Canti Purgatorio

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Rime incatenate (ABA, BCB, CDC ecc.

)
CANTO I: CATONE
SBARCO NEL PURGATORIO
• sviluppa il suo proemio sulla bipartizione canonica dei poemi classici:
1. -protasi, dove viene esposto l'argomento che verrà trattato (versi 1-6)
2. -Invocazione alle Muse, in questo Canto rintracciabile nei versi 7-12.
invocazione a Calliope, musa protettrice della poesia epica che era stata invocata anche da Virgilio nel Libro
IX dell’ Eneide. Attraverso questa figura, Dante può rievocare il mito delle figlie di Pierio, il re di Tessaglia
(o di Macedonia). Esse, secondo la mitologia, ebbero l’ardire di sfidare le Muse in una gara di canto e furono
vinte proprio dalla voce melodiosa di Calliope che, per punirle, le trasformò in piche, cioè in gazze dal
gracchiare stridulo. In questo modo, il poeta pone il Canto I del Purgatorio – e, con esso, l’intera cantica –
sotto l’ammonimento nei confronti della superbia. Senza l’umiltà, infatti, non potrebbe compiersi la salvezza
delle anime, fine ultimo del secondo regno ultraterreno.

• Protagonista del Canto Marco Porcio Catone – detto il Giovane, Estremo difensore delle libertà
politiche e repubblicane, si oppose fermamente al primo triumvirato di Crasso, Cesare, Pompeo.
Quando però scoppiò la guerra civile tra questi due ultimi, si schierò dalla parte di Pompeo,
riconoscendo nelle mire dittatoriali di Cesare un aperto attacco agli ideali repubblicani; per questo
motivo, dopo la sconfitta di Pompeo a Tapso nel 46 a.C., Catone decise di togliersi la vita a Utica,
città africana a nord di Cartagine.
• Pagano, morto suicida e avverso alla figura di Cesare – e con essa, quindi, a quella dell’Impero così
cara invece a Dante– il personaggio sembra essere in piena antitesi con i valori del poeta. In realtà,
nel Medioevo cristiano la figura di Catone era ricollegata ad un modello di vita austera e dignitosa,
nonché di integrità, di fortezza morale e di rifiuto dei beni terreni, tutti valori fortemente cristiani.
• Il suo suicidio è, secondo Dante, un gesto giustificabile, perché compiuto con il fine di salvaguardare
la libertà civile, precorritrice della libertà interiore cui tutte le anime del Purgatorio aspirano e
necessitano per poter ascendere al Paradiso. Dante – al verso 75 – predice al guardiano
del Purgatorio l’assunzione in Cielo dopo il Giudizio Universale, trattamento che non ha riservato
neanche al suo maestro Virgilio.
Versi 1-12→ Dopo aver lasciato il terribile mare dell’Inferno, Dante è pronto a cantare con più tranquillità il
secondo regno dell’Oltretomba, il Purgatorio, nel quale l’anima si purifica per poter accedere al Paradiso. Il
poeta invoca l’aiuto delle Muse e in particolar modo di Calliope, chiedendole di assisterlo con lo stesso canto
col quale sconfisse le Piche.
Versi 13-48→ Dante gioisce nell’osservare l’azzurro del cielo: ad illuminarlo c’è Venere, che si trova nella
costellazione dei Pesci. Voltandosi verso il cielo australe, il poeta riesce a scorgere quattro stelle la cui luce è
stata visibile solo a due esseri umani: Adamo ed Eva. Non appena distoglie lo sguardo da esse, scorge un
vecchio venerando accanto a sé: si tratta di Catone Uticense il quale, credendo Dante e Virgilio due dannati
in fuga dall’Inferno, chiede loro chi siano e come mai si trovino lì.
Versi 49-108. Virgilio, allora, fa inginocchiare Dante di fronte a Catone e prende parola, rispondendo ai
dubbi dell’anima veneranda. Gli spiega, quindi, che egli è stato incaricato da una donna beata a
soccorrere Dante e a guidarlo attraverso l’Oltretomba. Aggiunge, inoltre, che Catone dovrebbe gradire la sua
venuta: il poeta fiorentino cerca la libertà, che è qualcosa di assai prezioso, come sa bene chi per essa arriva a
rinunciare alla propria vita. Conclude, infine, dicendo che i due sono svincolati dalle leggi infernali – Virgilio
è un’anima del Limbo, Dante è un vivente – e di farli passare in nome di Marzia, moglie di Catone. L’uomo
risponde che concederà loro il passaggio non per Marzia ma grazie alla donna del cielo che li ha messi in
viaggio; prima, però, Virgilio dovrà lavare il volto di Dante e cingere la sua vita con un giunco.

Versi 109-136 → Al termine del suo discorso, Catone scompare. Dante e Virgilio, tornando sui loro passi,
giungono in un punto della spiaggia dove l’erba è bagnata dalla rugiada. Con questa, Virgilio lava le guance
di Dante. Dopodiché, giunti nella parte bassa della spiaggia, il maestro si china a cogliere un giunco – che,
una volta strappato, subito ricresce vigoroso – con il quale cinge i fianchi di Dante.
v. 18, «petto»: metonimia per indicare il cuore
v. 19, «Lo bel pianeto che d’amar conforta»: perifrasi per indicare Venere
v. 23, «quattro stelle»: allegoria per indicare le virtù cardinali
v. 37, «luci»: metonimia per indicare le stelle
vv. 40-43, «Chi siete voi che contro al cieco fiume / fuggita avete la pregione etterna?», / diss’el, movendo quelle oneste
piume. // «Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna»: anafora
v. 51, «‘l ciglio»: sineddoche per indicare la testa
v. 75, «vesta»: metafora per indicare il corpo
v. 78, «li occhi casti»: sineddoche per indicare l’onestà morale di Marzia

III PURGATORIO: MANFREDI


ANTIPURGATORIO
ANIME DEGLI SCOMUNICATI
• Ancora sulla spiaggia del Purgatorio/ Discorso di Virgilio sulla giustizia divina/Incontro con le anime dei
contumaci(scomunicati che si erano ostinati a disobbedire alla Chiesa)/ Colloquio con Manfredi di Svevia.
Ripresa del cammino (1-18)

Dopo i rimproveri di Catone e la fuga precipitosa delle anime verso la montagna, Dante si stringe a Virgilio, senza la cui
guida fidata non potrebbe certo proseguire il viaggio. Il maestro sembra essere punto dalla propria coscienza, così
monda e dignitosa che anche il più piccolo errore le provoca un forte rimorso. Quando Virgilio prende a camminare
senza la fretta che toglie decoro a ogni gesto, Dante inizia a guardarsi attorno e osserva la montagna, che si erge verso
il cielo più alta di qualunque altra. Il sole brilla rossastro dietro di lui e proietta l'ombra davanti, dal momento che Dante
ne scherma i raggi col proprio corpo.

Paura di Dante e rimprovero di Virgilio (19-45)

Dante vede all'improvviso che c'è solo la sua ombra sul terreno e non quella di Virgilio, quindi si volta a lato col terrore di
essere abbandonato: il maestro ovviamente è lì e lo rimprovera perché continua a diffidare e non crede che sia accanto
a lui per guidarlo. Virgilio spiega che il corpo mortale nel quale lui faceva ombra riposa a Napoli, dove fu traslato da
Brindisi e dove adesso è già sera, quindi Dante non deve stupirsi che la sua anima non proietti un'ombra proprio come i
cieli non fanno schermo al passaggio della luce. La giustizia divina fa in modo che i corpi inconsistenti delle anime
soffrano tormenti fisici, in un modo che non vuole che si sveli agli uomini, per cui è folle chi spera con la sola ragione
umana di poter capire i misteri della fede. La gente deve accontentarsi di ciò che è stato rivelato, perché se avesse
potuto veder tutto non sarebbe stato necessario che Gesù nascesse. Grandi filosofi hanno desiderato vanamente di
conoscere questi misteri, e il loro ingegno glielo avrebbe permesso se ciò fosse stato possibile, mentre ora tale desiderio
è la loro pena. Virgilio parla di Aristotele, di Platone e molti altri; poi resta in silenzio, china la fronte e rimane turbato.

Incontro coi contumaci (46-102)

I due poeti intanto sono giunti ai piedi del monte: la parete è così ripida che è impossibile scalarla, tanto che la roccia più
impervia della Liguria sarebbe un'agevole scala al confronto. Virgilio si ferma e si chiede da quale parte ci sia un
accesso più facile al monte; e mentre lui riflette guardando a terra, e Dante osserva in alto la montagna, da sinistra
appare un gruppo di anime che si muovono lentissime verso di loro. Virgilio esorta il discepolo ad andare verso di esse
poiché si muovono piano, e lo invita a rafforzare la speranza poiché saranno loro a fornire indicazioni. Dopo mille passi
le anime sono ancora molto lontane, quando esse si accorgono dei due poeti e si stringono alla roccia. Virgilio chiede
loro dove sia l'accesso al monte, dal momento che essi non vogliono perdere tempo. Le anime iniziano ad avanzare,
simili alle pecorelle che escono dal recinto una dietro l'altra senza sapere dove vanno e perché, poi le prime vedono che
Dante proietta l'ombra e si arrestano, tirandosi indietro e inducendo le altre a fare lo stesso. Virgilio le rassicura dicendo
che Dante è effettivamente vivo, ma non è certo contro il volere divino che egli cerca di scalare il monte. I penitenti fanno
cenno con le mani di tornare indietro e procedere nella loro stessa direzione.
Incontro con Manfredi (103-145)

Una delle anime si rivolge a Dante e lo invita a guardarlo, per capire se lo ha mai visto sulla Terra. Il poeta lo osserva e lo
guarda con attenzione, vedendo che è biondo, bello e di nobile aspetto, e ha uno dei sopraccigli diviso da un colpo.
Dopo che il poeta gli ha risposto di non averlo mai visto, il penitente gli mostra una piaga che gli attraversa la parte alta
del petto, quindi di presenta come Manfredi di Svevia, nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla. Egli prega Dante,
quando sarà tornato nel mondo, di dire a sua figlia Costanza la verità sul suo stato ultraterreno. Manfredi racconta che
dopo essere stato colpito a morte nella battaglia di Benevento, piangendo si pentì dei suoi peccati e nonostante le sue
colpe fossero gravissime fu perdonato dalla grazia divina. Male fece il vescovo di Cosenza, istigato da papa Clemente
IV, a far disseppellire il suo corpo che giaceva sotto un mucchio di pietre vicino a un ponte e a farlo trasportare a lume
spento fuori dai confini del regno di Napoli, lungo il fiume Liri. La scomunica della Chiesa infatti non impedisce di salvarsi
finché c'è un po' di speranza, anche se chi muore in contumacia deve poi attendere nell'Antipurgatorio un tempo
superiore trenta volte al periodo trascorso come scomunicato, a meno che qualcuno con le sue preghiere non accorci
questo periodo. Manfredi prega dunque Dante di rivelare tutto questo alla figlia Costanza, perché lei con le sue preghiere
abbrevi la sua permanenza nell'Antipurgatorio.

CANTO IV
ANTIPURGATORIO, PRIMO BALZO
I NEGLIGENTI
• Dante e Virgilio raggiungono il punto in cui si accede al monte. Faticosa salita dei due fino al primo
balzo dell'Antipurgatorio; spiegazione di Virgilio sul corso del sole. Incontro con le anime dei pigri a
pentirsi e con Belacqua.

Osservazioni di Dante sul trascorrere del tempo (1-18)


Quando l'anima umana, spiega Dante, si concentra tutta su qualcosa per una forte impressione di piacere o di
dolore, questo annulla tutte le altre facoltà e ciò contraddice chi crede che in noi vi siano più anime. Quindi
l'uomo non si avvede del passare del tempo, se la sua attenzione è tutta rivolta verso qualcosa, e di ciò Dante
ha avuto esperienza in questa occasione perché mentre parlava con Manfredi non si è accorto che il sole è
salito ben alto nel cielo. Lui, Virgilio e le anime dei contumaci sono intanto arrivati al punto dove è possibile
iniziare l'ascesa del monte.
Dante e Virgilio salgono verso il primo balzo (19-54)
Virgilio si incammina subito lungo un erto sentiero, più stretto di un'apertura nella siepe che il contadino
talvolta chiude con delle spine per proteggere l'uva matura, e Dante lo segue. Presso i sentieri montani più
ripidi e impervi d'Italia si procede solo coi piedi, ma qui è necessario aiutarsi con le ali del desiderio, come fa
Dante che si sforza di star dietro alla sua guida. I due salgono con estrema difficoltà, aiutandosi con piedi e
mani, finché raggiungono l'orlo superiore del fianco della montagna, da dove si procede in uno spazio
maggiore. Dante chiede a Virgilio che via faranno e il maestro lo invita a seguirlo, finché qualcuno darà loro
nuove indicazioni. I due si rimettono in marcia, inerpicandosi lungo un pendio assai ripido, tanto che a un
certo punto Dante chiede al maestro di attenderlo perché non riesce a stargli dietro. Virgilio lo esorta a
raggiungere un ripiano roccioso (il primo balzo) che cinge orizzontalmente tutto il monte. Spronato dalle sue
parole, Dante fa un ultimo sforzo e raggiunge carponi il punto indicato, quindi i due si siedono e si rivolgono
a oriente.
Virgilio spiega a Dante il corso del sole (55-84)
Dante rivolge lo sguardo dapprima verso il basso, poi verso il sole e resta stupito del fatto di vederlo alla sua
sinistra, cioè verso nord. Virgilio capisce che il discepolo osserva stupito il fenomeno, per cui gli spiega che
se fosse il solstizio d'estate lui vedrebbe il sole ancora più a settentrione. Per spiegargli bene come ciò sia
possibile, il maestro invita Dante a pensare che Gerusalemme e il Purgatorio sono agli antipodi e hanno lo
stesso orizzonte, essendo al centro degli opposti emisferi; per cui il corso del sole per chi sta al Purgatorio
procede da destra a sinistra, verso nord, mentre per chi sta a Gerusalemme compie il percorso opposto (verso
sud). Dante risponde di aver compreso la spiegazione e di capire che l'Equatore celeste dista dal Purgatorio
esattamente quanto dista da Gerusalemme.

Caratteristiche del monte del Purgatorio (85-96)


Dante chiede a Virgilio quanto durerà l'ascesa, poiché il monte sembra salire al di là di dove arriva il suo
sguardo. Virgilio risponde che la montagna è tale che l'ascesa all'inizio è sempre molto faticosa, però man
mano che si procede essa diventa più agevole; perciò, quando la salita sembrerà a Dante tanto facile quanto
lo scendere la corrente con una nave, allora sarà giunto alla fine del cammino. Solo allora potrà riposare e
con questo il maestro pone fine alla sua spiegazione.
Incontro con Belacqua. I pigri a pentirsi (97-139)
Appena Virgilio ha finito di parlare, Dante sente una voce che lo apostrofa e osserva ironicamente che, forse,
prima di arrivare avrà bisogno di sedersi. I due poeti si voltano e vedono alla loro sinistra una gran roccia,
che prima non avevano notato, verso la quale procedono e dove trovano delle anime che stanno all'ombra
dietro al sasso con fare negligente. Uno degli spiriti, che a Dante sembra affaticato, sta seduto con le braccia
attorno alle ginocchia, tenendo la testa rivolta in basso. Dante lo indica al maestro come qualcuno che si
mostra tanto negligente che la pigrizia sembra sua sorella. Allora il penitente si volta verso di loro,
muovendo solo lo sguardo lungo la coscia, e invita Dante a salire se è capace di tanto. Solo allora Dante lo
riconosce (è Belacqua) e anche se il poeta è ancora affannato per l'ascesa va verso il penitente, il quale alza la
testa e gli chiede se ha capito bene la dotta spiegazione sul corso del sole. Dante ride un poco, poi si rivolge a
lui rallegrandosi per la sua salvezza e chiedendogli perché se ne sta lì seduto, invece di salire la montagna.
Belacqua ribatte che salire non servirebbe a nulla, in quanto l'angelo guardiano sulla porta del Purgatorio gli
sbarrerebbe il passo: poiché è stato pigro a pentirsi, ora deve attendere tutto il tempo della sua vita per
accedere alle Cornici, a meno che una preghiera che giunga da un cuore in grazia di Dio non abbrevi l'attesa.
Dante deve poi interrompere il colloquio, perché Virgilio lo invita a procedere essendo ormai mezzogiorno.

• il tempo è dimensione fondamentale nel Purgatorio, che è un luogo eterno come Inferno e Paradiso
ma in cui le anime devono compiere un percorso di espiazione e sono quindi ansiose di poter
accedere alle pene, per abbreviare il più possibile la loro permanenza lì prima di essere ammesse in
Paradiso (e il passare del tempo è rappresentato visivamente dal corso del sole
• La salita è allegoria del percorso morale dell'anima umana verso la virtù e la salvezza, che è
naturalmente un percorso difficile, anche se poi Virgilio spiegherà che l'ascesa è ardua solo all'inizio
e diviene poco alla volta più agevole, fino ad essere semplice come seguire la corrente di un fiume.

CANTO VI: SORDELLO, INVETTIVA


ANTIPURGATORIO, SECONDO BALZO
INVETTIVA CONTRO L’ITALIA
Sono le anime di coloro che, essendo morti violentemente e avendo peccato sino all'ultima ora, devono
attendere nel secondo balzo dell'Antipurgatorio un tempo imprecisato prima di accedere alle Cornici. Dante
li presenta nei Canti V e VI del Purgatorio, subito dopo aver lasciato i pigri a pentirsi nel primo balzo
Argomento del Canto
Ancora fra i morti per forza del secondo balzo dell'Antipurgatorio. Incontro con l'anima di Sordello da Goito.
Invettiva contro l'Italia. Apostrofe contro Firenze.
I morti per forza si affollano intorno a Dante (1-24)
Dante spiega che quando finisce il gioco della zara, il perdente resta solo e impara a sue spese come
comportarsi nella prossima partita, mentre tutti si affollano intorno al vincitore, attirando la sua attenzione;
quello non si ferma, ma si difende dalla calca dando retta a tutti e porgendo la mano all'uno e all'altro. Lo
stesso fa il poeta attorniato dalle anime dei morti per forza, rivolgendosi ora a questo ora a quello, e si
allontana promettendo. Tra le anime c'è quella dell'Aretino che fu ucciso da Ghino di Tacco e Guccio de'
Tarlati che morì annegato; ci sono Federico Novello e il pisano che fece sembrare forte il padre Marzucco; ci
sono il conte Orso degli Alberti e l'anima di Pierre de la Brosse, che dice di essere stato ucciso per invidia e
non per colpa, per cui Maria di Brabante dovrebbe pentirsi per evitare di finire tra i dannati.
Virgilio spiega l'efficacia della preghiera (25-57)
Non appena Dante riesce a liberarsi dalle anime che lo pressano, si rivolge a Virgilio e gli ricorda come in
alcuni suoi versi egli nega alla preghiera il potere di piegare un decreto divino. Queste anime si augurano
proprio questo, quindi Dante non sa se la loro speranza è vana, oppure se non ha capito bene ciò che Virgilio
ha scritto. Il maestro risponde che i suoi versi sono chiari e la speranza di tali anime è ben riposta, a patto di
giudicare con mente sana: infatti il giudizio divino non si piega solo perché l'ardore di carità della preghiera
compie in un istante ciò che devono scontare queste anime. Nei versi dell'Eneide in cui Virgilio parlava di
questo, inoltre, la colpa non veniva lavata dalla preghiera, poiché questa era disgiunta da Dio. Virgilio esorta
Dante a non tenersi il dubbio e ad attendere più profonde spiegazioni da parte di Beatrice, che illuminerà la
sua mente e lo aspetta sorridente sulla cima del monte. A questo punto Dante invita il maestro ad affrettare il
passo, essendo molto meno stanco di prima e osservando che il monte proietta già la sua ombra (è
pomeriggio). Virgilio dice che procederanno sino alla fine del giorno, quanto più potranno, ma le cose stanno
diversamente da come lui pensa. Prima di arrivare in cima, infatti, Dante vedrà il sole tramontare e poi
risorgere.
Incontro con Sordello da Goito (58-75)
Virgilio indica a Dante un'anima che se ne sta in disparte e guarda verso di loro, che potrà indicare la via più
rapida per salire. Raggiungono quell'anima che, come si saprà, è lombarda, e sta con atteggiamento altero e
muove gli occhi in modo assai dignitoso. Lo spirito non dice nulla e lascia che i due poeti si avvicinino,
guardandoli come un leone in attesa. Virgilio si avvicina a lui e lo prega di indicargli il cammino migliore,
ma quello non risponde alla domanda e gli chiede a sua volta chi essi siano e da dove vengano. Virgilio non
fa in tempo a dire «Mantova...» che subito l'anima va ad abbracciarlo e si presenta come Sordello, originario
della sua stessa terra.
Invettiva contro l'Italia (76-126)
Dante a questo punto prorompe in una violenta invettiva contro l'Italia, definita sede del dolore e nave senza
timoniere in una tempesta, non più signora delle province dell'Impero romano ma bordello: l'anima di
Sordello è stata prontissima a salutare Virgilio solo perché ha saputo che è della sua stessa terra, mentre i
cittadini italiani in vita si fanno guerra, anche quelli che abitano nello stesso Comune. L'Italia dovrebbe
guardare bene entro i suoi confini e vedrebbe che non c'è parte di essa che gode la pace. A che è servito
che Giustiniano ordinasse le leggi se poi non c'è nessuno a metterle in pratica? Gli Italiani dovrebbero
permettere all'imperatore di governarli, invece di lasciare che il paese vada in rovina, affidato a gente
incapace. Dante accusa l'imperatore Alberto I d'Asburgo di abbandonare l'Italia, diventata una bestia sfrenata,
mentre dovrebbe essere lui a cavalcarla: si augura che il giudizio divino colpisca duramente lui e i
discendenti, perché il successore ne abbia timore. Infatti Alberto e il padre (Rodolfo d'Asburgo) hanno
lasciato che il giardino dell'Impero sia abbandonato: Alberto dovrebbe venire a vedere le lotte tra famiglie
rivali, gli abusi subìti dai suoi feudatari, la rovina della contea di Santa Fiora. Dovrebbe vedere Roma che
piange e si lamenta di essere abbandonata dal suo sovrano, la gente che si odia, e se non gli sta a cuore la
sorte del paese dovrebbe almeno vergognarsi della sua reputazione. Dante si rivolge poi a Giove (Cristo),
crocifisso in Terra per noi, e gli chiede se rivolge altrove lo sguardo oppure se prepara per l'Italia un destino
migliore di cui non si sa ancora nulla. Le città d'Italia, infatti, sono piene di tiranni e ogni contadino che
sostenga una parte politica viene esaltato come un Marcello.
Invettiva contro Firenze (127-151)
Dante osserva ironicamente che Firenze può essere lieta del fatto di non essere toccata da questa digressione,
visto che i suoi cittadini contribuiscono alla sua pace. Molti sono giusti e tuttavia sono restii a emettere
giudizi, mentre i fiorentini non hanno alcun timore e si riempiono la bocca di giustizia; molti rifiutano gli
uffici pubblici, mentre i fiorentini sono fin troppo solleciti ad assumersi le cariche politiche. Firenze
dev'essere lieta, perché è ricca, pacifica e assennata: Atene e Sparta, città ricordate per le prime leggi scritte,
diedero un piccolo contributo al vivere civile rispetto a Firenze, che emette deliberazioni così sottili (cioè
esili) che quelle di ottobre non arrivano a metà novembre. Quante volte la città, a memoria d'uomo, ha
mutato le sue usanze! E se Firenze bada bene e ha ancora capacità di giudizio, ammetterà di essere simile a
un'ammalata che non trova riposo nel letto e cerca di lenire le sue sofferenze rigirandosi di continuo.

• la violenta invettiva di Dante contro l'Italia, che parte dal fatto che nell'Italia del suo tempo i cittadini
sono in lotta l'uno contro l'altro e addirittura entro la stessa città, come dimostra l'elenco delle anime
all'inizio del Canto e come dichiara lo stesso esempio di Firenze che tornerà alla fine. Dante
riconduce la causa principale di tali lotte all'assenza di un potere centrale, che nella sua visione
universalistica doveva essere garantito dall'Impero: è l'imperatore che dovrebbe regnare a Roma e
assicurare pace e giustizia agli Italiani, invece il paese è ridotto a una bestia selvaggia che nessuno
cavalca né governa (e a poco serve che Giustiniano le avesse sistemato il freno, cioè avesse emanato
il Corpus iuris civilis visto che nessuno fa rispettare le leggi). L'immagine del paese come un cavallo
che dev'essere domato è la stessa usata nella Monarchia (III, 15) e nel Convivio (IV, 9), dove si dice
che il potere temporale ha soprattutto il compito di assicurare il rispetto delle leggi: la polemica è
rivolta contro i Comuni italiani ribelli, che come Firenze non si sottomettono all'autorità imperiale,
ma anche contro il sovrano stesso che rinuncia a esercitare i suoi diritti
Colpa
La colpa qui punita è quella della negligenza – l’essersi, cioè, pentiti all’estremo della vita – da parte dei
morti di morte violenta.
Pena
I morti di morte violenta devono attendere un tempo pari alla durata della loro vita prima di entrare
in Purgatorio; esse camminano compatte lungo la costa del monte, cantando coralmente il
salmo Miserere. Si tratta di un contrappasso per antitesi: come in vita ignorarono la misericordia di Dio,
adesso la invocano.

CANTO XI: UMBERTO ALDOBRANDESCHI E ODERISI DA GUBBIO


PURGATORIO, PRIMA CORNICE
I SUPERBI
I superbi recitano il Pater Noster (1-30)
Dante, appena entrato nella I Cornice, sente i superbi che recitano il Pater noster : essi invocano il Padre che
è nei cieli, non limitato da essi ma per il maggior amore che prova per gli angeli; ogni creatura deve lodare il
suo nome, la sua potenza e lo Spirito Santo. I superbi invocano la pace di Dio, che essi non possono ottenere
senza l'aiuto della grazia; gli uomini devono sacrificare la loro volontà a Dio, come fanno gli angeli.
Chiedono al Padre la manna quotidiana, senza la quale si torna indietro quanto più si cerca di avanzare; e
come loro perdonano il male subìto, così Dio perdoni i loro peccati. Chiedono al Padre di non mettere la loro
virtù alla prova con la tentazione diabolica, ma di liberarli da essa: quest'ultima preghiera non è per i
penitenti, ma per i vivi che sono rimasti sulla Terra. Quelle anime recitano la preghiera camminando piegate
sotto i pesanti massi, mentre procedono più o meno curve in tondo lungo la Cornice, purgandosi dei mali del
mondo.
Ammonimento ai vivi. Virgilio chiede per dove si possa salire (31-45)
Se le anime del Purgatorio, riflette Dante, sono sempre pronte a pregare per i vivi, anche questi devono fare
qualcosa per i morti, ovvero pregare a loro volta per aiutarli a purificarsi dei peccati e salire in
Paradiso. Virgilio si rivolge poi ai penitenti, augurando loro di riuscire a liberarsi dei peccati prima possibile,
e chiedendo di indicargli da quale parte si trovi la scala che conduce alla Cornice successiva. Se c'è più di un
varco, aggiunge, gli mostrino quello che sale in modo meno ripido, poiché Dante è ancora in possesso del
corpo mortale e quindi è più lento a salire, benché ciò sia in contrasto con la sua volontà.
Incontro con Omberto Aldobrandeschi (46-72)
Una delle anime risponde a Virgilio, anche se Dante non può vedere chi stia parlando, e dice che l'accesso
percorribile da una persona viva è a destra, per cui i due poeti devono seguirli. Il penitente aggiunge che se il
macigno che porta sulle spalle e punisce la sua superbia non lo costringesse a tenere il viso basso, alzerebbe
gli occhi e guarderebbe Dante per capire se lo conosce e renderlo pietoso verso di sé. Egli è stato italiano e
figlio di un grande toscano: il padre fu Guglielmo Aldobrandeschi e il suo nobile lignaggio, unito alle grandi
opere dei suoi antenati, lo resero in vita così superbo da disprezzare tutti gli uomini e dimenticare che siamo
tutti figli della stessa madre. La sua arroganza gli procurò la morte, che avvenne come ben sanno i Senesi e
come sanno anche i bambini a Campagnatico. L'anima si presenta infine come Omberto Aldobrandeschi, la
cui superbia danneggia i suoi parenti ancora vivi, e che qui in Purgatorio dovrà scontare la pena per tutto il
tempo che piacerà a Dio, visto che non lo ha fatto quand'era sulla Terra.

Incontro con Oderisi da Gubbio (73-117)


Mentre ascolta le parole di Omberto, Dante china la faccia verso il basso e un altro penitente si piega sotto il
peso del masso e lo guarda, riconoscendolo e chiamandolo per nome, tenendo a fatica lo sguardo fisso sul
poeta. Dante lo riconosce a sua volta e gli chiede se sia Oderisi, l'onore di Gubbio e il maestro dell'arte della
miniatura. Il penitente risponde che sono più apprezzati i codici miniati da Franco Bolognese, col quale deve
condividere la gloria di quell'arte; egli non sarebbe stato così pronto ad ammettere la sua inferiorità mentre
era in vita, dato il grande desiderio di fama che sempre lo animò. Ora sconta la pena per la sua superbia e
non sarebbe ancora in Purgatorio, se non si fosse pentito quando era ancora lontano dalla morte. Oderisi
critica la gloria effimera degli uomini, che è destinata a durare poco se non è seguita da un'età di decadenza:
cita l'esempio di Cimabue, superato nella pittura da Giotto, e di Guido Guinizelli, superato nella poesia
da Guido Cavalcanti, mentre forse è già nato chi li vincerà entrambi. La fama mondana è solo un alito di
vento, che soffia ora da una parte e ora dall'altra, sempre pronto a cambiare nome. Se uno muore da piccolo,
non avrà fama più ampia di uno che muore vecchio, prima che siano trascorsi mille anni: questo tempo è
brevissimo se paragonato all'eternità, meno di un batter di ciglia rispetto al movimento del Cielo delle Stelle
Fisse (360 secoli). L'anima che cammina lentamente davanti a lui ne è un esempio: un tempo era noto in tutta
la Toscana, ora a malapena si bisbiglia il suo nome a Siena, di cui pure era signore al tempo della battaglia
di Montaperti, quando la rabbia fiorentina fu distrutta. La fama degli uomini è come il colore verde dell'erba,
che va e viene ed è cancellato dallo stesso sole che l'ha fatta spuntare dalla terra.
Provenzan Salvani (118-142)
Dante risponde a Oderisi che le sue parole gli ispirano grande umiltà e abbassano il suo orgoglio, poi chiede
chi sia l'anima di cui ha parlato prima. Il miniatore spiega che si tratta di Provenzan Salvani, costretto in
questa Cornice perché volle essere il signore e padrone di Siena. Dal giorno in cui è morto cammina sotto il
peso del masso, scontando la giusta pena per chi osa troppo mentre è in vita. Dante chiede ancora come sia
possibile che Provenzano sia già in Purgatorio, dal momento che chi attende a pentirsi in punto di morte deve
poi attendere nell'Antipurgatorio tanto tempo quanto visse, a meno che qualcuno non preghi per lui. Oderisi
spiega che quando era all'apice della potenza, Provenzano volle riscattare un amico dalla prigionia di Carlo I
d'Angiò, quindi andò a chiedere l'elemosina in piazza del Campo, a Siena, umiliandosi di fronte ai suoi
concittadini. Oderisi non aggiunge altro, pur sapendo di parlare in modo oscuro, ma fra poco i concittadini di
Dante faranno sì che lui stesso possa provare la stessa esperienza. Fu quel gesto ad ammettere Provenzan
Salvani in Purgatorio.
PENA:
contrappasso per antitesi, come in vita furono superbi e con la testa alta, adesso devono obbligatoriamente
tenerla bassa a causa del grosso macigno che portano sulle spalle

CANTO XVI: MARCO LOMBARDO canto al centro del poema, n° 50


PURGATORIO, TERZA CORNICE
GLI IRACONDI
Argomento del Canto
Il fumo della III Cornice. Incontro con gli iracondi. Incontro con Marco Lombardo. Discorso sul libero
arbitrio e la confusione dei poteri. I tre vecchi simbolo di virtù
Il fumo della III Cornice. Preghiera degli iracondi (1-24)
Dante e Virgilio avanzano lungo la III Cornice, attraverso il denso fumo che rende quel luogo più buio di una
notte priva di qualunque stella e irrita fortemente gli occhi del poeta, che è costretto a chiuderli e ad
appoggiarsi al maestro. Dante cammina come un cieco, seguendo la sua guida senza vedere nulla e Virgilio
gli raccomanda di non separarsi da lui. Sente delle voci che invocano pace e misericordia, intonando le prime
parole dell'Agnus Dei in modo tale che dimostrano un'assoluta concordia. Dante chiede a Virgilio se a parlare
sono dei penitenti e il maestro risponde di sì, aggiungendo che si tratta degli iracondi.
Incontro con Marco Lombardo (25-51)
Uno dei penitenti si rivolge a Dante e gli chiede chi sia, visto che attraversa il fumo come se fosse ancora
vivo. Virgilio esorta il discepolo a rispondere, chiedendo se quella è la direzione giusta per salire, e Dante
dice allo spirito che ha parlato che, se lo seguirà, udirà qualcosa che lo stupirà molto. Il penitente dichiara
che seguirà Dante fin tanto che potrà e se anche il fumo non gli permetterà di vederlo, il suono della voce li
terrà uniti. Dante a questo punto dice di essere giunto in Purgatorio col proprio corpo mortale dopo aver
attraversato l'Inferno, in virtù di una speciale grazia di Dio che vuole mostrargli i regni dell'Oltretomba in
modo del tutto eccezionale. Dante prega il penitente di rivelare il proprio nome e di confermare se stanno
seguendo la giusta direzione per l'accesso alla Cornice seguente. Lo spirito dichiara di chiamarsi Marco
Lombardo, che in vita fu uomo di mondo e conobbe quella virtù cortese che ormai tutti hanno abbandonato.
Egli aggiunge che in quella direzione si arriva alla scala e chiede a Dante di pregare per lui, una volta che
sarà giunto in Paradiso.
Spiegazione di Marco sul libero arbitrio (52-81)
Dante promette di fare quel che Marco gli chiede, ma lo prega a sua volta di sciogliere un dubbio che lo
assale e che è raddoppiato a causa delle sue parole, dopo essere stato suscitato da quelle di Guido del Duca.
Il mondo è privo di ogni virtù cavalleresca, come Marco ha dichiarato, e pieno di malizia; Dante vorrebbe
saperne la ragione per mostrarla agli altri, poiché alcuni la attribuiscono alle influenze celesti e altri alla
condotta degli uomini. Marco emette un forte sospiro e un verso di disappunto, quindi afferma che il mondo
è cieco e Dante sembra proprio venire da lì. Gli uomini, infatti, riconducono la causa di tutto al cielo, come
se esso determinasse necessariamente gli eventi: ma se così fosse il libero arbitrio sarebbe nullo, e non
sarebbe giusto essere premiati per la virtù e puniti per la colpa. Il cielo, prosegue Marco, dà inizio alle azioni
umane, almeno ad alcune, ma in ogni caso l'uomo può scegliere tra bene e male, e la volontà è in grado di
vincere ogni disposizione celeste. Gli uomini sono dunque guidati dal proprio intelletto, che è una forza ben
maggiore di quella delle influenze astrali.
Causa politica della corruzione umana (82-114)
Se il mondo attuale è degenere, la causa è dunque tutta degli uomini e Marco lo può dimostrare chiaramente.
Egli spiega a Dante che l'anima, una volta creata, è come una fanciulla inconsapevole, che è mossa dalla
bontà di Dio e si indirizza verso ciò che le dà piacere. Essa rivolge il proprio amore anche a beni materiali e
sbagliati, se non viene frenata e guidata opportunamente: per questo esistono le leggi ed è necessario che un
sovrano le applichi con rigore. Le leggi nel mondo esistono, ma chi le fa rispettare? Nessuno, dal momento
che il papa guida il gregge dei fedeli, confondendo però il potere spirituale con quello temporale. Il popolo
vede che il pontefice corre dietro ai beni terreni, quindi fa altrettanto e non chiede altro; dunque la causa del
male del mondo è la cattiva condotta degli uomini e non la cattiva influenza dei cieli. Roma aveva due soli
(l'imperatore e il papa) che illuminavano due diverse strade, quella del mondo e quella di Dio: essi si sono
spenti a vicenda, perché la spada si è unita al pastorale e questo connubio è decisamente negativo, poiché i
due poteri non si temono l'un l'altro.
I tre vecchi, simbolo di antica virtù (115-145)
Per confermare quanto ha detto, Marco aggiunge che nel paese (Lombardia) attraversato da Adige e Po
regnavano valore e cortesia, prima che Federico II fosse ostacolato dalla Chiesa. Ora invece qualunque uomo
malvagio può passare di lì, sicuro di non incontrare alcun uomo virtuoso. Ci sono ancora tre vecchi in cui
l'età antica rimprovera quella nuova, tanto che desiderano ormai passare a miglior vita: sono Corrado da
Palazzo, il buon Gherardo e Guido da Castello, quest'ultimo meglio conosciuto come il semplice Lombardo.
Si può concludere che la Chiesa cade nel peccato, volendo confondere in sé i due poteri. Dante risponde
dicendo che il ragionamento di Marco è veritiero, e che comprende perché i sacerdoti ebrei furono esclusi
dall'eredità dei beni temporali; tuttavia chiede chi sia il Gherardo che, secondo il penitente, rimprovera al
presente la sua mancanza di virtù. Marco ribatte che o non ha capito le parole di Dante, oppure il poeta lo
stuzzica per fargli dire altro, pocihé il poeta parla toscano e afferma di non conoscere Gherardo. Non
saprebbe indicarlo con altro soprannome, se non dicendo che la figlia ha nome Gaia. A questo punto Marco
si congeda dai due poeti, in quanto vede attraverso il fumo la luce del sole e deve allontanarsi prima di
apparire all'angelo che si trova lì. Il penitente se ne va senza ascoltare altro.
PENA:
Avvolti da un fumo oscuro e denso, che li acceca e irrita loro gli occhi (il contrappasso per analogia allude
all'ira che ottenebrò la loro mente in vita)
INTEGRARE LIBRO PAGINE 370 VERSI 95, 109,106,132

CANTO XXIV: BONAGIUNTA


PURGATORIO, SESTA CORNICE
I GOLOSI
Forese parla di Piccarda e indica altri golosi (1-33)
Dante e Forese Donati continuano a parlare e a camminare lungo la cornice senza rallentare, mentre le altre
anime dei golosi osservano Dante stupite del fatto che sia vivo. Il poeta afferma che Stazio procede
lentamente verso l'alto per trattenersi con Virgilio, poi chiede all'amico se sa qual è il destino ultraterreno
della sorella Piccarda e se fra i compagni di pena vi sono personaggi degni di nota. Forese risponde che la
sorella, bella e buona quand'era in vita, ora è fra i beati in Paradiso, quindi afferma che è necessario
nominare le anime rese irriconoscibili dalla magrezza. Forese mostra col dito l'anima di Bonagiunta da Lucca
e, accanto a lui, quella di papa Martino IV di Tours, che sconta il suo amore per le anguille e la vernaccia
(ebbe la chiesa nelle sue braccia: in modo letterale, richiama ad un rapporto sessuale vero e proprio, segno
della corruzione della società) . Nomina altre anime di golosi, tutti contenti di essere indicati: fra di essi ci
sono Ubaldino della Pila, Bonifacio Fieschi, Marchese degli Argugliosi che quando era vivo a Forlì bevve in
modo smodato.
Incontro con Bonagiunta Orbicciani (34-63)
Dante nota che Bonagiunta si mostra più degli altri desideroso di parlargli, mentre intanto mormora un nome
che gli sembra «Gentucca», a fior delle labbra che sono tormentate dalla fame e dalla sete. Dante si rivolge a
lui e lo invita a parlargli, al che Bonagiunta risponde che nella sua città, Lucca, è già nata una femmina che è
ancora giovinetta e che avrà modo di ospitarlo durante il suo esilio. Il penitente invita Dante a ricordarsi la
sua profezia, che sarà avvalorata dai fatti, quindi gli chiede se sia proprio lui il poeta che ha iniziato le nuove
rime con la canzone Donne ch'avete intelletto d'amore. Dante spiega di essere un poeta che, quando scrive,
segue strettamente la dettatura di Amore(significato pagina 400): Bonagiunta afferma di capire quale
differenza separa lui, Giacomo da Lentini e Guittone d'Arezzo dal «dolce stil novo» che Dante ha appena
definito. Il penitente comprende che gli stilnovisti seguirono l'ispirazione amorosa, a differenza sua e dei
poeti della sua scuola, quindi tace mostrandosi soddisfatto della risposta.
Profezia della morte di Corso Donati (64-93)
Le altre anime si allontanano da Dante affrettando il passo, simili alle gru che svernano lungo il Nilo,
camminando spedite per la magrezza e la volontà di espiazione. Solo Forese resta con Dante, camminando
lentamente e lasciando andare avanti gli altri golosi, chiedendo poi all'amico quando lo rivedrà. Dante
risponde di non sapere quanto gli resti ancora da vivere, ma certo è grande il suo desiderio di staccarsi dalle
cose terrene e di lasciare la città di Firenze, che di giorno in giorno mostra il suo declino morale. Forese
ribatte che molto presto il principale responsabile di questa situazione (il fratello Corso) verrà trascinato
all'Inferno legato alla coda di un cavallo, che lo sfigurerà orribilmente. Non passeranno molti anni, aggiunge,
prima che i fatti chiariscano a Dante il senso della sua oscura profezia. Alla fine delle sue parole Forese si
accommiata da Dante e raggiunge i compagni di pena, per non perdere troppo tempo nell'espiazione delle
sue colpe.
Arrivo al secondo albero (94-120)
Forese si allontana a passi rapidi, simile a un cavaliere che esce di schiera al galoppo per scontrarsi col
nemico, mentre Dante resta in compagnia di Virgilio e Stazio. Il poeta segue Forese con gli occhi, finché
scorge un secondo albero i cui rami sono carichi di frutti. Sotto di esso i golosi alzano le mani verso i rami e
gridano parole incomprensibili, come dei bambini di fronte a un adulto che ammannisce loro qualcosa che
essi desiderano. Alla fine le anime si allontanano e i tre poeti raggiungono a loro volta l'albero, dove sentono
una voce che dichiara che quella pianta è nata dall'albero dell'Eden il cui frutto fu morso da Eva e li invita a
passare oltre. I tre si stringono alla parete del monte e proseguono.

Esempi di gola punita (121-129)


La voce riprende poco dopo per ricordare esempi di gola punita, fra cui quello dei centauri che, nati da una
nube, ubriachi, combatterono Teseo, e degli Ebrei che si mostrarono inclini al bere, per cui Gedeone non li
volle come soldati nella guerra combattuta contro i Madianiti. I tre poeti passano oltre stringendosi all'orlo
interno della Cornice, mentre ascoltano quegli esempi di gola cui seguì un duro castigo.
L'angelo della temperanza (130-154)
Oltrepassato l'albero, i tre poeti proseguono nella Cornice ormai deserta, ciascuno meditando su ciò che ha
udito. A un tratto sentono una voce che chiede loro cosa pensano, per cui Dante si scuote: alza lo sguardo e
scorge l'angelo della temperanza, che rosseggia come un metallo arroventato e invita i tre a salire lì se
vogliono accedere alla Cornice successiva. Dante è abbagliato da quella vista e segue gli altri due
ascoltandone le voci, mentre sulla fronte sente un dolce vento simile a una brezza primaverile, prodotto dalle
piume dell'angelo che cancella la sesta P. L'angelo dichiara beati coloro che sono illuminati dalla grazia e non
sono troppo inclini alla gola, avendo sempre desiderio del giusto.
PENA:
sono tormentati da fame e sete continua, stimolata dal profumo di dolci frutti che pendono da due alberi posti
all'ingresso e all'uscita della Cornice e da una fonte d'acqua che sgorgadalla roccia e sale verso l'alto.
Recitano il versetto 17 del Miserere e presentano una spaventosa magrezza, al punto che la pelle aderisce
totalmente alle ossa e il volto è così smunto che si potrebbe leggere la parola «OMO» (formata dalla linea
delle sopracciglia e dagli occhi).

CANTO XXVI: GUINIZZELLI E ARNAUT DANIEL


PURGATORIO, SETTIMA CORNICE
I LUSSURIOSI
Incontro con le anime dei lussuriosi (1-24)
Dante, Virgilio e Stazio camminano in fila lungo l'orlo esterno della VII Cornice, con Virgilio che mette
spesso in guardia Dante sul percorso da tenere, mentre il poeta è colpito sul braccio destro dal sole, che
illumina tutto l'occidente. Dante proietta la sua ombra sulla fiamma e la rende più rossa, il che rivela a molti
penitenti che è ancor vivo. Questo è il motivo per cui iniziano a parlare di lui, dicendosi l'un l'altro che Dante
sembra avere un corpo in carne e ossa, quindi si avvicinano al poeta e lo osservano meglio, badando a non
uscire dalla cortina di fiamme. Uno dei lussuriosi si rivolge a Dante osservando che cammina dietro agli altri
due poeti, non per lentezza ma per deferenza, e lo prega di rispondere a lui e alle altre anime che sono
tormentate dal dubbio: com'è possibile che egli faccia ombra, come se fosse ancora in vita in quel luogo
dell'Oltretomba?
Le due schiere di lussuriosi. Esempi di lussuria punita (25-51)
Dante avrebbe già risposto a quell'anima, se la sua attenzione non fosse attirata da qualcos'altro: infatti, lungo
la Cornice occupata dalle fiamme, giunge un'altra schiera di lussuriosi che procede in senso opposto alla
prima, per cui il poeta osserva meravigliato. Le anime dei due gruppi si baciano reciprocamente, senza
fermarsi, proprio come le formiche si toccano il muso l'una con l'altra; quando si separano, prima di
allontanarsi emettono delle grida e i nuovi arrivati esclamano «Sodoma e Gomorra», mentre gli altri
ricordano il peccato di Pasifae che si unì bestialmente al toro da cui fu generato il Minotauro. Quindi
procedono di nuovo in direzioni opposte, simili a gru che si separino per puntare rispettivamente ai monti
Rifei e alle sabbie dei deserti, le prime per schivare il sole e le altre il freddo. I penitenti si allontanano e
tornano piangendo al canto dell'inno e agli esempi di castità; quelli che si erano rivolti a Dante tornano ad
avvicinarsi al limite della fiamma, attendendo la sua risposta.

Dante risponde alle anime (52-66)


Dante risponde spiegando che il suo corpo non è rimasto sulla Terra ma è lì con lui, con tutto il sangue e le
sue giunture: sta salendo il monte per vincere il peccato ed è atteso nell'Eden da una donna (Beatrice) che gli
procura grazia, per cui può attraversare il Purgatorio in carne ed ossa. Dante augura alle anime di
raggiungere presto la beatitudine e di poter entrare in Cielo, quindi chiede loro di rivelare i propri nomi e di
dirgli chi sono quegli altri lussuriosi che si sono allontanati, cosicché lui possa scriverne una volta ritornato
sulla Terra.
Un'anima spiega la condizione delle due schiere (67-87)
Come il montanaro si stupisce quando giunge in città, ammirando muto ciò che non è abituato a vedere, così
quelle anime si meravigliano alle parole di Dante, per quanto la loro sorpresa si attenui presto come avviene
di solito nei cuori magnanimi. L'anima che ha parlato prima (Guido Guinizelli) dichiara che Dante è beato in
quanto ha il privilegio di visitare il Purgatorio da vivo, quindi spiega che i penitenti dell'altra schiera sono
colpevoli di lussuria contro natura (furono cioè sodomiti) e per questo gridano l'esempio di Sodoma,
accrescendo la loro vergogna. Lui e gli altri penitenti di questa schiera, invece, peccarono di lussuria secondo
natura, abbandonandosi tuttavia al piacere sensuale in modo eccessivo e come bestie, per cui gridano
l'esempio di Pasifae che si unì al toro nella falsa vacca di legno.
Guido Guinizelli si rivela a Dante (88-132)
Ora, prosegue il penitente, Dante sa chi sono lui e i suoi compagni di pena, ma non avrebbe il tempo di
indicare i loro nomi né peraltro li conoscerebbe tutti. L'anima rivela tuttavia il proprio nome, presentandosi
come Guido Guinizelli: espia i suoi peccati in Purgatorio perché se ne pentì prima della morte. Dante,
sentendo il nome del poeta che considera il padre suo e degli altri poeti migliori di lui che eccelsero nelle
rime amorose in volgare, vorrebbe gettarsi nel fuoco ad abbracciare Guido, anche se non osa farlo; per un
buon tratto continua a camminare senza dire nulla, guardandolo con ammirazione e non avvicinandosi alle
fiamme. Dopo questa lunga pausa, Dante torna a rivolgersi a Guinizelli con un giuramento che rende
credibili le sue parole: il penitente afferma che Dante lascia in lui un ricordo indelebile, che neppure le acque
del Lete potranno cancellare, poi chiede a Dante il motivo per cui manifesta tanto affetto per lui. Dante
spiega di ammirarlo per le sue poesie, che renderanno preziosi i manoscritti che le contengono finché si userà
il volgare.
A questo punto Guinizelli indica col dito un'anima che lo precede (Arnaut Daniel), dicendo che anche lui fu
poeta volgare e si mostrò superiore a lui, primeggiando anzi su tutti coloro che scrissero romanzi in prosa e
versi amorosi. Guido afferma che gli stolti gli preferiscono Giraut de Bornelh, poiché essi seguono l'opinione
comune e non la verità, proprio come molti antichi fecero nei riguardi di Guittone d'Arezzo, dapprima
apprezzato e poi vinto dalla verità. Guido prega poi Dante, se davvero ha il privilegio di andare in Paradiso,
di recitare un Pater noster davanti a Cristo, quel tanto che occorre alle anime del Purgatorio.
Incontro con Arnaut Daniel (133-148)
Alla fine delle sue parole Guido scompare nel fuoco, forse per lasciare spazio all'anima accanto a lui, simile
a un pesce che raggiunge il fondo dell'acqua. Dante si avvicina un poco al penitente che Guido ha indicato
prima, dicendogli che nutre grande desiderio di conoscere il suo nome. Il penitente inizia a parlare di buon
grado e in perfetta lingua d'oc dichiara di non potere né voler nascondere la propria identità, tanto gli è
gradita la cortese domanda di Dante: egli è Arnaut Daniel, che piange e canta nel fuoco. Ripensa con
preoccupazione i suoi precedenti peccati, guarda con gioia alla beatitudine che lo attende; prega Dante, in
nome della grazia che lo conduce in Purgatorio, di ricordarsi di lui una volta giunto in Paradiso. A questo
punto il penitente scompare nuovamente entro le fiamme che lo purificano.
PENA:
camminano all'interno di un muro di fiamme che circonda l'intera Cornice; Sono divisi nelle due opposte
schiere di peccatori secondo natura e contro natura, che procedono in direzione contraria e quando si
incontrano si scambiano baci e altri gesti affettuosi, oltre a dichiarare diversi esempi di lussuria punita.
INTEGRARE LIBRO

CANTO XXX: BEATRICE


PARADISO TERRESTRE
SCOMPARSA DI VIRGILIO E APPARIZIONE DI BEATRICE
Preludio all'apparizione di Beatrice (1-21)
Quando i sette candelabri che aprono la processione e che sono seguiti da tutti gli altri personaggi si
arrestano, i ventiquattro vecchi che precedono il carro rivolgono lo sguardo verso di esso e uno di loro grida
tre volte la frase Veni, sponsa, de Libano, imitato dagli altri. Cento angeli si alzano in volo sul carro come in
risposta al grido, simili ai beati che il Giorno del Giudizio risorgeranno dalle loro tombe. Essi
dicono Benedictus qui venis, gettando fiori sopra e tutt'intorno al carro.

Apparizione di Beatrice. Scomparsa di Virgilio (22-54)


Dante descrive l'apparizione di una donna coperta dalla nuvola di fiori e la paragona a quella del sole che,
talvolta, sorge velato da spessi vapori che rendono l'oriente di colore roseo e permettono di fissare lo sguardo
sull'astro. La donna indossa un velo bianco e una ghirlanda di ulivo, nonché un mantello verde e una veste
color rosso vivo: anche se Dante non l'ha ancora vista in volto in quanto velata, il suo spirito avverte la
potenza d'amore ed egli riconosce quella figura come la donna amata in vita, Beatrice. Turbato, si volta alla
sua sinistra per dire a Virgilio che ogni goccia del suo sangue sta tremando, ma il poeta latino è scomparso e
ciò provoca un enorme dolore al suo discepolo, che si sente abbandonato da colui che l'aveva assistito come
un padre, e la bellezza dell'Eden intorno a lui non gli impedisce di abbandonarsi a un pianto dirotto.
Duro rimprovero di Beatrice (55-81)
Beatrice si rivolge a Dante e, chiamandolo per nome, lo invita a non piangere ancora per la dipartita di
Virgilio, in quanto dovrà versare altre lacrime per altri motivi. La donna è simile a un ammiraglio che
percorre il ponte per osservare le altre navi, volta sul fianco sinistro del carro: Dante la guarda e vede che
fissa i suoi occhi su di lui, nonostante sia ancora coperta dal velo. Beatrice ha un atteggiamento duro e
intransigente ed esorta Dante a guardarla bene, rivelando il proprio nome e accusando il poeta di aver osato
accedere al Paradiso Terrestre dove l'uomo è felice. Dante abbassa lo sguardo verso le acque del Lete, ma
poiché si vede riflesso in esse e si vergogna, volge gli occhi all'erba. Beatrice gli sembra tanto severa quanto
lo è la madre che rimprovera aspramente il figlio.

Gli angeli intercedono per Dante (82-99)


Beatrice tace e gli angeli cantano subito il Salmo XXX (In te, Domine, speravi), non andando oltre l'ottavo
versetto. Dante trattiene le lacrime come la neve sull'Appennino che si ghiaccia al soffiare dei venti freddi, e
poi inizia a liquefarsi quando arrivano i venti caldi: così quando gli angeli manifestano la loro compassione
per lui e sembrano intercedere presso Beatrice, il gelo che gli si era stretto intorno al cuore si scioglie e il
poeta si abbandona a un pianto dirotto, come prima per la scomparsa di Virgilio.

Beatrice accusa Dante di traviamento (100-145)


Beatrice resta ferma sul fianco sinistro del carro e si rivolge agli angeli, dicendo che essi vedono nella mente
di Dio tutto ciò che accade nel mondo e quindi le sue parole saranno rivolte piuttosto a Dante, affinché egli si
penta delle sue colpe. Beatrice spiega che il poeta, non solo grazie a benefici influssi celesti ma anche per
speciale grazia divina, nella sua gioventù mostrò di avere in potenza ogni virtù e di poter compiere
ammirevoli imprese. Tuttavia un terreno, se lasciato incolto o esposto a cattive sementi, diventa tanto
selvaggio quanto più è fertile: finché fu in vita Beatrice guidò Dante sulla retta via, ma dopo la sua morte il
poeta la abbandonò per dedicarsi ad altre donne. Dante le voltò le spalle dopo che lei aveva accresciuto la
sua bellezza diventando beata, seguendo ingannevoli immagini che non mantengono alcuna promessa. La
donna tentò di richiamarlo alla virtù apparendogli in sogno, ma a lui non importò nulla: si traviò al punto
che, per salvarlo, non c'era altra strada che mostrargli i dannati all'Inferno, per cui Beatrice fece visita a
Virgilio nel Limbo, pregandolo di soccorrere il poeta. La suprema volontà divina sarebbe infranta, se Dante
bevesse l'acqua del Lete senza prima pentirsi e piangere
CANTO XXXIII: PROFEZIA DI BEATRICE
PARADISO TERRESTRE
Ancora nel Paradiso Terrestre. Profezia di Beatrice sul «DXV» e missione di Dante. Matelda conduce Dante
e Stazio a bere l'acqua dell'Eunoè.
È mezzogiorno di mercoledì 13 aprile (o 30 marzo) del 1300.
Canto delle sette donne e sospiro di Beatrice (1-12)
Le sette donne intonano un canto alternandosi fra loro (prima le tre poi le quattro), col quale lamentano tra le
lacrime la distruzione del Tempio di Gerusalemme; Beatrice sospira profondamente, simile a Maria ai piedi
della croce dove fu ucciso Gesù. Quando le donne tacciono, Beatrice si alza in piedi e, rossa di sdegno,
afferma che fra poco tempo non la si vedrà più, poi riapparirà nuovamente, come disse Cristo nell'Ultima
Cena.
Beatrice profetizza la venuta del «DXV» (13-51)
Beatrice si pone le sette donne di fronte, quindi si mette in cammino accennando a
Dante, Matelda e Stazio di seguirla. Dopo aver percorso circa nove passi, Beatrice si rivolge a Dante e lo
invita ad affrettare il cammino per potergli parlare più da vicino. Dante obbedisce e, una volta vicino alla
donna, questa gli chiede perché non le domandi nulla. Il poeta risponde con voce esitante, come qualcuno
che è intimorito dalla presenza di un superiore, e spiega che Beatrice conosce bene ciò che gli serve senza
bisogno che lui chieda. Beatrice ribatte che Dante deve ormai abbandonare ogni vergogna e parlare in modo
meno confuso, poiché il carro che è stato rotto dal drago non esiste più e il responsabile di questo può stare
certo che la punizione divina lo colpirà inesorabile. L'aquila che lasciò le penne nel carro, prosegue, non
resterà a lungo senza eredi e Beatrice profetizza che di lì a poco le stelle saranno favorevoli alla venuta di un
«cinquecento, dieci e cinque» che sarà un inviato di Dio e che ucciderà la prostituta e il gigante che traffica
con lei. Forse, aggiunge Beatrice, la sua profezia risulta troppo oscura per Dante, ma presto i fatti toglieranno
ogni dubbio senza causare alcun danno.
Missione di Dante. Oscure parole di Beatrice (52-78)
Beatrice invita Dante a prendere nota delle sue parole, in modo da riferirle ai vivi sulla Terra, senza scordare
di descrivere il modo in cui l'albero simbolico è stato depredato due volte. Aggiunge che chiunque danneggia
quella pianta compie un atto sacrilego contro Dio, che la creò inviolabile solo per i propri fini. Adamo, per
aver morso il frutto di quell'albero, attese più di cinquemila anni nel Limbo prima che arrivasse Cristo
trionfante, che col suo sacrificio riscattò il peccato originale. Dante vaneggia se non comprende la ragione
per cui l'albero è capovolto e si estende tanto verso il Cielo; e se il suo ingegno non fosse stato indurito da
vaneggianti pensieri, capirebbe solo da questi segni il significato simbolico dell'albero. Tuttavia, poiché
Beatrice si avvede che l'intelletto di Dante è ancora ottenebrato, desidera che il poeta porti con sé almeno
un'immagine sommaria di quanto gli ha detto, se non proprio tutto quanto scritto nella mente.
Insufficienza della dottrina seguita da Dante (79-102)
Dante risponde che il suo cervello conserva l'impronta delle parole di Beatrice, come della cera segnata da un
sigillo. Ma perché, chiede, i discorsi della donna superano la sua capacità di comprenderli, al punto che
l'intelletto si perde quanto più si sforza di seguirli? Beatrice risponde che ciò serve a far capire a Dante che la
dottrina da lui seguita finora è insufficiente a capire le sue parole, poiché la via che ha percorso dista tanto da
quella di Dio quanto la Terra è distante dal Primo Mobile. Dante ribatte di non ricordare affatto di essersi
allontanato dal culto di Beatrice e questa spiega sorridendo che il poeta non può ricordarlo, avendo bevuto
l'acqua del Lete; il fatto che tale ricordo sia stato cancellato, del resto, è la prova evidente del fatto che tale
azione è da considerare peccaminosa. Da questo momento, conclude Beatrice, le sue parole saranno
all'altezza dell'ingegno ancora rozzo del poeta, perché lui possa capirle.
Matelda conduce Dante e Stazio all'Eunoè (103-135)
Il sole ha ormai raggiunto il meridiano, essendo più luminoso e lento (è mezzogiorno), quando le sette donne
che aprono il corteo si fermano, come fanno le guide quando trovano qualcosa di nuovo lungo il cammino. Il
gruppo ha raggiunto un punto dove i raggi solari penetrano debolmente, simile a una radura in alta
montagna: qui Dante vede due fiumi (il Lete e l'Eunoè) che sgorgano da un'unica fonte e poi si dipartono,
simili al Tigri e all'Eufrate. Dante, stupito, chiede a Beatrice quali siano quei fiumi e la donna invita il poeta
a chiedere a Matelda. Questa ribatte di aver già fornito la spiegazione a Dante e che questo ricordo non può
essere stato cancellato dal Lete, per cui Beatrice conclude che l'attenzione prestata da Dante ad altro ha forse
provocato in lui questa dimenticanza. Beatrice indica poi a Matelda l'Eunoè, invitando la bella donna a
condurre là Dante per ravvivare la sua virtù. Matelda obbedisce prontamente e conduce Dante e Stazio al
fiume.
Dante beve l'acqua dell'Eunoè (136-145)
Se Dante avesse più spazio da dedicare alla scrittura potrebbe descrivere il modo in cui bevve l'acqua
dell'Eunoè, che ha un sapore così dolce che non sazia mai: tuttavia, poiché la II Cantica del poema è ormai
ultimata, il freno dell'arte lo costringe a passare oltre. Dante, dopo aver bevuto, si allontana dalle acque sante
del fiume completamente rinnovato nell'animo, come le piante in primavera rinnovano del tutto le loro
fronde, cosicché è ormai purificato e pronto a salire in Cielo.

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