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Pagina:Viaggio in Dalmazia.djvu/417

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Città di tempi Romani non ebbero gli Arbegiani probabilmente oltre quella, che porta il nome dell’Isola, dalle di cui vicinanze sovente si traggono Lapide antiche mallevadrici del vero. Io ò visitato le pretese rovine di Colento, e non ò potuto riconoscervi altro che i residui d’un ritiro fabbricato dalla paura, e dalla deboleza degl’Isolani ne’ tempi barbari. Non è possibile che uomini ragionevoli avessero colà stabilito una dimora costante; imperciocchè la situazione più aspra, e sterile, e fredda, e ventosa anche nel cuor della State non può trovarsi. È poi verità di fatto, che la costruzione delle mura mostra d’essere stata tumultuaria; che i vestigj di Porte accusano un Architetto rozzissimo; che non v’è una sola pietra riquadrata sul gusto antico, nè verun frammento d’Iscrizioni, o di pietrame nobile. Le piante delle casipole, che vi erano cinte dalla muraglia esteriore, non mostrano d’essere mai state destinate a contenere famiglie: così sono anguste, e inabitabili. S’io fossi Arbegiano vorrei cercare i vestigj d’un’altra Città in luogo che facesse più onore ai fondatori di essa.

Quantunque Capitale d’una picciola Isola, che non eccede le trenta miglia di circuito, ed è incolta totalmente ed inabitabile nella sua parte più elevata, che guarda il Canale della Morlacca, la Città d’Arbe si mantenne con decoro mai sempre. Che fosse abitata da persone colte ne’ tempi Romani lo provano le Iscrizioni, che frequentemente vi furono scoperte, alcune delle quali ora trovansi nella Collezione dell’Eccellentissimo Signor Cavaliere Jacopo Nani, altre vi rimangono ancora. Ne’ secoli bassi soffrì tutte le disgrazie dalle quali furono afflitte le contrade vicine, ma si ristabilì sempre con decoro anche dalle desolazioni. L’Archivio della Comunità d’Arbe à delle Carte anti-