora è diventato
difficile da gestire.
Nell’anamnesi patologica remota è importante in caso di sospetta stenosi dell’uretra chiedere al paziente se
ricorda eventi che possono aver condotto a questo tipo di patologia, tenendo presente che le cause
eziopatogenetiche alla base della stenosi uretrale sono due:
● Un trauma che lesiona l’uretra e porta alla formazione di una cicatrice, che restringe il lume
dell’uretra stessa.
● Uretrite.
L’ipertrofia prostatica benigna è un processo lento, il paziente arriva solitamente in una fase finale
della patologia. Se il paziente non è più in grado di svuotare anche una sola goccia di urina
mostrando quindi residuo post-minzionale completo avrà una situazione di ritenzione completa. La
ritenzione completa di urina è l’impossibilità di vuotare la vescica, che fa sì che tutta l’urina venga
ritenuta in vescia. A volte è una ritenzione incompleta per cui il paziente è in grado di urinare, ma
presenta un importante residuo post-minzionale.
- Symptom score: in generale è difficile riuscire a oggettivare un sintomo, sono stati perciò
sviluppati dei modelli che potessero attribuire un punteggio ai sintomi riferiti dal paziente. Questi
modelli sono molto utilizzati nell’ambito degli studi clinici per riuscire così ad oggettivare anche
i risultati delle cure. Nella pratica clinica vengono invece poco utilizzati, ci si basa prevalentemente
sulla raccolta anamnestica.
- Esame obiettivo: legato essenzialmente all’esplorazione rettale.
- Esame delle urine: fa parte del work-up diagnostico dell’ipertrofia prostatica. I LUTS potrebbero
essere infatti legati anche ad altre problematiche.
L’infezione, che può essere anche una complicanza dell’IPB, aggrava il problema di base dando stranguria
e infettando la prostata stessa, il paziente potrebbe a causa dell’infezione sviluppare febbre o
arrivare anche alla sepsi.
L’esame delle urine è utile per studiare l’aspetto di base tramite l’analisi chimico-fisica e l’esame del
sedimento urinario. Viene quindi utilizzato quantomeno per escludere tante altre patologie, fra cui
appunto l’infezione.
- PSA (antigene prostatico specifico): proteina dosabile nel sangue, più frequentemente diffuso
nell’ambito dello screening del tumore della prostata.
Nella valutazione di questi soggetti il PSA è un elemento dirimente per escludere che i pazienti oltre a una
situazione di IPB abbiano anche un tumore della prostata.
Inoltre, il PSA è correlabile al volume prostatico, l’ipertrofia prostatica spesso porta a un aumento del
volume della ghiandola prostatica quindi anche per valutare l’effetto di alcune cure, specie negli
studi controllati, può essere richiesto il dosaggio del PSA.
- Diario minzionale: registrazione delle modalità delle minzioni, come l’orario a cui avvengono
considerando che alcuni soggetti non si ricordano. Nel giovane la frequenza minzionale è
abbastanza standardizzata in alcuni momenti della giornata, ma la frequenza minzionale in un
soggetto che ha problemi minzionali può essere molto variabile. Nella realtà il diario minzionale
ha più valore nell’ambito dell’incontinenza urinaria.

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Gli esami di secondo livello sono esami più approfonditi, proposti solitamente dallo specialista:
- Ecografia prostatica TR (transrettale): è la metodica di imaging più utile per valutare e
quantificare l’adenoma.
- Valutazione ultrasonografica del residuo post minzionale: residuo o ristagno post-
funzionale sono la stessa cosa. Sapere se rimane una certa quantità di urina al termine della
minzione è forse il parametro più fondamentale.
Altri metodi per valutare il residuo post-minzionale sono:
● La visita con valutazione del globo vescicale, che è però una tecnica molto difficile e
abbastanza grossolana. Percepire il globo vescicale vuol dire che il residuo è molto
importante, e nei soggetti sovrappeso risulta ancora più difficile. Nella pratica quindi
non è possibile capire se il soggetto ha un residuo post-minzionale solo con la visita
clinica.
● Inserendo un catetere al termine della minzione.
Non si urina sempre nella stessa maniera, il modo di urinare dipende dalla quantità di urina presente in quel
momento in vescica. Più sono distese le fibre muscolari del detrusore e quindi è piena la vescica più sarà facile
che la vescica non si svuoti completamente, perché la forza esprimibile dal detrusore è inferiore, seguendo le
regole della legge di Starling.
I soggetti con IPB avvertono i primi sintomi al mattino, manifestando disuria, esitazione e dovranno urinare in
più tempi. I sintomi si manifesteranno tendenzialmente al mattino perché durante la notte c’è il tempo per
dilatare le fibre della vescica e quindi poi al mattino, quando la vescica è particolarmente piena, esercitare di
colpo la funzione vescicale con contrazione della muscolatura sarà più faticoso.
- Ecografia della vescica: l’esame deve essere eseguito con la vescica abbastanza piena. Si
raccomanda al paziente di bere tanto e tenere l’urina, così da arrivare a fare l’esame con la
vescica piena. Dopo aver visto con la sonda ecografica la vescica si deve quantificare il residuo
post-minzionale, si chiede quindi al paziente di andare a urinare. Il fatto che la vescica sia
piena con fibre distese e che il soggetto abbia già di base problemi a urinare fa sì che il paziente
non riuscirà mai a vuotare completamente la vescica. La valutazione del residuo è un dato
importante, che va però poi interpretato dal clinico in base alle condizioni in cui viene svolto
l’esame.
- Urografia: indagine che ormai è quasi stata completamente sostituita dalla TC.
- Ecografia renale: uno dei problemi del soggetto con IPB è che le pressioni che si sviluppano
in vescica durante la minzione possono ripercuotersi a monte sulle vie urinarie e sui reni,
influenzando la funzione di filtrazione renale. Una delle complicanze di un IPB datata è la
retrostasi di urina a monte delle vie urinarie che si dilatano e provocano un danno del
parenchima renale, che a volte è irrecuperabile. Ad oggi questo tipo di complicanza è sempre
più infrequente.
- Studio pressione-flusso: indagine che studia il flusso urinario contemporaneamente alle
pressioni che si esercitano all’interno della vescica.
- Endoscopia delle basse vie urinarie: in particolare l’uretrocistoscopia di per sé non fa parte
del work-up diagnostico di IPB. Di solito l’endoscopia viene utilizzata nel momento in cui si
opera il paziente, quindi diventa più un provvedimento terapeutico più che un elemento
diagnostico.
- Flussimetria (da slide).

ATTIVITÀ SESSUALE NELL’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA


Una delle problematiche dei soggetti con IPB è correlata poi alla vita sessuale. L’attività sessuale è un
argomento di cui si discute molto in ambito specialistico per i trattamenti eseguiti in caso di IPB. Sia il
trattamento farmacologico che chirurgico vanno infatti poi a incidere quantomeno sull’eiaculazione.

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La prostata ha come principale funzione la produzione del liquido prostatico, che è la componente maggiore
del liquido seminale. Gli ormoni maschili principali sono gli androgeni, in particolare il testosterone. La
prostata non produce ormoni, ma ne è molto influenzata. Se non ci fosse il testosterone la prostata non si
svilupperebbe. Addirittura, per il tumore della prostata una delle possibili terapie è l’impiego di farmaci anti-
androgeni.
La prostata non influisce sull’erezione. L’erezione è un meccanismo influenzato dall’aspetto ormonale, come
il testosterone che è prevalentemente prodotto dai testicoli, e specialmente dalle componenti nervose. Negli
interventi per IPB si cerca quindi di risparmiare i nervi responsabili dell’erezione. Mentre diventa importante
in tutti i trattamenti legati alla prostata l’aspetto eiaculatorio, non si può disgiungere le patologie della prostata
dall’aspetto sessuale e ormonale soprattutto.
Il principio di base è che gli interventi e i farmaci per l’IPB non dovrebbero influenzare l’attività sessuale e
l’erezione del soggetto.

SYMPTOM SCORE
Esistono soprattutto a livello di studio e di ricerca dei questionari che portano al calcolo di un punteggio per
quantificare la gravità dei sintomi. Il più noto di questi questionari è l’IPSS (International Prostate Symptom
Score). Più è alto il punteggio peggiore sarà l’entità del problema. Le domande indagano ad esempio il senso
di mancato vuotamento della vescica. In base al punteggio si cerca di oggettivare la raccolta anamnestica che
è basata sulla soggettività del paziente.

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ESAME OBIETTIVO
Tramite l’esame obiettivo è possibile avvertire il globo vescicale, sintomo di ritenzione. Oggigiorno questo
tipo di esame viene sempre fatto di meno.
Con l’esame obiettivo si esegue l’esplorazione rettale, che fa parte della valutazione generale di un paziente
adulto maschio. Il medico durante la visita avverte:
▪ Dimensioni della prostata,
▪ Consistenza della ghiandola prostatica: che tutt’ora è il parametro che più fa sospettare aree di tipo
tumorale, anche se con le nuove metodiche diagnostiche sta perdendo d’importanza. L’identificazione
e la diagnostica del tumore alla prostata sono ormai nella pratica clinica cambiate. In più dell’89-90%
dei pazienti a cui viene riscontrato un tumore della prostata la diagnosi è stata fatta sulla base del PSA

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e non della visita, questo ha fatto sì che man mano la visita venga sempre più abbandonata. Nonostante
ciò l’aumento di consistenza della ghiandola è sicuramente indice di tumore.
▪ Tono dello sfintere anale: molti dei sintomi che simulano i sintomi dell’IPB potrebbero essere invece
riconducibili ad altre cause. I sintomi potrebbero essere ad esempio dovuti a una componente
neurologica e quindi il tono dello sfintere anale potrebbe essere utile come espressione del
funzionamento dello sfintere dell’uretra.
Nell’ambito della valutazione della vescica neurologica il tono dello sfintere anale è fondamentale.
L’innervazione dello sfintere anale è la medesima dello sfintere uretrale, gli stessi nervi che innervano
lo sfintere anale innervano lo sfintere uretrale e in parte influenzano anche la vescica in modo riflesso.
Può quindi accadere che dalla visita la prostata sia assolutamente regolare, mentre ci sia alla base una
componente neurologica.
Fino al 7% dei pazienti con sclerosi multipla presenta come primo sintomo un sintomo minzionale. È vero
che la sclerosi multipla si presenta più frequentemente nelle donne o nei giovani, però può accadere
benissimo che gli stessi sintomi vengano confusi dal medico di famiglia con un problema alla prostata.
Il medico quindi erroneamente prescriverà il Prostamol. Questo modo di affrontare i problemi con
farmaci da banco senza effettuare visite complete del paziente non permette di capire se i sintomi
siano effettivamente legati all’ipertrofia prostatica o meno. Come è stato detto inizialmente un signore
di settant’anni molto probabilmente avrà un adenoma prostatico, però la causa dei sintomi potrebbe
essere un problema neurologico o ancora più frequentemente un’infezione o un tumore della vescica,
perché i sintomi sono dovuti prevalentemente alla risposta della vescica.
▪ Eventuali patologie rettali: una ragade anale per via riflessa dà spesso delle problematiche vescicali,
quindi è causa di frequenza minzionale, ma può essere anche causa di uno spasmo sfinterico e uretrale
quindi può dare anche disuria. Una patologia ano-rettale come la ragade anale insorge però più
acutamente.

Domanda di uno studente: “Nelle patologie in cui c’è una correlazione fra componente vescicale e anale il
paziente riferisce di più una sintomatologia di natura anale o urinaria?”
Spesso ci sono entrambe, ma bisogna considerare le modalità con cui questi sintomi insorgono, cioè può
accadere che un paziente che abbia delle problematiche ano-rettali, come le emorroidi, associ un problema
minzionale, in particolare la frequenza minzionale. Quindi quest’ultimo sintomo potrebbe indirizzare il medico
verso un’infezione come la prostatite cronica, che è un’altra delle patologie diffuse della prostata in cui viene
messo quasi in un calderone un insieme di disturbi di cui non si riesce però a identificare una causa e non è
infrequente che alla base di questi sintomi ci sia un problema ano-rettale. Quindi nella valutazione di questi
soggetti non ci si deve limitare a pensare a problemi di pertinenza prostatica. Ci sono tante altre situazioni
che insieme potrebbero giustificare l’intensità dei sintomi.
Nel valutare poi un paziente con nicturia bisogna domandare anche quando beve alla sera o se ha il diabete,
perché magari poi il paziente avrà l’adenoma ma comunque è necessario avere una visione globale del
paziente. Essere a conoscenza di queste informazioni influenzerà poi anche il trattamento.
Quando viene fatta la diagnosi di IPB la cura sono o dei farmaci o l’intervento chirurgico (via endoscopica con
resezione della prostata dall’interno, tecniche con laser).
Per molte patologie benigne bisogna inoltre sempre chiedersi se è necessario e quando operare. È importante
decidere di operare a seconda dell’intensità dei sintomi. A fronte di un intervento ci sono pazienti che in fin
dei conti tollerano i sintomi, anche se si devono alzare una volta alla notte sopportano.
L’intervento non deve essere fatto a tutti, o alle prostate più grosse come si pensa spesso invece
nell’immaginario comune. Per decidere se intervenire esistono dei parametri utili come il residuo post-
minzionale. In linea di massima si tende ad essere il più conservativi possibili, dilazionando possibili interventi.
Molto dipende anche dalle aspettative del paziente, che spesso si aspetta una risoluzione dei sintomi. Con
l’intervento a volte si può andare incontro a dei miglioramenti, come una riduzione della frequenza minzionale
o un getto più efficace. Se ai sintomi contribuiscono però una serie di disturbi diversi, fra cui patologie ano-
rettali, neurologiche, vescicali o l’assunzione di farmaci, anche se si opera il paziente comunque non avrà un
miglioramento corrispondente alle sue attese.

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In conclusione, l’ipertrofia prostatica benigna, patologia molto comune, deve essere affrontata cercando di
capire quale sia la causa dei sintomi, vedendo il paziente nel suo insieme con le patologie e le situazioni
associate che potrebbero influenzare le sue modalità funzionali. Questo permetterà poi in linea di massima allo
specialista di identificare la cura migliore e il momento della cura.

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Lezione n°5 del 03/04/2019
Materia: Urologia
Appunti di: A.B.
Argomenti: ematuria, neoplasie vescicali

EMATURIA
Molti dei tumori in ambito urologico hanno come fenomeno rappresentante l’ematuria, segno che in realtà
può essere frequente sia in ambito urologico che nefrologico. Quando si parla di ematuria bisogna distinguere
macroematuria e microematuria. Nella macroematuria si ha la presenza di emazie nelle urine in quantità
tale da modificarne la colorazione (almeno 1 ml di sangue in 100 di urina). Nella microematuria invece le
emazie sono rilevabili solo a livello microscopico con l’esame del sedimento urinario (si vedono più di 4-6
eritrociti per campo microscopico); anche quest’ultima non va mai sottovalutata perché può essere campanello
d’allarme per tumori molti pericolosi e diffusi, come il tumore parenchimale del rene e il tumore della prostata,
che ormai non vengono più diagnosticati in una fase così avanzata da causare macroematuria. Una banale
microematuria può essere la spia di queste serie patologie.

Da slide: CLASSIFICAZIONE EZIOPATOGENETICA:


● Pseudoematuria
● Ematuria medica
● Ematuria urologica
Alcuni cambiamenti del colore delle urine possono simulare un’ematuria; infatti non bisogna confondere
l’ematuria con la pseudoematuria, che causa alterazione cromatica in assenza di emazie nelle urine; questa
può essere causata da:

● Pigmenti
o porfirinuria
o emoglobina (emolisi)
o mioglobinuria (rabdomiolisi)
o urobilinogenuria (ittero)
● Alimenti
o barbabietole
o rabarbaro
o fave
o coloranti
● Farmaci
o rifampicina
o sulfadimici
o nitrofurantoina
● Uretrorragia
(la definizione di uretrorragia potrebbe essere una domanda d’esame) ossia una perdita di sangue, uno scolo
incontrollabile (di più o meno gocce di sangue) dall’uretra (indipendentemente dalla minzione). Si
differenzia dall’ematuria per la presenza, in quest’ultima, di sangue solo durante la minzione ed è
mescolato all’urina. Le cause possono essere lesioni e traumi dell’uretra (più frequenti nei maschi per
la maggior lunghezza dell’uretra) che possono causarne una rottura più o meno completa o grave.
● Sanguinamento vaginale

La cause di ematuria medica (sulle quali il professore va velocemente) invece sono cause:

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● Pre-renali
o Coagulopatie (piastrinopatie, epatopatie, CID)
o Emopatie (linfomi, leucemie)
o Emoglobinopatie (drepanocitosi)
o Terapie protratte con anticoagulanti
● Renali
o Glomerulare (glomerulonefriti, M. di Berger)
o Immunovascolare (LES, granulomatosi di Wegener)
o Tubulare (necrosi tubulare acuta)
o Vascolare (trombosi della vena renale, infarto renale, necrosi papillare)
Quando si parla di ematuria urologica invece si indicano:
● Patologie parenchimali renali tumori (più frequenti) - traumi, tbc, malformazioni (meno frequenti)
Nell’ambito dei tumori del rene, come già accennato, ormai è meno frequente arrivare alla loro diagnosi per
la presenza di ematuria, in quanto è cambiata la storia renale del tumore arrivando alla diagnosi in una
fase asintomatica (tutt’al più la spia può essere una microematuria).
● Patologia via escretoria e vescica neoplasie, infezioni, flogosi, calcoli, traumi, tbc, malformazioni,
endometriosi (le cause di ematuria urologica sono molto legate a queste cause)
Soprattutto nel tumore della vescica la macroematuria è il primo campanello dall’allarme.
● Patologia prostatica ipertrofia prostatica benigna (IPB), neoplasia, flogosi.
Nell’IPB l’ematuria è un sintomo che si riscontra con bassa frequenza, in seguito a rottura di una varice
prostatica o di una vena.
Nel caso di neoplasia la diagnosi viene fatta con il test di screening alla ricerca del PSA (con pz quindi
asintomatico, in assenza di ematuria) e il trattamento prevede una prostatectomia totale. L’ematuria,
quindi, nel caso di neoplasia prostatica non è al primo posto nei segni che il paziente presenta.
● Patologia pelvica non urologica neoplasie colon retto, neoplasie ginecologiche
Queste patologie possono infiltrare la vescica e causare dei sanguinamenti.
● Cause iatrogene (cioè le cause in cui è il medico stesso a provocare l’ematuria) interventi endoscopici,
cateterismo, RT pelvica, fav*, radioterapia
L’intervento endoscopico (ad esempio una cistoscopia) causa sanguinamento indipendentemente dalla bravura
dell’operatore, a causa degli strumenti stessi; a fine intervento si deve intervenire frequentemente per
far coagulare la zona lesionata. Se consideriamo ad esempio un intervento di resezione della prostata
o di resezione della vescica, al termine dell’intervento si posiziona un catetere che ci mostrerà come
le urine siano un po’ ematiche. Lo stesso cateterismo può essere una causa di ematuria o anche di
uretrorragia poiché si procura una lesione nella mucosa dell’uretra.
*Il termina fav indica una fistola arterovenosa, patologia fortunatamente poco frequente. Questa indica una
comunicazione fra arteria e vena ad esempio nel rene o nella vescica (molto più frequentemente nel
rene) che può rappresentare nel paziente una causa di sanguinamento scoperta mediante esami
angiografici.

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Nell’immagina a fianco sono mostrate le cause di ematuria
urologica nelle varie fasce d’età della popolazione.
Non vi è dubbio che dalla nascita fino ai 20 anni sarà
difficile che la patologia prostatica sia presente; però le
glomerulonefriti in età pediatrica o le infezioni delle vie
urinarie sono relativamente frequenti; le malformazioni
per definizione sono presenti dalla nascita.
Man mano che passano gli anni possono comparire altre
patologie. Certamente, la neoplasia vescicale è la patologia
neoplastica che si presenta più frequentemente ed è causa
di ematuria urologica. Come possiamo vedere, avanzando
con l’età, la neoplasia vescicale è particolarmente presente.
Nel maschio, in genere della terza età, si può sviluppare
una ipertrofia prostatica benigna (IPB). Mentre la calcolosi (che sicuramente può essere anch’essa causa di
ematuria) può presentarsi frequentemente in pazienti più giovani, dai 20 anni fino ai 60.

L’iter diagnostico è sempre lo stesso:


Iter diagnostico: anamnesi E.O. esami ematochimici esame delle urine ecografia/rx addome

Anamnesi
Che cosa dobbiamo valutare dal punto di vista clinico? Quando siamo di fronte al paziente dobbiamo
considerare bene le modalità con cui il disturbo si presenta perché questo può indirizzarci sulla patologia e
quindi sulla diagnosi.
● Familiare (nefropatie ereditarie e familiari, calcolosi)
● Fisiologica (abitudini minzionali)
● Patologica remota (patologie e interventi pregressi, assunzione di farmaci)
● Patologica prossima
o Recenti infezioni streptococciche e/o virali
o Caratteristiche dell’ematuria
▪ Macroscopica/microscopica
▪ Modalità d’insorgenza
▪ Frequenza e durata: è importante sapere se l’ematuria si manifesta durante tutte le
minzioni; se ciò è capitato solo una volta oppure se l’evento è continuato per un giorno
intero, per più giorni di fila, se è “capricciosa”, ossia si presenta senza una causa
apprezzabile, oppure se è legata a attività fisica, nel cui caso può essere indicativa di
un calcolo, che a seguito dell’attività fisica si muove traumatizzando la via urinaria.
▪ Sintomatologia associata: (l’ematuria è associata ad altri sintomi?)
● Dolore. È importante domandare se il dolore colico è avvenuto
precedentemente all’ematuria o se nel caso specifico i rapporti temporali
siano inversi. Frequentemente chi manifesta prima ematuria e poi il dolore,
potrebbe avere una patologia tumorale, alla quale si collega appunto
l’ematuria mentre il successivo dolore potrebbe essere causato dalla presenza
di coaguli lungo la via urinaria; viceversa chi invece manifesta prima un
dolore colico e poi ha sanguinato, molto probabilmente avrà una calcolosi
(possibile domanda d’esame).
● Disturbi minzionali, ad esempio la stranguria, cioè il bruciore che il pz avverte
durante la minzione, che può far pensare a un’infezione, soprattutto se
associato a iperpiressia.
● Iperpiressia, che indirizza verso un fenomeno infettivo dei parenchimi, come
una pielonefrite, una cistite o una prostatite.
▪ Presenza di coaguli
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▪ Rapporti con la fase minzionale (In che momento della minzione il pz ha visto il
sangue? Erano tutte rosse le urine o solo una parte hanno cambiato colore?)
● Iniziale: fa pensare ad un sanguinamento che proviene dall’uretra (ad esempio
l’uretra prostatica).
● Terminale: fa pensare ad un sanguinamento di origine vescicale. Spesso il
segnale iniziale di un tumore vescicale è proprio l’urina rossa o qualche
goccia di sangue al termine della minzione. Potrebbe essere causato dalla
presenza di un tumore o di un polipo che sanguina quando la vescica si
contrae maggiormente al termine della minzione; oppure può derivare dal
sangue che si è depositato precedentemente sul fondo vescicale e che viene
espulso sempre nell’ultima parte della minzione.
● Totale: di solito è indicativo di una patologia renale. Tra una minzione e la
successiva il sangue si mischia all’urina durante la fase di riempimento
vescicale e la colorazione risulterà omogenea.

Ematurie nefrologiche e urologiche


Le malattie nefrologiche in linea di massima coinvolgono in ugual modo entrambi i reni, mentre quelle
urologiche colpiscono generalmente un rene, tranne casi sfortunati di tumori/calcoli che li colpiscono entrambi
(possibile domanda d’esame).
L’ematuria (si intende l’ematuria renale) può essere monolaterale, solitamente da causa urologica, oppure
bilaterale, in genere da causa nefrologica. In caso di ematuria si deve indagarne la modalità di insorgenza: se
per esempio fosse associata a dolore al fianco destro (una colica renale destra) l’orientamento sarà verso una
patologia urologica. Esistono situazioni quindi in cui l’ematuria é monosintomatica, cioè l’ematuria è l’unico
segno senza sintomi associati, o altri casi in cui, nonostante le indagini radiografiche o ecografiche, non si
riesce a individuare con sicurezza l’origine del sanguinamento; in questi casi, in corso di ematuria, bisogna
effettuare un esame endoscopico e cioè una cistoscopia (esame che normalmente è usato ad esempio per il
monitoraggio di pz con tumore alla vescica) durante il sanguinamento con l’obiettivo di indagare gli osti
ureterali per identificare l’origine: entrambi i reni, oppure il destro o il sinistro.

(Il professore salta l’esame obiettivo e gli esami ematochimici e delle urine per passare agli esami strumentali)
Esami strumentali
● Ecografia
o Valutazione dello spessore e delle caratteristiche del
parenchima. Nell’immagine si nota un tumore peduncolato
o Valutazione della via escretrice
o Valutazione della vescica e della prostata

● Rx addome diretto. È un’indagine obsoleta che è stata sostituita


dall’ecografia, ma che rendeva identificabili i calcoli, radiopachi grazie
al loro contenuto di calcio.

NEOPLASIE DELLA VESCICA


Il tumore alla vescica è un tumore molto frequente che occupa una bella fetta
dell’attività dell’urologo.

Epidemiologia:
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● fascia d’età più colpita 55-60
● frequenza doppia nella popolazione bianca
● incidenza maggiore nei paesi industrializzati (sono coinvolti diversi fattori ambientali come ad
esempio il fumo che nei tumori epiteliali - il tumore della vescica è un tumore dell’epitelio vescicale,
di tipo transizionale – è uno dei fattori più coinvolti; oppure l’uso di vernici e coloranti)
● sesso maschile più colpito del femminile (27/100000 vs 6/100000)

Eziologia: multifattoriale. Sono stati individuati fattori:


● genetici
● ambientali
● occupazionali (uso di vernici e coloranti)
● infiammatori (cistite cronica)
● fisici (catetere a permanenza o la presenza di calcoli)
● fumo

Anatomia patologica
Ai fini della storia clinica del paziente e dell’evoluzione della malattia sono rilevanti la modalità di
presentazione/espressione tumorale e l’invasività degli strati profondi, in particolare della parete del tratto
muscolare. La gravità dei tumori della vescica e la loro prognosi è assolutamente differente a seconda dei
fattori appena citati.
Un tumore superficiale papillare che si sviluppa verso il lume della vescica è infatti molto meno pericoloso di
un tumore piatto che infiltra e invade la parete della vescica e lo strato muscolare. La prognosi e il trattamento
dei pz varia a seconda della tipologia del tumore: ci sono pz seguiti per anni con lavaggi attraverso
chemioterapici (instillazioni) all’interno della vescica, mentre altri devono essere sottoposti all’asportazione
dell’organo, cioè ad interventi di cistectomia con derivazione delle urine e creazione di una stomia, oppure con
una ricostruzione della vescica.
Un tumore vescicale presenta due complicanze: l’alta recidivanza, (molto spesso il tumore che viene tolto si
riforma) che può portare a secondi tumori anche in altre zone della vescica, e la progressione, intesa sia come
infiltrazione che come metastatizzazione.
La recidivanza è intesa come policronotropismo: la tendenza a recidivare nel tempo in diversi segmenti
uroteliali, anche distanti dal sito primario d’origine. È a causa di ciò che viene utilizzata, per i tumori della
vescica, e più estesamente delle vie urinarie, la definizione di “malattia d’organo” o di “malattia d’apparato”.
Quindi, dobbiamo considerare il fatto che un tumore o dei polipi alla vescica, coinvolgono sì tutta la vescica
in quanto a distanza di tempo si possono ripresentare al suo interno, ma possono ripresentarsi non solamente
nella vescica stessa bensì in tutto l’apparato urinario e quindi anche nell’alta via escretrice. Qual è il motivo?
L’alta via escretrice, che è formata da calici, bacinetto renale e uretere, è rivestita dallo stesso tipo di mucosa
della vescica, l’urotelio. Quindi, stiamo parlando di una malattia dell’urotelio, di tumori uroteliali.
Nell’adulto circa il 95% dei tumori delle vie escretrici urinarie è di natura epiteliale e di questi, il 90% almeno,
non solo origina dall’urotelio, ma ne segue anche la linea differenziativa.
Le cellule potranno andare incontro prima a delle modificazioni di iperplasia e successivamente di displasia
che rappresentano delle modificazioni pre-neoplastiche (discorso che approfondiremo nel corso di anatomia

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patologica). Ci sono delle forme papillari (polipi rivestiti da urotelio normale) che rappresentano delle lesioni
benigne.

Neoplasie benigne:
1. Papilloma uroteliale: proliferazione papillare in cui i delicati assi
fibrovascolari sono rivestiti da urotelio immodificato rispetto a quello
normale. È una neoplasia infrequente.

2. Papilloma invertito: lesione proliferativa sottomucosa coperta da


urotelio normale. Associato a cistite cronica o sindromi ostruttive.

Nella realtà le lesioni benigne sono veramente poche. È difficile che la risposta
dell’anatomo-patologo relativa alla biopsia di un intervento sia quella di una lesione benigna. Se durante un
esame endoscopico viene riscontrata una lesione, al 99% questa sarà una lesione di tipo tumorale.
La moderna classificazione parla di neoplasie a basso grado e ad alto grado, in base al grado di
differenziazione cellulare, facendo cadere in disuso la vecchia nomenclatura G1, G2 e G3.

Per completezza riporto altri esempi presenti nelle slide e non trattati durante la lezione.
Neoplasie non uroteliali:

● Carcinoma squamocellulare (catetere a permanenza, litiasi vescicale). Raro in Italia, 75% tumori
vescicali in Egitto (infezione cronica da S. haematobium)
● Adenocarcinoma primitivo (spesso associato a estrofia vescicale). Dell’uraco (muco e sangue
dall’ombelico e con le urine).
Carcinoma uroteliale a basso grado: gli esili tralci papillari sono spesso reciprocamente fusi e mostrano una
modesta alterazione della stratificazione cellulare che, tuttavia, è complessivamente ben conservata. Si
osservano lievi variazioni di dimensioni, di forma e di tingibilità dei nuclei e possono essere presenti alcune
figure mitotiche, soprattutto nello strato basale.
Carcinoma uroteliale papillare ad alto grado: le cellule neoplastiche mostrano polimorfismo e polimetrismo
nucleari ed evidenti alterazioni della cromatina. Le mitosi sono frequenti, spesso bizzarre e rappresentate in
ogni strato dell’epitelio. L’infiltrazione neoplastica può mancare, può essere limitata alla lamina propria,
interessare la tonaca muscolare ed oltre.

Discorso a parte merita la presenza del carcinoma in situ. Anche questo è un aspetto anatomo-patologico in
quanto è l’anatomo-patologo che riferisce come vi siano cellule maligne ad alto grado e piatte. Questo significa
che tali cellule rivestono la parete vescicale, che sono localizzate, in situ, ma che sono molto sdifferenziate,
cioè molto diverse dalle cellule di origine. In particolare la lesione non è papillare, ovvero non si sviluppa
all’interno del lume vescicale, ma può migrare approfondendosi e quindi andando a diffondersi. Il paziente,
pur essendovi delle cure possibili locali è a rischio di una progressione anche rapida.

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Carcinoma in situ: lesione intraepiteliale piatta, non papillare, con
alterazioni citologiche sempre di grado elevato. Può essere
macroscopicamente indistinguibile dalla mucosa o presentarsi come
area edematosa o eritematosa. Si associa nel 45-65% dei casi a un
carcinoma uroteliale invasivo, mostrando una spiccata tendenza alla
progressione.

Stadiazione: TNM
La stadiazione TNM è un sistema di classificazione delle neoplasie che adotta tre parametri: la T (Tumor)
definisce la descrizione della grandezza e dell'estensione del tumore solido; la N (Nodes) valuta il
coinvolgimento di linfonodi regionali; la M (Metastasis) valuta la presenza/assenza di metastasi lontane dal
tumore primario.
Per quanto riguarda lo stadio locale e quindi analizzando la parete della
vescica, se il tumore rimane confinato nella parete può trattarsi di un
carcinoma papillare con evoluzione verso il lume della vescica (stadio 0a)
oppure può trattarsi di un carcinoma in situ (stadio 0is).
Se il tumore progredisce può approfondire nel connettivo (stadio 1) o infiltrare
lo strato muscolare (stadio 2). In questo stadio si ha il rischio di
metastatizzazione per la presenza di vasi sanguigni e i trattamenti superficiali
endoscopici risultano insufficienti per la guarigione.
Il volume di un tumore è importante? (possibile domanda d’esame) Il volume
del tumore può essere importante, ma non è il fattore più importante. Anche
se il tumore è grosso o anche se ve ne sono più di uno all’interno della vescica, ricordiamo che il fattore più
importante risulta essere il grado di infiltrazione. Infatti indipendentemente dalle dimensioni, per uno stadio
di infiltrazione avanzato si deve eseguire una cistectomia radicale, che nell’uomo richiede anche l’asportazione
dalla prostata, sia per la vicinanza con la vescica sia perché l’uretra prostatica è rivestita da urotelio; nella
donna invece si andranno a togliere utero e annessi, sempre per il rischio di infiltrazione dell’utero e della
parete vaginale (l’intervento è molto demolitivo). Nel caso di un tumore infiltrante la parete vescicale,
potrebbero anche esservi delle cellule tumorali a livello dei linfonodi regionali (interessati nello stadio 4), per
cui risulta importante eseguire anche una linfoadenectomia (possibile presenza di metastasi linfonodali): in
questo caso potrà poi esservi una diffusione più a distanza anche alla parete pelvica, alle ossa, al fegato e ai
polmoni.
Al momento della diagnosi circa il 75% dei tumori vescicali si presenta come lesione non muscolo-invasiva,
cioè come un tumore confinato alla mucosa (Ta, CIS – ricordiamo che però la forma in situ ha un alto rischio
di diffusione) o alla sottomucosa (T1). Questa categoria presenta tutto sommato un ridotto tasso di
progressione, elevato tasso di recidiva locale (>70%) e un’ottima sopravvivenza a lungo termine.
Al contrario le forme muscolo-invasive, sono gravate da un alto rischio di mortalità cancro-specifica. I tumori
muscolo-invasivi T2-T4 rappresentano il 20% del totale e il 5% presenta già metastasi al momento della
diagnosi.

Diagnosi
Sintomatologia:
● Ematuria (85% dei casi: 75% macroematuria, 10-15% microematuria). Come primo elemento bisogna
considerare l’ematuria; il tumore alla vescica è quello che più frequentemente dà ematuria.

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Ricordiamo che un’ematuria o una microematuria non vanno mai sottovalutate: vanno indagate,
interpretate dal medico ed eventualmente anche da uno specialista.
● Disturbi irritativi (35%): 19% pollachiuria, 10% urgenza minzionale, 2% bruciore minzionale che
non va sottovalutato, ma che spesso soprattutto nelle donne viene confuso con una cistite o ancor
peggio come delle cistiti emorragiche.
● Idroureteronefrosi (5%): (possibile domanda d’esame) dilatazione della via urinaria superiore che di
solito è causata da un ostacolo a valle; nel caso di una neoplasia vescicale il tumore ostruisce il
deflusso di urina a livello vescicale, l’urina non viene scaricata e la via urinaria a monte si dilata. La
causa più frequente della sintomatologia però è la presenza di calcoli.
● Ritenzione acuta d’urine (2-3%) nel caso in cui il tumore sia localizzato a livello del collo vescicale,
punto di passaggio tra la vescica e l’uretra. In un pz con ematuria l’ostruzione può anche essere
rappresentata da un coagulo che blocca l’uretra, come detto precedentemente.
● Sintomi generali: anemia, febbricola, decadimento fisico
Diagnostica per immagini

Ecografia, esame poco invasivo che però può essere poco efficace nei confronti di lesioni piatte o di
lesioni in situ. È utile come primo esame, poiché potrebbe essere in grado di discriminare un tumore,
evidenziando la presenza di qualcosa che cresce, da un calcolo.
TC può essere usata per confermare l’ecografia, ma nn solo. Questo esame è capace di indagare anche
gli organi vicini, per dare un’idea dello stato d’infiltrazione della parete, e i linfonodi. Quindi fornisce
le informazioni utili per la stadiazione. Se l’ecografia ci può dire che c’è qualcosa che cresce, la TC
può dirci che c’è qualcosa che cresce, ma che sta coinvolgendo anche gli organi vicini o organi a
distanza.
Urografia, esame che è stato pian piano abbandonato in favore della TC. Permette di vedere difetti di
riempimento della vescica e le ripercussioni, gli effetti del tumore sulla via urinaria superiore (ad
esempio una idroureteronefrosi).
Trattamento
Forme superficiali trattamento endoscopico

● Intervento endoscopico TURB: trans uretral resection bladder (resezione della vescica trans-
uretrale), con lo scopo di resecare il tessuto che cresce superficialmente.
● Instillazioni con farmaci chemioterapici o immunoterapici tramite catetere (se non è presente
infiltrazione della parete vescicale): si mettono all’interno del lume vescicale dei farmaci come la
Mitomicina e la Epirubicina che agiscono come la chemioterapia, distruggendo la cellule
tumorali. Il BCG (bacillo di Calmette-Guérin, vaccino antitubercolare, in questo caso utilizzato
come immunostimolante) viene somministrato per creare una reazione immunologica contro il
tumore, in particolare contro il carcinoma in situ.

Forme infiltranti trattamento chirurgico

● Cistectomia radicale. Come già detto, nell’uomo si procede all’asportazione oltre della vescica
anche della prostata, mentre nella donna vengono asportati oltre alla vescica anche l’utero e una
parte della parete vaginale anteriore. È il gold standard per il trattamento dei tumori vescicali,
infatti si stanno cercando farmaci chemioterapici efficaci, ad oggi ancora poco efficaci.

Ma se togliamo la vescica come facciamo sì che il paziente urini? La cosa più classica è quella di fare una
derivazione urinaria, cioè portare le urine collegando gli ureteri solitamente ad un segmento di
intestino che fa da ponte e porta l’urina all’esterno.

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● Derivazioni urinarie: interventi il cui obiettivo è quello di consentire e mantenere il drenaggio
delle urine in tutte quelle situazioni patologiche in cui la via escretrice non è più in grado di
assolvere alle sue funzioni, nel caso specifico in seguito ad interventi chirurgici demolitivi sulla
vescica.
Fra i vari interventi che si possono svolgere per ottenere una derivazione urinaria possiamo citare:

o Ureterocutaneostomia (bilaterale): gli ureteri


possono essere abboccati direttamente alla cute
confezionando due ureterocutaneostomie ai
quadranti inferiori dell’addome. In tal caso vi è la
necessità di applicare all’esterno due sacchetti
raccoglitori dell’urina (per il resto della vita del
paziente) con dei cateteri inseriti attraverso dei
tutori per evitare che lo stoma si chiuda, in corrispondenza di ciascuna delle due stomie.
Di solito questa tecnica viene eseguita in pazienti abbastanza defedati che non potrebbero
sopportare interventi maggiori e a rischio di complicanze.

o Ureteroileocutaneostomia: impiego di un breve


condotto, un segmento di una quindicina di
centimetri di intestino (ileo), che viene isolato dal
resto della matassa intestinale per accogliere gli
ureteri che vengono cuciti ad una sua estremità,
mentre l’altra estremità viene cucita alla cute della
parete dell’addome. In questo caso la stomia è una
sola e serve per veicolare all’esterno l’urina di
entrambi gli ureteri. Sulla pelle, quindi, è visibile un
“bottone” di un paio di centimetri, posizionato
generalmente un po’ sotto e un po’ più a destra dell’ombelico e sul quale si applicano
placca e sacchetto. Questa tecnica, rispetto a alla precedente offre i vantaggi di comportare
una sola sacca anziché due, è meno prona ad infezioni e non necessita di cateteri per
evitare la chiusura della stomia; lo svantaggio potenziale è quello di dover utilizzare un
segmento intestinale, pertanto ciò rende l’intervento un po’ più impegnativo.

o Neovescica: serbatoio urinario creato mediante l’impiego dell’intestino (colon, ileo o


entrambi) e con l’anastomosi di questo a livello dell’uretra. Questi interventi consentono
al paziente la minzione. Tramite questa tecnica esistono tre ordini di problemi: il primo
elemento da tenere in considerazione è che questa vescica è formata da pareti intestinali,
le quali conservano le loro specifiche proprietà. Questa nuova vescica quindi, avendo
pareti intestinali che sono differenti del normale epitelio vescicale (che rimane
impermeabile al contenuto vescicale) mantiene la capacità di riassorbire parte del
contenuto.
Il secondo problema è rappresentato dal fatto che questa nuova vescica non sarà sotto il controllo
nervoso o della volontà (in realtà in condizioni fisiologiche con i centri corticali non si
controlla la vescica, bensì la muscolatura somatica intorno alla parete vescicale e lo
sfintere vescicale).
La problematica maggiore è però la presenza di contrazioni peristaltiche che porterebbero
all’espulsione dell’urina. Sono state proposte varie tecniche con lo scopo di riconfigurare
la neovescica tagliando le fibre muscolari per impedire le contrazioni peristaltiche.
A seguito di una domanda riguardante la formazione di una possibile metaplasia derivante dal
contatto fra la mucosa intestinale utilizzata nell’intervento e il nuovo contenuto di
derivazione ureterale il prof afferma che vi è un cambiamento della mucosa intestinale:
le pareti intestinali, dal punto di vista anatomo-patologico vanno incontro in linea di

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massima ad una atrofizzazione dei villi intestinali a seguito dell’intervento. Nonostante
questo i fenomeni di riassorbimento permangono.

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Lezione n°6 del 15/05/2019
Materia: Urologia
Appunti di: MTG
Argomenti: malformazioni dell’apparato urinario

Il professore ribadisce il concetto, già spiegato nelle precedenti lezioni, su come l’urologia sia una specialità
chirurgica e di quanto sia importante la conoscenza dell’anatomia per non avere imprevisti quando ci si trova
di fronte ad un paziente durante gli interventi chirurgici.

MALFORMAZIONI DELL’ APPARATO URINARIO

ANOMALIE DEI RENI


Una malformazione dei reni può riguardare la sede, talvolta diversa da quella normale, ovvero la loggia
lombare. Quando un organo non è collocato nella sua sede normale, si parla di ectopia d’organo. Si distingue:
• Ectopia renale semplice: il rene è collocato in una sede diversa dalla loggia lombare
• Ectopia renle craniale: il rene è collocato in una sede più craniale, fino a raggiungere anche il livello
intratoracico.
L’ectopia renale semplice a sua volta può essere:
-Bassa: è la più frequente e la più importante da ricordare. Il rene è spostato inferiormente, a livello del bacino
(pelvi ossea).
Essendo attualmente molto diffuso l’utilizzo di ecografie in epoca fetale o alla nascita, queste ectopie possono
essere individuate precocemente e quindi si può già sapere se il rene non è collocato nella giusta posizione.
-Alta: il rene è posizionato in sede più alta del normale, a livello sottodiaframmatico o persino intratoracico.

Le malformazioni del rene sono importanti dal punto di vista chirurgico per non avere sorprese durante un
intervento (per esempio un intervento ginecologico all’utero o un intervento di chirurgia addominale in
prossimità di retto o sigma), ma anche perchè spesso sono asintomatiche, cioè non danno particolari disturbi o
dolori, però si associano in maniera più frequente alla comparsa di infezioni urinarie, facilitandone
l’insorgenza, o addirittura alla formazione di calcoli. Questo perchè un rene spostato ha una via escretrice e un
transito delle urine non fisiologico e più difficoltoso: se il transito dell’urina non è perfetto, vi è una stasi
urinaria, l’urina ristagna e l’arrivo per qualsiasi ragione di germi e batteri porterà più facilmente alla loro
proliferazione (si pensi ad una palude di acqua stagnante, tipico luogo di infezioni per crescita e moltiplicazione
di germi). I calcoli urinari, invece, originano da un aggregato e da un deposito di sali minerali che portano alla
formazione di una concrezione a causa di un non corretto transito dell’urina. Talvolta i calcoli necessitano di
un intervento chirurgico per essere rimossi.

Vengono mostrate delle immagini:


-In un’ectopia pelvica il bacinetto renale è posizionato anteriormente al rene,
mentre di solito è posteriore alla faccia posteriore del rene.
-Il professore ribadisce che un rene in sede intratoracica è molto raro da trovare.
-Si osserva in un’ecografia un uretere mal ruotato verso l’esterno al posto del
fisiologico decorso mediale, verso l’interno, quindi l’urina ha un decorso anomalo.
-L’urografia è un esame ormai quasi abbandonato, le stesse immagini si possono
ora ottenere tramite la TAC: nell’immagine si osserva che il rene di destra è in sede,
quello di sinistra si trova a livello iliaco.

Altre malformazioni frequenti sono:

• Ectopia crociata: il rene è dislocato nel lato opposto rispetto a dove si trova il suo uretere, quindi i reni si
trovano entrambi sullo stesso lato. L’uretere rimane inserito in vescica nella giusta posizione, solo il rene è
spostato sul lato opposto.
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• Rene a ferro di cavallo: è la più frequente anomalia di fusione, ovvero i
poli inferiori di entrambi i reni risultano uniti da tessuto o parenchimale o
fibrotico. Il tessuto può esercitare una compressione causando dolenzia
addominale, che può essere evocata durante una visita medica attraverso il
segno di Rovsing (il professore accenna solamente questo concetto perchè
lo definisce di competenza specialistica, tuttavia premia e apprezza chi lo
ricorda. La manovra di Rovsing provoca un dolore evocato: facendo
pressione su un punto dell’emiaddome di sinistra, il dolore viene percepito
a destra).

Un rene a ferro di cavallo, se le ecografie a cui il paziente si è sottoposto non sono venute molto bene, può
sfuggire alla diagnosi, per questo di solito si viene a conoscenza di questa malformazione facendo una TAC.

Le malformazioni citate fino ad ora sono asintomatiche, ma quella a rene di cavallo, oltre a facilitare le
infezioni urinarie e la litiasi, causa anche un problema di idronefrosi. Per idronefrosi (domanda, per altro,
spesso richiesta in sede d’esame dal professore) si intende la dilatazione del bacinetto renale (o pelvi renale)
e dei calici renali. Nei pazienti con rene a ferro di cavallo, spesso l’uretere scavalca i reni, creando
un’angolatura che può comportare un’incremento della pressione a monte per far defluire l’urina, ne consegue
una dilatazione e talvolta rotazione della pelvi renale causando, appunto, idronefrosi.

I reni a ferro di cavallo hanno, inoltre, una vascolarizzazione caratterizzata dalla presenza di vasi anomali che
possono rendere particolare e difficile l’approccio a questi organi.

Immagine: il rene che dovrebbe essere a


destra, in caso di ectopia crociata, si trova
spostato sotto il rene di sinistra, entrambi
dallo stesso lato, ma il rene che dovrebbe
essere a destra ha l’uretere che si inserisce
sul lato destro della vescica.

Conoscere l’esistenza di una malformazione


quale l’ectopia crociata, pur essendo rara, è
importante perchè durante un intervento per
esempio di calcolosi, se dovessi cercare un
calcolo in un rene per esempio di destra, che
so essere spostato a sinistra, non entrerò
dall’ostio ureterale di sinistra, ma in quello di
destra per accedere al suo uretere.

I reni ectopici hanno un peduncolo vascolare


in posizione non normale. I reni di solito
hanno: la vena renale che defluisce nella
vena iliaca e l’arteria renale che termina nell’arteria iliaca. I reni ectopici non nascendo in sede lombare,
presentano una vascolarizzazione diversa.

(Il professore invita a ripassare la vascolarizzazione dell’apparato urogenitale perchè richiesta all’esame. Le
arterie renali irrorano i reni e fanno parte dei rami collaterali dell’aorta addominale, la quale origina in
corrispondenza del disco intervertebrale tra L1 e L2. Dall’aorta addominale, in corrispondenza di L4 origina
l’arteria iliaca comune (ramo terminale, pari) che si divide in un ramo terminale mediale, arteria iliaca
interna (o ipogastrica) che irrora: i visceri pelvici, il pavimento pelvico, le pareti della pelvi e gli organi del
perineo, compresi i genitali esterni e un ramo terminale laterale, arteria iliaca esterna, che da origine
all’arteria femorale.
Le vene renali invece, sono rami affluenti viscerali della vena cava inferiore, la quale si forma dalla confluenza
delle due vene iliache comuni, che a loro volta si sono costituite dalla confluenza delle vene iliache interne ed
esterne.)
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Questo aspetto è importante perchè ci permette di distinguere un’ectopia renale da una ptosi renale.

Per ptosi renale si intende letteralmente la caduta o abbassamento del rene, che risulta dislocato in sede più
bassa. Solitamente la ptosi renale è a destra perchè il rene di destra è in un certo senso schiacciato dal fegato e
quindi risulta più basso rispetto al rene di sinistra. La ptosi renale è più frequente nelle pazienti di sesso
femminile, in età giovanile, di corporatura magra o che sono andate incontro ad un dimagrimento notevole. In
queste pazienti, ogni volta che passano dalla posizione supina a quella ortostatica, il rene si abbassa perchè
viene a mancare l’involucro di tessuto adiposo, contenuto nella fascia di Gerota, che avvolge e stabilizza il
rene.

Le pazienti lamentano dei dolori importanti, delle coliche, quando passano in posizione ortostatica e il flusso
dell’urina risulta ostacolato.
Il peduncolo vascolare, in caso di ptosi renale è fisso, quindi se il rene è molto mobile, l’arteria e il plesso
nervoso che circonda i vasi possono andare incontro ad uno stiramento o una torsione, provocando una
sintomatologia dolorosa, ma anche problematiche vascolari fino ad una possibile ischemia d’organo.

Che differenza c’è, dunque, tra un’ectopia renale destra e una ptosi renale destra? (possibile domanda d’esame)
-In tutte e due le situazioni il rene risulta dislocato
-Il rene ptosico ritorna nella posizione corretta in posizione supina e si abbassa in ortostasi, è quindi un
problema intermittente, mentre il rene ectopico è fisso
-Il rene ptosico ha i vasi nella giusta posizione, in sede lombare, il rene ectopico presenta invece il peduncolo
vascolare in una sede diversa dal normale (es. a livello iliaco, pelvico o dell’aorta lombare, ma più in basso).

Ad eccezione del rene a ferro di cavallo e l’ectopia, le malformazioni renali non sono frequenti e possono
essere di vario grado ed intensità.
Le malformazioni renali possono essere, oltre che di sede, anche di volume
(es. rene ipoplasico) o possono riguardare il parenchima renale, come nel
caso del rene policistico.

• Nel rene policistico, che è un esempio di anomalia di struttura, il


parenchima renale risulta sostituito da numerose cisti e questa condizione
può essere presente già dall’infanzia, ma può comparire anche in età
adulta. Il rene policistico causa una serie di problemi che possono essere
curati solo in ambito internistico e nefrologico perchè correlato a:
-Ipertensione
-Insufficienza renale
-Complicanze: emorragie, infezioni e
sanguinamenti
Spesso gli urologi sono chiamati ad
intervenire per risolvere una delle
complicanze del rene policistico.

Il rene policistico è una condizione ben


diversa dall’avere una o più cisti renali.

• La cisti renale è una formazione a


contenuto liquido e deve a sua volta essere distinta dalle lesioni solide, che contengono al loro interno cellule
e sono, nella maggior parte dei casi, tumori.

Ci possono essere delle malformazioni per quanto riguarda i rapporti tra arteria e vena renale. Durante un
intervento chirurgico del rene, ormai eseguiti spesso con chirurgia robotica, una delle prime fasi è quella di
cercare l’arteria e la vena del rene. In alcuni momenti durante un intervento di asportazione del tumore del
rene, si chiude con delle clamp il passaggio del sangue e si pone il rene in ischemia per evitare sanguinamenti.
Nel cercare l’arteria e la vena, entrando nell’addome con un accesso trans-peritoneale, si trova prima dal
davanti la vena, se invece avessi un approccio da dietro, quindi retro-peritoneale, troverei prima l’arteria.
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L’arteria è posizionata sotto alla vena ed è nascosta da essa. Bisogna tenere conto di questi rapporti tra arteria
e vena perchè in alcune situazioni possono essere alterati: per esempio, si possono trovare delle vene retro-
aortiche, arterie renali multiple, vasi venosi anomali o accessori.

ANOMALIE DEL GIUNTO PIELO-URETERALE (GPU)


Un vaso venoso anomalo può essere presente soparattutto a livello del giunto pielo-ureterale, ovvero il punto
di passaggio tra pelvi renale e uretere. Questa malformazione riguarda la via escretrice urinaria e la
malformazione può essere:
-Intrinseca: ridotto sviluppo della muscolatura circolare (l’uretere non è un tubo rigido, è dotato di una
muscolatura sottile, ma che assicura la peristalsi per il passaggio del bolo urinario). Le fibre muscolari possono
essere poco sviluppate o ipofunzionanti.
-Estrinseca: presenza di un vaso aberrante o anomalo che piega e ostacola il passaggio di urina a livello del
giunto pielo-ureterale. E’ una malformazione relativamente frequente che può dare segno di se’ in età
pediatrica, ma può anche svilupparsi in età più avanzata.

Se l’urina passa con fatica, la pressione a monte nel bacinetto renale aumenta, si crea una dilatazione nel
bacinetto renale, quindi idronefrosi.

Il professore mostra un’immagine di un vaso anomalo, generalmente venoso, ma può essere anche arterioso,
che con una piegatura meccanica ostacola la via urinaria. Questa situazione si può osservare durante un
intervento di pieloureteroplastica.

ANOMALIE DELL’URETERE
Le anomalie degli ureteri sono quasi sempre asintomatiche e spesso riguardano la porzione terminale
dell’uretere. Esistono anomalie di struttura, di numero e di volume. Tra queste si ricorda:

-Ectopia dell’uretere: anomalia che riguarda la porzione terminale dell’uretere. L’uretere sbocca
fisiologicamente nella vescica a livello del trigono vescicale, ma può capitare in alcuni pazienti che non arrivi
in sede giusta, ma ad altri livelli come per esempio del collo vescicale o dell’uretra.
-Megauretere: anomalia di struttura. L’uretere appare di grosse dimensioni, dilatato e la componente
muscolare risulta malformata. Questi pazienti affetti da megauretere nascono con gli ureteri dilatati e vanno
distinti da condizioni in cui un uretere può essere dilatato dalla presenza di un calcolo (condizione che prende
il nome di ureteroidronefrosi).
In questa condizione l’urina fatica a progredire perchè la componente muscolare dell’uretere è deficitaria e
rende meno efficiente la peristalsi, l’urina quindi ristagna, si possono verificare infezioni e sviluppare calcoli
e se la dilatazione riguarda anche la parte terminale dell’uretere si ha anche un ureterocele.
-Ureterocele: altra importante anomalia di struttura, E’ una dilatazione dell’uretere terminale, a livello dello
sbocco in vescica.
Altre anomalie di struttura più rare riguardano: stenosi, valvole, diverticoli.
-Più frequenti sono le anomalie di numero: gli ureteri possono essere duplicati o anche triplicati. Può accadere
che ci sia un doppio uretere da un lato, quindi, per la legge di Weigert-Meyer, i meati ureterali sono invertiti
rispetto ai distretti renali superiore e inferiore: la parte superiore del rene è drenata da un uretere che sbocca
nella parte inferiore del trigono vescicale, mentre l’uretere che drena la parte inferiore del rene sbocca nella
parte superiore del trigono.
Normalmente, quando c’è un calcolo da rimuovere, si trova l’ostio ureterale, si inserisce la sonda e si raggiunge
il calcolo.
In caso ci siano due ureteri (uretere bifido), quindi due sbocchi ureterali, ma un unico ostio ureterale perchè i
due ureteri si uniscono a livello iliaco, in un paziente in cui devono essere rimossi dei calcoli, accedo attraverso
l’ostio con lo strumento e poi per sapere se andare a destra o sinistra devo utilizzare delle guide.
-Uretere retro-cavale: anomalia di posizione. L’uretere passa dietro alla vena cava ed è schiacciato da questa.
Con un intervento chirurgico si può riportare l’uretere lateralmente alla vena cava.

Esempi:

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-Se l’uretere è ectopico, lo sbocco più frequente si trova a livello del collo vescicale, ma nell’uomo può capitare
anche che l’uretere sbocchi in una vescicola seminale. Se l’urina contamina la vescicola seminale del soggetto,
potrebbero insorgere infezioni, dolore e prostatiti.
-Nelle bambine invece, può capitare che l’uretere sbocchi in uretra o in vagina. Il problema si presenta dalla
nascita e si manifesta con perdite di urina dalla vagina o dall’uretra dal momento che non ci sono i mezzi di
continenza. Questa incontinenza urinaria richiede un intervento chirurgico per la sua risoluzione.

Nella donna e nelle bambine i possibili sbocchi dell’uretere sono a livello di:
-Collo vescicale
-Uretra
-Vagina
-Utero
Nell’uomo invece:
-Prostata
-Vescicole seminali
-Retto

ALTERAZIONI DELLA VESCICA

-Estrofia vescicale
-Ipospadia

IPOSPADIA
(Si ricorda che i bambini presentano un getto urinario più forte rispetto agli adulti e agli anziani affetti da
adenoma prostatico.)
I bambini affetti da ipospadia sono caratterizzati da un incompleto
sviluppo dell’uretra anteriore. Si tratta di una malformazione congenita
relativamente frequente in varia forma. Il meato uretrale, che appare
spesso stenotico, solitamente posto sull’apice del glande, può essere
situato in posizioni diverse sul rafe ventrale del pene in corrispondenza
della linea mediana.
Un bambino con ipospadia peno-scrotale o perineale non riesce a dirigere
il getto urinario e, in età adulta, dello sperma, e questo lo costringe ad
urinare da seduto con conseguenze dal punto di vista psicologico.
In ambito pediatrico si possono fare degli interventi di ricostruzione
dell’uretra, che consistono nel riportare il meato uretrale sull’apice del
glande. Le tecniche sono piuttosto complicate e le percentuali di successo
non sono sempre brillanti poichè i tessuti cicatrizzano dando problemi ai pazienti. Più è estesa la porzione da
ricostruire, più, chiaramente, sarà complicato l’intervento.

ANOMALIE DEL TESTICOLO E DELLO SCROTO


-Criptorchidismo: letteralmente “testicolo nascosto”, indica la mancata discesa di uno o entrambi i testicoli
nel sacco scrotale. Il testicolo durante la vita fetale si trova a livello lombare, in seguito va incontro ad una
progressiva discesa con il suo peduncolo vascolare, verso lo scroto.
Il criptorchidismo va distinto da situazioni in cui i bambini nascono senza testicoli (anorchidia), con i testicoli
in sede ectopica o in cui il testicolo può essere “mobile” e parzialmente nascosto.
Un tempo si somministravano delle terapie ormonali per facilitare la discesa dei testicoli nello scroto.
Incidenza: 30% nei bambini nati prematuri, 3,4% nei bambini nati a termine, 0,8% nei bambini di un anno di
vita e 0,8% negli adulti.
Gli adulti criptorchidi, pur essendo nati con un testicolo, non hanno problemi dal punto di vista della sessualità,
però possono andare incontro ad alcune complicanze:
-Degenerazione tumorale del testicolo: è la complicanza più temuta e si verifica con una frequenza superiore
del 10% rispetto ad un testicolo normale. E’ consigliato quindi rimuovere anche in età adulta il testicolo
criptorchide posto in sede intraddominale.

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-Torsione
-Erniazione
-Infertilità
-Ectopia testicolare: il testicolo si può trovare in una sede diversa dal normale (es. nel perineo, sopra al pube).

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Lezione n°7 del 20/05/19
Materia: Fisiopatologia dell’apparato urinario
Appunti di: GM
Argomenti: Derivazioni urinarie

DERIVAZIONI URINARIE
Il nostro apparato urinario per funzionare correttamente ha bisogno di essere completamente libero.
L’ipertrofia prostatica benigna (IPB) è l’esempio di una patologia che determina un’ostruzione, la quale
porta ad un aumento di pressioni a cui il nostro organismo deve far fronte. Quando abbiamo delle situazioni
di questo tipo dobbiamo bypassarle per far sì che il paziente non vada incontro a problematiche importanti; il
tipico esempio è la ritenzione cronica di urina nell’IPB, in cui la vescica non si vuota compromettendo nel
tempo anche l’alto apparato urinario e portando il paziente ad una franca insufficienza renale.
Tutto quello che noi andiamo a fare per permettere il deflusso dell’urina prende il nome di derivazione
urinaria. La derivazione urinaria viene intesa anche per tutti quegli interventi che noi mettiamo in atto
quando andiamo a togliere la vescica per far uscire l’urina, per non lasciare ovviamente che questa si riversi
nel peritoneo.

DERIVAZIONI URINARIE ECONOMICHE


Con il termine “economiche” si intendono tutte quelle derivazioni urinarie in cui il minimo traumatismo
possibile per l’organismo permette il deflusso dell’urina.
Le derivazioni possono riguardare l’alto apparato urinario o il basso apparato urinario:
• ALTO APPARATO URINARIO:
- cateterismo ureterale: attraverso le vie naturali si può bypassare l’ostacolo e mettere un
catetere che permette il drenaggio di quell’asse escretore;
- nefrostomia percutanea: un tubo che dal fianco arriva direttamente nella pelvi renale. Nel caso
fosse presente un calcolo che ostruisce il passaggio dell’urina si può mettere un drenaggio
nefrostomico per far drenare l’urina prodotta dal rene interessato;
• BASSO APPARATO URINARIO:
- cateterismo vescicale: situazione più comune;
- cistostomia sovrapubica: in tutti quei casi in cui non si può usare il catetere vescicale si
utilizza il catetere sovrapubico cistostomico.

CATETERISMO URETERALE
Il catetere utilizzato deve avere delle dimensioni adeguate, deve passare attraverso l’uretere, arrivare fino alla
pelvi e permettere il drenaggio di quell’asse escretore. Per posizionarlo è necessaria una sala radiologica
dedicata oppure un lettino radiologico e un sistema cistoscopico. Grazie al cistoscopio si può vedere la
vescica e mettere il catetere ureterale. In particolare durante la cistoscopia vediamo l’ostio ureterale
all’interno della vescica: lo incannuliamo con un filo guida e lo
facciamo risalire fino alla pelvi renale. Una volta controllato
radiologicamente il corretto posizionamento del filo guida posso
mettere il catetere. Il catetere avrà un ricciolino che si forma
all’interno della cavità renale che gli permetterà di rimanere a questo
livello in modo autostatico.
Esistono due tipologie di cateteri:
• catetere completamente interno o doppio J: è formato da
un doppio ricciolo. Il secondo ricciolo si forma nella vescica.
Questo catetere è un catetere autostatico, ossia che rimane in
quella posizione e che difficilmente si disloca; può quindi
essere messo e rimanere per lungo tempo permettendo al
paziente di condurre una vita normale (o quasi). I disturbi
non sono particolarmente significativi: a volte si possono
avere disturbi di tipo irritativo vescicale con
pollachiuria/stranguria oppure si può avere ematuria per
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l’erosione che il catetere determina sulla mucosa della via escretrice. Per esempio nell’eventuale
presenza di un calcolo che non si può trattare subito perché il soggetto ha avuto un’infezione, questa
soluzione mi permette di fare guarire il soggetto dall’infezione evitandogli le coliche renali e una
volta guarito fare il trattamento del calcolo.
• catetere esterno o mono J: presenta solo il ricciolino a livello della pelvi renale. Questo catetere
attraversa l’uretere, la vescica ed esce; l’urina viene raccolta da un sacchetto delle urine a parte.
Sempre vi è infatti un catetere vescicale al quale viene ancorato questo catetere. Questa può essere
solo una situazione temporanea perché come il soggetto si muove il catetere ureterale si disloca. Di
solito lo si mette al termine di un intervento di un calcolo particolarmente indaginoso e che abbia
determinato un quadro di edema pericalcolotico dell’uretere intorno al calcolo per evitare al paziente
dolore e permettere l’eliminazione di tutti i frammenti che si sono formati con il trattamento del
calcolo. Il catetere può essere messo temporaneamente per 3-4 giorni o una settimana, ma obbliga il
paziente a stare a letto. Tipico esempio è il paziente che ha colica renale, rottura della via escretrice,
spandimento urinoso e vogliamo essere sicuri del drenaggio di questa via escretrice.
Dal punto di vista pratico nel primo caso la diuresi vien calcolata in base a quanto il paziente urina o a
quanta urina viene drenata dal catetere vescicale (se presente), mentre nel secondo caso la diuresi va
sommata tra la diuresi del catetere ureterale e la diuresi del catetere vescicale. In genere in quest’ultimo caso
la diuresi dovrà essere equipartita perché i due cateteri dreneranno due reni diversi.

NEFROSTOMIA PERCUTANEA
Con la tecnica di Seldinger metto un catetere nefrostomico. Il
rene viene visto grazie alla tecnica ecografica che mi permette di
tracciare una via dove posizionare un’agocannula con cui mettere
prima il filo guida e successivamente il catetere nefrostomico. Il
controllo viene fatto sia ecograficamente sia radiograficamente.
Anche in questo caso il catere nefrostomico avrà un sacchetto
dell’urina a parte ed il calcolo della diuresi richiederà la somma
della diuresi del catetere e di quanto il paziente urina.
Due termini che vengono considerati sinonimi sono nefrostomia e pielostomia, ma nel primo caso il tubo
passa attraverso il parenchima renale mentre nel secondo caso si punge direttamente la pelvi. Generalmente è
preferibile mettere una nefrostomia perché il parenchima solidarizza il tubo che raggiunge l’interno della
pelvi renale, ma può succedere di dover mettere una pielostomia con più alta probabilità che si dislochi (tra
le diverse condizioni ci sono rene molto dilatato e parenchima scarso).

CATETERISMO VESCICALE
I cateteri vescicali possono essere classificati a seconda di una serie di fattori di cui il primo è la grandezza.
Esiste un codice colore che va dai 6 Ch (Charriere), che è il più
piccolo, fino ai 26 Ch, il più grande. Si sceglie la grandezza in base
all’azione da svolgere, per esempio per la normale funzione di
drenaggio dell’urina si utilizzeranno cateteri “normali” di 14-15 Ch.
Un intervento invece di resezione prostatica o vescicale può aver
bisogno di drenare del materiale come sangue o residui vescicali o
prostatici per cui dovrò mettere cateteri più grandi.
I cateteri possono essere poi distinti in base alla via:
• a una via (semplice): la via serve solo per il drenaggio e di
solito viene usato per un cateterismo estemporaneo;
• a due vie: sono i più comunemente usati in tutti i reparti. La
seconda via serve per l’ancoraggio (ossia permette di
gonfiare il palloncino che ancora il catetere in vescica);
• a tre vie: oltre alle due vie per il drenaggio e l’ancoraggio,
la terza via è per il lavaggio. In questi cateteri la via centrale
è sempre quella per il drenaggio ed è importante non confondere queste due vie (quella del lavaggio
è anche più piccola) perché si può mandare il paziente incontro ad un’infezione.
Si possono inoltre classificare i cateteri in base alla punta e quindi a quello che vogliamo ottenere. Esistono:

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• catetere di Tiemann: serve per superare ostacoli come
nell’IPB;
• catetere di Couvelaire: si hanno delle ampie aperture
per lavare e drenare meglio, usati per esempio in
pazienti che hanno fatto interventi con formazione di
coaguli o altri materiali in vescica.

La sacca di raccolta deve stare sempre più in basso rispetto alla vescica per permettere la discesa dell’urina.

CISTOSTOMIA PERCUTANEA
Nell’impossibilità di posizionare un catetere vescicale si mette un catetere
sovrapubico. Tipico esempio è il paziente con una stenosi serrata dell’uretra
(non bisogna torturarlo a tutti i costi se non si passa con il catetere vescicale,
il rischio è quello di peggiorare la stenosi).
Il catetere cistostomico ha la stessa funzione nel catetere sovrapubico. Di
solito se il paziente è in ritenzione si palpa il globo vescicale a due dita dalla
sinfisi pubica. I sistemi possibili per drenare l’urina sono diversi: un esempio
è l’utilizzo di un tagliente cavo con cui si arriva fino in vescica.

Le urine non vanno mai guardate nel sacco di raccolta per definire se c’è
un’ematuria o meno, ma vanno sempre guardate a livello del catetere o nel
tubicino di raccordo al sacchetto.

DERIVAZIONI URIANARIE PROPRIAMENTE DETTE


Le derivazioni urinarie propriamente dette sono tutte quelle derivazioni che noi mettiamo in essere quando
andiamo a togliere la vescica. Generalmente si fa una cistectomia sia nell’uomo che nella donna nel caso di
una neoplasia infiltrante lo strato muscolare (muscolo-invasiva).

URETEROSTOMIA CUTANEA
Il sistema più semplice per far uscire
l’urina è quello di attaccare gli ureteri
alla cute, i quali si possono far uscire
insieme (meglio, così il paziente ha un
solo sacchetto di raccolta) o
separatamente (quando non è possibile
creare un tramite unico).
Questa derivazione necessita di “tubi”
o cateteri ureterali che devono passare
attraverso la stomia cutanea, altrimenti
la stomia cutanea tende a chiudersi. Il
problema dell’ureterocutaneostomia,
essendo molto facile da eseguire, è che se uno di questi cateteri si sfila tende a chiudersi molto rapidamente
(anche nell’arco di 24 ore) e diventa quindi un’urgenza.
Ci sono diverse modalità per creare una stomia unica piuttosto che una doppia stomia, un esempio è la
transuretero uretero cutaneostomia in cui un uretere lo si anastomizza all’altro uretere che viene poi
portato alla cute. Questi diversi sistemi richiedono molto tempo ma danno una buona funzione renale perché
i due assi escretori sono praticamente detesi ma il problema è che devono essere continuamente tutelati, ossia
il paziente ogni due mesi deve farsi cambiare i cateteri ureterali (prendono il nome anche di tutori ureterali).
L’intervento di ureterocutaneostomia, pur essendo di rapida e semplice esecuzione, necessita di
un’intubazione, ossia di un catetere che permetta alla stomia di rimanere sempre pervia, quindi viene fatto
solo in situazioni particolarmente compromesse come in una cistectomia palliativa o quando c’è una
patologia pelvica importante o altre condizioni in cui è impossibile utilizzare altre tecniche.

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CONDOTTI
Per ovviare al problema dell’ureterocutaneostomia che obbliga il paziente a recarsi ogni due mesi in
ospedale (ogni volta questi pazienti vengono messi sul lettino radiologico, viene messo il filo guida nel
catetere ureterale, viene sfilato e cambiato il catetere e spesso vanno incontri a febbre essendo pazienti
immunocompromessi) sono stati ideati i condotti.
Il condotto più utilizzato è il condotto ileale (è anche l’intervento più
eseguito nel mondo). Si isola dalla matassa del piccolo intestino un’ansa
ileale di 12-15 cm, si ripristina la continuità intestinale e a quest’ansa isolata
con il suo meso (che mantiene la sua vascolarizzazione) da un lato vengono
anastomizzati gli ureteri e dall’altro viene anastomizzata alla cute.
È possibile fare anche un condotto colico ma non viene praticamente più
utilizzato. Al massimo può avere un’indicazione un condotto con il trasverso
quando il paziente ha fatto radioterapia.
La parte di anastomosi tra ansa ileale e cute è importante perché deve avere
delle caratteristiche diverse rispetto ad una normale ileostomia fecale. Nel
primo caso infatti si deve formare un “nipple”, ossia un sistema che permette
all’urina di arrivare direttamente in un sacchetto ed evitare che si infiltri tra la
cute e i sistemi di raccolta dell’urina. Il “nipple” risulta essere la mucosa che
permette il passaggio dell’urina direttamente all’interno del sacchetto. I sacchetti che si usano per raccogliere
l’urina si devono incollare alla cute tramite una placca (placca e sacchetto possono essere separati o possono
essere un pezzo unico, ciò viene scelto dal paziente in base al suo maggior comfort).
Vantaggi:
Ø è una tecnica semplice (e la più utilizzata nel mondo)
Ø utilizza un piccolo tratto intestinale
Ø il paziente impara rapidamente a gestire la sua stomia
Svantaggi:
Ø altera l’immagine corporea del paziente
Ø necessita di presidi esterni per la raccolta delle urine
Indicazioni:
Ø pazienti che hanno età avanzata, cattiva prognosi, comorbidità importanti
Ø pazienti poco complianti
Ø pazienti in cui non si può eseguire la ricostruzione di una neo vescica ortotopica

DERIVAZIONI CONTINENTI
Le derivazioni continenti sono le derivazioni in cui l’urologo ricostruisce il sistema di raccolta dell’urina (il
serbatoio) all’interno dell’organismo e quindi non servono sistemi o presidi esterni per la raccolta delle urine.

URETEROSIGMOIDOSTOMIA E URETERORETTOSTOMIA
Queste erano svolte a metà ‘800 e all’inizio del ‘900 ed erano tutti interventi che andavano male perché
c’erano commistione di feci ed urine ed elevate pressioni all’interno dell’intestino che portavano il paziente
ad andare incontro a episodi settici e quadri di insufficienza renale.
Per ovviare a questo problema è stato ideato un sistema che prende il nome di Mainz II, non più molto
utilizzato. Si detubularizza l’intestino, si crea una specie di “pouch” in cui si anastomizzano gli ureteri con
tecnica antireflusso. Svolti soprattutto negli anni 2000, nonostante questi interventi evitavano l’aumento di
pressione all’interno della “pouch” (grazie alla detubularizzazione) ed evitavano il reflusso di urina (grazie
alla tecnica antireflusso), sono sempre stati accompagnati da comorbidità importanti.
Vantaggi:
Ø non altera l’immagine corporea del paziente
Ø non necessita di presidi esterni per la raccolta delle urine
Ø si può fare l’ureterectomia
Svantaggi:
Ø commistione di feci e urine, che può dar luogo a sepsi e insufficienza renale
Ø alterazioni metaboliche
Ø difficile gestione delle complicanze
Indicazioni:

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Ø veniva svolto in particolare nella donna, in cui è naturale evacuare da seduti ed era più difficile fare una
neo vescica ortotopica

CONTENENTI ALLA CUTE (POUCH)


Si crea con l’intestino un sistema di raccolta dell’urina, da un lato arrivano gli ureteri che riempiono la tasca
e dall’altro lato c’è un piccolo stoma cutaneo dove il paziente si può autocateterizzare e quindi vuotare
questo sistema di raccolta.
Di solito si faceva l’Indiana pouch, in cui un segmento di colon ascendente e
di ileo terminale veniva isolato dalla continuità intestinale, detubularizzato e
chiuso a creare un serbatoio; veniva ripristinata la continuità intestinale e
successivamente il segmento di ileo terminale serviva per il cateterismo alla
cute. Il paziente aveva quindi un piccolo stoma che si poteva nascondere con un
cerottino e all’interno del quale metteva un catetere che svuotava la pouch.
Intervento non molto eseguito.
Vantaggi:
Ø non altera l’immagine corporea del paziente (se non in minima parte)
Svantaggi:
Ø necessità di una certa manualità da parte del paziente per l’autocateterismo
Indicazioni:
Ø quando il tratto terminale dell’uretra non è compiacente

NEOVESCICA ORTOTOPICA
È la ricostruzione di un serbatoio al posto della vescica. Si fa l’intervento di cistectomia radicale (che
prevede l’asportazione della prostata) e bisogna preservare lo sfintere striato.
Fino a qualche anno faceva la ricostruzione di tipo Mainz I che prevedeva l’utilizzo di cieco, colon
ascendente e ileo terminale. Veniva detubularizzato tutto l’intestino e poi veniva riconfigurato a serbatoio, in
cui venivano anastomizzati gli ureteri e successivamente l’uretra.
Questo è l’intervento che si fa tutte le volte in cui si può.

Vantaggi:
Ø non altera l’immagine corporea del paziente
Ø non necessita di presidi esterni per la raccolta delle urine
Ø permetta la minzione per uretra; è importante che il paziente capisca che non ha più la sua vescica e
dovrà imparare un nuovo modo per urinare
Svantaggi:
Ø non si può fare se la neoplasia è plurifocale
Ø non si può fare se la plurifocalità interessa l’uretra prostatica, perché rischio di montare un serbatoio su
un sistema neoplastico che dovrò rimuovere
Ø la funzione renale deve essere integra (la mucosa intestinale tende a riassorbire le sostanze presenti
nell’urina e con il tempo va incontro all’atrofia dei villi) perché di solito questi pazienti vanno incontro
ad acidosi metabolica
Indicazioni:
Ø si fa solo in pazienti con una buona prognosi e non in pazienti con prognosi infausta

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Lezione n°8 del 21/05/19
Materia: Fisiopatologia dell’apparato urinario
Appunti di: GM
Argomenti: patologia del pene e del testicolo

PATOLOGIA DEL TESTICOLO


La patologia del pene e del testicolo può sembrare un argomento minore ma è una patologia estremamente
frequente.

GENERALITÀ SUL TESTICOLO


L’origine del testicolo durante la vita embrionaria risiede a livello addominale. Inizia a formarsi verso
l’ottava settimana per poi scendere con la crescita grazie alla retrazione di un legamento chiamato
gubernaculum testis fino a raggiungere lo scroto. A livello dello scroto il testicolo compie due funzioni
fondamentali:
• produzione del testosterone;
• spermatogenesi.

CRIPTORCHIDISMO
È una delle patologie che si riscontra più frequentemente. Il
criptorchidismo è la mancata discesa delle gonadi nello scroto.
Il testicolo infatti origina più o meno dove si trova il rene
nell’adulto per poi scendere lungo la cavità addominale, entra
nella pelvi, passa nel canale inguinale e arriva a livello
scrotale. Quando il testicolo si arresta lungo la sua discesa si
andrà a trovare quindi nella cavità addominale, nel canale
inguinale o più frequentemente a livello del anello inguinale
esterno.
Diverso dal criptorchidismo è il testicolo ectopico, il quale si può trovare ovunque, a livello perineale,
penieno, addominale, ma non sulla via di discesa del testicolo.
Il criptorchidismo è una patologia del neonato: l’incidenza aumenta nei prematuri e nel nato a termine
l’incidenza è intorno al 3,4%. Generalmente tende a risolversi entro il primo anno di vita, dopo il quale è
necessario prendere dei provvedimenti.
La causa della mancata discesa può essere:
• meccanica: fattori che trattengono fisicamente il testicolo
- aderenza;
- chiusura precoce del dotto peritoneo-vaginale, quel condotto che mette in comunicazione la
cavità addominale con la cavità vaginale dello scroto;
- peduncolo breve, che trattiene il testicolo;
- anomalie del gubernaculum;
• ormonale:
- deficit di LH.
La diagnosi è molto semplice (mancanza del testicolo nello scroto del neonato alla palpazione) ed è
importante che sia subito seguita dalla ricerca del testicolo. Generalmente è monolaterale. La ricerca del
testicolo può essere già più complicata e si può fare in diversi modi: tramite ecografia addominale o una tc
addominale (accertamenti non sempre agevoli per un bambino di quell’età). Si può arrivare anche alla ricerca
del testicolo tramite una laparotomia addominale.
L’importanza della ricerca del testicolo è dovuta al fatto che innanzitutto il testicolo va riportato nella sua
sede fisiologica affinché possa svolgere le sue funzioni ed in secondo luogo perché il criptorchidismo si
associa ad un tasso di neoplasia del testicolo molto elevato. Il 10% delle neoplasie del testicolo trae origine

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da testicoli criptorchidi e il testicolo criptorchide ha la possibilità di raggiungere anche le 50 volte il rischio
di trasformazione neoplastica rispetto ad un testicolo normale.
Le altre problematiche del testicolo criptorchide sono la torsione, l’ernia e l’infertilità.

VARICOCELE
Verrà trattato da un altro docente in una lezione successiva a questa.

IDROCELE
È una patologia caratterizzata da una raccolta
di liquido nella cavità vaginale. Il testicolo è
avvolto da una tunica che prende il nome di
tunica vaginale, che non è altro che
l’estroflessione del peritoneo che il testicolo si
tira dietro quando scende dalla cavità
addominale alla cavità scrotale. Questa tunica
vaginale viene definita propria quando sta
attorno al testicolo e comune quando si riflette a rivestire il resto della
cavità scrotale. All’interno della tunica c’è sempre una certa quantità di liquido, il quale serve ad
ammortizzare i traumi e permette al testicolo di muoversi. Quando il liquido all’interno di questa cavità
viene prodotto in maniera aumentata (o si riduce il suo assorbimento) va incontro ad un aumento e prende il
nome di idrocele.
Nella realtà dei fatti esistono due tipi di idrocele
• non comunicante: tipico dell’adulto;
• comunicante: non vi è la chiusura del dotto peritoneo-vaginale e quindi c’è una quantità di liquido
che passa dalla cavità addominale alla cavità vaginale. È tipico del neonato e nella maggior parte dei
casi va incontro ad una risoluzione spontanea.
Per quanto riguarda le cause possiamo distinguere l’idrocele:
• primitivo o idiopatico: non ha cause apparenti;
• secondario:
- da trauma;
- da infezione/infiammazione del testicolo/epididimo;
- da neoplasia.
Quando la quantità di liquido all’interno della cavità vaginale è importante (per esempio 400 ml) la tunica
vaginale comune risulta essere molto sottile e sarà necessario drenare il liquido con un piccolo intervento.
Su tutti i libri si legge della transilluminazione, ossia si può illuminare lo scroto con una pila [“apparirà
come una lampada di design”], ma ciò era utile solo in epoca pre-ecografica per individuare le tumescenze
scrotali a presenza di liquido rispetto a quelle dovute ad un tumore del testicolo estremamente grande.
Oggi la sonda ecografica ci permette di capire se all’interno della cavità vaginale aumentata di volume c’è
un testicolo sano oppure no, cambiando la strategia operatoria: un intervento per idrocele si può fare per via
scrotale mentre se c’è un tumore del testicolo l’intervento non va mai fatto per via scrotale ma va fatto per
via inguinale.

EPIDIMITE E PROSTATITE
Queste sono patologie infettive e infiammatorie che sono frequenti a tutte le età.
Esistono situazioni legate a batteri coliformi (Enterobacteriacee) o da Pseudomonas, le quali possono
interessare solo l’epididimo o interessare anche il testicolo. Generalmente queste infezioni si trovano nel
paziente oltre i 40 anni.
Nei pazienti più giovani si possono trovare invece forme sessualmente trasmissibili come la Neisseria o la
Clamidia.
La via d’infezione di questi batteri è la stessa, ossia la via canalicolare ascendente; generalmente c’è una
prostatite che precede l’epididimite. È sempre importante chiedere al paziente se prima dello scroto dolente e
aumentato di volume avesse disturbi ad urinare (nella maggior parte dei casi la risposta sarà positiva).
L’infezione passa infatti dalla prostata all’epididimo attraverso le vie seminali per raggiungere infine il
testicolo.
La diagnosi è semplice perché ci sono tutti i segni dell’infiammazione e dell’infezione:

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Ø la sintomatologia dolorosa è particolarmente marcata, sia spontanea che alla palpazione (il paziente sarà
quindi difficile da visitare)
Ø l’epididimo appare tumefatto e ciò può far entrare l’epididimite in diagnosi differenziale con la
neoplasia del testicolo
Ø ci può essere febbre, anche fino a 39-40°C
Ø agli esami di laboratorio può esserci leucocitosi e leucocituria.
La diagnosi differenziale è un punto importante, sia con il tumore del testicolo che con la torsione del
testicolo. Nelle forme classiche infatti la diagnosi è abbastanza semplice ma nelle forme fruste può risultare
complicato, soprattutto se si tratta di un’infezione che va avanti da molto tempo e alla palpazione non si
riesce a distinguere il testicolo dall’epididimo, tant’è che quest’ultimo può diventare anche molto più
voluminoso del testicolo e apparire duro alla palpazione simulando una neoplasia.

TORSIONE DEL TESTICOLO O DEL FUNICOLO


A volte il testicolo può ruotare sul suo peduncolo vascolare e la quantità di
sangue che esce diventa sempre di meno perché le vene hanno una parete
più sottile e con la rotazione del funicolo vengono schiacciate. Questa
situazione porta il testicolo a divenire sempre più sofferente, si gonfia di
sangue e si distende la capsula testicolare dando dolore. Tipicamente il
testicolo appare bluastro per la stasi venosa, la quale può determinare una
necrosi vascolare. Di solito la sintomatologia è caratterizzata da un dolore
acuto.
La torsione del testicolo è tipica di soggetti giovani e richiede un
trattamento d’urgenza. Se ho la certezza matematica che il paziente con
dolore acuto testicolare non abbia la torsione del testicolo io posso fare
qualsiasi trattamento antibiotico/antidolorifico, ma senza certezza
matematica è d’obbligo fare un tagliettino e vedere. In questo modo si può fare la diagnosi ed eventualmente
la terapia, ossia si detorce il testicolo che riprende la sua vascolarizzazione quasi nell’immediato.
A volte può essere utile un ecocolordoppler scrotale che valuta la presenza di vascolarizzazione nei due
testicoli ma non sempre questo esame è dirimente. Nella maggior parte dei casi per arrivare alla diagnosi è
necessario un piccolo intervento esplorativo.
Spesso succede che, proprio perché i testicoli girano, possano andare incontro a delle torsioni incomplete,
delle subtorsioni o delle normalizzazioni spontanee. Tipico è il caso in cui l’anestesia riduce la tensione
legata al dolore e il testicolo si detorce spontaneamente in sala operatoria.

NEOPLASIE DEL TESTICOLO


Le neoplasie del testicolo non sono frequenti, interessano meno dell’1% delle
neoplasie del maschio ed hanno una curva d’incidenza bimodale perché c’è un
picco d’incidenza tra i 20 e i 40 anni (più importante) e un secondo picco dopo i
60 anni.
Il criptorchidismo abbiamo già visto rappresentare un fattore di rischio. Il
professore riporta un caso clinico capitatogli una decina di anni fa di un paziente
con una neoplasia del testicolo più grande di un pugno dovuta ad un testicolo
ritenuto.
Altro fattore di rischio è il trauma testicolare, ma il motivo di ciò è solamente
legato al fatto che il tumore viene riscontrato nel soggetto che si presenta alla
visita per un trauma testicolare. Questa è una situazione relativamente frequente,
per esempio dopo una pallonata durante una partita di calcio; inoltre risultano anche essere casi
particolarmente complessi perché non si riesce a capire se l’ematoma sia dovuto al trauma subito o ad un
tumore del testicolo.
La classificazione dei tumori del testicolo è istologica:
• tumori a cellule germinali: sono i più frequenti, possiamo suddividerli in:
- seminomatosi: divisi in 3 forme dal punto di vista istopatologico, ma che dal punto di vista
prognostico non hanno una grande importanza;

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- non seminomatosi:
o carcinoma embrionale
o coriocarcinoma
o tumore del sacco vitellino
o teratoma;
- forme miste: tumori che assemblano in sé seminomi e non seminomi;
• tumori a cellule stromali: sono meno frequenti e anche meno aggressivi.
La diagnosi anche in questo caso è abbastanza semplice:
Ø l’anamnesi è importante
Ø generalmente è asintomatico, un dolore al testicolo compare solo in un 10-15% dei casi ed è legato
generalmente a piccole lesioni ischemiche provocate dal tumore, percepite anche come piccoli fastidi
Ø l’esame obiettivo è importante: il testicolo si distingue bene dall’epididimo, è duro, aumentato di
volume, aumentato di consistenza e soprattutto aumentato di peso. Quest’ultimo aspetto è estremamente
rilevante ed è dovuto ad un aumento della cellularità
Ø l’ecografia è importante perché permette di vedere una lesione all’interno di un testicolo sano
Ø si ricercano i marcatori tumorali.
La sintomatologia generalmente non è presente ma raramente si osserva perdita di peso. Si possono invece
avere dei segni di metastasi come masse cervicali, problemi respiratori, disturbi gastrointestinali (per
metastasi epatiche), dolori alle ossa, sintomi neurologici (per metastasi a livello del SNC e periferico). Si può
avere anche rigonfiamento bilaterale degli arti inferiori dovuto ad un ridotto drenaggio linfatico dei linfonodi
addominali.
La ginecomastia è un segno dei tumori stromali.
I marcatori vanno sempre fatti e sono fondamentalmente la beta-HCG o beta-gonadotropina corionica
umana (presente nel carcinoma embrionale, nel coriocarcinoma e nei seminomi) e la alpha-FP o alpha-
fetoproteina (presente nel carcinoma embrionale e nei tumori misti). Vanno fatti sia quando c’è il sospetto
di tumore del testicolo, prima dell’intervento e anche nel post-operatorio, per essere certi di aver asportato
completamente la neoplasia, e nel follow-up per prevedere una possibile progressione metastatica.
Nella maggior parte dei casi la diagnosi è istologica. Tutte le volte in cui ci si trova danti ad una massa
testicolare di cui non si comprende l’origine (per esempio che non si risolve in seguito ad una terapia
antibiotica) bisogna fare un’esplorazione del testicolo. L’esplorazione va fatta mediante un’inguinotomia
esplorativa, ossia si fa un tagliettino a livello inguinale, si retrae il testicolo, si lussa dalle sue tuniche e si fa
un esame istologico estemporaneo. Un’eccezione può essere fatta se si riscontra un testicolo completamente
sovvertito da una massa di tipo tumorale (si asporta immediatamente).
Una volta fatta la diagnosi si procede ad una stadiazione, la quale ci obbliga ad andare a cercare le sedi
principali di metastasi che sono i linfonodi. I linfonodi per quanto riguarda il testicolo di destra sono i
paracavali, gli intercavo-aortici e gli ilari-renali di sinistra, mentre per quanto riguarda il testicolo di sinistra
sono i linfonodi lateroaortici e gli intercavoaortici. I linfatici di riferimento sono questi in relazione alla sede
di origine dei testicoli. Generalmente i linfonodi sono la prima sede di metastatizzazione, tranne per alcune
forme non seminomatose come il coriocarcinoma che può dare metastasi a distanza senza metastasi
linfonodali.
I seminomi al primo stadio, quindi a livello esclusivamente del testicolo, possono essere risolti con la sola
orchifunicolectomia. I seminomi al secondo e terzo stadio devono essere trattati come non seminomi.
I non seminomi di primo stadio possono richiedere una linfoadenectomia retroperitoneale, anche se
attualmente si fa un ciclo di chemioterapia. In non seminomi al secondo stadio si fanno due cicli di
chemioterapia e una linfoadenectomia retroperitoneale e quelli al terzo stadio, cioè con metastasi agli organi
parenchimatosi, si fa chemioterapia e chirurgia delle metastasi.
I protocolli di trattamento chemioterapico hanno modificato la prognosi del tumore del testicolo: negli anni
’60 il 90% dei soggetti morivano (prognosi infausta) mentre oggi oltre il 90% dei soggetti sopravvive a 5
anni.

È importante insegnare sempre ai pazienti a fare una corretta


autopalpazione del testicolo. L’autopalpazione va fatta sin
dall’adolescenza e va fatta così come le donne fanno l’autopalpazione del
seno, anche se la frequenza del tumore del testicolo non è come quella
del tumore del seno. Ancora oggi si vedono tumori di dimensioni
importanti per la vergogna del paziente a far vedere il proprio testicolo

4/5
ingrossato. L’autopalpazione del testicolo va fatta in un momento in cui si è rilassati, generalmente quando ci
si lava in modo tale che lo scroto sia rilassato e si possa capire se è presente una massa oppure no. Per
qualsiasi cosa risulti anomala è meglio consultare l’urologo.

5/5
Lezione n° 9 del 22/05/2019
Materia: Urologia
Appunti di: Enis Guso
Argomenti: Neoplasia dell’alta via escretrice; Carcinoma prostatico

Il professor Simeone si assicura che il professor Zani, avendo parlato delle derivazioni, ci abbia spiegato che
esse sono sfruttate in corso di cistectomia e che esistono derivazioni esterne (quali l’uretero-cutaneostomia e
l’uretero-ileo-cutaneostomia).

Tengo a precisare che il professore, nel corso della lezione, ha insistito molto chiedendo riscontro riguardo
al gradimento del tirocinio, incavolandosi, in sede d’esame, se non gli si riferisce cosa si è visto in reparto.
Mentre in corsivo sono indicati alcuni appunti presi dalle slide o aggiunte prese da Wikipedia o
MyPersonalTrainer.

1. La neoplasia dell’alta via escretrice


1.1 Introduzione
La maggior parte del lavoro dell’urologo è prettamente di tipo uro-oncologico; essa comprende: tumori al rene,
alla vescica, al testicolo, alla prostata ecc. alcuni dei quali rientrano nella categoria delle neoplasie della via
escretrice. La via escretrice si suddivide in:
● Alta via escretrice, composta da:
o Calici renali; la prima porzione della via urinaria, ben diversa dal parenchima renale (il cui
compito è quello di produrre l’urina) che non è considerato parte della via escretrice;
o Bacinetto (o pelvi) renale;
o Ureteri;
● Bassa via escretrice, composta da:
o Vescica;
o Uretra; attraverso la quale l’urina fuoriesce verso l’esterno.

Queste neoplasie originano molto spesso dall’urotelio, la mucosa che ricopre tutta la via escretrice; ne deriva
che i tumori dell’alta via escretrice e della vescica siano istologicamente molto simili. L’eventualità che questi
si possano presentare contemporaneamente (quali tumori sincroni ad esempio) rende dunque conto
dell’importanza nel saper distinguere la reale provenienza del tumore, elemento cardine del trattamento.
In questo campo, assume particolare rilievo anche la cistoscopia, altro ambito in cui l’urologo deve sapresi
districare, la quale ha permesso di distinguere le varie sedi di origine delle neoplasie uroteliali:
- Nel 90-95% dei casi, la sede è la vescica;
- Nel 5-10% dei casi, la sede è l’alta via escretrice;
- Nello 0.1% dei casi, la sede è l’uretra.
Queste neoformazioni possono essere riscontrate nei controlli endoscopici ambulatoriali, durante i quali si va
alla ricerca di questi polipi che crescono e possono recidivare, in seguito ad asportazione endoscopica del
tumore.

1.2 Epidemiologia.
● 1-2 casi/100.000 abitanti/anno
● Più frequente negli uomini (M/F=3/1)
● Più frequente nell’età avanzata (settima-ottava decade di vita)
● Tumori della pelvi: tumori dell’uretere = 2:1
● In un 2-6% di casi si presenta anche una malattia controlaterale, che può chiaramente essere di gravità
differente rispetto al tumore primario.
● In un 10% dei casi circa, come prima accennato, si può manifestare una neoplasia vescicale associata,
il cui volume può essere nettamente superiore rispetto ai tumori dell’uretere. Detto questo, è necessario
che, al riscontro di un tumore in vescica, si vada a ricercare l’eventuale presenza di un tumore dell’alta
via urinaria.

1/6
1.3 Fattori di rischio
Per quanto riguarda i fattori di rischio, si attribuiscono spesso le colpe ai fattori ambientali, quali
l’inquinamento. Ad ogni modo, vi è una importante distinzione tra:
Forme familiari: di sovente associate a HNPCC (Hereditary Non-Polyposis Colorectal Carcinoma).
Forme non familiari:
1. Fumo di sigaretta1. Responsabile di un aumento di incidenza da 2 a 7 volte.
2. Esposizione occupazionale (coloranti, derivati dell’anilina, arsenico).
3. Nefropatia dei Balcani2. Il meccanismo attraverso cui questa patologia favorisca lo sviluppo di
tumori uroteliali è ancora oggetto di controversie, nonostante sia stato appurato un sicuro ruolo
infiammatorio.

1.4 Presentazione clinica


Al di là della specializzazione che un medico intende intraprendere e al di là delle tecniche sofisticate di
diagnostica radiologica, la raccolta anamnestica costituirà sempre un punto di partenza imprescindibile per una
diagnosi accurata.

In primis, per quanto possa essere un’eventualità poco frequente, i tumori uroteliali dell’alta via escretrice
possono essere riscontrati in modo incidentale, ossia in modo non sospettabile sulla base dei segni clinici.
La diagnosi differenziale3 deve essere fatta con i calcoli renali (che si possono localizzare a livello di calici,
bacinetto o uretere). È risaputo che i calcoli sono responsabili di forti coliche renali, a meno che essi non si
ritrovino ad altezza dei calici, evenienza del tutto asintomatica.
In seguito a procedure di indagine diagnostica, sarà dirimente l’ecogenicità dei calcoli o la loro radiopacità, da
attribuirsi alla frequente presenza di calcio (elemento radiopaco) nella loro struttura, a differenza delle
neoplasie prive di questo ione.
A differenza di quanto indicato da molti libri di testo, sono sempre più frequenti tumori a carico del parenchima
renale asintomatici, definiti “incidentalomi” a testimonianza della modalità di riscontro degli stessi.

Comunque sia, un tumore dell’alta via escretrice è quasi sempre sintomatico:


1) Micro- o Macroematuria (70-80% dei casi). Banalmente, il pz che riferisce di vedere urine rosse.
2) Dolore al fianco (20-40%). Generalmente di tipo colico.
3) Idroureteronefrosi4 (= dilatazione di uretere, pelvi e calici renali). Concetto fondamentale per i tumori
posizionati lungo l’alta via escretrice, in particolar modo nell’uretere, è il fatto che la voluminosità
della neoplasia può ostruire completamente il deflusso dell’urina, causando un aumento di pressione
e andando a dilatare la via a monte.
4) Massa lombare (10-20%)
5) Sintomi sistemici (anoressia, calo ponderale, febbre, sudorazioni notturne). Più frequentemente
ricollegati alle fasi tardive della malattia, i quali culminano nella cachessia neoplastica.
I tumori dell’alta via escretrice, specie quelli che si presentano con idroureteronefrosi, hanno la caratteristica
di essere molto aggressivi, lasciando il pz a rischio di evoluzione sfavorevole della malattia, nonostante i
trattamenti messi in atto per tentare di recuperarlo.

1.5 Stadiazione
La classica stadiazione TNM valuta la sede primitiva, i linfonodi interessati (spesso coinvolti a causa
dell’aggressività del tumore) ed eventuali metastasi a distanza.
Il professore precisa che all’esame non verrà richiesta la stadiazione nello specifico.

1
Il fumo di sigaretta è il primo fattore di rischio per le neoplasie uroteliali. Spesso richiesto in sede d’esame “non
perché il prof sia contrario al fumo, nonostante egli non fumi, non perché tutti sanno che il fumo fa male, ma perché è
proprio vero!”
2
nds: Nefropatia tubulo interstiziale tipica di alcune aree rurali che seguono il corso del Danubio e alcuni suoi affluenti.
L’eziologia è ignota, ma va probabilmente ricondotta ad una pianta Aristolochia clematitis, nativa delle regioni
endemiche, i cui semi sono mischiati alla farina per fare il pane.
3
Spesso richiesta in sede d’esame per verificare se lo studente è stato presente a lezione…
4
Spesso richiesta in sede d’esame.

2/6
1.6 Diagnosi
Il docente introduce l’argomento con un caso clinico presentatosi in mattinata: un pz seguito dall’infettivologo
per positività ad HIV e HCV, presenta un rene atrofico sin dalla nascita; in seguito ad una TAC (eseguita per
altri motivi non specificati) è stato ritrovato casualmente un calcolo a livello delle vie urinarie, completamente
asintomatico, omolaterale al rene atrofico. Il pz è stato sottoposto all’esame di citologie urinarie che ha
evidenziato la presenza di una cellula tumorale (nonostante la TAC non avesse individuato alcuna massa). La
genialità del prof ha supposto che quella cellula fosse alterata di suo (ad esempio a causa di un’infiammazione
locale) e che la presenza del calcolo avesse determinato uno sfregamento sull’urotelio, con conseguente
distacco della cellula e caduta nelle urine. Ad ogni modo, per escludere completamente la possibilità che il pz
avesse un tumore, il prof ha autorizzato anche l’indagine cistoscopica. Supponendo che
la funzionalità di quel rene sia stata compromessa (sia dalla situazione atrofica di base
sia dalla presenza del calcolo), al pz è stato prescritto anche l’esame gold standard per
la valutazione funzionale di un unico rene: la scintigrafia renale.

● Citologie urinarie.5 È l’esame citologico delle urine, sostanzialmente finalizzato


alla ricerca di cellule tumorali nelle stesse attraverso il microscopio. Esse devono
essere distinte dalle normali cellule di sfaldamento dell’urotelio, presenti anche
fisiologicamente, in quantità limitate, nel classico esame del sedimento urinario.6
La colorazione che meglio risalta queste cellule neoplastiche è la colorazione
vitale di Papanicolaou.

Il professore, a questo punto apre una breve parentesi distinguendo il pap-test


ginecologico, volto alla prevenzione dei tumori alla cervice uterina, dal pap-test
urinario7, volto invece alla ricerca di cellule neoplastiche nelle urine.

● Ureteropielografia ascendente (o pielografia retrograda). Esame radiologico


che consente di valutare uretere, pelvi e calici renali attraverso l’iniezione di un
mezzo di contrasto iodato per via ascendente, dall’ostio ureterale verso
l’alto. Viene utilizzato anche nel trattamento di calcolosi renale in
urologia radiologica. Non è controindicato nei pz allergici allo iodio,
perché il mdc non passa nel sangue.
● Ureterorenoscopia con eventuale biopsia della lesione. Questo
esame consente di entrare effettivamente nell’alta via urinaria,
oltrepassando anche la vescica, sede principale di interesse della
cistoscopia. Non è sempre facile risalire l’uretere in corso di questo
esame e può essere lesionato facilmente con il rischio che un’eventuale
neoplasia si diffonda all’esterno. L’ureterorenoscopia può essere
eseguita con strumenti rigidi o flessibili per meglio esplorare il
bacinetto renale. La biopsia, invece, può essere richiesta per
caratterizzare l’istotipo tumorale e definire il trattamento.
● URO-TAC. TAC finalizzata allo studio dell’apparato urinario (reni,
ureteri, vescica), attraverso l’iniezione di un mdc per via endovenosa.

1.7 Trattamento

5
Spesso richiesto in sede d’esame. nds (fonte: mypersonaltrainer): La citologia urinaria è un’analisi di
approfondimento, viene indicata dal medico solo quando uno dei valori misurati con gli esami standard delle urine non
rientra nel range di normalità.
6
L’utilità di questo esame sta nell’analizzare il sedimento derivante dalla centrifugazione delle urine, alla ricerca di
ematuria o leucocituria, seguita dalla ricerca delle cellule tumorali.
7
Molto spesso richiesto dal professore in reparto.

3/6
Il trattamento percutaneo8 è usualmente utilizzato per la pielostomia, tecnica che consente di inserire un
tubicino, comunicante con l’esterno, direttamente nel rene. Il motivo per cui si ricorre a questa tecnica è
un’ostruzione delle alte vie urinarie o un calcolo intrarenale, con la possibilità di derivare l’urina attraverso la
cute. Tuttavia, innegabilmente, il trattamento percutaneo di un tumore della pelvi renale è stato praticamente
abbandonato. Il rischio di utilizzare questa via è quello della disseminazione delle cellule tumorali, anche
veicolate dall’urina stessa, che non lascia scampo al pz (a differenza della rimozione di un calcolo per via
percutanea che non comporta grosse controindicazioni).

Il trattamento endourologico, in linea di massima, è riservato solo ai tumori a basso rischio, oppure a quelli
localizzati in vicinanza della vescica. È proponibile in casi a basso rischio ben selezionati, con pazienti
motivati.

Trattamenti chirurgici.
Ricordando ciò che è stato detto all’inizio, la sede del tumore è fondamentale nella scelta del trattamento, in
quanto un tumore ureterale è certamente più facilmente rimovibile di un tumore del calice renale. Comunque
sia, una ureterectomia (con asportazione del tumore e di parte dell’uretere) deve sempre essere eseguita con
molta cautela, per il rischio che l’urina veicoli cellule tumorali in altre sedi (oltre alla possibilità che vi siano
già presenti altre cellule tumorali nella via escretrice).

Il professore sottolinea come gli urologi stiano particolarmente attenti alla terminologia utilizzata: è il caso
di nefrectomia (asportazione del rene e, talvolta, di una piccola parte di uretere) e neforureterectomia (in cui
diventa mandatoria la rimozione dell’uretere in toto per le caratteristiche della neoplasia uroteliale).
nds (tratta da montallegro.it): L’intervento di nefroureterectomia allargata (o radicale) consiste
nell’asportare il rene avvolto dalle strutture che lo circondano (grasso perirenale e fascia di Gerota), tutto
l’uretere e una pastiglia di parete vescicale che comprende lo sbocco dell’uretere in vescica (papilla).
Quest’intervento, per definizione demolitivo, viene eseguito usualmente in caso di tumore maligno delle vie
urinarie superiori (calici e/o pelvi e/o uretere) quando, a giudizio dell’Urologo, non sia proponibile un
trattamento conservativo. La nefroureterectomia viene eseguita allo scopo di eliminare radicalmente la
malattia tumorale, poiché questa ha la tendenza a recidivare con un andamento cranio-caudale, cioè a
ripresentarsi dopo un tempo assai variabile in una parte delle vie urinarie posta più in basso: è necessario
che sia demolito tutto l’asse urinario del lato colpito sino al suo sbocco in vescica. Se si asporta il rene, ma
non tutto l’uretere, la malattia può ripresentarsi nella porzione rimasta, anche se molto piccola. D’altra parte
non è proponibile eseguire periodicamente un controllo endoscopico di un moncone ureterale rimasto
inutilmente in sede, considerato che non ha più nessuna funzione se non quella di mettere il Paziente a rischio
di una recidiva tumorale.

Tra le varianti, la chirurgia open si avvale prevalentemente di un’incisione xifo-ombelico-pubica, mentre la


laparoscopia sfrutta delle piccole incisioni per consentire l’ingresso dei trocar.

dds: La comparsa bilaterale è dovuta a fattori genetico-ambientali?


Rix: I fattori sono sicuramente comuni, il fumo non agisce solo monolateralmente e la genetica resta la stessa
da una parte e dall’altra. Non ci sono fattori specifici che favoriscono l’insorgenza di tumori a sx piuttosto
che a dx, a differenza ad esempio di alcune patologie testicolari, come il varicocele9 che si manifesta più
frequentemente a sx a causa dello sbocco differente della vena gonadica.

dds: Il reflusso vescico-ureterale può essere considerato fattore di rischio per la neoplasia dell’alta via
urinaria?
Rix: Non vi è dubbio che, in presenza di reflusso, ci sia un fattore di rischio di espansione del tumore per le
neoplasie della vescica, in quanto le cellule neoplastiche possono risalire la via, ma, a detta del professore,
esso non è direttamente un fattore di rischio per le neoplasie uroteliali. Esso è però associato a infezione e se
questa può predisporre allo sviluppo di tumori, allora vale lo stesso anche per il reflusso.

8
Non verrà mai richiesto in sede d’esame.
9
Spesso richiesto in sede d’esame.

4/6
2. Carcinoma della prostata
Ritenendo molto confusionaria la spiegazione, riporto parte della sbobina dello scorso anno (spiegata dalla
specializzanda), cui ho aggiunto ciò che ha spiegato il prof.

2.1 Introduzione
Vista l’incidenza mondiale del tumore alla prostata e la particolare attenzione che si dà al benessere maschile,
altro grosso capitolo dell’urologia è la prostata, di cui si distinguono l’adenoma (tumore benigno) e
l’adenocarcinoma (tumore maligno).
Il carcinoma prostatico rappresenta la seconda neoplasia, per frequenza, e la terza neoplasia, per mortalità, nel
sesso maschile (dopo il cancro al polmone e al colon retto).
Nds (da AIOM, 201810): In Italia, costituisce circa il 9% di tutte le nuove diagnosi di cancro.

2.1 Fattori di rischio

1) Età: Il carcinoma prostatico è caratteristico dei pazienti di età avanzata. Basti pensare che se l’età del
paziente è < 40 anni, l’incidenza corrisponde a circa 1:10.000, mentre, se l’età è > 70 anni, l’incidenza cresce
esponenzialmente fino ad arrivare a 1:8.

2) Familiarità: Anche questo è un importante fattore di rischio, che si riferisce sia all’eventuale presenza e al
numero dei familiari di primo grado che hanno sviluppato il tumore prostatico, sia all’età di insorgenza (minore
è l’età del parente malato, maggiore è il rischio):
● se 1 parente di primo grado è affetto: rischio aumentato di 2 volte
● se 2 o più parenti di primo grado sono affetti: rischio aumentato x 5-11
Inoltre, considerando l’età di insorgenza:
● se l’età del parente di primo grado affetto è >70 anni: il rischio aumenta di 4 volte
● se l’età del parente di primo grado affetto è <50 anni: il rischio aumenta di 7 volte
L’implicazione riguarda la possibilità di fare prevenzione, specialmente per gli uomini di età avanzata
piuttosto che per individui attorno ai 20-30 anni (fascia in cui sarà invece più importante la prevenzione del
tumore al testicolo) e specialmente per chi presenta familiarità per questo tipo di tumore. Gli iter diagnostici,
in particolar modo la valutazione del PSA, hanno infatti consentito di modificare la storia naturale del tumore
alla prostata.
3) Forme genetiche: Si tratta di alcune forme tumorali piuttosto rare, dal momento che rappresentano solo il
9% di tutte le neoplasie prostatiche maligne. Ad oggi, sono stati individuati fino a 100 diversi loci genici di
suscettibilità, rappresentati principalmente da geni deputati al controllo e al riparo del DNA; tra questi
ricordiamo BRCA-1 e BRCA-2, la cui mutazione in senso loss of function è correlata anche allo sviluppo del
carcinoma mammario. 11 Alcune persone, specie nel mondo americano, sono state sottoposte a prostatectomia
radicale (un intervento non di poco conto), pur in assenza dimostrata di tumore, per prevenirne il rischio di
insorgenza.

4) Etnia: Dati statistici mostrano come l’incidenza del carcinoma prostatico risulti essere più frequente nei
soggetti di etnia afro-americana, seguiti da quelli di etnia caucasica e infine dai pazienti asiatici, che presentano
un rischio decisamente inferiore. Tale fattore sembra essere dovuto sia a una vera e propria predisposizione
genetica, sia a differenze nelle modalità e nelle tempistiche della diagnosi nei diversi paesi.

5) Fattori dietetici: Un eccessivo apporto calorico giornaliero e una dieta troppo ricca di grassi sembrano
predisporre all’insorgenza del carcinoma prostatico.12 Esistono degli studi controllati riguardanti potenziali

10
Associazione Italiana di Oncologia Medica
11
Il prof cita il caso che fece molto scalpore riguardante Angelina Jolie e l’intervento di asportazione della ghiandola
mammaria cui andò incontro, dopo aver scoperto di possedere il gene BRCA1 mutato, un atto di prevenzione estremo.
12
Nds (da AIMAC): Bere un bicchiere di vino rosso al giorno potrebbe ridurre il rischio di sviluppare un tumore della
prostata del 50%. Il merito sarebbe di un antiossidante, il “resveratrolo”, che abbonda nella buccia dell’uva rossa.

5/6
fattori protettivi che potrebbero essere in grado di stimolare le nostre difese immunitarie a fini preventivi (i
quali, però, non hanno portato a dati sicuri al 100%); si pensi alla catechina presente nel tè verde.

6) Elevate quote circolanti di Testosterone, ormone prodotto soprattutto a livello testicolare, ma anche
surrenalico. Infatti, individui che nascono con testicoli ipotrofici, soggetti affetti da ipotestosteronemia o gli
stessi eunuchi13 presentano uno sviluppo della prostata altamente impedito, dunque un’impossibilità a
sviluppare forme neoplastiche prostatiche. In anni passati, addirittura si prescrive vano come cura estrogeni,
dunque ormoni femminili, per tentare di curare il tumore della prostata. Tutt’ora, i farmaci a disposizione sono
proprio anti-androgenici.

Infine, non esiste dimostrazione scientifica che il fumo sia fattore di rischio per il carcinoma alla prostata.14

2.2 Sede
Il carcinoma prostatico nasce più
frequentemente dalla zona periferica della
prostata, dalla sua capsula.
L’adenoma della prostata, invece, trae
solitamente origine dalla parte interna della
prostata, la cosiddetta zona di transizione,
definita tale, in quanto posta in vicinanza
dell’epitelio transizionale dell’uretra.

Precedentemente all’avvento del PSA (oggi


eseguito nelle batterie di esami ematici, quanto
meno dopo i 50 anni), la prima valutazione
volta alla ricerca del tumore della prostata era
l’esplorazione rettale: l’urologo percepiva una
zona dura a contatto con la mucosa rettale, una
modificazione di consistenza della ghiandola:
primo segno che si stava sviluppando il tumore.
Essa era necessaria in quanto fino a pochi anni
fa, i sintomi erano sempre tardivi, in virtù del fatto che il tumore cresceva nella zona periferica della prostata,
senza andare a comprimere l’uretra.

Il professore concluderà l’argomento nella prossima lezione.

13
Gli eunuchi erano individui che venivano sottoposti a castrazione (= asportazione delle gonadi) in età pre-pubere, al
fine di impedire lo sviluppo dei loro caratteri sessuali secondari. nds: l’esempio più ecclatante è dato dai Castrati,
cantanti molto in voga nel Seicento che erano in grado di raggiungere timbri vocali tipicamente femminili (alle donne,
ai tempi, era proibita l’esibizione nel canto sacro). Questi ragazzi venivano castrati in età pre-adolescenziale, per evitare
che il testosterone influenzasse il loro timbro vocale alterando la struttura della laringe.
14
Spesso richiesto in sede d’esame

6/6
Lezione n°10 del 24/05/19
Materia: Fisiopatologia dell’apparato urinario
Appunti di: CP
Argomenti: Varicocele e Infertilità maschile
Nella lezione precedente è stata trattata la patologia del pene e del testicolo. La lezione odierna è tenuta dal
Dottor Nicola Arrighini, urologo dell’Istituto Clinico Città di Brescia e riguarda due nicchie dell’apparato
genitale maschile: il varicocele e l’infertilità maschile. I numerosi esempi sono riportati in corsivo per rendere
la lettura più scorrevole.

1. VARICOCELE
1.1 DEFINIZIONE E CENNI ANATOMICI
Definizione: Il varicocele è un’ectasia (dilatazione) del plesso venoso
pampiniforme del testicolo con reflusso ematico persistente più o meno
incrementabile dalla manovra di Valsalva.

Cenni di Anatomia. Dal testicolo fuoriescono due sistemi venosi: il


sistema venoso gonadico e il sistema venoso spermatico. Il plesso
pampiniforme è costituito dalle vene del sistema gonadico. Si chiama
pampiniforme perché ricorda la particolare forma del pampino,
struttura della vigna attaccata ai filari. È una struttura venosa
particolarmente rappresentata, si porta dal testicolo in tutto il funicolo spermatico. Nel cordone spermatico, a
livello addominale, le vene del plesso confluiscono in un unico vaso venoso, la vena gonadica.

Perché si parli di varicocele non è sufficiente la presenza della sola ectasia: è fondamentale che ci sia anche un
reflusso all’interno dello stesso, durante la una manovra di Valsalva (espirazione forzata a glottide chiusa).
Con questa si verifica un aumento della pressione addominale che, in un paziente con varicocele, porta a
reflusso di sangue e ad una conseguente dilatazione del plesso pampiniforme.

Il plesso pampiniforme è bilaterale in quanto presente in entrambi i testicoli,


tuttavia il varicocele è una patologia tipica del testicolo di sinistra, molto
raramente del destro e talvolta di entrambi.
Ciò trova ragione nella diversa vascolarizzazione dei testicoli. La vena gonadica
sinistra sbocca in vena renale ad angolo retto: il reflusso diviene così più facile
ed è supportato da un conseguente sistema valvolare venoso inefficace, la vena
gonadica di destra,invece, sbocca in vena cava inferiore ad angolo acuto per cui
il sangue fluisce a favore del flusso ed è perciò molto più difficile che si verifichi
reflusso con conseguente ectasia a livello del plesso pampiniforme di destra.

Secondo la medicina classica, un varicocele si presenta esternamente sulla cute


come un intestino di pollo.
Il testicolo può essere pensato come un ovaio che è sceso all’esterno. A supporto
di ciò basta pensare che tra i mesoteli del corpo umano, oltre a pleura e peritoneo, troviamo anche la tonaca
vaginale del testicolo. Durante lo sviluppo fetale, il testicolo dalla cavità addominale scende nella sacca
scrotale esterna portandosi dietro un pezzo di peritoneo che diviene poi tonaca vaginale. Tutta la
vascolarizzazione del testicolo, in particolare quella venosa gonadica e quella linfatica, origina da strutture a
retroperitoneali, non inguinali. I linfonodi che drenano le strutture testicolari (e che sono controllate in caso di
tumore al testicolo) non sono quelli a livello inguinale ma quelli a livello addominale, in particolare a livello

1
retro peritoneale. Il criptorchidismo (trattata nella lezione precedente) è una patologia in cui il testicolo non
discende nella sacca scrotale ma rimane in addome.

La manovra di Valsalva determina un reflusso di sangue nel testicolo.


Il varicocele è una condizione estremamente frequente: un ragazzo su cinque potenzialmente ne è portatore.
Non è da considerarsi una condizione patologica di per sé quanto più un fattore di rischio. Il professore pone
un paragone per spiegarsi meglio: l’ipertensione è un fattore di rischio per lo sviluppo di ictus tuttavia non
tutti i pazienti ipertesi svilupperanno tale patologia. Il varicocele è un fattore di rischio per infertilità, cioè chi
lo presenta ha maggior probabilità di esserne affetto,
tuttavia non tutti i pazienti con varicocele diverranno
necessariamente infertili o avranno difficoltà ad avere un
figlio. Il motivo per cui il varicocele sia un fattore di
rischio per l’infertilità non è ben chiaro. Esistono due
teorie:
1. La prima teoria è la più accreditata e afferma che
l’aumento del diametro delle vene a livello
testicolare porti il testicolo ad una temperatura
identica a quella del resto dell’organismo
(36/36.5° C) alla quale il testicolo non può
lavorare efficacemente. Questa teoria si basa
sull’assunto che tutti gli animali a sangue caldo,
in particolare l’uomo e i primati superiori, hanno
i testicoli esterni all’organismo proprio per
portarli ad una temperatura leggermente inferiore
alla quale possono lavorare meglio. È l’unico
motivo che spiega perché i testicoli sono
all’esterno, nella maggior parte del mondo animale sono all’interno dell’organismo, protetti e
difficilmente danneggiabili. Ciò spiega anche perché uno spermioogramma di un paziente che ha
avuto febbre molto alta sarà completamente alterato: la temperatura non ha permesso al testicolo di
funzionare bene. Questa teoria non giustifica tutti i fenomeni: in seguito a termografie a livello
testicolare si è visto che il danno testicolare non è correlato direttamente alla temperatura.
2. La seconda teoria afferma che il rischio aumntato di infertilità in un paziente con varicocele sia dovuto
al fatto che il testicolo è esposto a sangue già “utilizzato” a causa del reflusso, quindi pieno di cataboliti
e povero di metaboliti utili. È la teoria meno accreditata ma fisiopatologicamente più brillante perché
va a indagare l’effettivo metabolismo del testicolo sulla produzione di spermatozoi.
Esistono vari studi riguardanti l’infertilità in pazienti con varicocele, molti in Italia, paese all’avanguardia in
questo campo data la popolazione tendenzialmente infertile. All’ecografia con mezzo di contrasto si è
dimostrato che, nei casi di varicocele, c’è un ristagno di sangue a questo livello ed è quindi come se il testicolo
avesse una sorta di ischemia venosa costante.

1.2 CLASSIFICAZIONE
Il varicocele deve essere classificato in gradi. Una classificazione adeguata, con termini appropriati e precisi,
è fondamentale soprattutto per la valutazione del paziente da parte dell’urologo e del medico della
riproduzione. Purtroppo non si è ancora arrivati ad un unico sistema di gradazione. Esistono due criteri di
classificazione:
1. Classificazione clinica secondo Dubin – Amelar: si basa sull’osservazione del testicolo. Al paziente
in ortostatismo viene richiesto di eseguire una manovra di Valsalva (si chiede al paziente di spingere
forte come se dovesse scaricarsi). Durante l’esecuzione della manovra, in un paziente con varicocele

2
sarà evidente alla palpazione l’aumento di consistenza delle vene sovra testicolari (grado 1). È la più
utilizzata. Il varicocele viene classificato in quattro gradi a partire dal grado zero fino al terzo grado.
- Grado 0: riscontro di varicocele solo ecografico
- Grado 1: varicocele palpabile in Valsalva
- Grado 2: varicocele palpabile anche non in Valsalva
- Grado 3: varicocele visibile a riposo
Esiste anche una classificazione clinica italiana secondo Menchini Fabbris che elimina il grado
zero. Il professore afferma che all’esame è necessaria una conoscenza delle classificazioni
principali: questi dettagli non saranno richiesti.
Il professore aggiunge una precisazione esponendo un caso clinico: in un paziente adulto con
tre/quattro figli (sicuramente fertile) e varicocele particolarmente evidente (grado 3) è buona
norma chiedere un’ecografia renale per escludere un sospetto di massa renale che potrebbe
essere la causa primaria di varicocele. Una massa renale è per definizione angiotropica. Un
tumore renale molto raramente (eccetto che per alcuni istotipi) invade le stazioni linfonodali; ha
la tendenza piuttosto a risalire lungo la vena fino a quasi arrivare in atrio. Se ciò accade andrà
ad ostruire la vena gonadica (sinistra) andando a determinare il varicocele. È una situazione
rarissima ma è bene valutarla ed escluderla in pazienti adulti senza storia clinica di infertilità.
Domanda di uno studente: solo a sinistra? Risposta del professore: Solo a sinistra perché a destra
l’angiotropismo risalirebbe verso l’alto e non tornerebbe indietro.
2. Classificazione ecografica: si basa su riflessi ecografici. Pur essendo operatore-dipendente, l’ecografia
è uno degli esami più utilizzati. Esistono diverse classificazioni ecografiche: quella secondo Sarteschi
è quella più utilizzata e completa.
Il varicocele viene classificato in cinque gradi:
- Grado 1: ectasia solo alla radice scrotale in Valsalva
- Grado 2: reflusso sopratesticolare
- Grado 3: reflusso peritesticolare
- Grado 4: reflusso basale che si incrementa in Valsalva con possibile ipotrofia testicolare
- Grado 5: reflusso basale che non si incrementa in Valsalva con ipotrofia testicolare

Viene introdotto il concetto di ipotrofia del testicolo sinistro cioè che ci sia l’evidenza di un problema nella
fase di sviluppo del testicolo stesso. Molti casi di varicocele infatti compaiono in età dello sviluppo,
durante il periodo di sviluppo del testicolo, e portano necessariamente a un deficit di sviluppo
(ipotrofia) del testicolo stesso. Per ipotrofia testicolare si intende un volume del testicolo ridotto di
almeno il 25% rispetto al contro laterale valutato all’ecografia. Se il testicolo destro misura 10 mL, un
testicolo sinistro ipotrofico misurerà all’incirca 6 mL. Un varicocele con testicolo ipotrofico andrà
sicuramente trattato per evitare l’instaurarsi di una condizione di infertilità. Il trattamento deve essere
immediato se si riscontra alla diagnosi un varicocele di grado 5 poiché potrebbe progressivamente
peggiorare. Quindi il testicolo ipotrofico è gia un’indicazione al trattamento. Il professore ricorda che
il motivo principale per cui bisogna intervenire terapeuticamente su un varicocele non è solamente
riguardo alla questione dell’infertilità, comunque mai da sottovalutare a tutte le età del paziente. Il
testicolo infertile ha un rischio dieci volte superiore rispetto ad un testicolo normale di andare incontro
a tumori del testicolo (in generale rari, ma meno rari in un testicolo infertile).
Varicoceli pediatrici vengono corretti nel primo anno di vita: sono estremamente rari e solitamente se ne
occupano i chirurghi pediatrici. Sono normalmente dovuti a malformazioni vascolari.

1.3 DIAGNOSI

3
1. VISITA e ANAMNESI. Il paziente è in ortostatismo mentre il medico, piegato sulle ginocchia, osserva e
palpa i testicoli. Si chiede al paziente di eseguire una manovra di Valsalva che farà aumentare la
consistenza del varicocele di grado 2/3.
2. Se si riscontra varicocele, la conferma della diagnosi
viene fatta con un’ECOGRAFIA SCROTALE.
L’ecografia scrotale permette anche di rilevare la
presenza di noduli testicolari e di misurare in maniera
ottimale il volume del testicolo. Prima dell’avvento
dell’indagine ecografica il volume del testicolo veniva
misurato con l’Orchidometro di Prader1. Pochi urologi lo
usano ancora, oggi si ricorre principalmente all’ecografia.
Il volume testicolare si misura a partire dal diametro e da algoritmi
e formule. L’ecografista normalmente utilizza la formula
di Lambert per ottenere il volume testicolare: si
moltiplicano i tre diametri per un parametro di aggiustamento (0.51)2. Generalmente sopra i 10/12 mL il
testicolo è normale. Se uno dei due testicoli ha un volume del 25% inferiore è molto probabile che sia
patologico.
3. SPERMIOGRAMMA: analisi dello sperma. Questo punto viene ripreso più approfonditamente con il
capitolo successivo (infertilità). Lo spermiogramma è un esame fondamentale nel momento in cui non vi
è una differenza significativa tra i due testicoli né a livello clinico osservativo e di palpazione né a livello
ecografico. Lo spermiogramma in questo caso può certificare la presenza di un varicocele significativo
associato a infertilità.
Vari studi dimostrano che l’uomo ha delle fluttuazioni drammatiche nella qualità dello sperma durante l’anno,
indipendentemente dalle condizioni mediche generali. Ciò è tipico dei primati superiori: l’uomo non è
sempre fertile. L’infertilità maschile evita che la donna vada incontro a continue gravidanze cosa che non
permetterebbe la cura dei figli già precedentemente avuti.
Uno spermiogramma alterato va sempre confrontato e confermato con uno successivo eseguito a distanza di tempo,
all’incirca due mesi. Questo perché può capitare di fare uno spermiogramma durante un periodo di
fluttuazione “negativa” dello sperma ed evidenziarne un’infertilità grave quando in realtà non lo è. Se tutti
gli spermiogrammi eseguiti a distanza di tempo confermano un’infertilità, andrà indagata una possibile
diagnosi di varicocele.
Spesso la diagnosi di varicocele arriva da una coppia che non riesce ad avere figli: in seguito alla visita
dell’uomo si riscontra un varicocele.
In seguito a diagnosi di varicocele, l’indicazione di trattamento non è sempre immediata. Il parametro più
importante dell’infertilità maschile è l’età della partner. Bisogna considerare che in questi casi il paziente è
una coppia per cui bisogna valutare sia la situazione clinica dell’uomo che quella della donna, tenendo conto
della sua età. Un uomo con diagnosi di varicocele che non riesce ad avere figli con una partner giovane (27
anni) verrà molto probabilmente trattato per la sua patologia, sperando che migliori e che riesca ad avere figli
naturalmente. Una coppia meno giovane (40 anni) che non riesce ad avere figli, in seguito ad una diagnosi di

1
Apparecchio per la valutazione del volume dei testicoli a forma di rosario; consiste in una serie di modelli (palline) in plastica o legno
di forma definita (ellissoide) aventi volume diverso.

2
Il volume testicolare viene calcolato mediante Ecocolordoppler testis. In scansione longitudinale sagittale si acquisisce il diametro
longitudinale(L) (Lunghezza) dal polo superiore al polo inferiore. In scansione trasversale si acquisiscono i diametri antero-
posteriore(AP) (Spessore) e lateromediale(LM) (Larghezza) in regione ‘equatoriale’. Il volume testicolare in ml è calcolato attraverso
un’equazione matematica, utilizzando i diametri testicolari espressi in cm. Esistono 3 equazioni per la valutazione del volume
testicolare (1-3):
1-Formula dell’ellissoide prolato: Volume = L x AP x LM x 0.52
2-Formula di Hansen o dello sferoide prolato: Volume = L x LM2 x 0.52
3-Formula di Lambert: Volume = L x AP x LM x 0.71
4
varicocele, è poco probabile che seguirà un trattamento di correzione di esso. Più probabile è l’esecuzione di
una manovra di fecondazione assistita, prelevando direttamente gli spermatozoi dal testicolo maschile. Questo
perché, come detto, bisogna considerare anche l’età della donna. Una donna di 40 anni è “sull’orlo della
menopausa” (contando che l’ultima ovulazione precede di 5/6 anni la menopausa) e rischia di perdere le ultime
possibilità di rimanere incinta in attesa della guarigione (anche sei mesi o più) del partner in seguito al
trattamento per varicocele. Questo è il motivo per il quale la medicina della riproduzione è supportata sempre
da almeno due specialisti: andrologo/urologo/endocrinologo e ginecologo.

1.4 TERAPIA
Esistono due grandi categorie di intervento per la cura del varicocele: la radiologia interventistica e la chirurgia.
LA RADIOLOGIA INTERVENTISTICA è la tecnica più moderna: si pone come obiettivo quello di non fare
l’anestesia totale al paziente. Parte dall’assunto che la vena si può embolizzare cioè si può chiudere. Esistono
due tecniche:
1. La tecnica classica consiste
nell’embolizzazione retrograda, cioè
contro flusso sanguigno. Si incannula la
vena dall’inguine contro laterale, si risale
in vena cava, poi dalla vena cava si arriva
in vena renale, si scende con un piccolo
catetere e si rilascia il materiale,
normalmente spirali o colla o altro
materiale colloso, con l’obiettivo di
chiudere la vena gonadica. Il testicolo non
andrà in necrosi perché ha un’ulteriore via
venosa di reflusso: la vena spermatica.
L’idea di questo intervento è quella di
dirottare tutto il flusso sanguigno dalla
vena gonadica alla vena spermatica la
quale ha un sistema valvolare estremamente più efficace e sbocca in vena iliaca. Pur essendo una
tecnica mini-invasiva, non è un’operazione semplice né priva di rischi perché richiede molti passaggi
e ha il grande difetto di lavorare su un’immagine radiologica endoscopica. Difatti può avere
complicanze estremamente gravi: se il materiale colloso per sbaglio arriva in vena rettale e la occlude,
si può avere necrosi del retto che porta poi a stomia intestinale. Quivi ha il vantaggio di essere una
tecnica meno invasiva ma rischiosa.

2. Tecnica di incannulazione anterograda in favore del flusso (tecnica di Tauber): si incannula il


varicocele direttamente e si rilascia il materiale colloso a questo livello. Le complicanze sono in questo
caso ancora più gravi perché il materiale in questo caso andrà direttamente in vena cava e da qui nella
circolazione polmonare causando embolia polmonare.
L’applicazione di qualsiasi trattamento deve essere valutato sulla base della patologia e delle possibili
complicanze. Il professore riporta questo esempio: una complicanza grave in un trattamento di tumore
metastatico ha sicuramente una gravità inferiore della stessa complicanza durante trattamento di un fattore
di rischio quale il varicocele. Per questo, nel trattamento del varicocele, è importante valutare l’influenza di
questo fattore di rischio e delle possibili complicanze sul e col paziente.

TECNICHE CHIRURGICHE: sono le più ampiamente utilizzate. Sono riassumibili in tre grandi categorie
nonostante ne esistano diverse varianti. Consistono tutte nel legare la vena gonadica, a differenti livelli.

5
1. Intervento secondo Palomo: è molto utilizzato dai chirurghi pediatrici in bambini molto piccoli (fino
a sei mesi di vita). Si lega la vena gonadica a livello addominale, due centimetri medialmente rispetto
alla spina iliaca. Essendo il bambino molto piccolo, è quasi impossibile isolare la vena gonadica
dall’arteria gonadica per cui normalmente vengono legate insieme: il testicolo continuerà ad essere
rifornito di sangue dall’arteria e dalla vena spermatiche. L’intervento avviene a livello addominale e
non inguinale: in questo modo si va legare la vena in un punto a cui con certezza è unito tutto il plesso
pampiniforme, senza il rischio di lasciare aperte vene del plesso.
2. Intervento secondo Ivanissevich: è l’intervento normalmente più utilizzato dall’urologo nell’adulto dai
18 anni in su. Consiste nel legare la vena a livello addominale, isolandola rispetto all’arteria. È una
tecnica relativamente facile e veloce (circa 15 minuti) e permette un buon tasso di risultati positivi
(80/85%) con poche recidive e costi ridotti. Il professore sottolinea l’importanza di un intervento
economico nel trattamento del varicocele che ha come fattore di rischio l’infertilità, quindi non si
tratta di un intervento salva-vita. Generalmente l’intervento avviene in anestesia generale perché,
andando ad isolare la vena a livello della spina iliaca, si andrà anche a dislocare il peritoneo e non è
detto che un paziente in anestesia spinale abbia il dolore coperto in maniera completa. Normalmente
il paziente viene dimesso il giorno stesso o al massimo la mattina del giorno seguente.
3. Intervento secondo Marmar e tutte le sue varianti: è un tentativo di intervento mini-invasivo. Non si
lega la vena gonadica a livello addominale ma a livello scrotale. Le vene del plesso verranno legate
una per una, normalmente con clip metalliche. L’intervento avviene in anestesia spinale perché è
limitato appunto alla sola zona scrotale. Dura normalmente due ore/due ore e mezza e ciò va a riflettersi
sui costi per cui normalmente viene eseguito in sede di libera professione. Rimane la tecnica più
elegante ed efficace: andando a legare vaso per vaso si evita il rischio di legare altre strutture. Difatti
con la tecnica di Marmar si ha meno incidenza di dolore testicolare, edema testicolare e idrocele
(accumulo di liquido). Andando ad operare a livello addominale come nelle tecniche precedenti ho
maggior rischio per esempio di legare un vaso linfatico, di aprire una piccola breccia nel peritoneo e
quindi di avere dolore alla ferita o lievi addominoalgie. La tecnica di Marmar invece agisce
praticamente a livello periferico, quasi come fosse un intervento di superficie.
La scelta di una tecnica radiologica piuttosto che chirurgica prende in considerazione diversi fattori:
innanzitutto l’intervento radiologico necessita la presenza di un radiologo interventista e che questo sia
disposto a trattare queste situazioni. In secondo luogo un fattore dirimente riguarda la costituzione del paziente
stesso: la chirurgia di un paziente obeso è estremamente complicata (banalmente risulta difficile trovare
alcune strutture come un vaso) e prevede troppe problematiche e rischi per cui normalmente in questo caso si
interviene radiologicamente. Un paziente magro dall’altra verrà più frequentemente trattato con una tecnica
chirurgica perché molto più semplice e veloce.
Il varicocele è il primo intervento in cui l’urologo deve apprendere la chirurgia addominale e i suoi rischi:
bisogna incidere la cute, isolare la fascia e i muscoli e lavorare a ridosso del peritoneo, vicino all’intestino,
con il rischio di danneggiare strutture come uretere e vena iliaca.

Domanda di uno studente: Perché nella terapia di radiologia interventistica si incannula la vena contro
laterale (ovvero la vena di destra nel caso di varicocele alla vena di sinistra)? Perché se incannulassimo la
vena di sinistra avremmo più rischio di incontrare vasi che assomigliano alla vena renale e quindi più rischio
di sbagliare strada entrando per esempio nella vena lombare. Incannulando invece la vena di destra, si va
incontro ad una situazione anatomica più semplice e il rischio di perforazione e danno (per esempio
dell’aorta) da parte del catetere è minore.
Domanda di uno studente: Il varicocele è una patologia progressiva o ad un certo punto può arrestarsi ad un
determinato grado? Risposta del professore: Fino a poto tempo fa si pensava che il varicocele fosse
progressivo e questo giustificava i numerosi interventi preventivi. Oggi si tende a pensare che il danno, se non
osservabile anche allo spermiogramma, non sia progressivo.

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2. INFERTILITÀ MASCHILE
2.1 INTRODUZIONE
Il tema dell’infertilità maschile ha vari risvolti filosofici, etici e religiosi. L’Italia è per tradizione un paese
cattolico. Molte tecniche, tra cui quella della fecondazione assistita, sono ben accettate da molte culture
(Islam) ma rifiutate dalla religione cattolica.
Anche la psicologia, la dinamica di coppia, l’etica della persona e le problematiche economiche vanno
considerate nel parlare di infertilità. Esistono vari pareri riguardo al se trattare l’infertilità come una patologia
o no. Una corrente di pensiero sostiene che l’infertilità non sia una patologia non portando a rischio di morte
il paziente. Dall’altra la definizione di salute del WHO dichiara che il maschio è sano solo se può procreare.
Altro aspetto importante da non banalizzare riguarda i risvolti psicologici. Studi hanno dimostrato che
diagnosticare infertilità in un individuo o in una coppia ha un impatto drammatico sulla qualità della vita, pari
ad una diagnosi di patologia cronica.

2.2 DEFINIZIONE
Per infertilità si intende “il mancato ottenimento di una gravidanza dopo 12 mesi di rapporti non protetti”.
Questa definizione è data da una società americana (Associazione americana della medicina della
riproduzione) e spiega quindi che una coppia deve iniziare degli accertamenti per infertilità dopo 12 mesi di
ricerca di prole infruttuosa cioè senza un test di gravidanza positivo o senza una gravidanza portata a termine.
La scelta di 12 mesi come limite ha una motivazione statistica. La probabilità che una ragazza resti incinta se
ha un rapporto non protetto nei giorni fertili è tra il 12 e il 15%. Se si prende come media il 12% e la si
moltiplica per un anno si ottiene che il 96% delle coppie fertili dovrebbe restare incinta. I giorni fertili per una
donna iniziano i due/tre giorni precedenti l’ovulazione e in linea di massima vanno dal decimo al
quattordicesimo giorno del ciclo se quest’ultimo è regolare e di 28 giorni. Ciò è vero per una donna giovane
al di sotto dei 35 anni. Una donna di età superiore ai 35 anni ha più probabilità di avere contemporaneamente
l’instaurarsi di altre patologie (per esempio ovaio policistico, ipotiroidismo, diabete) che possono influenzare
il suo ciclo e quindi il suo periodo di fertilità che diviene molto variabile. Questo rappresenta un problema
molto frequente nella nostra società dove tendenzialmente si cerca un figlio dopo i trent’anni.

La definizione proposta presenta un errore concettuale: pone come limite i 12 mesi senza considerare l’età
della partner. Il professore sottolinea che difatti si tratta di una definizione americana: negli Stati Uniti il
sistema sanitario è completamente diverso poiché si basa sui rimborsi dati dalle assicurazioni e quindi sulle
loro linee guida (NCCN). In Italia il diritto alla salute viene garantito a prescindere dall’assicurazione per cui
alla definizione di infertilità è stata aggiunta una precisazione: se la partner ha più di 35 anni, i mesi di mancato
ottenimento di una gravidanza non sono più 12 ma scendono a 6. Bisogna considerare infatti che dopo i 35
anni il rischio di sindrome di Down nel neonato aumenta dell’1% l’anno. Aspettare altri sei mesi per rispettare
la definizione americana comporterebbe una perdita di tempo e quindi un aumentato rischio di alterazioni
genetiche. Inoltre è bene sempre ricordare che la menopausa inizia ad instaurarsi dai 35 anni in su. La
menopausa rappresenta la fine del ciclo mestruale: l’ultima ovulazione anticipa di 5/6 anni la menopausa. Per
cui donne in menopausa a 45 anni avranno avuto l’ultima ovulazione già a 38 anni. Per cui attendere altri sei
mesi vorrebbe dire rischiare di non avere più ovulazione e quindi di non avere più la possibilità di avere figli.

Si stima che 1 coppia su 8 ha problemi di fertilità: è un numero molto elevato. L’Italia negli anni ’60 era uno
dei paesi più fertili d’Europa. Successivamente c’è stata un’inversione: oggi siamo tra i paesi più infertili con
1.35 figli per ogni donna in età fertile (pochissimo se si paragona con gli Stati Uniti dove i figli per donna in
età fertile sono all’incirca 2.3). Questo dato preoccupa tenendo conto del fatto che si stima che il minimo per
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evitare l’estinzione della specie sia 2.1: in Italia il valore è nettamente più basso. Ciò è probabilmente dovuto
anche al fatto che nel nostro paese la prima gravidanza viene ritardata per motivi sociali, economici, culturali
e persino di inquinamento ambientale. In Veneto una ricerca ha stabilito che l’utilizzo di bifosfati in
agricoltura rappresenta un fattore di rischio per l’infertilità.
In una coppia su due che si presenta al medico per infertilità la componente causa è maschile. Qui sta un limite
culturale enorme, retaggio del maschilismo: la nostra cultura supponeva fosse la donna normalmente ad essere
infertile in una coppia che non riusciva ad avere figli. Oggi sappiamo che non è così: il 50% delle coppie non
riesce ad avere figli a causa di un’infertilità maschile.

2.3 Diagnosi: ANAMNESI


Dalle slide: La diagnosi prevede innanzitutto l’anamnesi con particolare riferimento a professione, abitudini
voluttuarie e pregressi interventi.
La prima domanda da porre ad una coppia che sta provando ad avere un figlio ma non ci riesce, pur avendo
rapporti non protetti costanti nei giorni fertili femminili, riguarda l’età della donna. La possibilità di gravidanza
spontanea in una donna di età superiore a 40 anni scende allo 0.5%. Ciò non implica che sia impossibile ma
semplicemente che la probabilità è estremamente bassa e avviene in modo sempre meno frequente con
l’avanzare dell’età della paziente.

2.4 Diagnosi: SPERMIOGRAMMA


Si procede poi con esami di laboratorio tra cui il primo è lo spermiogramma. Lo spermiogramma è l’analisi
del liquido spermatico raccolto dopo almeno 3 fino a massimo 5 giorni di astinenza. I parametri analizzati sono
codificati rigidamente dal WHO. Anche qui c’è un limite: questi valori sono stati raccolti da una popolazione
del Nord Europa. I valori di uno spermiogramma di un soggetto di differente origine, per esempio Nord
Africana, devono essere valutati e interpretati con criticità.

I valori chimico-fisici valutati da uno spermiogramma sono:


- VOLUME: indica se la raccolta è sufficiente e attribuibile al paziente
- pH: di importanza relativa, può indicare la presenza di infezione in atto
- Dalle slide in aggiunta: fluidificazione, viscosità, aspetto, colore

L’analisi della parte corpuscolata comprende invece tre parametri fondamentali:


- La quantità, cioè il numero di spermatozoi totale. Non si guarda la concentrazione perché questa è
estremamente dipendente e influenzata dalla quantità di sperma (volume).
La presenza di un basso volume di sperma viene definito oligoposia.
Un basso numero di spermatozoi nello sperma viene definito oligospermia.
Un numero tanto basso di spermatozoi da avere difficoltà a vederne viene definito criptozoospermia.
L’assenza di spermatozoi nel liquido seminale viene definito azoospermia.
- Valutazione della motilità: è un parametro relativo espresso in percentuale e influenzato dal numero
di spermatozoi presenti. In un soggetto con un numero molto alto di spermatozoi (per esempio 99
milioni, quasi il doppio dei valori di riferimento), una motilità del 50% non è una variabile tanto
importante quanto in una persona che ne ha quantitativamente la metà dei suoi spermatozoi.
Il professore si dilunga spiegando come si è assistito negli anni ad un peggioramento della qualità dello
sperma che ha portato alla modifica dei valori di riferimento.
La lentezza di movimento degli spermatozoi viene definita astenospermia. È uno dei parametri che più risente
dell’influenza ambientale. Per esempio, ambienti caldi diminuiscono la motilità degli spermatozoi: questo è il
motivo per cui cuochi e pizzaioli sono categorie a rischio di infertilità. Il professore si dilunga in un altro
esempio in cui la temperatura ambientale influenza questo parametro: l’abitudine alla sauna in Finlandia,
pone il dilemma per il quale i finlandesi, pur in queste condizioni, rimangono la popolazione più fertile
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d’Europa. La possibile infertilità maschile dell’uomo finlandese è compensata dall’età molto giovane della
partner. È per questo che un’alterazione della motilità degli spermatozoi in Finlandia non diviene
clinicamente significativa.
- L’analisi della forma degli spermatozoi è l’ultimo parametro, il più dibattuto ma validato. Esiste una
codificazione di valutazione. L’uomo, come primato superiore, ha almeno un 4% di spermatozoi in
forma normale. Sostanzialmente dal 96% al 85% degli spermatozoi che l’uomo produce sono alterati
nella forma. È per questo che i primati superiori tendono ad essere infertili. Ciò lo differenzia dal
coniglio che, con il 100% di spermatozoi morfologicamente normali, è divenuto il modello animale
per eccellenza di fertilità. La bassa percentuale di spermatozoi fertili nell’uomo è tipica delle specie
più evolute.
La forma degli spermatozoi è un parametro operatore dipendente poiché vengono definite al microscopio da
un biologo ed è perciò influenzato dal suo parere. Il professore afferma infatti che l’analisi dello
sperma dallo stesso paziente in centri clinici differenti porterà necessariamente a differenze, anche
significative, in percentuale di spermatozoi con forma normale.
L’alterazione delle forme sotto il 4% viene chiamata teratospermia.
- Dalle slide: presenza di cellule germinali immature, globuli bianchi, globuli rossi, cellule epiteliali e
corpuscoli prostatici. Questi parametri servono per capire se i dati sono attendibili.

L’analisi citofluorimetrica consiste nella valutazione della cromatina nucleare degli spermatozoi. Dalle slide:
Riguarda la valutazione del Fragmentation Index del DNA (% DFI; % spermi contententi DNA denaturato) e
della Hight DNA Stainability (HDS; % spermi con condensazione cromatinica incompleta). Sono dei parametri
che vanno a valutare la qualità del DNA o la quantità di DNA che risponde a stress. Sono tuttavia dei parametri
non validati né standardizzati. Nei centri di fecondazione medicalmente assistita vengono comunque eseguiti.

L’ultimo parametro analizzato in uno spermiogramma riguarda le agglutinazioni ovvero la presenza di anticorpi anti-
spermatozoi. In alcuni casi è possibile notare la presenza di spermatozoi ricoperti da anticorpi. È una situazione
potenzialmente patologica perché gli spermatozoi non dovrebbero venire in contatto con il sistema
immunitario.
Gli anticorpi anti-spermatozoo possono formarsi per diversi motivi. Uno di questi è il trauma testicolare, su cui il
professore si dilunga spiegando come sia una delle principali questioni in ambito medico-legali, in medicina
legale l’incapacità di procreare segue soltanto la morte.

2.5 Diagnosi: INDAGINI EMATICHE


La diagnosi di infertilità viene posta anche valutando i parametri ematici di:
- FSH (Ormone Follicolo Stimolante): rappresenta il controllo dell’ipofisi sul testicolo e induce la
produzione di spermatozoi.
- LH (Ormone Luteinizzante): è la linea endocrina del controllo dell’ipofisi sul testicolo e induce la
produzione di testosterone.
- PROLATTINEMIA: è un indice raramente alterato. Essendo un ormone dello stress, un lieve aumento
del valore può essere dovuto alla paura dell’esame di laboratorio. A differenza della donna, nell’uomo
il ruolo della prolattina non è del tutto chiaro tuttavia è stato dimostrato che la presenza di prolattinomi
(che portano a valori molto alti di prolattina) inducono infertilità.
- TESTOSTERONEMIA TOTALE: serve per valutare la risposta del testicolo all’ormone luteinizzante.
- Il professore ricorda che la risposta del testicolo all’ormone follicolo stimolante è già stata trattata
con lo spermiogramma.

2.6 Diagnosi: TEST GENETICI

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Esistono almeno centocinquanta alterazioni correlate all’infertilità. Tuttavia l’utilità clinica è nulla finché non
è presente una terapia genica.
Le uniche sindromi che abbiamo interesse ad indagare sono:
1. Fibrosi cistica3. Questa patologia nel portatore sano è associata ad atrofia dei dotti deferenti. Il paziente
risulta infertile (azoospermico) non perché non produce spermatozoi (i testicoli infatti sono normali)
ma perché non riesce a farli uscire attraverso i deferenti. In questi casi l’infertilità può essere risolta
facilmente con il prelievo di spermatozoi dal testicolo e la fecondazione assistita. Lo scopo di indagare
la presenza di uno stato di portatore sano di fibrosi cistica riguarda la possibilità nel 25% dei casi di
dare un figlio sintomatico se anche la madre risulta portatrice sana.
(Il paziente consapevole di essere affetto di fibrosi cistica quindi NON portatore sano, sa di essere infertile)
2. Microdelezioni del cromosoma Y4 di cui si stimano esserci due forme incurabili (forma A e B) e una
forma C risolvibile chirurgicamente.
3. Sindrome di Klinefelter5: diagnosticabile con analisi del cariotipo. La sindrome è data dalla presenza
di due cromosomi Y e porta ad infertilità e a deficit di testosterone. La diagnosi precoce è fondamentale
nel bambino per iniziare subito una terapia a base di testosterone ed evitare tutte le complicanze e
permette anche di avere più probabilità di trovare spermatozoi e quindi più possibilità di evitare
l’infertilità. Esistono sindromi di Klinefelter in mosaicismo asintomatici di cui il paziente non ne è a
conoscenza e viene a scoprilo in seguito alla ricerca della causa
della sua infertilità.

2.5 Diagnosi: IMAGING ECOGRAFICA TESTICOLARE


L’imaging ecografica testicolare serve per valutare il volume dei testicoli.
È bene ricordare che il maschio infertile è a rischio di sviluppare il tumore
al testicolo, visibile ad ecografia scrotale.
L’ecografia prostatica trans rettale è di utilità dibattuta. L’evidenza di
un’infezione o calcificazione prostatica può confermare un eventuale
spermiogramma con marcata presenza di leucociti.

2.6 TERAPIA
La scelta di una terapia adeguata va valutata in base al paziente e alle alterazioni diagnosticate.
Per alterazioni della motilità o della forma con alterazioni dei numeri dello spermiogramma non
particolarmente significative (criptospermia), la terapia medica ha un ruolo rilevante. Consiste nell’utilizzo
di antiossidanti fitoterapici. La loro efficacia è dibattuta: non esiste ancora una revisione e validazione ufficiale

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La fibrosi cistica è la malattia genetica grave più diffusa. E’ una patologia multiorgano, che colpisce soprattutto l’apparato respiratorio e
quello digerente. E’ dovuta ad un gene alterato, cioè mutato, chiamato gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator), che determina la
produzione di muco eccessivamente denso. Nei casi più gravi la terapia consiste nel trapianto di cuore e polmoni. Nella fibrosi cistica l’infertilità
maschile è determinata da un anormale sviluppo dell’apparato genitale: sono normali i testicoli dove sono prodotti gli spermatozoi, ma c’è sviluppo
incompleto e/o anomalo dei dotti deferenti, i canali che dai testicoli vanno all’uretra. Di conseguenza gli spermatozoi hanno un’ostruzione del loro
percorso normale e il quadro è quello di un’azoospermia detta appunto “ostruttiva” dovuta a questa assenza parziale o totale dei vasi deferenti
(Congenital Bilateral Atresia Vasa Deferens). Spesso anche le vescichette seminali, due ghiandole che si trovano vicino alla prostata e sono responsabili
della produzione della maggior parte del liquido in cui gli spermatozoi sono immersi (e quindi del volume dell’eiaculato), sono alterate. Una quota
minore del liquido seminale è prodotta dalla prostata, normalmente presente e funzionante. Per questo, nella fibrosi cistica lo spermiogramma è
caratterizzato sia dall’assenza degli spermatozoi che dalla riduzione del volume del liquido spermatico.

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Le microdelezioni del braccio lungo del cromosoma Y rappresentano la seconda causa di infertilità maschile dopo la sindrome di Klinefelter. Il test
fornisce la diagnosi all’infertilità maschile. E inoltre possibile decidere se procedere o meno con una TESE in base al risultato ottenuto. Infine, in caso
di oligospermia, il test permette di valutare il congelamento dello sperma per preservare la fertilità. In questo caso va sempre comunicato alla coppia
che i figli maschi avranno il medesimo problema di sterilità del padre. Per questo motivo, il risultato del test genetico va comunicato alla coppia
nell’ambito di una consulenza genetica con un medico abilitato.

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La sindrome di Klinefelter è una malattia genetica, cronica ed ex rara, caratterizzata da un'anomalia cromosomica in cui un individuo di sesso maschile
possiede un cromosoma X soprannumerario. Molte persone affette dalla sindrome di Klinefelter non presentano alcun segno fino alla pubertà, quando
le caratteristiche fisiche della condizione diventano più evidenti; in alcuni casi non si verifica una sintomatologia conclamata, con l'eccezione della
sterilità o comunque di una forte riduzione della fertilità, e la diagnosi è conseguentemente formulata una volta che è stata raggiunta la maturità sessuale.
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nella medicina della riproduzione. Il professore si dilunga spiegando come non è mai stato fatto un vero trial
randomizzato a doppio cieco per evidenziare l’efficacia di questi farmaci. Questo perché nessuna industria
farmaceutica si farà mai carico degli ingenti costi a fronte di una molecola non brevettabile che si trova già
in natura in una pianta.
Altra possibilità di terapia medica riguarda la terapia ormonale. A differenza della donna, l’uomo presenta un
solo ormone utile e somministrabile: FSH. Nel maschio oligospermico la somministrazione di questo ormone
stimola la produzione di spermatozoi. L’FSH esiste in diverse forme: la forma ricombinante è prodotta tramite
batteri e plasmidi. La forma naturale prevede l’isolamento dell’ormone già formato dalle urine delle donne in
menopausa. Ha diversi gradi di efficacia. Possono essere utilizzati in pazienti oligospermici con valore di FSH
inferiore a 8 (valore considerato normale in un paziente giovane fertile). Gli effetti collaterali sono nulli perché
questo ormone nell’uomo va ad agire solo sulla linea germinale. Nella donna la somministrazione di FSH viene
utilizzata nella fecondazione assistita ma ha effetti collaterali nettamente maggiori.

La terapia chirurgica consiste nel recupero chirurgico-operativo degli spermatozoi.


L’azoospermia può avere diverse cause (alcune già affrontate). Si distingue un’azoospermia costrittiva quando
un testicolo produce spermatozoi ma questi non riescono ad uscire. È la situazione di un paziente che ha fatto
vasectomia o ha avuto un trauma o è affetto da fibrosi cistica.
In questi casi si procede al recupero e all’utilizzo immediato
degli spermatozoi mediante tecnica di fecondazione assistita.
Viene svolto in ambulatorio con un aghetto simile a quello
utilizzato per il prelievo di sangue, si aspira la polpa testicolare
e si procede ad isolare gli spermatozoi più mobili e vitali. Lo
sperma può essere prelevato anche a livello dell’epididimo
dove arrivano tutti gli spermatozoi. Quest’ultimo caso viene
utilizzato quando l’ostruzione è datata cioè è presente da
tempo e quindi l’epididimo si dilata e si riesce ad andar a pungerlo e a prender gli spermatozoi. La motilità
degli spermatozoi presi a livello dell’epididimo è maggiore perché sono tendenzialmente più maturi.

In un caso di azoospermia di tipo secretivo invece ci si aspetta un paziente che di fatto produce pochi
spermatozoi: l’FSH sarà alto perché l’ipofisi continua a cercare di stimolare il testicolo a produrre più
spermatozoi ma il testicolo non risponde. Per questo caso vengono indicate due tecniche chirurgiche:
1. Biopsia testicolare classica o TESE (Testicular Sperm Extraction): consiste in prelevare gli
spermatozoi dal testicolo. Non vengono utilizzati immediatamente ma vengono isolati e congelati per
un successivo utilizzo in fecondazione assistita.
2. Tecnica più raffinata: MICROTESE (Microsurgical Testicular Sperm Extraction): consiste in una
ricerca degli spermatozoi con microscopio. È una procedura dibattuta perché normalmente si
prelevano pochi spermatozoi. Per svolgere una fecondazione assistita efficace non è sufficiente avere
un solo spermatozoo, ma se ne necessitano parecchi. Questo perché vanno selezionati, analizzati e in
ogni manovra ne può morire fino ad una metà. Per esempio il passaggio dal congelamento allo
scongelamento uccide metà degli spermatozoi e averne pochi rischia di render vano il prelievo.
L’obiettivo di queste tecniche deve essere prelevare e utilizzare un numero sufficiente di spermatozoi
per garantire una gravidanza a termine.

Domanda di uno studente: La dieta e lo stress influenzano la fertilità maschile? Risposta del professore: È
dimostrato che la dieta influenza enormemente il tasso di fertilità. L’influenza dello stress è difficilmente
studiabile. Bisogna tener in considerazione che studi su popolazioni diverse in condizioni ambientali diverse
danno risultati diversi e non prevedibili. Le ultime ricerche riguardano le conseguenze dell’esposizione a

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campi magnetici. Studi hanno confermato che fumo e sostanze stupefacenti (marijuana) sono causa di
infertilità.

Domanda di uno studente: c’è una correlazione tra deodorante e infertilità (riferendosi a studi a riguardo)?
Risposta del professore: Inevitabilmente qualsiasi sostanza che assorbiamo si accumula nei tessuti tra cui il
testicolo. Lo spermiogramma, esprimendo l’esposizione a sostanze dai 25 ai 75 giorni precedenti, potrebbe
diventare un test per la rilevazione di utilizzo di sostanze stupefacenti molto più efficace dell’esame sulle urine.
Sostanze derivate dai deodoranti potenzialmente possono essere ritrovati nello sperma. Tuttavia la
dimostrazione che queste sostanze provochino un danno correlato all’infertilità è stato dimostrato solo in vitro
e non ancora in vivo.

Interviene il Prof Zani specificando che le domande all’esame verteranno in modo particolare sugli aspetti
trattati a lezione. Il professore ribadisce la sua disponibilità a chiarimenti contattando lui o la segreteria.

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Lezione n°11 del 29/5/2019
Materia: urologia
Appunti di: G.M.
Argomenti: carcinoma prostatico

Questa sarà la penultima lezione, l’ultima si terrà mercoledì 5 Giugno.


Si conclude il carcinoma prostatico.
Il professore ricorda che le problematiche della prostata riguarderanno numerosi specialisti, non soltanto chi
sceglierà di fare l’urologo, motivo per cui bisogna essere preparati sull’argomento e anche sui trattamenti a cui
i pazienti dovranno sottoporsi per diagnosi e cura.

Nell’ultima lezione sono state trattate le neoplasie delle alte vie escretrici sottolineando le somiglianze con le
neoplasie vescicali in quanto entrambe originano dall’urotelio, epitelio che riveste anche i calici e il bacinetto
renale.
Considerando il tumore del rene bisogna distinguere la neoplasia che origina dal parenchima, da quello delle
vie escretrici, in quanto anche il trattamento è diverso. Nel primo caso si esegue una nefrectomia o
tumorectomia (quando si rimuove solo il tumore), nel secondo caso si esegue una nefroureterectomia, metodica
con cui si rimuovono sia il rene che l’uretere, dato che in questo potrebbero trovarsi delle cellule tumorali, per
precauzione viene tolto.

La lezione dell’anno scorso (n° 6 del 18/4/2018), probabilmente spiegata da qualcun altro, è molto più completa
ed esaustiva.

Adenocarcinoma della prostata


(è più corretto parlare di carcinoma piuttosto che di tumore, poiché con il termine carcinoma viene definita
anche l’istologia)

La prostata può essere interessata sia da patologie benigne che maligne. L’adenoma della prostata (ipertrofia
prostatica benigna) è una condizione benigna molto comune dopo i 50 anni, che si presenta con sintomi di
disfunzione urinaria caratteristici come disuria (difficoltà nello svuotare la vescica), mitto ipovalido ed
esitazione, dovuti ad un ingrossamento della parte centrale della ghiandola che comprime l’uretra.

Il tumore maligno, ovvero l’adenocarcinoma della prostata, oggi viene diagnosticato precocemente in assenza di
disturbi urinari grazie ai test di screening che ricercano e dosano il PSA.
La possibilità che compaiano cellule tumorali nella prostata è correlata
all’età; circa l’80-90% degli ultraottantenni presentano la neoplasia che,
tuttavia, quando limitata e confinata alla prostata, non mette a rischio la
loro vita e solitamente questi pazienti moriranno per altre cause, ma non
per il tumore.

La prostata si sviluppa per effetto del testosterone, tipico ormone


androgeno, prodotto dal testicolo e in piccola parte dalle ghiandole
surrenali. Anche le cellule tumorali necessitano per il loro
accrescimento del testosterone, oggi infatti si usa la terapia
antiandrogenica per bloccare la crescita tumorale, in passato, invece, si
usavano gli estrogeni (ormoni femminili).
(Higgins nel 1941 ricevette il premio Nobel per aver scoperto come si
sviluppava il tumore)

La prostata fa parte dell’apparato riproduttivo maschile, non produce ormoni, ma la sua funzione è quella di
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produrre il liquido prostatico (componente liquida) che, insieme agli spermatozoi (componente cellulare),
costituisce il liquido seminale. È proprio il liquido prostatico, infatti, a garantire la vitalità degli spermatozoi.

I tumori maligni della prostata si sviluppano più frequentemente nella zona periferica della ghiandola; l’adenoma
(benigno), invece, nella zona centrale o di transizione. Ciò non esclude però che anche il tumore possa
svilupparsi nella zona di transizione.

Lo sviluppo in periferia ha due risvolti:


● il tumore si troverà lontano dall’uretra e quindi non darà sintomi urinari che però potranno comparire
tardivamente se il tumore riesce a raggiungere la parte centrale;
● essendo la parte periferica a contatto con il retto c’è rischio di infiltrazione. L’esplorazione rettale e la
biopsia della prostata con sonda rettale sono possibili proprio grazie a questo stretto rapporto.

Vie di diffusione
Il carcinoma prostatico presenta tre possibili vie di diffusione e metastatizzazione:

- diffusione locale: dalla periferia il tumore può raggiungere l’uretra diventando in questo modo palpabile
oltre che visibile alle indagini radiologiche;
- diffusione linfatica: i linfonodi più colpiti sono quelli iliaci interni ed esterni (in prostatectomia radicale
si esegue anche la linfoadenectomia; l’arteria iliaca viene ripulita dal tessuto circostante contenente
linfonodi a volte non macroscopicamente visibili) e quelli otturatori (contenuti in fossa otturatoria, in
vicinanza dei nervi otturatori che se vengono stimolati provocano il movimento della gamba o della coscia
del paziente. Questa situazione è pericolosa durante un intervento perché c’è un alto rischio di lesionare
l’arteria iliaca);
- diffusione a distanza per via ematica: la prima sede di metastasi a distanza è lo scheletro (ad es. le
vertebre), il quale viene raggiunto dalle cellule neoplastiche attraverso il plesso di Batson (anche
chiamato plesso venoso epidurale; è un sistema di vene sprovviste di valvole che connette le vene pelviche profonde
e toraciche, che drenano il sangue dalla vescica urinaria, dalle mammelle e dalla prostata, ai plessi venosi
vertebrali interni e da qui ai corpi vertebrali e al cranio. È parte del sistema venoso cerebrospinale. Da wikipedia)

Diagnosi
PSA
La diagnosi di laboratorio del carcinoma prostatico si basa principalmente sulla valutazione e sulla
quantificazione dei livelli sierici di PSA (Antigene Prostatico Specifico), la quale è una glicoproteina prodotta
dalla prostata in condizioni fisiologiche: ciò che è considerato anomalo è la presenza di livelli di PSA superiori
alla soglia.
Il PSA è dosabile nel sangue ma si trova anche nel liquido seminale dove ha l’importante funzione di impedirne
l’agglutinazione rendendolo fluido (cosa che si verifica quando esce all’esterno).
Tuttavia, una piccola quantità di PSA si trova in circolo, ed è per questo dosabile.

In presenza di tumore (ma anche altre circostanze come infiammazione, traumi, ischemia) la rottura della
membrana basale favorisce la trasmigrazione del PSA in circolo, perciò i suoi livelli si alzano.
Il cut-off del livello di PSA nel sangue è 4 ng/ml. Tuttavia, valori più elevati non sempre sono associati a
presenza di tumore.
Esiste una correlazione statisticamente significativa secondo cui più è elevato il valore del PSA più è alta la
probabilità che il paziente abbia un tumore della prostata, però tale valore può aumentare anche in altri casi.
Frequentemente si riscontrano valori elevati durante i processi infiammatori, come la prostatite.
Allo stesso modo, valori nella norma di PSA non escludono la presenza di carcinoma prostatico se supportato da
altre indagini cliniche.

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Quindi il dosaggio del PSA rientra nel percorso diagnostico del tumore alla prostata, ma va ricordato che è un
marcatore specifico della prostata (marker organo-specifico) NON tumore-specifico, infatti valori elevati sono
indice di qualcosa di anomalo ma non necessariamente di tumore.

Tali marcatori risultano molto utili perché possono smascherare un tumore con semplici esami del sangue.
In ambito urologico, oltre al PSA, si dosano Alpha-fetotoproteina, beta-hCG (marker usato anche in
gravidanza), lattico-deidrigenasi (LDH) per il tumore al testicolo.
Per i tumori del rene, dell’alta via urinaria e della vescica, invece, non ci sono marker tumorali da poter sfruttare
in pratica clinica, tuttavia, la ricerca di cellule neoplastiche nelle urine tramite citologia urinaria è molto utile per
i tumori delle alte vie escretrici e della vescica.

I valori normali di PSA sono inferiori a 4 ng/ml, ma esiste una cosiddetta zona grigia di valori, compresa tra 4 e
10 ng/ml, che merita ulteriori approfondimenti per capire a cosa sia effettivamente dovuto l’aumento del valore,
perché è vero che il rischio è aumentato per valori superiori a 4ng/ml ma in realtà fino a 10ng/ml è ancora una
zona dubbia, mentre dopo i 10ng/ml il rischio è concretamente aumentato.
Per questo esistono altre elaborazioni del PSA che, partendo sempre dal suo dosaggio nel sangue ci permettono
di avvicinarci alla diagnosi con più accuratezza.
Particolarmente utile è il calcolo del rapporto percentuale tra il PSA libero (non legato alle proteine plasmatiche)
e il PSA totale, che permette di fare diagnosi differenziale tra carcinoma e patologia benigna: se tale rapporto è
<15%, c’è un maggiore rischio di sviluppo di carcinoma, mentre se è >15% probabilmente ci sarà un processo
infiammatorio in corso.

Altre elaborazioni del PSA:

● PSA density: quoziente tra valore di PSA nel sangue e volume della ghiandola valutato attraverso
un’ecografia trans-rettale; la probabilità d’insorgenza di carcinoma è maggiore se tale rapporto è >0,15
ng/ml/g. (il g, grammo, è riferito alla prostata)
● PSA velocity: velocità di incremento dei livelli di PSA in un anno; la probabilità d’insorgenza di
carcinoma prostatico è maggiore se questo rapporto è superiore a 0,75 ng/ml/anno.
● PSA doubling time: tempo necessario per il
raddoppiamento dei valori di PSA.

ESPLORAZIONE RETTALE
Inserendo il dito nel retto si può apprezzare la prostata, ed in caso
di patologia tumorale si possono riscontrare:
● dimensione aumentata = è utile valutare se la prostata si
ingrandisce tra una visita e quella successiva;
● consistenza aumentata = una zona dura corrisponde del
99% dei casi a un tumore, tuttavia non è cosi frequente
riscontrarla, è una caratteristica delle fasi più tardive. Oggi
le diagnosi sono, generalmente, più precoci.

3/6
● superficie della prostata = l’irregolarità fa pensare a
qualcosa che cresce

ECOGRAFIA TRANSRETTALE
La sonda ecografica viene inserita nel retto e le aree tumorali si
presentano come zone ipoecogene.
(La prima proposta di ecografia transrettale consisteva in una
sedia che al centro aveva una sonda su cui il paziente doveva
sedersi)

BIOPSIA
Solo l’esame istologico consente di porre diagnosi certa di
neoplasia. La visita non è sufficiente per porre diagnosi, poiché anche se l’aumento della consistenza è
frequentemente correlata al tumore, si può verificare anche in altre circostanze, come calcolosi prostatica o
alcuni tipi di infiammazione.
La biopsia è eseguita per via trans-perineale, in anestesia locale, ed è generalmente ben tollerata dai pazienti.

[il professore consiglia di ripassare cos’è il perineo, soprattutto si raccomanda di non confonderlo con il
peritoneo!!
Il perineo è una zona a forma di losanga delimitata da sinfisi pubica anteriormente, dal retto posteriormente, sui
lati dalle tuberosità ischiatiche. Sotto il sacco scrotale, c’è il perineo formato da vari strati di cute.]

L’esame viene svolto sotto guida ecografica, la sonda è inserita nel retto e si preleva materia da biopsiare da
almeno 12 punti diversi della prostata, prevalentemente nella zona periferica. Questa procedura si definisce
mapping prostatico. Si tratta di un vero e proprio mappaggio delle diverse zone della prostata, poiché nella
maggioranza dei casi il tumore non è percepibile con il dito né visibile tramite ecografia. (Solo in alcuni casi,
con l’ecografia, si vedono delle aree ipoecogene, diverse dal normale ma che potrebbero anche essere dei noduli
benigni).
Si eseguono quindi più prelievi per aumentare la probabilità di trovare cellule tumorali poiché il tumore potrebbe
essere localizzato solo in alcune porzioni della ghiandola.

Teoricamente la biopsia potrebbe anche essere effettuata per via transuretrale (come in una cistoscopia) e si
potrebbero prelevare dei pezzetti dai lobi prostatici. Tuttavia, siccome il tumore nasce dalla periferia e viene a
trovarsi nella zona più lontana dall’uretra, questo approccio è meno utilizzato. Inoltre i 12 prelievi devono poter
essere effettuati in più zone, per poter valutare in quale focolaio si trova il tumore.

Quindi, in base all’esito della biopsia, al grading, alla quantità di PSA in circolo e alle sedi dei focolai tumorali, è
possibile differenziare le neoplasie clinicamente significative da quelle quiescenti che potrebbero non evolvere e
verso le quali si attua sorveglianza attiva.
(Per sorveglianza attiva si intende il controllo di come evolve il tumore e se qualcosa dovesse cambiare si
valuta se intervenire. A volte la sorveglianza può durare tutta la vita. Il tumore può evolvere nell’arco degli anni
ma anche non progredire.)

Cosa si intende per “sorveglianza attiva” è una possibile domanda d’esame

STADIAZIONE TNM
Anche il tumore alla prostata è stadiato con TNM.

- T1 poche cellule non visibili macroscopicamente in un unico lobo


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- T2 neoplasia confinata all’interno della prostata ma coinvolge entrambi i lobi
- T3 il tumore esce dalla capsula
- T4 il tumore infiltra le vescicole seminali ed organi vicini come retto e vescica

La biopsia fornisce informazioni sull’istotipo (nella maggior parte dei casi adenocarcinoma acinare), sul
grading cellulare (che valuta il grado di differenziazione delle cellule assegnando un valore da G1, cellule
altamente differenziate correlate a una prognosi migliore, a G3, cellule scarsamente differenziate e con prognosi
peggiore), e grading istologico, valutato attraverso il Gleason Score (GS).
Il GS è un parametro che fornisce informazioni morfo-strutturali dei pattern di crescita dei tumori, si ottiene
sommando di due punteggi (da 1 a 5, ma di solito in presenza di tumore si parte da 3): il primo punteggio è
quello della componente predominante della ghiandola, il secondo della componente più aggressiva.
Mentre il grading cellulare è un parametro utilizzato per tutti i tumori, il Gleason Score è esclusivo del tumore
alla prostata e riconosciuto in tutto il mondo.

[da Lezione 06 del 18/04/2018: Il Gleason Score è un parametro valutativo fondamentale per il carcinoma
prostatico, che considera il grado di organizzazione citoarchitetturale e i rapporti della massa neoplastica con
lo stroma, permettendo sia di effettuare una correlazione con diverse classi di prognosi, sia di classificare il
paziente in tre diverse classi di rischio: basso, intermedio ed elevato.
Il GS è ottenuto attraverso la somma di due pattern istologici:
1) il primario, o pattern prevalente, riscontrato dall’anatomopatologo nel campione tissutale inviatogli
2) il secondario, ossia il secondo pattern più comune;
A ognuno di essi viene attribuito un punteggio da 1 a 5, associato a un grado di malignità crescente: al
punteggio 1 corrisponde un quadro costituito da ghiandole uniformi e piccole, con mantenimento della struttura
della prostata, mentre il punteggio 5 corrisponde a una perdita totale della normale architettura istologica. Di
conseguenza, il GS può variare da un punteggio minimo di 2 a un punteggio massimo di 10, individuando
cinque diversi gruppi prognostici:

- Gruppo I: GS ≤ 6
- Gruppo II: GS= 7 (3+4)
- Gruppo III: GS= 7 (4+3)
- Gruppo IV: GS= 8
- Gruppo V: GS= 9-10
Il Gleason Score è tipico del tumore della prostata e la sua
influenza sulla prognosi è di fondamentale importanza: dal
momento che il carcinoma prostatico colpisce principalmente
soggetti di età avanzata si è ipotizzato che si tratti di un
tumore a lenta crescita; ciò in linea di massima risulta essere
vero.
Tuttavia la presenza di un GS elevato corrisponde anche a un
rischio elevato di progressione e diffusione metastatica del
tumore, con conseguente innalzamento della mortalità]

Terapia
La scelta della migliore terapia deve tener conto di:
● età e spettanza di vita;
● estensione della malattia; un micro focolaio ha basse probabilità di svilupparsi o dare problemi;

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● patologia concomitante (ad esempio una cardiopatia che costituisce essa stessa un rischio per certi
interventi)
Prostatectomia
L’ideale è l’intervento radicale con cui viene rimossa tutta la prostata.
[Altri interventi radicali sono la nefrectomia radicale in cui si rimuove anche il grasso intorno al rene, la
cistectomia radicale con cui si rimuove tutta la vescica ed anche la prostata poiché potrebbero esserci cellule
tumorali nell’uretra prostatica.]
In passato la prostatectomia radicale si eseguiva in chirurgia open, oggi in laparoscopia e in alcuni ospedali la
strumentazione è controllata da braccia robotiche. Con robot si intende, in questo caso, una macchina servo-
assistita in cui l’operatore esegue dei movimenti che vengono di pari passo ripercorsi dal macchinario (non si
tratta quindi di procedure eseguite in automatico dal macchinario).

La prostatectomia radicale può avere due spiacevoli conseguenze:


● incontinenza urinaria da sforzo, che si manifesta con perdita di qualche goccia di urina durante
l’esecuzione di movimenti che causano un aumentano della pressione addominale, dovuta anche al fatto
che i meccanismi sfinterici sono indeboliti dall’intervento
● deficit erettile che può verificarsi qualora siano lesionate alcune strutture vascolari e nervose che si
trovano in vicinanza della prostata. Il rischio è presente anche quando si attua la tecnica “nerve sparing”
cioè di risparmio dei nervi.
È giusto informare i pazienti su questi rischi che possono portare il paziente a rinunciare all’intervento.

Radioterapia, in alternativa alla chirurgia radicale, può essere fatta con fasci esterni o con fasci interni
(brachiterapia).

Terapie ormonali antiandrogene, spesso si tratta di terapie palliative in pazienti anziani con metastasi in cui si
cerca di bloccare la progressione del tumore.

6/6
Lezione n° 12 del 05/06/2019
Materia: Urologia
Appunti di: O. N.
Argomenti: tumore parenchimale del rene e casi clinici

[La lezione è divisa in due parti, entrambe svolte da specializzande di Urologia. La prima parte tratta il
tumore parenchimale del rene, la seconda casi clinici. Il tutto è stato ulteriormente commentato dal
professor Simeone, di cui riporto i commenti in corsivo.]

TUMORE PARENCHIMALE DEL RENE

Nelle scorse lezioni si è parlato dei tumori della via


escretrice che sono localizzati nel bacinetto o nei
calici renali; queste pur trovandosi nel rene sono
delle neoplasie di origine uroteliale ed in qualche
modo hanno una origine comune a quella del
tumore della vescica. Il trattamento di questo
tumore prevede la nefroureterectomia.

Per quanto riguarda i tumori parenchimali del


rene, questi possono essere sia maligni che benigni.
Quelli maligni sono la maggioranza e solitamente
si tratta di adenocarcinomi. La storia naturale di
questa neoplasia è molto cambiata nel tempo: prima questa neoplasia veniva riscontrata in seguito alla
rilevazione di una triade di sintomi (ematuria, massa renale a livello del fianco, dolore lombare), ora questi
tre sintomi sono rari da riscontrare. In questi casi, quando possibile, si fa l’asportazione solo del tumore,
conservando la parte sana del rene non intaccato dal tumore, talvolta anche utilizzando la tecnologia
robotica.

1. CLASSIFICAZIONE
Innanzitutto, bisogna distinguere i tumori del parenchima renale da quelli della via escretrice, poiché hanno
due nature completamente diverse, quindi un decorso, un trattamento ed un follow up completamente
differente.
La forma di tumore del parenchima renale è un adenocarcinoma a cellule renali e si verifica in oltre il 90%
dei casi, mentre il tumore della via escretrice nasce dall’urotelio, che ricopre la pelvi renale, inoltre questo
tumore riprende le caratteristiche del tumore della vescica.

È importante distinguerli perché hanno un trattamento diverso, infatti nel caso del tumore del parenchima
renale quando possibile si effettua una tumorectomia o una nefrectomia, nel caso del tumore della via
escretrice invece non si effettua una nefrectomia ma una nefroureterectomia, quindi si asporta anche tutto
l’uretere fino allo sbocco in vescica.

La classificazione dei tumori del parenchima renale vede la distinzione in forme benigne e forme maligne.

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L’adenocarcinoma a cellule renali è la tipologia di tumore maligno con cui generalmente si ha più a che fare,
mentre il nefroblastoma è un tumore che colpisce l’età pediatrica, generalmente sotto i 15 anni, ed è data
dalla mutazione del gene WT1.

L’adenocarcinoma a cellule renali presenta a sua volta dei sottotipi istologici: carcinoma a cellule chiare
(70%), carcinoma papillare/cromofilo (15%), carcinoma cromofobo (4-10%), carcinoma dei dotti collettori
(2-5%), carcinoma indifferenziato (1-2%).

Nel caso dei tumori più rari (carcinoma dei dotti collettori e indifferenziato) la prognosi è più infausta, però
negli anni si è aperta la possibilità di aggiungere alla cura di base, che è l’intervento, delle chemioterapie
che però sono efficaci a seconda del tipo istologico, quindi spesso nei casi di pazienti inoperabili si discute
della possibilità di intraprendere una cura, sulla base istologica del tumore, che permetta un rallentamento
della malattia.

Esistono poi dei tumori benigni, come gli angiomiolipomi, che altro non sono che tessuto adiposo frammisto
a tessuto similmuscolare o a grandi vasi.

1.1 TUMORI BENIGNI: ANGIOMIOLIPOMA


L’angiomiolipoma è un tumore benigno, un amartoma (lesione costituita da cellule normali ma situate nella
sede sbagliata) che comprende strutture vascolari, aggregati di adipociti e fibrocellule muscolari lisce.

Diagnosi:
- Ecografia (esame di primo livello): fortemente iperecogeno.
- TAC: mostra la presenza di tessuto adiposo (questo riscontro ha un valore quasi patognomonico).

L’angimiolipoma è per l’80% una forma isolata, per il restante 20% è una forma associata a Sclerosi
Tuberosa (malattia ereditaria autosomica dominante del gene TSC1/TSC2 caratterizzata da ritardo mentale,
epilessia, adenomi sebacei e angimiolipomi).

La principale complicanza dell’angiomiolipoma è il sanguinamento causato dalla rottura spontanea della


componente vascolare perché, anche se non è una lesione maligna, la componente vascolare ha le stesse
caratteristiche della componente tumorale, quindi la vascolarizzazione non è come quella dei tessuti sani;
inoltre i vasi presentano una parete sottile e fragile e tendono alla rottura.

Il trattamento di queste lesioni varia in base alle dimensioni, infatti più la lesione è grande, più tende ad
andare incontro a rottura (tuttavia se la lesione è asintomatica non è richiesto alcun trattamento):
- <4 cm: osservazione con ecografia o TAC annuale (se la paziente è giovane, cerchiamo di alternare
le due per evitare un’eccessiva esposizione a radiazioni).
- >4 cm: osservazione con ecografia o TAC semestrale, oppure nei casi ad alto rischio di
sanguinamento si può effettuare un’embolizzazione preventiva per evitare l’eventuale
sanguinamento.

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- Terapia chirurgica tradizionale in caso di dubbio di malignità o lesioni di grandi dimensioni o
sanguinamenti incoercibili.

Caso clinico del reparto: donna con dolore al fianco si presenta in reparto. Effettua una TAC e si evidenzia
una lesione di 6 cm, che era un angiomiolipoma andato incontro a rottura, determinando la sintomatologia
dolorosa, ma che si era autotamponato. In questo caso, dopo aver discusso anche con i radiologi si è
proceduto con una embolizzazione preventiva, visto l’alto rischio di un eventuale nuovo sanguinamento.

Perché intervenire se l’angiomiolipoma è benigno? Essendo la lesione benigna, non dà fastidio, quindi
perché andare ad intervenire con il rischio poi di dover togliere anche la parte buona e sana del rene?
Innanzitutto c’è il rischio che il tumore sanguini copiosamente e che crei un’emorragia nel retroperitoneo. I
reni infatti sono collocati dietro il peritoneo, posteriormente alla cavità addominale, e questa rottura dei
vasi che giungono al tumore possono provocare molto velocemente la morte del paziente. Inoltre, il
sanguinamento del rene causa anche ematuria.
Alla luce di tutto ciò bisogna quindi fare un’analisi costi benefici: la probabilità che il tumore sanguini è
direttamente proporzionale alla grandezza del tumore.
L’angiomiolipoma è più frequente nel sesso femminile, tenendo conto di ciò bisogna quindi considerare
alcune condizioni del sesso femminile che favoriscono la rottura, ad esempio una gravidanza. In questi casi
viene preso in considerazione un intervento di rimozione della massa, che però non è un intervento semplice
e può appunto causare la perdita del rene. Un trattamento alternativo all’intervento di asportazione è
l’embolizzazione, che consiste nella chiusura dei vasi per via intrarteriosa, con delle sonde che iniettano del
materiale che chiude il lume dei vasi. Questa procedura impedisce quindi l’afflusso di sangue alla lesione,
che non avendo più l’apporto di sangue si fibrotizza e si ischemizza, diminuendo la possibilità di
sanguinamento del tumore benigno.

1.2 TUMORI BENIGNI: ONCOCITOMA


Neoplasia benigna costituita da voluminose cellule eosinofile altamente differenziate dette oncociti (variante
benigna del carcinoma cromofobo).

Rappresenta il 3% di tutte le masse solide renali

Diagnosi:
- Incidentale ecografica
- TAC svolta in seconda battuta: si osserva
una lesione ben delimitata, aspetto
uniforme, senza aree di necrosi (che sono
invece riscontrabili nei casi di lesione
maligna), nucleo centrale fibroso, aspetto
a “ruota di carro”

Non sempre però questo aspetto a ruota di carro è così ben evidente, infatti, spesso l’immagine radiologia
che otteniamo può essere dubbia e non si è in grado di escludere la malignità della lesione.
In questi casi la soluzione è quella di andare ad asportare la lesione o in alternativa, se possibile, si effettua
una biopsia renale per escludere la forma maligna.

La biopsia renale è una procedura che consiste in una biopsia ecoguidata in sede lombare, tramite un ago
che trapassa la cute, quindi per via percutanea si va a prendere un frustolo di parenchima renale.
Nei casi di tumore renale, nell’iter diagnostico, quasi mai si effettua una biopsia del rene. La biopsia renale
infatti è una procedura inutile e non priva di rischi, che si tende a fare il meno possibile, in quanto potrebbe
causare sanguinamento, o addirittura potrebbe causare la diffusione delle cellule tumorali.
Nel caso dell’oncocitoma si effettua invece la biopsia perché non si è mai sicuri al 100% che si tratti di una
massa benigna. Questo tumore è benigno perché pur voluminoso, non diffonde e non metastatizza. Può
creare dei problemi locali a causa della sua voluminosità e sanguinamenti, ma il rischio di metastasi non
c’è.

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1.3 ADENOCARCINOMA A CELLULE RENALI (RCC)
- Forme famigliari:
o S. Von Hippe Lindau (Cromosoma 3) à carcinoma a cellule chiare
o Alterazioni gene c-Met à carcinoma papillare
o S. Birt-Hogg-Dubé à carcinoma cromofobo

- Forme sporadiche (sono le forme più frequenti) l’eziologia non è nota ma i fattori di rischio sono:
o Fumo di sigaretta
o Esposizione a cadmio, asbesto, idrocarburi
o Ipertensione
o Fenacetina
o Dialisi (ACD syndrome)
o Obesità e dieta ricca di grassi

A differenza del caso del tumore alla vescica, in cui il fumo di sigaretta è il primo fattore di rischio, per cui
se il paziente smette di fumare il rischio di recidiva si abbassa, nel caso del tumore del rene invece il fumo di
sigaretta non è così rilevante, perché la correlazione tra fattore di rischio e insorgenza della lesione esiste, ma
non è così forte.

Il motivo reale del perché ad una persona viene un adenocarcinoma a cellule renali non si conosce. Ci sono
delle componenti mediche, famigliari ed ambientali. Al primo posto si trova sempre il fumo, ma mentre nel
tumore della vescica, smettere di fumare influisce sulla storia del paziente (le forme superficiali del tumore
della vescica hanno un’elevata recidivanza, soprattutto se il paziente fuma), nel tumore del parenchima
renale smettere di fumare non influisce in maniera rilevante.

Epidemiologia:
Rappresenta il 3% di tutti i tumori; non è una percentuale elevata ma è un tumore aggressivo a cui bisogna
prestare attenzione.
È più frequente nelle popolazioni urbane, più frequente nei soggetti di sesso maschile 2:1.
Colpisce la popolazione tra i 50 e i 70 anni, anche se più frequentemente è aumentata anche in soggetti
giovani. Questo aumento di incidenza deve essere distinto in un aumento di incidenza reale, perché c’è una
maggiore esposizione ad agenti cancerogeni, da un aumento di incidenza relativa che è aumentata negli
ultimi anni, grazie all’evoluzione delle tecniche diagnostiche, come l’utilizzo della TAC e dell’ecografia.

Il tumore del rene nella maggior parte dei casi (60%) è un incidentaloma, ciò significa che il paziente non sa
di avere un tumore del rene, non ha alcuna sintomatologia e viene diagnosticato casualmente durante
un’ecografia o una TAC eseguiti per altre ragioni.

Storicamente la sintomatologia classica associata al tumore del rene era:


- ematuria
- dolore al fianco (cronico o colico)
- massa palpabile (quando > 10-12 cm)
Tuttavia, attualmente grazie alle tecniche di imaging questa triade di sintomi è molto meno frequente perché
il tumore viene diagnosticato prima che questi compaiano.

Il tumore è considerato un “grande mimo” perché la sintomatologia se è presente, è molto spesso aspecifica,
quindi è difficile collegare in prima istanza la sintomatologia che può dare con il tumore del rene. Tra i
sintomi aspecifici troviamo: aumento della VES, ipertensione, anemia, perdita di peso, febbre, alterazione
della funzione epatica, aumento della fosfatasi alcalina, ipercalcemia, policitemia, neuromiopatia, amiloidosi.

Quindi i sintomi che può dare il tumore del rene, ricordando che la maggior parte dei tumori del rene non
presenta sintomi, sono: sintomi costituzionali, sindromi paraneoplastiche, sintomi da infiltrazione.

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Le sindromi paraneoplastiche si verificano perché il tumore del rene può produrre delle sostanze
similormonali (renina = ipertensione, ormone simile al paratormone = ipercalcemia, eritropoietina =
policitemia).

I sintomi da infiltrazione sono indice dell’elevata angiofilia del tumore del rene: il tumore ha la tendenza a
crescere all’interno del sistema vascolare. Perciò una delle prime cosa da fare dopo aver diagnosticato il
tumore del rene è andare a escludere la presenza di un trombo neoplastico all’interno della vena renale o
della vena cava.
La presenza o meno del trombo determina un iter terapeutico diverso da una lesione isolata all’interno del
rene. Inoltre, la presenza di un trombo neoplastico cavale determina un forte rischio di metastasi a distanza.

La Sindrome di Stauffer è una sindrome paraneoplastica in cui il tumore del rene porta a:
- alterazione degli indici della funzionalità epatica
- leucopenia
- febbre
- aree di necrosi epatica senza metastasi (l’iter sarebbe completamente diverso se ci fossero delle
metastasi)

(Il professore per farci ricordare questa sindrome suggerisce di pensare alla palazzina fuori dall’ospedale,
dedicata ai prelievi del sangue).

Diagnosi
1. Anamnesi (ad esempio ematuria, dolore al fianco, storia del rene, mutazioni genetiche) ed esame
obiettivo (massa palpabile solo se di grosse dimensioni).
2. Esami delle urine à micro e macroematuria.
3. Esami ematochimici à anemia (nel caso di sanguinamento)/policitemia (se prevale la produzione di
eritropoietina) e aumento indici infiammatori (VES).
4. Ecografia (esame di primo livello).
5. TC addome senza mezzo di contrasto per vedere la lesione ed i suoi limiti e la captazione del mezzo
di contrasto / RM addome.
6. Esami per la stadiazione:
a. TAC torace
b. TAC encefalo
c. Scintigrafia ossea
d. Ecodoppler dei grossi vasi (talvolta integrato anche con un ecocardio per escludere la
presenza del trombo fino a livello dell’atrio dx)

ECOGRAFIA: esame di primo livello che mostra delle aree disomogenee che rappresentano aree di tessuto
solido, alternate a aree di tessuto necrotico. Inoltre, ci permette di distinguere se una lesione è cistica
semplice, cistica complessa o solida tumorale.

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La cisti è una formazione benigna che ha un contenuto di siero, di acqua, quindi liquido. Esistono delle cisti
definite complesse/complicate in cui all’interno ci sono dei cambiamenti, ma in linea di massima la cisti
renale è una lesione benigna, che talvolta può essere voluminosa ma che non è necessario asportare.
I tumori, invece, all’ecografia o TAC sono formati da tessuti, cellule, quindi sono solidi.
Questa grossa differenza si vede molto bene all’ecografia.

TC ADDOME: è il gold standard per fare diagnosi e stadiare il tumore del rene. Va eseguita sempre dopo
riscontro ecografico di una massa solida o di una cisti complessa. Le lesioni cistiche sono benigne, le lesioni
solide sono maligne, ma tra questi due estremi ci sono moltissime altre lesioni che non sono facili da
distingue in queste due categorie.

Per fare ciò è utile rifarsi alla Classificazione di Bosniak la quale è una classificazione radiologica delle cisti
renali basata sulle caratteristiche morfologiche e sulle dimensioni stratificando il rischio neoplastico delle
stesse.

Il tipo III e IV hanno un alto rischio di contenere cellule neoplastiche e perciò richiedono follow-up e vanno
incontro alla chirurgia.

RM ADDOME: impiegata in casi selezionati:


§ Allergia al mezzo di contrasto
§ Insufficienza renale
§ Migliore valutazione di masse piccole (fornisce delle informazioni in più prima di
andare in contro a chirurgia)

BIOPSIA RENALE: è una tecnica che nel caso del tumore del rene
viene effettuata molto raramente, a differenza di altri tipi di tumore
(come il tumore alla mammella, al fegato, al polmone).
Se con le tecniche di imaging si è sicuri di trovarsi di fonte ad una
lesione maligna, si procede direttamente all’asportazione della
lesione, senza effettuare la biopsia.
La biopsia renale infatti viene effettuata solo in caso di estremo
dubbio o per orientare la chemioterapia palliativa nel caso di pazienti
inoperabili.
È una procedura rischiosa perché può provocare sanguinamento e può
determinare la diffusione di cellule tumorali.

Stadiazione TNM (il professore afferma di non dover sapere ogni stadio per l’esame) stadia il tumore
andando ad indagare la presenza di metastasi linfonodali e metastasi a distanza e si basa principalmente sulle
dimensioni del tumore.

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Vie di diffusione metastatica:

1. LOCALE
a. Tessuti perirenali.
b. Surrene.
c. Pancreas.
d. Intestino.

2. VIA LINFATICA
a. Linfonodi dell’ilo renale.
b. Linfonodi lombo-aortici.
c. Dotto toracico.

3. VIA EMATOGENA
a. Vena renale.
b. Vena cava.
c. Vene paravertebrali.

Gli organi maggiormente coinvolti nelle metastasi sono:


- Rene e surrene (anche controlateralmente).
- Polmone.
- Encefalo.
- Fegato.
- Scheletro.
- Sporadicamente: cute, intestino, cavo orale, tiroide.

Trattamento

- Chirurgia, nel 95% dei casi.


- Tecnica ablativa, raramente.
- Watch and Wait, raramente (nel caso di pazienti che hanno una piccola lesione che non causa
sintomatologia e che sono molto compromessi perciò non possono andare incontro a chirurgia; la
loro causa di morte non sarà il tumore renale).
- Chemioterapia (quando il tumore è avanzato, quindi inoperabile).

TRATTAMENTO CHIRURGICO

In passato si effettuava la nefrectomia (asportazione completa del rene), ora si pratica anche la tumorectomia
al pari di una nefrectomia (asportazione del solo tumore). Può essere fatta a cielo aperto oppure con tecnica
laparoscopica o robotica.

1. TUMORECTOMIA O NEFRECTOMIA PARZIALE

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a. Di elezione: tumori piccoli (<T1, <7cm) esofitici (cioè che non vanno all’interno del
parenchima renale), lontani dall’ilo renale; si sceglie questo intervento per salvaguardare la
funzione renale.
b. Di necessità: se è impossibile la nefrectomia radicale; si effettua in pazienti monorene, o con
insufficienza renale o con patologie in entrambi i reni.

2. NEFRECTOMIA RADICALE: per tumori grossi >T2 (>7cm) o nel caso di lesioni in cui non si
può garantire la radicalità oncologica, quindi per quei tumori che si trovano in sedi per cui non si
riesce a garantire la vascolarizzazione del rene, come a livello dell’ilo renale. Viene asportato il rene
insieme al grasso perirenale ed il surrene (nel caso in cui sia coinvolto o vi sia un trombo cavale).

Nelle immagini qui sopra si può vedere come nella nefrectomia parziale o tumorectomia venga asportato
solamente il tumore e venga poi suturato insieme quello che rimane del parenchima renale, mentre nella
nefrectomia radicale vengono sezionati arteria e vena renale e l’uretere e successivamente viene asportato il
rene. Poiché il tumore non è di origine uroteliale, l’uretere non deve essere asportato completamente fino allo
sbocco in vescica.

TRATTAMENTO ABLATIVO
È una procedura semplice ma che viene riservata a pazienti molto compromessi; consiste in una procedura
Eco/TC-guidata che trasmette energia calda o fredda al tumore tramite aghi, provocando la distruzione
cellulare, generando necrosi delle cellule tumorali.
La crioterapia utilizza l’energia fredda, mentre la radiofrequenza energia calda.
È una tecnica meno utilizzata rispetto alla chirurgia perché ha dei limiti: non tutti i tumori possono essere
ablati, in particolare quelli di grosse dimensioni o quelli che si trovano vicino all’ilo vascolare del rene, per il
rischio di danneggiare i tessuti circostanti. Inoltre il grosso limite di questa tecnica è che alla fine della
procedura non si possiede un esame istologico (la biopsia come detto in precedenza non viene quasi mai
effettuata), quindi non si saprà mai di che tumore si trattava.

Per tutti questi motivi questa procedura viene riservata a pazienti molto compromessi che non possono
andare incontro a chirurgia, oppure a pazienti che sono andati incontro a recidiva (in quest’ultimo caso
essendo una recidiva, l’istologia si conosce già).

È una possibilità che viene limitata a pochi casi e viene effettuata in solo pochi centri. Fa parte di quelle che
vengono considerate terapie mininvasive. Si tende infatti, sempre di più, ad avere un impatto minimo nelle
metodiche di trattamento.

TRATTAMENTO DEL TUMORE METASTATICO


Il tumore metastatico non può più essere trattato con la chirurgia, quindi si attua una terapia oncologica.
Attualmente la terapia più utilizzata è una Target Therapy, cioè si utilizzano come farmaci degli anticorpi

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monoclonali che vanno ad agire su specifiche caratteristiche del tumore, in particolare bloccano la
neoangiogenesi del tumore (inibitori di VEGFR: Sutinib, inibitori di m-TOR: Termsirolimus).
Questa terapia viene assunta tramite os (oralmente) per tutta della vita del paziente, anche se talvolta
purtroppo il paziente diventa non responsivo. In questo ultimo caso allora si può passare ad una
chemioterapia tradizionale con scopo palliativo per inibire la crescita del tumore e diminuire la
sintomatologia.

In alcuni casi particolari si può comunque praticare chirurgia del tumore metastatico. Si usa la chirurgia
citoriduttiva, che riduce la massa tumorale, per poi praticare una terapia medica, oppure la chirurgia delle
metastasi, che può essere utilizzata in quei pazienti che presentano solo una o due metastasi (in questi casi si
possono ancora asportare chirurgicamente).

La radioterapia invece non viene mai utilizzata perché il rene non risponde a questa terapia. Può essere
utilizzata solo nei casi di metastasi a scopo palliativo come terapia antalgica, soprattutto nel caso di metastasi
scheletriche.

Prognosi

La prognosi del tumore del rene dipende dallo stadio di malattia:


- tumori di piccole dimensioni:
• confinati all’organo (70-90% di sopravvivenza a 5 anni)
• < 4cm (90-100%)
• >4 cm <7 cm (80-90%)
- Tumori di stato avanzato: metastatici o inoperabili (10% di sopravvivenza a 5 anni)

La seconda parte della lezione prevede l’analisi di alcuni casi clinici.

CASO CLINICO 1

Durante il follow up per il suo precedente carcinoma è stata accidentalmente trovata una massa renale.

A questo punto, tra le opzioni suggerite, quella corretta è l’esecuzione di una TC con mezzo di contrasto.
Il valore della creatinina è da tenere in considerazione prima di somministrare il mezzo di contrasto, in
questo specifico caso però 0,73 mg/dl è nei limiti della norma, quindi non pregiudicava l’esecuzione del
mdc.
Il mdc dà un indice della funzione renale separatamente dei due reni, quindi permette di vedere se uno
funziona meglio dell’altro, legato ai tempi di filtrazione del contrasto. In aggiunta ci fornisce informazioni
sulla vascolarizzazione del rene nelle varie fasi di iniezione; si vedono bene le arterie, importanti durante la
chirurgia; si vede la fase venosa e si visualizzano i circoli collaterali.
Prima si è accennato alla possibilità che nelle vene ci possano essere dei trombi tumorali, sicuramente con
una TAC con mdc tutto ciò viene visualizzato.

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Potrebbe esserci una remora alla somministrazione del mdc nei pazienti allergici al mdc; per questo motivo
deve sempre essere chiesto il consenso al paziente prima di svolgere l’esame e deve essere adeguatamente
informato delle eventuali complicanze che possono verificarsi, dallo shock anafilattico fino alla morte.

Al di là di tutto comunque la TAC con mdc è un passaggio obbligato prima di portare il paziente sul tavolo
operatorio (fa parte delle linee guida della diagnostica). Quello su cui eventualmente si può discutere è
l’esecuzione di una TAC limitata all’addome (addomino-pelvica) o estesa anche al torace (toraco-
addomino-pelvica); potrebbero infatti esserci delle metastasi polmonari anche se il tumore è all’esordio e di
piccole dimensioni, infatti la metastatizzazione non dipende dalle dimensioni del tumore.
Scoprire di avere una metastasi può cambiare l’approccio terapeutico, perché ci si domanda se ne vale la
pena operare un paziente, togliendogli il rene se purtroppo ci sono già delle metastasi polmonari.

Alla TAC con mdc viene rilevata una neoformazione di 25x25 mm sul polo superiore del rene destro.

Viene anche mostrata una ricostruzione 3D, che può essere consultata prima dell’intervento chirurgico, per
meglio visualizzare la massa tumorale e la sua posizione, per capire eventualmente come toglierlo senza
danneggiare il rene, le vie urinarie, i calici renali. È molto utile anche per capire l’irrorazione del tumore ed
i rapporti con le strutture vicine.
Si parla di tumorectomia intendendo un intervento che asporta solo il tumore, ma la difficoltà consiste
appunto nel preservare e non danneggiare la parte funzionante del rene. Il chirurgo durante l’esecuzione di
questo intervento è sotto pressione perché per poterlo svolgere deve clampare l’ilo renale per evitare
sanguinamento, ma facendo ciò ha un tempo limitato per portare a termine l’intervento perché il rene non
può restare per troppo tempo senza irrorazione (andrebbe incontro ad ischemia); una volta conclusa
l’asportazione del tumore si ripristina il flusso sanguigno.

In questo caso specifico il trattamento terapeutico è la nefrectomia parziale.

CASO CLINICO 2

Questo paziente nella propria storia clinica riporta una colecistectomia laparoscopica. È sempre molto
importante sapere se il paziente ha subito degli interventi pregressi perché, soprattutto se sono stati svolti in
laparoscopia è poi difficile poterla svolgere di nuovo ripercorrendo la stessa strada chirurgica. È verosimile
infatti pensare che si siano create delle aderenze a livello addominale.

Il paziente si presenta in reparto e riferisce una lombalgia bilaterale con ematuria.


A questo punto tra le varie opzioni diagnostiche proposte quella corretta è l’esecuzione di una ecografia
dell’apparato urinario in quanto ci indirizza nella diagnosi e ci permette di vedere se ci sono delle lesioni.

Bisogna però tenere presente che la prima cosa in assoluto da fare è visitare il paziente, dopodiché
somministrare degli antidolorifici, visto che lamenta dolore.
L’esame delle urine è inutile visto che presenta ematuria macroscopica.

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L’urinocoltura si potrebbe svolgere solo nel caso in cui ci sia il sospetto di infezione delle vie urinarie, ma in
questo caso specifico il paziente non riferisce bruciore o stranguria, e non ha febbre.
Si può fare una diagnosi differenziale con una patologia ortopedica solo nel caso in cui ci fosse solo dolore
lombare bilaterale, ma in questo caso è presente anche ematuria, quindi sicuramente saranno coinvolti
anche i reni.
La citologia urinaria non è da escludere, perché permette la ricerca di cellule neoplastiche, però in questo
caso essendo presente ematuria macroscopica, i globuli rossi presenti nelle urine maschererebbero il
risultato. Inoltre, la citologia urinaria si svolge solo nel momento in cui si ha il sospetto di un tumore
uroteliale della via escretrice o della vescica.

L’ecografia dell’addome mostra un tumore solido di 5,5 cm nella porzione mediana del rene destro. Viene
svolta anche una TC addome che mostra una lesione endofitica (cioè molto interna al rene) destra di 48 x 55
mm con un coinvolgimento dei calici renali ma non coinvolge la vena renale e non ci sono trombi cavali
metastatici. È presente una adenopatia di 1 cm dell’iliaca esterna.

L’opzione terapeutica da intraprendere in questo caso è una nefrectomia radicale con linfadenectomia.

La dimensione del tumore (5cm) era troppo grande per svolgere una crioablazione.
Anche se il paziente era anziano non si è optato per il Watch and Wait perché era sintomatico, quindi
bisognava intervenire per risolvere l’ematuria.
La nefrectomia parziale non era possibile perché il tumore ere troppo grande ed in una posizione
sfavorevole.
Seguirà poi il regolare follow up del paziente.

CASO CLINICO 3

Svolgendo delle indagini radiologiche nel reparto di medicina è stata scoperta una massa renale di 51 x 47
mm a destra.
Tutti i sintomi di questo paziente sono poi stati ricondotti come manifestazione di una sindrome
paraneoplastica, dovuta al tumore renale.
In questo caso l’opzione terapeutica scelta è stata una nefrectomia radicale in quanto la lesione tumorale era
interna al rene e difficile da asportare, per questo è stato scelto di togliere tutto il rene.

La visita oncologica si esclude perché se si può, si asporta il tumore, a maggior ragione nel caso di un
paziente giovane che non ha nessuna comorbidità.

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