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Felicia
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E-book173 pagine2 ore

Felicia

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Info su questo ebook

Agosto 1991. In Unione Sovietica ha inizio un tentativo di colpo di Stato mentre in un paesino imprecisato dell’Italia meridionale tre ragazzini vi assistono, tra tv e notizie carpite qua e là, attraverso lo sguardo disincantato dei loro genitori: si tratta di Milena, una ribelle e mascolina studentessa delle medie di buona famiglia, e dei suoi migliori amici, Ronnie, figlio di un giornalista locale - fervente cattolico rimasto solo dopo la fuga della tormentata Felicia, riparata in centro-America per sfuggire a pesanti accuse di terrorismo - e Bizzarro, tredicenne fan dei Rolling Stones con forti problemi di socializzazione.    
In quei giorni, mentre Felicia sta meditando un inaspettato e inspiegabile ritorno, l’intera comunità è nel frattempo colpita dalla notizia della scomparsa di Oronzo Animanera, un giovane e violento attaccabrighe di cui si sono perse le tracce una sera, all’improvviso; e dal terrore di uno strano animale (ma nessuno è ancora riuscito a vederlo di persona) che nottetempo si aggira per le campagne intorno alla città, seminando distruzione tra i tendoni e i ceppi di uva.    
Intanto continuano a giungere dalla Russia aggiornamenti sul golpe e i tre giovani amici si ritrovano loro malgrado catapultati in vicende che stanno cambiando i destini dell’umanità, nonostante per loro in quel momento conti soltanto saperne di più sul “mostro dei ceppi” e sulla scomparsa del celebre Animanera: si imbarcheranno, allora, con l’incoscienza della loro età, in un’avventura dagli esiti imprevedibili.     
LinguaItaliano
Data di uscita6 lug 2023
ISBN9791222423968
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    Anteprima del libro

    Felicia - Campagna Rocco

    FELICIA

    di Rocco Campagna

    1

    Alcune cose rimangono e altre scivolano via senza lasciare traccia. È noto, ma qualche volta capita che ci si fermi a pensare: quell’estate produsse in lui la netta sensazione di un prima e di un dopo sulla linea della sua vita. C’erano suo padre e un paesino bruciato dal sole; e poi c’erano anche i suoi sogni e l’età adulta. Intanto, a quei tempi nei pensieri aveva soltanto il mostro dei ceppi. La gente parlava di un animale misterioso che di notte dilaniava i ceppi dell’uva nelle campagne: nessuno lo aveva mai visto ma molti avevano conosciuto i segni delle sue zanne sui propri vigneti. Pali squarciati, piante divelte; e qualcuno aveva pure notato strane orme sul terreno. Ogni mattina Ronnie montava in sella alla sua bici e andava a origliare le conversazioni delle poche persone rimaste in paese – per la maggior parte vecchi e bambini; gli altri erano impegnati nella lavorazione dell’uva. Ronnie ascoltava e non pensava: nella testa aveva soltanto la voglia e la paura di incontrare questo famoso, misterioso animale. C’era chi parlava di una tigre, chi di un orso. Per qualcuno era un lupo perché lo aveva incontrato nel bel mezzo di un plenilunio in aperta campagna – cosa plausibile, visto che le notti d’estate dalle sue parti erano quasi più vissute dei giorni: molti contadini invece di dormire erano costretti a innaffiare i vigneti alle due o alle tre del mattino perché era l’unico buco libero nelle prenotazioni alle cooperative dell’acqua. Anche con Adelaide, la sua migliore amica, non parlavano d’altro. La conosceva sin dai tempi dell’asilo e gli piaceva perché si comportava da maschio. Abitava nell’ultima casa della strada più bella del paese: ad angolo, di fronte alla ferrovia, con quel sentiero davanti ai binari e dietro la nuda collina e il cielo sullo sfondo. La cameretta di Adelaide aveva una finestra proprio su quello spettacolo. Chissà come sarà svegliarsi con questo panorama davanti le diceva spesso, mentre se ne andavano in giro senza far niente. Lei gli rispondeva quasi sempre scocciata perché quando si discuteva della sua famiglia le entrava il buio in testa e si accorgeva che non sopportava più nessuno. Sbraitava soprattutto contro suo padre, che però anche a Ronnie tutto sommato dava un po’ fastidio: grasso, alto, non sorrideva mai e non lo salutava mai, nonostante frequentasse quella casa da una vita. Lo vedeva con la coda dell’occhio, sprofondato nella sua poltrona in soggiorno: spesso aveva un librone tra le mani; qualche volta, le orecchie coperte da cuffie gigantesche, guardava in televisione film in bianco e nero o documentari di guerra. Ronnie superava quella soglia illuminata e ogni volta era tentato dalle immagini sullo schermo o dalle dimensioni del volume che l’uomo stava sfogliando: l’alone di mistero in cui era immerso lo incuriosiva e allora ne parlava con l’amica e lei gli rispondeva dalla scrivania e intanto armeggiava con il registratore e le cassette del suo sterminato archivio. Con loro quasi sempre c’era Nicolas, il fratello minore di Adelaide: lui usciva di casa pochissimo e non aveva amici. Era handicappato, aveva problemi con le gambe ma la testa gli funzionava benissimo, come diceva Adelaide quando lo beccava a spiarli: Nicolas voleva sapere tutto e l’unico modo per toglierselo dai piedi era montare in bici e pedalare, spesso verso il mare, a fare un bagno dopo una buona mezz’ora di asfalto e caldo dritto in faccia.

    2

    Il gruppo, quindi: oltre a Ronnie e Nicolas e Adelaide, c’era Nicola, soprannominato Bizzarro dai compagni di scuola perché ogni tanto parlava da solo, viveva in una dimensione parallela, animata soltanto dai suoi libri o dalla musica ascoltata a ogni ora del giorno e della notte. Ogni tanto si vedevano a casa di Adelaide, dove si finiva sempre per litigare sulle cassette da mettere nel radiolone. Come quel pomeriggio. Ronnie l’aveva chiamata e le aveva proposto di uscire per cercare qualche notizia in più sul mostro dei ceppi; mentre tirava fuori la bici dal box, Bizzarro era comparso alle sue spalle, silenzioso come uno spettro (abitava nel palazzo prima del suo e condivideva con Ronnie gli spazi comuni dei garage sotto i palazzi). Insieme allora erano andati a casa della ragazza e lì avevano subito notato qualcosa di strano: invece che sulla sua solita poltrona, il padre di Adelaide era in piedi davanti al televisore, con le braccia incrociate sul petto. Non aveva cuffie e vicino a lui c’era, cosa davvero insolita, anche Adelaide. I due ragazzi lanciarono un’occhiata distratta alle immagini sullo schermo e scorsero un uomo con i capelli bianchi, che leggeva da un foglio e sembrava rispondere alle domande di una folla radunata davanti a lui. Poi videro alcune scene in cui centinaia di persone sfilavano per un grosso viale; si vedevano anche alcune barricate. Mentre una voce fuoricampo diceva: Smarrimento, paura, dolore… poi la gente scende nelle strade, affronta i carri armati… e il padre di Adelaide che scuoteva la testa e mormorava: Ma cosa sta succedendo?

    3

    Le sue labbra si mossero proprio nello stesso momento in cui, a migliaia di chilometri di distanza, una donna italiana ripeteva le stesse parole, però ascoltando nelle cuffie del suo walkman La Voz, il notiziario radiofonico locale. Era in piedi, ferma nella rugiada dell’alba tropicale, davanti a una radura disseminata di banani; alcuni cavalli passeggiavano a pochi metri da lei: ne sentiva il respiro, vedeva l’umidità evaporare dalla loro schiena scolpita. Aveva piovuto durante la notte e lei non era riuscita a dormire, disturbata dalle gocce martellanti sul tetto di lamiera della capanna. La donna, di nome Felicia, era arrivata a Puerto Viejo la sera prima: aveva sentito il bisogno di staccare un po’, la vita le stava pesando. Stesa nell’amaca sotto il tamarindo pieno di fiorellini rossi, il patio costellato di orchidee da qualche giorno vorticava intorno alla sua testa e le provocava un’inspiegabile accelerazione del battito cardiaco, un calore sordo allo stomaco, alle gambe e alle braccia. Allora si alzava, respirava forte e per riprendersi ricordava a se stessa di essere un medico e di obbligarsi a cercare ogni volta una spiegazione razionale. Perché c’è sempre un senso. Ce n’era stato uno, dieci anni prima, nella decisione di abbandonare una patria ingrata, probabilmente non ancora pronta a capirla. Una logica mentre si laureava a pieni voti in Medicina per poi specializzarsi in ginecologia e ostetricia. Un disegno dietro le settimane trascorse nelle Unità Comuniste Combattenti, a stendere chilometrici scritti ideologici (ricordava ancora l’ultimo documento che aveva contribuito a scrivere: s’intitolava Come uscire dall’emergenza? Ciò che è vivo e ciò che è morto nella lotta armata per il comunismo in Italia). Nella sua vita, anche la totale latitanza di Dio, incarnata dalle decine di inermi contadini dilaniati fino a poco tempo prima dalle katiusce della contra o da bambini ammazzati da uno stupido morbillo, anche le spalle di Dio intraviste da lontano riuscivano a significare qualcosa. Per cui, negli ultimi giorni tornava spesso in ospedale per rimettersi a disposizione di qualche angioletto, magari nato dalle sue mani in mattinata, sì, adesso, con i reparti sgombri di feriti e senza più arti da amputare. Lì tutto ruotava nella giusta direzione e il patio ballerino diventava un fastidioso ricordo, per quel momento abbandonato. Doctora Felicia. I contadini scesi dalle montagne per sfuggire ai massacri l’avevano sempre chiamata in questo modo. E qui c’era un senso, in quella oppressione sul petto no. Allora, pensò l’ultima volta, l’unica soluzione era tornare alle origini, alla quadratura del cerchio, alla dritta giusta che anche nelle peggiori situazioni il destino le aveva sempre sussurrato tra i lunghi capelli ramati, dietro le piccole orecchie mordicchiate da suo padre quando era bambina, per farla ridere: mettiti in viaggio, ragazza, va’ e non ti fermare. Così aveva fatto a quindici anni e aveva girato mezza Europa in autostop; o poco prima di laurearsi, quando aveva raggiunto l’Africa a piedi. Questa era la rotta e lei la conosceva bene, soprattutto quando tutto non funzionava. Andare e lasciarsi tutto alle spalle, non pensarci più e scrutare il futuro nello sguardo degli altri. Un orizzonte migliore, come quello che l’aveva accolta laggiù, in quella terra violentata da morte e distruzione, costruendole intorno una protezione insperata. Anche all’inizio non le era sembrato difficile, nonostante fosse stata risucchiata dalla guerriglia tra il Frente e i controrivoluzionari (o forse proprio per questo, pensava spesso per farsi compagnia durante le notti insonni trascorse sul suo materassino in ospedale, mentre raffiche di mitra vorticavano intorno all’edificio). Al suo fianco c’era stato sin dal primo giorno l’uomo che in quel momento la stava raggiungendo al bordo della radura: lui l’aveva condotta nella lotta armata e l’aveva allontanata da un marito premuroso e un figlio piccolo. Quest’uomo, di nome Casimiro, notò il viso impallidito della donna e le parlò.

    4

    A cosa ti riferisci? disse accarezzandosi i baffi, ormai grigi. Felicia si accorse di lui e si tolse le cuffie. Cosa?      

    Hai detto: Ma cosa sta succedendo? Cosa volevi dire?      

    Credo che stiano facendo un colpo di stato in Russia disse Felicia. Ci sono carri armati per le strade di Mosca.      

    Capisco commentò Casimiro sfilando un sigaro dalla tasca dei jeans consumati; Felicia gli lanciò un’occhiata furtiva prima di avvicinarsi a un cavallo nero e lucido come un pinguino. L’uomo non aveva perso le sue vecchie abitudini: la fumatina subito dopo essersi alzato, una camminata all’aria aperta, la testa all’insù per annusare il tempo. Non lo vedeva da un anno ma lo trovò sempre uguale: magro, i baffi sottili che sembravano un’ombra sotto il naso, quell’andatura insolita, come se tra una falcata e l’altra delle sue lunghe gambe non ci fosse interruzione, o come se a portarlo in giro fosse un tapis roulant. Erano stati molto vicini, un tempo. E non si era mai pentita di aver lasciato la famiglia per lui; nonostante tutto, nonostante l’avesse abbandonata in una serata qualunque di tanti anni prima, continuava a provare per Casimiro la stessa riconoscenza di sempre, quella che le aveva consentito di trovare se stessa nella calura delle giornate tropicali. Preso com’era dalla sua volontà di correggere la rotta sballata dell’universo, forse Casimiro non si era accorto di avere carisma; e lei, giovane donna in crisi, ne era rimasta soggiogata. Tuttavia Felicia aveva riflettuto molto prima di gettarsi tra le sue braccia; ma questo fu il suo destino e lei lo assecondò. Si avventurarono in un rocambolesco viaggio di settimane, terminato con l’approdo sicuro nei privilegi elargiti dal Frente ai terroristi di ogni latitudine; i primi anni vissero insieme e l’amore si sgonfiò con lentezza indolore e consapevolezza di entrambi. Allora lui se ne andò e lei ancorò la vita a un’idea già costruita nella sua testa: l’ospedale e l’aiuto ai più bisognosi. E così aveva trascorso gli anni della guerra e quelli della ricostruzione: immersa nei libri, accompagnata da buona musica, o china sulle pagine del diario dopo una giornata di duro lavoro in reparto. Tutto era filato liscio fino a qualche giorno prima, quando quel gelido calore irradiato dalla pancia in tutto il corpo era tornato a farle visita, come un parente lontano. Non si sentiva minacciata così dagli ultimi periodi della sua vita matrimoniale: all’epoca pensò alla crisi con suo marito e il senso di colpa allora si eresse come un giudice supremo sul suo dolore e la costrinse a letto per diversi giorni, con i nervi prostrati e un chiodo fisso a mantenerla in vita: la fuga verso l’assenza di rapporti umani. E quindi Casimiro cicatrizzò, la aiutò senza saperlo; il suo buonumore e la sua necessità di migliorare le condizioni generali del mondo la aiutarono a ristabilirsi e a prendere la decisione più importante di tutta la sua vita: abbandonare il marito e un figlio nell’età dell’incoscienza. Casimiro le spiegò che la rivoluzione contro l’imperialismo rapace e sfruttatore chiedeva dei sacrifici sul piano umano (anche lui abbandonava la famiglia per dedicarsi alla liberazione del popolo dalla schiavitù alle multinazionali); e che non doveva preoccuparsi di suo figlio, perché un giorno avrebbe capito. E lei gli credette. Fino a quel giorno, quando lo raggiunse a Puerto Viejo provando dentro di sé inedite emozioni.

    5

    Giovanni iniziò a pregare mentre cercava di ricordarsi dove fossero le chiavi della macchina; s’inchinò lì dove si trovava, inspirò per qualche secondo e poi cominciò. Succedeva sempre così, riconosceva le avvisaglie della chiamata alle armi, come amava definire dentro di sé la necessità di rivolgersi a Dio e ai Santi. Sin da piccolo trovava conforto nel raccoglimento e nel pensiero che dopo la vita terrena ci sarebbe stato un appagamento per tutte le sofferenze patite, una sorta di risarcimento danni proporzionato alle angherie subite sulla Terra: questo lo aiutò a sopportare la guerra a scuola, dove veniva deriso con un soprannome che non riusciva proprio a sopportare. Lo chiamavano Trombetta sin dalla prima elementare perché i suoi genitori, pace all’anima loro, lo mandarono nella banda del paese a imparare proprio quello strumento, secondo lui odioso per via di quei suoni striduli che tanto ricordavano il timbro della sua voce: alto, a tratti irritante. E per questo insieme di fattori fu chiamato così, con quel marchio, rimastogli addosso per sempre.

    Ma non serbo rancore. Questa era la frase che ogni giorno si ripeteva, per consolarsi e per trovare rifugio dalla sua vita complicata: allevare un bambino da solo, senza poter contare sull’appoggio di nessuno, lui, figlio unico rimasto troppo presto orfano. Certo, per fortuna c’erano i genitori di sua moglie: nonostante la disperante gestione di una figlia sciagurata come Felicia, si erano tuttavia dimostrati sensibili nei suoi confronti e in quelli dell’amato nipote Oronzo, chiamato Ronnie proprio dalla sua giovane mamma, insofferente alla regola dei nomi tramandati di generazione in generazione. Dopo la fuga, e il relativo abbandono di figlio e marito, si erano presi cura di loro come se nulla fosse accaduto, come se l’allontanamento volontario di Felicia non avesse intaccato per niente l’equilibrio dei rapporti affettivi dentro la famiglia. Eppure era noto a tutti quanto i due avessero accusato il colpo: Felicia era l’unica ad aver messo su famiglia, perché Franco, il primogenito, era diventato prete all’età di ventidue anni. E lei, anche questo lo sapevano tutti, non era una santa come suo fratello, lei era una tigre. L’unica persona che riuscì a domare i suoi furori fu proprio lui, Giovanni, fascinoso giornalista, del quale si innamorò e le cui attenzioni riuscirono a calmarla, a placarne l’inquietudine.

    Si erano conosciuti durante la presentazione di un libro; lui aveva curato la prefazione del romanzo scritto da un amico ed era così bello, con quelle mani affusolate che ondeggiavano davanti al suo viso mentre parlava. Lei se ne innamorò subito.

    Quando gli capitava

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