Introduzione Alla Fisica Moderna

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Universit del Salento

FACOLT DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea in Fisica

INTRODUZIONE ALLA FISICA MODERNA

ROSARIO ANTONIO LEO

Anno Accademico 2007/2008

INDICE nozioni elementari . richiami 1 Punto materiale iii 2 Sistemi di particelle v iii

i meccanica analitica 1 1 principio di d alembert ed equazioni di lagrange 3 1.1 Vincoli 3 1.1.1 Denizioni 3 1.1.2 Classicazione dei vincoli 3 1.2 Gradi di libert e coordinate lagrangiane 4 1.3 Principio di dAlembert ed equazioni di Lagrange 4 1.4 Potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione 8 1.4.1 Potenziali generalizzati 8 1.4.2 Equazioni di Lagrange in presenza di forze non derivabili da un potenziale 9 1.4.3 Trasformazioni di gauge e lagrangiana di una particella immersa in un campo elettromagnetico 11 2 principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagran ge 15 2.1 Principio di Hamilton 15 2.2 Applicazioni del calcolo delle variazioni 18 2.2.1 Cammino pi breve fra due punti in un piano 19 2.2.2 Il problema della brachistocrona 20 2.3 Leggi di conservazione 23 2.3.1 Coordinate cicliche 23 2.3.2 Funzione energia 25 3 applicazioni delle equazioni di lagrange 27 3.1 Problema dei due corpi 27 3.1.1 Movimento in un campo centrale 28 3.2 Piccole oscillazioni 31 3.2.1 Impostazione del problema 31 3.2.2 Riepilogo 35 3.2.3 Osservazioni 35 3.2.4 Un particolare problema 36 4 formalismo hamiltoniano 39 4.1 Equazioni di Hamilton 39 4.1.1 Un esempio 41 4.2 Notazione simplettica 42 4.3 Coordinate cicliche e metodo di Routh 43 4.4 Principio variazionale di Hamilton modicato 46

Indice

Parentesi di Poisson 47 Trasformazioni canoniche 49 Equazioni di Hamilton-Jacobi 54 Variabili angolo-azione nel caso unidimensionale 56 4.8.1 Esempio: loscillatore armonico unidimensionale Bibliograa (Parte 1) 59 ii

4.5 4.6 4.7 4.8

57

relativit ristretta e introduzione alla meccanica quan tistica 61 5 relativit speciale 63 5.1 Trasformazioni di Lorentz 63 5.1.1 Premessa 63 5.1.2 Concetto di evento 63 5.1.3 Principio di inerzia 64 5.1.4 Postulati della Relativit Ristretta e trasformazioni di Lorentz 64 5.2 Alcune conseguenze delle trasformazioni di Lorentz 70 5.2.1 Legge di trasformazione delle velocit 70 5.2.2 Contrazione delle lunghezze 71 5.2.3 Dilatazione dei tempi 72 5.3 Lo spazio di Minkowski 73 5.4 Quadrivelocit e quadriaccelerazione 77 5.5 Dinamica relativistica 78 5.6 Energia cinetica e momenti 80 5.7 Quadrimomento, tensore momento angolare 81 5.8 Equazioni del moto 82 5.9 Meccanica analitica relativistica (cenni) 83 5.9.1 Carica in moto in un campo elettromagnetico 85 5.10 *Linterferometro di Michelson e Morley 87 6 introduzione alla meccanica quantistica 91 6.1 *Il corpo nero 91 6.2 Leffetto fotoelettrico 93 6.3 Effetto Compton 95 6.4 Onde di materia di de Broglie 97 Bibliograa (Parte 2) 99 a la trasformata di legendre 101 a.1 Denizione 101 b note sulle unit di misura 103 c costanti fisiche fondamentali 105

ii

N O Z I O N I E L E M E N TA R I . R I C H I A M I

punto materiale

Lidea di punto materiale uno dei concetti di base della meccanica analitica. Il punto materiale caratterizzato dalla sua massa. La posizione di un punto materiale in un sistema di riferimento Oxyz, supposto inerziale salvo avviso contrario, determinata dal raggio vettore r = x x + yy + zz . Deniamo velocit v= dr x y z =x +y +z , dt

quantit di moto p = m v, e accelerazione a= d2 r dv = 2. dt dt

Sappiamo che, in un sistema di riferimento inerziale, valgono i principi della dinamica. Se F la forza risultante agente sulla particella di massa m si ha che, per il secondo principio della dinamica, F= dp dv =m = m a, dt dt ( 1)

con m supposta costante rispetto al tempo. Supponiamo che la particella sia libera. Allora x (t), y(t), z(t) sono tra loro , y , z ; t) dalle (1) otteniamo: indipendenti. Se F = F (r, v, t) = F ( x, y, z; x (t) = Fx ( x, y, z; x , y , z ; t) , mx (t) = Fy ( x, y, z; x , y , z ; t) , my (t) = Fz ( x, y, z; x , y , z ; t) . mz Assegnate le condizioni iniziali r(0) = r0 e v(0) = v0 , se in un intorno di (r0 , v0 , 0) le funzioni Fx , Fy e Fz sono buone (per esempio sono lisce, cio sono di classe C ), allora il sistema di equazioni (2) per t > 0 ammette, almeno in un intorno di (r0 , v0 , 0), ununica soluzione. Viene cos soddisfatto, almeno localmente, il principio deterministico newtoniano. Le equazioni (2) sono dette equazioni del moto. Osservazione: la quantit di moto si conserva, cio p costante, se F = 0 identicamente. Deniamo momento angolare della particella rispetto ad O LO = r p . (3) (2)

iii

nozioni elementari . richiami

Deniamo momento della forza F rispetto al punto O dp d LO = r = r F NO . dt dt (4)

Dalla (4) si vede che il momento angolare si conserva, cio LO costante, se NO = 0 identicamente. Per esempio se consideriamo F forza centrale tale che il centro della forza O, allora NO = 0 e quindi LO costante. Il momento angolare della particella rispetto ad un punto O individuato rispetto ad O dal vettore posizione rO dato da LO = ( r rO ) p . Si vede facilmente che d LO dr dr = ( r rO ) F O p = NO O p , dt dt dt dove NO il momento delle forze rispetto a O . Se F una forza conservativa allora F = U (r), dove U (r) lenergia potenziale. 1 mv2 lenergia cinetica della particella. Sappiamo che se F Indichiamo con T = 2 una forza conservativa vale il principio di conservazione dellenergia meccanica: T + U = costante. Ricordiamo che vale, anche se la forza non conservativa, il teorema dellenergia cinetica:
B

L=

F dr =

1 2 1 2 mv mv = TB TA . 2 B 2 A

Esercizi 1. Studiare il moto di una particella di massa m soggetta alla forza F = kr v (k, > 0)

dove r vettore posizione della particella e v velocit, con le condizioni iniziali r (0) = r0 = 0 e v (0) = v0 r0 2. Studiare il moto di una particella di massa m e carica q in un campo magnetico B uniforme e costante. Siano r(0) = r0 e v(0) = v0 = 0 3. Studiare il moto di una particella di massa m e carica q in un campo elettrico E e in un campo magnetico B, uniformi e costanti e tra loro ortogonali.

iv

2 sistemi di particelle

sistemi di particelle

Supponiamo di avere un sistema di N particelle puntiformi. Sia Oxyz il sistema di riferimento (inerziale). Siano mi e ri rispettivamente la massa ed il vettore posizione delli-esima particella. Deniamo centro di massa rCM = iN =1 m i r i , M
dr i dt

con M = iN =1 mi . Detta inoltre vi = velocit del centro di massa sar: vCM = iN =1 m i v i . M

la velocit delli-esima particella, la

Deniamo inne la quantit di moto pCM =

i =1

mi vi = MvCM .

Ogni particella del sistema interagisce con le altre particelle e con il mondo esterno. Sia Fij la forza che la j-esima particella ( j = i ) esercita sulla i-esima. Se vale la forma debole del principio di azione e reazione allora Fij + F ji = 0. Per la seconda legge della dinamica
N dp i (e) = Fi = Fi + F ji , dt j=1, j =i

dove Fi la forza totale agente sulla i-esima particella, Fi la forza totale esterna agente sulla i-esima particella e N j=1, j =i F ji la forza totale interna agente sulla N N i-esima particella. Poich i=1 j=1, j =i F ji = 0 allora
N dpCM (e) = Fi = F (e) , dt i =1

(e)

dove F(e) la risultante delle forze esterne. Se F(e) = 0 allora pCM costante e quindi il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme, assumendo che la massa M sia costante. Deniamo momento angolare del sistema di N particelle puntiformi rispetto ad O LO =

i =1

ri pi .

Si ricava banalmente che


N d LO = r i F i = NO . dt i =1

nozioni elementari . richiami

Osserviamo che se vale la forma forte del principio di azione e reazione, cio se ri r j F ji = 0 i, j = i, allora NO =
(e)

i =1

ri Fi

(e)

= NO

(e)

Se NO = 0 allora LO costante. Sia r i il vettore posizione delli-esima particella rispetto al centro di massa, cio si ha r i = ri rCM . Allora LO =

i =1

(rCM + ri rCM ) pi = rCM pCM + LCM .


1

Deniamo energia cinetica del sistema di N particelle T=

i =1

2 mv2 i.
N 2

Vale ancora il teorema dellenergia cinetica: L=

i =1 1

Fi dri = T2 T1 ,

dove con 1 e 2 sono rispettivamente le congurazioni iniziale e nale del sistema. Osserviamo che

i =1 1

F i dr i =

i =1 1

F i dr i +
(e)

i =1 j=1, j =i 1

F ji dri

ed inoltre F ji dri + Fij dr j = F ji dri dr j = F ji dr ji con F ji dr ji = 0 in generale. Se tutte le forze sono conservative allora L=

i =1

Ui

(e)

(1) Ui

(e) (2)

1 N Uij (1) Uij (2) . 2 i, j= 1, j =i

Vale il principio di conservazione dellenergia meccanica: T + U = T + Ui


i =1 N

(e)

1 N Uji = costante. 2 i, j= 1,i = j

Esercizi 1. Dimostrare che


dLCM dt

= NCM .

2. Dimostrare che LCM = iN =1 ( ri rCM ) p i , con p i = mi ( vi vCM ).

vi

Parte I MECCANICA ANALITICA

P R I N C I P I O D I D A L E M B E RT E D E Q U A Z I O N I D I L A G R A N G E

1.1

vincoli

1.1.1 Denizioni Fissato un sistema di riferimento inerziale, la posizione di una particella puntiforme , ad ogni istante, individuata dal vettore r(t). La particella libera se non soggetta ad alcuna condizione che ne limiti la traiettoria; in caso contrario si dice che essa vincolata. Allo stesso modo per un sistema di N particelle, se tutte le particelle che costituiscono il sistema sono libere, il sistema detto libero; altrimenti si dice che vincolato. La presenza di vincoli comporta lintroduzione di forze che agiscono sulle particelle limitandone la mobilit. Queste forze sono dette forze vincolari o reazioni vincolari. Chiameremo attive le forze che non sono dovute a vincoli. 1.1.2 Classicazione dei vincoli Classichiamo i vincoli: In base alla forma delle relazioni che legano le coordinate delle particelle: vincoli olonomi: possono essere espressi da relazioni del tipo f (r1 , r2 , . . . , r N , t) = 0. Il sistema si dir, in tal caso, olonomo. Ad esempio: * una particella che si muove nel piano xy lungo la retta y = mx + q;
2 * il corpo rigido: le reazioni vincolari sono del tipo ri r j cij = 0 (la distanza tra due punti generici del corpo rigido costante); 2

(1.1)

vincoli anolonomi: non possono essere espressi da relazioni del tipo (1.1). Tali vincoli possono essere espressi da vincoli di diseguaglianza o equivalentemente da vincoli di uguaglianza in cui compaiono anche le velocit. Esempi: * particella vincolata a stare allinterno di una sfera di centro O e raggio a. In tal caso il vincolo si esprime con r 2 a2 < 0. In base alla dipendenza dal tempo: vincoli scleronomi: non dipendono dal tempo; vincoli reonomi: dipendono dal tempo.

principio di d alembert ed equazioni di lagrange

In base al tipo di reazione vincolare vincoli lisci: la reazione vincolare sempre normale al vincolo; vincoli scabri: la reazione vincolare ha una componente tangenziale al vincolo (sono presenti forze di attrito). 1.2

gradi di libert e coordinate lagrangiane

La congurazione di un sistema libero formato da N particelle denita dagli N vettori posizione ri (t), con i = 1, . . . N , ed quindi individuata, in uno spazio tridimensionale, da 3 N quantit scalari o coordinate indipendenti. Deniamo numero di gradi di libert del sistema il minimo numero di coordinate indipendenti in grado di individuare la congurazione. Secondo questa denizione un sistema libero di N particelle in uno spazio tridimensionale ha 3 N gradi di libert. In un sistema vincolato le coordinate non sono tra loro indipendenti. Se i vincoli sono olonomi e sono espressi mediante k equazioni del tipo (1.1), allora il numero di coordinate indipendenti sar n = 3 N k e quindi si avranno n gradi di libert. Possiamo pertanto introdurre n coordinate indipendenti che tengano conto dei vincoli. Siano q1 , q2 , . . . , qn tali coordinate. Esse non hanno in generale le dimensioni di una lunghezza e non possono essere raggruppate per formare le tre componenti di un vettore. Ad esempio, si consideri un pendolo nel piano. Il sistema avrebbe due gradi di libert se non fosse vincolato; dato che la distanza tra la particella e lorigine ssata uguale a l si ha invece un solo grado di libert. Si pu allora individuare lo stato del sistema in ogni istante utilizzando una sola coordinata quale, ad esempio, langolo . possibile esprimere i vettori posizione mediante le nuove coordinate tramite le trasformazioni r i = r i ( q1 , q2 , . . . , q n , t ) . (i = 1, ... N )

Le coordinate qi , con i = 1, . . . n, sono dette coordinate lagrangiane o generalizzate del sistema. 1.3 principio di d alembert ed equazioni di lagrange

Deniamo spostamento virtuale innitesimo di un sistema un cambiamento di congurazione relativo ad una variazione ri delle coordinate, compatibile con le forze ed i vincoli a cui il sistema sottoposto ad un dato istante t. Chiamiamo tale spostamento virtuale per distinguerlo da uno spostamento reale dri in cui si considera un intervallo dt nel quale variano forze e vincoli.

1.3 principio di d alembert ed equazioni di lagrange

Consideriamo un sistema di N particelle. Supponiamo che il sistema sia in equilibrio, cio ogni particella del sistema in equilibrio. Allora F i = 0, Fi ri = 0, L =
N

(1.2a) (1.2b) (1.2c)


( a)

i =1

Fi ri = 0,

con i = 1, . . . N , dove L il lavoro virtuale innitesimo. Se poniamo Fi = Fi


( a) Fi

+ i , dove e i sono rispettivamente la forza attiva totale e la forza vincolare agenti sulla i-esima particella, la (1.2c) diventa:
L =

i =1

Fi

( a)

ri + i ri = 0.
i =1

(1.3)

Assumeremo dora in avanti che il lavoro virtuale delle forze vincolari sia nullo, cio iN =1 i ri = 0, e che i vincoli siano olonomi bilaterali e lisci. Allora possiamo scrivere la (1.3) come

i =1

Fi

( a)

ri = 0,

(1.4)

che il principio dei lavori virtuali. Osserviamo che i ri , con i = 1, . . . N , non sono in generale linearmente indipen( a) denti e quindi i Fi non sono automaticamente nulli. Siano q1 , q2 , . . . , qn le coordinate lagrangiane del sistema scelte. Allora r i = r i ( q1 , q2 , . . . q n , t ) , ri =
k =1

(1.5a) (1.5b)

qk qk ,

ri

con i = 1, ... N . Supponendo che il lavoro virtuale delle forze vincolari sia nullo si ha L =

i =1 n

Fi

( a)

ri =
( a)

i =1 N

Fi

( a)

k =1

qk qk =
k =1

ri
n

=
dove

k =1

Fi
i =1 N

ri qk

qk =

Qk

( a)

qk ,

Qk =

( a)

i =1

Fi

( a)

ri qk

(k = 1, ...n)

sono dette forze generalizzate (attive). Poich le qk sono indipendenti si ha L = 0 Qk = 0.


( a)

(k = 1, ...n)

principio di d alembert ed equazioni di lagrange

Si pu dimostrare che Qk = 0 con k = 1, . . . n condizione necessaria e sufciente per lequilibrio, in presenza di vincoli olonomi bilaterali lisci. La relazione (1.4) applicabile solo al caso statico. Se si vuole applicare il principio dei lavori virtuali anche al caso di moto del sistema, bisogna partire dalle dp i pi N equazioni del moto d dt = Fi Fi dt = 0 per i = 1, ... N . Se continuiamo ad assumere che le forze vincolari non compiono lavoro virtuale, la (1.4) diventa:

( a)

i =1

Fi

( a)

dp i dt

ri = 0.

(1.6)

Osserviamo che le forze vincolari non compaiono esplicitamente. Indichiamo dora in poi con Fi la forza attiva totale agente sulli-esima particella. Come nel caso statico occorre ottenere unespressione che contenga solo gli spostamenti virtuali delle coordinate generalizzate (che sono indipendenti). Partiamo, come nel caso statico, dalle trasformazioni r i = r i ( q1 , . . . , q n , t ) ri =

k =1

qk qk

ri

(i = 1, ... N )

vi =

n dr i r r = i qk + i . dt qk t k =1

(1.7)

Come prima abbiamo

i =1

Fi ri =

k =1

Qk qk ,

ri dove Qk = iN =1 Fi qk . Osserviamo che le qk non hanno necessariamente le dimensioni di una lunghezza, cos come le Qk non hanno in generale le dimensioni di una forza. Consideriamo ora n dp i r = dt i i =1 k =1 n N

i =1 N

m i dt
d dt

dv i

ri qk

qk = ri qk

=
Osserviamo che vi r = i. qk qk Inoltre d ri v = i. dt q k qk

k =1

mi vi

mi vi

i =1

d ri dt q k

qk .

(1.8)

(1.9)

1.3 principio di d alembert ed equazioni di lagrange

In base a queste osservazioni possiamo scrivere:


n dp i ri = dt i =1 k =1

i =1

d dt

d dt k q

mi vi

vi k q

mi vi
qk

vi qk

qk = 1 m i v2 i 2 qk =

= =

k =1 n k =1

i =1

1 m i v2 i 2

i =1

d dt

T k q

T qk , qk

1 2 dove T = iN =1 2 mi vi . Allora il principio di dAlembert nel nostro caso equivalente alla relazione

k =1

d dt

T k q

T qk = 0. qk

Dato che gli spostamenti virtuali innitesimi qk , con k = 1, . . . n, sono indipendenti, possiamo scrivere n equazioni del moto d dt T k q

T = Qk . qk

(1.10)

Se supponiamo che le forze attive siano tutte conservative e derivino da ununico potenziale U , si ha Fi = i U e quindi Qk =

i =1

Fi q k

ri

= i U
i =1

U ri = . qk qk

U (cio Tenendo presente che U dipende solo da q e non da q k = 0; k = 1, ...n), le q n equazioni del moto (1.10) possono essere scritte nel modo seguente:

d (T U ) ( T U ) = 0. k dt q qk Denendo L = TU lagrangiana del sistema, possiamo scrivere le equazioni di Lagrange: d dt L L = 0. k q qk (1.12) (1.11)

Osservazione: se consideriamo F = F (q, t) funzione di classe opportuna, si pu F dimostrare che L (q, q , t ) = L( q, q , t) + d dt unaltra funzione lagrangiana che 1 porta alle stesse equazioni del moto.
1 Si qui utilizzata la notazione, che ricorrer per brevit in seguito, q = (q1 , q2 , . . . qn ) per indicare lennupla delle coordinate generalizzate; tuttavia bisogna tenere sempre presente che tale ennupla non , in generale, un vettore (basti pensare che, come gi osservato, le qi possono avere anche dimensioni diverse.)

principio di d alembert ed equazioni di lagrange

Osservazione: le equazioni di Lagrange possono essere ancora scritte nella forma usuale se U = U (q, q , t) e Qk = d U + qk dt U k q . (1.13)

La funzione U detta potenziale generalizzato, o potenziale dipendente anche dalle velocit e dal tempo. La funzione lagrangiana pu ancora essere denita come L = T U . 1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

1.4.1 Potenziali generalizzati Consideriamo una particella puntiforme di massa m e carica q in un campo elettromagnetico E, B. Su di essa agisce la forza di Lorentz: F = q E+ v B . c (1.14)

Le equazioni del moto sono perci m v d2 r dv = m 2 = q E+ B . dt dt c 1 A , c t

Siano ora e A i potenziali scalare e vettoriale rispettivamente in modo che E = B = A. Riscriviamo la forza di Lorentz mediante le precedenti: F = q 1 A v + ( A) = c t c 1 A 1 1 = q + (A v) (v )A c t c c (1.15) (1.16)

(1.17)

dove si tenuto conto del fatto che v = 0 e quindi v ( A) = (A A A v) (v )A. Osserviamo ora che d dt = t + ( v ) A; inoltre dato che A non dipende da v,
d v ( A v ) dt

dA dt ;

inne v = 0. Allora

F = q

1 1 dA Av = c c dt 1 d 1 = q A v + v A v c dt c d v U = U + , dt
q

dove U = q c A v un esempio di potenziale generalizzato, ovvero potenziale dipendente dalle derivate rispetto al tempo delle coordinate generalizzate (che

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

qui corrispondono con le solite coordinate cartesiane). La funzione lagrangiana , allora, la seguente: L = TU = q mv2 q + A v. 2 c

Esercizi 1. Scrivere le equazioni di Lagrange di una carica puntiforme in un campo elettromagnetico. Dimostrare che esse coincidono con le equazioni del moto di partenza. 2. Scrivere la lagrangiana e le equazioni di Lagrange per i seguenti sistemi: a) pendolo piano semplice; b) pendolo piano doppio; c) pendolo piano il cui punto di sospensione libero di muoversi orizzontalmente su una retta liscia . 3. Due punti materiali, uno di massa m1 e laltro di massa m2 , sono collegati da una fune (inestensibile e di massa trascurabile) che passa attraverso un foro in un tavolo perfettamente liscio, in modo che m1 , per t = 0, abbia un moto circolare uniforme sulla supercie del tavolo ed m2 rimanga sospesa. Nellipotesi che m2 possa muoversi solo in direzione verticale, si scriva la lagrangiana e si ricavino le equazioni di Lagrange. Discutere la presenza di integrali primi del moto .

Figura 1.:

Da sinistra: problema 2b, problema 2c, problema 3.

1.4.2 Equazioni di Lagrange in presenza di forze non derivabili da un potenziale Supponiamo che su una particella puntiforme agisca anche la seguente forza viscosa: Fa = ( x v x i + y vy j + z vz k)

principio di d alembert ed equazioni di lagrange

dove i coefcienti x , y , z sono caratteristici del mezzo2 e i, j, k sono i versori degli assi coordinati. Osserviamo che, se introduciamo la cosiddetta funzione di dissipazione di Rayleigh F= 1 2 2 ( x v2 x + y v y + z v z ), 2

abbiamo che Fa = v F. Pi in generale se il sistema formato da N particelle, la forza viscosa totale data da: Fa =

k =1

(x vkx i + y vky j + z vkz k),


La

dove si intende vk = (vkx , vky , vkz ) la velocit della k-esima particella. funzione di dissipazione in questo caso data da: F= 1 N 2 2 ( x v2 kx + y vky + z vkz ). 2k =1

La forza viscosa agente sulla k-esima particella pu ovviamente essere scritta come Fa,k = vk F. Se il sistema ha n gradi di libert e q j con j = 1, . . . n sono le coordinate generalizzate, le equazioni di Lagrange sono le seguenti: d dt L j q

L = Qj q j

(1.18)

dove le Q j sono le forze generalizzate associate alle forze viscose e non derivabili da un potenziale, e L la lagrangiana, scritta tenendo conto di tutte le forze conservative. Sappiamo che: Qj =

k =1

Fa,k qkj
N k =1 N

= vk F = vk F
k =1

rk q j vk F = . j j q q

Allora in conclusione possiamo scrivere le equazioni di Lagrange (1.18) nel modo seguente: d dt L j q

L F + = 0. j q j q

Evidentemente siamo in grado di scrivere esplicitamente le equazioni del moto conoscendo le due funzioni scalari L e F.
2 In realt questi coefcienti dipendono oltre che dal mezzo anche dalla forma e dalle dimensioni del corpo immerso nel uido.

10

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

1.4.3 Trasformazioni di gauge e lagrangiana di una particella immersa in un campo elettromagnetico Siano ed A i potenziali scalare e vettoriale nel campo elettromagnetico. Sappia2 q mo che la lagrangiana assume la forma: L = mv 2 q + c A v. Il sistema ha tre gradi di libert. Operiamo le seguenti trasformazioni di gauge: 1 (r, t) ; c t A A = A + ( r, t ). = Il campo elettromagnetico invariante per trasformazioni di gauge. Sia ora L = q mv2 2 q + c A v la nuova lagrangiana. Allora: mv2 q q q q + + A v + v 2 c t c c q q = L+ + v c t c q d = L+ . c dt

L =

Concludendo, L ed L differiscono per la derivata totale rispetto al tempo di una funzione scalare di r e di t. Le equazioni di Lagrange sono, di conseguenza, invarianti per trasformazioni di gauge.

Problemi 1. Se L = L(q, q , t) una lagrangiana per un sistema ad n gradi di libert d F ( q,t ) che verica le equazioni di Lagrange, dimostrare che L = L + dt , con F funzione arbitraria di classe opportuna, verica anchessa le equazioni di Lagrange.

Dimostrazione. Osserviamo che j = 1, . . . n

d F ( q,t ) dt

= n k =1

F ( q,t ) k qk q

F ( q,t ) t .

Allora per

L ( q, q , t) L( q, q , t ) F ( q, t ) = + j j q q q j L ( q, q , t) L( q, q , t) d F ( q, t ) = + q j q j q j dt

11

principio di d alembert ed equazioni di lagrange

Dunque abbiamo che, sempre per j = 1, . . . n e supponendo che


d F ( q,t ) dt q j ,

d F ( q,t ) q j dt

d dt d dt d dt

L j q L j q L j q

L =0 q j d F ( q, t ) L d F ( q, t ) + =0 dt q j q j q j dt L = 0. q j

2. Siano q1 , . . . qn un insieme di coordinate generalizzate indipendenti di un sistema ad n gradi di libert con lagrangiana L(q, q , t), dove q = (q1 , . . . qn ) e 1, . . . q n ). Si supponga di passare ad un altro sistema di coordinate geq = (q neralizzate indipendenti s1 , . . . sn per mezzo di una trasformazione puntuale qk = qk (s, t) con k = 1, . . . n ed s = (s1 , . . . sn ). Dimostrare che la forma delle equazioni di Lagrange invariante rispetto alle trasformazioni puntuali. Dimostrazione. Per j, k = 1, . . . n abbiamo j = q

i =1

si si +
L = sk L = k s
n

q j

j q j q q j = i t s si

Ora, L = L(q(s, t), q ( s, s , t), t), dunque


n j L q j L q + q j sk q j sk j =1 j =1

j L q = q j s k j =1

j =1

q j sk
d q j dt s k

L q j

d dt

L k s

= =

j =1

d L j dt q d L j dt q

n q j L + j s k j =1 q

j =1

n j q j L q + . j sk s k j =1 q d dt L j q

In conclusione, per k = 1, . . . n, ricordando che 1, . . . n, d dt


n

L q j

= 0 per j =

L k s
j =1

= =

L = sk n n n j j d L q j L q L q j L q + = j s k j =1 q j s k j =1 q j s k j =1 q j sk dt q

j =1

d L L j dt q q j

q j = 0. sk

12

1.4 potenziali generalizzati e funzioni di dissipazione

3. Dimostrare che vale la seguente forma di Nielsen delle equazioni di Lagrange: T T 2 = Qj j q q j dove T = T (q, q , t) lenergia cinetica, T generalizzata.
dT dt

( j = 1, . . . n) e Q j la j-esima forza

Dimostrazione. Partiamo dalle equazioni di Lagrange (1.10), valide anche in presenza di forze attive generalizzate non conservative. Osserviamo che: d T ( q, q , t) = dt

j =1

T T j + q q j j q j q T k q j q T k q j q T k q .

T t 2 T T + = q k q j j j q t q j q T k q j + q T = j t q

n T T = + k q q k j =1

j + q j + q

= =
Allora T k q T qk d dt

n T + q k j =1

T d + qk dt

T = Qk qk d T T + 2 = Qk k dt q qk T T = Qk . k q qk

13

P R I N C I P I O VA R I A Z I O N A L E D I H A M I LT O N E D E Q U A Z I O N I DI LAGRANGE

2.1

principio di hamilton

Prenderemo ora in considerazione solo quei sistemi di N particelle puntiformi, con vincoli olonomi lisci, per i quali tutte le forze attive sono derivabili da un solo potenziale scalare generalizzato (questa richiesta fatta solo per semplicit e senza perdere in generalit), funzione cio delle coordinate e delle velocit delle particelle e del tempo. Questi sistemi sono detti monogenici. In particolare, se il potenziale funzione esplicita solo delle coordinate di posizione delle particelle il sistema detto conservativo. Vedremo fra poco, come sia possibile ottenere le equazioni di Lagrange relative ad un sistema monogenico a partire da un principio integrale (il principio variazionale di Hamilton), il quale prende in considerazione lintero moto del sistema tra due istanti t0 e t1 e le piccole variazioni di questo moto rispetto a quello reale. Per fare questo avremo bisogno di elementi di calcolo delle variazioni, che cercheremo di esporre nel modo pi elementare possibile, utilizzando soltanto le tecniche familiari del calcolo differenziale. La congurazione del sistema (olonomo e monogenico), oggetto di studio, supposta descritta dai valori di n coordinate generalizzate q1 , q2 , . . . qn e corrisponde alla posizione di un punto q = (q1 , . . . , qn ) in uno spazio n-dimensionale che, come sappiamo, detto spazio delle congurazioni. Al variare del tempo il punto q(t), che rappresenta il sistema, si muove nello spazio delle congurazioni descrivendo una curva che , ovviamente, la traiettoria del moto del sistema. Come abbiamo gi accennato, il principio variazionale prende in considerazione solo quelle traiettorie che costituiscono un insieme di traiettorie variate sincrone. In altre parole, si considerano tutti quei movimenti q = q(t) del sistema con t [t0 , t1 ], intervallo base, tali che q(t0 ) = q(0) e q(t1 ) = q(1) . Chiameremo ammissibile un movimento q(t) che gode di questa propriet. Noi supporremo sempre, salvo avviso contrario, che le funzioni siano di classe C . In gura 2 sono riportate, in uno spazio delle congurazioni bidimensionale, alcune traiettorie ammissibili, che partono dalla congurazione iniziale q(0) al tempo t0 e arrivano alla congurazione nale q(1) al tempo t1 . Sappiamo che possibile introdurre per il nostro sistema (olonomo e monogenico) la funzione lagrangiana L = T V, (2.1)

dove T lenergia cinetica del sistema e V il potenziale generalizzato. Naturalmente si avr L = L ( q, q , t) (2.2)

15

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

Figura 2.:

Alcune traiettorie ammissibili in uno spazio delle congurazioni bidimensionale

Consideriamo il funzionale azione S [q(t)] =


t1 t0

L ( q, q , t ) dt,

(2.3)

dove q(t) un moto ammissibile (cio q(t0 ) = q(0) e q(t1 ) = q(1) ). Osserviamo che S [q(t)] ha valori in R e non una funzione di funzione (non una funzione del tempo), ma un integrale di linea che dipende dal moto q(t). Il valore che S [q(t)] assume dipende ovviamente dal moto ammissibile q(t) scelto. Introduciamo il principio variazionale di Hamilton:

Principio variazionale di Hamilton - Tra i moti ammissibili del sistema compresi tra gli istanti t0 e t1 , il moto reale quello che rende stazionaria lazione. Ricordiamo cosa si intende per punto stazionario di una funzione f : R R di classe opportuna. Si dice che x0 R un punto stazionario di f se f ( x0 ) = 0. Un punto stazionario (o critico) di una funzione pu allora essere un estremante relativo (di massimo o di minimo) o di esso orizzontale oppure n estremante relativo n esso orizzontale. Inoltre se x0 un punto stazionario si ha f ( x0 + ) f ( x0 ) = f ( x0 ) + O ( 2 ) = O ( 2 ). In modo analogo diremo che lazione stazionaria lungo una certa traiettoria se su di essa assume, a meno di innitesimi di ordine superiore al primo, lo stesso valore corrispondente a traiettorie che differiscono da quella considerata per uno spostamento innitesimo. Pi precisamente se indichiamo con q(t) un moto ammissibile che rende stazionaria lazione e con q(t, ) = q(t) + h(t) una traiettoria diversa, dipendente dal parametro R (assumiamo | | 1) e dalla funzione vettoriale h(t) = (h1 (t), . . . , hn (t)) soggetta alla condizione h(t0 ) = h(t1 ) = 0 (infatti q(t, ) deve essere un moto ammissibile e pertanto q(t0 , ) = q(0) e q(t1 , ) = q(1) ), abbiamo che S [q(t, )] S [q(t)] = O ( 2 ). (2.4)

16

2.1 principio di hamilton

Vogliamo ora provare che una traiettoria ammissibile q(t) che rende stazionaria lazione soddisfa le equazioni di Lagrange d dt L( q, q , t) q k

L( q, q , t) = 0. qk

(k = 1, . . . n)

Abbiamo infatti: S [q(t, )] S [q(t)] =


t1

= =

t0 t1 n

( t ), t L ( q ( t ), q L q ( t ) + h ( t ), q (t) + h , t ) dt = L ( q ( t ), q ( t ), t ) L ( q ( t ), q ( t ), t ) hi ( t ) + hi ( t ) i qi q dt + O ( 2 ).

(2.5)

t0 i =1

Osserviamo che
L i hi ( t ) q t1 d t0 dt

d dt

L i hi ( t ) q

d L i dt q

h i ( t );

L i hi ( t ) q

dt =

t1 L i hi ( t ) t q 0

= 0.

Allora la (2.5) pu essere riscritta come S [q(t, )] S [q(t)] =

i =1 t0

t1

L ( q ( t ), q ( t ), t ) ( t ), t ) d L ( q ( t ), q h i ( t ) dt + O ( 2 ). i qi dt q

(2.6)

Se imponiamo la condizione che lazione sia stazionaria lungo q(t), valga cio la (2.4), e teniamo presente che hi (t), con i = 1, . . . n, sono funzioni di classe C arbitrarie, soggette soltanto alla condizione hi (t0 ) = hi (t1 ) = 0, abbiamo
t1 t0

d L ( q ( t ), q ( t ), t ) L ( q ( t ), q ( t ), t ) hi (t)dt = 0. i qi dt q

(i = 1, . . . n)

Vogliamo ora provare che queste equazioni implicano che L ( q ( t ), q ( t ), t ) d qi dt L ( q ( t ), q ( t ), t ) i q

= 0,

(i = 1, . . . n)

cio sono soddisfatte le equazioni di Lagrange. Vale il seguente lemma: Lemma fondamentale del calcolo variazionale - Se una funzione liscia f : [t0 , t1 ] R verica la propriet
t1 t0

f ( t ) g ( t )dt = 0

(2.7)

per ogni funzione liscia g : [t0 , t1 ] R, soggetta alla condizione g(t0 ) = g(t1 ) = 0, allora f (t) = 0 t [t0 , t1 ].

17

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

Dimostrazione. Ragioniamo per assurdo e supponiamo che t (t0 , t1 ) in cui f non si annulli. Senza perdere in generalit possiamo supporre f (t ) > 0. Per continuit I (t ) (t0 , t1 ), intorno di t , in cui f sempre positiva, avendo indicato con I (t ) un intorno aperto di t . Possiamo sempre prendere una funzione liscia g, stante la sua arbitrariet, che sia positiva in I1 (t ) I (t ) e t nulla altrove1 . Ne consegue che t01 f (t) g(t)dt > 0. Questo assurdo. Allora f ( t ) = 0 t ( t0 , t1 ) f ( t ) = 0 t [ t0 , t1 ]. Se chiamiamo qi (t) = hi (t) la variazione delli-esima componente di q(t) e con S la corrispondente variazione dellazione, relativa allinnitesimo q, la relazione (2.6) pu essere scritta nella forma: S =

i =1 t0

t1

L d L i qi dt q

q i ( t )dt.

Questo risultato ci dice, anche per il lemma precedente, che se lazione stazionaria lungo q(t), cio se S = 0, allora valgono le equazioni di Lagrange. In modo sintetico possiamo scrivere: S = 0 L( q, q , t) d qi dt L( q, q , t) i q

= 0.

(i = 1, . . . n)

Abbiamo visto che le equazioni di Lagrange (o di Eulero-Lagrange) nelle ipotesi fatte (sistemi, cio, olonomi e monogenici) discendono da una legge generale, il principio variazionale di Hamilton. Non possiamo stabilire, a priori, se il moto reale q(t), che soddisfa le equazioni di Lagrange, ha la propriet di minimizzare lazione, anche se il principio di Hamilton spesso detto principio della minima azione. 2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

Possiamo utilizzare il principio variazionale per studiare le propriet di stazionariet o estremali di funzionali diversi dallazione. Supponiamo in particolare di avere una famiglia di curve in uno spazio ndimensionale, ognuna descritta da una funzione vettoriale liscia y( x ) con x [ x0 , x1 ], tutte soggette alle condizioni y( x0 ) = y(0) e y( x1 ) = y(1) , e una funzione scalare liscia U = U (y( x ), y ( x ), x ). Vogliamo determinare y( x ) che rende stazionario il funzionale J [y( x )] =
x1 x0

u ( y ( x ), y ( x ), x ) d x .

Notiamo che possono esserci casi pi complessi, in cui ad esempio U funzione anche di derivate di ordine superiore al primo di y( x ), oppure x Rm con m 2. La trattazione del problema pu anche essere portata avanti esattamente come nel
1 Osserviamo che la funzione g scelta si annulla, ovviamente, in t0 e t1 .

18

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

caso dellazione: si ricerca y( x ) che rende stazionario il funzionale J . Non sempre semplice stabilire poi se la funzione trovata abbia la propriet di minimizzare o di massimizzare J . Ricordiamo che condizione necessaria perch y( x ) sia un minimo o un massimo locale per J che esso sia un punto stazionario. Si arriver ovviamente a n equazioni scalari che continueremo a chiamare di Lagrange o di Eulero-Lagrange: d dx u k y

u = 0. yk

(k = 1, . . . n)

2.2.1 Cammino pi breve fra due punti in un piano Siano dati A( x0 , y0 ) e B( x1 , y1 ) in un piano. Supponiamo che x0 < x1 . Se indichiamo2 una generica curva regolare3 con y = y( x ) di estremi A e B e con s lascissa curvilinea, abbiamo che: ds =

(d x )2 + (dy )2 =

2 ( x )d x . 1+y

In questo caso allora J [y( x )] =


x1 x0

2 ( x )d x . 1+y

) = 1 + y 2 ( x ) e y( x ) nel nostro caso una funzione scalare. Ovviamente u = u(y Adoperando le equazioni di Eulero-Lagrange: d dx u y

u = 0. y

x0
Figura 3.:

Cammini ammessi tra due punti nel piano.

u u (x) = a Essendo = c (costante rispetto ad x ). Di conseguenza y y = 0, y (costante) e quindi y( x ) = ax + b, cio la curva che minimizza il funzionale J il segmento di estremi A e B. Imponendo in particolare che y( x0 ) = y0 e y( x1 ) = y1 y1 y0 x1 y0 x0 y1 otteniamo a = x1 x0 e a = x1 x0 . Si prova facilmente, in questo caso, che y ( x ), che rende stazionario J , minimizza il funzionale. In altre parole possiamo dire che

2 Se x0 = x1 possiamo considerare funzioni del tipo x = x (y). 3 In realt possiamo sempre supporre che y sia liscia.

19

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

la curva che nel piano xy conginge A e B ed ha lunghezza minima il segmento di estremi A e B.


2

J [y( x ) + h( x )] J [y( x )] = ( x )) = Nel nostro caso uy y (y

x1 x0

2 ( x )d x + O ( 3 ). ( x ))h uy y (y 1, J [y( x ) + h( x )]

1 2 ( x ))2 (1+ y

> 0. Perci, per | |

J [y( x )], cio la funzione trovata minimizza il funzionale. Esercizi 1. Vericare che il moto reale di una particella libera e isolata rende minima lazione. 2. Una particella soggetta al potenziale U ( x ) = Fx, con F costante. La particella si muove dal punto x = 0 al punto x = a nellintervallo di tempo t0 . Si assuma che il moto della particella si possa esprimere nella forma x (t) = A + Bt + Ct2 . Trovare i valori di A, B, C che rendono minima lazione. 2.2.2 Il problema della brachistocrona Il problema della brachistocrona pu essere espresso nel modo seguente: Dati due punti A e B in un piano verticale, con A ad altezza maggiore di B, trovare tra tutti gli archi di curva che li congiungono, la traiettoria che una particella puntiforme di massa m, con velocit iniziale nulla, deve percorrere per andare da A a B in modo che il tempo di percorrenza sia il minimo possibile.

Figura 4.:

Schema del problema della brachistocrona.

Per risolvere il problema poniamo lorigine degli assi in A (0, 0) e orientiamo lasse delle ordinate verso il basso. Supponiamo B ( x1 , y1 ) con x1 > 0 e y1 > 0 (se x1 = 0, cio se B appartiene allasse delle y il problema banale: la soluzione data dal segmento AB). Le equazioni della traiettoria (passante per i punti assegnati): y = y( x ) y (0) = 0 y ( x1 ) = y1 (x [0, x1 ])

20

2.2 applicazioni del calcolo delle variazioni

Consideriamo la solita ascissa curvilinea s a partire da A: ds =

(d x )2 + (dy )2 =

2 ( x )d x . 1+y

Supponiamo i vincolo olonomi e lisci. Fissiamo in y = 0 il livello 0 dellenergia potenziale (relativa alla forza peso). Allora: 1 2 mv mgy = 0 v = 2 2 gy,

dove g laccelerazione di gravit e v laccelerazione in y (notare che y > 0, v > 0 se x [0, x1 ]). dt = ds = v 2 (x) 1+y d x. 2 gy( x )
2 (x) 1+ y y( x ) x1 0

(x (0, x1 ])

( x )) = Poniamo u(y( x ), y
T

2g

dT J [u( x )] =

( x ))dx. u ( y ( x ), y

Fra tutte le traiettorie, passanti per A e B, quella che rende stazionario il funzionale J (condizione necessaria per il minimo) soddisfa le equazioni di Lagrange con x (0, x1 ]: d dx Ora,
u y

) u ( y, y y

y y 2 1+ y

) u ( y, y = 0. y

(2.8)

e dunque

d dx

) u ( y, y y

2y y

2 y 2 1+y

y y 2 )3 (1 + y

(2.9)

2 1+y u = . y 2y y Lequazione (2.8), per le relazioni (2.9) e (2.10), diventa, per x (0, x1 ]:

(2.10)

2 )3 (1 + y (x) y 1 1 d 1 d ( x )) + + =0 ln (1 + y ln y( x ) = 0 2 ( x ) 2y ( x ) 1+y 2 dx 2 dx 2y y y 2 ( x ))y( x ) = c (1 + y y( x ) (x) = 1 y c y( x )

2 y 2 1+y

2 1+y =0 2y y

y( x ) dy = c y( x )

d x.

(2.11)

21

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange


c Posto y = 2 (1 cos ) con parametro, dalla (2.11)

x=

c ( sin ). 2

(Nota bene: x (0) = 0)

Concludendo, le equazioni parametriche della traiettoria sono date da: x ( ) = y( ) = c ( sin ) 2 c (1 cos ) 2

con [0, 1 ]. Le equazioni trovate sono quelle di una cicloide. Sostituendo i valori delle coordinate di B si trovano dalle precedenti c e 1 . Il sistema siffatto ammette sempre soluzione. Rimane da provare (cosa non banale) che la soluzione trovata minimizza il funzionale. Possiamo tentare una soluzione del problema cambiando semplicemente punto di vista e cercando unespressione del tipo x = x (y). In tal caso dt = ds = v
2 1+ x y T y1 0

2 1+x dy. 2 gy

Posto = 2g

dt = F [ x (y)] =

( y ), y )dy. ( x ( y ), x

Le equazioni di Lagrange sono d dy Poich


x

= 0. x

= 0,

= costante, da cui =
1 a

x 2 y 1+ x 2 x 2 1+ x

2 ay y

y a

dy dx

=1

da cui si prosegue come in precedenza. Osserviamo per che in questo caso 1 xx = x x > 0. Allora, se x (y) rende stazionario il = 0 e che x x = 2 3
(y)) y (1+ x

funzionale, abbiamo che


2

F [ x (y) + h(y)] F [ x (y)] =

y1 0

3 2 x x h ( y )dy + O ( ) 0

ovvero F [ x (y) + h(y)] F [ x (y)], cio x (y) un minimo.

22

2.3 leggi di conservazione

2.3

leggi di conservazione

2.3.1 Coordinate cicliche Abbiamo visto che il moto di un sistema di particelle olonomo e monogenico con n gradi di libert governato dalle equazioni di Lagrange d L ( q, q , t ) L ( q, q , t) =0 dt q qk (k = 1, . . . n)

dove L = T U e qk sono le coordinate generalizzate. Apriamo una piccola parentesi. Introdotto un sistema di assi cartesiani solidale con un sistema di riferimento inerziale, nel caso di un punto materiale soggetto ad una forza conservativa abbiamo: L= 1 2 + y 2 + z 2 U ( x , y, z ). m x 2

Si vede che L x L y L z px , = mx py , = my pz , = mz

dove p x , py e pz sono le componenti rispettivamente lungo x, y e z della quantit di moto. In analogia nel caso pi generale possiamo chiamare pk = L ( q, q , t) k q

il momento canonico o momento coniugato alla coordinata generalizzata qk . OsserL viamo che se qk = 0, cio se la lagrangiana non dipende esplicitamente da qk , si ha d L d pk = = 0. dt qk dt Allora pk costante rispetto al tempo. Diamo allora la seguente denizione: Definizione - Una coordinata generalizzata si dice ciclica o ignorabile se la la k , non dipende esplicitamente da grangiana L, pur essendo funzione esplicita di q qk . Possiamo pertanto enunciare la seguente propriet: il momento coniugato ad una coordinata generalizzata ciclica si conserva. In modo equivalente possiamo dire che il momento coniugato ad una coordinata

23

principio variazionale di hamilton ed equazioni di lagrange

ciclica un integrale primo del moto, in quanto si traduce in una relazione del 1, . . . , q n , t) = costante. Se qk una coordinata ciclica, allora L tipo f (q1 , . . . , qn , q invariante rispetto ad una trasformazione qk qk + , con costante. Ora, se qk , coordinata ciclica, uno spostamento, si ha che una traslazione rigida lungo tale direzione non ha effetto alcuno sul moto del sistema e il corrispondente momento coniugato, che una quantit di moto, si conserva. Se invece la coordinata ciclica qk un angolo il sistema invariante per rotazioni intorno allasse corrispondente e il relativo momento coniugato, che un momento angolare, si conserva. Troviamo per esempio i momenti generalizzati nel caso di una particella in moto in un campo elettromagnetico. Abbiamo visto che la lagrangiana di una particella di massa m e carica4 q in un campo elettromagnetico data da: L= 1 q 2 + y 2 + z 2) q + A v m( x 2 c

x y z dove v = x +y +z la velocit della particella, c la velocit della luce nel vuoto, , A sono il potenziale scalare e vettoriale rispettivamente. Il momento coniugato a x dato da q q + Ax = px + Ax Px = m x c c la componente lungo x dellusuale quantit di moto della partidove p x = m x cella. In maniera analoga i momenti coniugati ad y e z sono rispettivamente: q Py = py + Ay , c q Pz = pz + Az . c Possiamo scrivere allora in forma vettoriale il momento generalizzato come q P = p + A. c Ora, se per ipotesi , A non dipendono esplicitamente da x, cio x una variabile ciclica, allora il momento coniugato rispetto ad x, cio Px , una costante del moto. Esercizi Vericare lesistenza di una coordinata ciclica nellesercizio 2c di pagina 9. Dare uninterpretazione sica del corrispondente momento coniugato. Vericare lesistenza di una coordinata ciclica nellesercizio 3 di pagina 9. Dare uninterpretazione sica del corrispondente momento coniugato. Si scriva in coordinate cilindriche la lagrangiana di una particella di massa m e carica q in un campo magnetico (costante) generato da un lo rettilineo percorso da corrente stazionaria I . Esistono coordinate cicliche? (Piccolo suggerimento: scrivere il potenziale vettore A imponendo che valga la gauge di Coulomb, div A = 0.)
4 Qui con il simbolo q non indichiamo una coordinata generalizzata!

24

2.3 leggi di conservazione

2.3.2 Funzione energia Sia L = L (q, q , t) la lagrangiana di un sistema con n gradi di libert, dove q = (q1 , . . . , qn ). Si ha che
n dL = dt k =1

L L qk + q k k qk q

L . t
L qk

Poich per k = 1, . . . n si ha, dalle equazioni di Lagrange,


n dL = dt k =1

d L k dt q

allora:

d L dt qk

qk +

n L L d k + q = qk t dt k =1

L q qk k

L t

d dt

k =1

qk qk L
n

L = 0. t

(2.12)

Chiamiamo funzione energia la quantit h ( q, q , t) =

k =1

qk qk L.

Allora la relazione (2.12) si scrive anche: dh L = . dt t


L Se L = L (q, q ), cio se t = 0, h una costante del moto. Sotto opportune ipotesi h proprio lenergia totale del sistema. Se lenergia cinetica una funzione k q j con Akj = A jk , e omogenea di secondo grado delle qk , cio T = n k , j =1 A i ,k ( q , t ) q n L L k e quindi in=1 i = se il potenziale V non dipende da q , allora q i = 2 k =1 Aik q i q q 2T . Allora

h=

i =1

L = 2T T + V = T + V q q i i

che lenergia totale del sistema. Se la lagrangiana non dipende esplicitamente dal tempo abbiamo allora che lenergia del sistema una costante del moto.

25

APPLICAZIONI DELLE EQUAZIONI DI LAGRANGE

3
(3.1)

3.1

problema dei due corpi

Supponiamo di avere un sistema isolato di due particelle di massa m1 ed m2 , soggette alla mutua interazione di natura conservativa. Rispetto ad un osservatore O inerziale indichiamo con r1 ed r2 i vettori posizione delle due particelle. Il vettore posizione del centro di massa : R= m1 r1 + m2 r2 , m1 + m2

mentre il vettore posizione relativo dato da r = r2 r1 . Possiamo esprimere r1 ed r2 mediante i vettori appena introdotti: r1 = R m2 r, m1 + m2 m1 r. r2 = R + m1 + m2 (3.2)

(3.3)

Assumiamo che lenergia potenziale (relativa alla mutua interazione) abbia la seguente propriet: U = U ( r ). (3.4)

La forza agente sulla particella 2 data da F2 = r2 U (r) = r U (r), mentre la forza agente sulla particella 1 F1 = r1 U (r) = r U (r). Abbiamo pertanto F1 + F2 = 0 (forma debole del principio di azione e reazione). Notiamo che se U = F1 (forma forte del principio di azione e reazione). U = U (r ) allora F2 = d dr r La lagrangiana del sistema delle due particelle L= 1 1 m1 r 2
2

1 2 + m2 r 2

U ( r ).

(3.5)

Sulla base delle relazioni (3.3), la (3.5) si pu scrivere come L= m1 + m2 R 2


2

1 m1 m2 r 2 m1 + m2

U (r)

(3.6)

m1 m2 1 1 1 La quantit = m detta massa ridotta (si noti che = m +m e che se 2 1 + m2 1 m2 m1 , allora r1 R e m2 ). = V costante, essendo R ciclica. Il cenDallespressione (3.6) si deduce che R tro di massa perci in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme. Possiamo

27

applicazioni delle equazioni di lagrange

prendere in ogni caso come sistema di riferimento proprio quello del centro di massa, avendo dunque la lagrangiana nella forma: L= 1 r 2
2

U ( r ).

interessante notare come il problema dei due corpi si riconduca al problema di una particella di massa pari alla massa ridotta immersa in un campo esterno. 3.1.1 Movimento in un campo centrale Si abbia una particella P di massa m (che possiamo riguardare anche come la massa ridotta di due particelle puntiformi) in un campo esterno. Assumiamo che tale campo sia conservativo e che lenergia potenziale (o potenziale) dipenda solo dalla distanza della particella P da un punto O, sso rispetto ad un sistema di riferimento inerziale. Chiamiamo come al solito vettore posizione della particella il vettore velocit. Abbiamo allora: r = OP e v = r L= 1 2 mv U (r ), 2

dove U (r ) lenergia potenziale. La forza agente sulla particella F = U (r ) = dU . r dr

Essa centrale e il centro della forza il punto O. Notiamo che lenergia potenziale ha simmetria sferica, dunque ogni soluzione delle equazioni del moto deve essere invariante per rotazioni attorno ad un asse arbitrario passante per O. Il momento angolare della particella P rispetto ad O, cio l = mr v = r p (con p quantit di moto della particella), si conserva. Si dimostra facilmente che il moto si svolge in un piano (piano dellorbita) ortogonale alla direzione (costante) di l, sempre che l = 0. Se l = 0, r parallelo a p e il moto unidimensionale. Supponiamo che l = l0 = 0 (l0 costante). Il sistema ha due gradi di libert, considerato che il moto avviene in un piano. Possiamo, pertanto, esprimere la lagrangiana in coordinate polari: L= 1 2 ) U (r ). 2 + r2 m (r 2
L

(3.7) = mr2

Si vede subito che ciclica e dunque il suo momento coniugato p = costante. Osserviamo che = l0 p = mr2

(3.8)

1 l0 1 2 che costante. Notiamo, per inciso, che 2 m = 2 r la cosiddetta velocit areolare ed una costante del moto. Abbiamo cos ottenuto, in modo semplice, la seconda legge di Keplero:

28

3.1 problema dei due corpi

Il vettore posizione della particella (o di un pianeta considerato puntiforme) rispetto al centro dellorbita (o centro della forza) spazza aree uguali in intervalli di tempo uguali. Osservazione. Questa legge stata ottenuta semplicemente supponendo che la forza agente sulle particelle sia centrale (senza assegnare la dipendenza esplicita da r). Utilizzando le equazioni di Lagrange d dt L r

L =0 r

2 + mr mr

U ( r ) = 0. r

(3.9)

Per la (3.8) abbiamo 2 = mr


2 l0 . mr3

Allora la (3.9) pu essere riscritta nel modo seguente: mr


2 l0 U ( r ) + = 0. 3 mr r

Osserviamo che nel nostro caso la lagrangiana non dipende esplicitamente dal tempo e che lenergia cinetica una funzione omogenea di secondo grado rispetto . Ne consegue che la funzione energia h una costante del moto ed proprio e ar lenergia totale della particella E. Possiamo, allora, osservare: E= L L + L = r r 2 1 l0 1 2 ) + U (r ) = 1 mr 2 + r2 2 + = m (r + U (r ) 2 2 2 mr2

(3.10)

dove abbiamo tenuto conto della (3.8). Osservazione. Grazie alla conservazione del momento angolare, il moto come unidimensionale con un potenziale efcace Ueff (r ) =
2 1 l0 + U (r ). 2 mr2

(3.11)

Se r (0) = r0 , supposto che nellintervallo di tempo considerato r = r (t) crescente,


dr dt

=
t=

2 m (E r (t) r0

Ueff (r )) e, quindi,
dr
2 m (E

(3.12)

Ueff (r ))

29

applicazioni delle equazioni di lagrange

Si pu ricavare anche lanomalia in funzione di r. Infatti dalla (3.8) otteniamo: d = l0 1 l0 1 dt = 2 mr m r2 dr


2 m (E

Ueff (r ))

(abbiamo qui considerato un intervallo di tempo in cui r = r (t) crescente) e, di conseguenza, (r ) (r0 ) = l0 m
r (t) r0

1 r2

dr
2 m (E

Ueff (r ))

Se il dominio di variazione di r ha due limiti, rmin ed rmax , il movimento limitato e tutta lorbita contenuta nella corona circolare centrata in O, con raggio interno rmin e raggio esterno rmax . Questo discorso non vuol dire affatto che lorbita, nel caso di moto limitato, chiusa. Perch ci accada, necessario e sufciente che = 2 l0 m
rmax rmin

1 r2

dr
2 m (E

= 2

Ueff (r ))

j n

(3.13)

con j, n N. Ricordiamo, per inciso, che lanomalia denita sempre a meno di multipli di 2 . Ora, se indichiamo con T0 = 2
rmax rmin 2 m (E

dr

(3.14)

Ueff (r ))

il periodo della funzione r = r (t) (stiamo supponendo che il moto sia limitato e che r [rmin , rmax ]), dopo un tempo pari a nT0 , si avr una variazione di pari a 2 j (multiplo di 2 ) e, pertanto, il vettore posizione ritorner ad essere quello iniziale, cio r(nT0 ) = r(0). In generale, per un potenziale generico U (r ), supponendo lesistenza di moti limitati, la traiettoria non unorbita chiusa.

Teorema [Bertrand] - Le uniche forze centrali che danno luogo ad orbite chiuse per ogni condizione iniziale corrispondente a moti limitati sono: quella proporzionale allinverso del quadrato di r (come la forza gravitazionale); quella corrispondente alla legge di Hooke (dipendenza lineare da r). o, in modo equivalente, U (r ) = k Supponiamo ora che F = rk2 r r , con k > 0. Per il teorema di Bertrand, le orbite relative a moti limitati sono chiuse. Il potenziale efcace, in questo caso, : Ueff =
2 1 l0 k . 2 mr2 r
2 l0 mk ,

Per r = r0 =

mk Ueff ha il valore minimo, esattamente pari a 1 2 l 2 . Dal graco


0

di Ueff possiamo ricavare le seguenti informazioni:

30

3.2 piccole oscillazioni

Figura 5.:

Andamento del potenziale efcace nel problema dei due corpi.


2

1 mk (t) = 0 r (t) = r0 costante. In questo caso lorbita della E = E0 = 2 ,r l2


0

particella circolare. Il moto circolare uniforme con frequenza = (questa espressione discende in modo immediato dalla (3.8)). Se E = E1
2

l0 2 mr0

mk 1 2 , 0 , il moto limitato con r [r min , r max ]. Si pu 2 l0 dimostrare che la traiettoria unellisse.

Se E = E2 0, r (t) inferiormente limitato e superiormente non limitato. Si pu dimostrare che la traiettoria per E2 = 0 una parabola e per E2 > 0 uniperbole. Unaltra costante del moto il vettore di Laplace-Runge-Lenz dato da: . A = p L mk r 3.2 piccole oscillazioni

3.2.1 Impostazione del problema Supponiamo di avere un sistema di N particelle con vincoli olonomi e scleronomi con n gradi di libert, soggette a forze conservative. Indichiamo con q1 , q2 . . . qn le coordinate generalizzate e con V = V (q1 , . . . qn ) lenergia potenziale. Il sistema si dice in equilibrio nella congurazione q0 = (q01 , . . . , q0n ) se le forze generalizzate che agiscono su di esso sono nulle, ossia: Qj = V ( q ) q j

= 0.
q = q0

( j)

Lenergia potenziale nella congurazione di equilibrio q0 ha un valore estremale o in generale stazionario. Se tutte le velocit generalizzate nella congurazione di equilibrio sono nulle, il sistema rimarr nella posizione di equilibrio per un

31

applicazioni delle equazioni di lagrange

tempo indenito. Una congurazione di equilibrio si dice stabile se una piccola perturbazione del sistema provoca un moto che raggiunge congurazioni vicine; al contrario si dir instabile se una perturbazione innitesima provoca un allontanamento indenito da tale congurazione. Noi intendiamo studiare il moto del sistema nelle immediate vicinanze di una congurazione di equilibrio stabile, dove lenergia potenziale ha un minimo. Indichiamo con i gli spostamenti delle coordinate generalizzate dallequilibrio; ovvero i: q i = q 0i + i . Consideriamo lo sviluppo dellenergia potenziale1 attorno alla congurazione di equilibrio stabile q0 : V (q1 , . . . qn ) = V (q01 , . . . q0n ) + Poich per ipotesi
V ( q ) q j q=q 0 n

j =1

V q j

j +
q = q0

1 2

j,k =1

2 V q j qk

j k + . . .
q = q0

= 0 j e V (q01 , . . . q0n ) una costante che pu

essere posta uguale a zero senza perdere in generalit2 , abbiamo in denitiva, fermandoci al termine quadratico dello sviluppo: V ( q1 , . . . q n ) = 1 2

j,k =1

2 V q j qk

j k =
q = q0

1 2

j,k =1

V jk j k .

(3.15)

La matrice V = (V jk ) una matrice simmetrica e reale. La condizione che q0 sia una congurazione di minimo implica che = (1 , . . . n ) Rn si abbia T V = n j,k =1 V jk j k 0, ovvero V semidenita positiva. Anche lenergia cinetica pu essere sviluppata in modo simile. Mostriamo prima che in presenza di vincoli olonomi e scleronomi lenergia cinetica una forma quadratica omogenea delle velocit generalizzate. Infatti, detta mk la massa della k-esima particella e vk la sua velocit3 : T= 1 N 1 N 1 N 2 m v m v v = = k k 2 k k k 2 mk 2k =1 k =1 k =1
rk j q j q

i =1 j =1

i q j qki qkj q
rk rk i q j. qi q j q

r r

dove si ricordato che vk = n j =1 T= 1 n n 2 i =1 j =1

n n v2 k = i =1 j =1

Ne consegue:

k =1

mk qki qkj

r r

i q j q

che quanto era nostra intenzione dimostrare.


1 Supponiamo sempre le funzioni che trattiamo di grado opportuno. 2 Ricordiamo infatti che lenergia potenziale denita a meno di una costante additiva. 3 Indichiamo con rk il vettore posizione della k-esima particella rispetto ad un punto O solidale con un sistema di riferimento inerziale

32

3.2 piccole oscillazioni

Considerando ora spostamenti i rispetto alla congurazione di equilibrio e i , abbiamo: fermandoci al primo termine (quadratico) nelle T= 1 n 2 i, j =1

k =1

mk

rk rk qi q j

i j =
q = q0

1 n i j. Tij 2 i, j =1

(3.16)

La matrice (costante) T = (Tij ) simmetrica, reale ed denita positiva in senso stretto. Pertanto i suoi autovalori sono reali e strettamente positivi e quindi T senzaltro diagonalizzabile. La lagrangiana del sistema nelle approssimazioni fatte pu scriversi: L= 1 n 1 n T Vkj k j . j kj k 2 k 2 k , j =1 , j =1 (3.17)

Si vede che le i assumono de facto il ruolo di nuove coordinate generalizzate. La k-esima equazione di Lagrange assume la forma: 1 2 j Vkj j = 0. Tkj 2
j =1 n

(3.18)

j =1

Posto (t) = (1 (t), . . . , n (t)), linsieme delle equazioni pu essere sintetizzato nella scrittura T (t) + V(t) = 0. (3.19)

Le equazioni (3.18) (o lequazione matriciale (3.19)) sono equazioni differenziali del secondo ordine lineari a coefcienti costanti omogenee. Vedremo, ora, come sia possibile scrivere un sistema di n equazioni differenziali del secondo ordine lineari disaccoppiate perfettamente equivalente al sistema trovato. Cerchiamo soluzioni delle (3.19) del tipo: = a ei t (3.20)

con R e a Rn {0} costante4 . Richiedendo che la (3.20) sia soluzione della (3.19) otteniamo:

( 2 T + V ) a ei t = 0 ( V 2 T ) a = 0

(3.21)

dove 2 = ha il signicato di autovalore e a di autovettore corrispondente. Non si tratta per di un classico problema agli autovalori: infatti si tratta qui di determinare gli autovalori della matrice V rispetto alla matrice T5 . Sar importante far vedere che tutti i nostri autovalori sono maggiori o uguali a zero,
4 Una soluzione sicamente accettabile deve essere reale; naturalmente la parte reale della (3.20) che descrive il sistema. 5 Avremmo ancora il classico problema agli autovalori se T fosse proporzionale alla matrice identit In .

33

applicazioni delle equazioni di lagrange

perch altrimenti non sarebbe reale6 . Gli autovalori di V rispetto a T sono dati dallequazione: det(V T) = 0. Ora, come detto T diagonalizzabile, ovvero detta M = Diag(1 , . . . n ), dove k = 1, . . . n, k > 0 sono gli autovalori di T non tutti necessariamente distinti, esiste una trasformazione di similitudine U matrice ortogonale a valori reali, tale che: T = U T MU. (3.22)

Ovviamente se T gi diagonale, allora T = M e U = In . Deniamo inoltre M1 = Diag( 1 , . . . n ). Si vede immediatamente che M1 simmetrica a valori reali positivi e che M = M2 1 . La (3.22) pu essere riscritta: T = U T M1 M1 U = ( M1 U ) T M1 U. (3.23)

la matrice simmetrica a valori reali denita positiva non in senso stretto, Sia V che soddisfa la seguente relazione: 1 U. V = (M1 U)T VM (3.24)

e V sono legate da una trasformazione di congruenza. In base alle Pertanto V (3.23) e alle (3.24), lequazione del determinante 1 U ( M1 U ) T M1 U ] = 0 det[(M1 U)T VM I] det[M1 U] = 0 det[(M1 U)T ] det[V I] = 0 det[V ovvero trovare gli autovalori di V rispetto a T vuol dire trovare gli autovalori . I suoi autovalori saranno necessariamente, in virt delle (nel senso usuale) di V propriet gi citate, maggiori o uguali a zero. Ritorniamo ora allequazione di Lagrange (3.19), che pu essere riscritta per le (3.23) e (3.24): 1 U(t) = 0 ( M1 U ) T M1 U (t) + (M1 U)T VM 1 U(t)] = 0 ( M1 U ) T [ M1 U (t) + VM 1 U(t) = 0 M1 U (t) + VM Se poniamo M1 U(t) = (t), otteniamo (ricordando che M1 U una matrice costante) (t) + V ( t ) = 0. (3.25)

6 Se ci avvenisse avremmo un moto con andamento esponenziale (crescente o decrescente) con conseguente allontanamento dalla posizione di equilibrio.

34

3.2 piccole oscillazioni

non tutti necesSia = Diag(1 , . . . n ) matrice diagonale degli autovalori di V diagonasariamente distinti ma tutti maggiori o uguali a zero. Esiste (essendo V lizzabile) una matrice ortogonale S tale che = S T S. V Lequazione (3.25) diventa perci: (t) + S T S(t) = 0 S ( t ) + S ( t ) = 0. Posto Q(t) = S(t) abbiamo in denitiva (t) + Q(t) = 0 Q
2: ovvero k, ricordando che k = k

(3.26)

k (t) + 2 Qk (t) = 0 Q k

(3.27)

cio n oscillatori armonici disaccoppiati; ciascuno di essi vibra con una propria frequenza (modo normale). Le Qk vengono dette coordinate normali o principali. 2 non sono tutte necessariamente distinte. Osserviamo che le k 3.2.2 Riepilogo Q(t) = S(t) = (SM1 U)(t). Osserviamo che se T = In , con > 0, allora M1 = S(t). (0), stato iniziale, si ha: Se sono noti (0), Q(0) =(SM1 U)(0), (0) =(SM1 U) Q (0). Possiamo allora risolvere il sistema (3.26) con queste condizioni iniziali. Determinato Q = Q(t), abbiamo poi: (t) = S(t) = (SM1 U)1 Q(t). 3.2.3 Osservazioni Abbiamo ottenuto, in concreto, nelle pagine precedenti il seguente risultato, noto in algebra lineare: Siano date due matrici n n simmetriche a valori reali, la prima T denita positiva e la seconda V semidenita positiva. Allora esiste una matrice invertibile a valori reali C tale che C T TC = I (3.29)

(3.28) In , U = In e Q(t) =

C T VC = Diag(1 , . . . n ) =

(3.30)

dove i j 0 sono le radici dellequazione caratteristica det(V T) = 0.

35

applicazioni delle equazioni di lagrange

Possiamo ovviamente scrivere j = 2 j , con j 0. facile far vedere, usando 1 le notazioni precedenti, che C = SM1 U. In base alle relazioni (3.29) e (3.30) si ottengono in modo agevolo ed immediato i modi normali di vibrazione. Infatti: T (t) + V(t) = 0 CT T (t) + C T V(t) = 0 C T TCC1 (t) + C T VCC1 (t) = 0 C 1 (t) + C1 (t) = 0 (Q = C1 ) (t) + Q(t) = 0 Q 3.2.4 Un particolare problema

Figura 6.:

Schema del problema.

Siano dati N + 1 oscillatori di costante k vincolati agli estremi come in gura. Siano gli N oggetti ad essi vincolati di massa m. La lunghezza a riposo di ciascuna molla sia l0 cosicch la distanza tra le pareti sia ( N + 1)l0 . Se indichiamo con q j la deviazione dalla posizione di equilibrio della j-esima particella. Allora, posto q0 = q N +1 = 0, abbiamo che U= k 2
N +1 j =1

( q j q j 1 )2 .

Con la convenzione assunta, lequazione del moto della j-esima particella : j + k (2q j q j1 q j+1 ) = 0. mq Dora in poi poniamo per semplicit nella trattazione m = 1 e k = 1. Indichiamo ora: 2 1 0 0 ... 0 0 q1 1 2 1 0 . . . 0 0 q2 q= V = 0 1 2 1 . . . 0 0 . ... ... ... ... ... ... ... ... qN 0 0 0 0 . . . 1 2

36

3.2 piccole oscillazioni

La matrice V simmetrica denita positiva. Infatti sia assegnato un vettore x di dimensioni opportune, x T Vx =
2 + ( x i x i +1 )2 + x 2 vij xi x j = x1 N 0. i, j i =1 N 1

La quantit sopra nulla solo se x il vettore nullo. Le equazioni del moto possono sintetizzarsi nella relazione: q + Vq = 0. Per risolvere il nostro problema occorre trovare gli autovalori della matrice V. Essendo la matrice simmetrica denita positiva gli autovalori saranno tutti reali e positivi. Dalla relazione (Vx)i = xi , moltiplicando per xi e sommando su i:
2 2 + ( x i x i +1 )2 + x 2 xi vij x j = xT Vx = xi2 x1 N = xi . j =1 i =1 i =1 i =1 N N N N 1 N

i =1

Perci si ha:
2 xi2 x1 +2 i =1 N N 1 i =1 2 (xi2 + xi2+1 ) + x2 N = 3 x1 + 4 N 1 i =2 2 xi2 + 3x2 N 4 xi , i =1 N

dove si tenuto conto dellovvia relazione ( xi xi+1 )2 = xi2 + xi2+1 2xi xi+1 0 xi2 + xi2+1 2xi xi+1 . Perci abbiamo che 4.7 Per trovare gli autovalori procediamo nel modo solito. Indichiamo con D N () = 2 1 = (2 )2 1. det(V I N ). Osserviamo che D1 = 2 , D2 = 1 2 In generale, vista la struttura della matrice si vede che D N () = (2 ) D N 1 () D N 2 (). Cerchiamo soluzioni del tipo D N () = N . Lequazione dopo le opportune semplicazioni diventa: 2 (2 ) + 1 = 0

(2 ) 4 = cos i sin = ei 2 dove si effettuata lopportuna sostituzione 2 cos = 2 (in virt del fatto che ]0, 4[) e si tenuto conto delle relazioni di Eulero. Ora occorre trovare a C ()eiN . Per questo imponiamo come condizioni tale che D N () = a()eiN + a iniziali i due determinanti gi noti:
= 2 e2i = (2 )2 1 = 4 cos2 1 = e2i + e2i + 1 D2 () = ae2i + a i ei = 2 = 2 cos = ei + ei D1 () = ae + a
7 In verit la disuguaglianza stretta se x non il vettore nullo. Se x1 = 0 o x N = 0, allora il fatto che la disuguaglianza sia stretta palese nellultimo passaggio. Se invece x1 = x N = 0 l segno di disuguaglianza stretta si sarebbe potuto introdurre addirittura gi al primo passaggio. 1 N 1 2 N 1 2 N 1 N 1 2 2 2 Infatti per iN =1 ( x i x i +1 ) = i =1 x i + i =1 x i +1 2 i =1 x i x i +1 2 i =1 ( x i + x i +1 ) N 1 2 N 1 2 N 1 N 1 i=1 xi + i=1 xi+1 ) + 2 i=1 xi xi+1 0 i=1 ( xi + xi+1 )2 0 in cui luguaglianza vale solo se ogni addendo nullo, ovvero xi = xi+1 , i = 1, . . . N 1. Dallipotesi x1 = x N = 0 segue che necessariamente tutti i termini devono essere nulli.

37

applicazioni delle equazioni di lagrange

1 ) e2 i = 1 ( a 1 ) e2 i + ( a 1 )e i = 0 ( a 1 ) ei + ( a
ei ,a ei e i
i eie . e i

e2i = 1 b e2 i + b e i = 0 b ei + b
e i ei e i

ove si posto b = a 1. Risolvendo il sistema si ha b() =

a =

Perci:

D N () =

2i sin [( N + 1) ] sin [( N + 1) ] ei ( N + 1 ) e i ( N + 1 ) = = i i 2i sin sin e e

Poich siamo alla ricerca degli zeri della funzione, occorre che sia ( N + 1) = m , con m {1, . . . N }. Ricordando la relazione che lega a , necessario che m m = 4 sin2 2( N . +1) Sia ora = (ij i )i, j=1,... N . Cerchiamo la matrice S tale che V = S T S. noto che per costruire la matrice S occorre disporre degli autovettori. Perci in generale da (V I)x = 0, ponendo come al solito 2 = 2 cos e x1 = sin ( 2 ) x x = 0 2 1 x1 = sin x1 + (2 ) x2 x3 = 0 x2 = 2 sin cos = sin 2 . . . . . .. x N 1 + (2 ) x N = 0 x N = sin N Possiamo perci scrivere: sin N +1 2 sin N +1 x = ... N sin N +1 dove una costante da scegliere opportunamente. Ad esempio, volendo normalizzare lautovettore:

||x||2 =

n =1

sin2 n =

1 cos n = 1. 2 n =1

Ricordando le solite identit di Eulero: 1 cos n N 1 N N 1 = + 1 e2in = +1 2 2 2 n =1 2 2 n =1 Lultima quantit pari a N 2 +1 k-esimo autovettore sin N +1 2 2 sin N (k) +1 x = . ... N+1 N sin N +1
1 2 e2i( N +1) 1 e2 i 1 N

n =1 1 2

e2 i

. Perci il

N 2

+1

N +1 2 .

N La matrice S cos determinata. Ricordando poi che Qm = n =1 Smn qn possibile individuare mediante queste trasformazioni come stimolare il sistema (ovvero come agire sulle qn ) per ottenere il moto normale associato alla coordinata Qm .

38

F O R M A L I S M O H A M I LT O N I A N O

4.1

equazioni di hamilton

Vedremo ora una formulazione diversa della meccanica, nota come formulazione hamiltoniana. La sua rilevanza risiede nel fatto che in grado di fornire unimpostazione teorica adatta ad essere estesa ad altre aree della sica. Cos, ad esempio lapproccio hamiltoniano costituisce il linguaggio con cui formulata la meccanica quantistica. Nella formulazione hamiltoniana della meccanica si descrive il modo di un sistema di particelle con un insieme di equazioni differenziali del primo ordine (ricordiamo che le equazioni di Lagrange, tipiche della formulazione lagrangiana, sono equazioni differenziali del secondo ordine). Il numero complessivo di condizioni iniziali in grado di determinare in modo univoco il moto dovr sempre essere uguale a 2n, dove n il numero di gradi di libert del sistema di particelle. Di conseguenza nellapproccio hamiltoniano dovranno esserci 2n equazioni differenziali del primo ordine, le quali descriveranno levoluzione del punto rappresentativo del sistema in uno spazio 2n-dimensionale, detto spazio delle fasi. Avremo allora 2n coordinate indipendenti in grado di denire lo stato del sistema. Un modo naturale, anche se non unico, per introdurle , nota la lagrangiana del sistema, associare ad ogni coordinata generalizzata qk , con k = 1, . . . n, unaltra L coordinata data dal momento coniugato ad essa, cio pk = k . Le variabili ( q, p ) q sono dette canoniche. Si passa, in ultima analisi, dal sistema di variabili (q, q , t ), proprio della formulazione lagrangiana, al sistema di nuove variabili (q, p, t), con il quale possiamo formulare la meccanica hamiltoniana. Il metodo che ci permette di passare da un sistema allaltro fornito dalle trasformazioni di Legendre. Studieremo prima un caso semplice, cio un sistema ad un solo grado di libert. , t) la lagrangiana del sistema. Abbiamo: Sia L = L (q, q dL = L L L L + dt = p dq + pdq + dt dq + dq q q t t
L q L q d L dt q

(4.1) e lequazio-

dove abbiamo utilizzato la denizione di momento coniugato p =

. Lhamiltoniana del sistema H(q, p, t) denita ne di Lagrange = = p mediante la seguente trasformazione detta di Legendre: L( q, q , t ). H(q, p, t) = qp (4.2)

Notiamo che lhamiltoniana risulta in realt funzione di (q, p, t) solo dopo aver ,t ) ,q in funzione di (q, p, t) utilizzando la relazione p = L(q espresso q . Valgono le q seguenti relazioni: dH = H H H dq + dp + dt q p t (4.3)

39

formalismo hamiltoniano

Inoltre, per le (4.1) e (4.2), si ha d p + pdq p dq pdq dH = q L L d p p dq dt dt = q t t (4.4)

Dal confronto tra la (4.3) e la (4.4) emerge che H( q, p, t ) =q p H( q, p, t ) = p q e H L = . t t (4.6) (4.5a) (4.5b)

Le relazioni (4.5a) e (4.5b) sono dette equazioni di Hamilton e costituiscono un sistema di due equazioni differenziali del primo ordine nelle due variabili indipendenti (coordinate canoniche) q e p. Queste nuove variabili deniscono lo stato del sistema nel cosiddetto spazio delle fasi, che ovviamente di dimensione 2. La procedura precedente si pu generalizzare al caso di un sistema avente n gradi di libert. Sia L = L (q, q , t) la lagrangiana del sistema, con q = (q1 , . . . , qn ) eq = (q1 , . . . , qn ). Si ha: dL =
n L L L d q + q j j qj dqj + t dt = j =1 j =1 n

(4.7) (4.8)

j =1

j dq j + p j dq j + p

L dt t

L L d L j ). Posto p = ( p1 , . . . , pn ), possiamo (si utilizzato qj = p j e q j = dt qj = p come prima denire lhamiltoniana del sistema in funzione di (q, p, t) mediante la trasformazione di Legendre

H ( q, p, t ) = Avremo allora dH =

j =1

, t) . qj p j L (q, q

(4.9)

j1

H H dq j + d pj q j pj

H dt t

(4.10)

e, per la (4.8) e la (4.9), dH =

j =1

j d p j + p j d q j p j q j + p j dq j q
j =1

L dt = t

(4.11) (4.12)

j =1

j d p j p j dq j q

L dt. t

40

4.1 equazioni di hamilton

Dalla (4.10) e dalla (4.12) si deduce che per i = 1, . . . n H( q, p, t ) i =q pi H( q, p, t ) i = p qi e H L = . t t (4.14) (4.13a) (4.13b)

Le equazioni (4.13a) e (4.13b) vengono chiamate, come nel caso di un solo grado di libert, equazioni di Hamilton e costituiscono 2n equazioni differenziali nelle variabili canoniche q e p. In conclusione, la costruzione dellhamiltoniana avviene attraverso i seguenti passaggi: si costruisce la lagrangiana L in funzione delle coordinate generalizzate q, delle velocit generalizzate q ed eventualmente del tempo t attraverso la relazione L = T V (supponendo le forze derivanti da un unico potenziale o potenziale generalizzato); si deniscono i momenti coniugati pi attraverso la relazione pi = L ( q, q , t) i q

(i = 1, . . . n);

(4.15)

si scrive lhamiltoniana del sistema utilizzando la trasformazione di Legendre (4.9) (ovviamente in questa scrittura intervengono q, q , p e t); a partire dalle (4.15) si cerca di ottenere q in funzione di q, p e t; con lausilio del risultato precedente si pu, inne, esprimere lhamiltoniana H in funzione di q, p e t. 4.1.1 Un esempio Supponiamo che le equazioni che deniscono le coordinate generalizzate non dipendano esplicitamente dal tempo e che le forze in gioco derivino da un potenziale V funzione solo delle coordinate generalizzate. Vogliamo vedere come possiamo scrivere lhamiltoniana del sistema. Siano n i gradi di libert e siano q1 , . . . , qn le coordinate generalizzate. semplice dimostrare che lenergia cinetica si pu scrivere T= 1 n i q j ij (q)q 2 i, j =1

dove q = (q1 , . . . , qn ). La lagrangiana data da L = T V.

41

formalismo hamiltoniano

Il momento coniugato a qi pi = L = i q

j =1

ij (q)qj .

La matrice simmetrica = ij denita positiva ed quindi invertibile. Allora j = q

i =1

ij

pi .

Si pu dimostrare che nel nostro caso lhamiltoniana uguale allenergia totale, cio H= ) = T + V. qi pi L(q, q
n

i =1

Osserviamo che T=
n 1 n ( q ) ij 1 2 i, j =1 k ,l

ik

jl

pk pl =

= =

1 n 1 2 i,k ,l =1 1 n 1 2 i, k =1

ik

il pk pl =

ik

pi p k .

In denitiva otteniamo che: H= 1 n 1 2 i, k =1 p i p k + V ( q ).

jk

Se diagonale, lo sar anche la sua inversa e dunque H= 1 n 1 2 i =1 p i 2 + V ( q ).

4.2

notazione simplettica

Le equazioni di Hamilton non trattano le coordinate generalizzate e i momenti coniugati in modo simmetrico, come si evince immediatamente dalle (4.13). Accenniamo qui brevemente ad un modo elegante di scrivere queste equazioni in forma unitaria attraverso la cosiddetta notazione simplettica. Se il sistema ha n gradi di libert, possiamo costruire un vettore colonna formato da 2n elementi (righe), e cio: i = q i , i + n = p i . (i = 1, . . . n)

42

4.3 coordinate cicliche e metodo di routh

Il vettore colonna cos costruito dato da q1 . . q.n = p1 . . . .


pn

Si ha ovviamente H H = , i qi H H = . i+n pi

(i = 1, . . . n)

Deniamo la seguente matrice 2n 2n formata da quattro matrici n n: J= 0 In In 0

dove In la matrice identit n n e 0 la matrice nulla n n. Notiamo che J T = J 1 = 0 In . In 0

Si vede che J1 = J. Allora J2 = I2n e det J = 1. La matrice J detta matrice simplettica standard. Possiamo scrivere le equazioni di Hamilton nel modo seguente k =

j =1

Jkj j
H .

2n

(k = 1, . . . 2n)

o in maniera sintetica =J

Questa notazione detta simplettica. 4.3 coordinate cicliche e metodo di routh

Sia H = H(q, p, t) lhamiltoniana del sistema di particelle con n gradi di libert, dove q = (q1 , . . . , qn ) e p = ( p1 , . . . , pn ) sono le coordinate canoniche (indipendenti). Si ha: dH = dt
n H H H j + q + . q j j p j p t j =1 j =1 n

(4.16)

Per le equazioni di Hamilton (4.13) e per la (4.14), la (4.16) diventa:


n n dH H H L jq j + q j p j + =p = = dt t t t j =1 j =1

(4.17)

43

formalismo hamiltoniano

dove L la lagrangiana del nostro sistema. Si vede, allora, che lhamiltoniana una costante del moto se non dipende in modo esplicito dal tempo (o, in maniera equivalente, se la lagrangiana non dipende esplicitamente dal tempo). Abbiamo avuto gi modo di osservare che, se le equazioni di trasformazione che deniscono le coordinate generalizzate non dipendono esplicitamente dal tempo e se il potenziale dipende solo dalle coordinate generalizzate, allora H coincide con lenergia totale ed una costante del moto. Il fatto che H coincida con lenergia totale e sia una costante del moto sono due risultati in qualche modo indipendenti. Possono cio vericarsi situazioni in cui lhamiltoniana una costante del moto ma non uguale allenergia totale, e viceversa1 . L Se qn una coordinata ciclica, allora pn = n una costante del moto. In questo q caso lhamiltoniana del sistema sar funzione della costante pn e non, ovviamente, di qn . Ponendo pn = , abbiamo H = H(q1 , . . . , qn1 ; p1 , . . . , pn1 ; , t), cio lhamiltoniana di fatto funzione di sole 2(n 1) coordinate, essendo costante. Possiamo poi studiare levoluzione temporale delle coordinate generalizzate qn H n = attraverso lequazione canonica q . Si possono combinare i vantaggi della formulazione hamiltoniana nel trattare le coordinate cicliche con quelli della formulazione lagrangiana per lo studio delle coordinate non cicliche con un metodo dovuto a Routh. In sostanza si effettua una trasformazione di Legendre per passare dal sistema (q, q ) al sistema (q, p) solo per le coordinate cicliche, ricavando per esse le equazioni del moto in forma hamiltoniana mentre le rimanenti equazioni del moto rimangono espresse in forma lagrangiana. Supponiamo che qs+1 , . . . , qn siano coordinate cicliche. Introduciamo la seguente funzione di Routh (o routhiana): 1, . . . , q s ; p s +1 , . . . , p n , t ) = R( q1 , . . . , q n ; q

j = s +1

j p j L( q1 , . . . , q n ; q 1, . . . , q n , t) (4.18) q

dove L , ovviamente, la lagrangiana del sistema (notare che nella (4.18) non stata ancora inserita linformazione che qs+1 , . . . , qn sono cicliche). Dalla (4.18) otteniamo: n s L L + j pj + q jd pj ) dR = (dq dq j + dq j j q j q j = s +1 j =1 (4.19) n L L L . dq j + dq j j q j q t j = s +1 Tenendo presente che per j = s + 1, . . . , n L = pj j q la (4.19) diventa: dR = L =0 q j jd pj q
s

j = s +1

j =1

L L dq j + dq j j q j q

L . t

(4.20)

1 Per una discussione articolata, arricchita da esempi, rimandiamo alla lettura di Herbert Goldstein et al., Meccanica Classica, Zanichelli, pagg. 328-332.

44

4.3 coordinate cicliche e metodo di routh

Dalla (4.20) si deduce che R = L q j q j per j = 1, . . . , s R = L j pj q

per j = s + 1, . . . , n

R = 0 q j R = q j pj

Allora le equazioni di Lagrange per j = 1, . . . , s si possono scrivere mediante la funzione di Routh: d dt R j q

R = 0. q j

In conclusione la funzione di Routh una funzione di Hamilton in rapporto alle coordinate cicliche qs+1 , . . . , qn e una funzione di Lagrange in rapporto alle coordinate non cicliche q1 , . . . , qs . Osserviamo ad abundantiam che le coordinate cicliche non compaiono esplicitamente nella lagrangiana e, quindi, nella funzione di Routh, cio: R = R( q1 , . . . , q s ; p1 , . . . p n ; t ) dove, per j = s + 1, . . . , n, p j sono integrali primi del moto. Vediamo un piccolo esempio. Una particella di massa m si muove in un campo di forze centrali il cui potenziale U = U (r ) con r distanza della particella dal centro di forza. Sappiamo che il moto avviene in un piano (sempre che il momento angolare rispetto al centro di forza, che costante, sia diverso da zero). Possiamo esprimere la lagrangiana della particella in tale piano in coordinate polari. Si ha: L= 1 2 ) U (r ). 2 + r2 m (r 2

Chiaramente una coordinata ciclica. La funzione di Routh denita nel modo seguente: p L, R= dove p = che: R=
L

il momento coniugato a . Con semplici calcoli si ricava = mr2

1 p2 1 2 + U (r ). mr 2m r 2 2
R

Osserviamo che
p . mr2

= 0 (e dunque p una costante del moto), mentre

R p

= =

Inoltre d dt R r

R = 0, r

cio mr p2 + U (r ) = 0 mr3

45

formalismo hamiltoniano

(ricordiamo che U (r )r la forza centrale agente sulla particella). Il metodo di Routh, che, in certi casi, pu tornare utile ai ni del calcolo, non , in denitiva, altro che un ibrido concettuale tra la formulazione lagrangiana e quella hamiltoniana, senza nulla aggiungere di sostanziale allanalisi ed allo studio di un sistema meccanico. 4.4 principio variazionale di hamilton modificato

Abbiamo visto che le equazioni di Lagrange possono essere ottenute dal principio t di Hamilton imponendo S = t01 L(q, q , t)dt = 0, richiedendo cio che il moto reale, fra tutti i moti ammissibili nello spazio delle congurazioni, sia quello che rende stazionaria lazione. Se vogliamo dedurre le equazioni di Hamilton da un principio variazionale occorre, in qualche modo, modicare il precedente principio, perch lintegrale possa essere valutato su percorsi del punto rappresentativo del sistema nello spazio delle fasi. Nellapproccio hamiltoniano le coordinate canoniche q e p sono considerate indipendenti nello spazio delle fasi; di conseguenza devono essere considerate indipendenti anche le loro variazioni. Lidea di considerare lazione scritta nel modo seguente: S[q(t), p(t)] =
t1 t0

j =1

j H( q, p, t ) pj q

dt

(4.21)

con (q(t0 ) = q0 , p(t0 ) = p0 ) e (q(t1 ) = q1 , p(t1 ) = p1 ). Un moto nello spazio delle fasi (q ( t ), p (t)) ammissibile se (q ( t0 ) = q0 , p ( t0 ) = p0 ) e ( q ( t1 ) = q1 , p ( t1 ) = p1 ). Il moto reale nello spazio delle fasi quello tra i moti ammissibili che rende stazionaria lazione (4.21), cio S =
t1 t0

j =1

j H( q, p, t ) pj q

dt = 0.

Questo principio variazionale di Hamilton modicato ha esattamente la stessa forma variazionale tipica in uno spazio delle congurazioni di dimensione 2n. Ripetendo i ragionamenti fatti nel secondo capitolo, otteniamo 2n equazioni di tipo Lagrange (o di Eulero-Lagrange), cio d dt k q

j =1

j H( q, p, t ) pj q

qk

j =1

j H( q, p, t ) pj q k + p

=0

H =0 qk

d dt

k p

j =1

j H( q, p, t ) pj q

pk

j =1

j H( q, p, t ) pj q k q

=0

H =0 pk

46

4.5 parentesi di poisson

che sono nellordine la seconda e la prima equazione di Hamilton. Osserviamo inne che il principio variazionale di Hamilton modicato formulato in modo tale che agli estremi per i = 1, . . . , n non solo qi = 0 ma anche pi = 0. Una conseguenza immediata di questa considerazione che, se F (q, p, t) una funzione di classe opportuna (liscia), allora j H( q, p, t ) + pj q
n

j =1

d F ( q, p, t ) dt

(4.22)

d luogo alle stesse equazioni di Hamilton. 4.5 parentesi di poisson

Supponiamo di avere un sistema lagrangiano con n gradi di libert. Indichiamo come al solito con q = (q1 , . . . , qn ) le coordinate generalizzate e con p = ( p1 , . . . , pn ) i momenti coniugati individuando cos il nostro sistema (q, p) di coordinate canoniche. Sia H(q, p, t) lhamiltoniana del sistema. Supponiamo di avere una funzione f (q, p, t) : F R R di classe opportuna, indicato con F lo spazio delle fasi. Una funzione siffatta detta anche variabile dinamica. Tenendo conto delle equazioni di Hamilton si ha: df = dt

j =1

f f j + j q p q j pj

f = t

=
dove

j =1

f H f H q j p j p j q j

f f = { f , H } q,p + t t

{ f , H } q,p =

j =1

f H f H q j p j p j q j

detta parentesi di Poisson2 di f ed H rispetto al sistema di coordinate canoniche f (q, p). Si vede subito che f una costante del moto se { f , H}q,p + t = 0. In df particolare se la variabile dinamica f non dipende esplicitamente dal tempo, dt = 0 { f , H}q,p = 0. Pi in generale, se abbiamo due variabili dinamiche f (q, p, t) e g(q, p, t), si denisce parentesi di Poisson di f e g rispetto alle coordinate canoniche (q, p) la quantit:

{ f , g} =

j =1

f g f g . q j p j p j q j

Le parentesi di Poisson godono delle seguenti propriet (siano f , g, f 1 , f 2 , g1 , g2 variabili dinamiche arbitrarie):
2 Talvolta per semplicit di notazione quando ci non comporta equivoci il pedice alle parentesi omesso. Inoltre la parentesi di Poisson talvolta indicata in letteratura con il simbolo [, ] o [, ] PB .

47

formalismo hamiltoniano

1. { f , g} = { g, f }, da cui ovviamente { f , f } = 0; 2. se c costante rispetto alle coordinate canoniche, allora { f , c} = 0; 3. { f 1 + f 2 , g} = { f 1 , g} + { f 2 , g} e { f , g1 + g2 } = { f , g1 } + { f , g2 }, ovvero le parentesi sono operatori lineari; 4. { f 1 f 2 , g } = f 1 { f 2 , g } + f 2 { f 1 , g } ; 5. si dimostra la seguente identit, per nulla banale, detta di Jacobi:

{ f , { g, h}} + { g, {h, f }} + {h, { f , g}} = 0


Valgono inoltre le seguenti relazioni:
t { f , g }

f t , g f

g + f, t ; f q j

{ f , q j } = pj e { f , p j } =

{qi , q j } = 0, { pi , p j } = 0, {qi , p j } = ij (parentesi di Poisson fondamentali). Notiamo per inciso che le equazioni di Hamilton possono essere scritte anche nel modo seguente: H pk H k = p qk k = q

= { q k , H}, = { p k , H}.

Osserviamo come lasimmetria delle equazioni di Hamilton scompaia utilizzando le parentesi di Poisson.

Esercizi 1. Dimostrare lidentit di Jacobi nel caso in cui n = 1. 2. Dimostrare che se due variabili dinamiche f e g, che non dipendono esplicitamente dal tempo, sono entrambe integrali primi del moto, allora anche { f , g} un integrale primo del moto (Suggerimento: utilizzare lidentit di df Jacobi e il fatto che dt = 0 { f , H} = 0, dove H lhamiltoniana). 3. Dimostrare che, se due variabili dinamiche f e g (in generale dipendenti dal tempo) sono entrambe integrali primi del moto, allora anche { f , g} un integrale primo del moto. 4. Sia dato un punto materiale di massa m e sia lhamiltoniana del nostro sistema H( x1 , x2 , x3 , p1 , p2 , p3 , t), in coordinate cartesiane. Dimostrare, utilizzando le parentesi di Poisson fondamentali, che { L j , pk } = jkl pl , dove jkl il simbolo di Levi-Civita, o delle permutazioni di 1,2,3. Ricordiamo che tale

48

4.6 trasformazioni canoniche

simbolo vale 1 se ( j, k, l ) una permutazione ciclica di (1, 2, 3), 1 se ( j, k, l ) una permutazione ciclica di (2, 1, 3) ed nullo altrimenti. Analogamente si pu vedere che { L j , Lk } = jkl Ll e { L j , L2 } = 0. 5. Supponiamo di avere un punto materiale in un potenziale a simmetria sferica. Si scriva in coordinate sferiche lhamiltoniana e il momento angolare della particella rispetto al centro della forza. Calcolare { L2 , H}, {L, H}. 4.6 trasformazioni canoniche

Le equazioni differenziali del moto, nel formalismo hamiltoniano, bench del primo ordine, non semplicano, in generale, i calcoli rispetto a quelle del formalismo lagrangiano. La novit nellapproccio hamiltoniano risiede nel fatto che le coordinate e i momenti coniugati hanno la stessa rilevanza. Esistono casi in cui tutte le n coordinate generalizzate sono cicliche; in tale circostanza tutti i momenti coniugati sono costanti del moto. Se poniamo per semplicit pi = i (costante) per 1 ,...,n ) i = H( i = 1, . . . , n, allora q = i , valore costante, e quindi integrando si ha i qi (t) = i t + qi (0). Abbiamo visto come sia possibile, in questo caso, integrare banalmente le equazioni del moto. Il fatto rilevante che esistono problemi meccanici (quelli cosiddetti integrabili) per i quali possibile avere n coordinate generalizzate cicliche. Naturalmente punto fondamentale saper passare da un sistema di coordinate canoniche (q, p) ad un altro sistema di coordinate canoniche (Q, P), anche per ricercare, ove esistano, coordinate generalizzate cicliche. Un modo, potremmo dire naturale, per ottenere nuove coordinate canoniche relative ad un sistema meccanico lagrangiano (e quindi hamiltoniano) di partire da trasformazioni nello spazio delle congurazioni Q = Q(q, t), esprimere la , ottenere i momenti coniugati corrispondenti tralagrangiana in termini di Q e Q L mite la relazione Pi = Q i ed inne riscrivere lhamiltoniana in funzione di ( Q, P ), nuove coordinate canoniche, ed eventualmente del tempo in modo esplicito. Si pu avere una trasformazione da un sistema di coordinate canoniche (q, p) ad un altro (Q, P) in maniera pi generale, considerando (nello spazio delle fasi) come indipendenti le coordinate generalizzate e i momenti coniugati (ricordiamo che questo assunto tipico della formulazione hamiltoniana). Si pu, in altre parole, avere nello spazio delle fasi una trasformazione simultanea delle coordinate generalizzate e dei momenti coniugati, cio: Q = Q ( q, p, t ) P = P ( q, p, t ) (4.23)

con (q, p) e (Q, P) vecchie e nuove, rispettivamente, coordinate canoniche. Trasformazioni di questo tipo, nello spazio delle fasi, sono dette canoniche e permettono, in termini delle nuove coordinate canoniche (Q, P), una nuova descrizione equivalente della dinamica del nostro sistema meccanico, se, ovviamente, esiste una nuova hamiltoniana funzione di (Q, P, t), che dia luogo alle equazioni di

49

formalismo hamiltoniano

Hamilton. Possiamo in denitiva dare la seguente denizione di trasformazione canonica: Definizione (trasformazione canonica) - Se (q, p) un sistema di coordinate canoniche con hamiltoniana H(q, p, t), Q = Q ( q, p, t ) P = P ( q, p, t ) una trasformazione canonica se esiste una nuova hamiltoniana K(Q, P, t) che permette di scrivere le equazioni del moto nella forma i = K Q Pi Pi = K con i = 1, . . . , n. Sottolineiamo una propriet rilevante delle trasformazioni canoniche (propriet che sar evidente in seguito): le trasformazioni canoniche sono indipendenti dal problema sico specico. In altre parole la trasformazione (q, p, t) (Q, P, t), se canonica per un particolare sistema meccanico, canonica per tutti i sistemi meccanici con lo stesso numero di gradi di libert. Abbiamo visto che le equazioni di Hamilton possono essere ottenute dal principio di Hamilton modicato, cio S =
t1 t0

Qi

i =1

i H( q, p, t ) pi q

dt = 0.

Analogamente, se Q e P sono le nuove coordinate canoniche e K(Q, P, t) la nuova hamiltoniana, il principio di Hamilton modicato diventa: S =
t1 t0

i =1

i K( Q, P, t ) Pi Q

dt = 0.

Poich le variazioni delle coordinate canoniche (relative a tutti i moti ammissibili nello spazio delle fasi) devono essere nulle agli estremi, deve valere (vedi (4.22)) la seguente relazione (trasformazione canonica): i K( Q, P, t ) + i H(q, p, t) = Pi Q pi q
i =1 n n

i =1

dF dt

(4.24)

dove F (q, p, t), che supponiamo liscia, detta funzione generatrice della trasformazione canonica (4.24). La relazione (4.24) pu essere scritta:

i =1

pi dqi Pi dQi (H K)dt = dF.


i =1

(4.25)

50

4.6 trasformazioni canoniche

La struttura della (4.25) induce a prendere in considerazione la sottoclasse di trasformazioni in cui possibile scegliere (q, Q) come variabili indipendenti in p luogo di (q, p). Richiediamo allora che p = p(q, Q, t) abbia3 det Q = 0 e P = P(q, Q, t). La funzione generatrice detta, in questo caso, di tipo 1. Si ha: F (q, p, t) = F (q, p(q, Q, t), t) = F1 (q, Q, t). La relazione (4.25) pu, allora, essere scritta in questo caso:

i =1

pi dqi Pi dQi (H K)dt =


i =1 n

n F1 F1 F1 dq i + d Qi + dt qi Qi t i =1 i =1

Di conseguenza, per i = 1, . . . , n: F1 qi F1 Pi = Qi F1 K = H+ . t pi = (4.26) (4.27) (4.28)

Una volta nota la funzione generatrice di tipo 1, tramite la (4.26) si ottiene p = p(q, Q, t) e P = P(q, Q, t). Invertendo poi la prima delle due equazioni appena ricavate, si ottiene Q = Q(q, p, t); si pu pertanto esprimere anche P in funzione di (q, p, t). Osserviamo che linversione garantita dalla propriet di non p 2 F1 degenerazione Q = det qQ = 0. Possiamo riassumere il discorso appena fatto nel modo seguente: Per ogni funzione F1 (q, Q, t) liscia, soggetta alle propriet di non degenerazione, la trasformazione (q, p, t) (Q, P, t), denita, per i = 1, . . . , n, da pi =
Fi qi

Fi Pi = Qi

e dalla formula inversa Q = Q(q, p, t), canonica; ad ogni hamiltonia1 na H(q, p, t) corrisponde lhamiltoniana K = H + F t . In particolare, se F1 t = 0, K = H. Ad esempio, sia F1 = qQ la funzione generatrice di tipo 1 (n = 1). Allora p = Q e P = q. Vale a dire, (q, p) ( p, q) una trasformazione canonica. Inoltre K = H. Notare che la trasformazione canonica indipendente dal sistema sico in esame.
3 Ovvero la matrice jacobiana
p Q

pk Q j

assunta non singolare.

51

formalismo hamiltoniano

Pu capitare che non sia possibile avere una funzione generatrice di tipo 1. Questo accade se p pu essere funzione di (q, P, t) e non di (q, Q, t). Allora si pu porre: F = F2 (q, P, t) Qi Pi .
i =1 n

La relazione (4.25) diventa in questo caso


& i d Qi (H K)dt = d F2 Qi d Pi P i d Qi pi dqi P& & i =1 &
n i =1 n n

& &

& &

i =1

& i =1 &

ovvero

i =1

pi dqi + Qi dPi (H K)dt = dF2 .


i =1

(4.29)

F2 detta funzione generatrice di tipo 2. Dalla (4.29) otteniamo F2 , qi F2 Qi = , Pi pi = K = H+ F2 . t (4.30) (4.31) (i = 1, . . . , n)


2

p F2 Notiamo che bisogna imporre la condizione di non degenerazione P = det qP = 0. Invertendo la (4.30) otteniamo P = P(q, p, t) e, quindi, nella (4.31) Q in funzione (q, p, t). Facciamo ora alcuni esempi per sistemi ad un grado di libert:
2 F2 = qP; allora p = F q = PeQ = canonica identica, con K = H.

F2 P

= q. Otteniamo cio la trasformazione


F2 q

2 F2 = 1 2 ( q + P ) , con > 0. Allora p = F2 P

= q + P P =

pq ,

mentre

Q = = (q + P) = (q + p q) = p. La trasformazione canonica pq dunque (q, p) ( p, ), con K = H. Pu accadere che siano scelte come variabili indipendenti p e Q. In tal caso q q = q(p, Q, t), con la condizione det Q = 0. Allora F = F3 (p, Q, t) + qi pi .
i =1 n

(4.32)

La funzione generatrice si dice in tal caso di tipo 3. La relazione (4.25) diventa per la (4.32) dq p& dq P dQi (H K)dt = d F3 + qi d pi + p& &i i &i i i
& & & &
i =1 i =1 n n n n

i =1 &

qi d pi Pi dQi (H K)dt = d F3
i =1 i =1

i =1 &

52

4.6 trasformazioni canoniche

da cui F3 , pi F3 Pi = , Qi F3 K = H+ . t qi =
2

(4.33) (4.34) (i = 1, . . . , n)

q La condizione det Q = 0 pu pertanto essere scritta, in base alla (4.33) coF3 me det pQ (condizione di non degenerazione). Proponiamo alcuni esempi di funzioni generatrici siffatte sempre nel caso di sistemi ad un grado di libert: F3 F2 F3 = pQ. Allora q = p = Q e P = Q = p. In questo caso la trasformazione canonica la trasformazione identica, cio (q, p) (q, p), con K = H. F3 p+ Q > 0 Q = ln q p e P = F2 = F3 = e p+Q . Allora q = p = e Q

e p+Q = qe p e p = q. La trasformazione canonica , allora, la seguente: (q, p) (ln q p, q), con q > 0 e K = H. Se sono scelte come variabili indipendenti p e P, abbiamo q = q(p, P, t) con la q condizione det P =0e F = F4 (p, P, t) + qi pi Qi Pi .
i =1 i =1 n n

(4.35)

La funzione generatrice detta di tipo 4. La relazione (4.25) diventa per la (4.35):


& i dq i P i d Q i (H K)dt = p& & & & = d F4 + qi d pi + p& i dqi Qi d Pi P i d Qi & &
i =1 n n n

& &

& i =1 &

& i =1 &

& &

qi d pi Qi d Pi (H K)dt = d F4
i =1 i =1

& i =1 &

i =1

& i =1 &

da cui F4 , pi F4 Qi = , Pi F4 K = H+ t qi = (4.36) (4.37) (i = 1, . . . , n)


2

q F4 La condizione det P = 0 pu essere scritta in base alla (4.36) come det Pp = 0. F4 Ad esempio, se, per n = 1, F4 = pP, allora q = p = P P = q e F4 P

Q=

= p. La trasformazione canonica , pertanto, la seguente: (q, p) ( p, q),

53

formalismo hamiltoniano

con K = H. Osserviamo, inne, che una funzione generatrice non deve essere necessariamente una dei quattro tipi per tutti i gradi di libert. Si pu usare una funzione generatrice che mescoli i quattro tipi. Cos per n = 2 F = F23 (q1 , p2 ; P1 , Q2 ; t) Q1 P1 + q2 p2 rappresenta una funzione generatrice di tipo 2 per il primo grado di libert e di tipo 3 per il secondo. Accenniamo inne (senza dimostrazioni) ad una bella propriet riguardante le parentesi di Poisson e le trasformazioni canoniche. Sia data una trasformazione canonica: Q = Q ( q, p, t ) . P = P ( q, p, t ) (4.38)

Se f (Q, P, t) e g(Q, P, t) sono due variabili dinamiche, si pu dimostrare che:

{ f ( Q , P , t ), g ( Q , P , t ) } Q,P = = { f ( Q ( q , p , t ), P ( q , p , t ), t ), g ( Q ( q , p , t ), P ( q , p , t ), t ) } q,p ,
ovvero le parentesi di Poisson sono invarianti per trasformazioni canoniche. In particolare sono invarianti per trasformazioni canoniche le parentesi fondamentali. Inoltre si pu far vedere che, se (q, p) sono coordinate canoniche, le trasformazioni (4.38) sono canoniche solo se sono soddisfatte le parentesi fondamentali per le nuove variabili. In denitiva, assegnate le trasformazioni, il test basato sulle parentesi di Poisson conclusivo per stabilire se esse sono canoniche senza passare per le funzioni generatrici o precisare specici problemi sici. 4.7 equazioni di hamilton - jacobi

Abbiamo visto che nellapproccio hamiltoniano il moto di un sistema meccanico nello spazio delle fasi con n gradi di libert determinato dalla soluzione di 2n equazioni differenziali ordinarie del primo ordine rispetto al tempo, che coinvolgono 2n variabili dipendenti dal tempo (le coordinate canoniche) ed una variabile indipendente (il tempo appunto). Vogliamo ora far vedere che lo stesso problema sico pu essere risolto in un modo completamente diverso: attraverso la determinazione di una funzione4 S(q1 , . . . qn , t) soluzione di unequazione differenziale alle derivate parziali, contenente n + 1 derivate parziali del primo ordine rispetto a q1 , . . . qn e a t. Supposta nota lhamiltoniana del sistema in esame H(q, p, t), con q = (q1 , . . . qn ) e p = ( p1 , . . . pn ) coordinate canoniche, assumiamo che esista una trasformazione canonica Q = Q(q, p, t) e P = P(q, p, t) che dia luogo ad una nuova hamiltoniana K nulla. In questo caso: i = K = 0 Q Pi i = K = 0 P Qi
4 In realt, come vedremo, S dipende in generale anche da n + 1 costanti arbitrarie

54

4.7 equazioni di hamilton - jacobi

cio Q e P sono costanti nel tempo. Se F la funzione generatrice, abbiamo la condizione F H( q, p, t ) + = 0. (4.39) t Se facciamo lipotesi che la funzione generatrice sia del secondo tipo, abbiamo che: F2 (q, P, t) . pi = qi Lequazione (4.39) pu essere pertanto riscritta: H q, F2 F2 ,t + = 0. q t (4.40)

La (4.40) nota come equazione di Hamilton-Jacobi ed , per la funzione generatrice, unequazione differenziale alle derivate parziali prime nelle n + 1 variabili (q1 , . . . qn , t). F2 , in letteratura, indicata usualmente col simbolo S. La funzione S detta funzione principale di Hamilton. Supponiamo che esista una soluzione completa del tipo S = S(q1 , . . . qn ; 1 , . . . n+1 ; t) dove 1 , . . . n+1 sono costanti di integrazione indipendenti. Lequazione di Hamilton-Jacobi non d informazioni sui nuovi momenti Pi da cui dovrebbe dipendere S. Sappiamo che questi nuovi momenti sono tutti costanti. Osserviamo che nella (4.40) la funzione S non compare direttamente ma solo mediante le derivate parziali rispetto a qi e a t. Allora, se S soluzione dellequazione di Hamilton-Jacobi, anche S+costante soluzione. Questa propriet implica che una delle n + 1 costanti di integrazione deve comparire come costante additiva. Si pu, allora, scegliere una soluzione completa che dipende da n costanti indipendenti, cio: S = S ( q1 , . . . q n ; 1 , . . . n ; t ). (4.41)

Possiamo benissimo scegliere queste costanti esattamente uguali ai nuovi momenti: Pi = i . Questa scelta non contraddice lipotesi iniziale che la funzione generatrice della trasformazione canonica sia di tipo 2 e quindi che p = p(q, P, t). Si possono scegliere i nuovi momenti, essendo costanti, assegnando al tempo t = 0 q e p. In particolare, sappiamo che pi = S ( q; ; t ) qi (4.42)

con = (1 , . . . , n ); invertendo la (4.42) possiamo ottenere al tempo t = 0 in funzione di q e p. Le nuove coordinate generalizzate sono date da: S = i (costanti). (4.43) i Le costanti i possono essere calcolate conoscendo i valori al tempo t = 0 delle coordinate canoniche. Possiamo poi, invertendo le trasformazione canoniche, esprimere le vecchie coordinate canoniche (q, p) in funzione delle nuove5 ( , ): Qi = q = q ( , , t ) . p = p ( , , t )
5 = ( 1 , . . . n ), = ( 1 , . . . n ).

(4.44)

55

formalismo hamiltoniano

Queste relazioni ci dicono che possiamo ottenere, mediante una trasformazione canonica, le coordinate canoniche (q, p) in funzione del tempo, cio di determinare il moto del sistema nello spazio delle fasi una volta che siano assegnate le condizioni iniziali. Le relazioni (4.44) ci danno, in altre parole, la soluzione delle equazioni di Hamilton, noti q(0) e p(0). Da un punto di vista matematico abbiamo ottenuto unequivalenza tra unequazione differenziale alle derivate parziali in n + 1 variabili del primo ordine e 2n equazioni differenziali ordinarie del primo ordine. Questa equivalenza pu essere, nel nostro caso, imputata al fatto che sia lequazione di Hamilton-Jacobi sia le equazioni di Hamilton derivano dal medesimo principio di Hamilton modicato. Possiamo ora cercare di comprendere il signicato sico della funzione generatrice del secondo tipo S. Osserviamo che, essendo quantit costanti, dS ( q, , t ) = dt i + qi q
i

S . t

(4.45)

Se teniamo presenti le (4.42), la (4.45) diventa: dS ( q, , t ) = dt i + pi q


i

S = t

i H pi q
i

(4.46)

dove abbiamo tenuto conto della (4.39). Balza evidente dalla (4.46) e da quanto detto sul principio di Hamilton modicato che S rappresenti (a meno di costanti additive) lazione. Vediamo un caso particolare. Supponiamo che H non dipenda esplicitamente dal tempo. Allora la funzione principale di Hamilton deve avere la seguente struttura: S(q, , t) = W (q, ) at dove W (q, ) detta funzione caratteristica di Hamilton. Osserviamo che pi = Allora 4.8
dW dt

(4.47)

S W = . qi qi

W i qi q

i e quindi W = = pi q

p i dq i .

variabili angolo - azione nel caso unidimensionale

Sia H(q, p) lhamiltoniana nel nostro sistema ad un solo grado di libert, con (q, p) coordinate canoniche. Supponiamo che il sistema abbia un moto periodico e che esista una trasformazione canonica (indipendente dal tempo) (q, p) (, J ), indotta da una funzione generatrice di tipo 1 F1 (q, ) indipendente dal tempo, in modo tale che sia ciclica6 . Ovviamente il nuovo momento coniugato J una costante del mo = H( J) = to e H = H( J ). Abbiamo, per la prima equazione di Hamilton, J (costante), da cui (t) = t + 0 .
6 Ricordiamo che lhamiltoniana non cambia, cio K = H.

56

4.8 variabili angolo - azione nel caso unidimensionale

Poich, per ipotesi, il moto periodico, le coordiante canoniche q e p saranno funzioni periodiche. Avremo come conseguenza che il moto deve essere periodico in . Assumiamo che il periodo sia 2 . La nuova coordinata generalizzata detta variabile angolo, mentre J detta variabile azione ed assume il ruolo di momento angolare. Per quanto detto, F1 (q, ) deve essere periodica rispetto a di periodo 2 : d F1 = F1 F1 dq + d = pdq J d. q

Dopo un periodo, F1 torna al valore iniziale e consegue una variazione di 2 . 0= d F1 = pdq J


2 0

d =

pdq 2 J J =

1 2

pdq.

Questa relazione pu essere presa proprio come denizione della variabile azione. 4.8.1 Esempio: loscillatore armonico unidimensionale Loscillatore armonico unidimensionale ha hamiltoniana H= 1 2 1 2 p + kq , 2m 2
k m

dove m la massa della particella e k > 0 una costante. Possiamo porre 2 = e riscrivere lhamiltoniana: H= 1 2 1 2 2 p + mq = E 2m 2

E costante e il suo valore ssato dalle condizioni iniziali. Pertanto: p= 2mE m2 2 q2 d F1 = pdq J d = d.
m 2 E q.

F1 (q, ) =

=
Per calcolare I = I=

2mE m2 2 q2 dq J

2mE m2 2 q2 dq, poniamo sin = 1 m 2 q2 2E dq = 2E cos2 d = E

Allora ,

2mE

sin 2 2

m dove ovviamente = arcsin 2E q . Osserviamo che in questi casi abbiamo 1 1 E J = 2 pdq = 2 pdq = , cio E = J . In base poi al calcolo di I possiamo scrivere esplicitamente F1 (q, ) in funzione di e , cio:

F1 =

sin 2 2

J .

57

formalismo hamiltoniano
E Poich F1 deve essere una funzione periodica, J = J ( ) = 0 cio = . m E In base a questultimo risultato, F1 = sin cos . Poich sin = sin = 2 E q,

E=

m 2 q2 sin

e, in denitiva, 1 m q2 cot . 2

F1 (q, ) = Allora p=

F1 = m q cot q 1 q2 F1 = m 2 2 sin

J =

1 = m q2 (1 + cot2 ) 2 1 1 p2 E = m q2 + = . 2 2 m In conclusione = arccot m q


1 J=2 m q2 + p
2 1 p 2 m

58

BIBLIOGRAFIA

[1] H. Goldstein, C. Poole, J. Safko: Meccanica Classica, Zanichelli, II edizione. : Meccanica, Editori riuniti. [2] L. D. Landau, E. M. Lifsic [3] V. I. Arnold: Metodi matematici della meccanica classica, Editori riuniti. [4] M. Anselmino, S. Costa, E. Predazzi: Origine classica della sica moderna, Levrotto & Bella (contenente una trattazione su tutti gli argomenti del corso). [5] A. Fasano, S. Marmi: Meccanica analitica, Bollati Boringhieri.

59

Parte II R E L AT I V I T R I S T R E T TA E I N T R O D U Z I O N E A L L A MECCANICA QUANTISTICA

R E L AT I V I T S P E C I A L E

Avvertenza! In questo capitolo indicheremo i tensori in grassetto, v, mentre i vettori saranno indicati secondo la notazione v.

5.1

trasformazioni di lorentz

5.1.1 Premessa Le equazioni di Maxwell, che hanno permesso di unicare sia i campi elettrici e magnetici sia lottica geometrica, non sono invarianti per trasformazioni di Galileo. Premettiamo due semplici considerazioni. Nelle equazioni compare esplicitamente la velocit di propagazione dei segnali elettromagnetici: c = 01 0 . Secondo il principio di relativit di Galileo passando da un sistema di riferimento inerziale ad un altro le velocit si sommano come vettori, dunque la velocit di un segnale luminoso dipende dal sistema di riferimento inerziale e sar diversa al cambiare del sistema. La spiegazione che si dette sulla comparsa del modulo della velocit di un segnale elettromagnetico nelle equazioni si bas sullesistenza di un mezzo (estremamente rigido e rarefatto) le cui deformazioni dovrebbero corrispondere ai campi elettromagnetici. Il mezzo come sappiamo fu chiamato etere e si pose il problema di individuare il sistema di riferimento ad esso solidale. Le equazioni di Maxwell, cos come formulate, dovevano essere valide in tale sistema di riferimento. La presenza di asimmetrie in alcuni fenomeni elettromagnetici, quando si passa da un sistema di riferimento inerziale ad un altro, non trova una spiegazione nellambito della teoria della relativit di Galileo. Ad esempio, una carica puntiforme q ferma in un sistema di riferimento inerziale genera un campo elettrostatico, ma la stessa carica per un altro sistema di riferimento inerziale in moto e genera anche un campo magnetico. Inoltre lesperimento di Michelson e Morley dimostr, senza ombra di dubbio, che letere non esiste e che la velocit della luce (nel vuoto) non dipende dalla velocit della sorgente. 5.1.2 Concetto di evento Lidea che alla base della teoria della relativit di decomporre tutto ci che accade in eventi. Un evento rappresenta la minima determinazione possibile, individuata dallassegnazione di tre coordinate spaziali ed una temporale. In altre

63

relativit speciale

parole, un evento un qualcosa che accade in un dato punto dello spazio in un particolare istante di tempo. Se abbiamo un sistema di assi cartesiani Oxyz, un evento una quaterna di numeri ( x, y, z, t). Tutto ci che accade deve ammettere una descrizione in termini di relazioni o coincidenze tra eventi. Linsieme degli eventi costituisce lo spaziotempo. 5.1.3 Principio di inerzia Postuliamo lesistenza di una particolare classe di sistemi di riferimento, rispetto ad ognuno dei quali tutti i punti materiali isolati o sono fermi o si muovono con velocit vettoriale costante. Questi sistemi di riferimento sono detti, come ben sappiamo, inerziali. Dobbiamo altres assumere (per misurare lunghezze e intervalli di tempo) che si abbia una classe di regoli rigidi ideali ed una classe di orologi ideali. Due regoli ideali hanno la propriet di essere della medesima lunghezza se sono in quiete, indipendentemente dalla loro storia passata. Analogamente, due orologi ideali battono il tempo nello stesso modo se sono in quiete, a prescindere dalla loro storia passata. Noi supporremo che in ogni luogo di un sistema di riferimento vi sia un orologio in quiete. Il grosso problema quello di sincronizzare tutti questi orologi ideali. Un modo per sincronizzare due orologi, uno posto in A e laltro posto in B A, solidali con il nostro sistema di riferimento inerziale, pu essere il seguente: lanciamo da A verso B un segnale elettromagnetico (supposta nota la velocit della luce1 ), sincronizziamo lorologio in B con quello in A tenendo conto della distanza tra A e B e del tempo impiegato dal segnale a raggiungere B. Noi affrontiamo lo studio della cosiddetta Relativit Ristretta o Speciale, che si occupa del rapporto esistente fra la descrizione dei fenomeni sici compiute da osservatori solidali con sistemi di riferimento inerziali. La Relativit Generale avr lo scopo di estendere lo studio ad osservatori non inerziali. 5.1.4 Postulati della Relativit Ristretta e trasformazioni di Lorentz Oltre al principio dinerzia, alla base della relativit ristretta vi sono due postulati: Primo postulato: principio di relativit - Le leggi della Fisica sono le stesse in tutti i riferimenti inerziali. Secondo postulato: costanza della velocit della luce - La velocit della luce nel vuoto assume lo stesso valore, indipendentemente dalla direzione, in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Vediamo, ora, come ottenere le trasformazioni di Lorentz utilizzando i postulati della relativit ristretta, supponendo che il tempo sia omogeneo e che lo spazio sia omogeneo e isotropo. Supponiamo di avere due sistemi di riferimento inerziali
1 Per misurare la velocit del segnale pu essere usato un solo orologio, sempre che il percorso seguito dal segnale sia chiuso.

64

5.1 trasformazioni di lorentz

Figura 7.:

Rappresentazione dei sistemi di riferimento in esame.

S(Oxyz) e S (O x y z ), il quale si muove rispetto al primo con velocit costante v diretta lungo la direzione positiva delle x in modo che x x (vedi gura 7). Un evento caratterizzato in S dalle coordinate spaziotemporali ( x, y, z, t). Lo stesso evento avr in S coordinate spaziotemporali ( x , y , z , t ). Cerchiamo le relazioni x = x ( x , y, z, t ), y = y ( x , y, z, t ), z = z ( x , y, z, t ), t = t ( x , y, z, t ), sulla base dei due postulati. Supponiamo che si sia proceduto a sincronizzare gli orologi in ognuno dei due sistemi di riferimento inerziali e che quando O O, t = t = 0 ( il modo pi semplice di sincronizzare due orologi2 uno solidale con S, laltro solidale con S ). Osserviamo che poich lo spazio isotropo abbiamo potuto scegliere, assolutamente in generalit, i due sistemi inerziali come precisato sopra. Una prima osservazione: lipotesi di omogeneit dello spazio e del tempo richiede che le (5.1) siano lineari. Altre osservazioni: 1. Poich continuamente lasse x coincide con lasse x , o in modo equivalente y=0 y =0 , y e z sono espressi mediante una combinazione z=0 z =0 lineare di y e z. 2. Il piano x y (caratterizzato dallequazione z = 0) si deve trasformare nel piano x y (cio z = 0); analogamente il piano x z (caratterizzato dallequazione y = 0) si deve trasformare nel piano x z (cio y = 0). Allora y devessere proporzionale solo ad y e z deve essere proporzionale solo a z. 3. Si pu far vedere che unasta posta lungo lasse y solidale con S deve avere la stessa lunghezza in S ; ci comporta che y = y. Analogamente si prova che z = z. 4. Per ragioni di simmetria t non pu dipendere linearmente n da y n da z. Altrimenti, ad esempio, due orologi, fermi in S, uno posto sullasse delle y
2 Non assolutamente detto che due orologi, uno solidale con S e laltro con S , battano il tempo allo stesso modo.

(5.1)

65

relativit speciale

in y = +1 e laltro posto sullo stesso asse in y = 1, sarebbero in disaccordo osservati da S . Questo fatto sarebbe in contrasto con lipotesi di isotropia dello spazio. 5. Poich il punto O ed ogni altro punto del piano y z ha rispetto ad S equazione oraria x = vt, allora x , nella trasformazione cercata, deve essere proporzionale a x = vt. Le considerazioni precedenti portano a dire che le trasformazioni (5.1) devono essere, in particolare, del tipo: x = ( x vt), y = y, z = z, t = ax + bt. (5.2a) (5.2b) (5.2c) (5.2d)

Il nostro scopo ora quello di determinare le costanti , a e b utilizzando il secondo postulato della relativit. Supponiamo che, quando O O , cio al tempo t = t = 0, unonda elettromagnetica sferica venga emessa da O O . In base al secondo postulato della relativit londa elettromagnetica si propaga in tutte le direzioni con velocit c (velocit della luce nel vuoto) sia in S sia in S . Consideriamo allora un punto del fronte donda ( x, y, z) al tempo t in S. Le coordinate spaziotemporali ( x, y, z, t), che deniscono levento in S, dovranno soddisfare la seguente relazione: x 2 + y2 + z2 = c2 t2 . (5.3)

Lo stesso evento in S avr coordinate spaziotemporali ( x , y , z , t ), che, per quanto detto, dovranno essere legate dalla relazione: x 2 + y 2 + z 2 = c2 t 2 . Ponendo le (5.2) nella (5.4), otteniamo: 2 ( x vt)2 + y2 + z2 = c2 ( ax + bt)2 (5.5)
2

(5.4)

( c a ) x + y + z 2xt( v + c ab) = (c b v )t .
La relazione (5.6) deve coincidere con la (5.3) per ogni x, y, z, t. Si ha, allora, 2 2 2 c a = 1 2 v + c2 ab = 0 c2 b2 2 v2 = c2 .

2 2

2 2

2 2

(5.6)

(5.7)

Tenendo presente che se v = 0, b = 1 dalle (5.7) otteniamo: 1 = 2 1 v c2 . v a = 2 c b =

(5.8)

66

5.1 trasformazioni di lorentz

In conclusione le trasformazioni di Lorentz sono le seguenti: x = ( x vt), y = y, z = z, t = t con = 1 1


v2 c2

(5.9a) (5.9b) (5.9c)

v x , c2

(5.9d)

(5.10)

Dalle (5.9) facile ricavare le trasformazioni inverse x = ( x + vt), y=y, z=z, v t = t + 2x . c (5.11a) (5.11b) (5.11c) (5.11d)

Notiamo che se v c, allora 1 ed inoltre dalle (5.11) si riottengono le trasformazioni di Galileo. Siano ( x, y, z, t) le coordinate spaziotemporali in S di un evento e siano ( x , y , z , t ) le coordinate spaziotemporali in S dello stesso evento. Notiamo che: c2 t 2 x 2 y 2 z 2 = c2 2 t v 2 x 2 ( x vt)2 y2 z2 c2 = c2 t2 x 2 y2 z2 .

Allora c2 t2 x2 y2 z2 (che, come vedremo tra poco, pu essere riguardato come la distanza al quadrato nello spaziotempo fra il nostro evento e levento di coordinate (0, 0, 0, 0)) una quantit scalare invariante per trasformazioni di Lorentz. v c Poniamo x0 = ct e sinh = = , con = v c . Si ha ovviamente cosh = v2
1
c2

1 + sinh = . Allora le trasformazioni di Lorentz (relativamente alle due coordinate che cambiano) posson essere scritte anche nel modo seguente: x0 = cosh x0 sinh x, x = cosh x sinh x0 . (5.12a) (5.12b)

Da queste relazioni si evidenzia una certa analogia con le rotazioni in due dimensioni: x = cos x sin y, y = sin x + cos y.

67

relativit speciale

Questa analogia si estende al fatto che, mentre le rotazioni conservano le lunghez2 x 2 , che, come abbiamo accennato, ze x2 + y2 , le (5.12) conservano la quantit x0 rappresenta ancora una distanza al quadrato nello spaziotempo. Le trasformazioni di Lorentz, come si evince dalla (5.12), possono allora esere considerate come rotazioni generalizzate nello spaziotempo. Supponiamo di avere un evento A denito da ( x A , y A , z A , t A ) e un evento B denito da ( x B , y B , z B , t B ) nel sistema di riferimento inerziale S. Possiamo denire il quadrato della distanza tra i due eventi nel modo seguente: s2 = c2 ( t B t A )2 ( x B x A )2 ( y B y A )2 ( z B z A )2

= c2 t2 x 2 y2 z2

(5.13)

dove, ovviamente, t2 rappresenta lintervallo temporale tra i due eventi al quadrato e x2 + y2 + z2 lintervallo spaziale al quadrato. Nel sistema S la distanza al quadrato tra i due eventi data da s 2 = c2 t 2 x 2 y 2 z 2 , con t = t B t A , x = x B x A , y = y B y A , z = z B z A . Si pu agevolmente dimostrare che s2 = s 2 . Possiamo riscrivere la (5.13) in forma differenziale ds2 = c2 dt2 d x 2 dy2 dz2 . Il fatto che le coordinate spaziali e quelle temporali abbiano segni opposti nella denizione di distanza al quadrato tra due eventi una caratteristica dello spaziotempo. Osserviamo che per un segnale luminoso ds2 = 0. Se una particella si muove con velocit inferiore alla velocit della luce, si ha ds2 > 0 e, quindi ds reale. In tal caso si dice che lintervallo di genere tempo. Se invece ds2 < 0 lintervallo detto di genere spazio. Gli intervalli per i quali ds2 = 0 si dicono di tipo luce. Tardioni si dicono i punti materiali che si muovono con velocit inferiore a quella della luce, tachioni i corpi (immaginari) che si muovono con velocit superiore a quella della luce. I corpi che si muovono alla velocit della luce si dicono di tipo luce. Osserviamo che due eventi separati da un intervallo di tipo tempo non possono mai essere simultanei, cio non esiste un sistema di riferimento in cui tali eventi risultino simultanei. Invece possibile trovare un sistema di riferimento in cui i due eventi si verichino nello stesso luogo, cio lintervallo spaziale tra i due eventi sia nullo. In relazione ad un determinato sistema di riferimento inerziale S, possiamo rappresentare gli eventi associando agli assi cartesiani x, y, z un quarto asse, quello del tempo. Per facilitare la visualizzazione consideriamo un solo asse spaziale, quello delle x (gura 8). Gli assi x e ct sono assunti ortogonali; si tratta di una scelta di pura convenienza. Fatta questa scelta, in un altro sistema di riferimento inerziale S , che si muove rispetto ad S con velocit costante diretta lungo la direzione positiva dellasse x, x e ct non sono pi ortogonali. Il punto O rappresenta levento (0, 0). Il moto rettilineo uniforme di una particella con velocit V < c, passante per x = 0 al tempo t = 0, rappresentato da una retta passante per O e formante con lasse ct un angolo inferiore a 4 . Le due rette limite rappresentano la propagazione di segnali che viaggiano alla velocit della luce.

68

5.1 trasformazioni di lorentz

Figura 8.:

Diagramma di Minkowski: a sinistra considerando una sola dimensione spaziale, a destra considerate due dimensioni spaziali.

Allinterno della regione (cono) aOc abbiamo c2 t2 x2 > 0, cio lintervallo tra levento ( x, t) e levento (0, 0) di tipo tempo. In tale regione t > 0, cio ogni evento ha luogo dopo levento O. Poich due eventi, separati da un intervallo di tipo tempo, non possono mai essere simultanei in alcun riferimento inerziale, non possibile scegliere un sistema di riferimento in cui un arbitrario evento, posto allinterno della regione aOc, abbia luogo prima di O, cio avvenga al tempo t < 0. Tutti gli eventi allinterno di aOc sono, allora, posteriori ad O, fanno cio parte della regione del futuro assoluto (la quale, nel caso si consideri pi di una dimensione spaziale, un cono o un ipercono, detto appunto cono del futuro). Nello stesso modo si pu far vedere che ogni evento posto in dOb avviene prima dellevento O, e questo vero in qualunque riferimento inerziale. La regione dOb detta appunto del passato assoluto (cono del passato). Sottolineiamo che gli eventi posti nel passato e nel futuro possono essere messi in relazione causale con levento O. Gli eventi allinterno delle regioni aOd e cOb sono separati dallevento O da un intervallo di tipo spazio. Se D un evento in tali regioni, si pu sempre trovare un riferimento inerziale in cui D ed O sono simultanei, anche se non possono mai avvenire nello stesso luogo per alcun riferimento. Esistono sistemi di riferimento in cui D avviene prima di O e altri in cui avviene dopo. La regione tra il cono del futuro e il cono del passato indicata come il presente di O (o anche come laltrove assoluto di O, perch, come abbiamo detto, in nessun sistema di riferimento un evento, che appartiene a questa regione, e levento O possono vericarsi nello stesso luogo). Gli eventi posti lungo le bisettrici appartengono al cono-luce e sono connessi per lappunto allevento O da segnali luminosi. Riassumendo in relativit il futuro individuato dagli eventi che soddisfano la relazione ct > | x |; il presente individuato dagli eventi che soddisfano la relazione |ct| < | x |; il passato individuato dagli eventi che soddisfano la relazione ct > | x |.

69

relativit speciale

Notiamo che nellambito della sica non relativistica (o newtoniana) rispetto ad O il futuro si ha per t > 0; il presente si ha per t = 0; il passato si ha per t < 0. Inne osserviamo che il ragionamento svolto per levento O si pu ripetere per ogni altro evento. Questo vuol dire che ad ogni evento possiamo associare un cono del futuro ed un cono del passato. 5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

5.2.1 Legge di trasformazione delle velocit Tra le conseguenze principali delle trasformazioni di Lorentz vi una diversa legge di trasformazione della velocit rispetto a quella prevista dalle trasformazioni galileiane. Dovremo, ovviamente, ritrovare che la velocit della luce (nel vuoto) un invariante relativistico, cio ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Consideriamo i sistemi di riferimento inerziali S ed S gi visti. Le componenti3 del vettore velocit di una particella rispetto ad S sono: dx (t) dy ( t ) Vy = dt dt Le corrispondenti componenti rispetto ad S saranno Vx = dx (t ) dy ( t ) Vy = dt dt Dalle trasformazioni di Lorentz si ottiene: Vx = dx = (dx + vdt ) = (Vx + v)dt , dy = dy = Vy dt , dz = dz = Vz dt , v v dt = dt + 2 dx = 1 + 2 Vx dt . c c Da queste relazioni ricaviamo: Vx = Vy = Vz = dx V +v = x v , dt 1 + c2 Vx Vy dy 1 = , dt 1 + cv2 Vx 1 Vz dz = . dt 1 + cv2 Vx (5.14a) (5.14b) (5.14c) (5.14d)
3 Supponiamo assegnata in S la legge oraria della particella ( x (t), y(t), z(t)) e la corrispondente legge oraria in S ( x (t ), y (t ), z (t )).

Vz =

dz ( t ) . dt dz ( t ) . dt

Vz =

70

5.2 alcune conseguenze delle trasformazioni di lorentz

Osserviamo che se c +, allora = 1 (o anche se Vx = Vx + v Vy = Vy

v c

1, allora 1) e Vz = Vz .

cio otteniamo la trasformazione galileiana della velocit. Facilmente si ottiene dalle (5.14) la trasformazione inversa: Vx = Vx v , 1 cv2 Vx Vy 1 , Vy = 1 cv2 Vx 1 Vz Vz = . 1 cv2 Vx
1 1 v2
c 2

(5.15a) (5.15b) (5.15c)

Ricordiamo che = lim ( ) = 1,

= 1

1 2

, dove = v c . Osserviamo che


1

0+

lim ( ) = +.

Se Vy = Vz = 0 e Vx = V , allora dalle (5.14) otteniamo Vx = V = V +v , 1 + cv2 V Vy = 0, Vz = 0.

Se V = c (velocit della luce nel vuoto) allora dalla precedente si ha V = c. Inoltre sempre dalla precedente se 0 < V < c, allora 0 < V < c (e viceversa)4 . Esercizio
2 2 2 Dimostrare che, se v x + v y + v z = c2 , allora v2 x + vy + vz = c e viceversa. 2 2 2

5.2.2 Contrazione delle lunghezze Si chiama lunghezza propria di unasta la sua lunghezza in un sistema di riferimento in cui in quiete. Supponiamo di avere unasta rigida in quiete in S e posta lungo lasse x. Se le sue estremit sono nei punti di coordinata x1 e x2 > x1 , la sua lunghezza propria ovviamente data da: l0 = x 2 x 1 . Per misurare la lunghezza dellasta nel sistema di riferimento S , che si muove rispetto ad S con una velocit v diretta lungo la direzione positiva dellasse x, basta avere le coordinate degli estremi dellasta nello stesso istante di tempo e dunque valutare gli eventi ( x1 , t1 ) e ( x2 , t2 ) con t1 = t2 . I due eventi sono simultanei in S ma non in S. Naturalmente, per misurare la lunghezza propria in S possiamo determinare gli estremi dellasta in tempi diversi ed abitrari. Sappiamo che x = ( x + vt )
4 Noi supponiamo che v (0, c).

71

relativit speciale

e, quindi, x1 = ( x1 + vt1 ) x2 = ( x2 + vt1 )

x2 x1 = ( x2 x1 ).

Chiamata l la lunghezza dellasta in S , avremo allora l0 = l l = 1 v2 l0 < l0 . c2 (5.16)

Il sistema S , che in moto rispetto allasta, misura, pertanto, una lunghezza minore della lunghezza propria dellasta. Questo fenomeno noto come contrazione delle lunghezze. Esercizio La lunghezza dellasta rispetto al sistema di riferimento S pu essere determinata considerando i suoi estremi nella stessa posizione in tempi diversi? In caso affermativo, qual la relazione tra questa lunghezza dellasta e la sua lunghezza a riposo? 5.2.3 Dilatazione dei tempi La dilatazione dei tempi una delle conseguenze pi straordinarie della relativit ristretta. Consideriamo due sistemi di riferimento inerziali S e S come in gura 7 e supponiamo che un orologio, a riposo nel sistema di riferimento inerziale S , misuri in uno stesso punto dello spazio x0 un intervallo temporale tra due eventi A : ( x0 , t A ) e B : ( x0 , t B ), con t B > t A . Lintervallo temporale tra i due eventi = t B t A detto tempo proprio. La loro distanza ovviamente di tipo tempo. Nel sistema S i due eventi A e B hanno le seguenti coordinate spaziotemporali: x A = ( x0 + vt A ), v t A = t A + 2 x0 , c Allora t = t B t A = > , (5.17) x B = ( x0 + vt B ), v t B = t B + 2 x0 . c

cio lintervallo di tempo tra i due eventi, misurato in S, risulta maggiore dellintervallo di tempo proprio. Questo risultato ci dice che lorologio mobile rispetto ad S ha una frequenza minore. Possiamo, in altre parole, affermare che la frequenza di un orologio mobile rallenta rispetto a quella di un orologio fermo. Notiamo che in S i due eventi avvengono nello stesso luogo ed il loro intervallo temporale misurato da un solo orologio posto in quel punto (intervallo di tempo proprio), mentre nellaltro sistema di riferimento S i due eventi si vericano in punti diversi dello spazio ed occorrono due orologi per misurare il loro intervallo di tempo (non proprio).

72

5.3 lo spazio di minkowski

Vediamo di capire meglio con un esempio. Supponiamo che in S una sorgente luminosa posta nellorigine emetta al tempo t = 0 un raggio di luce in direzione dellasse y e che uno specchio, posto a distanza L, rietta il raggio di luce facendolo tornare in O (gura a)

Ovviamente avremo = 2cL . Questo il tempo complessivo che il raggio di luce impiega per tornare in O nel sistema S . Lintervallo di tempo trovato , naturalmente, proprio. Vediamo ora quale ragionamento fa il sistema S, supponendo che al tempo t = t = 0 (quando viene emesso il raggio di luce) O O . Lo specchio solidale con S che si muove con velocit v nella direzione positiva dellasse delle x. Il raggio luminoso avr in S una traiettoria come quella in gura in b. Il sistema S ha bisogno di due orologi, uno in O laltro in R (ovviamente sincronizzati) per valutare lintervallo temporale t, che il raggio luminoso impiega per tornare sullasse delle x. Tenendo presente la gura precedente in b si ottiene facilmente: ct 2
2

vt 2 2L c 1

+ L2 ,

c2 t2 = v2 t2 + 4 L2 , t =
v2 c2

= .

Ritroviamo, cio, nellesempio specico, la formula (5.17) relativa alla dilatazione dei tempi. 5.3 lo spazio di minkowski

In maniera molto sintetica possiamo dire che lo spazio vettoriale di Minkowski, M, lo spaziotempo. Un punto di tale spazio , come abbiamo gi avuto modo di dire, un evento. Le coordinate di un punto-evento, in un sistema di riferimento S, possono essere denite come ( x0 , x1 , x2 , x3 ) = (ct, x, y, z) (notare che tutte le componenti hanno le dimensioni di una lunghezza). Le coordinate x ( = 0, 1, 2, 3), con la conven-

73

relativit speciale

zione dellindice in alto, sono dette controvarianti e si trasformano passando da un sistema S ad uno S nel solito modo: x0 x1 x2 x3

= ( x 0 x 1 ), = ( x 1 x 0 ), = x2 , = x3 .

(5.18)

Le precedenti possono essere scritte anche in forma matriciale, adoperando la notazione di Einstein: x = x

(5.19) 0 0 1 0 0 0 . 0 1

dove = ( ) = 0 0 0 0

Il punto evento { x } anche detto quadrivettore controvariante perch obbedisce alle (5.19). Ricordiamo che in si indica lelemento alla -esima riga e -esima colonna. Abbiamo gi visto che la distanza al quadrato tra levento { x } e levento O(0, 0, 0, 0) denita come s2 = ( x0 )2 ( x1 )2 ( x2 )2 ( x3 )2 . Tale quantit, come ben sappiamo, un invariante relativistico: assume lo stesso valore in tutti i riferimenti inerziali. Se introduciamo la seguente matrice, detta tensore metrico covariante 1 0 0 0 0 1 0 0 g = ( g ) = 0 0 1 0 0 0 0

allora s2 = g x x . Tramite il tensore metrico g viene introdotta una distanza al quadrato s2 tra levento { x } e levento O(0, 0, 0, 0), la quale una forma quadratica maggiore, uguale o minore di 0. Lo spazio di Minkowski viene dotato di una metrica pseudoeuclidea. Notiamo che la quantit g x x pu essere riguardata anche come un prodotto scalare, con lavvertenza che g x x = 0 x = 0 per = 0, 1, 2, 3. Il nostro tensore metrico come si vede lo stesso in ogni punto dello spazio di Minkowski, propriet che non sar valida in relativit generale. Possiamo introdurre le coordinate covarianti di un punto evento x = g x (5.20)

cio ( x0 , x1 , x2 , x3 ) = ( x0 , x1 , x2 , x3 ). Allora s2 = g x x = x x . Dalle relazioni (5.18) si ottiene facilmente: x0 x1 x2 x3

= ( x0 + x1 ), = ( x1 + x0 ), = x2 , = x3 .

(5.21)

74

5.3 lo spazio di minkowski

Queste relazioni possono essere scritte in forma matriciale nel modo seguente: x = ( 1 ) x dove 0 0 0 0 . = 0 0 1 0 0 0 0 1 (5.22)

Si dice che { x } un quadrivettore covariante se obbedisce alle (5.22). Il tensore metrico controvariante denito nel modo seguente: ( g ) = g1 . Osserviamo che in (simbolo di KroM abbiamo g = g1 . Chiaramente vale la relazione: g g = necker). Se con x indichiamo la variazione tra le coordinate omologhe controvarianti di due eventi, la distanza al quadrato tra questi due eventi naturalmente data da: s2 = g x x . Possiamo dare una versione innitesima della metrica se prendiamo due eventi molto vicini tra loro: ds2 = g dx dx = dx dx . Questa forma quadratica differenziale d ovviamente la metrica5 di M. Notiamo che dalla (5.19) dx = dx ed essendo dx = si ha: =

x dx x

x . x

Una quaterna ( A0 , A1 , A2 , A3 ) si dice che un quadrivettore controvariante se ogni componente A si trasforma per effetto di una trasformazione di Lorentz nel modo seguente: A = A

cio nello stesso modo delle coordinate controvarianti di un punto evento. Osserviamo che, se A = A (x), allora A = A (x ). Un quadrivettore covariante { A } un insieme di quattro quantit ( A0 , A1 , A2 , A3 ) che, per effetto di una trasformazione di Lorentz, si trasformano come le coordinate covarianti di un punto evento: A = A ( 1 ) . Osserviamo che possiamo ottenere A moltiplicando il corrispondente quadrivettore controvariante per il tensore metrico covariante, ovvero: A = g A .
5 Prendendo la forma quadratica differenziale per denire la metrica includiamo anche il caso in cui il tensore metrico dipende dal punto.

75

relativit speciale

Inversamente si ha A = g A , dove g il tensore metrico controvariante. Un quadritensore di rango n completamente controvariante ha la forma T 1 ,...n e si trasforma nel modo seguente:
n 1 ,...n T . T 1 ,...n = 11 22 n

Un quadritensore di rango n completamente covariante ha la forma T1 ,...n e si trasforma nel modo seguente:
1 2 1 n 1 T1 ,...n = T1 ,...n (1 ) 1 ( ) 2 ( ) n .

Un quadritensore di rango n p volte controvariante e q volte covariante ha la forma ,... T11,...q p e si trasforma nel modo seguente:
p p p 1 1 1 1 1 1 q T1 ,... q = 1 p ( )1 ( )q T1 ,...q .

,...

,...

Osserviamo che: un quadritensore di rango 1 un quadrivettore; un quadritensore di rango 0 uno scalare ed invariante per trasformazioni di Lorentz ( detto anche scalare di Lorentz). I quadritensori di rango 2, che hanno, ovviamente, 16 componenti, si trasformano nel modo seguente:
tensori completamente controvarianti: T = T ;

1 tensori completamente covarianti: T = (1 ) ( ) T ;


. tensori misti: T = (1 ) T

In generale si dice che il tensore metrico covariante abbassa gli indici, il tensore metrico controvariante li innalza. Un quadritensore di rango 2 T si dice simmetrico se T = T ; si dice antisimmetrico se T = T . Un generico quadritensore pu essere sempre scomposto in una parte simmetrica ed una an + T un quadritensore simmetrico, mentre tisimmetrica. Infatti Ts = 1 ) 2 (T 1 Ta = 2 ( T T ) antisimmetrico; inne T = Ta + Ts . Il prodotto scalare tra due quadrivettori A = { A } e B = { B } denito come A B = g A B = A0 B0 A1 B1 A2 B2 A3 B3 . Un quadrivettore A = { A } si dice di tipo tempo se A A > 0, di tipo spazio se A A < 0, di tipo luce se A A = 0. Esercizi Dimostrare che, se S( x ) uno scalare di Lorentz ed di classe opportuna, S( x ) S( x ) allora x un quadrivettore covariante, mentre x un quadrivettore controvariante.

76

5.4 quadrivelocit e quadriaccelerazione

Dimostrare che, se T11,...q p ( x ) un tensore p volte controvariante e q volte controvariante


T11,...q ( x ) un tensore p (di classe opportuna) allora x ,... p T11,...q ( x ) e q + 1 volte covariante, mentre un tensore x
,... p

,...

volte p+1

controvariante volte controvariante e q volte covariante.

Dimostrare che g un tensore covariante di rango 2. Dimostrare che g un tensore controvariante di rango 2. 5.4 quadrivelocit e quadriaccelerazione

Nella meccanica newtoniana se il moto di una particella descritto dalla legge dr ( t ) oraria r = r (t) (di classe opportuna), la velocit denita come v(t) = dt . In relativit ristretta il tempo una componente di un quadrivettore e non uno scalare di Lorentz. Poich utile scrivere le equazioni della sica in modo tale che risultino manifestamente valide in ogni sistema di riferimento inerziale (formulazione covariante delle leggi della sica), conviene parametrizzare il moto di una particella massiva, nello spazio di Minkowski, rispetto ad una grandezza che sia uno scalare di Lorentz. La scelta naturale linvariante s, denito da ds2 = g dx dx , che pu essere chiamato cammino proprio. Avremo allora, in M, la cosiddetta linea duniverso x = x (s), che non altro che una curva (successione di eventi propri della particella in moto). Se, come abbiamo detto, la particella ha massa, allora ds2 = c2 1 v dt2 > 0 essendo la velocit della particella al tempo6 t |v(t)| < c. c2 Possiamo scrivere, indicato con il tempo proprio e assumendo la convenzione che s sia crescente al variare del tempo: ds = 1 v2 cdt = cd . c2
2

Il quadrivettore velocit (o semplicemente quadrivelocit) controvariante di una particella massiva, il cui moto in M descritto dalla linea duniverso x = x (s), denito come7 u = dx dx dx = = ds cd cdt (5.23)

Chiaramente u = {u } un quadrivettore controvariante perch si trasforma come u = u . Osserviamo che: le componenti della quadrivelocit sono u = , v x vy vz , , ; c c c

6 Nel caso di una particella di massa nulla o di un raggio luminoso, poich ds2 = 0 occorre introdurre un parametro scalare diverso dal tempo proprio. x 7 Alcuni deniscono la quadrivelocit come u = c d ds . In tal caso u ha le dimensioni di una velocit, mentre nel nostro caso adimensionale.

77

relativit speciale

sussiste la relazione u u = g u u = 2 1 v2 c2

= 1.

(5.24)

Deniamo la quadriaccelerazione controvariante come: w = d2 x du = . ds ds2

In base alla (5.24) otteniamo g u du = 0 g u w = 0 u w = 0. ds

Ovvero quadrivelocit e quadriaccelerazione sono ortogonali. Le componenti della quadriaccelerazione sono w0 = 2 v a, c3 2 2 wi = 2 ai + 2 ( v a ) vi . c c

(5.25)

con i = 1, 2, 3, ( a1 , a2 , a3 ) = ( a x , ay , az ) e (v1 , v2 , v3 ) = (v x , vy , vz ). Esercizio Dimostrare che le componenti della quadriaccelerazione sono quelle espresse dalla (5.25). 5.5 dinamica relativistica

Si pu facilmente constatare che in relativit ristretta, a causa della legge di composizione delle velocit, se il momento di una particella avente massa a riposo m0 denito come p = m0 v, allora la conservazione del momento di sistemi di particelle isolati non pi valida in ogni sistema di riferimento inerziale8 . Se richiediamo che la conservazione del momento in sistemi isolati sia una legge della Fisica, bisogna allora denire in relativit il momento come: p= dove m(v) = m0 1
v2 c2

m0 1
v2 c2

v = m(v)v

(5.26)

(5.27)

pu essere riguardata come la massa relativistica della particella. Osserviamo che se v 1, allora m(v) m0 e p m0 v, come in meccanica newtoniana. c
8 Si veda Charles Kittel et al., La sica di Berkeley, volume 1 - Meccanica, Zanichelli, pagg. 411-416.

78

5.5 dinamica relativistica

Studi sperimentali hanno mostrato che la ii legge della dinamica continua ancora a valere, cio nel caso di una particella: dp =F dt (5.28)

dove p il momento relativistico ed F la forza totale agente sulla particella. La (5.28), in base alla (5.26), pu essere scritta come dm0 v = F. (5.29) dt 1 si ottiene la relazione non relativistica. Due osservazioni sulla (5.29):

Se

v c

1. se il modulo della velocit della particella aumenta e si approssima a c, il termine tende a smorzare tale incremento; 2. se richiediamo che la (5.29) sia una legge della Fisica, quando si passa da un sistema di riferimento inerziale ad un altro, a differenza di quanto avviene nella meccanica newtoniana, la forza F deve cambiare esattamente come 0 v cambia dm dt . Dalla (5.29) otteniamo m0 a + m0 dove a =
dv dt

d v=F dt
d dt

(5.30)

lordinaria accelerazione. Poich

3 v c2

a, la (5.30) diventa
(5.31)

3 (v a)v = F. c2 Moltiplicando scalarmente per v ambo i membri della precedente si ha: m0 a + m0 m0 v a + m0 3 2 v (v a) = F v c2 2 2 v c2

m0 ( v a ) 1 +

= Fv

m0 3 v a = F v essendo 1 +
2 c2

(5.32)

v2 = 2 . Inserendo la (5.32) nella (5.31) otteniamo: v =F c2 Fv v . c2

m0 a + ( F v )

m0 a =

(5.33)

Notiamo che se F, v, a sono vettori paralleli, allora la (5.33) diventa m0 3 a = F (basta tener conto che in questo caso F
F v v c2

F ). 2

79

relativit speciale

5.6

energia cinetica e momenti

Sia F la forza totale agente su una particella di massa a riposo m0 . Vogliamo ora vedere come determinare lenergia cinetica della particella. Lidea di partire, in analogia a quanto avviene in meccanica newtoniana, dalla relazione dT = F dr, cio la variazione innitesima di energia cinetica, dT , supposta uguale al lavoro elementare della forza totale. Teniamo presente che F dr = F vdt = m0 3 v adt in base alla (5.32). Possiamo pertanto scrivere d T = m0 3 v adt = m0 3 v dv = Poich
1 2 v2 0

1 m0 3 dv2 . 2

3 (v)dv2 = c2 c2 , abbiamo m0 c2 1
v2 c2

T=

m0 c2

(5.34)

(notare che nel ricavare la precedente abbiamo supposto nulla la velocit iniziale). 1 Per v 1, allora T = 2 m0 v2 + O (v4 ), cio ritroviamo, al primo ordine, il valore c non relativistico dellenergia cinetica. Dalle (5.34) si deduce che lenergia non proporzionale a v2 (come nel caso non relativistico) ed inoltre che limvc T = +. Si denisce energia totale della particella la quantit: E = T + m0 c2 = m0 c2 . Il termine m0 c2 detto energia a riposo della particella (cio, se v = 0, E = m0 c2 ) e rappresenta una novit sorprendente ed eccezionale rispetto al caso non relativistico. Esso, in qualche modo, stabilisce unequivalenza tra massa ed energia e asserisce che la massa pu essere convertita in energia e viceversa lenergia in massa. Questa equivalenza non ha riscontro alcuno nella sica newtoniana. Osserviamo che in relativit non vale la conservazione della massa. In un processo sico, cui prendono parte diverse particelle, ci che si conserva non la massa E 2 totale ma lenergia totale. Notiamo per inciso che d dt = F v. Poich m0 c ha le dimensioni di unenergia, la massa a riposo pu essere misurata in eV . c2 Tra lenergia e il momento di una particella libera esiste una relazione particolare. Infatti
4 2 m2 E2 2 2 2 2 2 0c p = m2 0 v = m0 c . c2 c2 Questa relazione pu essere riscritta come 4 E2 = p2 c2 + m2 0c

(5.35)

(5.36)

da cui9 E=
4 p2 c2 + m2 0c .

(5.37)

9 Nello scrivere la (5.37) abbiamo considerato solo la soluzione positiva e scartato quella negativa. Si pu far vedere nellambito della sica classica che non vi sono motivi per ammettere stati di energia negativi. Discorso diverso va fatto per la meccanica quantistica, dove non possibile ignorare, a priori, stati di energia negativa.

80

5.7 quadrimomento , tensore momento angolare

Osserviamo che la (5.37) prende il posto della relazione non relativistica E = (intendendo qui con E lenergia cinetica della particella libera). La (5.36) ha enorme importanza in quanto, come vedremo fra poco, la quantit E2 c2 p2 uno scalare di Lorentz. Dalla (5.35) si vede subito che il momento pu essere misurato in eV c e suoi multipli. Una particolarit notevole della relativit la possibilit di considerare particelle con massa nulla. Infatti dalla (5.36) deduciamo che se m0 = 0 E = pc. (5.38)
p2 2m0

Ovviamente le espressioni di E e p in cui compare la massa perdono di signicato per una particella di massa nulla. Se m0 = 0 lenergia rimane nita senza annullarsi, in quanto v = c. Notiamo che bisogna fare il doppio limite m0 0+ e v c : ci rende nita e non nulla lenergia. Stesso discorso vale per il momento. Sottolineiamo che, nel caso di particelle con massa nulla, vale certamente la (5.38), che stabilisce un preciso legame tra energia e momento. In natura esistono, effettivamente, particelle di massa nulla, come per esempio i fotoni. In base alla relazione di Planck-Einstein, lenergia di un fotone di frequenza data da E = h (5.39)

dove h la costante di Planck ed ha le dimensioni di unazione. Se indichiamo con = 2 la pulsazione della radiazione, la (5.39) pu scriversi come E = h 2 = . Allora il momento di un fotone di frequenza dato da p= E = = k c c

dove k il numero donda. 5.7 quadrimomento , tensore momento angolare

La relazione (5.36) ci induce a pensare che energia e momento di una particella possano essere componenti di uno stesso quadrivettore. Effettivamente cos; infatti il quadrivettore (controvariante) p = m0 cu (5.40)

dove m0 la massa a riposo della particella e u la sua quadrivelocit, ha come componenti p0 = m0 c


E c

p1 = m0 v x p x

p2 = m0 v y p y

p3 = m0 v z p z

Il quadrivettore denito dalla (5.40) , allora, detto quadrimomento. Si ha come 2 2 conseguenza che g p p = E p2 = m2 0 c certamente un invariante relatic2 vistico, come avevamo annunciato. Inoltre passando dal sistema di riferimento

81

relativit speciale

inerziale S al sistema S le componenti del quadrimomento si trasformano nel modo seguente: 0 p 1 p p2 3 p

= ( p0 p1 ) = ( p1 p0 ) = p2 = p3

(5.41)

Le precedenti possono essere scritte in termini di E, p x , py , pz come: E = ( E c px ) c p x = ( p x E c) py = py p =p z z

(5.42)

Nel caso in cui m0 = 0 (particella di massa nulla) si ha g p p = 0: il quadrimomento ovviamente di tipo luce. Possiamo denire il tensore del momento angolare (controvariante di rango 2 e antisimmetrico) come L = x p x p .

(5.43)

Notiamo che L = x p x p = ( x p x p ) = L . Si verica

facilmente che, detto L = r p lordinario vettore momento angolare rispetto allorigine degli assi cartesiani ortogonali, L12 = Lz , L31 = Ly , L23 = L x . 5.8 equazioni del moto
dp

E Nel caso di una particella libera di massa m0 sappiamo che dt = 0 e d dt = 0, dove p = m0 v e E = m0 c2 . Poich le componenti del quadrimomento sono date da p= E c , p evidente che le precedenti equivalgono alla condizione

dp = 0. ds

(5.44)

La (5.44) costituisce, allora, lequazione covariante del moto di una particella lix bera e pu essere anche scritta, tenendo presente che p = m0 cu = m0 c d ds come d2 x = 0. ds2 Questa la forma covariante dellequazione di una particella libera e corrisponde 2r allespressione non covariante d = 0. Se la particella non libera, ma soggetta dt2 ad interazioni, la derivata rispetto ad s del quadrimomento diversa da zero, in generale. Possiamo denire come quadriforza il quadrivettore controvariante: F= dp . ds (5.45)

82

5.9 meccanica analitica relativistica ( cenni )

La (5.45) pu essere scritta in modo equivalente: m0 c du = m0 c w = F. ds

Questa equazione, detta di Minkowski, rappresenta lequazione del moto della particella in forma covariante. Le componenti della quadriforza F sono F= dE d p , c2 dt c dt
dp

.
dE dt

Dal momento che F = dt e essere scritte anche come: F= F v, F . 2 c c

= F v, le componenti della quadriforza possono

Come conseguenza dellortogonalit tra quadrivelocit e quadriaccelerazione abbiamo che la quadrivelocit ortogonale alla quadriforza, cio F u = 0. Possiamo anche denire il momento relativistico della quadriforza come il tensore controvariante di rango 2 antisimmetrico N = x F x F . Si verica immediatamente L che dd s = N . 5.9 meccanica analitica relativistica ( cenni )

Si pu enunciare anche in meccanica relativistica il principio variazionale di Hamilton, dal quale poi ricavare le equazioni del moto delle particelle materiali. Consideriamo, prima, il caso di una particella materiale libera. Come possiamo esprimere lazione? Ovviamente dobbiamo richiedere che lintegrale, che esprime lazione, sia invariante per trasformazioni di Lorentz e, quindi, sia uno scalare di Lorentz. Per una particella libera viene naturale pensare, come scalare di Lorentz, allintervallo innitesimo ds o pi in generale ad ds con costante. Lidea, allora, di considerare lazione data da:
b

S=

ds

(5.46)

dove a e b rappresentano due punti eventi dello spazio di Minkowski. Come gi sappiamo, devono essere considerati tutti i moti ammissibili (linee duniverso) che partono dallevento a e giungono allevento b. Il moto reale ottenuto imponendo S = 0 fra tutte le linee duniverso ammissibili. Per determinare, poi, la costante dobbiamo richiedere che nellapprossimazione non relativistica la (5.46) diventi, a meno di costanti additive, uguale allazione di una particella non relativistica libera di massa nota. 2 Se ora teniamo conto che per una particella materiale ds = c 1 v dt, la (5.46) c2 pu essere scritta
b

S[ x (t), y(t), z(t)] = c

v2 dt c2

(5.47)

83

relativit speciale

2 (t) + y 2 (t) + z 2 (t). Dalla (5.47) si deduce che la lagrangiana data dove v2 (t) = x da: L = c 1 v2 . c2 (5.48)

Se procediamo esattamente come nel caso non relativistico, per il principio variazionale di Hamilton abbiamo: d L =0 dt v (5.49)

perch L non dipende esplicitamente da x. Dalle relazioni (5.48) e (5.49) si ottiene v facilmente d dt = 0 v ( t ) = costante, cio il moto della particella libera che rende stazionaria lazione quello rettilineo uniforme. Sia m0 la massa a riposo della particella. Se richiediamo che per v 1 la c lagrangiana della (5.48) diventi: L= 1 m0 v2 + costante 2

abbiamo = m0 c. In conclusione la lagrangiana della particella relativistica di massa m0 data da: L = m0 c2 1 v2 . c2

Il momento della particella denito come p= L = v m0 v 1


v2 c2

(esattamente il valore che, come abbiamo detto, permette che la conservazione del momento di sistemi isolati sia una legge della Fisica). Notiamo, solo per inciso, dp che nel caso esaminato (particella libera) dt = 0. Possiamo chiamare energia la quantit: E = pvL = m0 c2 1
v2 c2

= m0 c2

(esattamente il valore ottenuto per altra via). Poich L non dipende esplicitamente E dal tempo, lenergia una costante del moto. Osserviamo che p = c 2 v e che 2 2 2 2 4 E p c = m0 c . Lhamiltoniana data da H=c
2 p2 + m2 0c . p2

1 Se v 1, H m0 c2 + 2 c m0 . Possiamo anche enunciare il principio variazionale con il formalismo quadridimensionale

S = m0 c

b a

ds = m0 c

b a

d x d x ;

84

5.9 meccanica analitica relativistica ( cenni )

per una particella libera S = m0 c


b a

d x d x = m0 c ds

b a

u d x ,
a

dove abbiamo posto dx = u ds. Poich u d x = d(u x ) du x e x x b = 0, si ha:


b b

S = m0 c

du x = m0 c

du ds x . ds

u Da S = 0 dd s = 0 (forma covariante del moto di una particella), cio la quadriaccelerazione nulla.

5.9.1 Carica in moto in un campo elettromagnetico Vogliamo ora scrivere, sempre con il formalismo quadridimensionale, lazione di una particella di massa m0 e carica q in un campo elettromagnetico. Abbiamo visto a suo tempo che il potenziale generalizzato del campo elettromagnetico dato da q V = q A v c noti il potenziale scalare e il potenziale vettore A. Ora V dt = q q q ( c d t ) A dr = A d x c c c

dove x la coordinata covariante di un punto evento e A = ( , A) ipotizzato essere un quadrivettore controvariante, il quadripotenziale. Assumiamo che la carica sia uno scalare di Lorentz. Allora S=
a b

q m0 cds + A d x c

(5.50)

S = Poich 1. A =

b a

q q m0 cu d x + A dx + A d x . c c

(5.51)

A x x , A x d x x ,

2. A d x = d( A x ) d A x = d( A x ) 3. u d x = d ( u x ) 4. x
a du ds d s x ,

= x

= 0,

85

relativit speciale

la (5.51) diventa S =
b a b a b a u m0 c dd s ds u m0 c dd s u m0 c dd s

= =

q c q c

q A q A c x d x + c x d x = A A d x x x ds d s x = A A x x u ds x

In denitiva abbiamo S = 0 m0 c

q du = ds c

A A x x

u =

q F u . c

(5.52)

A A dove F = x x , detto tensore elettromagnetico, un quadritensore controvariante di rango 2 antisimmetrico. La (5.52) rappresenta la forma controvariante della equazione del moto di una particella di massa m0 e carica q in un campo elettromagnetico. Esplicitando si vede che 0 Ex Ey Ez Ex 0 Bz By . F = Ey Bz 0 Bx

Ez

By

Bx

Si pu dimostrare che E2 B2 e E B sono invarianti per trasformazioni di Lorentz. Si pu altres far vedere che F invariante per trasformazioni di gauge. La gauge A di Lorentz x = 0. Lazione (5.50) pu essere scritta nel formalismo ordinario:
b

S=
a

m0 c2

q v2 q + A v dt. 2 c c

(5.53)

La funzione sotto il segno di integrale , naturalmente, la lagrangiana: L = m0 c2 1 v2 q q + A v. c2 c (5.54)

Il momento generalizzato P dato da P= L = v


q

m0 v 1
v2 c2

q q + A = p+ A c c

da cui p = P c A. Ora H = v da cui H= q 4 2 P A m2 0c + c c


2

L L= v

m0 c2 1
v2 c2

+ q

(H q )2 q 2 = m2 0c + P A 2 c c

+ q

che lhamiltoniana di una particella con massa a riposo m0 e carica q in un campo elettromagnetico con potenziale scalare e potenziale vettore A.

86

5.10 * l interferometro di michelson e morley

5.10

* l interferometro di michelson e morley

Lelettromagnetismo prerelativistico superava in modo piuttosto goffo la presenza della costante c nelle equazioni dei campi elettrico e magnetico ipotizzando lesistenza di un mezzo, letere, che permeasse lintero universo e rispetto al quale la luce si muoveva appunto con velocit c. Letere era pensato come un mezzo del tutto singolare, sottile e capace di permeare completamente il cosmo, dotato dellunica propriet di essere il mezzo attraverso il quale la radiazione si propagava. Per avere una qualche stima della velocit della Terra rispetto a tale mezzo Albert Abraham Michelson, singolarmente nel 1881 e poi assieme ad Edward Morley nel 1887, mise a punto un esperimento in cui si intendeva rilevare il vento detere mediante tecniche interferometriche. Il dispositivo messo a punto dai due sperimentatori schematizzato in gura 9 ed era montato su una lastra di pietra fatta galleggiare su mercurio liquido: questo permetteva di mantenere la lastra orizzontale e di farla girare attorno ad un perno centrale. Supponiamo ora che la Terra si muova rispetto alletere con velocit v. Il fascio luminoso che parte dalla sorgente S viene scomposto dallo specchio semiargentato in due raggi normali tra loro; il raggio 1 si propaga verso lo specchio R1 , viene da questo riesso, subisce una deviazione di 2 a causa dello specchio semiargentato e perviene al cannocchiale C; il raggio 2 invece si dirige verso lo specchio R2 e dopo la riesione attraversa pressocch indisturbato lo specchietto semiargentato per poi giungere anchesso nel cannocchiale. Ci che si dovrebbe osservare nel cannocchiale una serie di frange di interferenza dovute al fatto che il tratto AR1 dovrebbe essere percorso dalla luce in un arco di tempo diverso rispetto al tratto AR2 , a causa della composizione delle velocit che consegue dalla presenza del mezzo luminifero. La differenza di fase tra i due raggi nel momento in cui si ricongiungono in A genera linterferenza. Il tempo impiegato dal raggio 1 per percorrere AR1 (andata e ritorno) T1 = L1 L 2L 1 + 1 = 1 2 . c+v cv c 1 v2 c (5.55)

Per il raggio 2 bisogner tener conto del fatto che, nel sistema delletere, la luce si propaga sempre e comunque a velocit c. Dunque la velocit vy con cui viene per 2 corsa la distanza deve soddisfare la relazione c2 = v2 c2 v2 . y + v , ovvero vy = Di conseguenza T2 = 2 L2 L2 =2 vy c 1 1
v2 c2

(5.56)

La differenza tra i tempi dunque T = T2 T1 = 2 c L2 1


v2 c2

L1 . 2 1 v c2

(5.57)

87

relativit speciale

Se ora ruotiamo di invertiti) T =

lintero apparato, la relazione che si trova (essendo i bracci

L1 1
v2 c2

2 L2 2 c 1 v2
c

(5.58)

Perci T T = 2 L1 + L2 c
v c

1 1
v2 c2

1 1
v2 c2

(5.59)

Sviluppando in potenze di otteniamo che T T v2

e ignorando termini di ordine superiore al secondo,

L1 + L2 . c3

(5.60)

Dunque ruotando lo strumento dovrebbe osservarsi uno spostamento di n = c L1 + L2 v2 frange attraverso il centro del cannocchiale. Il dispositivo di Michelson c3 e Morley aveva L1 = L2 = 11 m, mentre la lunghezza donda della luce usata era = 5.5 107 m. Allepoca dellesperimento si riteneva che il Sole fosse essenzialmente solidale con il riferimento delletere, mentre la Terra orbitava con una velocit di v = 30000 m s (che dunque era in modulo proprio la v dellesperimento esaminato). Si disponeva inoltre di varie stime della velocit della luce e tutte sugv 4 gerivano che la luce avesse una velocit c 3 108 m s . Dunque si ricava c 10 . Da questi dati si ricava uno spostamento teorico di n = 0.4 frange. Nel secondo esperimento Michelson e Morley riuscirono a rendere lo strumento sensibile ad uno spostamento di appena 0.01 frange. Lesperimento, nato per dare una stima di v, fu un fallimento, in quanto non venne osservato alcuno spostamento dellentit prevista e dunque il vento detere non fu rilevato. Ovviamente, alla luce dei risultati di Einstein, questo risultato si spiega immediatamente, poich la velocit della luce la medesima in tutte le direzioni in ogni sistema di riferimento. Lo sfasamento, assunta vera questa ipotesi, non poteva che essere nullo. Lesperimento ebbe, soprattutto negli anni seguenti, grande risonanza tra i sici in quanto fu una delle prove sperimentali pi lucide dellinfondatezza della teoria delletere, perlomeno come elaborata nel secolo XIX. Tuttavia occorre sottolineare che lesperimento non di per s una prova della teoria di Einstein; in effetti, come poi si vide con esperimenti analoghi eseguiti con interferometri a bracci disuguali, lesperimento permetteva di concludere semplicemente che la velocit della luce lungo percorsi diversi non dipende dalla velocita del sistema inerziale in esame rispetto ad un qualsiasi altro sistema inerziale, e dunque non vi erano sistemi di riferimento privilegiati. La costanza della velocit della luce di per s non un risultato dellesperimento in quanto non abbiamo informazioni sulla differenza di velocit della radiazione tra andata e ritorno. Basti pensare che si possono ricavare trasformazioni differenti da quelle di Lorentz che spieghino

88

5.10 * l interferometro di michelson e morley

Figura 9.:

Schema dellinterferometro di Michelson e Morley.

correttamente lesperimento10 . Lipotesi che lesperimento abbia spinto Einstein a formulare i suoi postulati nella precisa forma in cui li conosciamo sembra dunque infondata sia da un punto di vista logico che storico11 . Semmai essa manifest in modo quanto mai palese che occorreva necessariamente andare oltre il modello delletere.

10 Si veda a proposito Vincenzo Barone, Relativit, Boringhieri, pagg.103-105. 11 Si ricordi il pensiero di Einstein a riguardo: Lesito dellesperimento di Michelson non ebbe una grande inuenza sullevoluzione delle mie idee [...]. La spiegazione di ci sta nel fatto che ero, per ragioni di carattere generale, fermamente convinto che non esista il moto assoluto, e il mio unico problema era come ci potesse conciliarsi con quello che sapevamo dellelettrodinamica.

89

INTRODUZIONE ALLA MECCANICA QUANTISTICA

6.1

* il corpo nero

Un corpo nero un oggetto che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica incidente (e quindi non ne riette). Se introduciamo il concetto di potere assorbente come la frazione di energia raggiante incidente che viene assorbita dal corpo, si conclude che un corpo nero un oggetto che ha potere assorbente 1. Kirchhoff riuscito a dimostrare nel 1859 che il potere assorbente di un corpo dipende solo dalla temperatura del corpo e non dalla sua natura. Kirchhoff stesso, ad esempio, ha provato che un ottimo esempio di corpo nero un contenitore a temperatura costante sulle cui pareti praticato un piccolissimo foro, di modo che la radiazione che entra attraverso di esso abbia probabilit praticamente nulla di uscirvi e venga assorbita dal corpo in seguito alle numerose riessioni interne. Sia dunque u la densit di energia allinterno del contenitore e indichiamo con u d la densit di energia delle componenti che cadono nellintervallo (, + d). Il risultato di Kirchhoff cui si accennato pu esprimersi nel seguente modo: ssata , u = u ( T ). Stefan aveva dimostrato che U=
0

u d = T 4

dove = 5, 67 108 Wm2 K4 la costante di Stefan-Boltzmann. Ricordando 1 che la pressione esercitata sulle pareti del corpo data da p = 3 u, consideriamo una trasformazione termodinamica innitesima: Q = T dS = dU + pdV = 1 4 = V d u + u dV + u dV = V d u + u dV 3 3 4u V du dT + dV . dS = T dT 3T Ovvero S 4u = V 3T S V du = . T T dT Imponendo luguaglianza delle derivate miste si ottiene
du dT u 4T . 4 3 1 du T dT

(6.1) (6.2)

u T2

1 du T dT

= Integrando lequazione differenziale si ottiene che u = costante di integrazione, ovvero


U = T4.

T4,

con

(Legge di Stefan-Boltzmann)

91

introduzione alla meccanica quantistica

Nel 1893 Wien dimostr che u = 3 F T (Legge dello spostamento)

che contiene la legge di Stefan. Infatti U=


0

+ +

3 F

d = pongo T

=
0

T 3 3 F ( ) T d
+

= T4
0

3 F ( )d.

La relazione di Wien si pu anche esprimere in funzione delle lunghezze donda ; infatti, indicata con u la densit di energia nellintervallo di lunghezza donda, |d | | richiediamo che u d = u d. Da = c, differenziando si ha |d = d. Perci u d = u d = u |d| da cui |d | = u = c4 c F . 5 T c c + 5F T T

Per trovare tali massimi come solito du c =0 F d T

= 0.

la soluzione, dalla forma dellequaPoich F una funzione universale, detta = b , ovvero allaumentare zione abbiamo che T = costante = b. Pertanto T della temperatura, il massimo della funzione si sposta verso lunghezze donda pi piccole (legge dello spostamento di Wien)1 . Nel 1896 Wien stesso propone una forma possibile di F: F ( T ) = a1 ea2 T . Si mostra mediante analisi di Fourier che il campo elettromagnetico si comporta come se fosse generato da molti oscillatori armonici indipendenti. Noto il numero di oscillatori di una determinata frequenza si pu ricavare u ; si prova che d N () 8 = 3 2 d. V c
() , allora u d = u dN Nota lenergia media dei detti oscillatori u V . Poich vale il principio di equipartizione dellenergia e per ogni oscillatore, = 21 avendo esso due modi possibili, u 2 k B T = k B T , ricorrendo alla distribuzione di Boltzmann si ha:

P(u) =

k uT
B

+ k uT e B du 0

Pertanto il valore medio pu essere ottenuto da = u


+
0

uP(u)du =

u + ue k B T du 0 + k uT e B du 0

= k B T.

1 La costante b = 2.8977685 103 mK prende il nome di costante dello spostamento di Wien.

92

6.2 l effetto fotoelettrico

Perci u ( T )d = u 8 d N () = k B T 3 2 d. V c (Relazione di Rayleigh-Jeans)

Si vede subito che integrando tra 0 e + lintegrale diverge (poich tale fatto legato al contributo delle alte frequenze si parla di catastrofe ultravioletta o catastrofe di Rayleigh-Jeans). La relazione ottenuta ammettendo che gli scambi energetici avvengano con continuit. Nel 1901 Planck propose invece che lenergia potesse essere scambiata solo secondo quantit multiple di h. In questo caso, detto un = nh lenergia scambiata, P(un ) = Dunque = u ovvero u = 8 3 h . c3 e kh BT 1 (Legge della radiazione di Planck) e
nh k T B

i =0 e

n khT
B

= (1 e k B T )e

n khT
B

n =0

u n P ( u n ) = h (1 e

h kB T

n =0

ne

n khT
B

=
e

h
h kB T

La legge di Planck perfettamente in accordo con i dati sperimentali, elimina il problema della catastrofe ultravioletta e restituisce la legge di Rayleigh-Jeans come primo termine dello sviluppo in serie.

Figura 10.:

Curva di Planck a confronto con i risultati classici.

6.2

l effetto fotoelettrico

Lesperienza mostra che, in certe condizioni, un metallo colpito da un fascio di luce monocromatica emette elettroni. Lapparato sperimentale pu essere, grosso

93

introduzione alla meccanica quantistica

modo, schematizzato come segue: allinterno di un involucro trasparente, in cui praticato il vuoto, posto un catodo su cui fatta incidere radiazione elettromagnetica monocromatica (nello spettro del visibile o superiore) ed un anodo che raccoglie i fotoelettroni emessi dal catodo. Lanodo si trova, rispetto al catodo, ad un potenziale inferiore, il cui valore pu essere variato mediante un potenziometro (vedi gura 11). Gli aspetti rilevanti delleffetto fotoelettrico possono essere cos riassunti:

Figura 11.:

Apparato per la rivelazione delleffetto fotoelettrico.

1. esiste, in funzione del tipo di metallo di cui costituito il catodo, una frequenza di soglia 0 della radiazione incidente, al di sotto della quale non si verica nessuna emissione di fotoelettroni, qualunque sia lintensit della radiazione; 2. esiste un potenziale darresto V0 , indipendente dallintensit della radiazione incidente, in corrispondenza del quale nessun elettrone raggiunge lanodo; questa propriet sta a signicare che lenergia cinetica massima dei fotoelettroni appena emessi dal catodo verica lequazione Tmax = eV0 dove e la carica dellelettrone in modulo; 3. lemissione dei fotoelettroni istantanea qualunque sia lintensit della radiazione, purch > 0 ; 4. la corrente fotoelettrica i, ovvero il numero di elettroni emessi nellunit di tempo, dipende dallintensit I della radiazione incidente. La teoria classica della radiazione prevede a ) lesistenza di una intensit di radiazione di soglia I0 al di sotto della quale leffetto non avviene, in contrasto col punto 1; b ) la dipendenza di Tmax , e quindi del potenziale darresto V0 , dallintensit della radiazione I in contrasto col punto 2; c ) che lemissione debba avvenire dopo che un elettrone ha assorbito, a spese della radiazione incidente, abbastanza energia da superare il potenziale, detto di estrazione, che, in condizioni normali impedisce allelettrone di uscire dal

94

6.3 effetto compton

metallo: per tale ragione lemissione pu vericarsi solo dopo un certo intervallo di tempo dallarrivo della radiazione incidente, intervallo ovviamente tanto maggiore quanto pi bassa lintensit I , in contrasto col punto 3; d ) che la corrente, dovuta ai fotoelettroni, debba aumentare al crescere di I , in accordo col punto 4 (sempre che > 0 ). Allora, almeno tre delle caratteristiche principali delleffetto fotoelettrico non sono spiegabili mediante la teoria classica della radiazione. Nel 1905 Einstein propose una spiegazione delleffetto assumendo che la radiazione fosse costituita da pacchetti, o quanti di energia, detti fotoni: una radiazione elettromagnetica monocromatica di frequenza consiste di fotoni di energia h, dove h = 6.6 1034 J s la costante di Planck. Abbiamo visto che, per spiegare lemissione del corpo nero, Planck aveva ipotizzato un simile comportamento per lenergia della radiazione elettromagnetica allinterno di una cavit. Vediamo ora come, con lipotesi di Einstein, possibile fornire una spiegazione esauriente delleffetto. Possiamo assumere, per semplicit, che lelettrone sia a riposo allinterno del metallo2 . Un elettrone, dopo aver assorbito un fotone di energia h, emesso dal catodo con unenergia cinetica T = h W , dove W il lavoro di estrazione dal metallo. Se W0 il lavoro minimo di estrazione caratteristico del metallo, lenergia cinetica massima dellelettrone (quando questo emesso dal catodo) 0 data da Tmax = h W0 . Esiste di conseguenza una frequenza di soglia 0 = W h tale che, se < 0 , leffetto non ha luogo. Vi altres un valore V0 del potenziale in corrispondenza del quale anche gli elettroni pi veloci non sono in grado di W0 raggiungere lanodo. Abbiamo in particolare V0 = h . Dopo che un elettrone e ha acquistato, mediante assorbimento di un fotone, energia pari ad h, la sua emissione dal metallo, se > 0 , immediata (il ritardo inferiore a 109 s) e non dipende dallintensit della radiazione. Se leffetto ha luogo, allaumentare dellintensit di radiazione cresce anche il numero di fotoelettroni e quindi la corrente nel circuito. In conclusione, possiamo dire che leffetto fotoelettrico, al pari della radiazione del corpo nero, fornisce una prova che la radiazione elettromagnetica di frequenza costituita da fotoni di frequenza h. Esercizio Dimostrare che un elettrone libero non pu assorbire un fotone di energia h in base alla conservazione del quadrimomento. 6.3 effetto compton

Se facciamo incidere un fascio di raggi X con 0 = 0.7 su una sostanza (come per esempio il molibdeno) si osserva, sperimentalmente, che i raggi X diffusi ad
2 Osserviamo che lenergia termica circa 102 eV mentre i fotoni, nel visibile e nellultravioletto, hanno unenergia di circa 1 10 eV.

95

introduzione alla meccanica quantistica

Figura 12.:

Effetto Compton

un angolo rispetto alla direzione della radiazione incidente hanno lunghezza donda lievemente maggiore di 0 ; in particolare si trova = h (1 cos ) me c

dove m la massa a riposo dellelettrone3 . La grandezza mhe c ha (ovviamente) le dimensioni di una lunghezza e vale 0.024: detta lunghezza donda Compton dellelettrone. Questo effetto (di diffusione), detto Compton, pu essere spiegato 0 come un urto tra un fotone di energia h0 e momento hc ed un elettrone libero, che possiamo considerare fermo (notiamo che lenergia di legame degli elettroni periferici di qualche eV, mentre lenergia dei fotoni molto maggiore). Nellurto fotone-elettrone si conserva il quadrimomento. Chiamiamo p0 e p i momenti fotonici prima e dopo lurto e pe il momento dellelettrone dopo lurto; ricordiamo che, prima dellurto, lelettrone fermo. Dalla conservazione dellenergia: me c2 + cp0 =
4 2 2 m2 e c + c pe + cp.

(6.3)

Dalla conservazione del momento:


2 2 p0 = p + p e p e = p0 p p2 e = p0 + p 2 p0 p cos .

(6.4)

La (6.3) pu anche scriversi come:


4 2 2 (me c2 + cp0 cp)2 = m2 e c + c pe

4 2 2 2 2 3 2 4 2 2 m2 m2 e c + c p0 + c p + 2me c ( p0 p ) 2c pp0 = e c + c pe .

(6.5)

Sostituendo nella (6.5) la (6.4) otteniamo:


2 2 3 2 2 2 2 2 2 c2 p2 0 + c p + 2me c ( p0 p ) 2c p0 p = c p0 + c p 2c p0 p cos

me c( p0 p) = p0 p(1 cos ).
3 Ricordiamo che la massa a riposo di un elettrone pari a me = 9.11 1031 kg = 0.511 MeV c2

(6.6)

96

6.4 onde di materia di de broglie

Ora, p0 = me ch

h0 c

h 0 ,

mentre p =

h c

h = , perci la precedente diventa

1 1 0

h2 (1 cos ) 0 (6.7)

0 =

h (1 cos ). me c

In conclusione, nelleffetto Compton i fotoni si comportano proprio come dei corpuscoli cui compete energia h e momento hc . La diffusione Compton pu essere considerata come un assorbimento di radiazione elettromagnetica seguito da emissione, mentre leffetto fotoelettrico un assorbimento puro e semplice. 6.4 onde di materia di de broglie

La radiazione elettromagnetica ha manifestazioni ondulatorie e presenta, nel contempo, comportamenti corpuscolari come nella radiazione del corpo nero, nelleffetto fotoelettrico e nelleffetto Compton. Il legame tra questi due aspetti rappresentato dalla costante di Planck h. Sappiamo infatti che, se la frequenza di unonda elettromagnetica monocromatica, questa pu essere pensata in certi contesti come formata da quanti, fotoni (particelle di massa nulla), ad ognuno dei quali compete unenergia h ed un momento hc . Poich h interviene anche nella condizione di quantizzazione di Bohr-Sommerfeld, Louis de Broglie nel 1923 si chiese se non fosse possibile, per cos dire, un percorso inverso, cio che oggetti (come gli elettroni) pensati sempre come particelle potessero presentare, in particolari situazioni, un comportamento ondulatorio. Consideriamo nel modello atomico di Bohr un elettrone in orbita attorno al nucleo; la condizione di quantizzazione la seguente: pdq = nh n N.

Ora, se l la lunghezza dellorbita, la precedente relazione pu anche essere scritta: l p = nh l = nh . p

Qui il termine h p ricorda la lunghezza donda di un fotone. Questa analogia ha suggerito a de Broglie la seguente ipotesi: ad ogni particella, avente massa a riposo non nulla, associata un onda, la cui lunghezza donda, noto il momento p, data da = h p. Alla luce di questa ipotesi, le orbite permesse nella teoria di Bohr sono quelle che contengono un numero intero di lunghezze donda. Vediamo con quali lunghezze donda abbiamo a che fare nello schema di de Broglie. Prendiamo delle particelle libere (non relativistiche): = h h . = p 2mE (6.8)

97

introduzione alla meccanica quantistica

Questa la lunghezza donda di de Broglie di una particella di massa m avente unenergia cinetica E. Nel caso di un elettrone, se E = 100 eV, = 12.4 (come nei raggi X), pari alle dimensioni atomiche. Per un oggetto di 1 kg ed energia di 1 J gli effetti quantistici si avrebbero a distanze pari a 1034 m, del tutto trascurabili rispetto alle oscillazioni termiche degli atomi. Notiamo che, mentre per i fotoni inversamente proporzionale ad E, per le particelle (non relativistiche) inversamente proporzionale a E. Inoltre maggiore la massa, minore , a parit di energia, la lunghezza donda. Nel 1927 Davisson e Germer hanno provato che gli elettroni presentano effettivamente un comportamento ondulatorio e sono caratterizzati da una lunghezza donda data proprio dalla (6.8). Analoghi comportamenti ondulatori sono, poi, stati provati per protoni, neutroni, atomi di He, ecc. Stabilito il carattere ondulatorio delle particelle materiali, bisogna vedere a quale grandezza sica si riferisce il fenomeno, cio quale sia il signicato sico della grandezza o delle grandezze oscillanti che chiamiamo funzioni donda e per la quale ipotizziamo unequazione lineare in analogia con le onde meccaniche e quelle elettromagnetiche. Normalmente quando si in presenza di una propagazione ondulatoria, si pone il problema di quale sia il mezzo che porta londa e quale la grandezza che ne misuri lampiezza. Nel caso elettromagnetico alla prima domanda non c risposta, o meglio il vuoto, mentre le grandezze che misurano lampiezza sono il campo elettrico e il campo magnetico. Ci chiediamo nel caso delle onde di materia di de Broglie chi sostituisce questi campi (assodato che esse si propagano nel vuoto). Lesperimento di Davisson e Germer fornisce una risposta a questo quesito. Nellesperimento, mediante rivelatori, viene testata la presenza o meno di elettroni ad un particolare angolo. Alla ne, pensando di ripetere pi volte le misure, ogni volta con un solo elettrone nel fascio, viene di fatto misurata la frequenza con cui lelettrone rivelato ai diversi angoli, cio misurata una probabilit di presenza dellelettrone. Le idee di de Broglie sulle onde di materia avranno uno sviluppo fondamentale con la Meccanica Ondulatoria di Schrdinger.

98

BIBLIOGRAFIA

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99

L A T R A S F O R M ATA D I L E G E N D R E

A
y = px g(p)

a.1

definizione

Sia data una funzione y = f ( x ) convessa ( f ( x ) > 0). La sua trasformata di Legendre una funzione g di una nuova variabile p data da g( p) = max{ px f ( x )}.
x

(A.1)

y = f(x) Il signicato geometrico della trasformata pu essere inteso nel modo seguente. Consideriamo nel piano xy il x(p) x graco della funzione f ( x ) e sia data la retta y = px passante per lorigine con p inteso ssato. Allora possibiTrasformata di Legendre. =x ( p) tale le individuare un punto x che px f ( x ) = F ( p, x ) sia massima. La trasformata di Legendre dunque ( p)) = g( p). Se esiste, il punto x ( p) univocamente determinato, essendo F ( p, x F ) = 0 (grazie al teorema del Dini individuato dalla condizione = p f (x x in funzione di p). Il punto stazionario cos trovato un possibile esprimere x

) < 0 per ipotesi. = f (x La trasformata di Legendre gode di una propriet molto importante: essa involutiva, ovvero se g( p) la trasformata di Legendre di f ( x ), allora la trasformata di Legendre di g( p) ancora f ( x ). Le due funzioni f e g si dicono dunque duali secondo Young. Inoltre essendo per denizione px f ( x ) g( p) allora vale la cosiddetta disuguaglianza di Young: massimo in quanto px f ( x ) + g( p).
2 f

2 F ( x , p ) x2 x=x

(A.2)

Le precedenti considerazioni si generalizzano facilmente al caso di funzioni a pi variabili (si richiede in questo caso che la matrice xi x j sia denita positiva). Come abbiamo visto1 , la trasformazione di Legendre permette di passare dalla lagrangiana L(q, q , t) (intesa come funzione delle variabili q ) allhamiltoniana H(q, p, t). La trasformazione di Legendre trova applicazione in svariati ambiti della Fisica (ad esempio, in termodinamica la funzione entalpia denita come trasformata di Legendre della funzione energia rispetto al volume).
1 Si veda pagina 39. Nel caso dellapplicazione della trasformazione di Legendre alla fuzione L le ipotesi di convessit sono in genere soddisfatte. La lagrangiana di un sistema sico ha infatti solitamente la forma L = positiva.
1 2

2 i mi q i V ( q ): evidentemente la matrice

2 L i q j q

= mi ij denita

101

la trasformata di legendre

La trasformazione di Legendre non un semplice cambiamento di variabili: essa consente di passare da funzioni denite su uno spazio lineare a funzioni denite sul corrispondente spazio duale.

102

N O T E S U L L E U N I T D I M I S U R A

Nel sistema internazionale (SI) lunit di misura dellenergia il joule (simbolo J): 1 J = 1 kg m2 s2 . Nel sistema di Gauss (SG o CGS) lunit di misura lerg: 1 erg = 1 g cm2 s2 . Ovviamente 1 J = 107 erg. Altra unit di misura, usata in chimica e in termodinamica, la caloria (cal), insieme al suo multiplo, la chilocaloria (kcal): 1 kcal = 4.184 103 J. In diversi settori della Fisica lunit di misura usata lelettronvolt (eV); ricordiamo che 1 eV lenergia di un elettrone sottoposto ad una differenza di potenziale di 1 V. Dunque, con riferimento alla tabella seguente: 1 eV = 1.6 1019 J = 1.6 1012 erg e inversamente 1 J = 0.625 1019 eV. Multipli dellelettronvolt sono: 1 keV = 103 eV 1 MeV = 106 eV 1 GeV = 109 eV 1 TeV = 1012 eV

Poich m0 c2 ha le dimensioni di unenergia, la massa a riposo pu essere misurata in eV . In Fisica atomica si usa spesso come unit di massa lunit di massa atomica c2 (u.m.a.), denita come la dodicesima parte della massa del 12 C: 1 u.m.a. = 1.661 1027 kg = 931.5 MeV . c2

103

C O S TA N T I F I S I C H E F O N D A M E N TA L I

C
Valore 299792458 m s 6.6260896 1034 Js 1.3806505 1023 JK1 5.67040 108 W m2 K4 6.674 1023 m3 kg1 s1 1.602176487 1019 C 9.11 1031 kg = 0.511 MeV c2 1.672 1027 kg = 938.3 MeV c2 MeV 27 1.675 10 kg = 939.6 c2 107 MeV c2 5, 292 1011 m 1.0974 107 m1 1.25663706144 106 N A2 8.854187817 1012 F m1 9.2740154 1024 J T1 7.2973531 103 6.0221367 1023 mol1 96485 C mol1 8.31451 J K1 mol1

Riportiamo di seguito alcune costanti siche fondamentali, alcune delle quali sono di interesse per la trattazione corrente. Le grandezze sono riportate in unit SI. Nome della costante Velocit della luce (valore esatto) Costante di Planck Costante di Boltzmann Costante di Stefan-Boltzmann Costante di gravitazione universale Carica dellelettrone Massa a riposo dellelettrone Massa a riposo del protone Massa a riposo del neutrone Massa a riposo del muone Raggio di Bohr Costante di Rydberg Permeabilit del vuoto Permittivit del vuoto Magnetone di Bohr Costante di struttura ne Costante di Avagadro Costante di Faraday Costante molare dei gas Simbolo c h kB = G e me mp mn m a0 =
2 5 k 4 B 15h3 c2

R=

4 0 h 2 m e e2 m e e4 2 h3 c 8 0 0

0 B = 2eme 2 = 4e 0 c NA F = eNA R

105

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