Giovanni Randaccio

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Giovanni Randaccio
Giovanni Randaccio in uniforme da capitano di fanteria
NascitaTorino, 1º luglio 1884
MorteSan Giovanni al Timavo, 28 maggio 1917
Cause della mortemorto in azione
Luogo di sepolturaCimitero degli eroi Aquileia
Dati militari
Paese servitoItalia (bandiera) Italia
Forza armataRegio Esercito
ArmaEsercito
CorpoFanteria
UnitàBrigata Toscana
RepartoII Battaglione
77º Reggimento
GradoMaggiore
GuerrePrima guerra mondiale
BattaglieOttava battaglia dell'Isonzo
Nona battaglia dell'Isonzo
Decima battaglia dell'Isonzo
DecorazioniMedaglia d'oro al valor militare
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Giovanni Randaccio (Torino, 1º luglio 1883San Giovanni al Timavo, 28 maggio 1917) è stato un militare italiano.

Nato a Torino il 1º luglio 1883 da padre di origini sarde e madre vercellese, studia a Vercelli e intraprende la carriera militare ottenendo l'ammissione presso la Scuola Militare di Modena; nel 1905 è assegnato al 64º Reggimento di Fanteria della Brigata Cagliari col grado di Sottotenente. Nel 1908 è promosso Tenente e partecipa alla campagna di Libia; nel 1913 ottiene il brevetto di volo ma sceglie di rimanere in Fanteria.

Il 24 dicembre 1914 è iniziato in Massoneria nella Loggia Vomere di Napoli[1].

La dichiarazione di guerra lo vede al comando di una compagnia del 63º Reggimento (Brigata Cagliari), col grado di capitano; nei primi giorni del luglio 1915 (Prima Battaglia dell'Isonzo) ottiene la sua prima medaglia d'argento sul monte Sei Busi (Carso monfalconese); il 21 ottobre 1915 (Terza Battaglia dell'Isonzo) è decorato della seconda medaglia d'argento per azioni sulle alture di Polazzo (Carso di Doberdò). Ferito gravemente viene dichiarato inabile ma ottiene di tornare in linea, stavolta con le mostrine della Brigata Toscana, 77º Reggimento (presso il quale presta servizio anche il tenente Gabriele D'Annunzio, nel ruolo di ufficiale di collegamento con il comando della 45ª Divisione); il 1º novembre 1916, durante la Nona Battaglia dell'Isonzo, al comando del II/77 conquista il Veliki Hrib (q. 343) e di seguito il Dosso Faiti (q. 434, Carso di Comeno), ottenendo la sua terza medaglia d'argento e la promozione a Maggiore per meriti di guerra (nella medesima circostanza il tenente D'Annunzio è promosso capitano, N.d.R.).

D'Annunzio, al comando di Randaccio, partecipa quindi all'Ottava e alla Nona battaglia dell'Isonzo, e tra i due si instaura una profonda amicizia, frutto della reciproca ammirazione.

Negli ultimi giorni di maggio del 1917, nel corso dei combattimenti conclusivi della Decima battaglia dell'Isonzo, il 77º Reggimento Fanteria si trova ad avanzare presso le foci del Timavo.

Il 27 maggio, il Maggiore Randaccio viene incaricato di comandare un arrischiato attacco alla Quota 28 (Bràtina), posta oltre il breve corso del Timavo sulla direttrice di Duino. La quota viene raggiunta ma i battaglioni spintisi oltre il fiume (I/77 e I/149) si trovano isolati a causa del cedimento della passerella galleggiante sulla quale avevano attraversato il corso d'acqua, venendo in breve circondati e costretti ad arrendersi. In circostanze controverse il Randaccio viene colpito da una raffica di mitragliatrice; trasportato presso la sezione di sanità, spira poco dopo. [Nota: la data di morte incisa sulla grande stele commemorativa eretta in sua memoria, sulla targa ricordo presso la struttura sanitaria di Monfalcone dove si spense (oggi conservata presso la scuola Duca d'Aosta di Monfalcone) e sulla tomba nel cimitero militare di Aquileia ove riposa è "27 maggio 1917"; l'azione bellica che portò al ferimento del maggiore - secondo la relazione dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore - risulta però iniziata "la notte sul 28" e la quota 28 risulta raggiunta all'alba del giorno seguente (28 maggio); l'atto di conferimento della Medaglia d'Oro alla memoria è datato 28 maggio 1917; Angelo Gatti autore del libro "Caporetto" (vedi bibliografia) data addirittura 29 maggio la diserzione in massa del I/149° additata all'epoca come principale causa del fallimento dell'azione: scrive il Gatti :"...omissis... Circa 800 uomini della brigata Puglie (si tratta della brigata Trapani, N.d.R.), che avevano occupato la quota 28 ad est della foce del Timavo, sono passati ieri, 29, al nemico armi e bagaglio. Con gli ufficiali? Pare, con gli ufficiali. ...omissis...". Su tale specifico episodio gli autori del libro "Flondar 1917" (vedi bibliografia) - al capitolo dal titolo "I veleni di quota 28" - propongono inedite testimonianze di ufficiali rientrati dalla prigionia (deposizioni rese alla "Regia Commissione interrogatrice dei prigionieri rimpatriati" oggi conservate presso l'AUSSME - Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito) che contribuiscono a portare l'evento nel contesto di una sconfitta militare piuttosto che di un gesto collettivo di codardia: sostengono i protagonisti che i reparti attraversarono il Timavo la notte tra il 27 e 28 maggio su un'unica inconsistente passerella (lo schizzo della "passerella su botti" progettata dal Genio divisionale per il passaggio del Timavo è pubblicato sul libro "I tracciati delle trincee sul fronte dell'Isonzo" citato in bibliografia, pag. 69) la quale fu divelta dal fiume poco dopo il loro passaggio, lasciandoli isolati dalle proprie linee; raggiunsero quota 28 ma furono contrattaccati e circondati da forze austriache - affluite rapidamente da Duino aggirando l'ala sinistra del nostro schieramento - senza possibilità di ricevere rinforzi né di ritirarsi. Alcuni soldati issarono bandiera bianca ma la maggior parte si arrese per esaurimento delle munizioni o per l'inutilità di continuare la lotta in una situazione tattica insostenibile: testimonianza del tenente Silvio Sivestri aggregato alla 3ª compagnia del I/149°: "..omissis... Talché la resistenza dei nostri, ridotti a ben pochi, si faceva a mano a mano più debole. Tentammo, per non essere sopraffatti, di ripiegare, ma, sia per la pressione crescente dell'avversario, sia perché il fiume era già privo di passerella, nell'impossibilità ormai di resistere, piuttosto che soccombere inutilmente, il sottoscritto assieme a circa una quarantina di uomini propri e di altri reparti, si arresero"]. La Relazione Ufficiale Austriaca alla data del 28 maggio 1917 annota la cattura di circa 800 prigionieri nel settore di San Giovanni di Duino da parte del IV battaglione Schützen volontari di Maribor.

La stele al maggiore Randaccio a San Giovanni di Duino

Il suo corpo viene avvolto da Gabriele D'Annunzio, che aveva concepito e voluto l'azione[2] [Nota: il D'Annunzio ricopriva il ruolo di ufficiale di collegamento tra il 77º Reggimento e la 45ª Divisione, col grado di Capitano; gli attacchi alla quota 28 del 27 e 28 maggio si inquadrano invece nella fase finale della Decima Battaglia dell'Isonzo, combattuta sul Carso dal 23 al 28 di quel mese di maggio; più precisamente nella fase di rettifica e di allargamento di posizioni raggiunte, che negli intendimenti del Comando Supremo - sospese che furono le operazioni in grande stile - avrebbe dovuto portare le fanterie della 3ª Armata sulla linea: Est di Comarie - quota 146 di Flondar - quota 175 (ovest di Medeazza) - S.Giovanni di Duino - Fabbrica - insenatura ad ovest di quota 24 (tratto dall'articolo del colonnello Abramo Schmid dal titolo "La mancata conquista di quota 28 del Timavo nel 1917" pubblicato dalla rivista "Bisiacaria").

Gli autori del libro "Flondar 1917" sostengono però che il D'Annunzio il giorno 27 maggio abbia effettivamente avuto un colloquio con il Comandante della III Armata, presente il Capo di Stato Maggiore Gen. Vanzo (il quale però nel suo libro citato in bibliografia non fa cenno al colloquio), per perorare il proseguimento dello sforzo offensivo verso il castello di Duino; l'opportunità venne evidentemente concessa - sia pure a livello di unità minori - in discrepanza alle disposizioni del Comando Supremo e nonostante lo scetticismo dei Comandanti di linea - incluso il Randaccio al quale era stato affidato il comando dell'operazione - che accusarono tra l'altro D'Annunzio di non essersi mai recato in riva al Timavo (testimonianza del capitano Francesco Corbi, comandante del 1/149°, ferito due volte nel corso dell'azione e sopravvissuto alla prigionia, tratta dal libro "Flondar 1917": "Fo notare però che il capitano D'Annunzio non essendosi mai avvicinato alle sponde del Timavo non aveva un'idea chiara dell'operazione che si doveva compiere, né per conseguenza poteva riferire al Comando di Divisione le difficoltà' che dovevano superarsi per impadronirsi di q.28 con operazione relativamente isolata e mantenervisi, in considerazione anche dei mezzi deficienti che si avevano a disposizione per passare un fiume largo e impetuoso quale il Timavo": il capitano Corbi vide più lontano di vati e principi, ma fu ignorato). Dario Marini, all'interno delle sue pubblicazioni citate in bibliografia, si sofferma in modo esteso sull'attacco alla quota 28 con toni molto critici verso un'azione che appare essere stata pianificata senza ponderare adeguatamente né l'ostacolo naturale costituito dal Timavo né la forza del dispositivo avversario.

Il Duca d'Aosta, Comandante della III Armata, fu probabilmente lusingato dal velleitario progetto dannunziano di issare una grande bandiera italiana sul castello di Duino visibile da Trieste (trascurando il fatto che fra il Timavo ed il castello di Duino corresse nientemeno che la linea di resistenza austriaca 2a). Una conferma al fatto che da Trieste si osservasse effettivamente il castello di Duino per capire l'andamento della guerra e delle battaglie carsiche di cui in città giungeva nitidamente l'eco si trova nel diario di guerra "Attendiamo le navi" della scrittrice triestina Carmela Timeus: scrive l'autrice alla data del 15 agosto 1915: "Affermano che la bandiera italiana sventola su Duino; sul castello però non c'è: con i cannocchiali si vede ancora l'asta giallo-nera. Gli "shrappnels" cadono molto a ovest di Duino...omissis..."; e alla data del 25 maggio 1917: "Il fuoco a uragano continua ancora incessantemente. Si vedono le nuvolette di fumo sopra l'Ermada e sui monti sopra Miramare...omissis...Un signore afferma di aver veduto da Opicina il tricolore italiano su Sistiana.

Ci sembra assai difficile: noi vediamo cader le granate su Sistiana, ma riteniamo impossibile ch'essa possa essere occupata se l'Ermada è ancora in mano austriaca. E poi si dovrebbe vedere la bandiera tricolore su Duino, dove l'asta è sempre giallo-nera... omissis..."] in una bandiera tricolore, (Nota: scrive il D'Annunzio nel suo "Per l'Italia degli Italiani" : "...omissis... Avevi sotto il capo la mia bandiera, la vasta, quella che io volevo issare a fortuna su la torre di Duino ancora in piedi e poi su la torre di Miramar e infine in San Giusto...") la quale verrà in seguito utilizzata come simbolo nel corso della spedizione di Fiume, ed è oggi conservata presso il Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera.

Azione dell'Artiglieria

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Nel contesto dell'attacco a quota 28, l'Artiglieria è ricordata esclusivamente per l'ordine che Luccio Formisano, comandante del II/77° (*vedi nota qui di seguito) e autore del libro citato in bibliografia, sostiene essere stato impartito dal D'Annunzio di sparare contro i nostri soldati, intrappolati irrimediabilmente in una sacca oltre il Timavo ma rei di non comportarsi secondo copione... {*nota: il ruolo di comandante del II° battaglione del 77º Rgt. viene attribuito a Luccio Formisano da Abramo Schmid, autore della pubblicazione citata in bibliografia, ma non trova riscontro nella storia della Brigata - dettagliata ma non ufficiale - consultabile in rete (sito "www.frontedelpiave.info"): secondo tale fonte nel maggio 1917 al comando del I/77° figurava il capitano Emilio Amerio [storia nella storia: il capitano Amerio si ferì gravemente all'alba del 28 maggio su quota 28 in un maldestro tentativo di suicidio "per non cadere vivo nelle mani dei barbari", parole di Luccio Formisano; ironia della sorte furono proprio i barbari a trovarlo ancora in vita, ad assisterlo ed a salvarlo (si trattava di volontari di Maribor, oggi in Slovenia); fu in seguito rimpatriato via Svizzera grazie ad iniziative umanitarie e si spense in un ospedale di Milano il 15.10.1918)]; al comando del II/77° figurava lo stesso Giovanni Randaccio; al comando del III/77° il Ten.Col. Pietro Dotta; un capitano Formisano - ma di nome Raffaele - risulta al comando del I/77° dall'aprile 1918 fino alla fine della guerra; ricerche sommarie sul passato militare di "Luccio Formisano" non portano ad alcun esito, per cui è probabile si tratti di uno pseudonimo (quasi sicuramente un alias del Formisano cap. Raffaele, N.d.R.)}. Scrive il Formisano nel suo libretto :"Frattanto il capitano D'Annunzio, avvertito dell'infamia che accade alle spalle dei Lupi, fa aprire il fuoco sui fanti traditori del 149º Reggimento..."

Non esistono riscontri ufficiali a tale ordine né conferme da altre fonti, per cui è inevitabile pensare ad una sorta di "licenza poetica" postbellica [arduo credere che un ufficiale inferiore - per quanto popolare e per quanto stizzito per il fallimento della "sua" offensiva - d'iniziativa abbia dato l'ordine di sparare sui nostri uomini anziché contro le mitragliatrici avversarie "dal tiro efficacissimo" (testuale nella narrazione della Relazione Ufficiale Italiana citata in bibliografia) che li stavano massacrando da posizioni sopraelevate: si sarebbe trattato di un'iniziativa da Tribunale Militare, come il regista Stanley Kubrick nel suo film "Orizzonti di gloria" - tratto dall'omonimo romanzo di Humphrey Cobb - magistralmente descrive, N.d.R.].

A parte l'episodio menzionato, sulla cui fondatezza non esistono conferme, è incontestabile che nessuna fonte citi interventi dell'artiglieria italiana nell'azione di quota 28, né ad interdizione dell'afflusso delle riserve austriache da Duino (afflusso che pure era visto dai nostri osservatori: scrive infatti il Formisano :" ...Da Duino continuano a sfilare catene e gruppi di uomini che, dispostisi a semicerchio, vengono, piano piano, serrando gli assalitori in una morsa di ferro e di fuoco...") né a soppressione dei nidi delle mitragliatrici (una delle quali colpi' quasi certamente il Randaccio, N.d.R.) che tiravano dal terrapieno della ferrovia e dai declivi sovrastanti la quota: appare probabile che il supporto di fuoco predisposto in appoggio alla fanteria fosse inadeguato e che i reparti spintisi oltre il Timavo fossero isolati anche dal punto di vista delle comunicazioni.

Il Randaccio si spense nella "Scuola Popolare" di Monfalcone, sede dell'ospedale da campo 0.57 (dall'articolo di Abramo Schmid citato in bibliografia) ma le circostanze del suo fatale ferimento presentano versioni contrastanti: l'Ufficio Storico del R.Esercito lo descrive impegnato assieme ai Battaglioni sulla quota 28 e colpito sulla sponda sinistra del Timavo (... ma è lecito chiedersi come e da chi sia stato riportato il Maggiore - gravemente ferito - tra le nostre linee, con la passerella asportata ed il fiume esposto alla vista e al tiro avversari...: la domanda e' retorica, trovare una risposta e' vano); il capitano Guido Agosti (vedi bibliografia) nella sua prosa enfatica lo descrive osservare la battaglia dalla riva destra del Timavo e lanciarsi sulla passerella alla vista del crollo fulmineo, rimanendo colpito (ma anche questa versione cozza contro le testimonianze sulla passerella già travolta dalle acque); Luccio Formisano scrive: "Egli non vede quanto accade. Sta in piedi, come sempre veste la solita uniforme elegante...Una malvagia mitragliatrice lo prende di mira...Il suo fido Geromel, sottufficiale addetto al Comando del Battaglione, fa appena in tempo a riceverlo esanime tra le braccia per trasportarlo nella caverna di quota 12" [vedi bibliografia; la prima parte del testo appare di enigmatica interpretazione ma il seguito consente quantomeno di escludere che il Maggiore si trovasse oltre il Timavo]; il D'Annunzio nell'elogio funebre pronunciato a Monfalcone e ripreso dal Corriere della Sera del 7 giugno 1917 così descrive l'epilogo: "Il Maggiore aveva lasciato il suo posto di osservazione in prossimità del Timavo e veniva verso la sconquassata passerella del Locavaz (o Lokavac, affluente destro del Timavo): probabilmente riconosciuto come ufficiale...fu investito da una raffica di mitraglia"; il tenente Valentino Guerin nel biglietto ad Enrico Morali del 12 giugno 1917 (pag. 139 del libro citato in bibliografia) scrive: "Il nostro povero Maggiore è caduto il 28 sul Locavaz (passerella) mentre durava l'attacco oltre il Timavo".

Appare quindi plausibile, ben al di fuori dall'iconografia ufficiale, che il Randaccio non sia stato ferito né su quota 28 né sulle rive del Timavo né tra gli assaltatori bensì nelle immediate retrovie del fronte, sul Locavaz, a circa 600 metri dalla zona dei combattimenti, colpito da mitraglieri austriaci con tiro di secondo arco: a conferma la posizione originaria della stele commemorativa eretta dai compagni d'arme in sua memoria nel 1919 nel punto dove cadde, sulla sponda destra del Locavaz a fianco della passerella fra quota 12 e S.Giovanni di Duino. La stele è oggi visibile a S.Giovanni di Duino lungo la SS 14, sotto il monumento ai Lupi di Toscana, dove fu traslata in seguito all'industrializzazione del comprensorio del Lisert [nota: Dario Marini nelle pubblicazioni citate sostiene che la lapide sia stata traslata nella posizione attuale fin dal 1932, in concomitanza con l'inaugurazione del nuovo tracciato della SS 14; ma la tavoletta "Duino" dell'Istituto Geografico Militare aggiornata al 1949 riporta il "Cippo Randaccio" ancora nella sua posizione originaria, sulla riva destra del Locavaz. Una spiegazione alla questione si trova nel libro "I tracciati delle trincee sul fronte dell'Isonzo" citato in bibliografia: alla pagina 101 gli Autori sostengono che nel 1932 il cippo sia stato effettivamente spostato dalla posizione originaria, ma solo di qualche decina di metri verso occidente; la rievocazione di una cerimonia ufficiale avvenuta nel 1938 conferma che il cippo presso il quale fu reso omaggio al Randaccio si trovava ancora "in faccia al Timavo"; gli Autori non chiariscono quando sia avvenuta la traslazione dalla riva destra del Locavaz alla sistemazione attuale, ma si puo' presumere che cio' sia avvenuto dopo il 1954, ossia dopo il ritorno della "Zona A" all'Italia; alla pagina 103 della medesima pubblicazione si trova un'esaustiva pianta topografica del campo di battaglia, con la posizione esatta della passerella nei pressi della quale fu colpito il maggiore Randaccio e del cippo eretto in sua memoria. Oggi il corso del Locavaz e' colonizzato dalla nautica da diporto, dove si ergeva il "Cippo Randaccio" si erge un tavolo da picnic ed il profilo scuro di quota 28 si staglia appena dietro una selva di alberature di imbarcazioni a vela].

Giovanni Randaccio fu poi sepolto nel Cimitero degli Eroi di Aquileia, dietro alla basilica, ove riposa tuttora.

Alla sua memoria venne conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare. [Nota: la motivazione della medaglia d'oro ricalca la versione della storiografia ufficiale in palese contrasto con le testimonianze oculari di chi c'era, tra cui personaggi del calibro di D'Annunzio: con ciò offrendo lo spunto per riflessioni delicate.

(Paolo Mieli nel suo saggio "Le verità nascoste" citato in bibliografia sostiene che la genesi delle verità nascoste si trovi sovente nell'inserimento, all'interno della narrazione storica, di versioni diverse da quelle - incontrovertibili - delle testimonianze oculari; con la scomparsa dei testimoni diretti, le versioni artatamente manipolate degli eventi cristallizzano in "verità nascoste" sulle quali diventa compito degli storici far luce, proponendone un'interpretazione o cercando di scoprirne le motivazioni recondite, N.d.R.)]; Dario Marini nei suoi testi citati ventila analoghe perplessità circa il conferimento al Randaccio della massima onorificenza militare. È interessante rilevare che per l'azione su quota 28 anche il capitano D'Annunzio - per inciso pure lui iscritto alla massoneria - fu insignito di medaglia d'argento al valor militare con la seguente motivazione:"... omissis... in aspro combattimento terrestre sul Timavo superato, fu per il suo ardimento di meraviglia agli stessi valorosi": ma i suoi stessi scritti riportati in bibliografia, incluso il suo articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 7 giugno 1917, testimoniano che il personaggio, nel suo ruolo di ufficiale di collegamento, non attraverso' mai il Timavo né si trovò direttamente coinvolto in alcun combattimento terrestre nel corso dell'azione......

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Manteneva sempre vivo nel suo battaglione quello spirito aggressivo col quale lo aveva guidato alla conquista di importanti posizioni nemiche. Attaccava quota 28, a sud del Timavo, con impareggiabile energia, e nonostante le gravi difficoltà, l’occupava. Subito dopo, colpito a morte da una raffica di mitraglia, non emise un solo gemito, serbando il viso fermo e l’occhio asciutto, finché fu portato alla sezione di sanità, dove soccombette, mantenendo, anche di fronte alla morte, quell’eroico contegno che tanto ascendente gli dava sulle dipendenti truppe quando le guidava all’attacco.»
— Fonti del Timavo, Quota 28, 28 maggio 1917[3]

Bollettino di Guerra

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Nel bollettino di guerra emesso dal Comando Supremo relativo agli eventi del 28 maggio 1917 (pubblicato dalla stampa il giorno 29 maggio 1917) la quota 28 non viene citata (tale precisazione è dovuta al fatto che in rete circolano versioni artefatte di questo Bollettino, N.d.R.)

Relazioni Ufficiali

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Estratto della Relazione Ufficiale italiana, Volume IV, Tomo I (narrazione), pag 285 (vedi bibliografia)

"...omissis... Frattanto all'estrema destra della 45ª Div. nella notte sul 28, il I/149°, passato il Timavo su una passerella di circostanza, era riuscito verso l'alba a raggiungere la q.28, verso la quale accorrevano poco dopo anche reparti del I/77°. Il nemico, riavutosi dall'irruenza dell'assalto, contrattacco' sul fianco sinistro del I/149° con furioso lancio di bombe a mano, appoggiato dal tiro efficacissimo di alcune mitragliatrici ben appostate e mascherate: il I/149° fu dapprima arrestato, ed in seguito respinto, unitamente ai reparti del I/77° accorsi a sostegno. Le nostre perdite furono gravi e pochi superstiti riuscirono a ripassare il Timavo, sulle rive del quale trovò morte gloriosa l'eroico magg. Randaccio [nota: secondo Dario Marini (vedi bibliografia) si tratta dell'unico combattente citato per nome nella Relazione Ufficiale sulla guerra 1915/1918]. ...omissis...".

Estratto della Relazione Ufficiale austriaca, Vol. 6, pag 205 della versione tradotta in lingua inglese (vedi bibliografia)

...omissis... In the morning of 28 May, while the bells of Pentecost rang out in the distance, fighting flared up once more in the Karst area ...omissis... Reserves were brought up in expectation of an attack. But there were only some isolated local thrusts, such as an assault toward San Giovanni by about three battalions. Here the enemy was quickly striken by artillery and defeated by Vol Rif Bn Marburg IV (Volontari dello Schützenbataillon Maribor IV, N.d.R.). They lost more than 800 prisoners. Than at noon quiet descended once more on the entire Karst front. ...omissis...".

L'undicesima galleria della strada delle 52 gallerie del Monte Pasubio, scavate in occasione dei combattimenti della prima guerra mondiale, porta il suo nome.

I Comuni di Torino, città natale, Vercelli, Milano, Padova, Verona, Pisa, Livorno, Vicenza e Brescia gli hanno intitolato ciascuno una via. A Brescia, inoltre, gli è stata intitolata una caserma (oggi in disuso) prima sede del 77º Reggimento Lupi di Toscana e, dopo la seconda guerra mondiale, di alcuni reparti della Brigata Meccanizzata "Brescia".

  1. ^ Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, 2005, p. 231.
  2. ^ Mark Thompson, La guerra bianca - Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919, 2008, pp. 271-272
  3. ^ Motivazione della M.O.V.M. dal sito quirinale.it, su quirinale.it. URL consultato il 12 aprile 2010.
  • Comando del Corpo di Stato Maggiore, Riassunti storici dei corpi e comandi nella guerra 1915-1918 – Fanteria - Vol.2, Roma, Edizioni Ufficio Storico, 1928.
  • Ministero della Guerra - Comando del Corpo di Stato Maggiore, ufficio storico, "L'Esercito Italiano nella Grande Guerra", Vol. IV Tomo I, Le Operazioni del 1917 (da gennaio a maggio), Roma, 1940
  • Österreich-Ungarns Letzter Krieg 1914-1918 (versione inglese tradotta da Hanna Stan), Vienna, 1930
  • Saverio Laredo de Mendoza, Gabriele D'Annunzio fante del Veliki e del Faiti, Milano, Impresa Editoriale Italiana, 1932.
  • Gruppo Medaglie d'Oro al valor militare d'Italia, Le Medaglie d'Oro al valor militare, Roma, 1965.
  • Enrico Morali, "In guerra coi Lupi di Toscana", Itinera Progetti, Bassano del Grappa (VI), 2010.
  • Abramo Schmid, "La mancata conquista di Quota 28 del Timavo nel 1917", articolo inserito nella pubblicazione "Bisiacaria" del 1991.
  • Mitja Juren, Nicola Persegati, Paolo Pizzamus, "Flondar 1917", Gaspari Editore, Udine, 2017.
  • Angelo Gatti, "Caporetto", Il Mulino, Bologna, 1964.
  • Augusto Vanzo, "In guerra con la Terza Armata", Itinera Progetti, Bassano del Grappa (VI), 2017
  • Dario Marini de Canedolo, "Ermada", Gruppo Speleologico Flondar, Villaggio del Pescatore (Duino Aurisina), 2007.
  • Dario Marini de Canedolo, Valentina Degrassi, Alice Sattolo, "Il Carso del Villaggio San Marco di Duino", Gruppo Speleologico Flondar, Villaggio del Pescatore (Duino Aurisina), 2014
  • Guido Agosti, "Con i lupi del 77º Fanteria", Giulio Vanini Editore, Brescia, 1934.
  • Carmela Timeus, "Attendiamo le navi", Licinio Cappelli Editore, Bologna, 1934.
  • Gabriele D'Annunzio, "Per l'Italia degli Italiani", Milano, 1923.
  • Luccio Formisano, "La Battaglia del Timavo 23-28 maggio 1917", Ed. Tipografia Sociale, Trieste, 1930.
  • Corriere della Sera, 29 maggio 1917 prima pagina, bollettino del Comando Supremo emesso il 28 maggio 1917.
  • Corriere della Sera, 7 giugno 1917 prima e seconda pagina, "Sulla tomba di un eroe del Carso", articolo a firma di Gabriele D'Annunzio
  • Marco Mantini e Silvio Stock "I tracciati delle trincee sul fronte dell'Isonzo, III° volume - le alture di Monfalcone - parte 2a", Paolo Gaspari Editore, Udine 2010.
  • Paolo Mieli, "Le verità nascoste", pubblicato per Rizzoli da Mondadori Libri S.p.A., Milano, settembre 2019

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