Alleluia: Interpretazioni ebraiche dell'Hallel di Pasqua (Salmi 113-118)
Di Umberto Neri
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Anteprima del libro
Alleluia - Umberto Neri
Neri
TRADIZIONI DI ISRAELE
1
© 2016 Edizioni Zikkaron
Largo Gerra 1, Reggio Emilia
ISBN 978-88-99720-09-4
I edizione eBook: Febbraio 2016
© 1981 Città Nuova editrice, Roma
INTRODUZIONE
I SALMI NELLA VITA D’ISRAELE
Già antichi scrittori cristiani osservano che, mentre gli altri libri della Scrittura costituiscono un momento e un annuncio particolare, il Salterio include ed esprime tutte le parole rivelate e riguarda tutti i tempi della storia della salvezza¹. Di fatto, non c’è pagina della Scrittura che non trovi nei salmi la sua eco: poiché la composizione del Salterio ha scandito tutto lo svolgersi della storia d’Israele, e i salmi da sempre sono serviti a riviverne nella preghiera le esperienze fondamentali.
E in questo senso, essi sono anche, oltre che una sintesi delle Scritture, un loro grande commento. Un commento eminentemente «spirituale»: dove il racconto diventa ricordo nella lode o nel pianto, la profezia diventa speranza e implorazione, e ogni capitolo delle Scritture viene assunto in una appropriazione intensissima, e così arricchito anche della sua interpretazione e della sua risposta. Interpretazione suggerita da Dio, e risposta formulata dallo Spirito: ciò che fa del Salterio, insieme, la parola di Dio e la parola d’Israele, la voce dello Sposo e la voce della sposa.
Questa «unicità» del Salterio è stata avvertita con molta forza nella tradizione d’Israele, e si è espressa in un concerto di lodi di cui è difficile ridire tutta l’armonia e la ricchezza: si può solo tentare di cogliere qualche nota dominante.
1. Pur appartenendo, di per sé, all’ultima serie di libri biblici — cioè, dopo la Torah e i Profeti, agli «Agiografi»² - il Salterio occupa un posto di primaria importanza, e si colloca nel cuore stesso delle Scritture.
Esso, infatti, è come una ripresa della Torah, e le fa da pendant con simmetria perfetta: «Mosè diede a Israele le cinque parti della Torah, e Davide diede i cinque libri dei Salmi»³.
Leggere il Salterio equivale in qualche modo a leggere la Torah, e davanti a Dio può avere lo stesso immenso valore. Così, in una notissima preghiera, si supplica il Signore di gradire la lettura di ciascun libro del Salterio quanto gradirebbe la lettura del corrispondente libro del Pentateuco: «Sia beneplacito davanti a te, Signore Dio nostro e Dio dei nostri padri, in virtù del (primo) libro dei Salmi che abbiamo letto davanti a te, che esso corrisponda al libro (della Genesi)», e così per gli altri libri.
2. Il Salterio è la voce di tutte le generazioni.
Anzitutto, delle generazioni prima di Davide: non solo perché — come già fanno intendere i titoli dei salmi, e come la tradizione rabbinica non manca di rilevare — anche prima di Davide molti personaggi vi hanno messo mano⁴, ma molto più per la natura stessa del salterio: la sua composizione non è che la messa in scritto della preghiera di tutti i santi e di tutti i giusti, fin dalle generazioni più lontane. Scrivendo i salmi, di questa preghiera si è come fissato il ricordo, per consegnarlo alle generazioni future; ma, ben prima di Davide, anche Giacobbe, per esempio, già pregava con i salmi: «R. Nechemiah⁵ disse: ... Tutti i venti anni che Giacobbe fu in casa di Labano, non dormì. E che cosa diceva? R. Jehoshua ben Levi⁶ disse: "I quindici cantici delle ascensioni contenuti nel libro dei Salmi, poiché sta scritto: ...Se il Signore non fosse stato con noi, dica Israele⁷; e si tratta di Israele patriarca". R. Shmuel bar Nachmani⁸ disse: Diceva tutto il libro dei Salmi; come sta scritto: Tu, Santo, siedi sulle lodi d’Israele⁹; e si tratta di Israele patriarca»¹⁰.
E in modo analogo si dice, nella tradizione rabbinica, in moltissimi altri casi. Per portare solo alcuni esempi, dai testi che seguiranno: con un salmo Abramo, Isacco e Giacobbe attestarono la loro fiducia in Dio¹¹; Mosè parlò al mare con le parole di un salmo¹², e spirò con un salmo sulle labbra¹³; Nacason pregò con un salmo, quando si gettò nel Mar Rosso¹⁴; con dei salmi pregarono Giosuè, Debora e Barak¹⁵.
Inoltre, pur essendo teologicamente e letterariamente diversi dalla profezia¹⁶, i salmi descrivono in anticipo, fino all’instaurazione definitiva del regno di Dio, tutti gli eventi della storia salvifica. In essi perciò, sino alla fine dei tempi, Israele potrà sempre trovare l’interpretazione del momento attuale della sua esperienza, e la formulazione adeguata della sua preghiera: «Nei salmi Davide parlò di cose future che sarebbero accadute dopo il suo tempo; parlò dell’esilio di Babilonia e degli altri esili, e di molte consolazioni: e disse che il regno della casa di Davide sarebbe stato restaurato»¹⁷.
Il Salterio si caratterizza dunque per una singolare dimensione di universalità: ogni credente e tutto il popolo di Dio, per tutti i tempi passati e per tutti i tempi futuri, vi si trova interpretato e vi si può riconoscere: «Disse R. Judan¹⁸ in nome di R. Jehudah: Tutto quello che Davide ha detto nel suo libro, lo ha detto riguardo a sé, riguardo a tutto Israele, e riguardo a tutti i tempi»¹⁹.
Tutto: non si tratta quindi di isolare salmi individuali, salmi collettivi, salmi messianici; tutti i salmi sono, in tutte le loro parti, tutte queste cose insieme.
3. Il Salterio è il grande libro liturgico d’Israele, per ogni aspetto e momento della sua vita cultuale.
Le offerte prescritte — i sacrifici e le oblazioni — non si presentano se non accompagnate dal canto dei salmi: «Il Santo — benedetto Egli sia — disse a Davide: Per la tua vita io ti giuro che, benché tu muoia, il tuo nome non si allontanerà mai dalla mia casa: poiché in tutti e singoli i sacrifici il tuo nome sarà ricordato, e si diranno cantici composti da te
»²⁰.
Ma, poiché la liturgia è, al suo livello più profondo, la vita e la storia d’Israele, ne deriva che il Salterio è l’interpretazione più adeguata — anzi, in qualche modo la realizzazione stessa — di tale storia e del suo mistero: il cammino del popolo di Dio procede al ritmo dei salmi, fino alla costruzione definitiva di Gerusalemme: «Come il Santo — benedetto Egli sia — regna con la lode e con i Salmi²¹, così Gerusalemme non è costruita se non con la lode e con i salmi; così infatti sta scritto, riguardo all’ultima costruzione: Quando i costruttori ebbero gettate la fondamenta del tempio, invitarono a presenziare i sacerdoti con i loro paramenti e le trombe e i leviti, figli di Asaf, con i cembali per lodare il Signore con i canti di Davide re d’Israele: ed essi cantavano a cori alterni lodi e ringraziamenti al Signore²². Perciò sta scritto: E bello cantare al nostro Dio»²³.
4. Come la vita cultuale del popolo d’Israele si esprime mediante il Salterio, così la preghiera di ogni singolo non si formula se non con le parole dei salmi.
Ogni angoscia, ogni speranza e ogni gioia, soltanto nei salmi possono trovare la loro voce autentica e dirsi nella loro verità più profonda.
Dei salmi, quindi, si è incessantemente nutrita la pietà di ogni figlio d’Israele: anzi, dai salmi è stata generata, e ne è di continuo plasmata. «Chi vede in sogno il libro dei Salmi, speri la devozione» — dice il Talmud²⁴; la chassiduth: quella stessa pietà dolce e ardente che si può sperare anche «vedendo in sogno il Cantico dei cantici»²⁵.
Di fatto, il pio israelita ha sempre i salmi sotto gli occhi e sulle labbra: al di là dell’abbondante porzione contenuta nella normale ufficiatura, la recita quotidiana dell’intero Salterio è un ideale perseguito negli ambienti più fervorosi, e larghe sezioni se ne leggono da quanti, conforme a un’antichissima tradizione, proprio per questo giungono alla sinagoga un’ora prima dell’inizio della preghiera²⁶.
Unica perciò è la natura del libro dei Salmi, e intensissimo il rapporto che viene a stabilirsi con esso: solitamente con il Salterio si ha un commercio ancora più frequente e vivo — e che conduce a più intima assimilazione — di quanto non si abbia con la stessa Torah.
Non c’è quindi da stupirsi se i salmi costituiscono il luogo privilegiato dell’esegesi spirituale ebraica, dove maggiormente se ne dispiegano le ricchezze e meglio se ne rivela l’originalità: cosicché, non solo chi vuole comprendere i salmi non può non confrontarsi con l’interpretazione datane da Israele, ma anche chi vuole conoscere l’autentico Israele deve cercarlo soprattutto nei suoi commenti al Salterio.
I SALMI DELL’HALLEL
Di questo compendio delle Scritture che è il Salterio, uno dei vertici è costituito dal gruppo di salmi che va sotto il nome di Hallel (= «lode»)²⁷.
Il termine usato in assoluto indica sempre, nella tradizione ebraica, i Salmi 113-118 dell’attuale testo masoretico: è questo l’Hallel per eccellenza. Ma per distinguerlo da un altro Hallel — di denominazione derivata — talvolta lo si chiama Hallel egiziano: cioè, l’Hallel che celebra l’esodo dall’Egitto²⁸.
L’insieme così individuato viene poi variamente suddiviso, già nei manoscritti biblici²⁹: e anche la tradizione ebraica posteriore non trova un accordo nel definire il numero e l’ambito delle unità salmodiche dell’Hallel³⁰.
Sembra comunque prevalere la divisione in cinque unità; e Midrash Hallel, con tipico gusto del parallelismo, la fa corrispondere ai cinque libri del Salterio, i quali a loro volta richiamano le cinque parti della Torah³¹. Come a dire che, se il Salterio è una sintesi della Torah, l’Hallel è una sintesi del Salterio.
Resta, in ogni modo, certissimo che all’Hallel è sempre stata attribuita un’importanza eccezionale: «Fammi udire la tua voce³²: è la recita dell’Hallel eseguita con bellezza. Perché, quando i figli d’Israele recitano l’Hallel, le loro voci salgono all’eccelso, secondo il detto: La Pasqua nella casa, e l’Hallel fora il tetto
»³³.
Come risulta da questo testo, la dignità peculiarissima dell’Hallel gli deriva prima di tutto dalla sua collocazione liturgica: è la Pasqua a riverberare la sua luce e la sua gloria su questo canto, che ne caratterizza un momento culminante.
HALLEL E PASQUA
Il rapporto fra l’Hallel e la Pasqua non è casuale o estrinseco, ma il più essenziale che possa immaginarsi: poiché, secondo la tradizione ebraica, l’Hallel è nato nella Pasqua ed è stato composto per la Pasqua.
Con ogni probabilità, secondo il libro della Sapienza sono proprio i salmi dell’Hallel quei canti di lode dei padri che furono cantati già in occasione della prima Pasqua in Egitto³⁴, prima di essere cantati di nuovo una volta passato il mare. Fu allora che l’Hallel risuonò per la prima volta, dopo la creazione del mondo: «Da quando il Santo — benedetto Egli sia — creò il suo mondo, fino a quando i figli d’Israele uscirono dall’Egitto, vi furono ventisei generazioni. Ma l’Hallel lo si disse solo quando i figli d’Israele uscirono dalla schiavitù dell’Egitto, dove erano stati asserviti al lavoro del fango e dei mattoni³⁵: fu allora che dissero l’Hallel»³⁶.
Nel Salterio, questi salmi non portano, come altri, un titolo che ne indichi l’autore. Era perciò naturale che fra i dottori nascesse la questione: «Chi li ha composti?». Anzi: «Chi lo ha composto?» (l’Hallel); perché, comunque suddiviso, l’Hallel è sempre stato sentito, nella tradizione ebraica, come un unico poema.
A questa domanda — secondo quanto riferisce il Talmud³⁷ — si rispose da alcuni attribuendolo, come «il canto che è nella Torah»³⁸, «a Mosè e ai figli d’Israele quando risalirono dal mare», e da altri ascrivendolo a Davide; ma l’opinione ritenuta preferibile è senza dubbio la prima: come sarebbe stato possibile, altrimenti, celebrare prima di Davide le feste di Pasqua e delle Capanne, nelle quali è prescritta la recita dell’Hallel? «Come avrebbero potuto i figli d’Israele immolare i loro agnelli pasquali e tenere in mano le fronde di lulav³⁹, senza dire questo canto?»⁴⁰.
È un testo importante, che rivela come l’Hallel venisse di fatto considerato, nell’esperienza viva d’Israele. «Non è possibile» celebrare la Pasqua (e la festa delle Capanne: ma di questo si dirà)⁴¹ senza il canto dell’Hallel; in altre parole: l’Hallel è così essenziale alla Pasqua che senza di esso la Pasqua non è tale, o almeno non è celebrata in modo legittimo.
Il «perché» di questo è poi spiegato nella Aggadah di Pasqua, dove si introduce l’Hallel in questo modo: «In ogni singola generazione l’uomo deve considerarsi come uscito dall’Egitto: ... perciò, noi abbiamo il dovere di ringraziare... e di dire il canto nuovo», cioè l’Hallel⁴². Dal per noi dell’opera salvifica compiuta nell’esodo deriva quindi il noi dobbiamo della nostra risposta; e, se la Pasqua è un evento che si compie oggi a nostro favore, noi non possiamo non esserne, oggi, tutti personalmente coinvolti e grati. Ma lo strumento di questa partecipazione attuale e personale — che consiste essenzialmente nella lode — è l’Hallel: solo esso interpreta il rito che si compie celebrando la Pasqua, e solo esso esprime degnamente — con parole di Dio e nel modo a lui gradito — la fede e la gioia dell’Israele salvato.
Per questo, l’Hallel lo si imparava prestissimo, fra i primi rudimenti della preghiera ebraica; anche i piccoli, infatti, dovevano pur partecipare al rito della Pasqua: ma «come avrebbero potuto», senza conoscere l’Hallel? Così, prima ancora di saper leggere, lo dicevano «nella scuola, ripetendo frase per frase»⁴³, per imprimerselo nella memoria e assorbire, insieme con le sue parole sante, la coscienza di appartenere al popolo dei redenti⁴⁴.
LA CELEBRAZIONE LITURGICA DELL’HALLEL
Testo vivo di preghiera, generato da un evento salvifico e composto per una celebrazione liturgica, l’Hallel può comprendersi soltanto alla luce del rito nel corso del quale veniva cantato. Cioè, primariamente, del rito della Pasqua. Ogni versetto, allora, acquista una portata immensa e si arricchisce di risonanze di inimmaginabile bellezza; al di fuori di questo contesto, tutto rischia di banalizzarsi e di appiattirsi.
L’Hallel veniva dunque cantato, con il massimo di solennità, la sera del 14 di Nisan nel tempio, durante l’immolazione dell’agnello⁴⁵, e il giorno successivo, dovunque fosse raccolta una comunità orante, dopo la amidah⁴⁶. Ma, poiché momento importantissimo della Pasqua era la sua celebrazione nelle case, anche là — durante la cena presieduta dal capo della famiglia e consumata durante la notte fra il 14 e il 15 di Nisan — veniva recitato l’Hallel.
Dopo una formula d’introduzione⁴⁷, se ne diceva la prima parte, comprendente il Sal. 113 (secondo gli hilleliti e nell’uso attuale, anche il 114), prima del pasto vero e proprio, cioè prima che si bevesse il secondo calice; detto «calice dell’aggadah»⁴⁸; la parte rimanente, sino al termine del Sal. 118, la si diceva dopo il pasto, cioè dopo la mescita del quarto calice (detto appunto «calice dell’Hallel»)⁴⁹.
Dalla Pasqua, verso cui converge e da cui deriva tutta la vita liturgica d’Israele, l’Hallel passò in altre feste dell’anno, divenendo come il segno della loro importanza e solennità: si diceva, infatti, completo, anche «gli otto giorni della festa delle Capanne, gli otto giorni della festa della Dedicazione del tempio, ... e il primo giorno della festa di Pentecoste»⁵⁰.
Fino al punto che «festa» (come celebrazione di evento storico-salvifico) e Hallel divennero in qualche modo termini complementari: l’Hallel per la festa e la festa con l’Hallel⁵¹.
Tanto legato alla festa era l’Hallel che, secondo prescrizioni molto autorevoli, al di fuori delle solennità non lo si sarebbe potuto recitare: «Chi dice l’Hallel ogni giorno, lo svilisce e lo profana», sentenziava il Talmud⁵².
Non bastava perciò, o non avrebbe dovuto bastare, «dirlo», cioè leggerlo o recitarlo in modo piano; occorreva, potendo, come conveniva a una celebrazione solenne, eseguirlo «con bellezza»⁵³: cioè con forza, con slancio, con entusiasmo, fino a «far crollare i tetti». Un canto festoso, dunque, e pieno di esultanza: al binomio Hallel-festa si associava così inevitabilmente quello di Hallel-gioia.
Per questo, non si celebra l’Hallel nei giorni penitenziali — chiamati «i giorni tremendi» — di Capodanno e di Kippur, che ricordano il giudizio finale e invitano alla compunzione; quest’eccezione liturgica — secondo una tradizione midrashica — sembrò strana anche agli angeli (come mai giorni così solenni senza l’Hallel?), ma Dio stesso si premurò di spiegarne il senso: «È forse possibile che, quando il Re si asside sul trono del giudizio e i libri dei vivi e i libri dei morti sono aperti davanti a lui, i figli d’Israele dicano questo canto davanti a me?»⁵⁴.
Resta soltanto il problema della settimana di Pasqua, nella quale è prevista solo la recita incompleta dell’Hallel. Ma anche per questo c’è una ragione: l’Hallel non lo si dice che in parte, per riguardo agli Egiziani morti. Anch’essi infatti sono creature di Dio, e Dio non vuole che si gioisca (e Hallel significa gioia!) «sulle sue creature che periscono»⁵⁵.
Così — per definizione — gioiosa, la recita dell’Hallel era di fatto animatissima; e testi della Mishna⁵⁶ e del Talmud⁵⁷ spiegano come, secondo diversi riti e tradizioni, lo si doveva celebrare. Uno dei modi più comuni e antichi comportava la ripetizione di alleluia a ogni mezzo versetto dei salmi⁵⁸: che faceva, in totale, il bel numero di 123 alleluia⁵⁹.
Man mano si procedeva verso la fine, presumibilmente l’alleluia doveva farsi sempre più forte e il ritmo più serrato e travolgente; anzi, ad aumentare l’impeto e la gioia, era anche previsto che Sal. 118, 21-29 venisse ripetuto⁶⁰, oppure che si cantasse a cori alterni con la ripresa responsoriale di alcuni versetti⁶¹.
L’INTERPRETAZIONE GLOBALE DELL’HALLEL
La collocazione liturgica dell’Hallel ne comanda, oltre allo spirito e alle modalità dell’esecuzione, anche l’interpretazione complessiva.
Ora, occorre notare come, nella coscienza teologica d’Israele, la Pasqua non sia soltanto l’evento culminante dell’esodo direttamente evocato dal suo nome (cioè il «passare oltre» dell’angelo sterminatore, per la salvezza degli Ebrei e la punizione degli Egiziani)⁶², ma includa tutta la storia della salvezza: tutti gli interventi salvifici sono infatti, come il primo esodo, elezione gratuita e manifestazione di misericordia, vittorie sui nemici e preannunci del compimento escatologico.
Perciò l’Hallel, che è interpretazione autentica della celebrazione pasquale, esprime essenzialmente anche questa visione globale della storia della salvezza.
«Dal momento che abbiamo il Grande Hallel (cioè il Sal. 136), che bisogno c’è di questo (Hallel di Pasqua)?» —si chiede il Talmud⁶³. E risponde: «È perché in esso (cioè: nel nostro Hallel) sono contenute queste cinque cose: l’uscita d’Israele dall’Egitto, la divisione del Mar Rosso, il dono della Torah, la risurrezione dei morti, e le doglie del Messia. L’uscita dall’Egitto, poiché c’è scritto: Quando Israele uscì dall’Egitto⁶⁴; la divisione del mare, poiché c’è scritto: Il mare vide e fuggì⁶⁵; il dono della Torah, poiché c’è scritto: I monti danzarono come arieti⁶⁶; la risurrezione dei morti, poiché c’è scritto: Camminerò davanti al Signore⁶⁷; le doglie del Messia, poiché c’è scritto: Non per noi, Signore, non per noi⁶⁸. Disse R. Jochanan⁶⁹: Non per noi, Signore, non per noi è la schiavitù sotto i regni delle nazioni; altri dicono che R. Jochanan disse: