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Junshi

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Junshi (殉死?) è un vocabolo della lingua giapponese che si riferisce all'arcaica usanza di suicidarsi commettendo seppuku, in seguito alla morte del proprio signore feudale. Fu a lungo considerato un atto di grande onore e lealtà, tuttavia la pratica venne bandita durante il Periodo Edo poiché ritenuta eccessivamente brutale.

La moglie di uno dei Quarantasette ronin in procinto di eseguire il suicidio, ritratta in un illustrazione dell'artista Utagawa Kuniyoshi.

La pratica del junshi fu descritta per la prima volta nelle cronache cinesi del VII secolo che descrivono il popolo Yamato (i giapponesi). Secondo il testo Weizhi, nel Regno Yamato un decreto dell'anno 646 bandì questo tipo di suicidio rituale, il quale però continuò ad essere praticato nelle epoche successive. Per molto tempo tale pratica veniva effettuata dai samurai che perdevano il loro padrone in battaglia, tuttavia durante lo shogunato Tokugawa la guerra era pressoché sconosciuta e il junshi diventò piuttosto popolare tra i vassalli anche quando i loro signori morivano naturalmente. In definitiva il junshi poteva essere messo in pratica a prescindere dal fatto che il signore fosse morto di malattia, caduto sul campo di battaglia o che avesse commesso a sua volta il suicidio rituale.[1]

Un esempio è il suicidio di sette vassalli nel 1607 in seguito alla morte di Matsudaira Tadayoshi e Yūki Hideyasu. Ciò si è verificato talvolta anche ai più alti livelli del potere. Tokugawa Hidetada fu seguito a morte da uno dei suoi principali consiglieri. Nel 1634 quando il signore feudale Satake Yoshinobu stava per morire, un samurai esecutivo della residenza del signore a Edo ammonì i vassalli affermando che il signore non desiderava che loro morissero dopo di lui. Nel 1651 quando venne a mancare lo shōgun Tokugawa Iemitsu, tredici dei suoi sudditi più vicini (tra cui due Rōjū) si suicidarono, cambiando radicalmente l'equilibrio del consiglio. Data la radicata diffusione del suicidarsi tramite junshi, diversi daimyō giapponesi optarono per vietarlo. Fu bandito dal Dominio di Saga nel 1661 e poi completamente rimosso dal quarto shōgun Tokugawa Ietsuna nel 1663.[2]

Quindi seppur clandestinamente, in Giappone la pratica del junshi è tuttavia continuata a lungo. Il trascorso più famoso è quello che riguarda il suicidio dei Quarantasette ronin al principio del XVIII secolo.[3] L'esempio più recente è invece quello di Nogi Maresuke, un soldato veterano della Guerra russo-giapponese che nel 1912 in seguito alla scomparsa dell'Imperatore Meiji, commise junshi.[4]

  1. ^ Lealtà al proprio signore (PDF), su mlit.go.jp.
  2. ^ Il divieto dello shogunato, su samuraihistoryculture.substack.com.
  3. ^ I 47 ronin, su musubi.it.
  4. ^ L'ultimo junshi, su oldtokyo.com.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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