Antigone Contro Il Sofista

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ANTIGONE CONTRO IL SOFISTA

Con una celebre battuta, scritta a molti decenni di distanza dalla grande stagione del V secolo, Platone era riuscito a cogliere il senso e limportanza del teatro per Atene: pi che una democrazia, Atene una teatrocrazia.1 Atene una teatrocrazia, perch il teatro lo specchio della citt, in cui la citt si rappresenta di fronte a se stessa, nel suo sapere condiviso, nelle sue esigenze morali, nelle sue crisi e nelle sue contraddizioni.2 In generale, limpatto sociale, politico, collettivo di tragedia e commedia nel V secolo un fatto fin troppo noto perch si debbano spendere altre parole in questa sede.3 Quello che mi propongo di fare di concentrarmi invece su una singola tragedia, lAntigone di Sofocle, per verificare concretamente in che modo essa ha partecipato ai dibattiti del tempo e quale sia stato il suo contributo. 1. LAntigone fu messa in scena nel 442, una data che forse non senza importanza, come osserver pi avanti. Su questopera, come sempre accade ai capolavori, stato detto di tutto e sono state proposte le interpretazioni pi disparate. Ma a dispetto del numero infinito di divergenze contrastanti, c un punto su cui si pu concordare: un errore che biso-

1 PLATONE, Leggi III 701a. 2 MARIO VEGETTI, Letica degli antichi, Roma-Bari, Laterza, 1989, p. 49. 3 Per una discussione approfondita si veda ad esempio CHRISTIAN MEIER, Larte poli-

tica della tragedia greca, trad. di Daniela Zuffellato, Torino, Einaudi, 2000 (ed. or. Die politische Kunst der griechischen Tragdie, Beck, Mnchen, 1988).

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gna evitare quando si legge questa tragedia pensare che essa sincentri sul solo personaggio di Antigone, che assurgerebbe al ruolo di unica protagonista, analogamente a tante altre celebri figure del teatro greco e sofocleo. Lesemplarit dellAntigone, come aveva ben visto Hegel, sta piuttosto nel conflitto: lAntigone la rappresentazione di un conflitto, e perch si dia vero conflitto necessario che le due parti in causa possano rivendicare delle ragioni, una qualche legittimit, per le proprie posizioni, senza che tutto si risolva nella banale contrapposizione tra bene e male. Se si vuole seguire Sofocle, non ha dunque senso esaltare in Antigone leroina che resiste al dittatore, come aveva fatto ad esempio Brecht, quando aveva rappresentato Creonte nei panni di un gerarca nazista. Anche Creonte, come cercher di mostrare, ha delle istanze da far valere e la riflessione sulle sue posizioni uno degli aspetti pi interessanti della tragedia. Ma su cosa verte il conflitto dellAntigone? Contrariamente a quello che pensava Hegel, il tema del contrasto non soltanto la tensione tra stato e famiglia, o, come hanno voluto altri, la tensione tra le ragioni dellindividuo e quelle della collettivit, dei giovani contro gli adulti, o del femminile contro il maschile. Il vero conflitto, da cui tutto il resto dipende, riguarda il nomos, vale a dire la legge e il fondamento stesso della comunit umana. NellAntigone si confrontano due concezioni opposte di nomos, perorate rispettivamente da Creonte (v. 192) e da Antigone (v. 451), e questo confronto serve a Sofocle per trattare alcuni temi decisivi della condizione umana. Che il nomos occupi un posto di rilievo nellAntigone non in fondo una sorpresa: il V sec. a.C. il secolo del nomos. Come ben noto, nomos un termine complicato da rendere, perch copre unampia gamma di significati, difficilmente riconducibili a un unico termine nelle lingue moderne: nomos evidentemente la legge, ma anche la consuetudine o la tradizione sostanzialmente nomos tutto quello a cui gli uomini attribuiscono qualche valore, in opposizione a physis, la natura o meglio la realt delle cose, cos come di per s, necessariamente, a prescindere da qualunque intervento esterno. Di fatto, dunque, la riflessione sul nomos, soprattutto quando opposto a physis, un modo per parlare delluomo e della sua specificit. Perch il nomos qualcosa di umano, il risultato di decisioni prese dagli uomini, e in quanto tale ci che meglio caratterizza la specificit della condizione umana. Questo il vero tema in discussione nel V secolo. Sul piano pi propriamente politico questo nuovo interesse per il nomos d origine alle prime forme di quello che

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oggi chiameremmo positivo giuridico, vale a dire la tesi che identifica la giustizia e le leggi: giusto quello che gli uomini stabiliscono tra di loro e mettono per iscritto nelle leggi. Tradizionalmente, il legame tra giustizia e legge si fondava su una garanzia divina, per cui si condivideva la credenza in unorigine divina della legge che veniva di fatto a coincidere con la giustizia voluta dalla divinit; nel V secolo si assiste invece a un allentamento del vincolo religioso, confidando ora luomo sempre pi nelle possibilit di costruirsi da solo un proprio ordine di valori, giusto e legale. Si tratta di una convinzione che gode di una certa circolazione in Grecia, e in particolare ad Atene. Tra tutti un sofista, Protagora di Abdera, ad aver esplorato con particolare acume questa possibilit. 2. Purtroppo, nonostante la grande fama di cui godette in vita, si conservano oggi solo pochi frammenti di Protagora. Ma quei pochi frammenti confermano nella convinzione di avere a che fare con una personalit di primo piano, su un piano storico-filosofico generale e per il tema che qui cinteressa. Di fatto Protagora offre le basi ontologiche e antropologiche su cui fondare la tesi convenzionalista del nomos. Nellantichit di questo pensatore avevano destato particolare scalpore due affermazioni, riguardanti rispettivamente gli dei e gli uomini: Riguardo agli di non sono in grado di sapere n che sono n che non sono n quali siano nellaspetto: molte infatti sono le difficolt che lo impediscono, loscurit dellargomento e la brevit della vita umana;4 Di tutte le cose misura luomo, di quelle che sono come sono, di quelle che non sono come non sono.5 Obiettivo della prima frase non era una critica diretta degli di o della loro esistenza; piuttosto si trattava di allontanarli dal mondo degli uomini, lunico che interessasse a Protagora, come si ricava dalla seconda e non meno celebre tesi: al centro sono gli uomini e il problema capire in che senso. Di solito, secondo linterpretazione che ne ha offerto Platone nel Teeteto, si discute la tesi delluomo misura come se riguardasse esclusivamente il problema della conoscenza: in polemica con i poeti e con i

PROTAGORA, fr. B4 Diels-Kranz (tutti i frammenti dei sofisti e pi in generale dei pensatori presocratici sono citati secondo ledizione di HERMANN DIELS - WALTHER KRANZ (a c. di), Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin, Weidmann, 19526 [DielsKranz]; le traduzioni di Protagora sono tratte da MAURO BONAZZI (a c. di), I sofisti, Milano, Rizzoli, 2007). 5 PROTAGORA, fr. B1 Diels-Kranz.

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fisiologi, i cosiddetti maestri di verit, Protagora per primo avrebbe avuto il coraggio di affermare che non esiste la Verit in assoluto e in modo univoco; esistono tante verit quanti sono i soggetti conoscenti, di modo che sarebbe pi corretto parlare di opinioni. Platone stesso, per, ha cura di mostrare che non si tratta soltanto di problemi gnoseologici: la tesi presuppone un certa concezione della realt, unontologia, per cui si prende atto che la realt che ci circonda non portatrice di alcun ordine, senso o valore; la realt , in una parola, indifferente o meglio, ambigua.6 E soprattutto luomo misura comporta delle decisive conseguenze pratiche, che costituiscono il vero cuore della riflessione protagorea. La presa datto che non esistono valori o verit assolute iscritti nel mondo che ci circonda o che possiamo ricevere in dono dalla divinit non deve condurre ad unimpasse drammatica, per cui si riconosce lassurdit e linutilit della condizione umana. Al contrario, questa presa datto il punto di partenza per la costruzione di un mondo propriamente umano: in assenza della Verit o del Bene assoluto quello che conta il nomos, i valori e le regole che gli uomini stabiliscono tra di loro per convivere e prosperare, e che si concretizzeranno in un corpo legale a cui tutti dovranno obbedire per il bene di tutti.7 Il grandioso mito che Platone fa raccontare a Protagora nel dialogo omonimo serve a completare questo discorso, chiarendo la concezione antropologica del sofista.8 In breve, il mito rievoca il momento in cui luomo e le altre specie animali vennero create: per un errore, gli uomini apparvero sulla terra sprovvisti di tutto, nudi, scalzi, senza giaciglio e senza armi inermi, incapaci di difendersi dalle altre belve e dallostilit della natura. Prometeo cerc di aiutare gli uomini, donando loro il fuoco e la sapienza tecnica: ma anche questi strumenti, per quanto utili a migliorare la situazione (gli uomini sono ora in grado di ripararsi dal freddo o di cuocere i cibi), non servono a risolvere il problema, perch gli uomini continuavano comunque a commettere ingiustizia reciprocamente, con il risultato di non riuscire a stare insieme e di risultare dunque facile preda per le altre belve. Gli uomini infatti cercavano di salvarsi riunendosi in citt: ma non appena si riunivano, si commettevano ingiu-

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ENZO PACI, Storia del pensiero presocratico, Roma, Eri, 1957, p. 126. PLATONE, Teeteto, 167c = PROTAGORA, test. A21a Diels-Kranz. PLATONE, Protagora, 320c-323a = PROTAGORA, test. C1 Diels-Kranz.

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stizia lun laltro [] sicch di nuovo si separavano e perivano. Sar soltanto lintervento di Zeus a salvare gli uomini, facendo in modo che tutti partecipino di giustizia (dike) e rispetto (aidos): grazie alla condivisione di queste due virt che gli uomini potranno finalmente associarsi nelle citt e dare vita a un mondo umano. Anche se si articola in tre fasi, il mito non va inteso in senso cronologico, come se intendesse ripercorrere le tappe della civilizzazione dellumanit; il racconto di Protagora serve a individuare e circoscrivere alcune caratteristiche essenziali dellumanit stessa: non di mito genetico dunque si tratta, ma di un mito di struttura.9 Lo stato di natura in cui gli uomini si trovano a vivere dopo la creazione esprime infatti una situazione impossibile, e pu essere inteso come un esempio controfattuale per dimostrare e contrario che gli uomini sono animali politici e razionali: sono politici nel senso che non possono vivere isolatamente, ma hanno bisogno gli uni degli altri, sono costretti alla convivenza (politico va inteso etimologicamente a partire da polis, citt, comunit, stato); e razionali perch possiedono i mezzi per confrontarsi al fine di trovare delle soluzioni accettabili. E queste soluzioni, come gi visto, si realizzano nella condivisione di valori collaborativi: nel mito, giustizia e rispetto non costituiscono un possesso compiuto per gli uomini, ma sono piuttosto delle predisposizioni che vanno realizzate, vale a dire che devono concretizzarsi in un nomos, per lo sviluppo di una comunit felice.10 Mentre gli animali si comporteranno sempre allo stesso modo, luomo pu decidere cosa fare di s, se ripiombare nella dinamica di violenza del mondo animale o se costruirsi un mondo di valori. Nomos, dunque, non soltanto la garanzia di sopravvivenza, ma anche e soprattutto la condizione di possibilit perch gli uomini possano esplicare appieno le proprie potenzialit. Ed grazie al nomos che luomo pu finalmente dare ordine e senso alla realt che lo circonda.

Per un approfondimento di queste tematiche e per ulteriori riferimenti bibliografici, cfr. M. BONAZZI, Atene, i sofisti e la democrazia: Protagora e i suoi critici, in Il pensiero politico, XXXVII (2004), pp. 333-359. 10 Inoltre, non bisogna trascurare il fatto che Zeus s colui che dona queste due virt agli uomini, ma senza precisare in cosa consistono concretamente, senza esplicitare il loro contenuto: in altre parole, la giustizia non una rivelazione divina, ma qualcosa che gli uomini devono realizzare tra loro. In questo senso la cornice mitologica non contrasta con lagnosticismo del frammento B4 Diels-Kranz.

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Le tesi protagoree sulla giustizia e sulluomo costituiscono indubbiamente uno dei risultati pi stimolanti conseguiti dai sofisti, la cui importanza emerge ancora meglio nel confronto con la tradizione del mondo greco. La convinzione che il nomos sia ci che distingue luomo dagli animali, nella misura in cui permette loro di uscire dal mondo della forza bruta e della violenza creando un proprio ordine di valori condiviso, non una novit di Protagora, bens una convinzione comune che viene ribadita a pi riprese nella letteratura di et arcaica o classica. Una delle prese di posizione pi incisive si legge nelle Opere e i giorni di Esiodo, uno dei due grandi poeti educatori: tale la legge (nomon) che agli uomini impose il figlio di Crono: / ai pesci e alle fiere e agli uccelli alati / di mangiarsi fra loro, perch fra loro giustizia non ce; / ma agli uomini diede giustizia che molto migliore; / se infatti qualcuno disposto a dare giuste sentenze / cosciente, a lui d benessere Zeus onniveggente [].11 Indubbiamente questi versi presentano notevoli somiglianze con il mito del Protagora. Ma le differenze non sono meno significative. In Esiodo la giustizia qualcosa di divino, una divinit, figlia e protetta di Zeus, che interviene quando vede che gli uomini non la rispettano. Fuori dalle immagini mitologiche, questo significa che la giustizia esiste a prescindere dagli uomini; la giustizia umana non dunque indipendente, ma si deve conformare a questo ordine di valori divino. La novit di Protagora consiste nellinsistenza sul carattere umano e non divino, relativo e non assoluto, della giustizia. E della possibilit della giustizia: mentre il mondo di Esiodo un mondo di decadenza rispetto a unet perduta delloro, in Protagora c fiducia e ottimismo nelle capacit umane. Per quanto non sia stato il solo, Protagora fu certamente uno dei pi celebri sostenitori del nomos come ci che caratterizza propriamente la condizione umana e godette senza dubbio di una buona fama ad Atene intorno alla met del V secolo. Secondo una testimonianza pi tarda, la fama di Protagora fu tale che nel 444, allet di circa quarantacinque anni, fu scelto da Pericle per redigere le leggi, i nomoi, della nuova colonia di Turii in Magna Grecia. Che Protagora avesse stretti contatti con Pericle e la cerchia di intellettuali che gravitava intorno a lui del resto confermato da numerose altre testimonianze.

ESIODO, Le opere e i giorni, vv. 276-281 (trad. di Graziano Arrighetti, Milano, Garzanti, 1985).

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3. LAntigone fu composta in questo stesso periodo, nel 442, due anni dopo la fondazione di Turii nel pieno dellet aurea periclea. In uno studio ormai classico, Victor Ehrenberg aveva dimostrato che la presentazione sofoclea di Creonte conteneva continue allusioni a Pericle, sembrava ricalcata sul grande stratega (cfr. v. 8), al punto che lAntigone (insieme alle altre tragedie del ciclo tebano) pu essere anche intesa come una riflessione critica sulla politica periclea.12 Ma per capire il senso di questa critica, ed evitare cos di ridurre lAntigone a un pamphlet politico, bisogna intendersi sul significato di politica periclea: loggetto della polemica sofoclea non sono evidentemente i singoli provvedimenti dello statista, bens le idee di fondo, i principi, le convinzioni che fondano le sue scelte politiche e che guidano la sua attivit. su questo che si concentra lattenzione di Sofocle. Ed in questo contesto che le tesi di Protagora, di cui ho gi segnalato i legami con lo statista, vengono a giocare un ruolo importante. Anche senza dover ipotizzare una polemica diretta di Sofocle contro Protagora (la scarsit di testimonianze non permette questo tipo di ricostruzioni), la storia di Creonte implica una presa di posizione netta da parte di Sofocle rispetto ad alcune tesi che possiamo associare a Protagora o che in Protagora trovano un esponente di spicco (ed in questo senso che lanno di composizione e rappresentazione della tragedia non sarebbe senza significato). Come osservato in precedenza, Creonte il portavoce di una delle due concezioni di nomos che si fronteggiano nella tragedia. Questo emerge chiaramente fin dalla sua prima apparizione sulla scena, quando Creonte si presenta al coro degli anziani come nuovo reggente di Tebe e annuncia il suo editto sulla sepoltura di Eteocle e Polinice (cfr. v. 192). Spesso, e da parte di autorevolissimi filologi, questo discorso stato bollato come una prima rivelazione del carattere tirannico e prevaricatore del nuovo sovrano. Ma gi nel 1933 Karl Reinhardt aveva giustamente osservato che questo discorso si caratterizza piuttosto per una dedizione alle ragioni della collettivit ed espone una serie di principi morali e politici assolutamente condivisibili, a partire dallaffermazione che pi importante dellamicizia la giustizia (vv. 185-188, 207-210).13 Nel discorso non mancano del resto

VICTOR EHRENBERG, Sofocle e Pericle, trad. di Gian Enrico Manzoni, Brescia, Morcelliana, 1958 (ed. or. Sophokles und Perikles, Mnchen, Beck, 1957). 13 KARL REINHARDT, Sophokles, Frankfurt/M., Klostermann, 19473 (ed. or. 1933).

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neppure rispettosi ossequi alla potenza superiore della divinit (vv. 162163, 184). Ma il punto chiave attorno a cui ruota tutto il resto la convinzione della fondamentale importanza della dimensione politica del mondo umano, dove il legame con la polis decisivo: solo nella polis che sta la salvezza (v. 189).14 Se si riconosce questo principio, sar possibile non solo garantire la salvezza della citt, ma anche farla grande: con questi nomois che render grande la citt, proclama Creonte (v. 192).15 Come ogni discorso della corona, anche quello di Creonte non particolarmente netto, ma tende piuttosto a sfumare tutto insieme. Cos, il riconoscimento della potenza divina si accompagna a unesaltazione della capacit umana di superare le difficolt con le proprie forze, e morale e politica vanno insieme senza troppe difficolt. Ad ogni modo, nel seguito della tragedia i principi distintivi dellazione di Creonte diventano chiari. Un momento decisivo il primo stasimo, quando il coro commenta il discorso e le azioni di Creonte. L si legge (ma solo a una lettura superficiale) unesplicita esaltazione dellintraprendenza umana, o meglio della sua inquietudine (per riprendere la traduzione heideggeriana di deinon)16 nel senso letterale di ci che non si accontenta di ci che dato ma ha la forza e il coraggio di spingersi sempre al di l, per imporre un proprio ordine di valori su una realt che di per s ostile o indifferente: luomo che con le sue forze, la sua intra-

Cfr. SIMON GOLDHILL, Reading Greek Tragedy, Cambridge, Cambridge University Press, 1986, p. 95: Creons faith in the maintenance of law, then, does not in itself define him as an especially hard-line authoritarian or dogmatist, but very much as a man of the polis, a citizen. 15 Come traduzione dellAntigone seguo, con qualche modifica, quella di Franco Ferrari in SOFOCLE, Antigone, Edipo Re, Edipo a Colono, a. c. di F. Ferrari, Milano, Rizzoli, 1982. 16 Cfr. MARTIN HEIDEGGER, Introduzione alla metafisica, a. c. di Gianni Vattimo, trad. di Giuseppe Masi, Milano, Mursia, 1968, p. 159 (ed. or. Einfhrung in die Metaphysik, Tbingen, Niemeyer, 1966): Noi concepiamo lin-quietante (das Un-heimliche) come quello che estromette dalla tranquillit, ovverossia dal nostro elemento, dallabituale, dal familiare, dalla sicurezza inconcussa. Ci che insolito, non familiare (das Unheimische), non ci permette di rimanere nel nostro elemento. Ed in ci che consiste il predominante. Ma luomo quanto vi di pi inquietante non soltanto perch svolge la sua essenza in mezzo allin-quietante cos inteso, ma lo perch fuoriesce, sfugge da quei limiti che gli sono anzitutto e per lo pi familiari, in quanto, come colui che esercita violenza, trasgredisce i limiti del familiare, e ci proprio in direzione dellinquietante inteso come il predominante.

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prendenza e la sua intelligenza solca il mare in tempesta, piega la terra al suo volere, addomestica gli animali e costruisce citt. Tradizionalmente, navigazione, caccia e agricoltura sono tutti esempi della capacit delluomo di dare ordine e senso alla realt che lo circonda di dare un nomos alla physis, per usare il linguaggio del tempo. La polis e la politica sono il culmine di questo processo, la celebrazione compiuta della grandezza umana, del suo potere davvero deinon.17 Se ci fermiamo a questa prima parte della tragedia, le somiglianze con alcune delle tesi sostenute da Protagora sono evidenti. Innanzitutto linsistenza sulla centralit delluomo, e sulle sue capacit di dare un senso alla sua esistenza; secondariamente, ma non un punto meno importante, linsistenza sulla dimensione politica come ci che pi propriamente caratterizza la dimensione umana e dunque come ci che pu permettere alluomo di realizzarsi, distinguendosi dalla natura e dagli animali per creare un mondo tutto umano. Infine, ed forse laspetto pi interessante, la fiducia nella grandezza umana, una fiducia che contrasta con il pessimismo tradizionale della mentalit greca. Anche posizioni come quelle sostenute e diffuse da Protagora vengono dunque impiegate per abbozzare la figura di Creonte. Se ci fermassimo qui, si potrebbe per anche obiettare che questa presentazione di Creonte, per quanto riprenda alcuni temi della riflessione protagorea e dellattivit periclea, non sembra per particolarmente caratterizzante o importante. Limportanza di questa presenza diventa chiara mano a mano che la tragedia procede e lobiettivo polemico di Sofocle si fa pi netto. a quel punto che il riferimento a posizioni come quelle che associamo a Protagora diventa pregnante per capire il significato profondo della tragedia e il messaggio di fondo che Sofocle vuole lanciare al suo pubblico. Qual infatti lobiettivo di Sofocle? Per comprenderlo conviene tornare allo stasimo dove compaiono anche delle note pi problematiche, di cui occorre tenere conto. In particolare, il coro prefigura la possibilit non solo del successo, ma anche dello scacco: ora al bene ora al male sincammina (v. 366). Subito dopo il coro spiega anche come raggiungere il bene e sfuggire dal male: rispettando le leggi (nomous) della sua terra / e la giustizia vincolata dal giuramento degli dei (vv. 367-368). Colle-

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GOLDHILL, Reading Greek Tragedy, p. 206.

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gata allo svolgimento della vicenda, questa frase non fa che ripetere e confermare le affermazioni di Creonte, che aveva conferito legittimit al suo editto contro Polinice sostenendo che fosse conforme al volere divino, unendo dunque le leggi umane e la giustizia divina. Antigone, invece sappiamo noi e presto scopriranno Creonte e il coro , che ha appena seppellito il fratello, di fatto fuori dal consesso umano, non pi neanche un essere umano, se luomo un animale politico, ed inoltre invisa agli dei: autonoma (v. 821), vale a dire folle. Ma cosa succede se questa tacita alleanza, che viene data per acquisita, tra leggi umane e giustizia divina viene messa in discussione? Perch proprio questo il gesto di Antigone e la sfida di Sofocle. Nellepisodio successivo, una volta sorpresa, Antigone non si difende facendo appello allamore fraterno o al rispetto dei vincoli familiari: Antigone rivendica la bont del suo gesto in ossequio alle leggi non scritte, incrollabili, degli dei, che non da oggi n da ieri, ma da sempre sono in vita, n alcuno sa quando vennero in luce (vv. 454-455). La legge divina, in altre parole, impone degli obblighi che contrastano con quella umana. Il rinvio alla legge di Zeus e a Dike, che abita con gli dei sotterranei (vv. 450451), opera una disgiunzione netta fra luniverso religioso di Zeus e Dike da un lato e il mondo della polis e del nomos umano dallaltro, smascherando cos lempiet della posizione di Creonte, che non aveva apertamente negato limportanza degli dei, ma li aveva di fatto subordinati alle scelte degli uomini. Ed chiaro, una volta avvenuta la frattura, che laudacia (v. 371) ricade tutta su Creonte, luomo che pretende di fare da solo, mentre la follia di Antigone diventa la vera sapienza. Si chiarisce cos la sfida di Sofocle. Alla luce di quanto precedentemente osservato facile verificare che in Creonte Sofocle dava voce alle istanze di chi, come Pericle o Protagora, si era posto il problema di una fondazione umana, e troppo umana, della legge e della citt. Il vero obiettivo polemico di Sofocle insomma lumanesimo, di cui Protagora aveva offerto una difesa grandiosa con la sua tesi delluomo misura di tutte le cose. Nelle testimonianze del tempo, in Protagora o in Pericle, facile verificare che lumanesimo di fondo non si accompagna mai a prese di posizioni prometeiche contro gli dei: Protagora non neg esplicitamente lesistenza degli dei e Pericle non afferm mai che gli ateniesi non avevano bisogno dellaiuto divino. Ma questo quello che la loro posizione implica, almeno secondo Sofocle: e il gesto di Antigone serve a far esplodere un problema che altrimenti rischiava di rimanere in secondo piano.

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4. Se vero che lobiettivo polemico di Sofocle questo umanesimo che pretende di mettere luomo al centro di tutto, ci non significa per che la sua posizione possa essere inquadrata semplicemente nei termini di anti-umanesimo. Banalizzando, quella potrebbe essere piuttosto la posizione di Antigone, che non sembra riservare alcun valore al nomos e alla polis degli uomini.18 Ma Antigone non Sofocle, non pi di quanto il Socrate dei dialoghi sia Platone, o Amleto Shakespeare. Nella tragedia, letta nella sua interezza, non c un rifiuto cos deciso del mondo umano. Piuttosto quello che preme a Sofocle invitare il suo pubblico, i suoi concittadini, a pensare veramente a cosa significa questo umanesimo. A questo proposito Mario Vegetti ha parlato opportunamente di rischio della secolarizzazione:19 quello di Sofocle un invito, ma forse meglio dire un monito, un avvertimento a pensare davvero a che cosa luomo, a cosa pu, fondandosi sulle sue forze, a qual il suo posto nelluniverso. Quello che rende appassionante questa tragedia, e pi in generale il teatro di Sofocle (si pensi anche a Edipo), appunto la profondit con cui viene indagato questo problema e non tanto le risposte che i critici ritengono di poter ricavare.20 Ed alla luce di questa polemica che la tragedia di Creonte diventa esemplare, esemplare per capire che cosa luomo, quale la sua grandezza e quali i suoi limiti. Mentre Antigone esce progressivamente di scena, avvolta dalla sua solitudine, si consuma la parabola di Creonte, che da sovrano illuminato si trasforma in un dittatore, non meno solo della sua antagonista. Raccontando questa vicenda, Sofocle fa qualcosa di pi che semplicemente ammonire: cerca di spiegare anche qual il problema di questo umanesimo, il perch dellinevitabilit della rovina a cui Creonte condannato, e il monito diventa una critica sferzante. In una parola, lerrore di Creonte la vocazione totalizzante, il desiderio di controllare

Da Hegel a Martha Nussbaum, in tanti hanno osservato che il personaggio di Antigone non meno radicale, ostinato e unilaterale di quello di Creonte; ad esempio si potrebbe osservare che, se fosse per Antigone, noi non sapremmo neppure che c stata una guerra! Cfr. MARTHA NUSSBAUM, La fragilit del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, a. c. di Gianfrancesco Zanetti, trad. it. di Mario Scattola, Bologna, il Mulino, 1966, pp. 152-157 (ed. or. The Fragility of Goodness, Cambridge, Cambridge University Press, 1986). 19 VEGETTI, Letica degli antichi, p. 56. 20 GOLDHILL, Reading Greek Tragedy, p. 206.

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tutto. Per capire la posizione di Sofocle conviene passare dal tema di fondo della tragedia, vale a dire la posizione delluomo nelluniverso, alla questione di cui si tratta direttamente, vale a dire la morte. In fondo, lAntigone ruota intorno alla morte, una riflessione sulla morte, sul modo in cui gli uomini si rapportano a essa o in cui presumono di poter fuggire da essa. In una parola, la tragedia racconta del tentativo da parte di Creonte di controllare politicamente la morte.21 La sepoltura, i riti funebri sono un tentativo da parte delluomo di dare ordine e senso, nomos, a un fatto, a una realt fondamentale della vita umana, di cui altrimenti sfuggirebbe il significato. Ma Creonte persegue un disegno totalizzante, pretende di imporre un senso solo politico alla morte, riducendola di fatto a una questione secondaria rispetto al mondo dei vivi e della polis, sfuggendo a un vero confronto con essa a un confronto con quello che essa significa per noi. Anche in questo caso difficile non pensare alle convergenze con Pericle, che nellepitafio tucidideo promette agli Ateniesi una sorta di immortalit nella gloria della citt.22 La posizione di Sofocle va in una direzione completamente opposta, come si ricava ancora una volta fin dal primo stasimo. La grandiosit delle imprese umane l celebrate non deve infatti far dimenticare che c una cosa di cui luomo non pu avere ragione, appunto la morte. Questo riferimento alla morte segna uno stacco nettissimo rispetto a quello che precede: luomo pantoporos, di ogni risorsa armato, inerme (aporos) mai verso il futuro si avvia. Ma solo dallAde scampo non trover (vv. 360-362). Gi nel primo stasimo, insomma, la presunta celebrazione della grandezza umana si scontrava con la presenza ineluttabile della morte. Ma cosa significa la morte, o meglio Ade, Haides? Haides, il termine scelto da Sofocle, non senza significato e si ritrova in qualche modo anche nel discorso di Antigone, quando fa appello alle leggi non scritte, non mortali ma imperiture, alla giustizia che vive con gli dei sotterranei (gli di dellAde, ap-

21 SETH BENARDETE, A Reading of Sophocles Antigone, in Interpretation, IV (1975),

pp. 148-196. 22 TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, II 43, 2 (a c. di Luciano Canfora, Torino, Einaudi - Gallimard, 1996): perch donando la loro vita per il bene comune ricevevano come personale compenso lelogio che il passare degli anni non intacca e la pi insigne delle sepolture che non quella in cui giacciono i loro corpi, bens quella ideale in cui la loro gloria resta, sorretta da un ricordo perenne (aiei) che si rinnova ad ogni occasione che si dia di parola e di azione.

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punto vv. 450-460). A mio parere, chi meglio di altri ha colto il senso e il valore di questo termine il teologo protestante Rudolph Bultmann, in un breve e quanto mai incisivo saggio del 1935:23 Il problema dellAntigone esordisce il saggio quello della fondazione autentica della polis, e insieme della fondazione autentica di ogni convivenza umana in generale, dato che la convivenza umana acquista forma soltanto nella polis (p. 199). Poi, dopo aver chiarito che il problema della fondazione il problema del nomos, e che nella tragedia si fronteggiano due concezioni diverse di nomos, cos spiega il nomos a cui si appella Antigone:
Il nomos che Antigone segue lantica obbligazione di onorare i morti, che spetta alla famiglia (466 ss., 914 ecc.). Ma questo nomos appare come il nomos dellAde; e dunque il problema del dramma non consiste semplicemente nellopposizione tra il nomos della polis e il nomos di unantica tradizione familiare [...]. Luso tradizionale rappresenta lautorit dellAde in quanto misterioso Aldil in generale. Obbedendo allusanza antica, Antigone riconosce la potenza in cui essa fondata; non la potenza del sangue che lega alla propria parentela, ma quella dellAde, della morte. Antigone [] [rappresenta] la coscienza che lesistenza umana e anche lesistenza della polis limitata dalla potenza trascendente dellAde. LAde non qui inteso come mitica figura individuale, come potenza particolare che difende gelosamente i propri diritti, ma come il misterioso Aldil di ogni iniziativa e di ogni legislazione umana; come la potenza da cui scaturisce il diritto autentico e che relativizza ogni diritto posto dagli uomini. (p. 201)

LAde, letteralmente, il non visibile, ci che sfugge alla comprensione umana e che allo stesso tempo gli ricorda la sua fragilit e limpossibilit di controllare tutto; ci che rivela la finitezza del politico, la sua natura sempre relativa. Lerrore di Creonte stato allora quello di non comprendere il vero significato della morte, presumendo di poter con-

RUDOLF BULTMANN, Polis e Ade nellAntigone di Sofocle, in Credere e comprendere. Raccolta di articoli, Brescia, Queriniana, 1986, pp. 378-389 (ed. or. Polis und Hades in der Antigone des Sophokles, in ID., Glauben und Verstehen. Gesammelte Aufstze, Tbingen, Mohr, 1952). La traduzione di Bultmann stata poi ripubblicata con un importante commento di GAETANO LETTIERI in PIETRO MONTANI (a c. di), Antigone e la filosofia, Roma, Donzelli, 2001, pp. 209-242, da cui sono tratte le citazioni che seguono. Il numero di pagina viene indicato direttamente in corpo di testo, tra parentesi.

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trollare anche questo fatto, che invece levidenza prima dei limiti della condizione umana e della sua impossibilit di controllare tutto. Creonte ha scritto ancora Bultmann vuole ignorare la potenza della morte, in cui parla la voce alta dellAldil che limita luomo (p. 203). In questo legame tra nomos, morte e Ade sta, a mio giudizio, il valore profondo della polemica di Sofocle. Spesso si tende a identificare il poeta con la sua eroina, ma quello che importa veramente a Sofocle non tanto il gesto di Antigone o il contenuto di quelle leggi non scritte a cui ella si appella. Il problema che pi interessa a Sofocle il significato stesso che lesistenza di un nomos divino ha per lesistenza delluomo. Il vero valore di queste leggi non scritte non si risolve tanto in quello che prescrivono o proibiscono di fare (questo piuttosto il problema di Antigone): la loro funzione quella di ricordare al suo pubblico (se non a Creonte) che esiste un ordine di valori superiore rispetto a quello degli uomini, che sfugge alle possibilit di un completo controllo da parte delluomo. Questa lunica certezza per luomo, e il punto da cui dovrebbe partire per trovare il suo posto nelluniverso. La tragedia di Creonte non altro che la conseguenza di questo errore: deinon, questa in fondo la lezione dellAntigone, non luomo (v. 331), ma il destino (v. 950). Si potrebbe essere restii ad attribuire tanta importanza a Creonte, che in questa lettura diventa quasi il personaggio pi importante della tragedia. Ma a una simile obiezione sarebbe facile rispondere con il parallelo di Edipo, il sovrano buono, luomo pi intelligente, il figlio della tyche che con le sue capacit ha mostrato fino a che punto potesse spingersi luomo e che come Creonte miseramente crollato. Edipo sta su un piano pi alto di Creonte ma crolla allo stesso modo, perch anchegli tenta di vivere in base al criterio secondo cui luomo misura di tutte le cose.24 Rispetto allEdipo re, lAntigone molto pi interessata a problematiche politiche. La tragedia di Creonte anche una tragedia politica. Ma, di nuovo, il problema del politico non altro che una conseguenza della hybris di Creonte, cui abbiamo appena fatto cenno. La hybris, la sua tracotanza, la chiave di volta della sua vicenda, di una parabola che si consuma velocemente, trasformando Creonte in tiranno da sovrano illuminato che era, e da uomo apparentemente timorato in oppositore dichiarato degli dei (vv. 1040-1044). La vicenda politica scaturisce direttamen-

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EHRENBERG, Sofocle e Pericle, p. 107.

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te dal suo errore di fondo, vale a dire dallaver posto luomo, e soltanto luomo, al centro di tutto. Nella misura in cui viene meno la consapevolezza della provvisoriet della condizione umana, il diritto e la politica si riducono progressivamente a una questione di deliberazioni arbitrarie, fondate soltanto sulla forza e sul potere.25 Dalla giustizia si passa cos alla forza, a un potere autocratico e unilaterale, la cui unica legittimazione risiede nella capacit di tutelare il suo stesso potere e non nel tentativo di promuovere il bene della comunit. Un deserto, come annuncia disperato Emone e come tante volte si potuto verificare nel corso della storia umana. Questo il risultato di un mondo in cui luomo si pretende misura di tutto. 5. Giunti fino a qui, se linterpretazione che ho proposto corretta, diventa possibile concludere con qualche osservazione di carattere pi generale sullAntigone, il teatro (greco) e la filosofia. Ma questo con una precisazione preliminare di fondamentale importanza. In realt non bisognerebbe mai dimenticare che non ha senso parlare della filosofia, nel V secolo, come se si trattasse di una disciplina di sapere autonoma, provvista di un suo statuto epistemico e di precisi tratti distintivi. Per la filosofia, cos come noi la conosciamo (sempre che poi esista qualcosa che noi chiamiamo filosofia), bisogna aspettare almeno fino a Platone, o meglio Aristotele. Prima, ad Atene, sono in fondo tutti filosofi, come dichiara Pericle in un celebre passaggio dellepitafio tucidideo.26 Mentre Eraclito affermava di disprezzare i filosofi, che sanno tutto e non capiscono nulla.27 Stante questa premessa, quello che davvero colpisce nellAtene del V secolo la vastit e la ricchezza del confronto, in cui tutti prendono posizione su una serie circoscritta di problemi, senza distinzioni di generi o discipline. Senza dubbio, uno dei grandi temi in discussione il nomos, e in questo dibattito, come spero di aver mostrato, Sofocle gioca un ruolo di primo piano, che conferma la grandezza davvero esemplare di una tragedia come lAntigone. Con lAntigone Sofocle propone una prima vera riflessione sul fascino e sui rischi dellumanesimo, che aveva dominato il dibattito del tempo, e riesce a trattare temi che erano e sareb-

25 26 27

MEIER, Larte politica, p. 255. TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, II, 40, 1. ERACLITO, Fr. B35 Diels-Kranz.

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bero stati appannaggio del filosofi. Ovviamente, Sofocle tratta di questi problemi in un modo diverso rispetto ai filosofi. Di solito la filosofia consiste in una pratica discorsiva, fondata su una serie di argomentazioni razionali a favore o contro una data posizione. Questo evidentemente non il caso della tragedia di Sofocle, che invece persegue i suoi obiettivi raccontando delle storie, e con una serie di allusioni, la cui importanza difficile da cogliere in prima battuta, visto che il loro significato cambia con il procedere della vicenda stessa ( la famosa ironia tragica). Ma non detto che questo sia limitante: al contrario, si potrebbe osservare, sviluppando unintuizione di Bernard Williams,28 che le strategie argomentative dellAntigone, ma un discorso analogo potrebbe valere anche per lEdipo re o per le Baccanti, riescono a cogliere con maggior incisivit lurgenza di queste grandi problematiche, che da sempre impegnano gli uomini. Ed questo che fa dellAntigone un capolavoro: ci che la distingue da tante altre opere letterarie la capacit di associare a questa urgenza la raffinatezza delle analisi: non soltanto colpire il lettore con la potenza del problema, ma stimolare la sua riflessione. Una conferma significativa della grandezza dellAntigone emerge del resto se la si confronta con quanto sarebbe successo nei decenni successivi ad Atene: di fatto lAntigone anticipa una serie di problemi e polemiche che avrebbero costituito uno dei punti di pi acceso dibattito tra i sofisti e Platone pochi anni dopo. Mi riferisco in particolare alla polemica contro il positivismo, che in Protagora e Pericle trova due esponenti di spicco. Laccusa per cui gli uomini, se dimenticano la loro debolezza, rischiano di trasformare i loro rapporti in semplici relazioni di potere, la tesi di Trasimaco nel primo libro della Repubblica di Platone, nonch la lezione che Tucidide ritiene di poter ricavare da quel maestro violento che la guerra. E un discorso analogo vale anche per il versante antropologico che fa da sfondo a queste tesi, perch linquietudine celebrata (le virgolette sono dobbligo) nel primo stasimo dellAntigone, quella

28 Cfr. ad es. BERNARD WILLIAMS, Philosophy, in MOSES I. FINLEY (a c. di), The Legacy

of Greece: a New Appraisal, Oxford, Oxford University Press, 1991, pp. 202-255, e ID., The Women of Trachis: Fiction, Pessimism, Ethics, in ROBERT B. LOUDEN - PAUL SCHOLLMEIER (a c. di), The Greeks and Us, Chicago, University of Chicago Press, 1996, pp. 4353. Entrambi gli articoli sono stati poi ripubblicati in ID., The Sense of the Past. Essays in the History of Philosophy, Princeton, Princeton University Press, 2006.

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spinta ad andare oltre per stabilire un proprio ordine di valori che dia un senso alla vita umana, pu facilmente rivelarsi come una spinta animalesca alla prevaricazione e allaffermazione egoistica del proprio interesse e del proprio potere per usare le parole del tempo, nella pleonexia, letteralmente quel desiderio di avere di pi che spinge gli uomini ad agire e a osare. Ma le somiglianze di Sofocle con realisti quali Tucidide o Trasimaco non devono nascondere le differenze, che sono decisive: mentre per questi, bello o brutto che sia, la forza e il desiderio sono i soli fatti che contano, gli unici criteri per lazione umana, Sofocle lascia invece intravvedere una via di fuga alternativa: quello che conta non la forza, ma al contrario la debolezza, o meglio la consapevolezza della fragilit umana che sola pu porre le basi per unautentica solidariet in unesistenza segnata comunque da difficolt e ostilit. Una lezione forse difficile da realizzare, ma su cui vale la pena di pensare e su cui molti, a partire da Platone hanno provato a pensare a conferma del fatto che il teatro pu davvero offrire materia di riflessione ai filosofi. Mauro Bonazzi Dipartimento di Filosofia Universit degli Studi di Milano

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ABSTRACT
Antigone against the Sophist Aim of the paper is to show that a correct interpretation of Sophocles Antigone has to take into account also its polemical targets. More precisely, it is a comparison with Protagoras that may prove useful. Indeed, the main reason of disagreement between Antigone and Creon does not regard so much the opposition between the family and the state as two different accounts of reality and of human being. Antigone, on the one hand, advocates for a world ruled by divine laws, whose meaning can escape human understanding, but which men must nevertheless respect. Creon, on the other hand, emphasizes the political capacity that enables human beings to create a human world in which to live. This view clearly reminds on Protagoras humanism and relativism, a philosophy well known in V century Athens. But the problem, for Sophocles, is that a world in which man is the only measure risks to become a world without measure, or, even worse, a world with strength as the only measure, as the example of Creon will show in the second part of the tragedy.

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