Maso chiuso
Il maso chiuso (in tedesco geschlossener Hof o Erbhof) è un particolare istituto giuridico, volto a preservare anzitutto l'indivisibilità della proprietà agricola. Nell'area alpina germanofona e in Trentino-Alto Adige, il "maso" (dal latino mansus, termine che nel feudalesimo medievale indicava un appezzamento di terreno; in ted. Bauernhof) è un'azienda agricola, comprensiva dell'abitazione del contadino, di altri fabbricati, dei terreni - agricoli e forestali - a esso attinenti. Si tratta di un'istituzione diffusa soprattutto nel Tirolo storico. L'aspetto fondamentale dell'istituto giuridico riguardava anzitutto il diritto ereditario: il maso chiuso veniva ereditato indiviso dal primogenito maschio, mentre i figli minori potevano scegliere tra un indennizzo o il continuare a vivere assieme al fratello maggiore, come servi agricoli (una situazione analoga a quella dei servi della gleba).
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Se le origini di questa istituzione sono da ricercare, probabilmente, in epoca medievale, le prime norme scritte sono da ascrivere all'imperatore Massimiliano I, nel 1502, disposizioni ratificate negli statuti del Tirolo del 1526, del 1532 e del 1573.[1] Con l'imperatrice Maria Teresa d'Austria, nel 1775, trovarono una più ampia codificazione giuridica. La normativa teresiana si articola su quattro punti:
- il maso chiuso è un'azienda agricola indivisibile;
- per istituire un maso chiuso è necessario che i fabbricati e i terreni a esso attinenti permettano il sostentamento di almeno quattro persone;
- il maso chiuso si trasmette per eredità nella sua interezza a un solo figlio maschio (di norma il primogenito) mentre agli altri figli spetta un indennizzo;
- la qualità di maso chiuso dell'azienda agricola viene iscritta nel libro fondiario.
Territorialmente, questo istituto era diffuso principalmente in Tirolo, e anche qui in maniera non omogenea: in Alto Adige, per esempio, i masi chiusi sono prevalenti nella parte centro-orientale, mentre sono scarsamente presenti, per esempio, in Val Venosta.
Evoluzione recente
[modifica | modifica wikitesto]L'annessione dell'Alto Adige all'Italia, nel 1919, comportò l'abrogazione della legge sul maso chiuso, istituto estraneo alla tradizione giuridica italiana. Ciononostante esso sopravvisse come consuetudine. Dopo la seconda guerra mondiale, in seguito al riconoscimento costituzionale dell'autonomia all'Alto Adige, la legislazione teresiana ritornò in vigore, almeno nei suoi aspetti più qualificanti. Ma con il passare degli anni, la legge sul maso chiuso dovette essere riformata, in particolare per quegli aspetti che riguardavano la parità degli eredi di sesso femminile, e la tutela del coniuge superstite. Il risultato di questa riforma è confluito nella "Legge provinciale 28 novembre 2001, n. 17". Pertanto, il Trentino-Alto Adige risulta l'unica area geografica in Europa dove è tuttora in vigore il diritto di maggiorasco. Oggi, in Alto Adige, esistono circa 12.300 aziende classificate come masi chiusi.
In Trentino un esempio di maso chiuso è costituito dal "Consorzio Alpe Vederna", a Imèr, secondo il quale la proprietà dei prati del monte omonimo, passa solo al primogenito maschio di ogni famiglia.[2]
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ (DE) Ursula Flossmann, Österreichische Privatrechtsgeschichte, 5ª ediz., Vienna-New York, Springer, 2005, pp. 303 ss. ISBN 3-211-23749-6
- ^ Floriano Nicolao, La chiesetta della Madonna della Neve sul monte Vederna, Imèr-Trento, 1998, pag. 11
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (DE) Paul Rösch, Südtiroler Erbhöfe: Menschen und Geschichten, Bolzano, Raetia, 1994. ISBN 88-7283-066-4
- Aldo Gorfer, Flavio Faganello, Gli eredi della solitudine - viaggio nei masi di montagna del Tirolo del sud (Nordest, NS 4), Caselle di Sommacampagna, Cierre Ed., 2003. ISBN 88-8314-205-5
- Edoardo Mori, Il maso chiuso del Sudtirolo: la sua storia e la normativa vigente, Bolzano, Provincia autonoma, 2009.
- (DE) Helmut Stampfer (a cura di), Bauernhöfe in Südtirol: Bestandsaufnahmen 1940-1943, 11 voll., Bolzano, Athesia, 1990-2018.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Collegamenti esterni
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