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Costituzione della Repubblica Italiana

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La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale della Repubblica italiana, ovvero il vertice nella gerarchia delle fonti di diritto dello stato italiano.

Approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola il 27 dicembre seguente, fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio dell'anno successivo, il 1948.

Della Carta Costituzionale vi sono tre originali, uno dei quali è conservato presso l'archivio storico della presidenza della Repubblica.[1]

La prima pagina tratta da uno dei tre originali della Costituzione ora custodito presso l'Archivio storico della presidenza della Repubblica

Storia

Gli statuti preunitari

Il primo esempio in Italia di statuto costituzionale si ebbe a Palermo, quando il 19 luglio 1812, il Parlamento del Regno di Sicilia, riunito in seduta straordinaria, promulgò la costituzione siciliana del 1812. Era una carta sul modello spagnolo (costituzione di Cadice). La Costituzione prevedeva un parlamento bicamerale formato da una Camera dei Comuni, composta da rappresentanti del popolo con carica elettiva, e una Camera dei Pari, costituita da ecclesiastici, millitari ed aristocratici con carica vitalizia. Le due camere, convocate dal sovrano almeno una volta l'anno, detenevano il potere legislativo, ma il re deteneva potere di veto sulle leggi del parlamento [2]. Fu soppressa di fatto nel dicembre 1816 con la nascita del Regno delle Due Sicilie.

Nel 1848 con le rivoluzioni scoppiate durante la primavera dei popoli furono concessi dai sovrani di alcuni stati italiani alcuni statuti: quello napoletano, quelli del ducato di Parma e dello Stato della Chiesa, quello siciliano (non ottriato) e, in Piemonte, quello albertino.

L'unità d'Italia e lo statuto albertino

Lo stesso argomento in dettaglio: Statuto albertino, Regno d'Italia (1861-1946) e Unità d'Italia.
Lo Statuto albertino

La continuità tra il Regno di Sardegna e quello d'Italia avvenne con l'estensione dello Statuto albertino, concesso da Carlo Alberto di Savoia nel 1848, a tutti i territori del regno d'Italia progressivamente annessi al regno sabaudo nel corso delle guerre d'indipendenza.

Lo stato italiano nacque, da un punto di vista istituzionale, con la legge 17 marzo 1861 n. 4671, che attribuisce a Vittorio Emanuele II, «re di Sardegna», e ai suoi successori, il titolo di «re d'Italia». È la nascita giuridica di uno Stato italiano (anche se altri stati avevano già portato tale nome nel passato, dal regno longobardo per finire col regno napoleonico). Lo Statuto albertino rimase quindi in vigore quasi 100 anni quando entrò in vigore la costituzione repubblicana.

Lo Statuto albertino fu simile alle altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel 1848 e rese l'Italia una monarchia costituzionale, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. Era una tipica costituzione ottriata (dal francese octroyée), ossia concessa dal sovrano, e da un punto di vista giuridico si caratterizzava per la sua natura flessibile, ossia derogabile ed integrabile in forza di un atto legislativo ordinario. Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l'Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modo di operare tradizionale delle istituzioni inglesi (benché il potere esecutivo fosse detenuto completamente dal re, sempre più spesso il Consiglio dei ministri rifiutò di restare in carica quando non gradito alla camera elettiva).

Il primo Parlamento dello Stato unitario, in principio del 1861, si compose con un suffragio elettorale ristretto al 3% della popolazione; nel 1882 il diritto di voto fu portato al 7% della popolazione, con riforme nel 1912 e 1918 il diritto fu esteso fino a una forma di suffragio universale maschile.[3] Benché l'articolo 1 proclamasse il cattolicesimo religione di Stato, le relazioni fra la Santa Sede e lo Stato furono praticamente interrotte tra il 1870 e il 1929, per via della questione romana.

Il ventennio fascista

«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.»

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dell'Italia fascista e Patti Lateranensi.

Anche a causa della mancanza di rigidità dello Statuto, con l'avvento del fascismo lo Stato fu deviato verso un regime autoritario dove le forme di libertà pubblica fin qui garantite vennero stravolte: le opposizioni vennero bloccate o eliminate, la Camera dei deputati fu abolita e sostituita dalla «Camera dei fasci e delle corporazioni», il diritto di voto fu cancellato; diritti, come quello di riunione e di libertà di stampa, furono piegati in garanzia dello Stato fascista, mentre il partito unico fascista non funzionò come strumento di partecipazione, ma come strumento di intruppamento della società civile e di mobilitazione politica pilotata dall'alto. Tuttavia lo Statuto albertino, nonostante le modifiche, non fu formalmente abolito. I rapporti con la Chiesa cattolica vennero invece ricomposti e regolati tramite i Patti Lateranensi del 1929, che ristabilirono ampie relazioni politico-diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato italiano.

Il 25 luglio 1943, verso la fine della seconda guerra mondiale, Benito Mussolini perse il potere, il re Vittorio Emanuele III nominò il maresciallo Pietro Badoglio per presiedere un governo che ripristinò in parte le libertà dello statuto; iniziò così il cosiddetto «regime transitorio», di cinque anni, che terminò con l'entrata in vigore della nuova Costituzione e le successive elezioni politiche dell'aprile 1948, le prime della storia repubblicana. Ricomparvero quindi i partiti antifascisti costretti alla clandestinità, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, decisi a modificare radicalmente le istituzioni per fondare uno Stato democratico.

Con il progredire e il delinearsi della situazione, con i partiti antifascisti che iniziavano ad entrare nel governo, non fu possibile al re di riproporre uno Statuto albertino eventualmente modificato e la stessa monarchia, giudicata compromessa con il precedente regime, era messa in discussione. La divergenza, in clima ancora bellico, trovò una soluzione temporanea, una «tregua istituzionale», in cui si stabiliva: la necessità di trasferire i poteri del re al figlio (ci fu un proclama del re il 12 aprile 1944), il quale doveva assumere la carica provvisoria di luogotenente del regno, mettendo da parte temporaneamente la questione istituzionale; quindi la convocazione di un'Assemblea Costituente incaricata di scrivere una nuova carta costituzionale, eletta a suffragio universale (giugno 1944).[4] Fu poi esteso il diritto di voto alle donne (febbraio 1945)[5]

La nascita della repubblica e l'assemblea costituente

La distribuzione dei seggi nell'Assemblea costituente

Dopo la cessazione delle ostilità, fu indetto il referendum per la scelta fra repubblica e monarchia (2 giugno 1946) che sancì la nascita della Repubblica Italiana[6]

Dopo sei anni dall'inizio della seconda guerra mondiale e venti anni dall'inizio della dittatura, il 2 giugno 1946 si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l'elezione dell'Assemblea Costituente, con la partecipazione dell'89% degli aventi diritto.[7] Il 54% dei voti (più di 12 milioni) fu per lo stato repubblicano, superando di 2 milioni i voti a favore dei monarchici (che contestarono l'esito[8]).

L'Assemblea fu eletta con un sistema proporzionale e furono assegnati 556 seggi, distribuiti in 31 collegi elettorali.

Ora i partiti del Comitato di liberazione nazionale cessarono di considerarsi uguali, e si poté constatare la loro rappresentatività. Dominarono le elezioni tre grandi formazioni: la Democrazia Cristiana, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito socialista, 20,7% dei voti e 115 seggi; il Partito comunista, 18,9% e 104 seggi. La tradizione liberale (riunita nella coalizione Unione Democratica Nazionale), protagonista della politica italiana nel periodo precedente la dittatura fascista, ottenne 41 deputati, con quindi il 6,8% dei consensi; il Partito repubblicano, anch'esso d'ispirazione liberale ma con un approccio differente nei temi sociali, 23 seggi, pari al 4,4%. Mentre il Partito d'Azione, nonostante un ruolo di primo piano nella Resistenza, ebbe solo l'1,5% corrispondente a 7 seggi. Fuori dal coro, in opposizione alla politica del CLN, raccogliente voti dei fautori rimasti del precedente regime, c'è la formazione dell'Uomo qualunque, che prese il 5,3%, con 30 seggi assegnati.

Giorgio La Pira[9] sintetizzò le due concezioni costituzionali e politiche alternative dalle quali si intendeva differenziare la nascente Carta, distinguendone una "atomista, individualista, di tipo occidentale, rousseauiana" ed una "statalista, di tipo hegeliano". Secondo i costituenti, riferì La Pira, si pensò di differenziarla nel principio che per il pieno sviluppo della persona umana, a cui la nostra costituzione doveva tendere, era necessario non soltanto affermare i diritti individuali, non soltanto affermare i diritti sociali, ma affermare anche l'esistenza dei diritti delle comunità intermedie che vanno dalla famiglia sino alla comunità internazionale.

Il Capo dello Stato, Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana. 27 dicembre 1947

I lavori dovevano terminare il 25 febbraio 1947 ma la Costituente non verrà sciolta che il 31 gennaio 1948, dopo aver adottato la Costituzione il 22 dicembre con 458 voti favorevoli contro 62 contrari. La Costituzione fu promulgata il 27 dicembre di quell'anno ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948.

Elenco degli eletti alla Costituente

Caratteristiche

Lo stesso argomento in dettaglio: Limiti alla revisione costituzionale.

La Costituzione è la principale fonte del diritto repubblicana, cioè quella dalla quale gerarchicamente dipendono tutte le altre. La Costituzione italiana è una costituzione scritta, rigida, lunga, votata, compromissoria, laica, democratica e programmatica.

Il processo di consolidamento dei principi indicati dalla Costituzione, attraverso la loro concretizzazione nella legge ordinaria (o, talvolta, nell'orientamento giurisprudenziale come è avvenuto per l'attuazione dell'articolo 36 relativamente al principio del trattamento economico minimo previsto per i lavoratori dipendenti), è detto attuazione della Costituzione. Tale processo non è da considerarsi ancora concluso. Il legislatore costituzionale, inoltre, ha ritenuto di ritornare nella Costituzione repubblicana su alcune materie, per integrarle e ampliarle, adottando provvedimenti di legge costituzionale, tipici di tutte le costituzioni lunghe. Tali emendamenti sono integrazioni alla costituzione, approvate con lo stesso procedimento della revisione costituzionale, e costituiscono modificazioni più o meno profonde.

Per quanto concerne l'attuazione e l'integrazione delle norme costituzionali, si ricorda ad esempio che la Corte costituzionale non venne attivata che nel 1955 (le elezioni dei giudici tramite una legge non avvenne che nel 1953), che il Consiglio superiore della magistratura venne attivato nel 1958 e che le Regioni ordinarie vennero istituite nel 1970 (sebbene quattro regioni speciali vennero istituite nel 1948 e il Friuli-Venezia Giulia nel 1963); il referendum abrogativo, infine, venne istituito con la legge 352 del 15 maggio 1970.

Elementi formali

  • La normazione è contenuta in un testo legislativo scritto. La scelta è comune all'esperienza di civil law e a quella di common law, con la grande eccezione della Gran Bretagna, paese nel quale la Costituzione è in forma orale (tranne alcuni documenti come la Magna Carta).
  • Si dice che la Costituzione italiana è rigida. Con ciò si indica che:
  1. le disposizioni aventi forza di legge in contrasto con la Costituzione, che è fonte di gerarchia del diritto, vengono rimosse con un procedimento innanzi alla Corte costituzionale.
  2. è necessario un procedimento parlamentare aggravato per la riforma/revisione dei suoi contenuti (non bastando la normale maggioranza, ma la maggioranza qualificata dei componenti di ciascuna camera, e prevedendo per la revisione due successive deliberazioni a intervallo non minore di tre mesi l'una dall'altra).
  • La Costituzione è lunga: contiene disposizioni in molti settori del vivere civile, non limitandosi a indicare le norme sulle fonti del diritto. In ogni caso, da questo punto di vista, è da dire che il disposto costituzionale presenta per parte carattere programmatico, venendo così in rilevanza solo in sede di indirizzo per il legislatore o in sede di giudizio di legittimità degli atti aventi forza di legge.
  • Votata perché rappresenta un patto tra i componenti del popolo italiano.
  • Compromissoria perché frutto di una particolare collaborazione tra tutte le forze politiche uscenti dal secondo conflitto mondiale.
  • Democratica perché è dato particolare rilievo alla sovranità popolare, ai sindacati e ai partiti politici.
  • Programmatica perché rappresenta un programma (attribuisce alle forze politiche il compito di rendere effettivi gli obiettivi fissati dai costituenti, e ciò attraverso provvedimenti legislativi non contrastanti con le disposizioni costituzionali).

Direttrici fondamentali

Nelle linee guida della Carta è ben visibile la tendenza all'intesa e al compromesso dialettico tra gli autori. La Costituzione mette l'accento sui diritti economici e sociali e sulla loro garanzia effettiva. Si ispira anche ad una concezione antiautoritaria dello Stato con una chiara diffidenza verso un potere esecutivo forte e una fiducia nel funzionamento del sistema parlamentare, sebbene già nell'Ordine del giorno Perassi[10] (con cui appunto si optò per una forma di governo parlamentare) venne prevista la necessità di inserire meccanismi idonei a tutelare le esigenze di stabilità governativa evitando ogni degenerazione del parlamentarismo. Non mancano importanti riconoscimenti alle libertà individuali e sociali, rafforzate da una tendenza solidaristica di base. Fu possibile, anche, grazie alla moderazione dei marxisti, confermare la validità dei Patti Lateranensi e permettere di accordare un'autonomia regionale tanto più marcata nelle isole e nelle regioni con forti minoranze linguistiche (aree in cui la sovranità italiana era stata messa in forte discussione durante l'ultima parte della guerra, e in parte lo era ancora durante i lavori costituenti).

Struttura

La Costituzione è composta da 139 articoli e relativi commi (5 articoli sono stati abrogati: 115; 124; 128; 129; 130), più 18 disposizioni transitorie e finali, suddivisi in quattro sezioni:

Il testo completo si apre con un brevissimo preambolo (seguito subito dai Principi fondamentali): «IL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO - Vista la deliberazione dell'Assemblea Costituente, che nella seduta del 22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana; - Vista la XVIII disposizione finale della Costituzione; - PROMULGA - La Costituzione della Repubblica Italiana nel seguente testo».

Esso è di natura tecnico-esplicativa e non politica, in quanto sono i seguenti Principi fondamentali ad esporre lo spirito della Costituzione, a differenza di altre carte fondative. Proposte di preamboli politici o culturali, ad esempio quelle formulate da Giorgio La Pira e Piero Calamandrei, non furono accolte dall'Assemblea.[11][12]

I Principi fondamentali

I primi dodici articoli della costituzione pongono i cosiddetti "Principi fondamentali" (detti anche Principi supremi). È possibile comunque individuare, in via ermeneutica, come evidenziato in pacifica giurisprudenza costituzionale, ulteriori principi fondamentali nella parte II della Costituzione, come, ad esempio, il principio di indipendenza della magistratura. I principi supremi dell'ordinamento costituzionale (non necessariamente coincidenti con i primi dodici articoli) non possono essere oggetto di modifica attraverso il procedimento di revisione costituzionale previsto dai successivi articoli 138 e 139.

Principio personalista

La Costituzione coglie la tradizione liberale e giusnaturalista nel testo dell'articolo 2: esso infatti sancisce che "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo". Tali diritti sono considerati diritti naturali, non creati giuridicamente dallo Stato, ma ad esso preesistenti. Tale interpretazione è riferita alla parola "riconoscere" che implica la preesistenza di un qualcosa.[13]

Principio di laicità

Il principio di laicità è stato enucleato dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 203 del 1989; in base ad esso l'ordinamento italiano attribuisce valore e tutela alla religiosità umana come comportamento apprezzato nella sua generalità ed astrattezza, senza alcuna preferenza per qualsivoglia fede religiosa. Scaturisce dal "principio personalista", di cui all'articolo 2 e dal "principio di uguaglianza" (articolo 3). L'articolo 19, enunciando il diritto di tutti a professare la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, specifica il riconoscimento della libertà religiosa come diritto inviolabile dell'uomo. Per la mediazione politica dell'Assemblea costituente, per la forte pressione della Chiesa cattolica attraverso i deputati democristiani, si stabilì, all'articolo 7, che Stato italiano e Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, sovrani e indipendenti; all'articolo 8 che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere e che a quelle diverse dalla cattolica veniva riconosciuto lo stesso regime di rapporti con lo Stato, per tutelare le loro specifiche esigenze, mediante accordi (le cd. "intese").

Ma anche le formazioni sociali a carattere religioso che non hanno il radicamento sociale vasto e la complessità organizzativa che fa attribuire la qualifica di "confessione religiosa", godono dell'analoga specifica tutela precisata nell'articolo 20. Questo articolo pone limiti e divieti all'autorità civile, volti ad impedire discriminazioni ed a garantire piena libertà a ogni forma organizzata della fede ("istituzioni o associazioni, a carattere ecclesiastico o con fine di religione o di culto"). La legislazione repubblicana e l'elaborazione della dottrina del diritto ecclesiastico italiano, stentano ad adeguare i metodi al nuovo contesto democratico; così risulta ancora dominante la concezione che i diritti degli individui singoli e delle organizzazioni religiose di qualsiasi tipo e natura, invece di godere di una tutela diretta dalla legge, possono trovare tutela solo attraverso l'intermediazione di quei soggetti dominanti che vengono chiamati "confessioni religiose" contemplati nell'articolo 8 e selezionati politicamente dai Governi, perpetuando così il modello del regime dittatoriale dei "diritti riflessi", per cui solo l'appartenenza agli enti riconosciuti dal fascismo consentiva il godimento dei diritti, attribuiti agli enti e "riflessi" sulle persone che a questi obbedissero.[14]

Principio pluralista

È tipico degli stati democratici. Nella Repubblica è riconosciuto e tutelato il pluralismo delle formazioni sociali (articolo 2), degli enti politici territoriali (articolo 5), delle minoranze linguistiche (articolo 6), delle confessioni religiose (articolo 8), delle associazioni (articolo 18), di idee ed espressioni (articolo 21), della cultura (articolo 33, comma 1), delle scuole (articolo 33, comma 3), delle istituzioni universitarie e di alta cultura (articolo 33, comma 6), dei sindacati (articolo 39) e dei partiti politici (articolo 49). È riconosciuta altresì anche la libertà delle stesse organizzazioni intermedie, e non solo degli individui che le compongono, in quanto le formazioni sociali meritano un ambito di tutela loro proprio. In ipotesi di contrasto fra il singolo e la formazione sociale cui egli è membro, lo Stato non dovrebbe intervenire. Il singolo, tuttavia, deve essere lasciato libero di uscirne.

I diritti inviolabili sono riconosciuti all'individuo sia considerato singolarmente sia nelle formazioni sociali adeguate allo sviluppo della personalità e finalizzate alla tutela degli interessi diffusi (interessi comuni ai diversi gruppi che si sviluppano in forma associata). Questi gruppi possono assumere diversi aspetti e tipologie, ugualmente rilevanti e degni di tutela per l'ordinamento: associazioni politiche, sociali, religiose, culturali, familiari.

Principio lavorista

Ci sono riferimenti già agli articoli 1, comma 1 e 4, comma 2. Il lavoro non è solo un rapporto economico, ma anche un valore sociale che nobilita l'uomo. Non è solo un diritto, bensì anche un dovere che eleva il singolo. Non serve a identificare una classe. Nello stato liberale la proprietà aveva più importanza, il lavoro ne aveva meno. I disoccupati, senza colpa, non devono comunque essere discriminati.

Principio democratico

Già gli altri tre principi sono tipici degli stati democratici, ma ci sono anche altri elementi a caratterizzarli: la preponderanza di organi elettivi e rappresentativi; il principio di maggioranza ma con tutela delle minoranze (anche politiche); processi decisionali (politici e giudiziari) trasparenti e aperti a tutti; ma soprattutto il principio di sovranità popolare (articolo 1, comma 2).

Principio di uguaglianza

Come è affermato con chiarezza nell'articolo 3 della costituzione italiana, tutti i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali, sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1). È compito dello Stato rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano l'eguaglianza e impedisce agli individui di sviluppare pienamente la loro personalità sul piano economico, sociale e culturale (uguaglianza sostanziale, comma 2). Nello stesso primo comma dedicato all'eguaglianza dinanzi alla legge, la Costituzione repubblicana richiama la "pari dignità sociale", andando dunque oltre la mera formulazione dell'eguaglianza liberale. Riguardo al principio di uguaglianza in materia religiosa, l'articolo 8 dichiara che tutte le confessioni religiose, diverse da quella cattolica, sono egualmente libere davanti alla legge.

Principio solidarista

Vuol dire che lo Stato ha il compito di aiutare le associazioni e le famiglie, attraverso la solidarietà politica, economica e sociale (art. 3 II comma, art. 2). Esso infatti deve rimuovere ogni ostacolo che impedisca la formazione della propria personalità.

Principio dell'unità e indivisibilità della Repubblica

L'articolo 5 vieta ogni forma di secessione o di cessione territoriale ed è garantito dal sacro dovere di difendere la patria (sancito dall'articolo 52).

Principio autonomista

Sempre l'articolo 5 che assicura alle collettività territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni) una forte autonomia dallo Stato (con conseguente attribuzione di poteri normativi e amministrativi propri), grazie alla quale i cittadini sono in grado di partecipare più da vicino e con maggiore incisività alla vita politica del Paese. Da una prima lettura di questi principi traspare la volontà del Costituente, che aveva vissuto la tragica esperienza dell'oppressione nazi-fascista e della guerra di liberazione, di prendere le distanze non solo dal regime fascista, ma anche dal precedente modello di Stato liberale, le cui contraddizioni e incertezze avevano consentito l'instaurazione della dittatura. Il tipo d'organizzazione statale tracciato dal Costituente è quello dello Stato sociale di diritto che, per garantire eguali libertà e dignità a tutti i cittadini, si fa carico di intervenire attivamente in prima persona nella società e nell'economia. Il principio è rafforzato dall'articolo 57 che prevede l'elezione del Senato su base regionale.

Principio internazionalista

Come viene sancito dall'articolo 10, l'ordinamento italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute; ciò comporta un "rinvio mobile" ovvero un adattamento automatico di tali norme nel nostro ordinamento[15].

Inoltre l'articolo 11 consente, in condizioni di parità con gli altri stati, limitazioni alla sovranità nazionale, necessarie per assicurare una pacifica coesistenza tra le Nazioni. A esso, la giurisprudenza costituzionale ricollega la modalità di ingresso nell'ordinamento italiano del diritto dell'Unione europea con valore di fonte sovraprimaria: «Questa Corte, fin dalle prime occasioni nelle quali è stata chiamata a definire il rapporto tra ordinamento nazionale e diritto comunitario, ne ha individuato il “sicuro fondamento” nell'art. 11 Cost. È in forza di tale parametro, collocato non senza significato e conseguenze tra i principi fondamentali della Carta, che si è demandato alle Comunità europee, oggi Unione europea, di esercitare in luogo degli Stati membri competenze normative in determinate materie, nei limiti del principio di attribuzione» (Corte costituzionale, sentenza n. 227/2010).

Principio pacifista

Come viene sancito all'articolo 11, "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (ovvero consente l'uso di forze militari per la difesa del territorio in caso di attacco militare da parte di altri paesi, ma non con intenti espansionisti) e accetta una limitazione alla propria sovranità nell'intento di promuovere gli organismi internazionali per assicurare il mantenimento della pace e della giustizia fra le Nazioni".

Si intende comunemente che questa seconda parte consenta all'Italia di partecipare a una guerra in difesa di altre nazioni con le quali siano state instaurate alleanze (ad esempio in caso di attacco armato a un paese membro della NATO), e di ospitare truppe straniere sul proprio territorio. Allo stato di guerra si ricollegano poi particolari eccezioni, come ad esempio l'art. 27, che prevedeva la pena di morte in Italia in base al codice penale militare di guerra (ora ergastolo), l'art 60, che proroga la vigenza delle camere in caso di guerra, l'art. 78, con cui le camere decretano lo stato di guerra, l'art. 87, con cui è il Presidente della Repubblica a dichiarare lo stato di guerra, l'art. 103, che determina la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di guerra, e l'art. 111, con cui non viene ammesso ricorso per cassazione su sentenze emesse dai tribunali militari di guerra.

Parte prima: diritti e doveri dei cittadini

La parte prima è composta da 42 articoli, e si occupa dei "Diritti e dei Doveri dei cittadini".

Diritti civili

dall'articolo 13 al 28

Le libertà individuali: gli articoli dal 13 al 16 affermano che la libertà è un valore sacro e quindi inviolabile (articolo 13), che il domicilio è inviolabile (articolo 14), che la corrispondenza è libera e segreta (articolo 15), che ogni cittadino può soggiornare e circolare liberamente nel Paese (articolo 16).

Le libertà collettive: gli articoli dal 17 al 21 affermano che i cittadini italiani hanno il diritto di riunirsi in luoghi pubblici (con obbligo di preavviso all'autorità di pubblica sicurezza), privati e aperti al pubblico (liberamente) (articolo 17), e di associarsi liberamente, che le associazioni che hanno uno scopo comune non devono andare contro il principio democratico e del codice penale (articolo 18), che ogni persona ha il diritto di professare liberamente il proprio credo (articolo 19), che ogni individuo è libero di professare il proprio pensiero, con la parola, con lo scritto e con ogni altro mezzo di comunicazione (articolo 21).

Il diritto penale: gli articoli dal 22 al 28 affermano i principi e i limiti dell'uso legittimo della forza (articolo 23), il diritto attivo e passivo alla difesa in tribunale (articolo 24) (vedi anche Patrocinio a spese dello stato),[16] il principio di legalità della pena (articolo 25), le limitazioni all'estradizione dei cittadini (articolo 26), il principio di personalità nella responsabilità penale (articolo 27, comma 1), il principio della presunzione di non colpevolezza (articolo 27, comma 2), il principio di umanità e rieducatività della pena (articolo 27, comma 3) e l'esclusione della pena di morte (articolo 27, comma 4); infine la previsione della responsabilità individuale del dipendente e funzionari pubblici e organicamente estesa all'intero apparato, per violazione di leggi da parte di atto della pubblica amministrazione, a tutela della funzione sociale e dei consociati dagli illeciti, in materia civile (articolo 28, comma 2), nonché, amministrativa e penale (articolo 28, comma 1).[17]

Diritti etico-sociali

dall'articolo 29 al 34

La famiglia: gli articoli dal 29 al 31 affermano che la Repubblica italiana riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e afferma anche che è di dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli.

La salute: l'articolo 32 afferma che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività. Afferma inoltre che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge" e che la legge "non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".

L'arte e la cultura: l'articolo 33 afferma che l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

La scuola: l'articolo 34 afferma che la scuola è aperta a tutti; quella statale è gratuita; libera e senza oneri per lo Stato quella privata (articolo 33, commi 3 e 4).

Diritti economici

dall'articolo 35 al 47

L'organizzazione del lavoro: gli articoli dal 35 al 47 affermano che la Repubblica tutela il lavoro e la libertà di emigrazione (articolo 35), il diritto al giusto salario (articolo 36, comma 1), la durata massima della giornata lavorativa (articolo 36, comma 2), il diritto/dovere al riposo settimanale (articolo 36, comma 3), il lavoro femminile e minorile (articolo 37), i lavoratori invalidi, malati, anziani o disoccupati (articolo 38), la libertà di organizzazione sindacale (articolo 39), il diritto di sciopero (articolo 40), la libertà di iniziativa economica e i suoi limiti (articolo 41), la proprietà pubblica e privata, e la sua funzione sociale (articolo 42), la possibilità ed i limiti all'espropriazione (art 43), la proprietà terriera (articolo 44), le cooperative e l'artigianato (articolo 45), la collaborazione tra i lavoratori (articolo 46) ed il risparmio (articolo 47). Se lo stato favorisce l'accumulazione del risparmio privato, impedisce con un'opportuna tassazione che il risparmio non investito rischiosamente possa generare interessi superiori all'inflazione.

Diritti politici

dall'articolo 48 al 54

Le elezioni: l'articolo 48 afferma che sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età; afferma anche che il diritto di voto è personale ed eguale, libero e segreto, e che il suo esercizio è dovere civico.

I partiti: l'articolo 49 afferma il principio della libertà di associarsi in partiti e del pluripartitismo politico.

Le tasse: l'articolo 53 afferma il dovere di tutti i cittadini di concorrere alle spese pubbliche pagando tasse e imposte (comma 1) ed il principio di progressività della tassazione (comma 2).

La fedeltà alla Repubblica: l'articolo 54 afferma il dovere di essere fedeli alla Repubblica, alla Costituzione ed alle leggi, ed il dovere per chi esercita funzioni pubbliche, di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi previsti dalla legge.

Servizio militare
Lo stesso argomento in dettaglio: Servizio militare di leva in Italia.

Articolo 52

«La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.

Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici.

L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.»

L'art. 52 afferma il dovere del cittadino nel concorrere alla difesa dello Stato, prevedendo l'obbligatorietà del servizio militare di leva in Italia, ma solo nelle modalità e nelle limitazioni imposte dalla legge. L'ultimo comma afferma poi genericamente il dovere di organizzare l'ordinamento delle forze armate italiane in base allo spirito repubblicano.

Parte seconda: Ordinamento della Repubblica

Il Parlamento

dall'articolo 55 all'82

Il primo titolo riguarda il potere legislativo ed è suddiviso in due sezioni:

Le Camere

"Il Parlamento della Repubblica Italiana si compone di due Camere: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica" (articolo 55, comma 1); "Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due camere solo nei casi stabiliti dalla Costituzione" (articolo 55, comma 2).

I successivi articoli la Costituzione stabiliscono testualmente che:

"La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è 630, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i 25 anni di età" (articolo 56)".

"Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di 315, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due la Valle d'Aosta uno" (articolo 57). Inoltre "la ripartizione dei seggi tra regioni, si effettua in proporzione alla popolazione delle regioni" (articolo 57).

"I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno" (articolo 58). Questo perché i costituenti vollero dare al Senato quel ruolo di "Camera di riflessione" che deliberi sulle leggi già approvate dalla Camera dei deputati, l'"Assemblea nazionale" italiana. Inoltre, nel Senato siedono anche i senatori a vita, cittadini che, pur non essendo eletti, appartengono alla Camera alta perché ex Presidenti della Repubblica (senatori di diritto) o per altissimi meriti in ambito sociale, scientifico, artistico o letterario. Tali cittadini che non risiedono de jure sono nominati senatori dal Presidente della Repubblica in carica, e non possono essere più di cinque, sebbene esista l'interpretazione dell'articolo 59 per cui il numero di cinque valga per ogni Presidente della Repubblica, interpretazione data da Pertini.[18]. Prevale però la prima interpretazione per cui deve ridursi al minimo il numero di cittadini non eletti appartenenti al Senato in considerazione del ruolo di rappresentanza delle Camere.[senza fonte]

"La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per una durata di 5 anni. La durata del mandato di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra" (articolo 60). Il periodo in cui le Camere restano in carica è chiamato legislatura, e può anche durare meno dei cinque anni previsti, su decisione del Presidente della Repubblica. Al termine della legislatura, lo stesso Capo dello Stato indice le elezioni, che hanno luogo entro settanta giorni, e fissa la data della prima riunione delle Camere; nel periodo tra la scadenza della legislatura e la formazione delle nuove Camere, la prorogatio, sono prorogati i poteri delle Camere precedenti, che però sono assai ridotti, essendo ormai scaduta la funzione rappresentativa del popolo. Si noti che la prorogatio scatta implicitamente e automaticamente il giorno dopo lo scioglimento delle Camere, mentre la proroga deve essere esplicitamente deliberata dalle Camere stesse.

Le Camere, che si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e ottobre (unico rimando nella Costituzione repubblicana alle antiche "Sessioni" del Regno, in periodo statutario), possono riunirsi in via straordinaria.

L'articolo 64 della Carta descrive invece l'ordinario svolgimento dei lavori parlamentari, prevedendo un particolare atto, un "Regolamento parlamentare", uno per ciascuna Camera, e che è adottato a maggioranza assoluta, con quindi più "difficoltà" di una legge ordinaria. Essa, infatti, è adottata a maggioranza semplice (il 50%+1 dei presenti). Le sedute sono pubbliche, e possono essere seguite dai cittadini recandosi direttamente nelle sedi parlamentari in Roma (Montecitorio per la Camera, Palazzo Madama per il Senato), dalla web tv messa on line direttamente dalle Camere, tramite altri mezzi messi a disposizione da privati, o leggendo i resoconti parlamentari pubblicati dalle Camere. Il secondo comma dell'articolo 64 prevede che le Camere o il Parlamento in seduta comune possano deliberare di riunirsi in riunione segreta, ma, in periodo repubblicano, ciò non è mai avvenuto (per risalire a un precedente, bisogna tornare alle sedute della Camera dei deputati del 3 maggio 1866 e del 21 giugno 1917).

Problemi di interpretazione ha invece dato il terzo comma dell'articolo 64, che recita: "Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale", ad esempio nel citato caso dei Regolamenti. La prima parte prevede il "quorum", il numero legale, alla sola presenza del quale l'Assemblea può dire di svolgere una funzione rappresentativa; la seconda invece specifica le modalità di determinazione della maggioranza, il numero minimo di voti che una proposta deve avere per essere approvata: il Regolamento della Camera intende per "presenti" i deputati che hanno votato "sì" o "no" a una proposta messa ai voti, mentre il Regolamento del Senato definisce "presenti" tutti i senatori che prendono parte alla votazione, includendo quindi anche gli astenuti: alla Camera, quindi, il deputato che intende astenersi deve prendere parte alla votazione e dichiarare di astenersi, mentre al Senato il senatore che veramente vuole astenersi deve uscire dall'Aula, o comunque non prendere parte alla votazione, nemmeno dichiarando di astenersi, perché in tal caso innalzerebbe la maggioranza, schierandosi così con i senatori che vogliono bocciare la proposta. Infine, l'ultimo comma di questo articolo dà diritto ai membri del Governo, anche non membri del Parlamento, non solo di assistere alle sedute (diritto che gli spetta in quanto semplice cittadino), ma anche di poter parlare nelle Camere a nome dell'Esecutivo.

L'articolo 65 delega una legge a determinare i casi di ineleggibilità e incompatibilità con l'ufficio di membro del Parlamento (è questo un esempio scolastico di riserva di legge), ma specifica direttamente in Costituzione che nessuno può essere contemporaneamente deputato o senatore.

Dal principio di "autodichia" derivante dalla divisione dei poteri deriva il diritto che spetta alle Camere stesse di giudicare i titoli di ammissibilità dei loro membri. Tale giudizio è discusso da una Giunta ed eventualmente discusso dall'Assemblea plenaria.

"Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato" (articolo 67). Ciò significa che i parlamentari non sono vincolati al partito sotto il cui simbolo sono stati eletti, e paradossalmente possono passare da un estremo all'altro dell'Aula parlamentare: questo perché i cittadini non votano i partiti, ma i cittadini candidati a diventare parlamentari.

L'articolo 68 della Costituzione è invece uno dei più discussi, negli ultimi anni. Esso prevede l'insindacabilità e l'immunità parlamentare: in primo luogo, essi non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, proprio per quel principio di rappresentanza della volontà popolare a essi rimessa. I successivi due commi sanciscono poi che se l'Autorità giudiziaria, nelle modalità previste dalla legge di procedura penale, intende procedere ad atti coercitivi nei confronti dei membri del Parlamento, tale richiesta debba essere approvata dalla Camera cui il parlamentare appartiene. Questo perché in passato era capitato in altri Paesi e in altre epoche - il caso più famoso è quello della Prima rivoluzione inglese - che membri del Parlamento fossero arrestati solo perché non amati dai giudici. I precedenti in cui l'autorizzazione fu concessa sono pochissimi, l'ultimo dei quali si è verificato nella seduta della Camera del 20 luglio 2011 per l'arresto del deputato Alfonso Papa.

L'ultimo articolo della sezione, il 69, prevede l'indennità parlamentare, che non è un semplice "stipendio", come l'ufficio di parlamentare non è un semplice "mestiere": l'indennità è concessa per mettere in atto il diritto di tutti i cittadini a svolgere il mandato parlamentare, perché se l'indennità non esistesse solo chi gode già di un reddito sufficiente potrebbe svolgerlo, mentre chi ha invece bisogno di lavorare per avere uno stipendio non può, se non anche per motivi fisici, svolgere il mandato parlamentare (a titolo esemplificativo, questi soggetti dovrebbero andare a lavorare anziché recarsi alla seduta della Camera).

La formazione delle leggi

dall'articolo 70 all'82

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. In sede abrogativa il popolo sovrano ha a disposizione lo strumento del referendum[19], eccettuate le materie di cui all'articolo 75.

Il Presidente della Repubblica

dall'articolo 83 al 91

Il secondo titolo riguarda le modalità di elezione, i poteri e le responsabilità del capo dello Stato, garante dell'equilibrio dei poteri.

Il Governo

dall'articolo 92 al 100

Il terzo titolo riguarda il potere esecutivo ed è suddiviso in tre sezioni:

Il Consiglio dei ministri

dall'articolo 92 al 96

La pubblica amministrazione

dall'articolo 97 al 98

Gli organi ausiliari

dall'articolo 99 al 100

La magistratura

dall'articolo 101 al 113

Il quarto titolo riguarda il potere giudiziario ed è suddiviso in due sezioni:

Ordinamento giurisdizionale

dall'articolo 101 al 110

Norme sulla giurisdizione

dall'articolo 111 al 113

[20] dall'articolo 114 al 133

Il quinto titolo riguarda le norme relative ai governi locali

Garanzie Costituzionali

dall'articolo 134 al 139

Il sesto titolo riguarda le garanzie poste per preservare la stessa costituzione ed è suddiviso in due sezioni

dall'articolo 134 al 137

La Costituzione si caratterizza per un organo di garanzia esterno all'organo di produzione legislativa e al circuito democratico[21].

Revisione della costituzione e leggi costituzionali

dall'articolo 138 al 139

Secondo la procedura prevista dall'articolo 138 della Costituzione per l'adozione delle leggi di revisione o riforma della Costituzione e per le altre leggi costituzionali sono necessarie due deliberazioni di entrambe le camere ad un intervallo non minore di tre mesi ed a maggioranza qualificata dei componenti di ciascuna di queste nella seconda votazione.

Le modifiche al testo della costituzione non devono comunque compromettere lo spirito repubblicano e gli ideali sui quali essa si fonda. La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale (articolo 139).

La dottrina prevalente ritiene che i principi fondamentali (articolo dall'1 al 12) e quelli ad essi collegati siano una base irrinunciabile per lo spirito repubblicano su cui la Costituzione si fonda. Per questo motivo non possono essere modificati (cfr. Limiti alla revisione costituzionale).

Nel caso in cui la legge costituzionale sia stata approvata con una maggioranza inferiore dei due terzi dei componenti in una o in entrambe le camere, se entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali, la legge è sottoposta a referendum e non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

La maggioranza delle revisioni significative ha riguardato la seconda parte della carta costituzionale.

Cronologia delle leggi costituzionali

Lo stesso argomento in dettaglio: Leggi costituzionali italiane.

Il testo originario della Costituzione, nel corso della storia, ha subito alcune revisioni o emendamenti.

Le leggi di revisione costituzionale sono le seguenti:

Per ciò che concerne le altre leggi costituzionali, un primo insieme riguarda l'approvazione o la modifica degli statuti delle Regioni a statuto speciale, di cui alcuni sono stati approvati nel febbraio 1948 dalla Costituente. Si tratta delle leggi seguenti:

Un ultimo insieme riguarda le leggi che introducono delle norme di natura costituzionale e deroghe a quelle previste dalla costituzione. Tra queste sono incluse le seguenti leggi:

La revisione costituzionale del 2001

Lo stesso argomento in dettaglio: Referendum costituzionale del 2001 in Italia.

Il Parlamento italiano, quasi alla conclusione della XIII Legislatura, ha approvato una rilevante modifica della Costituzione modificando 9 articoli della stessa, tutti contenuti all'interno del Titolo V della Seconda parte, relativo all'ordinamento territoriale italiano. La legge di revisione punta a creare le basi e le condizioni essenziali per una futura trasformazione dell'Italia in una Repubblica federale, in prima istanza rovesciando l'ordine di preminenza nella formazione delle leggi disposto dall'articolo 117: se prima venivano elencate le materie in cui le Regioni avevano potere di legiferare (in via concorrenziale) ed era lasciata allo Stato la competenza su tutto il resto, ora vengono elencate le materie di competenza esclusiva dello Stato, nonché alcune materie di competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, mentre viene lasciata alle Regioni la competenza generale o "residuale" (cosiddetto federalismo legislativo).

Altri effetti della riforma sono:

  • L'ordinamento policentrico della Repubblica italiana (adesso costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato);
  • La prima[24] citazione dell'ordinamento sovranazionale europeo ("comunitario") tra quelli che danno luogo ad obblighi che limitano la discrezionalità legislativa nazionale (sia dello Stato che delle regioni);
  • La "costituzionalizzazione" di Roma capitale della Repubblica;
  • La possibilità di concedere alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta (e previa intesa con lo Stato) forme e condizioni particolari di autonomia (cosiddetto federalismo differenziato, di natura pattizia);
  • L'attribuzione ai Comuni della preminenza nell'azione amministrativa (inserimento in Costituzione dei principi del federalismo amministrativo);
  • L'introduzione dei principi di sussidiarietà verticale tra i vari livelli di governo della Repubblica e di sussidiarietà orizzontale tra gli enti pubblici e i cittadini;
  • L'inserimento dei principi del federalismo fiscale e la previsione di un fondo perequativo per le aree svantaggiate del Paese (eliminando qualsiasi riferimento specifico al Mezzogiorno e alle Isole);
  • L'introduzione del potere di supplenza dello Stato qualora una Regione o un ente locale non svolga le funzioni proprie o attribuite;
  • La previsione dell'inserimento negli Statuti regionali del Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali;
  • La soppressione del controllo preventivo statale sulla legislazione regionale;
  • La possibilità, nelle more dell'istituzione del Senato federale (evento che completerà l'evoluzione in senso federale del Paese), di integrare la Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle Regioni e degli enti locali.

Questa riforma, realizzata dall'Ulivo sulla base di un testo approvato da maggioranza e opposizione nella Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta dall'onorevole D'Alema, non è stata appoggiata dal quorum dei 2/3 del Parlamento: ciò ha permesso l'indizione di un referendum per chiederne all'elettorato l'approvazione o la bocciatura. Attraverso il voto popolare del referendum, svoltosi il 7 ottobre 2001, il 64,20% dei votanti (34,10% di affluenza) ha espresso la volontà di confermare la riforma, entrata poi in vigore l'8 novembre 2001.

Il progetto di revisione costituzionale del 2005/2006

Lo stesso argomento in dettaglio: Devoluzione e Referendum costituzionale del 2006 in Italia.

Il Parlamento italiano aveva approvato, sulla base di quattro saggi elaborati nella località di Lorenzago da esponenti di spicco della maggioranza di governo[25], una rilevante modifica delle disposizioni dell'attuale Costituzione (una cinquantina di articoli furono modificati da tale legge)[26]. Qualora tale riforma fosse entrata in vigore, si sarebbe prospettata la nascita di una Repubblica federale con un esecutivo nettamente più forte. Tra le principali disposizioni di tale (fallita) riforma costituzionale si possono citare in modo non esaustivo le seguenti:

  • Sostituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, adottando la versione del sistema parlamentare detta premierato, con un Primo ministro che verrebbe designato direttamente dagli elettori. I poteri del primo ministro vengono rafforzati, in quanto su sua richiesta il Presidente della repubblica deve sciogliere la Camera dei deputati, a meno che la maggioranza espressa dalle elezioni non indichi un sostituto.
  • Voto di fiducia e sfiducia al Governo espresso dalla sola Camera dei deputati.
  • La sfiducia al governo comporta anche lo scioglimento della camera, a meno che i deputati che hanno votato la fiducia esprimano un nuovo primo ministro (non è possibile che il nuovo governo sia sostenuto da una maggioranza diversa dal precedente).
  • Riduzione delle funzioni del Presidente della Repubblica[27]: deve nominare Primo Ministro chi risulti candidato a tale carica dalla maggioranza uscita dalle elezioni, senza più la (peraltro formale) libertà di scelta contemplata dall'articolo 92 della costituzione; può sciogliere la Camera dei deputati solo su richiesta del Primo Ministro, in caso di morte, impedimento permanente o dimissioni dello stesso, se la Camera dei deputati ha approvato una mozione di sfiducia al Primo Ministro senza che la maggioranza risultante dalle elezioni ne abbia espresso uno nuovo, oppure se il voto di sfiducia sia stato respinto col voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni. L'età minima per essere eletto alla carica di Presidente scende da 50 a 40 anni.
  • Trasformazione del Senato in Senato federale della Repubblica teso a rappresentare gli interessi del territorio e delle comunità locali. I senatori saranno eletti fra i residenti sul territorio regionale e già rappresentanti del popolo in enti territoriali.
  • Istituzione di un sistema monocamerale per il voto delle leggi: in funzione delle materie, sia il Senato federale, sia la Camera, possono approvare una legge, senza che sia necessario (salvo eccezioni) un completo iter tra le due camere.
  • Numero ridotto di parlamentari (500 deputati + 18 deputati per gli italiani all'estero + fino a 3 eventuali deputati a vita; 252 senatori federali).
  • Ruolo più specifico all'opposizione (alla Camera) e alle minoranze (al Senato federale).
  • Alcune competenze, assegnate dalla riforma del 2001 alla legislazione concorrente (in cui la facoltà legislativa spetta alle regioni, salvo la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione statale) tornano di esclusiva competenza statale[28].

Esse sono:

  • la sicurezza del lavoro
    • le norme generali sulla tutela della salute
    • le grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza
    • l'ordinamento della comunicazione (rimangono ambito della legislazione concorrente la "comunicazione di interesse regionale, ivi compresa l'emittenza in ambito regionale" e la "promozione in ambito regionale dello sviluppo delle comunicazioni elettroniche")
    • l'ordinamento delle professioni intellettuali
    • l'ordinamento sportivo nazionale (rimane alla legislazione concorrente l'ordinamento sportivo regionale)
    • la produzione strategica, il trasporto e la distribuzione nazionali dell'energia (alla legislazione concorrente rimane la produzione, trasporto e distribuzione dell'energia di rilevanza non nazionale).
  • Passano alla competenza esclusiva delle regioni alcune materie prima incluse nella legislazione concorrente:
    • assistenza e organizzazione sanitaria;
    • organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche;
    • definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione;
    • polizia amministrativa regionale (la polizia amministrativa locale già rientrava nelle competenze esclusive regionali);
  • Reintroduzione dell'interesse nazionale come limite della legislazione regionale.
  • Protezione costituzionale delle Autorità indipendenti.
  • Modifica della composizione della Corte costituzionale con aumento dei membri di nomina parlamentare.
  • I "membri laici" del Consiglio Superiore della Magistratura non sono più scelti dal Parlamento in seduta comune, ma per metà da ciascuna camera, sempre tra i professori universitari ordinari di materie giuridiche e gli avvocati con quindici anni di esercizio della professione.
  • Modifica delle possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale, con attribuzione della possibilità di ricorso anche alle Province, alle Città Metropolitane e ai Comuni.
  • Possibilità di referendum consultivo su tutte le riforme della costituzione e sulle leggi costituzionali, anche approvate in seconda lettura a maggioranza dei due terzi.

Tale riforma, realizzata dalla Casa delle Libertà, ha suscitato vivaci discussioni, sia nel mondo politico, sia nella società civile, dando vita ad un dibattito acceso, soprattutto in funzione del referendum confermativo di tale riforma.

La legge era stata approvata a maggioranza assoluta e, successivamente, è stato richiesto un referendum confermativo da tutti e tre i diversi soggetti abilitati a farlo (almeno un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori, cinque consigli regionali) per chiedere all'elettorato la conferma o il rigetto di tale riforma. Attraverso il voto popolare del referendum, svoltosi il 25-26 giugno 2006, il 61,70% dei votanti (53,70% di affluenza) ha espresso la volontà di impedire l'entrata in vigore della riforma, votando no.

L'analisi del voto ha evidenziato come in Italia il abbia prevalso solo tra gli elettori di Lombardia e Veneto, mentre i voti all'estero hanno visto il prevalere del in tutte le circoscrizioni, eccetto che tra gli Italiani residenti in Europa.

La revisione costituzionale del 2012 sul pareggio di bilancio

La legge costituzionale 20 aprile 2012 n. 1 ha introdotto nella nostra Costituzione il principio del pareggio di bilancio. La riforma ha prodotto i suoi effetti a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014.

Non si è fatto ricorso al referendum confermativo, previsto dall'art. 138 della Costituzione, in quanto in seconda lettura sia alla Camera dei Deputati sia al Senato della Repubblica è stata raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti.

La modifica più rilevante si riscontra nella nuova formulazione dell'art. 81: “Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale”.

Soltanto “al verificarsi di eventi eccezionali” cioè “gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali” e soltanto previa autorizzazione delle Camere a maggioranza assoluta è possibile il ricorso all'indebitamento.

L'obbligo di decisione a maggioranza assoluta sottrae la disponibilità del ricorso all'indebitamento come fondamentale strumento di politica economica a qualunque maggioranza politica, a qualunque governo, richiedendo il necessario coinvolgimento di parte delle opposizioni anche solo per sfruttare gli effetti di una congiuntura economica particolarmente favorevole. La riforma costituzionale rafforza la centralità dello Stato nel sistema di finanza pubblica riducendo l'ambito di autonomia delle Regioni e degli Enti Locali oggi prevista dal Titolo V della Costituzione.

Le Regioni non potranno più facilmente ricorrere alla Corte Costituzionale per vedere tutelata la propria autonomia finanziaria rispetto alle disposizioni anche di dettaglio previste dalle norme statali[29].

Note

  1. ^ Presidenza della Repubblica, su quirinale.it, www.quirinale.it. URL consultato il 19 ottobre 2011.
  2. ^ Costituzione siciliana del 1812
  3. ^ Dal 2% al 7% con la legge del 22 gennaio 1882, n. 999, quindi 23% della popolazione e prima introduzione del suffragio universale maschile con la legge del 30 giugno 1912 n. 666, e, infine, ai maggiori di 21 anni o chi avesse adempiuto al servizio militare, alla fine della prima guerra mondiale, con la legge 16 dicembre 1918, n. 1985.
  4. ^ Decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151 - Assemblea per la nuova costituzione dello Stato, giuramento dei membri del governo e facoltà del governo di emanare norme giuridiche, emanato dal governo Bonomi (2°).
  5. ^ D.L.L. 2 febbraio 1945, n. 23 - Estensione alle donne del diritto di voto, emanato dal governo Bonomi (3°).
  6. ^ D.L.L. 16 marzo 1946, n. 98 - Integrazioni e modifiche al decreto-legge luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151 relativo all'Assemblea per la nuova Costituzione dello Stato, al giuramento dei membri del governo ed alla facoltà del governo di emanare norme giuridiche, emanato dal governo De Gasperi (1°).
  7. ^ Con l'esclusione della provincia di Bolzano e della circoscrizione elettorale Trieste-Venezia Giulia-Zara, facendo venire meno 17 deputati dei 573 previsti.
  8. ^ Il Referendum Istituzionale Monarchia-Repubblica del 2 giugno 1946, su monarchia.it, Unione Monarchica Italiana. URL consultato il 2 novembre 2007.
  9. ^ Intervista televisiva – Video de La Storia siamo noi
  10. ^ Ordine del giorno Perassi.
  11. ^ Il preambolo che non c'è
  12. ^ I preamboli delle Costituzioni
  13. ^ Bortolani, p. 5
  14. ^ Sentenza n. 203 del 1989 della Corte costituzionale.
  15. ^ Illari, Silvia, La Costituzione italiana tra enunciazioni dei diritti di libertà e la previsione di un ordinamento sovranazionale europeo : un'introduzione, Politico : rivista italiana di scienze politiche : LXXIV, 3, 2009, Soveria Mannelli (Catanzaro) : Rubbettino, 2009.
  16. ^ Istituzione Del Patrocinio A Spese Dello Stato Per I Non Abbienti
  17. ^ per consultare uno studio semplice vedi
  18. ^ a b Bortolani, p. 11
  19. ^ Il referendum tra società civile e istituzioni, in Il Parlamento, 1990.
  20. ^ La grafia antiquata provincie è utilizzata nel testo originario della Costituzione
  21. ^ Fulco Lanchester LA COSTITUZIONE DEL 1948 E L'ORGANO DI GARANZIA ESTERNO, IL POLITICO (Univ. Pavia, Italy), 2009, anno LXXIV, n. 3, pp. 51-66.
  22. ^ Bortolani, p. 18
  23. ^ Sulla procedura di sua approvazione, secondo Pio Marconi, Una riforma da ritoccare, Avantionline, 20 aprile 2005 "in un momento cruciale della recente storia repubblicana per giungere a una modifica della Costituzione si scelse di disapplicare il regolamento del 1971. Era il 1993 e si dovevano superare regole di immunità parlamentare considerate inattuali per l'irruzione di eventi traumatici"; opposta la ricostruzione di Luigi Compagna, Intervento alla presentazione di Campo Marzio dell'8 giugno 2015, p. 20, secondo cui "il Senato - che aveva votato un proprio testo (l'emendamento Maccanico, che non fu votato solo da una parte, ..., non dal quadripartito degli inquisiti, era il nostro nom de plume: lo votò appunto Maccanico, Giovanni Pellegrino ...., ed altri sei o sette), un testo che, alla Camera, non viene mai messo in votazione: il Senato vota su un testo che viene dalla riunione dell'Ufficio di Presidenza".
  24. ^ In sede di Commissione per la Costituente, si scelse di omettere, nella formulazione dell'art. 11, ogni esplicito riferimento all'unità europea, come invece avevano chiesto gli onorevoli Bastianetto e Lussu: v. Lorenza Carlassare, L'art. 11 Cost. nella visione dei costituenti, in Costituzionalismo.it, 1, 2013.
  25. ^ Carlo Fusaro, PER UNA STORIA DELLE RIFORME ISTITUZIONALI (1948-2015), Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, fasc.2, 2015, pag. 431.
  26. ^ Testo di legge costituzionale approvato in seconda deliberazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi, pubblicato nella GU n. 269 del 18 novembre 2005. Indetto referendum popolare: GU n. 100 del 2 maggio 2006.
  27. ^ Giampiero Buonomo, La figura del Presidente della Repubblica nel d.d.l. costituzionale, in Nuova Rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 1º gennaio 2004.
  28. ^ Perrone Leonardo, La sovranità impositiva tra autonomia e federalismo, Riv. dir. trib. 2004, pag. 1173, fasc. 11.
  29. ^ Carlo Rapicavoli, La riforma costituzionale sul pareggio di bilancio, su filodiritto.com, 2012

Bibliografia

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