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E-book148 pagine1 ora

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LinguaItaliano
Data di uscita15 nov 2013
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    Anteprima del libro

    Esilio - Ada Negri

    Treves.—1914

    Indice

    SOLITUDINI

    SORELLA ANNA

    XXXI DICEMBRE

    PAROLE NON DETTE

    LA CASA DEL SILENZIO

    LA SOGLIA

    LE DUE SIEPI

    SERVIRE

    PÀNICO

    COMPRENDERE

    LA COPPIA

    A UN SUICIDA

    IL POZZO ABBANDONATO

    RIVO FRA PIETRE

    CONTRASTO

    IL CANTO

    FRESCHEZZA

    IL VOLTO

    LA MORTE

    IL SOGNO

    IL MISTERO

    ALBA

    «C'ERA UNA VOLTA....»

    TRASMIGRAZIONE

    LÈVATI, E CAMMINA

    LÈVATI, E CAMMINA

    LA SERA STRANIERA

    COLLOQUIO CON L'ANIMA

    MEDITAZIONE

    LA SOSTA

    L'ARSURA

    PIÙ IN ALTO

    I GIARDINI

    L'OASI

    LIBERTÀ

    L'EVASIONE

    ROSE

    LA SUORA

    LA FONTE

    COMPAGNI DI STRADA

    EMIGRANTI

    L'OMICIDA

    IL FANALE NEL VICOLO

    IL VIOLINISTA

    LA FOLLA

    LA PORTA SOCCHIUSA

    LA FALCE

    PLENILUNIO

    LA MADRE

    IL DONO

    LA VERGINE E IL FALCO

    A COLUI CHE NON È VENUTO

    PONTE DI LODI

    L'INFERMO

    PASSIONE

    L'INCANTESIMO DEI FIORI

    I GIACIGLI

    L'UOMO SEPOLTO

    SPERANZA

    NOSTALGIA

    LA CERCATRICE D'ORO

    CONFESSIONE

    LIBERAZIONE

    I SOPRAVVISSUTI

    SOLITUDINI

    SORELLA ANNA

    Chiama chiama—ed alcun non le risponde—

    la Donna prigioniera nella Trappa:

    dello spiraglio ai ferri ella s'aggrappa,

    livida tra le sparse ciocche bionde:

    notte e giorno, alba e vespro, estate e inverno,

    chiama ed attende, chiama e spera, chiama

    e piange:—taglia l'aria come lama

    lo stridor vano del singhiozzo eterno.

    *

    «Sorella Anna, tu che insonne vegli

    sulla torre più alta, e conti gli astri

    e le nuvole in cielo, e i vïolastri

    veli dell'alba cingi a' tuoi capegli:

    se è ver che la Speranza t'assomiglia

    e che il tuo sguardo scorge oltre il mistero,

    mira se lungi appaia un cavaliero

    lanciato a corsa su disciolta briglia.

    Forse or non è che un punto all'orizzonte,

    solo un punto: e convien, sì, ch'ei galoppi!...

    Ma è lui: verrà: l'attendo ormai da troppi

    anni: verrà dal mare, o pur dal monte.

    La prigion che mi serra ha sette porte,

    ognuna è chiusa a sette catenacci:

    Sorella Anna che lassù t'affacci,

    prima ch'ei venga, ahimè, verrà la morte!

    Se tu mi chiami, forse io non ti sento,

    sì concitato è il rombo delle vene.

    Polsi pieni di battiti, più lene

    segnate, in grazia, il ritmo del tormento!

    S'io mi conficco l'unghie dentro il palmo,

    mi placo.... Come, là in un canto, il viscido

    e cauto ragno a sè tessendo i lisci

    cerchi della sua tela appar sì calmo,

    io la mia tesserò, con passïone

    tenace, con fibrille del mio cuore,

    con sogni e sogni: e per eluder l'ore

    io farò del mio pianto una canzone....

    Ma ten prego, se avvien che alcun tu scorga,

    agita il velo, gridagli che sproni

    la corsa a volo, pria ch'io m'abbandoni,

    soffocata dal sangue che s'ingorga!...»

    *

    .... Il tempo stilla, in fredde gocce.—È morta

    l'Anima, o sul suo spasmo si rannicchia,

    muta ascoltando se una nocca picchi

    nel muro, o un pugno scardini una porta?...

    Il tempo stilla.—Un anno? o dieci? o un'ora?...

    Non chiave nelle ferree toppe stride.

    Dall'alta torre che nel ciel s'incide

    Sorella Anna si protende ancora.

    XXXI DICEMBRE

    Trentun dicembre, mille e novecento

    undici, mezzanotte.—Taci e pensa,

    anima.—Nella vigile ed intensa

    tua fiamma, vivi; ma il Destino è spento.

    Più non si specchia innanzi a te il domani.

    Nulla aspetti, nè chiedi. La speranza

    sparve, col sogno. Il tempo che t'avanza

    sarà come la sabbia fra le mani.

    Troncato è il laccio che alle creature

    t'avvinse, pel tormento e per l'ebbrezza.

    —Lontanissima, e sola.—Hai l'aridezza

    della rinunzia sulle labbra dure.

    Nella rigida notte, aspre le stelle,

    simili a chiodi per martirio infissi

    nelle vôlte dei cieli, entro i tuoi fissi

    occhi incrociano l'iridi sorelle.

    Fuor del tempo, del peso e dello spazio,

    da te sôrta, in te chiusa, in te bastante,

    stai. Si consunse il corpo palpitante

    nelle stimmate stesse del suo strazio.

    Quel che ti scosse, amore, odio, rimorso,

    quand'eri carne appassionata e cuore

    schiavo, e fece di te tutto un dolore

    vile, in ansia di tregua o di soccorso,

    or cadde: è cencio a terra, è coccio a mare.

    Nuda or tu sei fra veli d'aria: forte

    di te soltanto: e ignori se sia morte

    o vita la tua nova alba stellare.

    Vegli fra due voragini, in oblìo.

    .... Vuoto di solitudini senz'orme,

    rombar sordo di fiumi, alito enorme

    di venti, ombre di nubi....

    Ascolta.—È Dio.—

    PAROLE NON DETTE

    Parole che la bocca mai non disse,

    per pietà, per orgoglio o per paura,

    che ai labbri spinse una demenza oscura,

    che un più forte volere ivi confisse:

    parole non di suono ma di palpito,

    miste al sangue pulsante, alla saliva

    di che il tacer s'abbevera, alla viva

    carne che soffre, al cuor che batte a scalpito:

    han, nel profondo ove s'accolgon bieche,

    (e chi dir non le volle in sè le udrà

    sempre) un'allucinante fissità

    di facce spente, di pupille cieche.

    O creatura dalle chiuse labbra,

    sulla parte di te che fu soppressa

    il tuo silenzio è pari a una compressa

    gelida su ferita che si slabbra.

    O creatura che disìo non chiama

    più, che amor più non sveglia!... Un'ora sola

    a te segnava Iddio per la parola

    che non dicesti: ed or dentro ti clama.

    Rannìcchiati in disparte, ingoia il pianto,

    avvilùppati d'ombra. È tardi adesso

    per la tua verità. Tu sei già presso

    la soglia eterna, ove il silenzio è santo.

    LA CASA DEL SILENZIO

    Casa ch'io sogno, le tue basse mura

    soffoca, a spire, l'edera malvagia.

    D'intorno, ove la piana ampia s'adagia,

    una quiete millenaria dura.

    La passïon dell'edera t'allaccia

    tutta, dalle radici alla cimasa.

    Tu quasi il sol più non iscorgi, o casa

    bruna, nascosta in boschi senza traccia.

    Attinge l'acqua con antica corda

    al pozzo, e coglie l'erbe, e l'acciarino

    batte, per suscitar dentro il camino

    la fiamma, una schiavetta muta e sorda.

    Nel focolare ardono ceppi enormi,

    e le mobili lingue azzurre e gialle

    s'inseguono, s'intrecciano, farfalle

    e serpi, in guizzi, in fughe, in nodi informi:

    l'allegrezza selvaggia della vampa

    sibila, rugge,

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