Le notti insonni del giullare stolto
Di Luca Di Capo
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Info su questo ebook
È questa la storia dell’insonne Paolo, un uomo alle prese con una momentanea serie di sfavorevoli eventi, ma deciso più che mai a non perdersi d’animo, trasformando di continuo necessità in virtù. Un viaggio introspettivo, burrascoso, spiegato a volte con un linguaggio amaro, intrapreso all’interno dell’animo umano del protagonista.
Tutto ciò e altro ancora vi sarà narrato da un personaggio quasi senza volto. Augurandovi lieta lettura, lascio la parola all’inarrestabile Giullare Stolto!
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Anteprima del libro
Le notti insonni del giullare stolto - Luca Di Capo
Luca Di Capo
LE NOTTI INSONNI DEL GIULLARE STOLTO
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Indice dei contenuti
L’INSONNIA
L’AMOR DANNATO
FILASTROCCA DEL GIULLARE STOLTO
PAUSA
… CREATURA!
IL VOLO DI PEGASO
IL GIULLARE NEL WEB
DUE DI PICCHE?
TI AMMIRO…
ISTINTI… DI SOPRAVVIVENZA
VENTIQUATTRO
GIÙ LA MASCHERA
LIETO FINE?
Dove trovarmi
Ringraziamenti
A Mattia
L’INSONNIA
«Una settimana! Sì, all’incirca una…»
Questa era la sua risposta. Ogni volta che gli chiedevano «Da quanto tempo non dormi?» lui rispondeva sempre:
«Una settimana».
In realtà, se ci rifletteva bene, sommandosi, le settimane erano ormai diventate mesi; e addizionandole tutte ecco che presto l’anno solare era raggiunto. Se poi si metteva a contare tutti gli anni… la situazione iniziava a farsi ingarbugliata e al tempo stesso inquietante.
«Quattro!»
Già, calcolando per difetto anziché per eccesso alla fine riusciva a sviluppare un quadro della situazione più o meno attendibile: erano quattro anni che non dormiva! O, per meglio dire, che non riposava in maniera corretta: delle notti, la sua veglia arrivava fino al trillo della sveglia; in altre più fortunate invece, riusciva persino a farsi dalle tre alle cinque ore di fila.
«Perché non dormi?» gli chiedevano di continuo i più intimi.
«Bah! Che ne so, pensieri… problemi!»
Sì, era vero, i pensieri erano il motivo delle sue notti insonni; o meglio, il secondo motivo. Il primo era molto più semplice, ma anche il più straziante: Paolo si sentiva solo. E non sapeva a chi dirlo. Sì, perché se era arrivato al punto di trascorrere la notte da solo, la colpa non era altro che sua! Se sua moglie aveva fatto avviare le pratiche per la separazione, non era certo merito di qualcun altro! E se suo figlio non era lì con lui, magari abbracciato come al solito al suo petto invece che al cuscino, di sicuro non era colpa del tribunale dei minori! Certo, attenuanti ai suoi errori si potevano trovare, diverse anche. Ma a cosa sarebbe servito? Forse a sfogarsi con qualcuno. Magari avere un quadro più obiettivo della situazione gli avrebbe permesso di sentirsi meno colpevole per un momento. Ma alla fine non avrebbe certo alleviato il suo dolore o raggirato la sua coscienza; quando si trovava a riflettere con quest'ultima, per Paolo non c’erano attenuanti che tenessero. No, nulla poteva scusare quanto accaduto.
E ora doveva stare lì, inerme e in silenzio, nella penombra; visitato da tutti quei personaggi che, puntuali come fantasmi, cominciavano la loro lunga processione a ogni calar delle tenebre. Ecco arrivare, primi tra tutti, i suoi acerrimi nemici: persone che, invece di dare il loro aiuto, in passato avevano contribuito con ogni mezzo (volontario o meno) a far si che tutto andasse storto in quei diciott’anni insieme a lei; personaggi che loro avevano combattuto, spalla a spalla, con amore e determinazione; ma che ora erano davanti a lui, durante quelle fastidiose allucinazioni notturne. Chi sghignazzando, chi brandendo un grande specchio a misura d’uomo, cantilenando il solito ritornello:
«Guarda dentro lo specchio… riconosci chi è? L'ultimo degli acerrimi nemici… cioè te! Ah ah ah!»
Questo però nulla era a confronto del suo secondo visitatore, il più piccolo in ordine di età; tra tutti il meno colpevole delle lacrime che scendevano silenziose lungo il suo viso, mentre con voce roca e distrutta dal dolore pronunciava parole che echeggiavano nel buio:
«Papà, mi manchi! Mi manchi tanto!».
Parole riportate su un foglio di quaderno che, avvicinandosi, allungava verso di lui.
Arrivati a questo punto, appariva evidente l’impossibilità di trovare uno spiraglio di serenità, quel tanto che sarebbe bastato a trascorrere il resto della nottata riposando almeno un po’. Ma non era ancora finita: ecco apparire poco più distante lei, silenziosa come una sfinge: il viso provato da un dolore proveniente dall’interno dello stomaco, dolore che gli procura continuamente il bisogno di contorcersi. Il suo sguardo si solleva per incrociare quello di lui: solo qualche istante, per trasmettergli un pensiero:
Guardami! E guarda in che stato ci hai ridotto
.
Eccolo qui, Paolo. La processione dei visitatori prosegue per tutta la notte, non si ferma ovviamente. E lui, rimane solo, in silenzio, nel gelo provocato dall’eco di tutte quelle voci. Vorrebbe scappare, svoltare gli angoli delle immaginarie strade della notte per nascondersi; ma alla fine, immobilizzato nel solito vicolo cieco, spalle al muro, viene raggiunto da tutti loro.
Se la notte è lunga, da soli lo è di più. Se poi la tua branda (quella dove dormivi da ragazzo e di cui ora ti sei nuovamente riappropriato, tornando a vivere dai tuoi) si è rotta, costringendoti a terra, allora la notte diventa lunghissima.
«Paolo, perché non dormi?», continuano a domandare gli amici.
«Pensieri» risponde lui. Cerca di non parlare della sua solitudine. Delle continue visite notturne. Della sua branda rotta. Del fatto che, per colpa della crisi e di altre cause, ha perso il suo bel lavoro, quello che tanto amava, per il quale girava fiero in giacca e cravatta, con automobili più che dignitose. Ora si ritrova disoccupato. Ma visto che non se lo può permettere, allora il lavoro se lo è inventato: eccolo lassù, arrampicato a potare alberi e oleandri (Ma chi l’ha mai potato un albero?
); ora è lì, indaffarato a tagliare l’erba di un giardino; adesso invece si trova sopra un’improbabile scala oscillante, mentre cambia gli starter e le luci al neon di corridoi condominiali sotterranei. Ora è là fuori con la scopa in mano, esposto al sole cocente dell'estate o al vento gelido dell'inverno… ma non si ferma. La notte è lunga, ma non si dorme. È disoccupato, ma Paolo non si ferma. «Papà! Mi manchi!» e lui non dorme. «Buongiorno, è la banca che la chiama, per il mutuo…» e non si ferma. La branda è rotta. «La macchina è guasta!», ma non si ferma, e non si dorme…
«Basta! Basta, basta, basta! Ba-sta!»
Già, una notte disse basta.
«Non è possibile, non è vita questa» si disse. «Non so quanto resisterò così. Ho bisogno di sfogarmi, di urlare il mio dolore.»
Si domandò se sarebbe mai riuscito a raccontarlo a qualcuno, o se la sua dignità gli avrebbe mai permesso di piangersi addosso in pubblico.
«A nessuno importa nulla» concluse. «E perché dovrebbe?» Sorrise con amarezza. «Non fa niente, lo dirò a me stesso. Lo urlerò dentro di me. Anzi: lo canterò!»
Sì, visto che nulla poteva fare più di quanto non stesse già facendo, l’unica soluzione rimasta era quella di fare di necessità virtù! Avrebbe sfidato la notte. Avrebbe sfidato l’insonnia. Avrebbe occupato quegli spazi mentali e quelle ore passando al contrattacco.
Impugnando una penna come fosse una spada, Paolo accese la lampada vicino al suo letto. Strappò un pagina di giornale, uno di quelli distribuiti gratuitamente in metrò. Non conosceva le note né tanto meno l’uso di uno spartito, solo qualche vaga reminiscenza a livello scolastico. Il ritmo sì però, quello lo