Canti Purgatorio
Canti Purgatorio
Canti Purgatorio
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CANTO I: CATONE
SBARCO NEL PURGATORIO
• sviluppa il suo proemio sulla bipartizione canonica dei poemi classici:
1. -protasi, dove viene esposto l'argomento che verrà trattato (versi 1-6)
2. -Invocazione alle Muse, in questo Canto rintracciabile nei versi 7-12.
invocazione a Calliope, musa protettrice della poesia epica che era stata invocata anche da Virgilio nel Libro
IX dell’ Eneide. Attraverso questa figura, Dante può rievocare il mito delle figlie di Pierio, il re di Tessaglia
(o di Macedonia). Esse, secondo la mitologia, ebbero l’ardire di sfidare le Muse in una gara di canto e furono
vinte proprio dalla voce melodiosa di Calliope che, per punirle, le trasformò in piche, cioè in gazze dal
gracchiare stridulo. In questo modo, il poeta pone il Canto I del Purgatorio – e, con esso, l’intera cantica –
sotto l’ammonimento nei confronti della superbia. Senza l’umiltà, infatti, non potrebbe compiersi la salvezza
delle anime, fine ultimo del secondo regno ultraterreno.
• Protagonista del Canto Marco Porcio Catone – detto il Giovane, Estremo difensore delle libertà
politiche e repubblicane, si oppose fermamente al primo triumvirato di Crasso, Cesare, Pompeo.
Quando però scoppiò la guerra civile tra questi due ultimi, si schierò dalla parte di Pompeo,
riconoscendo nelle mire dittatoriali di Cesare un aperto attacco agli ideali repubblicani; per questo
motivo, dopo la sconfitta di Pompeo a Tapso nel 46 a.C., Catone decise di togliersi la vita a Utica,
città africana a nord di Cartagine.
• Pagano, morto suicida e avverso alla figura di Cesare – e con essa, quindi, a quella dell’Impero così
cara invece a Dante– il personaggio sembra essere in piena antitesi con i valori del poeta. In realtà,
nel Medioevo cristiano la figura di Catone era ricollegata ad un modello di vita austera e dignitosa,
nonché di integrità, di fortezza morale e di rifiuto dei beni terreni, tutti valori fortemente cristiani.
• Il suo suicidio è, secondo Dante, un gesto giustificabile, perché compiuto con il fine di salvaguardare
la libertà civile, precorritrice della libertà interiore cui tutte le anime del Purgatorio aspirano e
necessitano per poter ascendere al Paradiso. Dante – al verso 75 – predice al guardiano
del Purgatorio l’assunzione in Cielo dopo il Giudizio Universale, trattamento che non ha riservato
neanche al suo maestro Virgilio.
Versi 1-12→ Dopo aver lasciato il terribile mare dell’Inferno, Dante è pronto a cantare con più tranquillità il
secondo regno dell’Oltretomba, il Purgatorio, nel quale l’anima si purifica per poter accedere al Paradiso. Il
poeta invoca l’aiuto delle Muse e in particolar modo di Calliope, chiedendole di assisterlo con lo stesso canto
col quale sconfisse le Piche.
Versi 13-48→ Dante gioisce nell’osservare l’azzurro del cielo: ad illuminarlo c’è Venere, che si trova nella
costellazione dei Pesci. Voltandosi verso il cielo australe, il poeta riesce a scorgere quattro stelle la cui luce è
stata visibile solo a due esseri umani: Adamo ed Eva. Non appena distoglie lo sguardo da esse, scorge un
vecchio venerando accanto a sé: si tratta di Catone Uticense il quale, credendo Dante e Virgilio due dannati
in fuga dall’Inferno, chiede loro chi siano e come mai si trovino lì.
Versi 49-108. Virgilio, allora, fa inginocchiare Dante di fronte a Catone e prende parola, rispondendo ai
dubbi dell’anima veneranda. Gli spiega, quindi, che egli è stato incaricato da una donna beata a
soccorrere Dante e a guidarlo attraverso l’Oltretomba. Aggiunge, inoltre, che Catone dovrebbe gradire la sua
venuta: il poeta fiorentino cerca la libertà, che è qualcosa di assai prezioso, come sa bene chi per essa arriva a
rinunciare alla propria vita. Conclude, infine, dicendo che i due sono svincolati dalle leggi infernali – Virgilio
è un’anima del Limbo, Dante è un vivente – e di farli passare in nome di Marzia, moglie di Catone. L’uomo
risponde che concederà loro il passaggio non per Marzia ma grazie alla donna del cielo che li ha messi in
viaggio; prima, però, Virgilio dovrà lavare il volto di Dante e cingere la sua vita con un giunco.
Versi 109-136 → Al termine del suo discorso, Catone scompare. Dante e Virgilio, tornando sui loro passi,
giungono in un punto della spiaggia dove l’erba è bagnata dalla rugiada. Con questa, Virgilio lava le guance
di Dante. Dopodiché, giunti nella parte bassa della spiaggia, il maestro si china a cogliere un giunco – che,
una volta strappato, subito ricresce vigoroso – con il quale cinge i fianchi di Dante.
v. 18, «petto»: metonimia per indicare il cuore
v. 19, «Lo bel pianeto che d’amar conforta»: perifrasi per indicare Venere
v. 23, «quattro stelle»: allegoria per indicare le virtù cardinali
v. 37, «luci»: metonimia per indicare le stelle
vv. 40-43, «Chi siete voi che contro al cieco fiume / fuggita avete la pregione etterna?», / diss’el, movendo quelle oneste
piume. // «Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna»: anafora
v. 51, «‘l ciglio»: sineddoche per indicare la testa
v. 75, «vesta»: metafora per indicare il corpo
v. 78, «li occhi casti»: sineddoche per indicare l’onestà morale di Marzia
Dopo i rimproveri di Catone e la fuga precipitosa delle anime verso la montagna, Dante si stringe a Virgilio, senza la cui
guida fidata non potrebbe certo proseguire il viaggio. Il maestro sembra essere punto dalla propria coscienza, così
monda e dignitosa che anche il più piccolo errore le provoca un forte rimorso. Quando Virgilio prende a camminare
senza la fretta che toglie decoro a ogni gesto, Dante inizia a guardarsi attorno e osserva la montagna, che si erge verso
il cielo più alta di qualunque altra. Il sole brilla rossastro dietro di lui e proietta l'ombra davanti, dal momento che Dante
ne scherma i raggi col proprio corpo.
Dante vede all'improvviso che c'è solo la sua ombra sul terreno e non quella di Virgilio, quindi si volta a lato col terrore di
essere abbandonato: il maestro ovviamente è lì e lo rimprovera perché continua a diffidare e non crede che sia accanto
a lui per guidarlo. Virgilio spiega che il corpo mortale nel quale lui faceva ombra riposa a Napoli, dove fu traslato da
Brindisi e dove adesso è già sera, quindi Dante non deve stupirsi che la sua anima non proietti un'ombra proprio come i
cieli non fanno schermo al passaggio della luce. La giustizia divina fa in modo che i corpi inconsistenti delle anime
soffrano tormenti fisici, in un modo che non vuole che si sveli agli uomini, per cui è folle chi spera con la sola ragione
umana di poter capire i misteri della fede. La gente deve accontentarsi di ciò che è stato rivelato, perché se avesse
potuto veder tutto non sarebbe stato necessario che Gesù nascesse. Grandi filosofi hanno desiderato vanamente di
conoscere questi misteri, e il loro ingegno glielo avrebbe permesso se ciò fosse stato possibile, mentre ora tale desiderio
è la loro pena. Virgilio parla di Aristotele, di Platone e molti altri; poi resta in silenzio, china la fronte e rimane turbato.
I due poeti intanto sono giunti ai piedi del monte: la parete è così ripida che è impossibile scalarla, tanto che la roccia più
impervia della Liguria sarebbe un'agevole scala al confronto. Virgilio si ferma e si chiede da quale parte ci sia un
accesso più facile al monte; e mentre lui riflette guardando a terra, e Dante osserva in alto la montagna, da sinistra
appare un gruppo di anime che si muovono lentissime verso di loro. Virgilio esorta il discepolo ad andare verso di esse
poiché si muovono piano, e lo invita a rafforzare la speranza poiché saranno loro a fornire indicazioni. Dopo mille passi
le anime sono ancora molto lontane, quando esse si accorgono dei due poeti e si stringono alla roccia. Virgilio chiede
loro dove sia l'accesso al monte, dal momento che essi non vogliono perdere tempo. Le anime iniziano ad avanzare,
simili alle pecorelle che escono dal recinto una dietro l'altra senza sapere dove vanno e perché, poi le prime vedono che
Dante proietta l'ombra e si arrestano, tirandosi indietro e inducendo le altre a fare lo stesso. Virgilio le rassicura dicendo
che Dante è effettivamente vivo, ma non è certo contro il volere divino che egli cerca di scalare il monte. I penitenti fanno
cenno con le mani di tornare indietro e procedere nella loro stessa direzione.
Incontro con Manfredi (103-145)
Una delle anime si rivolge a Dante e lo invita a guardarlo, per capire se lo ha mai visto sulla Terra. Il poeta lo osserva e lo
guarda con attenzione, vedendo che è biondo, bello e di nobile aspetto, e ha uno dei sopraccigli diviso da un colpo.
Dopo che il poeta gli ha risposto di non averlo mai visto, il penitente gli mostra una piaga che gli attraversa la parte alta
del petto, quindi di presenta come Manfredi di Svevia, nipote dell'imperatrice Costanza d'Altavilla. Egli prega Dante,
quando sarà tornato nel mondo, di dire a sua figlia Costanza la verità sul suo stato ultraterreno. Manfredi racconta che
dopo essere stato colpito a morte nella battaglia di Benevento, piangendo si pentì dei suoi peccati e nonostante le sue
colpe fossero gravissime fu perdonato dalla grazia divina. Male fece il vescovo di Cosenza, istigato da papa Clemente
IV, a far disseppellire il suo corpo che giaceva sotto un mucchio di pietre vicino a un ponte e a farlo trasportare a lume
spento fuori dai confini del regno di Napoli, lungo il fiume Liri. La scomunica della Chiesa infatti non impedisce di salvarsi
finché c'è un po' di speranza, anche se chi muore in contumacia deve poi attendere nell'Antipurgatorio un tempo
superiore trenta volte al periodo trascorso come scomunicato, a meno che qualcuno con le sue preghiere non accorci
questo periodo. Manfredi prega dunque Dante di rivelare tutto questo alla figlia Costanza, perché lei con le sue preghiere
abbrevi la sua permanenza nell'Antipurgatorio.
CANTO IV
ANTIPURGATORIO, PRIMO BALZO
I NEGLIGENTI
• Dante e Virgilio raggiungono il punto in cui si accede al monte. Faticosa salita dei due fino al primo
balzo dell'Antipurgatorio; spiegazione di Virgilio sul corso del sole. Incontro con le anime dei pigri a
pentirsi e con Belacqua.
• il tempo è dimensione fondamentale nel Purgatorio, che è un luogo eterno come Inferno e Paradiso
ma in cui le anime devono compiere un percorso di espiazione e sono quindi ansiose di poter
accedere alle pene, per abbreviare il più possibile la loro permanenza lì prima di essere ammesse in
Paradiso (e il passare del tempo è rappresentato visivamente dal corso del sole
• La salita è allegoria del percorso morale dell'anima umana verso la virtù e la salvezza, che è
naturalmente un percorso difficile, anche se poi Virgilio spiegherà che l'ascesa è ardua solo all'inizio
e diviene poco alla volta più agevole, fino ad essere semplice come seguire la corrente di un fiume.
• la violenta invettiva di Dante contro l'Italia, che parte dal fatto che nell'Italia del suo tempo i cittadini
sono in lotta l'uno contro l'altro e addirittura entro la stessa città, come dimostra l'elenco delle anime
all'inizio del Canto e come dichiara lo stesso esempio di Firenze che tornerà alla fine. Dante
riconduce la causa principale di tali lotte all'assenza di un potere centrale, che nella sua visione
universalistica doveva essere garantito dall'Impero: è l'imperatore che dovrebbe regnare a Roma e
assicurare pace e giustizia agli Italiani, invece il paese è ridotto a una bestia selvaggia che nessuno
cavalca né governa (e a poco serve che Giustiniano le avesse sistemato il freno, cioè avesse emanato
il Corpus iuris civilis visto che nessuno fa rispettare le leggi). L'immagine del paese come un cavallo
che dev'essere domato è la stessa usata nella Monarchia (III, 15) e nel Convivio (IV, 9), dove si dice
che il potere temporale ha soprattutto il compito di assicurare il rispetto delle leggi: la polemica è
rivolta contro i Comuni italiani ribelli, che come Firenze non si sottomettono all'autorità imperiale,
ma anche contro il sovrano stesso che rinuncia a esercitare i suoi diritti
Colpa
La colpa qui punita è quella della negligenza – l’essersi, cioè, pentiti all’estremo della vita – da parte dei
morti di morte violenta.
Pena
I morti di morte violenta devono attendere un tempo pari alla durata della loro vita prima di entrare
in Purgatorio; esse camminano compatte lungo la costa del monte, cantando coralmente il
salmo Miserere. Si tratta di un contrappasso per antitesi: come in vita ignorarono la misericordia di Dio,
adesso la invocano.