Dipinti Del 600 Napoletano Nei Musei Francesi

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PREFAZIONE

Lo straordinario successo della mostra sulla pittura napoletana seicentesca attualmente in


corso in Francia, mi indusse a scrivere una lettera pubblicata dai principali quotidiani:
Sembra assurdo che per ammirare i big del secolo doro, che nel Seicento fecero di Napoli una
indiscussa capitale delle arti figurative bisogna recarsi in Francia e non allombra del Vesuvio.
Infatti mentre a Montpellier, al museo Fabre, si inaugura una straordinaria mostra dedicata
alla pittura napoletana seicentesca: LAge dOr de la peinture a Naples, de Ribera a Giordano,
giudicata dal ministero francese tra le pi importanti del 2015, ricca di 84 dipinti di cui 28
provenienti da musei e collezioni private partenopee, a Napoli sono anni che non si riesce ad
organizzare una rassegna decente, degna delle memorabili esposizioni degli anni passati,
quando la sovrintendenza alle Belle Arti era unisola felice abitata da insoliti titani, dal
vulcanico Raffaello Causa al sovrano di Capodimonte Nicola Spinosa, da tempo in pensione e
che guarda caso lorganizzatore della mostra transalpina di cui abbiamo accennato.
In Francia, a parte al Louvre, nei numerosi musei minori sono conservati centinaia di dipinti
del Seicento napoletano, poco noti allestero e spesso agli stessi specialisti.
Solo in piccola parte rappresentano il frutto delle spoliazioni napoleoniche, bens
costituiscono la scelta di collezionisti facoltosi ed illuminati, che nel tempo hanno acquistato
sul mercato, creando raccolte prestigiose, passate poi allo Stato, come ad esempio la famosa
collezione di Francois Cacault, un diplomatico che acquis nellOttocento una spettacolare
raccolta di oltre mille dipinti che fu poi acquisita alla sua morte dalla citt di Nantes.
Scopo di questo libro quello di far conoscere ad un vasto pubblico un patrimonio ricco e
variegato, che include decine di nomi di artisti, dai pi grandi quali Ribera, Giordano, Preti,
Rosa e Solimena, ai tanti minori, che, al fianco dei giganti, hanno collaborato a fare di Napoli
nel Seicento una indiscussa capitale della pittura.
Per ogni quadro una scheda per approfondire il valore di quanto andiamo a far ammirare con
una serie di oltre cento riproduzioni a colore ed alcune notizie sugli autori.
Achille della Ragione

NOTIZIE SUGLI AUTORI E SCHEDE DEI DIPINTI


Un protagonista nella temperie artistica napoletana della seconda met del secolo il
piemontese Giovan Battista Beinaschi (Fossano 1636 - Napoli 1688), che trascorre due lunghi
soggiorni allombra del Vesuvio intento ad affrescare le cupole delle chiese dei pi importanti
ordini religiosi.
Introdotto giovanissimo nella corte reale di Torino, dopo poco intraprende il tradizionale
viaggio di istruzione a Roma, dove, sotto il pittore palermitano Pietro Del Po, padre di Giacomo,
compie il suo discepolato, dedicandosi alla copia dei grandi esempi di Annibale Carracci alla
Galleria Farnese e del Lanfranco a SantAndrea della Valle e a San Carlo ai Catinari.
inesatta perci la notizia, riportata dal De Dominici, di un suo discepolato presso il Lanfranco,
morto quando il Beinaschi aveva solo undici anni, ma il nostro artista fu uno scrupoloso
imitatore e seguace del grande emiliano, sia nella pittura che nel disegno, a tal punto che solo di
recente la critica ha imparato a discernere tra la produzione grafica delluno e dellaltro.
Le sue prime opere degli anni romani, alcune delle quali passate di recente in aste internazionali,
mettono in evidenza il tentativo di raggiungere in diversa maniera la levit di tocco del barocco,
ottenuta in genere per mezzo della luce e del colore.
Attratto dalle numerose committenze in programma a Napoli nellambito delle decorazioni a
fresco, il Beinaschi vi si trasferisce nel 1664, dove esegue i suoi primi lavori documentati in San
Nicola alla Dogana: la cupola con Gloria di San Nicola e vari dipinti rappresentanti miracoli del
santo.
Al pittore piemontese spetta il merito di aver introdotto in area napoletana le soluzioni del
Correggio, che precedono le aperture barocche viste alla luce delle pi moderne soluzioni
cromatiche lanfranchiane.
Tra il 1672 ed il 73 chiamato dai padri Teatini ad affrescare la volta della chiesa di Santa
Maria degli Angeli a Pizzofalcone con storie della Vergine. In questa impresa, a parte il
Lanfranco, il punto di riferimento preciso costituito dal Correggio, depurato da ogni motivo
profano e sensuale.
Nel 1676 si reca a Roma dove rimarr per tre anni lavorando al fianco di Giacinto Brandi.
Da Roma torner poi a Napoli nel 1679 dove mette mano alla sua realizzazione pi cospicua, il
Paradiso, affrescato nel 1680 nella cupola dei SS. Apostoli, che sembra coronare le ampie
decorazioni lasciate dal Lanfranco in quella chiesa.
Il Giosu ferma il sole per vincere gli Amaleciti (tav. 1) del muse des Beaux-Arts di Nantes di
Giovan Battista Beinaschi apparteneva alla celebre collezione Cacault, che contava oltre 1000
dipinti, tutti donati alla citt, che possiede cos una raccolta di tutto rispetto.
Il dipinto prende ispirazione dalle battaglie del Borgognone e di Salvator Rosa, ma possiede
quelle caratteristiche di originalit che contraddistinguono lo stile del pittore in grado di
raggiungere la leggerezza di tocco del barocco per mezzo di un sapiente uso della luce e del
colore. I toni schiariti e i colori pi caldi, la composizione aperta e mossa, le forme di respiro
monumentale, la luce dorata che irrompe dal fondo unendo pi intimamente cielo e terra
dimostrano in ogni caso gli sforzi di aggiornamento compiuti dal pittore.
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Il Paradiso (tav. 2) fa parte dal 1890 del museo eucaristico du Hieron a Paray le Monial e
costituisce il modello per la parte centrale della cupola dei SS. Apostoli, realizzata tra il 1680
ed il 1682, uno dei pi importanti cicli decorativi eseguito dal Beinaschi nel corso dei suoi due
soggiorni a Napoli.
Nel bozzetto in esame il Cristo posto su una nube luminosa domina la composizione, alla sua
destra alcuni angeli portano la croce (di questo dettaglio conservato al Louvre il disegno
preparatorio), mentre alla sua sinistra siede la Vergine (disegno preparatorio di questo
particolare alla National Gallery di Ottawa).
Se lartista dimostra un talento innegabile nel rendere dinamiche tante figure, le sue
composizioni restano in ogni caso compatte ed il tocco molto denso, ben differente dalla
virtuosit aerea del suo contemporaneo Luca Giordano.
Andrea Belvedere (Napoli 1652 circa - 1732) prosegue la tradizione mai interrotta dei migliori
fioranti napoletani prendendo spunto da ognuno degli epigoni: dal Porpora l'iconografia dei
soggetti, da Giuseppe Recco la chiara lucidit di analisi e di resa ottica, da Giovan Battista
Ruoppolo il gusto dell'enfasi decorativa.
Egli traghetta dolcemente la pittura di genere dalla solida corposit della nostra migliore
tradizione ad una sensibilit nuova, ad una leggerezza rocaille, che il segno pi tangibile dei
tempi nuovi, con un prodigio di sottigliezze visive e di vibrante naturalezza.
Acuto osservatore, si dimostra aggiornato sugli esiti pi recenti della pittura europea: dalle pi
antiche esperienze di Juan de Arellano, ai prodotti dei principali generisti francesi e tedeschi,
attivi a Roma negli ultimi decenni del secolo. I suoi saldi riferimenti, che cerca di eguagliare e
superare, sono Jean Baptiste Monnoyer, Franz Werner Von Tamm e Karel Von Vogelaer, gli
ultimi due pi conosciuti come Mons Duprait e Carlo dei fiori, che il Belvedere traduce in
spiritosa parlata partenopea con accenti personalissimi.
Su questa gara a distanza nei riguardi di questi illustri specialisti stranieri, obiettivo traguardo
di sincera emulazione, ci soccorre il racconto del De Dominici, che del pittore, suo
contemporaneo, era oltre che estimatore anche grande amico: sicch datosi a far nuove fatiche
sul naturale dei fiori, e massimamente sulle fresche rose, che arriv a dipingere con
unincomparabile tenerezza, pastosit di colore, e sottigliezza di fronde, che rivoltate fra loro, e
con la brina al di sopra, dimostra non essere dipinte ma vere, e cos gli altri fiori tutti, che son
mirabili nel gioco delle foglie; e nellintreccio semplice, ma pittoresco dellinsieme dove essi sono
situati; accompagnati poi con pochi lumi, o con un accordo meraviglioso.
Ed i risultati di questa severa applicazione sono sotto i nostri occhi, grazie alle sue tele
pervenuteci che conservano intatte la gioia dei colori e laudacia dello slancio creativo con una
grazia arcadica, sbattere dali bianche, travolgenti tormente di petali, esplosive eruzioni di
corolle e corimbi, di viticci e polloni (Causa).
Grazie allinteressamento del Giordano, il nostro pittore si rec in Spagna, dal 1694 al 1700, a
rinnovare la gloria della nostra tradizione, che Giuseppe Recco troppo brevemente aveva
portato alla corte del re Carlo II. Al suo ritorno a Napoli egli abbandon il mondo della pittura
per dedicare tutte le sue energie alla sua nuova passione: il teatro.
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Il catalogo del Belvedere che comprende numerose tele siglate o documentate discretamente
ampio, anche escludendo quella marea di dipinti che sul mercato abili antiquar cercano di far
passare per autografi.
Un nucleo consistente di quadri conservato nel museo Correale di Sorrento, come Fiori,
frutta e anatre o Fiori e grande conca di rame; nel museo Stibbert di Firenze si trova Fiori
attorno ad unerma, mentre a palazzo Pitti vi un delizioso Anatre e fiori. Famosissime le due
coppie di pendant Bottiglia con garofani e Bottiglia con tulipani del museo di Capodimonte e del
museo Correale ed i due monumentali Vasi di fiori del Prado, siglati con il monogramma;
singolare una tela di Pesci del museo di San Martino, un soggetto inusuale nella sua trattazione,
rifinito con delicatezza di esecuzione che fa gi presagire le dolcezze settecentesche,
unincipriata galanteria gastronomica (Causa) nel fluente filone delle composizioni marine. Ed
infine il suo capolavoro gi lodato dal De Dominici e del quale conosciamo anche lantica
collocazione nella casa del celebre avvocato ed erudito Giuseppe Valletta a Napoli. Si tratta della
tanto decantata Ipomenee e boules de neige, a lungo conosciuta come Ortensie, una tela ricca di
sfumature cromatiche che ci dona un senso di pacata serenit danimo ed una propensione ad
apprezzare le meraviglie della natura, che si manifestano con precisione anche nei minimi
dettagli.
Con la rinuncia del Belvedere ai piaceri della pittura si chiude il secolo e dietro di lui una folla di
fioranti facili e svelti di mano ed una torma di imitatori faranno ressa su un mercato molto
florido, dove alcune richieste, scaduto il gusto dei committenti, si esaudiscono a metraggio.
La natura morta (tav. 3) del museo di Bourges fu regalata nel Settecento da papa Benedetto
XIV al cardinale della diocesi.
Il primo ad attribuirla al Belvedere stato Foucart, il quale sottoline la somiglianza con altre
opere certe dellartista, caratterizzate da fervida fantasia, sottigliezze nella sfumatura dei
colori, tutte improntate ad una leggerezza rocaille.
Le figure sono realizzate da un artista della cerchia giordanesca.
La sua una pittura gioiosa, percorsa da una sottile vena di malinconia, che ben si esprime
nell'aspetto dimesso ed impaurito di alcune sue creazioni; egli rifugge sdegnato dalle
grandiose cascate di fiori e di frutta dei suoi contemporanei, dai prorompenti trionfi empi di
prosopopea, per focalizzare la sua indagine nella intima vitalit che scaturisce dal mondo
vegetale in una gioiosa vibrazione di colori e di luce.
Il Vaso di fiori e frutta in un paesaggio (tav. 4) del Louvre fa parte di quel gruppo di tele
eseguite poco prima della partenza per la Spagna del Belvedere intorno al 1694. Abbandonati
i piccoli formati lartista si esprime in vaste composizioni, animate da un fremito barocco e da
un tripudio di colori. Costante la presenza sullo sfondo di un inserto di paesaggio e di un
grande vaso al centro, come nel quadro in esame, dal quale protrude una cascata di fiori,
riprodotti in unampia gamma di variet e di colori preziosi e vibranti.
Fiorante originalissimo, il pi genuino interprete dell'eredit caravaggesca che sa
trasfondere e sublimare con tocchi di eleganza e finezza interpretativa, con i quali
avvertiamo distintamente che verit e sincerit di pittura sono diventate talento raffinato,
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genio del prezioso, del raro e dello stupefacente, graziosa o spettacolare finzione (Volpe).
Michelangelo Merisi noto come il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 - Porto Ercole, 18
luglio 1610) uno dei pi celebri pittori italiani di tutti i tempi, dalla fama universale. I suoi
dipinti, che combinano un'analisi dello stato umano, sia fisico che emotivo, con un drammatico
uso della luce, hanno avuto una forte influenza formativa sulla pittura barocca. Di animo
particolarmente irrequieto, affront diverse vicissitudini durante la sua breve esistenza. Data
cruciale per l'arte e la vita di Merisi fu quella del 28 maggio 1606, a partire dalla quale,
essendosi reso responsabile di un omicidio durante una rissa e condannato a morte per lo stesso,
dovette vivere in costante fuga per scampare alla pena capitale. Il suo stile influenz
direttamente o indirettamente la pittura dei secoli successivi costituendo un filone di seguaci
racchiusi nella corrente del caravaggismo.
Alla fine del 1606, Caravaggio giunse a Napoli, dove rimase per circa un anno. La fama del
pittore era ben nota a tutti nella citt. I Colonna lo raccomandarono a un ramo collaterale della
famiglia residente a Napoli: i Carafa Colonna. Qui il Merisi visse un periodo felice e prolifico per
quanto riguarda le commissioni. Furono infatti eseguiti: la Giuditta che decapita Oloferne
(1607), scomparsa e di cui forse esiste una copia coeva facente parte delle collezioni del Banco di
Napoli; una prima versione della Flagellazione di Cristo (1607), conservata presso il muse des
Beaux-Arts di Rouen; la Salom con la testa del Battista (1607), alla National Gallery di Londra;
la prima versione di Davide con la testa di Golia (1607), al Kunsthistorisches Museum di Vienna;
la Crocifissione di sant'Andrea (1607), presso il Cleveland Museum of Art e infine, la pi
importante, che si ipotizza sia stata commissionata dai Carafa Colonna, forse per collocarla
nella cappella di famiglia nella chiesa di San Domenico Maggiore, la Madonna del Rosario (1606
- 1607). Poco dopo la sua esecuzione, il dipinto fu venduto a dei mercanti e portato nelle Fiandre
prima e a Vienna poi, dove si trova tuttora.
Dei molti dipinti eseguiti durante il primo periodo napoletano, solo due sono ancora nella citt.
Il primo il suggestivo Sette opere di Misericordia (1606-1607), uno dei lavori pi importanti del
Caravaggio. La tela, che si riveler cardine per la pittura in Italia meridionale e per la pittura
italiana in generale, presenta una composizione pi drammatica e concitata rispetto alle pitture
romane, rinunciando a un fulcro centrale dell'azione. Questo aspetto sar di grande stimolo per
la pittura partenopea successiva e il passaggio del Merisi in citt, infatti, dar luogo alla nascita
di molti esponenti caravaggeschi tra i pittori locali.
L'altro dipinto rimasto a Napoli fu quello eseguito tra il 1607 e il 1608, direttamente per la
chiesa di San Domenico Maggiore, poi spostato al museo di Capodimonte, ovvero una seconda
versione della Flagellazione di Cristo.
Alla fine dell'estate del 1609 Caravaggio torn a Napoli. Qui, probabilmente in ottobre,
affrontato con violenza da alcuni uomini al soldo dei parenti delluomo da lui ucciso a Roma,
all'uscita della Locanda del Cerriglio (nei pressi di Via Monteoliveto), rimase sfigurato e la
notizia della sua morte cominci a circolare prematura.
La fase creativa del suo secondo periodo napoletano ricostruita dagli storici con molte
congetture: dipinse sicuramente il San Giovanni Battista disteso (1610) appartenente a una
collezione privata a Monaco di Baviera, la Negazione di san Pietro, il San Giovanni Battista e il
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Davide con la testa di Golia, quest'ultimo molto importante dal punto di vista storiografico in
quanto raffigurante un macabro autoritratto del Caravaggio nella figura del Golia con la testa
mozzata, sorte questa dalla quale egli tentava da anni di fuggire.
Ancora del periodo napoletano, sono da attribuire i due diversi quadri con medesimo soggetto:
la Salom con la testa del Battista, che il pittore avrebbe dovuto recapitare ai Cavalieri
dell'Ordine, e la Salom con la testa del Battista a Madrid, cominciata questa tela durante il
primo periodo napoletano. Poi vi furono tre tele per la chiesa di Sant'Anna dei Lombardi di
Napoli, il San Francesco che riceve le Stimmate, il San Francesco in meditazione e una
Resurrezione (quest'ultima nota oggi attraverso una copia di Louis Finson ad Aix en Provence),
tutte per perdute durante il terremoto del 1805 che caus il crollo di una parte dell'edificio
religioso. Infine, dipinse il Martirio di sant'Orsola (1610) per Marcantonio Doria, oggi
conservato nel palazzo Zevallos di Napoli. Questo considerato di fatto l'ultimo dipinto di
Caravaggio arrivato ai giorni nostri.
Caravaggio due volte si misurato con il tema della Flagellazione, nella celebre tela in San
Domenico Maggiore, da anni conservata nel museo di Capodimonte e con uniconografia
diversa, nella quale il Cristo legato ad una colonna (foto in copertina), della quale esistono
varie redazioni, tra le quali loriginale ritenuto oggi da gran parte degli studiosi quello del
muse des Beaux-Arts di Rouen.
Noi abbiamo identificato nella collezione privata di unantica famiglia calabrese una ulteriore
redazione del soggetto, che va ad aggiungersi a quello di Rouen (di cui ha le stesse dimensioni
134 - 175) ed a quelli in collezione privata svizzera, a lungo ritenuto anche dal Longhi
loriginale, in una raccolta romana, precedentemente a Lucca ed in una collezione napoletana,
citata dal Marini.
Liconografia trattata in maniera audace con i personaggi a tre quarti impregnati da una
carica dinamica tipica del Merisi, mentre lazione si svolge da destra verso sinistra. Il Cristo, a
differenza della tela di Capodimonte, non posto al centro della scena, bens sulla sinistra con
i due scherani che si avvicinano dal lato destro; uno dei due aguzzini, dal volto patibolare,
prelevato letteralmente da un vicolo di Forcella o del Pallonetto, compare in altri famosi
quadri caravaggeschi eseguiti dopo il 1607, come la stessa Flagellazione e la Salom di Londra,
un elemento, unito alla classica trama napoletana della tela, che contribuisce a collocare
lesecuzione in uno dei due periodi di permanenza dellartista allombra del Vesuvio.
Lepisodio coglie il momento di preparazione del supplizio con i due delinquenti che stanno,
luno legando le mani alla vittima, laltro tirando il Cristo per i capelli, un gesto, come
sottolineato dalla Gregori, reperibile anche nella Coronazione di spine della Cassa di risparmio
di Prato e nella celebre Flagellazione di Capodimonte.
Nel quadro da noi esaminato, in attesa di pi complesse indagini radiografiche e
spettrografiche alla ricerca di eventuali pentimenti che saranno tra breve eseguite, vogliamo
segnalare la presenza sulla tela di alcune incisioni visibili a luce radente, in due distinte zone
del dipinto, una particolarit tecnica che talune volte veniva adoperata dallartista per
memorizzare la distanza tra i personaggi della composizione. Un dettaglio molto significativo,
il quale unito ad un potente fascio di luce proveniente dallalto, appena presente nella tela
svizzera e del tutto assente nel presunto originale di Rouen, potrebbe riaprire il discorso mai
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chiuso definitivamente tra quale sia il prototipo e quali siano le copie.


La storia attributiva del dipinto lunga e complessa ed ben riassunta nella scheda compilata
da Mina Gregori nel catalogo della mostra Caravaggio ed il suo tempo tenutasi nel 1985 a
Napoli ed a New York, a partire da una antica attribuzione a Mattia Preti che il direttore del
museo di Rouen riteneva fosse la pi plausibile al momento dellacquisto del quadro, in
precedenza propriet di un collezionista francese ed ancor prima in vendita presso lHotel des
Ventes di Parigi.
In seguito decisiva fu la scelta di Longhi di pubblicare il quadro di Rouen come originale,
parere che negli anni successivi ha ottenuto consensi, ma anche dissensi, per i quali un
eccellente riepilogo stato fatto da Cinotti e da Salerno.
Come per molti dipinti del Merisi manca una documentazione antica sicura, per cui difficile
avere ununanimit di consensi.
Un Cristo alla colonna del Caravaggio segnalato da antichi cronisti nella collezione Borghese,
nella villa di Porta Pinciana e nel palazzo in Campo Marzio, ma non vi alcuna prova che si
tratti del quadro oggi ritenuto loriginale. Infine il Moir, sulla base di una notizia riferita dal
Baldinucci ha ricordato che una copia del Cristo alla colonna di Caravaggio fu copiata alla
perfezione da Angelo Caroselli che ne sigl lesemplare.
Chi volesse approfondire largomento pu consultare in rete un mio articolo digitandone il
titolo:una inedita copia di eccelsa qualit del Caravaggio.
LAnnunciazione (tav. 5) del museo di Nancy fu donata da Enrico II di Lorena per laltare
principale della chiesa primaziale di Nancy, aperta al culto nel 1609 ed tra le opere meno
note del Caravaggio, anche perch a lungo non stata riconosciuta lautografia, infatti in una
mostra tenutasi a Bordeaux nel 1955 figura come caravaggesco sconosciuto.
Sar il Longhi nel 1957 ad attribuirlo definitivamente al Merisi con una datazione al secondo
soggiorno napoletano dellartista.
La bellezza del quadro, che fu esposto a Napoli nel 2004 in occasione della mostra Caravaggio
lultimo tempo 1606-1610, insita nel contrasto tra il vortice della figura dellangelo, portato
alla sommit dellespressivit attraverso il gesto autorevole e la figura della Vergine umile e
sottomessa.
Giovanni Benedetto Castiglione, detto il Grechetto, uno dei maggiori pittori del Seicento italiano,
stato viaggiatore instancabile e nelle sue peregrinazioni presente a Napoli dopo il Carnevale
del 1635 per alcuni anni.
In citt i suoi dipinti non passarono inosservati, infatti possono essere rivelate diverse
coincidenze stilistiche ed iconografiche tra le sue opere e quelle degli artisti che generalmente
vengono assegnati alla bottega di Aniello Falcone.
Egli possedeva una grande abilit nel dipingere animali e nature morte, tecnica acquisita da
giovane a Genova a contatto con i pittori del nord Europa. Il motivo della sua venuta a Napoli
stato in passato collegato ad una rissa in cui fu coinvolto, ma non da escludere che il
Domenichino, arrivato poco prima, abbia avuto un ruolo nel suo trasferimento, perch come ci
riferisce il Malvasia, aveva considerazione ed una grande ammirazione per i suoi colori, resi con
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impasti cromatici densi e caldi.


Sfortunatamente il suo periodo napoletano rimane ancora in gran parte oscuro, perch non
possediamo documentazione precisa dei suoi dipinti realizzati in loco, anche se sappiamo che
molti di essi, oltre a vari disegni, specialit in cui era molto abile, erano raccolti nella celebre
collezione del mercante Roomer, dove molti pittori erano di casa, per cui potevano trarre dalle
sue composizioni elementi per affinare la loro tecnica.
Tra le sue opere conservate a Napoli ab antico ricordiamo uno splendido Isacco e Rebecca nel
museo di San Martino, una Donna con Bambino e natura morta nel Rettorato dellUniversit,
identificata dal De Rinaldis e gi attribuita al Castiglione negli inventari ottocenteschi, nella
quale alcuni dettagli come il piatto colmo di frutta, i panni damascati e la delicatezza cromatica
nella descrizione dei fiori derivano chiaramente da modelli fiamminghi e fanno ipotizzare un
possibile apporto del Castiglione al filone napoletano della natura morta seicentesca. Inoltre
altri due capolavori in collezione Pisani, uno dei quali firmato, un Orfeo ed un Mos che fa
scaturire lacqua dalla rupe, segnalati dal Bologna, nei quali lartista si sofferma sullo studio
minuzioso degli animali, delle suppellettili metalliche e del paesaggio, fornendo un valido spunto
ai Petits maitres napoletani come Andrea De Lione, Niccol De Simone ed Aniello Falcone.
Nel dipinto (tav. 6) del museo di Nantes, raffigurante lEntrata nellarca il Castiglione adopera
il tema biblico come mezzo per evidenziare la sua abilit nel dipingere animali e brani di
natura morta.
Il Grechetto nelle sue composizioni classiche abile ad immettere un movimento barocco, che
aumenta il dinamismo della scena; mentre per laspetto cromatico fu essenziale la sua
conoscenza del Rubens e del Van Dyck col quale fu a contatto intorno al 1620. Egli pi che
nelle ariose decorazioni di sapore barocco, d il meglio di s nelle composizioni a sapore
naturalistico, nelle pitture con animali e nella natura morta, come nella tela in esame,
splendida nei colori e puntuale nella descrizione degli oggetti rappresentati.
Paolo Cattamara (Napoli ? - prima del 1670) citato per la prima volta dallOrlandi nel 1733 nel
suo Abecedario pittorico: Paoluccio Cattamara, napolitano, valente in dipingere serpi, uccelli e
altri animali, fiori e frutti. Riprendendo la notizia dellartista ne hanno brevemente accennato
in seguito il Lanzi nel 1789 ed il Rolfs nel 1910, fino allidentificazione da parte del Causa nel
1972.
La natura morta raffigurante funghi, farfalle e quaglia (tav.7) del museo di Strasburgo fu
attribuita al Cattamara dal Causa nel 1972 e costituisce lopera principale di questo poco noto
pittore. In precedenza, esposta alla grande mostra del 1964, era stata attribuita dallo stesso
Causa al Porpora.
Bernardo Cavallino (Napoli 1616 - 1656) il pi napoletano tra i nostri pittori, nato e morto
nella capitale vicereale, luminosa stella cadente nel firmamento della pittura non solo
partenopea, ma italiana, europea, del suo secolo, ed oltre, fino ai nostri giorni. Anche i suoi
maestri ed i suoi ispiratori pi significativi, da Stanzione ad Andrea Vaccaro, sono lespressione
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pi genuina della napoletanit. La sua vita si consuma in un breve lasso di tempo, come la sua
frenetica attivit, durata poco pi di un ventennio, per fermarsi nel 1656, anno della peste.
Nessuna notizia di viaggi di istruzione fuori da Napoli, non pervenutaci una produzione grafica,
che pur dovette esistere ed essere cospicua, assenza di qualsiasi informazione riguardo
lesistenza di una bottega o di allievi. Le poche cose che sappiano sulla sua vita le dobbiamo al De
Dominici, come sempre condite da molti particolari fantasiosi. Il biografo settecentesco, pur
includendolo tra gli allievi di Stanzione, gli dedica un capitolo a s stante, avendo intuito
lautonomia del suo linguaggio e la grandezza della sua arte, della quale fu il primo estimatore.
De Dominici narra, e bisogner crederci, che nel 1640, quando giunse a Napoli, presso la dimora
del banchiere Roomer, il celebre Banchetto di Erode del Rubens, il Cavallino fu tra quelli che pi
ammirarono la grande opera e tanto bella gli parve, che quasi incantato dalla magia di que
vivi e sanguigni colori, con meravigliosa maestria adoperati, si propose imitarla.
Oggi la critica riconosce pi di ottanta dipinti al Cavallino, pochissimi siglati, uno soltanto
firmato e datato, 1645, la Santa Cecilia, che funge da spartiacque tra lattivit giovanile e la
maturit dellartista. I pochi elementi certi sulla sua vita, frutto di ricerche darchivio, ci fanno
apparire il pittore come una figura ancora misteriosa, eppure tanto vicina alla nostra moderna
sensibilit per la sua lettura laica dei fasti e dei miti del passato, per lindifferenza ad ogni
remora chiesastica, osservanza liturgica o amplificazione devozionale. Egli rifiuta laffresco, ed
attento ed appassionato lettore di storia antica e delle sacre scritture, cos come del Tasso, di
Ovidio e della letteratura mitologica. Le sue favole antiche si sublimano a riprova di una
universalit atemporale dei sentimenti.
I suoi soggetti sacri, santi o sante che fossero, sono umanizzati e ridotti, anche grazie alla sua
pittura di piccolo formato ed a figure terzine, in chiave familiare, con nel volto il segno delle
passioni umane, anche se sublimate dallamore e dalla bellezza. Sacro e profano trovano cos
una sintesi ideale in un sottile e raffinato gioco di cadenze interiori.
Anche se incluso dal De Dominici tra gli allievi di Stanzione, il Cavallino fu influenzato nei suoi
primi anni di attivit dalle esperienze del Ribera, che gi volgeva attenzione al nascente
pittoricismo in area napoletana e da quelle del Maestro degli annunci ai pastori, con il quale
collabora in qualche opera giovanile come nei pendants, gi in collezione Gualtieri. Anche
Aniello Falcone e la sua cerchia catalizzeranno gli iniziali interessi del Cavallino verso il
naturalismo, pur al di fuori di qualsivoglia riferimento ad episodi di crudo realismo.
Le sue prime esperienze vanno ricondotte ad opere di grandi dimensioni e di moderata tensione
naturalista, come il Martirio di San Bartolomeo di Capodimonte, lIncontro di SantAnna con San
Gioacchino del Museo di Budapest e lAdorazione dei pastori conservata a Braunschweig; ma lo
scenario prediletto da Cavallino non n quello dei duri campi di battaglia di Falcone, n quello
dei torvi martir di Ribera, ma un ambiente rarefatto e raffinato dove figure regali
elegantemente vestite ostentano i colli e le caviglie pi snelle, dove le teste delicate si piegano
graziosamente in avanti e si librano le mani dei danzatori, dove tutto si concentra sulle
interrelazioni intensamente emotive delle dramatis personae (Percy).
Le sue figure allungate, sinuose, dai volti teneri e patetici esprimono unatmosfera raccolta e
familiare, sospesa tra lidillio e lelegia. Giunto alla piena maturit il Cavallino ci fa dono di
immagini delicatissime di intenerita grazia sentimentale e di raffinata eleganza formale. Una
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pittura di solare luminosit, dalle tinte calde e preziose, dai modi eleganti e contenuti, che
esprimeva ideali di raffinata grazia mondana e di una coltivata emotivit (Spinosa).
Nelle composizioni di questi anni il Cavallino abile anche nel calibrare le figure nello spazio e
nellarticolare gli sguardi ed i gesti dei protagonisti, che vengono spesso effigiati in pose teatrali,
toccati da una luce dal timbro argentino ingegnosamente collocata allo scopo di accentuare gli effetti
drammatici e riscattare volumetricamente limmagine. Anche nel cromatismo vi uno studiato
contrasto tra luso di colori pallidi o brillanti e tonalit pi sorde o terrose. Le ultime opere del
Cavallino sono i tre piccoli rami oggi dispersi tra i musei di Mosca, Fort Worth e Malibu, il David e
Abigail ed il Ritrovamento di Mos conservati a Braunschweig e la spettacolare Giuditta con la testa
di Oloferne del museo di Stoccolma. Queste ultime fatiche sono caratterizzate da un ulteriore
allargamento della gamma cromatica: blu chiari e tersi, acidi timbri di verde pallido, rossi vivi, grigi
argentei, gialli oro e tenui arancioni. Le ombre cupe delle prime opere si sono gradualmente
trasformate in ombre trasparenti e luminose ed il naturalismo di resa di figure ed oggetti pi
leggero e pi fluente nel tocco, ma non meno efficace (Percy), mentre il registro espressivo acquisisce
la massima individualit.
Il livello di rifinitura delle tele assume una compattezza di tessitura pittorica quasi vetrosa, da
simulare la consistenza della porcellana, in una visione di archetipi di irraggiungibile nitore,
(Causa) in cui si prelude gi al Settecento, al mondo dellArcadia e del melodramma.
Poi, allimprovviso, nel 56 a Napoli scoppia la peste e Cavallino, assieme ad una intera
generazione di pittori, scompare, mentre era nel pieno del suo svolgimento artistico, solitario
uccello di paradiso, in volo verso le vette pi alte dellarte e della poesia.
LImmacolata Concezione (tav. 8) conservata nel museo di Caen rappresenta un tema che, per
quanto divenne dogma soltanto nel 1854, fu pi volte riprodotto in pittura, soprattutto a
Napoli dove gi nel nono secolo si celebrava una festa dellImmacolata Concezione, prima
ancora che liconografia delladorazione entrasse a far parte delle regole sancite dalla
Controriforma.
La Vergine doveva essere ritratta come una giovane donna, vestita di bianco con un manto
blu, con le mani accostate al seno e unite in preghiera.
Il soggetto molto familiare per il Cavallino, che ce ne ha lasciato pi redazioni. In particolare
di questa in esame in antico ne sono state eseguite numerose copie, di cui sei ci sono
pervenute, da parte di molti pittori; segno di un certo successo che aveva incontrato il dipinto,
che per la modesta dimensione avr avuto certamente una collocazione in qualche raccolta
privata a scopi devozionali, probabilmente presso un facoltoso collezionista che si compiaceva
di mostrarla agli intenditori.
Lopera, che per inciso Causa riteneva a sua volta copia da un originale perduto, dovrebbe
collocarsi intorno al 1640 ed uno dei pochi lavori del Cavallino di cui si conserva il disegno
preparatorio a New York presso la collezione di Janos Scholz.
La gamma cromatica, dai gialli dorati ai marroni profondi, dai serici azzurri agli iridescenti
argenti, diventa un timbro originalissimo con il quale il Cavallino canta a pieni polmoni e si
impone con aperta baldanza; e quelle stesse tinte che adoperate da altri producono appena un
labile tintinnio, trasfuse nel suo pennello come se acquisissero una prodigiosa cassa
11

armonica che le perora e le avvampa.


La variazione di luminosit nella resa degli incarnati con ombre pi trasparenti mostra
gradualmente il passaggio dalle sue prime opere, intrise di tenebrismo, alla delicata tastiera
cromatica della met degli anni Quaranta, quando collocata lunica sua opera datata, la Santa
Cecilia, che possiede una pennellata pi fluida e labbandono dei fondali rigorosamente scuri
in favore di quinte pi rischiarate, contraddistinte da una modulazione tonale e da un
trattamento delle ombre pi delicato e traslucido.
Il Loth e le figlie (tav. 9), al Louvre dalla fine degli anni Sessanta, fa da pendant ad
unUbriachezza di No in collezione privata scozzese gi dal 1914.
Entrambi i dipinti condividono una limitata gamma di verdi, grigi, arancioni scuri e blu, riflessi
contro un caldo sfondo scuro, marrone rossastro.
Si percepisce ancora quanto il naturalismo riberesco e gli accentuati contrasti tenebristi siano
ancora dominanti nelle due composizioni, nelle quali comincia a manifestarsi prepotente un
elevato grado di sensualit, che costituir una costante nello stile dellartista .
A partire dagli anni Quaranta il Cavallino, recependo gli esiti del neovenetismo in chiave
grechettesca e gli insegnamenti impartiti dal Van Dyck attraverso il suo periplo tirrenico,
propone soluzioni cromatiche pi accese ed esaltanti, con un raffinato gioco di trapassi
chiaroscurali e di luci risplendenti, in un getto veemente di bagliori improvvisi, che tagliano le
forme in un lampeggiare di lame argentee, che sgorgano come in sogno in unatmosfera
irreale di estasi liriche espresse con una raffinata emotivit.
Il colore, steso in maniera fine e ricercata e spesso esaltato dal rame adoperato come
supporto, una scelta tecnica che giova ad ulteriori impreziosimenti cromatici, diventa il mezzo
espressivo attraverso il quale lartista si esprime in maniera personale.
Il colore si impreziosisce in puri accenti lirici, carpiti da reconditi raggi allombra (Ortolani),
mentre lartista tenta nuove corde e registri, prendendo ispirazione anche fuori della cultura
napoletana da artisti come il Vouet, Poussin e Charles Mellin.
La suonatrice di clavicembalo (tav. 10) o secondo Rosenberg di clavicordo del museo di Lione
fa parte di quel nutrito gruppo di fanciulle ritratte a mezzo busto, dal volto dolcissimo che
costituirono una specialit per il Cavallino. Il Milicua riteneva trattarsi di una S. Cecilia.
Incertezza sulla datazione: Bologna, Milicua e Rosenberg la collocano al 1645, mentre Spinosa,
Percy e Lurie alla fine degli anni Quaranta.
I suoi soggetti sacri, santi o sante che fossero, sono umanizzati e ridotti, anche grazie alla sua
pittura di piccolo formato ed a figure terzine, in chiave familiare, con nel volto il segno delle
passioni umane, anche se sublimate dallamore e dalla bellezza. Sacro e profano trovano cos
una sintesi ideale in un sottile e raffinato gioco di cadenze interiori.
Le sue sante, tutte espressioni di una terrena beatitudine, sono fiorite come gemme di
miniera, fiori di serra inattesi e sconosciuti, nella loro bellezza tutta profana (Causa).
Lidea del martirio e della penitenza sottintesa ad un malizioso compiacimento e venata da
una appena percettibile punta di erotismo. Queste eterne bellezze mediterranee dal volto
sensuale ed accattivante fanno mostra del loro martirio con indifferenza e con lo sguardo
12

trasognato, incuranti degli affanni terreni e con gli occhi che, pur fissando lo spettatore,
sembrano proiettati fuori dal tempo e dallo spazio. Dalle tele promana una dolcezza languida,
serena, rassicurante, che ci fa comprendere con quanta calma queste sante, avvolte nelle sete
rare delle loro vesti acconciatissime, abbiano affrontato il martirio, sicure della bont delle
loro decisioni, placando e spegnendo ogni sentimento e sensazione negativa quali il dolore, la
sofferenza, lo sdegno ed esaltando la calma serafica, la serenit dellanimo, la certezza di una
scelta adamantina. La pittura in queste immagini dolcissime e sdolcinate cede il passo alla
poesia, che si fa canto soave anche nella rappresentazione delle flessuose signorine
napoletane del suo tempo e per le loro fogge lussuose, fresche di seriche gale o pingui di
velluti, che la luce coglie furtiva come fiori dalla notte (Ortolani).
Un artista strettamente legato al Gargiulo Viviano Codazzi (Bergamo 1604 - Roma 1670),
presente a Napoli dal 1634 al 1647, fraterno amico e collaboratore dello Spadaro, con il quale
esegue numerosi lavori a due pennelli. La loro collaborazione ricordata dal De Dominici che
erroneamente lo indicava come Codegora: Moltissimi sono in Napoli i dipinti con architetture
delleccellente Viviano, e con figure di Micco Spadaro vissero questi due virtuosi insieme con
tanto amore che la morte solo pot separarli.
LOrtolani, dispregiandone lopera, defin il Codazzi un mediocrissimo pratico, ma in seguito la
critica, prima attraverso le ricerche di Longhi e della Brunetti, e poi con la recente esaustiva
monografia del Marshall, ha rivalutato appieno il suo lavoro ed ha riconosciuto limportanza
delle sue architetture luminose e ben disegnate e dotate di effetti di profondit spaziale e
volumetria ben dosate.
Giunto a Napoli nel 1634, dopo poco si sposa con una napoletana ed entra in contatto con gli
artisti della cerchia falconiana e ci testimoniato dalla sua partecipazione, nel 1639, col
Gargiulo, il Falcone, il De Lione, De Simone e Cesare Fracanzano alla stesura delle grandi tele di
soggetto romano destinate al palazzo del Buen Retiro di Madrid. Entra poi in contatto col suo
conterraneo Cosimo Fanzago, che lo protegger e lo far lavorare alle grandi prospettive per la
chiesa e la sacrestia nella Certosa di San Martino, che in quel periodo una vera e propria
palestra per gli artisti napoletani.
Al periodo della rivolta di Masaniello nel 1647, il Codazzi lasci Napoli per Roma, ove cominci a
collaborare col Cerquozzi.
Capolavoro di questo sodalizio , del 1648, la Rivolta di Masaniello, commissionata dal cardinale
Spada, una delle pi lucide interpretazioni della celebre sollevazione popolare.
Egli, pur risiedendo a Roma, non dovette rompere del tutto i contatti con Napoli, come
testimonia il suo rientro documentato nella capitale vicereale nel 1653 ed il ritrovamento di
quadri datati oltre il 1647, in cui evidente la collaborazione col Gargiulo rimasto a Napoli,
come ad esempio nella splendida tela Davanti ad una locanda del museo di Baltimora.
Festa nella villa di Poggioreale (tav. 11), siglato ed eseguito nel 1641 costituisce una delle pi
suggestive e felici creazioni di Viviano, ma anche il Gargiulo, che esegue le figure ed il
paesaggio sullo sfondo con gli imponenti pini mediterranei, si esprime ad uno dei suoi apici
creativi, collocando sapientemente i personaggi e curandone in ogni dettaglio gli
13

abbigliamenti, le fisionomie e gli stessi atteggiamenti, resi con grande vivacit e variet
descrittiva.
La cura con cui il Codazzi ha rappresentato la villa di Poggioreale in ogni particolare ci
restituisce la testimonianza di quella che fu una delle residenze pi splendide di Napoli,
destinata a luogo di villeggiatura e di diletto e famosa per gli splendidi giardini e le numerose
fontane dai fantasmagorici giochi dacqua.
Costruita tra il 1487 ed il 1490, la villa stata descritta con meraviglia da numerosi
viaggiatori di passaggio a Napoli, fino a quando, alla fine del Seicento, il Celano laconicamente
ci informa che versava da tempo in grave stato di abbandono.
Durante gli anni, dal 1637 al 1644, in cui il duca di Medina fu vicer di Napoli, nella villa si
svolsero periodicamente delle grandi feste, alle quali talune volte avevano accesso non solo i
nobili, ma anche tutta la popolazione e ci possiamo constatarlo da unattenta lettura del
quadro in esame, che, oltre a personaggi elegantemente vestiti, ci mostra anche elementi della
plebe, come i due uomini sulla destra intenti a mangiare maccheroni con le mani come era
duso allora tra il volgo pi diseredato.
Pendant del dipinto precedente Fontane e rovine di un tempio (tav. 12) ha fatto scrivere
numerosi articoli agli specialisti del Gargiulo, perch raffigura un monumento romano: la
basilica di Massenzio, dipinta per mentre era a Napoli.
In particolare Giuliano Briganti e Ludovica Trezzani hanno ipotizzato una sosta a Roma del
pittore, a differenza della Brunetti che sosteneva un passaggio diretto da Bergamo alla
capitale vicereale.
Nei due quadri il Codazzi ha voluto porre assieme passato e presente, architettura antica (un
monumento del foro romano) ed architettura moderna (una famosa villa del Rinascimento),
cercando di indurre nellosservatore una sorta di riflessione intellettuale su quanto
rappresentato, mescolando abilmente realt e finzione.
Una proposta che si risolve in un vero e proprio linguaggio pittorico, nel quale lelemento
illusivo, trascendendo i termini del semplice assetto prospettico, perviene a valori pi che
ideali, astratti.
Il Palazzo con portico sul mare con nave e barche (tav. 13) del museo di Ajaccio presenta,
secondo Marshall, autore di una monumentale monografia sullartista, una concezione
architetturale pienamente matura, a differenza delle figurine, sulla cui paternit spadariana il
Sestieri ha avanzato pi di un dubbio: molti personaggi danno limpressione di essere come
sospesi nei loro movimenti ed atteggiamenti, quasi irrealisticamente bloccati con una
mancanza di dinamismo, come pure il paesaggio risulta grigio e indefinito
Il museo di Aix en Provence possiede tre dipinti del Codazzi, provenienti da un lascito del
pittore Granet; tra questi il pi noto Veduta prospettica dellesterno di un palazzo (tav. 14),
nel quale, a differenze della maggior parte dei quadri dellartista non compaiono figurine, il
che crea problemi per la sua collocazione cronologica.
Infatti noi conosciamo i principali collaboratori del bergamasco; oltre a Domenico Gargiulo,
14

Michelangelo Cerquozzi, Jan Miel e Filippo Lauri.


Sappiamo che Codazzi soggiorna a Napoli dal 1634 al 1647, anno della rivolta di Masaniello,
per cui si potrebbe ipotizzare unesecuzione allinizio del soggiorno romano, ma quello sfondo
cos dolce ed azzurro, quel cielo con nuvole orlate di rosa sembra un inequivocabile prodotto
del pennello di Micco.
Si tratta in ogni caso di uno dei suoi migliori quadri della piena maturit espressiva. Ce lo
confermano le proiezioni dombre che ritmano la composizione, il gioco quasi geometrico
delle parti architettoniche, lassoluta padronanza dei giochi dombra e di luce, la sicura
conoscenza della prospettiva, i contrasti di colori dal bianco al nero intenso che caratterizzano
questo autentico capolavoro della veduta realistica, ma al contempo ideale.
Scipione Compagno risulta documentato tra il 1638 ed il 1664 e mentre il Causa, dal carattere
arcaico delle sue scenografie pensava appartenesse alla generazione precedente a Micco
Spadaro, documenti e dati anagrafici scoperti di recente hanno dimostrato che trattasi di pittori
coevi. Nei suoi quadri la massa anonima diventa protagonista e gli avvenimenti si svolgono in
unatmosfera fantastica e surreale.
Nella tela (tav. 15) conservata nel museo di Nantes egli raffigura il martirio di san Gennaro, un
tema prediletto nella pittura napoletana nel IV e V decennio del secolo, replicato allinfinito
dagli artisti della cerchia falconiana.
Il quadro, assegnato integralmente dalla Nappi al pennello del Compagno, anche nelle
architetture fantastiche alla De Nom, dimostra lelevato grado di maturit artistica
raggiunta nellassemblare il gruppo di figure in primo piano, pregne di carica dinamica che d
movimento e carattere alla scena e nel delineare lampio paesaggio sullo sfondo: la conca della
Solfatara, che fa da cornice al martirio del santo e dei suoi compagni.
Altro battaglista della cerchia falconiana fu Carlo Coppola, abile anche nelle scene di martirio ed
in quadri storici e di vedute.
Impregnato della cultura tardo manierista di Belisario Corenzio egli ebbe due sfere di
attrazione: il Falcone ed il Gargiulo. Nelle battaglie gli esempi del suo maestro sono utilizzati
come repertorio di immagini stereotipate, mentre nei martirii e nei quadri storici le soluzioni di
maggiore libert pittorica e chiaroscurale del Gargiulo sono molto marcate. Prelievi culturali
sono evidenti anche dal Callot, dal Tempesta, dal Compagno e da Andrea De Lione.
Fu attivo per circa venti anni dal 1640 al 1660 ed il catalogo delle sue opere, interessanti perch
testimonianza di un particolare momento storico e dei gusti della committenza privata, ancora
da definire con precisione, anche se molti suoi lavori sono siglati.
Il Martirio di S. Lucia (tav. 16) del museo di Orleans di Carlo Coppola costituisce il disegno
preparatorio per uno splendido dipinto, siglato, di collezione privata napoletana, da me
pubblicato (pag. 16 - fig. 28), nella mia monografia sullartista. Il tema dei martiri fu prediletto
dal pittore, valente specialista di un genere che riscosse grande successo tra i collezionisti
napoletani nel quarto decennio del Seicento.
15

Gaetano Cusati (?- Napoli 1720) citato dal De Dominici che gli dedica un certo spazio,
ricordando che ebbe un fratello Gerolamo, anche egli pittore e che entrambi morirono nel 1720.
Il biografo riferisce che fu anche pittore di figure e realizz quadri grandi. Venne influenzato
sia dai modi pittorici di Giovan Battista Ruoppolo, di cui fu allievo, che dal ricercato
decorativismo di Abraham Brueghel, facendo un misto di tutte e due le maniere.
I suoi dipinti sono conservati al museo Correale di Sorrento, mentre a San Martino sono esposte
numerose tele siglate con vasi di fiori, frutta, animali e sfondi di paesaggio.
Frequente la comparsa di suoi quadri siglati sul mercato, che vanno ad accrescere il suo gi
discreto catalogo.
Il dipinto Fiori, frutta ed un uccello in un giardino (tav. 17) conservato a Narbonne, nel muse
d'Art et d'Historie di Gaetano Cusati, ci permette di apprezzare le caratteristiche del poco noto
pittore, attivo fino al 1720 nel variegato panorama della natura morta napoletana. La tela, dal
rapido piglio decorativo, congiunto ad una sciolta facilit di mano si esprime con uno stile
barocco fresco e guizzante.
In basso la frutta definita con tale abilit da far venire la voglia di addentarla, mentre i fiori
in alto sembrano emanare un penetrante profumo, che giunge fino alle narici dellosservatore.
Al centro un volatile pronto a spiccare il volo.
Antonio De Bellis un altro degli allievi di Stanzione, secondo il De Dominici, che lo fa morire nel
1656, mentre a Napoli divampa la peste.
Figura fino a trenta anni fa quasi sconosciuta alla critica e della quale non possediamo alcun
dato biografico certo, essendosi dimostrato mendace il referto dedominiciano della data di
morte, il De Bellis si staglia prepotentemente tra i pi alti pittori del Seicento non solo nostro
ma italiano. Un altro dei grandi del nuovo naturalismo napoletano, che medita ed opera,
inizialmente, tra il Maestro degli annunci e Guarino, per poi virare verso Stanzione ed il
Cavallino pittoricista. Intuizione gi felicemente avanzata dal Causa nella sua brillante e
precorritrice esegesi del 1972 sullallora ignoto pittore e sulla base dellunica opera che gli
veniva assegnata, il ciclo carolino nella chiesa napoletana di San Carlo alle Mortelle, che si
riteneva eseguita in coincidenza con linfuriare della peste.
Un artista minore nel limbo dei provinciali orbitanti nelluniverso stanzionesco? Troppo ricco il
panorama della pittura napoletana di questi anni per poter assurgere ad una posizione di
preminenza, ma per De Bellis, alla luce delle recenti scoperte del De Vito e di Spinosa, si deve almeno
parlare di un maggiore tra i minori.
De Dominici ci narra che egli elabor il suo stile miscelando il dolce colorito del suo maestro
Stanzione alla nuova terribile maniera del Guercino, la cui Resurrezione di Lazzaro oggi al
Louvre, si trovava allora nella collezione Garofalo a Napoli. Essa fu copiata dal De Bellis e
collocata nella chiesa della Piet dei Turchini, dove attualmente non pi presente. In nessuna
delle opere che oggi la critica assegna allartista sono visibili riflessi dello stile del grande
bolognese, per cui laffermazione del biografo settecentesco non ci di alcuna utilit. Il Causa,
nel suo monumentale saggio sulla pittura napoletana del Seicento, annus nel De Bellis la stoffa
16

del pittore di razza, sivigliano a met strada tra il Velzquez e lo Zurbaran delle Storie di San
Bonaventura. Egli esamin i quadri della serie carolina con le storie del santo, nella chiesa dei
Barnabiti di San Carlo alle Mortelle. Credette, sulla falsariga del racconto dedominiciano, che i
dipinti fossero stati realizzati durante la peste, per il crudo realismo di alcune scene quasi da
reportage fotografico e per la constatazione di alcune tele lasciate incompiute: non tutti siano
di una stessa perfezione, perciocch, alcuni di essi non furono terminati ma dipinti alla prima,
cos restarono per sua immatura morte (De Dominici). Il Causa ritenne di grande livello il San
Carlo che comunica gli appestati e il San Carlo che visita gli infermi. Stupendi brani di pittura tra
i documenti pi icastici della peste e tali da poter gareggiare con i celebri bozzetti del Preti
eseguiti per le porte della citt. Una figura, un ritratto, un gioco compositivo che rivela
lindipendente di gran classe, punto zenitale di una continuit di grande cultura locale (Causa).
Liconografia della serie nuova ed originale ed alcuni episodi sono stati interpretati solo grazie
al contributo conoscitivo che forn Boris Ulianich, indiscusso pontefice degli studi agiografici.
Alcune immagini sono straordinarie e soffuse da una struggente aria di malinconia e di tristezza,
come il San Carlo in preghiera con una caterva di cadaveri alle spalle, che rendeva ridicolo al
confronto lanalogo soggetto caramelloso e azzimato, dipinto quarantanni prima dalla
pittrice Fede Galizia per laltare maggiore. E che dire del dipinto ove il santo d in carit il suo
oro per sfamare i poveri, nel quale il ritratto del prelato col sacchetto di scudi doro entra a
buon diritto tra i personaggi pi incisivi della pittura seicentesca (Causa).
La meteora del De Bellis sembrava che dovesse sparire in un attimo nei giorni tumultuosi
dellepidemia, ma il rinvenimento di alcune sue opere siglate e collocabili con certezza agli anni
successivi alla peste, tra il 1657 e il 1658, ci hanno dato la certezza che lartista aveva
continuato a lavorare.
Il Bologna, sulla base di considerazioni stilistiche, aveva gi da tempo predatato di un ventennio
il ciclo carolino, che in seguito, grazie a dei documenti reperiti dal De Vito presso larchivio dei
padri Barnabiti di Milano, ha trovato una definitiva collocazione cronologica agli anni 1636-39.
La formazione del De Bellis viene spostata quindi alla met degli anni Trenta, con un percorso
del tutto affine a quello seguito dal Cavallino, del quale probabilmente coetaneo. In seguito
dopo le esperienze vigorosamente naturaliste, negli anni Quaranta sulla guida delle soluzioni di
brillante e luminoso pittoricismo del Grechetto e del Poussin giunse a risultati di cos alta
eleganza formale e ricercatezza cromatica da essere a lungo, nelle sue opere migliori, confuso
con Cavallino.
Tra le opere pi significative di questo periodo sono da ricordare il Mos che fa scaturire lacqua
dalla roccia del museo di Budapest, a lungo assegnata a Stanzione o a Pacecco De Rosa, il
Sacrificio di No del museo di Houston ed il Sansone e Dalila della collezione Rodin a Napoli.
A conferma dellautografia e come guida per la collocazione cronologica, vi in molti dipinti il
particolare curioso che lartista, al pari del Cavallino, ha la civetteria di auto ritrarsi pi volte e
nelle fogge pi disparate, con tratti somatici che variano con lo scorrere implacabile degli anni.
Le stringenti affinit che intercorrono nella scelta delle soluzioni compositive e nella tipologia
dei personaggi raffigurati, e le notevoli analogie con la Nativit firmata Bartolomeo Bassante
del Prado, avevano indotto il Prohaska a trasferire a questo autore una grossa parte della
produzione del De Bellis.
17

Lidentificazione della sigla ADB su di una roccia nel dipinto Lot e le figlie, oggi a Milano
presso la Compagnia di Belle Arti, ha fugato ogni dubbio ed ha permesso di assegnare
definitivamente al nostro artista tutto quel gruppo di opere che il Prohaska riteneva di
Bartolomeo Bassante.
Negli ultimi anni della sua attivit, il De Bellis, per soddisfare le esigenze di una committenza
pubblica legata a soluzioni convenzionali di pittura religiosa di carattere devozionale, dovette
variare nuovamente il suo stile. Una progressiva stanchezza ed uno scadimento di qualit si
avvertono infatti nelle sue ultime tele come la Trinitas terrestris, siglata, nel santuario della
Madonna di Sunj e la Madonna in gloria tra i Santi Biagio e Francesco dAssisi, anchessa siglata
e conservata nella chiesa del convento dei Domenicani a Ragusa, lodierna Dubrovnjk, la quale
per alcuni particolari topografici nella dettagliata pianta della citt databile con precisione
tra il 1657 e il 1658.
Il San Sebastiano curato dalle pie donne (tav. 18) del museo di Lione, dopo essere stato
attribuito a Stanzione ed a Spinelli stato assegnato definitivamente al De Bellis dal Causa,
che lo ha collocato tra il IV ed il V decennio e lo ha collegato al San Sebastiano del museo di
Orleans (tav. 19). Particolarmente curati, nel primo dipinto, alcuni dettagli, come i due
bambini che assistono impassibili alla scena scambiandosi sguardi di complicit o la giovane
fantesca che ammira la piet di Irene, mentre, nel secondo, un tocco di accentuato naturalismo
costituito dalle numerose frecce che trafiggono il muscoloso corpo del giovane santo.
Le due tele sono collocabili cronologicamente agli anni Quaranta, quando il De Bellis tenta una
difficile conciliazione tra il movimento naturalistico propugnato dal Ribera e dal Maestro
dellannuncio ai pastori e lo stile narrativo, solenne e monumentale della pittura di storie di
Massimo Stanzione.
Nello stile del De Bellis vi in quegli anni un processo costante di assestamento compositivo
e di pi studiata definizione dei volumi, un accrescimento in senso pittoricistico delle
originarie propensioni naturalistiche con un intenerimento del dato espressivo anche per
sottigliezza di resa formale (Spinosa).
Andrea De Lione (Napoli 1610 - 1685) va posto tra gli innovatori della pittura napoletana a
partire dagli anni 1635-40, al fianco del Falcone e dello Stanzione; infatti mentre il primo
divenne lantesignano di unapprofondita meditazione sul reale ed il secondo fautore di una
corrente di elegante classicismo, il Nostro si espresse costantemente con una pittura ricca di
colori e pregna di materia pittorica, sotto linfluenza congiunta di due artisti di caratura
europea: Poussin ed il Grechetto.
I suoi inizi nel genere della battaglia furono nella bottega del Corenzio autore di maestose
composizioni con finalit eminentemente decorative, in seguito ader alla salda impostazione
naturalistica del Falcone, per assimilare poi, a partire dal 1635, lestrosa eleganza pittorica del
Grechetto, estrinsecantesi in una maggiore libert espressiva ed in una preziosit della gamma
cromatica con colori squillanti dal rosso acceso al giallo spento, con delicati tocchi di verde,
bruno e azzurro.
Unaltra fondamentale differenza coi modelli falconiani, nei quali le spaziature geometriche
18

sono sempre ampie e ben calcolate, costituita dallincastro tormentato dei piani e
dallaggrovigliarsi spasmodico delle figure dei contendenti.
Unopera fondamentale nel suo percorso la Battaglia contro i Turchi del Louvre, firmata e
datata 1641, suddivisa su vari piani espositivi e frazionata in vari episodi.
Precedenti, intorno al 1630-35, sono le due tele pendant, siglate, in collezione Nicolis a Torino e
la Battaglia con David e Golia conservata a Capodimonte. Contemporanee alla tela parigina
sono la Battaglia con due cavalieri in primo piano a sinistra di collezione privata napoletana,
gi attribuita erroneamente al Falcone ed il San Giacomo alla battaglia di Clavjo, transitata sul
mercato antiquariale.
Oltre la met del secolo va collocata la Battaglia biblica di collezione privata romana, mentre
alla piena maturit sono collocabili diversi dipinti contrassegnati da unimpaginazione
orizzontale con una contrapposizione tra figure emergenti in primo piano ed una
rappresentazione sullo sfondo dellevento bellico, in rinnovata sintonia con i modi falconiani. Un
esempio tipico di questa fase finale rappresentato dalla Battaglia tra Ebrei ed Amalachiti del
museo di Capodimonte.
Egli partecip tra il 1637 ed il 1644 alla nota commissione del vicer di Napoli, il duca di Medina,
con opere di grande bellezza come i Quattro elefanti al circo di chiara ispirazione grechettiana.
Celebre il suo Ritratto di Masaniello, firmato, del 1647 e dopo la rivolta il De Lione lascia Napoli
e, con ogni probabilit, si trasferisce a Roma, dove fino al 1660 realizza alcuni dei suoi
capolavori nel campo delle scene bucoliche, nel quale il Soria lo riconobbe indiscusso maestro.
Nella citt eterna entra in contatto con il Poussin ed il Bourdon, oltre al Castiglione, gi
conosciuto a Napoli ed anche egli a Roma dal 1647 al 1651.
I modelli di scene pastorali del pittore genovese sono riletti dallartista napoletano introducendo
una nota classicheggiante ed in questo contesto nascono alcuni capolavori come il Venere ed
Adone, firmato, gi nelle collezioni Moffo Lanfranchi a New York e Mondadori a Milano, il Diana
alla tomba di Endimione di una raccolta inglese ed il Tobia seppellisce i morti del Metropolitan,
a lungo attribuito al Poussin prima che Anthony Blunt lo riconducesse al pennello del De Lione.
Il De Lione ebbe una vivace produzione grafica ed una notevole attivit come affrescatore,
spesso confusa dalla collaborazione con il pi anziano e ben pi modesto fratello Onofrio: nella
chiesa di Monteverginella, in Santa Maria la Nova, in San Paolo Maggiore (dove collabora con
Andrea Vaccaro) e nella cappella Galeota del Duomo.
Del tutto recente lipotesi avanzata da Federico Zeri di Andrea De Lione pittore di natura morta
con lidentificazione di una tela firmata in collezione privata a Ginevra, alla quale possono
affiancarsi due dipinti di frutta del museo di Pau in Francia.
Lipotesi richiede ulteriori conferme anche se nellinventario del principe di Ischitella, pubblicato
dal Pacelli, figurano ben 17 quadri del nostro artista con soggetti di animali.
La complessit della questione resa pi intricata da un passo del De Dominici, che, dopo aver
parlato di Andrea De Lione allievo di Belisario Corenzio, cita tra i pittori di natura morta un
mons Andrea Di Lione, cio uno straniero, famoso per i suoi dipinti di animali ed acquafortista.
Il biografo parrebbe alludere a due distinti artisti dallo stesso nome e cognome, una
combinazione non rara nella pittura napoletana seicentesca, da Bartolomeo P(B)assante ad
Hendrick Van Somer.
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Una Battaglia contro i Turchi (foto in 4a di copertina) stata acquistata dal Louvre ad una
vendita pubblica ad Orleans nel 1982.
Nel quadro, firmato e datato 1641, si pu cogliere una testimonianza basilare dellevoluzione
in senso grechettiano del pittore, esso permette di creare una sorta di ideale spartiacque per
una pertinente collocazione temporale, precedente o successiva, della sua produzione. Al
dipinto si pu accostare un San Giacomo alla battaglia di Clavijo, siglato, transitato presso la
Finarte di Roma, talmente simile da poter essere identificato come il suo pendant. In entrambi
un groviglio di corpi intrecciati spasmodicamente ed i cavalieri turchi che rovinano a terra
incalzati da armigeri e piccoli fanti dotati di archibugio. Lepisodio descritto, frazionato in pi
scenari, nasconde probabilmente un evento storico preciso di difficile individuazione.
Nella composizione spicca la figura dellarciere, identica nella celebre Battaglia tra Ebrei ed
Amaleciti del museo di Capodimonte, di molti anni pi tarda.
Va sottolineata la presenza di colori come locra, il verde stinto, il rosso brillante ed il giallo
verdognolo e la maniera pi libera nel proporre volti ed emozioni, come nei dipinti di
argomento biblico bucolico, che vanno collocati ad anni successivi.
Il Ratto dEuropa (tav. 20) di Andrea De Lione conservato a Lille, rappresenta una novit nel
catalogo dellartista nel quale sono rari i soggetti mitologici, tra i quali il pi noto Latona e i
contadini della Licia del palazzo reale di Riofrio. Possiamo notare che il paesaggio sulla destra
identico a quello presente in due suoi quadri famosi: Viaggio di Giacobbe del
Kunsthistorisches e Venere e Adone, gi in collezione Lanfranchi., circostanza che ci permette
di ipotizzare una data di esecuzione tra il 1635 ed il 1640.
La tela risente vistosamente dellinflusso sia del Castiglione che del Poussin, dal quale il De
Lione preleva letteralmente la figura del putto in primo piano che sta per scoccare la freccia.
Il pittore napoletano sa combinare felicemente elementi del repertorio dei due colleghi
nellimpaginazione, nella disposizione dei personaggi, nella ricerca delle verticali,
nellimportanza del ruolo assegnato al paesaggio e nel classicismo dei volti rigorosamente
raffigurati di profilo. Contrassegnano la tela la vivacit dei colori, con quel rosso cos delicato
della donna al centro della composizione, la preziosit degli accordi cromatici e la concezione
di una natura romantica, animata da uno spirito bucolico.
In questa opera limitazione dei modelli del pittore francese quanto mai accurata: il
paesaggio gioca un ruolo di primo piano, in esso si muovono figure che sembrano parenti
stretti delle opere pi marcatamente neovenete del Poussin e tutta la stesura pittorica mostra
una raffinatezza ed una precisione coniugata ad una sensibilit tesa e vibrante, rara in altre
opere certe dellartista.
Vogliamo ora accennare ad un dipinto la cui autografia, come sottolineammo nella nostra
monografia sullartista (pag. 43), per quanto la proposta attributiva venga da Brejon de
Lavergnee, indiscusso specialista del De Lione, ci lascia perplessi; si tratta di un Cristo morto
adorato da un angelo (tav.21) del museo Granet di Aix en Provence, in passato attribuito al
pittore francese Laurent de La Hjre.
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Lo studioso sottolinea quanto il quadro in esame sia ispirato dal Castiglione nella materia
grumosa, nella ricchezza dimpasto e nella tavolozza, con quel rosso tendente al ruggine della
manica dellangelo; elementi che permettono di datare lopera da anni successivi al 1635.
La Causa Picone nellaccettarne lautografia, collega alla tela come probabile studio
preparatorio un Nudo disteso, gi nella collezione Ferrara Dentice.
L'allievo pi importante partorito dalla costola del Giordano Paolo De Matteis, (Piano Vetrale
1662 - Napoli 1728) che seppe evolvere il Barocco del suo maestro in una lieta e diafana visione,
arcadica e classicistica; a lui il De Dominici, riconoscendone la statura, dedic una trattazione a
parte nelle sue celebri "Vite". La critica negli ultimi decenni ne ha scandagliato pi a fondo lo
stile e la personalit e l'artista oramai emerso come il pi esemplare precorritore dei tempi
moderni e come il pi significativo battistrada della nuova pittura napoletana prima dello
scadere del secolo. Oggi il De Matteis occupa un posto di primo piano nel panorama delle arti
figurative partenopee di fine secolo ed ha superato in bellezza il giudizio poco lusinghiero che
ebbe nei suoi riguardi la Lorenzetti, la quale, nello stilare il catalogo della mostra su tre secoli di
pittura napoletana nel 1938, lo defin stanco ripetitore dei modi del Giordano ed emulo impari
del Solimena.
Gli studi pi recenti collocano la sua figura in maniera originale ed indipendente a confronto dei
due "campioni" della cultura figurativa napoletana tra Seicento e Settecento; anzi, riguardo ai
suoi rapporti col Solimena, gli studiosi riconoscono unanimemente che il De Matteis con grande
anticipo avvi un discorso di classicizzazione dell'esperienza barocca. Il Solimena infatti
accrebbe, con lo studio dei modi pittorici del De Matteis, l'interesse verso quei canoni proposti
dal Maratta, cui aveva spiritualmente gi aderito, attraverso la frequentazione di circoli
letterari napoletani fautori di un neopetrarchismo.
Unica eccezione di dipinto non seicentesco del libro costituito dallAllegoria della notte (tav.
22), pervenuta assieme ad altri quadri napoletani nel 1864 con il legato Silguy al museo di
Quimper, databile sul finire del secondo decennio del XVIII secolo per palpabili affinit
stilistiche con schemi compositivi tipici della decorazione tardo barocca con temi e soggetti
profani dal complesso significato allusivo, moraleggiante, encomiastico e celebrativo,
soluzioni gi sperimentate dal pittore in precedenti dipinti di matrice marattesca,
confermando esiti di forzata chiarezza compositiva e di studiata evidenza formale, che
anticipano tendenze e soluzioni della stanca produzione finale.
Francois De Nom (Metz 1593 - Napoli 1640 circa) pittore di cataclismi propenso alla
divagazione fantastica, allestro ed alla stravaganza inventiva, specializzato in capricci
architettonici dominati da una tensione surreale metafisica, che ha dato luogo a pi di un
tentativo di spiegazione in chiave psicoanalitica.
Amante del meraviglioso e del sorprendente egli trasfuse tutto ci nella sua pittura fantastica.
Intenso fu il rapporto di scambio culturale con la colonia fiamminga di Napoli, con il Croise,
maestro del Sellitto e con vari manieristi nordici quali il Lawers e lo Swanenburgh conosciuto a
Napoli.
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Nella sua scia lavorano una serie di seguaci ed imitatori che solo gli ultra specialisti riescono a
distinguere e tra i quali segnaliamo il Maestro di Malta.
Gli Inferi (tav. 23) del museo di Besanon tra i quadri pi spettacolari del De Nom per
lesagitato affollamento delle figure e per la cupa atmosfera oltremondana che si respira.
Il genere infernale fu diffuso a Napoli dallo Swanenburgh e da Jan Brueghel dei Velluti che
presente a Napoli gi nel 1590, come documentato dal DAddosio.
Tali dipinti avevano a volte uniconografia religiosa, altre volte mitologica. Spesso era compito
dellartista rappresentare nellopera una sorta di punizione ammonitrice.
Nella tela del De Nom appena leggibile sulla sinistra la figura del diavolo a forma di
serpente, che ci rinvia alle punizioni inflitte ai peccatori della religione cattolica, ma il centro
della composizione dominato dalle divinit greche, che ci mandano un messaggio di
paganesimo.
Gli aspetti grotteschi dei personaggi ed il compiacimento e lostentazione delle sofferenze ci
urlano un prepotente e terrificante messaggio sullinutilit della vita, sulla vittoria della
morte, sui misteri dellaldil, il tutto martellato dallossessivo dinamismo delle immagini, che
sembrano animate da una frenetica energia infernale, con langoscia del buio che lentamente
sommerge e sopravanza la luce.
Francesco De Rosa, detto Pacecco, (Napoli 1607 - 1656) attraverso una ragnatela molto
complessa, scoperta grazie alle diligenti ricerche del Prota Giurleo, ha rapporti di parentela con
molti pittori attivi in citt nella prima met del XVII secolo. fratello della famosa Annella,
moglie di Agostino Beltrano e secondo le malelingue amica di Massimo Stanzione, mentre
unaltra sorella moglie di Juan Do. La madre, diventata vedova, sposa in seconde nozze Filippo
Vitale, presso la cui bottega il Nostro apprese i primi rudimenti del mestiere. Il padre Tommaso
era anchegli pittore, ancora tutto da riscoprire, in rapporto con Venceslao Coebergher e ci
potrebbe essere una buona traccia per comprendere certe nostalgie puriste di timbro
manieristico che si riscontrano lungo tutta lopera di Pacecco.
Gli antichi biografi indotti dalla convergenza di stile tra i due pittori ritenevano il De Rosa
allievo di Massimo Stanzione, ma oggi la critica tende a credere che pi che un vero e proprio
discepolato pi probabile che il divino Guido per Pacecco abbia costituito una base
puramente ispirativa.
Dallo Stanzione il Nostro deriv molti modelli compositivi e si nutr della linfa classicistica di
matrice emiliana che tendeva ad addolcire il naturalismo caravaggesco.
Maggiore importanza riveste viceversa lalunnato presso il patrigno, la cui influenza molto
marcata nella giovanile Deposizione conservata al museo di San Martino, derivata dal noto
dipinto di Filippo Vitale sito nella Chiesa di S. Maria Regina Coeli.
Documentate sono anche opere eseguite in collaborazione dai due artisti nel 1636 come la Gloria
di SantAntonio da Padova dellArciconfraternita di SantAntonio in San Lorenzo Maggiore e la
Madonna del Rosario con San Domenico e San Carlo Borromeo di San Domenico Maggiore.
Sempre del 1636 il San Nicola e il garzone Basilio della Certosa di San Martino, la sua prima
tela documentata, in cui ancora evidente la sua prima formazione naturalistica mutuata dal
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patrigno, ma limpatto del dipinto quasi una parafrasi da Stanzione, che ha prodotto un San
Nicola per la chiesetta di San Nicolao a Milano. I modelli ed il gusto del colore derivano
dallopera del Domenichino presente a Napoli dal 1631, mentre i giochi di luce e le preziosit
delle vesti sono tratti dallarmamentario della Gentileschi, giunta in citt prima degli anni
Trenta.
Divenne allora uno dei dominatori nellaffollato limbo di provinciali orbitanti che si
contendevano a Napoli commissioni pubbliche e lavori privati. In questo settore Pacecco ottenne
un notevole successo, poich fu sempre molto richiesto dalla clientela laica, innamorata delle sue
figure femminili nude, di grande bellezza, tratte da modelle dotate di fascino e grazia
tipicamente partenopea di colorito bruno nelle carni e di capelli neri (Pacelli).
Lungo tutti gli anni Quaranta tutte le tele di Pacecco De Rosa presentano un equilibrio
armonico della scena, un inconfondibile timbro cromatico ed un ritmo fluido ed incisivo dei
contorni dei personaggi.
Sono di questi anni le sue opere pi importanti: Diana e Atteone e Venere e Marte, conservati a
Capodimonte, il Giudizio di Paride del Kunsthistorisches di Vienna e Giuseppe e la moglie di
Putifarre in collezione Molinari Pradelli.
Molti dipinti sono purtroppo da anni lontani dallItalia in musei e raccolte private americane
come la grandiosa Strage degli innnocenti del museo di Filadelfia o il Martirio di San Lorenzo
nella Bob Jones University nel South Carolina.
Poche le opere di Pacecco firmate e datate, come pochi sono i documenti di pagamento,
riferentisi al lavoro svolto per commissioni ecclesiastiche; tra queste unAnnunciazione del 1644
per la chiesa di San Gregorio Armeno, un San Tommaso di Aquino che riceve il cingolo della
castit, firmato e datato 1652, nella chiesa di Santa Maria della Sanit ed un Battesimo di Santa
Candida, per la chiesa di San Pietro ad Aram, documentato al 1654.
La sua corrente purista rimase attiva anche nel secondo scorcio del secolo ed avr come
protagonista indiscusso Francesco Di Maria, il rivale del grande Luca Giordano.
Negli ultimi anni della sua attivit la tavolozza di Pacecco perse i toni squillanti, gli
stridenti contrasti di colore, il luccicore vetroso dei dipinti della piena maturit, mentre
molte sue tele presero la via della Puglia anche se non documentato un suo viaggio in
quella regione. Carlo Rosa, pugliese, frequentatore per anni della scuola stazionesca ,
collabor a diffondere nella sua regione la maniera di Pacecco.
Il Ratto d'Europa (tav. 24) del muse de la Corse a Corte di Pacecco De Rosa richiama a
viva voce altri dipinti dellautore, in primis il Venere che trattiene Adone del museo di
Besanon, col quale condivide la tavolozza smagliante e la resa espressiva delle figure.
Nella composizione il pittore si dimostra un caposcuola del purismo, alla costante ricerca
di toni cromatici lucenti, di atteggiamenti di grazia manierata, leziosa e a volte
stucchevole, con unattenzione minuziosa alla resa dei particolari preziosi delle vesti,
instancabile produttore di incarnati alabastrini di bellezza idealizzata , dalle vivide tinte
simili a maioliche policrome o a smalti cloisonn, con un gusto formale assai vicino agli
esempi del Sassoferrato.
Nei suoi dipinti di pi alta qualit, come questo in esame, il purismo dello stile giunge ad
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una tale sublimazione che levento narrato viene trasposto nei limiti di cadenze musicali
di puro impreziosimento cromatico.
Giuseppe Di Guido lautore nel 1632 della parte bassa dellAssunzione della Vergine nel soffitto
cassettonato di San Gregorio Armeno e si pu pensare a lui per dare finalmente unidentit al
Maestro di Fontanarosa, un pittore che prende il nome dallUltima cena della parrocchiale di
Fontanarosa alla quale si possono collegare numerosi altri dipinti in precedenza assegnati al
Battistello ed a Filippo Vitale dal San Bartolomeo dei Gerolamini al San Giovanni Battista di
collezioni Pisani a Napoli, oltre a numerosi dipinti transitati sul mercato.
Il San Sebastiano (tav. 25) della chiesa di San Michele a Digione, un soggetto raffigurato pi
volte dal Di Guido, un pittore recuperato alla storia dellarte grazie alle diligenti ricerche di
Giuseppe Porzio.
Pur esprimendo cautela sullautografia, giudicando il dipinto solo su foto, proporremmo una
datazione di poco precedente al 1640, perch notiamo nella composizione soluzioni gi meno
marcatamente in chiave naturalista e battistelliana, motivo per cui dovremmo essere gi oltre
il 1632, anno dellintervento dellartista in San Gregorio Armeno e probabilmente poco prima
dellUltima cena della parrocchiale di Fontanarosa.
La grande notoriet di Aniello Falcone (Napoli 1607 - 1656) legata alla pittura di battaglia, un
genere che ebbe molto successo a Napoli nel Seicento, con una grande domanda da parte di una
committenza laica e borghese ed una benevolenza da parte della Chiesa, con alcuni ordini, come
i Domenicani, che richiedono agli artisti dipinti raffiguranti episodi di vittorie della Cristianit
contro gli infedeli.
LOracolo fu il soprannome che si merit il Falcone, autore di un particolare tipo di battaglia
senza eroi, estrema personalissima interpretazione del messaggio caravaggesco in cui la mischia
la vera dominatrice della scena, ove si esprime sovrana linestinguibile ferocia degli uomini, il
tutto espresso con una tavolozza dai colori vivi e marcati, che danno limpressione che il nostro
artista abbia voluto con essi ricalcare lasprezza dei combattimenti e lanimosit dei cavalieri.
Il suo successo internazionale fu favorito dallopera di Gaspare Roomer, il suo mercante, grande
collezionista darte, che inond lEuropa con le sue battaglie, facendo crescere a dismisura la sua
notoriet, il che gli permise di ottenere una prestigiosa commissione di una serie di tele con
scene dellantico mondo romano, oggi conservata al Prado. Lordine gli fu affidato dal vicer,
duca di Medina, per conto di Filippo IV e con lui collabor la sua bottega quasi al completo: De
Lione, Codazzi, Micco Spadaro, De Simone, nonch Cesare Fracanzano. Le tele seguendo un non
ben identificato progetto iconografico, rappresentano lapice del classicismo napoletano e
risentono dellinflusso del Poussin e della sua cerchia romana.
Il riconoscimento e lonore furono pari a quelli ottenuti alcuni anni prima da artisti del calibro di
Lanfranco, Stanzione, Romanelli e Domenichino, chiamati ad abbellire il complesso del Buen
Ritiro a Madrid. Tuttora dibattuta la questione di Falcone pittore di natura morta. Infatti
numerosi sono gli inserti di natura morta che si ammirano nei suoi quadri, anche molto belli
come quello celebre del Concerto del Prado.
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Lesame dettagliato delle sue opere ci permette di seguire gradualmente lo svolgimento della sua
attivit artistica.
La Maestra di scuola, gi presso le prestigiose collezioni Spencer ad Althorp House e Wildestein a
New York ed oggi finalmente a Capodimonte, forse la sua opera pi antica nella quale
tangibile, come gi rivel Longhi, la conoscenza del Velazquez e lo stile dei caravaggisti a passo
ridotto.
Di poco successiva la Battaglia del Louvre, datata 1631, costituisce unautentica silloge della
pittura naturalistica del terzo decennio a Napoli.
Dopo il 1635 linflusso del Grechetto, presente in citt, mut notevolmente lo stile del Falcone,
tanto che il suo famoso Concerto fu a lungo creduto opera dello stesso Castiglione.
La Fuga in Egitto del Duomo di Napoli, firmata e datata 1641, ci rivela linflusso stanzionesco,
anzi pi precisamente guariniano stanzionesco come ben rivel il Causa, che nellElemosina di
Santa Lucia di Capodimonte ravvis un unicum della pittura napoletana, quasi un Le Nain di
pi smagliante e decantata tessitura cromatica, oltre che di ben diversamente marcata
qualificazione plastica.
E poi il Martirio di San Gennaro nella Solfatara, ricordato dettagliatamente dalle fonti, solo da
poco ricomparso sul mercato antiquariale ed oggi in collezione privata napoletana. Dipinto di
eccezionale qualit, tra i pi importanti del Seicento napoletano, per la monumentalit
dellimpianto compositivo, per la definizione dei personaggi e per la ricchezza dei particolari.
Abile e prolifico come disegnatore, il Falcone stato inoltre lartefice a Napoli di numerose serie
di affreschi: nel 1640 lavora nella cappella SantAgata in San Paolo Maggiore con risultati
stilisticamente vicini alla Battaglia del Louvre; quindi esegue una serie di combattimenti e Storie
di Mos sulle pareti della villa Bisignano a Barra, in passato sfarzosa dimora estiva del suo
mecenate Gaspare Roomer, il ricchissimo banchiere fiammingo, mercante di opere darte. Ed in
tali affreschi, datati al 1647 e di recente riportati allantico splendore, evidente linflusso del
Poussin, a rafforzare lipotesi, in passato avanzata dalla critica, della presenza ispiratrice di
numerosi lavori dellartista francese nelle pi famose collezioni napoletane. Il ciclo di affreschi
con la Storie di SantIgnazio nella sacrestia del Ges Nuovo, purtroppo gravemente danneggiati
da un incendio del 1963, collocabile nella piena maturit dellartista entro il 1652 ed infine
recentissima la scoperta nella chiesa di San Giorgio Maggiore, nascosto per quasi tre secoli
dietro vecchi teloni settecenteschi, di uno splendido affresco raffigurante San Giorgio che, in
groppa ad un cavallo impennato, lancia alla mano, affronta ed uccide il perfido drago.
La bottega del Falcone, in cui dal 1638 si tenne anche una vera e propria accademia di nudo, fu
fucina di talenti e frequentata da quella folta schiera di artisti che divennero specialisti nella
tematica del martirio dei santi a figure terzine, nei capricci architettonici, nei quadri di
paesaggio e di battaglia e, secondo studi recenti, fu importante anche per la nascita e lo sviluppo
della natura morta napoletana, perch frequentata oltre che dal Porpora, anche da Luca Forte.
Un gruppo molto unito sia sul lavoro che fuori di esso, intrecciato da rapporti di amicizia e di
parentela e che, secondo il fantasioso racconto del De Dominici organizz nei giorni antecedenti
la rivoluzione di Masaniello la cosiddetta Compagnia della morte, una setta segreta sorta con lo
scopo di vendicarsi degli spagnoli che avevano abusato delle giovani donne napoletane.
Numerosi erano gli artisti che componevano questa allegra e variegata brigata: Andrea ed
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Onofrio De Lione, Carlo Coppola, Niccol De Simone, Salvator Rosa, Marzio Masturzo, Domenico
Gargiulo, Paolo Porpora, Giuseppe Marullo, Cesare e Francesco Fracanzano, Andrea e Nicola
Vaccaro e il bergamasco Viviano Codazzi. I componenti di questo gruppo avrebbero, armati di
spada e di pugnale, vendicato i torti subiti dalle giovani pulzelle napoletane, mentre di notte
ritirati in casa a dipingere con forza di lume artificiale, per lo quale Carlo Coppola ne rest
cieco (De Dominici).
Il racconto del biografo settecentesco molto probabilmente inventato o quanto meno
esagerato, per testimonia dello spirito di corpo che animava questo gruppo di pittori, che
lavorava in un settore non trascurabile della committenza laica cittadina, che richiedeva in gran
copia quadri di genere, stanca di soggetti religiosi e devozionali.
La Battaglia (tav. 26) del Falcone conservata al Louvre dal 1793 faceva parte della collezione
di Luigi XIV e costituisce uno dei capolavori dellartista. Firmata e datata 1631, nonostante la
cronologia cos alta, sicuramente stata preceduta da altre prove, perch mette in mostra un
pittore gi padrone di mezzi espressivi notevoli, in grado di inquadrare il combattimento tra
Turchi e Cristiani in una complessa ed aggrovigliata composizione, collocata su piani diversi e
con le figure ben definite e caratterizzate.
Si pu ravvisare nella composizione le caratteristiche che segneranno sempre le battaglie del
Falcone: lattacco che si svolge in primo piano, mentre sullo sfondo avvengono una serie di
episodi minori.
Ad Autun, donati nel 1948 al museo Rolin da Eugene Chevalier, sono conservati due piccoli
pendant tradizionalmente attribuiti a Micco Spadaro, che raffigurano unImboscata (tav. 27)
ed un Martirio di San Sebastiano (tav. 28).
Gi nel 1988 Brejon de Lavergne li spost in scuola napoletana del XVII secolo, per diventare
poi, in occasione della mostra sulla pittura napoletana seicentesca tenutasi a Montpellier nel
2015, autografi falconiani; ipotesi che ci trova parzialmente consenzienti, perch in entrambi i
quadri si possono apprezzare caratteri del celebre Oracolo delle battaglie, dalle groppe
poderose dei cavalli al cielo azzurro solcato da nuvole minacciose, alle colline che si
intravedono sullo sfondo, identiche a quelle che compaiono identiche in disegni e dipinti del
Falcone. Certamente errata la diversa datazione (1630 il primo, 1646 il secondo) indicata
nelle schede del catalogo, trattandosi di pendant.
Giacomo Farelli, (Roma o Napoli 1629 - Napoli 1706) vicino alla cultura del Di Maria nella fase
iniziale della sua carriera, si avvicina poi gradualmente al Giordano cominciando ad
impreziosire le sue pitture ed infondendo nobilt alla sua nuova maniera con lusare tinte dolci
e piene di morbidezza (De Dominici). Giunger poi nella piena maturit ad una sorta di neo
michelangiolismo.
Il Farelli, secondo il De Dominici, giunse giovane a Napoli ed allopera dal 1651, mentre nel
1652 dosa sapientemente la sua tavolozza nel S. Antonio da Padova per la SS. Trinit dei
Pellegrini; di poco successivo il Cristo che appare alla Vergine della Galleria di Dresda, dove la
sua primigenia matrice vaccariana comincia a manifestare i primi cedimenti verso i modi
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fracanzaniani. Poscia il Farelli si rec in Abruzzo al seguito del duca dAtri, ove realizz gli
affreschi per la sua galleria, oggi perduti.
Il periodo abruzzese richiede ancora approfondimenti da parte della critica e pu riservarci
ulteriori sorprese con opere che possono essergli assegnate. Quasi certamente al periodo
abruzzese appartengono i due pendants Venere e Adone e Bacco e Arianna, gi in collezione
Araneo a Melfi.
Il 1664 lanno di maggiore contatto ed emulazione con larte del Giordano, del quale utilizza la
vivacit cromatica per la pi nitida definizione delle figure. Nel 1671 lavora agli affreschi ai SS.
Apostoli, infondendo nei corpi inondati di luce una dilatazione materica.
Nel 1672 completa la grande tela per laltare maggiore della chiesa della Redenzione dei captivi,
nella congrega intitolata a Santa Maria della Mercede, mentre nel 1673 vanno collocati la Morte
della Vergine e la Nascita di Maria nella chiesa di San Giuseppe a Chiaia.
Dopo un lungo periodo nel quale la critica non in grado di assegnare allartista opere con
certezza, giungiamo al 1693, quando il Farelli esegue i due grandi affreschi nel Palazzo
comunale di Pisa: Il trionfo delle Baleari e lImpresa di Sardegna, una rarit iconografica nel
catalogo dellautore aduso a trattare unicamente soggetti sacri. Coeve ai grandi affreschi pisani
le due Stragi degli innocenti conservate a Siviglia e nella prefettura di Pisa, in deposito dagli
Uffizi di Firenze.
In questi ultimi lavori, che a lungo la critica ha erroneamente collocato al 1663, linflusso di un
neo michelangiolismo nei nudi e nelle pose statuarie delle figure lampante.
Negli anni la vena artistica del Farelli tende a scemare, come si evince dalla circostanza che egli
riutilizza dei cartoni per riproporre pedissequamente gruppi di figure.
Muore il 26 giugno 1706 allet di 77 anni.
Sul dipinto (tav. 29) attribuito al Farelli del museo di Nantes riportiamo quanto scritto nella
nostra monografia sullartista (pag. 27 - 28): Un quadro raffigurante un Cristo morto venne
presentato alla mostra Barocco mediterraneo come autografo del Farelli dal Loire, confortato
da un parere di Spinosa. Lo studioso precis alcuni punti in comune con opere certe
dellartista, in particolare tenne a sottolineare nello stupefacente scorcio del corpo di Cristo che
sbarra la tela in diagonale e dietro al quale appare misteriosamente il viso della Vergine, le cui
dita sono definite dal gioco di luce e ombra, il profilo del naso, le unghie chiaramente disegnate e
gli occhi incavati a mandorla, sono gli stessi tratti fisionomici che compaiono in opere
documentate dellartista come il San Gaetano che intercede per la peste del 1656 nella chiesa dei
SS. Apostoli o la Strage degli innocenti del museo di Hannover.
Un parere diametralmente opposto espresse in seguito il Pavone il quale afferm: la tela
francese non trova giusta collocazione allinterno della produzione del Farelli, in quanto non si
evidenziano i tratti tipici dellartista rivolti a circoscrivere le forme e a modularle secondo un
timbro chiaroscurale ben calibrato. In particolare la resa cromatica della quale si avvale nella
definizione della testa della Vergine risulta del tutto aliena dalla tavolozza del Farelli.
Personalmente riteniamo che la tela sia ancora da considerarsi sub iudice, per cui va sospesa
anche lipotesi di attribuire al pittore un San Sebastiano nel castello di Villandry appartenente
alla collezione Carvallo o una Maddalena penitente transitata a Londra da Christies nel 1997.
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Paolo Finoglio (Orta di Atella 1590 circa - Conversano 1645) una personalit artistica
complessa il cui stile si situa a met strada tra tardo manierismo e naturalismo caravaggesco,
fece lapprendistato presso Ippolito Borghese e su di lui esercit un influsso determinante il
Caracciolo, conosciuto durante i lavori nella Certosa di San Martino, dove il Nostro esegu dieci
lunette dedicate a santi fondatori degli ordini religiosi, che documentano la sua adesione al
movimento post caravaggesco.
Prima del 1626 la sua opera si pu ricapitolare nelle dieci lunette raffiguranti i fondatori degli
ordini religiosi nella Sala Capitolare (1620-1626) della Certosa di San Martino a Napoli, che
mostrano una sapiente amalgama di tardo-manierismo e stile caravaggesco. La Circoncisione
(del 1626), sempre nella Sala Capitolare, rivela la forte influenza di Battistello Caracciolo, come
pure il primo importante affresco del Finoglio, la decorazione della cappella di San Martino,
nell'omonima Certosa, con scene della vita del santo, che facevano da accompagnamento
all'altare di San Martino del Caracciolo che gi si trovava nella cappella. L'influenza di
Caracciolo resta anche in opere successive, come ad esempio il battesimo di San Celso (ca. 1635)
presso la Cattedrale di Pozzuoli.
La preziosa resa dei dettagli di gusto tardo-manierista, combinata con gli effetti di luce
caravaggeschi sono visibili anche in varie versioni dell'Immacolata Concezione (1629-30); a
Napoli in San Lorenzo Maggiore; ad Airola, presso la chiesa dell'Annunziata; a Montesarchio,
presso San Francesco) ed anche nel dipinto della Vergine con i santi Margherita, Bernardo e
Antonio da Padova (1634) per la chiesa dei Santi Bernardo e Margherita a Fonseca a Napoli e
l'Annunciazione (ad Airola, presso la chiesa dell'Annunziata).
Intorno al 1635 si trasferisce in Puglia, tra Monopoli e Conversano, dove vive e lavora fino alla
morte avvenuta nel 1645, impreziosendo la sua pennellata grazie allapporto di nuovi fermenti
vandychiani e neoveneti.
Fuori della Campania spiccano le famose opere, di influenza caravaggesca, realizzate a
Conversano presso la corte di Giangirolamo II d'Acquaviva (detto il Guercio delle Puglie): il
famoso ciclo delle Scene della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Si tratta del ciclo pi
importante del Seicento italiano dedicato al famoso poema di Tasso, nel quale si mettono in
primo piano i protagonisti della riconquista di Gerusalemme, i loro duelli, i loro amori. Sempre a
Conversano, nella chiesa dei Santi Medici Cosma e Damiano, cinque dei sei altari che
arricchiscono le navate sono sormontati da tele di Paolo Finoglio. Altro esempio delle capacit
artistiche del pittore la ricca decorazione della volta: cornici aggettanti sormontate da puttini
la dividono in 11 scomparti contenenti, ognuno, un affresco. Incastonati nei quattro angoli del
soffitto, gli stemmi degli Acquaviva d'Aragona perpetuano il valore ed il nome del nobile
committente.
Il dipinto dellImmacolata Concezione (tav. 30) del Finoglio conservato a Lilla raffigura un
tema che, per quanto tramutato in dogma soltanto nel 1854, fu prediletto dalla pittura
europea dopo il Concilio di Trento. Tra i pittori napoletani molti si sono cimentati con questa
iconografia, regalandoci splendide pale daltare, come Cavallino, De Bellis, De Rosa, Cesare
Fracanzano, Mellin, e lo stesso Ribera.
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Il Finoglio ha trattato questo tema cinque volte, dimostrandosi, come ci confermano numerosi
documenti darchivio, abile mercante di quadri, oltre che sommo pittore.
LImmacolata del museo di Lilla quasi identica a quelle di Airola e della sacrestia di San
Lorenzo Maggiore a Napoli. Essa ricca di raffinati effetti cromatici, dal blu doltremare che
vira verso il verde, alle soffuse tonalit brune in cui risplendono dei bianchi di grande effetto.
La figura della Vergine resa con imponente monumentalit impregnata da un vivo
dinamismo, che richiama lo stile del Battistello, un punto di riferimento fondamentale per il
Finoglio. La miriade di angioletti intorno alla Vergine infonde unaria di serenit alla
composizione, realizzata nel pieno rispetto delle regole canoniche prescritte agli artisti che si
confrontavano con liconografia.
Tra gli stranieri attivi a Napoli Louis Finson (Bruges ante 1580 - Amsterdam 1617) da tempo
noto alla critica, non solo come artista ma anche come mercante di quadri; egli fu infatti
proprietario della celebre Madonna del Rosario del Caravaggio, rifiutata dai committenti perch
giudicata indecorosa ed oggi a Vienna e di una perduta Giuditta ed Oloferne, della quale ci ha
lasciato una copia conservata nel museo del Banco di Napoli. Egli prese per moglie una
napoletana e fu presente in citt a partire dal 1604 e certamente fino al 1612, quando firma
lAnnunciazione di Capodimonte con la dizione fecit in Neapoli. La sua pittura secca ed
elementare, compendiaria nel disegno e poco attenta ai problemi della luce, con una
predilezione per il dettaglio aneddotico. Egli aveva, come pochi altri pittori, libero accesso allo
studio del Caravaggio e tra le sue tele replic numerose volte la Maddalena Klain, nella quale
aggiunse il dettaglio di un teschio assente nelloriginale.
Della celebre Maddalena in estasi, eseguita dal Caravaggio ed oggi perduta esistono numerose
copie antiche di poco differenti tra loro e tra queste due se ne conservano in Francia: una di
anonimo a Bordeaux ed una (tav. 31), firmata per esteso, di Louis Finson nel museo di
Marsiglia.
Abbiamo accennato nella biografia dellartista che il Finson esegui pi copie delloriginale
caravaggesco, a volte aggiungendo dei dettagli, come il teschio, presente nella tela in esame e
secondo le fonti assente nel quadro del Merisi o variando la definizione del drappeggio rosso
nella parte bassa della composizione.
Nella spettacolare Resurrezione di Cristo (tav. 32), firmata per esteso e datata 1610, ad Aix en
Provence, il Finson fornisce un documento importante per la diffusione del caravaggismo, non
solo a Napoli, ma anche nel sud della Francia.
Come sottoline il Longhi, la tela si ispira alla famosa composizione eseguita dal Caravaggio
per la cappella Fenaroli della chiesa di S. Anna dei Lombardi, di cui parlano numerose fonti,
ma purtroppo perduta. La figura del Cristo risorto troneggia maestosa, mentre gli armigeri,
con corazze ed elmi luccicanti, assistono increduli alla scena.
Francesco Fracanzano (Monopoli 1612 - Napoli 1656?), possiede una personalit artistica pi
ricca ed articolata del fratello, di cui pi giovane di sette anni ed il suo percorso attende ancora
uno studio approfondito che dirima dubbi ed incertezze attributive, soprattutto della fase
29

giovanile. A Napoli spos la sorella di Salvator Rosa ed ebbe un figlio, Michelangelo, anche egli
pittore, il cui catalogo ancora tutto da definire.
Il Bologna nel ricostruire il suo catalogo gli ha assegnato, tra il 1630 ed il 1632, una serie di
dipinti precedentemente assegnati al Maestro dellAnnuncio ai pastori, dal Figliuol prodigo del
museo di Capodimonte allUomo leggente del museo Castromediano di Lecce, ma questa
proposta non stata accolta unanimemente, per cui la questione ancora sub iudice.
La sua prima opera documentata, di recente identificata il San Paolo eremita e SantAntonio
Abate della chiesa di SantOnofrio dei Vecchi, firmato e datato 1634, di chiara ispirazione
riberiana.
Generalmente al 1635 sono collocate le tele con Storie di re Tiridate, conservate nella chiesa di
San Gregorio Armeno, anche se per via documentaria debbono essere spostate in avanti di alcuni
anni, come gi supposto da alcuni studiosi in base a mere considerazioni stilistiche. I dipinti
rappresentano senza dubbio il suo capolavoro e sono tra i vertici del Seicento napoletano. In esse
il Fracanzano si mostra gi padrone di una tecnica matura, con una forza di rappresentazione
della realt che, pur discendendo da Ribera, per gi diluita in un pittoricismo caldo di
ascendenza neoveneta e cortonesca. Appartengono a questo periodo doro anche altri due dipinti
firmati: la Santa Caterina dAlessandria della sede romana dellInps ed il Bacco di Capodimonte,
del quale esistono numerose altre versioni autografe tutte di altissima qualit.
Un contatto con lambiente dei caravaggisti francesi e fiamminghi operanti a Roma si apprezza
in opere come la Negazione di Pietro, in collezione Boblot a Parigi o nella Vocazione di San
Matteo di collezione romana, mentre unaltra tela interessante lEcce homo, firmato e datato
1647, in collezione Harris a New York.
Tra le opere pugliesi, da ricordare una serie di Apostoli nel convento di San Pasquale a Taranto.
Negli ultimi anni la sua produzione subisce uninvoluzione ed egli si ripeter con moduli di
stanca accademia ad eccezione del Transito di San Giuseppe, eseguito nel 1652 per la chiesa
della Trinit dei Pellegrini, nel quale evidente un rinnovato vigore espressivo.
A Bastia, nel museo municipale darte e di storia si conserva un inedito di Francesco
Fracanzano: Achille e le figlie di Licomede (tav. 33), collocabile cronologicamente al 1640,
poco dopo lesecuzione delle due celebri pale di San Gregorio Armeno.
La composizione trasuda linflusso riberiano, addolcito per dalle pi moderne correnti
pittoricistiche di indirizzo vandichiano.
Sullo sfondo un cielo luminoso, mentre al centro i personaggi si affollano, definiti con larghe e
grasse pennellate; un caldo colore che richiama alla mente i cinquecentisti veneti avvolge
tutta la scena, rendendo ancora pi preziosa la vasta gamma cromatica.
Domenico Gargiulo, (Napoli 1609 - 1672) detto Spadaro dal mestiere del padre, che fabbricava
spade, senza dubbio lallievo pi importante del Falcone nella cui bottega entr nel 1628.
In alcuni filoni iconografici infatti, quali le scene di martirio, le favole narrate in figure terzine
nei palcoscenici inventati dal Codazzi, nei quadri di storia e cronaca cittadina e principalmente
nella pittura di paesaggio da considerarsi, oltre che un innovatore, un vero e proprio
caposcuola, la cui opera trover epigoni ed imitatori ben oltre il secolo XVII.
30

Egli amava ritrarre i tumultuosi avvenimenti della Napoli vicereale: eruzioni, epidemie e rivolte,
indagati con occhio attento al pi piccolo dettaglio ed alle stesse fisionomie dei protagonisti,
inoltre paesaggi intricati e misteriosi rappresentati con rara maestria, angoli suggestivi di rocce,
marine brulicanti di barche e pescatori.
Dallattento studio delle stampe del Callot e di Stefano della Bella, che circolavano nellambiente
falconiano, prese ispirazione per le sue caratteristiche figurine allungate con la testa piccola e
per il modo di assemblare i personaggi nelle composizioni pi affollate.
La presenza al suo fianco nella bottega del Falcone del giovane Salvator Rosa lo incoraggi a
dipingere i suoi primi paesaggi e le sue prime vedute. Egli inoltre entr in contatto con la pittura
fiamminga ed olandese, che pot conoscere sia a Napoli nelle grandi collezioni private, oppure in
un ipotetico viaggio a Roma non documentato.
Prende ispirazione dalla cerchia dei Bamboccianti: Cerquozzi, Sweerts e Miel, come certa la sua
conoscenza di Lorrain, Dughet e del giovane Poussin.
Da questamalgama nasce il Gargiulo paesaggista, tra i massimi del secolo, con unattivit
durata quasi quarantanni e quindi attraversando tutte le correnti pittoriche dellepoca dal
naturalismo al pittoricismo.
Dal 1635 al 1647 il Gargiulo collabor col Codazzi, bergamasco, specialista in architetture
fantastiche, che il nostro pittore animer con figurine vivacissime. Un sodalizio durato quasi
quindici anni, cementato da una fraterna amicizia, che riscosse un enorme successo tra una folta
clientela di collezionisti privati ansiosi di abbellire le proprie dimore con quadri di piccolo
formato dei due pittori.
Nel quinto decennio un vicendevole scambio culturale si ebbe tra il Gargiulo e lo Schonfeld, un
pittore tedesco che soggiorn a Napoli per oltre dieci anni, specializzato in soggetti biblici e
scene di martirio.
Un lungo rapporto di lavoro documentato tra lo Spadaro ed i frati della Certosa di San
Martino: nel 1638 affresca il coro con Scene bibliche e Storie dei Certosini su finti arazzi, in
seguito, dal 1642 al 1647, incaricato di affrescare il Quarto del Priore con una serie di paesaggi
in cui si nota linflusso della pittura nordica. Il Gargiulo continuer ad avere un rapporto
preferenziale con i monaci della Certosa, ove trover rifugio e salvezza durante la terribile peste
del 1656, che decim la popolazione napoletana e spazz via unintera generazione di pittori.
Al termine del calamitoso morbo volle rappresentare lo scampato pericolo in un gigantesco ex
voto Rendimento di grazia, ricco di sessantotto personaggi tutti rappresentati con precisione
fisionomica, dal cardinale Filomarino allo stesso pittore, che ci fornisce in questa tela il suo unico
autoritratto, ai monaci dai volti rubizzi e giocondi e dallo sguardo stralunato.
Fece parte anche lui, nel 1635, come altri artisti della cerchia falconiana, della grande
commissione per abbellire il palazzo del Buen Retiro di Filippo IV a Madrid, ove lasci pi di un
dipinto e numerosi disegni, con soggetti di storia dellantica Roma, oggi conservati al Prado.
Nelle pale daltare a figure grandi il Gargiulo non si espresse a grossi livelli e nelle poche con
certezza attribuitegli dalla critica quali lUltima cena del 1641 nella chiesa della Sapienza e la
Madonna con Bambino e Santi per Donnaromita da considerarsi semplicemente un minore
stanzionesco. Ben altra qualit il Gargiulo raggiunge nei quadri di storia e cronaca napoletana,
popolati da santi, eroi e gente della plebe, prelevati dalla coloratissima realt dei vicoli
31

napoletani. Tra questi ricordiamo la Rivolta di Masaniello, Piazza Mercatello durante la peste
del 1656, lEruzione del Vesuvio, il Largo di Mercato e tanti altri quasi tutti conservati nel museo
di San Martino. In tutte queste tele il pittore ebbe modo di manifestare le sue doti di brillante
illustratore della vita cittadina ed una partecipazione sentimentale ai destini di Napoli e dei
napoletani; il tutto attraverso un uso raffinatissimo e personale di macchie cromatiche, dal
denso impasto con una pennellata libera, grassa, estrosa, efficace nel descrivere i tempestosi
sentimenti dellanimo umano e lo scorrere ineluttabile degli avvenimenti.
Scampato alla peste il Gargiulo lasci la Certosa e prosegu la sua attivit fino agli ultimi anni
della sua vita come testimoniato da una polizza di pagamento del 1670, reperita nellarchivio
del Banco di Napoli, in cui il pittore riceve trenta ducati per un quadro raffigurante San
Gennaro, di palmi 4x5, forse quello oggi in collezione della Ragione a Napoli.
Alla fine della trattazione sulla vita e sulle opere di Domenico Gargiulo bisogner cominciare a
correggere la sua data di morte, tradizionalmente ritenuta il 1675, da una lettera informativa
sullo stato delle arti a Napoli fatta conoscere dal Ceci, che Pietro Andreini invi al cardinale
Leopoldo De Medici, in cui dichiarava che Micco Spadaro, pittore di figurine e paesi, mor che
sono tre anni. Il Ceci riteneva che tale nota fosse stata inviata nel 1678, ma grazie alle ricerche
del Ruotolo (1982) si identificata la data esatta nel 20 settembre 1675, per cui lanno della
morte deve retrocedere al 1672.
Discepoli ed imitatori il Gargiulo ne ebbe tanti, a giudicare anche dallenorme numero di quadri
che continuamente ed erroneamente gli vengono attribuiti.
Lincontro al pozzo di Eliezer e Rebecca (tav. 34) del museo di Nancy differisce dalle altre
versioni del medesimo soggetto eseguite dal Gargiulo sotto il profilo compositivo; infatti esso
nella tela francese risulta imperniato sul folto gruppo di figure intorno al pozzo, che occupa i
due terzi della scena, lasciando pi libero spazio allinserzione paesaggistica.
Palpabile linflusso del Cavallino e pi indirettamente dello Stanzione.
Il Sestieri, nel datare il dipinto allinizio degli anni Quaranta, ha sottolineato la vicinanza
stilistica con i modi del De Lione, compagno di Micco nella bottega del Falcone, per quella
raffinatezza quasi eccessiva di modi, atteggiamenti ed espressioni, con cui i due protagonisti e
le figure di contorno sono rappresentate, quasi come su un palcoscenico teatrale.
Nel museo di Bourges si conserva un Martirio di S. Agata (tav. 35), che fu presentato come
autografo alla mostra Seicento le siecle de Caravage dans les collectiones francaises, tenutasi a
Parigi e Milano nel 1988-89. In quella occasione furono sottolineate nella composizione
peculiarit proprie dellartista dalla tipologia formale alla gestualit dei personaggi.
In seguito Sestieri, nella sua monumentale monografia sul pittore, scritta in collaborazione
con la Dapr, ha messo in dubbio lautografia, collocando il dipinto ai primi del Settecento in
ambito veneto ed indicando lautore tra i partecipanti ai rinnovamenti introdotti dal Ricci
allinizio del secolo.
Il Martirio di S. Lucia (tav. 36) del museo di Beauvais uno dei tanti eseguito dal Gargiulo,
specialista di questo genere che incontr grande successo a Napoli nel IV e V decennio del
32

Seicento. Esaminando attentamente la composizione possiamo notare nelle figure in primo


piano unimpostazione naturalista, sia nel carnefice in primo piano che nei poderosi buoi,
mentre nello sfondo paesaggistico sono richiamati i suoi lavori nella Certosa di San Martino.
Suggestivo linquadramento della scena con un deciso contrasto chiaroscurale tra i primi
piani in ombra ed il resto delle figure e del paesaggio illuminati da una luce solare (Sestieri).
La collocazione cronologica dellopera intorno al 1640.
Nel museo di Orleans esiste un disegno preparatorio che oggi la critica pi avvertita tende ad
assegnare ad un seguace.
Il dipinto raffigurante S. Agata e San Pietro (tav. 37) stato esposto alla mostra di Montpellier
sul secolo doro della pittura napoletana, attribuito da Spinosa ad una collaborazione tra
Artemisia Gentileschi e Bernardo Cavallino.
Esso fu acquistato dal marchese Pietro Campana a Roma nel 1861 destinato al museo di
Napoleone II a Parigi, in seguito, dopo una permanenza nel museo di Lille, a partire dal 1863,
dal 1962, conservato presso il museo municipale di Nevers.
Il primo a studiarlo stato nel 1988 Brejon de Lavargne, che lo riconobbe come opera di un
pittore napoletano, in seguito passato da Niccol De Simone ad Antonio De Bellis, per
arrivare allipotesi pi recente di Nicola Spinosa.
Davanti a tanti dubbi riteniamo per il momento che debba essere assegnato ad un ignoto
napoletano.
Luca Giordano (Napoli 1634 - 1705) il pi grande tra i pittori napoletani del Seicento.
Le sue prime opere risalgono agli anni '50, segnate da una profonda influenza che la pittura
napoletana sub dopo il passaggio di Caravaggio. Successivamente, i biografi del tempo
riferiscono che il padre lo mand a disegnare le opere pi rare delle chiese e gallerie di Napoli e
che poi lo condusse con s a Roma per farlo studiare le opere antiche.
Apprendista presso il Ribera a Napoli per nove anni, si perfezion a Roma nel disegno. In
giovane et frequent Pietro da Cortona e altri pittori della corrente neo-veneta. Nei soggiorni di
Roma entra in contatto con i capolavori di Michelangelo, Raffaello, dei Carracci e Caravaggio,
applicandosi a riprodurli. Tuttavia, non contento di ci che gli offriva la citt eterna, volle
trasferirsi al nord. Vide perci a Parma le opere del Correggio e del Veronese.
Resta un evento, meglio contestualizzato a posteriori dalla critica, il soggiorno a Venezia (1653 e
1667): oltre alle prime commissioni pubbliche, i quadri del Giordano risultarono "rinfrescati"
dalla luce e dal colore dei quadri dei vedutisti veneziani. Quando tra il 1662 e il 1664 il marchese
Agostino Fonseca ordin sei quadri tramite i suoi intermediari a Napoli, egli si present a
Venezia con i connotati "ribereschi". Tra la fine del 1664 e gli inizi del 1665 il Fonseca invit poi
Giordano a Venezia. In questo viaggio di lavoro produsse varie opere per privati e per edifici di
culto, assecondando i desideri della committenza. Si procur, inoltre, in questo periodo altre
commissioni, come la pala con l'Assunzione della Vergine per la chiesa di Santa Maria della
Salute che sar eseguita nel 1667 e spedita da Napoli dove era tornato nell'estate del 1665.
Questi viaggi consentirono al pittore di approfondire la propria carica espressiva in direzione
veneta e di tradurre in pittura, con notevole fantasia e creativit, la moderna concezione
33

barocca con l'illimitata estensione del tempo e dello spazio, l'infinit continuit di ogni vicenda
umana. Giordano riusc a tradurre fantasticamente in trasparenze luminose e immagini
variopinte l'inarrestabile spettacolo di luci, forme e colori attraverso cui realt naturale e
mondo spirituale si manifestavano agli occhi e al cuore prima che alla mente e alla ragione; da
napoletano inquieto e sognante riusc a riprodurre in pittura realt e fantasia, natura e
immaginazione, sensazioni ed emozioni.
Nel 1671 chiamato ad affrescare la cupola della Chiesa di San Gregorio Armeno, nel 1677-1678
la volta della chiesa dell'Abbazia di Montecassino, nel 1678 la cupola di Santa Brigida, nel 1679
la navata di San Gregorio Armeno, che richiesero la collaborazione di pi allievi e il supporto dei
modelli ribereschi, rubensiani, veronesiani e cortoneschi, che aveva sedimentato nel corso degli
ultimi anni. Tra il 1663 e il 1678 molte opere di carattere profano di Giordano furono ordinate o
acquisite a Napoli da privati collezionisti italiani, fiamminghi o spagnoli e nel 1677 diversi suoi
dipinti giunsero a Firenze.
L'interesse che la pittura di Giordano aveva suscitato tra gli intenditori di Firenze aveva portato
Filippo Baldinucci a richiedere all'artista la Relatione del 1681; successivamente ci furono un
soggiorno a Firenze ed una grande quantit di commissioni tra cui l'affresco nella cupola della
Cappella Corsini e la decorazione, per conto del marchese Francesco Riccardi, dei nuovi ambienti
del Palazzo Medici Riccardi, palazzo gi dei Medici, in particolare la volta della biblioteca e la
galleria. I bozzetti di questo lavoro sono nella National Gallery di Londra.
I lavori iniziati nel novembre del 1682 furono interrotti nella primavera del 1683, perch
Giordano dovette ritornare a Napoli per motivi di famiglia e ripresero nella primavera del 1685 .
Nella galleria Luca Giordano rappresent la Glorificazione della dinastia medicea e le Vicende
della vita umana. Gli episodi figurativi sono disposti liberamente in una narrazione continua,
sviluppando ulteriormente le soluzioni di Pietro da Cortona a Palazzo Pitti e le idee espresse da
Gian Lorenzo Bernini e tradotte in pittura dal Baciccio. Esse sono caratterizzate da dilagante
luminosit ed esaltante ariosit, in una situazione irreale di sogni a colori, di incanto, di
apparente naturalit, abitato da mitiche realt e da immagini fantastiche dove si concretizza un
irraggiungibile, ma essenziale ideale d'arte e di vita.
Con le opere realizzate a Firenze, gli incarichi di prestigio e le commissioni da parte di
collezionisti, Giordano consegue un successo in ogni parte d'Italia e d'Europa. La sua pittura,
ariosa e coinvolgente, di carattere sacro o profano, influenzer l'attivit di molti giovani pittori
sia napoletani (Francesco Solimena, Nicola Malinconico, Paolo De Matteis) che fiorentini,
veneziani e stranieri (Sebastiano Ricci, Corrado Giaquinto, Fragonard, Goya).
Nel 1684, mentre si trovava a Napoli, affresca la controfacciata della chiesa dei Girolamini con
la Cacciata dei mercanti dal Tempio: l'opera permeata da un senso di spazialit continua e
infinita, rivelata dal fluire ininterrotto della luce attraverso la straordinaria variet dei piani
prospettici.
Dopo il soggiorno a Firenze, chiamato da Carlo II alla corte di Madrid, trascorse in Spagna il
decennio 1692-1702.
Il Monastero dell'Escorial (dove dipinse nella volta dell'Escalera l'evento che diede occasione alla
costruzione del monastero: l'esaltazione delle gesta di Carlo V e Filippo II, sovrapposto a un
lungo fregio a olio su tela con la Battaglia di San Quintino), il Palazzo Reale di Madrid, il Palazzo
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Reale di Aranjuez, la chiesa di San Antonio de los Alemanes (Madrid) e Toledo conservano parte
dell'eredit artistica del pittore.
Luca Giordano fu popolare alla corte spagnola (infatti in questo periodo produce una
grandissima quantit di dipinti su tela, su rame e a fresco di soggetto sacro o profano) tanto che
il re gli concesse il titolo di "caballero".
Tornato a Napoli nel 1702 l'artista, quasi settantenne, continu a lavorare con lo stesso
incessante furore creativo.
Le sempre pi numerose commissioni lo indussero ad avvalersi di un'affollata bottega. Aiuti e
collaboratori sviluppavano "in grande" disegni e bozzetti forniti dal maestro, completavano
opere solo iniziate da quest'ultimo, mentre in molti casi il Giordano si concedeva di intervenire,
con qualche colpo di pennello al termine del lavoro svolto dagli allievi.
Inoltre, Giordano, continu a rinnovare la sua produzione artistica con forti contrasti chiaroscurali, dai toni bruciati o caliginosi, come nelle tele alla Chiesa di Santa Maria Egiziaca a
Forcella, nella chiesa dei Girolamini, nella chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova e per
alcune chiese romane. Oppure, si rinnov con il dilagare di materie cromatiche sempre pi lievi e
delicate, come nella decorazione a fresco del cupolino della Cappella del Tesoro nella Certosa di
San Martino, in cui raffigura il Trionfo di Giuditta al centro, ed intorno altre storie dell'Antico
Testamento.
Nel 1705 Luca Giordano mor a Napoli.
Il Martirio di San Pietro (tav. 38) del museo di Ajaccio si trovava nella collezione del cardinale
Fesch. Esso appartiene alla vena riberiana, pi tenebrista del Giordano, caratterizzata da una
predominanza di toni scuri, di rossi violacei e bruni terrosi e da una fattura che mantiene
visibili le pennellate, in particolare sul corpo del santo, sulla barba e sui capelli resi con piccoli
tocchi. Alcune figure riprendono prototipi riberiani, dal boia che sostiene la croce a quello di
destra dalle rughe molto marcate, il cromatismo viceversa pi giordanesco, con il rosso delle
carni che assume un aspetto vinoso, dominato da toni stridenti e non ha la luminosit del
pennello del valenzano. Il dipinto in via ipotetica pu essere datato intorno al 1650.
Il Filosofo (tav. 39) del museo di Besanon fu acquistato da Daguet nel 1845, quando era
tradizionalmente attribuito a Ribera, in seguito Voss lo ha restituito a Giordano e la rettifica
stata resa pubblica da Laclotte nel 1962. Il soggetto raffigurato pu essere identificato con
Chilone sulla base della scritta sulla copia antica che fa parte della serie in collezione Ventura
ad Acquaviva.
Il San Domenico (tav. 40) del museo di Nantes proviene probabilmente da una chiesa
napoletana dove, per le sue dimensioni, adornava laltare del transetto o di una cappella
laterale. Il pittore ha creato unimpaginazione particolarmente movimentata con la figura del
santo posta al centro di un triangolo costituito da tre demoni. Il carattere teatrale della
composizione, frequente nei lavori eseguiti tra il 1655 ed il 1660, costituisce la trasposizione
in un linguaggio barocco della lezione appresa dai grandi maestri veneti del Cinquecento,
attraverso la intermediazione di Mattia Preti.
Il Giordano dovrebbe essersi oramai allontanato dalle suggestioni riberiane, anche se in
35

questa tela, connotata da forti contrasti tra luce ed ombra, non si percepisce ancora ladesione
piena alla pittura dalle tonalit chiare di Pietro da Cortona.
Il Martirio di San Sebastiano (tav. 41) del museo di Ajaccio ripete un tema prediletto
dallartista, che lo replicher pi volte durante il corso della sua carriera. La realizzazione del
quadro va collocata tra il 1650 ed il 1660, allepoca di un gruppo di quadri di ispirazione
nettamente riberesca. Giordano ha guardato senza dubbio il dipinto conservato a
Capodimonte, capolavoro del valenzano, ma i giochi di colore e di luce sono molto differenti;
infatti nel quadro francese il corpo bianco del santo risalta su di un fondo nero grazie ad una
luce piuttosto violenta, solo tre note di colore: il blu notte della veste, il giallo del tronco
delalbero ed il rosso degli occhi. La luce sul corpo del santo varia molto, argentea sul viso,
azzurrognola sul braccio destro, ma sul petto pi schietta, pi netta.
Se latmosfera drammatica derivata da Caravaggio, il realismo dei particolari anatomici
degno di Ribera, ma si intuisce gi una disposizione stilistica differente ed una sensibilit
barocca.
La Morte di Cleopatra (tav. 42), acquisito dal 1861 dal museo di Clermont Ferrand ha dato
luogo ad un lungo dibattito tra gli studiosi; infatti in passato era stato attribuito sia a Rubens
che a Pietro da Cortona, fino a quando la comparsa di una tela simile di autografia certa in una
collezione privata ha permesso a Spinosa di attribuirla al Giordano nel 2011.
Le caratteristiche del quadro con i suoi colori vivi e saturi sintomatico dellinflusso della
pittura veneta, che caratterizz la produzione di Luca intorno al 1700, poco dopo il soggiorno
in Spagna. La sua pennellata libera ed espressiva influenz generazioni di pittori fino al Goya.
Concludiamo con un San Francesco in estasi (tav. 43) conservato a Gouvieux nella
parrocchiale, modesta replica, databile intorno al 1695, di un originale di Ribera.
Francesco Glielmo fino a pochi anni fa era noto unicamente per una sua opera documentata,
raffigurante il beato Giacomo della Marca in gloria sulla citt di Napoli, conservato sullaltare
maggiore del cappellone di San Giacomo della Marca nella chiesa di S. Maria la Nova.
Dobbiamo a Giuseppe Porzio la pubblicazione di un primo sostanzioso catalogo dellartista, nel
quale sono inclusi quasi tutti dipinti precedentemente attribuiti ad altri artisti.
LEcce homo (tav. 44) del museo Fabre di Montpellier, gi in deposito al Louvre dal 1872,
costituisce un importante aggiunta al catalogo del poco noto artista.
La tela in passato, per la notevole qualit, riferita al Caravaggio, non ancora stata studiata
dagli stessi specialisti del primo naturalismo.
Nella composizione la carica brutalmente veristica, ai limiti del volgare, dei tipi fisionomici ne
rivendica lappartenenza alla congiuntura dei primi seguaci meridionali del Merisi, i caratteri
pi estrinseci del linguaggio caravaggesco (limpaginazione serrata, limminenza delle figure
stipate in primo piano, laccentuato risentimento chiaroscurale) si innestano su di un
plasticismo di matrice azzoliniana; lo stesso cromatismo acido delle superfici opache, pastose,
36

ha pi a che vedere con il gusto attardato di un Fabrizio Santafede o di un Giovan Vincenzo


Forli che non con i risalti bronzei di Caracciolo o con i residui barocceschi di Sellitto (Porzio).
Francesco Guarino (SantAgata Irpina 1611 - Gravina o Solofra 1654) appartiene ad una
dinastia di pittori, dal padre Giovan Tommaso Guarini, che lavor nel soffitto della collegiata di
Solofra, realizzando spente tele di stampo corenziano, al fratello maggiore Giuseppe Guarini che
collabora con Francesco nel soffitto della collegiata, nel quale si possono notare le mani di altri
artisti della bottega e dove probabilmente lavor anche un altro fratello, Antonio Guarini.
Lattivit del Guarino si svolge tra Solofra, la Puglia ed altre zone periferiche quali il Molise, ove
a Campobasso ottiene unimportante commissione dalla Congregazione di SantAntonio Abate.
Nessuna opera pubblica gli viene affidata nella capitale, probabilmente, come capit anche al
Maestro degli annunci ai pastori, per la sottile denuncia sociale che sottendeva a molte delle sue
composizioni.
Unici committenti, nella cerchia della nobilt, furono gli Orsini di Gravina e di Solofra, attraverso
le cui collezioni molte delle sue opere sono giunte nella capitale e lontano da Napoli, come il
caso di quattro quadri ricordati in un inventario del 1666 nella villa di Belrespiro dei Doria
Pamphili a Roma. Fu soltanto una borghesia, attratta da temi laici e stanca di pittura sacra a
carattere devozionale, a credere nellarte del Guarino e questa identit culturale pi moderna,
nel Seicento, la si trova nella periferia del Regno pi che nella stessa capitale.
Il retroterra culturale per Guarino schiettamente napoletano, come abbiamo visto per il
Cavallino. Formatosi nellorbita dello Stanzione, il Guarino recepisce elementi di naturalismo
dallo stesso Battistello e, come sottolineato dal Pacelli, dalle prime esperienze di Filippo Vitale.
Nel delicato momento in cui lo Stanzione propende verso un caravaggismo pi classicizzato,
entra in crisi il rapporto tra maestro ed allievo. Il solofrano non diger pi i gesti pacati e
rassicuranti dei personaggi stanzioneschi e fu rapito dalla impetuosa e disperata denuncia
sociale che da qualche tempo portava avanti il Maestro degli annunci, con i suoi grossi teloni che
grondavano rabbia e disperazione con quei cafoni, pastori e contadini dai piedi sporchi e callosi,
che contendevano lo spazio e si confondevano con cavalli e pecore in un mondo di sottosviluppo
e sottomissione, senza speranza di riscatto, senza luce e con un opprimente lezzo di stallatico da
far perdere i sensi, che quasi si percepiva, accostandosi a quelle splendide composizioni
precorritrici di secoli la spinosa ed ancora irrisolta questione meridionale. Limprinting
stanzionesco rimarr per una costante nel cammino artistico del Guarino, come si evince da
alcune tra le sue massime realizzazioni: lAnnuncio a Zaccaria del 1637 e la successiva Morte di
San Giuseppe nella collegiata di Solofra o la Madonna delle anime del Purgatorio di Gravina in
Puglia, unopera della piena e tarda maturit del solofrano che quasi una trasposizione
letterale della tela stanzionesca dello stesso soggetto, conservata sullaltare maggiore della
chiesa del Purgatorio ad Arco a Napoli anche se il Guarino, pur soggiogato dalla composizione
del maestro, la rende con una cifra stilistica del tutto personale, che si manifesta nella forza
dimpatto delle ombre, lesaltata corposit fisica della materia, panni, feltri, cieli, paese (Causa).
Un riferimento culturale certo del Guarino, anche se poco sottolineato dalla critica, costituito
dal passaggio a Napoli del Velazquez nel 1630; questo dimostrato dalla materia pittorica del
personaggio raffigurato all'estrema sinistra nel Giuseppe interpreta i sogni del Faraone, in
37

collezione Calbi, databile tra il 1634 ed il '36 e documentato ab antico, assieme all'altra
redazione pi tarda, negli inventari della famiglia Orsini e dalle figure degli astanti nel Martirio
di S. Agata della parrocchiale di S. Agata Irpina.
a met degli anni Trenta che Francesco mette mano alla realizzazione della sua opera pi
insigne: il ciclo di tele con storie di Cristo e della Vergine nel transetto della collegiata di San
Michele a Solofra, che rappresenta per loperosa cittadina irpina il trapasso dallo stinto
manierismo del padre dellartista alla subitanea affermazione del nuovo credo naturalista. In
queste tele il Guarino si esprime ad altissimo livello con una parlata originalissima, ricca di
scansioni personali, che ce lo fanno apparire, come pi volte sottolineato dalla critica, il pi
irregolare tra gli stanzioneschi.
Il momento di massima tangenza tra il Guarino ed il Velzquez, al di fuori del poderoso
Annuncio ai pastori della Collegiata, lo si pu cogliere in due vivide tele con martir di
SantAgata Irpina dove, nel Supplizio delle braci ardenti e nel Supplizio del taglio dei seni, vi il
pi puntuale ricordo dei Borrachos, capolavoro rivoluzionario del sivigliano e testo di
riferimento per nuove generazioni di pittori.
Dopo limpegno della Collegiata il Guarino recepisce con sempre maggiore evidenza la maniera
stanzionesca e le languide dolcezze pittoriche del miglior Pacecco De Rosa, come pure
permeato dagli impreziosimenti vandychiani e neoveneti, al pari di tutto lambiente artistico
napoletano.
Nel 1643 la Congregazione di SantAntonio Abate a Campobasso gli ordina una serie di nove Storiette
con episodi della vita del Santo per la chiesa omonima della citt molisana. Nella cona daltare
principale, che raffigura SantAntonio che libera lossesso, vi un riavvicinamento classicheggiante ai
modi stanzioneschi, che riscontreremo anche in altre importanti pale degli anni successivi come la
Madonna del Rosario del 1644 a Solofra, la doppia redazione del Transito di San Giuseppe e la gi
citata Madonna del suffragio di Gravina collocabile al 1649. Molte opere del Guarino nei primi
decenni del secolo sono state a lungo attribuite allo Stanzione; tra queste alcune delle sue
realizzazioni pi insigni come la SantAgata del museo di San Martino, il San Giorgio della collezione
del Banco di Napoli e la Nascita della Vergine di collezione Catello.
Solo grazie al progredire degli studi la personalit dellartista riemersa come quella di uno dei
massimi pittori napoletani del secolo. Napoletanissimo come pochi altri per discepolato, per stile,
per committenza e per le tematiche affrontate e napoletano anche per il modo di morire, almeno
a prestare fede al racconto del De Dominici: infatti, mentre il solofrano era nel pieno della
maturit, a soli 43 anni, la sua vita ebbe un epilogo improvviso, non per la peste, come avvenne
per tanti suoi colleghi nel 1656, bens per unesplosione di gelosia in cui sarebbe stato coinvolto
alla corte di Ferdinando Orsini a Gravina in Puglia. Sulle cause del decesso vi possono essere
dubbi, tenuto conto della fertile fantasia del biografo settecentesco, mentre sulla data, fornitaci
da un documento, non vi incertezza: 13 luglio 1654.
La S. Cristina (tav. 45) del Guarino entr a far parte delle collezioni del museo di Amiens nel
1890 con unattribuzione ad Andrea Sacchi, rimasta immutata fino a quando la tela non fu
presentata nel 1984 alla grande mostra Civilt del Seicento a Napoli come opera del solofrano,
attestata dal Lattuada, che compil la relativa scheda. Linterpretazione iconografica del
soggetto data dal serpente serrato dalla mano destra della santa e dalla palma del martirio.
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Nel quadro, appartenente alla maturit dellartista, intorno al 1645, si riscontra una libera
ispirazione alle opere dello Stanzione rielaborate con un alto grado di autonomia. Come altre
celebri mezze figure dellartista, in primis il San Giorgio della collezione del Banco di Napoli, si
percepisce una forte carica sentimentale che emana prepotente dalla composizione.
La S. Cristina, di cui esiste una copia autografa di elevata qualit nella pinacoteca civica di
Pesaro, ha lo sguardo altero puntato verso lo spettatore e costituisce una sorta di
trasposizione cristianizzata del dramma di Cleopatra.
Nel solco del naturalismo di lontana matrice caravaggesca e sempre nellorbita del Ribera
sanguigno e dal tremendo impasto da collocare, tra la fine del secondo decennio e linizio del
successivo, la comparsa sulla scena artistica napoletana di un pittore dal fascino singolare e
dalla tematica originalissima, che gli studiosi collocano sotto il nome convenzionale di Maestro
degli Annunci ai pastori dal soggetto di suoi numerosi dipinti conservati in vari musei e raccolte
private da Capodimonte a Birmingham, da Brooklyn a Monaco di Baviera.
La critica ha tentato di identificare lanonimo pittore prima con Bartolomeo Passante, da non
confondersi con Bartolomeo Bassante, brindisino di nascita, citato dalle fonti ed autore di due
famosi quadri firmati: lAdorazione dei pastori del Prado ed un Matrimonio mistico di Santa
Caterina a Napoli in collezione privata, pittore non eccelso dai modi tra De Bellis ed il Cavallino.
In seguito dal De Vito stato ripetutamente proposto il nome di Juan Do, forzando
linterpretazione di alcune firme poste sotto pi di un dipinto dellignoto artista. Unipotesi che
inizialmente aveva raccolto qualificati consensi, ma che ha un punto debole mai sottolineato
dalla critica: il pittore amava ritrarsi ripetutamente nei suoi quadri come un vecchio dai folti
capelli bianchi, la cui et non corrisponde minimamente a quella del Do, del quale conosciamo
vagamente i dati anagrafici. Altre proposte come Nunzio Rossi, sempre avanzata dal De Vito e
Beato, fantasticando su una presunta iniziale posta sotto un celebre dipinto, sono assolutamente
fuori luogo.
Il Maestro degli Annunci ai pastori va collocato idealmente in quel gruppo di artisti di cui in
seguito faranno parte Domenico Gargiulo, Aniello Falcone, Francesco Fracanzano e soprattutto
Francesco Guarino, i quali saranno impegnati in unaccorata denuncia delle misere condizioni
della plebe, dei contadini e delle classi popolari e subalterne. Una sorta di introspezione
sociologica ante litteram della questione meridionale, indagata nei volti smarriti dei pastori,
dalla faccia annerita dal sole e dal vento, dei cafoni sperduti negli sterminati latifondi come servi
della gleba; immagine di un mondo contadino e pastorale arcaico ma innocente e la cui
speranza legata ad un riscatto sociale e materiale, che solo dal cielo pu venire, come
simbolicamente rappresentato dallannuncio ai pastori, il cui sostrato e liconografia religiosa
sono solo un pretesto di cui il pittore si serve per lanciare il suo messaggio laico di fratellanza ed
uguaglianza.
Lattivit del Maestro degli Annunci copre un arco di poco meno di trenta anni, durante i quali vi
fu un lungo periodo di vigorosa e rigorosa adesione al dato naturale, spinto oltre i limiti
raggiunti dallo stesso Ribera, con una tavolozza densa e grumosa e con una serie di prelievi dal
vero, dal volgo pi disperato: una lunga serie di piedi sporchi, di calzari rotti e di vestiti
impregnati dal puzzo delle pecore.
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Sul finire della sua carriera egli addolc e rischiar in parte la sua gamma cromatica, dandoci
pi di un esempio di impreziosimento pittoricistico sotto limpulso del neovenetismo allora
imperante a Roma ed indebol la sua denuncia sociale. Di questo periodo sono da ricordare
lAtelier dellartista di recente comparso sul mercato antiquariale con uno spettacolare brano di
natura morta, la Morte di SantAlessio del castello di Opocno, per finire con la Nativit di Maria
della chiesa della Pace di Castellammare di Stabia, unica commissione pubblica del maestro, e
solo quando eventualmente ne troveremo i documenti di pagamento riusciremo a scoprire la
vera identit di questo straordinario artista, tra i massimi del Seicento europeo, che ancora ci
sfugge.
LAnnuncio ai pastori (tav. 46) del museo di Besanon, eseguito probabilmente intorno al
1635, presenta una composizione molto equilibrata, una soffusa armonia cromatica ed una
materia ricca e densa, con cui lartista rende la scena pi vera e naturale. Egli riesce ad
esprimere il suo senso acuto della realt, attraverso unimmediatezza tattile, senza arrestarsi
alla verit apparente e comunicandoci un sentimento spirituale quasi universale.
Mostra di conoscere le opere giovanili del Velazquez e di aver compreso meglio di ogni altro la
lezione del Ribera.
Tra le tante versioni note quella che pi si avvicina a quella del museo di Capodimonte.
Langelo della parte superiore di un colore denso e pastoso reso con una materia grumosa;
abbozzato con pennellate larghe e grasse, di un colore caldo che ricorda i Veneziani del
Cinquecento ed perfettamente in linea con la corrente pittoricistica introdotta a Napoli
grazie alla presenza di quadri del Castiglione, di Pietro da Cortona, del Rubens e del Van Dyck.
Nella tela (tav.47) conservata a Nantes egli riprende la met sinistra della composizione di
Besanon e la modifica leggermente, introducendovi alcune varianti: il braccio destro
dellangelo, la posizione delle mani del pastore situato al centro, la disposizione delle pecore.
Di autografia border line il Cristo deriso (tav. 48) conservato al Louvre ed assegnato al
Maestro dellannuncio ai pastori da Nicola Spinosa.
Infine consideriamo il Ges tra i dottori (tav. 49) del museo di Nantes, proveniente come molti
altri dipinti del museo, tra cui dello stesso autore il gi descritto Annuncio dei pastori, dalla
collezione di Francois Cacault, formata in pi tempi da acquisti soprattutto tra il 1802 al 1804,
quando ricopr la carica di ministro plenipotenziario della Francia a Roma.
Si tratta di una delle tre versioni dello stesso soggetto; le altre due si trovano luna presso la
quadreria del Ges Nuovo a Napoli, laltra presso Rob Smeets a Milano.
Questo gruppo di opere secondo Bologna era stato eseguito da Francesco Fracanzano, mentre
secondo Spinosa, opinione accettata dalla critica pi avvertita, mostrano i primi segni di un
iniziale allentarsi dellimpasto pittorico, con una maggiore variet e finezza di gamme
cromatiche, congiunto ad una resa espressiva pi accorta, sensibile e pacatamente
comunicativa. Da notare che la figura del rabbino che, sostenendo un grosso volume, indica a
Ges il testo delle Sacre Scritture, ripresa, per il profilo, da quella del fauno che sta sul retro
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di Sileno nella tela dipinta da Ribera nel 1626, conservata a Capodimonte.


Il Maestro dellEmmaus di Pau, probabilmente un nordico attivo a Napoli tra il II ed il III
decennio del Seicento, una figura creata per assemblare una serie di dipinti caratterizzati dallo
stesso stile. Egli lavor nel solco di altri artisti stranieri ancora poco noti, quali Finson, Faber,
Vinck ed i Maestri di Resina e dellEmmaus di Sarasota.
Lutilizzo comune di alcuni modelli presenti in opere di Filippo Vitale ha fatto ipotizzare a
qualche studioso di trovarsi al cospetto di una fase antica dellartista, come pure una traccia da
perseguire nella ricerca di un nome per lo sconosciuto maestro di reperire qualche tela
attribuibile ad Abraham Vinck, noto come celebre ritrattista e fornito di innumerevoli documenti
di pagamento. Infatti una caratteristica fondamentale di questo anonimo maestro, precorrendo
Ribera, labilit di compiere una profonda introspezione psicologica dei personaggi raffigurati,
indagati spietatamente nella debolezza e nel decadimento della carne, al punto da farne uno
dei pi abili ritrattisti del primo decennio.
La Cena in Emmaus (tav. 50) del museo di Pau costituisce il dipinto dal quale il Bologna nel
1991, in occasione della mostra su Battistello ed il primo naturalismo a Napoli, cre la figura
di un maestro che prendeva il nome del quadro in questione, caratterizzato da una marcata
inclinazione naturalista e caravaggesca.
Tra i nomi di convenzione il pi antico il Maestro di Resina, un pittore transalpino, forse
lorenese, attivo in citt nel secondo decennio del secolo XVII, il quale fece la sua apparizione con
una pala daltare raffigurante una Fuga in Egitto alla mostra tenutasi nel 1954 sulla Madonna
nella pittura del Seicento a Napoli. La scena di una intensa commozione presenta delle
trasparenti preziosit nella veste della Vergine, il tutto immerso in unatmosfera di pacato
sentimento. In seguito il catalogo dellanonimo pittore si accresciuto con lidentificazione, da
parte del Bologna, della stessa mano nel Cristo che lava i piedi di palazzo Spinola a Genova e nel
Sacrificio di Isacco di collezione privata bolognese; le stesse inconfondibili teste di vecchi dalle
stanche mani anchilosate, la stessa geometria luminosa.
Il Sacrificio d'Isacco (tav. 51) conservato ad Olmeda di Tuda, in Corsica, nella chiesa
parrocchiale stato pubblicato per primo da Stefano Causa nel 2000 e messo in collegamento
con due repliche autografe, una prima di migliore qualit in collezione privata bolognese ed
una seconda emersa dai depositi della Galleria regionale di Palermo.
La tela, di grosse dimensioni, appartiene ad un momento anteriore alla Fuga in Egitto della
chiesa della Consolazione di Resina, da cui il nome di convenzione dellartista, e doveva
costituire unimportante pala daltare.
La conferma che il maestro operasse a Napoli in un momento abbastanza antico e
partecipasse con automa originalit al clima caravaggesco instauratosi dopo i due soggiorni
del Merisi, sta nella figura dellangelo posto nella parte superiore della composizione, fissato
nel gesto di spingere verso il basso le braccia, prelevato letteralmente dalla parte superiore
delle Sette opere di Misericordia, capolavoro del Caravaggio.
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Le figure sono scandite con larghe campiture di colore diffuso e compatto, mentre le ombre
sono definite in linea con la lezione del maestro lombardo con limpatto della luce che
proviene da sinistra e dallalto.
Un allievo di Giordano che raggiunge notevole autonomia e che gli studi recenti del Ravelli e del
Pavone hanno messo nella giusta luce Nicola Malinconico (Napoli 1663 - 1727), figlio di
Andrea, un modesto stanzionesco e fratello di Oronzo.
Nicola fu versato sia nella natura morta che come pittore di Istorie, cui si dedic maggiormente.
Egli segu il nuovo orientamento giordanesco, tutto giocato sui toni chiari e si avvalse della sua
freschezza di colore, la onde dipinse opere cos vive, e belle che da taluno fu stimato il suo
colorito pi vago di quello dello stesso maestro (De Dominici).
La sua biografia viene presentata nelle Vite in maniera confusa sia nellambito dei discepoli
dello Stanzione, tra i quali vi era il padre, sia tra i discepoli del Giordano. Il De Dominici non
tenero con lartista per via del suo antagonismo con il Solimena ritenuto, giustamente, pittore di
prima riga. In seguito altri biografi ne hanno valorizzato lopera, come il Dalbono, che lo isola,
assieme al De Matteis, dal seguito giordanesco per porlo in bella prospettiva.
A Quimper nel museo di Belle Arti si conserva un maestoso dipinto di Nicola Malinconico,
raffigurante il Trionfo di Deborah (tav. 52), collocabile cronologicamente al 1695.
Lasciati i frutti, il Malinconico si impegn nelle grandi composizioni dal respiro giordanesco.
A cavallo della fine del secolo egli trasferisce nella sua pittura la maniera chiara del Giordano,
come si evince dai suoi lavori nella chiesa di Donnalbina (Sant'Agnello scaccia i saraceni ed
un'Assunzione), dove comincia a lavorare nel 1699 ed esegue le tele del soffitto e laffresco
sulla facciata interna. Dopo il 1700 il Malinconico si allontaner dai modi giordaneschi per
aderire allo stile del Solimena e del De Matteis.
Nella composizione in esame lartista, adoperando una tavolozza dai colori lividi, riesce in
breve spazio a collocare una miriade di personaggi, tutti animati da un dinamismo che d
vivacit al racconto.
Una personalit straniera da prendere in esame Charles Mellin, (Nancy 1600 circa - Roma
1649) lorenese, i cui primi contatti con lambiente artistico meridionale risalgono al 1636,
quando cominci a lavorare alla decorazione della volta e delle pareti del coro dellAbbazia di
Montecassino, che furono completate entro lanno successivo ed erano costituite da 15
composizioni, purtroppo distrutte dalla furia devastatrice dellultimo conflitto mondiale e delle
quali possediamo soltanto una parziale e modesta documentazione fotografica.
Di questo ciclo abbiamo oltre al ricordo delle fonti una serie di disegni preparatori relativi ad
alcune scene.
Unico lavoro dellartista presente oggi a Montecassino, nel refettorio, un suo modesto dipinto,
un Sacrificio di Abele, un tema biblico inconsueto, ricordato dalle fonti e che si credeva perduto,
viceversa identificato da Spinosa, che ne ha riconosciuto anche un bozzetto nel museo di Nancy.
Nel 1643 il Mellin documentato a Napoli ove si stabilir fino al 1647, anno della rivolta di
Masaniello, che indusse il pittore a ritornare precipitosamente a Roma.
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Il Mellin, dotato di uno stile caratterizzato da pennellate fluide ed ampie stesure cromatiche, si
distinse come uno degli interpreti pi significativi di una corrente classicista, promossa dal
cardinale filo francese Ascanio Filomarino, arcivescovo di Napoli dal 1641, il quale gli procur
alcune committenze per importanti ordini religiosi. Tale movimento purista, chiaro e solare
nella luce e nei colori, produsse unimmissione fresca e vigorosa di ricchezza nel cromatismo,
scandita in preziose desinenze neo venete, che suggestionarono sia Pacecco De Rosa che il
Vaccaro ed infine lo stesso Cavallino, i cui quadri degli ultimi anni interagiscono allunisono con
le calde luminosit delle opere dellartista francese.
Appena arrivato a Napoli il Mellin esegu una Purificazione della Vergine per laltare maggiore
della chiesa dellAnnunziata, dipinto perduto nel 1757 a causa di un incendio, ricordato dal
Cochin nel suo famoso ed attento diario di viaggio e del quale rimane unacquaforte del secolo
XVII.
Nella collezione del cardinale Filomarino vi era un San Pietro e langelo scomparso come gli altri
dipinti della raccolta nei tumultuosi giorni della repubblica napoletana del 1799.
Le uniche due tele che oggi conserviamo nella chiesa di S. Maria Donnaregina Nuova sono
unImmacolata Concezione eseguita nel 1646, un tema iconografico caro alla devozione
napoletana, straripante di simboli mariani, immersi in una gamma di tonalit scure ed
unAnnunciazione datata 1647, nella quale i modi pittorici melliniani manifestano
palesemente elementi di tangenza con lo stile stanzionesco.
Il Sacrificio di Abele (tav. 53) del Mellin, datato 1634, fu acquistato dal museo di Nancy in
una vendita del gennaio 1983 a New York, quando recava unattribuzione a Francesco
Albani, ma era stato gi riconosciuto da Spinosa come modello preparatorio del Mellin
per il quadro dellAbbazia di Montecassino.
Il dipinto in esame, di cui si conserva anche una prima stesura nel museo di Stoccolma e
la composizione finale distrutta durante la seconda guerra mondiale sono opere
fondamentali per la ricostruzione degli inizi e della successiva attivit del pittore
francese, presentando gi quella felice combinazione di classicismo tra Raffaello e Nicolas
Poussin e pittoricismo di matrice neoveneta.
In occasione della mostra Civilt del Seicento a Napoli, dove fu esposto, Paulette Chon
avanz lipotesi che il dipinto non fosse il bozzetto bens una redazione anteriore o una
replica di questo.
Pietro Novelli (Monreale 1603 - Palermo 1647), come accettato dalla critica, anche se non
documentato, fu presente a Napoli dal 1631 al 1633, ove esercit una notevole influenza sulla
pittura locale, pi di quanto Ribera non pot reciprocamente sulla sua, inoltre insieme al
Castiglione introdusse quei fermenti fiammingo vandyckiani che determinarono quella svolta
pittoricistica che comport la fine del naturalismo.
Tali novit giunsero a Napoli, in parte attraverso la pittura genovese e cos la scuola napoletana
pot comprendere ed apprezzare il nuovo messaggio di luminoso e caldo pittoricismo, che
determin lentamente una svolta nel gusto ed una crisi del naturalismo fino ad allora imperante.

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Un poco noto capolavoro di Pietro Novelli, raffigurante la Sfida musicale tra Apollo e Marsia
(tav. 54) conservato nel museo di Caen.
Esso sicuramente frutto di una committenza privata, fa parte di quelle tele di argomento
mitologico che i collezionisti si contendevano accanitamente.
Tutta la scena condotta con mirabile maestria, con una potenza di osservazione e di verit
straordinarie. La bellezza del disegno e del modellato che si sprigiona dai corpi dei
contendenti uguale alla vigoria del colore, cos sobria e forte, piena di gradazioni sottilissime
ed armonizzata da una squisita fissazione dei toni.
In questo quadro, probabilmente eseguito durante il soggiorno napoletano, il Monrealese si
mostra a noi nel pieno possesso dei suoi mezzi di esecuzione, che furono molto apprezzati
dagli intenditori.
Con Paolo Porpora (Napoli 1617 - Roma 1673) entriamo nel pieno della storia della natura
morta a Napoli.
Nei quadri a soggetto floreale il Porpora mostra unattenzione di matrice naturalista nella resa
luministica dei petali dei fiori, delle foglie e della frutta, dimostrando la grande fantasia e
lafflato lirico del caravaggesco di razza, che in grado di riprodurre con un rispetto della verit
ottica straripanti costruzioni floreali, che nulla hanno in comune con le successive fastose e
pompose creazioni dei fioranti barocchi.
Gli effetti cromatici di una corposit quasi tattile tutta partenopea sono puntigliosamente
ricercati senza trascurare una cristallina definizione dei volumi.
Nel campo del sottobosco supera, per vivacit di rappresentazione e cura del dettaglio
naturalistico, i pi affermati specialisti nordici e centro europei.
Il sottobosco, misterioso ed affascinante, un soggetto molto richiesto e raffigurato nei paesi di
lingua tedesca, ove grande successo incontrano scene di lotta per la sopravvivenza che si
consumano silenziosamente ed ineluttabilmente nella eterna penombra di alberi secolari vicino
a ruscelletti e stagni brulicanti di vita primordiale. un mondo animale, ritratto con precisione
naturalista, impegnato in attivit banali, che nel simbolismo nordico diventano prodigiose
metafore della eterna lotta tra il bene ed il male, e talune volte tendono ad incarnare i solenni
misteri della fede cristiana.
Nelle tele del Porpora questi profondi simbolismi sono trascurati o affiorano di sfuggita, perch
estranei al gusto della committenza italiana e napoletana in particolare, senza dimenticare che i
clienti del nostro artista probabilmente continuarono ad essere in larga misura della citt
natale.
un sottobosco cupo quello rappresentato, un intreccio di radici legnose e di alberi cavi, avvolti
da un tappeto di muschio, mentre a terra ciottoli e funghi altezzosi, che, come sottoline il
Bottari, giganteggiano come monumenti. Latmosfera ravvivata dalla presenza di fiori
luminosi che sembrano emanare una luce abbagliante, che fa da contrasto, con il suo messaggio
di vitalit, allo statico mondo delle piante, dei minerali, delle crittogame.
La sua flora e la sua fauna vogliono esaltare le meraviglie della natura, che si possono cogliere
anche in un piccolo recesso senza dare conto, a differenza degli artisti nordici, delleterna lotta
simbolica che si svolge ogni momento tra princip metafisici contrapposti: il bene e il male.
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La vivacit di questi sottoboschi strettamente legata allabilit del Porpora nel modulare
armoniosamente la sua tastiera cromatica, con la forza della intelligenza visiva e lo splendore
della veste pittorica che gli permettono, con eguale verit di rappresentazione, di ritrarre fiori
allo sboccio e foglie avvizzite, ricorrendo ad una straordinaria variet di gradazioni di colore. Le
composizioni sono immerse quasi sempre in una luce vespertina che produce intensi bagliori e
consente di apprezzare in egual misura sia la trasparenza delle ali degli insetti che lumida e
ripugnante viscidit della pelle della tartaruga.
Scopritore del Porpora fu il Causa e come sempre alla sua penna che si debbono le descrizioni
pi poetiche dei suoi mirabolanti sottoboschi: emozioni sempre pi morbose da racconto nero
nel mondo della storia naturale ... piacevolissime crudelt di ranocchie inferocite che ingoiano
farfalle prese al volo, serpi viscide che fischiano sotto le frasche, quelle sue fantasie tra notturnali
e canicolari di calabroni e coccinelle, quagliotti insidiati dalle volpi e rospi a convegno in foreste
di funghi pietrificati.
Le due Nature morte (tav. 55 - 56) del museo di Valence furono restituite al Porpora dal
Causa, nel 1964, in occasione della memorabile mostra sulla Natura morta italiana. Lo
studioso tess le lodi della elevata qualit dei dipinti con la sua ricercata prosa, aulica e
magniloquente: fragoroso, le grandi scenografie di fiori e frutta del museo di Valence, un
diluvio vegetale sul frammento di sarcofago antico ai margini del bosco scuro e la
ceramichetta riversa a far da richiamo allumano. I due pendant sono collocabili
cronologicamente nella fase finale della carriera dellartista dopo il settimo decennio del
secolo e dimostrano la posizione conquistata dal Porpora nellaffollato ambiente artistico
romano dominato nella pittura floreale dal Nuzzi e dal Vogelaer. Le due tele coniugano
felicemente lesuberante effetto decorativo con una minuziosa rappresentazione dei fiori,
osservati e descritti con cura fiamminga, mentre risalta in entrambe le composizioni un vivace
e scoppiettante cromatismo, attraverso il quale il pittore ha inteso rendere un omaggio alla
bellezza della natura che si esprime nello splendore di tante specie di fiori ed ha voluto
accentuare la vitalit della scena attraverso delle anatroccole selvatiche, raffigurate vicino ad
uno specchio dacqua, mentre impacciate si apprestano, con le timide ali, a spiccare il primo
volo.
Il Sottobosco (tav. 57), gi in collezione Wertheimer a Parigi e donato al Louvre nel 1970
stato analizzato dal de Mirimonde, il quale ha ritenuto di identificare in ognuno degli elementi
raffigurati un significato simbolico, in linea con la tradizione della pittura di genere
fiamminga. Un tentativo a dir poco maldestro ed improponibile in ambito italiano. La
composizione rientra nella produzione degli anni trascorsi a Roma, quando il Porpora entra in
contatto con artisti nordici quali Otto Marseus von Schrieck e Matthias Witthoos, specializzati
nel ritrarre la vivace animazione del mondo animale e vegetale dei sottoboschi. Le sue
composizioni trasudano gioia di vivere e colori vivaci e rappresentano senza ombra di dubbio
uno dei pi alti traguardi raggiunti dalla natura morta italiana, risultato ottenuto in un
contrasto ben dosato di luci squillanti e melanconiche penombre.

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Anche i due pendant (tav. 58 - 59) del museo di Quimper hanno come soggetto la vita che si
svolge nel sottobosco, un mondo animale e vegetale nel quale lottano per la sopravvivenza
insetti e lumache, farfalle e lucertole. Un divertissement tra pittorico e naturalistico, nel quale
gli elementi costitutivi della pittura di genere sono rielaborati in nuove cadenze di
suggestione romantica, sempre pi influenzate dalla cultura nordica, che ama caricare di
simbolismi le loro nature morte, mentre il Porpora se ne tiene lontano, perch lavora per una
committenza del tutto digiuna di oscuri collegamenti metafisici e religiosi.
I rapporti tra Nicolas Poussin (Les Andelys 1594 - Roma 1665) e la cerchia di artisti napoletani
pi influenzati dai suoi modi pittorici, da Andrea De Lione a Salvator Rosa, da Aniello Falcone a
Micco Spadaro, sono accettati da tempo dalla critica pi avvertita, anche se non documentato
alcun viaggio del francese a Napoli.
Nessuna sua opera specifico punto di riferimento per analoghi soggetti eseguiti dai nostri
artisti, ma sono i contenuti stilistici e formali dei suoi dipinti e la chiarezza di tono che riflette la
particolare sensibilit del Poussin alla pittura veneta, in specie del Veronese e linterpretazione
personale che egli ne d, ad influenzare quella ampia cerchia di artisti che comprendono il
Grechetto, Andrea De Lione, Salvator Rosa e tanti altri.
Le grandi collezioni napoletane dellepoca, da quella del cardinale Filomarino, a quella del
mecenate Vandeneynden, alle meno famose dei Cellammare e dei Della Torre, possedevano
alcuni dipinti di Poussin, mentre un altro punto di contatto costituito senza dubbio dal viaggio
di studio che negli anni Venti e Trenta i pittori napoletani erano soliti compiere nell'ambiente
artistico romano, dove in breve Poussin era assurto a figura dominante.
Egli diede vita ad un modello di classicismo che, travalicando i tempi, giunto fino ai nostri
giorni e si fa apprezzare anche dal nostro gusto di moderni.
Il suo mecenate fu il poeta Giovan Battista Marino, il pi grande dei letterati italiani attivo in
Francia al tempo della sua giovinezza ed merito suo se egli intraprese il suo viaggio in Italia;
come pure ai suoi dettami filosofici e morali che il Poussin si ispir nella elaborazione del suo
credo di artista impegnato.
Egli volle incarnare la figura dellartista moderno, che non lavora pi esclusivamente per
committenze religiose o nobiliari.
Il Poussin, pur subendo linflusso del fervido e variegato ambiente romano del secondo decennio
del Seicento, fu creatore di una pittura personale, simbolo della pi alta e solenne quiete e
meditazione, attraverso la quale egli si cal in una straordinaria avventura intellettuale nella
immensa dimensione di un passato che insieme storia e mito.
Egli contribu inoltre alla crescita ed alla diffusione della pittura di paesaggio e ci rappresent
sicuramente un modello per taluni pittori napoletani, quali ad esempio Domenico Gargiulo, che
prese spunto dai suoi quadri per lesecuzione della lunetta con paesaggi, dipinta nel 1638 nel
coro di San Martino.
Anche nel genere delle battaglie precorse un gusto che a Napoli avr celebri epigoni in Aniello
Falcone, Andrea De Lione e Salvator Rosa.
Nelle scene mitologiche, che furono il suo cavallo di battaglia, ebbe modo di incidere su
Lanfranco, Domenichino, Falcone e sugli altri artisti napoletani che con lui parteciparono alla
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grande commissione di Filippo IV per abbellire il Buen Retiro a Madrid. Solo con artisti come
Guarino, Cavallino e De Bellis la critica non ha inquadrato ancora del tutto i rapporti, perch
regna incertezza nella cronologia delle loro opere.
Rispetto a Pietro da Cortona che vive, in quel tempo, esperienze affini nellottica della assoluta
estroversione, Poussin rappresenta un polo dialettico di pura introversione, improntata allidea della
sollecitudine, dellamicizia, della comprensione reciproca, dellappartenenza ad unideale
confraternita di sapienti (Strinati).
Questi due diversi indirizzi ideologici giunsero fino a Napoli ed improntarono il destino delle arti
figurative in un momento di grandi trasformazioni e di rimodellamento del gusto.
La Morte di Adone (tav. 60) di Nicolas Poussin giunta in Francia alla corte di Luigi XIV nel
1682 e fu destinata al museo di Caen nel 1802.
Databile secondo Mahon agli ultimi mesi del 1627, poco prima del celebre quadro raffigurante
la Morte di Germanico dellInstitute of art di Minneapolis. Da notare anche la forte
similitudine tra il corpo di Adone e quello del Cristo morto dellAlte Pinakothek di Monaco.
Nel dipinto in esame particolarmente evidente, accanto allimpostazione ed al contenuto di
chiara ispirazione classica, un intenso cromatismo memore della pittura tonale apparsa a
Venezia, dove lartista ha brevemente sostato nel 1624, prima di giungere a Roma.
Mattia Preti (Taverna 1613 - La Valletta 1699) nasce nel 1613 in un piccolo paesino montuoso
della Calabria e verso il 1630, si rec a Roma, ove da due anni era attivo suo fratello Gregorio,
anche egli pittore. Probabile una sosta a Napoli, tappa obbligata del viaggio, durante la quale
potrebbe aver avuto un primo contatto col luminismo caravaggesco ed il classicismo bolognese.
Nella citt eterna non ebbe un vero e proprio maestro, per cui cominci a frequentare le chiese e
ad osservare le opere pi importanti, cercando di imparare da s. Il suo punto di riferimento
preferenziale fu il Caravaggio con le grandi tele di San Luigi dei Francesi e di Santa Maria del
Popolo dallo spiccato luminismo, che arricchir progressivamente la sua parlata ancora acerba.
Negli anni dal 30 al 40 forte fu linflusso dei caravaggisti nordici specialmente francesi quali
Valentin, Tournier, Douffet, operanti intorno a Bartolomeo Manfredi e seguaci della sua
manfrediana methodus, uno stile di retroguardia oramai non pi in linea con le nuove
esperienze figurative.
Questi artisti possedevano formule consolidate tratte dal repertorio caravaggesco che
riproponevano con poche varianti. Son questi gli anni in cui il Preti realizzer una serie di tele,
alcune in collaborazione col fratello Gregorio, che hanno come soggetto i Giocatori o il Concerto.
In seguito i suoi riferimenti culturali vanno ampliandosi e prendono ispirazione dallambiente
emiliano dai Carracci al Domenichino, dal Lanfranco al Guercino attraverso la cui macchia il
Preti elabora un originale luminismo. Lentamente nel suo stile penetra la monumentalit del
Lanfranco cui egli imprime dinamicit e la severa classicit del Domenichino, da cui trae il
decoro delle sue composizioni pi solenni; mentre dal Guercino della fase pi antica ottiene i
rigorosi effetti di luce della sua pittura caravaggesca.
Dalla cultura veneta e dal Veronese in particolare il Preti trarr poi spunti di carattere
compositivo nelle grandi scene conviviali.
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A Roma lartista si dedica anche allaffresco lavorando in SantAndrea della Valle tra lottobre
del 1650 e laprile del 1651, terminando lopera incompiuta del Lanfranco e nella chiesa
barnabita di San Carlo ai Catinari, dove attivo nel 1652.
Tra lottobre del 1651 e la primavera successiva, in soli sei mesi, porta a termine altre due grosse
imprese decorative a Modena.
Preti nel 1653 ancora a Roma dove si candida, senza essere eletto, alla carica di principe
dellAccademia di San Luca, il Senato dei pittori. La delusione per la mancata nomina fu
probabilmente la molla che lo indusse a trasferirsi a Napoli, ma non dovette essere senza peso la
considerazione del vuoto che aveva lasciato la scomparsa del Ribera, fino ad allora mattatore
nelle committenze pubbliche e private.
A lungo la critica ha creduto, seguendo il racconto del De Dominici, che il Preti fosse giunto a
Napoli nel 1656, fino a quando Clifton e Spike hanno rinvenuto numerosi documenti bancari
attestanti la presenza in citt del Preti gi dal marzo 1653.
Gli anni trascorsi a Napoli rappresentano let doro per larte pretiana, che trasforma la sua
tavolozza, dando risalto a taluni colori come il nero cupo, lazzurro splendente, i riflessi argentei,
i grigi bronzei, i toni lividi, cianotici dellincarnato, creando uno stile originalissimo improntato
ad una rigorosa severit di impianto. Una ventata barocca, che giunge in ritardo sugli eventi
romani e che innesta un fecondo scambio linguistico con lastro nascente, allepoca giovanissimo,
Luca Giordano.
Il Preti privilegia luso di gradazioni cromatiche scure folgorate da improvvisi bagliori di luce.
I primi lavori napoletani sono un San Nicola di Bari per la chiesa di San Domenico Soriano ove
nel 1655 realizzer gli affreschi per la cupola, oggi perduti, ed il famoso San Sebastiano ordinato
dalle monache dellomonimo convento e da queste rifiutato con sdegno per le tinte troppo
scure e per le fisionomie ignobili.
Un destino simile avevano subito a Napoli alcune opere del Caravaggio, rifiutate dai committenti
per il loro crudo realismo; fortuna ha voluto che la tela di Preti sia rimasta in citt, trasferita
dalle monache alla chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori ed oggi a Capodimonte.
Nel 1656 la peste imperversava ed in breve tempo la popolazione fu pi che dimezzata.
Scompare unintera generazione di pittori: Cavallino, Guarino, Falcone, Fracanzano, mentre da
poco era uscito di scena il Ribera. Ogni giorno migliaia di vittime e solo verso la fine di agosto,
dopo una serie di piogge torrenziali si torna lentamente a rivivere. Finito il morbo vi un
moltiplicarsi di rendimenti di grazia e di ex voto; i pochi artisti sopravvissuti sono sommersi
dalla committenza.
E siamo quindi alla grande commissione sulla quale tanto aveva favoleggiato il De Dominici,
intessendola di particolari leggendar. Il manifesto programmatico del nuovo corso della pittura
napoletana. Il 27 novembre 1656 gli Eletti della citt gli conferiscono lincarico di affrescare le
sette porte pi importanti con delle immagini di ringraziamento rappresentanti lImmacolata
Concezione ed i Santi protettori.
Nel 1657 vengono eseguiti quelli di Porta San Gennaro, del Carmine e dello Spirito Santo e lanno
successivo si completano le altre quattro porte: Capuana, Nolana, di Costantinopoli e di Chiaia.
Le opere del Preti riscossero un grande entusiasmo e rappresentarono un modo nuovo di fare
storia in presa diretta, suscitando grande emozione nella cittadinanza.
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Gi ai tempi del De Dominici gli affreschi si erano rovinati ed in pochi anni scomparvero del
tutto.
Solo grazie alla tenacia e caparbiet della Sovrintendenza ai Beni Artistici si riusciti a
recuperare parzialmente ed a restituire alla vista della cittadinanza laffresco di Porta San
Gennaro, che giaceva da secoli sotto una coltre di sudiciume.
Unica testimonianza di tale impresa pittorica erano rimasti i due bozzetti preparator
conservati al museo di Capodimonte, riferentisi alla Porta del Carmine con il carretto per
prelevare gli appestati ed alla Porta dello Spirito Santo, con il nudo della madre morta col figlio
al seno in primo piano, prelievo letterale dalla celebre Peste di Azoth di Poussin; un brano di
estrema drammaticit e di grande enfasi lirica che sar replicato da tanti altri artisti, dal
Gargiulo al Giordano e che sembra precorrere il celebre Dlacroix del Massacro di Scio.
Laltra memorabile impresa decorativa furono le 10 grandi tele per adornare il soffitto della
navata e del transetto della chiesa di San Pietro a Majella, una delle pi alte realizzazioni della
pittura europea del Seicento.
Le tele narrano la storia di San Pietro Celestino salito al soglio papale e da questo, caso unico
nella storia, dimessosi e la vita e la morte di Santa Caterina dAlessandria.
Lo splendido soffitto realizzato in due anni fu inaugurato il 18 maggio 1659 e riscosse un
successo senza paragoni. Lo stesso antagonista, Luca Giordano, ebbe ad esclamare chessi
sarebbero stati per lavvenire la scuola della radiosa giovent. Nel 1913 il nostro pi grande
critico darte di tutti i tempi Roberto Longhi asseriva entusiasta gli scomparti di San Pietro a
Majella diventeranno, speriamo presto, qualcosa di pi delle Stanze di Raffaello per lo spirito
dei migliori. Se questo augurio non si ancora realizzato la colpa anche di noi napoletani, che
non apprezziamo e valorizziamo i nostri tesori.
Sicuramente ascrivibile al periodo napoletano anche la grande tela della Resurrezione di
Lazzaro del museo Barberini nella quale la figura seminuda del resuscitato, dai toni cianotici,
esaltati da un sapiente uso del chiaroscuro, domina tutta la scena, incutendo un timore
reverenziale ai saggi che lo esaminano inebetiti.
Celeberrimi sono i due conviti di Capodimonte (di Assalonne e di Baldassarre) dalla grande
raffinatezza cromatica, nei quali si respira la cultura veneta veronesiana nello schema
compositivo delle tele. Il Rolfs parl di un assassinio alla napoletana in un banchetto alla
Veronese
E giungiamo al 1660, quando sulla piazza napoletana la competitivit collemergente Giordano
giunge al culmine. Il Preti comincia a nutrire dubbi, davanti ai quadroni grondanti luce, oro,
vibrazione atmosferica, esultante vitalit del suo rivale. Lui che precorreva di secoli la storia
della pittura teme di essere antiquato. Il passato contro il futuro. Il nero della notte contro loro
della calura meridiana; lintrospezione sofferta e meditata contro lestemporaneit estrosa e
provocatoria. Due mondi inconciliabili, anche se destinati, inevitabilmente ad entrare in una
collusione che pu anche apparire al segno di reciproche interferenze marginali. Meglio partire.
Lo aspettava Malta, una carriera onorata, una escalation sicura nei gradi nobiliari dellOrdine,
un lavoro tranquillo, con tanti assistenti, aiutanti, ammiratori, ed il primato assoluto, e di
conseguenza prestigio e commissioni innumerevoli da ogni parte dItalia e dEuropa (Causa).
Quindi nel mese di settembre il Preti ottiene il titolo di Cavaliere di Giustizia e propone di
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dipingere senza compenso limmensa volta e labside della Cocattedrale di La Valletta.


Da Malta per quarantanni spedisce senza sosta opere in Italia ed in Europa, il talento lo accompagna
ancora, ma il mestiere che lo sorregge nei momenti di pausa ispirativa, in cui spesso si rifar a sue
precedenti composizioni di successo, facendo di s stesso modello.
Poche le opere documentate da lui inviate sulla terraferma: nel 1674 una pala daltare per il
Duomo di Siena ed a Napoli nel 1684 un Adorazione dei Pastori per la chiesa di Monteverginella
ed una Vergine con Simone Stock per il Carmine Maggiore.
Lentamente la gamma cromatica prima cos ricca si riduce a pochi colori ed aumenta sempre
pi il ricorso alla bottega. Solitudine, malinconia, nostalgia, nel dorato esilio dellIsola dei
Cavalieri che ormai sostituiva la pompa liturgica ai fasti avventurosi delle scorrerie e delle
guerre di fede (Causa). Il 13 gennaio 1699 ad ottantasei anni il Preti si spegne dopo tanto aver
dato ad un secolo pur ricco di fermenti e di espressioni figurative.
Della Negazione di Pietro (tav. 61) del museo di Carcassonne si ignora lantica provenienza ed
a lungo ne stata contestata lattribuzione al Cavaliere calabrese, fino a quando si
pronunciato Spike, massimo esperto dellartista, il quale ritiene trattarsi di una delle prime
opere del Preti da collocare al 1630-35. Egli fa notare che i dubbi nascono da alcune
debolezze: i personaggi sono tutti disposti in primo piano ed alcuni atteggiamenti sono resi in
modo maldestro, come il braccio sinistro del soldato che si spinge fin troppo avanti o, al
contrario, la mano destra della serva troppo indietro. Malgrado questi difetti, la leggera
preparazione bruna, i riflessi argentati sullelmo e la corazza del soldato, e alcuni particolari il movimento della serva o il volto di San Pietro - sono caratteristici dellopera del Preti, cos
come la grande forza drammatica della composizione resa con semplicit. Questa una delle
pi evidenti testimonianze delladesione giovanile del Preti alla lezione del Caravaggio.
La Crocifissione di San Pietro (tav. 62) del museo di Grenoble, gi nella collezione della regina
Cristina di Svezia prima del 1687, viene acquistata dalla citt di Grenoble nel 1828.
Per le cospicue dimensioni probabilmente doveva essere una pala daltare per una chiesa di
Roma, forse rifiutata dai committenti e rimasta nella disponibilit del pittore.
Cronologicamente si inserisce certamente nel contesto delle grandi pale eseguite durante i
primi anni Quaranta, nelle quali molto forte il riferimento alla lezione del Caravaggio.
Nella tela in esame si pu apprezzare come la rivisitazione di motivi chiaramente ripresi dal
Merisi viene rielaborata in spunti compositivi di grande effetto, ma senza la carica
drammatica che avevano in Caravaggio. Si pensi alla splendida idea dellangelo che irrompe
dallalto, chiaro ricordo da San Luigi dei Francesi, ma anche dalle Sette opere di Misericordia.
Nella tela di Grenoble la sequenza di piani determinata dal corpo del santo e dalla sua croce,
nonch dalla ardita posa del carnefice in primo piano a sinistra, sottolineata dai tocchi di luce
sulle spalle, la camicia e il polpaccio, d un senso di profonda spazialit alla scena e di
accentuato dinamismo.
Il Ritorno del figliuol prodigo (tav. 63) fu acquistato dal museo di Le Mans con unattribuzione
a Caravaggio. Fu poi il Longhi ad attribuirlo correttamente al Preti, il quale nel corso della sua
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carriera ha replicato pi volte la stessa iconografia, molto richiesta dalla committenza, in


formati e strutture molto diversi tra loro. La versione francese una delle pi antiche
rielaborazioni del tema, ancora intrisa di un naturalismo di ascendenza caravaggesca, riletto
attraverso i modi del Guercino, con un gusto per il colore denso e compatto e con una
definizione accurata della materia, sia essa stoffa, incarnato, elemento architettonico.
Siamo nei primi anni Quaranta, in un momento particolarmente fecondo nella produzione del
Preti, al quale appartengono anche le due celebri versioni conservate a Napoli, tra
Capodimonte e Palazzo Reale.
Il Mos sul monte Sinai (tav. 64) del museo Fabre a Montpellier, anticamente attribuito al
Poussin, stato restituito dal Longhi al Preti assieme al suo pendant conservato a Tours.
Cronologicamente si tratta di opere eseguite tra il 1630 ed il 1640, durante il soggiorno
romano dellartista, in un momento in cui trionfa nella citt eterna la corrente neoveneta, che
fa capo al Poussin, al Mola ed al Testa, a cui il Preti, oltre alla vena caravaggesca aderir negli
anni di formazione.
Il soggetto del dipinto mescola pi episodi biblici pi che riferirsi ad un momento preciso del
racconto del passaggio degli Ebrei nel Sinai raccontato nellEsodo (XXIV, 1 - 36).
La composizione coniuga felicemente leleganza del disegno allintensit del colore con toni
caldi grigio verde, bruni e giallo dorati, disposti su una preparazione leggera.
Il Trionfo di Sileno (tav. 65), pendant della tela precedente fu anche esso sequestrato nel 1799
alla Galleria Reale di Torino.
Spike, massimo conoscitore del Preti, ha messo in dubbio che, nonostante le medesime
dimensioni, possano associarsi un soggetto profano come un baccanale ed un episodio tratto
dallAntico Testamento. Bisogna tener conto per che altre volte lartista ha predisposto
coppie di quadri con un soggetto profano ed un soggetto religioso, come quelli conservati a
Chambery: Morte di Didone (tav. 66) e Giuditta presenta agli Ebrei la testa di Oloferne (tav.
67), di cui ora parleremo e la cui storia conosciamo dai tempi del De Dominici.
Narra infatti il celebre biografo che furono commissionati dal duca di Monte Accolici, per poi
passare nella collezione del marchese Rinuccini, fiorentino, per adornare le sue nobili stanze.
Entrambi i dipinti sono datati dalla critica alla met degli anni Cinquanta, subito dopo il
soggiorno a Modena e poco prima degli anni trascorsi allombra del Vesuvio.
La tavolozza improntata ad una gamma di colori giocata tra il nero, lazzurro, largento e i
grigi bronzei, a causa della potente suggestione della pittura emiliana.
Dal punto di vista iconografico interessante notare lassociazione di uneroina pagana con
uneroina biblica.
Gi nella collezione del marchese Berio a Napoli la Morte di Sofonisba (tav. 68) del museo di
Lione uno dei tanti quadri che il Preti ha dedicato allepisodio raccontato da Tito Livio. Nel
quadro in esame la regina ha gi vuotato la coppa di veleno e livida sembra gi avvertirne gli
effetti, mentre tutti i presenti sono volti verso di lei, che domina la scena guardando verso lo
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spettatore. La critica ha ipotizzato pi date per lesecuzione del dipinto, ma il carattere


teatrale della scena, fissata sullo sfondo mediante elementi architettonici e lo schiacciamento
dei primi piani, ricordano il Veronese, la cui influenza molto pregnante nei grandi banchetti
dipinti nel corso del soggiorno napoletano tra il 1653 ed il 1660.
LEcce Homo (tav. 69) del museo di Chantilly collocato cronologicamente da Spike alla fase
cosiddetta eroica dellartista, un periodo che va dal 1656 al 1666, prima che, trasferitosi a
Malta da qualche anno, la sua pennellata perder baldanza e creativit.
Il dipinto francese collegato strettamente allAndata al Calvario del museo di Capodimonte,
col quale condivide il taglio compositivo, lilluminazione della scena, la disposizione delle
figure e il trattamento dei personaggi in secondo piano.
Comune anche la provenienza, essendo entrambe citate nel novembre 1803 dal pittore
Tommaso Conca, chiamato a valutare gli acquisti operati a Roma da Domenico Venuti per
conto dei Borbone per arricchire le collezioni reali.
Concludiamo citando semplicemente due dipinti modesti collocabili cronologicamente alla
fase maltese del Preti, quando la qualit della sua produzione scese notevolmente. Essi sono
un Diogene con la lanterna (tav. 70) del museo Ingres di Montauban ed un San Giovanni
Battista (tav. 71) conservato nel municipio di Falaise.
Giovan Battista Recco (attivo a Napoli intorno alla met del XVII secolo) una personalit
artistica di grande prestigio, solo da pochi anni restituita alla storia dellarte, alla quale era
completamente ignoto, essendo sconosciuto allo stesso De Dominici.
Egli, come si evince dalle date poste su due suoi quadri, 1653 e 1654, particolarmente attivo
alla met del secolo, in un momento veramente felice per il genere a Napoli, per le personalit
artistiche che si moltiplicano in esperienze le pi diverse, pur nella sostanziale aria di famiglia
che accomuna il lavoro dei molti pittori.
Unaltra specializzazione cominci a delinearsi, quella delle dispense e delle cucine,
sullonda del successo che in Spagna ottennero i bodegnes e da l si diffusero anche negli
altri territori del vicereame.
Il bodegn replica un angolo della cucina ove sono collocati i cibi in maniera inusuale.
Questo nuovo tipo di pittura si manifesta attraverso lopera di Giovan Battista Recco, il famoso
Titta Recco degli antichi inventar, il quale, in possesso di prodigiosi mezzi espressivi e forte di
notevoli riferimenti culturali, in grado di fornirci, con una prosa schietta ed incisiva, una serie
di austere rappresentazioni di oggetti ed utensili della vita quotidiana, piatti di ceramica dai
bordi consunti ed il repertorio pi crudo e ricercato della macelleria minutamente indagati nella
loro realt materiale, pur nel filtro di una vena narrativa che nulla ha da invidiare alle
realizzazioni pi felici del Ribera.
Le opere firmate di Titta sono oramai abbastanza per rendersi conto del suo stile, mentre le
tele datate si limitano agli anni 1653 e 1654. Sono quadri gi di grandissima qualit che fanno
presagire un artista al culmine della sua attivit, per cui la sua data di nascita pi probabile va
spostata intorno al 1615-20. Essi mettono in evidenza un naturalismo aggressivo e spigoloso,
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rispetto allo stile di un Luca Forte o di un ancora arcaico Maestro di Palazzo San Gervasio, e
suggestivamente richiamano i brividi pittoricistici e le violenze espressive dellultimo Ribera.
Tra i suoi quadri certi, i Pesci di collezione Mendola a Catania del 1653 e la Dispensa, gi in
collezione Rappini del 1654, permettono di datare cronologicamente in contiguit il quadro del
museo di Stoccolma, siglato soltanto e precedentemente assegnato a Giovan Battista Ruoppolo,
rappresentante Pesci e ostriche con un piatto.
Unaltra sua opera di grande monumentalit il Pesci e ostriche del museo di Besanon, di cui ci
apprestiamo a parlare.
A Besanon conservato uno spettacolare Paesaggio marino con pesci ed ostriche (tav. 72),
firmato, di Giovan Battista Recco, collocabile cronologicamente al 1655-60, dal quale
probabilmente prese ispirazione Giuseppe per la sua produzione con lo stesso soggetto, come
dimostra la sua tela, datata 1666, Paesaggio marino con natura morta e pesci.
La tela francese fu brillantemente identificata come autografa di Giovan Battista dal Di
Carpegna, prima che venisse identificata la sigla, unicamente per raffronto stilistico con il
Cesto di ostriche, in collezione Rappini a Roma, firmato per esteso e datato 1654.
Il tema trattato: pesci, ostriche e molluschi costituisce un componente fondamentale della
cucina napoletana che trae dal mare il sostentamento per la popolazione pi indigente.
La sua tela trasuda abbondanza e sontuosit, colma di ogni ben di Dio, meta dei sogni di un
popolo sempre affamato, come quello napoletano e nello stesso tempo segno distintivo di
notevole prestigio sociale, lirica dellappetito pi che affettata prosopea di cacciagione
ricercata da palati raffinati. Pare quasi che nel suo quadro egli intenda trasferire pi che gli
inafferrabili desideri culinari di una plebe sottonutrita, le doviziose descrizioni di lauti
banchetti, che in letteratura trovano una coeva trasposizione nella Tabernaria di Giovan
Battista della Porta.
Il pittore oltre al pescato si richiama al mare attraverso gli attrezzi per la pesca, la barca ed il
paesaggio sullo sfondo.
La composizione costruita ad andamento diagonale ed minuziosa nella descrizione delle
specie rappresentate, tra cui troneggia lo scorfano, saporito quanto brutto e sgraziato,
immancabile nelle pi gustose zuppe di pesce.
dopo la met del secolo che compare prepotentemente alla ribalta Giuseppe Recco (Napoli
1634 - Alicante 1695) la personalit pi importante nel panorama della natura morta
napoletana.
Egli fa parte di una grande dinastia di specialisti: suo padre Giacomo, tra i fondatori del genere,
suo zio Giovan Battista, supremo nei suoi caratteristici soggetti di cucina e selvaggina, i figli
Elena e Nicola Maria, che seguiranno degnamente le orme paterne.
A differenza degli artisti del settore, Giuseppe Recco spazia con abilit e padronanza tutti i
soggetti, dai fiori ai pesci, dagli interni di cucina alla frutta senza contare un lungo periodo della
sua attivit in cui ritrae senza problemi squisiti dolciumi e preziosi broccati, vetri e tappeti,
strumenti musicali e vasi antichi, maioliche e preziosi ricami, con una tale abilit da provocare,
secondo lo spiritoso racconto del De Dominici un aborto per la voglia ad una donna gravida
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incantata alla vista dei suoi dolciumi su una tela, riprodotti con tale perfezione da parer veri; n
pi n meno che un moderno caso di ekphrasis, cio di frutta dipinta cos bene, che gli uccelli si
mettono a svolazzare sul quadro tentando di beccarla.
Il suo spessore culturale poderoso ed i suoi riferimenti spaziano dalla pittura romana alla
lombarda, dalla spagnola alla nordica.
Giuseppe Recco, caso pi unico che raro, fin dallinizio della sua attivit ebbe labitudine di
firmare o siglare e spesso anche datare i suoi quadri; di conseguenza il suo cammino
artistico percorribile agevolmente dagli studiosi.
Negli ultimi tre decenni del secolo Giuseppe Recco il protagonista assoluto della pittura di
natura morta a Napoli, dove rinnova completamente il genere introducendo nuove tematiche e
collaborando con i pi importanti pittori di figura a partire da Luca Giordano. Alla fine della sua
carriera talmente celebre da essere chiamato alla corte spagnola di Carlo II.
Ad Ajaccio conservato un notevole dipinto (tav. 73) di Giuseppe Recco, il quale colpisce per
loriginalit della composizione, infatti lartista in genere raffigura i pesci in un paesaggio o li
pone su un bassorilievo di pietra. In questa tela invece sono disposti sulla nuda terra: una
razza negligentemente posta su un paiolo, mentre delle triglie fuoriescono da una cesta di
vimini. La composizione colpisce per la sua naturalezza e semplicit. La pennellata pastosa e
grassa si associa ad uno smalto vibrante e ad una verit di tocchi, mentre le lumeggiature pi
larghe ed i toni frantumati ravvivano il tonalismo argenteo dellinsieme.
I Pesci (tav. 74) di Giuseppe Recco del museo di Nantes sono una splendida composizione,
tutta giocata su una tavolozza cromatica quanto mai ampia, dai rossi ai grigi, dagli argenti ai
bruni. Il pittore si dimostra grande specialista di pesci, dei quali riesce con insuperata abilit a
fissare sulla tela il delicato momento di trapasso tra la vita e la morte, insuperato cantore di
egloghe marinare, di speranze di facile sostentamento in una citt lambita da un mare pescoso
quanto generoso. Lartista, col suo raffinato cromatismo, sa renderci la freschezza del pesce
appena pescato, del quale apprezziamo la sensazione di bagnato, che si rifrange sulle squame
lucenti. Le sue composizioni ci mostrano pesci di ogni colore e dimensione, guizzanti, lucidi,
grondanti acqua, frammisti a volte a tralci di corallo, il tutto con un accorto equilibrio nella
pennellata, in grado di modulare i riflessi della luce, che, graduata da una delicata tastiera
cromatica, ci fa percepire le pi sottili vibrazioni della materia.
Nel 1616 giunge a Napoli Jusepe Ribera (Jativa 1591 - Napoli 1652) che rappresenter una delle
figure pi importanti del Seicento europeo; valenzano di nascita, ma napoletano a tutti gli effetti
per scelta culturale, interessi familiari, affinit di sentimenti. A Napoli avr residenza, affetti,
lavoro, protezione e per alcuni anni sar protagonista assoluto e punto di riferimento indiscusso.
La sua bottega che forger alcuni dei maggiori pittori del secolo dal Maestro degli Annunci ai
due Fracanzano, dal Falcone a Salvator Rosa, allo stesso Giordano, sar un punto di riferimento
e di scambio culturale anche verso la Spagna, ove giunger gran parte della sua produzione,
mentre dal Murillo allo Zurbaran, fino allo stesso Velazquez, ospite del Ribera per alcuni mesi nel
1630, perverr a Napoli leco della migliore pittura spagnola, il cui influsso possiamo cogliere
agevolmente da unattenta lettura di molte opere del Finoglia, del Falcone, del Vaccaro, del
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Guarino e di tanti altri ancora.


Le sue opere ebbero una notevole diffusione anche per la sua abilit di incisore, grazie alla quale
egli riproduceva e moltiplicava le sue opere pi significative.
Poco sappiamo della sua giovinezza, la tradizione gli assegna come maestro il Ribalta, dal 1611
al 1616 a Roma, dove con i caravaggisti stranieri, legati da un realismo descrittivo dagli effetti
caricati, ci sar uno scambio fecondo di idee e di esperienze. Di recente stata proposta una
diversa ricostruzione della sua produzione romana con lo spostamento nel suo catalogo dei
dipinti precedentemente assegnati al Maestro del Giudizio di Salomone, ipotesi che per il
momento non ha convinto gran parte degli studiosi. Certamente da respingere la pretesa di
attribuire al Ribera la Negazione di Pietro della sacrestia della Certosa di San Martino che
opera di un ignoto caravaggista nordico attivo intorno al 1620.
Al periodo romano intorno al 1614-15 da collocare la serie di dipinti personificanti i cinque
sensi, nota inizialmente da copie seicentesche e per il racconto delle fonti (Mancini) ed in seguito
identificata in tele certe del Ribera: dal Gusto di Hartford al Tatto di Los Angeles, dalla Vista di
Citt del Messico allOlfatto di una collezione madrilena. A quegli anni appartiene anche, per
evidenti affinit stilistiche, lo splendido Democrito presso Pietro Corsini a New York.
Giunto nel maggio del 1616 a Napoli egli sposer la figlia del pittore Giovan Bernardo Azzolino
ed entrer nelle grazie del vicer, il duca di Osuna, che diventer il suo protettore, come lo
saranno in seguito tutti i potenti di Spagna, presso i quali il suo prestigio sar illimitato. Egli del
luminismo diede una sua personale interpretazione: il realismo caravaggesco fu infatti
profondamente drammatico e sintetico, quello di Ribera fu analitico, caricaturale fino al
grottesco.
Il Ribera si abbandona ad un verismo esasperato al di l di ogni limite convenzionale col suo
pennello intriso di una densa materia cromatica, con un vigore di impasto che ricorda laccesa
policromia delle pi crude immagini sacre della pittura spagnola coeva, segno indefettibile della
sua mai tradita hispanidad, ignara dei risultati della pittura rinascimentale italiana. Ed ecco
rappresentato un infinito campionario di umanit disperata e dolente, ripresa dalla realt dei
vicoli bui della Napoli vicereale con unaspra e compiaciuta ostentazione del dato naturale.
Con una tavolozza accesa vengono rappresentati con enfasi appassionata e senza alcuna piet
santi ed eremiti penitenti, sadicamente indagati nella smagrita decadenza dei corpi consunti,
dalla epidermide incartapecorita e grinzosa, dagli occhi lucidi e brillanti, martirii efferati e
spettacolari, giganti contorti in esasperazioni anatomiche, repellenti esempi di curiosit
naturali: donne barbute e bambini storpi dal sorriso ebete; tipizzazioni mitologiche spinte fino
allosceno, come la ripugnante figura del Sileno nella dilagante rotondit dellenorme ventre
pendulo; il tutto con un tono superbo e crudele e con accenti di grottesca ironia e di cupa
drammaticit.
Lentamente la brutalit delle sue prime composizioni che fece esclamare al Byron che il Ribera
imbeveva il suo pennello con il sangue di tutti i santi cedette ad una maggiore ricerca di
introspezione psicologica dei personaggi e ad un lento allontanamento dal tenebrismo per
approdare, sotto linflusso della grande pittura veneziana e dal contatto con la pittura
fiamminga di radice rubensiana e vandyckiana, a nuove soluzioni di chiarezza pittorica e di
rinnovata cordialit espressiva che culmineranno nello splendido Matrimonio di Santa Caterina
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del Metropolitan di New York sintesi superba di naturalismo, classicismo e pittoricismo in una
sublime armonia di luci e colori (Spinosa).
Dopo il 1640 una grave malattia limit di molto la sua attivit, anche se la collaborazione di una
bottega molto valida gli permise di immettere sul mercato ancora molte opere, spesso da lui
firmate anche se eseguite solo in parte.
Anche nella piena maturit Ribera non rinuncia a certi effetti ottenibili solo attraverso contrasti
di luce ed ombra e con la grande Comunione degli apostoli completata nel 1651 per i monaci
della Certosa di San Martino egli ci regala la sua ultima opera, che esprime la summa del suo
stile, perch ad una visione naturalista del volto degli apostoli si accoppia una solenne
scenografia di puro stampo veronesiano.
La bottega del valenzano assunse a Napoli unimportanza fondamentale e fu un polo di
riferimento culturale per unintera generazione di pittori, alcuni direttamente suoi allievi, altri
come il Giordano, che si form giovanissimo sui suoi esempi, esercitandosi nellimitazione a tal
punto da sconfinare nel plagio. Il messaggio riberesco si irradi non solo a Napoli ed in Italia ma
in tutta Europa, principalmente in Spagna e fu rappresentato da una pittura che, nata sotto
linflusso del luminismo caravaggesco, seppe cogliere e tradusse in immagini la realt pi intima
degli uomini e volle parlare pi al cuore che alla mente.
Tra i dipinti pi antichi del Ribera va annoverato il San Pietro e San Paolo (tav. 75) del museo
di Strasburgo, firmato con lappellativo di accademico romano, titolo acquisito nel 1616, ma
non datato. Il quadro mette assieme i due apostoli fondatori della Chiesa rappresentati con i
loro attributi - il libro aperto unallusione alle Epistole di San Paolo. I colori dei loro vestiti
sono conformi alliconografia tradizionale: la veste e il manto rosso di San Paolo o quello
bruno ocra di San Pietro, simbolo della verit rivelata. Il quadro costruito con
unimpaginazione di grande efficacia con la mano destra di San Paolo che impugna la spada, in
continuit con la natura morta in primo piano, grazie alla magistrale trovata della pergamena
srotolata e come scolpita dalla luce. Le due figure sono modellate con la stessa potenza
espressiva, ma la loro presenza resa pi immediata dal gioco di sguardi, quello di San Pietro
verso San Paolo e quello di questultimo verso lo spettatore che sembra interrogare. Il dipinto
collocabile intorno al 1620 rappresenta uno dei primi esempi di raffigurazione di personaggi
antichi, santi o filosofi, un genere che ebbe grande successo per decenni in area napoletana.
Il Platone (tav. 76) del museo di Amiens, firmato e datato 1630, proviene dalla collezione
Lavalard de Roy a Parigi ed probabile che in origine facesse parte di quella numerosa serie
di ritratti di filosofi segnalata da Ponz quando era esposta allEscorial e di cui facevano parte
anche lArchimede e lEsopo ora al Prado. Stilisticamente vicino soprattutto al primo
costituisce una ulteriore dimostrazione del superamento della fase di crudo realismo e di
forte adesione al tenebrismo verso una pennellata dai toni pi caldi. Si segnala una copia di
buona qualit in collezione Bukowski a Stoccolma.
Capolavoro della maturit del Ribera questa S. Maria Egiziaca (tav. 77), firmata e datata 1641,
dalle carni grinzose e dagli occhi brillanti fa parte di quella lunga serie di anacoreti, eremiti e
penitenti che fu dipinta negli anni controriformistici della chiesa cattolica, la quale
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promuoveva la rappresentazione di immagini devote per fortificare la fede. Questi personaggi


venivano spesso raffigurati in antri e caverne dove lo spazio ristretto e lassenza di luce
facilitava la meditazione e la penitenza.
Maria Egiziaca visse ad Alessandria dEgitto nel V secolo e condusse per 17 anni vita dissoluta,
per redimersi dalla quale si ritir in penitenza nel deserto di Giordania ove trascorse 47 anni.
Lartista la raffigura con pochi stracci, assorta in preghiera con le guance scavate dai digiuni e
le membra rattrappite, risaltanti nellasprezza delle rocce retrostanti. L a cortigiana dalla pelle
vellutata si trasforma in una severa penitente che ci trasmette nelle mani congiunte in
preghiera e nello sguardo assorto la forza dellamore verso Dio che tutto perdona e tutto
redime.
Dalla malizia di uno sguardo fascinoso di cortigiana da far mozzare il fiato alle linee sfasciate
di un corpo divorato dalla fame e dalle privazioni, reso con una griglia cromatica dai toni forti
e attraversato da lampi di luce, solcato da rughe, da rivoli e da rigagnoli, dove la vita scorre pi
lentamente; una bellezza solare trasformata in unimmagine di lunare trascendenza. La santa
viene resa con crudo realismo, un personaggio umano anche se pervaso dal soffio di una
profonda spiritualit, la sua figura si staglia su di uno sfondo roccioso ed uno squarcio di cielo
blu pallido attraversato da un bagliore giallo argentato, il suo viso scarno con le ossa
pronunciate denuncia labitudine a prolungati digiuni.
Il Ribera raggiunse il massimo della sua arte facendo ricorso al virtuosismo della sua
tavolozza nel rendere gli effetti del digiuno attraverso le pi piccole variazioni di luce e
ombra.
Tra i capolavori di Ribera lo Storpio (tav. 78), firmato e datato 1642, conservato al Louvre
suggella in maniera esemplare le due ben sposate anime del grande pittore, da un lato la
profonda capacit introspettiva, comune al carattere picaresco di tutti gli spagnoli, che trover
nella serie di Buffoni di corte del Velasquez la degna consacrazione, dallaltro lacquisita
napoletanit, che gli permette di percepire come sue la gioiosa irriverenza e la scoppiettante
felicit di vivere che promanano prepotentemente dallo schietto sorriso di questo povero
scugnizzo il quale, dimentico delle sue deformit e della sua miseria, si staglia vigoroso e
sicuro di s, avvolto alle spalle da uno straripante cielo azzurro.
De mihi elimosinam propter amorem dei (fammi lelemosina per amore di dio), recita il
foglietto in mano al fanciullo, che vuole amplificare il messaggio cristiano di aiutare i pi
deboli, un didascalico elogio della povert e della carit dal profondo significato simbolico.
Il quadro ab antico nella collezione privata del principe di Stigliano, esprime la pi viva
solidariet di Ribera al variegato mondo della povert che, come una marea montante
sommergeva ogni vicolo ed ogni angolo della Napoli seicentesca.
Nel gran numero di estimatori del dipinto si contano anche famosi pittori, tra cui il Matisse,
autore di unoriginale reinterpretazione del soggetto.
Il Battesimo di Cristo (tav. 79), firmato e datato 1643, del museo di Nancy proviene dal
convento di San Pasquale di Madrid, dove antiche fonti lo ricordano insieme ad un Martirio di
San Sebastiano di identiche dimensioni.
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Alla resa naturalistica delle immagini e alla caratterizzazione psicologica dei personaggi, si
unisce qui un cromatismo prezioso arricchito da un sottile gioco di vibrazioni luministiche.
Lorizzonte ribassato che, al di sopra del paesaggio appena accennato, apre lo sfondo ad un
cielo di ampio respiro e di efficace resa atmosferica, rischiarato da una luce diffusa e chiara, si
ritrova nel coevo celebre dipinto raffigurante lo Storpio conservato al Louvre (Pagano).
LAdorazione dei pastori (tav. 80) conservata al Louvre, firmata e datata 1650, una
composizione verticale con il punto centrale costituito dal Bambino. Dietro la Madonna con le
mani giunte e San Giuseppe con le mani incrociate sul petto. Ai lati i pastori con abiti rozzi, la
cui rappresentazione prova dellinteresse del valenzano a sottolineare levidenza materica
degli abiti. Sullo sfondo vi un paesaggio trattato con cura nella resa atmosferica, mentre un
angelo compare ad annunciare la venuta del Redentore.
Sono gli anni in cui il pittore, pur non rinunziando ai suoi presupposti naturalistici o a
qualche lieve interesse per la pittura reniana, soprattutto impegnato in una resa pittorica
delle immagini intensamente luminosa, sottolineata da una interpretazione profondamente
intimista del tema. La scena espressa con compostezza ed equilibrio, le forme sono severe
ed essenziali, permeate di luce, il colore brillante e prezioso (Pagano).
Esistono due repliche del dipinto, la pi nota, eseguita da Cesare Fracanzano nel duomo di
Castellammare di Stabia, la seconda in Francia nella chiesa parrocchiale di Manneville.
Il Miracolo di San Donato dArezzo (tav. 81), firmato e datato 1652, del museo di Amiens, un
tempo identificato come Messa di San Gregorio, proviene dalla Casita Real dellEscorial fu
donato al museo nel 1894. In precedenza la data era letta come 1634 e fu presentato alla
grande mostra napoletana del 1938 con la vecchia denominazione, che mut in occasione di
una rassegna sui tesori di Spagna, tenutasi a Parigi nel 1963.
Il problema della datazione appare difficile, perch la tela mostra sia elementi stilistici
riconducibili al momento del passaggio del Ribera dal naturalismo al pittoricismo, sia qualit
formali e cromatiche che si ritrovano in quadri eseguiti intorno al 1650.
Un importante allievo di Ribera Salvator Rosa (Napoli 1615 - Roma 1673), il quale entra nella
sua bottega grazie allinteressamento del cognato Francesco Fracanzano, passer poi in quella
di un altro ex allievo Aniello Falcone, quando questi diventa autonomo e vi rimarr per tre anni.
Dal Ribera egli eredita il vezzo per i tipi volgari, lamore per le espressioni tragiche e la gioia nel
rappresentare le sofferenze umane, mentre dal Falcone recepisce la simpatia per la macchietta e
la grande abilit nel dipingere le battaglie.
Presto lascer Napoli, che rimarr sempre nel suo cuore e conserver il suo spirito partenopeo e
la sua vena naturalistica, anche quando divenne una delle maggiori personalit del Seicento
italiano e leco della sua fama percorse fino al Settecento tutta lEuropa.
Nel 1635 si trasferisce a Roma dove ha contatti con lambiente dei Bamboccianti, con Claude
Lorrain e Nicolas Poussin e comincia a cogliere del paesaggio il suo aspetto pittoresco. Di questo
periodo sono lErminia e Tancredi e la Veduta di una baia conservati nella Galleria estense di
Modena e lIncredulit di San Tommaso del museo civico di Viterbo.
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Costretto a fuggire da Roma per le sue pungenti recite satiriche sotto la maschera napoletana di
Pascariello Formica, nel 1640 il Rosa si rifugi a Firenze sotto la protezione del cardinale De
Medici, in un ambiente culturale di scienziati e letterati nel quale si rinfocolarono le sue
ambizioni di umanista e filosofo stoico. Scrive le sue Satire e viene influenzato da artisti come
Jacques Callot e Filippo Napoletano. Il paesaggio naturale, spoglio, selvaggio e carico di mistero,
diventa scenario per la rappresentazione idealizzata di episodi della vita di grandi filosofi e di
grandi personaggi storici, come nel Cincinnato chiamato alla fattoria e nellAlessandro e
Diogene, entrambi nella prestigiosa collezione Spencer ad Althorp o nella Selva dei filosofi
conservata a Firenze a Palazzo Pitti.
Contemporaneamente dipinge grandiose scene di battaglie che nella loro monumentalit si
risolvono anche esse in solenni rappresentazioni ideali. Uno spirito epico anima le sue tele come
una fiamma, una torrida febbre percorre le sue composizioni di grandi dimensioni, dotate di un
ricco paesaggio con citt sullo sfondo, ruderi di templi ed edifici lontani che smorzano in parte la
tragicit delle scene. Nelle mischie furibonde si riesce a cogliere il senso di un dramma cosmico
come quello della guerra.
Negli ultimi anni del suo soggiorno fiorentino i suoi interessi artistici si allargano ai temi
esoterici della magia e della stregoneria, infatuato dalla cultura magico filosofica di Giovan
Battista Della Porta, ricordiamo Streghe ed incantesimi, eseguito nel 1646, alla National Gallery,
mentre la sua pittura sempre pi scura nei toni si concentra sulla rappresentazione allegorica di
temi morali ed idee filosofiche come nella Fortuna conservata al Paul Getty museum di Malibu.
Animo estroso e bizzoso il Rosa fu pittore e disegnatore, incisore e poeta, letterato e polemista,
teatrante ed erudito, un personaggio veramente complesso, dal temperamento vivace ed
animoso, insofferente della societ del suo tempo, sdegnoso del volere dei committenti, ma nello
stesso tempo ansioso di essere ammirato.
Tornato a Roma nel 1649 ambito da facoltosi committenti ed richiesto dalle maggiori corti
europee principalmente per i suoi paesaggi, spesso animati da vivaci figurine ed imitati fino alla
fine del Settecento. Lo scenario spesso quello del sud con le sue rocce ed i suoi panorami aspri e
severi, resi con una certa dose di libert espressiva e di fantasia, che non permette mai di
identificare con precisione i luoghi rappresentati. Il fogliame reso con grande accuratezza e
spesso sono presenti le caratteristiche torri di avvistamento presenti in tutte le nostre coste
flagellate dalle incursioni dei saraceni. Le figure dei contadini sono riprese nellatto di animare
la conversazione con una gestualit tipica delle popolazioni meridionali. La scelta dei colori cupi
ed ombrosi una costante della paesaggistica rosiana che tende a rappresentare le sue scene al
tramonto, per rendere latmosfera pi raccolta e pi intimo il discorrere dei personaggi.
Oltre al paesaggio si dedic a dipinti di soggetto filosofico e mitologico come lHumana fragilitas
del Fitzwilliam museum di Cambridge e lo Spirito di Samuele evocato davanti a Saul acquistato
da Luigi XIV ed oggi al Louvre. Negli ultimi anni della sua attivit ritorn al paesaggio,
dipingendo una natura spoglia e solitaria come gli eremiti ed i filosofi che labitavano.
La maggior parte dei dipinti di Salvator Rosa conservata dal Settecento in Inghilterra, dove la
sua fama giunse allapice grazie ad una biografia romanzata scritta nel 1824 da una fervente
ammiratrice dellartista Lady Morgan. Oltre manica egli fu apprezzato pi che in Italia e molti
videro in lui un precursore di Byron e del romantico ultra pittoresco. Linflusso del pittore
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italiano sugli artisti inglesi e sulla pittura olandese di paesaggio fu molto grande ed il paesaggio
alla Salvator Rosa fu diffuso per molti anni dopo la sua morte grazie ad una serie di epigoni ed
imitatori ed acquist il carattere distintivo di un genere.
Lartista come noto non ebbe allievi diretti, ma si serv soltanto di aiuti che sbozzavano le sue
tele. Il De Dominici indica alcuni nomi come seguaci, mentre il grande successo dellartista
giunse fino al secolo successivo con un corteo di imitatori a volte anche molto modesti.
Notevole fu anche la sua attivit di incisore attraverso la quale diffondeva le sue opere e di
disegnatore, la cui abilit si apprezza anche per la precisione dei suoi schemi compositivi.
Oggi la critica, pur se ha in parte ridimensionato la figura artistica di Salvator Rosa, comunque
gli riserva una posizione significativa nel panorama figurativo non solo italiano ma europeo.
Alla recente mostra di Montpellier stato esposto un Autoritratto (tav. 82) assegnato al Rosa
da Spinosa e collocato cronologicamente intorno al 1645. Lartista raffigurato come poeta
satirico e mostra orgoglioso la corona dalloro che gli cinge la testa. La tela pone dei raffronti
con un altro autoritratto conservato nel museo di Detroit e con il celeberrimo autoritratto
come filosofo del Metropolitan museum. Un collegamento pu farsi anche con un disegno di
una raccolta privata parigina citato nellinventario Niccolini.
La celebre Battaglia eroica (tav. 83) del Louvre fu commissionata da monsignor Corsini, che
intendeva recarla in dono al re di Francia, ma per ragioni non chiarite venne consegnata al
destinatario molto pi tardi dal cardinale Chigi.
Rispetto ad altre battaglie eseguite in precedenza, il dipinto in esame mostra una maggiore
monumentalit, infatti il Rosa si ispir agli esempi rinascimentali di Raffaello e di Giulio
Romano, alla tradizione cio della battaglia eroica, gi ripresa da Pietro da Cortona.
Dellaccurata fase di preparazione sono testimoni una dozzina di schizzi ed un disegno
conservato al Courtland di Londra.
A Chantilly, nel museo Cond sono conservati numerosi dipinti del Rosa, tra cui alcuni
paesaggi, oltre ad una serie molto famosa di cui presentiamo e commentiamo Geremia tirato
fuori dalla fossa dei leoni (tav. 84), Daniele nella fossa dei leoni (tav. 85) e la Resurrezione di
Lazzaro (tav. 86).
Il primo, firmato col monogramma e pubblicato da Ozzola nel 1908, fu esposto dallo stesso
pittore nel 1662 a San Giovanni decollato, in una delle frequenti mostre che ivi si tenevano.
Gi di propriet di Carlo De Rossi, grande amico del poeta, pass assieme agli altri del gruppo
nella galleria del principe di Salerno, quindi nella raccolta del duca dAumale, per finire poi
nellattuale sede museale.
Il Rosa ci teneva molto ad eseguire dipinti di grosse dimensioni che potessero essere esposti
al pubblico in chiese, ma nemmeno in questa occasione riusc a realizzare il suo sogno; infatti
il De Rossi solo dopo la morte del pittore riusc ad ottenere una cappella nella chiesa di S.
Maria in Montesanto in Roma dove li pot esporre e furono per anni molto ammirati.
Da collegare ai dipinti conservati a Chantilly il Tobia e langelo (tav. 87) del Louvre, di cui si
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conservano pi incisioni eseguite da Normand, da Debret Guttemberg e da Malbeste, mentre


una buona copia si trova ad Oxford nella chiesa di Cristo.
Lombra di Samuele appare a Saul (tav. 88), conosciuto anche col titolo Saul e la pitonessa di
Endor, conservato al Louvre, costituisce una delle opere pi famose del Rosa, caratterizzata da
un romanticismo quasi visionario. Illustrato da Ozzola nel 1908 fu esposto dallo stesso pittore
nel 1668 alla mostra di San Giovanni decollato per poi essere inviato in Francia, dove stato
inciso numerose volte.
Il Paesaggio con soldati e cacciatori (tav. 89) conservato al Louvre fu acquistato da Luigi XVIII
nel 1816. La critica ha espresso pi di un dubbio sullautografia a partire dal Pettorelli che lo
riteneva dubbio, mentre il Voss ne accettava la paternit del Rosa. Il Salerno dopo vari e
differenti pareri, dopo un decisivo restauro, ne ha definitivamente accettata lautografia.
Attivo intorno alla met del secolo, Nunzio Rossi una personalit di rilievo che solo da poco, si
inserita in quella fitta trama di artisti che attendono una definizione pi puntuale da parte della
critica.
Nel 1692 il Celano lo descrive attivo a Napoli nella chiesa di San Pietro a Maiella, ove esegue
alcuni affreschi. Nel 1724 il Susinno, narrando dei pittori messinesi, descrive alcune sue opere
conservate nella citt siciliana. Ed infine, il principe dei biografi, il De Dominici, ne parla, oltre
che nella Vita di Stanzione, anche nel capitoletto dedicato ad Onofrio Palumbo.
Lattivit del Rossi si svolge in vari centri della penisola, da Bologna a Napoli e quindi da Messina
a Palermo, circostanza che giustifica linteresse verso di lui di studiosi di realt culturali diverse.
La sua prima opera citata dalle fonti una Nativit, eseguita a Bologna nella Certosa allet di
18 anni, documentata al 1644. Del 1646 viceversa sono gli affreschi nel coro di San Pietro a
Maiella, caratterizzati da intenso naturalismo, che furono dopo pochi anni ricoperti da tele e di
conseguenza dimenticati dalla critica. Essi ancora si conservano, anche se in condizioni molto
precarie ed un recente restauro ha posto in luce la sigla NR. Rappresentano San Benedetto
che d i precetti ai Celestini e San Pietro Celestino che impone gli statuti dellordine.
Gli affreschi rimasero in parte incompleti perch il pittore si trasfer a Messina, chiamato dal
noto mecenate, il principe Ruffo, per affrescare una sua dimora. La sua improvvisa scomparsa da
Napoli diede luogo alla voce di una sua morte improvvisa, notizia ripresa dal Celano nel 1696.
Prima della sua partenza per la Sicilia la critica colloca nel suo catalogo una serie di opere, tra
cui lAssunta di Castellammare, a lungo riferita al Lanfranco ed una serie di dipinti, impregnati
di saldo naturalismo, che a lungo sono passati sotto la denominazione di Anonimo
Fracanzaniano. Tra questi in particolare va ricordata la tela conservata presso la Galleria
Borghese che proponiamo, dopo tante imprecisioni del passato, con lesatta dizione di San
Gennaro azzannato dal leone e dal mastino ed inoltre lAbramo servito dagli angeli della Real
Casa dei Pellegrini.
Lo stile del Rossi manifesta il gusto della pennellata densa e pastosa gettata sulla tela con
impeto, che affonda le sue radici nel pi antico naturalismo, dal Ribera al Maestro degli Annunci
ai pastori. La sua vena di narratore delirante e ben si esprime nelle fisionomie stravolte dei
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suoi personaggi, che spesso, sempre nelle tele bolognesi, risentono del gigantismo appreso dalla
lezione del Tibaldi.
Il suo trasferimento in Sicilia un segno indiretto del successo che il Rossi aveva raggiunto tra i
collezionisti napoletani; infatti il principe Ruffo per adornare la sua sfarzosa residenza non
avrebbe mai chiamato un parvenu. Purtroppo Messina zona sismica, pi volte martoriata da
eventi tellurici, uno dei quali, nel 1783, distrusse il maestoso palazzo dei nobili siciliani e con esso
gli affreschi.
Il suo biografo isolano, il Susinno, ci riferisce che da Messina egli si trasfer a Palermo dove
molto dipinse per privati amatori, sembra fino agli ultimi decenni del secolo. Questo periodo
finale dellattivit dellartista avvolto nel mistero pi fitto e contrasta col racconto del De
Dominici il quale pensa che il pittore, non conoscendo di questi lattivit siciliana, sia morto a
venticinque anni; addirittura il biografo ventila lipotesi che siano esistiti due pittori dal nome
Rossi!
Lo spazio per lavorare , come abbiamo delineato, molto ampio per gli studiosi; bisogner
probabilmente anticipare la sua data di nascita di circa dieci anni, per poter essere in linea con
alcuni suoi dipinti, che ai suoi tempi ebbero un indiscutibile riconoscimento. Bisogner scavare,
sopratutto in collezioni private ed esaminare attentamente il gruppo di opere precedentemente
assemblate sotto la denominazione di Anonimo Fracanzaniano.
Allo stato degli studi il Rossi si profila come una delle personalit artistiche pi interessanti
venute alla luce negli ultimi decenni, alla pari dello Spinelli e di Girolamo De Magistro.
Nel museo Fesch di Ajaccio si conserva una Conversione di San Paolo (tav. 90) attribuita da
Porzio a Nunzio Rossi.
La tela mette in evidenzia la caratteristica pregnante dello stile del pittore, che preferisce
colori lividi con una pennellata grassa che ricorda quella del Maestro dellannuncio ai pastori
e prende ispirazione dal pi ortodosso dei naturalismi.
I protagonisti delle sue composizioni sono definiti con accuratezza, mentre il paesaggio, come
nella tela in esame, appare corrusco.
Giovan Battista Ruoppolo (Napoli 1629 - 1693) assieme al coetaneo Giuseppe Recco una delle
figure chiave della natura morta napoletana della seconda met del Seicento e questo ruolo gli
fu riconosciuto anche dal De Dominici che, per quanto poco attento alle vicende dei generisti, gli
dedic un intero capitolo delle sue Vite.
Il percorso artistico del Ruoppolo, scandito da poche firme e ancor meno date, prende il via poco
dopo il 1650 e si svolge senza sosta per oltre un quarantennio.
Egli ai suoi inizi un rigoroso naturalista, che ha studiato il suo luminismo violento dombre e
vivissimo sui testi sacri di Battistello e di Stanzione.
La sua prima opera documentata, firmata G.B. Ruoppolo, Sedani e boules de neige,
conservata allo Ashmolean Museum di Oxford.
Intorno a questo fondamentale dipinto la critica ha raggruppato numerose tele improntate da
spiccati interessi naturalistici.
Nel settimo decennio gli interessi iconografici del Ruoppolo virano verso tematiche portate al
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successo da Giuseppe Recco, poi si converte al trionfante gusto barocco, portato al successo a
Napoli, oltre che dagli iperbolici excursus del Giordano, dalla presenza in citt a partire dal 1675
di Abraham Brueghel, discendente della gloriosa famiglia di generisti fiamminghi e portatore di
un nuovo verbo superficiale ed incline al facile decorativismo.
Sono gli anni del Ruoppolo pi noto al grande pubblico, lartista idolatrato dal De Dominici che
lo eleva ad indiscusso caposcuola, da cui prenderanno ispirazione i suoi numerosi seguaci ed i
tanti imitatori.
Giovan Battista comincia la serie dei trionfi vegetali e marini, delle cascate di fiori e di frutta, in
cui i colori assurgono ad una dimensione trionfante e la luce viene a dilatarsi sulle superfici
ancora indagate con antico scrupolo naturalista.
Il rigoglio espositivo raggiunge il culmine nei meloni, spesso presenti nelle sue tele, nelle tipiche
superfici rugose, o nei grandi cocomeri, tipici delle fertili pianure campane, variopinti e ben
torniti nei loro volumi con la consueta perizia plastico luministica.
Tutti i suoi ultimi dipinti sono immersi in unatmosfera dorata che assorbe i volumi, si aggruma
sulle superfici e le impreziosisce: i pampini si ravvolgono frenetici sui tronchi delle querce,
esplodono ceppaie di funghi, chicchi, nervature, foglie, viticci, si fanno perle, rugiada, umori
occidui, rubini la polpa rossa del cocomero tagliato; i pi agevoli, i pi facilmente immaginabili
tra i possibili traslati analogici e metaforici (Causa).
Di Giovan Battista Ruoppolo il Louvre possiede tre dipinti, che ci mostrano in maniera
esaustiva il suo stile.
Il primo, Grappoli duva ed un tralcio di vite (tav. 91) fa parte di un tema che a partire dal
1675 ebbe grande successo nella natura morta napoletana, quello dei grandi trionfi vegetali di
fiori e di frutta, delle spettacolari cascate di grappoli duva: nera, bianca e cornicella. Queste
composizioni di uva, sembrano cantate a pieni polmoni da un novello Bacco, innamorato del
loro succo dolce ed acre.
Lallegra composizione di un vivace cromatismo resa con lantica predilezione del maestro
verso la resa naturalistica, che fa apparire estremamente realistica la frutta rappresentata,
tanto da indurre lestasiato osservatore a pregustarne il sapore.
Queste opere fastose e ridondanti, questi trionfi orgiastici e prorompenti, sospesi in una luce
purissima, sono il canto del cigno per Ruoppolo, al quale si associa con flebile suono una folla
di comprimari, di seguaci, di imitatori che solo da poco la critica ha imparato a riconoscere ed
ai quali ha destinato un suo spazio nel gran libro ideale del genere della natura morta nel
secolo doro della pittura napoletana.
Nel secondo, Natura morta con ostriche ed agrumi (tav. 92) il Ruoppolo affianca ai soliti
agrumi, resi con una scorza rugosa, delle ostriche, a dimostrazione che nella sua maturit,
intorno allottavo decennio del secolo, egli sa affrontare con abilit anche i soggetti marini.
Nel terzo, Natura morta di frutta (tav. 93), infonde unaria barocca che permea e d vita alla
composizione. Ricchissima la scelta delle variet di frutta rappresentate, con una forza
dellimmagine derivante da una pennellata fluida e ricca di sfumature di colore, che rende con
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grande precisione la verit naturale della rappresentazione. I frutti sono disposti in un


deliberato disordine spaziale. Le preferenze del Ruoppolo vanno alluva , che egli rappresenta
nelle specie e sottospecie pi rare a trovarsi, dalla cornicella alla barese, in un lucore di
riverberi con unampia tonalit di tinte, mentre mele ed agrumi li rende con la scorza lucida e
scintillante in unesaltata vivacit cromatica.
A Santillo Sannini (Napoli ? - circa 1685) il De Dominici dedic la pi lunga delle note fra i
discepoli pi diretti del divino Massimo ed infatti dallesame dei documenti ci rendiamo conto
della circostanza che spesso i soldi per gli aiutanti venivano girati a lui con limpegno di dividerli
con gli altri collaboratori. La sua figura negli ultimi anni di attivit della bottega dello Stanzione
perci da configurarsi come di un aiuto stabile.
Probabilmente egli collabora con il maestro nellAnnunciazione di Marcianise nel 1655. Lavora
nella chiesa di Santa Maria la Nova nella cappella di San Bonaventura e di San Pietro
dAlcantara nel 1669; come pure esegue vari dipinti per la chiesa di San Tommaso DAquino. Le
sue opere migliori sono per la chiesa di Ges e Maria, ove esegue delle tele raffiguranti miracoli
di San Vincenzo Ferreri, con uno stile pittorico molto vicino a Stanzione.
Tra le recenti attribuzioni allallievo di Stanzione una S. Lucia (tav. 94) del museo di Nantes di
notevole qualit, databile intorno al 1650, caratterizzata da una tavolozza allegra e vivace, da
unaccurata definizione dei panneggi e delle dita delle mani, ma soprattutto dal caratteristico
sottoins, una cifra stilistica comune ai migliori allievi del celebre cavaliere.
Francesco Solimena (Canale di Serino 1657 - Napoli 1747) lultima grande figura di artista
della seconda met del Seicento. La sua attivit si lascia alle spalle il secolo doro, creando un
nuovo linguaggio su cui si moduleranno i pittori del Settecento, nel quale egli protruder
vigorosamente fino al 1747, esercitando, senza quasi mai lasciare Napoli, una notevole influenza
su tutta la pittura europea.
Nella sua ricercatissima bottega si alternarono varie generazioni di allievi, di prima, seconda e
terza battuta ed inoltre si cre una amplissima cerchia di imitatori che ricopiarono e
divulgarono dappertutto le sue complesse creazioni enfatiche accese di colori e di luci, dove si
affollano vivacissimi episodi e figure.
Egli ci lascia una vastissima produzione, che non ha eguali per quantit ed estensione se non in
quella del Giordano.
Il primo apprendistato Francesco lo svolge in provincia, nella bottega del padre Angelo, modesto
pittore di recente rivalutato dalla critica ed a sua volta allievo del Guarino.
Il suo imprinting risente delle suggestioni guariniane del naturalismo meridionale, che gli
faranno da bussola quando giovanissimo verr a Napoli nel 1674 dove, imperando Giordano e la
sua maniera, studier inizialmente nellAccademia privata di Francesco Di Maria, che ben presto
abbandoner.
Nei lavori giovanili i suoi punti di riferimento culturali saranno costituiti dalle proposte
barocche avanzate dal Cortona, dal Lanfranco, dal Preti e dal Giordano.
La sua formazione lievita lentamente, nutrendosi ai germoglianti succhi della tradizione
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figurativa napoletana, che costituiranno il pabulum ideale per il suo ingegno precocissimo, il
quale, una volta sbocciato, gli permetter di gareggiare con Luca Giordano, lincontrastato
dominatore di quegli anni. La sua genialit dar luogo ad uno stile originale in possesso di
grande vitalit e potente forza di espansione.
Francesco raggiunge la sua piena maturit e la completa autonomia nel 1680, quando
realizza gli affreschi nella chiesa di San Giorgio a Salerno con Storie delle Sante Tecla,
Archelaa e Susanna, dando prova di una precisa ed originale individualit nellambito del
pi luminoso e fecondo barocco.
Con gli affreschi salernitani il Solimena conclude la sua prima fase, fatta di sperimentazioni, per
assurgere ad uno stile personale, in cui composizioni monumentali, scandite con enfasi severa,
con un pi potente senso chiaroscurale e rinvigorita plasticit, attestano la ricerca di un delicato
equilibrio tra la forza della tradizione e le sollecitazioni innovatrici di una cultura figurativa pi
moderna.
Tale fase creativa durer alcuni anni e sar caratterizzata da altri esiti esemplari, come le due
pale di San Nicola alla Carit e gli affreschi di Santa Maria Donna Regina Nuova, datati al 1684.
Tra gli affreschi che maggiormente colpirono la fantasia dei contemporanei, meritano di essere
ricordati quelli della cupola e dei pennacchi della chiesa di Donnalbina. Essi furono considerati
autentici capolavori e divennero per i pittori del Settecento esemplari. Viceversa nella serie delle
sei grandi tele del presbiterio della stessa chiesa, raffiguranti scene della vita di Ges e che sono
state eseguite successivamente, il suo temperamento eclettico gli fece toccare soluzioni di alto
linguaggio e di solenne monumentalit, gi pervase da un soffio di elegante marattismo.
Il culmine del processo di impreziosimento stilistico fu raggiunto dal Solimena nei grandiosi
affreschi siti nella sacrestia della chiesa di San Paolo Maggiore, dove il cromatismo giordanesco
viene esaltato in iridescenti gorghi di luce.
Il De Dominici salut le sue decorazioni come lavvenimento di maggior rilievo nellambito delle
arti figurative che avesse interessato Napoli sul finire del secolo, e vide in quelle stupende
cascate di luce un superamento della stessa lezione giordanesca.
Nella grandiosa basilica teatina il sommo artista lavor su due opposte pareti firmando e
datando, 1689 e 1690, le due grandi imprese, raffiguranti la Caduta di Simon mago e la
Conversione di San Paolo, le quali ci forniscono una portentosa esibizione in chiaro dei suoi modi
pittorici.
Negli ultimi dieci anni del secolo il Solimena accentua la sua attenzione nei riguardi della
pittura tenebrosa di Mattia Preti, restituendo alle immagini maggiore saldezza e plasticit; nello
stesso tempo subisce linflusso del classicismo del Maratta. I suoi modi pittorici vengono marcati
da un pi sereno equilibrio, senza perdere di vista quelle aperture di aereo luminismo ereditate
dal Giordano.
Tra le tele di questo decennio va ricordata la piccola pala raffigurante il Miracolo di San
Giovanni di Dio per lospedale della Pace, oggi al museo civico, seguita nel 1693 dal San
Francesco rinunzia al sacerdozio per la chiesa di Santa Maria Donna Regina, marcato dal
defluire dei medesimi nessi sintattici.
Ed infine, a chiudere il secolo, il Solimena esegue sei tele per il presbiterio della chiesa di
Donnalbina, dove tra il 1692 ed il 95, in coincidenza con la partenza del Giordano per la Spagna,
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aveva affrescato la cupola con decorazioni oggi quasi completamente perdute che furono
definite dal De Dominici un grande poema eroico.
Il Solimena continuer ancora a dipingere senza sosta nel Settecento per quasi cinquantanni,
qualificandosi, assieme al Giordano, come il pi grande pittore napoletano di tutti i tempi.
Ad Angers, nel museo di Belle Arti, si conserva dal 1820 unAnnunciazione (tav. 95), che
richiama liconografia di un altro dipinto del Solimena, datato 1693 e conservato a La Haye,
Mauritshuis.
Secondo Ferdinando Bologna queste due opere sono state realizzate negli anni Novanta,
quando il pittore lavorava nella chiesa del Ges delle Monache nel 1695 ed a Donnalbina nel
1700.
Con la sua atmosfera pacata questa tela in esame tocca lapice rispetto alle altre
rappresentazioni del tema da parte dellartista.
La gamma fredda utilizzata, il decoro architettonico molto geometrico e il paesaggio che
rinviano al classicismo romano, invitano dunque a situare lopera negli anni Novanta, periodo
in cui Solimena tempera il suo gusto per il movimento e le luci di contrasto sotto linfluenza di
Carlo Maratta.
A Le Havre, nel museo Malraux, conservato il bozzetto (tav. 96) per il grande affresco
raffigurante la Caduta di Simon Mago, eseguito nel 1689, per la sacrestia della chiesa
napoletana di San Paolo Maggiore.
Nella composizione si affollano una quarantina di personaggi e pregnante linfluenza di
Pietro da Cortona e Luca Giordano.
Il bozzetto abbastanza vicino allaffresco realizzato, eccezione fatta per la luminosit
allinizio molto pi contrastata. Il pittore moltiplica in sostanza le zone di colore, in particolare
blu, rosse e gialle, sulle quali la luce attira locchio dello spettatore in una bellissima
padronanza dei riverberi e dei chiaroscuri.
Una parte dei personaggi, tra cui limperatore, al contrario immersa nel buio ed quasi
invisibile.
Lidea iniziale del pittore era probabilmente di realizzare unopera pi misteriosa, tanto
spaventosa quanto lirruzione delle creature sataniche in una densa aura di vapore, che oscura
la scena. Lo spettatore crede allora di percepire il clamore che si alza dallanfiteatro in cui tutti
i personaggi si agitano in una grande confusione, in un momento in cui un angelo appare in
una chiarezza mistica e disperde loscurit.
Il Ritratto di fanciulla (tav. 97) conservato a Tolosa nel museo des Augustins, di recente
esposto alla mostra di Montpellier, fu gi pubblicato dal Bologna nel 1958 nella sua
monumentale monografia sul Solimena. Fu riferito cronologicamente coevo alla pala per la
chiesa di San Pietro Martire, documentata al 1705.
Ci troviamo perci davanti ad un raro esempio del breve periodo di ripresa giordanesca e
pretiana operata dal Solimena in quegli anni, mentre si preparava ad un definitivo
assestamento in senso classicista. Probabilmente pi che il ritratto di una nobildonna, si tratta
di uneroina biblica difficile da identificare.
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A Chaln sur Saone, nel museo Vivant Denon, in deposito dal Louvre, conservata una tela
raffigurante San Francesco restituisce gli abiti a suo padre (tav. 98), eseguita intorno al 1690.
Per molto tempo lopera stata chiamata Scena di battesimo. Essa riprende la scena di un
affresco eseguito tra il 1681 ed il 1684 per la chiesa di S. Maria Donnaregina Nuova. Il quadro
riprende un episodio fondamentale delliconografia francescana ed tangibilmente
influenzata dalla pittura romana, soprattutto da Pietro da Cortona.
Il quadro francese riprende la stessa composizione dellaffresco, allargando il formato,
allontanando cos i personaggi e perdendo in dinamismo. Il decoro pi accurato, i
personaggi secondari si evidenziano come alcuni particolari pittoreschi, come il vaso decorato
in oro o il cane, che ritroviamo in parecchie opere dellartista. Pertanto la definizione della
luce solare e dei colori ugualmente magistrale.
Non si tratta verosimilmente di un bozzetto, ma piuttosto di un dipinto per collezionista,
senza dubbio realizzato una decina danni pi tardi, secondo Ferdinando Bologna, massimo
esperto dellartista.
Matthias Stomer (Amersfoort 1600 circa - Sicilia ? 1650 circa) fa parte della seconda ondata del
caravaggismo a Napoli e nelle sue opere tangibile il riferimento al naturalismo di Ribera.
Egli nasce ad Amersfoort, ma trascorre quasi tutta la sua vita in Italia, prima a Roma, ove
intorno al 1630 esegu dipinti caratterizzati da grande nobilt di composizione, quindi a Napoli,
per circa dieci anni e poi in Sicilia dove concluse la sua attivit e si specializz in notturni dai
toni caldi e vigorosi.
Fu allievo dellHonthorst, ma molto evidenti sono gli esperimenti che egli esegu sulle
illuminazioni artificiali, ove raggiunse una tecnica eccelsa sulla scia dellesperienza di Rubens,
Jordaens e Van Dyck.
Il suo soggiorno napoletano collocabile dal 1632 al 1641, durante il quale produsse molti
dipinti, una parte conservata oggi tra Capodimonte e la quadreria dei Gerolamini.
Il suo stile talmente caratteristico da far s che le sue opere si riconoscano a prima vista per gli
effetti di luce notturna e di illuminazione artificiale. La sua tecnica rappresenta una sorta di
traduzione solidificata dellimpasto con una resa materica degli oggetti e dei panneggi molto
accurata ed un prevalere delle tinte bruno rossicce e delle fisionomie raggrinzite ed intense dei
vecchi e degli umili, che lo accosta al naturalismo pi brutale del Ribera, come nel SantOnofrio
conservato ai Gerolamini, che costituisce uno dei risultati pi alti della sua attivit, nella
raffigurazione estatica ma serena del santo, giunto al termine della sua vita dopo settantanni di
solitaria meditazione compiuta nella pi completa astinenza da qualsiasi richiamo mondano.
Lo Stomer allarg molto a Napoli i suoi orizzonti culturali, recependo varie novit che si
manifestavano nella pittura e talune sue opere dimostrano chiaramente lo studio ed i prelievi
che egli fece da quadri napoletani prevalentemente dal Vitale.
Nei musei francesi sono conservate due notevoli dipinti di Matthias Stomer, il primo
raffigurante San Gerolamo (tav. 99) nel museo di Nantes va collocato cronologicamente alla
fine del suo soggiorno napoletano, prima di trasferirsi in Sicilia, dove lavor per altri 10 anni
prima della morte.
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Leremita rappresentato nella cruda realt delle sue carni raggrinzite, con gli occhi scavati e
la lunga barba bianca e richiama a viva voce le immagini del Ribera.
La sua pennellata, intrisa di materia pittorica fornisce un tipo di illuminazione della scena
originale completamente diverso da quello perseguito dal Caravaggio, con un prevalere di
tonalit marroni e rossicce. Un gusto tutto nordico delle ambientazioni con effetti di luce
artificiale.
Nel secondo, un Sacrificio di Isacco, (tav. 100) conservato nel museo Fesch di Ajaccio, il
dramma si impossessa della scena e solo il provvidenziale intervento di un angelo, che blocca
la mano del padre, improvvisatosi carnefice, salver il fanciullo, dal volto impaurito. I colori
dominano la composizione, dal bianco del lenzuolo allincarnato alabastrino della vittima
sacrificale, al rosso della veste del padre fino alle sottili sfumature della sua barba folta ed
incanutita. Lazione bloccata e la lama luccicante, ferma ma minacciosa, incute timore
allosservatore.
Andrea Vaccaro (Napoli 1604 - 1670) nelle sue opere si ispira al naturalismo di Caravaggio
reinterpretandolo in chiave classicistica. Assimila diverse scuole di pittura e le principali
caratteristiche delle sue opere sono la regolarit delle forme, l'uso di tonalit di colore chiare
che sfumano nel fondo e l'assenza quasi totale di espressioni e atteggiamenti violenti nelle figure
dipinte. Importante nella sua vita fu l'incontro con Bernardo Cavallino, con cui Vaccaro stabil
un rapporto di amicizia. Tra il 1630 e il 1660 per le sue opere si ispir molto al pittore Anton Van
Dyck. Andrea Vaccaro lavor principalmente su commissione ecclesiastica: il suo modo di
dipingere santi e martiri in atteggiamenti di particolare devozione e particolare espressivit lo
rese infatti uno degli artisti pi celebri e pi richiesti dalla Chiesa durante il periodo della
Controriforma. Tra i suoi primi lavori vi la copia, famosissima, della Flagellazione di
Caravaggio, attualmente a San Domenico Maggiore, sede primaria della tela del Merisi oggi a
Capodimonte, nella quale, pur con decorosa modestia, sfida il confronto diretto con loriginale,
uscendone sconfitto principalmente nella cura del chiaro scuro applicato con rigidezza quasi
scolastica. I suoi personaggi dal volto sereno non sono agitati dalle passioni e sono
rappresentati da colori chiari, fermi e delineati, che pacatamente sfumano nel buio dello
sfondo.La qualit della sua produzione discontinua come in Luca Giordano che notoriamente
adoperava pennelli diversi a seconda della retribuzione. Per la clientela laica sia napoletana
che spagnola egli, in una tavolozza monotona con facili accordi di bruni e di rossicci, crea
scene bibliche e mitologiche e le sue celebri mezze figure di donne nelle quali persegue
unideale femminile di sensualit. Negli anni successivi il Vaccaro alterna importanti pale
daltare a dipinti profani i quali ottengono un grande successo commerciale in Spagna,
trasformando il Nostro nel pittore pi esportato, circostanza che meravigliava grandemente il
Causa, il quale, pur riconoscendogli un talentaccio, non lo riteneva un grande artista.
Le sue sante, martiri o non, in sofferenza o in estasi che siano, sono donne vive, senza odore di
sacrestia, a volte perfino provocanti nel turgore delle forme e nellespressione di attesa non solo
di sposalizio mistico, col bel girare degli occhi al cielo (De Dominici) e con le splendide mani
dalle dita affusolate a ricoprire i ridondanti seni.
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Il Vaccaro fu artista abile nel dipingere donne, sante che fossero, pervase da una vena di sottile
erotismo, depidermide dorata, dai capelli bruni o biondi, di una carnalit desiderabile sulle cui
forme egli indugi spesso compiaciuto col suo pennello, a stuzzicare e lusingare il gusto dei
committenti, pi sensibili a piacevolezze di soggetto, che a recepire il messaggio devozionale che
ne era alla base.
Nel 1666 il Vaccaro partecip alla fondazione della Accademia dei pittori, una corporazione
dislocata nella chiesa di San Giovanni Maggiore delle Monache, di cui fu il primo prefetto per 2
anni, avendo a latere Luca Giordano e Francesco De Maria.
La sua folta produzione richiestissima anche in Puglia e in Sicilia diviene col tempo sempre pi
scontata, rendendosi via via inattuale e meramente descrittiva.
Un artista facilmente riconoscibile, anche se molto versato nelle copie alla maniera di, fino a
spingersi alle falsificazioni, pi abile di un Giordano in vena di esercitazioni.
La sua produzione molto disuguale copre un arco di tempo molto ampio, perch fu uno dei pochi
scampati alla peste e pot lavorare a lungo anche al fianco dei pittori della nuova generazione.
Le sue opere ed alcune sue tele non finite furono proseguite da suo figlio Nicola, anche egli valido
pittore, abile nei quadri a figure piccole narranti fiabe e baccanali.
Un capolavoro di sensualit costituito dalla S. Agata condotta al martirio (tav. 101) del
museo di Montpellier dal taglio ancora caravaggesco. Nella vivace composizione il Vaccaro si
dimostra un abile affabulatore con i personaggi che sembrano consumati attori di un dramma
sacro.
Non vi ancora nessuna crudelt, nessuna violenza, seppure tutto faccia presagire il prossimo
martirio, per la ferma intenzione di Agata di non adorare gli idoli che le vengono indicati dal
vecchio sacerdote, una delle pi riuscite figure vandychiane di Andrea. A chiusura della quinta
teatrale sta un guerriero armato di tutto punto, che sembra pi in procinto ad una battaglia
che a partecipare al martirio di una giovane vergine. I rinvii caravaggeschi in questa figura di
armigero suggeriscono il ricordo della Cattura di Cristo di Dublino. Cos come ancora
caravaggesco il pensiero delle grandi forbici tenute ferme dallerculeo aguzzino in procinto di
infierire il tragico colpo che tra poco arrosser di sangue il candido seno della martire. Alle
suggestioni caravaggesche dellarmato fa da pendant una suggestione ancora pi ardita quella
velazquegna della parte destra, che sembra rimandare alla Fucina di Vulcano.
Hendrick Van Somer (Amsterdam 1615 - ? 1684) , tra gli allievi del Ribera ricordati dal De
Dominici, un artista dalla forte anche se disordinata personalit. La definizione del suo catalogo
particolarmente difficile per la contemporanea presenza a Napoli di due artisti con uguale
nome e cognome, uno, figlio di Barent ed un secondo, figlio di Gil. Il primo nato nel 1615 e morto
ad Amsterdam nel 1684, il secondo, nato nel 1607 e scomparso forse durante la peste del 1656,
presente in citt dal 1624.
Al primo la critica assegna il Battesimo di Cristo, eseguito per la chiesa della Sapienza nel 1641
ed un Martirio di San Bartolomeo, gi in collezione Astarita a Napoli.
Per il secondo Bologna e Spinosa hanno ricostruito un percorso artistico pi articolato con
dipinti che, dopo un periodo di osservanza riberiana, sfociano nel nuovo clima pittoricistico di
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matrice neoveneta che matur a Napoli intorno alla met degli anni Trenta, un momento in cui
cominci a prevalere il cromatismo sul luminismo. La sua pittura, che tradisce lorigine
fiamminga e la dimestichezza con i caravaggisti nordici, caratterizzata dal viraggio della luce
verso una pacatezza dei colori ed un contenuto iconografico severo.
Le opere che possono essergli attribuite sono oramai numerose dal SantOnofrio della collezione
Cicogna di Milano alla Guarigione di Tobia del museo del Banco di Napoli, dallEstasi sul
tamburo, gi presso lantiquario Lucano di Roma alla Decollazione del Battista della collezione
Bernardini di Padova.
In seguito il Van Somer impreziosisce la sua tavolozza alla ricerca di esiti sempre pi spinti di
raffinatezza formale ed il periodo del Sansone e Dalila gi nella raccolta dei principi Firrao, del
Loth e le figlie gi presso Heim a Londra, del David con la testa di Golia, siglato di una raccolta
romana e dello stupendo Venere ed Adone di una collezione napoletana.
Del 1635 la Carit gi nella collezione Bosco, siglata, mentre le sue ultime opere sono il San
Girolamo della Trafalgar Galleries di Londra e della Galleria Borghese di Roma, rispettivamente
siglato 1651 e firmato 1652.
Il David e Golia (tav. 102) stato acquistato dal museo di Nizza nel 1978 con aiuto della
Societ des Amis du muse. Esso reca sullelsa della spada una sigla di difficile interpretazione,
interpretata a lungo dalla critica come iniziali del Guarino, fino a quando non sono state
identificate, dopo un restauro, su un dipinto di collezione romana, con identico soggetto e
minime varianti, le iniziali del Van Somer, consentendo di restituire al fiammingo la versione
oggi a Nizza, di pi elevata qualit e probabilmente eseguita poco dopo il 1640.
Alla fase luministica del caravaggismo appartiene lattivit giovanile di Filippo Vitale (Napoli
1585 circa - 1650), un artista di rilievo, quasi completamente trascurato dalle fonti antiche e la
cui personalit stata ricostruita solo negli ultimi decenni.
Egli imparentato con Annella e Pacecco De Rosa di cui patrigno, con Giovanni Do, Agostino
Beltrano ed Aniello Falcone, di cui suocero. Un tipico esempio di quella ragnatela di parentele
che lega molti altri pittori napoletani del primo Seicento, i quali abitarono quasi tutti nella zona
delimitata tra piazza Carit e lo Spirito Santo, vera Montmartre dellepoca. Su tanti intrecci ci
ha illuminato la ricerca durata unintera vita di un benemerito erudito, il Prota Giurleo, il quale
con certosino lavoro di spulcio di processetti matrimoniali, testamenti, fedi di battesimo, polizze
di pagamento ed inventari, ha fornito ai critici una mole enorme di dati e di documenti sulla
quale lavorare per ricostruire la personalit di tanti artisti.
Vitale allievo di Sellitto del quale completa il Crocefisso di Santa Maria in Portanova ed anche
lui lavora in Santa Anna dei Lombardi, dove riceve dai Noris Correggio per un San Carlo
Borromeo un compenso molto alto di ben duecento ducati.
Dipinge poi la Liberazione di San Pietro dal carcere del museo di Nantes, il San Sebastiano
conservato a Dublino e il Sacrificio di Isacco del museo di Capodimonte Tra il 1617 e il 1618
impegnato ad eseguire otto tele per il soffitto dellAnnunziata di Capua, che purtroppo versano
oggi in pessimo stato di conservazione.
Successiva la grande pala dei Santi vescovi, gi in San Nicola alle Sacramentine, di un intenso
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naturalismo impregnato dalla lezione caravaggesca, nella quale si possono ipotizzare anche
scambi culturali con Tanzio da Varallo, dotato di un pi intenso senso luministico.
In seguito si avvicina ai modi di Ribera raggiungendo il culmine del suo percorso naturalistico
con il San Sebastiano della chiesa dei Sette dolori e lAngelo custode della Piet dei Turchini, il
suo capolavoro, uno dei quadri pi importanti del Seicento napoletano, dal poderoso impianto
compositivo, nel quale al ricordo del valenzano si impongono suggestioni di rigoroso
naturalismo, potente creazione in cui facile leggere nel volto dei personaggi la rabbia e il
disappunto, la serenit e la giustizia, il candore e linnocenza.
La Deposizione della chiesa di Regina Coeli, firmata e databile intorno al 1635 apre una fase di
crescente inclinazione prima in senso pittoricistico e poi decisamente classicista, che sfocer
nellultimo decennio in una fase pacecchiana, dopo un lungo periodo di collaborazione col
figliastro. La sua tavolozza divenne sempre pi smaltata e ricca di colori luminosi e vivaci come
si avverte nella Fuga di Loth da Sodoma, firmato e datato 1650, di collezione privata pendant di
un Rachele e Giacobbe realizzato dal De Rosa.
Numerose sono le tele a quattro mani che la critica, progredite le cognizioni sui due artisti, ha
identificato, dalla Madonna e San Carlo di San Domenico Maggiore alla Gloria di SantAntonio
conservato nelleponima arciconfraternita in San Lorenzo, mentre molti dipinti risentono ancora
di scambi nella paternit tra i due parenti e necessitano di percorrere un arduo sentiero
attributivo avvolto ancora pi da ombre che da luce.
La Liberazione di San Pietro dal carcere (tav. 103) faceva parte della famosa collezione di
Francois Cacault, un diplomatico che acquis nellOttocento una spettacolare raccolta di oltre
mille dipinti che fu poi donata alla sua morte alla citt di Nantes.
Il dipinto fu a lungo assegnato allo stesso Caravaggio, per essere poi ricondotto nellorbita di
Battistello dal Longhi e dal Voss. Solo nel 1955 il Bologna, in una prima ricostruzione
dellopera di Filippo Vitale, lassegn allartista, opinione confermata poi anche dal Causa.
Per la cronologia importante il raffronto col dipinto di analogo soggetto eseguito dal
Battistello nel 1615 e conservato nel Pio Monte della Misericordia, intriso di un intenso
caravaggismo, anche se la tela del Vitale sceglie un momento pi intimo dellepisodio, quando
langelo liberatore ed il santo sono immersi in un significativo colloquio senza parole.
Poco noto il San Benedetto da Norcia si rotola tra i rovi (tav. 104) conservato ad Ajaccio, nel
museo Fesch, appartenente alla fase pi antica, naturalista, del pittore, influenzata dai modi
del Ribera.
Nella tela, dal rigoroso impianto compositivo, la figura del santo sembra scolpita in maniera
michelangiolesca con una definizione spasmodica delle masse muscolari contratte, che fanno
trapelare, in egual misura rabbia e serenit, dolore ed accettazione.

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ELENCO DELLE TAVOLE


tav. 1 - Beinaschi Giovan Battista - Giosu ferma il sole per vincere gli Amaleciti - 132 - 269 Nantes, muse des Beaux-Arts
tav. 2 - Beinaschi Giovan Battista - Il Paradiso - 154 - 152 - Paray le Monial, muse du Hieron
tav. 3 - Belvedere Andrea - Natura morta di fiori e frutta ed omaggio al dio Pan - 200 - 300 Bourges, muse d'Arts decoratifs
tav. 4 - Belvedere Andrea - Vaso di fiori e frutta in un paesaggio - 122 - 152 - Parigi, Louvre
tav. 5 - Caravaggio (Merisi Michelangelo) - Annunciazione - 285 - 205 - Nancy, muse des
Beaux-Arts
tav. 6 - Castiglione Giovan Benedetto - Entrata nell'arca - 135 - 171 - Nantes, muse des
Beaux-Arts
tav. 7 - Cattamara Paolo - Funghi, farfalle e quaglia - 93 - 74 (particolare) - Strasburgo, muse
des Beaux-Arts
tav. 8 - Cavallino Bernardo - Immacolata Concezione - 65 - 43 - Caen, muse des Beaux-Arts
tav. 9 - Cavallino Bernardo - Loth e le figlie - 101 - 76 - Parigi, Louvre
tav. 10 - Cavallino Bernardo - Suonatrice di clavicembalo - 79 - 64 - Lione, muse des BeauxArts
tav. 11 - Codazzi Viviano - Gargiulo Domenico - Villa di Poggioreale - 175 - 229 - Besanon,
muse des Beaux-Arts et d'Archeologie
tav. 12 - Codazzi Viviano - Gargiulo Domenico - Fontane e rovine di un tempio - 178 - 228 Besanon, muse des Beaux-Arts et d'Archeologie
tav. 13 - Codazzi Viviano - Gargiulo Domenico - Palazzo con portico sul mare, con nave e
barche - 99 - 131 - Ajaccio, muse Fesch
tav. 14 - Codazzi Viviano - Veduta di un palazzo - 122 - 174 - Aix en provence, muse Granet
tav. 15 - Compagno Scipione - Decollazione di San Gennaro e dei suoi compagni nella Solfatara
- 57 - 87 - Nantes, muse des Beaux-Arts
tav. 16 - Coppola Carlo - Martirio di S. Lucia (studio) - 16 - 25 - Orleans, muse des Beaux-Arts
tav. 17 - Cusati Gaetano - Fiori, frutta ed un uccello in un giardino - Narbonne, muse d'Art et
d'Histoire
tav. 18 - De Bellis Antonio - San Sebastiano curato da Irene - 154 - 129 - Lione, muse des
Beaux-Arts
tav. 19 - De Bellis Antonio - San Sebastiano - 180 - 153 - Orleans, muse des Beaux-Arts
tav. 20 - De Lione Andrea - Europa - 102 - 80 - Lille, Palais des Beaux-Arts
tav. 21 - De Lione Andrea - Cristo morto adorato da un angelo - 285 - 395 - Aix en Provence,
muse Granet
tav. 22 - De Matteis Paolo - La notte - Quimper, muse des Beaux-Arts
tav. 23 - De Nom Francois - Gli Inferi - 113 - 175 - Besanon, muse des Beaux-Arts
tav. 24 - De Rosa Pacecco - Il Ratto d'Europa - Corte, muse de la Corse
tav. 25 - Di Guido Giuseppe - San Sebastiano - Digione, chiesa di San Michele
tav. 26 - Falcone Aniello - Combattimento tra cavalieri e Turchi - Parigi, Louvre
tav. 27 - Falcone Aniello - Imboscata - 24 - 30 - Autun, muse Rolin
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tav. 28 - Falcone Aniello - Martirio di San Sebastiano - 24 - 30 - Autun, muse Rolin


tav. 29 - Farelli Giacomo (attribuito) - Cristo morto - 98 - 135 - Nantes, muse des Beaux-Arts
tav. 30 - Finoglio Paolo Domenico - Immacolata Concezione - 194 - 140 - Lille, palais des
Beaux-Arts
tav. 31 - Finson Louise - Maddalena in estasi - 126 - 100 - Marsiglia, muse des Beaux-Arts
tav. 32 - Finson Louise - Resurrezione di Cristo - 213 - 174 - Aix en Provence, chiesa di San
Giovanni di Malta
tav. 33 - Fracanzano Francesco - Achille e le figlie di Licomede - Bastia, muse municipal d'Art
et d'Histoire
tav. 34 - Gargiulo Domenico - Incontro al pozzo di Eliezer e Rebecca - 115 - 151 - Nancy,
muse des Beaux-Arts
tav. 35 - Gargiulo Domenico - Martirio di S. Agata - 70 - 78 - Bourges, muse du Berry
tav. 36 - Gargiulo Domenico - Martirio di S. Lucia - 76 - 103 - Beauvais, muse de l'Oise
tav. 37 - Gentileschi Artemisia - Cavallino Bernardo - S. Agata con San Pietro - 72 - 105 Nevers, muse de la Faience et des Beaux-Arts
tav. 38 - Giordano Luca - Martirio di San Pietro - 177 - 226 - Ajaccio, muse Fesch
tav. 39 - Giordano Luca -Filosofo - 111 - 93 - Besanon, muse des Beaux-Arts et d'Archeologie
tav. 40 - Giordano Luca - San Domenico - 233 - 186 - Nantes, muse des Beaux-Arts
tav. 41 - Giordano Luca - Martirio di San Sebastiano - 125 - 95 - Ajaccio, muse Fesch
tav. 42 - Giordano Luca - Morte di Cleopatra - 151 - 124 - Clermont Ferrand, muse d'art Roger
Quillot
tav. 43 - Giordano Luca - San Francesco in estasi - Gouvieux, chiesa di S. Ginevra
tav. 44 - Glielmo Francesco - Ecce Homo - 105 - 127 - Montpellier, muse Fabre
tav. 45 - Guarino Francesco - S. Cristina di Bolsena - 122 - 97 - Amiens, muse de Picardie
tav. 46 - Maestro dell'annuncio ai pastori - Annuncio ai pastori - 175 - 237 - Besanon, muse
des Beaux-Arts et Archeologie
tav. 47 - Maestro dell'annuncio ai pastori - Annuncio ai pastori -130 - 102 - Nantes, muse des
Beaux-Arts
tav. 48 - Maestro dell'annuncio ai pastori - Cristo deriso - 235 - 181 - Parigi, Louvre
tav. 49 - Maestro dell'annuncio ai pastori - Ges tra i dottori - 97 - 127 - Nantes, muse des
Beaux-Arts
tav. 50 - Maestro dell'Emmaus di Pau - Cena in Emmaus - 116 - 166 - Pau, muse des BeauxArts
tav. 51 - Maestro di Resina - Sacrificio d'Isacco - Olmeda di Tuda, chiesa
tav. 52 - Malinconico Nicola - Il trionfo di Debora e la vittoria sul re - Quimper, muse des
Beaux-Arts
tav. 53 - Mellin Charles - Abele sacrifica all'Eterno Padre - 1634 - 38 - 29 - Nancy, muse des
Beaux-Arts
tav. 54 - Novelli Pietro - Gara musicale tra Apollo e Marsia - 154 - 198 - Caen, muse des
Beaux-Arts
tav. 55 - Porpora Paolo - Natura morta di fiori con un'urna - 15 - 177 - Valence, muse des
Beaux-Arts
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tav. 56 - Porpora Paolo - Natura morta di fiori e frutta - 15 - 177 - Valence, muse des BeauxArts
tav. 57 - Porpora Paolo - Rose, quaglie, rane e cavaliere - 74 - 99 - Parigi, Louvre
tav. 58 - Porpora Paolo - Sottobosco con lucertole, serpenti, granchi e rane - 35 - 55 - Quimper,
muse des Beaux-Arts
tav. 59 - Porpora Paolo - Sottobosco con rose, farfalla ed una lucertola - 35 - 55 - Quimper,
muse des Beaux-Arts
tav. 60 - Poussin Nicolas - Morte di Adone - 57 - 128 - Caen, muse des Beaux-Arts
tav. 61 - Preti Mattia - Negazione di Pietro - 119 - 167 - Carcassone, muse des Beaux-Arts
tav. 62 - Preti Mattia - Crocifissione di San Pietro - 336 - 232 - Grenoble, muse de peinture et
sculputure
tav. 63 - Preti Mattia - Ritorno del figliuol prodigo - 203 - 261 - Le Mans, muse de Tesse
tav. 64 - Preti Mattia - Mos sul monte Sinai - 124 - 280 - Montpellier, muse Fabre
tav. 65 - Preti Mattia - Trionfo di Sileno - 125 - 270 - Tours, muse des Beaux-Arts
tav. 66 - Preti Mattia - Morte di Didone - Chambery, muse des Beaux-Arts
tav. 67 - Preti Mattia - Giuditta mostra la testa di Oloferne - 239 - 210 - Chambery, muse des
Beaux-Arts
tav. 68 - Preti Mattia - Morte di Sofonisba - 202 - 178 - Lione, muse des Beaux-Arts
tav. 69 - Preti Mattia - Ecce Homo -205 - 259 - Chantilly, muse Cond
tav. 70 - Preti Mattia - Diogene con la lanterna - Montauban, muse Ingres
tav. 71 - Preti Mattia - San Giovanni Battista - Falaise, Hotel de ville
tav. 72 - Recco Giovan Battista - Natura morta di pesci ed ostriche - 201 - 147 - Besanon,
muse des Beaux-Arts et Archeologie
tav. 73 - Recco Giuseppe - Razza in un recipiente e pesci in un cesto - 77 - 55 - Ajaccio, muse
Fesch
tav. 74 - Recco Giuseppe - Pesci - 55 - 95 - Nantes, muse des Beaux-Arts
tav. 75 - Ribera Giuseppe - San Pietro e San Paolo - 126 - 112 - Strasburgo, muse des BeauxArts
tav. 76 - Ribera Giuseppe - Platone - 119 - 92 - Amiens, muse de Picardie
tav. 77 - Ribera Giuseppe - S. Maria Egiziaca - 132 - 108 - Montpellier, muse Fabre
tav. 78 - Ribera Giuseppe - Lo storpio - 164 - 92 - Parigi, Louvre
tav. 79 - Ribera Giuseppe - Battesimo di Cristo - 235 - 160 - Nancy, muse des Beaux-Arts
tav. 80 - Ribera Giuseppe - Adorazione dei pastori - 238 - 179 - Parigi, Louvre
tav. 81 - Ribera Giuseppe - Miracolo di San Donato d'Arezzo - 191 - 153 - Amiens, muse de
Picardie
tav. 82 - Rosa Salvator - Autoritratto - 63 - 54 - Strasburgo, muse des Beaux-Arts
tav. 83 - Rosa Salvator - Battaglia eroica - 217 - 351 - Parigi, Louvre
tav. 84 - Rosa Salvator - Geremia tirato fuori dalla fossa - 268 - 178 - Chantilly, muse Cond
tav. 85 - Rosa Salvator - Daniele nella fossa dei leoni - 268 - 178 - Chantilly, muse Cond
tav. 86 - Rosa Salvator - La Resurrezione di Lazzaro - 137 - 100 - Chantilly, muse Cond
tav. 87 - Rosa Salvator - Tobia e l'angelo - 26 - 21 - Parigi, Louvre
tav. 88 - Rosa Salvator - L'ombra di Samuele appare a Saul - Parigi, Louvre
75

tav. 89 - Rosa Salvator - Paesaggio con soldati e cacciatori - 142 - 193 - Parigi, Louvre
tav. 90 - Rossi Nunzio - Conversione di San Paolo - Ajaccio, muse des Beaux-Arts
tav. 91 - Ruoppolo Giovan Battista - Grappoli d'uva e un tralcio di vite - 104 - 87 - Parigi,
Louvre
tav. 92 - Ruoppolo Giovan Battista - Natura morta con ostriche ed agrumi - 32 - 31 - Parigi,
Louvre
tav. 93 - Ruoppolo Giuseppe - Natura morta di frutta - 49 - 65 - Parigi, Louvre
tav. 94 - Sannini Santillo - S. Lucia - Nantes, muse des Beaux-Arts
tav. 95 - Solimena Francesco - Annunciazione - 103 - 127 - Angers, muse des Beaux-Arts
tav. 96 - Solimena Francesco - La caduta di Simon Mago - 136 - 108 - Le Havre, muse d'art
moderne Andre Malraux
tav. 97 - Solimena Francesco - Ritratto di fanciulla - 129 - 100 - Toulouse, muse des Augustins
tav. 98 - Solimena Francesco - San Francesco restituisce gli abiti al padre - 74 - 98 - Chalon sur
Sane, muse Vivant Denon
tav. 99 - Stomer Matthias - San Gerolamo - 117 - 98 - Nantes, muse des Beaux-Arts
tav. 100 - Stomer Mathias - Sacrificio di Isacco - 101 - 136 - Ajaccio, muse Fesch
tav. 101 - Vaccaro Andrea - Martirio di S. Agata - 122 - 159 - Montpellier, muse Fabre
tav. 102 - Van Somer Hendrick - David con la testa di Golia - 100 - 74 - Nizza, muse des
Beaux-Arts
tav. 103 - Vitale Filippo - Liberazione di San Pietro da un angelo - 129 - 154 - Nantes, muse
des Beaux-Arts
tav. 104 - Vitale Filippo - San Benedetto da Norcia si rotola tra i rovi - 120 - 153 - Ajaccio,
muse Fesch

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Tav. 1

Tav. 2

Tav. 3

Tav. 4

Tav. 5

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Tav. 8

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Tav. 102

Tav. 103

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