Curve

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Curve

20 novembre 2009

In questi appunti presenteremo alcuni elementi di base della teoria delle


curve. Considereremo dapprima la nozione di curva algebrica piana e, in par-

e
ticolare, vedremo alcune proprietà delle coniche. In secondo luogo verranno

e
introdotte alcune nozioni relative lo studio differenziale delle curve.
im n
ar
1 Curve algebriche piane
el sio
L’idea cardine della geometria analitica è quella di descrivere degli enti geo-
metrici mediante equazioni. In generale, tali equazioni possono essere date
da polinomi o meno. Poiché ragioneremo in termini di coordinate, supporremo
in
che sia fissato un riferimento una volta per tutte e identificheremo i punti
dei veri spazi in esame con le loro cooedinate.
Definizione 1. Sia C ⊆ AG(n, K) un insieme di punti. Allora C è detto alge-
Pr er

brico se esiste un insieme finito di polinomi fi (x0 , x1 , . . . , xn−1 ) a coefficienti


in K tale che
C = {(x0 , x1 , . . . , xn−1 ) ∈ AG(n, K) : fi (x0 , x1 , . . . , xn−1 ) = 0 per ogni i }.
V

Rette, piani, iperpiani sono sempre insiemi algebrici. Osserviamo che i


polinomi fi (x0 , x1 , . . . , xn−1 ) non sono univocamente determinati.
Ci occuperemo ora di curve piane.
Definizione 2. Sia f(x, y) un polinomio in due variabili. Si dice curva
algebrica affine di equazione f(x, y) = 0 la coppia (f, C) ove
C = {(x, y) ∈ AG(2, K) : f(x, y) = 0}.
e C)
La corrispondente curva algebrica proiettiva è data dalla coppia (f, e ove

C
e = {K? (x0 , x1 , x2 ) : f(x
e 0 , x1 , x2 ) = 0}.

Il grado del polinomio f (ovvero f)


e che definisce una curva algebrica è detto
ordine della curva.

1
L’ordine di una curva possiede un importante significato geometrico
Teorema 3 (Teorema dell’ordine). Una retta generica del piano interseca una
curva piana d’ordine n in n punti.
Dimostrazione. L’intersezione fra una curva C di equazione f(x, y) = 0 ed una
retta r di equazione ax + by + c = 0 si può determinare risolvendo il sistema
f(x, y) = 0
ax + by + c = 0;
ricavando la y dalla seconda equazione, e sostitudendo nella prima si ottiene
una espressione di grado n nella sola x
A0 xn + A1 xn−1 + . . . + An = 0

e
ove i coefficienti Ai dipendono dai parametri a, b, c che determinano la retta

e
r. In particolare, tranne che per al più un numero finito di scelte per a e b si
ha A0 6= 0; pertanto, in generale, l’espressione considerata ha n radici.
im n
ar
Qualora si ragioni su di un campo algebricamente chiuso (ad esempio C)
si può dire di più.
el sio
Teorema 4. Sia K un campo algebricamente chiuso. Ogni curva proiettiva di
ordine n definita in PG(2, K) è intersecata in esattamente n punti, contati con
le debite molteplicità, da una retta che non sia completamente contenuta in
essa.
in
Dimostrazione. Utilizziamo il medesimo ragionamento applicato nella dimo-
strazione del Teorema 3, osservando che sostituendo la y nell’equazione della
Pr er

curva si ottiene un polinomio p(x) per cui vigono le seguenti possibilità:


1. il polinomio p(x) così ottenuto è identicamente nullo; pertanto, ogni
punto della retta appartiene anche alla curva;
V

2. il polinomio p(x) ha grado n; pertanto esso ha n radici in K contate con


le debite molteplicità; tali radici corrispondono a n punti in AG(2, K)
visto come piano immerso in PG(2, K);
3. il polinomio p(x) ha grado t con 0 ≤ t < n. Passando a coordinate
omogenee si vede che l’equazione p(x) = 0 diviene
e(x0 , x2 ) = A0 xn0 + A1 x2 xn−1
p 0 + . . . + An xn2 .
Quando A0 = 0, allora p e(x0 , 0) = 0 identicamente; pertanto la curva
e la retta si intersecano su dei punti all’infinito e la molteplicità di
intersezione è pari ad i ove Ai è il primo coefficiente non nullo di p
e. Ne
segue che le intersezioni, contate opportunamente, sono ancora n.

2
2 Retta tangente
Definizione 5. Sia C una curva algebrica proettiva di equazione f(x e 0 , x, x2 ) =
0 e consideriamo P ∈ C. Si dice tangente a C in P ogni retta ax0 + bx1 + cx2 = 0
che abbia in C due intersezioni riunite.
Mostriamo ora come calcolare la retta tangente ad una curva C algebrica
proiettiva.
Consideriamo dapprima il caso molto particolare in cui la curva C passa
per il punto affine O = (0, 0) e si voglia calcolare la tangente in tale punto.
Lemma 6. Sia C una curva algebrica piana di equazione f(X, Y) = 0 e sup-
poniamo O = (0, 0) ∈ C. Allora la tangente a C nel punto O = (0, 0) ha

e
equazione

e
∂f ∂f
X X+ Y=0
∂ O ∂Y O
im n
ar
Dimostrazione. Consideriamo il sistema

f(X, Y) = 0
el sio
Y = αX.

Sia r l’ordine di C e scriviamo


in f(X, Y) =
X
r
aij Xi Y j .
i,j=0
Pr er

In particolare, la retta Y = αX ha una intersezione doppia con f(X, Y) in (0, 0)


per tutti e soli i valori di α per cui il polinomio

f(X, αX) = 0
V

ha una radice almeno doppia X = 0. Questo significa che 0 deve essere


radice sia di f(X, αX) che di f 0 (X, αX) = dX
df
. Pertanto, f 0 (X, αX) non deve avere
termini costanti, cioè
f10 + αf01 = 0,
da cui, tenuto conto della scrittura di f,
∂f ∂f
+α = 0. (1)
∂X (0,0) ∂Y (0,0)

Se
∂f
6= 0,
∂Y (0,0)

3
tale equazione ammette una e una sola soluzione, corrispoedente alla retta
∂f ∂f
Y+ X = 0; (2)
∂Y O ∂X O

se, invece
∂f ∂f
= 0, 6= 0,
∂Y O ∂X O
allora si mostra con ragionamento analogo che la retta X = 0, che ha ancora
equazione (2) risulta tangente a C. In particolare, la tangente esiste ed è
unica ogni qual volta
 
∂f ∂f
∇|(0,0) f = , 6= 0.
∂X O ∂Y O

e
e
Definizione 7. Sia f(X, Y) = 0 l’equazione di una curva piana C. Un punto
im n
P ∈ C è detto singolare se

ar
∇|P f = 0.
el sio
In particolare, l’equazione della tangente in O ad una curva di equazione
f(X, Y) = 0 si scrive in forma compatta come
in h∇|O f, (X, Y)i = 0.
Vogliamo ora studiare il calcolo della tangente ad un punto arbitrario
di una curva algebrica proiettiva C di equazione omogenea f(x
b 1 , x2 , x0 ) = 0.
Pr er

Procederemo come segue:


1. mostreremo che, per ogni P ∈ C, esiste sempre una opportuna trasfor-
mazione proiettiva A che manda P → O = (0, 0, 1);
V

2. useremo il Lemma 6 per calcolare la tangente in O;


3. vedremo come le derivate si trasformino applicando A−1 .
Lemma 8. Sia K? x ∈ PG(n, K). Allora, esiste una matrice A ∈ PGL(n + 1, K)
ortogonale
A(K? x) = K? (Ax) = K? (0, 0, . . . , 0, 1).
x
Dimostrazione. Sia y = ||x|| 2
. Chiaramente i punti K? x e K? y coincidono. In
completiamo ora y a base ortonormale di Kn+1 di modo da ottenere come base
ordinata
B = {b1 , b2 , . . . , bn , y}.
La matrice cercata è l’inversa di quella B che ha come colonne le rappresen-
tazioni dei vettori di B rispetto la base canonica.

4
Lemma 9. Sia f(x1 , x2 , x0 ) = 0 l’equazione di una curva C, e A ∈ PGL(2, K).
Allora, l’insieme
CA = {AP : P ∈ C}
è una curva di equazione fA (x1 , x2 , x0 ) = f(A−1 (x1 , x2 , x0 )) = 0.
Dimostrazione. Supponiamo che P = (p0 , p1 , p2 ) soddisfi g(p1 , p2 , p0 ) = 0. Poi-
ché A : PG(2, K) → PG(2, K) è biettiva, esiste sicuramente un Q ∈ PG(2, K)
tale che P = AQ. Notiamo che

0 = fA (P) = fA (AQ) = f(A−1 AQ) = f(Q);

pertanto P ∈ CA . Viceversa, se P ∈ CA allora esiste un Q ∈ C tale che P = AQ


e, chiaramente f(Q) = 0; in particolare

e
e
im n fA (P) = f(A−1 P) = f(A−1 AQ) = f(Q) = 0,

per cui fA (Q) = 0.

ar
Il lemma seguente, che richiamiamo senza dimostrazione, mostra come si
el sio
trasformano le derivate.
Lemma 10. Sia A una matrice n × n, e f : Kn+1 → K una funzione differen-
in
ziabile. Poniamo g(x) = f(Ax). Allora,

∇|x g = AT (∇|Ax f). (3)


Pr er

In particolare, se A = αI, e f : Kn+1 → K è un polinomio omogeneo di


grado r in n + 1 variabili, dalla (3) si deduce

αr ∇|p f(x) = ∇|p (αr f(x)) = ∇|p f(αx) = α∇|αp f(x),


V

da cui si ottiene
∇|αp f = αr−1 ∇|p f. (4)
Ponendo
∇K? p f = {∇|αp f : α ∈ K}.
Per la (4), dunque possiamo scrivere

∇K? p f ⊆ K? ∇p f. (5)

Notiamo che i due insiemi nella (5) coincidono se, e solamente se il grado del
polinomio omogeneo f è pari oppure ∇p f = 0. In ogni caso, se ∇p f 6= 0, però,
esiste un’unica classe K? x che contiene il gradiente.
Siamo ora pronti a dimostrare il teorema principale.

5
Teorema 11. Sia C una curva di equazione proiettiva f(x b 1 , x2 , x0 ) = 0. Allora,
per ogni P = (x1 , x2 , x0 ) ∈ C con
!
∂ f
b ∂ f
b ∂ f
b
∇|P fb = , , 6= (0, 0, 0)
∂x1 ∂x2 ∂x0
P P P

esiste un unica tangente rP a C passante per P e tale retta ha equazione

∂fb ∂fb ∂fb


x1 + x2 + x0 = 0,
∂x1 ∂x2 ∂x0
P P P

ovvero D E
∇|P f, (x1 , x2 , x0 ) = 0.
b

e
e
Dimostrazione. Supponiamo P = (p1 , p2 , p0 ) e sia A una trasformazione or-
togonale tale che AP = K? (0, 0, 1) = O. Il punto P ∈ C corrisponde pertanto
im n
al punto O ∈ CA mediante A e, per il Lemma 9, l’equazione di CA è proprio

ar
A (x , x , x ) = 0. Passiamo ora a coordinate affini, ponendo X = x1 e Y = x2 .
fc 1 2 0 x0 x0
Usando il Lemma 6 si vede che la tangente in (0, 0) alla curva CA di equazione
el sio
fA (X, Y) = 0è
∇|(0,0) fA , (X, Y) = 0.
in
Ripassando a coordinate proiettive e sfruttando le considerazioni in calce al
Lemma 10 si vede che l’insieme
 
Pr er

∂f
cA ∂f
cA ∂f
cA
K? ∇|(0,0,1) fc
A = K?  , , 
∂x1 ∂x2 ∂x0
(0,0,1) (0,0,1) (0,0,1)

dipende solamente dalla classe di K? (0, 0, 1). Quindi, la una tangente per
V

O = K? (0, 0, 1) ha equazione proiettiva del tipo tipo


D E
∇|(0,0,1) fc
A , (x , x , x ) = 0.
1 2 0

−1
Sia g = fA . Chiaramente f = gA . Usando il Lemma 10, la definizione di fA
e tenuto conto che AT = A−1 , notiamo che
A ) = A−T (∇| −1 f)
(∇|O fc b = A(∇|P f)
b
A O

Applicando ora la trasformazione A−1 che manda la curva CA in C e, in


particolare O → P si ottene per la tangente
D E
A(∇|P f), A(x1 , x2 , x0 ) = 0,
b

6
da cui D E
AT A(∇P f),
b (x1 , x2 , x0 ) = 0,

ovvero D E
∇P f,
b (x1 , x2 , x0 ) = 0.

Definizione 12. Un punto P ∈ C è detto r–uplo se ogni retta passante per P


incontra C in P con molteplicità almeno r.

3 Forme quadratiche

e
Definizione 13. Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n sul campo K

e
di caratteristica diversa da 2. Si dice forma quadratica ogni applicazione
q : V → K tale che, per ogni x, y ∈ V, λ ∈ K:
im n
ar
1. q(λx) = λ2 q(x);
el sio
2. B(x, y) = q(x + y) − q(x) − q(y) è una forma bilineare V × V → K.

In generale, se V è uno spazio vettoriale euclideo su R si può dimostrare


in
che ogni forma quadratica q si rappresenta come

q(x) = hx, Qxi ,


Pr er

ove Q è una matrice simmetrica.


Quando lo spazio vettoriale V è reale, è sempre possibile supporre grazie
al teorema spettrale che, a meno di un cambiamento di base, la matrice
Q sia diagonale D. Inoltre, tenuto conto che q(αbi ) = α2 q(bi ) si riesce a
V

dimostrare che, in una base opportuna è possibile supporre che le entrate


λi sulla diagonale principale di D appartengano tutte all’insieme {+1, 0, −1}.
Pertanto, a meno di cambiamenti di base, una forma quadratica risulta essere
descritta da due parametri:

1. il rango della matrice D;

2. la segnatura di D, ovvero, il numero di entrate in D pari a +1.

Alternativamente è possibile descrivere la forma quadratica fornendo l’elenco


dei segni degli autovalori della matrice Q; in particolare, una forma quadra-
tica su di uno spazio di dimensione n è definita positiva se la sua segnatura è
n come pure il suo rango; definita negativa se il rango è n e la segnatura 0.

7
4 Polarità
Consideriamo ora una forma quadratica q su V avente rango massimo, indot-
ta da una matrice Q e indichiamo con b la forma bilineare ad essa associata.
In generale, possiamo considerare la corrisponenza π che associa ad ogni
vettore a ∈ V l’iperpiano di equazione

b(a, x) = 0

o, equivalentemente,
hQa, xi = 0.
Questa corrispondenza è un isomorfismo fra lo spazio vettoriale V e il suo
duale V 0 .

e
Supponiamo ora che si abbia x ∈ π(a); allora

e
0 = hQa, xi = ha, Qxi = hQx, ai
im n
ar
da cui si deduce a ∈ π(x). Una corrispondenza fra V e il suo duale che goda
di tale proprietà è detta polarità.
el sio
Osserviamo che matrici proporzionali inducono la medesima polarità.

5
in
Coniche
Definizione 14. Una curva piana di ordine 2 è detta conica.
Pr er

L’equazione generica di una conica di PG(2, R) può sempre scriversi come

ax20 + 2bx0 x1 + 2cx0 x2 + dx21 + 2ex1 x2 + fx22 = 0. (6)

Posto
V

   
a b c x0
Q = b d e , X = x1  .

c e f x2
si vede che la (6) è equivalente all’espressione

XT QX = 0. (7)

In particolare, data una conica si definisce in modo unico una polarità.


Vale il seguente teorema.
Teorema 15. Sia C una conica non singolare, e π la polarità ad essa associata.
Consideriamo un punto P ∈ PG(2, R), e sia π(P) la sua retta polare. Ci sono
tre possibilità:

8
1. π(P) incontra la conica in un punto; allora π(P) ∩ C = {P} e π(P) è la
retta tangente a C passante per P.

2. π(P) incontra la conica in due punti distinti, diciamo L ed M. Allora, PL


e PM sono le due rette tangenti alla conica C passanti per P; in tale caso
si dice che P è un punto esterno a C.

3. π(P) non incontra la conica; in questo caso non esistono rette tangenti a
C passanti per P; in tale caso P è detto punto interno a C.

Dimostrazione. Sia P ∈ C; un calcolo diretto mostra che la retta tangente


passante per P ha proprio equazione

hX, QPi = 0.

e
e
Ne segue che la polare di un punto della conica è la tangente per quel punto.
im n
Viceversa, se la polare π(P) tocca la conica in esattamente un punto Q, allora

ar
essa è la retta tangente per Q e π(P) = π(Q). Ne segue P = Q.
Supponiamo ora P 6∈ C e che π(P) ∩ C = {L, M} con L 6= M. Per le proprietà
el sio
delle polarità abbiamo P ∈ π(L) ∩ π(M), ma π(L) è la tangente alla conica per
L e π(M) è la tangente per M. Ne segue che PL e PM sono rette tangenti a C.
Supponiamo ora che PR sia una retta tangente alla conica e che R ∈ C. Allora
in
P ∈ π(R) = PR, da cui R ∈ π(P). Ne segue R ∈ π(P) ∩ C. In altre parole i punti
di contatto fra π(P) e C sono tutti e soli i punti di contatto fra le tangenti per
P e C. Se ne deduce che:
Pr er

1. per P passano al più due rette tangenti a C;

2. se π(P) ∩ C = ∅, allora non esistono rette tangenti a C passanti per P.


V

Forniamo ora alcune ulteriori definizioni. Sia C una conica non degenere.

Definizione 16. Si dice centro di C il polo della retta impropria rispetto C.

In particolare, il centro di C è un punto proprio se C è una iperbole o una


ellisse (e in questo caso si parla di coniche a centro) mentre appartiene a C ed
è un punto improprio se C è una parabola.

Definizione 17. Per ogni conica a centro C, si dicono asintoti di C le tangenti


a C nei punti impropri.

Osserviamo che se C è una iperbole, allora tali tangenti sono reali; se C è


una ellisse, risultano invece rette complesse coniugate.

9
b
b P
L

b
M

Figura 1: Polare di un punto esterno rispetto una conica

e
Definizione 18. Si chiamano diametri di una conica le rette polari dei punti

e
impropri.
im n
ar
Notiamo che i diametri sono tutte e sole le rette passanti per il centro
(proprio o improprio) di una conica.
el sio
Definizione 19. Si dice asse di una conica ogni diametro ortogonale al pro-
prio polo (nel senso che la direzione dell’asse è ortogonale alla direzione
individuata dal punto improprio che è il suo polo).
in
Teorema 20. Sia C una conica non singolare; allora si verifica una delle
seguenti tre possibilità:
Pr er

1. C è una parabola; allora C ha un solo asse;

2. C è una circonferenza; allora ogni diametro di C è un asse;

3. C è una conica a centro diversa dalla circonferenza; allora C ha esatta-


V

mente due assi, l’uno ortogonale all’altro.


Definizione 21. Si dicono vertici di C le intersezioni proprie di C con i propri
assi.

6 Classificazione proiettiva delle coniche


Osserviamo che ogni conica proiettiva corrisponde all’insieme dei sottospazi
1–dimensionali su cui una forma quadratica Q si annulla; in altre parole,
K? x ∈ C se, e solamente se

K? (Qx) ⊆ (K? x)⊥ .

10
Una proiettività di PG(2, R) corrisponde ad una trasformazione lineare di R3 ;
pertanto, coniche associate a forme lineari equivalenti su R3 sono sicuramente
proiettivamente equivalenti. Osserviamo, d’altro canto, che se q(x) è una
forma quadratica di segnatura t su Rn , allora −q(x) avrà segnatura n − t.
D’altro canto, si ha
q(x) = 0 ⇔ −q(x) = 0,
per cui queste due forme descrivono la medesima quadrica. In particolare,
forme quadratiche su R3 con segnatura opposta definiscono la medesima
curva.
A partire dalle precedenti osservazioni possiamo formulare il seguente
teorema.
Teorema 22. Una conica reale, a meno di proiettività può corrispondere a

e
e
1. una forma quadratica di rango 1; in questo caso la conica assume
equazione della forma
im n x20 = 0

ar
e consta di una retta contata due volte;
el sio
2. una forma quadratica di rango 2 e segnatura 1; in questo caso l’equazione
della conica è della forma
in x20 + x21 = 0
ed essa consta di un punto reale, quello di coordinate K? (0, 0, 1);
Pr er

3. una forma quadratica di rango 2 e segnatura 2; in questo caso l’equazione


della conica diviene
x20 − x21 = (x0 + x1 )(x0 − x1 ) = 0
V

e la conica consta dell’unione di due rette reali e distinte;


4. una forma quadratica di rango 3 e segnatura 2; in tale caso abbiamo
una conica non singolare di equazione
x20 + x21 − x22 = 0;

5. una forma quadratica di rango 3 e segnatura 3; in questo ultimo caso,


l’equazione proiettiva della conica è
x20 + x21 + x22 = 0
che ammette come unica soluzione (0, 0, 0), non un punto di PG(2, R);
pertanto la conica considerata è priva di punti reali.

11
Definizione 23. Sia `∞ la retta all’infinito di PG(2, R). Una conica C è detta
1. ellisse se C ∩ `∞ = ∅;

2. parabola se `∞ è tangente a C;

3. iperbole se `∞ è secante C.

7 Classificazione affine delle coniche


Teorema 24. A meno di isometrie è sempre possibile ricondurre una conica
non singolare di EG(2, R) ad una forma del tipo

e
(1 − e2 )x2 − 2kx + y2 + k2 = 0. (8)

e
Il parametro e è detto eccentricità della conica.
im n
ar
Dimostrazione. Sia C una conica e Q la matrice simmetrica associata. Indi-
chiamo con M il minore 2 × 2 di Q dato da
el sio
 
q11 q12
M= .
in q21 q22

Esiste allora una matrice A ortogonale 2 × 2 tale che AT MA sia diagonale. La


trasformazione indotta da A consente di riscrivere l’equazione della conica C
in forma
Pr er

λ1 x2 + λ2 y2 + 2q13 x + 2q23 y + q33 = 0. (9)


A meno di uno scambio fra x e y possiamo sempre supporre λ2 6= 0. Moltipli-
cando eventualmente tutta l’equazione per −1 si riesce a garantire
V

λ1
≤ 1.
λ2
Poniamo dunque
λ1
= (1 − e2 ),
λ2
di modo che l’equazione divenga

(1 − e2 )x2 + y2 + 2lx + 2my + n = 0 (10)

ove l, m, n sono numeri reali. Se sostituiamo y con y − m, e x con x − τ


l’equazione (10) diviene

(1 − e2 )x2 + y2 + 2(l − τ)x + (n + m2 + τ2 ) = 0. (11)

12
A questo punto, è possibile scegliere τ di modo che

(l − τ)2 = (n + m2 + τ2 ).

Si ricava l2 − 2τ = n + m2 , da cui
1 2
τ= (l − m2 − n).
2l

Osserviamo che, in coordinate polari, ponendo

x = ρ cos θ, y = ρ sin θ,

e
e
l’equazione si riscrive come
im n k2 + 1 − e2 ρ2 cos2 θ − 2kρ cos θ = 0. (12)

ar
Teorema 25. Sia C una conica di eccentricità e. Allora C è
el sio
1. un’ellisse se 0 ≤ e < 1;

2. una parabola se e = 1;
in
3. un’iperbole se e > 1.

Dimostrazione. Scriviamo l’equazione omogenea associata alla (8):


Pr er

(1 − e2 )x20 − 2kx0 x2 + x21 + k2 x22 = 0. (13)

Ponendo questa a sistema con l’equazione x2 = 0 si ottiene


V

(1 − e2 )x20 + x21 = 0.

Questa ultima equazione

1. non ha soluzione non banale se (1 − e2 ) > 0, cioè 0 ≤ e < 1;

2. ha soluzione K? (1, 0, 0) se e = 1;
√ √
3. ha due soluzioni indipendenti, K? (1, e2 − 1, 0) e K? (1, − e2 − 1, 0) se
e > 1.

La tesi segue.

13
Teorema 26. Sia C una conica. Allora esistono un punto F ed una retta r non
passante per F tali che per ogni P ∈ C si abbia
d(P, F)
= e,
d(P, r)
ove e denota l’eccentricità di C. Il punto F è detto fuoco di C, mentre la retta r
viene chiamata direttrice.
Il teorema non asserisce l’unicità di fuoco e direttrice; in effetti, le parabole
posseggono un unico fuoco e un’unica direttrice, mentre le ellissi e le iperbole,
ne hanno, in generale, due.
Dimostrazione. Chiaramente, basta dimostrare il teorema per coniche nella

e
forma (8). In particolare, supponiamo che il fuoco F sia un punto della forma

e
F = (xf , 0), mentre che la direttrice r abbia equazione x = xr . Il punto generico
di C ha coordinate
im n
ar
p
Pt = (t, ± (e2 − 1)t2 + 2kt − k2 ).
el sio
Pertanto

d(Pt , F)2 = (xf − t)2 + (e2 − 1)t2 + 2kt − k2 = x2f − 2xf t + e2 t2 + 2kt − k2
in
mentre
d(Pt , r)2 = (xr − t)2 = x2r − 2xr t + t2
Imponendo d(Pt , F)2 = e2 d(Pt , r)2 si ottiene
Pr er

x2f − k2 − e2 x2r = 2(xf − k − e2 xr )t.

Se si vuole che la soluzione non dipenda da t, dobbiamo necessariamente


avere xf − k − e2 xr = 0. Sotto questa ipotesi, abbiamo
V

(e4 − e2 )x2r + 2ke2 xr − k2 = 0.

Il discriminante di questa equazione è

k2 e4 − k2 (e4 − e2 ) = k2 e2 ≥ 0,

per cui essa ha sempre soluzione ed è pertanto sempre possibile trovare


almeno un fuoco e una direttrice della forma cercata. Osserviamo, per
concludedere che xr 6= xf .
In realtà è possibile adottare il Teorema 26 come definizione di conica
non degenere. Infatti si dimostra che tutti e soli i luoghi geometrici che
corrispondono a tale definizione sono descritti da equazioni di tale tipo.

14
Definizione 27. Una trasformazione affine

ψ(X) = AX + B

è detta similitudine se esiste un α > 0 tale che, per ogni X, Y ∈ AG(n, R) si


abbia
d(ψ(X), ψ(Y)) = αd(ψ(X), ψ(Y)).

In particolare, ogni similitudine preserva i rapporti fra distanze. Pertanto,


vale il seguente teorema.

Teorema 28. Coniche con la medesima eccentricità sono simili.

Definizione 29. Una conica con eccentricità e = 0 è detta circonferenza.

e
e
8 Curve differenziabili
im n
ar
È possibile fornire una descrizione di una curva in termini parametrici.
el sio
Definizione 30. Sia I ⊆ R un intervallo (possibilmente improprio). Una
curva differenziabile parametrizzata di classe Ck in R3 è una funzione αI → R3
di classe Ck . L’insieme di tutti i punti
in {α(t) ∈ R3 : t ∈ I}
Pr er

è detto traccia di α.

Considereremo in generale curve di classe almeno C3 .


Data una curva α(t) possiamo scrivere tre funzioni f1 (t), f2 (t) e f3 (t) tali
che
V

α(t) = (f1 (t), f2 (t), f3 (t)).

Definizione 31. Si dice che due curve α : I → R e β : J → R entrambe di


classe Ck sono equivalenti se esiste una funzione g : I → J biiettiva, di classe
Ck e con derivata mai nulla tale che

α(t) = β(g(t)).

In questo caso si dice che α si ottiene da β mediante una una riparametrizza-


zione.

Curve equivalenti hanno la medesima traccia.

15
Definizione 32. Si dice direzione tangente ad α in α(t) lo spazio vettoriale
generato dal vettore
α 0 (t) = (f10 (t), f20 (t), f30 (t)).
La retta tangente ad α nel punto α(t) è data dall’equazione vettoriale

{α(t) + λα 0 (t) : λ ∈ R}.

Una curva α : I → R3 è detta regolare se, per ogni t ∈ I si ha α 0 (t) 6= 0.


Nel seguito supporremo sempre che le curve considerate siano regolari.
In generale, se α e β sono due parametrizzazioni della medesima curva,

α 0 (t) 6= β 0 (g(t)).

e
D’altro canto, vale il seguente teorema.

e
Teorema 33. La direzione tangente ad una curva differenziabile in un punto
im n
non dipende dalla parametrizzazione adottata.

ar
Dimostrazione. Abbiamo
el sio
d d
α(t) = β(g(t)) = g 0 (t)β 0 (g(t)).
dt dt
in
La tesi segue dall’osservazione che g 0 (t) è uno scalare sempre diverso da
0.
Pr er

In particolare, data una curva α regolare è sempre definito in ogni punto


α(t) il versore tangente
α 0 (t)
t=
||α 0 (t)||2
V

e questo non dipende dalla scelta della parametrizzazione.

Definizione 34. Siano α : I → R una curva e t0 , t1 ∈ I con t0 ≤ t1 . Si definisce


lunghezza d’arco del segmento di curva di estremi α(t0 ) e α(t1 ) l’integrale
Z t1
L(α, t0 , t1 ) = ||α 0 (t)||2 dt.
t0

La motivazione della Definizione 34 è la seguente. Una partizione di un


intervallo [a, b] è una (k + 1)–upla P = (t0 , t1 , . . . , tk ) con

a = t0 < t1 < · · · < tk = b.

16
Per ogni partizione P di [a, b] poniamo

|P| = max |ti+1 − ti |.


0≤i≤k−1

In generale, data una curva α : I → R3 una curva con [a, b] ⊆ I, possiamo


considerare la funzione
X
k−1
M(α, P) = ||α(ti+1 ) − α(ti )||2 .
i=0

Questa quantità, in generale dipende dalla partizione P. La curva α è detta


rettificabile se esiste il limite

e
lim M(α, P).

e
im n |P|→0

Se la curva è di classe C1 tale limite esiste sicuramente e si ha

ar
Z tk
lim M(α, P) = ||α 0 (t)||2 dt.
el sio
|P|→0 t0

Teorema 35. La lunghezza d’arco di un segmento di curva non dipende dalla


in
parametrizzazione adottata.

Dimostrazione. Siano α e β due parametrizzazioni equivalenti e supponiamo


α(t) = β(g(t)). Allora,
Pr er

Z t1 Z t1 Z g(t1 )
||α (t)||2 dt =
0
||β (g(t))||2 |g (t)|dt =
0 0
||β 0 (τ)||2 dτ.
t0 t0 g(t0 )
V

La tesi segue.
In particolare, la lunghezza di un arco di curva è una proprietà di tipo
geometrico.

Definizione 36. Una curva α : I → R3 è detta parametrizzata rispetto la


lunghezza d’arco se, per ogni t0 , t1 ∈ I con t0 ≤ t1 si ha

L(α, t0 , t1 ) = t1 − t0 .

Teorema 37. Per ogni curva esiste una parametrizzazione in lunghezza


d’arco.

17
Dimostrazione. Sia α : I → R3 la curva da considerare. Fissiamo un punto
t0 ∈ I e consideriamo la funzione
Zt
s(t) = ||α 0 (t)||2 dt.
t0

Osserviamo che s 0 (t) = ||α 0 (t)||2 > 0, per cui s : I → R è una funzione
monotona crescente di classe Ck con inversa di classe Ck . Poniamo

β(t) = α(s−1 (t))

e osserviamo che β è equivalente ad α. Inoltre,

α 0 (s−1 (t))

e
β 0 (t) = (s−1 (t)) 0 α 0 (s−1 (t)) = .
||α 0 (s−1 (t))||

e
im n
Pertanto ||β 0 (t)||2 = 1 per ogni t.

ar
Sia t(s) il versore tangente ad una curva α : I → R nel punto α(s). Allora,
el sio
0 = ht(s), t(s)i 0 = 2 ht 0 (s), t(s)i .

Ne segue che la derivata di t sarà un vettore


in κ(s)n(s) = t 0 (s)
Pr er

perpendicolare a t, ove n indica il versore avente tale direzione e verso tale


che κ(s) ≥ 0.

Definizione 38. Il numero κ(s) = ||t 0 (s)||2 è detto curvatura di α in α(s). Il


reciproco della curvatura, R = 1/κ(s), è detto raggio di curvatura. Il versore
V

t 0 (s)
n(s) =
||t 0 (s)||2

è detto versore normale ad α in α(s).

Osserviamo che se α è parametrizzata in lunghezza d’arco, allora

κ(s) = ||α 00 (s)||2 .

La curvatura di una curva fornisce informazioni su quanto la curva in oggetto


si discosta localmente da una retta.

18
Esempio 39. 1. Sia α(t) = (x0 + l0 t, y0 + l1 t, z0 + l2 t) una retta; allora, il
versore tangente in qualsiasi punto di α è

(l0 , l1 , l2 )
t(t) = p 2 ,
l0 + l21 + l22

e la curvatura risulta essere 0 ovunque;

2. Sia r > 0 e consideriamo la curva α : [0, 2πr[→ R3 data da α(s) =


(r cos(s/r), r sin(s/r), z0 ). Questa è una circonferenza parametrizzata in
lunghezza d’arco; infatti

α 0 (s) = (− sin(s/r), cos(s/r), 0)

e
e ||α 0 (s)|| = 1. La normale è

e
im n 1
n(s) = (−cos(s/r), −sin(s/r), 0);

ar
r
1
pertanto κ(s) = e il raggio di curvatura risulta proprio essere r.
el sio
r

3. Consideriamo ora la curva α : [0, 2 2πr[→ R3 data da
in s s 1
α(s) = (r cos √ , r sin √ , √ s).
2r 2r 2
Anche questa curva è parametrizzata in lunghezza d’arco e
Pr er

1 s s 1
α 0 (s) = √ (− sin √ , cos √ , √ ).
2 2r 2r 2
V

Passando al calcolo della normale si ottiene


1 s s
α 00 (s) = (− cos √ , − sin √ , 0)
2r 2r 2r
1
per cui la curvatura è pari a 2r .
Notiamo che la curva 2 è un cerchio e risulta contenuto in un piano, la
curva 3, invece, è una elica circolare e non lo è.

Definizione 40. Si dice binormale alla curva C il versore b = t ∧ n, ove ∧


denota l’usuale prodotto vettoriale di R3 .

Teorema 41. Si ha
b 0 = −τn

19
Dimostrazione. Poiché b ha modulo costante, si ha

hb, b 0 i = 0.

Pertanto b 0 giace nel piano generato da n e t. D’altro canto

b 0 = t 0 ∧ n + t ∧ n 0 = t ∧ n 0,

tenuto conto del fatto che il prodotto vettoriale di vettori paralleli è 0. Se


ne deduce che b 0 è perpendicolare anche a t; esso risulta dunque parallelo a
n.

Definizione 42. Il numero τ tale che

e
b 0 (s) = −τ(s)n(s)

e
im n
è detto torsione di α in α(s).

ar
Osserviamo che se una curva è contenuta in un piano π di EG(3, R),
allora il vettore b identifica proprio la direzione normale al piano stesso ed è
el sio
costante. Ne segue che le curve piane hanno tutte torsione nulla.

Esempio 43. 1.

2.
in
Teorema 44 (Teorema fondamentale della teoria locale delle curve). Siano
Pr er

dati un intervallo I ⊆ R e due funzioni

1. κ : I → R+ di classe Ck+1 con κ(s) > 0 per ogni s ∈ I;

2. τ : I → R di classe Ck .
V

Allora, a meno di isometrie dirette di EG(3, R) esiste un’unica curva α : I →


EG(3, R) di classe Ck+3 biregolare1 , parametrizzata rispetto la lunghezza
d’arco e avente curvatura κ e torsione τ.

1
Una curva è detta biregolare se la sua curvatura κ non è mai nulla

20

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