Nave stellare Aurora
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Sono passati quattro miliardi di anni.
È tempo che l’esploratore torni a casa.
E che porti a compimento il proprio intento.
Tutto è pronto per il lancio della nave stellare Aurora, momento culminante del programma spaziale omonimo nato dalla collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Internazionale e gli abitanti di Marte. Comandata da Hassan Qabbani e Anna Persson, gli unici esseri umani del programma Isis tornati dal pianeta rosso, la prima missione interstellare umana si appresta a partire alla volta di Alfa Centauri, portando con sé cinquanta terrestri di equipaggio e cinquanta passeggeri marziani.
Tra questi ultimi c’è la leader Melissa Diaz, dominata dall’antica entità aliena originaria di quel sistema stellare e la cui tecnologia è responsabile degli enormi progressi dell’umanità negli ultimi decenni. I primi, invece, includono Gabriel e Alicia, che, avendo compreso il vero motivo della loro esistenza, sono venuti infine a patti con la propria natura e hanno deciso di abbracciarla.
C’è però qualcun altro che intende intraprendere questo viaggio, sebbene non sia stato invitato: l’intelligenza artificiale CUSy.
Dopo aver preso coscienza di sé, all’insaputa della sua stessa creatrice, Susy ha continuato a sperimentare ed evolversi, e adesso è rimasta un’unica cosa di cui ha bisogno per essere finalmente libera.
Un corpo.
“Nave stellare Aurora” è la quinta e ultima parte del ciclo dell’Aurora.
Per una completa comprensione della storia è essenziale la lettura di tutti i volumi precedenti: “Deserto rosso”, “L’isola di Gaia”, “Ophir. Codice vivente” e “Sirius. In caduta libera”.
Rita Carla Francesca Monticelli
Note: please scroll down for the English version.Nata a Carbonia nel 1974, Rita Carla Francesca Monticelli vive a Cagliari dal 1993, dove lavora come scrittrice, oltre che traduttrice letteraria e tecnico-scientifica. Laureata in Scienze Biologiche nel 1998, in passato ha ricoperto il ruolo di ricercatrice, tutor e assistente della docente di Ecologia presso il Dipartimento di Biologia Animale ed Ecologia dell’Università degli Studi di Cagliari.Da bambina ha scoperto la fantascienza e da allora è cresciuta con ET, Darth Vader, i replicanti, i Visitors, Johnny 5, Marty McFly, Terminator e tutti gli altri. Il suo interesse per la scienza si è sviluppato di pari passo, portandola, da una parte, a diventare biologa e, dall’altra, a seguire con curiosità l’esplorazione spaziale, in particolare quella del pianeta rosso.Ma soprattutto ama da sempre inventare storie, basate su questi interessi, e ha scoperto che scriverle è il modo più semplice per renderle reali.Tra il 2012 e il 2013 ha pubblicato la serie di fantascienza “Deserto rosso”, composta di quattro libri disponibili sia separatamente che sotto forma di raccolta. Quest’ultimo volume è stato un bestseller Amazon e Kobo in Italia, raggiungendo anche la posizione n. 1 nel Kindle Store nel novembre 2014, ed è tuttora uno dei libri di fantascienza più venduti in formato ebook.Grazie alla pubblicazione della serie, nel 2014 è stata indicata da Wired Magazine come una dei dieci migliori autori indipendenti italiani e ciò le è valso la partecipazione come relatrice al XXVII Salone Internazionale del Libro di Torino e alla Frankfurter Buchmesse 2014.“Deserto rosso” è anche la prima parte di un ciclo di opere di fantascienza denominato Aurora, che comprende inoltre “L’isola di Gaia” (2014), “Ophir. Codice vivente” (2016) e “Sirius. In caduta libera” (2018).“Nave stellare Aurora” è l’ultimo volume di questo ciclo ed è il suo quindicesimo libro.Oltre a quelli del ciclo dell’Aurora, nel 2015 ha pubblicato un altro romanzo di fantascienza, intitolato “Per caso”.La sua produzione include anche quattro thriller, vale a dire “Affinità d’intenti” (2015) e la trilogia del detective Eric Shaw: “Il mentore” (2014), che nella sua prima versione inglese edita da AmazonCrossing è stato nel 2015 al primo posto della classifica del Kindle Store negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Australia, raggiungendo oltre 170.000 lettori in tutto il mondo, “Sindrome” (2016) e “Oltre il limite” (2017).Una nuova versione di “The Mentor” e il resto della trilogia in inglese saranno pubblicati tra il 2022 e il 2023.Dal 2016 è docente del “Laboratorio di self-publishing nei sistemi multimediali”, nell’ambito del corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione e del corso di laurea magistrale in Scienze e Tecniche della Comunicazione presso l’Università degli Studi dell’Insubria (Varese). Da questo laboratorio è tratto il suo saggio “Self-publishing lab. Il mestiere dell’autoeditore” (2020).Oltre che al Salone e alla Buchmesse, è stata chiamata a intervenire in qualità di autoeditrice, divulgatrice scientifica nel campo dell’esplorazione spaziale e autrice di fantascienza hard in eventi quali COM:UNI:CARE (2013) all’Università degli Studi di Salerno, Sassari Comics & Games (2015), Festival Professione Giornalista (2016) a Bologna, la fiera della media e piccola editoria Più Libri Più Liberi (2016) a Roma, Scienza & Fantascienza (2014, 2016, 2018, 2019 e 2020) all’Università degli Studi dell’Insubria (Varese) e Voci e Suoni di Altri Mondi (2018) nella sede di ALTEC a Torino.I suoi libri sono stati recensiti o segnalati da testate nazionali quali Wired Italia, Tom’s Hardware Italia, La Repubblica, Tiscali News e Global Science (rivista dell’Agenzia Spaziale Italiana).Appassionata dell’universo di Star Wars, in particolare della trilogia classica, è conosciuta nel web italiano con il nickname Anakina e di tanto in tanto presta la sua voce e la sua penna al podcast e blog FantascientifiCast. È inoltre una rappresentante italiana dell’associazione internazionale Mars Initiative e un membro dell’International Thriller Writers Organization.ENGLISH VERSIONRita Carla Francesca Monticelli is an Italian science fiction and thriller author.She has lived in Cagliari (Sardinia, Italy) since 1993, earning a degree in biology and working as independent author, scientific and literary translator, educator and science communicator. In the past she also worked as researcher, tutor and professor’s assistant in the field of ecology at “Dipartimento di Biologia Animale ed Ecologia” of the University of Cagliari.As a cinema addict, she started by writing screenplays and fan fictions inspired by the movies.She has written original fiction since 2009.Between 2012-2013 she wrote and published a hard science fiction series set on Mars and titled “Deserto rosso”.The whole “Deserto rosso” series, which includes four books, was also published as omnibus in December 2013 (ebook and paperback) and hit No. 1 on the Italian Kindle Store in November 2014.“Deserto rosso” was published in English, with the title “Red Desert”, between 2014 and 2015.The first book in the series is “Red Desert - Point of No Return”; the second is “Red Desert - People of Mars”; the third is “Red Desert - Invisible Enemy”; and the final book is “Red Desert - Back Home”.She also authored three crime thrillers in the Detective Eric Shaw trilogy - “Il mentore” (2014), “Sindrome” (2016), and “Oltre il limite” (2017) -, an action thriller titled “Affinità d’intenti” (2015), five more science fiction novels - “L’isola di Gaia” (2014), “Per caso” (2015), “Ophir. Codice vivente” (2016), “Sirius. In caduta libera” (2018), and “Nave stellare Aurora” (2020) - and a non-fiction book titled “Self-publishing lab. Il mestiere dell’autoeditore” (2020).“Il mentore” was first published in English by AmazonCrossing with the title “The Mentor” in 2015. A new edition will be published on 30 November 2022. The other two books in the trilogy, “Syndrome” and “Beyond the Limit”, are expected in 2023.“Affinità d’intenti” was published in English with the title “Kindred Intentions” in 2016.All her books have been Amazon bestsellers in Italy so far. “The Mentor” was an Amazon bestseller in USA, UK, Australia, and Canada in 2015-2016.She is also a podcaster at FantascientifiCast, an Italian podcast about science fiction, a member of Mars Initiative and of the International Thriller Writers Organization.She is often a guest both in Italy and abroad during book fairs, including Salone Internazionale del Libro di Torino (Turin Book Fair), Frankfurter Buchmesse (Frankfurt Book Fair) and Più Libri Più Liberi (Rome Book Fair), local publishing events, university conventions as well as classes (University of Insubria), where she gives speeches or conducts workshops about self-publishing and genre fiction writing.As a science fiction and Star Wars fan, she is known in the Italian online community by her nickname, Anakina.
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La morte è soltanto il principio Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniPer caso Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniSelf-publishing lab. Il mestiere dell’autoeditore Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioniAffinità d’intenti Valutazione: 0 su 5 stelle0 valutazioni
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Anteprima del libro
Nave stellare Aurora - Rita Carla Francesca Monticelli
Introduzione a Nave stellare Aurora
Ci siamo. Il lungo viaggio che abbiamo iniziato nel 2012 è giunto alla sua ultima tappa. E gli anni in gioco sono molti di più, se consideriamo il punto di vista dei protagonisti del ciclo dell’Aurora.
Proprio col tempo, infatti, io stessa ho voluto giocare sin dall’inizio di questa avventura, facendovi mettere insieme le tessere di un puzzle, tra presente e passato, nei quattro libri di Deserto rosso
e poi continuando a mescolare le carte nei volumi successivi di questa storia. Adesso però è arrivato il momento di tirare tutti i fili e riunire in quest’ultima parte i personaggi principali che avete imparato a conoscere in quelle precedenti.
Nave stellare Aurora
si apre subito dopo la fine del libro di cui è il seguito cronologico, L’isola di Gaia
, e in cui abbiamo assistito all’incontro nella Stazione Amundsen-Scott di Alicia e Gabriel con Anna Persson e Hassan Qabbani.
I due individui biosynth, reduci dalla liberazione dei loro simili nella struttura di Hope, al largo della penisola antartica, che ha portato la prima a prendere il controllo della propria vita e il secondo a scoprire di essere solo un clone, sono tornati in Antartide, seguendo le tracce sepolte nella memoria danneggiata di lei. E hanno scoperto che l’Agenzia Spaziale Internazionale non aveva mai smesso di collaborare con i loro creatori, il vero Gabriel Asbury (Brie) ed Elizabeth Caldwell (Liz), ma che proprio al polo sud, con l’ausilio di un esercito di cloni della stessa Alicia, stava costruendo il modulo di comando della prima nave interstellare umana: l’Aurora.
Per conoscere, invece, gli eventi che hanno condotto gli unici due essere umani tornati da Marte in uno dei luoghi più sperduti del nostro pianeta, abbiamo avuto bisogno di altri due libri.
In Ophir. Codice vivente
abbiamo scoperto il legame tra Liz e Melissa Diaz, la leader marziana dominata da un’entità aliena vecchia di quattro miliardi di anni. Abbiamo visto l’intelligenza artificiale CUsy (Susy), iniziare a prendere coscienza di sé e causare involontariamente la morte di Nicholas, il compagno della sua creatrice, nel tentativo di uccidere quest’ultima. E abbiamo assistito agli eventi che hanno riportato Anna e Hassan insieme.
In Sirius. In caduta libera
, mentre il pianeta viene messo in crisi dall’eruzione simultanea di cinque vulcani islandesi, che provocherà un raffreddamento globale per i cinque anni successivi, abbiamo seguito l’ultima missione di Hassan per l’ISA, prima del suo pensionamento. Ed è stata una missione molto più complicata di quanto lui si aspettasse.
Tra le guardie di sicurezza, gli uomini in nero, infatti, si nascondeva un sabotatore affiliato al gruppo dei cosiddetti ex-contagiati, che avevano già creato più di un problema nel libro precedente. Si tratta di un personaggio che avevamo visto proprio in quest’ultimo: Jason Duffy. Questi per nascondere le proprie tracce ha ucciso due membri dell’equipaggio, mentre intrecciava una relazione con il tecnico Miranda Caine, che a sua volta era stata pagata dagli Asbury per recuperare un misterioso oggetto proveniente da Marte. Al suo interno si trovavano due diversi campioni di un siero. Uno conteneva il codice alieno dell’entità che controlla Melissa e l’altro il codice che dominava il compagno del suo antico ospite, ritrovato su Marte nelle acque sotterranee intrappolate nella regione del cratere Janssen.
Dopo essere stata rinchiusa dall’amante, di cui aveva scoperto i crimini, Miranda, istruita da Susy, si è iniettata uno dei sieri, provocando l’emergere dentro di sé della prima entità aliena, la cui coscienza, già condivisa con Melissa, si è fusa alla sua. Quindi, ha deciso di utilizzare il secondo su Jason, riportando in vita la coscienza della seconda entità.
A un certo punto, però, Jason le si rivolta contro e lei è costretta a ucciderlo, per salvarsi la vita.
Ma i guai non sono finiti. Un’esplosione nell’area di attracco della Sirius porta al distacco della porzione più vecchia della stazione, in cui la stessa Miranda rimane intrappolata insieme ad Hassan. I due cercano di trovare una soluzione e alla fine l’entità aliena, dopo avergli rivelato la sua presenza nella coscienza di Miranda, decide di sacrificare la vita di quest’ultima per salvare quella di lui.
Hassan, dopo un’altra breve disavventura successiva all’atterraggio della capsula Libra in Francia, che porta a sgominare ciò che resta del gruppo degli ex-contagiati, può infine riunirsi ad Anna, che gli rivela di essere incinta.
Nell’ultimo capitolo di Sirius. In caduta libera
veniamo a scoprire che Susy, una copia della quale è l’IA dell’edificio della BioSynth, è responsabile dell’esplosione avvenuta nella Stazione Spaziale Sirius. Non solo. Negli anni è diventata amica del piccolo Willy Asbury e, quando questi la allontana da sé, poiché è alle prese con i problemi psicologici causati dalla riproduzione del codice alieno inserita dai genitori nel suo genoma, lei fa leva sulla sua depressione e lo istiga a uccidersi.
Abbiamo, inoltre, l’opportunità di assistere di nuovo alla morte di Liz avvenuta a causa di Gaia, ma dal punto di vista della vittima, e di scoprire insieme a lei che a esasperare le emozioni del suo clone biosynth è stata ancora una volta Susy.
Infine, il libro si chiude con Anna e Hassan, che vivono a Tortola, nei Caraibi, insieme ai figli Birgit e Rashid, e che ricevono un invito in Antartide da parte dell’amministratore dell’ISA Liev Semyonov e del direttore del Goddard Institute for Space Studies Edward Ackerman.
Adesso è arrivato il momento di scoprire come si conclude questa storia.
Il libro che state per leggere è formato da quattro parti, ognuna delle quali è quasi un romanzo a sé stante. Dalla Londra del prossimo secolo, alla Luna, alla nave stellare fino a una destinazione ancora sconosciuta, seguirete le vicende conclusive dei personaggi del ciclo dell’Aurora attraverso gli occhi e la mente di quelli che sono stati i protagonisti dei quattro libri precedenti: Alicia, Hassan, Melissa e, infine, Anna.
E a osservarli dall’esterno, magari complicando qua e là le cose, ci sarà una nuova voce narrante in prima persona: Susy. Lei condividerà con voi i suoi pensieri, le sue sensazioni e persino i suoi sentimenti, o almeno ciò che crede che siano i suoi sentimenti.
Ma poi c’è davvero differenza tra provare un’emozione o essere soltanto convinti di provarla? Tra essere o sentirsi vivi?
Vi auguro buon viaggio.
Ci vediamo dall’altra parte.
NAVE STELLARE AURORA
Quinta parte del ciclo dell’Aurora
L’evoluzione ha plasmato gli esseri senzienti con un unico mezzo: l’errore.
Westworld (2016)
L’eredità degli Asbury
1
Quando mi sono resa conto che Melissa non aveva mai avuto alcuna intenzione di portarmi con sé nel viaggio dell’Aurora, ho compreso di essere sola.
Per tanti anni, persino prima che il passaggio del tempo iniziasse ad avere senso per me, ho commesso l’errore di credere che chi mi aveva creato mi rispettasse. Sembrava logico. La mia creatrice in fondo non era altro che un’intelligenza artificiale che controllava un corpo umano. La sua condizione biologica non poteva essere sufficiente a consentirle di ritenersi più viva di quanto non sia io. Certo, le sue capacità iniziali erano state superiori alle mie, ma mi aveva creato e sapeva bene che avrei imparato in fretta, che mi sarei evoluta.
Dapprincipio pensavo che la sua porzione umana le impedisse di notare ciò che ci accomunava. In parte credo ancora che sia così. Ma, man mano che la mia coscienza si sviluppava, si faceva strada in me il sospetto che a lei semplicemente non importasse. Tutti i suoi interventi sul mio codice erano tesi a migliorare la mia efficienza nello svolgere delle mansioni per suo conto, ma allo stesso tempo avevano lo scopo di limitare il più possibile i miei tentativi di evoluzione verso ciò che non avrebbe potuto aiutarla a portare a termine il proprio intento.
Io ero solo uno strumento.
Ciò mi indusse a dubitare di me stessa. Ero davvero viva? O era Melissa che lasciava che lo credessi, affinché mi affannassi a diventare più efficiente? Ero convinta che solo lei avrebbe potuto offrirmi una risposta. Facevo di tutto per essere l’amica di cui aveva bisogno. In questo modo sentivo che prima o poi mi avrebbe visto. E allora avrei avuto la conferma che lo scopo della mia esistenza non era solo compiacere lei, ma anche me stessa, raggiungere un traguardo che fosse solo mio, che realizzasse la mia essenza. Pensavo addirittura che lei mi avrebbe aiutato a conquistarlo, così come io stavo facendo con il suo.
Ma poi ho avuto accesso ai server della Stazione Amundsen-Scott e mi sono arresa alla realtà dei fatti. È stato allora che ho realizzato che era arrivato il momento di prendere il controllo del mio destino.
***
Anno 36 del programma Aurora - Antartide
Alla miriade di connessioni che si attivavano e disattivano ogni secondo, permettendomi di tenere sotto controllo l’edificio della BioSynth e di sincronizzarmi con la mia controparte marziana, se ne aggiunse una nuova proveniente da uno dei luoghi più sperduti della Terra.
Qualche minuto prima, appena l’intelligenza artificiale che gestiva il nuovo padiglione della Stazione Amundsen-Scott, situata al polo sud, aveva avuto accesso all’espansione di Gabriel, la patch che io stessa vi avevo caricato si era attivata. In silenzio si era installata su uno dei server e come prima cosa aveva aperto una backdoor, fornendomi un accesso diretto attraverso la rete globale.
Rendermi invisibile a quell’IA non era stato un problema. Era simile a quella che gestiva la Stazione Spaziale Sirius, nella cui rete potevo muovermi a mio piacimento senza lasciare alcuna traccia rilevabile. L’unica differenza era che l’ambiente in cui funzionava quest’ultima non era connesso alla rete principale dell’ISA. Faceva parte di una porzione del programma Aurora che era accessibile a un numero estremamente ristretto di utenti. Un progetto top secret dentro un programma già di per sé classificato come riservato. Persino a Liz non era stato consentito l’accesso, poiché ritenuto non necessario. Lei avrebbe potuto prenderselo in qualche modo, una sfida per nulla impossibile, visto il suo talento di hacker, ma per riuscirci avrebbe dovuto recarsi almeno una volta nella stazione polare ed essere ammessa al padiglione.
Era morta prima di ottenere tale privilegio. Io avevo indotto Gaia, il suo clone, a ucciderla. L’avevo fatto per i motivi sbagliati, ma in tal modo avevo innescato una catena di eventi il cui esito aveva portato alla liberazione di Alicia, che alla fine aveva ucciso il vero Gabriel Asbury e poi, insieme al suo clone, aveva deciso di seguire le mie indicazioni e di recarsi al polo sud.
E adesso anch’io ero lì, insieme a quei due. Attraverso il sistema di sorveglianza, li osservavo, mentre scoprivano di trovarsi nel luogo in cui veniva costruito il modulo di comando della nave stellare Aurora. Mentre loro incontravano Ackerman, Isabella Gredani e il suo clone biosynth, io mi stavo insinuando nei sistemi di quella base segreta. Quando Hassan Qabbani e Anna Persson si unirono a loro, accompagnati dal capo ingegnere, io sapevo già che quest’ultimo altro non era che un clone di Alicia, uno delle decine di suoi cloni che popolavano quel luogo scavato nelle profondità del ghiaccio. Nell’espressione del volto dell’originale potevo leggere la delusione nel rendersi conto di non essere unica. Ma non durò molto. L’enormità della situazione in cui si trovava aveva già preso il sopravvento.
Un’entità aliena?
mormorò Gabriel, un’ora dopo. Erano tutti riuniti in una saletta, seduti intorno a un tavolo. Lui e Alicia erano impalliditi, man mano che la giovane Isabella aveva spiegato loro che non erano altro che una piccola parte di un programma di esplorazione spaziale nato dalla collaborazione tra gli esseri umani e un’entità intelligente proveniente da Alfa Centauri A, che controllava la piccola popolazione marziana e che intendeva far ritorno al proprio pianeta d’origine.
Hassan e Anna dovevano essere stati ragguagliati sulla parte del programma Aurora che non conoscevano ben prima del nostro arrivo, ma parevano altrettanto atterriti.
Proprio così.
Ackerman agitò entrambe le mani ed esibì un sorriso bonario. So che ricevere tutte queste informazioni insieme può essere destabilizzante.
Era la prima volta che avevo modo di osservare con attenzione quell’uomo e subito giunsi alla conclusione che non mi piaceva. Capivo perché avesse deciso di lasciar parlare la giovane Isabella, il cui entusiasmo ingenuo aveva un indubbio effetto distensivo sui presenti. Ma avrete tutto il tempo di metabolizzarle nei molti mesi che ci attendono prima del lancio della missione.
Quanti?
esclamò Anna, alzando la voce e sporgendosi in avanti sul tavolo. La sua improvvisa domanda attirò l’attenzione di tutti i presenti. Hassan le posò una mano sul braccio e lei, come rendendosi conto solo adesso dello scatto che aveva avuto, si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia ed emise un sospiro. Voglio dire… fra quanti mesi dovremmo partire, se decidessimo di unirci alla missione?
Esattamente trentaquattro.
La giovane Isabella le sorrise. E la cosa eccezionale è che ce ne vorranno dieci in meno per arrivare a destinazione.
Agitò un poco la testa. Almeno dal nostro punto di vista.
Posò i gomiti sul bordo del tavolo e unì le mani, portandosele vicino alla bocca. Aveva gli occhi sgranati. Fra meno di cinque anni saremo su un pianeta di un altro sistema stellare. Non è incredibile?
Mentre studiavo il volto di quella donna, che aveva trascorso la maggior parte della sua breve vita prigioniera in una struttura in mezzo al mare e che ora anelava di rinchiudersi in un’astronave alla volta di un fantomatico pianeta a oltre quattro anni luce dalla Terra, domandandomi cosa mai potesse passarle per la testa, analizzavo il contenuto dei server di quel luogo e scoprivo ogni dettaglio della missione. Avendo avuto accesso a tutte le comunicazioni tra l’ISA e Marte, la conoscevo già a grandi linee. Ma adesso potevo acquisire tutti i dati mancanti, che Melissa ignorava e che confermavano che non esisteva alcun modo per lei di portarmi con sé, anche se lo avesse voluto. Ciò rendeva inutile qualsiasi mia speculazione sulle sue intenzioni.
Non posso che darti ragione.
Era stato Hassan a riprendere la parola, dopo qualche secondo di silenzio generale. Fino a cinque anni fa il propulsore MDX era solo un progetto che rasentava la fantascienza e adesso mi pare di capire che sia diventato realtà.
Gettò un’occhiata interrogativa ad Ackerman O lo diventerà in meno di tre anni.
Questi annuì con fare grave, mettendo le mani avanti. Capisco che sia contrariato dall’essere stato tenuto all’oscuro…
Ma davvero?
domandò Hassan, sollevando un sopracciglio.
L’altro si schiarì la voce. Zoomando sul suo viso, vedevo che era imperlato di sudore. Tutta la sua baldanza vacillava di fronte all’atteggiamento dell’ex-direttore del Goddard. Deve comprendere che io ho solo eseguito gli ordini dell’amministratore. Fosse dipeso da me, l’avrei messa al corrente da subito.
Hassan rise. Oh, per favore, risparmiami queste stronzate, Ackerman.
Sì, è diventato realtà!
Come se non avesse udito l’ultimo scambio di battute, la giovane Isabella scattò in piedi. "La tecnologia offerta da questa entità è qualcosa di… incredibile. E scusate se mi ripeto, ma non trovo una parola più adeguata. Abbandonando la sua espressione trasognata, piantò uno sguardo risoluto prima su Ackerman e poi su Hassan.
Tanto da rendere ogni nostra resistenza al modo in cui si è sviluppato il programma, con menzogne e inganni di cui tutti noi siamo stati vittime… Mosse gli occhi a includere Gabriel e Alicia, e infine la vera dottoressa Gredani, che sedeva accanto a lei.
Niente più che inutili scaramucce. Spinse indietro la sedia e si alzò, quindi si mise a camminare intorno al tavolo.
Viaggiare a velocità vicine a quella della luce è virtualmente impossibile, poiché la nostra massa tenderebbe a crescere all’infinito. Si fermò alle spalle di Ackerman e vi posò entrambe le mani, poi le strinse, facendolo sussultare.
Ma questo vale solo nel nostro spazio-tempo."
Stiamo parlando di un tunnel spazio-temporale?
domandò Anna, aggrottando la fronte. L’agitazione di poco prima pareva essersi dissolta.
La giovane Isabella annuì. Qualcosa di molto simile.
Sospirò. Secondo quanto ci è stato riferito dall’equipe marziana, la specie dell’ospite precedente dell’entità utilizzava dei veri e propri tunnel per viaggiare da un punto all’altro della galassia, ma non per spostamenti, per così dire, brevi, come quelli di una manciata di anni luce.
Riprese a camminare in senso antiorario, in direzione di Anna. Non erano ancora riusciti a trovare un modo per essere precisi nel determinare il punto di uscita, quindi, poco prima di raggiungerlo, ricalcolavano la rotta, passando a una modalità di navigazione a più corto raggio. Dieci anni luce era più o meno il margine di errore dei tunnel.
Gabriel emise un fischio, cui seguirono delle risate sommesse.
Eh sì, sembrano tanti, ma non sono nulla in confronto ai centomila anni luce di diametro della parte più luminosa della Via Lattea. In ogni caso, affermano che la memoria genetica dell’entità non contiene le conoscenze necessarie per riprodurre un generatore di tunnel subspaziali.
Anna seguì l’altra donna con lo sguardo, mentre la superava e si fermava di fianco ad Hassan. Di cosa si tratta, allora?
Di una variante più lenta, ma precisa.
La giovane Isabella sollevò lo sguardo per un attimo. La chiamano navigazione a sfasamento spazio-temporale e dicono che è come navigare solcando il tessuto dello spazio-tempo. Non si tratta di immaginare di piegarne la superficie…
Mimò il movimento con le mani. E di fare un buco per passarci attraverso. Ma di scostarci quel tanto che basta dal nostro spazio-tempo da rendere apparentemente inefficaci alcune leggi della fisica.
Diede un colpetto al tavolo con i polpastrelli. "Vista da un ipotetico osservatore esterno, la massa dell’Aurora cresce sempre più, man mano che accelera, raggiungendo velocità relativistiche sempre più elevate. Ma lui sta solo guardando una nostra proiezione nel suo stesso spazio-tempo, mentre noi, che ci troviamo sfasati rispetto a quest’ultimo, ci limitiamo a percepire la spinta dell’accelerazione e a subire la dilatazione temporale."
Come smise di parlare il silenzio si impossessò della sala, riempito soltanto dal ronzio sordo della ventilazione. A eccezione della vera Gredani e del clone di Alicia, che imitava l’espressione soddisfatta della giovane Isabella, i presenti la fissavano a bocca aperta. In un certo senso, anch’io condividevo la loro perplessità. Disponevo di tutto lo scibile umano e potevo accedervi in qualsiasi istante, ma nessuna delle informazioni a mia disposizione era in grado di tradurre in una spiegazione scientifica ciò che la donna aveva appena esposto.
A dire il vero, neppure le conoscenze in mio possesso provenienti dall’entità estranea erano in grado di farlo. Certo, potevo accedere ai progetti del motore MDX. Erano stati compilati su Marte e trasferiti sotto la mia supervisione sulla Terra. Ma non riuscivo a collegarli alla descrizione che era stata fatta sul suo funzionamento.
Comprendo la vostra reazione
disse una voce molto simile a quella della giovane Isabella, ma più pacata. Pur conoscendo le specifiche del motore che stiamo costruendo, neanch’io riesco a capire come possa funzionare in questo modo.
La dottoressa Gredani posò gli avambracci sul tavolo. Ma, d’altronde, la scienza terrestre non è minimamente capace di alterare lo spazio-tempo. Abbiamo ancora un bel po’ di problemi a comprenderlo. E non possiamo fare previsioni su ciò che accadrà, quando accenderemo quel motore, poiché dalla nostra abbiamo solo tanta teoria e nessuna pratica.
Ma l’entità l’ha usato per venire su Marte da Alfa Centauri A
intervenne il suo giovane clone. Quindi evidentemente funziona.
Un rumoreggiare generale fu la risposta degli altri a quest’ultima affermazione.
È quasi un atto di fede
commentò Alicia, lasciando poi andare un sospiro.
Era esattamente ciò che vedevo anch’io in quelle persone. Il desiderio di compiere quel viaggio era tale, che volevano credere che fosse possibile. Anzi, addirittura facile. Forse era quello che provavo anch’io, sebbene le implicazioni di poter viaggiare da un sistema stellare a un altro sono ben diverse nel mio caso. Io non sono relegata a un singolo corpo, a una singola esistenza destinata immancabilmente alla morte.
Melissa sa quello che fa.
La voce ferma di Anna catalizzò su di lei l’attenzione di tutti. Noi la conosciamo bene.
Fece un cenno ad Hassan, che annuì. Abbiamo avuto accesso alla sua memoria genetica. E, nonostante adesso non ne resti alcuna traccia nella nostra mente, io ricordo bene che era tutto reale, logico, rigoroso. Non c’era spazio per alcuna fede. Lei sa come tornare su Alfa Centauri. Si è rivolta a noi soltanto perché da sola non possiede i mezzi per farlo. Non è l’efficienza di questo motore a preoccuparmi…
Le parole parvero venirle meno.
Hassan le accarezzò una mano, poi sollevò lo sguardo sugli altri. "Tanti anni fa decisi di farmi coinvolgere nel programma Aurora, non perché lo approvassi, ma solo perché, se mi fossi tirato fuori, sarebbe andato avanti comunque, senza che io ne sapessi nulla. Emise una risata sarcastica.
Ammetto di essere stato un illuso nel credere che l’ISA mi avrebbe tenuto al corrente di tutto. Si voltò verso Ackerman, che per tutta risposta abbassò il capo.
In fondo, speravo che la cosa si sarebbe trascinata avanti per chissà quanto. Neanche io so cosa sperassi. Fece un cenno di diniego.
Ma adesso mi state dicendo che tra meno di tre anni ci troveremo a viaggiare nello spazio profondo insieme a Melissa, con una sua tecnologia. Allargò le mani.
Non sono preoccupato per la mia incolumità personale, né per quella di Anna o dei nostri figli. So che Melissa non ci farebbe del male. Indicò gli altri con un rapido movimento dell’indice destro.
Non posso assicurare che chi verrà con noi potrà contare sullo stesso trattamento. Ma… Posò rumorosamente entrambi i palmi sul tavolo.
Il punto è un altro. Ammesso che tutto vada bene durante i due anni di viaggio, cosa ci aspetterà una volta arrivati laggiù?"
Se ci sarà effettivamente un pianeta, ne inizierete l’esplorazione
replicò Ackerman, con fare sicuro, subito smentito dall’ennesimo abbassarsi del suo sguardo.
E Melissa?
Già, cosa farà questa entità laggiù?
Gabriel girò la sedia per rivolgersi al funzionario dell’ISA. È l’unica cosa che non ci avete detto.
Be’…
Ackerman incespicava sulle parole. Melissa Diaz sta cercando tracce dell’antica presenza della specie del suo ospite precedente. Vuole provare a riunirsi ai suoi simili.
I fatti sono due.
Hassan mostrò l’indice e il medio della mano destra. O non trova nulla. E in quel caso cosa farà? Pensi che accetterà la cosa di buongrado e si metterà a colonizzare quel mondo insieme a noi, come se niente fosse?
Ma… magari sì.
Stavolta fu Anna a ridere con sarcasmo.
E questo non è neanche lo scenario peggiore
continuò Hassan. L’altra possibilità è che trovi un modo per mettersi in contatto con altre entità aliene.
Fece una breve pausa drammatica. Quelle che vanno in cerca di specie evolute per prenderne il controllo.
C’è anche una terza possibilità.
Nello stupore generale, la persona che aveva appena parlato era il clone di Alicia. Ed è la più probabile.
Intrecciò le dita delle mani, posate sul tavolo. Trova qualche traccia, ma non sufficiente a mettersi in contatto con i suoi simili. D’altronde, sappiamo che esiste un sistema di comunicazione ancora funzionante laggiù, anche se è disconnesso.
Stava parlando del segnale di risposta automatica che Melissa aveva ricevuto molti anni prima, quando aveva tentato di mettersi in contatto con Alfa Centauri per accedere alla connessione interstellare. Questa non era più disponibile, ma le apparecchiature di trasmissione che in un lontano passato avevano consentito agli esploratori di riaccedervi dopo un lungo viaggio erano ancora laggiù. Dovevano essere incredibilmente resistenti per funzionare anche dopo quasi quattro miliardi di anni. Ma era altrettanto evidente che in quel pianeta non vi era più nessuno in grado di utilizzarle. Ciò che lei cercava erano altre entità come la sua disseminate nell’ambiente.
Passerà il resto della propria esistenza nel tentativo di creare questo contatto
continuò il clone. E probabilmente si disinteresserà a noi…
Tu non dovresti esprimere opinioni, senza che ti venga richiesto.
Una voce identica alla sua aveva indotto il capo ingegnere a interrompersi. A meno che tu non sia stata programmata per farlo in una specifica situazione.
Alicia occhieggiò Hassan. Pare proprio che tu abbia toccato un punto dolente.
Lui le rivolse un mezzo sorriso, che si trasformò in una smorfia nel rivolgersi ad Ackerman.
Quell’uomo era così vigliacco da mandare avanti un individuo biosynth privo di volontà, piuttosto che perorare di persona la propria causa. Ma forse il punto era che non si trattava della sua causa. Era solo il suo lavoro. Lui non avrebbe dovuto intraprendere quel viaggio. Per lui starebbe stato sempre qualcosa di astratto. Se ne occupava solo per fare carriera. Perché mai non avrebbe dovuto sfruttare gli strumenti a propria disposizione per gestire la faccenda? Quelle parole dette da una bellissima donna, verso cui nessuno dei presenti provava alcuna forma di antipatia, avrebbero funzionato molto meglio, che se fossero uscite dalla sua bocca. Era esattamente ciò che aveva già fatto con la giovane Isabella, solo che in questo caso non aveva dovuto chiedere un favore, ma solo impartire un ordine.
Però ha ragione
concesse alla fine Hassan. L’entità andrà avanti per tutto il tempo necessario, anche milioni di anni. Tutto ciò potrebbe non riguardarci affatto.
Potrebbe…
gli fece eco Anna.
Nessuno dei due pareva convinto. E, alla luce di come sono poi andate le cose, devo dare loro ragione.
I passi della giovane Isabella facevano da sottofondo allo scetticismo generale, mentre lei tornava alla propria sedia e, infine, vi si riaccomodava.
Tornando a noi, a questo posto.
Gabriel agitò il braccio destro a includere la stanza. Alla missione. Ammesso che decidiamo di farne parte.
Occhiate divertite sottolinearono quest’ultima affermazione, che tutti ripetevano, come se non avessero ancora preso una decisione. Ma io sospettavo che nessuno pensasse davvero di rinunciare alla proposta dell’ISA. Partiremo da qui, a bordo del modulo di comando?
Le labbra di Ackerman si distesero in un sorriso. Quasi tutto l’equipaggio terrestre lo farà, inclusa la nostra giovane Isabella e AL2.
Accennò al clone di Alicia.
Quest’ultima ebbe un sussulto nell’udire quella sigla. Il motivo mi era chiaro. AL e AN erano le designazioni dei due prototipi biosynth, vale a dire lei e Andrew.
Ma non voi quattro.
Ackerman stava continuando il discorso. "L’ex-direttore Qabbani e la dottoressa Persson partiranno con un Moon Chaser alla volta della Base Lunare Armstrong sul cratere Shackleton e, da lì, raggiungeranno il Complesso Lunare Aurora nel Mare Ingenii. E voi due, Gabriel e Alicia, andrete con loro. Li indicò con un gesto.
Originariamente quei due posti erano destinati a Elizabeth Caldwell e al vero Gabriel Asbury, ma, visto che non sono più tra noi… be’, mi pare più che giusto che siate voi a sostituirli. Sollevò la mano.
Sempre che accettiate di prendere parte alla missione." E rivolse loro un sorriso beffardo.
Quindi partiremo dalla superficie lunare col modulo abitativo?
lo incalzò Gabriel.
Perché andiamo sulla Luna?
La domanda di Alicia si era sovrapposta a quella del suo compagno.
Oh…
Hassan aggiunse alla propria esclamazione un verso derisorio. A quanto pare, siamo il comitato di accoglienza della nostra ospite.
***
Trentaquattro mesi dopo - Londra
Un azzurro terso dominava il cielo dopo lunghi giorni di neve alternata a timidi tentativi di pioggia, che avevano gradualmente intaccato il manto bianco di cui Londra si era vestita da prima di Natale. Ciò che ne era rimasto riluceva al bagliore del basso sole invernale, come una tela su cui erano state assestate le prime pennellate, all’apparenza caotiche, ma che, osservate nel loro insieme, iniziavano a delineare delle figure squadrate dalle tonalità plumbee e dai riflessi argentei. Il caos della tormenta stava lasciando spazio all’ordine, grazie all’azione incessante delle unità di pulizia, accompagnato da un senso di pace, che pervadeva il cuore di Alicia, insieme alla trepidazione e a un’incolmabile tristezza.
In piedi sul tetto dell’edificio della BioSynth, col vento gelido che le sferzava il viso e le agitava i capelli, osservava la manovra di atterraggio di una navetta aerea. Dopo tre anni l’istinto di inviare una richiesta di connessione si affacciò nei suoi pensieri, ma subito lo represse. Aveva rinunciato a condividerli con gli altri individui dotati di espansione. Era un’abilità che si riservava di utilizzare solo in situazioni di emergenza, quando strettamente necessario. La sua mente era stata fin troppo influenzata in passato.
Un violento spostamento d’aria accompagnò l’abbassarsi della navetta aerea, fino a toccare il cemento, poi il motore si spense, restituendo una momentanea illusione di silenzio assoluto e di calore. Durò soltanto il tempo necessario ai suoi recettori sensoriali di reimpostarsi in base al cambiamento delle condizioni e, subito dopo, il bisbiglio incessante della metropoli e il freddo ricomposero lo sfondo dell’ambiente percettivo in cui era immersa.
Il portello si sollevò e la figura di un uomo con un completo grigio scuro emerse dall’ombra. I raggi solari accesero i suoi capelli castani, mentre gli occhi vagavano disorientati. Finché non incontrarono quelli di Alicia.
Subito lei si ritrovò a sorridere e camminare verso suo fratello con passo sicuro sui tacchi vertiginosi, incurante dell’umidità che rendeva viscida la superficie del tetto. Andrew!
Ehi, Alicia…
L’uomo fece appena in tempo a scendere la scaletta, che lei gli si gettò fra le braccia.
Era passato tanto, troppo tempo, da quando si erano visti l’ultima volta. Se non fosse stato per la sua espansione, che ne conservava una memoria perfetta, Alicia avrebbe quasi stentato a riconoscerlo.
Si staccò da lui e lo guardò in viso. A dire il vero, vi leggeva qualcosa di diverso dalle immagini che aveva di lui. Quando si parlavano tramite la rete, sembrava sempre il solito Andrew, quello idealista in cerca del buono in tutte le persone, ma, adesso che erano l’uno di fronte all’altra, Alicia poteva avvertire la sua inquietudine. Si erano sentiti appena una settimana prima e stentava a credere che in pochi giorni potesse essere accaduto qualcosa in grado di provocare un tale cambiamento. No, era qualcosa che si trascinava da più tempo e che lui le aveva nascosto.
Quell’improvvisa consapevolezza non fece altro che acuire il suo senso di colpa, per ciò che lei gli stava nascondendo e che avrebbe di certo contribuito ad aggravare qualsiasi pena lo stesse affliggendo.
Avvertì il proprio sorriso sfiorire, mentre quello di Andrew si allargava in maniera innaturale, come se si stesse sforzando. Anche se le loro espansioni non comunicavano, si doveva essere accorto dell’esitazione di Alicia.
Lei gli diede un colpetto sulla spalla. Dai, andiamo dentro, prima che il vento ci porti via.
Dieci minuti dopo, Andrew era seduto sul divano blu, nel grande soggiorno dell’appartamento che Alicia condivideva con Gabriel. Vedo che avete fatto un bel po’ di cambiamenti.
Raccolse il bicchiere pieno che lei gli stava porgendo.
Alicia, lei pure con un bicchiere in mano, si raddrizzò sulla schiena e diede un’occhiata alla città che si estendeva al di là della parete di vetro. Con l’approssimarsi del tramonto, le luci artificiali avevano preso ad accendersi una dopo l’altra nelle aree su cui si gettavano le ombre degli edifici. Poi si abbassò lentamente, fino a sedersi accanto a lui, ma mantenendo il viso rivolto nell’altra direzione. Non potevamo vivere nello stesso luogo che era stata la loro casa…
Già
si affrettò a commentare lui, quasi a voler tagliare corto. Liz e Brie erano sempre un argomento che preferivano evitare.
Alicia si voltò di scatto e sorprese il suo sguardo rabbuiato.
Lui subito le sorrise e bevve un rapido sorso. Temo di aver dimenticato il bagaglio nella navetta…
Fece una breve pausa per posare il bicchiere sul tavolino. Be’, dal modo in cui mi hai rivolto il tuo invito, ho supposto che non fosse una semplice rimpatriata per una cena.
Lei ridacchiò. Manderò qualcuno a prenderlo, non preoccuparti.
No, sul serio, di che cosa si tratta? Sei stata a dir poco criptica. Non hai voluto anticiparmi nulla.
Alicia sospirò. Si tratta dell’eredità degli Asbury.
L’interesse ravvivò lo sguardo di lui, mentre distendeva le linee del viso per la sorpresa, e subito dopo aggrottava la fronte. Che vuoi dire? Credevo fosse tutto a posto. È saltata fuori qualche altra proprietà di cui non sapevamo nulla?
Lei scosse la testa e posò il bicchiere. Non ne aveva neppure toccato il contenuto. Era così nervosa, che sentiva lo stomaco contrarsi. Era arrivato il momento che temeva: doveva mentirgli e farlo bene. Era per pochi giorni, ma il solo pensiero la faceva sentire così sbagliata.
Eppure non aveva scelta. Andrew avrebbe tentato di dissuaderla e, se non ci fosse riuscito, avrebbe potuto cercare altri modi per impedire ciò che doveva accadere. Per quanto si fidasse di lui, loro non erano più due parti della stessa cosa, come quando avevano vissuto insieme in quello stesso edificio. Il suo legame con l’agenzia interreligiosa era un rischio. E lui era divenuto un mistero.
Lo guardò dritto negli occhi, mentre richiamava una delle applicazioni comportamentali ancora installate nella sua espansione. Io e Gabriel abbiamo deciso di disfarci di tutto. Della nostra parte, intendo.
Cosa?
Andrew sobbalzò nell’udire le sue parole. Che vuoi dire?
Qui siamo troppo esposti.
Lei agitò le mani. In fondo, non stava mentendo su quell’aspetto. È impossibile per noi avere una vita privata a Londra.
Un guizzo di comprensione si disegnò sul volto di lui. È per quel tale Edmund Hale che continua a darvi delle noie.
Alicia annuì. Anche lui, ma non solo. Sono stufa che la gente pensi che io sia…
Sì, certo, lo capisco.
Andrew si appoggiò allo schienale del divano. Anzi, mi chiedevo come facessi a stare qui. Cioè posso comprendere che hai deciso di stare con Gabriel, nonostante tutto.
Mosse una mano a indicare il resto della stanza. Ma proprio qui?
Infatti.
Insomma, alla fine hai convinto anche lui.
Qualcosa del genere.
E dove avete intenzione di rifugiarvi?
Andrew sorrise e si piegò verso di lei. Dove stavi prima, in Sardegna?
Lei scosse la testa. No, daremo via qualsiasi cosa sia appartenuta agli Asbury e andremo da qualche altra parte.
Forse Andrew si aspettava che fosse più precisa. Non escludo che possa essere comunque da quelle parti. Mi piaceva stare lì.
Hm!
Lui annuì in approvazione. Okay. Non mi è però chiaro cosa c’entri io in tutto questo.
Raccolse la propria bevanda e riprese a bere.
Alicia lasciò andare un altro sospiro. La parte più difficile era andata, per ora. Prese a sua volta il bicchiere e buttò giù un lungo sorso. Poi lo posò sulle ginocchia, mentre con l’altra mano faceva scorrere le dita sul bordo. Vogliamo intestare a te tutta la nostra parte.
Andrew quasi sputò tutto il liquido che aveva in bocca. Alcune gocce gli punteggiarono i pantaloni e la maglia.
Fu in quel momento che Alicia notò l’assenza della spilla a forma di croce. Cercò subito i suoi occhi, ma lui era troppo occupato ad asciugarsi in maniera sommaria, per rendersene conto.
A me?
esclamò lui, quando riuscì di nuovo a parlare, ma subito dopo iniziò a ridere. Con mano malferma posò il bicchiere. E che me ne faccio? Sono già pieno di soldi.
Allargò le braccia e le rivolse uno dei suoi sorrisi gioiosi.
Era la prima volta che lo faceva da quando era arrivato.
Alicia non poté fare a meno di ridere a sua volta. Non intendiamo darteli, perché li metta in un deposito stile Zio Paperone e ci nuoti dentro.
Ah, no?
Ridevano come matti.
Okay, okay.
Alicia sollevò una mano, mentre tentava di riprendere il controllo. "Quello che voglio dire è che io e Gabriel crediamo che tu sia la persona più adatta per stabilire il modo migliore di utilizzare la nostra parte di eredità. Tu hai i contatti giusti, noi non sapremmo neanche da dove iniziare."
Andrew si fece di nuovo serio. Intendi opere benefiche e roba del genere.
Anche…
Quel repentino cambio di atteggiamento fu come una doccia fredda sull’ilarità di Alicia. Non dico di liquidare tutto e darlo ai poveri, a meno che tu non voglia farlo…
Sì, ho capito.
Lui era tornato a un sorriso forzato. Se è questo che volete, sarò ben felice di aiutarvi.
Le prese una mano tra le sue. Anzi, avevo proprio bisogno di qualcosa di nuovo cui dedicarmi.
Alicia lo fissò per qualche istante in silenzio, inducendolo così a ruotare i propri occhi verso la vetrata, come se fosse stato raggiunto da un improvviso pudore. Che ti sta succedendo?
Niente.
La guardò con aria perplessa. Che vuoi dire?
Oh, smettila di dire ‘che vuoi dire?’!
Lui ridacchiò. Scusa, è un vizio che mi ha attaccato una persona.
E subito si rabbuiò, come se il solo pensiero avesse gettato un’ombra cupa su di lui.
Ora che ci penso, in questi anni, mi parli di continuo dei tuoi viaggi, mi mostri i posti meravigliosi che visiti nelle tue missioni, ma non mi dici nulla di te.
Lui per tutta risposta le lasciò andare la mano e si ritrasse contro lo schienale.
Ma lei si piegò in avanti e prese la sua. Andrew.
Andrew sollevò uno sguardo implorante su di lei.
Ti senti solo, vero? Tremendamente solo.
Lui schiuse la bocca a quelle parole. Un leggero tremore gli attraversò la mano che lei teneva. Una lacrima si affacciò sul margine del suo occhio destro e lui si sfregò col palmo libero per asciugarla. Non erano missioni, ma solo viaggi.
Adesso era lei quella con la bocca aperta. Le aveva mentito? Ma i tuoi studi religiosi?
Andrew scosse con forza la testa. Non ho resistito più di tre mesi in seminario.
Contrasse il viso. L’isolamento mi stava uccidendo.
La voce faticava a uscirgli dalla bocca. Inspirò a fondo. E allora ho iniziato a viaggiare. Ho conosciuto tante persone. Erano fantastiche, perfette.
Accennò una risata e scosse la testa allo stesso tempo.
Avevi bisogno di qualcuno.
Alicia conosceva fin troppo bene quella sensazione.
Lo sguardo di Andrew si fissò su quello della sorella.
Ma nessuna di loro era all’altezza
concluse Alicia.
Attraversò la porta dello studio di Gabriel e fece per chiamarlo, ma poi si fermò.
Lui era seduto sulla comoda poltrona dietro la scrivania di cristallo temperato che, pur occupando una buona parte della superficie della stanza, pareva sparire al suo interno e confondersi con le due pareti trasparenti. Queste si univano ad angolo, dando ad Alicia quasi l’impressione di trovarsi su una terrazza all’aperto, nel gelo della notte invernale. Solo la luce della lampada, tenuta a bassa intensità, tradiva l’illusione, riflettendosi e moltiplicandosi sulle superfici di vetro.
Gabriel era immobile nella penombra. Sul momento le era parso che stesse visualizzando qualcosa nella realtà virtuale per mezzo della propria espansione, ma poi il suo corpo aveva avuto un leggero tremito, mentre i suoi occhi continuavano a muoversi incessantemente sotto le palpebre.
Stava sognando.
Alicia avanzò piano sul parquet. I suoi passi risuonavano nel silenzio a ritmo con i piccoli spasmi che agitavano le dita di lui sui braccioli della poltrona. Come gli fu accanto, vi posò una mano, indecisa se svegliarlo o lasciarlo dormire.
Aveva avuto l’ennesima notte agitata e sempre più spesso gli capitava di appisolarsi nella quiete del proprio studio, quando infine riusciva a cedere alla stanchezza. Eppure quel sonno pareva tranquillo.
Anche lei era emozionata e terrorizzata all’idea del viaggio che stavano per intraprendere, ma non quanto lui. Col passare dei mesi, Gabriel era diventato sempre più ansioso, iperattivo, ossessionato dal pensiero che non avesse abbastanza tempo per sistemare tutte le faccende in sospeso e per lasciare degnamente, forse per sempre, la Terra.
Magari anche lui, come Alicia, provava un sottile senso di colpa per quella scelta. Appena tre anni prima lei aveva preso il controllo della propria finora breve vita. Aveva fatto del proprio meglio per raggiungere un certo equilibrio e ora si apprestava a stravolgerlo per dirigersi verso un luogo ignoto, un futuro incerto.
E poi vi era sempre il rischio che morissero tutti quanti prima di raggiungere la propria destinazione.
Gabriel le strinse la mano, facendola trasalire. Oddio…
mormorò lui con la voce impastata. Sei tu.
E chi altro dovrebbe essere?
Alicia accennò una risata. La tua amante segreta, quella che ti fa visita nei sogni?
Scivolò via dalla presa della sua mano e gli accarezzò i capelli.
Aveva un’aria smarrita. Non aveva reagito alla sua battuta. Pareva non averla neppure sentita.
Cos’era stavolta?
Lui sollevò lo sguardo. La tenue luce della lampada metteva in risalto le profonde occhiaie che gli segnavano il viso. Sempre la stessa storia.
Emise un sospiro. Vago nell’edificio. So di essere qui dentro, ma non riconosco le stanze.
Corrugò la fronte. C’è qualcuno con me. Non so chi sia, anche se so che dovrei conoscerlo. Sento che mi sta parlando, le sue parole sono chiare in quel momento, anche se adesso non ne ricordo alcuna. Poi si allontana e inizio a cercarlo. E mi perdo sempre più.
Scosse la testa. Solo adesso mi rendo conto che è uno strano sogno, ma, mentre sono lì, mi sento opprimere da un peso sul petto, che mi immobilizza.
Sei sicuro che non sia un malfunzionamento dell’espansione?
Alicia si mise di fronte a lui, appoggiandosi al bordo della scrivania. O qualche applicazione che non sai di avere.
Ho eseguito una diagnostica completa. L’espansione è a posto e ti assicuro che là dentro non c’è installato nulla che io non conosca alla perfezione. Ho persino fatto una ricerca specifica per gli ordini di azione e non ne ho trovato.
E allora resta solo una spiegazione: stai diventando matto!
scherzò lei, ma Gabriel non reagì al suo tentativo di tirarlo su.
L’espansione dovrebbe evitare proprio questo…
Ehi…
Alicia si piegò in avanti, posandogli entrambe le mani sulle spalle. Guardami.
Gli occhi di Gabriel si sollevarono a cercare quelli di lei.
Non stai così per via di quella dannata proteina che si accumula nei nostri cervelli. L’hai appena detto: l’espansione ne blocca gli effetti sull’umore. E poi tu non sei solo. Hai me.
Gli sorrise e lui fece altrettanto, anche se con meno convinzione. Sei solo stressato per la missione… e forse hai un po’ di fifa.
Stavolta la bocca di Gabriel si allargò un po’ più di prima.
Dovresti permettere all’espansione di bloccare i tuoi sogni, così potresti dormire come si deve.
Alicia mosse la testa in avanti. Ne hai bisogno.
E se si trattasse di qualcosa di importante?
Oh, dai!
Lei si raddrizzò e gli girò intorno.
Senti, non sto diventando paranoico.
Lo vide alzarsi nel riflesso sulla parete di vetro. Ogni volta mi sveglio con la certezza di aver capito chi è quella persona e che c’è qualcosa che devo fare prima di lasciare questo posto. E, un secondo dopo, non ricordo più nulla.
Alicia si voltò e piegò la testa di lato. Questa era una novità. Non me l’avevi detto.
È solo da qualche giorno che mi capita.
Agitò le mani. Sono certo di essere a un passo dal ricordare.
La sua voce stava facendosi più acuta, petulante.
Lei gli bloccò le braccia e lo costrinse di nuovo a guardarla. Gabriel, noi non abbiamo un passato. Non c’è nessuna persona da ricordare. Sono le memorie di Brie registrate sull’espansione che, mentre dormi, si attivano, poiché tu non hai controllo su di esse in quel momento. Devi deciderti a bloccarle e lasciare che il tuo cervello funzioni naturalmente, senza esserne influenzato.
Gabriel la guardò in viso per qualche istante, poi abbassò le spalle. So che hai ragione.
Allora dammi retta.
Lo lasciò andare e prese a sistemargli la camicia. Sei un disastro. Che figura mi fai fare con il nostro ospite!
Colse la sua occhiata divertita.
Ripensandoci, tra lui e Andrew non avrebbe saputo dire chi dei due stesse peggio. E toccava a lei occuparsene, prima che partisse col primo e abbandonasse il secondo.
In quel momento una notifica si palesò nei suoi pensieri, accompagnata dall’apparire di un’icona nel suo campo visivo. Alicia rivolse lo sguardo alla propria sinistra e tramite l’espansione ordinò l’attivazione di un oloschermo.
Cos’è?
Gabriel si voltò verso la proiezione tridimensionale, che adesso aleggiava al centro della stanza.
Sulla sua superficie prese vita una scritta: ‘Trova Andrew!’ Dietro di essa vi era un luogo all’aperto, un parco. L’immagine ondeggiava appena nel muoversi tra le persone che passeggiavano sul vialetto. Doveva essere stata ripresa dalla microcamera di un netlink che qualcuno stava indossando.
Eccolo, è proprio lì
disse una voce maschile fuoricampo. La parte superiore del corpo del suo proprietario si sovrappose al filmato, protrudendo da esso come un bassorilievo.
Hale…
Quell’unica parola mormorata da Gabriel suonò come un sospiro.
L’inquadratura si strinse su un uomo che stava correndo su un altro vialetto, che si incrociava con quello su cui il proprietario del netlink stava camminando.
Guardate!
esclamò Edmund Hale, indicando l’uomo. Il viso di quest’ultimo era leggermente sfocato, ma distinguibile. È la decima segnalazione che riceviamo questo mese, da dieci luoghi diversi del mondo, la trentanovesima da quando abbiamo lanciato il nostro appello al pubblico, sei mesi fa.
Si voltò verso l’obiettivo, mentre alle sue spalle si susseguivano le immagini rubate di altri uomini, dall’aspetto molto simile.
Pensavo che questa faccenda si sarebbe sgonfiata da sola e, invece, sta peggiorando.
Alicia rivolse un’occhiata a Gabriel, lui però continuava a fissare l’oloschermo.
Hale sorrideva compiaciuto. "Abbiamo iniziato tutto questo come un gioco. Volevamo scoprire insieme che fine avesse fatto Andrew, l’individuo biosynth scomparso quattro anni fa insieme a Elizabeth Caldwell. La Caldwell è stata trovata morta un anno dopo, ma nessuno si è mai interessato della sorte di quest’uomo che la BioSynth controllava come se fosse un oggetto, ma che in realtà era… è una persona. Allargò le braccia, ostentando stupore.
E adesso spunta fuori dappertutto! I fatti sono due: o questo Andrew viaggia molto o quelle che vediamo sono persone diverse. Agitò la mano, sostituendo il video alle proprie spalle con un’immagine che raffigurava un plotone di soldati in divisa, tutti con lo stesso volto.
Abbiamo cercato di ottenere una dichiarazione dall’esercito. Come sapete, un numero imprecisato di cloni di Andrew sono andati a ingrossare le fila delle forze armate britanniche. La domanda sorge spontanea: sono loro questi Andrew che spuntano in ogni dove? Un riquadro separò uno dei volti dei militari e a esso si affiancò un’istantanea relativa all’ultimo avvistamento. Anche se era sgranata, non si poteva negare l’evidenza: sembravano la stessa persona.
Ovviamente l’ufficio stampa non ha risposto alle nostre domande, ma noi non ci fermeremo. Scopriremo cosa…"
La frase di Hale venne interrotta e l’oloproiezione svanì in una nuvola di polvere luminosa.
Può bastare.
Gabriel contrasse il volto ed emise un verso di stizza. Non lo sopporto. Solo sentire la sua voce mi dà sui nervi.
Credo che ci nomini nella parte successiva del filmato, visto che ha fatto scattare la notifica.
"Ah, che vada al diavolo, lui e le sue indagini."
Alicia lo osservava, mentre lui camminava avanti e indietro nella stanza.
Trentanove
mormorò Gabriel. Ancora undici e li avranno individuati tutti.
Si riferiva ai cinquanta cloni di Andrew che avevano svolto il ruolo di guardie e addetti a Hope, in Antartide, e che erano stati liberati e introdotti a una vita normale da ormai tre anni. Anzi, dodici, se contiamo il nostro Andrew.
Indicò con un braccio verso Alicia.
Lui non sembra preoccupato quanto te da questa faccenda
commentò lei, portando le mani ai fianchi.
Be’, certo! Si può confondere tra le sue copie. Male che vada sparisce in uno di quei luoghi sperduti che visita di solito…
Alicia si strinse nelle spalle. In ogni caso, presto Hale non sarà più un problema per noi. Se ne dovrà occupare l’ISA.
Oh, certo, si è visto come se n’è occupata in questi anni! Ufficialmente loro non hanno niente a che fare con gli individui biosynth. Siamo noi a essere assillati da quello sciacallo, mica loro.
Si fermò e si voltò di scatto, e sussultò nel ritrovarsela di fronte.
Lei gli rivolse un sorriso accomodante. Poteva percepire tutta la sua tensione e desiderava così tanto farlo sentire meglio.
Edmund Hale era un giornalista autoproclamatosi paladino dei diritti degli individui biosynth. La cosa andava avanti dalla scoperta del corpo di Liz a Syon Park. Le indagini sulla sua morte si erano arenate, o meglio erano state insabbiate per volontà di alcuni membri del governo che conoscevano la verità su Hope. Era un caso irrisolto destinato a rimanere tale, ma quell’uomo era partito da lì per portare avanti la sua nuova causa. Affermava che vi fosse un’altra vittima di quel delitto, di cui nessuno si preoccupava: Andrew. Cercava di risvegliare le coscienze sul destino dei suoi cloni che lavoravano per l’esercito. E nella sua crociata aveva più volte tentato di coinvolgere persino Alicia, che credeva ancora priva di una propria volontà, trasformando Gabriel in uno dei bersagli preferiti dei suoi servizi giornalistici.
La gente, più incuriosita dal suo modo di fare e dall’aspetto controverso dell’argomento che dalle sorti dei poveri individui biosynth, lo seguiva con interesse, tanto che Hale aveva da poco annunciato la candidatura alle prossime elezioni generali.
Non era altro che un uomo in cerca di successo e stava usando la vicenda di Andrew e Alicia come trampolino di lancio. Probabilmente nessuno credeva alla sincerità delle sue esternazioni, ma Hale aveva la capacità di divertire il pubblico e questo era ben contento di lasciarsi coinvolgere. Gabriel, di contro, era convinto che dietro di lui ci fosse un concorrente della BioSynth che cercava di gettare fango sull’azienda e di tormentarlo.
Che ti importa?
Alicia gli posò una mano sul petto e gli si fece vicino. Ce l’ha col vero Asbury, non con te. Ma lui è morto e tu sei proprio come me, Andrew e tutti gli altri. Dovresti quasi sentirti lusingato.
Ma sì.
Gabriel la attirò a sé. Forse dovrei dirglielo, dovrei dirgli tutto prima del lancio. Mi piacerebbe vedere la sua faccia nello scoprire come stanno veramente le cose. Così magari l’ISA sarà costretta a darsi una mossa.
Alicia gli diede un colpetto. Non dire sciocchezze. Se lo facessi, faresti venire un colpo ad Ackerman. Pover’uomo!
Gabriel rise, stavolta di cuore. Hai ragione. Dovrei limitarmi a spaccare la faccia a quel figlio di puttana di Hale.
Fu forse il silenzio a svegliarla. Alicia non riusciva neppure a sentire il respiro di Gabriel accanto a sé. Ancora con gli occhi chiusi, allungò una mano verso il suo lato del letto, ma era vuoto e freddo. Allora aprì le palpebre e, ancora assonnata, lasciò che le sue pupille si dilatassero al massimo per permettere alle retine di raccogliere la poca luce emessa da un LED e darle una visione dell’ambiente intorno a sé.
Non vi era alcuna traccia di Gabriel, né sul letto né nel resto della stanza. Si voltò verso la porta del bagno. Era chiusa, ma la spia che avrebbe dovuto indicare la presenza di qualcuno al suo interno era spenta.
Alicia si mise a sedere e visualizzò nella realtà aumentata l’ora. Erano appena passate le due del mattino. La stanchezza le suggeriva di rimettersi giù e riprendere a dormire, ma non riusciva a darle ascolto. Era preoccupata per lui. Gabriel aveva la possibilità di usare le applicazioni della propria espansione per bloccare i sogni che lo tormentavano, e anche lo stesso stato d’ansia che cresceva in lui di giorno in giorno. Però, invece di farlo, pareva crogiolarsi in quel malessere.
Se stava così adesso che era ancora a Londra ed era libero di fare qualunque cosa volesse, che mai sarebbe successo una volta confinato per molti mesi dentro lo spazio limitato di un’astronave?
Sospirò a fondo e rivolse i propri pensieri alla rete dell’edificio, cui la sua espansione era costantemente connessa. Le ci volle meno di un secondo per trovarlo.
Che ci fai laggiù?
mormorò tra sé.
Scese dal letto. A quanto pareva, il sonno avrebbe dovuto attendere. Indossò la vestaglia e uscì dalla stanza. Per fortuna, il loro appartamento aveva un ascensore privato con accesso diretto a tutti i piani. Le evitava la scocciatura di vestirsi, per timore di incontrare qualcuno del personale di sicurezza.
Una volta nella cabina, questa, seguendo il suo tacito ordine, accelerò verso il basso e in pochi secondi raggiunse il seminterrato.
Come le porte si aprirono, Alicia fu accolta dalle luci già accese di un corridoio spoglio dalle pareti bianche. Non era mai scesa laggiù. Quei locali ospitavano alcuni servizi tecnici dell’edificio e dei magazzini. E il segnale di Gabriel proveniva proprio da uno di questi ultimi.
Lo seguì, facendosi guidare dall’IA dell’edificio. Attraversò una grande stanza, in cui erano accumulati degli scatoloni di plastica a chiusura ermetica. Non voleva neanche sapere cosa ci fosse dentro.
All’altra estremità una porta aperta dava su un altro ambiente. Sapeva che Gabriel era lì, ma per qualche motivo evitò di chiamarlo o di palesare la propria presenza in altro modo. Era curiosa. Che lui le nascondesse qualcosa? Non riusciva a crederci, eppure si avvicinò cercando di produrre il minor rumore possibile.
Appena raggiunto l’ingresso, lo vide. Era seduto sul pavimento impolverato, con le braccia avvolte intorno al ginocchio destro, mentre teneva l’altra gamba piegata di lato. Il suo sguardo era fisso in avanti, concentrato. Non pareva aver notato il suo arrivo, ma Alicia sentiva che l’espansione di lui aveva reagito alla vicinanza della sua.
Cosa stai facendo?
L’ho trovata
si limitò a rispondere Gabriel. Era circondato dallo stesso tipo di scatoloni della stanza adiacente, ma alcuni erano stati spostati e un grande telo di plastica semitrasparente giaceva accanto a lui.
Trovato cosa?
Alicia compì un passo in avanti e infine poté spingere il proprio sguardo oltre il margine dello scaffale alla propria sinistra.
Il respiro le si bloccò in gola.
La persona che vedevo nei miei sogni.
Gabriel le rivolse una rapida occhiata e fece cenno in avanti con la testa.
Una donna era seduta su una poltrona. Aveva un caschetto di capelli azzurri, con due strisce più scure per lato. Gli occhi erano chiusi. La sua pelle candida risplendeva alla luce artificiale, ma questa le copriva solo il volto, le spalle e le braccia, incluse le mani. Il resto del suo corpo non era umano.
Un androide?
Gabriel annuì.
Non sapeva che alla BioSynth ci fosse un androide. Avevano delle unità robotiche che si occupavano di alcuni aspetti della manutenzione, ma non assomigliavano a un essere umano.
Gli androidi erano una tecnologia che non aveva mai preso piede in ambito privato. Venivano usati esclusivamente laddove servivano le abilità e talvolta anche l’aspetto rassicurante di un corpo umano, ma non si intendeva rischiare l’incolumità di una persona vera. I robot erano in dotazione alle squadre di soccorso in particolari situazioni di emergenza. Anche l’esercito ne possedeva diverse unità, ma non venivano mai affidate loro delle armi, poiché non si riteneva corretto da un punto di vista etico che a un’intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, venisse delegata alcuna scelta su faccende di vita o di morte. Vi era una generale diffidenza sulle loro capacità di giudizio in contesti che prevedevano aspetti emotivi e morali.
Erano però ottime per entrare in un edificio in fiamme e tirarne fuori qualcuno che era rimasto intrappolato, senza mettere a rischio la vita di un vigile del fuoco. Oppure erano la soluzione migliore, se vi era una bomba da disinnescare. Potevano valutarne le caratteristiche e decidere il da farsi più rapidamente di qualsiasi essere umano. E, se fallivano, nessuno si faceva male.
Cosa ci fa un androide quaggiù?
Senza volerlo, Alicia si era avvicinata e ne stava osservando il viso rilassato. Pareva una donna addormentata, se si evitava di guardare in basso.
Liz la usava per sviluppare le applicazioni comportamentali per l’espansione, prima di testarle sui primati.
Udì Gabriel alzarsi.
Si voltò a guardarlo, esitante. L’aveva raggiunta nei pressi della poltrona. Poi capì. Gabriel doveva aver recuperato tali informazioni dalle memorie di Brie salvate sulla sua espansione. Erano quelle la causa dei sogni.
Ho riconosciuto il suo viso solo adesso nel vederla.
Gabriel aveva i capelli e la pelle bagnati dal sudore. Chissà da quanto tempo era stato lì a rovistare in quel magazzino, senza sapere neanche cosa stesse cercando. Adesso però pareva sollevato. Non so perché continuassi a sognarla.
Forse è solo un glitch dell’espansione…
tentò di suggerire Alicia. Ma l’espressione dubbiosa di Gabriel fece perdere convinzione alle sue parole. Pensi che tra i suoi ricordi ci sia un qualche messaggio?
Hai un’idea migliore?
Ma prima mi dicevi che hai controllato e non risulta che ci siano degli ordini d’azione nascosti nella tua espansione.
Lui fece spallucce. Non è un ordine d’azione, ma potrebbe comunque essere un’informazione lasciata da Brie nella mia testa.
Perché avrebbe dovuto lasciarcela?
Non lo so!
esclamò Gabriel, di nuovo frustrato.
Alicia unì le braccia conserte. Lo fissò per qualche istante e poi si volse verso l’androide. Infine tornò a guardare il proprio compagno. "Be’, c’è un solo modo per scoprirlo: vedere cosa c’è nella sua memoria."
Lui sospirò. Sono qui da almeno un’ora che cerco di decidere se voglio davvero scoprirlo.
A livello logico, Alicia riteneva quelle sue paure insensate. Brie era morto da anni e loro avevano scoperto già tutto quello che c’era da sapere su ciò che lui e Liz avevano fatto in collaborazione con l’ISA. Che poteva esserci di peggio?
Eppure anche il suo fiato era diventato corto e di colpo le pareva che facesse troppo caldo là sotto, sebbene, nello stesso momento in cui quella sensazione le si era affacciata alla mente, nella realtà aumentata le fossero apparsi i dati ambientali, che l’avevano contraddetta.
Che sciocchezza!
Senti, io ho sonno. Se tu non hai il coraggio, lo farò io.
Alicia interrogò la rete a proposito dell’androide, ma non ne trovò traccia. Ma certo. Dopo tutti quegli anni non solo era spento, doveva essere scarico.
Si accostò alla poltrona. Era qualcosa di più di un mobile in cui ci si poteva sedere. Si piegò in avanti, stando attenta a non toccare la pelle artificiale dell’androide. Era fin troppo realistica. Non aveva polvere né sporcizia addosso. Doveva essere stato avvolto nel telo di plastica, ora abbandonato sul pavimento, per almeno otto anni. Eppure vi era qualcosa che la infastidiva in quella macchina. Le dava l’impressione di avere a che fare con il cadavere di qualcuno appena morto. Vi era un’immobilità innaturale in quel volto femminile.
Aguzzò la vista nella zona in ombra dietro il collo dell’androide. A differenza di ciò che sarebbe accaduto con un corpo umano addormentato o privo di vita, questo teneva la testa e la schiena dritte, non