Pozzi Fondazione - Tesi-RomaTre
Pozzi Fondazione - Tesi-RomaTre
Pozzi Fondazione - Tesi-RomaTre
A.A. 2014/2015
1. Introduzione 1
2. Principali applicazioni dei pozzi di fondazione 2
2.1. Pozzi per pile o spalle di ponti e viadotti 2
2.2. Pozzi per assicurare la stabilità di versanti instabili 4
2.3. Pozzi con funzione drenante 6
2.4. Pozzi strutturali con tiranti in testa 7
3. Classificazione dei pozzi di fondazione 8
3.1. Classificazione in base al diametro 8
3.2. Classificazione in base alla tipologia realizzativa 9
3.2.1. Pozzi di fondazione con sostegno delle pareti in fase di scavo 10
3.2.2. Pozzi di fondazione con sostegno delle pareti preventivo allo scavo 12
3.2.3. Pozzi in terreni sotto falda – tampone di fondo 20
3.2.4. Strutture di sostegno miste 21
3.3. Classificazione in base al riempimento 22
4. Le fasi di realizzazione 23
5. Monitoraggio in corso d’opera ed a lungo termine 26
6. Codice di calcolo RS3 27
6.1. Geometria e caratteristiche del terreno 30
6.2. Realizzazione della fondazione a pozzo 40
6.3. Mesh di calcolo 47
7. Conclusioni 59
1. Introduzione
Con la presente relazione si vuole descrivere l'esperienza di tirocinio svolta presso il laboratorio di
geotecnica del dipartimento di ingegneria civile dell'università degli studi Roma Tre sotto la
supervisione del Prof. A. Lembo Fazio nel ruolo di tutor universitario. Tale attività ha richiesto un
impegno complessivo di 75 ore, corrispondenti a 3 Crediti Formativi.
L’attività di tirocinio è stata effettuata affrontando il tema dei pozzi di fondazioni, ovvero,
fondazioni speciali di notevole rigidezza che trovano il loro principale utilizzo nelle spalle e nelle
pile dei viadotti, o laddove, vengano richieste fondazioni particolari al fine di contrastare movimenti
franosi di versante. L’argomento è stato affrontato attraverso due differenti fasi:
- Fase teorica: sono state analizzate le principali applicazioni e tipologie dei pozzi di
fondazione, la loro struttura e gli elementi che la costituiscono, dei quali, è stata spiegata la
funzione principale. Successivamente è stato analizzato il processo costruttivo di un pozzo
di fondazione ponendo l’accento sulla descrizione delle varie fasi realizzative.
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2. Principali applicazioni dei pozzi di fondazione
I pozzi di fondazione possono essere realizzati per diverse finalità, tra queste le fondamentali sono:
- Fornire una corretta fondazione a strutture che scaricano notevoli azioni (come pile, spalle
di ponti e viadotti di grande luce) ;
- Assicurare la stabilità di versanti instabili;
- Limitare l’ingombro in pianta delle fondazioni;
- Raggiungere gli strati di terreno con migliori caratteristiche meccaniche;
- Proteggere le pile dalle frane;
- Resistere alle azioni statiche e dinamiche di origine franosa.
E’ notevole l’utilizzo delle fondazioni a pozzo nel caso di ponti ferroviari o viadotti di grandi luci.
Queste infrastrutture essendo caratterizzate da carichi molto elevati (pesi propri, carichi da traffico,
azioni sismiche etc.), producono grandi sollecitazioni sugli elementi strutturali verticali (pile e
spalle) e di conseguenza anche sulle opere di fondazione. Ciò conduce ad escludere nella maggior
parte dei casi l’impiego di fondazioni di tipo diretto sul terreno, e di preferire invece, fondazioni
profonde. Questa limitazione è dovuta al fatto che la progettazione di una fondazione superficiale
soggetta a questi carichi, porta a realizzare elementi strutturali di grandi dimensioni con conseguenti
maggiori costi di costruzione, tali da superare talvolta quelli delle fondazioni profonde. Le
fondazioni dirette inoltre, anche se integrate da tecniche di miglioramento delle caratteristiche del
terreno, potrebbero non essere in grado di limitare i cedimenti dell’opera. La deformazione degli
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elementi di fondazione e gli spostamenti della struttura del ponte devono infatti essere di piccola
entità, tali da garantire il corretto uso del servizio ferroviario o stradale. Proprio il controllo della
deformabilità rappresenta uno degli aspetti principali per il quale è suggerito il ricorso a fondazioni
a pozzo essendo queste di notevole rigidezza. Bisogna inoltre ricordare che, l’adozione di strutture a
pozzo su versante, richiede generalmente la costruzione di importanti strutture di protezione degli
scavi per la realizzazione dei piani di lavoro. Lo studio delle piste di accesso alle aree di lavoro
rappresenta un secondo importante aspetto progettuale da tenere bene in considerazione.
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2.2. Pozzi per assicurare la stabilità di versanti instabili
Un’altra grande difficoltà che interessa particolarmente i ponti riguarda il fatto che sono vincolati
alla viabilità servita, pertanto, ci sono spesso ridotte possibilità di scelta della posizione di pile e
spalle. A titolo di esempio, è frequente dover progettare pile in alveo, in cui le fondazioni sono
soggette, oltre alle forze dalla sovrastruttura, a fenomeni di scalzamento e di spinta idraulica,
oppure si rende necessario collocare le stesse su terreni scadenti e soggetti a movimenti franosi
come nel caso dei versanti. L’impiego dei pozzi di fondazione quindi può risultare necessario dove
le fondazioni delle pile/spalle di ponti o viadotti sono intestate su versanti caratterizzati dalla
presenza di coltri di notevole spessore di terreni soffici o sciolti (possibili movimenti franosi)
oppure dove le strutture di fondazione devono essere realizzate in presenza di terreni di fondazione
a modeste caratteristiche meccaniche (resistenza e deformabilità) accompagnate da pile di notevole
altezza. Per quanto appena detto quindi i pozzi di fondazione sono utilizzati per:
- Fondazioni di opere di sostegno su versante: strutture a pozzo possono essere adottate come
fondazioni di opere di sostegno su versanti, in presenza di coltri caratterizzate da modeste
caratteristiche meccaniche o, più frequentemente, laddove le opere di sostegno insistono su
versanti instabili.
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- Opere di stabilizzazione di versanti in frana: strutture a pozzo possono essere previste, con
funzione strutturale, per la stabilizzazione di versanti instabili interessati da movimenti
gravitativi profondi. Per mezzo di questi pozzi è possibile, attraversando la coltre
superficiale da stabilizzare, raggiungere quote di profondità in cui il terreno risulta
generalmente di maggior qualità meccanica. Le profondità delle superfici di scivolamento
possono raggiungere valori anche dell’ordine di 20-15 m da piano campagna¸ in tal caso se
il pozzo è sufficientemente profondo, si può pensare che l’opera sia come “immorsata” nel
terreno nella formazione stabile. In tal caso, pozzi adeguatamente immorsati, possono
raggiungere profondità dell’ordine di 35-40 m da piano campagna. Con questa tecnica si fa
quindi in modo che il substrato consistente non soggetto al fenomeno franoso, contribuisca
alla stabilità del materiale in superficie. I pozzi devono adeguatamente “coprire” il fronte
instabile. Il loro numero deve essere tale per cui gli interassi netti fra i pozzi siano adeguati a
consentire l’instaurarsi di un “effetto arco” per i terreni instabili che tendono a fluire tra i
pozzi.
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Questi speciali manufatti quindi possono assolvere contemporaneamente alle due funzioni descritte,
ovvero quella di fondazione e quella di struttura di contrasto al movimento di pendii. Frequente in
Italia è infatti il caso di pile di viadotti ubicati in valli i cui versanti sono ricoperti da strati
superficiali poco affidabili.
Strutture a pozzo previste per la stabilizzazione di versanti instabili, oltre a una funzione strutturale,
possono avere anche una funzione drenante; tale funzione risulta utile al fine di ridurre il regime di
spinte agente sulle strutture a pozzo, sia in fase di scavo sia nelle condizioni di esercizio. L’azione
drenante è in genere ottenuta mediante l’adozione di più ordini di dreni microfessurati sub-
orizzontali, disposti a raggiera su più livelli. Le lunghezze dei dreni possono raggiungere 40-50 m.
E’ suggerita l’adozione di dreni con diametro minimo F≥4”. Possibilmente, l’ubicazione dei pozzi
deve essere studiata in modo tale da poter garantire lo scarico a gravità dei pozzi, attraverso la
realizzazione di condotte di fondo. Le condotte di fondo, in genere costituite da una coppia di
tubazioni affiancate, possono raggiungere lunghezze anche dell’ordine di 70 m. La funzione
drenante può essere adottata anche per pozzi di fondazione delle pile/spalle di viadotti o per le
fondazioni di opere di sostegno, con la funzione di incrementare le condizioni di stabilità dei
versanti su cui le opere insistono.
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2.4. Pozzi strutturali con tiranti in testa
Dopo aver fatto una panoramica riguardante le principali applicazioni delle fondazioni a pozzo, nel
prossimo capitolo verrà approfondita la tematica della loro classificazione in base alla geometria e
agli elementi costituenti.
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3. Classificazione dei pozzi di fondazione
I pozzi strutturali sono elementi di grandi dimensioni, di sezione in genere circolare; esistono però
anche esempi di pozzi con sezioni ellittiche o rettangolari/quadrate , al fine di avere maggiore
rigidezza nella direzione della componente orizzontale dell’azione risultante. Realizzati in
calcestruzzo eventualmente armato, questi elementi sono costituiti fondamentalmente da una
elevata rigidezza flessionale, per la quale, la stessa struttura può essere convenientemente
considerata infinitamente rigida. Fondamentalmente i pozzi di fondazione si possono distinguere in
funzione di:
I pozzi di fondazione di pile/spalle di ponti o viadotti sono elementi di grandi dimensioni di sezione
in genere circolare con diametri che vanno da 8-12 m. La minima dimensione è imposta
dall’ingombro della macchina escavatrice che viene calata all’interno del pozzo per eseguire lo
scavo. Per opere di stabilizzazione di versanti instabili il diametro può raggiungere anche 15 m,
essendo in questo caso essenzialmente limitato dalla necessità di realizzare adeguate strutture di
sostegno degli scavi. Per pozzi di grande diametro e particolarmente profondi, può essere prevista
l’adozione di sezioni di pozzo con diametro differente. Per fondazioni a pozzo con sola funzione
drenante, il diametro interno dei pozzi, deve essere comunque tale da consentire l’accesso alle
attrezzature di perforazione dei dreni sub-orizzontali microfessurati; in tal caso il diametro minimo
è usualmente di 5-6 m. Infine si possono avere anche pozzi di piccolo diametro (fino a 2 m). Questi
“micropozzi”, che in realtà potrebbero essere assimilati ai pali sono generalmente impiegati come
pozzi drenanti, di conseguenza, la nostra attenzione si concentrerà sui pozzi di medio/grande
diametro.
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Figura 8: Geometrie tipiche dei pozzi
I pozzi di fondazione pur essendo strutture dalle dimensioni considerevoli che presuppongono
diverse fasi realizzative, constano di due lavorazioni principali che condizionano il programma dei
lavori: in primis la protezione delle pareti di scavo e successivamente lo scavo del pozzo, lo
svuotamento dello stesso ed il sollevamento dei materiali con eventuale aggottamento dell’acqua.
Le altre lavorazioni successive, quali getto di riempimento o muratura delle pareti nel caso di pozzo
cavo, esecuzioni di ulteriori interventi quali dreni o tiranti, unghie di contenimento in sommità, etc.
non sono così condizionanti come le due precedentemente citate. Oltre che per il tipo di protezione
delle pareti di scavo, i pozzi possono essere classificati anche in funzione di quando il sostegno
delle pareti viene realizzato, se prima o dopo lo scavo stesso. A fare eccezione a questa ultima
classificazione sono i pozzi di piccolo diametro che sono gli unici che consentono un avanzamento
meccanico diretto con perforazione e l’inserimento di un eventuale rivestimento continuo in acciaio,
il quale poi viene recuperato dopo il getto della parete perimetrale, eseguito tra doppia camicia di
lamierino a perdere.
Si riporta a pagina successiva uno schema utile per capire i diversi tipi di interventi attuabili e
quindi le diverse tipologie di pozzi di medio e grande diametro che si possono avere.
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Figura 9: Tipologie di pozzi di fondazione (pozzi di medio e grande diametro)
In base a questo schema si procede con una descrizione più dettagliata delle varie tipologie di pozzi
di fondazione, suddivisi in due differenti categorie in base al momento in cui viene realizzata
l’opera di sostegno allo scavo. All’ interno di queste due categorie poi, i pozzi si differenzieranno
ancora, in funzione del tipo di opera utilizzata per proteggere lo scavo.
Per questa tipologia di pozzi si procede con il sostegno delle pareti man mano che si realizza lo
scavo in profondità.
Il metodo per sottomurazione prevede che l’avanzamento dello scavo del pozzo avvenga mediante
progressiva realizzazione di conci in cemento armato, dell’altezza variabile di 0,5-2 m (solitamente
1,5 m) in funzione della tipologia di terreno in cui si sta eseguendo lo scavo. Il rivestimento per
sottomurazione a campioni, esteso a tutta la profondità o limitato alla sola zona superficiale, è il
metodo “tradizionale” utilizzato per tutti i tipi di terreni; oggigiorno è adottato per strutture non
impegnative o dove non siano possibili altre soluzioni. Questi anelli in cemento armato, dalla
grandezza variabile in funzione del diametro del pozzo, costituiscono sia il sostegno delle pareti di
scavo, sia le strutture in grado di assorbire le spinte orizzontali radiali. I conci presentano
generalmente sezione trapezoidale, in modo tale da favorire il getto del cls. L’armatura dei conci
prevede la posa dei ferri piegati che saranno successivamente raddrizzati per consentire il
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collegamento fra i singoli anelli. In particolari
condizioni, ovvero in terreni particolarmente
sciolti o “soffici”, dove l’attrito laterale sulle
pareti degli anelli è modesto, almeno nel primo
tratto di pozzo il sistema di sottomurazione può
essere sostituito dal progressivo “autoaf-
fondamento” dei primi conci in cls armato
realizzati. La tecnica prevede lo scavo al di sotto
dei conci realizzati in modo tale da favorirne la
discesa per gravità; i conci successivi saranno
realizzati al di sopra, facilitando in tal modo la
realizzazione del collegamento delle armature
tra i diversi anelli. Quando l’autoaffondamento
non sarà più possibile sarà ripresa la procedura
Figura 10: Pozzi scavati per sottomurazione mediante anelli in
per sottomurazione.
c.a.
Una notevole innovazione verso la fine degli anni ’60 è stata l’adozione dello spritz-beton, armato
con rete, con eventuale centina metallica. Questo metodo, in cui il pozzo viene considerato come
una galleria verticale, ha permesso di sostituire ove possibile la tecnica della sottomurazione in
calcestruzzo, semplificando notevolmente le lavorazioni e consentendo una maggiore velocità di
avanzamento. Rimane tuttora il sistema generalmente usato per i pozzi in roccia con l’ausilio, se
necessario, di chiodature in parete o dal piano campagna (per i terreni coesivi si preferiscono oggi
metodologie più affidabili). Lo spritz-beton, una malta premiscelata a base cementizia per
consolidamento di pareti rocciose, consiste in un calcestruzzo a granulometria inferiore a 15 mm,
dosaggio in cemento tipo 42,5 in ragione di 400-500 kg/m3 , additivato con un accelerante di presa
(silicato sodico o simili). L’applicazione avviene a spruzzo mediante aria compressa. Lo spritz-
beton trova applicazione negli scavi in sotterraneo come pre-rivestimento e opera di sostegno e
viene accompagnato da una rete elettrosaldata, utilizzata per impedirne il ritiro. In definitiva quindi
la protezione delle pareti di scavo, in luogo degli anelli in cemento armato (utilizzati nella tecnica di
sottomurazione) , può prevedere la posa di:
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Entrambe queste tecniche hanno come finalità quella di assorbire le pressioni radiali agenti sul
pozzo in fase di scavo.
3.2.2. Pozzi di fondazione con sostegno delle pareti preventivo allo scavo
Questa tipologia di pozzi, che solitamente presenta dimensioni maggiori, è caratterizzata dalla
costruzione di opere di sostegno preventivo allo scavo; queste diverse strutture possono essere
raggruppate in due categorie principali, di seguito esposte:
Viene realizzato un preanello sul perimetro di scavo con la costruzione di una struttura
geometricamente definita, chiamata coronella, di norma vincolata a testa pozzo ed eventualmente
irrobustita da travi anulari di contrasto a vari livelli ed approfondita al di sotto del fondo scavo. La
costruzione di una camicia esterna di elevata rigidezza permette di operare in piena sicurezza e
limita gli effetti di decompressione in fase esecutiva. Questa tipologia, già diffusa negli anni ‘70,
viene oggi impiegata correntemente soprattutto dove è necessario non alterare le condizioni iniziali
di stabilità e comunque per strutture impegnative in terreni “difficili”. Gli schemi costruttivi sono
concettualmente analoghi, anche se la tipologia di preanello adottato può variare in funzione della
natura del terreno e delle specifiche necessità strutturali. Frequentemente si utilizzano corone di pali
accostati o pannelli di paratie in c.a.; in entrambi i casi si tratta di metodologie ampiamente
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sperimentate da anni ed il cui affinamento tecnologico dei macchinari consente realizzazioni di
ottimo livello con elevate produzioni. Pur essendo lo scavo eseguito all’interno di coronelle, può
risultare comunque necessario l’utilizzo di centine metalliche, spritz-beton e rete elettrosaldata
oppure travi in cemento armato per assorbire le spinte orizzontali. Le tipologie di preanello che si
possono adottare sono:
La coronella con pali trivellati di grande diametro, laddove possibile per le condizioni geotecniche
dei terreni di fondazione e per l’accessibilità al sito, si presenta come la soluzione più economica, in
grado anche di consentire la riduzione del numero di centine da porre in opera al fine di assorbire le
spinte orizzontali. Generalmente si utilizzano pali trivellati del diametro ɸ =800-1000 mm.
Coronelle con l’utilizzo di pali trivellati di grande diametro non vengono normalmente utilizzate nel
caso in cui si presenti una o più delle seguenti condizioni:
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- Coronella di micropali
E’ di questo decennio la diffusione dei pozzi all’interno di coronelle di micropali; questo tipo
strutturale, che per la sua versatilità presenta un campo d’impiego sempre più ampio, è previsto
soprattutto nei casi di terreni eterogenei in cui la presenza di livelli lapidei ostacola l’esecuzione dei
pali trivellati o battuti. Sono normalmente previsti micropali disposti lungo la circonferenza di uno
o due anelli concentrici, l’interasse varia fra 30-50 cm. Le pareti dello scavo sono rivestite con
spritz-beton e doppia rete elettrosaldata. Precedentemente sono state elencate le condizioni per cui
la realizzazione di pali di grande diametro non dovrebbe aver luogo; quelle stesse ragioni sono
quelle che motivano invece l’adozione di coronelle di micropali.
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b) Interventi migliorativi delle caratteristiche del terreno
Appartengono a questa tipologia di pozzi quelli il cui sostegno preventivo delle pareti di scavo
viene eseguito attraverso trattamenti per la consolidazione e l’impermeabilizzazione del terreno in
cui eseguire lo scavo. Vengono impiegati solitamente in terreni sciolti, soprattutto in presenza di
falda, da soli o accompagnati da altri tipi di interventi. Il campo è molto vasto: gli interventi vanno
dalla semplice corona di iniezioni con miscele binarie ai più complessi interventi con diverse
metodologie (silicati, resine acriliche, congelamento, etc.). Meno frequenti sono i consolidamenti
preventivi con iniezioni e barre di cucitura, nel caso di pozzi in rocce lapidee interessate da
discontinuità (giunti di stratificazione o fratturazioni). Le iniezioni in campo geotecnico sono un
procedimento nel quale l'immissione nel terreno di un materiale pompabile è controllata
indirettamente, adattando le caratteristiche reologiche e ottimizzando i parametri operativi
(pressione, volume e portata). In terreni granulari si impiegano generalmente miscele
acqua-cemento stabilizzate con bentonite e/o additivi disperdenti. In terreni fini, più difficilmente
iniettabili, si ricorre a prodotti chimici (silicati-resine). Le miscele vengono immesse nel terreno
mediante canne valvolate predisposte entro la zona da iniettare. Scopo delle iniezioni è il
consolidamento del terreno trattato e/o l'impermeabilizzazione dello stesso. Oltre i diaframmi di
iniezione ed il consolidamento con chiodature, fa parte della categoria degli interventi migliorativi
delle caratteristiche del terreno con metodologie “tradizionali”, il congelamento. Questa tecnica
consiste nel congelare l’acqua presente nei pori del terreno fino a renderla ghiaccio. Il ghiaccio lega
i componenti del terreno aumentando la resistenza complessiva dell'ammasso e rendendoli
impermeabili. Generalmente il congelamento è temporaneo e permette di realizzare i lavori previsti
in condizioni di sicurezza. Questo metodo è applicato con successo nella costruzione di pozzi, ma
non solo: si utilizza, infatti, anche per gallerie, strutture in sotterraneo e muri di diaframma
impermeabili. Le tipologie di preanello che si possono avere per questa tipologia di opere di
protezione dello scavo sono indicate a pagina successiva.
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- Coronella di pannelli di diaframma e/o pannelli di terreno consolidato (cutter soil mixing)
Le coronelle di protezione degli scavi possono essere realizzate anche mediante pannelli di
diaframma e/o pannelli idrofresati di terreno consolidato (tecnologia cutter soil mixing). In entrambi
i casi, i pannelli possono essere armati o non. Indicativamente, valgono le limitazioni evidenziate
per le coronelle dei pali trivellati di grande diametro.
Figura 14: Coronella di pannelli di diaframma e/o pannelli di terreno consolidato (cutter soil mixing)
Si procede ora con la descrizione della tecnologia del “Cutter soil mixing” (C.S.M.) utilizzata per
questo tipo di opere. Questa nuova tecnologia, tra le tecniche più moderne e ampiamente utilizzata,
si basa sul concetto della mescolazione meccanica in sito del terreno con apporto di miscela
cementizia. La disgregazione del terreno e la sua contemporanea mescolazione vengono ottenute
tramite una testata di idrofresa per diaframmi montata su asta guidata. La sezione fresante ha una
dimensione in pianta pari a 2,40 x 0,80 m; il risultato a fine trattamento sarà di una paratia continua
avente spessore di 80 cm ottenuta mediante pannelli compenetrati. La sequenza operativa può
essere riassunta nelle seguenti fasi:
- Produzione del latte di bentonite (con eventuale aggiunta di additivi) e relativa agitazione
mediante mescolatore ad elevata turbolenza;
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- Stoccaggio entro vasche nelle quali viene prolungata l’agitazione, in modo da uniformare le
caratteristiche della sospensione, ed evitare la decantazione (maturazione del latte di
bentonite);
- Produzione della miscela ternaria di acqua-cemento e bentonite con aggiunta di cemento nel
latte di bentonite (con eventuale aggiunta di additivi) entro mescolatori ad elevata
turbolenza;
- Iniezione e mescolazione nello scavo con agitazione garantita del movimento delle ruote.
L’utilizzo più frequente di coronella di colonne consolidate è in terreni granulari per i quali
l’adozione di jet-grouting monofluido o bifluido è in grado di assicurare la realizzazione di colonne
di terreno consolidato di grande diametro (ɸ > 1 m) e caratteristiche di resistenza apprezzabili
(qu = resistenza alla compressione monoassiale > 3-5 MPa). Problematiche di tipo ambientale
possono tuttavia precluderne l’esecuzione in terreni ghiaiosi, senza matrice fine, sotto falda. Le
coronelle possono essere costituite da colonne consolidate, armate o non, disposte lungo uno o più
anelli.
Figura 15: Coronella di colonne di terreno consolidato (jet-grouting): a) lungo un anello; b) lungo due anelli
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Dopo aver introdotto questo nuovo tipo di coronella per proteggere lo scavo, si passerà ad
analizzare i trattamenti colonnari di gettiniezione e in cosa consistono, con particolare attenzione
alla tecnica del jet-grouting.
La tecnica del consolidamento dei terreni con l’iniezione ad altissima pressione è relativamente
recente e costituisce la maggiore innovazione degli anni ‘70 - ‘80 per il sostentamento delle pareti
di scavo. In molti casi ha sostituito i trattamenti di consolidamento tradizionali sia per la creazione
dell’anello perimetrale di sostegno allo scavo del pozzo, sia per l’eventuale fondello di base. Questa
metodologia può in qualche caso consentire di procedere allo scavo senza ulteriori sostegni; nella
maggior parte dei casi, in realtà proprio poiché impiegata in situazioni difficili, la tecnica del jet-
grouting è collaborante con altre strutture (quali palancole, pali, micropali, etc.) e necessita del
successivo rivestimento per sottomurazione in calcestruzzo o spritz-beton. Il limite di affidabilità di
questo trattamento per la realizzazione del sostegno preventivo è costituito dall’incertezza delle
effettive caratteristiche geometriche e meccaniche delle colonne di terreno stabilizzato, in
conseguenza delle possibili disomogeneità di quest’ultimo. La gettiniezione è una tecnica che si sta
ampiamente diffondendo anche nel campo di pozzi di fondazione sostituendo addirittura in alcuni
casi il pozzo stesso realizzando trattamenti su grandi volumi e quindi grossi blocchi consolidati con
una geometria definita.
Il jet-grouting è una tecnica che consiste, in buona sostanza, nella disgregazione del terreno e nella
miscelazione successiva con sostanze cementizie tramite getti ad alta pressione. Questa tecnica di
trattamento è molto flessibile e consente di realizzare nel sottosuolo elementi consolidati, di varia
forma e dimensione, con caratteristiche meccaniche appropriate ed una ridotta permeabilità. I campi
d’applicazione del jet-grouting sono riferiti alle fondazioni, a opere di sostegno e di tenuta idraulica,
alle gallerie, al consolidamento ed alla stabilizzazione dei pendii. L’iniezione delle miscele fluide
avviene tramite un “jetting” ad alta velocità nel sottosuolo, attraverso uno o più ugelli, caratterizzati
da diversi sistemi tecnologici (monofluido, bifluido, trifluido). Il procedimento di jet-grouting
prevede svariate tipologie di trattamento, con la possibilità di operare in presenza di suoli dalla
natura diversa. Questa tecnica è estesa ad un gran numero di applicazioni: una panoramica non
esaustiva delle potenzialità comprende, ad esempio:
Figura 16: Valori tipici dei parametri operativi per l'esecuzione del jet-grouting
Le resistenze che si possono ottenere, per i diversi materiali, oscillano tra i seguenti valori:
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Grazie alla versatilità di impiego, all’economicità, ed al fatto che non necessitano rispetto ai sistemi
tradizionali dell’utilizzo di sostanze inquinanti, questa tecnica di consolidamento del terreno
mediante iniezioni ad altissima pressione ha avuto gran successo e dagli anni ‘70 le tecniche
“jettings” sono state usate sistematicamente con lo sviluppo di diverse tecnologie differenziate e
chiaramente individuabili. Ad esempio tra queste il metodo CCP (Chemical Churning Pipe)
permette di ottenere colonne di terreno trattate e consolidate mediante un getto orizzontale ad alta
velocità di miscela cementizia, contemporaneamente ruotato e sollevato. Il metodo JC (Jet Grout)
consiste nell’eseguire un taglio nel terreno, mediante un getto d’acqua ad altissima velocità
circondato da un getto d’aria compressa, e nel riempirlo con un getto di miscela cementizia,
ottenendo così diaframmi a ridotto spessore. Con il metodo JSG (Jumbo Jet Special Grout) ed il
metodo CJG (Column Jet Grout), più conosciuto come metodo Kajima si possono ottenere colonne
di terreno stabilizzato di diametri maggiori, ovvero dai 100 ai 200cm.
Quando i pozzi sono realizzati sotto falda, ai fini della protezione degli scavi nei confronti di
problemi di filtrazione e/o sifonamento o per contrastare il sollevamento del fondo scavo, è
generalmente prevista l’adozione di tamponi di fondo realizzati mediante colonne di terreno
consolidato compenetrate; qualora tale tipo di intervento non sia possibile si potrà ricorrere a un
adeguato approfondimento delle coronelle.
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3.2.4. Strutture di sostegno miste
Fino ad ora sono state passate in rassegna le possibili, nonché più frequenti, opere di sostegno
preventive allo scavo o realizzate contemporaneamente con esso; per maggiore chiarezza è stata
fatta una suddivisione delle diverse tipologie, ma resta il fatto che, in taluni casi, si possono
utilizzare strutture cosiddette “miste” che prevedono l’unione di più tecniche. Per esempio, nel caso
di pozzi realizzati in terreni che presentano uno strato sciolto posto al di sopra di un substrato in
terreni che presentano uno strato sciolto posto al disopra di un substrato roccioso, è possibile
realizzare una struttura mista dove la parte sommitale del pozzo è realizzata all’interno di coronelle,
mentre la parte inferiore per sottomurazione.
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3.3. Classificazione in base al riempimento
I pozzi di cui si è parlato fino ad ora sono pozzi di fondazione pieni (figura 1), ovvero aventi il
riempimento in calcestruzzo eventualmente armato che occupa tutta la zona all’interno delle pareti.
Ci sono però anche soluzioni che prevedono che il riempimento del pozzo abbia un’estensione più
limitata.
Questo tipo di soluzione è adottabile per attraversare strati superficiali molto degradati o con scarsa
capacità portante che però non presentino rischi di movimenti franosi, risultando peraltro difficili da
attraversare per realizzare pali o diaframmi. Il pozzo diventa solo uno strumento operativo per poter
realizzare il plinto e la pila e proteggere quest’ultima dalla caduta di massi. Può essere esteso in
altezza nel lato a monte per costruire una cuffia protettiva. Il pozzo deve resistere soltanto alla
spinta attiva del terreno circostante, quindi la sua profondità t è dettata dalla necessità di
raggiungere lo strato di terreno con buona capacità portante e di consentire il suo equilibrio come
corpo rigido.
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4. Le fasi di realizzazione
I pozzi strutturali richiedono una particolare serie di fasi realizzative. I volumi di scavo sono infatti
sempre di notevoli dimensioni e le pareti, di tipo verticale, devono risultare stabili per tutto lo
svolgimento dei lavori. Nella maggior parte dei casi si provvede alla posa in opera di un sistema di
supporto verticale costituito da micropali o palancole, più raramente si ricorre all’utilizzo di pali in
c.a.. Tale struttura risulta contrastata, nel piano orizzontale, da costolature costituite da centine
metalliche o da travi in c.a. e da uno strato continuo di spritz-beton. In casi particolarmente
favorevoli, in cui si proceda a ribassi in roccia, sarà possibile ridurre la quantità e l’impiego di
queste opere di sostegno preliminari, a condizione di garantire un adeguato grado di sicurezza. Lo
scavo dei pozzi avviene per singoli ribassi cui deve seguire immediatamente la posa in opera del
contrasto. Dopo ogni passo si procede alla realizzazione di uno strato di spritz-beton armato con
rete elettrosaldata o fibrorinforzato lungo l’intera superficie interna dello scavo. Questo pre-
sostegno dello spessore di 20 ÷ 30 cm rappresenta un contrasto a breve termine ed una protezione
da eventuali distacchi locali. In caso di presenza di acqua sarà necessario provvedere al suo
aggottamento controllando la situazione e l’evoluzione della falda nella zona d’intervento mediante
la disposizione di un numero adeguato di piezometri. Il getto del calcestruzzo, dopo la posa in opera
delle armature ,se previste, avviene in risalita per conci di spessore pari a qualche metro. Particolare
attenzione andrà prestata alla tempistica di presa, considerando la notevole quantità di conglomerato
che viene posta in opera in un breve intervallo di tempo. Nella seguente tabella si riportano le
principali fasi di lavoro che caratterizzano l’esecuzione.
Fase Descrizione
1 Preparazione delle aree di lavoro
2 Messa in sicurezza delle zone limitrofe con opportune pendenze
3 Tracciamento strutturale
4 Posa in opera di strutture provvisorie (micropali/palancole/pali in c.a.)
Scavo per singoli ribassi (con posa centine e realizzazione dello spritz-beton) sino al
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fondo
6 Disposizione delle armature (se previste)
7 Getto di calcestruzzo in risalita
8 Completamento delle opere di superficie
9 Sistemazione definitiva della zona
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Le immagini mostrano le lavorazioni e gli elementi strutturali in oggetto.
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Figura 22: Particolari di centine, spritz-beton e rete elettrosaldata all'interno del pozzo durante le operazioni di scavo
Figura 23: Montaggio delle armature all'interno del pozzo e operazione di getto
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Figura 24: Coppia di pozzi ultimati
In ogni attività di tipo geotecnico esistono incertezze con cui è necessario convivere; si tratta per
esempio della parametrizzazione geo-meccanica dei terreni e della loro stratificazione. Queste
informazioni, che rappresentano una parte importantissima della progettazione e del calcolo, sono
spesso frutto di poche prove. Nei casi in esame risulta necessario disporre di un monitoraggio in
corso d’opera e nel lungo termine. Questa attività, facilmente gestibile, permette di avere
informazioni continue sull’evoluzione tenso-deformativa delle strutture e di confrontare i dati
raccolti con quanto previsto in progetto. Per i pozzi un ottimo monitoraggio è rappresentato dal
controllo degli spostamenti orizzontali della testa e dell’inclinazione dell’opera sulla verticale. Il
monitoraggio può essere gestito mediante il posizionamento di prismi ottici e inclinometrici,
controllati con strumenti topografici di precisione. I metodi di calcolo permettono di conoscere il
comportamento delle opere in esercizio: il confronto tra i dati raccolti, relativi al monitoraggio, ed i
risultati di calcolo diviene quindi immediato. A seconda delle esigenze e delle caratteristiche
dell’intervento che si gestisce è possibile definire soglie di attenzione, di allerta e di allarme e, a
queste, associare procedure di incremento di monitoraggio, di modifiche, di messa in sicurezza, etc.
Con strutture come i pozzi, dotati di grande rigidezza ed inerzia, l’ordine di grandezza dei massimi
spostamenti è rappresentato da quantità millimetriche o centimetriche. Questi numeri dipendono,
come è ovvio, dalle caratteristiche del problema e vanno intesi unicamente come riferimento molto
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generale. Soglie opportunamente inferiori andranno garantite se al di sopra dei pozzi saranno
presenti infrastrutture particolarmente sensibili quali, per esempio, ferrovie.
Dopo aver analizzato quella che è la teoria delle fondazioni a pozzo si introduce il software RS3 per
l’analisi 3D di opere geotecniche nel campo dell’ingegneria civile. Con questo programma verranno
illustrati i principali comandi e gli step necessari al fine di modellare, prima il profilo del terreno e
poi, per fasi realizzative, una fondazione a pozzo di dimensioni prestabilite. Si inserisce di seguito
un’immagine esplicativa, una sezione, anche se molto essenziale, del tipo di pozzo di fondazione
che verrà modellato:
Detto ciò si passa all’analisi vera e propria del codice di calcolo RS3 vedendo innanzitutto come si
presenta la schermata principale del programma.
La schermata si divide in due parti; a sinistra è presente la vista 2D e a destra quella 3D. In alto
tramite i pacchetti “Geometry”, “Materials & Stagings” etc. che si susseguono a cascata, il
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programma da un’indicazione all’utente su quello che dovrebbe essere il percorso logico utile alla
realizzazione del modello di calcolo. Di questi comandi principali, mano a mano che verranno
utilizzati, se ne analizzeranno anche i sottocomandi di cui si compongono.
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6.1. Geometria e caratteristiche del terreno
Il programma prevede che il modello 3D venga realizzato a partire da quello 2D per estrusione, la
quale può avvenire in direzione verticale, orizzontale o inclinata sempre secondo l’asse z, ovvero
quello non presente nella vista 2D. Nel caso in esame, considerando il tipo di fondazione che si sta
studiando, l’estrusione avverrà in direzione verticale. Per specificare questo occorre procedere come
segue:
Inoltre alla voce “Elevation of first slice” si inserisce il valore 42, che rappresenta il picco più alto
del pendio che si andrà a realizzare.
Si analizza, per vedere di cosa si compone, il set di comandi “Geometry” con il quale verrà
realizzata la geometria del pendio.
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Per rappresentare i limiti esterni della regione di terreno di interesse si usa il sottocomando “Add
external” ( indicato in figura 30 dalla freccia nera). In particolare di procede come segue:
Add external → t → invio → compare una griglia nella quale inserire le coordinate estreme della
regione da rappresentare → si inseriscono le coordinate → ok
Procedendo in questo modo comparirà il blocco di terreno di dimensione rettangolare 145 x 120 m,
estruso per l’altezza prima assegnata di 42 m, che verrà modellato al fine di ottenere il profilo
plano-altimetrico desiderato.
A questo punto si dovrà modellare tale blocco così da poter realizzare quello che potrebbe essere un
ipotetico pendio tipico di un versante. A tal proposito occorre fare una premessa; un limite del
codice di calcolo RS3 è quello di poter agire manualmente solo sulla vista 2D e non su quella 3D.
La vista 3D compare solo per estrusione, non può essere modificata, e quindi ogni azione bisogna
condurla nella vista 2D. Nella schermata 2D compare solo la faccia, o le facce, perpendicolari
all’asse Z, e quindi, potendo operare solo su queste, l’inclinazione del terreno non potrà essere
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rappresentata da una linea inclinata, bensì sarà approssimata con un andamento a gradoni. Per
rendere questa approssimazione il più possibile vicina alla realtà, il terreno sarà suddiviso in tante
porzioni di altezza 1 m, ognuna delle quali, procedendo verso il basso, avrà un’estensione sempre
maggiore, così da ricreare il pendio. Detto ciò si suddivide il terreno in strati tramite il comando
“Slices” e in particolare tramite “edit slice”. Procedendo come segue comparirà la seguente
schermata:
Per suddividere il blocco di terreno in tanti sottostrati si riduce lo spessore del singolo strato da 42
m a 1 m. Successivamente tramite il comando “duplicate” (cerchiato in rosso in figura 33 a pagina
seguente) viene creato un nuovo strato identico a quello di partenza, e quindi in questo modo, è
possibile ottenere 42 strati da 1 m in cui verrà suddiviso il terreno.
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Figura 33: Creazione dei sottostrati
Con il primo sottocomando “Define Material properties” (figura 35 segmento rosso) si definiscono i
vari materiali che andranno a costituire il terreno e le loro proprietà. Nel caso in esame si ipotizzerà
la presenza di tre strati di terreno, ognuno caratterizzato da un diverso materiale. Con il secondo
sottocomando “Assign Properties” invece (indicato in figura 35 con il segmento blu) le proprietà
definite in precedenza, vengono assegnate all’elemento di terreno desiderato. Si procede quindi alla
definizione dei tre materiali mediante le loro caratteristiche meccaniche principali, ovvero, il
modulo di Young (E), la coesione (c), l’ angolo di attrito (f) e il peso dell’unità di volume (γ). La
schermata “Define materials properties” si presenta nel seguente modo:
Le forze sopra citate vengono definite attraverso il comando “Loads & Restrains”, di conseguenza,
se si seleziona “Field stress only” o “Field stress & Body Force” il programma farà riferimento a
queste. Le forze di volume rappresentano invece il peso proprio di un elemento il quale viene
calcolato a partire dal peso dell’unità di volume del materiale che si può inserire sotto la voce “Unit
weight”. Qualora si scelgano solo forze di superficie, l’opzione “Unit weight” viene disabilitata.
Successivamente si definiscono le proprietà elastiche del materiale (con particolare attenzione al
modulo di Young e a quello di Poisson) e si stabilisce se questo ha comportamento isotropo,
trasversalmente isotropo, ortotropo o iperbolico alla Duncan-Chang. Successivamente occorre
inserire l’angolo di attrito sotto la voce “Fric. Angle”, la coesione e scegliere il tipo di rotture fra
quelli disponibili, fra i quali si ricorda quello di Mohr-Coulomb o quello alla Hoek-Brown. Infine
alla voce “Material Type” si può scegliere se il materiale ha un comportamento elastico o plastico;
in questo ultimo caso si possono definire anche i parametri di resistenza residua.
Una volta spiegato il significato delle voci utili a caratterizzare i materiali, si procede alla loro
definizione. A titolo di esempio si considerano tre materiali aventi le seguenti caratteristiche:
MATERIALE 1 10000 13 26 16
MATERIALE 2 40000 20 28 21
MATERIALE 3 70000 elastico elastico 35
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A partire dall’alto verso il basso, il primo strato di terreno sarà costituito dal MATERIALE 1, il
secondo dal MATERIALE 2, e il terzo dal MATERIALE 3; quest’ ultimo, essendo assimilabile ad
una roccia, non ha bisogno della definizione dell’ angolo di attrito e della coesione in quanto avrà
un comportamento elastico e non plastico a differenza degli altri due. Il tipo di rottura adottato sarà
quello alla Mohr-Coulomb, i materiali avranno un comportamento isotropo (lo stesso in ogni
direzione) e alla voce “Initial element loading” si sceglie “Field stress & Body Force” in modo tale
da considerare le condizioni più generali possibili, in quanto così facendo, se sono presenti forze di
superficie queste verranno messe in conto, altrimenti le uniche azioni presenti saranno quelle dovute
al peso proprio. Per aggiungere e caratterizzare un nuovo materiale dopo averne già definito uno, si
utilizza il comando “Add”; tale procedimento verrà effettuato tante volte quanti sono i materiali
presenti nell’elemento di terreno considerato.
Dopo aver caratterizzato i materiali si definiscono le altezze degli strati:
- Il primo strato di terreno, costituito dal MATERIALE 1, presenta un’altezza uniforme per
tutto lo sviluppo del versante pari a 6 m;
- Il secondo strato di terreno, costituito dal MATERIALE 2, presenta un’altezza iniziale di 19
m che si riduce a 8 m a fondo versante;
- Il terzo strato di terreno, costituito dal MATERIALE 3, presenta un’altezza iniziale di 17 m
che si riduce a 5 m a fondo versante.
Da questo momento in poi si è in possesso di tutti i requisiti necessari al fine di modellare il pendio
sul quale insisterà la fondazione. Per fare ciò si utilizzerà il sottocomando “Add material” presente
nel set “Geometry” (figura 30, freccia verde) il quale permette di inserire un elemento di confine
(“material boundary”) fra due diversi materiali. Di conseguenza, se si vogliono definire regioni
aventi differenti proprietà sia meccaniche che elastiche, tramite questo sottocomando lo si può fare.
Il profilo del terreno viene generato a partire dalla prima “slice” (quella alla quota più alta),
selezionabile dal riquadro presente alla destra della schermata principale (figura 28, “Slice view
control”) per poi procedere con le “slice” sottostanti. Il procedimento logico è il seguente:
Add material → si inseriscono le coordinate del punto da cui ha inizio la material boundary → si
collega la linea generata al lato opposto del modello 2D → invio
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Figura 37: Sottocomando Material boundary
Material & Staging → si seleziona con il tasto destro la regione di interesse nella schermata 2D →
Assign Properties → si assegna MATERIALE 1 alla zona dove è presente il terreno e Excavate alla
zona adiacente
Il comando “Excavate” permette di creare il vuoto dove non è presente il terreno e quindi
procedendo in questo modo anche per gli strati sottostanti si realizza il profilo inclinato del
versante.
A partire dalla “slice” numero 26, ovvero a 26 m di profondità, entra in gioco anche il terzo strato.
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6.2. Realizzazione del pozzo di fondazione
La fondazione a pozzo descritta all’inizio del capitolo 6, verrà inserita al centro del versante, ad una
profondità di 28 m rispetto alla “slice” 1, ovvero rispetto al punto più alto del pendio. Il percorso
logico da seguire per la realizzazione del pozzo è quello descritto nel capitolo 4, e cioè quando sono
state elencate le fasi costruttive della fondazione oggetto di studio.
Per quanto detto quindi, il primo passo da seguire, sarà quello di inserire il sostegno allo scavo,
ovvero la coronella di micropali all’interno del terreno e, per fare ciò, si realizza una “excavation
boundary” circolare mediante il sottocomando “Add excavation”, con diametro pari a quello del
pozzo, ovvero 12 m, così come indicato di seguito:
Si procede in questo modo per ogni “slice” interessata dalla fondazione in modo tale da realizzare
un cilindro che, con opportuno rivestimento, andrà a costituire l’opera di sostegno allo scavo. In
figura si riporta quanto ottenuto.
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Come si evince dalla figura è stato realizzato il perimetro dell’opera di sostegno dello scavo, e
quindi, il passaggio successivo sarà quello di realizzare la coronella di pali. Questo passaggio
avverrà attraverso il comando “Support”.
Mediante il comando “Support” si possono generare nel modello elementi che riguardano la
struttura di fondazione, come tiranti, rivestimenti, travi o palificate. In merito all’ opera di
fondazione oggetto di studio, occorre fare delle ipotesi, in quanto, non è possibile creare una
struttura di rivestimento così come è stata descritta nella parte teorica e cioè mediante coronella di
pali, centine e spritz-beton. I pali che possono essere inseriti attraverso il programma sono pensati
per fondazioni profonde, e non vanno bene se usati come opere di sostegno o di rivestimento. A tal
proposito, il rivestimento del pozzo verrà approssimato con uno ottenuto mediante il sottocomando
“Add Liner” (indicato in figura 44 con il segmento nero) il quale può essere usato per definire opere
di supporto allo scavo. Questo fa si che mentre nella realtà prima si realizza la coronella di pali (che
costituisce l’opera di sostegno allo scavo) poi si scava per successivi ribassi e ad ogni scalino si
realizza il contrasto formato da spritz-beton e centine, nel programma invece, il rivestimento che si
andrà a realizzare comprenderà da subito tutti e tre gli elementi appena citati e solo dopo, si
effettuerà lo scavo. Così facendo, il rivestimento che si realizza sarà da subito sia l’opera di
sostegno allo scavo, sia il rivestimento del pozzo a scavo ultimato. Fatta questa premessa, si
procede con la realizzazione del rivestimento.
Add Liner → Edit Liner property → ok → con il cursore, su ogni slice, si seleziona il contorno
del pozzo in modo da selezionarlo tutto → invio
Tramite “Edit Liner property” vengono definite, così come si è fatto per il terreno, le proprietà del
materiale che costituiscono il rivestimento. In particolare è stato inserito:
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Figura 45: Rivestimento del pozzo
Una volta realizzato il sostegno si procede con lo scavo della zona di terreno interna ad esso. Per
fare questo si procede dalla cima del pozzo per poi arrivare fino a fondo scavo allo stesso modo di
come si erano assegnati i materiali alle “slice” del terreno. In particolare si procede secondo il
seguente percorso logico:
Si seleziona la prima slice dove è presente il pozzo → Material & Staging → Assign Properties
→ si assegna Excavate alla zona interna al pozzo in modo da eliminare il terreno li presente
Si procede in questo modo per tutte le “slice” dove è presente il pozzo, tranne che per le ultime
quattro, ovvero per gli ultimi quattro metri in quanto il sostegno, come già detto in precedenza,
viene prolungato al di sotto del fondo scavo per evitare fenomeni di filtrazione. A questo punto si
passa alla realizzazione del riempimento del pozzo, il quale presenta un’altezza di 5 m a partire dal
fondo dello scavo. Per realizzare il riempimento viene definito un nuovo materiale (allo stesso
modo di come è stato fatto per il terreno) avente proprietà pari a quelle del cemento armato, il quale
poi verrà assegnato ai 5 m all’interno del pozzo nel quale tale riempimento è presente. Le proprietà
del riempimento saranno le stesse definite per il rivestimento essendo entrambi in cemento armato.
(In realtà riempimento e rivestimento non sarebbero costituite dallo stesso materiale, in quanto il
42
primo è realizzato mediante cls eventualmente armato, mentre il secondo presenta oltre al cemento
armato dei pali anche lo spritz-beton. Detto questo, si tratta comunque di un’ipotesi attuabile). Una
volta definito il materiale questo viene assegnato alle “slice” di competenza. Si inserisce di seguito
un’immagine in cui sia nella vista 2D che in quella 3D si può notare il riempimento in cls
rappresentato dall’area campita in blu all’interno del pozzo.
Una volta realizzato il riempimento del pozzo, occorre definire ed assegnare ad esso la trave di
coronamento e le centine metalliche. Come già descritto a inizio capitolo, la trave di coronamento,
le centine metalliche e lo spritz-beton hanno come finalità quella di assorbire le pressioni radiali
agenti sul pozzo, vincolare i pali fra loro e quindi rendere più rigida la fondazione nel suo
complesso. Per realizzare quindi elementi trave all’interno del modello, nel caso in esame centine
metalliche e trave di coronamento, si utilizza il sottocomando “Add beam”. Ovviamente nel caso
della trave di coronamento questa sarà realizzata in cemento armato mentre per quanto riguarda le
centine metalliche si utilizzerà l’acciaio. Di conseguenza verranno definite due tipologie di travi
mediante i materiali che le costituiscono. Si procede nella seguente maniera:
Add Beam → nella schermata a tendina che si apre selezionare Edit Beam Properties → si
rinomina la trave e si definiscono le sue proprietà → ok → compare una nuova finestra dove
specificare a che altezza posizionare l’elemento e come orientarlo → Apply → si seleziona nella
vista 2D o 3D la zona del pozzo dove inserire la trave → Close
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Di seguito si inseriscono due immagini che mostrano le finestre di default nelle quali è possibile
definire le proprietà e il posizionamento della generica trave:
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Si ricorda che la trave di coronamento avrà dimensione maggiore, oltre che una diversa forma
rispetto alle centine (la prima avrà, in sezione, una forma rettangolare mentre le centine sono
profilati HE) ma per quanto riguarda la forma si è assunta l’ipotesi di utilizzare anche per le centine
una sezione rettangolare in quanto il programma non prevede la possibilità di inserire forme tipiche
dei profilati in acciaio. Si è proceduto inizialmente definendo e posizionando la trave di
coronamento, e poi, è stato effettuato lo stesso procedimento con le centine metalliche definendo un
nuovo elemento tramite il comando “Add” presente nella finestra “Define Beam properties” (figura
47). Prima di andare avanti si mostra come posizionare le travi all’interno della fondazione, tramite
il comando “Add beam” (figura 48). Per quanto riguarda la trave di coronamento che si trova nella
sommità del pozzo, si disattiva la casella “spacing” in quanto all’interno di ogni singola slice, che si
ricorda essere alta 1 m, non compaiono altre travi poiché ognuna di esse dista dall’altra 1,5 m. Nella
casella “offset” invece si inserisce 0 m in quanto la trave rispetto alla sommità non risulta spostata
verso il basso. Per quanto riguarda la trave successiva, che questa volta si tratterà di una centina
metallica, si seleziona la “slice” sottostante, si disattiva la voce “spacing” per il motivo già spiegato,
e poi al comando “offset” si inserisce 0,5 m in modo da posizionare la trave ad una distanza di 1,5
m dalla precedente. Si procede in questo modo fino a quando ogni trave è inserita nel modello. Si
inseriscono due immagini in cui si possono notare nella vista 3D la trave di coronamento in nero e
le centine metalliche in rosso le quali si interrompono in prossimità del riempimento.
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Figura 50: Trave di coronamento e centine metalliche (2)
A pozzo terminato, l’ultimo step da seguire al fine di completare il modello, è quello di realizzare la
mesh di calcolo necessaria per effettuare i vari tipi di analisi che possono riguardare la fondazione
in esame.
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6.3. Mesh di calcolo
Il comando che permette di creare la mesh di calcolo si chiama appunto “Mesh” e si presenta nel
seguente modo:
Il primo sottocomando che viene usato è “Mesh setup” (indicato in figura 51 dalla x verde) il quale
serve per specificare il tipo di mesh che si vuole ottenere e il suo grado di dettaglio. Il menu a
tendina da utilizzare per definire quanto detto è quello che compare cliccando il comando appena
descritto:
Alla voce “Mesh type” si può scegliere se realizzare una mesh uniforme in tutto il modello o se
renderla più fitta in prossimità di zone ben precise (soprattutto in prossimità degli scavi), mentre
tramite il sottocomando “Element Type”, si può decidere la forma e da quanti nodi è composto il
singolo elemento finito. Alla voce “Number of edges on excavated boundaries” è controllata la
densità di elementi in prossimità dello scavo; maggiore sarà il numero e più densa sarà la maglia
vicina allo scavo. Tale parametro indica il numero di bordi dei confini che delimitano uno scavo e,
il valore di default presente nel riquadro, ne rappresenta sia il totale, sia un limite inferiore del
numero di bordi necessario per il modello corrente. Non è possibile avere un numero di bordi
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inferiore a quello di default. Nei comandi di dettaglio invece, mediante la voce “Offset”, viene
specificato uno spessore sulle superfici scavate in cui gli elementi all’interno di questa regione
mantengono le stesse dimensioni. L’offset è definito mediante un numero che indica lo spessore di
questa regione. L’opzione “Grading factor” invece determina quanto velocemente aumentano le
dimensioni degli elementi (e quindi la mesh diventa più povera) allontanandosi dalla zona di offset;
quindi maggiore è il “Grading factor” maggiore sarà l’estensione della maglia al di fuori dell’
“offset”, che di contro però, risulterà più povera. Un elevato “Grading factor” quindi, a seconda
della geometria, può ridurre la qualità degli elementi della mesh e quindi per quanto detto, in caso
di volumi ristretti o confinati, riducendo il fattore, può migliorare la mesh. Il sottocomando
“External Grading factor” infine, controlla la dimensione degli elementi ai confini del modello. Un
fattore pari a 1 indica che il comando è attivato, se invece assume il valore 0,5 questo sta a
significare che la dimensione degli elementi sul perimetro esterno sarà circa la metà di quella
ottenuta con il parametro settato sull’ unità. Analogamente, un fattore pari a 2 cercherà di
raddoppiare la dimensione degli elementi sulla superficie esterna. È importante notare che la
modifica di questo parametro influenza la dimensione complessiva della mesh.
Si inserisce di seguito un’ immagine che spiega graficamente il significato dei tre fattori appena
discussi. (I cerchi ai bordi dell’offset rappresentano gli estremi di un generico scavo).
Sempre alla voce “Mesh setup”, è disponibile l'opzione “Exclude boundaries of volumes that are
always excavated”. La selezione di questa casella è utile per i modelli in cui alcune delle regioni
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scavate non sono in realtà veri e propri scavi e che quindi non devono essere trattati come tali. Di
conseguenza in questi casi, le regioni non avranno elementi concentrati sul loro confine. L’altro
sottocomando presente nella griglia invece (indicato in figura 51 dalla x gialla) permette di
realizzare direttamente la mesh con i comandi di default bypassando le opzioni appena elencate.
Dopo questa breve spiegazione dei principali comandi necessari per realizzare una mesh, si procede
alla generazione della mesh relativa al modello oggetto di studio.
Nel caso in esame si è scelto di realizzare una mesh non uniforme con elementi finiti tetragonali
costituiti da quattro nodi. Per quanto riguarda le opzioni avanzate sono state lasciate quelle di
default, mentre è stata selezionata la casella “Exclude boundaries of volumes that are always
excavated” in quanto ci sono regioni scavate per realizzare il pendio che però non sono veri e propri
scavi. Una volta scelte le varie opzioni, si seleziona la voce “mesh” (figura 52). Il programma prima
di realizzare la mesh chiede preventivamente se si vuole fare o meno la pulizia della geometria
(questa opzione unisce automaticamente vertici che sono molto vicini l’uno all’altro secondo una
tolleranza definita dall’utente, che però nel nostro caso è stata mantenuta pari a quella di default)
per evitare di avere elementi di bassa qualità, i cosiddetti “bad elements” (figura 54). Dopo questa
richiesta il programma realizza la mesh.
La mesh realizzata è riportata a pagina seguente (figura 55), dove, oltre a notare la suddivisione
della geometria del modello in elementi finiti, sono stati evidenziati tre sottocomandi che verranno
utilizzati per modificare, se necessario, la mesh appena ottenuta. Il sottocomando “Remove mesh”
(indicato dalla x rosa) rappresenta l’opzione per eliminare la mesh appena ottenuta, “Show mesh
quality” (individuato dalla x marrone) ne mostra la qualità, ed infine “Define mesh quality”
(segnato dalla x azzurra) permette di stabilire i criteri per definire la qualità della mesh.
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Figura 55: Generazione della mesh
Una volta generata la mesh occorre vedere quanti “bad elements” vi sono al suo interno, poiché,
maggiore sarà la qualità della mesh e maggiore sarà l’attendibilità dei risultati delle analisi. Per fare
ciò verrà utilizzato il sottocomando “Define mesh quality” il quale fornisce il numero di “bad
elements” presenti rispetto al totale. Utilizzando tale sottocomando si ottiene il seguente messaggio:
Tornando al numero di anomalie presenti nel modello, in figura 56, selezionando l’opzione “Define
mesh quality” ci vengono forniti i range attraverso i quali sono stati definiti i “bad elements”; questi
range sono indicati nella figura seguente.
Modificando tali range, ed in particolare, selezionando l’ opzione “Filter with mesh view plane” si
possono eliminare i “bad elements”. Non è questa però la strada intrapresa poiché, così facendo,
qualsiasi anomalia può essere eliminata semplicemente alleggerendo i criteri di selezione. Si
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preferisce quindi agire sul modello, ragionando sui parametri precedentemente discussi (“Offset”,
“Grading factor”, “External grading factor”). Innanzitutto cliccando sull’ opzione “Show mesh
quality” (figura 57), si va ad osservare quali sono le zone nelle quali sono concentrati i “bad
elements” in modo da capire quale potrebbe essere il problema. Come si può osservare nella figura
a pagina seguente i “bad elements” sono presenti soprattutto nella parte iniziale e finale del pendio
e perciò è in quelle zone che si dovrà migliorare la qualità della mesh.
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maggior numero di “bad elements”, allora il valore di questo fattore verrà ridotto da 1 a 0,5. Infine
il comando “Offset” resterà invariato e pari a 2.
Come si può osservare, con le nuove modifiche il numero di “bad elements” si è sensibilmente
ridotto fino quasi ad azzerarsi. Il passo successivo sarà quello di provare a migliorare ulteriormente
la mesh di calcolo al fine di renderla ottimale, e per fare ciò, non si agirà sull’intero modello bensì
si opererà nelle zone dove ancora sono presenti anomalie. Si riporta a pagina seguente un’immagine
dove si nota la riduzione di “bad elements” rispetto alla situazione precedente.
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Figura 61: Riduzione dei bad elements
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Dopo aver selezionato il comando “Customize mesh” compare il seguente menù a tendina:
Il fattore con il quale il programma ridefinisce la densità della mesh degli elementi selezionati
rimarrà quello di default, mentre alla voce “selection mode” , dove si può scegliere tra “surfaces”,
“volumes”, “edges” e “points” si opterà per “volumes” in modo da racchiudere zone più vaste del
modello. Fatto ciò si selezionano i volumi di interesse e successivamente con il sottocomando
“Apply”, di questi, se ne rigenera la mesh.
Cliccando si al messaggio di richiesta di una nuova scansione, il programma rianalizza la mesh per
poi comunicare che effettivamente non sono più presenti anomalie nella discretizzazione del
modello.
Cliccando infine sul comando “close”, compare la mesh priva di ogni anomalia.
Si inseriscono a pagina seguente due immagini che mostrano il modello finale con la mesh
ottimizzata priva di ogni “bad elements”.
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Figura 66: Mesh finale senza bad elements (1)
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Infine, mediante il sottocomando “View mesh plane” (indicato in figura 61 da una x nera) si può
sezionare il modello (la sezione può essere generata a nostro piacimento su ciascuno dei tre piani
XZ, XY e YZ) allo scopo di visualizzare la mesh anche all’interno del modello stesso e non solo
esternamente. La sezione viene generata da un riquadro che può essere spostato dall’utente, al fine
di ottenere la sezione nel punto desiderato.
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7. Conclusioni
A conclusione del lavoro svolto è necessario fare qualche precisazione riguardo l’utilizzo del
programma RS3. L’obbiettivo del tirocinio è stato quello di familiarizzare con il codice di calcolo
RS3 e allo stesso tempo creare un modello base a carattere generale, che possa essere utilizzato
come strumento di partenza per effettuare una qualsivoglia analisi inerente all’argomento trattato.
Sono stati descritti e analizzati la gran parte dei comandi con particolare attenzione a quelli relativi
alla costruzione del modello (definizione della geometria, dei materiali e della mesh di calcolo),
mentre non sono stati presi in considerazione, in quanto secondari ai nostri scopi, quelli riguardanti
la definizione dei carichi e della falda. Come sappiamo, sia la definizione dei carichi che agiscono
sull’elemento di fondazione e/o sul terreno, sia la presenza o meno della falda, dipendono
principalmente dal tipo di studio che si vuole fare e dalla particolare condizione che si incontra in
situ, e quindi per tale motivo, questi due aspetti rappresentano lo step successivo al lavoro svolto. In
aggiunta a quanto detto, nella presente relazione, non solo è stato spiegato come si è ottenuto il
modello di calcolo, ma si è anche descritto in maniera approfondita (anche con l’aiuto di immagini)
ogni singolo passaggio allo scopo di rendere immediata la comprensione dell’ argomento e dei
principali comandi del programma da parte di un qualsiasi interlocutore interessato all’ argomento
oggetto di studio.
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