Dall'integrazione all'inclusione: Il nuovo profilo del docente di sostegno
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persone con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), con Bisogni Educativi Speciali (BES) e degli alunni stranieri. Non mancano, inoltre, cenni comparati utili ad allargare lo sguardo sugli altri paesi europei.
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Dall'integrazione all'inclusione - Francesco Magni
Francesco Magni
Dall'integrazione all'inclusione
Il nuovo profilo del docente di sostegno
Tutti i volumi pubblicati nelle collane dell’editrice Studium Cultura
ed Universale
sono sottoposti a doppio referaggio cieco. La documentazione resta agli atti. Per consulenze specifiche, ci si avvale anche di professori esterni al Comitato scientifico, consultabile all’indirizzo web http://www.edizionistudium.it/content/comitato-scientifico-0.
Per l’immagine di copertina, autore ed editore sono disponibili per eventuali aventi diritto.
Copyright © 2018 by Edizioni Studium - Roma
ISBN 978-88-382-4648-7
www.edizionistudium.it
ISBN: 9788838246487
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Indice dei contenuti
I.L’integrazione scolastica delle persone con disabilità
1. Le norme costituzionali
2. Handicappato, disabile, persona con disabilità: solo una questione terminologica?
3. Cenni storici sull’evoluzione della normativa nazionale...
4 ...ed internazionale
5. Quanti alunni con disabilità?
6. La normativa vigente
7. L’accertamento della disabilità e il Profilo di funzionamento
8. La valutazione degli alunni con disabilità
9. L’insegnante di sostegno e l’educatore professionale
10. Servizi per il diritto allo studio
a) I servizi di trasporto scolastico
b) I servizi di assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale degli studenti
c) I servizi integrativi di inclusione scolastica per studenti con disabilità sensoriale
11. Alcuni casi giurisprudenziali
a) Il diritto all’istruzione della persona con disabilità come diritto fondamentale
b) Quale giurisdizione? Tra giurisdizione civile e amministrativa
c) Esiste un diritto alla continuità educativo-didattica?
d) Il PEI deve indicare espressamente le ore di sostegno?
e) Quali responsabilità e doveri del dirigente scolastico nel caso di assegnazione di un numero di insegnanti/ore di sostegno inferiori a quelli necessari?
f) Sussiste la possibilità di un risarcimento del danno?
II. L’integrazione scolastica delle persone con disturbi specifici di apprendimento (DSA)
1. Qualche dato statistico
2. Framework normativo
2.3 Casi giurisprudenziali
a) La valutazione degli studenti con DSA
b) La mancata adozione del Piano Didattico Personalizzato (PDP)
c) La mancata attuazione del Piano Didattico Personalizzato (PDP)
d) L’importanza del verbale del Consiglio di Classe
e) La collaborazione scuola-famiglia
2.4 Uno sguardo comparato
a) Spagna
b) Inghilterra
c) Francia
d) Germania
III. L’inclusione scolastica delle persone con bisogni educativi speciali (BES)
1. Framework normativo
2. Recenti casi giurisprudenziali
IV. L'inclusione scolastica degli studenti stranieri
1. Un contesto che cambia
2. Framework normativo
a) L’iscrizione
b) La documentazione
c) La valutazione
d) L’importanza dell’orientamento
3. Il mediatore culturale
4. Cenni comparati
Spunti conclusivi
Appendice normativa e giurisprudenziale
Riferimenti bibliografici
CULTURA
Studium
112.
Francesco Magni
DALL’INTEGRAZIONE ALL’INCLUSIONE
Il nuovo profilo del docente di sostegno
AVVERTENZA
Prima di affrontare l’ambito della legislazione volta all’integrazione e all’inclusione scolastica delle persone con disabilità, DSA e BES, appare opportuno che il lettore si fornisca di una ancorché sintetica consapevolezza degli elementi fondamentali del diritto pubblico, in particolare per quanto riguarda la nozione di ordinamento giuridico e il sistema delle fonti del diritto. A questo scopo possono essere un valido strumento i testi, ex multis, di N. Zanon (Ed.), Nozioni di diritto costituzionale, Giappichelli, Torino 2007; T. Groppi, A. Simoncini, Introduzione allo studio del diritto pubblico e delle sue fonti, Giappichelli, Torino 2017. Allo stesso modo, indispensabile appare la conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento complessivo del sistema di istruzione e formazione italiano, che tenga conto non solo delle ultime novità normative ed ordinamentali (sul punto sia consentito rinviare alla mia Guida del docente a.s. 2017/2018. Diritti e doveri dell’insegnante del secondo ciclo dopo i decreti attuativi della legge 107/2015, Edizioni Studium, formato e-book, 2017), ma anche di un opportuno approfondimento sul tema dell’autonomia delle istituzioni scolastiche (sul tema si rinvia a G. Bertagna, Autonomia. Storia, bilancio e rilancio di un’idea, Editrice La Scuola, Brescia 2008).
«Se il diritto si costituisse solo sulle decisioni dei popoli, attraverso i decreti dei principi, per le sentenze dei giudici, allora ci sarebbe il diritto di rubare, di commettere adulterio e di falsificare i testamenti, qualora questo fosse approvato attraverso i decreti [...]. Se la legge positiva può rendere l’ingiusto giusto, perché non può fare di ogni male un bene? In realtà noi non possiamo distinguere una legge buona da una cattiva in nessun altro modo se non in base ad una norma della natura; non solo il giusto e l’ingiusto vengono distinti per natura, ma anche tutto ciò che è buono e ciò che è turpe».
Cicerone, De legibus, I, XVI, 43-44
«La Costituzione che l’Italia si è ora data è una sfida a questa visione pessimistica dell’avvenire. Essa afferma due principi solenni: conservare della struttura sociale presente tutto ciò e soltanto ciò che è garanzia della libertà della persona umana contro l’onnipotenza dello stato e la prepotenza privata; e garantire a tutti, qualunque siano i casi fortuiti della nascita, la maggiore uguaglianza possibile nei punti di partenza».
Luigi Einaudi, discorso 12 maggio 1948
«A differenza dei miei colleghi ebbi l’intuizione che la questione dei deficienti fosse prevalentemente pedagogica anziché medica; e mentre molti parlavano nei congressi medici del metodo medico-pedagogico per la cura e l’educazione dei fanciulli frenastenici, io ne feci argomento di educazione morale».
Maria Montessori, La mente del bambino, Garzanti, Milano 1970, p. 26.
I.L’integrazione scolastica delle persone con disabilità
La tutela del diritto all’istruzione delle persone con disabilità è al centro dell’attenzione da parte delle istituzioni nazionali ed internazionali ormai da parecchi decenni, almeno a partire dalla Dichiarazione dei diritti delle persone con disabilità approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 9 dicembre 1975 [1] .
Anche nel nostro Paese, così come in numerosi Stati Membri dell’Unione Europea [2] , l’evoluzione normativa dell’integrazione scolastica degli studenti con disabilità ha subito negli ultimi anni importanti interventi da parte del legislatore e del Ministero dell’Istruzione [3] . Su tutte, rimangono norme primarie di riferimento la legge n. 104 del 1992 [4] sulla disabilità, la legge n. 170 del 2010 [5] e le successive integrazioni per gli alunni con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) e la legge n. 53 del 2003 [6] sul tema della personalizzazione. Accanto a numerosi provvedimenti normativi, la stessa giurisprudenza costituzionale e amministrativa sono intervenute più volte per meglio definire e declinare la singola portata delle norme in questione.
Prima di addentrarsi nell’analisi della legislazione di primo e secondo livello, appare opportuno fornire un breve richiamo delle principali norme costituzionali in materia.
[1] United Nation General Assembly, Resolution n. 3447 (XXX), 9 dicembre 1975. Si veda anche K. D. Beiter, The Protection of the Right to Education by International Law, International studies in human right, vol. 82, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden 2006, pp. 131-138.
[2] Per un quadro sintetico della situazione in Europa si rimanda alla pubblicazione curata dall’European Agency for Development in Special Needs Education, Special Needs Education Country Data 2012, Odense, Denmark, 2012.
[3] Per una panoramica storica dell’evoluzione normativa in quest’ambito si rimanda ai testi di O. Sagramola, L’inserimento scolastico degli handicappati. Principi e norme, La Scuola, Brescia 1989; P. Crispiani, Pedagogia speciale e normativa sull’handicap, Armando, Roma 1995; N. D’Amico, Storia e storie della scuola italiana, cap. 35 L’integrazione dei diversamente abili, Zanichelli, Bologna 2009, pp. 623-630.
[4] Legge 5 febbraio 1992, n. 104 Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate
. Per un approfondimento si rimanda a M. Tortello, Integrazione degli handicappati, La Scuola, Brescia 1996, in particolare pp. 45-53.
[5] Legge 8 ottobre 2010, n. 170 Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico
.
[6] Legge 28 marzo 2003, n. 53 Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale
.
1. Le norme costituzionali
La legislazione riguardante l’integrazione scolastica delle persone con disabilità, trova il suo fondamento nella Carta Costituzionale e, in particolare, negli articoli 2, 3, 34 e 38 [1] .
È innanzitutto la Costituzione che nella sua interezza prefigura e traccia una visione personalista, esplicitata nell’art. 2 ma che pervade e si diffonde in tutto il testo, secondo la quale, per usare le parole di Costantino Mortati, «la possibilità di avere accesso, in condizioni di parità, al sistema di istruzione rappresenta una condizione della formazione e del pieno sviluppo della personalità, consentendo al contempo un ulteriore effetto promozionale nel senso del personalismo e del pluralismo. Il ribaltamento del rapporto persona-istituzione si afferma anche con riferimento all’istruzione, al cui interno la scuola può essere intesa, ai sensi dell’art. 2 Cost., quale formazione sociale all’interno ed attraverso la quale si svolge la personalità degli individui che la compongono» [2] . Analogamente, Crisafulli ha affermato che il combinato disposto dagli artt. 2, 3, 34, 38 Cost. sancisce «il diritto di ognuno di ricevere una adeguata istruzione ed educazione per la formazione della sua personalità e l’assolvimento dei compiti sociali» [3] .
La possibilità, dunque, per tutti e per ciascuno di accedere al sistema di istruzione e di poter quindi sviluppare la propria personalità da un lato è vista come un contributo al bene comune (personale e di tutta la società); dall’altro afferma quel ribaltamento del rapporto tra la singola persona e le varie istituzioni ed enti che compongono la Repubblica (Stato in primis), sancendo con quel riconosce
dell’art. 2 una preminenza della prima rispetto alle seconde.
Art. 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» (c.d. principio personalista
).
Il principio personalista, dunque, come affermato in seguito dalla stessa Corte Costituzionale, «ispira la Carta costituzionale e pone come fine ultimo dell’organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana» [4] , che diviene così titolare «di quei diritti che formano il patrimonio irretrattabile della personalità umana: diritti che appartengono all’uomo inteso come essere libero» [5] . Tali diritti fondamentali vanno a costituire così «il patrimonio irriducibile della dignità umana, che la Repubblica si impegna a salvaguardare» [6] .
Un altro principio di fondamentale importanza è quello di uguaglianza, nella sua duplice distinzione formale e sostanziale, sancito dall’art. 3 della Costituzione:
Art. 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (uguaglianza formale
). «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (uguaglianza sostanziale
).
All’art. 5 troviamo la descrizione della visione policentrica
e non statocentrica
della Repubblica: pur nella sua unicità ed indivisibilità, infatti, la Costituzione prevede la promozione delle autonomie e del decentramento, favorendo così la nascita di molti poli, rispetto alla rigidità e uniformità di un accentramento.
Art. 5: «La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento».
Per l’ambito che qui interessa, un particolare richiamo meritano l’art. 34 e l’art. 38, che mirano all’«effettiva realizzazione del diritto all’istruzione in condizioni di uguaglianza, pluralismo e libertà di espressione» [7] .
Infatti, come è stato sottolineato, il diritto all’istruzione costituisce il «piedistallo per il pieno sviluppo della personalità umana e fonte di uguaglianza sostanziale» [8] . E ancora: se l’educazione può essere definita come «l’effetto finale complessivo e formativo della persona in tutti i suoi aspetti» [9] , l’istruzione come quel «servizio pubblico strumentale ed essenziale per assicurare il pieno sviluppo della persona umana e la sua elevazione economica e sociale anche rispetto alla iniziale e sfavorevole condizione di partenza di taluno» [10] .
Art. 34: «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso».
Art. 38: «Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale».
La stessa Corte Costituzionale nella celebre sentenza n. 215/1987 si è così espressa: «statuendo che la scuola è aperta a tutti
, e con ciò riconoscendo in via generale l’istruzione come diritto di tutti i cittadini, l’art. 34 Cost. pone un principio nel quale la basilare garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità apprestata dall’art. 2 Cost. trova espressione in riferimento a quella formazione sociale che è la comunità scolastica. L’art. 2 poi si raccorda e si integra con l’altra norma, pure fondamentale, di cui all’art. 3, secondo comma, che richiede il superamento delle sperequazioni di situazioni sia economiche che sociali suscettibili di ostacolare il pieno sviluppo delle persone dei cittadini».
Come è stato sostenuto, infatti, applicando i principi personalistico, pluralistico e solidaristico al contesto dell’istruzione,
«appare agevole individuare il centro del fascio di interessi che lo caratterizzano: la persona, la quale "rappresenta il crocevia del rapporto tra libertà, eguaglianza, dignità umana e solidarietà" [11] . Dai lavori preparatori e da una lettura sistematica dell’articolo 34 della Costituzione emerge chiaramente [...] il nesso teleologico e funzionale che tiene assieme le norme costituzionali in materia di istruzione ed i principi espressi dagli articoli 2 e 3, secondo comma, della Costituzione italiana. Appare possibile affermare che il ribaltamento compiuto da questi ultimi della concezione del rapporto tra persona e Stato, fondato sui principi del personalismo, pluralismo, solidarietà sociale e laicità, si riflette anche nell’ambito dell’istruzione irradiandolo di un significato profondamente innovatore
[12] » [13] .
[1] In tema, ex multis, F. Furlan, La tutela costituzionale del cittadino portatore di handicap, in Terzo settore, statualità e solidarietà sociale, a cura di C. Cattaneo, Milano 2001, pp. 258 ss; L. Violini, Art. 38, in Commentario alla Costituzione, a cura di M. Celotto-R. Bifulco-A. Olivetti, Torino 2006, I, pp. 791 ss; C. Colapietro, Diritti dei disabili e Costituzione, Napoli 2011, pp. 56 ss.
[2] C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova 1958, p. 759.
[3] V. Crisafulli, La scuola nella Costituzione, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1956, p. 75.
[4] Sentenza Corte Costituzionale n. 167/1999.
[5] Sentenza Corte Costituzionale n. 11/1956.
[6] S. Mangiameli, Il contributo dell’esperienza costituzionale italiana alla dommatica europea della tutela dei diritti fondamentali, in Corte costituzionale e processo costituzionale, a cura di A. Pace, Milano 2006, p. 478.
[7] Ibid., p. 269.
[8] A. Poggi, Art. 34, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco-A. Celotto-M. Olivetti, vol. I, Utet, Torino 2006, p. 705.
[9] Sentenza Corte Costituzionale n. 7/1967.
[10] A. D’Andrea, Diritto all’istruzione e ruolo della Repubblica: qualche puntualizzazione di ordine costituzionale, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, marzo 2010.
[11] A. Sandulli, Istruzione, voce in «Dizionario giuridico. Diritto pubblico», diretto da S. Cassese, vol. IV, Giuffrè, Milano 2006, p. 3308, che in precedenza a p. 3306 aveva affermato come nelle norme costituzionali «assume rilievo centrale l’ottica della persona (individuo, cittadino, utente) anziché quella del soggetto pubblico erogante il servizio [...] lo studente viene posto al centro del sistema».
[12] U. Pototsching, Istruzione (diritto alla), in «Enciclopedia Giuridica», XXIII, Giuffrè, Milano 1973, p. 98.
[13] S. Penasa, La persona e la funzione promozionale della scuola: la realizzazione del disegno costituzionale e il necessario ruolo dei poteri pubblici. I casi dell’istruzione delle persone disabili e degli alunni stranieri, in Tra amministrazione e scuola. Snodi e crocevia del diritto scolastico italiano, a cura di F. Cortese, Editoriale Scientifica, Napoli 2014, p. 7.
2. Handicappato, disabile, persona con disabilità: solo una questione terminologica?
Nel passato, come si vedrà nel prossimo paragrafo, la legislazione ha usato termini quali anomalia, anormalità, inabilità, minorazione per definire situazioni di menomazione e caratterizzare persone affette da deficit organici o psichici [1] .
Come si è visto, la stessa Costituzione all’art. 38 – a tutt’oggi vigente ma scritto nel 1946-1948 – parla di inabili
e minorati
. É evidente che le parole e i termini utilizzati, in generale ma ancor più quando sono utilizzati in un testo normativo, hanno un loro peso specifico e un loro valore intrinseco. Inoltre, questi segnalano l’evoluzione e i cambiamenti della società.
Se, infatti, in epoche remote, per riferirsi alle persone con disabilità si utilizzava il termine anormali
, a partire dal XIX secolo inizia un percorso di presa di maggior consapevolezza e di maturazione sul tema: con Jean Etienne Esquirol (1818) si iniziò a parlare di idiozia
mentre Johann Gugghenbuehl fondò un istituto per l’educazione dei cretini
. Per la Montessori si trattava di fanciulli frenastenici
, mentre le leggi italiane di inizio ’900 parlavano di minorati
per poi mutare tale termine a cavallo degli anni ’60-’70 in svantaggiati
.
Come si vedrà, la fondamentale legge n. 104 del 1992 nella sua rubrica parla di persone handicappate
, mentre circa un decennio più tardi il DPCM n. 185/2006 recava norme riguardanti soggetti in situazione di handicap
.
La parola handicap
risulta dalla fusione di tre termini: " hand
in
cap, (letteralmente
mano nel cappello"). Come sottolineato, «tale era il nome di un gioco d’azzardo inglese del ’600 che consisteva nell’estrarre, affidandosi al caso, monete di pezzatura uguale ma di valore diverso. Nel ’700 questa parola entrò nella terminologia ippica inglese, indicando le penalità che venivano addebitate ai cavalli migliori, allo scopo di offrire, anche ai destrieri meno favoriti, le stesse possibilità di vittoria» [2] . Con un handicap ben studiato, infatti, tutti i partecipanti erano in grado di vincere la competizione, che diventava così molto più interessante ed aleatoria.
Da qui il significato traslato di handicap come svantaggio, affermata nella definizione data nel 1980 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): «Nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute l’handicap è la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o a una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, sesso e fattori socio-culturali» [3] .
Come è stato sottolineato dai primi commentatori, in tale definizione «non è agevole enucleare la situazione di normalità in rapporto alla quale si viene a individuare il concetto di handicap; inoltre essendo proposta dall’OMS fa prevalentemente riferimento all’assistenza sanitaria, lasciando in ombra altri aspetti, come quelli lavorativi e sociali, che pure sono molto importanti per la valutazione» [4] .
In questo senso appare forse più completa la precedente definizione fornita dal Consiglio delle Comunità Economiche Europee del 27 giugno 1974 laddove si affermava che la
«menomazione è la limitazione delle capacità fisiche o mentali, congenita o acquisita, che si ripercuote sulle attività correnti o sul lavoro di una persona, riducendo il suo contributo alla vita sociale, la sua attività professionale e la sua capacità di utilizzare i servizi pubblici. Handicappato è la persona la cui menomazione (o minaccia di) è riconosciuta dall’autorità all’uopo designata, ai fini del trattamento. Riadattamento è il complesso delle misure intese a stabilire e a mantenere rapporti, il più possibile soddisfacenti, tra una persona e il suo ambiente, dopo l’insorgere di una menomazione, ovvero di una lesione o di una malattia generatrice di menomazione».
[Consiglio CEE, 27 giugno 1974]
Handicap non è dunque il deficit ma è lo svantaggio conseguente al deficit. Nel 2001 dalle definizioni dell’OMS «scompare il termine handicap
perché non esiste l’handicap, né l’handicappato, ma esistono persone, uomini, donne, giovani, bambini che hanno dei problemi a livello del funzionamento mentale, fisico, sensoriale, le quali hanno bisogno di essere tutelate dalla nostra società, con urgenza, per esprimere al massimo le proprie potenzialità» [5] .
Nel 1980 l’OMS aveva dato una definizione di disabilità
: «Nell’ambito delle evenienze inerenti alla salute si intende per disabilità qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano».
La dicitura che appare dunque più corretta è quella di persona con disabilità
, evitando forzature linguistiche improprie quali portatore di handicap
o diversamente abile
.
[1] Cfr. O. Sagramola, L’inserimento scolastico degli handicappati. Principi e norme, Editrice