Dionigi Di Alicarnasso - Le Antichità Romane Vol.2

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LE

A N T I C H I T ROMANE
DI

DIONIGI
D A L I C A R N A S S O
VOLGARIZZATE

DALL'AB. MARCO MASTROFINI


G U ' P R O FE S SO R E D I l U T E M l T I C A E DI F IL O S O F IA N E L SEMINARIO D I FRASCATI

mOtXtOM M tOrJMEWTE tUtCOMTHJTA C O U TESTO PAU TEPVTttLE

TOMO

SECONDO

MILANO
DA L LA TIt>O C R A F U DE* FR A TELLI 5O NZOCN O
1 8 3 3

b E L tE

ANTICHIT ROMANE
D I

DIONIGI

ALIGARNASSEO

LIBRO QUARTO.

dopo un regno di trentotto anni fini T arqoinio, autore di non pochi n piccioli beni pe'fioma* ni (i). Egli.lasci dtie figlie gi maritate , e due teneri nipoti i e succedette al soglio Tullio il genero di lui nell'anno quarto della Olimpiade cinquantesima , quando Epitelide di Lacedemonia vinse nello stadio, essendo Archestratide arconte di Atene. Perunto ora tempo d is p o rre su Tullio le cose primitive che ne abbiam tralascialo , vale a dire di quali parenti nascesse, e con
( i ) Nel tetto *1 troTa questo primo ponto anche p ultimo del libro terio. Ma i tegami che qui gli danno manifeilano che esto pparticiie *sluTamciite al principio dl qaaiio libro.

1 . C o.

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quali opere i palesasse, privato.ancora, ionanzi di gin* gnere al comando. Quanto alle cose che dicoqsi della Bua stirpe ecco quello che pi mi persuade. Un tale, di regia prosapia ( Tullio ne era il nome ) -si congiunse in Cornicolo citt de' Latini con Ocrisia , una donzella, bellissima infra tutte e castissima. Ma quando Cornicolo soggiacque ai Romani, Tullio vi moriva combattendo: ed Ocrsit^, ;all9 r gravida, prendeala per ( Tarquiuw com scelta preda, e davala' in dono alla sua moglie. La quale, risaputa ogni cosa di lei, la rend tra non molto libera , amandola poscia ed onorandola sempre, pi che tutte. Di questa Ocrisia, serva ancora , nacque un fanciullo : ed essa , madre fatta, educosselo e lo chiam Tullio dal nome proprio della stirpe e del pa dre: e Servio in memoria de'servili giorni suoi ne'quali lo partor ; perocch Servio, se spieghisi con greca pa rola , vai quanto jervo. II. Nei scritti Nazionali porgesi della origine del valent' uomo un tal altro racconto che sente di &vola : e questo racconto che troviamo in molte storie Romane, questo se piace ai genj d agl'Iddj che ridicasi tale: Adunque dicesi che dall' altar dei re dove i Romni compiono varj sacri&zj' e dove santificmo le primizie delle ^cene si elevasse un membro virile : chie Ocrisia la prima avvedjitasene portasse le sacre libagioni in sul fuoco, e ne andasse nunzia del fatto ai sovrAni : che Tarquinio udendo e vedendo poscia il prodigio ne me ravigliasse : ma che Tanaquilla , donna altronde savia , n perita meno d ogni Tirreno nel vaticinare, piresagisse, portare il destino che di l, dal regio altare,

LIBRO m

'J'

per la donii cbe rasi parteapata a qaell appargione , sorgerebbe una prole pi grande che la umana. Ora cosi dicendo essa e gli aliri' conoscitori de* portenti ; parve al re di Hsare eoo 'Ocrisa, alata la prima a vedere. Dopo questo, dicesi cbe adwhata l; donna, come le maritate m adornano, fosse rinchiusa nella casa ove fu la visione: che li cengiOngendil, e dopo la congjnnzione sparendole, un qualche nume o genio , Vulcano forse, o il genio del luogo , ne in gravidasse, e ne paviorisse poi Tullio. Certamente non par la novella affatto credibile : pur la rende inverisimile metio un tal altro segno divino inopidato e mera viglioso intorno di quest' uomo. Imperocch sedendosi un tempo egli di meezodl nella regia camera, e presovi dal sonno ; una fiamma gli usci balenando dal capo.- Videro questa la madre di esso e la regia consorte, che per la camera passeggiavano , e quanti erano presenti alle donne : e luminosa gli si tenne intorno intorno del capo finch accorsa la madre riscosselo. Allora insieme col sonno spari dissipatasi quella fiamma. E tali sono i rac conti su la stirpe di quest' uomo. III. Sono poi come sieguono le memorabili cose di esso avanti che regnasse, per le quali Tarquinio lo ammirava , e Roma lo onorava come primo dopo il suo re. Giovinetto , nella prima spedizione fatta da Tar quinio contro de Tirreni egli militava tra' cavalieri, cosi ben parve che militasse ^ che chiarissimo divenuto ne , ottenne il premio innanzi di tutti. Occorsa poscia un altra spedizione contro de' medesimi, ed una batta* glia vivissima presso di Ereto ; egli dimostratovisi infra

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tutti TalqrosMiuo, ne fa di bel nuoTO dal re suo co^ ronatp per le belle sue gesta. Giunto al ventesimo anno fu duce nominato delle milizie spedite dai Latini, e conquist con Tarquinio U signoria su' Tirreni. Creato poi nella prima guerra Sabina duce de'cavalieri, fug la cavalleria nemica e la incalz fin sotto la citt di ntemna, riportando il primo premio anche di questa battaglia. Ebbe molti altri combatUmenti col popolo stesso, ora guidando genti appiedi ora a cavallo, e se gnalatosi in tutti per gran cuore, ne fu coronato prima d* ogni ' altro. E poich li Sabini venneco per sottomet tere e sottomisero veramente le citt loro ai Romani ; egli parve, a Tarquinio la .cagion principale eziandio di un t^ipto acquisto , e ne fu contraccambiato con serti tfioniali. Acutissimo in su i pubblici affari, n secondo a. niuno in far valere parlando quanto consigliava, con* temperavasi pienissimamente alla sorte ed alla persona di ogtino. Dond' che i Romani vollero co' loro suf fragi che fosse di plebeo fatto patrizio, come gi Tarquinip, e come prima Numa Pompilio. Adunque il re sei prese per genero , sposandogli 1' una delle sue figlie. E quanto non potea pe' morbi o per la> vecchiaia com piere pi da s stesso ; tutto a lui rimandavalo, incari candolo non pure delle, domestiche ma delle .pubbliche C Q se Egli in ci fa da miti riputato uom giusto e fe-' dele ; anzi con tanto bel fare aveasi obbligato }a molti tudine ; che pensavano non averci divario sia che Tar quinio sia che TuUio,amministrasse il comuue. v iy . Dotato quest'uomo dalla natura d indole bonissima pel principato , e direttovi dalla sorte con molte

LIBRO IV .

e graa occasicmi, credette di,ssrT ddia dongfuntimi stessa invitato quando Tarquinio soccomb tra le iasi< die de figli di Anco Marzio, intenti, come ho detto nel libro antecedente, a ricuperare il trono del padre : e , sperlissimo che egli era, non lasci faggirsene la ocuione di mano. Disponevagli il trono la moglie stessa dell estinto monarca , quella che era la origine di ogni suo bene ; imperocch favoriva il suo genero, e conoscea pe' molti oracoli che doveva esso per volere dei fati dominare al Romani. Erale non a guari morto U giovane figlio, e di lui rimaneano due teneri'fan ciuUi. Considerando un tal vtioto della sua casa, e te mendo che i figli di Marzio invadessero il trono , ed uccidessero, e struggessero tm u la sua prosapia ; pri mieramente chiuse le porte della reggia , e le ranni di guardie, con ordine che niuno entrasse o ne uscisse. Poi comandando che si ritirassero tatti dalla <mera nella qule aveano posto Tarquinio semivivo, e con s tenendo Ocrisia e Tullio , e la figlia sua, moglie di Tullio , e facendo ivi recare dalle nudrici gli orfani pargoletti; disse: O T u llio , il re Tewquinio dtd qucde tu avesti niidrimento e disciplina , quegli che te pregiaita pi che tutti gli amici e parenti i eccolo sotto ingiusti colpi termina il suo destino. Egli non che ab bia provveduto su le dimestiche o su le comuni civili eose , non pot nensimeno abbracciare un d n o i , nem meno lasciarci tultim o addio. Cosi questi orfani, questi sciaurati /anciulli che a lui soprawanzano , gi cor ranno non picciolo rischio della v ita : perocch se il comando devolyesi ai M a rzj, a quelli che ( avolo ne

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hanno trucidalo , saranno da essi miserandamente per duti^ E voi, d quaU' Tarquinio , dispregiali ssi, ma ritava le sue Jiglie ; nemmeno voi salvi sarete nelle persone , se gli uccisori di Tarquinio invadano il re^ grio : n salvi saranno tutti gli am ici, e perenti di lu ; n salve n o i, donne infelici , ma tutti tenteranno distruggerci, tu tti, con occulte trame, e palesi. Noi dunque considerando ci, si conviene che non la sciamo che quegli uccisori malvagi, quenemici nostri com uni, s impadroniscano di un tanto impero : ma dobbiamo contrapporci ed im pedirli, o ra, cos por tando la circostanza , colla scaltrezza e con gli artifiz j . e quando le prime cose riuscite ci siano a se conda; allora direttamente colla forza e colle arm i, seppure ve ne bisognino ; ma cerio non vi bisogne ranno se vorrem fare le cose che ora si debbono. Ma quali saranno m ai queste ? PrirmeramerUe nascondiamo la morte del re ; procuriamo che fr a tutti divulghisi eh egli non ebbe colpi mortali. Dicano i medici che in pochi d lo renderanno sano. Dopo recandomi al pubblico io dir al popolo , che Tarquinio m 'im pone di palesargli che eg li , finch risanisi dalle fe r ite , destina rettore e custode delle private sue e pubbli che cose , r uno de' generi su o i, e che tu quello a TuUio ti sei. Gi non udiranno i Romani a mal cuore il tuo nom e, desiderosi che sia la citt da te governata che gi tante volle la governasti. Quando avremo dissipato il pericolo presente ( e certo si dis siper ; perocch non si terranno saldi i nemici in udire che il re vive) ; allora tu presi i fa sci e il co

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II

mando delle orm i, accusa al popolo guanti trmamno uccidere Tarquinioi e dato principio d a 'fig li di Mar zio ; citagli tutti in, giudizio. Gli punirai ttUti coUa morte se t> i si presentano ; e se sdegnino presentarsit ciocch io credo che piuttosto ; fararnio gli punirai coll esilio perpetuo , e colla confistm de bonL C o ^ trovandoti tu nel contendo ti cattiverai coUe qffabili maniere il popolo, curerai sollecitamente che non facciansi nemmeno le picciple ingiustizie , e solleverai li poveri co benefizj , e co doni ; e quando ne parr tem po , allora diremo che Tarquinio morto ; allora gli daremo pubblica sepoltura. O Tullio ! tu nudrito, tu educalo, tu rendalo partecipe da noi di tanti beni quanti ne derivano i figli da padri e dalle m adri, tu congiunto alla nostra figliuola, tu se mai divieni, xt Tullio, re deRom ani, giusto che almeno in riguardo mo la quale tanto in ci ti, coadiuvai, presenti la benevolenza di un padre verso questi teneri fanciul letti : e che quando siano gi grandi, quando gi bastanti a regnare , tu renda allora al primogenito la corona di Roma. V. Cosi 'dicndQ diede 1 uno e 1' altro fanciullo in braccio aHa figlia ed al genero ; e risvegli tenera com passione verso di ambedue: poi quando ne fu tempo, uscita di camera impose ai domestici che assistessero', come ricbiedeasi , per la cura, e convocassero i me dici. Lasciata passare la notte, siccome nel giorno ap presso accorse gran turba alla reggia ; ella si fe' vedere alle finestre che rispondono alla via dinanzi dell'atrio i e su le pritii scoperse quelli che aveano congiurata la

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morte Somno , e quindi present Ira le catene t $icarj mandati per compierla : e quando vide il popolo id pianto per la s c ia ^ n , quando videlo fremere contro de malvagi ; alfine gli disse, che pur non era la perfida trama riuscita, e cbe potato non avevano trucidare Tar* quinio. Confortavansi tutti all' annunzio ; quando ella mostra in.Tullio il personaggio eletto dal re, finch guariscasi, per curare le private sue cose, e le pubbli che. Adunque andossene il popolo, lieto come se il re non avesse niente patito di terribile, e gran tempo si rimase con questo concetto. Tullio cinto da regj littori inatci con valida schiera al Foro, e fece pe banditori intimare che venisro i Marzj al giudizio. E siccome questi non ascoltarono ; ne proclam 1 * esilio perpetuo, ne confisc li beni; e cosi tenne sicuro lo scettro di Tarquinio. VI. Ma sospendendo alquanto la narrazione , vo' dir le cause per le quali io n con Fabio consento n con quanti scrivono che i fanciulletti lasciati da Tarquinio eran suoi figli ; perch se altri si avviene in quei saetti non creda che io improvvisi quando non figli li chiamo, ma nipoti. Essi divulgarono ci su que'garzoncelli, ma per negligenza ; niente considerando gli assurdi e le im possibilit che lo escludono ; com' io mi accingo a di chiarar brevemente. Emigr Tarquinio dall'Etruria, re cando con s quanto avea ne' giorni pi belli del saper suo ; perocch cel dipingono gi voglioso in que giorni di farla da uom pubblico sia nelle magistrature sia nel trattare altre cose del comune, e partito appunto di l perdii a parte noi chiamavano degli onori. Alcuno

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Ittnqae rapporr^be che gli quando iasdara 1 Etr* ria , avess almeno treni' anni, che gli' anni sono per lo pi ricercati dalle- leggi per gitiBgrae a nxagistniti, te hianeggare 9 comune. Nondimeno io voglio suppodo pi giovane ancora di cinque anni, e sliabili^ <^e partisse di anni venticincpie ; e che menasse con: s:la moglie Toscana, cui prese vivendo il suo padre, come lutti gli Storici. consentono delle cose Roiniane.; Egli venne in Boina regnando Anco Marzio nel ptimo aonv come Gellio scrive, di qnd regno , ma secondo Lioioio ndl' ottavo. Sia pur dimque venuto come scrive: Liciyo, e non prima : gi non dovette venire pi tardi, , come scrvono ambedue / nellanno nono di: Anco. Mar zio egli fu spedito dal re capitan de' lannliri guerra contro d/Latini. Pertanto se egU vmw. ia fioma non pi adulto di anni venticique ; se divenne linico d Anco A&rzio nell' anno otuvo del regno: di ti:; se rimase con questo diciassette anni ( giacch Aaoo.ne regn voitiquattro) ; se Tarqaimo polipe r^ n lreiaatlo, come tutti consentono ; dunque egli era oliagenro quando mori ; non risultando alu-a et da! calcolo degli anni. E se la moglie. come par vet4simile, ra per cia<* que anni meno attempata di lu i, dunque avea settantacinque anni quando le moriva Tarquinio. Ora sia che eHa partorisce quinquagenaria l'ultimo figlio;; giacch donna non partorisce pi oltre ule et, ' ma qnta le termine di proli6care, cme scrivono .trattatori dili genti di tale argomento. Questo fi^io dunqn er aknen grande di venticinque anni nell era delU morte pater-< pa > e Lucio il primogenk evalo di venUsette.. Tarqui^

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aio dunque.nod lasci pi:;piccioli diqnsst et li figU arieti.colla ina doooa. E .se aveano' questi'eti virile; n sarebbe il padre rimasto Tittima; n ti madre sar^b stata;si misei:a, e tanto in ira agl'Iddj & fo d ere ai peoprj figli' b soettr ereditnio del padre per felicitarne un estraneo nato da una serva; ni avrebbero infine tol>* leralo con' indififerehza la ingiuria essi che gU anni ave* no i pi idoni per dire per &re. Non ^era gi Tullio tf per Dbilt pi chiaro, n troppo per la et pi ri* verito, ma solo pi grande di tre anni su F uno di loro] talch nui dunque nob avrebbero di buon grado a h ceduto il eomando. - yi[. La' cosa inchiude altre sconvenienze-non avver tite dai.Homani-Scrittori, salvo ch da uno , che poco appreb^ nominer, St cnsente da toUi'.che Tullio pi> gliaodo dopo. Tarquiniq lo oeuro sei tenne quaranta* quattro anni. Pertanto se il primogenito de'Trquinj at lora quando ne fu spog^ato ' avea g i vei^tisette anni ; dunqae .egli era pi cb sMtnageaario n d tcfopo net quate ucdse Tullio f eppure gf istorici lo dipiagoao a tal. epoca, nel fiore degb anni, giaicch narrano che diede di piglio a Tullio ndla.curia, e che portatolo fuora dallaho lo< precipit. Di pi dicono che questo Tarqui^ nio cadde di trono oeU'anno vigesinwquiiUo dopo un tal fatto e che in qnelf anno guerreggiava gli Arde^. ^ n i, compiendo tutto <. per. s stesso. Or non ; rerisimile che' un uomo .y provetto di novantasei anni trava gliasse fra le armi. Aggiungono che caduto dal t^opo fece'guerra non minore di quattordici ,anni i Komani amministrandola ; egli steo. Or ci disconvieiie d^l sensp

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icompne;: gnzi. qoa 9 bii. si dhrbbe diaturaa;clollr q^Qtodiecl anni ;, qqaodo i ' nostri climi lauta Ipogevil^ ntoa comportano. Vedendo questi assurdi, tentarono aU cani Storici Romani levarli;on altri assurdi, e'disserp ch non e.V a gi ittadre de fn<:iuU Tanaqallla aia Gegpnia, una donna, di cui nulla additarono la . btorick Ma in Jtal caso riesce nproprio il mairimonio di Tai quinio nella et ^ a si di <gtntai anni e certo:iiTeciti>^ utile riesce in qofllla et la generazione di 6gli. N giJl egli era mancante di prole, tanto, che ue bmguisse pel desiderio: ma egli avea due figliale e queste gi maa rtate. In forza di tali assurdi e di tali impossibiSt dico che que'fanciulli non eraa figli ma nipoti di Tarqui nio; nel che sieguo. Lucio Pisone, uomo savio, e luni< co che ci scriva ne'suoi.annali. Ma .forse leran questiy nipoti a Tarquimo per nascita, e figli per adoone, e forse fu questa la- d|-igine dell' abbagli di tutti giL Sto rici delle cose R<mane. Or dopo un tal prologo gli tempo di ripigliare la norraaione. VIIL Poich Tullio prese le redini del comando, e dileguata la fazione, dt' Marzj, giudic di averselo con solidato; fe' con magoifica pompa trasportare Tarqninio, come spirato alfine per le fente ; condeoocandolo di un cospicuo monumento e di altri onori : tutore essendo de'regj fanciulli; e cur e guard fin d'aUora I pri vate loro cose e le pubbliche (i). Non andavano Ui fiitti a grado de'patria], ma doleaasi e sdegnavansi, mal 'sof> frendo ch'egli a ^.3tabilse il regio potere senza le
( 1) Anni di Roma 175 scc^. C atone, 179 seC. avanti Cristo I, ' Varroae : e 577

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forme prescritte dalle l^ g i. E rianenclosi pi Tolte i pi potenti, trattavaao fra loro de' mezsi onde abbattere rH< legittimo goiremo. Ora parre ad essi, come fosser k prima volu achuiati, per tenere il Senato, da Tullio di Tolentarlo a lasciare i littori e le altre insegne del comando ; e fatto ci di nominare gl' interr da quali si sceglieste r^^oUrmente chi dominasse. Tullio, risa puto il disegno ^ si diede a favorire il popolo, e socorrerne i poveri , sperando coU opera sua di ritenere r impero. E chiamata la moltitudine a conclone , pre sent dinanzi la ringhiera i inciulli ; e poi disse : IX. MoUe cause o cittadini if astrnsero a prender cura di questi teneri garzoncelli. Perciocch Tarquinia tannalo loro accolse e cur me privo di padre di patria, n fecem i purUo meno che a un figlio; ma diedemi la sua Jgliuola in isposa, e m i am finch v isse ro m i onor sempre ^ come sapete, quasi fo ssi da lui generato : e poich f u colto dalle insidie egli affidatam i in caso di morie la cura de' fanciulletti. Ora e chi mi stimerebbe pietoso verso g t Id j y chi giusto verso- gli uom ini, se io trascurassi e tradissi questi orfo a quali tanto io sono debitore? M a n io tradir la mia fe d e , n dar per quanto da me, t idtimo abbandono , a fimciulU gi dereliuL Ben giusto che ricordiate voi li benefizj che l avolo suo dispensava su voi quando a voi subordinata tante citt Latine emule del vostro principato, quando vi umiUas>a i Tirreni i pi potenti tra tutti i vicini, e quando neces sitava al vostro giogo i Sabini; procurandovi ognuna di tali cose in mezzo a grandi pericoli. Spettavasi a

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IV .

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voi. per tanta sua beneficenta di esser grati a lui finch visse , e di esserlo dopo la morte in verso dfii posteri suoi, e non gi di seppellire coi cadaveri dei benefattori la memoria ancora delle opere. P e n s a ti dunque tutti eletti custodi defa n ciu lli, rassicurate per essi il regno che t avo ad essi lasciava. Gi non tanta bene risentiranno essi dalle cure di me che son uno, quanto, dal soccorso comune di voi tutti, lo n, vedo rtecessitato- a dir questo ; sentendo che alcuni commovonsi contro loro, e vogliono . dare ad altri il co mando. Io vi supplico o Romani che memori ancora siate de combattimenti che io fe c i pel. vostro princi^ palo , i quali n pochi sono n piccoli. M a ben, sa pendolo voi, non.occorre che altro io vi dica, se non che rivolgiate su questi fanciulli gli. obblighi che, me ne avete. Imperocch non io per me fabbrico il prin cipato : n se io -mel cercassi , ne era gi meno degno degli altri; piacemi solamente amministrare il comune in sussidio della stirpe di Tarqutnio. lo vi raccomando che non vogliate abbandanare a. s stessi questi fa n ciidli ora che il regno ne pericola: sarebbero, anche espulsi da Roma , se fauste riuscissero le prime mosse ai. nemici. M a non debbo io pi dilungarmi su ci , mentre sapete, voi quello che dee fa rsi y anzi siete per fa re quanto conviene. Ora udite il bene che io a voi apparecchio, e pel qua le qui vi adunai. Quanti a debiti saziacele n potete levarvene per la indigenza,. UUti sarete da me soccorsi come cittadini, e come gi taralo ciffaticati in servigio della patria; perch voi che avete fondala la libert
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d i le i , la vostra non perdiate : io porger del mo da naro onde i debiti estinguiate. Inoltre quanti lorranno ad imprestilo io non piit soffrir che sieno imprigio nali per debito : ma porr per legge che mono dia de' prestiti assicurandoli su la persona di uom ini li beri, mentre io penso che basti agli usuraj di rivettersi su beni de' contraenti. E perch da ora in poi sostentate pi di leggeri il tributo pubblico, pel quale i poveri sono gravali, e ridotti a fa r debito ; coman der che si registrino tutti i b eni, e che ciascuno dia secondo t aiwr suo, come odo che si pratica nelle citt pi grandi e meglio ordinate ; mentre ancK io credo pi giusto e pi vantaggioso al comune che chi pi possiede pi paghi, e meno chi meno. Piacemi inoltre che il terreno ^pubblico, quello che avete con quistato colle arm e , non sia come ora de* pi impu denti , n che per compera ve lo abbiate, n indarno", ma cite quelli se lo abbiano infra voi che privi sono di terre : perch voi liberi essendo non serviate, n coltiviate le campagne altrui, ma le proprie ; imperoc ch gi non allignano' generosi pensieri ov* disagio del vitto quotidiano. Soprattutto ho deliberato render pari e fcile il governo per tu tti, e dare a tutti eguale azione contro chiunque; perciocch sono alcuni venuti in tanta baldanza che oltraggiano il popolo, n liberi, stimano i poveri fr a voi. Ora perch i pi grandi nomtneno che g t infim i esigano e soffrano il giusto; io far leggi proibitive della violenza, e conservatrici dei diritti Lomuni: n mai lascer di provvedere a questa libera procedura di tutti contro tutti.

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X. Sorsero , lui cos dicendo, grandi elogj tra la moU liludiiie, 6 chi lodavalo come ricordevole e giusto verso i suoi benemeriti , chi come benevolo e grandioso in* verso de'poveri, chi come savio e degnevole in verso degl' infimi, e tutti infine lo amavano ed ammiravanio come onesto e diritto nel comandare. Sciolu l ' adunanza ordin ne' giorni appresso che i debitori si registrassero i quali non poteano corrispondere, e quelli a quali do* veano, e quanto ciascuno dovea. Ricevute le note alz de'banchi nel foro,*e soddisfece ai creditori pubblicameute. Ci &tto espose con regio editto che quanti si godeano come proprie le terre del pubblico le cedessero in tempo determinato ; e che insieme i nomi a lui si dessero de'cittadini privi di campagne. Diede una le* gislazione parte sua, parte rinnovando l'antica e gi tra scurata di Nunia o Romolo. Mal soffrivano i patrizj tal governo , vedendo che 1 autorit si aboliva del Senato: nondimeno volgeansi a risoluzioni varie assai dalle pri* me. Imperocch per addieuro anelavano levare quel po tere illegittimo, e nominare gl' interr li quali elegge sero chi dominasse : ora per giudicavano essere da ta* cere , non da brigare in contrario ; antivedendo che se il Senato sceglieva e poneva un altro al comando, il popolo non lo avrebbe approvato co'suoi voti, e che se al popolo rimettea la scelu del sovrano, tutte le trib nominerebbero Tullio, e cosi Tullio crederebbe sur con diritto sul trono. Parve dunque ad essi il migliore, che Tullio il quale aveva usurpata la regia autorit, Tullio che aveva sorpreso anzi che persuaso il popolo con aperte maniere, cosi la ritenesse. Ma non succe

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dette loro duna delle cose disegnate. Con tanta finezza Tallio gl' illuse, ed uttenae, malgrado loro , il coman do ! Egli feoendo sparger pian piano in citt che i patrizj insidiavano la vita sua venne addolorato in sordida veste nel foro con Ocrsia madre di lu i , con Tanaqailla moglie gi di Tan^uinio , e con tutti i regj consanguinei. Accorsa allo spettacolo inopinato gran moltitudine, ^ li richiamatane la udienza, ascese nella tribuna e disse : XI. Non pi li figli soli di Tarquinio pericolano di padre acerbi maU da nemici ; ma io, debbo anche io temere per me stesso di avere amarissima la mer~ cede della mia giustizia. I PaUizj minsidiano, e m i si E ditano fr a loro de congiurati ad uccidermi : non gi che abbiano gravi o picciole cose onde n i incolpino ; ma perch si sdegnano, perch mal comportano che io su voi sparsi, e sia per ispargere de'benefizj. Sdegnansi gli usuraf perch io non permetto loro che ar restino tra voi per debiti e privino di libert gC imipotenti ad estinguerli. E quei che si aveano le terre del pubblico, le terre conquistate col vostro sangue , quei si sdegnano costretti a lasciarle quasi lascin le paterne sostanze. S i crucciano quelli che grandeggiavano colf altrui ; perch dispensati essendo dalle spese della gueira, ora sono necessitati a fa r catastare lor beni , e pagai'e secondo il lor cumulo. Finalmente dolgonsi tutti che debbano attemperarsi alle leggi scritte, e star di paro con voi ne diritti e non abusare p i , cerne ora fa n n o , de' bisognosi irifra voi, quasi di per sone comperate. Ora questi risentimenti disseminando, s sono fra loro consultati e congiurai di ricondurre

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il uoi gli esu li, e di cedervi ' ai fig li di Marzio , a quelli che vi lumno ucciso Tarquinio, quel re si buono, e s amico di Roma , a quelli che macchiatisi in tanta scellraggine, non osando risponderne in giudizio, si tolsero a voi colla fu g a , a quelli in fine quali avete voi tacqua inlerdetta ed il fuoco, E se ben tosto non volavane a me t avviso, tali patrizj eccitando una forza straniera, avrebbero di b el nuovo introdotto nel cuor della notte i fuotusciti in Roma. Ben vedete voi quan tunque io le taccia, le segule , come i M arzj favoriti da patrizj sarebbonsi impadroniti senza fatica di tutto, assalendo primieramente me che il custode sono della regia prole , me che t autore fi del giudizio contro d i loro , e spegnendo finalmente i regj fanciulli, e tulli i consanguinei, e tutti g li am ici, quanti ve ne resta no , di Tarquinio. M isere le nostri m ogli, le nostre madri , le nostre fig lie , misere le femmine tra noi! le avrebbero que ribaldi ( toTxto hanno di brutale e di tirannico!) tenute in conto di schiave. Ora se tanto o popolani piace a voi pure , che qua si riammettano, anzi che re si proclamino i parricidi, e che i figli se ne scaccino de* vostri benefattori, e dal trono si ^tol gano che r avo ad essi lasciava ; se tanto , dico , a voi piace ; io m i cheto su destini. Ma deh ! per gli Jddj , deh ! p* genj tu tti, quanti le mortali cose ri guardano ( e noi colle nostre donne , noi co nostri figli supplichiamo voi pe tanti benefizj ancora che Tarquinio su voi spandea perpetuamente, e pe tanti, eh io stesso vi procurava ) , deh / concedeteci questo dono ; manifestateci i vosti i voleri una volta. Se voi

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credete altri pi degni di noi di tale onore ; questi fanciulli, e tutto il parentado di Tarquinio, partitane ito , abbandoneranno la vostra citt. Io poi ben altri pi generosi consigli ho per me ! Abbastanza vissi alla virt, abbastanza alla gloria : mancatami la vostra be nevolenza , quella che io pregiava pi che tutti i beni, gi non voglio io vivere indecorosamente presso di altrL Prendete i vostri fa sci , dateli, se cos piacevi, ai patrizj. Io mel vedr, n m i oppongo. XII. Cos dicendo, e gi standosi in atto di ritirarsi sorse un clamor vivo per tutto, aa pregare , u pian gere , perch restasse, e governasse, n temesse. Allora alcuni, sparsi ad arte qua e U pel Foro, gridarono che si creasse re , che si convocassero le curie, e sen chie dessero i voti. Cosi preordinato 1 *evento; ben tosto il popolo tutto vi propend. Tullio ci vedendo non tra scurava la occasione : ma professandosi ad essi obbliga tissimo che memori fossero de' benefizj, e prometten done pi ancora se re lo creassero ; prescrisse il giorno de' comizj ; ordinando che v'intervenissero tutti dalla cam pagna. Accorso il popolo; egli chiamando una per una le curie consegnava ad esse i lor voti. E giudicato da tutte le curie degno del trono ; vi ascese ; u cur del Senato che non volle come solca ratificare la scelta del popolo. Cosi re divenuto fond molte altre istituzioni, e fece grande e memorabile guerra co Tirreni. Io dir prima delle istituzioni. XHI. Appena strinse lo scettro comparti tra' merce nari Romani le terre del comune < i poi fe comprovare le leggi su i contiatti e su le ingiustizie dalle carie ,

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estese aUopa a cioquanU , quantunque non sia ora qi da rootdare. Aggiuase a Roma il Viminale, e l'E^qmlino due colli, cosi nominali , capaci 1 uao e 1' altro di una citt i-igaardevole, dispensandoli parte a parte ai Romani privi di case, perch ivi se le &bbricassero : anzi egli stesso ivi edific la sua nel sito pi idoneo delle Esquilie. Fu questo 1 ultimo re che ampli il cir~ cuito della citt, coagiungeodo ai cioque gli altri due colli, dopo avere presi gli augurj e compiute le usate pie ceiimoni inverso, gl' Iddj. Non poi la citt mise mai pi da laigo le sue mura; non avendolo, come dicono, permeaso t destini : ma tutti iqtomo i sobborghi che pur sono molli e grandi, si restano coperti, non chiusi da mura, ed espostissimi, se nemico mai sopravvengavi. Che se alcuno mirando a questi, voglia la grandezza racco glierne di Roma ; egli errer certamente : perocch non avr niuu certo segno, dal quale discernere fin dove la dtt continua o dove si termina. Cosi bene que' sob borghi al fabbricato interno si congiungono, che pre> sentano a chi li contempla la immagine com di una citt che stendesi all infinito. Ma se taluno prendendo regala dalle mura , certamente malagevoli a dlstii^ers per le molte case fabbricatevi intorno, ma die pur ser> bano via via de' vestigj dell antica loro struttun voglia risaperne il circuito in rispetto del circuito di Atene; vedr che il ricinto di Roma non molto eccede queUa di Atene. Ma quanto alla grandezza e bellezza che Roma presenta a miei giorni; avremo appresso luogo pi ac concio a discorrerne. XIV. Poich Tullio comprese entro un giro solo di

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DELLE

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ROM ANE

Binra l sette colli ; divise la citt la quattro pwd ; numioandole da que' colli, 1 una Palatina , l altra So> barrana la terza ColUna , e 1' ultima Esqailina. Cosi distese a quattro le trb che eran tre sole. Intim poi che chiunque abitava 1' una delle quattro parti, quasi paesano di quella n portasse in altra il suo. domicilio, n in dtra desse il nome suo pe'cataloghi m iliur, n il trihttto per le spese della guerra : in somma ^e non rendesse in altra i servigi ohe doveansi pel comune; n pi ordin le milizie secondo le tre trib disposte come prima per genti (i) ma secondo le quattro da ini create e compartite n'varj luoghi ; destinando per ciascuna un capo qual sarebbe Qn tribuno o prefetto, il quale do vesse conoscera il domicilio di ognuno. Quindi ordin che in ogni quadrivio si iacessero da vicini picciole sa> ere cappelle agli Dei lari custodi delia contrada, isti-' ttendo per legge cbe ogni anno si onorassero di sagrifizj, e che ciascuna famiglia porgesse loro le obblazioni sue: comand che assistessero e ministrassero a hi facea tal sagrfizio non gl'ingenui ma i servi; diltUndosi quegl Idd) del ministero di questi. Continuano i Romani pur nel mio tempo pochi giorni dopo de'Sa* tumali tal festa , veneranda in tutto e magniBca, e delta compitale da' quadrivj che compiti da loro si chiamano.
( i ) Romolo fece ire trib secondo le diverse genti : erano U tr ib , la prima R am nentlt dei Romani posti ad abitare nel Pala tino , la seconda T atiens da T asio , ebbe il monte Capitolino, e la tersa dei Luceri a luco o dal bosco dato per asilo, era d ^ l i stranieri che aveano t cercato un rifugio. Col progresso del tempo siccome la gente aggregata a Roma snpersTa il popolo primilTo ; cosi Tullio fee una naoT* diTisioas di trib.

rjB R o

IV .

Serbano nel sagrifizio l antico ritOj plaoanio gl'iddi Lari con intramettervi i se rri, a' quali tolgono in quei giorni quanto tien forma di servile ; percli rconfoctati da tali dolci maniere ove misto del grande e dell'onrificc s aflezionino pi vivaiente ai padrni, e men sen tano il peso della loro condiione. XVi In\3hre , come Fid>o scrve , divse tutta la cinpagna in ventisei parti ^ chiamandole trib parimente : e congiunte queste alle quatm> urbane se ne ebbero Irenu in tutte: ma Yenonio dice che e ne ebbero trentuna :>laddove Catone ben pi autorevde di essi (i) af-, ferma che le trib ne'tempi di Tullio furon tutte, non per distinguene il numero. Tullio dunque secondo gli auspizj divisa la campagna in tante parti, qnante^ mai furono, apparecchi su luoghi montuosi e fortissimi de gli a li, chiamandoli pagos con greco nome o castelli, onde renderne salvi i cdom*. Imperocch quivi tutti si rifu^vano nelle irruzioni de* nemici, quivi spessis simo pernottavano. Ci aveano in questi de' presidi inca ricati di conoscere i.nomi de'coloni, contribuenti a quel boi^o, e li poderi su quali viveano. E se mai portavi il bisogno di convocare que' contadini per le arme, o. di esigete da ciascuno le tasse: questi li congregavano^ o ne raccoglievano le somme. E perch la moltitudine non fosse diiBcile a trovarsi, ma facile a descriversi e palese; fece erigere degli altari ai Numi contemplatori e custodi del luogo, perch quella ogni anno vi si riu nisse e ve gli onorasse con puU>lici sacrifiz^, istituendo,
( 1 ) D i Fabia c di Venooio.

a6 DELLE a n t ic h it SOMANE a tal fine k festa soleiinisMma detta dei (i).'A n 2 intrne a la^ sagriGxj scrisse leggi che i Romani ser bano ancora. Per tal sagrifizio , per lai celebrit yolle che oontribnisicro tutti nua data moneta, altra per gli uoiaiai, altra le donne, d altra gl'itnpuberi : talch numerandosi queste dai presidi delle stinte cose rileva vasi il totale dgl* individui Secondo il sesso e la . et. E volendo, come scrive Lucio Pisone nel primo degli annali, conoscere qnanti erano domiciliaii in Roma, quanti vi nasceano o vi morivano, o toccavano la et virile; stabili qual ao o eu dovelsero i parenti versare per ognun che nasceva nell erario di Eileitia, detta dai Romani Giunone L u crer, o in quello che chiamano di Venere L ibilina, l nel bosco, per ognun che mo riva , o in quello della Dea Giovent per ognuno che alla virile et psrvetiiya. Da queste monete intendeasi ogni anno quanti erano in tutto, e quanti aveano ido<aeit militare. Ci fatto diede ordine, che i Romani registrasaero, apprexzandoK inargento, i lor beai, e gin rando di appreziarli come dee 1' uomo candido e buo no t e che insieme dichiarassero quanta era la. et toro, quali i padri loro, le mogli, ed i figli ; aggiungendovi dove in citt soggiornassero, o in quale de' villaggi della campagna ; e chi non iacea pari stima era in pena spo gliato de' beni, flagellato e venduto. Dur questa legge lungo tempo tra Romani. XYI. Cod prese da tutti le stime, e rilevatone il nu mero di essi, e la grandezza de' beni loro iotroduase
( i) Ciok Pagaiialia.

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una instituzione savitoima che fu poi larga fonte di beai a' Romani, come il &uo stesso Io dimoslr. La 8titn> zione fu di segregare dal resto del popolo quei die aveano sostanze pi grandi non per minori di cento m ine, e di ordinarli in ottanta centurie ( i ) , le quali, armandosi, portassero scudo argolico, elmo di bronzo^ corazza, stivali, asta e spada. Poi separandole tutte in due parti form quaranta centurie di giovani per le spe* dizioni in campo aperto, e quaranta de' pi adulti, le quali in citt si restassero per custodirla quando le altre uscivano per la guerra. E questa era la milizia, prima di ordine ; per altro i giovani aveano sempre il primo luogo onde proteggere tutta l'armata. Dal residuo quindi del popolo segi'eg quelli ancora che aveano meno di cento mine non per pi scarse di settanucinque^ compaia tendoli in venti centurie che portassero arm e , simili quelle de' primi, toltane la corazza e dato ad essi lo scudo lungo in luogo dell* argolico { a). E dividendo quelli di oltre quarantacinqtie anni dagli altri che aveano et militare form dieci centurie di giovani, le quali an( l) Nel testo quetla
T oce

ambigaa: pu significare cea-

tnria , manipo l o , coorte. Il traduttore Ialino la interpreta p e r cen turia I e questa pare la noiioue pi acconcia : ma deve riflettersi che centuria vai quanto ooiapagoia' di cento , laddove ia questo l a ^ o non significa cento esatum eate : ansi n d par|{rafo i8 di questo libro significa ben altro che cento. (a) T ra i Latini ci ebbe lo Cfypeut e Io tciUum. Il primo era detto c tn rit da* G rec i, ed il secondo : il primo era pi brcTe a sferico, 1 'aliro pi lungo. La nostra lingua, come di un popolo che pi non usa quelle armi non ha forse parole ben distinte o note per indicare la doppia forma. Targa , Rotella o Brocchiero pu forse dirti il C lf fe u t, ondo i voce generica di ogni s o r u di quelle armi.

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D ELLK a n t i c h i t AOMANE

dassero in guerra per U patria, e dieci di anziani che in guardia rimanessero delle mnra. Era questa la mili zia., seconda di ordine, e prendea Ivogo dopo de* primi nella, battaglia. Una terza ne fece di quelli che aveano meno di .settantacinque mine non per sotto le cinquanta; ma. ne minor 1' armatura non solo delle corazze come alla seconda ; ma de* stivali ancora. Descrisse pur questi in Tenti centurie dividendoli parimente secondo l ' et, talch se ne avessero dieci de' pi giovani, e dieci de' pi maturi. Era il luogo loro nelle battaglie appunto do po quelli che seguivano i primi. XYII. Trasse un quart' ordine di sddati da quelli che avean meno di cinquanU , e non meno mai di ven ticinque mine; disponendolo in venti centurie , dieci dei floridi, dieci de' provetti per anni, come avea fatto co gli altri; e dando loro per arme scudi, aste, e spade, e r ultimo posto nelle battaglie. Reclut la quinta mi lizia da quelli che avean meno di venticinque mine , non per meno di dodici e mezzo , acconciandola se condo gli anni di ognuno in trenta centurie , quindici de' pi avanzati, e quindici de' pi giovani. Di loro strali e fionde, ma luogo fuori dell' esercito , messo in battaglia. Comand che quattro centurie affatto inermi accompagnassero tutte le altre : cio due di armaiuoli, di falegnami, e di altri per altro militare lavoro, e due di sonatori di trombe e timpani e di allri stromenti pe' bellici segni. Ma gli arteBci seguitavano la milizia di second'ordine : e distinti anch'essi per et, quali se. guitavano le bande de' giovani, e quali degli anziani. Laddove i sonatori di trombe e di timpani tenean die tro alla milizia quarta di ordine ; distribuiti anch' eglino

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in giovani e veoch Erano li centurioni trasclti fra tutti li pili insigni nelle arme; e r e ^ a ciascuno la sua cen turia docilissima ai cenni. XVni. Tale era il metodo onde aveasi la soldatnca legionaria e leggera. Scelse poi la cavalleria dai pi iacoltosi, e pili cospicui di lignaggio, e formatene dw ciotto centurie k di compagne alle prime ottanta cen* turie de' legionarj. Erano pur di queste diciotto , chiair rissimi li centurioni. Finalmente ridusse ad U na centu* ria gli altri tutti, ben pi numerosi de'primi che aveano men che dodici mine e mezzo, e gli escluse daUa mi* lizia li rese immuni da ogni tributo. CosL risultarn sei ordini che i Romani dicono classi denominandoli con greca parola : imperticcb quello che noi signifi-r chiamo colla voce imperativa calei (chiama) l significan essi coll'altra cala (i) ed anticamente caleseis pro nunziavano in vece di cUssi. Comprendean queste classi cento novantatr centurie. Formavano lai prima novantotto centurie compresevi quelle de' cavaliri : ven tidue cogli arteBci la seconda: venti la terza: di nuovo ventidue co' sonatori di trombe e di timpani la quarta ; trenu la quinta : ed era dpo queste una centuria unica la classe de'poveri (a).
( i ) Calo calat era antico verbo latino per chiamare^ donde pur ebbesi la voce Calende. - (9) C lau a prima. ........................................... 98 Mconda........................ ...... aa tersa. . . . . ' .........................3o q u a r t a ....................................................... aa ~ q u i n t a ......................... ...... 3o ia . ..................................... ...... . I

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D ELLE ASTICHITA' ROMANE

XIX. Idlrodotlo an ule sistema, iatimava i soldati per la guerra secondo le centurie, e li tributi secoado li beni. Quante volte a lui bisognassero dieci o veutimils soldati ; avendo distinta la moltitudine in cento novantatri centurie, imponea che desse ognuna la sua parte. Calcolando le spese da farai pe' {irument e per gli bis(^D di guerea; egli stesso le compartiva secondo gli averi di ognuna tra le centurie, ordinate in cento novanutr. Seguit da questo die i possidenti pi grandi essendo minori di numero ma divisi in pi centurie fossero senza requie astretti a pi guerre, e vi contribaissero danaro pi che altri : laddove i possidenti mezMni e piocioli quantunque pi numerosi, ridotti in meno centurie, non combatteano ' die alternativamente e di ra ro , n pagavano se non leggeri tributi ; e quelli che non possedeano quanto richiedevasi, erano intatti da ogni molestia. N ci facea senza causa ; ma persuaso ehe gli averi sono per T uomo il premio della guerra, die ciascuno travaglia per difenderseli ; riput giusta cosa, che chi pericola su pi beni, pi ancora al pe ricolo si opponga colla roU>a e colla persna : che men lii molestia risenta in ainbedue chi men perderebbe: e finalmente che chi non teme per cosa niuna non sia nemmeno in cosa alcuna aggravato, immune da' tributi perch bisognoso, e libero dalla guerra perch libero da tributi. Imperocch li soldati Romani militavano al lora , ciascuno a spese sue non lo stipendio riceveano dal pubblico ; a pensava altronde che avesse a contri buire chi non aveane i meezi e stentava il vitto quoti diano : n che colui che non contribuiva militasse a spese alurui qual mercenario.

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XX. Cosi rivolsi ai pi ricchi tutto ii carico de' pricoli e delle spese : vedendo pen che sen disgnstavaaq^ n raddolc per altro modo il' mal contento, e ne rat temper lo sdegno , concedendo ad eni t^l prerogativa per cui gli arbitri sarebbero del pubblico esclusine i poveri. N comprese il popolo di d che facessi le con< sFguenze. Era la prerogativa ne comisj, ove dal popolo risolveansi le cose le pi gravi. Ho gi detto di sopra come il popolo secondo le anUche leggi era 1' arbitro di tre cose grandissime e necessarissime: cio di eleg^. gere i suoi capi in citt e nel campo, di ammettere o di abrogare le leggi, e di conchiudere la guerra o la pace. E tali cose discuteva , ' e decidevate il popolo per curie, pat%ggiandovisi il volo del grande a juello del picciolo possidente. E siccome pochi, come avviene erano i facoltosi ; ma pi assai li poveri; cori preva> leano questi ne'comEj. Tullio ci vedendo tnstrl nei ricchi la prepotenza de'voti. Imperocch quando pare* vagli di far creare i magistrati o discutere le ieggi, o conchiudere la guerra teneva i comicj nob pi per cu> rie, ma secondo la centurie ansidette> E prima chia i^ava a dare il suo voto le centurie di maggior posu densa le quali erano ottanta di fanti e diciotto di ca valieri. Or queste pi numeroie che le altre di un tre (i) quando fossero unanimi, superavano le altre ; e la di scussione avea fine. Che se non si univano queste in un parere ; invitava allora le ventidne, scritte nel se cood' ordine. E se i voti scindevansi ancora ; soprac( i) Erano noTantottu, e le altre tulle DovanUoioque.

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D E IL t A ^ T IC H m ' ROMANK

duamava le centurie di te n ' ordine : indi quelle del quarto, e cori vi via, finch noyanlasette centurie si trovassero consentanee (i). d ie se ci non ottenessi nep pure colla quinta chiamata, ma le cento novanudue centurie si contrapponeano con parti eguaU ; invita,va allora 1' altima <ientaria che era de' bisognosi, e per libera dai tributi e dalla miUzia. E qualunque fosse la parte alla quile accostav i. questa centuria ; qoella pre ponderava. Ma ci a ben raro a.succedere, per.non dire impossibile; mentre il pi ddle discussioni terminavasi col chiamar de* primi ordini senza, procedere al quarto. Dond' che l ' invito de' quinti e degli ultimi superfluo riusciva. ' XXI. Istituendo tal sistema e tal prerogativa inverso de' ricchi, Tullio deluse, come ho detto i poveri; n el^ conbbero , e furono esclusi dalle cariche. Immagi navano questi che essendo richiesti un per uno a dare il suo voto, ciascuno nella sua centuria, avessero egnal parte nel tutto : nw s'ingannavano : perch uno era il voto della intera centuria, e qual centuria contenea men cittadini e quale pi assai; e perch prime vota vano le centurie pi ricche, pi niunerose per serie, quantunque con men cittadini. Aggiungi che un solo era il voto de' bisognosi, quantunque fossero i molti ; ed aggiungi che ultimi si chiamavano. Per tal metodo i ric chi , qualunque assai soggiacessero a spese , n avessero mai requie da'|iericoli della guerra, men sentivano il
( i) Erano le centurie eata l'ultim a ig a , numero l a cui met i g6 . Affiucb dunque t foste preponderanta doveva un pattila natcere almeno d 97 e 1 ' altro da ceatqrit.

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peso ; perch erano gli arbitri divenuti di graTssime cose, ed aveano tolto agli altri tutto il potere. Altronde i poveri se non aveano che la minima parte nelle pub< bliche cure sei comportavano placidi e cheti, perch liheri dai tributi e dalla guerra. Dond' che que' mede simi i quali consigliavano ciocch era da fare; quegli appunto se ne mettevano ai pericoli ed alle opere. Dur tal sistema per molte et tra' Romaut. Ma ne' tempi miei fu variato, e renduto pi popolare per forza di grandi necessit, non perch le centurie fossero discioiie ; ma perch non pi serbavasi T antica diligenza nel chia marle; come io stesso, presente pi volte ai comizj, ho veduto : ma non questo il tempo conveniente a parlar di ci. XXII. Tullio data cosi regola al censo, comand che. tutti i cittadini andassero colie armi ai campo pi grande dinanzi Roma: e l, messi in squadre i cavalieri, or dinati li fanti in battaglia, e ridotti i soldati leggeri, ciascuno nelle proprie centurie ; li espi con un toro ^ un ariete ed un capro. Egli fatte condurre prima tre volte le vittime intorno dell'esercito le sagrific poscia a Marte, Nume sovrano di quel luogo. Anche a miei giorni vengono i Romani purificati con egual cerimo nia , che essi chiamano lustro , dopo fatto il censo, da que' che n' esercitano il magistrato santissimo. Come ri levasi da libri de' censori, il catalogo de Romani che si registrarono ascese allora ad ottantaquattro mila set tecento. Prese questo re non picciola provvidenza per ampliare le classi del popolo, ideandone de mezzi sfugm oirioi, lom o II.

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D fIL L E a n t i c h i t ROMANE

giti a suoi ptedeceisori. Imperocch provvidero questi a ir moltitudine ricevendo i forestieri e consoctandoselt senza divario di natali o di sorte. Ma Tullio conced che entrassero a parte della repubblica pur gli schiavi renduti liberi , se mai non volevano ripatriare. Adun que permettendo che registrassero le loro sostanze in sieme con gli altri uomiai ingenui gli ascrisse fra le trib urjane che erano quattro fra le quali ritrovasi an-< cora la discendenza dai liberti, e fece che vi godessero quanto gli altri vi godeano di diritti. XXIII. Disgustandosi di questo e mal sopportandolo i Patrizi ; egli convocaUne la moltitudine disse : che meran>igUan>asi primieramente de'malcontenti se cred ^ vano che t uomo Ubero differisse dal servo per natura piuttosto che per la torte : e secondariamente se mvsuravano gU uomini degni di onori non dai costumi n dalle maniere, ma dalla prosperit, vedendo quanto caduca f e quanto mutabile sia la prosperit , mentre niuno, nemmeno de' pi felici, pu dire quanto tempo, gli durer. Considerassero quante citt barbare e gre che erano di serve divenute libere, e di Ubere serve. E qui condannava la grande loro incongnienza mentre rendevano liberi uomini degni di esserlo, e poscia ad essi invidiavano la cittadinanza : e consigliavali piuttosto a non liberarli, se malvagi li ripuuvano : ma se riputavanli buoni, non li vilipendessero quantunque fcre~ stieri. Dicea, che ben era informe n savia cosa che essi ammettessero alla loro citudinanza tutti i forestieri, enza distinguerne la sorte, o por mente, se erano servi divenuti liberi ; e poi tenessero come indegni di tal gra>

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SA pelli stes die erauo da loro liberati : e dieea, che essi i qaali credeano pi saperne che gli altri noa ve deano poi le co presenti, elementari, e piane anche piA inetd: cio che assai penserebbero i padroni a non rendere liberi co^ di leggeri i servi se poi doVeano acootuunarseli alle cose pi grandi fra gli uomi> a i: e che i servi assai pi si stsdiecebbero di far l'utile de' padroni, se capivano ohe resi liberi sarebbero an cora cittadini di una citt grande e beata ; e che am bedue questi beni <e gli avrebbero appunto dai padroni. Da ultimo fattosi a ragionare su l'utile pubblico ricor dava a chi lo sapeva, ed a chi noi sapeva insegnava , ohe una citt che a ^ r i al comando, una citt che pre> parM alle grandi cose, non dee niun bene cercare quanto raumento del popolo, onde aver forze contro tutte le guerre, e non distruggere Terario con assoldare gli estra nei , perci dicendo che t primi re concedevano a foresUeri la citta^nansa. Che se ora adottavano la sua legge; aggiungeva che per loro via via crescerebbe una giovent numerosa, u-sarebboro mai carsi di soldati ; anzi che ne avrebbero abbastanza quantunque fossero astretti far guerra conino di tuttL Vi sarebbero ancora (Jtre le pubbliche, altre utilit non poche pe'ricchi se ksciavano che gli schiavi renduti liberi avesser parte nelle adunanze ; mentre ne sarebbero in queste nel mag^ giore bisogno favcmti co' voti o con altre decenze, e la* oerebbero ne'discendenti di essi altrettanti clienti ai posteri loro. Consentirono a tal dire i patrizj che si amtnettesse un tal uso in repubblica : e vi persevera ancO'^ r a , ciutodito come ma delle leggi sacre ed inviabili.

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DELLE a n t i c h i t KOM AI^

XXIV. E poich 8on venuto a tal parte di narrasio* ne ; panni necessario adombrare i costaini de' Romani in que' tempi sopra gli schiavi ; perch niuno riprenda n il re che tent volgere in cittadini gli schiavi gi li beri , n quei che la legge ne ammisero, qusi abbiano incautamente aboliio istituzioni bellissime. Ottenevano i Bomani dei schiavi per giustissime guise : imperocch gli aveano o comperandoli dal pubblico che metteali qual preda allincanto, o concedendo un capitano che si appropriassero j presi in guerra insieme con altre cose; o redimendoli da altri che gli aveano con eguali ma* niere acquisuti. N Tullio che lo introdusse, n gli aluri che lo riceverono e serbarono; tennero come vituperoso e nocivo al pubblico il costume pel quale si ridonasse la libert e la patria da chi possedeali come schiavi, a quegli nomini che spogliati in guerra di patria e di li bert si erano utili dimostrati verso i primi che gli aveano soggioga'!, o verso altri che gli avevano comperati dai primi. Ricuperavano moltissimi la libert gratuiumente in vista dell' onesto e bel procedere loro : e questo era il pi onori&co mezzo onde riaversi : pochi ne sborsar vano un prezzo, accozzato con legittime e caste tiche. Non per cosi di presente, ma sono le cose in tanta confusione, e cosi belle virti de' Romani sono invilite e bruttate ; che chiunque trae danaro da crassazioni, da sfasci, da prostituzioni o per altre ree guise, costui con tal prezzo redimesi, diviene un Romano. Otten gono aliri un tal dono dai loro padroni, diveuuiine i complici degli avvelenamenti, delle uccisioni, e delle in giustizie contro la repubblica e contro gl' Iddj : tal altri

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r ottengono con patto che prendano e ' porlino ai loro liberatori la rata mensuale e pubblica di frumehio e quant ahro da'principi si dispensa su'bisognosi. Altri finalmente gli libera la leggerezza de'padroni, e 1' amore di" una gloria vana. E certo io so che alcuni concede rono che dopo il fin loro fossero tutti i proprj servi libecati per esserne buoni decantati dopo morte : e quindi molti fecero co' pile! in capo un seguito i loro cadaveri che trasportavansi, e spesso in tal seguito, come po tessi udire da chi n era informato, pompeggiavano uomini usciti di fresco dalla prigione, rei di mille scelleraggini^ capitali. Or molti de' Romani considerando tal feccia di liberti impurissimi si affliggono che ricevansi per citta dini , ' e ne condannano il costume come indegno della citt metropoli, e che innalzasi a dominar ' l 'universo. E ben potrebbe alcuno riprendervi molte usanze ideale benissimo dagli antichi, ' ma viziatissime dai moderni. Non i penso certamente che debba una tal legge abro> garsi , perch da indi non sorga male maggiore ; dico per'die debbesi quanto si pu rettifcare, n permet tere che se ne spandano nella repubblica i grandi obbrobrj e le'infamie inespiabili. E vorrei soprattutto che i censori vi provved^er se non forse i consoli ; essen done degna la cura dei grandi magistrati. Quelli, come la viu esaminano de'cavalieri e de'senatori; cosi esami nino ogni anno quali schiavi la libert riacquistano, per c ^ l fine mi la riacquistano, e con quali maniere. Quindi qui che trovano degni della cittadinanza, quegli tra le trib/li' com'prtano, e concedano che vivano in Roma: ma gU svergognati e profani li rimovano col titolo de-

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D ELLE

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coroso d inviare un colonia. Or queste cose, esigen^ dole il subjetto, emmi sembrato giusto e necessario al* legarle contro quelli che incolpano gli usi de' Romani. XXV. N gi Tullio si dimostr popolare pe'stabili menti co quali represse l'autorit del Senato, e la pre minenza de Patrizj, ma per quelli ancora co* quali minul di una met lo stesso regio potere. Imperocdb li re precedenti vogliosi di tirare a s tutte le canae, giudicavano ad arbitrio loro de' richiami privati, ehe pubblici ; ma egli dividendo i pubblici dai privati, esa* minava da sestesso le cause toccanti il Comune; e cre giudici particolari per quelle de' particolari : e le leg< gi stesse che egli scrsse furono a tali giudici regola e confine. Poich le cose di dlt presero per esso lui lordine pi acconcio ; arse dal desiderio di fare alcuna splendida cosa onde, eternare tra' posteri il suo nome. E volgendo il pensiero a' monumenti pe' quaU gli antichi sovrani, ed uomini di Suto erano divenuti famosi ; non invidi gi la donna Assira per le mura di Babilonia, non i re dell Egitto per le piraiidi di Memfi, n per alure opere, qualunque fossero, le quaU dimostrano la pompa delle ricchezze e ddle arti non gi le doli sublimi di dii governa: ma ripu* tando queste opere tenui, bre vi, non degne di affetto, seduttrici degli occhi, non adfutrici del vivere comune, dalle quali appena sono contentati gli autori di esse; e stimando solo degni di emulazione e di lode i frutti drila prudenza da'quali sono moltissimi e per lunghissimo tempo giovati; ammir soprattutto il consiglio di tione figlio di Elene: il quale, visti i popoli della Gr-

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aia dboli, e facili ad essere oppressi da'barbari intorno; li- raccolse tutti ad ana dteU, chiamata pei; esso A m fit^ tio n ia , nella quale ol'tre le leggi gi proprie di ciascuna oitt, ne diede altea, uimfiItiomn dette, coAuni a (atte, per le quali vivessero amici infra loro, e, terribili e oesb ai barbari, difendessero il corpo della nazione non colle parole, ma. co'fatti. Da ci prendendo esempio que' lonj cbe trastnigraroDO dallEnropa in su i lidi della Caria, e li Doriesi che misero la sede loro ne'luoghi d'intorno , fondarono de' tempj a spese comuni, li lonj in Efeso, ergendovi quelb di Diana, e li Doriesi ia Triopto (i) ediikandovi quelb di Apollo. Poi l con gregandosi colle mogli e co' figli ne' giorni destinati li solenniszavano con sagrifizj, con mercati, con certami equestri, ginnici^ .musici, e con pubblici donativi aglIddj. E mentre sedeaho a spettacolo, mentre mercatantavano, mentre davansi altre significauni di amore, intanto se ci aveano offese itte ad una citt giudici fissi per la dieta o decideano la guerra co'baiiiar, o trattavano la. riunione de' Greci fira loro Su queste e simili immagini senti Tullio il desiderio di conciliare e congiungere I genti ltine, sicch scindendosi e guerreggiandosi fra loro non fossero alfine spogliate della libert da'barbari intorno. XXVI. Adunque invit li primarj di ogni citt , di cendo di convocarli per trattare di affari grandi e co muni. E poich furono venuti, adunando essi ed il Se nato di Roma , tenne un ragionamento induttivo alla concordia , rilevando quanto era bdUa cosa che p citt
( t ) Citt nella Caria preiso d iG aid o . Anti Plioio la credaGnida iMM- Erdoto usi priiao libro , parla langa di quatto u m p io .

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fossero unanimi, e quanto brutto spettacolo che i po> poli di una nazione discordasseso. Dicea che la concor dia era causa ai deboli di fortezza ; laddove la vicende vole gelosia lo era ai fortissimi d* infiacchimento e di decadenza. Inculc dopo questo, com' era conveniente, che i Latini dominassero ai popoli intorno, e che det tassero leggi, essi Greci di origine ai Barbari; e come aLatini stessi doveano soprastare i Romani, per l'ankpiezza della citt , per la sublimit delle imprese, e per ch usato aveano con successo migliore la Provvidenza divina, per la quale erano a tanta celebrit pervenud. E cosi discorrendo consigliava che fondassero a spese comuni in Roma iin tempio di asilo inviolabile ove le citt riunite sagrificassero ogni anno per s stesse e per tutti, facendovi concorso ne' tempi che destinerebbero. Ivi se alcun urto fosse infra loro, si riconciliassero tra que* sagriBzj, lasciand che le altre citt giudicassero della offesa. Divisando questi ed altri beni, i quali derivereb bero da un pubblico consiglio, se lo stabilivano ; per suase quanti vi erano. Cosi contribuendovi tutte, eresse il tempio di Diana posto in sull'Aventino, il pi grande de' colli di Roma : e scrisse le leggi per le citt verso di loro , e divis le maniere onde compiere il mercato e la festa. E perch niun tempo mai le cancellasse, fece una colonna di metallo, e v'incise le risoluzioni di quel consiglio, e le citt che vi consultaropo. Esiste la co lonna anche a miei giorni nel tempio di Diana, e pre senta caratteri di greche lettere, quali lantica Grecia le usava ; ciocch vale di argomento non picciolo a conchiudere che quelli che fondarono Roma non erano B^r^

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bari, non usando i barbari lettere greche. Or tali sono le gesta pi grandi, e pi insigni che di questo re si ri cordino senza comprenderne molte altre minori e men chiare : sono poi le imprese guerriere quelle che fece contro de' T irreni, e le quali ora prendo a narrare. XXVII. Dopo la morte di Tarquinio le citt che gii aveano ceduto il dominio di s stesse, ricusarono tenersi pi oltre ne' patti, sdegnando di obbedire Tarquinio come umile di lignaggio, e travedendo una grande op^ portunit nell alienazione de' patrizj da lui. F urono i Vejenti i primi a ribellarsegli, e risposero agli amba> iciador spediti da Tullio , che n aveano essi faUa a lui cessione alcuna del comando , n trattato di ainiciz ia , n di alleanza. Si mossero dietro loro li Cerretani, e li Tarquiniesi, finch la Etruria tutta fu in arme. Dur questa guerra venti anni continui entrando vicen devolmente r una e 1 altra gente con eserciti poderosi le terre nemiche, e procedendo di battaglia in batta glia. Tullio s'ebbe la meglio in tutte, quante se ne ac cesero contro di una citt, o della intera nazione ; fin ch nobilitatosi per tre luminosi trionfi, la necessit da ultimo a ricevere il giogo che tanto sdegnava. Adunque nell' anno ventesimo le dodici citt rifinite omai di da nari e di uomini , fattesi a consultare, destinarono di cedere s stesse i Romani su le condiz'oni gi prima de.cise : e vennero co' simboli di pace i Deputati di cia scuna dicesse per farne la resa, e per supplicare che non fossero duramente trattate. Replic Tullio che hen meriterebbero molte e gravi pene per la imprudenza lo ro , e per la inverecondia inverso dei Num i che

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weano renduti mallevadori dei palli violati : che tra verebBero tuttavia questa volta ancora la dolcezza e la moderazione di Roma, perch riconoscevano la colpa loro, e perch co' simboli di pace e colle umilieuioni ne disarmavano Ut sdegno. Ci detto pose fine alla guerra; cpncedeDd con cuor semplice, e senza ira per a me moria de' mali, che alcune delle d iti si regolaaiero a Jor modo e godessero come per addietro le proprie oott a norma de' patti che aveano con Tarquinio : ma le tra citt de' Cerretani, de' Tarquiniesi, e de' Yejenti, gi prime ad insorgere, e colpevoli di aver msso le altre alla guerra co Romani, queste in pena le mult della campagna, cui divise in sorte tra gli ammessi di freico alla cittadinanza di Roma. Compiute tali cose in guerra ed in pace, e fondati due tempf l'uno nel Foro boario, l altro in fiva del Tevere alla Fortuna sembraUgli propizia tutti i suoi giorni, e da lui chiamata Virile come chiamasi ancora (i) ; alfine provetto assai per et, u lontano ornai dal suo termine, moii tra le insidie del genero suo e della figlia. Io dir di queste insidie ma ripigliandone il filo alquanto da lougi. XXVIIL Avea Tullio due figlie, nategli da Tarqui nia , sposata a lui dal re Tarquinio medesimo. Divenute nubili le donzelle, cugine dal canto materno a' nipoti di Tarquinio , di^dele appunto a questi per mogli, la pi grande al pi grande, e la minore al minore ; cosi prendogli che meglio converrebbono a chi le prendeva;
(i) Tullio fond pi che due tem pj. Fiutar, io quest- Rom- 74> IMa la fortuna P'iriU fa consecrata da Aaoo e aon da Scrrio seeondo lo (tcMO P lutatco De Fortuna Romtm.

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e non die per la difformit de' costami s trov l'uik genero e l ' altro accoppii^to col suo contrario. Lucio il maggiore, baldanzoso, caparbio , tiranno per indole , elibesi la &nciulla , savia , mansueta, piena di amore paterno; laddove Arante il pi tenero, mite molto per genio e tutto affabile, se ne ebbe la iniqua, e tutu ardire, e tutta dio contro del padre. Ora seguiva che movendosi ogntioo a seconda del genio Suo venivano ripiegato in conira* rio dalla sua donna. Ardea lo scellerato dal desiderio di balzare il suocero dalla reggia : ma intanto che a tale disegno applicavasi, erane dai voti contrariato e dal pianto della consorte. In opposito il mite sposo , fiirmo in cuor mo cbe non aveasi ad oiKinder il suocero ma cbe do* veasi aspeture che la natura ne consumasse la vita , n i tollerando che il fratello commetteste qu dk ingtOsiiBa^ era spinto in contrario dalla ribalda sua com pagna, che lo istigava e garrivalo, rimproverandolo come mie. E poich niente poteano n le suppliche delia savia doona die insinuava il suo megtio i non giusto suo sp<MO, n le istigaEoni della malvagia che provocava ai delitti r uomo suo, che non era temperato a commetterne; ma ciascuno seguiva l'indole sua tenendo per molesta la compagna perch non ave a desiderj uniformi ; la prima ne-piangeva , ma comporuva l'acerbo sOo caso, quando 1 'altra frmevane audacissima, e cercava come togliersi dal suo camerata. Or qui levatasi di mente la scellerata, considerando quanto bene a lei si confarebbe il marito della sua germana , sei fa chiamare, quasi per abboo* carsegli d necessarie cose. ' XXIX. E poich fa venBto; ordinando ohe si riti

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rassero qttaiiti eran seco per discorrere sola con: solo :Or s u , disse, o Tarquinio posso io liberamente e senza pericolo ridire quanto medito pel bene di am bedue ? Lo celerai tu quanto sei per udite ? o vtd nteglio che io taccia, n palesi F arcano consiglio ? Ed iavitandola Tarquinio a dire , e certificandola coi giuramenti, qualunque ne volesse , che tacerebbe i di scorsi ; ella non pi contenuta dalla verecondia ineo* nkinci : E fin o a quando o Tarquinio , tu spogliato della reggia, at rai . tu cuore di sofferirtelo ? Sei tu fo rse d ignobile , d ' inglorioso U g n a lo ^ che non ardisci d iimalzarti ai grandi pensieri ? Eppur san tutti che di Grecia essendo , e generati da Ercole gli an tichi tuoi ressero il comando supremo della fortunata Corinto , e per molte generazioni, come ascolto. Tarxjvnio r avolo tu o , trasmigratosi da Tirreni in Bon ia , consegu pe meriti suoi di dominarvi. E tu j il maggior de nipoti, tu devi ereditare non i danari so li, ma la reggia di lui. Forse per la debolezza , o per la defbm l tua non hai tu persona che basti a Jarla da monarca ? H ai pur^ tu gagliardia quanto i pi bennati; hai pur bellezza, quanta degna della progenie dei re. Quali dunque d i tali cause ti si op pongono? niuha.~ T e ne distoglie fo rse t et tua troppo giovane , e troppo lontana dai maturi pensie ri? Per questa non ardirai porti in cima della repubblica ? quando sei presso gi de cinquanta anni ? Eppur gli uomini principalmente di questa et sono fa tti pe consigli i pi. sani. D ; ti obbliga fo rse a reprimerti la nobilt d i chi tiene U comando., o il

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imn essere d i lui co* cittadini, talch non fa cile sia sopraffarlo ? No : che ambedue queste cose gli son contra, n egli stesso lo ignora. Spirano i tuoi co stumi ardimento: spirano non curanza ne pericoli ^ come i costumi il debbono di chi sia per regnare^ H ai tu ricchezze che bastano, amici che abbondano , ed altre comodit copiose ; e grandi per imprendere. Che pi dunque t'indugj ? A spetti fo rse il tempo che per s stesso venga e ti dia la corona senza che pur te ne brighi ? Quando ? dopo la morte d i Tullio ? Appunto la fortuna riguarda gV indugj degl uomini t appunto la natura pon fine alle vite secondo la pro porzione degli anni ! A n zi oscuro, incomprensibile { esito delle cose m ortali. Sebbene, io lo dir pur francam ente, quand anche tu me ne chiami temer* r ia , una a me sembra, una la causa per la quale niente commoveti, non V amor degli onori m n della gloria. H ai tu dorma mal conforme a'tuoi m odi; e questa ti lusinga, fi {in c a n ta , {am m ollisce: e da questa renduto men che uomo diverrai finalm ente un ignoto. Cos pure quel marito eh meco, tutto paura, e senza nulla di virile , quegli ha depresso me chera nata alle grandi cose , quegli lui fa tto il fiore lan guir di bellezza che m i avvivava. Se portava il destino che tu prendessi me per moglie ed io te per m arito, gi non saremmo tanto tempo vivuti nella ignobilit de privati. Che dunque non emendiamo le colpe della sorte ? che non trasmutiamo il matrimo nio ? che non togli tu dalla vita cotesta tua donna ? Io s che apparecchio per quel mio marito l eguai.

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trattaUterUo, E quando, spenti questi f ei sarem conjugati , allora, consulteremo con sicurezza sul resto j Uteri gi dagli ostacoli che ci conturbavano. Che se altri per altra cause teme la ingiustizia ; gi non da riprendersi ohi tutto ardisce per dominare. XXX. Mentre Tullia cosi diceva, ne ascoUara Tai> <]aDo con diletto i disegni: e dando immanlinente e ridevei^ i pegni di fede, e le primizie deli' em^e noz s e , si ritir. N i and gaarl tempo : e perirono per eguale sventura U primogeniu di T ullio, ed il minor de' Tarquinj. E qni sono astretto a far parola di nuovo di Fabio, e riprenderne la negligenza nell'esame dei tempi.. Imperocch fattosi alia morte di Arunte non pecca per questo capo solo come io dinanzi dicea, che descrivelo per figlio di T ar^inio ; ma per 1 *altro ancora che narra , che mortosi Arante fu sepolto dalla madre Ta* Daquilla, la quale non potea di que' tempi pi vivere. Concioflsiadb gi di sopra fu diiaostrato che costei om< merava setunucinque anni, quando mor Tarquinio. O ra aggiungi a questi altri quarant'anni, giacch sappiam dagli annali che Arante manc nell'anno quaran* tesimo del regno di Tullio; e sara gli anni di Tanaquilla cento quindici. Tanto picciola nelle storie dique< ft' nomo la cura intorno la ricerca del vero ! Dopo ci Tarquinio senza indugio riprese in Tullia ima mo glie , ricevendo lei da lei stessa, e senza che la madre approvasse, o consolidasse il padre quelle nozze. E come que' due impurissimi, come que' due micidiali si coagiunsero , tentarono di cacciare se noi cedea di buon grado, Tullio dal trono : e teneano perci delle coor

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ventieole , e raunavano que' senatori clie areano caore alieno da lui e dalle forme di un governo popolare, e comperavano i pi bisi^nosi delia citt quei che non ftvean ura niuna delia giustizia, facendo intanto tutto seou nasconderlo. Tullio vedendo ci, ne fu contnr bato, e temette di essere sorpreso da qualche infortu nio. N dovrebben meno se dovesse far guerra alla figlia ?d al genero, e pigiiarn vendetta come di nemici. Adunque invit molte volte Tarquinio a discorso in mezzo degli amici; ora eedarguendoio, ora ammonendolo ed ora esortandolo a non far contra lui mancamento* Poich per costui non lo attendeva, e pretesuva che dTd>l)e in Senato i suoi diritti ; egli stesso adunando il Senato, incominci : Tarquinio o senatori ( e ben mi ci manifesto ) Tarquinio tien dei cpngressi; Tar quinio m insidia Ho scettro. Io da lui voglio , pre senti vo i, risapere, qual privata ingiuria ha da me sostenuta, o qual vede che io ne ho fa tta sul pub blico per insidiarmi. Rispondi Tarquinio^ non t ' infin gere , d i che avresti tu mai per incolparmene? que sto il Senato, ove d i essere udito desideravi. XXXI. E Tarquinio replic : Breve o Tullio sar il dir m io, ma giusto ; e per voleva io profferirlo tra questi. Tarquinio l avolo mio possed la reggia i R om a, e molti e grandi travagli sostenne per essa. E lui morto j io , gli debbo succedere secondo le leggi comuni de Greci e de Barbari. E convenivasi, come s i conviene a quei che succedono agli a v i, che io ne ereditassi non pur le monete , ma la reggia : e tu mi davi le une come lasciale da esso, e m i toglievi la

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reggia y e gi da tempo la tie n i, senza averla mai ricevuta a norma delle leggi : perocch n gV interr vi ti scelsero , n i senatori mai per te davano il voto , n assunto vi eri dacomizj legittimi come lavo mio e come tutti i re precedenti. Tu andavi al trono, e comperando e subornando per ogni modo una turba d i vagabondi e di m iseri, una turba rovinata nella stima per le accuse e pe d eb iti, una turba infine niente sollecita del pubblico bene : e cos andandovi nemmeru} dicevi di stabilirlo per te , ma davi le viste di custodirlo per noi orfani e pargoletti: e dichiaravi, udendolo tu tti, che quando saremmo gi a d u lti, lo renderesti a me che sono il pi grande. Se dunque volevi tu fa r la giustizia, quando mi consegnavi la casa, quando il danaro dell' avo ; dovevi tu conse gnarmene nommeno la reggia seguendo Vesempio dei tutori onorati e dabbene, i quali ponendosi alla cura de regi fig li, orfani de loro p ad ri, rendono ad essi appena son grandi puntualmente e santamente la si^ gnoria degli antenati. Che se ancora non io sembravati idoneo a pensieri convenienti, n bastante pei Rovani anni a citt j popolosa, dovevi almeno re stituirmene il governo quando io giunsi ai trent anni che son gli anni vegeti del corpo, e della m ente, e rie quali tu mi davi la tua figlia in isposa. Avevi pur tu questa et quando prendevi la cura della no stra casa e del regno. XXXII. T i sarebbe , cos facendo , accaduto di esserne detto pietoso e giusto , di essere il partecipe de mei consigli, il partecipe degli onori, e di udir-

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m iti chiamar padre, e benejattore , e salvatore i e con ogni bel nom e, quanti ne sono destinati dagli uominl^ per le azioni le pi preziose ; n io gi da quareubr taquattr anni sarei privo del -regno, io non in fo ia d i corpo, Ut non disadatto d i niente. E ci stando^ osi pur dimandarmi quale aggravio io np senta, sicch io labbia per inimico, e te ne accusi? A n zi d, Tullio^ d per qual causa non m i stimi tu d ^ n o degli onori dell avo : d i , qual ne travi , qual ten fingi buon t ^ tolo d i tal mia privazione ? Non pensi fo rse che io sia germe puro di quella stirpe, ma intrusovi e spu^ rio ? Come dunque tu curavi un estraneo dq quella famiglia ? o come , quando ei crebbe, gliene rendevi la casa ? O pensi che io non lontano molto dai citi-, quant a n n i, io pur siegua ad essere un orfanp ? un incapace ai maneggi del pubblico ? Lascia dunque gli schem i d i domande invereconde; cessa una volta di esser malvagio. Che se hai giuste cose a rispondere io son pronto d i rimetterle a questi giudici de quali tu non potresti in citt rinvenirne altri m igliori,. Ma se d i qua levandoti ricorri tu , come sempre solevi, a quella tua ligia moltitudine ; gi non sar che io m el soffra. Io qui sno appcurecchiato disputare sul giusto ; ma lo sono ugualmente per eseguirmelo , se non m i ascolti. XXXIII. Al tacere di lai ripigliando Tullioril discorso cos disse: Quanto vero o senatri che dee V uomo aspettarsi ogni caso pi incensalo- n crederne as surdo niuno, se fin questa Tarquinio sta per levarmi
m o s t o t , tomo i f .

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

dal principato : questo Tarquinio , che io prendea , che io attivava fanciulletto d nemici che lo insidia^ va n o , che io educava e cresceva, e cresciuto, compiaceami di avermelo a genero, ed erede infine . di tutto se io patissi umana vicenda. Ma poich tutto m i riesce in contrario, e che no sono anzi accusato come ingiusto ; serberommi a piangere la mia sorte , rispondendo ora su miei diritti a fron te d i lui, O Tar quinia, io presi la cura di voi lasciati fanciullini : n gi di voler m io, ma costrettovi dalle brighe , la presi. Imperocch si dicea che quelli che aveano man^stam ente ucciso F avolo vostro onde riprendersi il trono, avrebbero occultamente insidiato anche tutto il parentado : e quanti a voi per sangue si rifr scono , tutti confessano, che se quelli restavan gli arbitri del comando, non avrebbero pur seme la^ sciato della stirpe de Tarquinj. N on ci avea curatore, non tutore niuno di voi se non una donna, la madre del vostro padre, bisogrwsa ancor essa d i al tri curatori per la cadente et sua. Jiimanevate voi solo a me corifidati, custode unico d e lt orbkad vo stra , a me che ora chiasni un estraneo , un che niente a voi si appartiene. In tali turbolenze ponendomi a l comando io punii gli uccisori d elt avlo vostro, e voi crebbi allo stato di uomini , n avendomi prole virile , io v i eleggea perch a me succdeste. que sto o Tarquinio il discarico della mia cura; n gi potresti in parte alcuna imputarmene di menzogna. XXXIV. M a ^uanfo a l regno , poich d i questo mi accusi, odi come io me lo abbia^ e le cause per le quali

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i non a voi lo ceda , n ad altri. "Quando io presi il governo, avvedutomi che m i si tramavano dell^ insidi , volea nelle mani riporlo del popolo. E ehia^ mando tutti a concione, io gi facean a cedere il comando per cambiare con una vita di calma e tem a pericoli la vita del comandare , la quale pina di invidia, e sparsa pi di amarezze che d i piaceri. N on comportarono i Romani che io tanto eseguissi, n vollero alcitn altro sul Comune , e me ritennero , ed a me diedero col consenso de vo ti, il. regno, quel possesso loro, o Tarquinio, e non vostro^ Cos pure r aveano gi dato alVavolo vostro tuttoch forestierot e niente congiunto c o ire precedente; sebene Anco Marzio lasciava de fig li m aschi, e jto rid i per anni^ e non de nipoti y e piccioli , come Tarquinio voi la sci. Se legge comune d i tu tti, che chi eredita le sostanze e i danari dei rei che cessano , debba in* eieme riceverne il regno, dunque non f u Tarquinio V avolo vostro che al morire di Anco ottenne la co~ ro n a , ma il figlio primogenita d i questo. M a il po polo d i Roma chiama a l comando V uomo degno di a verlo, e non il successore del padre. Imperciocch giudica che le sostanze sieno di chi le possiede, ma che il regno sia di quelli che il diedero ; pudica con venirsi che ottengano quelle gli eredi per sangue o p er testamento se i padroni sen muojono , e che tom i V altro a chi '/ diede se vien meno chi preselo a reg gere ; se non forse hai tu da contrappormi che Favolo tuo ricevette il regno con tal condizione che non po tesse pi tersegli, e che lo tramandasse af voi suoi

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D ELLE

a n t ic h it

nO M A N E

discendenti ; sicch non fo sse pi V rbitro esso po polo di conferirlo .a m, levandolo a voi. M a se hai tu punto ^ i sim ile, che noi produci? M a non gli hai ti questi patti. Che se io non ebbi il regno per buona via come d ic i, non eletto dagl interr , non portato dai senatori agli a ffa ri, n compiendo il re sto a norma delle leggi; questi dunque, questi ho 10 vilipsi e non te : e questi a non tu , saria giusto che P autorit men finissero. M a n io violai questi, n altro chiunque. I l tempo m buon testimonio, che 11 potere m i f u dato legittimamente, e che legittima^ mente mel tengo. Imperocch gi ne volge t anno quarantesimo e niun Romano pens mai che io com mettessi , avendolo, una ingiustizia ; e non il po polo, non il Senato mai si mosse a spogliarmene. XXXV. Ma lascisi pur tutto ci : diasi pur luogo alle tue ragioni. Se io te privava d i un deposito deUt avo, se io m i ascrissi il tuo regno contro tutti i diritti degli uom ini, convenivasi che tu a quelli ne andassi che mel diedero : che con quelli ramarir cassi e garrissi che io mi tenga le cose non m ie, e che essi mi si obbligarono col dispensarmi t altrui : e se tu il vero dicevi; di le ^ e ri gli avresti persua si. Che se tu non certificavi ci co"'tuoi parlari; e tuttavia pensavi, indebita cosa che io tediassi, e che tu sei pi acconcio al maneggio del pubblico ; potevi alm eno, fa tta ricerca diligente demiei errori, e nu merate le' belle tue gesta , riclamartene giuridicamente la precedenza. Ma tu non hai fa tta n Cuna n ta lr tra cosa; e dopo tanto tempo, finalm ente> quasi rior

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i>Mdoti da lriga ebbriet , vieni per accusarmene , e nemmen ora dove sidee. Cnciossiach, gi non conviene che queste cose qui dichi ( e voi non ve ne degnate o Padri > mentre io cos prlo non perch vi ai tolga questa causa, ma per dichiararvi li costui vanilo(fuj ) , ma conveniva che preaccemutndomi tu che aduneresti il popolo a conciane l mi accusassi. Ora ciocch hai tu schivato , lo supplir io questo'per te: convocher il popolo, lo fa r giudice delle accuse che vuoi : lascer che decida d nuovo, qual sia pi idoneo d i noi per comandare; e quello che l desti~ nasi , quello adempir. M a basti il fin qui detto'a rispondati: perciocch torna alio stesso dir poche o molte ragioni con emoli che non le apprezzano , men^ tre quesU per indole nemmen s o ^ o n o ciocch li per suada ad essere umani. XXXYI. Ben io m i meravigliava o senatori che alcuni d i voi (^se ve ne sono ) volendo depor me , co^ spirassero con costui. Volentieri udirei da loro per qual mia ingiustizia n fa n guerra, o da quale mio tratto inaspriti. Sanno essi forse che assai nel mio principato perirono sema essere u d iti, assaiJitrono spogliati di patria , assai delle sostanze, o con ahre sciagure qjfflkti ? o non avendo a ridire su me niun tirannico modo di questi, sono essi fo rse consapevoli delle mogli loro da me disonorate ; delle profanate loro vergini fig lie , o di tal altra mia incontinenza su JC ingenue persone? Egli giusto'se in me sono tati ctpe , che io s ia , non s del regno privato , che della vita. O pu dire alcuno che un superbo io sono, un

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esoso per la mia durezza , un intollerabile per la mia caparbiet nel. governare Qual mai dei re predeces sori f u cos moderato^ cos umano nel suo potere qual f i i con tutti come m e, quasi un tenero padre cofigli ? Jo quel potere che voi. m i deste, voi custodi d i ci che avete dagli avi ricevuto io non lo volli questo nemmen per intero : ma creai leggi, ( e voi le approvaste queste le ^ i) su cose principalissime, e le intimai perch tutti esigeste e rendeste co(i esse i d iritti, ed io stesso il primo m i vi sottoposi, docile cme un privato agli ordini, che io dava per altri. Che pi, : non io m i tenni giudice di tutte le ingiusti zie f ma commisi che voi stessi giudicaste delle pri vate ; ciocch niun'avea fa tto dei re precedenti. Laon de ; non vedesi in me colpa sicch altri me ne con trarino. O turbano voi fo rse i benefizj miei verso del popolo ? M a non sarebbe cos pensare un offendervi / se gi^ tante volte con voi me ne giust^cai. Se non ch^ niente bisognano discorsi tali : se a voi pare che questo Tarquinio, preso il governo, sia per amministrarvelo anche ineglio : io non invidio a Roma il suo miglior principe. Restituendo il comando al po polo che mel diede, e tornandomi tra privati, fa r che vedasi chiaramente che io sapea tanto ben do minare , quanto io posso dignitosamente servire. XXXVIL Dette queste cose, e coperti di confusoDe quelli che contra lui conginraTano, dimise 1' adunanza. Quindi chiamati li banditori , ordin che recatisi in su tutti i quadriv), invitassero il popolo a raccogliersi. Ed essendo la urbana nioltitudne accorsa al Foro , egli

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ascese in tribuna, e tei>nevi un patetico e lungo ragio* namento ove nun v ^ le gesta militari eh' egli fece men tre viveva Tarquioio e dopo , e ricord mano a mano le istituzioni donde sembrava il Comune prosperato di ' molte e grandi utilit. E venendogli dal din di ogni fatto amplissime lodi, e desiderando ornai tiitti sapere perch b ridicesse., pales Gnalm^te come Tarquinio accusa, vaio eh egli tenesse a torto un regno che a lui si do yeva : e come spargeva che lavolo gli avea nel morire lasciato con le ricchezza anche.il,regno, e. che non po teva il popolo concedere ciocch suo non era. pii svegliatosi in tutti clamore , ed indignazione, egli inti mando silenzio, pregavali che pon impazientissero^ ni. tumultuassero a quel dire: ma chiamassero Tarquinio, e se foi-se avva giust,e cose da esporre le conoscessero: e se lo trovassero offeso, e se pi^ idoneo a reggere, gli affidassero pure il comando di Roma : egli se ne al> lonUnerebbe, e renderebbelo ad essi da' quali lo ebbe. Cosi lui dicendo e movendosi gi per iscendere dalla Uibuna, proruppe da mtti un grido, un gemito, un, pregar vivo che non cedesse ad altri il comando. E ci avea pur chi esclamava che si avesse a tempestare Tar quinio : e colui, vista in fremito la moltitudine, temendo che non gli desser di mano ; iiggissene cogli amici in casa. Allwa tripudiando tutto il popolo ricondusse tra gli applausi e le acclamazioni Tullio alla reggia. XXXYIII. Tarquinio, venutogli meno quel tentativo,, frem dal rancore che il Senato non gli dess^ alcun ajuto, quando egli fidava sv questo principalmente; e teanesi per alcun tempo in casa uon conversandolo che

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gli amici. Quando la dona sua gli si fece a dire che pi non doved star mollemente a bada, ma che dovea, lscite le parole, venire ai fatti, e primieramente cer car pace per mezzo degli amici da TnIKo , perch co lili credendoselo riconciliato, meno il guardasse. E parodogli eh' ella ben consigliasse , finse di esser pentito, e pi voke per mezzo degli amici br caldamente Tul lio aflmch lo perdonasse ; n difficilmente ve lo indusse, essendo placabilissimo per indole, ed alieno da un guerra inestinguibile colla figlia e coi genero. Ma venutogli po scia il buon punto, essendo il popolo sparso ne campi per la raceolta, egli usci cinto di amici co'pugnali sotto degli abiti : dati i fasci d alcuni de* servi, e presa per se regia vestie ed altri sitnboli del comando, si rec nel F o ro ; e standosi dinanzi la Curia, intim che il ban ditore convocasse il Senato. E siccome ci aveano gi pe( F oro appostatamente mlti dePatrizj consapevoli ed isti* giitori del delitto ; allora si concentrarono. Intanto corso alcuno in casa di Tullio lo informa come Tarquinio era uscito con regie vesti, e chiamava i Padri a consiglio. Stupitosi Tullio dell' ardimento and tra picciolo seguito con pi velocit che saviezza: e giunto nella Curia, e vedutolo in sul trono , e con gli altri distintivi reali, c h i, disse , ch i , scelleratissimo uomo , ti conced que sti onori F colui, f u , replic, Ju Vardire tuo, f u la tua inverecondia o Tullio ; perocch non essendo tu libero , ma servo nato da serva , e posseduto qual pri gioniero dall avolo mio, ti arrogasti il comando d i Roma. Tullio , ci udendo, inaspritone, si lanci fuor di propsito su lui , come per ishalzarlo dal trono. Vide

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Tarquibio ci con caletto , e sorgendo dalla regia sede afferra e trasportasi lai vecchio ,* che grida , ed invoca i suoi. Gianto fuori della Caria egli florido e forte, le* vaio in alto, e trabalzalo gi per le scale che mettono al luogo de' cemisj. lzatod appena dalla caduta il vec-' cfaio, come vide intorno , pieno tutto de' partigiani di' Tarquinio , e deserto e vuoto de' cari suoi, partesene malconcio e mesto con pochi die lo sostengono , e ricondueono, mentre riga intanto la via di sangue. XXXIX. Na^ansi dopo ci le opere dell' empia e bariiara figlia, tremende ad udirsi, come portentose n credibili a farsi. Costei sentendo che il padre era ito in Senato vogliosissima di CMiosceme la fine, venne in sul' cocchio nel Foro : e conosciutavela, e veduto Tarquimo in su le s(le della Curia, essa la prima a gran voce lo saliit momrca , supplicando gl Iddii, che il regno di lui riuscisse propizio a Roma. E salutandolo monarca altri ancora de' cooperatori suoi, lo trasse in disparte e disse : Le prime cose o Tarquinio le hai tu .f a tte come doveansi. M a finch vive Tullio non potrai renderti stcAUe il regno. Egli se abia piccioto tempo di questo giorno ; ecciterattene incontro il po polo; e tu sai quanto il popolo lutto per lui. Su dunque prima cK ei torni in casa, manda chi lo uc cida ; te ne libera. Ci detto, e sedutasi di nuovo in sul cocchio , parti. Tarquinio convinto che la iniqis-. sima donna ben consigliava , spediscegli contro alquanti de' suoi co' brandi : e quelli trascorrendo rapidissimaDjente la via raggiunsero Tullio presso la casa, e lo, uccisero. Abbandonato palpitavaue .ancora, il cadavere

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per la strage rceole ; quando k figlia sopraggitioge : ma stretta essendo la via donde aveasi a passare, le mule a tal vista si spaventarono : e 1' auriga stesso ohe le guidava mosso da compassione si ferm e si volse a colei. La quale dimandandogli perch mai non pro^ cedesse : N on vedi , disse, o T u liia , che qui giace il morto tuo padre , n vi transito furch sul cadavere suo ? E sdegnatasene quella e levatosi 1 scabllo da piedi e lanciatoglielo disse : E non le guidi o stolto in .ut/ morto ? E colui gemendo anzi per la compas sione che per la percssa spinse forsosamente le mul su del cadavere: E la via chiamata Olbia (i^ per ad dietro, fu d opo (1 tragico e barbaro caso detta eU' i^ dipma de Romani scellerata. XL. Tale fu il termine di Tullio dopo quaranta quattro anni di regno. Dicono che questuomo il primo alterasse i patrii costumi e le leggi ricevendo il prin cipato non dal Senato insieme, e dal popolo come tutti i re precedenti ma dal popolo solo , guadagnane dosene la classe indigente con distribnzione e doni, ed altri seducimenti. E cosi sta la verit; perciocch net
(l) OX/3te in greco fe lic e , fortunato : sarebbe il sento che

la via ftlice fortunata fu delta tcellerala pel delitto. Alcuni leggono K v x f n s in luogo di tX jS o f, certamente, secondo che scrive V arTone nel lih. de lingua latina, i Sabini quando si unirono ai RoMani chiamarono Cpria la contrada di Roma nella quale si allog giarono come per buono augurio, perch Cyprum tra Sabini significava il bene. E secondo ci la contrada detia Cpria o buona dai Sabini pel buon augurio , sarebbe appunto quella che poi detta sotllerata per la empiet commessavi. Ma Varrone scrive che questa contrade crav pcosiine , c non. g ii le medMine.

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primi tempi quando un re moriva , il popcdo dava al corpo dei Senato la podest di stabilire la forma die pi volessero di governo, ed il Senato nominava gl' in terr e gl' interr sceglievano per sovrana 1' uom pi& pregevole sia decitudini, sia de'nazionali, sia de'fo restieri : e se il Senato ne apjnovava la scelta, se il^ po polo co'voti suoi r amoriczava, se gli auspizj la con fermavano, colui prendeva il comando. Che se mancava alcuna di queste condizioni , ne nominavano un secoq do ; e poi un terzo, se avveniva che il wcondo non. avesse propizio quanto era d' uopo dal cielo e dagli nomini. Ma Tullio, come innanzi iu detto, assumendo in principio il carattere di regio tutore , e poi guadai gnandosi il popolo con gli amorevoli modi, fu re no minato solamente da quello. Poi diportando come uo mo temperato e clemente fe colle opere successive ta cere le accuse, che non avesse adempita ogni cosa a norma delle leggi ; la^iando a molti il sospetto, che se non era presto levato, avrebbe ridotto, lo Stato a forma di una repubblica. E questa la cagion princi pale per cui dicesi che alcuni de' patrizj lo insidiassero. Non potendo con altro modo finirne il comando, mi sero Tarquinio alla impresa e gli cooperarono il regno, per voglia di deprimere il popolo, ornai troppo potente pel governo di Tullio , e di ricuperare la dignit che essi da prima si aveano. Levatosi per tutta la citt romore e pianto per. la morte di Tullio ; e temendo Tarqumio che se ne fosse portato il cadavere, come ro mana consuetudine, pel Foro con regia pompa.e con gli altri funebri riti non sorgesse centra U ii 1' tra po

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polare prima che si aresse consolidato il comando ; ns permise che a Ini si rendessero gli asad onori. Sola, con pochi amici, la moglie di Tullio e figlia insieme dell' antico re Tarquinio ne port di notte fuori d ^ a citt le morte spoglie quasi le comuni e ^ili di un priTato ; e piangendo la sorte infelice sua, e mille fa cendo imprecazioni alla figlia ed al genero Io sep pell. Di l tomausi in casa, e sopravyitendo alla sepol tura nn giorno ; nella prossima notte spir. S'ignorava per da molti la maniera del termine sao. Diceano alconL eh' ella stessa aveasi data da s la m orte, an teponendola al vivere. Altri per diceano che era stata uccisa dalla figlia e dal genero come troppo ad dolorata e benevola inverso lo sposo. Per queste ca gioni il corpo di Tullio fu privo di regj funerali, e d magnifico monumento: consegu per colie opere sue memoria perenne in tutti i tempi. Anzi quanto egli fosse caro agl'Iddi lo fece eziandio palese un se-' gno celeste : dond' che alcuni tennero ancora per ver la opinione incredibile e favolosa intorno la nasciu sua come dianzi fu detto. Appiccatosi il fuoco al tempio della fortuna , che egli avea gi fabbricato, mentre tutto era preda delle fiamme ne rimase intatta solamente la statua di lai in legno dorato. Il tempio e quanto nel tempio rifabbricati dopo l ' incendio sul modo antico presentano le treccie di un'arte recente: ma la statua^ antica com* era nelle fattezze, vi riscuote ancora il culto, dai Romani. E ci quanto abbiamo ricevuto rpra Tullio. XLL Dopo < U lui prese la signoria di Roma Lucio

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Tarquinio non gi secondo le leg^ ma clle armi nelr anno quarto dell' olimpiade sessantesima ptima ndla quale vinse n ^ o stadio Agatarco , ssendo arconte di Atene Tericleo (i). Costai spr^ando la popolar m^ltitadine, spregiando i patrizj da' quali ra stato cotidotto al trono, e confondendo e sconciando ogni co? stame e legge e disdplina colla quale i re precedenti aveano <lato forma a Roma; rivolse Q governo in una manifesu tirannide. E primieramente mise intorno a s guardie di bravi, nazionali ed esteri, con spade e laiv> ce, i quali vegliando di notte negli atrj della reggia , e scortaqdolo di giorno, ovunque ne andasse, lo scheiv liscer appieno dalle insidie. Inoltre non usciva n di continuo, n con periodo certo, ma di raro, e quando non aspettavasi. Ddiberava su le cose comuni molto in sua casa, e poco nel F oro, in mezzo a' parenti pi tretti che Io guardavano. Non concedette ^e alcuno ^i quei cbe il volevano si presentasse a. lui se noi chiamava: e presentatoglisi, non era gi con esso, compiacevole e mit^ , ma grave ed aspro come un ti ranno, e terrbile anzi che gioviale a vedere. Definiva le controversie su contratti in conformit de' costumi suoi, non delle leggi e del dritto. Per le quali cagioni < i Romani Io denominaron superbo , ciocch neU'idioma nostro vpdl dire soperchiatore contrassegnando l ' avo col soprnnOme Ai Prisco, o come noi diremo amico per nascita, giacch quello aveva i non appunto dd ^ v in e .
(i) Nell* anno aao di'Rma seconda C aton e, aaa secondo V a tH w c, e S3a aTAnii Orm(a>

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DELLE a n t ic b it a

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XLI. Quando poi concpi di rer gii consolidato il suo regno , cenoeKandoBene co' pi rOuIdi de' suoi atni^ d , avvilupp tra accuse eapitli i piik cospicui de' citr ladini ; e primieramente i contraici suoi, quei che giii non> voleano che Tullio si levasse dal t^n o , e quindi altri li quali immaginavaseli malcenteuti del cambia^ mento, o li quali abbondassero di riccheue. Color in giudizio li riducevano, gli accusavano l'un dopo laltro con delitti falsi, e eoe quello specialmente ohe tendevano insidie al re che ne era il giudibe.' Ed egU quali ne coadtoinava alia morte, e quali all' ^ tio : confiscati i bni degli uccisi o banditi, dspensavane alcun poco tra gli accusatori, serbandone la pi gran parte per s. Pertanto molti de'prmarj vedendo le car gioni per le quali erano insidiati, lasciarono, prima di essere complicati in delitti, Roma tutta al tiranno. Vi furono pure alcuni sorpresi ed oppressi di furto da lui nelle case o ne'cam^H : uomini ben degni di riguardo, ma non pi sen trovarono nemmeno i cadaveri. Di^ surutta cosi la maggior parte del Senato con stragi e con esilii perpetui la suppl con chiamare agli onori di quei che mancavano i propri amicit n per concedette loro di fare o dire' se non quanto egli avesse prescritto. Tanto che li senatori gii scehi da T ullio, e superstiti ancora nel Senato, e contrarj fin'allora al popolo sul 'Contetto che la mutaBione tornerebbe in lor bene per le promesse avutene da T arquinio ingannevoli e tradi> tiic i, vedendo infine che non aveano pi parte nelle pubbliche cose, anzi che aveano come il popolo perduu la libert ne sospiravano: ma temendo un avve-

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aire ancor pi: terribile, n potendo impedire pianto faceasi, chetaronsi necestariameatfi a' mali presenti. XLIII. O r vedendo il popolo c i , pensava che stesse lor bene, e godea sul contraccambio, quasi la ti rannide fosse per essere grave a quelli soltanto e noil pericolosa per lui ; quando non molto dopo ne vennero i mali ancora pi su di sso : imperocch Tarquinio anntdl tutte le leggi di TuIKo per le quali il popolo rendeva ed esigeva il giusto con diritti eguali sensa es terne come prima sowerchiato da' patriE) ne' confratti t b lasci pur le tavole dove erano scrtte, ma fattele levare dal Foro le distrusse. Poi tolse i daj, proporr zionvoli ai registri delle sostanze , tarandoli novameote sul modo antico. E se mai bisogaavano a lui denari, eontribuivane il pi povero quanto il pi ricca O r tale regolamento esaur subito colla prima imposizione gran parte del popolo,* essendo astretti a pagare dieci dramme a tesu. Intim che non pi si facessero quei concorsi, quanU sen facevano per vilhiggi, per c u rie , o per vicinati, a R om a, o nella campagna in occasione di feste o sagrifizj com uni, perch riunendovisi molli non vi macchinassero occultamente fra loro di abbattere il principato. Ci aveano qua e l disseminati, ignoti osservatori e spie dei detti e de' fatti, e questi intra mettendosi a'colloquj, e talvolta malignando essi ap^ punto contro il governo scandagliavano gli animi: e s^ scoprivano alcuno esasperato da mali introdotti lo in*> colpavano presso del'tiranno: ed aspre; irreparabili ne erano le p en e, se restava convinto. XLIY.: N gli bast di abusace io u l . modo del po-

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polo : ma raccogliendo dal mezzo di eiso joanti ci avea fidi e proprj per la guerra, astrinse gli altri a lavorare in ckt, riputando che i re moltissimo pericolano, se ,i pi scellerati e poveri stieno oziosi. E desiderando vi* vameate che si ultimassero nel suo regno le. opere la sciate imperfette dall' avo suo, che si continuassero fino al fiume le cloache cominciate da quello e si ctKondasse di portici coperti il Circo Massimo il quale non aveane die le gradinate; si applicarono a questo lavoro, e oe ottennero parco firumento i poveri , altri tagliandone i materiali altri guidando i carri che li trasportavano, ed altri portando su le spalle i pesL Chi scavava sotterra nei canali e largure : chi facea volte in essi; e chi.sol levava de portici. In servigio intento di questi fabbri erano ferraj, falegnami, scarpellini staccati daproprj la vori, e tenuti ne'pubblici. Esercitato il popdo in tali travagli non prendea requie niuna; tantoch li patrizj ve dendo que' lor mali e quella schiavit se ne racconsola vano in parte, e scordavano i proprj mali: non per n gli uni n gli altri si aUentavano d'impedire quanto icevasi. XLV. Considerando Tarquinio che chi non riceve il comando per legittime vie, ma lo usurpa colle armQ abbisogna di guardia interna nbn solo ma di estera ^ cerc di render amico l ' uomo pi cospicuo e pi potente di tutti i L atini, nominato Ottavio Mamilio, congiungendoselo col matrimonio 'della figlia. Derivava costui la origine da Telegono figliuolo di Ulisse e di Circe, ed abitava nella citt del Tuscolo. Godea la f> ma di buon politico e di buon capitano. Rendutosi

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amico quest'uom o, e con lui conciiiatisi i magistrati pi grandi di ogni citt , si accinse allora finalmente a tentare aperte guerre, e movere le armi -contro { Sa bini che non pi volevano ubbidirne i comandi, pen sandosene sciolti fin dalla morte di Tullio , col quale aveano firmato gli accordi. Conosciuto ci fece inten dere pe' messaggieri agli usati di raccogliersi a consiglio in nome de' Latini che si recassero alla dieta la quale tenevasi in Ferentino ; destinando il giorno nel qualetratterebbe con essi di comuni gravissime cose. Eransi questi col presentati; n Tarquinio che ve gli avea convocati, appariva. E poich 1' aspettarvelo ornai diveniva troppo, anzi ingiurioso pareva ai pi del consiglio riunito ; un tale che abiuva a JCoriolo (i) uomo po - tente per.amici e sostanze, valevole in guerra, n in facondo nelle cose civili, chiamato Turno Erdbnio, ni mico a Mamilio per ambizion di governo, e sdegnato con Tarquinio perch aveasi scelto Mamilio per genero e non l u i , fece una lunga accusa di Tarquinio nume randone le opere di orgoglio e di soperchieria, come il non essere venato in consiglio, dove eran gi tutti, e dove gli aveva esso stesso invitati. Difendealo Ma^ m ilio, imputando l indugio a cause urgentissime, e. chie dea che diffarissero ; e differirono il consiglio al prossi mo giorno, indotti dal suo parlare i Latini.
( i ) Livio ne) lib. 1 dice che era della Riccia: Turnus H erdonUis a i A r id a . Forse la gran Tcinanza di Carialo e AaW Arida fece preuder l ' una per l altro. Cortola era fia i territorj Ansiate , Aideatino', ed Aricino, sai monte Giove.
D I O N I G I tmo I I .

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XLVI. Gianto nel gioroo appresso Tarqoinio, e con gregato il consiglio, e toccato di volo l indugio suo , feces a discorrere della preminenza che a lui compe teva come posseduta gi dallayo per la forza delle armi; e present gli accordi delle citt fatti con quello. Lungo fu il suo ragionamento intorno dei diritti e dei patti; e grandi le promesse di beneficare le citt se amiche gli si tenessero, e provocavale infine a far guerra con esso ai Sabini. Come di fine al dir suo, Turno recatosi in nanzi accusava la tardanza di lu i, n permetteva che li compagni gli cedessero il principato, perch n dovuto a lui per giustizia, n possibile a darsegli con utile dei Latini, E molto ragion su l'una e su l'altra cosa dicendo che i patti che avean segnati collavo suo quando gli ac cordarono la sovranit finirono colla sua morte, per non essere scritto in quelli che il dono estenderebbesi anche ai posteri suoi. qui dimostrava eh* egli che pretendeva succedere ai diritti dell'avo, era il pi ingiusto, e mal vagio de' mortali : e ne allegava le opere da lui fatte per aversi il comando di Roma. Adunque scorrendo i tremendi e molti suoi d elitti, conchiuse infine che egli non tenea legittimamente nemmeno Rom a, non aven* dola come i re precedenti ricevuta da'sudditi spontanei. Egli F ha presa, disse, colia violenza e colle turni: e fondatasii la tirannide , uccide , esilia, confisca , e to

glievi fin la libert di parlare, non che quella del vi~ vere. Ben sarebbe grande la stoltezza, grande la in giuria inverso gli Jddj ripromettersi mai tratti umani e benevoli da un empio e da uno scelle,raito , e cre dere che chi non ha perdon alo nemmeno agC intimi

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suoi, nemmeno ai suo sangue , risparmi poi gli altri. Esortavali dunque giacch non eransi ancora sttoposti a| giogo, a combattere per non sottoporvisi. Da ci che pativano gli altri di terribile argomentassero ciocch sa* rebbero essi per sopportare. XLYIL Vaiatosi Turno di qaesto discorso, ed assai commossine i pi ; Tarquinio dimand per difendersene il giorno seguente, e lo ebbe. E sciolto appena il con siglio ; convocati i suoi pi intim i , esamin con essi ciocch' era utile a farsi. E quali suggerivano le risposte di apologia, quali ragionavano fra loro de' mezzi onde era da blandirsi la moltitudine. Soggiunse Tarquinio* che niente di ci bisognava, e disse il parer, suo di le> vare l'accusatore, anzich di purgarsi dalle accuse. E lo> datone da tutti e concertatosi con essi; pigli tali vie per l'in ten to , quali non sareUiero cadute in mente di uomo che macchina o si difende. Imperciocch cercati li servi pi rei che mnavano i giumenti o curavano le robbe di T u rn o , e corrottili con argento, gl indusse a prendere da s stesso nella notte assai spade e porurle nell' ospizio del padrone e nasconderle , e lasciargliele tra le bagaglie. Poi nel giorno appresso , riunitosi il consiglio, e venutovi : Breve , disse, f apologia su le mie colpe, e giudice rie stabilisco Vaccusatore mede-~ simo. Questo Turno , compagni, giudice stabilito delie reitadi che ora mi ascrve, questo da tutte assolveami g i , quando chiese in isposa la mia figlia. M a poich ne f u rigettato , com' era ben giusto ( im perocch qual- savio mai rispinto avrebbe Mamilio, un s nobile ', un s potente Latino, e prescelto avrebbe

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per genero costui, che mal pu delinear la sua stirpe; Jino al trisavolo ? ) poich ne f u rigettato, indispetti tone mi assalisce colle accuse. Doveva, se per tale mi conoscea qua mi accusa, non desiderarmi per suo cero : o se mi tenea per onesto quando mi chiese Ut figlia, non doveami ora come un ribaldo accusare. E ci basti su me: perciocch non si debbe ora pi discutere se buono o malvagio io mi s ia , quando voi, o compagni, voi correte il piit grave de*pericoli. E su me potete ancor dopo chiarirvi : ben ora dee colla sal vezza vostra la libert provvedersi deUa patria. 1 prim arj delle citt, quei che ne maneggiano il pubblico, tutti sono insidiati da questo bel capo-popolo, il quale apparecchiasi, uccidendo i pi cospicui, torsi il regno del Lazio. E questo, s questo il fine che qua lo menava. N gi io parlo immaginando , ma di pienis sima scienza, datami nella notte andata da uno dei complici della congiura. E se voi vorrete meco idtospi zio di costui venire, io ven dar documento infallibile del dir m io, le armi che vi occulta. XLVIU. Or lui cosi parlando sciamarono tutti, e chie sero , temendo per s, che certificasse il fatto, non gli illudesse. E T u rn o , come lui che non avea preveduto le insidie, disse che volentieri ricevea la inquisizione, e chiam li primarj per compierla , aggiungendo che se guirebbe l'una delle due, o che egli morirebbe se il trovassero con apparecchio di altre arme che pel viag< gio, o che le pene sue subirebbe chi lo calunniava; Cos piacque ; ed andarono e trovarono nell' albergo di lui trst le bagaglie le spade nascostevi da* servi, AUor

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non lasciando nemmen che parlasse gittarono Turno in una voragine, e coprendolo, vivo ancora, di terra lo sterrainaron sul fatto. Ed encomiando nelladunanza Tar> quinio come benefattore comune delle citt, perch ne avea salvato gli ottimati, lo crearono capo della nazione co'diritti appunto co'quali ne aveano gi creato Tarquinio r avolo suo , e poi Tullio. Scrissero in su colonne que p a tti, e datosene il giuramento per la osservanza, si congedarono. XLIX. Tarqulnio divenuto capo de' Latini spedi mes saggeri alle citt degli Ernici e de' Volsci invitandoli a fiir seco amicizia ed alleanza. Ma de' Volsci due sole duadi Echetra, ed Anzio secondarono l ' invito : laddove gli Emici si decisero tutti per 1' alleanza. Ora curando Tarquinio che gli accordi colle citt si conservassero in ogni volger di tempo ; deliber fissare un tempio co mune i R om ani, ai Latini , agli Ernici ed ai Volsci confederatili, perch riunendosi ogni anno al luogo de stinato vi mercantassero, e banchettassero, partecipando de'sagriizj medesimL Ed ascoltandone tutti con piacere la id ea, scelse quanto era possibile in mezzo de' popoli per luogo della riunione il monte sublime , il quale so vrasta alla citt di Alba : e dichiar per legge che in juesto fosser le fiere, in questo fosse triegua di tutti in verso di tu tti, e conviti si facessero sacrifizi co muni a Giove detto Laziale, prescrivendo quanu parte dovesse ogni citt contribuire per essi, e quanta rice verne. Quarantasette furono le citt compartecipi delle feste e de' sacrifizj ; e tali sagrifizj e tali feste le conti' QUano ancor di presente i Romani che Latine le chia

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mano. Le citt compagne nel sagtificare portano agnelli, o cacio, o latte , o tal' altra oblazione in frutti e fari ne. Immolandosi per da tutte un sol toro, ciascuna prendeane per s la parte stabilitale. Il sagrifizio per tu tti, ma presiedono al rito santo i Romani. L. Poi eh' ebbe rassodato il regno con tali confedera zioni ; risolv di portai-e Tarmala contro i Sabini. E re clutando de' Romani quei che men sospettava che farebbonsi liberi se otteuevan le armi, e congiuugendo con essi truppe alleate, pi numerose ancora delle sue, de vast le campagne Sabine : e vintivi quei che vennoo con esso a battaglia ; men l'esercito contro de' Pomen^ tini. Abitavano questi la citt di Sessa e pareano i pi felici de'confinanti, anzi per la felicit molesti e gravi a tutti. Avendo egli gi reclamato ad essi per alquante rapine e prede , e richiestili che dessero de' compensi, non aveano dato che orgogliose risposte: e quindi po stisi in arme aspettavano pronti la guerra. Adunque ve nuto con essi in sul confine alle m ani, ed uccisine molti ; ne respinse e rinchiuse gli altri fra le mura : e poich non pi ne riuscivano, accampatosi dirimpetto, li circond di fossa e vallo, investendo la citt con as salti continui. Resisterono quei che v'erano dentro, du rando assai tempo fra stenti luttuosi. Ma poi venendo ad essi meno ogni mezzo j infiacchendo ne' corpi, e non ricevendo soccorsi , n requie m a i, anzi travagliando di e notte ; furono sopraffatti dalla forza. Impadronitosi della citt trucid quanti vi stavan colle arme: lasci che i soldati rapissero donne, fanciulli, quanti .sop portavano di cader prigionieri, e moltitudine non facile

LIBRO IV . 71 a calcolarsi d servi : e conced che invadessero e si p o r ta s s e quaiit altro veniva loro alle mani sia nella citt , sia per la campagna : ma l ' orO e l'argento, quanto se ne trov^ lo f' tutto rammassare in un luogo, e de> cim^olo per la ibndanione del tempio , ne divise il re* sto fra le milizie. T anta poi ne fa la somma che ogni soldato ricev cinque mine di argento e la decima per gl'Iddj non in minore di quattrocento talenti di ar* gento. LI. Ancora egli stavasi a Sessa quando gli giunse un messaggio , eh' era uscita la giovent fiorentissima del Sabini: che gettatasi in due corpi nelle terre de' Ro mani ikvastavane U campagne, F uno tnendosi presso di Ereto , e l'a ltro presso di Fidene : e che se u n i forza non le si opponesse, ben tosto tutto soccombe rebbe. Com' ebbe ci udito lasci picciola parte dell'eser cito in Sessa con ordine che vi guardasse le prede e bagaglie: e prendendo con s il resto della milizia-, spedita e le d e r , e marciando contro quei che erano accampati presso di Ereto, si trincer su le alture a pic ciolo intervallo da essi. Decisero i due Sabini dar l bat> taglia in sul mattino; e spedirono perch venisse l'eset^ cito ancor di Fidene. Ma scuoprl Tarquinio il disegno per essere stato preso chi portava le lettere dagli uii agli altri. Per tal successo ei si valse di questo accorgi* mento. Divise l 'esercito in due p a rti, e ne mand l ' una fra la notte di nascosto de'nemici su la via che viene da F idene, e schierando l ' altra in sul brillare del gioi< < n o , la men dagli alloggiamenti alla battaglia. Corag*giosi gli uscirono incontro i Sabini non vedendo gran

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serie d e 'n em ici, e credendo non altro mancare all'ar mata di Fidene, se non di giugnere. Cosi venutisi que-i sti a fronte combatterono, e la pugna pend gran tempo dubbiosa, quando li soldati spediti nella notte da T arquinio ripiegarono la marcia , e coiTevano a tergo dei Sabini. Sbalordirono questi al yederi, e ravvisarli daUe insegne e dalle arm i, e gettando le proprie tentarono di salvarsi : ma il tentativo riusci difficilissimo, essendo essi circondali da' nemici e rinchiusi dalla cavalleria dei Rpmani postata d' ogn' intorno. Pertanto podbi ne scam parono e tra duri casi : i pi ne perirono, o cederono. Quelli eh,' erano lasciati agli alloggiamenti non li sosten nero ; e quel luogo di sicurezza ii invaso al primo as salto. Furono qui prese le robbe de'Sabini, e qui molti de' prigionieri, e qui le robbe de' Romni quante ne erano intatte, e tutto fii salvato per chi le aVeva perdute. LIL Riuscito il primo saggio a Tarquinio secondo il cuor suo, prese 1' esercito, e ne and contro i Sabini accampati gi in Fidene, a' quali non era ancor nota la disfatta dei loro. Usciti questi dagli steccati erano per avventura tra via: ma non si tosto furono pi da vicino e videro le teste deloro capitani confitte alle aste ( che ve le aveano i Romani confitte ed ostentavanle per ispaventare i nemici); conoscendo com'era l'altro lor campo distrutto, pi non tentarono nulla di generoso, ma ri voltisi alle suppliche ed alle umiliazioni si resero. Cosi devastati miseramente, e vituperosamente nell' uno e nell altro' esercito, e ridotti i Sabini a speranze tenuis sim e, anzi timorosi che fossero le loro citt pigliate di assalto ; spedirono ambasciadori per la pace, profleren-;

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idosi per sdditi tributar). Pertanto lasci la gaerra, e ricevute appunto con tali coiidiom le loro citt , si ri condusse a Sessa ; e ritiratene le milizie lasciatevi, e le prede ed ogni b ag n ilo , tornossene a Roma coll' eseiw dito carico di ricchezze. Poscia f' mlte incursioni su le terre de'Vc^sci, quando con tutte le forze, e quando eoiL p arte, ne ottenne graia prede. Ma riiiscitegli per 10 pi le cose a voler' suo S\gU si eccit una gurra coi confinanti ben lunga pel tempo , giacch dur sette anni Qontbui, e ben grande pe'casi inaspttati e terribili. Ora io dir brevemente le cagioni per le quali nacque, e qual ne fu T sito, essendo stau - tehninata pr in ganni e per stratagemmi non preveduti. . LUI. Una citt, Latina di gente e colonia gi degli Albani, lontana cento <sladj da Roma ( Gabio ne era il nome) sorgeva in su la via che mena a Palestrina. Citt popolosa allora e grande q u a n t'a ltre , ora non tutta si abita, m solo presso la strada per uso degli alloggi. E ben pii raccoglierne la grandezza e la ma gnificenza , chi mira le rovine in pi luoghi delle case ed il giro delle mura j che in gran parte esistono an-' cora. Eransi qua concentrati alquanti involatisi da Sessa, quando fii presa da Tarquinio, e molti fuggiti da Ro-^ ma. O r questi supplicavano e pressavano'quei di Gabio a prendere vendetta di lo ro , promettendo gran doni se ai beni proprj tornassero ; e dimostrando possibBe e fa cile la distruzione del tiranno. Adunque ve gl'indussero fui riflesso che in Roma a ci coopererebbero, e che' 1 1 Volsci erano ad altrettanto animati; giacch imandate aveano delle ambascere, bisognosi a n c h 'e ^ di ajuto

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per imprendere la guerra contro di Tarqainio. SI eero dopo questo irrazioni con eserdti poderosi, e fcorrerie su l ' altrui territorio e bfttuglie, com' verisimile , ora di pochi con pochi, ora di tutti contro di tutti : e quando i Gab], respinti fino alle porte i Ro mani, ed uccidendone diedero iatrepidamente il guasto ai lor campi ; e quando i Romani incalzando i Gabj e rinchiudendoli nella loro citt, sen portavano schiavi, e preda copiosa. L iy . O r ci &cendosi di continuo, fu l'una e l'altra parte costretta a cinger di m ura, e presidiare i luoghi forti delle, proprie terre in ricovero de' contadini. Di l prorompevano supredatori, scendendo fo lti, stra ziavano , se ne vedano , i piccoli crpi staccati dal resto deir esercito, o li disordinM-per poca apprension de' nimici, come accade nel pascere. Similmente te mendo r una parte gli assalti improvvisi dell' altra fu costretta a munire di fosse e di muri le citt facili a scalarsi ed a prendersi. doperavasi in d principal mente Tarquinio : e rassicur con molte fortificazioni il tratto intorno la porta la quale menava a G bio, sca vandovi fosse pi larghe , elevandone pi alte le m ura, e coronandole di torri pi spesse : imperocch la citt sembrava in tal canto men solida, quando era nel resto del suo circuito sicura abbastanza, n facile da inva derla. Se non che si fece in ambedue le citt penuria di ogni vettovaglia , e costernazione gravissima per l'av venire, essendo le campagne diserte per le incursioni incessanti de' nemici, n pi somoiinistrando de frutti come accade a' popoli avvolti in guerae diuturne. 11 di<

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isagio per stringeva i Romani pi che i Gabj ; u n ta che U poveri infra ijuelli, angustiatine pi ohe gli al-> t r i , giudicavano essere da venire a trattati, e fkr pace comunque coi G abj, se la volessero. LY. O r dolendosi Tarquinio altamente de' saccessi, e non sofTerendo di deporre obbrobriosamente le armi, n potendo altronde resistere pi. innanzi; volgevasi a tutte le prove , a tutti gl' inganni. Quando il figHo pi grande (Sesto n era il nome (i)) scoperse al padre un suo disegno. Egli parea mettersi ad impresa audace quanto pericolosa ; pur non essendo impossibile, concedettegli il padre che operasse di voler suo. Sesto dun que fintosi in discordia col padre per voglia di por fine alla gueira : ne fu battuto colle verghe nel F o ro , e con altri modi oltraggiato ; tanto che se ne sparse in torno la fama. E su le prime invi come profughi i suoi pi fidi perch dicessero occultamente ai Gabj che egli deliberava far guerra al padre , e che ne anderebbe tra loro se gli desser parola di proteggerlo come gli altri refugiati Romani, senza renderlo al padre per [isperanza di finir col suo danno le proprie nimicizie. Udirono con diletto quei di Gabio il discorso , e con cordandosi di non offenderlo , egli venne, e con lui molti compagni e clienti come fuggitivi; e per meglio
(i) Tito Liyio d questo nome e questa impresa a) figlio minore : ma il disparere col padre e 1 * incarico assunto pare pi verisimile in chi ayea piii diritto di succedere ad un regno , divenuto assolu t o , e tale era il figlio maggiore. Pertanto il racconto di Dionigi sembra piti naturale, qualunque fosse il nome del finto ribelle. Vedi S 65 di questo libro.

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accreditare la ribellione sua dal padre portd sco molto di argento e di oro. Dopo ci sotto veto di fug^r la tirannide molti a Ini confluirono; tanto che ornai glie n ' era intorno un corpo ben forte. Concepivano quei di Gabio che avrebbono grande incremento dal giugnere di tanti ad essi, e lusingavansi che tra non molto avrebbono suddita Rom a, illusi ancor pi dalle opere di quel ribelle , il quale scorrendo di continuo la C am * pagna, raccoglievane prede ubertose. Ed il padre ap punto, risapendo prima in quai luoghi il figlio verreb b e, ubertose glie le apprestava, e senza guardia se non di scelti cittadini che egli v* inviava come a lui sospetti per firli distruggere. Su tali significazioni molti creden* dolo amico fido, e buon cap iu n o , e molti arrenden dosi all' oro suo ; lo inalzarono al comando supremo delle milizie. LVL Sesto divenuto per fi:t)di e per illusioni 1' ar bitro di un tanto potere spedi, senza che i Gbj se ne avvedessero , un tale de' servi suoi per dichiarare al pa< dre r autorit che avea preso , e per udirne ciocchera da fare. Tarquinio volendo che il servo non intendesse ciocch ordinava al figlio di fare, venne ( e conducea seco il messo ) al giardino, congiunto al regio palagio. Aveaci l de papaveri nati spontaneamente, g ii pieni di frutto , e maturi per la raccolta. Or tra que' papa veri aggirandosi e dando co'bastoni in su le teste de'pi a lti, abbattevali. Conged ci fatto il messaggiero niente rispondendogli, quantunque interrogato ne fosse pi volte. Egli imitava per quanto a me sembra la prudenza di Trasibulo Milesio. Imperocch chiesto da Periandro,

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allora tiranno di Corinto, per via di un messaggiero, con quali modi possederebbe pi saldamente il coman do, non rispose pur sillaba, ma fatto cenno all' inviato che lo s v ita s s e , il condusse in un campo di biade, ,ed ivi percosse le spiche pi eminenti, le atterr ; significando che cosi dovea pur egli troncare, e di smettere i primi delle citt. Or facendo Tarquinio al lora somigliantemente, Sesto ne intese le m ire, e co me ordiuavagli di por gi li pi insigni di Gabio. E convoc la moltitudine , e le tenne un lungo ragiona mento su questo, che egli ricorso cogli amici alla lor

huona fe d e , rischiava ornai di esser preso da edcuni, e dato al padre: ma che era pronto a deporre il co mando, anzi che lascerebbe la citt prima di cadere in tanto infortunio ; e qui bgrimava e deplorava la sorte su a , come quelli che di cuore si dolgono su'mali estremi. LVII. Irritatane la moltitudine, e ricercando sollecita quali mai fossero per tradirlo, esso nomina Antistio Petrone, il personaggio pi distinto di Gabio. Egli erane il pi insigne divenuto pe' molti belli suoi rego lamenti in pace, e pe' molti capitanati in campo eser citati. Reclamando intanto quest' uom o, ed offerendosi come libero da' rimorsi ad ogni esame, disse 1' altro che volea che se ne investigasse la casa , e che vi manderebbe perci degli am ici: egli intanto aspet tasse nell adunanza finch ritornassero. Imperocch gi era Sesto nascilo a corrompere con argento alquanti servi di lui perch prendessero .e ponessero in sua casa lettere contrassegnate co sigilli paterni, e macchinate in

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rovina di Fettone. Or come gl inviati alla iodagine (ch e non aveala Petrone contradetta ma conceduta) vi rinvennero le carte occultatevi, tornarono recando al ladunanza molte lettere indicatrici , e quella scritta ad Antistio; e dicendo Sesto che vi riconosceva il sigillo del padre la sciolse; e la diede allo scriba perch la recitasse. Scriveasi in questa che gU consegnasse il f i glio, vivo principalmente ; o se ci non poteasi, almeno glie ne mandasse la testa recisa. Diceva, che darebbe ad esso ed a'complici, oltre le taglie promesse gi pri

ma , la cittadinanza di Roma : che gli ascriverebbe tutti fr a p a trizj, ed aggiungerebbe case e poderi e doni, grandi e copiosi. Arsero dallo sdegno i Gabinj: sbalordiva Antistio dalla sciagura impensata, mancando gli fin la voce: ma quelli co sassi lo tempestano e lo uccidono ; lasciando a Sesto la cura di far la ricerca e la vendetta su gli altri, compartecipi in ci di Petrone. E Sesto fidando le porte agii amici suoi perch gl in colpati non s involassero mand per le case pi illu stri , e vi uccise mcJti de'valentuomini. LYIIL Intanto che ci faceasi ed era in Gabio tur* bolenza pe s gran mali ; Tarquinio avvertitone per lettere vi marci coll' esercito, e giunto prima della mezza nette ed apertegli le porte da uomini posti ad arie per questo, ed entratele ; s impadroni senza stento delia citt. Come il male fu ravvisato, deploravano tutti s stessi, e le suragi, e la schiavit che patirebbono, e temeano insieme gli o rro ri, quanti ne vengono su po poli sorpresi da' tiranni. Quando pur li tratusse mitissimatnente ; immagioavansi la perdita della libert , e

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de' b n i, e cose altrettali. Pure Tarqninio sebbene scel lerato , sebbene implacabile in punir gl' inimici non fe nulla di ci che aspettavano e temevano ; n uccise, n bandi, n disonor, n mult persona niuna di C a blo. Ma convocando la moltitudine, e prendendo regie maniere in luogo delle tiranniche sue, disse che re stituiva la propria citt; che concedeva ad essa i lor beni; e che donava inoltre a tutti cittadinanza quale appunto r avevano i Romani : n o n . gi che ci facesse per benevolenza inverso de' Gabj ; ma per consolidare a s con essi la signoria su Romani; pensando che di verrebbe presidio stabilissimo per s e pe' figli la fe delt di un popolo che fuori di ogni speranza era sal vo, e ricuperava tutti i suoi beni. E perch non pi temessero per l'avvenire n dubitassero se stabili sareb-' bero tali parole ; scrisse le condizioni colle quali sareb bero amici, e le giur subito nell' adunanza, e poi toccando gli altari e le vittime. Monumento di quest'al leanza esiste in Roma nel tempio di Giove Fidio, chia* inato Sango da Romani , Uno scudo circondato colla pelle del bue sagrifcato allora appunto per compierne il giuramento, su la quale scritte ne sono con antichi caratteri le condizioni. Ci fatto , e dichiarato Sesto re di Cabio, ritir,le milizie; e tal fine ebbe la guerra con queUa citt. 14X. Dopo ci Tarquinio dando requie al popolo d^le cose ^liUtari e dalle bfitlaglie ; si mise alla ere zione de'ten;ipli, desideroso di compiere i voti dellavo. E r^ i questi nell' ultima guerra co Sabini volato a Gio ve , a Giunone, a Minerva di fondare ad essi de lem-

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pii te vincesse. E g i , come fa detto nel libro precr dente, ayea con grandi ripari e con terrapieni accon ciata r altura ove destinava di erigerli ; ma non pot poi compierne la impresa. Deliberatosi Tanjninio di ultimarla colle decime delle spoglie raccolte in Sessa posevi a lavorare tutti gli artefici. O r qui narrasi che accadesse un meraviglioso portento sotterra, cio che scavandosi per le fondamenta, e che gii molto essendo gli scavi profondati, si rinvenisse la testa di un uomo ucciso come di recente, con faccia simile a quella dei vivi, stillandone ancora dalla ferita un sangue tepido e fresco. In vista di tale prodigio Tarquinio comand gli opera) che sospendessero lo scavo : e convocando gli indovini della patria dimand che mai dir volesse quel segno. Ma non rispondendone, anzi dando essi la scienza di tali cose ai T irren i, ricerc da loro e seppe qual fosse fra' Tirreni l ' interprete pi limoso de' por tenti; ed a questo invi messaggieri i pi pregievoli dtudini. LX . Giunti i valentuomini alla casa dell' augure, si fe' loro incontra un giovinetto a cui dissero di essere ambasciatori di R om a, vogliosi di consultare il vate, e pregavano che a lui li presenusse. Il giovine allora; Colui, disse, che ricercate, mio padre: egli di

presente occupato : ma presto a lui passerete. Ora intanto che lo aspettate , ditemi perch mai ne vemte. Cosi voi se mai per imperizia fo ste per isbagUar la dimanda; istruiti d me non errerete. E le giuste interrogazioni non sono gi la minima cosa n elt arte de vaticini. O r piacque a coloro di secondarlo, e sve-

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lafodo a lai qael portento. Come il gioTne gli ebbe u d iti, soprastando breve tempo y ascoltate , disse o Ro

m ani. Jl mio padre ve lo interpreter tal prodigo , e senza menzogne ; che certo ad un vate non si con vengono. M a perch neppur voi erriate, n nentiate su le cose che direte o risponderete; apprendete da me questo , che assai rileva che vel sappiale. Quando esposta gli avrete la meraviglia ; ei soggiungendo di non intendere appieno ci che vi d ite , descriver colla verga quanto un picciolo tratto di terra , e poi vi dir : scco l. su p s t4RPEA q u esta w la p a r ts
C S B GUARDA i ORISTfTE , QUESTA C B S L OCCASO: QUE S T A L A P A R T S B O B SA LS , QUESTA L A OPPOSTA. E d indicandole intanto colla verga, vi chieder da qual canto f u rinvenuta la testa. Or che vi esorto io che rispondiate ? appunto che non concediate che fosse trovala in alcuna delle parti eli egli addita colla verg a , e ve n interroga , ma che in Roma tra voi f u veduta su la rupe Tarpea. S e tali risposte serberete; ie punto col dir suo non ve ne allontanate ; aUora egli ravvisando che il fa to non pu cangiarsi, vi sve ler, non vi occulter quel prodigio che volete, che interpetri. L XL Ammaestrati in tal modo i legati, quando il vate ne ebbe com oditi , venne un tale che a lui li condnsse, e parlarono del portento. Ora lui sofisticando, e descrivendo in terra circonferenze e linee rette, e facendo in ogni quadrante interrogazioni sul trovamento, non si turbarono punto di mente i legati, ma tennero
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la risposta, come aveala soggeriu il figlio ddl* indoToo, nominando sempre Roma e la rupe T arpea, b pregando l'interprete che non travolgesse il segno, ma ae dicesse a proposito, e schiettissimamente. Cos^ non petendo il vate n illudere gli oratori, n imbrogliare V augurio , soggiunse : A n date , annunziate o Jtomani vostri concittadini, portare il destino cJte il luogo

dove avete H teschio trovato sia capitale di tutta T Italia. Dall' ora in poi capitolino fu detto il luogo d d trovamento; capi chiamando i Romani le teste. Tar^ quinio udendo ci da legati rimise gli operaj sulavori; e molto fece del tempio, ma noi compi, cadendo in breve dal regno. Roma alfine lo perfezion nel teno consolato. F u basato il tempio sa di una altura la quale aveva un circuito dr otto p le ttri, ed ogni lato di esso approssimavasi ai dugento piedi col picciolo divario nem meno di quindici piedi interi tra la lunghezza e la la titudine. Perciocch il tempio riedificato dopo l'incendio a*.tempi de' nostri padri su fondamenti medesimi diflerisce dall antico per la sola preziosit della materia. Dalla parte della facciata che guarda il mezzogiorno circondalo un ordine triplice di colonne: ma doppio solamente quell ordine nei lati. T re sono in ano i tem pli, e paralleli, e divisi d-mura comuni. Sacro quello di mezzo a G iove, e quindi laltro di Giu none , e quinci di Minerva : ed un solo tet;o, un comignolo solo li ricopre ( i ).
(i) Questo tempio termiDaTB a triacgolo ; la cima del triaogolo iu lutto il tetto ossia il colmo del tetto h ci che chiamasi comi^ gnot. Uno de nostri tem pj a tre navata sotto un tetto cumun ^o &ilitart l iatelligeoia di luecto luogo.

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LXIL Dipesi che nel regno di Tarqoiuio occorresse ai Romani un' altra propizia e meravigliosa avventura sia pr dono di un nume sia di un genio, la quale salv la citt non per poco tempo ma finch visse, pi volte, da gravi mali. Una donna, n gi nasionale, venne al tiranno, vogliosa di vendergli nove libri di oracoli Si* bilini : ma ricusando Tarquinio comperarli ai prezzo cer catogli ; colei partita ne spicc tre libri e li arse. Ri portando dopo alquanto i libri superstiti gli offer sul prezzo medesimo. Riputatane stolu , derisane perch di minori volumi n esigea la somma appunto che non aveane potuto ricevere quando erano pi ; si ritir nuo vamente e bruci met dello scritto che rimaneva. Torn quindi co' tre libri ancor salvi, e chiese 1' oro di prima. Attonito Tarquinio su i disegni della donna fece cercar gl indovini, e narr 1' evento, e dimand ci ch'era da fare. O r questi conoscendo da alquanti segni che ripudiavasi un bene mandato dal cielo, e dichiarando che grande era la sciagura che non avesse comperato tutti i volumi ; comand che si numerasse alla donna il valor dimandato, e che gli astanti prendesser gli oracoli. La donna che avea dato que' libri, inculc che si cnstodisi-' aero con diligenza, e sparve dagli uomini. Tarquinio creando tra' cittadini i duumvir'i o due riguardevoli per sonaggi , e subordinando ad essi due ministri pubblici ; di loro la cura de' libri : ma poi cucitolo in una otre bovina gett nel w are Marco ciiio 1' un de' due ri guardevoli perch parea sfregiare la buona fede, ed era accusato di parricidio da uno de'pubblici ministri. Dopo la cacciata dei r e , fallasi la repubblica a sostenere gli

84 DELLK a n t i c h i t ROMANE Oracoli, nomin custodi loro, durante la vita, personaggi chiarissimi, liberi da ogni militare e ^ y ile incombenza, consociando ad essi ancor altri pubblici uom ini, senza i quali non poteano i primi consultare quescritti. A dirla in b rev e , i Romani non guardano niuna 90 sa con tanto zelo non i poderi sacri, non i tempj , quanto le rispo ste divine delle Sibille. Yalgonsi di queste i Romani quando il Senato sta per votare in tempo di civil sedi zione , o di grave infortunio in guerra, o di' portenti e grandi visioni, malagevoli ad intendersi, come avven* ne pi volte. Fino alla guerra chiamau Marsica gli ora coli posti in un'urna marmorea ne'sotterranei del tem^ pio di Giove Capitolino furono custoditi dai decemviri. Ma bruciandosi, poi questo dopo 1' olimpade centesima settantesima terza sia per insidie , come pensano atcuni, sia per caso ; arsero colle votive cose del nume ancbe i .libri. E gli oracoli che ora si hanno, furono portati in Roma da pi luoghi, quali dalle citt d'Italia, quali da Eritra dell'Asia, speditivi per decreto del Senato Commissarj a trascriverli, e quali da alb-e citt , trascrttivL da? privati. Ma sen trovano confusi co' Sibillini anche, a ltri, come convincesi da que' che acrostici si diman-, dano. Io qui dico ciocch Terrenzio Varrone ha scritto nelle sue teologiche trattazioni. LXIII. Avea Tarquinio operate queste cose in guerra; ed in pace ; avea fondate due colonie, lu ja cio. Segni, per caso, perch svernando ivi i suoi soldati aveansi il. campo come una ciit ridotto; e la seconda Circea.fer, disegno, perch ponessi nella campagna Pomentina, la. pi grande intorno del Lazio, e contigua coi m are, in

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bel sito , alto discretamente, che sporge quasi peDsoa nel mare 'Firreno ; ed abitato gi com' fama da Circe la figlia del Sole: avea dato queste due colonie a due figli suoi che ne erano i fondatori, Circea ad A rante, e Segni a Tito. Ma quando in niun modo temea del suo principato ; allora per la ingiuria fatta ad una donna da Sesto il suo primogenito, fu cacciato dal principato e da Roma. veano gl' Iddj dato il segno della calamit futura della sua famiglia con molti augurj de' quali que sto fu l'ultim o. Venute nella primavera delle aquile in un luogo adjacente alla reggia fecero il nido su di un'alta palma : mentre per teneano i figli ancor senza penne, volandovi in folla degli avoltoi disfecero il nido: ed uc cisane la prole, e bezzicando e ferendo co'rstri e colle a li, respinsero dalla palma le aquile che toroavan dal pascolo. Vide Tarquinio l'augurio, e vegliava per istrname se poteva il destino: ma non pot superarne la forza; e perdette il regno, congiurando su lui li pa-i trizj, e cooperandovi il popolo. Io tenter dichiarar bre vemente gli autori della congiura ; e come si fecero ad eseguirla. LXIV. Guerreggiava Tarquinio colla citt di Ardea sul pretesto che ricettava i fuggitivi da Roma, e mac chinava di rimetterli in patria : ma in realt perch ne aspirava le ricchezze come di una delle citt piii felici d Italia. Ribbattendolo per gli Ardeatini generosamente, e prolungandosi 1' assedio loro ; stanchi quei del campo per la diuturnit della guerra e quei di Roma impotenti a pi contribuirvi; si disposero a ribellarglisi, appena ve ne fosse un principio. Intanto Sesto il primogenito

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de' figli di Tarqaiaio spedito dal padre nella dtl4 clilamata CoUazia per compiervi talune incombenze militari sr al loggi presso il congiunto suo Lucio Tarquinio detto Collatino. Fabio delinea questuomo come figlio di Eg&rio, del quale ho sopra dichiarato ch'era figlio del fira tell di Tarquinio l'antico, re de'Bomani. D alai tnesso al governo di Collazia ne fu chiamato Collatino, la sciandone la denominazione anche a posteri suoi Io sono persuaso che questi era nipote ad Egero se avea la eli conforme ai figli di Tarquinio, come Fabio ha scritto e molti con esso: e la cronologia conferma tal mio concetto. In que' giorni Collatino era nel campo. Adunque la moglie di esso, una Romana, figlia di La* crezio, nomo cospicuo , accolse vivida molto e corteso lui ch'era il congiunto del suo marito. E Sesto che avealo gi disegnato, quando altra volta fu 1 ospite del suo parente , Sesto riputandone ora il tempo opportuno , fe* qesi a violare costei la pi leggiadra e la pi casta delle Romane. Andato dopo cena in letto vi si contenne gran parte della notte: poi quando concep gi tutti presi dal sonno, levatosi, venne alla camera, ove sapea che Lu< crezia riposava, e colla spada in mano vi penetr, non sentito nemmeno da quelli che prossimi alla porta dor mivano della camera. LXy. F attosi al letto , e svegliatasi la donna col giugnere delle insidie, e chiedendo chi fosse, colui svela il nome ; e comanda che taccia e resti nella camera, minacciando lei della vita, se tentava fuggire, o gri dare. C os, sbalorditala, propose alla donna di scegliere qual pi le piacesse o lieta vita, o morte infame. Se

LIBRO 1V-. 87 , induci , disse , a compiacermi , io te fa r mia spo~ sa , e tu regnerai m eco , ora su la citt che mio pardre m i assegna, e dopo la morte del padre su Ro mani , su L atini, su Tirreni e su quanti egli domi na, I o , tu lo sai, primogenito de suoi figli, io sar t erede del regno, come ben giusto. E guali beni inondano i re, de quali lutti sarai tu meco posseditrice ; che giova che io qui ti additi, se tu ne sei pejiitissima ? Che se tenti, resistermi per salvare la tua pudicizia, uccider te prim a,. poi scannando un dei servi porrovene a lato i cadaveri, e dir che sorpresa vndoti in obbrobrio col servo, io vi punii tutti due per vendicare la ingiuria del mio congiunto ; tarUo che . turpe y ignominiosa sar la tua fin e , n la morta tua spogUa sar di sepolcro onorata n di altre /unebr erimonie. Ora siccome assai minacciava, insisteva, giu rava ad ogni suo detto ; Lucrezia sbigottita di una morte infame venne nella necessit di cedere agli arbitrj amor rosi di lu. L X V t Fattosi giorno; costui sazio della voglia soel-v lerata e funesta, tornossene ' al campo : Lucrezia percorucciata per l'evento ascese quanto pot frettolosa in sul carro, e venne a Rom a, cinta di lugubri vesti, ed occultandovi sotto il pugnale; non salutando,- salutata,, negl'incontri, n rispondendo a chi voleva intendere de' suoi m ali, tutta cogitabonda, e m esta, e lagrimosa. Giunta a casa dal padre ( e ci aveno alquanti parenti ) ella prostratasi e strettasi ai ginocchi del padre vi sin ghiozz , ma senza parole ; e sollevandola e stimolandola il padre a dire ciocch sofTerto avesse: Padre ^ disse, eco'

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la supplichevole tua: se trem enda , se insanabile fonia mia, padre la vendica: non trascurare la, figlia tua, in corsa in mali pi gran della morte. Stupitosi il padre, e con esso pur gli altri, eccilavala a dire cbi offesa 1' a* vesse , e di qual modo. E colei ripigliaTa: L e udirai si le mie ingiurie ; ma brevissimamente o padre: e solo or tu mi concedi questa grazia che prima te ne chie^ do. Convoca gli amici , e i parenti che p u o i , perch da me la odano, da me, non da altri la calamit che io patii. Quando tavrai conosciuta la terribile, la ver gognosa necessit chio sostenni; tu deciderai con essi ta vendetta che dei per me fa re e per te. M a d eh ! non indugiarmi tu lungamente. LXYIL Corsi all' invito sollecito 'e premarosissimo i pi riguardevoU nella casa cora' ella dimandava, narr lo ro , pigliandolo dalle origini , tutto l ' evento. E qui abbracciandosi al padre , e molto lui supplicando e ostanti e gl'Iddj, e li patrii lari che solleciti la sciogUessero dalla vita ; trasse il pugnale che celava sotto le ve sti e , portandosene una piaga sul petto , fino al cuore se lo intern. Clamoi-e intanto e gemiti e femmineo tu multo turbando tutta la casa ; il padre avvintosebe al corpo la circondava, la richiamava, la curava quasi po tesse redimerla dalla ferita : ma colei tra le sue braccia palpitando e spirando fin. Parve il caso agli astanti si terribile e si miserando che ana fu la voce di tutti che era mille volte meglio morire per la liberti che patire ingiurie siffatte dai tiranni. Era tra questi Publio Vale rio , discendente da uno de Sabini venuti con Tazio a Roma, uomo intraprendente e destro. Costai fu da loro

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5(>eclito in campo perch narrasse al marito di Lucrezia l'evento, e perch ribellassero, uniti, le milizie dal ti ranno.' Uscito appena dalle porte eccogli per avventura incontro Collatino il quale veniva dall' armata a Roma ignaro de' mali che straziavano la sua casa ; e Lucio Giunio soprannominato Bruto cio stolido se tal nome ne interpetri con greche maniere. E poich li Romani ad ditano questultimo come principalissimo nell'abolir la tirannide; porta il pregio che preaccennisi brevemente c h i, di qual sangue egli fosse, e come sortisse un tal nom e, niente a lui consentaneo. LXVnL Di costui fu padre Marco Giunio , prove niente da uno di que' che menarno con Enea la co lonia , e distintissimo per la sua virt tra' Romani : fu la madre Tarquinia , figlia di Tarquinio 1' antico. Egli ricev la educazione, e tutta la coltura nazionale, n la indole sua contrariavasi a niun de' bei pregi. Dappoich Tarquinio ebbe ucciso Tullio lev segretamente di mezzo con molti uomini probi anche il padre di lui non gi pe' delitti, ma per la ingordigia d invaderne le ric chezze ereditate da pingue, antico patrimonio di fami* glia : lev similmente con esso il figlio primogenito di lui nel quale appariva non so che di generoso , e che sofferto non avrebbe invendicata la morte del padre. Bruto giovinetto ancoi^ , e privo in tutto del soccorso de' parenti si rivolse 1 mezzo savissimo di fingersi, stolido divenuto. Dall' ora in p o i, finch non gli sem br di averne il buon tempo, ritenne le apparenze dello stolido ; e ^e n ' ebbe il soprannome , ma si liber con questo dalle ire del tiranno, mentre tanti egregj uomini De soccombevano.

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LXIX. Tarquinio trascuraadone la clemenza apparente , e non vera, spogliatolo li tutti i beai patem i, e da togli un u l pocp pel vitto quotidiano, lo custod presso di s, come garzoncello orfano , e bisognoso di chi lo curasse, e conced cbe co' figli suoi conversasse ; n gi per onorarlo qual congiunto su o , come fingea tra' pa renti , ma perch desse da ridere a'propj figli, dicendo costui le mille frivole cose , e facendone le simili agli tolidi veramente. Anzi quando mand li due figli Aronte ^ Tito per interrogare 1 oracolo di Delfo su la peste ( giacch nel regno suo proruppe una peste insollu su le vergini e su i fanciulli che in copia ne perivano , e pili terribile ancora e men curabile su le gravide, che morte cadeano col proprio feto in su le vie ) quando io dico mand questi per conoscere dal nume le cause del male e lo scampo, allora congiunse ancor lui co' figli che gliel chiedeano perch avessero intanto chi beffare e deridere. Giunti all oracolo i giovani ed ascolutolo su la causa ond' erano inviati porsero sacri doni al nu-, m e, e lungamente risero di Bruto che avea consecrato ad Apollo una bacchetta di legno; ma colui trapanatalatutta come una fistola aveaci offerto, senza che niuno> ne sapesse , una verga di oro. Poi consultando essi il nume chi m ai, portavano i destini, che d iv e n ir re di. Roma ; rispose c/te il primo che bacerebbe la madre. E non intendendo i giovani la mente dell oracolo concor darono di baciare insieme la madre onde regnare in coQiune. Bruto per penetrato ciocch 1' oracolo volea significare, nou si tosto discese nell Italia , prostrato ^

LIBRO IV. 91 ne baci la terra , giudicando questa la madre di tutti.; tali ODO i fatti precedenti di quest'uomo ( 1). LXX. Come Bruto ud da Yalero' i successi di Ln erezia e la storia della morte di lei sollevando le mani, al cielo disse: O Giove, o Dei tutti, quanti vegliate

su la vita de* m ortali, dunque giunto finalmente il tempo per aspettare il quale io contrafeci finora me slesso ? Vuole dunque il destino che Roma sia da me liberata e per me dalla iruojfrihil tirannide ? E ci dicendo yassene sollecito in casa insieme con Collatino e Valerio. Entrata la quale, appena Collatino videvi Lucrezia stesa nel mezzo, col padre allato, scoppiando in cupi ge miti la stringea , la baciava, la cbiamava , e fra tanta sciagura uscito di mente tenea colla estinta il discorso,, quasi fosse ancor viva. O r essendo lui tutto in pianto, e con esso il padre a vicenda, e tutta rimbombando la casa di lamenti e di gemili; Bruto, rimirandoli disse: O Lucrezio, o Collatino, o voi tutti, parenti di que^ sta donna, ben avrete altra volta il tempo di piangerla^ Ora ( e ci deesi alla ingiuria presente ) pensiamo come vendicarla. Egli sembrava dir giusto : adunque' se* dendo soli fra s, sgombrata immantinente ogni turba climestica , esaminarono ci ch'era da fare. Bruto comin ciando il primo a dire sopra sestesso che la sua demenza non fu vera, qual parve a m olti, ma simulala; e sve lando le cause pier le quali diedesi a fingerla, e giu dicatone savissimo infra tutti; alfine, allegatene m olle, ed acconcie ragioni, anim . tutti al parer suo di cac(i) Plinio sai fine del libro XV. scrive che Bruto baci la terra di D elfo, noa della lu l ia .

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DELLE a n t i c h i t EOMANE

dare Tarqunio e li figli da Roma. E vedatili ornai tutti coasentanei, disse Che non era pi tempo di parole e

promesse, ma di opere; e che egli imprenderhhela il primo se cosa alcuna fosse da imprendere. Ci di cendo, e strDgendo il pugnale eoa cui la donna fini sestessa, e venuto al cadavere di le i, che giaceva an cora spettacolo compassionevole a tu tti, giur su Marte, e su gli altri Dei Che farebbe tutto , quanto potea , per abbattere la tirannide di Tarquinia , che non pi si riconcilierebbe co tiranni, n permetterebbe che altri si riconciliasse con essi : ma terrebbe per nimico, chiunque non volesse fa re altrettanto ; e perseguile^ rebbe fin o alla morte la tirannide e li partigiani di essa. Che se mancava a quel giuramento , imprecava per s e pe figli un termin della vita, qtale il ter mine fu della donna. LXXI. Ci detto invit pur gli altri a simile giura> mento : e quelli, niente esitandone, levaronsi, e dandosi a mano a mano il pugnale giurarono, ed investigarono poi qual fosse la maniera di dar principio all' impresa. Bruto cos consigli : Primieramente poniam le guardie alle porte , perch Tarquinio non penetri niente di ci che in Roma si dice o si opera contro la tirannide , innanzi che noi siamo ben preparati. Quindi portando il cadavere della donna, lordo com di sangue, nel Foro, ed esponendocelo, chiamiamovi a parlemento il popolo. E quando siavisi congregato, quando ne vedremo gi piena t adunanza; allora Lucrezio e Collatino pre^ sentandosi narrino t orribile caso , e deplorino la loro sciagura; poi qualunque altro facciasi innanzi ed oc-

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cusi la tirannide, e provochi li cittadini a liberarsene. Oh! come avran caro di veder noi patrizj insorgere i primi per la libert. Stanchi del Tiranno, e de' molli e terribili mali che ne han sofferto , non abbisognano che d'un primo impulso appena. Quando vedremo la moltitudine in fu ria per togliere la monarchia ; f a remo che risolva co' voti, che Tarquinio non dee pi regnare su Rom a, e solleciti ne spediremo il decreto in campo alC esercito. Iv i quando coloro che han farm i conosceranno che tutta si la citt ribellata da Tar^ quinio, infiarhmeransi per la libert della patria, in sensibili a tutti i doni del tiranno , essi che non piii reggono agli affronti defi g li, e degli adulatori del perfido. O r avendo lui cosi dello soggiunse Valerio: T u m i sembri o Giunio che abbi giustamente parlato su le altre cose ; ma quanto ai comizj vorrei da te sor pere chi li potr convocare legittimamente, e chi dare alle curie i voti; essendo questo offizio de'magistrali, e niun di noi trovandosi magistrato, Bipigliando llora Giunio ; o Valerio, io, grid, sono tale: imperocch sono il Iribuno de Celeri, e per legge mi dato t inti mare quando voglio le adunanze. Tarquinio dava tal massimo incaiico, a me come stolido, e che appresa non ne avrei la potenza, o che se appresa F avessi, non saprei prevalermene. M a io m i son quegli che il primo arringher contro del tiranno. LXXII. Dello ci lo applaudivano tulli come lui che prendeva le mosse da principio legittimo e buono ; e lo pressavano a dirne anche il seguito ; ed egli disse : ''E poich ci piace fa r questo, vediamo ancora qual ma-

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gistrato 0 da chi mai creato, debba reggerci dopo u espulsione dei re : anzi vediamo qual form a daremo allo Stato, liberi dalla tirannide ; imperciocch prima di accingersi ad opera siffatta vai meglio di avere de liberata ogni cosa, anzi che se ne lasci alcuna non discussa, n premeditata. Ora dica ciascun di voi su tali cose ciocch ne pensa. Dopo ci si tennero molti discorsi e da molti. Chi numerando i gran beni fatti da tolti i re precedenti, amava che si riordinasse la regia dominazione: e chi ricordando le tiranniche ingiustizie di alui e di Tarquinio finalmente su proprj cittadini, non voleva il Comune sotto di un solo, ma che piuttosto arbitro se ne dichiarasse il Senato come in molte delle greche citt : varj per non anteponeano n 1' uno n r altro , ma consigliavano che si fondasse un governo popolare , come in Atene , esponendo le ingiurie , le avanie de' pochi, e le sedizini de' miseri contro de' po tenti, e dichiarando che in citt libera il comando pi sicuro e pi degno quello delle leggi, eguali per tutti. LXXIII, Ma sembrando a tutti malagevole ed arduo il giudizio su la scelta pe' mali che sieguono da ogni governo ; alfine Bruto , ripigliando disse : O Lucrezio, o Collalino , o voi tu tti, quanti qui siete , uomini buoni, e fig li ancora di buoni , io quanto a me non penso che noi dobbiam di presente dar nuova form a allo Stato. Troppo picciolo il tempo a cui siamo ri dotti, perch ci sia facile stabilirvela armoniosa ; lu brico altronde, e pericoloso, tentar di cambiarvela^ quantunque benissimo su di essa avessimo risoluto.

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^Quando ci sarem levati dlia tirannide , alloTa potrem finalmente cnsultandoci con pi agio e pi forza, trascegliere il governo migliore a fronte de'mena buoni ^ seppur avvene uno migliore di queii che Ro-^ molo_e Numa e gli altri re successivi stabilirono e ci lasciarono, donde la citt ne crebbe e ne prosper, signora fin qui di pi popoli. Solamente vi esorto che si emendino , e che procedasi ora che pi non v ab biano i mali terribili solili prorompere dalle monar chie , pe quali si mutano in tirannidi crude , e pe'quaU tutti le abborrono. M a quali son queste provvidenze ? Primieramente giacch molti attendono ai n o m i , e secondo i nom i vanno al male o fuggono { utile ; e siccome succeduto che ora molto attendasi a quello di monarchia ; vi consiglio che il nome cangiate dei governo, e che da ora in poi quelli che vi comandano non pili re li chiamiate , non piil monarchi, ma con appellazione pi discreta ed umana : p o i, che non pi rendiate un sol uomo arbitro di ogni cosa , ma fidiate d due la potenza dai re, come odo che i Lacedemoni fa n n o da molte generazioni, e che perci ne hanno pi di tutti i Greci leggi buone, e stato felice. Diviso il comando in d u e , e l uno potendo appunto quanto F altro ; meno acconci saranno a violarci, e meno ad opprimerci: anzi da tale egualit dee seguirne princi-^ palmente la verecondia, il ritegno vicendevole delVuno per f altro, sicch non si sfrenino , ed una viva gara per la fam a della giustizia. LXXIV. E poich molti sono li regii distintivi, io giudico che s impiccioliscano o tolgano quelli che ad

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DELLE AMTICHITX ROMANE

dolorano a rimirarli 0 sdegnano il popolo , io dico gli scettri, dico le corone di oro 0 e le clamidi d i oro intessute e di porpora, se non forse si assumono ne' giorni festivi e ne trionfali per magnificare gli Id d j ; mentre usate d i raro non offendono. In, opposito penso che si conservi a questi uomini la sedia curule ove siedono rendendo ragione, e la veste can dida cinta intorno di porpora, e li dodici fa sc i che il venir loro precedano. Oltracci perch quelli che prendono il comando non molto ne abusino, io penso utilissima e principalissima cosa, che non lascinsi comandare tutta la vita. Imperciocch riesce a tutU grave un comando indefinito , un comando che non pi. dia d i s ragione; e d i qua vien la tirannide. M a si limiti come tra gli A teniesi V autorit del co mando ad un anno. Quel comandare a vicenda e quell' essere comandato , quel deporre il potere prim a che il pensar vi si g ua sti, preoccupa le indoli vane, n lascia che vi s inebbrino. Se cos stabiliamo , go deremo i beni che sono il frutto di una re^a dominazione, e schiveremo i mali che ne conseguitano. E perch il nome regio , consueto gi tra nostri a v i, ed introdotto in questa citt con gli augurj propizj degl Iddj che lo favorivano, si custodisca, almeno per tale riguardo ; si faccia continuamente, a vita , ed onorisi un re del C ulto, un che libero dalle cure militari in questo solo si occupi e non in altro, cio che abbia, quasi re ne fo s s e , V arbitrio sovrano de sacrifizj. LXXV. Ora udite come fia ciascuna di queste cose.

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Jitt, poich dlie: lggi mi si concede > io raccoglier, come diceva, r adunanza del popolo^ e riesporr l m ia mente di bandire Tarquinia colla moglie e coi figli da Roma e suo territorio , escludendcneli per sempre essi e la lor discendenza. Quando avran ci stabilito co vo ti, io dichiarando allora il governo che pensiamo fondare , elegger V interr ^ il qual nomini quelli che prendano le redini dell^ repubblica. Quindi io deporr l prefettura dei Celeri^ e V interr da me creato , proporr gl idonei all annua preminnza , rimettendoli al voto de cittadini: e se il pi delle centurie ne tien buona la proposta, s propizj gli oracoli la favoriscono^ assumano i faci e le insegn del potere sovrano y e. provvedano che libera abitiamo la patria, n pi li Tarquinj vi ritornino. Imperoc~ ch questi, abbiatelo per certo, se non invigiliamo su loro , tehterann colla persuasiva , colla forza , coir inganno ^ per ogni via finalmente , rimettersi n elt impero. Queste sono le somme , le principalis^ sime cose che io dir posso e raccomandar di pre sente. Quelli poi che avranno il comando devono , come io giudico , esaminare una per u n a , le cose particolai'i, giacche troppe, n fa c ili a discutersi pie^^ namentef e noi siamo stretti dal tempo: anzi deono, come usavano i re ponderarle col corpo del Senato , non concludendone alcuna senza noi ; e quando siano approvate dal Senato , rapportarle, come faceasi tra i nostri m a n ie ri, al popolo non levandogli niun diritto d i quanti s avea nei principio. Cosi le sue magistrature saranno sicurissime e bellissime.
D IO N IG J, tomo I I . j

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LXXVL Profereado Gianio Bruto tal suo parre tutti lo commendavano; e datisi ben tosto a consultare, de cisero che si nominasse interr Spurio Lucrezio il padre di colei che uccise sestessa: e che da lui si scegliessero per avere il potere dei re Lucio Giunio B ruto, e Lu cio Tarquinlo Collatlno. Stabiliscono che tali sopra stanti nell' idioma loro si chiamassero Consoli, vuol dire consiglieri o capi del consiglio , interpetrando in greco tal nom e, giacch i Romani ciocch noi simboulas diremmo chiaman consiglio. Col volgere per del tempo i consoli furono per l ' ampiezza del potere chiafmati Ypati dalla- G recia, comandando .essi a tutti e te nendo il pi sublime d e'gradi; e chiamandosi da'nostri antichi Ypaton quanto sopralzasi, e maggioreggia. Dopo tali consulte e tali istituzioni supplicarono co' voti gli Iddj che fossero propizj ad essi intenti ad opera si giu sta e si santa, e ne andarono al Foro co' servi che li seguitavano, portando su letto , coperto di funebri gra maglie, la estinta, incuba e sanguinosa. E comandando ehe dinanzi la curia la collocassero elevata e visibile , convocarono il popolo. E conciossiach li banditori pei quadrivi ve la invitavano ; accorsevi la moltitudine dalla citt norameno che quanta ne era pel Foro. Allora Bruto asceso ove sogliono quei che aringano le adunanze, e circondato da' patrizj disse :

LXXyiI. Dovendo io ragionarvi o cittadini d i o t' lime e necessarie cose voglio prima dirvene alcuna su me. A taluni, anzi a molti di voi, ben lo ved o , parr forse da scapestrato , che io non atto, io non sano di m ente, io che ho bisogno di ehi mi

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governi, io m i accinga a parlarvi di gravissime cose. M a tappiate che il concetto comune, quel che tutti at>evate su me , come d i uno stolido fa ls o , e cau sato ad arte da me , non da edtri. E quello che mi ridusse a vivere non come la natura, ed il decoro mio dimandavano, ma come per Tarquinio , come per V utile mio convenivami, f u la paura della morte. Imperocch Tarquinio, quando prese il regno, uc ciso mio padre per invaderne il patrimonio, che ben era copioso, ed ucciso furtivam ente mio fratello il maggiore perch se non sei toglieva , fa tte avrebbe del tradito padre le vendette ; chiaro che non avrebbe risparmiato neppur m fi, ridotto gi solo , e privo de congiunti se non m i fossi in stolido travi sato, T a l mia finzione f u creduta dal tiranno , e mi esim dalle sciagure de m iei, mi scamp fino al pre sente. Ma ora ( n pur venuto finalmente il d eh' io chiedea, che aspettava) ora questa mia stolidit, che per cinque lustri io mi custodii, questa, o ^ , qui tra voi per la prima volta depongo., E ci basti su me. LXXVIII. Eccovi poi le pubbliche cose per le^^uali vi convocai, Tarquinio , colui che ottenne il comando non secondo i patrj costum i, non secondo le leggi, colui che ottenutolo non lo es&cit convenientemente, e da r e , ma superando tutti i principi andati , per ingiurie e per soverchierie, s questo Tarquinio, noi patrizj qua congregati, abbiam risoluto degradarlo. Ci che aveasi a fa re in antico , ora deliberati a fa rlo come in buon punto, vi abbiamo o popolo ,

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convocalo , perch , manifesttmdvi il proposito no^ stro, v invitassimo a combattere cori noi per la' li^ herl della patria, che pi. non ahhiamoi da che re~ gna Tarquinio, e che mai piit non, avremo se ora inviliamo. Se io avessi qui tempo , quanta vorrei, se parlassi appo quei che noi sanno , numererei tutte l soverchierie del tiranno per le quali non una ma pi, volte era giustissimo d i sterminarlo. Ma perciocch brve il tempo che m i concedon gli affari , ed in questo s i dee dir poco e fa r molta ; e perocch parlo ai conoscitori ; ricorder tra voi poche delle opere sue ma enormissime e patentissirne j n capaci affcuio di difesa. LXXIX. questo o Romani quel Tarquinio , che innanzi di arrogarsi il regno spense col veleno Arunte il suo fra te llo , perch ricusava esser empio , e lo spense, ponendo a parte della scelleraggine la moglie appunto di Arunte e sorella insieme delia sua mo^ g lie, eh egli avea gi prima violata in ira dp'Num i. E questi che in un tempo medesimo uccise cofa r^ m^aci stessi la sua consorte , pudica donna, e madre concesso di fig li com uni; questi, che poi non volle d i ambedue li venefizj operati, quasi reo noti ne fo s s e , allontanare da s le incolpazioni almen col^ r aspetto dismesso e con piccola finzion di dolore m a che appena commessa Hopera portentosa, quando non erano ancora venuti meno i fuochi qke brucia-^ vano i corpi infelici, convit, gli am ici, rinnov le. nozze , e condusse la sposa micidiale al talamo della sorella, avendone con lei gi tiretto l occulto tra t\

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iaUH 'Cod quest uomo il prim o, il sol dava in Roma V esempio di empiet , d i secraziom, non vvenut mai tra G reci, n tra ^barbari. Ma quali, o popolo , quali non fece attentati ^ quanto notorf, e quanto terribili contro di ambedue li suoceri suoi gi pros^ simi i fine della, vita ? Trucidato in pubblico Savio Tullio il pii mansueto dei re , colui che tanto vi aveva beneficato, non permise che ne fo sse il cada-^, ^ere onorato, non col trasporto , non colla sepoltura a norma delle leggi : e Tarquinia la donna di quo-' sto eh egli dovea venerare qual madre , come sorella del padre, Tarxfuinia gi tanto solleciti^ in suo bency egli la strangolava, s , questa misera , innanzi ch prendesse il lutto , e che rendesse, in. su la tomba al marito gli ultimi onori. Cosi ctntraccambiava quelli da 'quali f u salvo , da quali f nudrito , ed- a quali avrebbe pur succeduto sl che avesse w i poco aspeti tato finch venisse loro nx^tufalmeata .la morte. LXXX. Ma perch pi su questo riprendala, quan\ do , obre i delitti .contro de corisanguinei e jde suocri, ho pur da accasarte le .tonte prevaricazioni contro la patria, e contro ni tutti y se prevarica^ zumi sonqueste, e. non sot^ersioni e rovine di ogni vostume e di ogni legge. E per comimiare subito dal regno , come lo prese egli qusto ? fa rse come i re. precedenti ? ma qiiando mai? molto n egli latanb. Imperocch quei tutti furono da voi prtati, a l trono secondo i patrj costumi e le leggi, prima col decreto, del Senato che il capo d i ogni pubblica. deliberar zione > poi degl interr scelti ed incaricati dal Senato

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per nominare il pi idoneo al comand , c co' voti dati n comizj dal popolo , da c u i, la l e ^ m ole che si ratifichi ogni cosa pi rilevante , e finalmente cogli augurj , colle vittime , e con altri segni propixj senza i quali niente giovano i maneggi e le providenxe degli uomini. Or d ite , qual di voi mai vide una parte almeno fa tta d i ci quando Tarquinia prese il comando ? qual vide decreto preliminare del Senato ? quale scelta degl* interr ? quali suffragi del popolo ? per non dire dov tutto questo ? quantun que se egli voleva il regno lecitamente, non dovea parte niuna preterm ettasi d i quanto chiedesi dalle leggi. Certo se alcuno pu dimostrarmene fa tta par una di queste cose, pi non va che si brontoli su le edtre che si tralasciai'ono. Come dwtque egli si spinse al trono ? colle arme , come i tiranni, colla violenza, colla cfmgiura degli scellerati, noi riprovan dolo , e dolendocene. E fa tto si re , comunque ci fo s s e , la sosteneva egli V autorit sua regalmente? Emulava i suoi predecessori i quali co* deui e cofa tti costanti cos ressero, che lasciarono a posteri la citt pi felice e pi grande che presa non V avessero ? Chi, se pure sano d i m ente, chi potr mai dir ci, vedendo quanto miseramente e scelleratamente siamo stati da lui malmenati ? LXXXL Tacio le sciagure d i noi senatori, le quali, pur un nemico , udendole , ne piangerebbe , e come siam pochi rimasi di m olti, come rendati abbietti di g ra n d i, e come venuti a disagio e stento, cadendo dai tanti e s ampj beni. Que graii , que potenti,

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que cospicui uom ini, pe' quali questa nostra citt era un tempo magnifica, quelli perirono , o fuggono la patria^ E le vostre cose, o popolo , come stan esse ? Non ha tolto a voi le leggi ? non i concorsi soliti per le feste e pe sacrifizj ? Non ha fa tto oessare i com izj, i su ffra g j, e le adunanze tutte su le pubbliche cose? Ridotti siete, quali schiavi comperati, ai vilipendi di tagliare , di portare pietre ed arbori f d i logorarvi tra gli antri e i baratri senza requie m ai, neppur tenuissima dai mali. Or quando avran fine mai tali strazj ? fino a quando li starem soppor-^ tondo ? Quando la patria libert vendicherem o?... A l morir del tiranno ? Appunto ! Dite ci sar allora p i fa cile ? E perch non piuttosto assai meno ? se per un Tarquinio ne avrem tre molto pi scellerati? Se chi d i privato divenuto monarca > se chi tardi ha cominciata a nuocere, ha percorsa tutta la mal vagit de tiranni, quali, pensate, esser debbono i discendenti da lu i, scellerati di stirpe , scellerati di educazione, che mai non poterono vedere n appren dere in citt misure politiche di moderazione ? E perch non per congetture, ma intimamente conosciate la perversit loro , e quai cani latratori alleva contro voi la tirannide d i Tarquinio ; specchiatevi in un aiione sola del primogenito. LXXXII. questa la figlia d i Spurio Lucrezio, lasciato prefetto in Roma dal Tiranno n e lt andare alla guerra, e moglie insieme di Tarquinio Colla tino , del consanguineo de tiranni che pur tanto ha da loro sopportato. Or questa per serbarsi pudica ,

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e. tutta agli amor\ del suo marito ^ come fann l~ virtuose, avendo Sesto qual parente pt'eso ospizio appo lei f mentre Collatino era lungi n e lt arntata non pot schivare nella passata notte le onte sfre-, nate delta tirannide; ma violentata come una schiava sostenne ciocch libera donna non dee. Pertanto escerbatahe, e presa la ingiuria per insoffribile, dopa che ebbe narrato al padre a a congiunti le vicende ree che la desolarono , dopo che ebbe pregato e scon^, giurato che la vendicassero per tanti m ali; aljintt traendo il pugnale che celava nel seno , profondos-, selo, e vedendola il padre , o Romani, nelle viscere. O tu certo m irabile, o tu di encomj dgnissima.per. la nobile risoluzione ! i involasti, moristi non rag-". gendo agli obbrobrj del tiranno , e ricusasti le dol cezze tutte del vivere perch simile calamit non ti. avvenisse. A vrai tu dunque o Lucrezia nella tua fem ^ m inil condizione avuto il cuore de valentuomini, e. noi , uomini . nati , noi saremo in virt men che fem m ine? T u perch predata a forza del fiore n~y macolato della tua pudicizia, avrai tu reputato la morte pi dolce e pi beata della vita; e noi non avrem pur nell animo , che Tarquinio non da una^ notte, ma gi da venticinque anni ci opprima , e ci ha colla libert levato gli agi tutti del vivere ? No ; pi noli dobbiamo , o Rom ani, noi vivere avvolgn^ doci in tanti pericoli, noi che discendenti siamo di quc bravi, che vollero fondare i diritti fin per gli a ltr i, e lanciaronsi a tanti pericoli per la Sovranit e la gloria : ma l una delle due si dee scegliere

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libera vita , o morte onorata. pur venuto il tempoeke bramavamo ; perch lungi il tiremno dalla citt, e perch duci sono della impresa i patrizj, e perchke con animo pronto ci facciamo ad imprendere , non abbisogniamo di coia niuna non di uom ini, non di danari, non d i arm e, non di capitani, non di altro, apparecchio militare ; essendone Jloma pienissima. Siaci pure una volta vergogna che noi che cerchiamo signoreggiare i Violsci, i Sabini, ed altri moltissimij noi stiamo ad altri servendo, e che mentre tanto, guerre imprendiamo per ingrandire Tarquinio niuna per la nostra libert ne facciamo. LXXXIIL Ma di quali incoraggimenti ci varrem^ per la impresa, di quai leghe ? questo che rima-L risemi a dire. Primieramente c ineoraggiremo su la, speranza negl Iddj de quali Tarquinio viola le sante^ dose y i tem pli, gli altari, Ubando e sacrificando con mni lorde di sangue, e di ogni scellera^ine contrae de cittadini; appresso c' incornerem o su la speranza, che abhiam su noi stessi che n pochi siam o, n inesperti di guerra ; e finalmente sul rinfrzo d i quet gli alleati i quali non ardiranno fa r novit se noi rwjf, ve gj^ invitiamo ma se vedono che noi il valor nos,t,ro raccendiamo , lietissimi ci si uniran per combatter ; nemico essendo della tirannide chiunque vuole esser libero. Che se alcuno d i voi teme quei cittadini che in campo si porran con Tarquinio per militare con esso contro noi ^ non bene teme costui. Anche ad essi grave la tirannide , ed ingnito in {utti V amore della libert : ed ogni occasione di

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mutamento basta a chi misero necessariamente. Che se voi li chiamerete col voto vostro a soccorrer la p a tria , non timore li riterr co tiranni, non grazia ^ s non cQsa ninna la quale sforzi o persuada, a mal fare. E se in alcuni si per la ria nattra, e la trista educazione abbarbicato f amor dei tiranni ; durremo ancor e s s i, che molti non sono , con insu perabile necessit sicch utili ci divengano i malevoli; perciocch Teniamo in citt quali ostaggi i loro fig li, le m ogli, i parenti, pegni carissimi che ognuno pre gia pili che la vita. Or se noi prometteremo di ren dere questi , se decreteremo per essi la impunit quando distacchinsi dal tirannno ; di leggeri li per suaderemo. Cosicch fa tevi cuore o Rom ani, concepite belle speranze per V avvenire, uscite per una guerra, certo la pili gloriosa di quante mai ne imprendeste. S , patrf D e i , propzj curatori di questa terra, s G enj, tutelari gi de nostri padri, s , citt caris sima infra tutte ai Celesti nella quale nascemmo e cresciamo , s noi vi difenderemo co pensieri, colle parole, colle opere, colla vita; pronti a tutto sof fr ir e , quanto la fortuna porti ed il fai. Presagi scami che alla impresa buona seguir fin bonissimo. Possano quanti confidano, quanti decidonsi come noi, voi salvare ed essere da voi salvati parimente ! LXXXIV. Menlre Bruto aringava , faceansi ad. ogni suo detto acclamazioD dal popolo in signi6cazione, che esso appunto cos voleva, e comandava. Ed i pi sen tendo quel parlare maraviglioso ed inaspettato lagrima* vano per tenerezza. Inondavano passioni varie n punto

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aiwti ogni' petto ; e dove il rancore, dove la gloja trou* &vaoo, l pe' mali gi sostenuti , qua pie'beni che si aspetlavano. Dove era audacia, dove tim idit, quell che incitava a non curar sicurez2a contro i subjetti, odiati petTh intenti a far male ; e 1' altra che oppo* neasi agl' impeti della [urima, perch vedea oou icil la rovina della tirannide. Ma non s tosto colui cess dl p a r l ^ ; tutti, quasi cou una bocca, ad una voce esclaanarono, che guidassegli alle acme. E Bruto >dilei< latone, s , disse , ma quando prima avrete u dito, e oorifermaXo co vod vostri i decreti d el Senato. E noi dcretiamo c a s i TAJsqumJ s t u t t a l a cowsAwerri WlT- aOBO gPGOANO ROlttA S QaANTO >e'SOMAJfl CHE mUlfO POSSA DIRE O BBIGARS SUI RITORNO DEI TtRANrii i X SS coBTTRArriniiE ; SI UCCIDA. Or se volete che un ta l parere si adotti ; compartitevi in curie, e datene i voti. Questo incominci per voi li dritti della vostra libert. Disse ; e cosi fu fatto : e pqieh tutte le Curie ebbero decretato 1' esilio del ti* rnno ; Bruto fattosi innanzi , ripigli : Giacch avete voi ratificato quanto d e e ti, le prime cose ; ascoltate il resto che abbiam deliberalo su lo Sta^ . Esaminando noi qual ma^strato esser dee t arbitro del comando, ci piaciuto, non gi d i rinnovare il co mando d i un so lo , ma d i creare ogni anno due capi con regio ptere , che voi stessi eleggerete ne comizj, votandovi per centurie. O r se volete anche ci ; da tene il voto. Il popolo lod questo ugualmente; n vi fu pur un voto contrario. Quindi ripresentatosi Bruto , nomin Spurio Lucrezio per interr, perch secondo le

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patrie leggi prendesse cara de'comEj. Costai scioglindcr l ' adunatna, ordin che tatti subito si recassero in anifte* al campo , dove soleaao tenere i comSxj. Recativisi ; scelse due Bruto e Collatino che facessero <juanto fii eevano i re. Ed il popolo chiamato per centurie con^ ferm la magistratura a q ae 'd ae . Tali sono le cose al lora fatte in citt. LXXXV. Tarqainio come udi da messaggeri sottrt* tisi per avventura da Roma prima che le porte se ne> chiudessero , che Brut (perch narravano questo 8ok>y fattosi capo-popolo, aringava i cittadini e suscitava)! < i> rendersi liberi , parti senza dirne le cause, preodead. seco i figli, ed altri pi fid i, e correndo a briglie sciolte onde prevenire la ribellione. Ma trovando chiuse > le porte, e piene le mura di arme , tornossene, quanto pot,'veloce nel campo affligendosi e lagrimando: se non che gi le su& cose erano qui pure in iscompiglio. Imperocch li consoli antivedendo la sollecita venuta, ifi, lui verso Roma aveano per altra via spedito alla n a a^ , invitandola a togliersi dal tiranno, ed annunsiandole i decreti di quei della citt.. O r Tito Erminio e Marco Orazio lasciati dal tiranno nel campo prendendo quelite lettere le recitarono nell' adunanza : e dii^aiidaml via via per centurie ci che era da fare , e piacioto a tutti che si ratificassero le deliberazioni della citt ; pi non riceverono Tarquiuio che tornavasi a loro. E caduto pur da questa speranza fu^sseue con pochi alla citt di Gabio, della quale, come ho detto di sopra , avea creato monarca, Sesto il suo primogenito. Esso gi ca- mito per a n n i avea tenuto per cinque lustri il coibando.

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IV .

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Emninio ed O rasio, concliiusa una tregua di quindici anni cogli Ardeatini, ricondussero in patria le milizie. Per tali cause e da tali uomini fu tolu in Roma la regia dominazione, conseryatavisi. per dugento quaranta* quattr' anni dalla sua fondazione , e divenuta in fine tirannide sotto 1' ultimo re.

I IO DELLE

A N T I CHIT ROMANE
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DIONIGI ALICARNASSEO

LIBRO QUINTO.

I. C>(oSERVATASl in Roma la regia dominazione per dngento quarantaquattr' anni e cangiatavisi poscia in ti rannide sotto lultimo re fa per le cagioni anzidettc abolita da uli uomini (i) sul principio della olimpiade sessagesima ottava, nella quale Iscomaco da Crotone vinse allo stadio , mentre Isagora esercitava in Atene r annuo magistrato. Ed istituitasi la signoria de' pochi, mancando quattro mesi al compiersi di quell' anno , as sunsero i primi il comando supremo, Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarqulnio Collatino col nome di consoli, (i) Anni 345 secondo Catone e a47 . ecjndo Varrone dalla fondatlooe di Roma , e 5o7 avanti Ctido.

DELLE a n t i c h i t ROMANE LIBRO V.

III

co^ cfaiamaDdosi da' Romani, come gi dissi, nel patrio idioma i capi del Senato. Poi congiungendo questi a s gli altri cbe numerosi tornavano dal campo in citt dopo concliiusa la tregua con gli rdeatini ; pochi giorni appresso la espulsione del Tiranno convocando il popolo a parlamento, e ragionando copiosamente su la concor* dia ; fecero di bel nuovo decretare co' v o ti, come gi quelli che erano in Roma lo avevano decretato , bando perpetuo ai Tarqii inj. Dopo ci purificando la citt , fintone sacrifizio ; essi i prim i, stando intorno le viitim e , giurarono, e condussero pur gli alu*! a giurare , che mai pi dal bando richiamerebbero il re Tarqinio, n la prole di lui, n i figli de' figli : anzi che non pi farebbono re niuno in Roma, n tollererebbe no chi far cel volesse. Cosi giurarono su'Tarquinj , su figli, e su la prosapia loro. E , conciossiach pareano i r e , stali autori di molti e gran beni inverso del pubblico, deli beratisi a conservare il nome almeno di tal signoria, finch Roma durava, comandarono ai pontefici ed agli auguri di eleggere il pi idoneo tra'seniori, perch tolto da tutte le cure^ s? non dalle religiose , presedesse in m i culto, e Jie si chiamasse non delle politiche, non delle miUtari, ma delle sante cose. Per tanto fu delle sante cose nominalo re per il primo Manio P ap irio , uomo patrizio e dedito alla dolce calma (i). II. Stabilito ci , temendo, io credo, che non si ge nerasse negli altri sul nuovo governo la idea non vera, che in luogo di uno dominavano due re la citt mentre
( i ) Secondo Fello il primo re sacrificulus , fa Sicinnio Belluto , ed in ci discorda da Dionigi e da Li-vio.

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r nno e l'altro deconsoli area ctmie un tempo i rie le dodici scuri ; deliberarono preoccupar tal conoetio, e sce mare la iavidia del comando, e fecero che lun decbnsoli portasse dodici scur, e l'altro dodici littori colle verghe coronate solamente (i) come narrano alcuni: tal ch le scuri le assumesse e recasse ora luno ora laltro vi* cendevolmente per un mese intiero. Animarono con que sto r umile plebe a conservar quel governo ; e con simili cose non poche. Imperocch rinnovvono tutte le leggi scrtte da Tallio su contratti ; le quali si tenean per umane e popolari, e Tarquinio aveale tutte soppresse: e comandarono che si facessero come a tempi di Tullio, sagriGzj che in citt si faceauo o nella campagna , runendovisi que' di Roma e de' villaggi. Concederono che il popolo si radunasse per le cose pili rilevanti, e desse il voto ) e rpigliasse a voler suo gli usi primitivi. Pia^ ceano tali cose alla moltitudine ravvivatasi dal servir lungo a libert non aspettata. Nondimeno ci ebbero aU quanti i quali desiderosi de mali della tirannide per de menza 0 per avarizia congiurarono di tradire la patria e richiamarvi i T arquinj, trucidandone i consoli : ed io dir quali ne fossero i capi, e come improwedutamente scoperti, mentre credeansi occulti a tutti, ma riassumer le cose alquanto pi addietro. III. Caduto Tarquinio dal trono, si tenne per un tempo, non lungo, in Gabio, raccogliendo quanti a
(i) Il lesto non ben fisso: e forse dee leggersi rerghe curve o grosse nella testa. Il codice Vaticano avendo la voce x t f v t n t e non xaf)tas favorisce la idea di verghe grosse io testa. Silburgio pro pende per le verghe ricurve in cima.

LIBRO V.

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lui ne venivano amici della tirannide pA che della li* belt , e confbrtandoTisi in su le speranze de* Latini quasi potessero jquesti ricondurio alla reggia. Ma poscia) ^ e le dtlA non lo ascoltavano n voleaoo per lui fare una guerra ai Romani ; disperandone alfine il soccorso fuggissene a Tarquioj citt Tirrena , donde era la ma terna orgine sua. E cattivandosi que' cittadini co* doni ^ e prodotto da essi in piena adunanza, rinnov 1 'aurica congiunzione con loro, e commemor li benefisj delr avolo suo con tutte le citt T irrene , e gli accordiche avean fatto con lui. Poi si lament con tutti deUa> sciagura che avealo preso , e come travolto in un sot giorno da lietissima condizione, ora profugo con tre figli e bisognoso fin del necessario, era costretto ricor-* rere a popoli, un tempo, sudditi suoi. Scorrendo sb> tali cose pateticamente e con molte lagrime , indusse il^ popolo a spedire il primo a Roma uomini che portas-. sero parole di pace per lu i, quasi i potenti ivi fossero; per favorirlo, ed ajutailo al ritorno. Nominati quelli> ch'egli volle per ambasciadori, ed isu-uitili delle coseche erano, da dire e da fare gli spedi con alquanto di>. oro e con lettere de' fiiorusciti con esso dirette con preghiere agli amici e domestici loro. IV. Venuti questi a Roma dissero in Senato : che

ehiedea Tarquinio la franchigia di venire con pochi prima in Senato, e p o i, quando ci fossegli conce duto dal Senato, nell adunanza del popolo per darx'i conto delle opere sue fin dai principj del regno , fattine giudici lutti i R om ani, se alcuno mai lo ac~
D I O N I G I , tomo I I . S

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cusasse. Che se appien si giustifica, se persuade che egli non ha colpe degne deW esilio ; allora se gliel concedano, regner notamente con que limiti che gli prescriveranno : se poi decreteranno di non voler pi come per P addietro la sovranit dei r e , ma di fo n darne uri altra qualunque, egli uniformandovisi al pari degli altri resterassene colla sua fam iglia in Ro^ m a, sua patria, libero almeno della vita degli erranti, e de' profughi. E ci detto snpplicavaDO il Senato pei comuni diritti che vogliono che niun si coridanni senza discolpe e g iu d izj, a concedere una difesa della quale essi giudicherebbero. Che se ci non volevano a lu concedere , fossero compiacevoli almeno in vista della citt la quale s'intrametteva. Compiacendola , tutto ch senta discapito loro, assai onorerebbero la citt che ci conseguiva. Uomini essendo, non si elevassero sopra la sorte degli uomini : n serbassero immortali gli sdegni in cuori mortali : ma in grazia degl inter cessori si sforzassero anche contro lor voglia di usare mansuetudine ; considerando cK egli da savio con donare le inimicizie per le amicizie ;. ma da stolto e da barbaro volgere in nemici gli amici. V. Avcano ci detto , quando Bruto sorgendo re plic : Sul ritorno de' Tarquinj in Roma cessale o Tirreni di pi ragionarne. Imperciocch gi si qui votato irreparabilmente per l'esilio loro: ed abbiamo tutti giurato agl Id d j di non restituire i tiranni, e di non tollerare che altri ce li restituisse. M a se chie deste con altra moderazione a cui n le leggi n li giuramenti si oppongono ; manifesUAevi. O r qui fai-

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tM innanzi gli ambasciadpr sogginnsero : Tem naie d

soTW ) contro la espettazione le prime dinumdei am~ hasciadori per uno che si raccomanda, per uno che vuole dare a voi conto di s stesso, abbiamo chiesto qual grazia ciocch era diritto per tutti : n potemmo ottenerlo. Ora poich ve n ' parato cos ; non piti vi presseremo sul tornar de' Tarquinj, N oi facciamo istanza per un altro diritto di cui la patria c' incari cava ^ e su cui non legge, non giuramento impediscevi, cio che rendiate al monarca i beni che tavolo suo possedeva senza toglierli a voi n di fo rza n in ttccuUo , ma portali qui avendoli, come ereditati dal padre, A lui baster , se lo ricupera , il suo, per vi vere idtrove felicem ente, senza vostra molestia. Riti- raronsi ci detto gli ambasciadori. Brato 1' uno de'conaoli suggeriva che si ritenesser que' beni in compenso delle ingiustizie s graffi e si numerose dei tiranni cantra del pubblico , e per util di Stato : percit non si dessero ad essi de' m ezzi co' quali fa r guerra f preammonendo, che n si affezionerebbero ad essi i Tarquinj col riavere i lor beni n sosterrebbero una vita privata, ma porterebbero su' Romani le arme di altri popoli , e tenterebbero di tornare colla forza al comando. Collatino per consigliava il contrario , di cendo che non gli averi, ma le persone dei tiremni noceano la citt. Pertanto scongiuratali a guardarsi prima daW incorrere nella rea fam a cU avere espulso i Tarquinj per invaderne i b en i, e poi dal porgere ad essi cosi spogliandoli, giusta occasione di guerra : dicea che non era chiaro , che ricuperando i beni- si

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accingerebbero ancora ad una guerra con essi , lad dove era ben manifesto , che non ricuperandoli, non si cheterebbero. VI. Cosi dicendo i consoli ; e molti sentendola colr uno e coir altro ; il Senato dubit come avesse a ri solvere. E ripigliandone per pi giorni l'esam e, e pa rendogli che Bruto consigliasse il pi utile, ma Colla tino il pi giusto ; in ultimo deliber che giudice ne fosse il popolo. O r qui dette essendo pi cose dall'uno e dall' altro de consoli, e venendo al6ne le curie, che eran trenta di num ero, ai voti, preponderarono le ane alle altre con si picciol divario che quelle le quali in timavano che si rendessero i beni superarono di un sl voto le altre le quali voleano che si ritenessero. I Tirreni avuta la risposta dai consoli : e molto lodando la citt che anteponesse all' utile il giusto ; spedirono a Tarquinio perch mandasse chi ricevesse i beni di lui frattanto essi restavansi a Roma sul titolo del trasporto de' mobili, o di dar sesto a ci che non poteasi menar, via, n carreggiare : ma in realt spiando e brigandovi, come il tiranno aveali incaricati. Perocch ricapitarono le lettere de'profughi agli attinenti loro; pigliandone le altre di replica. E conversando, e studiando 1 alfe-, zioni di m olti, se ne trovavano alcuni facili ad essereguadagnati per la poca fermezza, per la inopia, o pel desiderio di^enipiersi nella tirannide, davaosi a subor-, narli coll oro e con ampliarne le belle speranze. Vi sarebbero secondo le apparenze in citt si grande e si popolata, alquanti non degl infimi solo ma de riguar-, devoli i quali anteporrebbono il governo men buono al.

LIBRO V. 117 migliore ; or furono tra questi i due Giunj Tito e T i berio, figli di Bruto il console, puberi appena, e eoa essi' i due Gellj (i) Marco e Manio fratelli della moglie di Bruto, idonei a' pubblici ailari ; Lucio e Marco Aquilio, figli ambedue della sorella di Collatino altro consolo, e conformi di anni ai figli di B ruto, presso a quali, non pi vivendo il lor padre, per lo pi si adunavano e concertavano sul ritorno de' tiranni. VII. T ra le molte cose , per le quali a me sembra che Roma giugnesse per la provvidenza de'numi a stato s prospero, non sono le infime quelle che avvennero allora. Imperocch si mise in quesciaurati Unta de menza , e Unta cecit , che osarono fino scrivere al tiranno di propria mano lettere che indicavano il aur mero copioso de congiurati ed *il tempo nel quale as salirebbero r uno e r altro console, lusingati dalle epi* stole del perfido ad essi per le quali volea sapere i compensi che avrebbe a d are, tornando in trono , ai Romani. Ebbero i consoli queste lettere per tale incontro. Eransi i primarj de' complici riuniti in casa degli Aquilj nati dalla sorella di Collatino, invitativi come a sante cose e sagrifizj. Dopo il convito ordi nando che quei che lo aveano ministrato uscissero e si tenessero, nell anticamera ; confabulavano infra loro su la rintegrazione del tiranno, e segnavano ciascuno , i mezzi che glien parevano di mano propria in lettere che gli Aquilj doveano far giungere ai messaggeri Tir reni, e questi a Tarquinio. Intanto uno schiavo (V ia(i) Sigonio ne scoglj Liviani pone V itellj io luogo iV 'G ellj ieguudo le aulril di L to e di Ptuiarco.

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ROMAME

icio ne era il nome ) della citt di C enina, il quale lervito gli avea di bevanda, sospettando dalla remozione de' servi che coloro macchinassero qualche scelleraggine, si stette solo fuori della porta, ed applicatOTsi in una fessura ben Incida, ne ud li discorsi, e ne vide le lettere che vi si scrvevan da ognnno. Quindi a Dotte avanzata uscendo come in servigio padroni, non ardi di andare ai consoli sul timore che volessero per r amor de' congiunti che il fatto si occultasse, e levas sero di mezzo chi porgea la dinunzia: ma recatosi a Pubblio Valerio l'u n o de'quattro, primarj nel tor la tirannide , congiunsero a vicenda la destra , e ginrataglt ^ a lui sicurezza, gli svel quanto u d , e quanto vide. C olui, saputo il fatto, si present senza indugio su l'alba in casa degli Aquilj con valida schiera di clienti e di amici e penetrandone senza contesa le porte co me per tutt'altro ailare, s'impadroni delle lettere men tre pur v' eran que' giovani, i quali men seco ipnanzi de' consoli. y ill. Ora essendo io per dire le sublimi, e meravi^iose gesta di Bruto di che tanto i Romani si magni ficano , temo che sembrino austere troppo n credibili ai Greci, giaccli tutti sogliono per natura giudicare le cose che di altri si dicono dalle proprie , e secondo queste aversele per credibili o non credibili. Nondimeno io le dir. Non si tosto fu giorno, sedutosi Bruto ia tribunale, ed esaminando le lettere de' congiurati, ap {iena scopri quelle de' figli distinguendole dai sigilli, e dopo rotti i sigilli, dai caratteri; ordin primieramente che lo scriba leggessene 1 una e l altra, sicch tulli le

119 udissero, e quindi cbe i figli dicessero sa ci se voleano. Niuno de' due ardiva rivolgersi impudentemente a negarle per sue, ma quasi avessero gi condannato s stessi, piangevano. Egli soprastando breve tempo sorse ; ed intimato silenzio, ed aspettando tutti qual ne sarebbe la fin e, disse , che condannavali a morte. Or qui alzarono tutti la voce, alienissimi, che avesse un lai uomo a punire s stesso colla morte loro, e voleano condonare al padre la vita de' figli. Ma egli non com portando n le voci n i pianti comand a'satelliti che di l rimovessero i giovani che lagrimavano e supplica vano e co' nomi pi teneri lo chiamavano. Riusciva spettacolo meraviglioso a tutti cbe un tal uomo niente piegato si fosse n per le preghiere de*cittadini, n per la commiserazione inverso de'figli: assai per parve pi portentosa 1' austerit di lui circa il supplizio. Im peroo ch n permise che si uccidesMro i figli allontanati dal cospetto del popolo, n egli, almeno per fuggirne la terribile vista, si ritir dal Foro finch non furono pu niti : n condiscese p u re , che subissero, non disonorati co* flagelli almeno, la morte destinata. Ma custodendo tutte le consuetudini, e tutte le leggi quante ve n 'h a su'm alfattori, egli stesso nel Foro tra la pubblica vista presente a tutto , fattili prima straziar colle verghe ; concedette alfine che con le scuri si decapitassero. Sor prendente soprattutto , inconcepibile era in quest' uomo la immobilit degli sguardi senza indizio nemmeno di compassione. Tanto che piangendo tu tti, egli solo fu visto non piangere sul destino de'figli: n sospir per s stesso , n per la solitudine la quale facevasi nella
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sua casa, n di segno in tutto di debolezza: ma senza lagrime, senza lam enti, e come inalterabile, porto ma gnanimamente la sua sciagura. Tanto era forte di ani mo , tanto costante in compiere le risoluzioni, e tanto superiore agli affetti cbe turbano la ragione ! IX . Uccisi i 6gli f' chiamare immantinente gli Aqui* Ij , figli della sorella dell' altro console , presso a' quali teneansi i congressi de' congiurati. E comandando allo scriba che ne leggesse l ' epistole sicch tutti le udis sero ; intim ad essi che sen difendessero. Ma i giovani venuti dinanzi al tribunale, sia che ammoniti ne fossero dagli amici, sia che di per s lo risolvessero, si gittarono a piedi dello zio per essere da lui salvati. Ma co mandando Bruto ai littori che li svellessero , e li traes sero se non Toleano giustificarsi alla m orte; Collatino sopraggiunse a questi, che sospendessero alquanto fin ch abboccavasi col collega, e pigliatolo da solo a solo or lungamente pe' garzoncelli ; parie escnsandoli che fossero caduti in tale stoltezza per inesperienza e per compagnie triste di amici, e parte eccitandolo a con donare la vita di parenti, dimandandolo in grazia lui che non d'altro mai pi Io vesserebbe, e parie facendo riflettere che turiierebbesi il popolo tutto se davansi ad uccidere chiunque sembrato fosse tenersela co' fuoru sciti perch ritornassero ; imperocch dicea eh' eran m olli, e parecchi non ignobili di lignaggio. Ma non venendogli di persuaderlo ; ne chiese almeno pena pi mite che non la morte, dicendo : mal convenirsi che i complici si avesser la m orte, mentre il tiranno non sostenea che l esilio. E perciocch Bruto ripugnava da

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pene pi m iti, n voleva (ciocch chiedeva da ultimo il suo collega) nemmeno differire il giudizio de' colpe voli , e minacciava, e giurava di darli tutti appunto in quel giorno alla morte ; Collatino sdegnatosi in fine che niente ottenea ; soggiunse : io , pari tuo , io scamper quegiovini se tu se tanto intrattabile e duro : E Bruto indispettitone , no , disse. Collatino ; nop. potr finch 10 vivo fa r salvi i traditori della patria : anzi tu pure

darai tra non molto le pene che meriti.


X. Ci detto, e messa una guardia su' giovani chiami 1 1 popolo a parlamento : e riempiutosi il Foro , perch il supplizio de' figli suoi, gi si era in citt divulgato egli facendosi in mezzo , cinto da pi cospicui de se natori disse : Io vorrei o C inesini, che Collalino ,

questo mio compagno, fosse concorde con me su tutto, ed odiasse e combattesse' i tiranni non pur colla voce, ma colle opere. Ora poich lo trovo manifestamente contrario e congiunto in tutto d Tarquinj di sangue, di voglie, e di brighe onde riconciliarceli, anzi colf utile suo che del comune ; io sono risoluto di oppormegli perch non compia le ree sue macchinazioni, e perci vi ho qua convocati. Io dir primieramente in quanto pericolo sia la citt ; poi come F uno e t altro di noi siasi diportato. Riunitisi alquanti in casa degli Aquilii nati dalla sorella di Collatino , e tra questi ambedue li miei figli e li fratelli della mia moglie , ed altri non ignobili ; stabilirono, e congiu rarono la mia morte , e di restituirvi in Tarquinio il monarca. E gi erano per mandare d fuorusciti let tere contrassegnate da' loro caratteri e sigilli. Ma si

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DELLE ANTICHITA BOMANE

f e ci , la Dio mercede , a noi manifesto , indican docelo questo uomo, che un servo degli A quilj, di quelli presso i quali si adunarono e scrissero nella notte precedente le lettere ; e n o i, le abbiamo n o i, queste lettere. Io gi ne punii Tilo e Tiberio miei figli ; mente , non leggi, non giuramenti , furono da me violali per la clemenza di un padre. Ma Col latino mi ritogliea dalla mani gli Aquilj con dire che non soffrirebbe che partecipassero la sorte de miei J g li , se partecipato ne aveano i disegni. Ma se co storo non soggiaciono a pena, nemmen dunque vi dovran soggiacere non i fratelli della mia moglie, non quanti sono , i traditori della patria. E qual di ritto pi grande avr io cantra questi, se risparmiansi quelli ? D ite, qual contrassegno mai questo, di amici della patria , o del tiranno , di conferma del giuramento che avete voi tutti prestato noi preceden dovi , o di sconvolgimento e di perfidia ? Se egli rimanevasi occulto , pur sarebbe in preda alle furie e sotto la vendetta degli Dei che spergiurava. Ora poi ch vi si palesato a voi si spetta , a voi di punirlo. Vi persuadea costui pochi giorni addietro che rende ste i suoi beni al tiranno, non perch la citt se gli avesse per usarne in guerra contro i nemici, ma per ch li nemici gli avessero per usarne contro la citt. Ed ora si arroga di esentare dalle pene i congiurati a restituirvi i tiranni, in favore come chiaro di questi, perch se mai tornano , sia di fo rza , sia per tradimento egli in vista di tanti servigj ne ottenga, come amico , quanto dimanda. Ed io che non ho per--

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donato a fig li m iei, io dovr, o Collcttino, te rispar^ nuore , che sei con noi di presenza , ma coll animo tra nemici ? E tu che salvi i traditori della patria , tu me che per essa travagliami, ucciderai ? Or potr fa rsi ? Eh ! che lontani siamo di molto. E perch non possi nulla di sim ile, ti levo dal consolalo e coniandoti che in altra citt ti conduchi. E voi o cit tadini voi chiamer ben tosto per centurie, e presi i voti, deoiderete se dobbiam cosi fare. Intanto , ( e yivissimamente avvertitelo ) voi V una delle due n dovete , escludere Collatino, o Bruto.
XI. O r lui cosi dicendo ; Collatino esclamando ed angustiandosi, cbiamavalo di co^a in cosa calunniatore e traditore degli amici: e purgandosi dalle incolpazioni contro di l u i , pregava intanto pe' 6 gli della sorella: ma perciocch non permettea che si dispensassero i voti contro di lui ; inferocivane il popolo , levandosi a ro> more in ogni suo dire. Ora essendo cosi inferocito n soffrendo discolpe, n volendo preghiere , ma solo che si dispensassero voli ; ed interponendosene il suocero Spurio Lucrezio, uom pregiatissimo , per timore che Collatino noa perdesse ignominiosamente ad un tempo il magistrato e la patria , chiese da ambi i consoli f< colt di parlare. Ed ottenutala, esso il prim o, come dicono gli storici Rom ani, giacch non v' era ancor r uso che un privato aringasse il comune ; diedesi puh* blicamenie a pregare 1' uno e 1' altro de' consoli, Col latino perch non si ostinasse e non ritenesse il comando a mal cuore de' cittadini , che spontanei gliel diedero ; ma se pareva a que' che gliel diedero di ripeterlo, vo-

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lontanamente lo restituisse , e levasse co' fatti , non coi detti le accuse contro di lui : prendesse le sue robbe e si recasse ad abitare altrove, dovunque voleva, finch 10 Stato non era in salvo cosi portando 1' utile pub blico : riflettesse come in altre ingiustizie gli uomini se ne sdegnano, quando sono commesse : ma che sospet tandosi di tradimenti stimano anzi saviezza temerne ipvano e guardarsene , che trascurarli e lasciarsene rovi nare. Persuadeva poi B ruto, che non cacciasse dalla citt con vergogna e con vitupero quel magisUato comr pagno col quale avea preso le risoluzioni pi belle per la patria : ma che desse a lu i, s' avea cuore di lasciare 1 1 suo grado e di trasmigrarsi , tutto 1 agio a raccor le sue robbe , e gli aggiungesse a nome del popolo na dono come pegno di consolazione nelle sue calamit. XII. Cosi consigliando quel valentuomo , intanto che il popolo ne lodava i discorsi, Collatino depose la sua dignit, contristato che per la piet de parenti era astretto a lasciare e senza demeriti la patria. All' opposito eacomiavalo Bruto perch risolveva il migliore per la sua Roma e per s , e pregavalo a non disamorarsi

n verso di lu i, n della patria : trasportando altrave la sede, considerasse ancor sua, la patria che lasciava, n si meschiasse a nemici contro lei non colle parole , non colle opere. Considerasse in somma qubsto transito suo qual pellegrinaggio , non qual bando , o fuga : tenesse il corpo presso quei che lo ricevevano, ma / affato suo, lo tenesse questo , presso quei che lo mandavano. O r cos avendo am
monito quest' uomo persuase il popolo a regalarlo di

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venti talenti, con aggiuogerne egli cinque del sno. Ca duto Tarquinio Collatino in tale disgrazia si ritir a Lavinia , antica madre de Latini dove carico di anni mor, ftruto non sopportando di essere solo al coniando, per non dare sospetto , che levato avesse il compagno dalla patria per farvisi r e , chiam bentosto il popolo al campo dove usava eleggere i sovrani e gli altri magi strati , e cre per collega nel consolato Pubblio Valei rio , uno dei discendenti, come sopra fu detto, dai Sabini, uom degno di ammirazione e di lode per l molte sue d o ti, e principalmente per la sobria sua vita. Egli trovando in s stesso una luce naturale di filosofia , la fece brillare in pi affari, come poco ap presso diremo. XIII. Unanimi questi in tutto, immantinente diedero a m orte, quanti erano, i congiurati al ritorno de' fuoru sciti , e dichiararono libero e cittadino il servo che aveali denunziati, colmandolo di oro. Poi fecero tre bellissimi ed utilissimi regolamenti, che la citt con temperarono a pnsare tutta di un m odo, sminuendo il ivor pe nemici. Il primo spediente fu di scegliere i migliori della plebe e di crearli patrizj , onde compier con essi un Senato di trecento. Appresso esposero al pubblico le suppellettili del tiranno , concedendo che ognuno se ne avesse , quanto toglievane ; e comparti rono i terreni di esso a chi non aveace , riservandone anicamente il campo tra '1 fiume e tra la citt , dedi cato gi dal voto degli antenati a M arte, come prato benissimo pe cavalli e per gli esercizj de' giovani in arme. Tarquinio p e r , sebbene prima di lui fosse gi

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sacro a quel num e, aveaselo appropkto, e seminavaci: di che sommo argomento la risoluzione allora presa da consoli sul ricolto che sen'ebbe. Imperocch sebbene avessero conceduto al popolo di prendere e portarsi quanto era del tiranno , non per consentirono che al cuno si arrogasse il j;rano germogliatovi, sia che fosse elle spighe, sia che nell' aja , sia che gi lavorato ; ma decretarono che si gettasse nel fiume come esecran* d o , n degno che se lo avessero in casa. E di tal gitto Bopravvanza ancora, monumento famoso , la isoletta sa> ora ad Esculapio , bagnata intorno dal fium e, prodotto, dicono , dagli ammassi delle paglie corrotte, e dal fango che vi si appicc nel correr delle acque. Rispetto a quelli che eransi fuggiti a Tarquinio accordarono ad essi genende perdono , e ritorno sicurissimo in patria fra venti giorni, intimando a chi venuto non fosse in quel tertniiie, 1' esilio perpeti^ e la confisca de' beni. O r tali provvedimenti impegnarono ad ogni cimento quei che godeano le ro b e , quante mai fossero del ti ranno, sul timore che non venisse lor men l'utile che ne aveano; come impegnarono a favorire non pi la tirannide ma la patria , que' tutti che per le gesta loro sotto dei despoti, eransi esiliati da s.stessi, per timore di non pagarne le pene. XIV. Ci fatto, si diedero co* pensieri alla guerra te nendo intanto 1 esercito in campo presso di Roma sotto le insegne e li capitani per addestrarvelo ; perch aveano udito che i fuorusciti apparecchiavano contra loro un armata dalle citt dell Etruria , e che quelle de T arquitij e de' Vej^enli, potentissime ambedue, cooperavano

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manifestamente al rUorno di essi, mentre gli amici loro adunavano dalie altre dg' stipendiati e de' \olontarj. Ma non s tosto seppero che l inimico moveasi, delibera rono di farsegli incontra ; e passando prima di esso il fiume, s* inoltrarono e si accamparono vicino ai Tirreni nel prato Ginnio , presso la selva sacra ai genj di Ora to (i). Trovaronsi ambedue le milizie quasi pari di nu mero con ardore egu>!e per combattere. E su le prime, turse , appena si videro , picciola mischia tra' cavalieri, innanzi che le fanterie prendessero campo > Cosi gli uni sperimenUrono gli altri, e non vincitori e non vinti si ritirarono ciascuno al corpo de'suoi. Quindi messa la fantera nel centro, e la cavalleria nelle ale si mossero da ambe le parti coll' ordine stesso fanti e cavalli gli uni contro degli altri. Conducea l'ala destra Valerio il console , contrapponendosi a Yejenti : Bruto reggea la sinistra avendo a fronte la milizia de' Tarquiniesi cosmandata dafigli del tiranno. XV. Erano gi gi per venire alle mani quando avanzandosi dalle fila de Tarquiniesi 1 uno de figli del tiranno , ( Arunte ne era il nome) il pi vago di aspet to j e pi magnanimo defratelli, e spinto il cavallo verso i Romani in parte, dove tutti ne intendesser la voce, coperse d' ingiuria il duce Romano , chiamandolo fe rino , selvaggio , lordo del sangue de' figli , imbelle e vile , e lo sfid per tutti a combattere solo. E colui non
( i ) Cosi nel C odice ValicaDo. Alcuni pei leggono j^rsio in luogo di Orato , perch tccocdo Tilo Li-vio e Valerio Massimo J r u a si cfaiamaya la selva.

la S

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pi basundo alle inginrie, spron dal suo posto il ca vallo senz attendere gli amici che nel distoglieTano, correndo fortissimamente all^ morte che eragli apparec* chiata dai fati. Rapiti ambedue da pari ardore, intenti a ci che era da fare non a ci che ne palirebbono, avventano impetuosamente i cavalli uno a fronte dellal* t r o , e vibransi colle aste colpi vicendevoli, non reparabili cogli scudi n con gli usberghi , immergendone la punta chi nelle coste , e chi nelle viscere. Urtatisi per la foga del corso i cavalli nel p etto , elevaronsi sii pie' di dietro, e girandosi colla'^ cervice rovesciarono i cavalieri. Cosi caduti giaceansi versando sangue in copia dalle ferite, e lottando colla morte. Come le milizie videro caduti i duci lo ro , spiccaronsi tra clamori e stre pito , e sorsene battaglia , quanl' altre mai ferocissima , di fanti e di cavalieri ; con sorte non dissimile. Impe rocch li Romani dell ala destra comandati da Valerio console vinsero li V ejenti, ed incalzandoli fino agli alloggiamenti , copersero il campo di stragi. Per l opposito i Tirreni dell' ala destra guidata da Tito e da Sesto figli del tiranno misero in volta i Romani dell'ala sinistra, e corsi presso alle loro trinciere usarono pei^ fino tentare se pelea no in quell' impeto primo espu gnarle. Ma contrastati e feriti assai da quei che v'erano dentro, si ripiegarono. Aveanci di guardia i Triarj , cosi detti, veterani peritissimi di guerra pel lungo eser cizio, e soliti riservarsi pe' cimenti pi gravi , quando ogn altra speranza vien meno. XVI. E fattosi gi il sole presso loccaso, tornarono gl! uni e gli altri a' proprj alloggiamenti non s lieti

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per la vittoria, che doleati per la qiohituditie de' per dati corupigni. E se doveasi ir nuova baUaglia noa credeaao bseurvi quanti erano intatti fra loro ; essendo i pi feriti ; se nt^n che pi grande era l'abbattimento, e la diffidenza ne' Romani per la morte del comandante; in guisa che' venne a molti in pensiero che fosse il loro migliore di abbandonare prima del di le trinciere. Ma intanto che cosi pensavano e dicevano usci circa la prima vigilia dal bosco presso al quale accampavano una voce , sia diel genio tutelare del bosco medesimo^ sia di Fauno che chiamano, la quals rimbomb sa l'uno e i'altro esercito, sensibilissima a tutti. A Fa im ascriveano i Rpmani i panici timori , e tutte le visioni che varie ne luoghi varj presentansi spaventosamente ai mortali : e di qusto Dio dicono che sian opera le chia mate fatte dal cielo , le quali tanto perturbano chi le ascolta. Animava questa voce i Romani a bene operare quasi avessero vinto, significando come era morto ano di pi tra nemici : e dicono che Jevatosi a tal vqc Valerio ne aadsse nel cuor della notte agli alloggia menti de'T irrepi, e che uccidendoveli per la pi parte, o fgandoneli s in^adronisse del campo. XVII. Tal fu l esito di questa battaglia. Nel giorno appresso i Romani spogliarono i cadaveri de nemici ; e appelliti quelli de suoi, partirono. I migliori de cava lieri j presolo con molta onorificenza e con lagrime, riportavaiio a Roma il corpo di Brato in mezzo ai firegi della propria virt. Mossero all incontro di essi il Se nato che avea decretato che si portasse il duce con pompa trionfale, ed il popolo che ricev lesercito con
v j o m a i , tomt I I . %

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crateri colmi di vino e con mense. Giunti nella d iti i il console ne trionf come i re soleano, quando solenniziavanor i sagrifizj e le pompe pe' trofei; ed ofEerse a' numi le spoglie, e fe' di quel giorno una festa y convitando i pi riguardevoU de'cittadini. Pigliata nel giorno appresso lugubre veste, ed esposto il cadavere di Bruto su magnifico letto in splendido oraameoto nel Foro , vi convoc la moltitudine, e salilo in palco, ve ne recit 1 elogio funebre. Io non so ben discemere se Valerio il primo introdusse in Roma quel costume , o se dai re lo desunse : ben so che tra' Romani anlichisiima la istituzione degli elogi nella morte de' valentuo^ mini ; e so da' pubblici documenti di poeti antichi, e di storici famosissimi che non i Greci i primi la fon darono. Imperocch le vecchie storie danno a conoscere che ci aveano in morte di uomini insigni, combattimenti equestri e ginnici, come Achille ne fe' su Pa troclo, e come Ercole, prima ancora , su Pelope : ma xhe gli encomj se ne recitassero, ninno lo scrive se non i tragici di Atene , i quali adulando la propria .citt, favoleggiarono che avesse ci luogo nei sepohi da Teseo. Laddove tardi istituirono gli Ateniesi per legge -le funebri laudaziom' ; sia che le incominciassero su quelli che morirono pbr la patria ad Artemisio , a Salam ina, a Platea, sia che su quelli i quali caddero a Maratona. E la impresa di Maratona , se in quella si : cominciarono gli elogj pe' defontt , pi larda delU morte di Bruto per sedici anni. Che se alcuno, lasciando d investigare quali stabilbsero prima i lugubri enoooij, voglia esaminare presso chi sia Ja legge meglio ord-

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nata ; la trover tanto pi savia tra questi ch tra quelli, quanto che gli Ateniesi introdussero i pubblici elogi m ortuali, pe'defunti in battaglia , quasi estimassero la bont del solo termine glorioso della vita, sebbene al tronde indegnissima : laddove i Komaai destinarono tal^ onore non ai soli plinti nel combattere , ma a tutti gli uom ini, insigni per sublimi consigli , o per belle operazioni, sia che in c itt , sia che in guen*a avessero^ comandato, ovunque morissero j giudicando che debbansi i valentuomini celebrare non per la sola morie luminosa ^ ma per tutte le virt della vite. XVIII. Cos mor Giunio Bruto, colui che schiant la tirannia, che prime fu console dichiarato, ohe tardi rendutosi illustre fiori s i , picciol tempo, ma fortissimo parrei fra tutti. Non lasci prole non di maschi non di femmine^ come scrivono gli storici i quali esaminaron le cose de Rom ani, ancor le pi chiare : di che ne allegano molti argomenti ; e questo infra gli altri non facile a vincersi, che egli era dli ordine de' patrisj ; laddove quei che si dicono originati da Ini li Giunj e li Bruti eran tutti plebei, perocch conseguivano le ca> riche degli edili e de tribuni, che son quelle ohe per legge a pldiet si permettono, e non il consolato , cui uiun conseguiva fuorch li f*atrizj. E quando questa di-gnit si concedette ancora a plebei coloro non la Otten nero se non tardi Ma lasciamo che discutano ci quelli < 3 t quali si appartiene conoscerlo pi chiaramente. XIX. Dopo la morte di Bruto , Valerio il collega su o , divenne sospetto al popolo quasi cercasse lo scet tro ; primieramente perch tenea olo il comando , do

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vendo far obito eleggerti ua compagno, come quando. Bruto ripudi Collatino ; e poi perch aveasi fabbricato la casa in sito invidiato, preso nella parte alta e dirotta del colle, il quale chiamasi Velio e domina il Foro. Convinto per da' suoi cOme ci dispaceva al popolo, prefisse il giorno pe' comizj e fe' darsi un compagno in Spurio Lucrezio. E morendo costui dopo pochi giorni della sua magistratura, sostitu Marc' Orazio ; e trasfer r abitazione sua dalle cime alle radici del colle, perch i Romani, come ei disse concionando, potessero tem

pestarlo co sassi daW alto se trovavano cV ei facesse ingiustizia. E volendo rendere il popolo pi certo della
sua liberl, lev le scuri dai fasci, dando ai consoli sue* cessivi il costume , durevole . pur ne' miei giorni , di usare le scuri quando escono di citt, ma di non por tare nll'intrno di essa che i fasci soli. Fond leggi piene di amicizia e di sollievo inverso del popolo; p-oi bendo con una manifestamente che niun de' Romani andasse alle magistrature se dal popolo non le prendeva; con pena di morte a chi contravvenisse, e licenza a tutti di ucciderlo. Con altra legge si decreUva : Se un magistraU Romano voglia uccidere, o battere , o muU-

tare alcuno in danari ; possa V uomo privato appel^ lame al popolo senza che intanto niente ne soffra dal magistrato finch il popolo ne sentenzii. Or sic
come onoravasi con tali regolamenti il popolo ; cosi ne diedero al console il nome di poplicola, che in greco appunto significa curatore del popolo. E tali sono le cose fatte in quell'ano dai consoli.

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XX. Nell* anno segneate (i) fu di nuovo creato con sole Valerio , e con esso Lucrezio : ma non si fece nulla di memorabile se non il censo d e'b en i, e la tas-* sazion dei tributi per la guerra secondo le istituzioni di Tullio re : cose tutte sospese nel regno di Tarquinio , e rinovate da essi la prima volta. Trovaronsi in Roma idonei alle arme cento trenta mila : e fu spedito un esercito per guardia a Sincerio (a), luogo di frontiera contro i Latini e gli Ernie! da quali si aspettava la guerra. XXL Creati consli (3) Valerio detto Poplicola per la terza volta e Marc Orazio con esso per la seconda L a ro , re di Chiusi nell E truria, quegli che Porsena si cognominava , promise ai Tarquinj ricorsi a l u i, 1' una di'queste due cose, o di riconciliarli co'Romani pel ritorno , e la ricuperazion del comando; o che ripiglie*rebbe e renderebbe ad essi I beni de' quali erano stali spogliati. Imperocch spediti 1 anno precdente amba^ sciadori a Roma , i quali portavano preghire miste a minacce , non aveaci ottenuto n la riconciliazione , n il ritorno de'T arquinj; pretestando il Senato le impre^ cazioni e li giuramenti fatti contro di questi, n aveane riavuto i b e n i, negando restituirli coloro che se gli aveano divisi, e godevanli. E non contentato in niuna delle domande , e chiamandosene vilipeso e conculcato,
' (i) secoodo Catone e a43 secondo Varrne dalla, fondazione di Roma , e 5o6 aranii Cristo. (3) Nel Codice Vaticano i legge Tisionirio. (3) B ^49 fondazione di R om l^ 65 avanti Cristo

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arrogante altronde, e briaco per 1 ampiezza delle sue ricchezze e dominio, credette avere cagioni assai per abbattere la signoria de' Rom ani, come gi per addie-* Cro desiderava , ed intim loro la guerra. A lui si con* giunse Ottavio Mamilio il genero di Tarqainio sul di segno di mostrare tutto 1' ardore suo per la guerra. Egli si mosse dalla citt del Tuscolo e men seco i Carne rin i, e gli Antemnati, lignaggio latino, alienati gi pa lesemente da R om ani, e molti volontari suoi fautori, delle altre genti Latine le quali ricusavatsi ad una guerra manifesta contro di una citt confederata, e tanto po> derosa. XXIL Saputo ci li consoli romani ordinarono a'col* tivatori di portare masserizie, bestiami, e schiavi ai monti vicini, fabbricandovi ne'luoghi forti de'castelli > opportuni a difendere chi vi si riparava. Qvindi pre munirono con pi polenti maniere e con guarnigioniil Gianicolo, alto colle, cosi chiamato, nelle vicinanze Roma di l dal Tevere, e provvidero con ogni diUgeaaa perch non divenisse un baluardo pe' nemici contro l citt, e vi depositarono gli apparecchi per la guerr*. Quanto alle cose interne della citt le ^ p o s e r o , ancor pi propiziamente verso del popolo , diffondendo assax beneficenze su poveri , perch (jnesti non si ripiegasi sero in verso de tiranni, n tcadissero per l litile proprio , il comune ; imperocch decretarono che fos sero immuni da tributi pubblici, quanti al tempo dei re ne pagavano , n soggiacessero a spese di milizia e guerra, giudicandoli assai contribuirvi se la persona esponevano per la patria. Collocarono nel campo, dinanzi

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Roma la milizia preparata ed esercitata gi da gran ttnpo. Giunto il re Porsena^ coll esercito espugn di assalto il Gianicolo , spaventandovi i Romani che Io presidiavano, e sostituendovi guarnigione tirrena. Quindi marci verso la citt quasi avesse a prenderla senza fa- tica. Ma fettosi ornai prossimo al ponte, e visti accam pati i Romani nella riva a lui pi vicina del fiume si apparecchi per combattere , in guisa da sopraffarli coi numero j e spinse assai spregiantemente innani la mi lizia. Reggeano l ala sinistra Tito e Sesto fi|[li di Tar quinio, tenendo sotto gli ordini loro i fuorusciti da Roma , il 6ore della gente di G abio, e stranieri, e mcrcenarj non pochi. Mamilio il genero di Tarquinio comandava la destra ov'erano i Latini ribeKatisi daRo mani: finalmente il re Porsena avea la fanteria schierata nel centro. Ma Spurio Largio, e Tito Erminio teaeano l ala destra de'Romani contro ai Tarqninj: Marco Va lerio, fratello d d console Poplicola, e Tito Luorezio il console dell' anno precedente stavano colla sinistra a fronte di Mamilio e de' Lani. Moveano tutti due i consoli il corpo fra le due ale. X X ni. Fattasi alle mani combatt virilmente l una e l'altra milizia con lunga resistenza; superando i Romani per esperienza e fortezza i Tirreni e i Latini ; ma po tendo questi sai pi de primi col numero. Alfine ca dendone quinci e qoii^i in gran cojiia s'intimoriroBO prima i Romani ddl' ala sinistra in vedere i loro duci .Valerio 6 Lucrezio feriti', e portati fuori della batta glia ; e p o i, quando mirarono in piega i loro compa gni, sbigottironsi anch'essi, quei dell ala destra sebbene

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ornai viacilorl delle schiere de' Tarquinj. E fuggendosi tutti alla citt , precipitosi, ia folla, su per u ponte solo; piombavano intanto su loro ferocissimi grioimici: e. poco mancato sarebbevi che Roma priva di mura dalla banda dei fiume , fosse espugnau, se i vincitori investita r avessero misti co'fuggitivi. Se . non che ,so> stennero l inimico, e salvarono tutto 1 esercito tre uo mini , due seniori, Spurio Largio , e Tito Erm inio, appunto i duci dell ala destra , e PuMio Orazio , tio giovine^ il pi belio, il pi valoroso de' mortali Coclite detto dallo strazio degli occhi, per essergliene s(ato di< velto Uno in , battaglia. Era questi figlio del fratello di Marc Orazio console, e traeva la .origine sua generosa da Marco Orazio 1 'uno ^ de trigemini che ;vinse gi li tre Albani, quando le citt guireggiando per la pre minenza accordaronsi a non cimentarsi con tutte le forze, ma con soli tre uom ini, come fu dichiarato nei libri antecedenti. Questi soli fattisi alla testa del ponte disputarono gran tempo il passo al nimico, fermi sul posto medesimo , in mezzo a nembo di strali e tra l fulminar delle spade, finch tutta larmata ripass di qu^ dal fiume. XXIV. Come per videro in salvo i suoi, Ermiaio e Largio , laceri gi nell armatura pe colpi incessanti, si ritirarono a grado a grado. Orazio per, sebbene daUa citt lo richiamassero i cittadini ed il console, e tentassero per ogni via di salvare un tal uomo, ai pa renti e alla patria, Orazio solo non ubbid, ma nel posto suo si rimase come dianzi, raccomandando >ad Erminio di dire in suo nome ai consoli che tagliassero

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verso la citt, quanto prima potevano il ponte. Era di quel tempo il ponte uno solo e di legno , con tavole coDglunte per s stesse e non per ferrei g ra p p i , quale

custodiscesi. tuttavia dai Romani : raccomand nommeno che quando avessero sconnesso il pi del ponte, quando picciola parte resterebbe a disfarne, a lui lo dichiaras-' sero con certi segni , o con sonora voce. Lasciassero a lui poi la cura del resto. Csi ricordando a que due si tenne in sul ponte, e parte col ferir della spada, parte col dar dello scudo, ne < respinse, quanti investendolo, vi si avventavano. E gi quelli che perseguiuivano il romano non ardivano pi venire alle mani con esso , come preso da furore e fermo di morire ; molto pi che non era facile andar fino a lu i, che aveva a destra e a sinistra il fium e, e dinanzi un monte di cadaveri e di armi : ma tenendosegli discosti lo bersagliavano in folla con lance, e dardi, e sassi quali empirebbon la mano ; o coi brandi e coi scudi degli estinti, se non aveano i primi stromenti. Resistea colui colle armi loro medesime : tirando su la moltitudine ; sempre, com' verisimile, colpiva alcuno. E gi percosso, gi carico egli era di ferite in pi parti del corpo, gi un colpo portatogli direttamente per la coscia alla testa del fe more , lo addolorava e difScoltava nel caminare; quando, udendo gridarsegli addietro essere il ponte nella sua pi gran parte disciolto, si gett di un salto colle arme nel fiume. E valicatolo a stento, perch divenuto rapido e molto vorticoso per le travi che gi sostenevano il pon te , e che ora abbattute rompevano il corso delle acque, fecesi a terra finalmente senza avere in quel tragitto perduta nitua delle armi.

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XX V. Tale azioae produsse a lui gloria Immortale r e li Romani coronandolo lo portarono immantinente per la citt com' nno degii eroi tra' cantici trionfali. B.I TcrsavasI la urbana moltitudine, finch le era permesso, per desiderio di vederlo , almeno nell' ultimo presentar sele; sembrandole che tra non molto morirebbe per le ferite. Scamp tuttavia da m orte; ed il popolo mise nella parte pi co^icna del Foro la statua metallica di hil com' era fra le armi ; e diedegll del terreno pub> blico quanto ne potrebbe in un giorno un pajo di buovi arare d'intorno ; e senza conure i pubblici doni, ogni uomo o donna, i quali erano insieme pi che trecento mila, gli recarono ciascuno il vitto di un giorno men tre era fra tutti terribile la penuria. Orazio dimostrata in tal tempo tanta virt parve pi che tutti i Romani invidiabile. E quantunque, divenuto perch zoppo, inu tile ad altr'incarichi non potesse in vista di tale scia gura conseguire n II consolato, n altre militati presidenze ; nondimeno per le gesta meravigliose fatte da lu i, vedendolo tutti. I Romani, in quella battaglia, me rita di esserne encomiato quanto mai lo fosse ciascuno de' pi &mosi per la fortezza. Cajo M uzio, sopranno minato Cordo , sceso da chiari antenati , anch' egli si mise ad una nobilissima impresa. Io ne dir tra poco dopo esposti i mali che allora ingombravano Roma. XXVI. Dopo qudla battaglia il re dei Tirreni collocatosi nel monte vicino, dal quale avea discacciato il presidio romano , dominava tu tu la campagna di l dal Tevere. Li figli di Tarquinlo, e Mamillo il genero di lui U'agittando le milizie loro con picciole barche al

LIBRO V. 139 laltra riva per cui v^ssi a R om a, accamparonsi in luogo ben forte. Donde slanciandosi davano il guast alle terre , ed agli alloggi pe' bestiami, e piombavano su bestiami stessi che uscivano dai sicuri luoghi per pascere. Ora essendo tutto l'aperto in balia del ne mico, n pi di q u a, n pi sopra il fiume recandosi in citt le merci se non soarsissime; vi riusc ben tosto carestia gravissima ; consumandovi tante migliaja le prov vigioni gi fattevi, che non erano copiose. Allora g^i schiavi, abbandonandoli ogni giorno, in buon numero^ disertavano dai padroni, e li pi malvagi del popolo trt^faivansi alle parti del tiranno. In vista di ci parve ai consoli di supplicare i Latini i quali rivo:ivano i leg gami del sangue, e sembravano fidi ancora, che man dassero come prima potan de' rinforzi ; e di spedire ambasciadori a Cuma nella Campatala, ed alle citt Fomentine per ottenerne dei grani. Non sovvennero ad essi i Latini ; come qu^li che non credevano giusto fer guerra con Tarquinio n co' Romani, avendo con am bedue vincolo di amicizia : ma Erminio e Largio spe diti coromissarj pel trasporto de'frum enti , avendo cari* cate da'campi Pomentini pi barche di ogni vettova glia , le introdussero in ima notte senza luna dal mare su pel fiume, in occulto de' nemici. Ma venuta meno ben tosto pur questa provvigione, e ridottisi gii uomini ai disagi di prim a; Porsena chiarito dai disertori come, que' eh' eran dentro vi penuriavano , mand araldi ad essi intimando che ricevessero Tarquinio se voleano li berarsi dalla guerra e dalla fame. XXVII. Non comportarono i Romani il c o m a n ^ ,

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risoluti piuttosto di subirne ogni male. Ma prevedendo Muzio che luna d^le due ne seguirebbe, o che vinti dal bisogno non terrebbono gran tempo la parola, o che tenendola ne perirebbono sgraziatbsimamente^ preg li consoli che gli adunas^ro il Senato, come volesse proporgli grandi e rilevantissime cose : e radunatosegli, disse: lo medilo o senatori una impresa, donde U

popolo nostro s'involi da mali presenti. Ardila mollo ella questa , ma facile , io penso, da compierla. B ens, riuscendomi, p<Ko, ower nulla io spero su la mia vita. Ora essendo io. per .espormi a tali pericoli , animatovi . da speranze sublimi, non ho voluto che voi tutti lo ignoraste ; perch se mi accada di mancar la prova, io siane celebrato almeno per Vazione bel lissima , e me ne abbia glria eterna in luogo del corpo mortale. Gi non era sicuro palesar quanto macchino al popolo , perch niuno spinto dcUr util suo noi riferisse a nem ici, quando ci da nascondersi come arcano indicibile. Pertanto a voi primi e soli ma nifestalo, i quali, ne confido, lo tacerete: gli altri da voi Fudiranno a suo tempo. La impresa che io medito questa : Fintomi disertore, andrommene al campo Tirreno. Se non mi credono e muoj'o, voi nori avrete perduto che un cittadino : laddove se mi riesce intro durmi in quel campo ; io vi prometto di uccidervi il suo re. Caduto Pqrsena, sar per voi finita l guerra. Io pronto sono ad ogni sorte, qualunque gli Dei me ne destinilo : e tenendo voi per consapevoli e tslimonj miei presso del popolo, e pigliando il genio buono della patria per guida , partortii e vado.

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XXVIH. Encomiatone dai senatori presenti, ed avuti gli agurj propizj per la impresa, passa il Tevere: e giunto agli alloggiamenti de' Tirreni , ne penetra come uno di essi le porte, deludendone le guardie : perch non portava arme visibili, e perch parlava alla tir* rena , come eravi fanciullo stato istruito dalla sua nu trice tirrena. Approssimatosi al Foro ed alla tenda del principe vedevi un uomo cospicuo per grandezza e complessione di membra seduto in veste di porpora nel tribunale in'^ mezzo a molti che armati lo circondavano. Or. pens, ma indarno , che costui fosse Porsena, non avendo altra volta mai veduto il re de Tirreni : ma egli non era che il regio scriba il quale sedea nel tri bunale e numerava i soldati, e registravane i paga menti. In 9 ltrasi a tal vista tra la moltitudine fino allo scriba, e salito, senza e ^ r n e impedito perch inerme, sul tribunale, cava il pugnale che celava sotto labito , e daglielo in capo. Ucciso con un colpo lo sa'iba, egli preso immantinente e portato al. re gi consapevole della strage. Il quale vedutolo appena, A h scellerafisj/m o / esclama, pagherai ben presto le pene che me

ritasti. D , chi sei ? donde vieni ? e su qual confi denza osasti un tanto attentato ? D estituii la sola morte dello scriba, o la mia parimente? quali com pagni hai tu della perfidia? Non celarmelo, o U tormenti vi ti forzeranno.
XXIX. Muzio non presentando pur un segno di paura non col variar del colore, non colla fissezza dei pensieri, n con altre affezioni solite in chi dee punirsi (li morte gli rispose : Io sono un Romano: venni qual

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disertore al tuo campo , rt gi per causa vile, ma per liberare la patria dalla guerra, lo voleva uccidere te , quantunque io non ignorava che a riuscissi o fa i' lissi nel colpo io ne dovrei morire : io destinava conscorare alla patria la vka , e lasciarle pel corpo cite essa aveami dato , una gloria sempiterna. Errai : e causa dell errore furono la porpora, lo scanno ^ e le olire insegne del comando. Uccisi chi non voleva ! . . lo scriba tuo per te stesso. Pertanto io non ricuso la morte che io decretava a me medesimo nelS accingermi a questa impresa. Che se tu g u r i per gli Dei di ri sparmiarmi li tormenti e gli ohbrohrj ; io prometta che ti sveler cose , gravissime per a tua salvezza.
Cosi Muzio diceva per deluderlo. E colai come attonito, e temendo pericoli noa veri da molti , glie io giur. Muzio allora ideato mi inganno del quale non potea (ouvBoersi : disse : O r e , trecento Romani tutti a me pari di et , tutti patrizj di cond'tiione, abbiamo mac-

ehinato di ucciderti, dandocene vicendevoli giuramenti. Pajve a noi quando ci consultavamo su le maniere insidiarti, che non tutti insieme ci ponessimo a questa impresa, ma ciascuno da s , tacendo perfino ai compagni, quando, dove , come, e con quale oc casione t investirebbe , acciocch facile ci fosse di occultarci. Cos macchinando , ci demmo le sorti, ed io me la ebbi il primo per cominciare la impresa. Istruito tu dunque che tanti valentuomini hanno sete eguale di gloria, e che forse alcuno la sazier con successo pi. fausto del mio ; deh ! considera se possi avere mai guardia abbastanza che ti difenda.

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XXX. Il re ci udendo comaDda ai satelliti che in catenino costui , se lo m enino, e lo custodiscano diligentissimamente : egli poi conrocando i pi amici , e facendo che Arante il figlio suo gli sedesse da presso ,, ragion con essi le maniere da far vane le insidie : ma suggerendone gli altri picciole cose ; non pareano co gliere il punto : quando il figlio suo propose un consi* glio, superiore all' et ; perciocch Tolea che non si pensasse a guardie onde precludere i mali, ma piuttosto a far quello per cui le guardie non bisognassero. E maravigliandosi tutti del suo consiglio, e desiderando sapere come lo eseguirebbe; cl fa r c i, ei disse, amici i nemici, e cl pregiare o padre, la salvezza tua piit che il ritorno degli esuli. Soggiunse il re: che egli ben

diceva, ma essere da consultare come con dignit si pac^casseroi Sarebbe gran vitupero, se egli che avea superato in battaglia , e tenea ristretti i Romani fra le mura si ritirava , senza compiere quanto avea pro messo ai Tarquinj , quasi vinto dai vin ti, e quasi fuggisse chi non ardiva nemmeno uscire dalle porte.
Facea conoscere che 1' unico mezzo da togliere le ni niicizie sarebbe, se gli avversarj mandassero ambasciador per trattare gli accrdi. XXXI. Cos disse in quel giorno agli astanti ed al figlio: tuttavia pochi giorni dipoi fu necessitato egli il primo a fare proposizioni di pace per questa cagione. Sbandatisi intorno i suoi m ilitari, e datisi a predar di conlinuo quei che recavano in citt le merci ; i consoli Homaul se ne misero in buon luogo alle insidie, e molti u uccisero , e pi ancora ne imprigionarono. Di

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delle

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oh malcontenti i Tirreni ne facean crocchio e sussurro incolpando il monarca e i duci suoi sul tanto prolin- ' garsi della guerra, e sfogandosi in desiderj di rendersi alle lor case. O r vedendo come tutti gradirebbera ma> nifesUmente la pace spedi per trattarla i pi intimi suoi. Scrissero alcuni che fu con essi spedito anche Muzio sul giuramento di tornare poscia al monarca: ma vo< glion altri che fosse piuttosto custodito come o sta rlo nel campo fino alla pace: il che forse pi verisimile. Questi poi furono gli ordini che il re diede a' commis sari : non dicessero parola sul ritorno de Tarquinj ;

ma ne raddomandassero i ben i, principcdmente gli ereditar} dal canto di Tarquinia P antico , gi posse duti da essi buonamente : e se ci ricusavasi; dessero almeno , quanC era possibile , i compensi delle case, de bestiami, de campi, delie raccolte , come parca loro espediente , col danaro del pubblico , o de pos sessori , ed usufmttuarj attuali de beni. E ci quanto
ad essi. Chiedessero poi per lui che deponea le inimi cizie l i ,selle pagi, cosi detti, antico luogo delC Etru-

ria, invaso d Romani nella guerra e tolto aproprie'^ tarj, e finalmente chiedessero de giovani delle famiglie pi insigni , per ostaggio , che i Romani si terrebborto amici costanti de Tirreni.
XXXII. Venuti i deputati a Rom a, il Senato per in* sinuazione di Poplicola console si risolv di accordarne tutte le dimande in vista della penuria che aiBigeya il popolo e la classe de' poveri ; onde accettissima sarebbe loro una pace , giusta nelle condizioni. Il popolo ratific tutti gli articoli del decreto del Senato ; non soffri per

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che s vendessero i b en i, o si desse a' Tarquin) daaaro , privato n pubblico, e volle che si mandassero am basciatori a Porsena perch si contentasse degli ostaggi e della regione che dimandava. Quanto ai beni egli giudice fosse tra' Romani e tra Tarqulnio, udisse i una r altra parte , e ne sentenziasse non per favore n per nimicizia. Partirono i Tirreni con questa risposta , e con essi gli ambasciadori del popolo i quali condo* ceano per osUggi venti giovani delle famiglie pitiUn* s tr i , avendo i primi dato i consoli Marco Oj:hzo il 6glio, e Publio Valerio la Gglia, idonea gi per le nozze^ Pervenuti questi nel campo , il re dilettatone, e molto lodati i R om ani, conchiuse una tregua per un numero certo di giorni, e prese a giudicare la causa. Battristaronsi per li Tarquinj , caduti dalle speranze pi lusinghiere, che avrebbegli qiiel monarca ricondotti lul trono ; e per .necessit dovettero acconciarsi. alle circostanz, e prendere ciocch'era lor conceduto. Giunti da Rotila ai tempo ordiniito i pi anziani de' senatori e gli oratori della causa ; il re sedutosi cogli amici nel tribunale, ed assunto anche il figlio per giudice ; intim che parlassero. ^ XXXIIL Trattavasi ancora la causa, quando un tale annunisi che gli ostaggi s ern fuggiti. Perciocch le ilonzelle tra questi, avuU come la chiedeano, la facolt di andai?e e di bagnarsi nel fiume , andatevi, dissero gli uomini che alquanto se ne discostassero , finch la vate e rivestite si fossero, sicch non le vedessero nude. O r questi cos^ facendo; quelle gittatesi a nuoto riparaironii a Roma, eccitatevi da Clelia che l precedeva. A
P IO U I G I , tomo I I .
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d e lle

AWTIC HITA ROMANE

lai nuova Tarquinio asiai rimproVeraTa li' Romanf di spergiuro e di mala fede, e provocava il sovrano perv di pi non gli udisse, come divenuto il giuoco dei loro tradimenti. Esciisavasi il console , dicendo quell' opera, lu tu delle donzelle , sensa voler del Senato: e che pr*> to dimostrerebbe che niente era per inganno. Persa sone il re conced che andasse e rimeuasse come prmettea le fanciulle. And Valerio appunto con tal fine: ma Tarquinio e il genero macchinarono in onta di ogni diritto un opera infamissima, e spedirono in sa la strmla una banda di cavalieri per sorprendere le fanciulle ri* ondotte, il console, e quanti tornavano al campo , e ritenersene le persone pe' beni tolti da' Romani a' Tar^ quinj, senz' aspettare il fine del giudizio. Ma non per misero gl' Iddj che succedesse loro secondo il disegno : perch mentre gl' insidiatori uscivano dal campo Lau'uo per sopraffarsi a que'che venivano, il console romano era gi passato innanzi colle fanciulle ; e gi era alle porle degli alloggiamenti Tirreni quando fu sopraggiunto da' persecutori^ Si f' qui mischia fra loro, ma ben pre sto fu nota a' T irren i, e ne corsero frettolosissimi in ajuto il figlio del re con de' cavalieri, e la schiera dei fanti che stava di guardia innanzi dei campo. XXXIV. Sdegnatosi di ci Porsena convoc li Tir* reni > e narr come essendo egli fatto giudice da R o mani di quello ond erano accusati da Tarqainio ; gli espulsi, e bene a diritto, da lo ro , aveano tentato di viclave le persone sacre degli ambasciadori e degli ostag gi , in tempo di tregua, e prima che si decidesse l causa. Dond che i Tirreni assolvettero tu di ogni

L I 6 BO T . 14^ riduamo i Rom ani, e togliendosi all' amidzia eli Mamilio e di Tarquitaio intimarono loro ch'entro il pros timo giorno si ritin^so^. Cosi li Tarqmnj , pieni in principio di bdle spenmze per 1 * ajuto de' Tirreni, o di essere di nuoro i tiranni di R om a, o di ricuperare i loro beni, perderbno 1 'ano e l'altro per la offesa degli ostaggi e degli ambasciatori , e partirono con infamia, e eoa odio dal campo. Il re poi de' Tirreni facendosi eondacre gli ostaggi dinanzi del tribunale gli rendette al console, dicendogli che pregiava la fed^t de' Ro-> mani pi di ogni ostaggio. E lodando Clelia, che avea persuaso le compagne di passare a nuoto il fiume, come ne' suoi pensien maggiore del sesso e della e t , e feliciundo Roma perch tdlevara non pure de* valentao> mini ma'delle eroine, regal la donzella di un cavallo gisneroso, e magnificamente bardalo. Sciolta ladunanza ieVcogli ambasciatori de' Romani gli accordi e li giura menti di pace e di amicizia, e li onor come ospiti, e m titai snza prezzo, perch li recassero in dono alla loro c itti, tutti li prigionieri, che eran pur molti: or din che rmanssero com' erano i padiglioni suoi, fatti non cmiw : per breve durata su le terre altru i, ma fre giati , quasi uoa c itti, con private e pubbliche spese; quantunque i Tirreni d ( ^ avervi alloggiato, usassero di bruciarli, non di serbarli. E fu questo, se in danaro d calcola, non picciolo dono pe' Rom ani, come lo di< chiar la vendita fattane da' questori dopo la partenza del re. Tal fu ta fine della guerra de Tirreni e di Laro Porsena la quale avea ridotto i Romani a tanti pericoli.

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DEL L K a n t i c h i t ROMANE

XXXV. Dopo la partenza de' Tirreni adunatosi l Senato Romano decret che si mandasse a Porsena il trono <li avcnrio, l scettro, il diadema e la veste trion fale clla quale i re si adornavano: e che Muzio, espo* stosi alla morte per la patria, e cagione principalissima del termine della g oeira , si premiasse a spese del pub blico, cme gi Orazio die resist sl ponte, con Unto ferrano, di l dal T evere, quanto poteane in un giorno solcare intorno coll' aratro : e questo il terreno che pur nel itaio tempo si chiama il prato di Muzio. CoA fu decretato su gli uomini. Quanto a Clelia concede rono che una sutua di metallo se le innalzasse, ed i padri delle donzelle glie la innalzarono nella v ia ^ c ra , dove mette al Foro : ma noi non pi ve l abbiamo tro> vaia ; e dicesi che manc per un incendio delle case d intorno (i). F u quest anno compiuto il tempio di, Giove Capitolino, del quale partitamente abbiamo scrtto nel libro antecedente. E Marco Orazio console lo con sacr , e lo intitol prima che potesse tornare Valerio il compagno, uscito per avventura' dalla citt coll' esercito, per difenderne la campagna : perocch Mamilio speden dovi a fiir preda, assai vi danneggiava li coltivatori cbe vi si erano di fresco rcoodotti, lasciate le fortezze. questo ne' fasti del terzo consolato. ^ XXXVI. Spurio Largio e Tito Erifiinio cnsoU deU r anno quarto (a) lo compierono senza guerra. Mor nel
( i) lInUTco sebbene posteriore a Dionigi dice che la ttttua: di esisteva ocora su la via sacra l donde vasai ttr Ut palatiam. Casaub. (a) An. a4& secondo Catone, e aSo secondo Varrone dalla foudalione di R oma , e S04 aTanti C risto.

LIBRO V.

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loto consolato Arunte il figlio di Porsena re de Tirreni. Assediava gi da due a n n i, la citt della Riccia , per> ch conchiasa appena 1 alleanza co' Romani, prese dal padre met dell' esercito , e marci contro quella citt per sottoporsela, e dominarri. Ma essendo ornai per e^ugnarla , sopravvennero a questa desoccorsi da Aneio^ dal Tiiscolo , c da Ciuna della Campania. Egli schier le milizie sue minori contro le pi numerose: ma dopo respinti, dopo incalzati ^ i altri fino alla citt, peri finalmente, vnto egli stesso dai Cumani condotti dal r Aristodemo , che Malaco si chiamava. Fiiggl, non sostennesi a tale caduta 1' armata di lui. Molli ne soc comberno incalzati da Cumani ; ma pi ancora sban d a ti, ridotti senz arme , n pi' idonei per le ferite a fuga pi lunga , ripararonsi nel territorio non lontano di Roma. Se li menarono i Romani dalle campagne in citt nelle proprie case, porUndovene i pi malconci a cavallo , o su carri, o su cocchi : e ciascuno a proprie spese li nudrirono, e curarono , e ristorarongli con sol* Ibdtodie molto afTettaosa. Di talch molti di loro le gati ^dtf tanta benevolenza desiderarono non di tornarsene in ptria, ma. di> rinanersi fra tali: benefattori; ed il Senato assegn loro perch vi si fabbricasser le case, la valle tra '1 Palanteo , ed il Campidoglio, lunga presso a quattro stadj. Chiamasi questa anch' oggi nell' idioma de Romani la contrada Tirrena; e vi si passa venendo dal Foro al circo massimo. E per tali cortesi maniere ebbero dal re di quella gente dono non lieve , e che assai li dilettava, la (;ampagna di l dal fium e, ce> duta gi da essi quando ne ottenner la pace. Cosi

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DELLE ANTICBCITA ROMANE

tribataroDO agl' Iddj li sagrifizj magnifict d ie aveano gi promesso co voti se rcaperavaDO mai U sette

pagi.
X X X V n. Correa nell anno quinto dopo la espulsione dei re la Olimpiade sessantesima nona, nella quak Iicomaco Crotoniate vinse allo stadio, cestoride fa r arconte di Atene per la seconda volta, e forono con soli Romani Marco V alerio, fiite lb di Valerio PoplicoU, e Publio Postumio, detto Tnberto (i). Arse nel loro consolato un altra guerra co' vicini , la quale co minci colle p red e , e procedette a numerose e grandi battaglie: finch cess da indi a quattro consolati, dopo essersi nel tempo intermedio sempre stato fra le arme. Im peroc^ alcuni Sabini considerando Roma indebolita per gl incontri suoi co T irre a i, ^lasi non dovesse mai pi ricuperare 1 antica dignit , ne assalirono, afBn di predarli, e certo molto ne danneggiarono , li coltiva tori , i quali calavano di bel nuovo dai luoghi forti aUa campagna. I Romani prima di prendere le rmi spedi rono ambasciadori a chiedere conto e soddia&zione, tal* ch non pi molesussero chi lavoibva i trreni. Ma non ricevendone che orgogliose risposle, intimarono ad essi la guerra. Valerio il console il primo con truppe eque stri e con fiore di milizie leggere scorse su que' mbatori de' campi, e grande fu la uccisione de sorpresi nei pascoli, sbandati, com' verisimile, n provvidi d d venir de nemici. E spedendo i Sabini cntr essi un
( i ) An. 349 di Rom. fecondo Catone) e aSi secondo VarrOne, c 5o3 avaati C rino.

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fftmito sotto un duce perito di guerra, i Romani usci* rono di bel nuovo con tutte le forze, dirette da ambi K consoli. Postumio mise il campo nelle aluire prossimel a Rom a, perch non vi si facesse una subita irruzione da fuorusciti. Ma Valerio marci di fronte al nemico in riva ir niene, fiume che nella citt di Tivoli casca da rupe altissima, e poi corre, dividendoli fra loro, t campi de' Romani e de Sabini, finch vago in vista e dolce a beverne, scende nel Tevere. XXXVIII. Erano i Sabini dall altra parte del fiume non lungi dalla corrente su di un colle non molto forte, e che poco a poco degrada. In principio gli uni rispet< tando gli altri esitavano a passare il fiume e farsi allb mani. Ma poi non per calcolo e previdenza di bent,met rapiti dall ira e dall ardor di combattere , furpno alle prese. Imperocch venuti ad abbeverare i cavalli e far acqua, inoltraronsi molto entro il fiume, umile allora nel suo corso , perch non accresciuto dalle acque in vernali: e siccome bagnavali appena, poco/pisu delle ginocchia ; lo trapassarono. Attaccatisi in su le prime pochi con pochi, ecco accorrere altri a difenderli, ognuno dai proprj alloggiamenti, e via via sopraggioii'r geme di rinforzo, come questi o quelli erano superati^ quando i Romani respingevano i Sabini dal fiume > e quando i Sabini ne toglievano l uso ai Romni. E molti uccisi e feritivi , ed eccitativisi tutti a combat* tere , come avviene nelle scaramucce fortuite , sorse ar dore eguale di passare il fiume ne duci stessi deg^ eserciti. E primo passandolo il console Romano e con csfo r armata ' sua, piomb su li Sabini, rjfon eransi

S a

DELLE a n t i c h i t AOMANE

questi ancora n bene armati, n soliierati; pure noa esitarono ad accettar la battaglia, inanimili molto e. spregiami, perch non aveano a farla n con ambi U consoli, n con tutte le milizie Rom ane, e slanciatisi, combtterono con furia di baldanza e di odj. XXXIX. rdea vivissima la battaglia; m a.se 1' ala destra, ov' era Postumio il. console, superava gli avversari ed avanzavasi ; la sinistra era travagliata e respinto al fiume. Or saputo ci 1' altro console usci coll'esercito suo: marciava egli pian piano colla fanteria; ma.fe precedere in fretta colla cavalleria Spurio Largio Se niore , e console dell' anno precedente. Andato costui di tutta briglia pass facilmente il fiume , che non em guardato da alcuno , e giratosi attorno 1' ala destra di nmici pigli di fianco la cavalleria de Sabini. O r qui sorse battaglia diuturna e grave di cavalleria con caval leria. Frattanto avvicinatosi anche Postnmio co'suoi fanti B .queir ala ed investitala, molti ne uccise, e molti ne disordin : di modo che se non sopravveniva la notte, i Sabini avriloppati da Romani che gi prevalevano, sa rebbero stati del tutto disfatti : ma le ombre occultarono quei, che fuggivano dalla battaglia come inermi e radi, e salvi si ricondussero alle lor case. Impadroniroosi i consoli senza combattervi de loro alloggiamenti, abban donati dalle guardie al veder. quella foga : ed occupa tevi molte suppellettili, e datele in preda all esercito,^ lo. rimenarono in patria. Cosi riavutasi Roma , allora la prima volta , da mali suoi co Tirreni , senti lo spirilo antico, ard come prima arrogarsi 1 impero su' vicini, decret pe due consoli insieme un . trionfo, e di pi

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fi desse a Valerio che. era l no di.questi, un sito


Qdla parte pi& distinta del PaUanteo, dove gli *si fon dasse una casa a spese del pubblico. Questa la casa innan4 alla quale sta il toro di bronzo , e questa tra tutti i privati e pubblici ediG^j la sola che ha le porte che aperte si girano in fuori (i). XL. Presero do{io questi il consolato Publio Yalerlo Poplicola per la quarta volta, e Tito Lucrezio, di bel nuovo collega suo (a). Quest' anno le citt Sabine , teauto u n congresso comune, decretarono far gueira ai Romani, quasi fosse finita 1 alleans lo ro , per essere c^aduto dal trono Tarquinio a cui 1' aveano giurata. Ayeale indotte a ci l'uno de'figli di Tarquinio, Sesto di nom e, il quale coll' onoraTe e supplicarae i ctt^r dinit prim arj di ognuna, metteva in tutte un animo la guerra: anzi e\eva a s guadagnate, e consociate a queste pur le due citt^ Cambia e Fidene , ribellatele da' Romani. In cpniraccambio le citt lo elei^ro gffoerldissimo loro con facolt di reclutare milizia da ognuM, come quelle che aveano perduta la prima battagli^ per la insuf&cienza delle for;ze, e del capitano. Ed in ^^ si: adoperavamo questi : m^ la fortumi volendo coijtrappesare i beni ai mali di Rom a, le diede in luogo degU alleati che le si erano t<^ti, un rinforzo , quale non
' (t) T ra i Gteoi era ;grande oDOrffioenMdTcr l porte ch ti apriftero su la pubblica ilriida,' e 5|d u u fcrrii della pubblica strada comperaTad a gran pretto : come i chiaro da ci che ii legge d Ijficrale pretto di Aristotele negli Economici. (a ) Ad . di Rom. a5o secondo Catone, eaSa secondo Varrone, 5oa a v . Cristo. -

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delle

a n t ic h it

ROMANE

Imperava dal canto de' nemici. Tito Claudio, nn Sabino domici]?ato a Regilio, nobile e denaroso, fuggissene in seno di k i menando con s gran parentado, ed amici clienti in copia , i quali spatriavano con le famiglie ; tanto che tra questi ce ne avea cinque mila buoni per le arme. E questa dicesi la cagion che lo spinse a trat sferire in Roma la sede. I primarj delle cittA pi oospi* ene alienatisi da lui lo aveano incolpato di poca afTe* zione verso il pabblico bene , citandolo qual traditore ; come r unico che mal sofriva la guerra, e che avtia ripugnato in consiglio a ^ i che voleano 010118 1 all'ea n z a , n permise che i suoi cittadini ratificassero il decreto degli altri. Or temendo egli nn giudizio, ove le non sue citt sentenzierebbero della sua so rte, rac colse le sue robe , e gli am ici, e> si congiunse ai Ro mani , non senza picciolo bilancio degli affari ; talch parve a tutti la cagion principale deli' esito propizio della guerra. Per tanto il Senato ed il popolo lo serifiero tra' patriij , lasciandogli in ciJt quanto sito voHe per fabbricarvi ; e gli donarono i terreni pubblici tra f idene e Piacenza perch li compartisse co' suoi com pagni , da quali risult poi la trib Claudia ohe ancora tiene quel nome. XLI. Apparecchiausi appunto l 'una e 1' altra part, li Sabini i primi cavarono le milizie e fecero due ac campamenti , r uno all' aere aperto non lungi da F iden e , l'altro in Fidene a difesa del popolo, come in ri fugio deir esercito esterno in caso di sciagura. I consoli Rom^pv al sapere la venuta de'Sabini contp-a, }oro, uspirono anch' essi con floride schiere , e presero. campO'

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s e ^ n t l l'u n o dall'altro , Valerio a fronte degli allog giamenti sabini all' aere aperto, e Lncreo poco pi di sopra , in un' altura donde potea vedere l ' armata com pagna.. Era disegno de Romani di venire quanto prm a giornata p<!r decidere subiumente , e visibilmente la guerra. Ma il capitano Sabino temendo di attaccare in pieno giorno la baldan^ e la robustezza romna-, sem pre ferma, contro ai casi anche pi d u ri, deliber di investirla di notte. Quindi facendo preparare quanto era necessario a riempire le fosse, e trascendere il vallo , quando ebbe pronto lutto, voleva tor seco il fior delr esercito, ed assalire nel primo sonno le trincee de'Ro* mani. Su tal disegno avea fatto intendere all' armata di Fidene che quando si avvedessero del giunger suo ve nissero anch essi dalla citt, ma con armi leggere: ed avea posto in luoghi opportuni gli agguati con ordine ^ die se andavano dei rinforzi a Valerio dall'altro campo, uscissero loro alle spalle e gli assaltassero fra strepito di voci e di arme. Sesto con tale risoluzione, istruitine e trovativi pronti li centurioni, non aspettava che la opportunit. Ma un suo disertore venuto al campo ro mano disse di quella trama al console. Giunsero riot molto dopo i cavalieri con dei Sabini che usciti a fiir legna furono presi. Interrogati questi separatamente fib mai preparasse il lor capo , risposero , che scale e ponti : ma che dove, o qiumdo fosse per valersene , non lo sapeano. Valerio ci udendo spedi Marco lT'altra armata per divisare a Lucrezio che vi comandava r animo dei nemici, e come si dovessero questi assalire. Poi chiamando egli stesso tribuni e centurioni, dicendo

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Ce l l e

a n t i c h i t . r o m a n e

quaoto avea raccolto dal disertorie, e da'prginieri ; finfortaDdoU ad esser magoanimi, e credere d i'e ra gianto alfine il tempo sospirato onde prendere sa' mici una luminosa vendetta; prescrisse ciocch dovessero fare, diede i segui, e rinvi ciascuno aUa saa schiera. . XLIL Non era ancora la notte a mezzo, qpando il duce Sabino fatti levare i soldati, ne condusse il fi<M ^ campo romano, imponendo a tatti che , taciti, avan' zassero senza strepito di arm e; perch i iiemici a<m si avvedessero di loro prima che fossero giunti. O r come i primi a procedere furono vicini al campo, n videro ivi lume di fuochi, n voci vi udirono di sentinlle, assai riprendeano di stoltezza i Romani j quasi tralaseiau ogni guardia , se la dormissero : e gi riempiute le fosse in gran p a rte , le passavano senza ostacolo alcuno. I Romani per si teneano , non veduti si per le tenebre, ma schierati nello spazio tra i villi e le fosse, e qaaOdo chi le passava era loro alle m ani, uccidevanlo. Rimase alcun tempo occulta la rovina di chi precedeva a queL .che seguivano. Ma non si tosto quei eh'erano vicini alle iosse videro col chiarore della luna che nasceva, i mucchi DCODtro de' cadaveri de' compagni, e le schiere valide denemici che resistevano; gettarono le arm i, e' fuggirono. Allora alzato i Romani un altissimo grido, perch quel grido era segno all' altra armata, corsero in flla su loro. Lucrezio a quei clamori, spediti su bito i cavalieri per ispiare se ci aveano insidie nemi che , si mosse iodi a poco egli stesso col fiore della fanteria. Imbattutisi i cavalieri con gli usciti da Fidene

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insidiare , li fugarono: ma la fanteria persegnitaTa, ed uccideieali, ornai disordinati e senz' arme , 'quelli ch erano venuti ad assalire il campo romano. Morirono in tU combattimenti circa tredici mila Ira Sabini ed al* leali, rimanendone prigionieri quattro mila dugento: ed il campo loro fa prtio nel giorno medesimo. XLIUi Fidene assediata per non molti giorni, prind* palment nella parte che sembrva inespugnabile, fn presa appunto id qveata, perch poco guardata; ma n si fecero degli uomini tanti schiavi , n rovine della citt ; che anzi poco fu il sangue che vi si sparse dopo la invasione. Imperocch parve ai consoli pena ben grave per le mancanze di una citt nazionale il saccheggio delle robe e degli schiavi, e lo strazio degli uccsi in battaglia. Ma perch li vinti non cosi volontieri toc nassero alle; arm i, parve doversi andar cauto e pren> dere su capi della ribellione la vendetta , consueta trai Roftiani. Pertanto convocando nel Foro i Fidenati che eran presi, e molto redarguendone la stoltezza, e chia* mandoll degni di morte quanti ve ne erano, giacch n erano grati pe'benefizj, n &ceano senno pe' mali ; ne batterono alla vista del pubblico culle verghe, e poi vi uccisero i pi cospicui per nobilt. Quanto agli altri lasciarono che albergassero come prim a, ponendo a coa bitare con essi.la guarnigione che era decretata dal Se> n ato , e dandole parte de' terreni tolti a quelli. Dopo ci. ritirarono le truppe dalle terre nemiche , e trionfa^* rono secondo il decreto del Senato. ^ tali furono 1 q geste di questo consolato. X L iy. Creato consolo Publio Postumio Tuberto per

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D E L L E a n t i c h i t 'R O M A N E

la secoada volta, e eoa eo Meaeaio Agrippa Lana^ to ( i) , fecesi ma con pi schiere la tersa irrazione dei Sabini prima che i Romani se a ' avredessero, e pro> OBclette fin presso le mura di Roma. Risnlurono & questa molti uccisioni non solo di agricoltori romani > colti repentinamente da nembo die non aspetuvano prima di ricoverarsi ne' castelli vicini, ma di quelli eziandio che in citt dimoravano. Imperocch Postnniio! il console riputando insopportabile quella igiara; osci di tutta fretta, con truppe comunque per soccorrere i M io i, pi animoso in vero che savb. I Sabini, visto con quanto dispregio, disordinati, e sbandali si avaihzassero verso loro, e iatto disegno di ampliarne ancor pi la negligenza, partirono con marcia pi che ordi naria , quasi fuggissero addietro , finch giunsero ad una elva profonda ove il resto cehivasi delle loro milizie. O r qui voltando fccia contrastettero a chi gl'inseguiva; come pure gli occultati nel bosco ne uscirono , vocife rando. Ed essendo essi in buon ordine e m olti, pro stesero gli altri che combattevano disoi*dinati, sbandati ; ansanti per lo viaggio ; e rinchiusero in una pendice deserta quanti ne fuggirono, con preoccupare le vie che menavano a Roma. E perocch gi la luce era mancata ; posero le arme presso di questi invigilandoli tutta la notte, sicch taciti non s involassero. Saputosi in citt l'infortunio , vi fo gran turbamento, e concorso' ai muri , e timor comune, che i nemici trasportati dal successo propizio, si presentassero in quella notte a
(i) Ka. di Rom. aSi secondo Ca to n e , aS3 secoada Varrone, t Sol a t . Crino.

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Bioma : e l compiaageTansi i morti ; ijua a d commi ceravano li sopravvaasati, come quelli che se non erano immantinente soccorsi, caderebbero prigionieri per la penuria. Passatasi con tanto m af in cuore senza sonno la notte, Menenio, nato il giorno, arm li pi floridi per anni, e li guid ben fomiti e con ordine a liberare gli assediati nel monte. I Sabini al vedere che si avan* cavano non li aspetUrono; e tolto il campo si ritira* rono , pensando che bastassero loro i vantaggi presenti: e senza indugiarsi gran tem po, tornarono festeggiando alle patrie , ricchi di bestiami, di schiavi, di danari. . XLY. Rattristati i Romani dal danno, e credendolo causato da Postumio il console ; deliberarono di mar ciare sollecitamente con tutte le forze contro la Sabina, desiderosi di rifarsi della perdita inaspettata e turpe ; jnolto pi che assaissimo gli aveva esulcerati 1' amba> sceria recente e contumeliosa e superba colla quale i nemici, come gi vincitori, e prenditori senza contrasto di Roma se non erano ubbiditi , comandavano che ren< dessero ai Tarquiiij la patria, cedessero ai vincitori r imperio , e stabilissero il governo e le leggi , come sarebbero ordinate da questi. Aveano i Romani replicato a tali messaggi, che annunziassero alle loro comum che i Romani comandavano ai Sabini, di deporre le armi, di sottomettere le loro citt , di ubbidire come per addietro, e ci fatto di venir supplichevoli per iscusarsi dalle ingiustizie e da'mali onde gli aveano vio lati nelle incursioni passate, se voleano pace ed amici zia ; ma se ricusavansi a tanto, aspettassero tra non molto la guerra su le loro citt. Cosi comandando

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DEL LE A N fl CHITA BOMNE

comandad vicenda, quando ebbero tatto in pronto y uscirono per la guerra. Conducevano i Sabini il 6ore de' giovani di ogni cittA con arme bellissime : e li Ro mani tutu la milizia urbana e guarnigioni, conce pndo che i domestici e li schiavi, e quanti superavano la et militar, bastassero in difesa di Roma e dei ca stelli delia campagna. Cosi concentrati si accamparono ambedue con breve intervallo fra loro non lungi da Ereto , citt de SabinL XLVI. Come gli uni sepper degli altri o per con* gettoni dall'ampiezza degli alloggiamenti, o per ci che ne adivano da prigionieri ; si eccit ne'Sabini confi denza e disprezzo inverso la scarsezza degl' inimici ; ma timore ne Romani per l moltitudine di essi. Pur fe* cero cuore , e pigliarono qualche speranza su la vittoria pe' segni mandati loro dal cielo, e per 1 ultima visione, quando erano per ischierarsi, che fu questa: Su le punte dei lanciotti (sono queste fe armi che i Romani scagliano nel farsi alle mani; bastoni grossi che ti e n pion le mani, e lunghi, con feirei spuntoni nell uno e nell' altro estremo, diritti, n minori di ti'c piedi i, tanto che le armi, compt>esovi il ferro, somigliano ad aste mezzane ) su le ferree punte di questi lanciotti, piantati tra padiglioni, brillarono delle fiamme; talch per tutto il campo fu hice continua come di accesi n ali, gran tempo della notte. Ora come gli auguri di chiaravano (n gi era difficile intenderlo ) , concepirono che gli Dei con tal visione annunziassero loro una soU lecita e luminosa vittoria: imperocch tutto cede al fuoco, n cosa, vi che per esso oob consumisi. .<

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perch le fiamme bitUarono su le armi loro; uscirono con assai fiducia dalie triaciere, e nell' estero di tale fidu( , attaccatisi combaUerono, sebbne di tanto mi nori , co' Sabioi La sperienza eh era in essi col vvo amor dei travagli, levavali a spregiare ogni pericolo; Postumio il primo che guidava 1' ala' sinistra , inteso riparare la passata disfatta urt 1' ala destra; de nemici, non curando la vita per la vittoria: e come chi rapito da furore , e fermo per ogni via di morire^ ai lanci nel mezzo di esisi. Allora i soldati i quali erano nellaU tr'a la con Menenio ornai stanchi, ornai cacciati di po^ sto , al conoscere che que' dii Pasturalo prevalevano su gli emoli, rimbaldanzirono e trbinaronsi su gli avveiv sarj loro. Cos pieg 1 una e 1 altr' ala de Sabini, e diedesi pienamente alla fuga. E dopo la perdita delle ale nemmeno quelli che erano ordinati nel centro per> sistecono, ma forzati dalia, cavalleria Romana che gli assaliva si misero in volta.. Tutti al proprio alloggia mento si riparavano , ma i Romani seguendo e inve stendo , ne invasero 1 uno e: 1 altro, El se lesercito ne mico non ii totalmente distrutto, ne fu cagione la notte ed il luogo delia sconfitta, che era nella Sabina. Impe rocch per la perizia de' siti chi fuggiva salvavasi in casa pi facilmente di quello che lo potesse , per la imperizi* su a, sorprendere chi l inseguiva. XLYII. Nel prossimo giorno i consoli , braciati i ca daveri dei loro , e raccolte le spoglie, e tra queste le armi abbandonate dai vivi nel fuggire, e trasportando seco non pochi fatti prigionieri, e le robe invase (non compresevi quelle tolte da soldati ) colla pubblica vena i O N l G I , tomo I I . . > 1

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D E L L E a n t i c h i t KOM ANE

dita delle quali cose ognuno riebbe prestiti, contri'* buiti per la spedizione ; tornarono con una luminosa vittoria nella patria. Quindi per decreu> del Senato Funo e l'altro ne trionfarono; Menenio col trionfo primario sedendo su regio carro, Postumio col secondario, e men grandioso, che chiamano della oM uioite,'altera tone il nome che era greco, sicch pi non distinguesi (i). Conciossiach per quanto io ne concepisco o ne trovo in molti degli storici Romani questo trionfo chiamavasi nelle origini Evtuione da ci che vi si pra ticava : ed il Senato, come Licinio racconta, ora per la prima volta ne ide la pompa. Differisce quest' onor secondario dalT altro, primieramente perch chi sei gode, entra la citt colle schiere a piedi e non sul carro come in quello: e p o i, perch non porta come l'altro la toga contraddistinta pe' ricami varj e per l'oro ; n la corona pur di oro; ma la toga candida contornata di porpora, la quale l ' abito nazionale de' comandanti e de' con soli , e la corona di alloro {%): e se tien le altre cose ; in questo cede al primo trionfiinte, che non va coUo scettro. Postupo p o i, sd>bene pi che altri segnalato

( i ) Ovaiine fa detta originalmeiite etmtio ; quindi k la t o c di Virgilio 1. 6 . E n. EvanUs orgia eireum dueehat P h ry ^ a s. Questo evari era dal greco il quale esprimeTa le acclamaiioni &tle

eoa dire ivi , vcr'al Dio datore della litto ria ed al Tincitore; come acclamaTasi a Bacco colla Toce evoe. Per questo Dionigi dica che ovazione k parola derivata dal greco, ma trasmatata ; sicchb la origine ne k diTenuta oscura. ( a ) Questa corona nella OTasione era di mirto , c non d i alloro ; eos Plutarco , e Plinio , e Fasto , e Gelilo.

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si fosse nella battaglia ; n ebbe iaferlore la gloria per causa del primo suo iallo, inonorato e grave, ijuando nella sua scorreria, perd tante truppe, non restando vi , per poco prigioniero egli stesso , con gli altri fuggitivi. XLVIIL Infermatosi , mori nel consolato di questi Publio Valerio detto Poplicola, il pi insigne allora dei Romani per le tante sue doti. N bisogna, avendo io ci fatto in principio di questo lib ro , che io qui tauraeri le imprese che rendono un tal uomo degno di ammirazione e di ricordanza. Solamente non vo' preter mettere ciocch forma in quest' uomo il pi sublime degli encomj di cui non ancora abbiamo ragionato. Io penso che chi tesse una storia debba descrivere ne'grandi capitani non pure le azioni militari e le civili, se ne idearono e fecero alcuna bella e salutevole ai popoli loro, ma le maniere ancora del'vivere se furono castigate e savie , e spiranti sempre i costumi ed i genj della patria. O r quest' uomo che era l 'uno de' primi quattro patrizi che avea tolto i monarchi , e ne avea compartito i beni al popq}o, questo che per quattro volte era stato console , ed avea vinto e trionfato in due guerre grandissime, la prima contro i T irre n i, la se conda contro i Sabini ; quest' uomo con occasioni tali di arricchire, quali niuno avrebbe mai condannate co me ingiuste e vituperose, non soggiacque alla passion del danaro, la quale tutti doma e riduce ad avvilirsi: ma contenutosi tra' piccioli averi suoi erediUrj visse una vita frugale , contenta, e superiore ai desiderj, educando col picciolo patrimonio figli degni della origine, e di-

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D E L L E a n t i c h i t ROM A N E

mostrando a tu tti, che il ricco non gi il gran pos sessore , ma t uomo de pochi bisogni. E limpido $ in dubitato argomento de' tenui desiderj di quest' uomo fu la povert che in lui si conobbe dopo morte. ImperoccU non lasci ne' suoi beni nemmen quanto bastava al trasporto ed alla sepoltura che a lui conveniva ; tanto' che n congiunti suoi lo avrebbero, certo non senza mancanza, fuori della citt trasporUto , e bruciato , e sepolto, come un altro qualunque. Ma risapendo, il Senato quanta fosse la tenuit delle cose loro de cret che gli si facessero a pubbliche spese i funebri onori : anzi destin un luogo in citt sotto Velia presso al Foro ove fu bruciato e sepcJto, egli l unico fino al mio tempo di tutti i grand uomini (i). E si concedette questo luogo come sacro anche ai posteri suoi perch vi si tumulassero: onore certamente pi grande di tutte le ricchezze e li reg n i, se valutinsi i beni dall' onest, non dai vili piaceri. Cosi Valerio Poplicola che non avea per s cercato se non le cose necessarie alla vita, fu dalla sua repubblica onoi'ato, come- i re doviziosis-^ 8mi, con magnifici funerali. E le donne romane lo ac compagnarono tutte come aveano Bruto accompagnato, lasciata la porpora e 1 oro ; e gli fecero lutto per un anno, come per la tenera cura il farebbero de con giunti. XLXIX. Dopo quest' anno furono creati consoli Spu rio Cassio detto Yiscellino, ed Opitore Verginio T ri(i) Cinerone 1. 3 . de legiius , e PluUreo nelle cose Romane dice
111 quest' onore fu coucduio aacota a Fabbriiio.

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cost (i). Sarse allora la guerra co'Sabini ; ma Spurio il console la disfece con battaglia non tenue presso 1 * abitato de Cureti; morendo in essa circa dieci mila tre cento nemici, e restandone prigionieri poco meno di quattromila. Battuti da quest' uUimo colpo i Sabini spe dirono ambasciadori al console per trattare la pace : rimessi da Cassio al Senato , e portatisi In Rom a, a stento , dopo molte preghiere, ottennero conciliazione e pace, col dare all esercito il frumento ordinato da Cassio, ed un tanto a testa in argento , e dieci mila, juger di culti terreni. Spurio Cassio trionf di tal guer-, ra : ma Virginio l ' altro console marci, senza dire ove andasse , con met dell' esercito contro que' di Camerin , citt spiccausi appunto In tal guerra dalla confederazlon dei Romani, e compi tra la notte il viaggio per coglierli improvidi, n premuniti, come addivenne. Imperccb sul far del glorao sen trov da presso le mura occulto a tutti ; e prima che mettere il cam po, avanz gli arieti e le scale, e vi fece ogni maniera di assedio. Stupefatti li Camerinesi dalla repentina venuta di lui voleano chi aprire le porte, e ricevere il console, e chi resistergli con tutte le forze n permettere l in gresso a' nemici. Intanto per che si scindeano e tur* bavansi , colui spezzate le porte, e saliti colle scale i men alti de propugnacoli, si mise a forza nella citt. Quel giorno e la notte conced che li soldati predasser le robe e portasserle a ' suoi: nel giorno seguente per
( i ) Aa. di Koma a5a tecondo Catone] a54 secondo Varrone, e fico ayanti Cristo.

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

fatti riunire tutti i prigionieri in un luogo, uccisevi quanti aveano consigliata la ribellione, vend gli a ltri, e ne distrusse infine la patria. L. Nella olimpiade settantesima, in cui Nicia Locrese di Opunto vinse nello stadio, essendo Miro 1' ar conte di Atene , presero la dignit consolm Postumo Cominio e Tito Larzio (i). E sotto la lor presidenza le citt de' Latini si levarono dall' amicizia de' Rom ani, percb Ottavio Mamilio il genero di Tarquinio, indusse i prmarj di ciascuna di esse , parte colle promesse, e parte colle pr^hiere a cooperare il ritorno degli esuK. Adunaronsi e fecero congresso comune in Ferentino, mancandone i deputati soli di Rom a, perch non invi tatavi , come solcasi. Doveano col decidere co' voti la guerra , scegliere i capitani, e consultarsi per altre prov videnze. M a, perciocch di quel tempo alcuni mandati dai polenti, davano il guasto ai confini, assai danneg giandovi gli agricoltori; Roma avea diretto Marco Va lerio uom consolare, quale ambasciadore alle citt li mitrofe , perch le supplicasse a non far muUmenti. Or come costui seppe che teneasi 1' adunanza ove le citt darebbero tutte il voto su la guerra ; vennevi, e chiesta da piesidenti la parola, disse : cV egli era mandato

dalla Patria alle citt dalle quali uscivasi per le pre de , a chiedere che , trovati, le si consegnassero i colpevoli per castigarli, secondo gli accordi delle al leanze: del resto egli aveale a scongiurare che prov\>e(i) An. di R oma a53 econdo Cato n e , a55. secondo Varrone , 499 avanti C risto.

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dessero perch niuna mancanza si rendesse pubblica, onde i vincoli non si sciogtiessero fra, loro dett ami cizia e del sangue. Ma vedendo come tutte le citt con
venTano sa la gaetra co* Rom ani, di che gli erano se gno molte cose, e ^ e lla principalmente, dbe non Teano convocati al congresso i soli Rotnani qnando em scritto ne' patti , che i presidenti stessi invitassero alle adonanzie comwii i popoli tutti del Lazio ; disse, che non sapeva concepire di che offesi ^ o per quae oo-

cusa mai li capi del concilio non vi avessero ammessa la sola RoTa, quando convenivasi che essa la prima V intervenisse, e vi fosse richiesta del suo voto, cpte fatta gi spontaneamente da Latini sovrana della na zione pe molti, e grandi benefizj ricevutine.
LI. Allora quei della Riccia, chiesu la parola, acca sarono i Romani come avessero, sebbene parenti, con citato su lro la guerra d' T irren i, e fatto quanto era in essi, perch questi privassero di libert tutto il La sio. n re Tarquinio rinnovando i patti di amicizia e di alleanza col comune delle citt > insisteva perch gli os servassro e riponesserlo in trono : i profughi di Carne* rina e di Fidene deplorando chi la presa della patria y e r esilio loro , v chi la distruzione di questa, e la schiavit del suo popolo , animavano allarmi. Finalmente sorgendo Mamilio il genero di T arcpinio, e potentis^ simo allora infra tutti i Latini, fece una lunga lamen* tanza su Roma. Giustificavala Valerio contro tutti, tal-> ch pareane vincitore: cosi quelli consumarono il giorno in accuse e discolpe , senza dare alcun fine al consiglio. Nel di seguente i presidenti dell assemblea non pi vi

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D E L L E ANTICHIT* ROMANE

amisero gli ambasciadori di Roma ^ e lasciarono che par* lasser ' Tarquinio, Mamillo , gli A ricini, e chiunque davasi per accusatore di quella, finch uditili tutti, ten-> tenziarono essere stata I' alleanza rotta dai Romani ; fecero intendere a Valerio che col suo tempo discute^ rebbero come aveano a vendicarsi di loro che aveano i diritti calpes,tati del sangue. In mezzo a Uili vicende congiurarono molti servi d'invadere i luoghi rgnarde voli di Rom a, e d' incendiarla in piii parti. Se non che datone indizio da complici, ne furono ben tosto chiuse le porte dai consoli, e preoccupati i siti forti dai ca valieri. Allora quanti erano denunziati partecipi della congiura presi immantinente tra i domestici, o portali dalla campagna , perirono tu tti, battuti, tormentati, crocifissi. E tali sono le cos operate in quel con solato. LIL Sottentrati a tal dignit Servio Sulpizio Came rino , e Manio Tullio Longo ( i ) , alcuni di Fidene con vocando de' soldati dal popolo de' Trqniniesi occupa rono il castello di essa, e parte uccidendo, parte esi liando quelli che si opponevano , ribellarono di nuovo Fidene ai Romani. Venutivi degli ambasciadori da Ro m a, erano per malmenarli come nemici: ma contenutine da seniori, gli esclusero da^a citt senza udir n ri spondere. Il Senato quando eppe tali cose non voleva ancor far guerra co Latini, perch aveva udito che uou a tutti piaceano le risoluzioni del congresso, che i po>
(i) An. di Roma a54 secondo C atone, a56 secondo Varrone,
498 Tallii C risto.

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poli in ogni citt vi si ricusavano , e per< ^ certo di'^ ceansi pi quelli che voleano mantenere 1' alleanza, che gli altri i quali sciogliere la voleano. Pertanto decret che Manio un de' consoli marciasse con armata poderosa contro Fidene: e questi, depredatane impunissimamente la campagna senza che ninno gli si opponesse, ne and -coll' esercito fln sotto le m ura, e provvide che non pi vettovaglie vi s'introducessero, n arm i, n soccorso ninno. Ridottisi i Fidenati a . guardare le mura , spedi rono alle citt de' Latini per implorarne solleciti ajuti. C onvocarono i capi di quelle un congresso comune di tutte : e datavi di bel nuovo facolt di parlare ai Tarquinj come agli altri che venivano dagli assediati, invi** tarono i consiglieri, cominciando da seniori e pi c<^ spicui, a d ichiarare il lor voto, e come aveasi a far guerra ai Romani. Dicendovisi molte cose , e prima su ia guerra se dovesse ratificarsi, i pi torbidi fra i con siglier insistevano perch si riconducesse Tarquinio al trono, e si volasse in soccorso di Fidene. Essi miravano con questo ad ottenere cariche di comando militare, mscersi ai grandi ailarl ; e quelli vi miravano soprat tu tto , i quali cercavano in patria preminenza , e tiran nide , lusingati che avrebbero ad essi ci procacciato i Tarquinj se ricuperavano il regno. Ma i pi agiati e miti ^ ed erau questi i pi accreditati nel popolo ) chie-* deano che si stesse ai patti , non si corresse ciecament alle armi. Respnti quei che brigavansi per la guerra dai consiglieri di pace , persuasero all' adunanza che mandasse almeno oratori a Roma perch la pregassero, ed esortassero a ricevere i Tarquinj e gli altri fuorusciti

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D E L L E A N T IC H IT

ROMANE

senza pena e senza memoria d ' ingiurie : giurasse qoe-> sto , e si governasse poi di sno modo. Ritirasse per r annata da Fidene ; non potendo essi guardare con indifferenza che i parenti ed amici loro si spogliassero della patria. Ma se ricusasse far 1' una e l'altra di que> ste cose, le s'intim asse, che deciderebbonsi per la guerra. Non ignoravano costoro che Roma non piegherebbesi n all' una n all' altra dimanda : ma cercavano pretesti decorosi onde rom perla, sperando intanto di rendersi col tempo e colla buona grazia benevoli i loro contrari. Concluso questo, fissarono un anno, ai Ro mani per deliberarsi, come a s per apparecchiarsi: e nominati gli ambasciador come parve ai T anpinj; scioU sero r adunanza. LUI. Separatisi i L atini, ognuno per la sua patria , Mamilio e Tarquinio vedendo che i popoli propende vano alla pace; deposero le speranze che aveano su loro come istabili in tutto. E cangiato consiglio si rivolsero a mettere in Roma stessa una guerra interna, n pre> veduta , svegliandovi sedizione tra' ricchi e tra' poveri. Imperocch gi disunita vi si e ra , n pi riguardava al ben pubblico una gran parte del popolo, quella princi palmente del bisognosi e degli oppressi dai debiti; e ci' appunto per gli usuraj che non usavano moderazione ne' crediti, ma fin carceravano e malmenavano i debi tori come schiavi comperati. ' Su tale notizia spedi T arquinio a Roma insieme co'messaggeri latini persone noa sospette con oro. Intramettendosi questi co'poveri e coi baldanzosi, e parte dando, e parte promettendo se ivi il re sen tornasse; aveano subornato moltissimi. Adun-

171 qne feoesi contro de' potenti una congara de' poveri ingenui, e de' servi malvagi, i quali stimolati dal desi . derio di esser liberi, e disamoratisi de' padroni perch& aveaoo punito nell anno antecedente i loro conservi, gl' insidiavano. Ed essendo malcreduti e sospetti , come se venutone il tempo essi pure gli assalirebbero ; con piacer^ si diedero a chi gf invitava^ Il disegno poi della congiura era tale. Doveano i capi di essa occupare in una notte senza luna i luoghi eminenti e forti della citt ; gli altri poi come intenderebbero dai gridi che gitteriano , aver Ipro gi preso que' siti opportuni , do veano uccidere tra l sonno i proprj padroni, saccheg giare le case doviziose, e spalancare ai tiranni le porte. LIV. Ma la providenza celeste la quale in ogni tempo, ha salvato, e salva tuttavia Roma , f' traspirare i di segni al consolo Sulpizio. A lui ne diedero indizio due gi propensi a Tarquinio, anzi principalissimi nella con giura , Publio e Marco fratelli, della citt di Laurento necessitati da impulso divino. Imperocch si presenta rono loro tra 'l sonno visioni spaventevoli, minacciandoli di pena gravissima , se non si chetavano e toglievansi dall impresa. E gi parea loro che i rei genj gl incalsassero, li battessero, e sterpassero loro gli occhi, col-, mandoli di altri mali terrbili. Dond' he spaventati e tremanti destaronsi, n pi poterono pel turbamento aver calma nel sonno. E s u ' le prime per togliersi ai genj rei che li conculcavano , . tentarono i sagrifizj di, propiziazione co quali si allontanano i mali. Non traen done per niun frutto, si rivolsero alla divinazione: e celando li disegni, perch non eran da dirsi, cercarono
LIBBO V.

DELLE ANTI C HIT ROMANE

solamente dialndere se tempo fsse da compiere cioo oh volevano. Ma rpondeado l'oracolo eh'essi teneano via d delitto e di perdizione, e che se non mutavaa proposito, ne perirebbero infamissimamente; investiti dal timore che altri non li prevenisse nel portare in lace l ' arcano, lo indicarono essi medesimi al consolo che in citt si trovava. Costui lodatili, con promessa grande ancora di beneficarli se il dir loro a'fatti corrispondesse; li ritenne ambedue presso di s , tacendone con chinn> qne. Allora introdotli in Senato i deputati latini , tenuti a bada fino a quet giorno per la risposu,-disse di con eerto co' padri; amipi, compagni i ondale^ riferite td

eomun dei Latini qhe il popolo. di Roma non condi scese prima il ritorno al tiranno su le istanze dei Tarquiniesi , n punto appresso vi si cotnmosse in forza d lutti i Tirreni che ci domandavano, e gui dati da Porsena ci portavano la pi orribile delle guerre; ma che seppe vedere i suoi campi manomessi, ed arsivi li casolari, e perfino ridursi a difendere le, soie sue mura per esser libero, e non comandalo a fare ci ihs non vuole. D ite, che meravigliati ci sia mo che sapendo voi ci , siate venuti a comandarci che ricevessimo il tiranno, e ci levassimo dalt assedio di Fidene , con intimarci la guerra se ricusassimo. Cessino di opporci ornai pi tali pretesti, fiacchi, im persuasibili, di nimicizia. Nondimeno se vogliono per questo scindersi dalla nostra alleanza e fa r guerra, pi non s indugino.
LV. Data tale risposta agli ambasciadori, ed accom^ pagnatili per significazione di onore futili della citt,

LIBRO V. 173 poi disse ia Senato della occulu oospiranone acoch aveane appreso dai delatori : ed avutane yutoeit piena d'investigare i complici, e trovarli, e punirli, non tenne gi mezzi orgogliosi e tirannici , come un altro rdpuo a ule necessit gli adirebbe tenuti, ma si rivolse a. mezzi ragionati, salutevoli, e convenienti al governo d'allora. Imperocch non deliber che i satelliti snoi svellessero per le case i cittadini dall' amplesso delle m o g lid e figli, 'e de' p adri, e li traessero a m orte; considerando quanta piet ne sarebbe tpa gli attiaenU nel distacco de'cari lor p e g n i, 9 temendo che alcuni disperatisi, corressero alle arme , e si necessitassero a( male a costo di sangue civile. Non deliber fihe si eri-* gesser detribunali contro di es^ij ; riflettendo come tutti . negherebbero, e come non avrebbero i giudici argo menti incontrastabili, e saldi, ma semplici denunzie , q colle quali, se credeansi, dovrebbero sentenziare la Ukirte de* oittadini. Ma per sorprendere i novator ide tal metodo, per cui. li capi si adunassero prima spon taneamente in un luogo, e quiudi arrestati vi fossero per argomenti indubitabili, che non lasciavano mezzo a discolpe : ide che /osse questo luogo di unione non una solitudine, o ritiro , dove pochi osservassero, ^ convincessero; ma il Foro, talch scoperti alla presenza di tutti ne fossero in proporsene puniti, n sorgesse i|i citt turbamento n sollevazigne degli a ltri, come suole ne' castigi de congiurati, massimamente in tempi pericolosi. LYI. Forse un altro, quasi poco sia bisogno ~di pre cisione in tai cose, penser che basti dir sommariamente

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D KLLE a n t i c h i t B OM A N E

che arrest tutti i complici de'maneggi secreti, e git accise; ma io ripuUDdo degna che ricordisi la maniera onde furono presi, ho risoluto non tralasciarla; perdocdi giudico che non basti allutile di chi legge le storie conoscere il termine solo de' &lti, quando brama piut tosto ognuno che gli si espongane le cagioni, le guise delle operazioni, i pensieri di chi praticavale, e come i Numi li fvorissero; n gli si taciano le conseguenxe che per natura vi si congiungono. Molto pi ch'io vedo essere tali cogniuoni necessarie agli nomini di S tato , perch abbiano degli esempj co' quali dirigersi ne* rari casi. O r questa fu la maniera ideata dal console per l'w resto decongiurati. Chiamati i pi validi de'senatori ordini che al segno convenuto occupassero in citt con seguito di amiei e di parenti i luoghi forti ne'quali per avventura abiuvano : istmi poi li cavalieri a tenersi a r mati nelle case pi acconcie intorno del F o ro , e com piere* ciocch sarebbe lor comandato. E perch neH presa de' cittadini i loro fautori non si elevassero , a ci avessero interne stragi nel tumulto, scrisse al console che assediava Fidene , perch al far delbi notte mar> ciasse col fior dell esercito alla volta di Roma , e lo accampasse nelle alture intorno de muri. LVIL Ci preparato; impose ai delatori che venissero circa la mesza notte nel Foro ai capi de'congiurati con i compagni loro pi fidi come a ricevervi l'o rd in e, il posto, ed il segno, in somma come per udirvi ciascuno ciocch avrebbe egli a fare. Or ci appunto si fece. E poich tutti questi si furono accolti nel F o ro ; imman tinente al darsene di un segno arcano per essi, i luoghi

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forti fiirono pieni di uom ini, armatici per la patria ; e r intomo del Foro fa guardato da cavalieri, senza che via vi lasciassero per chi volea ritirarsene. Intanto Manio l'altro console si present coll armata in campo Marzo. Nato appena il giorno i consoli, ciati da uomini di arm e, recaronsi ai tribunali, e fecero che i banditori invitassero pe'quadrivi il popolo a parlamento. Concorsa la moltitudine, le rivelano il maneggio sul ritorno d d tiranno, e le presentano i delatori. Quindi concedendo che si difendesse chiunque volea per ambigua 1' accusa, n volgendosi pur uno a respingerla ; passarono dal F oro in Senato per chiedervene la sentenza dai padri : e presa e scrittavela; tornati al popolo gliela pubblica rono, e tale ne era il tenore. S i desse ai due denun-

ziatori la cittadinanza, e dieci mila dramme di ar gento a testa, e venti jttgeri de terreni del pubblico; e se cos ne paresse al popolo si prendessero i com plici della congiura, e si uccidessero. E ratificando il
popolo qud decreto, ordinarono che usssero dal Foro quanti vi erano per 1' adunanza : e chiamati i littori colle arm e, intimarono che dessero morte a tutti li congiurati : e quelli, circondandoli ; appunto ov' eran gi chiusi, trucidarono li colpevoli. Uccisi questi, non che ammettere le incolpazioni su degli altri partecipi , n6 assolvettero qualunque era salvo ancora dal suppl zio ; e ci per togliere ogni turbolenza da Roma. Cosi finirono quei che aveano macchinata la congiura. Ap presso il Senato ordin che tutti si purificassero per essere stati ridotti a sentenziare la morte de'concittadini : n concedersi loro d intervenire alle sante cose ed ai

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DEL L E

a n t i c h i t ' ROMAJHE

sagrifizj, prima di essecne reoduti mondi e temi coll ecpiazioni consuete. E poich da quei che dirigono le cose divine, a norma delle leggi della patria fii com piuto quanto ricercavasi per santificarli , decret che in rendimento di grazie si facessero sagrificj e giuochi agonali per tre giorni. In questi giuochi sacri e deno minati di Roma Manio Tullio 1' uno de' consoli caduto tra la pompa dal carro sacro nel circo, ne mori da indi a tre giorni : e perch poco rimaneva dell an> B o, Sulpizio tenne in questo tempo il consolato senza collega. LVIII. Furono designati consoli per l'anno seguente Publio Yeturio , e Publio Ebuzio Elva (i). E di questi Ebuzio fu incaricato delle cose politiche le quali sem bravano abbisognare di cure non tenui, perch i poveri non &cesservi mutamento. Yeturio poi menando seco met dell' esercito, devast le campagne de' FidenatI senza che ninno gli osusse : e postosi all' assedio della citt, davale assalti continui. Ma non polendola espu gnare con questi, la cinse di vallo intorno e di fosse per sottometterla colla fame. E gi ne erai#g!i abit&nti nelle angustie, quando venne un soccorso di Latini spedito da Sesto Tarquinio, e grano, ed arme, ed altre cose utili per la guerra. Cosi ringagliarditi osarono uscire dalla citt con forze non piccole , e mettersi in campo aperto. Allora non pi giov pe' Romani la cir convallazione ; ma parve che vi bisognasse una battaglia. Diedesi questa vicino alla citt ; pendendone qualche
( 1) Ad. di Roma aSS seconde C atone , 367 secondo Varrone , 497 av. C risto.

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tempo dopo l esito incerto. InGne , quantunque pi co piosi di num ero, soprafTatti i Fidenati dalla fermezisa Romana ne' travagli, acquisUta col molto esercizio, fu* rono ridotti alla fuga. Non fu la strage loro copiosa, per essersi tra non molto ritornati in citt mentre gli altri respingevano dalle mura chi gl' incalzava. Dissipa tesi dopo ci le truppe auslliarie sen partirono senza avere punto giovato gli assediati ; e la citt ricadde ne' mali e nella penuria di prima. Intanto Sesto T arqninio marci con un armata Latina sopra di Segni do* minata da Romani come per occuparla a prim' impeto. Ma resistendogli da entro generosissimamente, tent di stringerli ad abbandonarla almeno per la fame. Se non che spesovi gran tempo senza opera ninna degna di ri cordanza , e giunte vettovaglie e rinforzi dal canto dei consoli ; ne perd la speranza : e ritirandone l 'arm ata, ne sciolse l'assedio. liIX . Nell anno seguente i Romani elessero consoli Tito Largio Flavo e Quinto d e lio Siedo, d e lio , dolce per indole e popolare, fu messo dal Senato con met dell'armata su le cose politiche per vegliare contro dei novatori: Largio ordinate milizie e stromenti da impren der gli assedj, part per la guerra co'Fidenati (i). E spossatili colla diuturnit dell' assedio, e col disagio di ogni cosa, desolavali ognora p i , minando i m u ri, er gendo terrapieni, avvicinando macchine, n lasciando di e notte di stringerli, tonto che sen prometteva in breve
(i) An. di Roma a56 Mcondo C atone, j5 8 secondo Varrou ,
496 avanti Cristo. m O S I G I , tomo I I . i>

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DELLE a n t i c h i t R OMANE

di espugnarli. N le citt Latine, su le quali contando i Fidenati trovavansi in guerra , potevano ornai pi sal varli. Imperocch niuna citt bastava sola da a per li> berarli dall' assedio: n le furze comuni di tutte si erano riunite ancora : ma li capi delle citt Latine a' frequenti messaggi de Fidenati rispondeano sempre di un modo , cio che presto giungerebbe loro il soccorso: non per mai uiun fatto moveasi proato su le promesse, n le speranze scintillavano pi in l delle parole. Nondimeno i Fidenati non diffidavano in tutto de'Latini: ma per sistevano su la espettazione di essi alfronte di tutti i m ali, soprattutto della fame, la quale facea senza com battere strazio grande degli uomini. Spedirono, vero, alfine come stanchi da mali a chiedere al console tregua di un numero certo di giorni per deliberare, intanto su la pace co' Rom ani, e sui modi onde riordinarla. In realt per ci non chiedeano per deliberare, ma per fornirsi di compagni di arm e, come alcuni diser tati di fresco da essi indicarono , giacch nella notte innanzi aveano spedito i cittadini loro pi cospicui , e pi validi tra L atini, perch iu forma di oratori sup plicassero quel popolo. LX. Largio, ci saputo , ingiunse agli ora tori che deponessero le armi e spalancassero le porte, e poi faveliasser di tregua : iu altro modo non pace, non armi stizio , non moderazione, non umanit presumessero dai Romani. Frattanto provvide che gli ambasciadori deputali ai Latini non rientrassero in citt ; preoccupando eoa guardie rigorosissime le vie che vi couducevano. Tal che diffidatisi gli assediati di un ajuto qualunque degli

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aUeati v videro astretti a pregar veramente riaimico. E Fanidsi, oondiiusero di aofTrire la pace, comuaque il vincitore (a desse. Altronde il console ( tanto i costami de' capitani di que' empi respiravanoi 1 ataor della pa tria , e tanto erano lontani dalle maniere tiranniche che pochi san fuggire <le' capitani presenti, invaniti dal co mando I ) il console sebbene prendesse la citt niente vi permut di voler suo : ma fattala deporre le arm i, e presidiatala, conducendosi a Roma e convocando il Se> n a to , lasci che esso ne deliberasse. Lieti i Padri del rispetto del valentuomo verao loro dichiararono che i pili nobili di Fidene secondo che il console li giudi casse capi della' ribellione, si battessero colle vergh, e li decapitassero : sa gli alui poi disponesse egli stesso come ^ien parrebbe. Largio divenuto 1' arbitro di tut parse in vista del pubblico il sangue, e confisc li beui di alcuni pochi accasati dal partito contrario: ma con ced che gli altri ritenessero la patria e le robe lo ro , e solamente ne dimezz le campagne, poi dispensale a sorte tra' Romani lasciati in guardia della fortezza. Alfine dopo ci riconduce in casa 1 * esercito, LXL Risaputasi fra'Latini la espugnazione di Fidene, ogni citt ne fu sospesa e tremante , e mal soddisfatta de' capi suoi ; come tradito avessero li confederati, fattosi consiglio in Ferentino, quei che persuadevano la guerra, assai vi accusarono gli altri che la dissuadevano^ Erano de'prim i Tarquinio, e Mamilio il genero di lui e li capi tra gli Arcini. Rapiti dal dir loro, quanti erano i Latini, vollero generalmente la guerra contro de' Ro m ani, e diedero scambievole giuramento, che niuua

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citt tradirebbe il cornane, n farebbe pace senza fl consenso delle altre decretando: che qualunque non servasse i patti decadesse dalla lega alla esecrazione e nitnicizia di tutti. Sottoscrissero e giurarono questi patti deputati degli Ardeati, degli A ricini, dei Boialani, dei Bubentani, dei Coresi, dei C orvenuni, dei G a b j, dei Lavrentini, de' Laviniesi, dei Labiniani, de' Labi> cani, de' Nomentani, de' Moreani, de' Prenestini, de' Pedani, dei Querquetulani , de' Satricesi, de' Scaptln i, de' Sezzesi , de' Tellini, de Tiburtini, de' Tt> tscolani, de' T olerini, de' T rie n n i, de' Velitemi (i). Dovansi scegliere tra gl' idonei alle arm i, tanti in ogni citt quanti ne parrebbono ad Ottavio Mamilio e Sesto Tarquinio, i quali erano generalissimi nominati. E per giustificare ancor pi li titoli della fguerra spedirono a Roma da ogni citt li personaggi pi insigni come ora tori. Venuti -questi in Senato dissero : che quei della

jRiecia si richiamavan di Roma, perch quando i Tir reni mossero contro loro la guerra, essa non solo ^ie a-prim i libero il passo per le sue terre, ma li coadjuv su quanto era cC uopo, ricoverandoli mentre poi ne fila v a n o e salvandoli tutti, inermi e fe riti : eppure non ignorava che quelli portavano guerra al corpo tutto della nazione : e che se avessero domato
(t) Dionigi nel numerare qaesti popoli siegae l ordine dell alfa beto latino e non del greco : del resto numera a4 popoli quando u a tal Bruto nel lib. V I. di quest'opera 74 ^iee che furono trenta i popoli latini concorsi a tal guerra. DoTrebbero dunque additarsene altri sei. Nel codice Vaticano si numerano ancora i Tolerini che noi abbiamo ugualmente allegati nel testo. La nomenclatura per quanto^ sia stata emendata non par libera ancora da ogni storpiatura.

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la Riccia; niente pi. gli avrebbe impediti, sicch nn soggiogassero le altre citt. Pertanto annunziavano che se Roma voleva dame cojito a quei della Riccia nel tribunale comune de Latini, e rimettervisi al,giu dizio di tutti, non avrebbon essi cagioni di guerra. Ma se tenendosi aU alterigia sua consueta ricusava qffao condiscendere sul giusto e 5u t onesto inverso .de* confederati ; minacciavano che Latini tutti le moverebbero con tutte le forze la guerra. LXII. A tale invito il Senato alieno di fare cogli Ari* cini una causa dov' essi giudicherebbero, e dove preve deva che i nemici non sentenzierebbero di questo sola mente , ma vi aggiungerebbero ordinazioni : ancora pi gravi, decise che accettava la guerra. Argomentava dal valore e dalla sperienza de' suoi tra le arme che Roma non incorrerebbe in danno niuno; apprendendo per la moltitudine de' nemici, sollecit pi volte con ambascia tori le citt vicine per confederarsele ; se non che spe divano i Latini ancora nelle stesse citt legazioni che -accusassero a lungo Roma, e la contrariassero. Gli Er^ nici adunati a consiglio di stato diedero all' una e alr altra ambasceria risposte sospette n salutevoli, dicendo he per ora non si vincolavano con alcuno; ma voleano posatamente discutere qual de popoli seguisse causa pi giusta, e prendeansi per discuterne un anno^ t Rutoli in contrario promisero senza arcano mandate soccorsi ai Latini : ma dissero che se Roma volea deporre le^ini^ micizie > essi mansuefarebbono i Latini, e ne concilierebbono gli accordi. Risposero i Volsci che si stupivano 'della impudenza de'Romani j perciocch sapendo essi

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DELLE AWTICHITa ROMANE

quante volle gli avessero offesi, e come , spogliatili in ultimo del pi bel tratto della loro campagna , sei te Dessero, avean ouo^e in tanto argomento di odio d'in* viurli a far causa con essi: 'restituissero, dicevano, que^ sta campagna ; e poi chiedessero ciocch dovevasi dagli amici. I Tirreni teneansi in disparte da ambedue perch, diceano di avere co Romani lega recente, e co'T arquinj antica amicizia e parentado. Non si abbatterono ^ r tali risposte i Romani-, come sogliono quelli che presa a fare una guerra ardua , perdono ogni speranza negli alleati : ma contando solamente sulle forze loro si misero baldanzosissimi alla gaia, come valentuomini sospinti ai pericoli dalla necessit : molto pi che se faceano secondo il disegno e davano buon fine alla guerra , non avrebbero - divisa con altri la gloria. Tale era in essi il coraggio e 1 ardore per le Unte bat taglie ! LXIIL Ma datisi ad apparecchiare la guerra e scri vere le milizie, caddero in grande incertezza, non pre sentando tutti la energia stessa per intraprendere. Impe rocch li poveri , quelli principalmente ( ed eran tanti di numero ! ) che non poteano redimere i debiu , chia mati alle arme non ubbidirono, e negavano far causa per impresa alcuna co' patrizj, se non rimetteasi ad essi con pubblico decreto ogni debito : anzi taluni protesta vano di abbandonare anche Roma , e si esortavano a non bramar pi di vivere in una citii la quale non co municava con essi alcun bene. Tentarono i patrizj di ammonirli e dislogliei li ; ma poich per quanto ammonisserli, niente li raddolcivano ; congregatisi, cercarono

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mezzi conrenienti a spegnere quella turbolenza. I pi dolci per indole , e pi sobbr) di possidenza consiglia vano che si condonasse a' poveri il debito, e se ne comperasse a picciolo mercato la benevolenza , che uti lissima riuscirebbe ai privati ed al pubblico. LXIV. Sostenen tal sentenza Marco Valerio 6 glio di Marco e fratello insieme di Poblio Valerio ; io dico di quel Publio Valerio il quale fu 1' uno dei distruttori della tirannide, e fu soprannominato Poplicola per la benevolenza sua verso del popolo. Costui chiamavali a riflettere che ben suole accendersi ardore eguale d 'im prendere in chi dee per beni eguali combattere : ma che non mai sorge alle grandi idee chi non per goderne alcun utile : aggiungeva che irritati i poveri circolavano pel Foro dicendo : E che rileva mai che vinciamo i nemici d i fu o r i, se poi nelle mani ci tro viamo de creditori ? E se noi che avremo fondalo la signoria della patria, noi non saremo pur liberi delle persone ? Dimostrava che se il popolo inimicava^i col Senato , correasi rischio non solo che abbandonasse Roma tra pericoli, il che dovea precludersi da chi cercava la salvezza comune ; ma ( ciocch era pi terribile ) che sedotto dalle lusinghe de tiranni im-, pugnasse le armi contro depatrizj, e restituisse Tarquinio sul trono : ancora tutto starsi in parole e mi nacce ; n essere il popolo scorso ad opera niuna scellerata : gli esortava a pi-evenii lu , riguadagnando con tale beneficenza il popolo per intraprendere : non. verrebbero gi essi i primi a tale determinazione , o ie sarebbero perci coperti di obbrobrio, quaudo

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poteno dimostrare ben altri, ridetti a'ci fare con circostanze ancor pi dure, senz altri mezzi onde ri pararvi: potere la necessit pi che gli uomini, e cercarsi il decoro quando gi si ha la salvezza. LXY. E qui allegando molti esempj di molte citt propose infine la citt di A tene, famosissima allora per sapienza , la quale non gi molto addietro , ma in tempo de loro padri avea decretato per suggeri mento di Solone la condonazione dei debiti a tuUi i poveri, senza che niuno allora lei di ci rimprovrasse, o ne chiamasse malvagio il consigliero, e adu latore del popolo ; anzi con esserne riconosciuta pe^ savia la citt che f u docile, e per pi savio ancora,, chi ve la indusse. Chi poi, chi se abbia mente, ri prender li Romani, se nel pericolo non di un pic colo male ma di essere di nuovo sotto V unghie di un barbaro , di un tiranno pi fiero di ogni fiera , procurino fa r de poveri non gi tanti nemici, ma tanti che combattano per la patria ? E qui finiti gli esempj forestieri si rivolse ai domestici ; commemorando le necessit dalle quali furono essi poco innanzi premub', vale a dire come esserlo invasa la loro campagna dai Tirreni, ed essi ridotti a difender le mura, non la fecero gi da impazzati ^ e da uomini intenti a norire , ma cederono alle circostanze imperiose, e presa la necessit per maestra di ci che gteii'ava , sostennero ci che non aveano prima sos^^gtto, che si. dessero al re Porsena per ostaggi i giovani pi cospicui ; che fossero multati in parte del territorio cio. Je'Settepagi, t quali eransi dati ai Tirreni, e

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che si rimettesse al nemico il giudizio su le rimo stranze del tiranno, somministrando essi intanto ar me , vettovaglie e quanto bisognava per la cesstizipn della guerra. Dimostrava con tali esempj non esser r opera di una prudenza medesima condiscendere ai nemici su quanto dimandano, e poi rendersi per pic ciolo disparere nemici li cittadini, quelli appunto , che si erano segnalati in tante guerre e s luminose per U principio quando i re comandavano , quelli eh eran stati si pronti per esimere la patria dai ti-, ranni, e che, poverissimi come sono , sarebbero an cora pi. pronti se vi s invitassero, per altre nobilis sime imprese, esponendo senza risparmio ai pericoli la persona, unico bene che ad essi rimane. Insisteva che sebbene questi non osavano per la verecondia dire, o vantare nulla <fi ci ; doveano i patrisj stessi averne il giusto riguardo, e contentarli ben tosto ad uno ad uno o in corpo su quanto penuriar li vede vano. JUflettessero che ben era orgogliosissima cosa non condonare i debiti a quelli a quali dimandavano la vita ; ed essi che si gloriano fa r guerra per. la libert, toglierla a quelli appunto che 1 han coope rata , e senza: poter loro opporre altra cosa che la povert, la qual dee compatirsi, non odiarsi. LXYI. Cosi dicea Yalerio, e molti ne lo encomia rono : quando invitato secondo il posto Appio Claudio Sabino ^ s l innanzi , e disse in contrario : che quan tunque si abrogassero i debiti, non si torrebbe di citt la sedizione, ma stenderebbesi anzi questa ( doceh era pi terribile ) da' poveri fino a ricchi. Impe-

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rocch ben vedeasi da tutti, che quelli che sarebbero spogliati decrediti loro , se ne sdegnerebbero, essendo cittadini riguardevoli, gi stati in tutte le guerre di Rom a, ed impazienti che si compartisse a pi, tristi e pi. inetti del popolo ciocch aveano ereditato dai padri, e colla industria vantaggiato, e colla parsi monia. Ben essere stolidissima cosa favorire la classe men buona de cittadini col disprezzo della migliore : e dispensare le altrui sostanze ai pi rei col toglierle come per confisca ai giusti che le possiedono. Riflet tessero , pregava , che non sono le citt dislruUe dai poveri, da quelli che non han fo rza , e che la forza contiene, ma dai ricchi, e capaci del maneggio pub blico , se frovansi oltraggiali, e defraudati del giusto. Ma sia, che chi gli ha prestati, e rimansi privo de suoi danari non sen rammarichi, sia che sopporli in pace come senza risentimento il suo danno ; nemmen cos, dicea cite v'era t utile e salvezza loro a fare a poveri una concessione, onde il viver sociale si aliena, e si odia , e rifiniscesi delle cose necessarie, senza le quali le citt non si abitano ; non pi gli agricoltri semi^ nando e piantando, n pi li negozianti navigando e trasmutando oltremare le merci, n pi facendo i p peri Uu>oro alcuno : giacci per tali cose, bisognan dovi , niun pi de' ricchi porgerebbe danaro ; e con ci la ricchezza se ne odierebbe , e ne rovinerebbe la industria; e migliore ne sarebbe la condizione dei dissipatori , che de' sobbrj , migliore quella degli in giusti che de giusti , e migliore infine quella di chi f altrui manomette , che di chi serba il suo. Esser

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queste le cause ohe produceno nelle citt le divisioni, e le stragi implacabili, ed ogni mal vivere; per cui le citt stesse, a finirla benissimo , perdono la libert y e se no ; decadono in tutto e periscono. LXVII. Pregava soprattutto essi che aveano fondato una nuova repubblica a provvedere che non vi entrasse niuna rea pratica ; dicendo , essere necessitati che tal sia la vita de privati quali sono le forme delle citt. Non esservi il peggior costume sia per le citt sia per le famiglie , quanto - che ognuna vivasi a piacer suo j e che li maggiori concedano tutto ai minori sia per cattivarseli , sia per non poterli frenare : mentre gli stolti non calmansi coll aver ci che bramano , ma scorrono senza fine in desiderj sempre maggiori, nel che singolarmente manca la plebe. Imperocch quello che ciascuno vergognasi o teme di fa r solo , quello pi prontamente fo ssi in comune, V uno prenidendo forza dalV altro nella somiglianza de' voleri. Dicea che insaziabili, illimitati sono gli appetiti della moltitudine ceca : che si debbono urtare in sul na^ scere quando sono ancor deboli, e non quando gi validi e grandi non pii si posson reprimere : impe rocch gli uomini assai piU sinaspriscono se privansi delle cose gi concedute^ che se non ottengono quelle che sperano. E qui molto vaieasi degli esempj, venendo a' (atti delle citt della Grecia, quante ve ne furono, ie quali dimostratesi deboli in alcune circostanze, e piegatesi ad ammettere i principj di prave istituzioni , poi non pi le poteron comprimere j n svellere ; tanto die s implicarono in mali turpissimi ed incurabili : af

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fermava che un popolo somiglia ad un individuo : che V anima di questo ci esprime il Senato, ed il corpo la moltitudine : che quando il Senato lascia che il popolo pazzo predomini ; egli tollera appunto i mali di chi Vanima al corpo sottomette, n pi vive colla radane, ma collestro delle passioni: laddove quando costumalo ad essere da lui comandato e diretto , al lora somiglia chi suscita il corpo allo spirto, e vive eli bene, non ai piaceri. Notava che non avviene mai gran danno ad una citt se i poveri comcciati che non rilasciansi loro i debiti, ricusino prendere per essa le armi ; dicendo che pochi in tutto son quelli che non hanno altra cosa che la persona, e che tali uomini n presenti giovano, n lontani nuocono mai l eser cito prodigiosamente. Ricordava loro come quelli che meno possiedono hanno posto anche minore nelle battaglie : che sono quasi una a ^ u n ta de legionarj, n si schierano che per dar vista di terrore ai ne mici ; e che per questo non portano altr arme, se non la fionda , pochissimo utile nei combattimenti. LXVm. Quei che chiedono , dicea, che la miseria si compassioni de poveri ; e cercano che si ajutino gli impotenti a pagare i lor debiti, avrebbero a con siderare ci che ha renduto mai poveri, essi gi eredi delle sostanze paterne , gi confortati co molti spogli delle guerre, e poi con quanto riceverono dei beni confiscati del tiranno. E , se ne trovano altri dati al ventre ed a rei piaceri e con ci dal ben essere decaduti; li guardino come vituperi e p esti, e concepiscano fondissim o t utile , se spontanei di

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citt si aUontana/io ; se poi li trovati mseri por hciagure, li sccorrano si ma co'' beni privati : ag> giungeva che ci benissimo discernevano, e fare^bero li creditori m e d e s im ie n raddolcirebbero la con dizione , mossi da impulso proprio rum da violenta altrui, perch se ne avesse loro la obbligazione se non dei danari j almeno quella bellissima della gra titudine. Ma fa r beneficenza alla quale partecipino li scellerati, come li buoni, fa rla co beni altrui non co proprj > e fa rla in guisa che nemmen resti un vincolo di latitudine verso quelli che son privati dei loro danari; ci punto non conviene colla equit dei Momani. Soprattutto ella dura, ed intollerahile cosa pe Romani che vendicano il proprio impero , dare ciascuno i suoi beni che tanti stenti costarono agli a v i, darli non per voglia o persuasione, e non per la circostanza di operare t utile o il meglio della patria; ma quando questa gi presa o sta per es serlo , e darli in fine contro il proprio sentimento a quelli che poco o niente son per giovarti, anzi dai quali sen temono gli ultimi oltraggi. Essere per loro assai meglio fa r quanto i Latini comandano come pi, moderato, e sciogliersi da ogni guerra ; che ac cordare ciocch uomini s poco utili esigono, e togliere da Roma la buona fe d e , onoratavi per vecchia isti tuzione con templi ed annui sagrifi^ ; e togliervelo per avere in campo defrombolieri. Era il cardine di questo consiglio, che si accettassero per la guerra quanti voleanci aver p rte colle condizioni pomuni a tutti, ma si lasciassero a sestessi come inutili,

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ancorch si ammettessero, quanti presumevano far dei patti, comnnque , per cKfeoder la patria. Dieea che quando ci saprebbono, verrebbero ed esibirebbero s stassi obbedienti a chi delibera il bene della repub blica ; imperocch suole chi non ha .mente, elevarsene se lo aduli, ma temperarsi, se lo intimorisei. LXIX. Tali furono le sentenze dispuUte, direcsissime infra loro : ve n ebbero per molte ancora intermedie fra queste. Imperocch taluni dtcevano che aveansi a condonare i debili a qn^li unicamente che non posse devano, come soggiacessero ai creditori i beni soli, e non le persone^ Altri consigliavano che 1' erario levasse i debiti degl impotenti ; perch la pubblica beneficenza mantenesse la fedelt de' poveri, n sen danneggiassero li creditori. Parve ad altri che chi avea perduta o gi era snl perdere la libert pe' debiti, fosse liberato, con supplire ai creditori in ior cambio la persona di altri, itti schiavi odia guerra. Fra tali discussioni prevalse il partito che il Senato per ora non decretasse : ma che dato buon fine alla gum-a i consoli proponessero la istanza, e facessexla discutere col voto Padri. Frafrunto esazioni ci avessero per contratti, non per sen tenze di giudici : tacessero tutte le altre liti ; n li tri bunali , n li magistrati si brigassero di altro che delle cose spettanti alla guerra. Pubblicato questo decreto di minu la interna turbolenza, non per la svelse in tutto. Imperocch ci avcano taluni de'mercenarj aquali non parea sufficiente confoi'lo o speranza quel decreto, ove niente ero chiaro e definito. O r questi chiedono luna delle due cose , o. la condonazione aUora allora dei debili, se

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voleasi cbe participassero i loro pericoli, o di non es sere almeno illusi colle dilazioni; giacch /e idee non somigliano nell'uomo che ha bisogno, a che cessa M averlo. LXX. In tale 8tnazi'one considerando il Senato come tenere il popolo dalle ionovazioni, deliber sospendete di pesente l'autorit ciHisolare, e di creare un magi strato arbitro della guerra, della pace, degli ailari, as soluto , indipendente, in quanto volesse o facesse. Da^ vansi sei mesi al corso delia nuova magistratura, e do> po i sei mesi tornerebbero i consoli a comandare; Ne cessitavano il Senato a subire una tirannide volontaria per dare fine alla guerra col tiranno , molti riflessi , e principalmente la legge del console Valerio Poplicola, la quale come dissi di sopra,invalidava le condanne dei consoli, sicch niun Romano fosse punito prima che si difendesse, e concedeva ai rei destinati al supplizio lap pello al popolo, e la immunit nella persona e nei beni avanti che il popolo ne sentenziasse ; pena la morte a chi contravvenisse. Considerava il Senato che sundo que sta legge, i poveri non ubbidirebbero nemmen colla ioi-za, spregiando come sembra le pene, le quali non s'incorrevan sull atto, ma solo quando il popolo gli avesse condannati; laddove tolta la medesima dovrebLono irreparabilmente tutti obbedire. E perch i poveri non si opponessero a chi facea palesemente contro tal legge; deliber di mettere su gli affari un magistrato eguale ai tiranni, e superiore a tutte le leggi : e fece un decreto col quale deluse ( occuitaildosi ) i poveri, e tolse la legge che era per essi lo scudo delia libert. Por*

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tava il decreto che Largio e Clelio, allora consoli, c quanti altri vi erano magistrati o commissarj delpub^ blico , sospendessero gF incarichi loro ; e che intanto un uomo solo , scelto dal Senato, e confermato dai voti, del popolo riunisse in s li poteri di tutti, e go vernasse non pi che sei mesi con autorit pi, grande che la consolare. Non comprese il popolo la forza del decreto del Senato, e lo ratific; dando i principj certi di una tirannide a norma delle leggi; e conced die i Padri, tenutone consiglio, nominassero il nuovo magi strato. LXXI. Quindi i capi del Senato si fecero a conside rare lungamente e providamente il personaggio che avrd)be a comandare. Parea loro che vi fosse necessit di nn uomo espedito negli aifiiri, piik che perito nell' arme, e savio, e temperato, sicch poi non delirasse per l'am piezza del comando; insomma di uno il quale oltre le belle doti, quante ai buoni comandanti si convengono, sapesse presieder con fortezza, n cedere mollemente alle istnze. Di un uomo tale appunto abbisognavasi allora. Videro concorrere doti sif&tte quante sen chiedeano in Tito Largio, uno de' consoli ; laddove Clelio il colle ga, uomo altronde buonissimo, non era n attivo, n bellicoso, n imponente , n temuto, ma mite troppo in punire chi non ubbidiva. Nondimeno il Senato prendea verecondia di levare a questo unautorit che aveva secondo le leggi, e di concentrare nell' altro il potere di ambedue , anzi un poter pi che regio. Temea per qualche maniera che Clelio riflettendovi, non si gravasse della rimozione sua, come disonorato dai Padri ; e camr

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iM Ble 1 maniere del vivere , si p e n e ^ alla testa del popolo, e turbasse dal fondo la repubblica. Esitaodo tu tti , e gran tempo , per la verecondia di propoire ciocch ideavano, un seniore, venerabilissimo tra gli uo mini consolari, diede, un tal suo parere, per.cui fu salvo lonore di ambedue li consoli, scegliendo essi ap punto il personaggio p ii acconcio al comando. Diceva j Poich il Senato Ita risoluto, ed il popolo ha ratifieMo che il poter del comando si affidi ad im solo , restano ai Padri due cure non picciole : chi debba sottentrare ad una autorit pari alla monarchia, e chi possa legittimamente nominarvelo. Or egli suggeriva che r uno de consoli sia per cessione, sia per sorte , eleggesse il romano pi idoneo, a far 1' utile e il bene della patria: giacch trovandosi allora in citt magistrati sacrosanti, non vi abbisognavano gl'interr come nella monarchia, per eleggere di accordo chi succedesse al comand. LXXII. Applaudivano tutti al partito , quando leva tosi un altro disse : M i sembra o Padri che debbasi alla sentenza ingiungere: che reggendo di presente la repubblica, due valentuomini, de , quali non trovereste i migliori , V uno debba dare la nomina , e V altro riceverla, talch scelgan essi fra loro il piii idoneo ; e t uno e V altro se ne abbia onore e soddisfazione ugucde, quello perch sceglie nel collega il pi degno, e questo perch scelto sen trova : dolcissime e bonissime cose ambedue. Ben vedo che sebbene io non avessi ci aggiunto ; pure avrebbono i consoli cosi
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praticalo} egli meglio nondimeno che il facciano eziandio col vostro volere. Parve a tut ci detto a proposito , e ninno pi notandovi.altra cosa, ne decre* urono. I consoli ricevuto il potere di eleggere fra loro U pi idoneo al comando, fecero una mirabilisna cosa, e ben varia dalle affesioni dell' uomo. A vicenda F uno dicea 1 altro, e non s , degno del comando : osi passarono tutto quel giorno, encomiando l ' un l'altro, e insistendo ciascuno per non comandare : tanto die gli astanti in Senato ne furono in grandi per|des-> sit. Sciolto il Senato, i parenti pi prossimi di cisrseuno , e li Padri pi venerabili recatisi a Largio assai lo limolarono fino a notte avanzata, dichiarandogli come il Senato poneva in esso ogni speranza , e di cendo che le sue ritrosie volgevansi in pubblico danno: egli tuttavia ricusava , ora supplicando , ed ora contradicendo. Adunatoti nel prossimo giorno il Senato, mentre colui ripugnava, n levavasi ancora dal suo pa> rere su le istanze comuni, Gelio sorge, e lo nomina, come ^'interr solevano nominare, e lascia il consolato. LXXllI. Fu questi il primo che, solo, fu reso ar bitro in Roma della guerra, della pace, d 'c ^ i affare, col nome di Diltalore (t) sia per la podest di ordi nare e dottare leggi su diritti e sul bene degli altri , come glien pareva e piaceva, chiamandosi da Romani Editti gli ordmi e prescrizioni sul giusto e su l ingiu sto ; sia per essere allora un tal uomo detto e dichia rato da un solo e non dal popolo secondo i riti della
( i ) Ad. di Roma aS6 ecendo Otto n a , a5S secoado Varrone, e 4^6 lY. Cristo.

LIBRO V. 195 patria, perch cponandasse. Guardaronsi dal dare al magistrato di uua citt libera un nome esecrabile grave per rispetto di quelli che ubbidivano , sicch in odio del titolo non si coaturiiassero, e per rispetto di chi prendeva il comando , sicch n fosse costui ofTeso dagli altri senza saperlo, u gli offendesse egli comodi consueti nel grande potere. certo il nome di dittatore BOa bene l'ampiezza ne significa del potere ; non es sendo la dittatura ohe un Dispotismo elettivo. Sembra die i Romani ne traessero pur da Greci la istituzione. Imperocch gli Esimneti che chiamavansi antichissimamente tra loro erano, come dichiara Teofrasto nel libro intorno del regno > despoti elettivi. Li creavano le citti non per tempo indefinito o perpetu , ma nella circoftanza , e fin quando sembrava che giovassero loro , come li Mitilenei gi scelsero Pittaco condro gli esuli, compagni di Alceo poeta. LX X iy. Tecmero questo metodo i primi che avesino appreso per esperienza ci che giovava. Imperocch nelle origini era ogni greca citt sovraneggiata, non per dispoticamente come tra' barbari, ma secondo le leggi e le patrie consuetudini : ed un re si avea tanto pi per potente quanto era pi giusto , e pi fido alle leggi, e men schivo de patrii cosuimi : cio cci s in tende per Omero il qual nomioa i sovrani^ vindiei d> al diritto , Q delf onesto (i). Tennesi lungo tempo la si gnoria dei re come quella de' Lacedemoni sotto fisM
(i) Mei teMo: J ta tir r tK u t, : ioi che ti ver-

10/10 sui giusto e su f onesto..

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costiluzioni. Ma comiociaado poi taluni di ipiesti a tiascendere gli usati poteri, poco concedendo alle leggi e molto ai genj loro ; ne furono i popoli in tutto disgu stati , e rovesciarono l ' autorit de' monarchi, e le toro maniere : e stabilendo leggi e creando magistrati, as sunsero questi come custodi delle citt. Ma perciocdii non bastavano n a proteggere il giusto le le ^ i poste da essi, n a coadjuvare le leggi li magistrati o li comissarj che avean cura di queste ; e perciocch il tempo col volger suo mena tanta varietade ; furono astretti a fare stabilimenti non ottimi si , ma certo i pi consen tanei alle vicende che li sorprendevano o di sciagure abborrite, o di smoderate prosperit. Per le quali confondendosi lo stato delia citt, e bisognandovi un pronto riparo ed un arbitro immediato , furono necessitati a rialzare l'autorit dei monarchi e dei re, velandone coi nomi la esistenza. Cosi li Tessali denominarono Tetrarchi questi arbitri, e gli Spartani li chiamarono Armasti per timore d'intitolarli tiraoni o monarchi ; aggiungi che teneano per cosa scellerata rinovare poteri abattuti tra giuramenti ed esecrazioni su l ' oracolo de' numi. Q uindi, come ho detto, a me sembra che i Romani prendessero daGreci l'esempio: Licinio per crede ohe i Romani ideassero un dittatore a norma degli Albani ; scrivendo che questi, venuta meno la regia discendenza dopo la morte di Numitore e di Amuiio, eleggessero annui presidenti col potere appunto dei re, ma con ti tolo di dittatori. Io non ho voluto esaminare onde Ro ma derivasse il nome, ma sibbene onde pigliasse la idea deli' autorit che in tal nome si addita. Se non che

LIBRO V.

Q ']

Torse non pregid dell opera che scrivasi di ci pi luogamente. LXXV. Ora dir brevemeate ciocch Largio il primo dittetore facesse, e con quale apparato decorasse la sua dignit ; persuadendomi che siane pi utili ai lettori le materie appunto che porgono in copia esempj splendidi ed opportuni pe'legislatori, e capi de'popoli, in somma per, quauti vogliono governare e maneggiare il pubblica Imperciocch non io prendo a descrivere le istituzioni^ e li modi di una citt vile e negletta, n li consigli e le pratiche di uomini ignobili e di niuna spettazionev sicich lo studio mio su tenui e volgari cose paja ad altri frivolezza e molestia : ma di una citt legislatrice di tutti, e di capitani che la sollevarono a tanto potre; cose tutte che se un amante della sapienza giunga a non ignorare; ne sar per politico ravvisato. Investito Largio appena del suo potere dichiar maestro de'catvalicai Spurio Cassio, gi console nella olimpiade 7 0 .* ^ Osservavafsi tal costume da Romani fino a'miei giorni ', e muno m ai, scelto per dittatore^ ne tenne la dignit senza maestro de'cavalieri. Quindi a rilevare la -potenza di una tal dignit, per imporre piuttosto ohe per usar ne , ordin che i littori marciassero per la citt con fasci e scuri secondo il costume ivi proprio de r e , tra lasciato poscia da' c o n ili, e primieramnte da Valerio Poplicola per diminuire la odiosit del comando. Spa ventati con questo ed altri segoi di regis dominazione i turbolenti ed i novatori, comand a tu ttiR o m an i di a^d^mpiere la migliore delle leggi di Servio Tullio, sovrano popolarissimo , cio di assegnare per trib li

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foro beni, li nomi delie mogK e de figli, e la et loro e de'figli. Terminato itt breve il registro per la severit' de' castighi, perdendosi da' contravventori I beni e la cittadinanza ; si rinvennero cnto cinquanta mila sette cento e pi Romani adulti. Poi separando gli uanf di et miliure dai provetti, e ridacendoU in centurie; li divise tutti, fanti e cavalieri in quattro parti : e ri-> tenutane una, che era la migliore, per s, f e c e - ^ Qelio gi suo collega nel consolato se ne eleggesse Un altra qiJalunque tra le rimanenti : che Spurio Cassio il prefetto de cavalieri avesse la terza, e Spurio Largioi il fratello la quarta : la quale fu comandata trattenersi presidiare insieme eo' vecchi la citt. LXXyi. EgK p o i, com' ebbe pronto quanto biso gnava per la guerra, men le milizie in campo aperto; appostando tre annate ne'luoghi appunto donde sospt* tava che i Latini uscirebbono. E considerando esser proprio de savj capitani fortificare le sue cose come debilitare quelle! del nemico, e terminare le guerre senza battaglie e stenti, 0 certo col minimo danno delle tnilizie ; anzi considerando che sciauratissime e luttuo sissime pi che tutte sono le gnfen'e tra popoli dmici e congiunti; concludeva che si avean queste a finirs con trdtti di clemenza piuttosto che ^i rigore. Adunque spedendo occultamente persone non sospette ai pi rignardevoli de Latini, li persuase a rendere la pace alle loro citt: e spedendo insieme apertamente ambasciadori ad ogni citt , come alla rappresetitanza generale di tu Ite; ottenne senza difficolt che non tiltti avessero pi lantico ardore per la guerra; alienandoli principalmente

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cogli otseqnion modi e co'beaefizj dai doci Iwe. In opposilO Mamilio e Sesto , che aveaito da' Latini noe \Ulo il generai oomatido, rkinite nel Tnscolo le forze si apparecebiavano come per piombare su Roma ; M non efae spesero: so ci gran tempo o che aspettassero le citt le quali tardavano, o cbe non buoni apparisi ero loro gli augna santi. Intanto alcuni di loro spic^ caliti dall esrcito devastivaDO la campagna romanab Lai|[io, risaputolo, spedi Gelio su loro col fiore dei cavalieri e de'.soldati leggieri: ostui, presenutosi inspettataneme , gli assali., e ne vecise, imprigionan done la pi gran parte. Largio caratine li feriti, e gua dagnatiseli con alure amorevolezce li rinvi senza oflesli o prezzo al Tnsoolo ; mandando ' riguardevoli^imi ro mani eoa essi per ambasciadori. Or ^ e sti operarono che si sciogliesse l ' armata latina, e si facesse tra le citt la tregua di un anno. LXXVII. Largio, ci fatto, ricoiidusse l 'andata dalla campagna; e designando i ctinsoli depose prima che ne spirasse il tempo la dittatura senz* avere ucciso, o ban dito , o ridotto comunque a gravi mali un romano. Cominciato l ' invidiabile esempio da un tal uomo si mantenne in quanti ottennero poi quella dignit fino aUa terza generazione prima della mia. Imperocch la storia fino a quest' epoca non presenta ninno il quale non esercilasse/queUa dignit moderatamente e qual cit> tadino, quantunque Roma fosse astretta pi volte a sospendere le magistrature ordinarie, e concentrare tutto neUe inani di un solo. E non sarebbe gran meraviglia se personaggi otlimi deila patria pigliando la dittatura

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ROMANE

soiamente nelle guerre cogli esteri si fossero tenuti in corrotti neHa grandezza del potere: ma piglianclola neUe' sedizioni interne, grandi e molle, per togliere i sospetti di regni e tirannidi rinascenti', o per altra sciagura , tutti, quanti la ottennero, consei^aron sestessi imma colati, e simili al primo dei dittatri. Tanto che tutti UDanimemente conclusero cbe la dittatura era 1 unico rimedio contro de' mali intratubili, e 1 ultima speranza di salute quando sparse sono le altre speranze dalla procella. Quattrocento anni per dopo la ditutura di Tito Largio, a memoria de'Padri nostri parve tal carica biasimevole ed esecranda per Lucio Cornelio Siila che primo ne abus, vendicativo e fiero: talch li Romani allora sentirono a prova, ciocch aveano' prima igno rato , che la signoria de'dittatori non era se ion tiran nide : imperocch costui ordin un Senato di uomini comunque , infiacch 1 autorit del tribunato , devast citt intere, distrasse e cre regni , ed altre cose fece e disfece dispoticamente, le quali lungo sarebbe a rac> contare. Oltre i cittadini uccisi in battaglia, ne trucid nemmeno di quaranta mila , datisi a lui prigionieri, dopo averne prima tormentati alcuni. Non questo il tempo di discutere se egli f'ci necessitato o per utile del comune : solamente ho voluto dimostrare che ne divenne abominato e spaventevole il nome di ditutore: ciocch pur succede ad altre cosCi ammirate e disputate dagli uomini, non che alle sole dominaoni: perciocch tutte le cose appariscono belle e giovevoli se bene si adoperino, come dannevoli e turpi se mal si dirigano; di che ne causa la natura che in tutti i beni ha

D E L L E A N T IC H IT

ROMANE LIBRO

V.

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sparso i germi del male : se non cbe. di tali cose di remo altrove pi propriamente. L anno prossimo a questo nella olimpiade 7 1 .^ nella quale vinse allo stadio Tisicrate Crotoniate, eendo Ipparco V arconte di Ate ne , presero il consolato Aulo Sempronio Atratino e Marco Minutio.

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DELLE

ANTICHIT ROMANE
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DIONIGI ALICARNASSEO

LIBRO SESTO.

L L ANN O prossimo a questo nella olimpiade 7 1 .^ * nella quale vinse allo stadio Tisicrate Crotoniate essendo Ipparco arconte di Atene, presero il consolato Aulo Sempronio Atratiao e Marco Minucio (i), ma niente vi operarono degno di ricordanza , n in citt n fra le armi : perciocch la tregua co- Latini dava loro placida calma cogli esteri, e la legge decretata dal Senato di sospendere la esazione dei prestiti , finch la guerra imminente avesse buon termine , avea sopito le somfi ) An. di Roma ay. Cristo.
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secondo Catone > aSg secondo Varrone,

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mosse interne de'poveri, vogliou cbe il debito si estin guesse did pubUioo. In qne' tempi aveva il Senato sta bilito cbe le donne latine, quante erano , conjogate ai Romani famosi e cospicoi, e le Romane conjugate ai Latini, rimanessero se voleano co' mariti; e se no, ripatriasseroc per modo per che la prole virile si tenesse co'padri, e la feminile, non sposata anidra, seguitasse io madri. Or ci avea mohissiiiie OEiaritate vicendevol mente nelle varie citt sia per amiczia, sia pe'Ifgami dei sangue : ma non . tosto furono per quel decreto libero di sestesse, manifestarono quanto fosse il trasporto loro di vivere in Roma. Perciocch le Romane situale nells citt latine abbandonarono quasi tutte gli spoei, tor^ iiando presso de' genitori i laddove toltene due, tutte le Latine congiunte ai Romani si rimasero, non cu rando la patria , con essi. E que^o fu benissimo au gurio che Roma prevalerebbe fra le arme. Sotto qotsti consoli fama che si consacrasse un tempio a Saturno nella via che mena dal Foro sul Campidoglio , e che s'istituissero a gloria del Dio fste , e sagri6 ibi pubblici per ogni anno. Dicono che ivi prima stesse 1 altare edificato da Ercole, e che ivi bruciassero le- primizie de' sagrifizj con greca cerimonia quei che 1 aveano da lui ricevuta. Narrano alcuni che TitOv Largio, impren desse la edificazione del tempio, altri che Tarquinio r espulso dal trono : come pure che Postumio Comino lo dedicasse in conformit del decreto del Senato. Cos, come ho detto, si ebbe sotto questi consoli pace profonda. II. Presero dopo questi il consolato Aulo Postumio

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D EL L E

A JIT IC H IT a ROMANE

e Tito Virginio (i). Spirata sotto di essi la tregua coi Latini ; faceami dall' una e dall altra parte grandi appa recchi per la . guerra. Il complesso de' Romani era vo-^ lenteroso e propensissimo a combattere ; ma il pi dei Latini eravi disanimato e forzato : dominando per le citt .uomini quasi tutti corrotti dai doni e dalle pro messe di Tarquinio, e di Mamilio, rimossi dalle cure pubbliche quanti faTorvano il popolo e ripudiavan la jguerra. Cosi non pi dandosi a chi la volea la facolt di discorrere , si ridussero i pi corueciati a lasciare in copia la patria, e fuggirsene in Roma. N.qudli che doimnavano ve gl'impedivano , ma teneansi obbligatisi simi ai competitori, deir^esiiio spontaneo. Li riceveano i Romani e compartivano tra le milizie interne, e.me* schiavano alle coorti urbane quanti ne venivano con mogli e figli, ma spedivano gli altri a'castelli :intorno e per le colonie, sopravvegliando intanto che non fa cessero mutamenti. E consentendo tutti che bisognavaci novamente un arbitro assoluto il qual potesse ordinare a suo mdo ogni cosa , fu nominato dittatore Aulo Postumio il console pi giovine da Virginio il collega : e costui, come gi 1' altro dittatore scelse per suo. maestro de'.cavalieri Tito Ebuzio Elva , e registrati in poco tempo tutti i Romani gi puberi , ordin , la mi lizia in quattro parti, reggendone, egli 1 una , dandone a reggere la seconda a Virginio il compagno nel con^ solato, la terza ad.Ebuzio.il maestro de'cavalieri, e
(t) An. d i Roma a58 secoado Catone, 494 avanti^ Cristo. ^
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secondo Varrone,

LIBBO V I.

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la quarta ad Aulo Sempronio al quale affid la cura di Roma. III. Apparecchiate cosi da lui tutte le cose per la guerra vennero degli esploratori ed annunziarono essere gi i Latini usciti con tutte le milizie ; quaiido ecco sopraggiungerne altri che diceano essere gi espugnato da essi Corbione un lugo munito, passata a fil di spada la picciola guarnigione Romana che vi era, tener essi tuttavia quel castello, ed averselo costituito centro di guerra : aver fatto prigionieri per le campagne uo mini e greggi ma pochi, non contando i sorpresi in Corbione, perch li coltivatori aveano ricoverato gi prima ai luoghi muniti pi vicini quanto vi poterono trasportare, o condurre : aver per date alle fiamme le case deserte, e devastate le campagne. Narravano giunta da Anzio , Yolsca citt nobilissima , ai Latini mentre erano in campo, milita nuova , ed arme, e frumento, e quanto bisognava : dond' eh empiutisi questi di ar dore vivevano con speranza bonissima, che avendone Anzio dato il principio , anche gli aluri Volsci si uniiebbero ad essi per combattere. Postumio, ci udendo, marci di tutta fretta prima che i nemici si concentras sero : e conducendo tra la notte per iscorcio di vie le milizie, si trov prossimo a' Latini accampati in sito forte presso del lago chiamato Regillo : e trincieratosi in luogo alto, scosceso, e preminente a questi, vi aspet* lava il suo meglio. IV. I Duci Latini, Ottavio Tuscolano , genero , o come alcuni scrivono , figlio del genero , del re Tarquinio, e Sesto Tarquinio, accampati allora separata-

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mente, rGODgiunsero le armate : e convocando i tribuni militari e li centurioni, consultarono ciocch fosse da fare per la guerra; e varj ne furono i pareri. Chi volea che i Latini, mentre erano ancora temuti, assalis sero il dettatore, e quanti teneano le alture, sul riilesso che le posizioni forti ono indizio di timore non di confidenza; e chi Tolea che si tirasse itnomo di essi voa fossa e vi si lintasseco con poche milizie di guaridia, e si prendessero e guidassero le ahre su Roma , icile ad espugnarsi per esserne uscito il fiore de' gio vimi. In oppositQ altri antefiopeodo ai consigli pi arditi i pi^ cauti, suggerivano che si aspettassero i soccorsi de Folsci, e degU diri alleati : U Romani niente prspererebbero per queU indugio, laddove essi agevole rebbero assai pi le cose loro. Se non che mentre de liberavano ancora giunse coll' annata sua da Roma Tito >yirginio V altro console, marciato improvvisamente nella JMtte dinanzi : e prese anoh' egli campo in altra altura ssai forte. Di modo che i Latini rimasero intracchiusi, n pi idonei ad un assalto, avendo a sinistra il con sole e a destra il dittatore. Adunque tanto pi sen con* turbarono tra quelli i capitani i quali non voleano se non partiti sicuri, e temerono che tardando si ridu cessero a consumare le loro provvigioni, le quali non erano molte. Postumio notando quanta fosse la impe rizia loro nel comandare spedi Tito Ebuzio maesU-o d cavalieri col nerbo de' cavalli e de' soldati leggeri ad occupare un monte rilevantissimo in su la via , per la quale recavaast i viveri dalle loro terre ai Latini. And questa milizia espedita con la cavalleria, e condotta di

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pile tra selve non frequentine; prese il monte prima che i neoiiici se ne avvedessero. V. 1 capitani netnci osservando invasi anche i posti forti che erano loto alle spalle , n pi avendo spe ranze huone sul trasporto induliitato de' viveri da paesi loro , xleliberarono respingere i Romani dal monte prima che vi si assicurassero anoon cogli steccati. Adunque Sesto i' un d' essi presa la cavalleria vi si lanci con impeto ; quasi la cavalleria Romana non si tenesse a ribatterlo ; ma tenendosi questa bravissimamente contro gli assalitori, Sesto dur qualche tempo ora dando voU t a , ora tornandole a fronte. Ma perciocch quel luogo riusciva opportunissimo a chi ne avea le alture , e co stava assai travagfi e ferite a chi vi si recava dabbasso ; e percjoc(;h giungeva, ai Romani un soccorso di milizia legionaria nvandata appresso da Postumio ; egli ritir, non potendo altro fare, la cavalleria negli alloggiamenti. 1 Romani impadronitisi appieno del luogo, si misero a fortificarlo pubblicamente. Dopo ci parve a Sesto e Mamilio non essere pi da ' indugiare gran tempo , ma doversi decidere la sorte con una pronta battaglia : e parve allora anche al dittatore di esporvisi, quantunque avesse ne' principj ideato di dar fine alla guerra senza combattere, sperando giungere a ci , specialmente per la imperizia de capitani. Imperciocch da cavalieri cu stodi delle strade furono sorpresi de'messaggeri che an davano dai Volsci a Latini con lettere di avviso ch e, indi a tre giorni al p i , verrebbe milizia copiosa di rinforzo da loro ,, come altra dagli E>nici. Or ci rid dasse i duci Romatii a venire , sebbene contro il pr-

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posito, a pronu giornata. Datosi da ambe le parli il segao della battaglia ; si aranzarono gli uni e gli altri al campo interiedio , e cosi vi ordinarono le armate. Sesto Tarquinio ebbe a reggere 1 ala sinistra de' Latini, ed Ottavio Mamilio la destra. Tito 1' altro figliuolo Tarquinio comandava il centro ove erano i disertori e fuorusciti Romani. La cavalleria divisa in tre parti fu dispensata alle ale ed al centro. In opposito Tito Ebuzio ebbe l'ala sinistra de'Romani contro di Ottavio MamiUo, e Tito Virginio il cnsole si contrappose colla d> stra a Sesto Tarquinio* Empiva de' genj suoi Postnmio stesso il dittatore 1' armata di mezzo, e moveala contro Tito Tarquinio, e gli esuli da Roma, I quali eran cou lui. 11 complesso delle milizie venute a combattere erano ventiquattro mila fanti e tre mila cavalieri nella' parte Romana, e quaranta mila fanti, e tre mila cavalieri nella Latina. VI. Quando erano per andare a combattere i capitani Latini, aringando ognuno i suoi, diedero mille ecci tamenti di coraggio, e ricordarono lungamente cioc ch bisogna al soldato. Dall' altra parte il Romano ve dendo che i suoi temeano come quelli che cimentavansi con gente assai pi numerosa , e volendoli sollevare da quella paura, f' radunarli, e poi tra corona di sena tori, onorabili per anni e per credito , cos concion : Gli Dei cogli augurj, colle viuime , con ogni segno divinatorio promettono alla nostra patria la libert , ed una propizia vittoria; contraccambiandoci della piet verso loro , e della giustizia esercitala da noi verso gli altri in tutta la vita : per lo contrario, ini~

LlfiRO vr. 200 mici sano , come deano , de nostri nemici, perch, tnte voke e umto^ da noi beneficati, essi parenti , essi ainici nostri, essi legatisi a noi di giuramento p e r avere intinto- gli amici stessi e i nemii ; oraspregiato ogni'vincolo, ci movono una guerra ingiustt non per decidere qual di noi si abbia la premirtrtz er ii coma^tdo, ciocch sarebbe il meno de mali ; ma in fworr- di tirm n i, e per Jbv la patria kstta th Ubera f schiava ai Teunfoinj. Ora intendendo l'k' cefituiriMi e -soldad, che militano con vi gli Di , tlvoUt nessi-che hanno sempre difesa ^ m a , si V*^a< che magnanimi vi ditttostHate in ijtiena tglia ; m ollo, pi -Tfh ie n ' sapei o/ie gii Dei f-> iKinscoHo i bratfi omSttimfi i quelli che qitant -^ d> laro tutto p w Mn&ew, - non quelli che fitg^ gono i pentodi-^ ma ^n6lli, che li soste^igona p^r -sii^ vare'. s vte^si. l n o i t r e '^ ^ jono appareciAiti daU slite idtri mzzi t>n ^poki > -per la vittoria, e Cr sojtreM uUa in a m fe e t^ si^ .

VH. Mi'priino l fvdele scambievole , re^psita prineipaiissimo in chi ditegna vincen^^^^initrUch ; npimMcohi nn dee gi ebnibtoimr questo - giorno renemi amici fid i ostanti ; ma la' pxOiria ha da tanto tempo preparato a voi tu ^"u h ud' hen. Voi altm ut'iii una^ trrai educati^ di tma Maltiera, sagrificia's^^^Jddj su di altari medesimi'. voi avete fin quv^'pai'tecipafo i'tanti beni e sperimpoato in sienie i tanti mii, i quali rinforzan, anzi rendono wdistfflubili'^Je amiizie fr a gli uomini^ qnante vlte BTOUJOi^ ttmi'ir. i li

2 IO

DELLE a n t i c h i t ROMANE

presenlofi loro un cimento .comuiie su gravissime cose, Jn secondo luogo , se vi soggicerete ai'nemici y gi non .sw/ che alcuni di pot rstino immuni, edtri ubiscam V estremo, degt infartunj. :-ma tutti, .si , tatti perderete la gloria vostra , / imprO:, la Mjbert , non pi padroni delle: m o^li, non, pi de' fig li\ ?iofi pi delie^ sostanze, non pi dt aUm tene vostro tfualunqw, E \li vostri capi , li vostri pubblici magistrati misieran* damente mnmnno tra flagelli e tormentL Se gi non o^^aSi da voi punto n poco , fecero a > . voi tMti ogni tuamera d incurie ; e che m a i pte\spettaHtenp ora .se mncano , nella memria: :-cho,hfumo de malL f che gUlavete ridotti fuori della' p a tw , dhe gli aVfft spogliati .de beni, n consentite che torino alle case paterne?. L ultimo .de me^zivindiatfti , n .m(nore d* ^ioUni^ ssyreMamente seti giudio^if.. chP'naiy^rviamu fe cose tra' nemici men pmtpere eh .'non pemavamo^ E ^certo vedete voi ktw \i jo&e teUa\gk.'^aiat, niuno qui per soccorrerli nUaf ^it^ivk.'Noi'.oomef-^ pimmo< che'verrebbero p e!'^si iUtti i e Sa bini ed Etnici in copia ,,e-i.miU\ altre vat>ie<paure, ci fingemmo. Erem> 4fMesU- tutti ss>gni\ddXtUini y immf ^n a ti sv.-.pnfmss, , vaaey. ,su, speranze .vsefita-base. QiAndi aUri nek .meglio ne abbandona (a causa, Spre giando t m torit de A. beili capitani:^ cdtii U~,terrae^ anzi a bada die li', soccorreranno > . t^/Spi'eggiandoH con lusinghe f\ e (jueUi che or siie^areeehiapfk\^ come tardi per la ialtagla , imuHi diverranno.'vm', \ .. . y iir. Che fe alcuni di. voi peru^no he^^k^ta-' sia ciocch io dico, ppur temono la quantit-de'nemici ^

LIBRO V I.

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conoscano per una breve istruzione, o piuUoslo ricordo, che essi temono non temibili cose. E prima conside^ vino che il pi di loro stalo forzato alle arme contro di noi, come ee lo ha con tante opere e detti manifestato ; e che gli spontanei, quelli che di lor pia-^ cere comhaUono pe tiranni sono ben pochi, e piut tosto una parte insensibile rmpetto di yoi. Appresso considerino che le guerre guidale a buon successo non la superiorit nel numero, ma nella fortezza. P\ lun^ ghissima opera sarebbe ricordar quanti eserciti di bar^ bari, quanti di Greci, tuttoch preminenti di numero^ siano stati disfatti da piccioli corpi e quasi non ere dibili a dir. Ma tralascio gli esempi altrui : dite ^ quante guerre non avete voi ben guerreggiato con or-, mata minore della presente, e contro apparecchi assai pi potenti di questi? Dite; voi fin qui terribili tigli altri che avete combattuti e vinti, piete ora voi dispret-> gevoli a questi Latini, ai Volsci loro alleati, perch non,vi han essi mai sperimentato Jra le arme? Sar pot pure voi tutti quante volte i nostri padri gli hanno in campo^ superati ambedue. E vi par verisimile che la condizione de vinti sia dopo tante perdile migliore, e peggiore sia quella de' vincitori dopo tanti bellis simi fa tti ? E chi, se abbia mente , chi mai dir questo ? A nzi ben io mi stupirei se alcuno di voi paventasse questa turba ove s pochi sono li bravi, e spregiasse la milizia nostra si forte e s numerosa v che n pi numerosa n pi forte mai ne abbiamo finora schwmta in battaglia. IX. Che pi : deve, o cittadini, esservi impulso

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DEXLE

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grandissimo a non temere, n ricusare i pericoli tes* sere come vedete qui pronti ai pericoli, e correre con voi la sorte stessa delle arme i primarf de senatori, queUi die la et o la legge gli esenta dalla milizia. Che s ; che egli sarebbe vituperoso che uomini nel fior degli anni temessero i pericoli quando i provetti gU affrontano. Avran cuore i vecchi di ricevere per la patria la morte se dare non la possono ai nemici; e Pi li si vegeti, voi che ben potete t una e l altra cosa, o salvarvi e vincere senza danno, o certo ma gnanimamente operare, e soffrire, voi non vrret n cimentare la sorte , n la fam a procacciarvi deva lorosi F No , ci di voi non degno, o Romani, ai quaU soprawanzan tante mirabilissime gesta degli an tenati , le quali ninno loderebbe mai quanto basta : e se voi vincerete questa guerra, i vostri posteri an cora si gioveranno di tante vostre gloriosissime im^ prese. Ma perch n sia senia frutto chi si delibera alle grandi azioni; n si trovi col danno chi ne teme i rischj olir il debito , udite prima dt incorrerla, udite qual sar la sorte dell uno e delV altro. Chiun que nel combattere imprende belle e magnanime gesta Ite sar da chi l vede encomiato ; ed io, quando di spenser li premj che ciascuno dee raccoglierne se condo il costume della patria , quando dar in sorte le terre pubbliche, io costui ne appagher, sicch pi di nulla abbisogni. A l contrario chiunque nel cuor suo vile , offensivo de numi , si decider per la fu g a , costui si trover per me colla morte che fugge ; che ben meglio per esso e per altri che un tale citta-

LIBRO VK

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Um perisca,: e cos perendo, non che aver i fune bri onori e la tomba , si rester, non emidato n pianto, in abbandono agli uccelli alle fiere. Con tali previdenze , andate : combattete alacremente ; e v abbiate po' guida alle grandi azioni la speranza buona, ch dato a questo cimento un termine gene roso , come tutti desideriamo, avrete ottenuto amplis simi beni, avrete liberato voi dal timor dei tiranni ^ avrete t come doveasi, corrisposto alla patria, eh* chiedea la gratitudine vostra per avervi generati nudriti, avrete operato che i teneri vostri fig li, U vosire mogli non soffrano oltraggio da nemici^ e che i vecchi vostri genitori vivano in calma il picciolo avanzo di vita. Felici voi a quali riservasi tornare da qufista guerra col trionfo, mentre li fig li vostri v ne aspettano, e le spose , e li genitori. Quanto saret celebrati, quanto invidiali pel co ra li) di dare voi stessi per la patria ! Tutti deano morire valen tuomini o no 5 ma i l m o r i r e coir d i g n i t ' s c o n
e i& R i m i f PROPRIO CHE m ' v A L m i v o m m '

X . ncora egli continuava tali detti magnaDnii ;

ijoando ecco spaigersi nell esercito un ardore divino, e tatti ad nna voce gridare : ardisci, e guidaci, E qui Postuniio encomiando la loro prontezza; e votandosi agl' Iddj j se avea buon successo nella guerra, di fare grandi e sontuosi sagrifizj , e splendidissimi giuochi da rinnovarsi in Roma ogn' anno ; rilasci le milizie perch si ordinassero. Quindi come i duci diedero il segno e le trombe l'invito a combattere; lanciaronsi, gridando, quinci e quindi prima i soldati leggeri e li cavalieri, e

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ROMANE

poi le legioni le quali aveano schieramnto ed armi consimili. Fecesi di tutti una mischia vTissitna, ridottasi tutta al dar delle mani. Tennesi questa lungo tempo contraria alla ^espettazione di 'ambedue, sperando gli uni e gli altri che non- avrebbero nemmeno a combattere, ma che a prim'impeto forzerebbero, ed intmorirebbero rinim ico; i Latini affidati alla cavalleria loro numerosa quasi 1' urto ne fosse irrepwabile alla cavalleria Romana; c li Romani allandarne audaci e spregiami ai perTcoli, quasi cosi avessero a sopraffare l ' inimico. Non ostanti tali primitivi concetti degli uni su gli altri, vdeano tutti seguire il contrario. Quindi considerando che il mezzo di salvarsi e di vincere era la propria fortezza non la paura de'nemici; mHitarono bravissimamente anche so> pra le forze : e varie ne furono le vicende e le sorti. XI. Primieramente li Romani del centro dov' era il fiore de'cavalli con Postnmio dittatore, e dove combat* teva egli stesso tra' prim i, cacciano di posto i loro compettitori dopo ferito con uno strale in una spalla^ ed inabilitato a valersene , Tito l uno de' figli di Tarquif nio ; sebbene Licinio e Gellio senza esaminare le cose yerisinli e possibili, suppongano esser questo che mili tando a cavallo rest ferito lo stesso re Tarquinio, uomo pi che nonagenario (i). Caduto Tito , le sue milizie
( i ) Anche T ito Livio di questo p a re re , quantunque avesse Considerata la diffieolt degli anni : egli scrive in Postumum prima

in acie suo adhortantem inslruentenufue , Tarquiniiu super bus quam quam ja m alale et viribus tra i grauior equiun infestus adm isit. 1V &
SODO

mancati altri re che in quella et foroivano tutti g l incarichi del regno o com battevano. Massiuissa fu l uno di questi, ed Antea n degli Sciti mori com battendo, vecchio pi che di no van t'ann i

tiB Ro VI. a i5 lenner^ . froqte alcim tempo, e sUecite ne raccolsero vvo il corpo, non per fecero; altro ]|>i di generoso., ma. rinculavano ncahate via via da'Romani, finch soccorse da Sesto l 'altro figlio di Tarquinio co' fuoru sciti Romani, e da truppa scelta di cavalieri si arresta* rono, e tornarono su l' ininiica Cosi rpigliat coraggi combattevano iquesti nuovamente. Intanto negli altri cor> pi (i) segnalandosi pi che tutti i duci Ebnzio < Ma milio, fugando ovunque volgeansi ohi resisteva, e rior dinand i loro se soompigliavansi ; vennero a disfida in fra loro : lanciatisi. l'uno su l'altro portaronsi colpi gra vissimi , ina non mortali, Ebusio spingendo 1' asta per la coraatalial ,petto di Mamilio, e Mamilio traforando il braccio destro >di Ebnzio: tanto che ne caddero ambedue d cavallo. . XIL Portati > ambedue futiri della battaglia Marco Va> brio ohe era ud' altra volta luogotenente anzi il pi vecchio ^prese le veci di Ebuzio maestro de'cavalieri : ma contrastando colla sua la cavalleria nemica , e contenen> dola per breve tempo, infine fu violentato e respinto assai lungi ; perocch giunsero in ajuto al nemico i fuorusciti Romani a cavallo, o di milizia leggera: e Mamilio stesso riavutosi ^alia percossa era tornato in campo con cavai uoli Filipp Mcedone. E Laciano scrive che Tanjbinio superbi pi che nonagenario 'vivera rolnislissicia in'Oma. Forse'L'icaio ( Gelilo non son da riprendere. Dee poi notarsi, che Turqninio, Clich secondo Dionigi , -visse pi di noVant anm. Vedi ai di <]uesto libro. .
( i ) Cio IVramiito nell al* destra de Latini ed E b o io nella si nistra d e R o m an i, perch gi 'stavano appunto in (Quste ale j uk Diouigi ha finora detto c h c v e ss e r caMbrato posto. '

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

lena numerosa e col nerbo de'Boldatl' espediti; an iil questa pugna eai^de trafitto da un' asta lo stesso luogotenente Valerio (i) quegli che il primo avea trionfiito de Sabini', e rialzato Io spirito di Roma infiacchito pei danni ricevuti da Tirreni : e con lui pur caddero altri molti nobili e valorosi Romani. Sorse sul caduto corpo di esso una lotta vivissima facendosi scudo allo zio li due Publio e Marco, figli di PopliccJa. Oc questi con egnandolo intatto colle armi sue, mentre mspirava an< cera, ai scudieri perch lo riportassero agli iJk^gpamenti ,' lanciarono sestessl in mezxo al nemico -sfiinti dall' onta ricevuta e dall ardore dell' animo : ma piom bando d*ognintorno i fuomsdti su loro;, alfine carico r Uno e r altro di ferite mori (a). Dopo tale jafortunio l armata Romana fu cacciata di posto, ed to m al>* menata dlia sinistra fino al centfo. 11 dilutoK di Co noscere che i suoi fuggivano , .ben tosto si staoc peti soccoiTerli con i cavalieri ohe aveva d'iatom o : e dato ordine a Tito Erminio di andare ooU' ala delia cavai
( i ) Intende il Valerio fratello di Valerio Poplicola: per il pri-< mo Valerio detto xio d e figli di PopticolV II Valerio del ^ a ( e ^ui parUamo fa c o niole Doye anni addietrt iuiieme con P . P o stam io T u b e tto . P e r altro qui fi diop ; e dqe aQpi appretAQ cioi undici dop il consolalo si dice fatto d itta to re : Tedi $ 49 questo lih ro ; par questa una conlradditione. Forse il Poplicola ebba d u e fratelli ambedue c al prenoma di M a rq o ; e forse vi b sbaglip; nel prenonie. (if) Couvien dire che Valerio Poplicola avesse pi figli col nome di P ublio; p e rch i Dionigi qui presenta la morte di un Publio figlio di P o p lico la , * posteriormente nel principio 4 d libro settimo ci 4>cc mandatQ Siciliii un Publio figlio d i PopUpola. Allrimenli dea sospettarsi d i iq qalche ^baglio ael test^.

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lec^ alle palle de'fuggitoiri e femarH , o 'd i noeiderii e non I9 pdivaBO; egli corse. ca*;pi forti ore' gl' bm mici erapo.pi foUi Gittoti q vicinanis fi ssi rilasrii di .tutjb briglia il cavallo. Divenutone l'iinpeto iiDDieBso e spaventoso, non sostennero i nmici f urto di uesaiw e0 srirti e iqaniac: ma .federo volta e molti-ne ocoom beroi>9 Intanto Ereiinio.ritraendo dalla fuga i suoi sbi^ gottiti, li men contro l'armata di Mamilio, ed gli stesso avventandosi >addo^ d[ lui che < era il pi grande e pilli gagliardo di quanti gli erano a fronte, lo acciset ma faUoseM a spogliai^e il adavere, egli ancora vi soo> compi trafitto ddi brando di un tale in mi lato. Sesto Tarquinio, duce dell' ala sinistra Latina, resistendo tut tavia tra tanti maU ^.aveft cacciata di posto l' ala destr* de'Homani: cerne per vide Postumio venite su lui eoi nerbo de'cavalieri, d ista to si ci^se in mezzo a'nraidi P qui ciricondato da'fanti e da'Cavalieri; ed in v e s^ ^ qnasi una fiera : d' ogn' intorno, m ri, ma, non sema avef^no mche egli ste$i mo^li di quelH ohe lo imvesti vano. Caduti i duci , piietiidsiit>a fu la fuga de' Latini> e ia presa deloro :alloggiamenti, aMiandonati 4>ur daUe: guardie. Diccb i Romani se n'ebbero mlti blli^^aiH t^ggi. Gravissima fu ,1a perdita de'Latini, i|i>to che tnoltissmiD ne decaddero: e la strage fu tanU, quanta: mai pi pei: addietro ;, imperocch di qiraQla mila fanti e tre mila cavalli, come ho detto di $opi^ nemmeno dieci niila toi!narono rlvi alle case. XIU, fama che. in. questa battaglia si rendesser vi* sibili 1 dittatore, ed a;l seguito! suo due ovalieri adouii) dtl fiore prituo di giovnesii^ grandi e<, blli assai { ;

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DELLE

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che la condiaione non sostitiM ddl'umo ; e che po> eadsi alla testa della cavalleria romaaa , percotessero ccdle aste i Latini che le si avventavano, o li sospin gessero a rapidissima fuga^ E fama similmente che iclo^ l fuga de ^Latini , e la presa de' loro alloggia menti, presso al crepuscolo vespertillo, appunto quando la zuffa ebbe fine, si dessero a vedere'in abito militare el Foro romeno due giovani altissimi, e vaghissimi, spirando in volto ancora l'ardore della battigiiti, dalla quale venivano , e reggendo cavalli, molli di sudore^ Dicesi che smontali l'uno e V altro d^*cavalli, lavavansi nell'onda, la quale sorgendo presso 9 tempio di Yesu forma una lacuna, pncciola slj ma profonda: ma che fiitRN molli intorno di loro , e chiedendone se punto recassero di nuovo dall? eserdto, rilerarono ad essi dcch'era della battaglia, e com.e l aveano guadagnata: e die partiti poscia dal Foro non pi fEirono veduti da alcuno , tuttoch seti facesse ricerca grandissima dal eomandanie lasciato in Soma. Come per nel girno appresr riceverono i capi della citt lettere dal diti* tore, e conobbero I' assistenza dei due num i, e tutti i successi della battaglia ; giudicarono che i due persnaggi apparsi fossero, com ea verisimile , gl Iddi stessi, e coacUasero che erano le immagini di Pollucfr di Castore. Attestano la compargione inaspetuta e meravigliosa di questi Numi , molti segni ancora, come il tempio fondato a Castore e Polluce nel Foro j ap punto dove comparvero ; e la fonte vicina chiamata e crdtfta sacra finora ^ e li sagrifizj magnifici che il poplo bei celcbi-a ogni anno per idezzo de cavalieri pi

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distinti Q ^e idi del mese detto Quintile (i), nelle quali acquistarono la Tttoria. Segno sopratinuo ne la pompa che dopo il sagrifizio ne fanno i catalieri, i quali or dinati per trib e per centurie marciano a squadre , quasi tornino dalla battaglia, tutti coronati di verde qIto, e cinti di lucide toghe con lembi di porpora , le quali trabee si chiamano. Partendosi t da un tempio di Marte , posto fuori della citt , traversano Roma e il Foro , e vengono fin dove il tempio di Castore e di Polluce in numero di cinque m ila , tutti co' premj ricevuti per le battaglie da' capitani : spettacolo bello e degno della grandezza dell' impero. E questo quanto io conobbi che fa detto e fatto dai Romani intorno la venuta fra loro di Castore e di Polluce : e da ci po> tremo raccogliere non che altre cose molte e grandi, quanto gli uomini d'allora fossero ossequiosi inverso de' Numi. XIV. Postumio passata la notte negli alloggiamenti, coron nel giorno seguente que* che s' erano segnalati in battaglia: e dispensati gli schiavi, perch li guar dassero , fece sagrifizio per la vittoria. Ancora sfavasi coronato , e ponea su gli altari le primizie consuete a bruciarvisi; quando Icuni espiratori, correndo gi& dalle alture, gli annunziano che nemica Minata venivagli contro. Era questa il fiore de'Yolsci mandato pe-Latini prima che la battaglia s terminasse. Postunuo' a tal notizia comanda che tutti dieno all*armi, e stieno tigli alloggiamenti, ognuno sotto le proprie' idsegriei ordinati
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e guardinghi, finch egli dicesse biocch' era da Ideavano i duci de' Yolsci assalire d'improvviso i Ro mani : ma giunti su di dn' altura ai cospetto di quelli vedendo seminalo U campo di m orti, pieno 1' uno e r altro alloggiamento, n uscirne amico , o nimico ^iunp ; attoniti, non sapeano indovinarne qual fo$se lo 3 iato delle cose. Appena per seppero da quelli che si rano salvati, fuggendo, gli eventi della giornata ; con< sultarono fra loro ciocch fosse da fare. Parve ai pi animllsi il migliqre lo assaltare immantinente le trincee de' Romani mentre molti vi travagliavanio per le ferite e tutti per la stanchezza , mentre aveano i pi le armi non buone, spuntate o rotte ; n veniva ad essi per anche nuovo rinforzo dalla patria. Imperocch l'esercito loro grande , forte , ben armato , perito di guerra , giunto fuori della espettazione, incuterebbe paura anche ai pi baldanzosi. XV. Nondimeno a'pi savj non parca sicuro venire, seoz'aspettare i compagni, a cimento con uomini vaio* xosistii^i tra le arme , i quali aveano di fresco annien tata tant^ milizia latina, e venirvi su cose rilevaDtissime nelle terre altrui, dove in caso di sciagura non avreb~ 'hono asilo. Adunque vbleano questij che provvedessero piuttostp sollecitamente a salvarsi nella patria , e teneslero per sommo guadagno se non erano punto danneg giati in quella spedizione. Per l'opposito altri pensavano die Jipn si avesse a fare n 1' una n 1 altra di queste due cose: che era beasi da giovine il trasporto d allorft per combattere ; ma che assai pi biasimevole sarebbe il fuggirsene a casa : e che qualunque de due partiti

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seguissero , andrebbe a genio Ae nemici. Ejra il parere di questi, cbe di presente si triiicierssero e prepara-' sero quanto bisognava per la battaglia , e che intanto spedissero ai Yolsci per chiedere che inviassero nuove forze onde pareggiare quelle de' Romani, o che richia massero le altre gi inviate. La sentenza per sembrala f)i persuasiva e ratificata da capi fu di mandare al eampo romano alcuni osservatori col nome di amba> sciadori onde preservarli, li quali, comj^mentandolo, dicessero al capitano, che il comune de' Yolsci man davali per ajuto de'Romani: si doleano per che giunti tardi per la battaglia non troverebbero uemmen grati bidine di tanto amore, vdendo come l'arcano gii vinta a grande lor sorte, anche senza degli alleati. Con tali dolci mabiere illudendo, e dandosi per amici, andas sero, spiassero, conoscessero la moltitudine de'nemici, le arme, gli apparecchi, i disegni. Conosciuto ci, discuterebbesi qual fosse il migliore, lo aspettare nuove truppe , o menare le presenti all' assalto. XVI. Poicli si riunirono tutti in questa sentenza , ne andarono gli oratori eletti da essi al dittato^ : e poich recali nell adunanza vi esposero gl insidiosi loro discrsi ; Postomio soprastando alcun tempo, alfine ri spose: Fi siete o FoUci venuti qua con rei consigli sotto belle parole : nemici nelle opere , volete presso noi la stima di amici. Voi foste inviati dal vostro comune ai Latini per combatterci. Ora non essendo voi giunti a tempo per la battaglia; anzi vedendo questi gi vinti, cercate deluderci con dirne cose con trarie a quelle che eravate per fare. Ma n sineerit

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A N T IC H I T R O M A N E

V amicizia del parlare che assumete in vista del tempo presente , n sincero il titolo della vostra le gazione ; ma pieno di malizia e d inganno. Non voi veniste sensibili pe' nastri beni, ma per investigare qual sia lo stato tra noi di debolezza e di forza. Messaggeri ne detti, voi non siete che esplo ratori ne fotti. E negand questi ogni cosa , soggiuase cbe presto li convincerebbe. E qui produsse le lettere dei Yolsci intercettate da lui prima della battaglia, e chi le portava ai duci dei Latini, nelle quali prometteano mandare a questi un soccorso. Riconosciute le lettere , e palesato dai prigioDeri il comando che aveano ; arse la moltitudine di manometter que' Yolsci, quali spie sorprese nel delitto. Non per volle Postumio che essi, uomini probi, si diportassero come i malvagi ; dicend esser meglio serbare un ira magnanima contro chi gF inviava , e rilasciare g f inviati per lo nome cospi^ cuo di ambasoiadori ; che perderli per la ignobile tuie di esploratori. E ci perch non dessero ai Volsci causa speciosa di guerra su la idea che le persone dei loro ambasciadori erano state abusate contro ogni legge; e perch agli altri nemici non dessero pretesti di mal* dicenza , falsa d , ma non inverisimile, n incredibile. XYII. Contenuta l'ira della moltitudine contro quegli uomini, comand che partissero senza nemmno rivol gersi , dando loro una guardia di cavalieri, i quali gli accompagnarono fino al campo deYolsci. Cacciando gli esploratori intim, che le sue milisie si apparecchias sero, quasi dovessero schierarsi nel giorno appresso. Non per fu d' uopo combattere ; perch i duci de' Yolsci a

LIBRO VI.

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no(te av^nsala levarono 1' esercito, e si tavviai^ao alla p tria . Ririscitogli cos mito secondo i desider], >data sepoltura ai cadaveri d e 'su o i, purificato l. esereilo si ricondusse a Roma , o.norato di ua nobit trionfo tra. molti carri di arme , -e molti di- suppellettili^ neitti-^. che , ' seguitandolo cinquev mila cin(|uecento ^ fatti pri gioniri: nella battaglia,. Separate la decime dalle spoglie, fece con< quaranta talenti spettacoli e sagrifizj ai Numi y e paUui bou prezzo, come (veala promessa in vto, 1 fonda^ione^.de'templi a Cerere .Bacco, e Proserpina; percioccli irie'firindpf. della , guenia ai-ebbe disagio di viveri,'* e. moltos tefn che mancassero v nop avendo la tesr gerato i suoi fru tti,u recandosene altronde pe' tumiulti drfle. arme. Fra tale paura . ordinando quelli che ne erapO .i custodi, di consultare gli'oracoK sibillini; come ud. che volean ^ i oracoli .'che. si pia lessero, ^ e s ti Num i, si.vot qtiando era per uscir ,coI-> r>esfercitodi vdar loro e. templi ed annu sa^riGzjiv. sb in tempo del. suo comando tornasi vcome prima >in Roma r abbondanza. Esaudendolb questi!, fecro./che la levraf.assaijfrultiGcasse in seibi e . p o m i j e . j ; cheti'vivevi tra^irtatt^B citt vi ridondassero pi che. allra; Ivolta-; e Po^umio a tal vista decret la edificaziotae de'templi. Cosi U c^omani 'estirpata la -guerra co' tiranniviv<eano tra.iste e tra sagrJfizj. < V IH. Pochi giorni' appresi giunsero ' -|oeO -araba-, seiador dai Lat ini , quali jeyaoo stati scelti dalle- viin'e citt , ma portando innanzi coroa^ simbdi di pace , come quelli che aveano su la guerra ben altri senti> menti che-prima. In(^4p.tU qn^ fenato rivolgeano

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D EL L E A lfT IC H IT x R O M A N I,

ogni colpa della guerra sa principi delie dtl, dicendo: die il popolo non avea mancato in altro che in tener dietro a cttpi rei, dediti a proprj varUaggi : mtS di questo errore causato in gran parte daUd necest f ne ai>ea 'ciascun popolo dato te pene non di^ spregevoli <^n perdere^ U fiore d giovani: tanto che pon era facile, trovar^ famiglie , sgombre da lutto. Supplicavano di ricevere'in loro non i competitori del principato n delld eguaglianza, ma gli alleati tpntanei, e i -sudditi f empitemi > che aggiungereibero alla fortuna dt? Romni quanto i Numi tai^ierimo a quella de Latini. Da uhimo raccomandavano il lor parentado , ricordavano la suserk dalla kili leanza lro passata ^ e deploravano le sciagure imtarse dai non colpevoli, derto assai piii numerosi dei eotpewli. E pingendole ad una ad tuuiy p prostran dosi -appi di tutto il Senato j dponendo i sim boli di pace ai piedi di Postumio, furono tutti i p a d ri in ten eriti.d ^e lagrime e dalle suppliche loro. XIX. Ritiratiti questi' dal Senato, dato il percaess a qnelli a'quali soieafi ^ che dicessero i lora-pareci^ Tii:Largio, il -prno de'dittatori crealo gi per l 'afono antettedente (i) consiglio che usasse^ la sorte sobbiamente. Diceva essere'^eticomio' grdndissimo per un citt come per un uomo se non lasciandosi corrom pere dalle prosperit, le sostiene con regola e con digmt : odiarsi tutte le<prosperit , quelle principal mente per le quali possono ingiuriarsi, e gravarsi i
(i) Vuol dir* tre antri addietro : come fu notato da Silburgio.

LIBRO VI.

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miseri e li sottomessi. Non confidmsero su la sorte , essi che aveano sperimentato tante volte ne beni, e ne'mali proprj, quanto fosse mal ferm a e mutabile: n riducessero i nemici alla necessit di pericolo estremo per la quale spesso gli uomini s innalzano , e combattono sopra le forze. Temessero , se prendeano pene irrparabili e dure su chi avea mancata, di profmcarsene lira comune di ogni,popolo sul quale spilnavano di comandare ; imperocch decaduti dalle maniere consuete coUe quali eransi renduti chiari di oscuri parrebbono aver fatto della sovranit una tirannide, non un governo d un patrocinio. Dieta che mezzmia noti irremisibil . la colpa , se citt gi libre, anzi usate al comando, non sanno dftll antico grado discendere. Se quei che anelano il meglio ^ siano , se falliscono il colpo , vendicati immedicabilmeritb; niente impedir, che gli uomini, generati tutti con inlimo amore dell libert si distruggtfno gli uni cgli altri. . Ag^no^eva. che assai piU nobile, assai pi /rmo il principato che amministrasi tenendo i sdditi colla beneficnza m n co supplizj : perciocch da quella nasce la benevolenza , e da questi il ti more , e ciocch si teme , si odia vivamente per neeessit di natura. Da uUimo pregavali a pigliar per esempio le pere bellissime per le quali gli antenati loro tanto erano encomiati : e qui ridiceva co/' essi aveano magnificato Roma gi piccola, non diroccando le citt prese, n spopolandole, n spegnendovi al meno gli adulti, ma riducendole colonie di Roma,
P I o r n a i , tomo I I .
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D EL L E ANTICM ITA BOMANE

e concedendo la cittadinanza a tutti i vinti che in. Roma vollero domiciliarsi. TUo Largio mirava col dir suo princStpAliaeflte a questo, cbe si rinovasse co' Latioi r alleanita, tom' era vi staU , n pi ingiuria alcutia di qualnque citt si ricordasse. XX. Servio Sulpieio punto non contradisse intorno la pace e la rinovazione dell alleanza. Sacome per si erano essi Latini levati i primi dall alleanza, n i allora per la pritlia volta , tanto che ne fossero compatibili per la forza delle circostanze e d d l'e tro re , ms pisi volte gi per addietro, tanto che ne erano da correg gere ; propose che stante il parentado si lasciassero tutti immuni e liberi; ma si toglieste loro mU del territorio e si dispensasse a Jtomani che, mandatici, sei godessero , e guardassero che non pi vi si ectJ tasser movimenti. Per 1' opposito Spurio Cassio consigliava cbe se ne abbattessero le citt dicendo : che itupivasi dlta dabbenaggine di ohi suggerwa che si lasissero'senza pena alcuAa della ofjhsa: quando poteHo vedere che per la invidia che aveano iitnata ed indelebile contro T ingrandirsi di Roma, le avreb^ bero fatto guerra su guerra, spraa requie mai, Jindi fosse iti loro la rea malvolenza : e quando avaema queste in onta di tutti i patti, fifmcui alla presene de N um i, cerccOo ultimamente ridurre la citt fero consanguinea sotto un tiranno pi barbaro di ogni fiera, non eccitat da dltra speranza, salvo che poca o niuna pena ne sosterrebbero, se V esito detta guerra non le secondasse. Prega vali che prendessero V esem* pio dalVopere dei loro antenati i quali in'un giorno

tn n o

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. solo spidnarono A lba dalU quale UemcUvano osti 0 tuUe le citt del Lazio, quando videro a prova, cht questa invidiat> ai lor beni, e che la impunit con cedutale per i ptimi deitti erale occafione di altri pi. grandi. Credessero che non punire niuno pei grandi ed irreparabili attentici tanto era, quanto non eommiserare niuno per le eolpe lecere. ]Ben sarebbe r opera della stoltezza e della indolenza, non della umanit n della moderaeione > non auere tollerato la invidia perch parea grave ed insopportabile, negli collari della lor gente , e poi tollerarla in altri, discendenti come loro: avere punito fino polla Mstruzione delle lor patrie nemici redarguiti di colpe tanto minori, n poi prendere vendetta niuna di quelli che aveano tante volte verso loro dimostrato ufi odio im* placabile. Cosi dloendo, e numerando tolte Iq i^bellioni de'Latioi) e ricondaodo quanta essi, la moititudme dei Romani, penti nelle giberne con osai, dw^ad^ : che si trattassero come gi gli Albani ; se ne schiantassero U citt, e le terre si appropriassero ai Romani : que cittadini che aveano dimostrato oktna benevo lenza per essi ritenessero i loro beni, am i si arric chissero : ma gli autori della ribellione , quelli pei quali la tregua fu rotta, si uccidessero conte tradi tori. Il resto del popolo msero, ozioso , im itile, ti riducesse schiave ugualmente. X ^ . Tali furono le eenleaze perorate d^il ^ im i dd Senato. 11 dittatore si dichiar per la sentenza d* Lv* gio; e nino pi contraddisse. Bichiamati, tornarono gli ambasdadori in Senato per la risposta : e Poct^mlo re

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DELLE ANWCHIT ROMANE

darguendoli della loro incorrigibilit : ben sarebbe, disse, giustissimo che incontraste i mali ultimi, quali a noi li preparavate se riusivate ne disegni che avete contra noi tante volte macchinato. Non ante.pora.nno per li Romani il diritto sommo alla moderazione, consi derando che voi ne siete i parenti e che adddmandaste piet delle offese: anzi a voi condonemo anche la colpa presente in vista degl Iddii comuni e della sorte imperscrutabile, dalla quale ebbero la vittoria. Pertanto andatene, disse, liberi pienamente. E quando avrete rilasciato li prigionieri, quando ci avrete riconsegnato li disertori , ed avrete espulso da voi gli esuli; allora mandatene gli ambasciadori che trattino deiV amicizia e della pace, e sarete in quanto degnb, appagati. Partirono a tale risposta gli oratori, e sciolti li prigionieri, e congedati dalle loro citt Tanquinio e gli esuli, tornarono tra pochi giorni, ripop* tando i disertori incatenati. Ritrovaront) allora in Senato r amicisa e 1 alleanza antica, e rinovaronsi pe'Feciali i giuramenti fatti altra volta intorno di esse. Tal fu la 'fine della guerra fatta co' tiranni per quattordici anni dopo la loro espulsione. Il re Tarquinio, unico avanzo della sua stirpe , dopo aver fatto la rovina di s , dei figli e della casa del genero, ornai nonagenario in una vecchiaja^ miseranda fin tra'nemici, escluso dai Latini, da Tirreni, da Sabini , e da ogni vicina libera citt, riparossi a Cuma nella Campania presso di Ari stodemo', detto Malaco, che allora vi dominava. Ma sopravvivendovi pochi giorni giunse al suo termine ; e vi fu seppellito. I compagni di lui nell'esilio parte si

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rimasero in Cuma^ parie io altre citt si sbandarono, e visseroi d^lle: ospitali beneficnze degli altri. XXll. Liberatisi i Romani dalle guerre in campo aperto ; sorse di bel nuovo la discordia fra loro. Impe-, roccb il Senato avea decretato di restituire i tribunali, e far decidere secondo le leggi le liti .sqspese per le armi ; ma le liti su contratti erano procedute a grandi turbanienti ed orrori, ad indegnit e sfrontatezze. E, nel vero: pretestava il pppolo la insufficienza sua a pa gare i debiti per essere le terre giaciute inculte in una, guerra di tanti anni, per essere venuti meno li bestia' ini ; e diradati assai gli schiavi colle diserzioni e le fu-, ghe; e per essere le rendite urbane state assorbite dalle^ spese della milizia. Per 1' opposito replicavano i datori de'prestiti essere stata la calamit comune a tutti , non a' soli debitori ; e teneano ch/ sarebbe a s stessi du rissimo perdere non pure quanto era stato lor tolto nella guerra tra nemici, ma quanto aveano in pace somministrato a'cittadini stretti dal bisogno. Non voleano dunque n li prestatori u ^ r moderazione, n li debitori giustizia ; n rilasciare gU uni i frutti,. n rendere gli altri nemmeno i capitali. Quindi ne capistrada faceansi affollamenti di uomini, eguali ne' casi, e nel Foro schieramenti di uni contro gli altri fino a venire talvolta iiUe mani ; tanto che tutto 1 ordine civile ne era con turbato. Postumio onorato ancora da tutti, ci .vedendo riput buna cosa di togliersi dai flutti civili , simili a guerra gravissima : e deposta , prima che ne spirasse il tempo , la sua dittatura, ed intimato il giorno de' comizj, restituii col compagno suo nel consolato , le mar gistrature della jpatria.

3o DELLE ANTICHIT^ HOMANE XXni. PreMro di nuovo secondo te leggi ranniio comando i consoli Appio Claudio Sabino , e Publio Servilio Prisco (i). Videro questi benissimo in ci sUre Votile sommo, Cbe il nembo si traeste da entro le mura alla guerra di fuori : e si accinsero ' a condurre bea tost un altro esercito loro contro de Yolsci. Erane r intettto di punirli pel soccono mandato a* Ladni con* tro d' Romani, e di preccnpare gli apparecchi b ro piccioli ancora ; impeitoccb dicevasi che ascri?eano colk Ogni diligenza le soldatesche, e sollecitavano con m bascerie li popoli vicini a far causa con essi ora che Capevano discordare i patrizj in Roma e li plebei, non essendo diiScile invaderla inferma tra' dotnestici mali. Deliberati, e creduti da' senatori che ben deliberassero, a cavare un esercito sU questi , comandarono a tatti i giovani di presentarsi, datando il tempo entro coi sen frrtbb la iscrizione per la milizia. Non ubbiditi per dalla pleb inviuta pi volte a dare il giuramento mi> litare ; non pi l ' tino e F altro furono di un avviso tnedsiibo: ma discofdatin fin da quellora proteguirono tutto il tiem^ del consolato ad operare l ' uno in con trario dell' altro. Pareva a Servilio che si avessero a tenere mezzi pi dolci, consentendo in ci con Marco Valerio, tiom popolarissimo, il quale volea che si curassero le orgini del taale, con decretare la remisiione, 0 certo lo semamento dei debiti. Se no, voleva almeno che pribito di presente 1 arresto di chi ritat'^ dav le paghe , si ridutiessero i poveri a dare il giara
( i ) Dni di Roma

aSg secondo

Catone,

a6i

secondo Varron* ,

49,3 iTanit Ctiito.

LIBRO VI.

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itieiito mililar^ ami colle ammoniBoni che clla Tolen> ; e disentte e m iti, come (a citt coQCotde, non dure ,fi inesorbili fossero le pene sa chi ricusavasi : peroci^ ' coprevasi risehio che astretti a militare a ptt>pre spese aoniini che abbrsogdavaao del vitto quoti diano, si ammutinassero e volgessero a stolti partiti. X X ty. Per 1 ^opposito Appio fautor principalissimo del potere de' nobili diceva, austero ed inflessibile, cAe non dweansi dare al pojwto segni di deboleeza, ma permettere ai prestatoci la esazione de* crediti , comunque la facessero, a norma delle leggi : che il console il quale restava in Rom(i dovesse rialzare i tribunali secondo i costumi della patria, e compiere le pene delle leg^ su delinquenti; non essere rfflp concedere al popolo niente s non gisto ; n da coadiuvarlo ad usurparsi un potere soellerato. Que sti , diceva , liberi divenuti , riiasciunsi ora pik del dovere, immuni dai tributi che pagavano ai re come dalle pene omF erano ajfj^iui nella persona j se ben tosto non gli ubbidivano. Che se procedendo pi ol^ tre , tentino sommovere o trammutare cosa niuna} freniamoli colla parte savia e sana de' cittadini, la quale certo appare pi numerosa delf altra de^ mal' vagj. Abbiamo forze non poche > e pronta la gioventk de* nobili ai nostri comandi. Pi grarfde di tutte le arm i, n facile da conculcarsi F autorit del Senato : con questa che sta per le leggi, di leg geri sopraffaremo, umilieremo il popolo. Che se ce deremo in ciocch esso presule , primieramente ne avrem la vergogna di sottomettere a plebei le pub-

aSa

DKLLE a n t i c h i t r o m a n e

Miche rcose, quando potrebhono m ane^^si da no^ bili. Appresso caderemo nel rischio non picchi, che se alcuno colF anima di tiranno serva ai genj del popolo ne acquisti un autorit m a^iore delle leggi j la libert ci ritolga. Cosi diiFervaao i conrli infra loro : e quaate volte adunavansi i P adri, tenendola chi dall uno chi dall altro ; il Senato ue udiva i dissidj, i tumulti, le cnlumelie colle quali si denigravano , n a scioglievasi poi senza prendere alcuna sabitevole riso> luzione. ' XXV. Consumato in tal guisa gran tempo, Servilio, quello de' consoli al quale era toccata per sorte l spe dizione, conciliato il popolo coi dolci modi e clie pre. ghiere perch si applicasse alla guerra, usci per farla con milizia, non forzau gi secondo la leva, ma vo lontaria come i tempi dimandavano. Ancora i Yolsci si apparecchiavano, non aspttando che i Romani per le dvili dissensioni e discordie venissero coll' esercito con tro loro ; anzi pensando che nemmeno verrebbero alle mani con thi gli assalisse, laddove li Yolsci avean forze copiose da movere quando volessero la guerra. Ma poi ch si avvidero che erano investiti dalla guerra essi che doveano portarla , smarrironsi allora in vista di tanta speditezza romana : e li pi riguardevoli delle citt ne andarono co' simboli di pace e si rimisero a Servilio perch facesse di loro a piacer suo, .come di uomini che aveano traviato. E costui pigliandone vesti e cibi per r esercito, e scegliendone trecento ostaggi dalle famiglie pii cospicue, parti come avesse dissipata la j[Uerra. Non per fu questo un dissolverla, ma piuttosto

LIBRO VI.

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un differirla, e dar causa di appareoch) .ad es, preocupati dal gittagere Iptp inasp^tato. Ritiratosi leserdto romano, si accinsero i Yolsci di bel nuovo alla guerra, e munirono e meglio presidiarono, le citt , ed ogni luogo acconcio da riliggirvisi. Si consociarono con e per l impresa i Sabini e gli Emici svelatameli te ; ma segretamente molti altri ancora. I Latini, essendo venuti ad essi ambasciadori per chiederne 1' alleanza, li lega rono e menarono a Roma. Fu sensibile il Senato alla cosunza dlia lor fede , e pi accora: alla prontezza colU quale voleano sppnuneamente per esso cimentarsi, e combattere. Quindi restitu loro gratuitamente, cipcr cfa pur vedea eh'essi desideravano , ma- vergognaran dimandare, intorno a seimila fatti prigionieri elle guerr con essi: e perch il dono prendesse una forma degna de' parenti, li rivesti tutti con abiti proprj di uomini liberi. Del resto fece intendere che non abbisognavasi di soccorso latino , dicendo qhe bastavano a Roma 1 proprie forze per vendicarsi de' ribelli. ,E cosi risposto ai Latini, decret la guerra contro de'Volaci. XXVL Ancora il Senato sedeva nella Curia, ancora considerava quali milizie destinasse a marciare ; quando fu visto nel Foro un uomo che antichissimo di anni, sorcBdo ne' vestimenti, . e barbuto, e capelluto , gridava ed invocava soccorso dagli uomini. Accorsa la moltitu dine intorno ; egli postosi in luogo donde fosse visibile disse : lo generato libero , dopo essere finch n era la et , marciato in tutte le spedizioni, dopo avere sostenuto venlf otto battaglie, e riportato pi volte i premj m ilitari, alfine quando sopravvennero i tempi

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D E L L a n t i c h i t ROM ANE

che strinsero Roma alle ultime an^stie fu i necessi tato a prendere un prestito per suftplire al tributo che mi si chiedeva : perch il mio campicello era desolato da nemici , e le rendite urbane tutte per la penuria deviveri mi si consumavano. Cosi non avendo come pi redimere il debito , Jui condotto dal pre statore con due miei figliuoli a servire. Comandan-^ domi poi quel padrone non facili cose io contraddis si } e ne fu i con moltissimi colpi baUuto. E cosi d{> ctniio squarci ki Inrida veste , mostr pino it petto di ferite, e gromlanti le spalle di san^e. E qui ulu lando ; e piangendone la oioltitndine ; il Senato si di sciolse : e tutta la citt fu percorsa da poveri cbe de ploravano la infelice lor sorte , e cfaiedeano soccorso da'vicini. Uscirono allora dalle case (i) tutti quelli eh eran servi pe'debiti, rabbuffati le chiome, e la maggior parte coile catene alle mani, e co' ceppi nei piedi, senza clie alcano osasse reprimerli : e se altri osava pur toccarli, enne manomesso co' diritti della forza. Tanta rabbia in quel punto invase il popolo t N mok dopo il popolo fu pieno di uomini che fuggivano la forza di chi signoreggiavali. ' Appio , come autore non ignoto de' m ali, temettfe contra di < le ire della moltitifidrne , e s'invol, foggendo, dal Foro. Ma Servflio deposta la wste contornata di porpora, e gettatosi lagrimando ap pi di ciascuno} a tento li persuase coMenersi per quel giorno , e tornar nel seguente, mentre il Senato provvederebbe in qualcjie modo sa loro. Cos dicendo,
(i) De* creditori.

L iB n o VI.

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e comandando al banditore di proclamare, che ninno de' creditori potesse trar seco pe' debiti akan cittadino , finch il Senato sa ci deliberasse, e che tatti gli asunti ne andassero ove pi voleano senza timore ; chet la turbolenza. XXYIL Partirono allora dal Foro: ma nel prossimo giorno vi si riun non solo la moltitadine della citt, Dia l'altra ancora de'campi vicini; tanto che sull'alba gi il Foro ne ribolITa. Adanatosi il Senato per disca* tere ciocch era da fiire , Appio chiamava il compagno adttlator del popolo e capo della insolenza de*poveri: e Servilio rimproverava lui come austero , caparbio, e fabbro de'mali che pativano; n ci avea niun fine alla disputa. Intanto latini cavalieri spronando, vivissimamente i cavalli si appresentarono al F oro, annunziando essere gi usciti i nemici con esercito poderoso, e gi sovra^ stare alle cime de' monti loro. Cosi dissero questi: e K cavalieri, e quanti aveano ricchezze e gloria ereditaria, armaronsi in fretta, come su pericolo esti-emo ; laddove poveri, singolarmente gravati da debiti, n toccavan arm i, n soccorrevano in alcun modo a ' pubblici bis(>gni : anzi gioivano, ed accoglievano con diesidero la guen^a esterna, come quella che redimerebbe loro dai mali presenti. E se altri gli esortava a respingere inimici, mostravano a lui le catene li ceppi, e l confondevano addimandando, se fosse mai degno com battere per difendersi tanto benefizio. Anzi tabni osa rono perfino dire, esser meglio servire ai Volsci, che soffrire i vilipendi de* patrizj. Infine era tutta la citt ripiena di ululati, di tumulti , e di ogai lutto di fem mine.'

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DELLE a n t i c h i t R OMANE

XXVJII. A tale spettacolo i senatri prgarno, il console Servilio, otne pi utorefole presso del popolo, k soccorrer la patria. E costui convocandolo al F o ro , dimostr la urgenza del tempo presente , e come noa ammettesse discordie civili : pregava e supplicava che

piombassero unanimi tutti sul nemico , non che tol lerassero che rovinasse la patria, ov erano. le divir nit paterne, e le tombe degli antenati, cose prezio-' sissime tutte presso i mortali. Sentissero verecondia pe genitori incapaci a difendersi per la vecchiezza } e piet delle donne che bentosto sarebbero astretti a subire gravi ed inesplicabili affronti : soprattutto commiserassero che tenari figliuoletti, certo non edu cati a tale speranza, avessero a finir tra le ingiurie e i vilipendi spietati. Quando fatti al paro concordi, tutti al paro infiammati, avessro tolto il rischio presente; allora discutessero comera da ordinare un governo eguale, comune, salutevole a tu tti, e tale, che n i poveri insidiassero agli averi del ricco , n il ricco i poveri ne conculcasse ; cose tutte in societ dannosissime. Allora discutessero con quale pubblica discrezione fosse da provvedere ai poveri, con quale agli altri li quali dopo dati i prestiti per soccorrere, ora ne erano ingiuriati: n dalla sola Roma si le verebbe la fede de' contratti, bene principalissimo tra gli uomini, e custode dell armonia nel corpo delle citt. Dette queste e simili cose , quali convenivano al
tempo , da ultimo prov com' era la benevolenza sua stata sempre, costante verso del popolo; e preg che in CQutraccambio, almeno d i questa , si unissero per la

LIBRO VI.

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spedE on, essendo a lai data V amministrazione delia gurra, e quella di Roma al oompagno. Pr^itestava cAe la sorte aveva cos destinate a loto le parti : che il Senato avevlo assicuralo di concedere quanto egli prometteva al popolo ; e che egli aveva assicurati} il Senato che il pepblo non tradirebbe la patria ai nemici. i X X I^ Ci. detto impose al bapditor d pubblicare che niuno potesse arrogarsi le case di quelli che militassero con lui contro i Fblsci, n venderle , n impegnarle, n render servo pecontratti alcuno della, stirpe di costoro, n impedire veruno a guerreggiare: persistessero per secondo i patti le azioni de pre statori contro quelli che .non prendeano le armi. Come i poveri udirono ci ; deciseFO, e laociarnsi tu tti, pieni di ardore, alla guerra, chi stimolato dalla speranza di guadagnare, cbi dalla benevolehza pel eppi4ano , e la pi gran parte per levarsi da Appio e dai vilipendj verso quelli che in citt rimanessero. Servilio .preso r eseipcito , ne and sollecitissimo , senza perder ]^ntD di tempo, per attaccar i'inimico , innanzi che 4 gettasse in su le campagne romane.' E scontratili a-pa> scere presso a' campi Pontini le terre de' Latini perch non avevano secondato l invito di combatter con essi', mise verso sera in un colle gli allogamenti , lontani) venti stadj dai loro. Ma fattasi notte i Yolsci gli assal gono credendoli pochi, stanchi della, via lunga, e senza cuor di combattere pel fermento allora vivissimo depo veri intorno dei debiti. Resist Servilio tra la notte dalle U-inciere, ma poi visti al nascere della luce i ne-

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D E L L E A N T IC H IT i. ROMANE

mici dTs, in disordine, cotan^ i^e si spdaneasSero le porte del campo, le qaali erano, senz' apparire, ben molte y e ne vers tutta ad un segno l ' ormau su loro. Alla subita, impensata, terribile irruzione alcuoi pochi de' Yolsci sovrastando agli steccati furono nel combat tere trucidati ; gli altri fuggendo dirottisiimamente, e perdendo molti de' loro , salvarousi , feriti per la pi parte 6 senz'armi, ne'prprj alloggiamenti. Li seguirono immantinente i Romani e ve li circondarono , ed essi fiitta breve resistenza cederono finalmente il campo pieno di schiavi, di bestiami, di arm e, di apparecchi militari. Caddero insieme prgionier moltissni Kberi uomini de' Yolsci, o de' coofederati ; la moneta , gU stromenti di oro , di allen to , le vesti , tutto eravi in copia grande , quasi fsse espngnau una citti floridi> slma. Servilio non riservan^ niente per 1' erario, ma concedendo tutto a'soldati perdi sen giovassero, ordin che si dipensasse. Quindi levando 1' esercito , lo con dusse a Sessa de' Pomentini m prossima. Parea questa per capacit di circuito , per moltitudine di abitanti , per dovizie, e per magnificenza, superare molto le ai^tr e , ed era come la capitale della nazione. E cintala di assedio, n richiamaodone le milizie , di giorno e di notte perch li nemici, senza requie, n posassero m<ii le arme, n dormissero: e travagtiandola sempre pi colla fame, colla esclusione degli alleati, colla d&. Scienza di ogni rifugio ; la espugn fiaalmente dopo non molto tempo, e vi uccise tutti gii adulti. E con ceduto a'soldati che prendessero e si portassero quanto era col di pregevole , marci coll' esercito su le altre

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citt, senza che niuao de'ValsQi [fii potABse reBstrgli.> XXX. Dopo che li Rombai pro^Uvcono i Yoliot ; Appio Claudio r altro console recando nel Foro i tre-> > cc^nto loro ostaggi , ie batterli e decapituU al cospetto ilei pubblico, perch quanti si ligavano a Roma temes sero yiolarit la fide confermata oogU ostaggi. Anzi tor n ato .pochi giorni appi?esso il oolUga dalla spedisione ^ e chiestone il trionfo, solito concedersi dal Senato ai epitapi per le itsigtii b a tte re ; costui gli si oppose, chiamandolo sedi i^ s o , ed ai&ico di un pravo governo. ^pRittiitto lo accusava che non avesse riportata punlb di. prede per l errio; da tutto avesse dispensato a d ii pi gli piaceva , ond* esserne gk^isiosoi Adunque mise il Senato a non adcotdargll il trioiifo : e Servilio tenen^ jdosene vilipeso, scorse ad uua licenza non consueta ai Romani. Imperocdi Convocando il popolo al Campo Marzo, e commemorando le cose fatte nella guerra , la invidia del compagno, e tme il Senato lo disonorava { disse che la condotta <ua e dell' eserdito suo davano a lui di, trionfare su belk faustissime imprese ; e ci dicendo comancf* che i soldati si coronassero , e co^ rouato egli stesso entr e scorse la citt con vste trionfale , seguito da tutto il popolo, finch ateeso nel Campidoglio soddisfece ai voti, ed off6 ai Numi le spoglie. E se per questo ne ebbe odio tanto maggiore de patrizj ; gli rendette suo il popolo pi ititimaimentfe. XXXI. Fra tali sedizioni deUa citt pur vi ebbe al cuna requie per compiere i patrj sagriGzj ; perciocch le solennit che sopravvenivano ^lendide e sontuose

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DELL E a n t i c h i t ROMANE

coatomero la moltitndine. Ma meatre festeggiavasi piom barono su loro con esercito grande i Sabini , i quali gii molto innanzi aspettavano tale occasione. Marciarono ol cominciar della notte per giugnere in Rom prima . d^e gli abitanti se ne avvedessero : ed invasa 1' ayrel> bero facilmente se alenai de soldati leggeri sbandati dall'esercito e datisi a predare i villaggi; non vi destavan tumulto. Cosi romore subito se ne fece , e ricorso de contadini alle mura j innanzi che i nemici se ne a ^ prossimassero alle porte. Conosciuto il giunger lo ro ,! Romani che stavansi coronati agli spettacoli, gli abban* donarono, e corsero alle atmi. And raccoltasi di per s stessa una milizia sufficiente a Serrilio: e questi, or dinatala, usci su nemici stanchi dal disagio del sonno ; del travaglio y e spensierati in tatto d esserne assaliti. Come si furon sopra, scoppi la battaglia , ma toltone ogni scbierafmento ed ordine per la fretta di entrami. Si attacc, secondo lincontro-, leeone con legione,, coorte con coorte, e soldato con soldato, combattendo 'tniiti fanti e cavalli. Ma perciocch non erano le rspe-tive citt molto lontane ; ecco gtiiigerne per ambedue quinci e- quindi i soccorsi. Li ravvalorarono queAi , e fecero che lungo tempo si opponessero ai mali: finch sopravvenendo ai Romani la loro cavalleria, vinsero no:vamente i Sabini ; e &tta assai strage , tornarono a Ro ma conducendo seco in copia li prigionieri. Furono poi cercati e messi nella carcere i Sabini che recatisi a Roma sul titolo di veder gli spettacoli, doveano secondo lac cordo all avvicinarsi dei loro preoccuparne i luoghi pi forti: e li sagrifizj interrotti per la guerra furono per

LtB RO V I.

Ckf\l

decreto del Senato raddoppiati ; talchi ne fu gioja e riposo n er popolo. XXXII. Ancora festeggiavano} qund' ecco ambasciadori dagli. Arunci, popolo che occnpava i pi be luo ghi della Campania. Presentatisi-questi in Senato diman davano il territorio tolto dai Romani ai Ylsci Eccetrani e dispensato agli nomira ,mandatT per guardia della nazione : dimandavano insieme che tal gvardia si richiainasse ; altrimenti verrebbero quanto prima gli Arunc 'u' Romani, e vradicherebbero tutti i mali che aveano causato ai loro vicini.' Replicarono a ci li Romani. Amhaaciadori , amamziate agli Aranci che noi Homani tenituno per giusto che altri lasci d posteri suoi ciocch ha conquistato per valore su nemici : che la ffterra degU Aranci non la temiamo ; giacch non questa ^er. noi n la prima n la pi terribile : che noi costumiamo combattere con chi vuole per t impero e pel b e n e e se la cosa riducasi ora a ll arm e, in trepidamente a lt arme verremo. Dopo ci movendosi gli Arunci con esercito poderoso, e li Romani con quello che aveano sotto gli ordini di Servilio ; si scon trarono presso la Riccia citt lontana entoventi stadj ( i ) da Roma. Accamparonsi ambedue su di alture forti, e poco distanti fra loro : e poich vi ebbero trincierati gli alloggiamenti, scesero al piano per combattere. At< laccatisi , lottarono dall' alba fino al merggio; unto che grande ne fu la uccisione da ambe le parti : perciocch
Ci) i5 m iglia. S trab o n e nel libro quinto d i c t c h a era lontana i6o ktadj cio ao m i(;lit.
a i O N I G l , u m o XI.
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DELLE a n t i c h i t BOMANE

gli Arunci sono bellicosi e terrbili, per grandezza, per forza, e per aspetto fierissimo. XXXllL Narrasi che ia questa guerra si distinguesse la cavalleria Romana governata da Postumio Albo, dit tatore dell'anno precedente. Imperocch non essendo il luogo della battaglia buono da cavalcarvi, per ostacoli di valli cape e di. aspri colli, u potendo la cavalleria iar utile alcuno per niun degli eserciti ; Postumio comandj che li suoi soeodessero a terra. E fatto un corpo di secento si port su' nemici e li represse, principa^* mente dove la legione Romana spinta gi pe'declivi ne pericolava. Rintuzzati i barbari una volta.; sorse ne Ro mani fiductfi ed emulazione t n ' cavalieri e tra' fami. Sor* ratisi ambedue in forma di cuneo cacciano l ala desUra de'nemici fin su l'altn ra, e chi seguendo que* che fug givano fino agU alloggiamenti, ne uccideva in copia: e ^hi prendeva alle spalle qneUi che combattevano ; met> -tendo in 'volta ancor essi, incalzaiidaK similmeiit ^no alle trnciere mentre a stento e tardi si ritiravano su per ardui luoghi, e tagliando loro colle spade oblique i tendini de* piedi, e le piegature delle ginocchia.' Giunti ^gli alloggiamenti, e forzaune la guarnigione, eie non era molu , gl' invasero, e saccheggiarono. Non per vi trovarono gran preda se non di arme e cavalli, e cose militari. tali furono le vicende se' tempi de consoli Appio e Servilio. XXXIV. Ebbero dopo essi la dignit consolare Aulo Verginio Celimontano, e Tito Yeturo Gemino iptauto che era Temistocle 1' Arconte di Atene nell' anno du

LIB R O

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gemo sessaola dalla fontiazione di Roma ( i ) , ed per cominciare U olimpiade selUntcsima seconda nella pale vinse di naovo Stesicraie da Crotona. Nell anno loro si appareccUarouo di nuovo i Sabini a > portare esercito pi grande sa Romani. Li Medullini ribellatisi da Romani si convenDero co Sabini per la lega. Il Se nato , uditine i d i s ^ i , allestivds per uscire eoa tutte le miiinie. Non per secondavab il popolo, memore delle promesse tante voke delusegli Intorno al sollievo *'de poteri, oppressi da debiti , e come indagiavasi a provvedervi. Adunque riunendosi a bande a bande legavansi fra loro cOn jgiuramento di non pi tenersela co patrizj in guerra niuna, e di soccorrere ciascnno lepoveri, se ne patisse vit^ensa, contro cliiunqne.'La cosjHrazioae s rend pi volte sensibile non che per altri modi, co' dissidj in parole ed in opere; soprattutto divenne chiarissinia ai consoli ; ai quali non presenta^ vansi ^ invitati per la leva. Anzi ordinando essi che s arrestassero alcuni >^el popolo ; i poveri , affoUatisi, li filobero mentt^ erano via trasportati, e percossero e fugarono t minbtr del consolato perch restii di rila sciarli : n SI astennero dall avventarsi a qnalunque dei cavalieri o de patrizj che presente volesse impedirli. Talch ne fu la citt ben tosto ripiena di disiordine e di tumulto. Or come cresceva in Roma la sedizione si ampliavan di fiiori gli apparecchi denemici per la gaetjra ; i Volsci e gli Equi oncdiinavano insorgere nnovamente ; e giung^ano in citt messaggeri da lotti' i sud (i) Anni di Roma a6o tecundo C atone, a6u (econdo Varroae , kvaati Cristo.

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

diti di lei perch li proteggesse , esposti che erano al transito della guerra. I Laiiai dioeano che gli Equi si erano gutati sa le loro campagne, e gi vi aveano sac> cbeggiato alcune citt: diceva la guarnigione di Crustunieria che i Sabini le erano prssimi > e che ardentis simi la combattevano. In somma chi annunziava l 'u n o, e chi r altro male incors o da incorrere, e tutti chie devano nn pronto riparo. Anche legati de'Yolsci ven nero al Senato perch rendesse il territorio del quale gli aveva privati, piuttosto che s' incominciasse nuova guerra. XXXV. Adunatosi per tali cose il Senato ; Tito Largio invitato il primo da' consoli perch parea superiore a tutti ' in dignit, e sufficientissimo a' savj consigli , si fece in mezzo , e disse : O Padri coscritti, n spaventevoli sono per me n urgentissime le cose che spa ventevoli sono per altri e bisognose di un pronto ri paro , vale a dire , come soccorransi gli alleati, e come g t inimici si respingano. Quelli per che . di presente non si estimano mali gravissimi e propriissim i, e che si trascurano come niente sieno per nuo cerne ; ' questi sono per me li pi, formidabili, e tali che se presto non si riparano saran causa della tur bolenza ultima e eUa rovina, della repubblica, lo parlo della inobbedieriza del popolo nel .seguire i co mandi de' consoli, parlo della durezza nostra contro gP indocili, ed i licenziosi. Io penso che ora non dobbiamo ad altro attendere se non come si tolgano questi mali dalla citt , e come unanimi tutti gover niamo la pubbliche cose, anteponendole alle private.

LIB R O VI.

'imperocch sa rndasi conisorde, lla basta la nostra Jbrza a produrre la salvetza degli amici ^ come la costemaone de' nemici : laddove se discorda , come ora, non potr niuna di queslb cose ottnerci. A nzi io sar meravigliato se non ci desola, porge ai nejhici facilissima la vittoria : ciocch deV, e Give n attesto e gli altri N um i, succederci quanto prima, s cos proseguiamo. XXXVI. Noi siamo scissi, cotne i>edete, dellanica nostra citt due ne son fa tte , /' una signoreg* giata dd poveri e dalla necessit , t (dira dala opu-* lenza e dal fasto ; n pi rimane in alcuna di queste non la verecondia, non t ordine ^ non la giustizia i le quali son la salute di ogni repubblica. Noi siamo a tal punto > che riscotiamo i nostri diritti colla forza-, e poniamo come le fiere la massima giustizia netta massima violenza, anzi vogliosi di perdere t inifnico colla nostra rovina che di assicurare noi stessi, ope rando la salvezza di quello. Ora io vi scongiuro che a ci vivamente provvediate, convocandoci a bello studio un Senato , poich dimesso avrete gli amba-^ sciadorit A questi poi ecco ci che di presente cotiSigliovi che si risponda. Dicasi ai Volsci che richie dono ciocch abbiamo conquistato colle armi ^ e che ci minacciano la gueira se non li secondiamo ^ che noi Romafii crediamo possidenze bonissime e giustissime quelle che abbiamo ottenute colla guerra e co' trattati^ e che mai soffriremo rendendole a chi non seppe di-^ fnderle, che il frutto periscaci della nostra virtii pef la nostra stoltezza. Dicasi che noi combatteremo iri

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D EL L E

a n t i c h i t R OMANE

comune per tramandarle ai posteri nosUri ; c cfce noi taremmo i nemici di noi medesimi se di nostro volere ce ne privassimo. Quanto d Latini, lodiamone la be^ nevoleiza, rialziamone lo spirito, convincendoli che se ci restart fe d e li, mai gli abbandoneremo in qua lunque sciagura si trovasser per noi : mandiamo loro quanto prima forze sufficienti da respingere V inimico. Queste sono le risposte che io reputo le pi giuste e le pi convenienti. Partiti poi gli ambasciadori ten gasi domanii e non pi tardi, il Senato intorno ai anulti della citt.^ XXXVII. Avendo Largio cod detto, ed essendone da tutti encomiato; gli ambasoiador ne ebbero la risppsia, e partirono. Nel giorno appresto i conaoli riunito il Senato proposero che si considerasse, come fesse d -riparare ai torbidi interni. Ed interrogato il primo sa ci Publio^ Virginio , uomo popolare, venne a tal meszo , e disse : Siccome il popolo n elt anno antecedente dimostr prontezza pienissima a combattere per la patria , opponendosi con noi ai Fblsci ed agli A runci che venivano con esercito poderoso , cos penso che tutti quelli che si unirono e guerreggiarono allora con noi debbano aggraziarsi, e che non debbano i creditori tenersene in niun modo le persone o le robbe. E penso esser giusto che ci si pratichi verso de padri loro fino agli avi , come verso de' figli fino al nipoti. Cadano poi g^i altri in bclia de prestatori come obbligaronsi pe contratti. Dopo ci Tito Largio soggiunse : Ed a me sembra o Padri Coscritti savis. sima cosa che ' assolvasi dai debiti per coruratto il

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popolo tutto ; nn que foli che buoni pet le guerre ci ai mostrarono* E questa V unica via da rendere alla citt la concordia. Quindi fintosi in mezzo Appio Gkudip j colui che tenne il consolato l'anno precedente disse : XXXVIII. Quante volte o Padri Coscritti si intra* dotto il i^scorso su questo , sempre io sono stato deir avviso medesimo:che non , appaghisi il popoh in dimanda niuna se non legittima e buona, e che non rilascisi la disciplina di Roma : n ora mi corredo in cesa niuna di quelle dette fin da prinf cipio. Certamente il pi stolto sarei de'mortali y se io che console nelt anno scorso con un collega il quale brigava , pravocavami il popolo cenirario, re* sistetti e perseverai nel mio parere, mai ripiegando^ mene per paura o pref^iere n per aderenze, or privato abbassassi me stesso e tradissi la libert che qui abbiamo del dire. Sia che vogliate la franchigia deir animo mio nominarla generosit, sia die pervidacia, non cesser finch vivo dal tenere per bene ciocch bene mi parve , n mai conceder la remis sione dei debiti, an liberissimo coiUraddir quanti la vogliOn concedere. Osservo che ogni male , ogni guasto , e per dirla in breve , ogni roiHna della citt comincia rilascio dei debiti. ^ sia che ali creda che io ci dico per avvedimene > si , per D io, che per entusiasmo , o per dltra cagione qualunque, io che non cerco la sicurezza propria ma la pubblica^ lascier che altri di me senta come vuole. Opporrommi per quanto posso a chi tenta introdurre mutazioni ^

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aliene dalla patria. N o , non escludono questi tempi i debiti: ma dico che il grande, che V unico rimedio contro la sedizione scegliere ben tosto un dittatore, che indipendente astringa il Senato ed il < popolo a fare il suo meglio, jiltro fine non veggo a tanti medi. ' XXXIX. vend Appio co^ detto, ed acclamando velo strepitosamente i giovani, quasi egli desse il ben della patria; Servilio ed altri seniori sorsero per con traddirlo : furono per soprafitt' da gtovani cbe erano venuti preparati ed insistevano con forza grande; tan toch prevalse infine la sentenza di Appio. Dopo ci li consoli, sebbene i pi volessero Appio per dittatore, come r unico da por fieno alle sedizioni, pure lo esclutetro di concerto, ed elessero Marco Valerio fratello di Pubblio gi primo console , uomo anziano e popolaris simo di credito, persuasi che a lui basterebbe la terri bilit della sua carica; e che si abbisognasse pi che tutto di un uomo placido, perch non si facessero delle innovazioni (i). XL. Valerio investito della sua dignit, e scelto per maest^ de'cavalieri Quinto Servilio fratello di Servi lio , collega di Appio nel consolato ; ordin che il po polo si radnnasse a parlamento. E radunatovisi allora la prima volta ed in gran. molUtudine, da che guidato all' armata erasi poi scisso manifestamente al dimettersi di Servilio dai magistrato ; Valerio ascese in ringhiera e
(i) Questo Valerio nel 13 del libro presente si dice ucciso iu battaglia ; ed ora si descrire come dittatore. Vedi la noi* al S la citalo. . \

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disse: Sappiamo 0 attdini che sempre di vostro buon grado hanno a voi comndato alcuni della stirpe dei y a te rj , da' quali liberati dalla dura tirannide , non Jbste mai rigettati nelle oneste domande, n temeste violenza ; affidandovi a quelli che sembravano sono poplrissimi infra tutti. Pertanto non io qui parlo, quasi voi abbisognate di essere illuminati che ntd convalidremo al .popolo la libert la quale gli ab biamo da principio vendicato : io parlo per ammo nirvi solo brevemente affinch siate pur certi che vi manterremo quanto promettiamo. Non armette che vi deludiamo V et nostra venuta alla perfezione, e men sostiene che vi. rigiriamo , il grado supremo che abbimo , e finalmente dobbiamo pur , vivere f avanzo dei nostri giorni tra voi per iscontapvela se parremo di avervi abusati. Io tralascio per queste cose giac ch non ahbisogncmo di molto discorso tra voi che. le conoscete. Ma ci che avendo voi sopporta dagli a ltri, pormi che dobbiate ragionevolmente temerlo da tutti f nel vedere che sempre il console che v invitava contro i nemici, prmetteavi dal Senato, senza mantenervele, mai , ' le cose , per voi necessarie ; questo io vi comincer che rvon. dovete di nie sospettarlo , pYineipalmente per tali due argomenti : prima perch a .deludervi in tal modo mai sarebbesi il Senato abu sato di me.che amantissimo sono, del popolo., aven^ done altri pi acconci : e poi perch non mi avrebbe mai condecorato della dittatura per la quale io posso concedervi anche senza di lui ciocch il vostro megli ini sembra. '

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DELLE

a n t ic h it

romane

XLL, Non crediate che io dia memo al Sentito per ingannrvi, n che io consultando con esso vinsidii. E se voi cos giudicate; fa te ciocch pi v q l^ di m e, come del pi scellerata trcmortali. Ma liberate^ datemi udienza, da tale sospetto gli animi vostri : ripiegate la collera dagli amici su vostri nemici cAe vengono per levarvi la patria, c per /a re voi schiavi di liberi, sollecitandosi a premervi con tutti i mali , riputati gravissimi dagli uominL Gi non lontani si dicono dalle nostre campagne. Srgete , accingetevi, mostrate lof'o che la milizia Romana in discordia j assai pi vale della loro , tutta unanime. Se presi noi tutti da un ardore, piomberemo su: loro ; o non ci aspetteranno , o prenderanno le pene degne delV audacia loro. Considerate che i nemici che a voi portano la guerra sono i Folsci, sono i Sabini, quelli che tante volte avete combattuti e vinti : e che non ora han fatto pi grande il corpo, n pi oneroso di prima il cuore ; ma che ben altro s lo hanno } tuttch ci disprezzino per le patria gare. Quando avrete punii V inimico, io vi pmmetto che il Senato dar buon fine alle vostre contese pe debiti, ed alle, oneste dimande secondo la virt che mostrerete nella guerra. Intanto libere siano le sostanze, libere la persone, libera la fam a de cittadini Romani dalieazioni de prestiti, e di ogni altro contratto. Per quelli poi che combtter, con impegno bellissima cororta fia la patria ridinszata, luminosa la t r i a tra coni-, pagni, e pari la nostra ricompensa a vivificar le fa-, miglie, e magnificarne cogli onori la stirpe. Siavi

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esempio , ve n ' esifrto, V ardor m h vers pericoli: io stesso come uno combeuter de pi robusti tra voi. XLIt. Ucll tali detti, consolandosi il popolo come quello che non pi& sarebbe ddnso, promise di arrlarsi per la guerra; Sen fecro dieci corpi militari, ciascuno di quattromila uoiini (i). Prese ogni console tre. di qaesti corpi con quanta cavalleria gli Ai compartita. Il dittatore prese gli altri quattro col resto de'cavalli. Ed apparecchiatisi ben tosto, marciarono a gran fretta Tito Yeturio contro gli Equi, Aulo Yerginio contro i Voisci, ed il dittatore Valerio contro de'Sabini; rimanendo a guardia della citt Tito Largio co' pi vecchi, e con piccolo corpo di giovani. La guerra co' Yolsci ebbe prontissima risolutione : imperocch necessitati a com battere , pensando gli antichi m^li, e come aveano mi* lizia pi numerosa, piombarono i prim i, >anzi pronti che savj, su Romani, appena si videro accampati, gli uni dirimpetto degli altri. AttaccaUsi vivissima la batta glia , fecero molte magnanime cose ; ma scontrandone ancor pi terribili, fuggirono finalmente. Il loro campo fu preso, e Yelletri loro citt principale fu ridotta per assedio. Lo spirito poi de'Sabini fu invilito ancor esso in brevissimo tempo, essendosi 1' una e l ' altra parte deliberata a campale battaglia. Dopo ri la campagna (il saccheggiata , e presi alcuni villaggi, ove i soldati acquistarono schiavi e roba in copik GU Equi alludire la fine de compagni, riflettendo la propria debolezza
( i ) Ah. di Roma a6o econdo C atone, a6a econdo Varrsne, v. C risto. ,

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si jnisero su luoghi forti ; e ritirandosi alla meglio per le cime di monti e balze presero tempo e mantennera alcun poco la guerra. Non per poterono ricondurre illeso l'esercito, perch sopravvenendo i Romani ardi tissimamente su pe'dirupi; ne espugnarono a forza il campo. ' Dond' che fuggirono dalle terre de' Latini, e le <;itt si ridiedero colla facilit, colla quale erano gi state prese al giungere del nemico. Alcnue ^er furono espugnate , non cedendone le ^ rg ig io n i ostinate il comando. XLIII. Riuscitagli la guerra-secondo il disegno, Va< lecio trionf, com' era l'uso, per la vittoria, e conged la milizia , quantunque non paressene al Senato tempo ancora, affinch i poveri ncm esigessero le promesse. Quindi a diminuire la sedizione in Roma, scelse al quanti di questi, e li mand nelle terre acquistate colle arme e lolle ai Volsci, pertih le possedessero , e le presidiassero. Ci fiitto chiese ai Padri che avendo avuto il popolo tanto pronto a combattere , gU osservassero le promesse. Non per davano questi udienza, ma si op ponevano come dianzi all' intento ; perch li giovani e pi violenti e pi numerosi tra loro, fatto partito, brigavano ancora in contrario, e chiamavano con alta voce la prosapia di lui adulatrice del popolo , e conducitrce alle ree leggi, tanto care ai Valerj su le du> iianze sutribunali; malignando che aveano con queste annientato tutto il .potere de* patrizj (i). Esacerbatone
(i) Allude alla l egge falla da Valerio 1 anno a47 di R oma se condo CatoBe , cella quale davasi ad un privalo il dirillo di ap-' peliate al popolo dai magistrati che lo arcano condannalo.. Vedi 1. 5, s ig .

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molto Valerio , e dolutosi come se caIaialo a torto patisse pel popolo, compianse il vicino fio d'essi che cos consigliavano : e com ' verisimile nel suo caso , presagendo loro pi cose, altre per passione, altre per inteo^mento maggiore degli altri, s'invol dalla Curia, e convocato il popolo disse : Cittadini, dovendovi io piena riconoscenza per, la .prontezza colla tfuale mi vi deste per la guerra f pi. per la virtii la quale dimostraste in combattere ; io molto mi adoperai perch foste voi ricompensati con ogni modo , princi palmente col non essere delusi nelle promesse che io vi feci a nome de Padri, quando fili scelto con^ sigliero ed arbitro di ambe le parti onde ridurvi al lora scissi, a concordia. Nondimeno ora sono impe^ dito di soddisfarvi da uomini che non mirano il bene dell comune ma solo il proprio, almen di presente. Questi prvalendo di numero prevagliono con una potenza che ad essi la giovent, concede pi. che la perizia degli affari. Ed io sono vecchio come vedete e vecchi pur sono i miei compagni buoni solo nel consigliare, ed invalidi per eseguire, e la provvidenza su la repbblica sembra ridotta propriamente a que sto , che r una parte pregiudichi V altra. Io sembro al Senato un vostro fautore, e vi mi accusate come benevolo troppo verso del Senato. XLIV. Se il popolo innanzi carezzato da me fosse venuto meno alle promesse del Senato, ' sca-ebbe la giustificazione m ia, che voi siete i mancatori, e non io. Ora per non mantenendosi i patti dal Senato, mi necessario dichiarare che senza mia parte

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quanta patite , e che io medesimo sono come voi, anzi pi di voi, circonvenuto e deluso. Imperocch non solo io sono offeso con ingiuria a tutti, comune, ma in ispecie con quante mormorazioni di me vanno facendo. Di me si mormora che io per fa r t utile deprivati dispensai senza il voto del Senato apoveri tra voi le spoglie prese nella guerra ; che io rendei del popolo ciocch era di tu tti, e' che per impedire che il Senato vi malmenasse, licenziai, ripugnandovi la i, la milizia che dovea tenersi ancora nelle terre nemiche fra le marce, e i travagli. M i si rimprovera la spedizion de coloni nella regione de F'olsci, per- ch ho io compartito una terra ampia e buona a po^ veri tra voi, piuttosto che donarla tipatrizj ed a ca valieri. Soprattutto mi si provoca indignazione mollis sima perch io nel fa re la leva ho assunto piii che quattrocento de vostri Ira cavalieri ; dond che ricchi ne son divenuti. Se ci mi avveniva quando fiorivano gli anni, ben avrei insegnato cofa tti a nemici, qual uomo as>essero vilipeso. Ora essendo io piti che seituagenewio, invalido a provedere fino a me stesso, e veggendo che non pi la vostra sedizione pu da me racchetarsi; rinunzio la dittatura: e chi vuole , io gUel concedo , faccia di me come giudica ^ se credesi comunque da me danneggialo. XLY. Inteaerironii tutti a que'detti e gli fecero se guito quando parli dal Foro. Ma questo appunto esa sper contro lui li senatori : e ben tosto ebbe tali con seguenze. 1 poreri non pi eelatamente n di notte , come per addietro, ma pubblicissimamente riunivansi, e

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tntlavaao di .scmdars|da'patrnj. Il Senato, disegnando iiDj^edirneli, ^cd ordine ai consli di non dimetter r serito. Gertamente en n questi arbitri ancora >ddlle recinte , coiaei sacre: pe' ligami de' giiwainenti miliiari. E per ^ sti vinc^ niuno attentavan di. abbondonarne le insegne ; tianto la r;vrnza pota de' gim-amenti ! Alle-* garasi per titolo dellft rtutuone, he gli Equi e li Sa bini ransi. eonvenati per la guerra bntro de' Romani. Ora essendo'i ^onso& asciti colie scfaitfce d essradosi accampati nn iontmii 1 * uno daU' altro , i soldati rado* naronl'tutti in vi luogo colle arme , e per istigAzione di nn tal Sicinio Belliito se ne ribellron ; ^pro{ando le inwgne , coie tra'Romani OBvatissiine e santey eonae sitnulacvi ,di Nomi (i). E creatisi nooti centurioni^ ed un capo in Scinio Belluto; occuparono non lontano da Roma presso I'niepe un aionte cae sacro si chia ma fin da q u ^ ^oca. Pregando, s^iirando , prometT tendo , li ricbiamawMi o i consoli ed .i entrioni; ma Sicinio rpKo: Qudti Jhre 'i vostro o JPatrisj che ora vogliale rkkihmare tjueUi die avete espulso dalla ptria, e che di liheri gli avete seguavi rvnduli ? Con qucd credito mai ci assicurerete l& promesse , le quali siete rimproverati di aver tante volte tradito ? Piutto^ sto , poich volete in citt, soli, aver tutto; ondale; abbiateveU : non vi angustiate pe bisognosi, e pe miseri. Per noi sar' buona ogni terra; e qualunque ne terremo per patria j soloh vi si abbia la libert. ^ XLYI. Atmoiiziatesi tali cose in Rom a, tutto vi fu
(i) An. di Aoma aSo secondo Catoue, a6a secondo Varrone e 493 *; CrislQ.

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

romore e piaato : e f correva il ' popoloV inteato a :la-, sciar la citt, qna'li patrzj che voleano alienarne|i , colla'forza aocoira ^.se ricusavano. Soprattutto eravi d a-' more e pianto alle prte; ed ingiurie vi si fitcevano, come tra'nem ici, con parole e con opere , nioa pi& riverendo n ia et, n l ' amicizia, n la ^biia della* virt. Non potendo per, come scarsi, i sldati di guar dia destinativi dal Senato custodii^: le uscite, le ablndonaron, soprafTatti dalla moltiludSoei Allora versando-^ sene fuoni gran popolo; parea lo apeuacolo, come la citt fosse presa. Gemeano, si rimproveravano quelli die restavano, Vedend che desolavasil Dopo ci si fecero molte ' consultazioni ; si accusaro^io gli autori della separazione; ed inUnto correano li nemici , depredando la campagna , fino a Roma. Li fuorusciti presero' i >viveri necessari dalle terre intorno , n punto pi le danneg giarono. Tenendosi in campo ' aperto accglievano quanti venivano da Roma , o da' castelli intorno ; tanto che ne divennero ' numerosi ; perciocch vi conoorrOTano , non solamente quelli che voleano levarsi dai debiti, dai giudizj, e da altre angustie imminenti, ma tutti eziandio gl infingardi, gli oziosi, i malcontnti; quelli che in malfar si emulavano, che invidiavano lalurui ben essere, o che per altri m a liie cause comnque, discordavano dal governo. , XLVII. Adunque si eccit ne' patmj trbazione , ed angustia grande , e paUra, come se li. fuorusciti e li ne mici stranieri fossero per venire quanto prima contro di Roma. P oi, quasi tutti ad un segno, prendendo coi loro clienti le arm i, altri corsero alle strade donde pen^

XJJJIO VI.

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sav^no gj'ipiftici , allri; ai cwieUt .pec difi^qderpe^ ,i, p o ^ Jot|i.,,.td altri i <M mp iaaasi V Ciil4 pw #>qi^l iefcjs per k VMchiaja qqa poieKjoo ^ nUa 4i sjd, fwop ^R<ribu(U pw le twiai, Mppwo^^h^ i JUoWseiii n vi uiyai^ coi Mniigf ,1 l* ftWpagntii, sriaQfiano at> ir i^Dsi4?Bjt)ife, r8pirw,otto >4U pfmn: e mu^ lato pensiero , ^^pazniwpQRCh C9fit$t .si,ncp|giijiiBer. Sug^ I r o q o i capi. d^l, S4i^to.>in(i 4i' goii^gafetre , din veFn^,pei:,la, pi4 fru t gi flaiwnj wggevMmP i pii^ iw, W^telBap^.^ flettere, il pppolo, w f r a separtUfi .hf>^ p4v malizia,g n^q in fprjfp. . de' prqpfj ynqlii ^ ,q . ^elh ipfihmesse non mantenutegli, e che aveacosi risoHQ.lur file ^uo pimLtqfia irq Ifij^U efa che tra M calpta della ragione, vi^o. uqrififptOi^nfiila ignprantfi. A ggu^vs^sp die i pi di .gutftf aiCr^ mfU de^be^ rato , e cercc^fi^ .ftmi^n^^fei^ , *?, ,i( biit^n punto ne avessero :, che . gi ^a.n {e ,opere coflte ,d i chi si pente : e che vplep^eri^ ftrner^hb^o n^Ua palrin 9p potessero au^urif^is^ uji,,(f^yemxe ifelife , 4ando loro il Serialp perdano f e poQ!^ decorosa. Ij me^o a (^]i coijLsig^, suppUf]FDO) c;Ae essi che erano C,grandi non tentiiser, la ir^ pifi c^e im im ri: n differissero stolti ^ ricancilifiiji .(fflor quif4o fysserQ .necessitati -a far ^(tnp f .euract U ntali? , piii ,j^ o lo . col pi grande v]ipl: dr y.,qiutn{h. apfpMero p cadere hs armi, e le perr sone , e toglieffi da Si stessi la. UbeM: cose tulle quasi impofdbiU. a ju rfi. Usassero moderazione proJOiP'fflGI, tomo I f . ^ ij

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ponessero i prni gF utili consigli, e la riunione, at^verlendo che se et' proprio depatrizf omandare e dirigere; era propria ncora, de buoni tamlcizi e la pace. Mostilavano che la dignit del Shlo non mi norasi quando provede alla siurezza col sop>prtar pazientemente le perdite necessarie ; ma quando opponesi tanto ostinatamente alla sorte che la repub blica ne rovini : gli stolli trascurare la sicurezza per amor del decoro : ben essere da cetvare ambedue queste cose : ma dove sia d cedere t una f d lira y doversi la salvezza riputare pi rtedessaria. Eht l'intent di coBsigKer che si mandasse a faorascit per trattar della pace aoa altrimeate che se la colpa loro non fosse insanabile. JtLVIII. Piacque cos appunto al Senato : e scblti per sonaggi acconcissimi, li d ir e ^ a quelli che erano in campo con- ordine d'intenderne i bisogni e le eondikioni colle quali Tolbssero in citt rtmare ; perciocch se fossero discrete e fttibili, il Scibato non l rigette rebbe: intanto se dep^onissero t arme, e trnassero in Roma , promettea loro prdono e dimnticana perpe tua di tutto il passato : come blle ed utili le ricom pense chi servisse valroso, ed affrontasse ardente mente i percoli per la ptr.'Rcarono gli oratri comunicarono tali voleri al campo, aggiungendovi cose .consentanee. Non accettarono i fUbrusciti J invito : anzi rimproverarono a' patrizj 1 orgogli*, la dhtezza , le si mulazioni loro perch fingvno inorare i bisgni del popolo, e quelli pe' quali si era-tepr^o. C i assolvono, diceano, da ogni pena per la ribellione, come fossero

LIBRO VK

aSg

i ^a^rqnk es eike ^ b o g ^ m ' dell ofuio nostro. Q wii^o sii,'or>o., e t<tr tra non tioUo, con tull^ (e forze U nemio9 ; non .potr,tmn0. ideare nemTftfn Jp fguqrq cantr ssoty e pur t>ogUon 'far cre dere che non, sift. h^nei Ifiro J^sser difesi { rriafelicit cAj si ,u4iMc^. ^:<^j^nier/ir .^Agjgi|an8erQ a t^l^ire che se .v ^ e fi( ^ \gi le ai/gUstie Roma ; comprendreh^ ^ffrp,,poi rnf^liq.^f!on qm u nemici avessero a guerreg giar^,:, e qn i^ia^ccur(i%Q taoltQ e veemeiitetneaie. Non ^ n tra d 4 isirro a ci, ma |wrUnHio> e dichiararono i legati a'p^Ite) le riaiposte d .sfigrejgatl : e Roma, uditele, se ne mrb^ e \tentffUe p ir iche per addietro. II. Senato non, s^peado cdme e ^ d in i : o- differire , si disci(4se , dopo avere pj gioriu ascoltale le iofamazioni e le ac> cuse vipeadevrfi de' uoi capi, fra loro. Il popolo rimasto in Romf^ p er.hepievolenza verso de' patrizi, o per de* siderip. della patria pi non somiglii^va sestesso; dUe g u a^ o ^ n e gran parte <pascostament^ o in pubblico , n, sembrandpne il r ^ o affatto pi stabile. Fra tali vi> cende i conspli, a,vendo ppcp pi tempo per coman dare , fi^cpQO ' U giorno pe' comizj. . XLXIX. Venuto U .tempo nel quale aveansi a riunire .nei campo Marzo e scegliere i proprj^magistrati; niuno ambiva, n rostenea di esser consolo. Aduque nella Olinipiade setUntsio^a seconda nella qi^ale Tisicrate da Crotone vinse allo stadio, essendo arconte in Atene Diogneto ; il popolo rielesse al consolato due vecchi consoli Postumio Cpminio e Spurio Cassio, uomini cari alla moltitudine ed ai grandi, da quali gi domati i Sabini aveano lasciato di competere dell* impero con

's a f t o

D E L L E A l f T i c m 'r r o m a n e

hm. 0 f{uT'riMttMid 'tt grado aH !ttdl i d l |> rii8 a'trfM eW p tt c to b rttttf 'ili -onstoli , cOpvOJh-AW J n tito ii W ov f S h ^ t -pw ^ibfflpirvi' sul rVoi-na el 'popolo dliie^"il jt e r ^ di tutti ; itivitarcmd ninht Agrippa " , 'lionto aflora wnePbila p*'ei4itkfdiitd piftckfe il* Hfi tosigner iti pfudetizh e'4dit>'p^kplMhf' pr l -apeittt '^ ' suoi pei^b lteitk.t 'Vni!:to' iitt ibfeatmdo> r anrogafizft' obili -, n thsdb^ ch il popolo opemSM' taHd A Mt> Ittltio. Di' questi sortanlo il Senato alla rlcOn6iliaztOae, disjCr ; S '^Unti qui starn o Padri CostrUti )fiys!^rHp titti di M nimo ^ se niarto si opponesse a fetr pftCe tot poph , cmurt^ ijue la fM essim o, pet gitist& p&t ingiusti ioiidixhni ; se questo fosse preposto unicamgnt& a discu>tere ; dichiarerei con poche parole ci cp rie penso. Ma perciocch alcuni giudicno che im da ponderare ancora se forse riesca pi ktite fa r'g uert^ etfitoru^ setti; non credo che io possa irt pco insinuare ci che dee farsi: ma sento U bisogno t istruir ampia mente su la pace quanti tra voi ne discordano. Im perocch questi conducono a cose tofitraddiltrie ; spa ventano voi , che gi ne tempie , su mali da nulla o lievi a curarsi, e trascurano gl immedicabili e gravi. Certamente cosi propongono perch non decdano delr utile colla ragione, ma eoi furore e coll' 'impeto. come si direbbe che essi provvedono te cose proficue, a fattibili cdmeno , quando stimano che Rom a, un
( i) Anni di Roma a6i secondo Catone , i63 secondo V a rro n e ,e

491 avanti Cristo.

E lM O

V ;

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ia i , ed 'mbitiw d i\ tme ^gtiti 'r'e^'gA'in vdia 'w'tt / r t^ r i e difttr ftti' feteUti^ni s^m it- sxki\ popolo ^ eke possa tugo so^Mtai Mrt>dtitf^ tUtri} pOpolo che pel*-ii'C&^bMt' il' ptifmipatO :' c h f i ' U i sia di huOn aecrd ''ili la t^piSMki^' e Sf)thp^m&drato f pace ed in gt^rta ? ppur iii ^altro'pmre&on diii>i /ffii cki -trmiio dissiidnn dalla, pac. ' L. ''Md qUal' si la itolia' M ijUeste^ os, vorf^ 'k&^i^oi 'sless'i h deid&s^ d^t op^tg. Considerme, ch' atienalisi d vi ti pik poveri pefch abusaste dUci ibr bifbliciti sent^ lAodstia e' senta poltica , e chg matisi appena-fkoti deit citt seta farvi o mcchia rtM Uto' mate , cl slo intento di averne una pace Hrt ingloriosa , ttiolti de' wstri nemici abbracciarono t^n trasport questa Otasi0n come dorio della sorter, fi lid i lo spiHt\, rdonO veftut per lro fihaU Me^th' li terrtp fetie d bttere W votro impeto. GU qi, t Vlsci, i Sabini, gli Erttici, <ftiesti che mai ai alienano dd f^d i la giterr , esasperali ora dalle sconfitte recenti., git- devastano le nostre cantpagn. ^ lie ' Camparti, que' T^reni che vacilAavano nella no stra soggezione o'^ pe&te f abbandonano manifesta^ trt&file, pai^e ih occulto vi si preparano. E gli stesfi Liini, qttaftttnque itostri congiunti, a me non semfrrt procedere di httona fe d e , costanti heWamicizia; ma odo che gtiasti Sorto ift gran namero per amore d i icn cambiamento , che tanl gli uomini alletta. Noi eh bMamo fin qui portato in campo aperto la gue&a S i i gli altri; noi ci stiamo or qui dentro, difensori

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

dtlle m w ai'im cim de. snza srmnoKli. inostri Utrnenii anzi vedendoti- Mfi.cheg^iMi 4 .kiUaggi, via levale le prede, e fUggirsBiifi di per, iistem >gli' ScJUiu>iy s^ma che etbhiamci . r^ ^ j tqnti jnali,. Nfitn pei%anta noi t^tlo soffriamg, p^reM sperm i^ Accora Jl p o p ^ ci si riconcilj , hen sapendosele :da,\.noi,4ipnde,,H i^ te re . con un. solo 4ecreto ;ki sedi^done. LI. Ma f 0. pssirno lo slitto^ nosltn^ in campagna ; non meno fujte^ep e temkHe ^e^tro' h-mfiFO" ^ o i non ci siamo apparecch^i .gi da'gr^n tempo g per un assedio, n^^ iaitiamq di ni^n^ero c o n ^ U i^ nemici. La nostra genie , poca^ n da guerra, e pir ic a per gran parte^ n^rcenarj , cUfiati, artefici, cu stodi non. affatto, faifli deilo steOo turbato degli Q tfimali : e le continue loro diserzioni verso de'fuorusciti ce li hanno renduti tutti sospetti. Soprattutto essendo le nostre campagne dominate , d ^ nemici, ed impos^i-m bilitato il trasporto de viveri ; abbiamo a t^mer di una fam e : e quando. a tal disagio saremo ; tanto pi ci spaventer la guerra, la quale senza, questo ancora non concede mai calma allo spirito.. Quello poi che supera tutti i mali vedere le d o n ^ dei segregati, v^ere i teneri fig li, i padri cadenti , che squallidi e miserandi si rigiran pel Porose per le v ie , che pian gono e supplicano e stringono a ciascuno la destra e i ginocchi, e deplorano la solitudine loro presente e pit oficpr la fu tura, spettacolo in v?ro desolante ed insopportabile ! Niuno si barbaro che non s inte nerisca a mirarlo , e non si appassioni sul destino de gli uomini. Che se abbiamo a diffidar su plebei ; do-

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^rem rimvrhe g t individui, altri torrte 'inutili nelF'assedio , d altri come rtiici non saldi. Or se questi rimovjisi i qtud forza rimane in guardia di Roma ? o da qul soctot's nitnli cB"dinsino star contro dei niati ?, 'unico nostro rifugio , f unica nostra buona spf^nza la giovent patrizia : ma poca come vedete eli qtiHit, n bastante a darci i grandiosi disegni. Che dunque im p a z z ii , quei che propongon la guer ra, perch mai ci deludono, e non consigliano piut'tsto di cedere fin da ra seHz' angustie, e senza sangue Roma ai timi^i ? . LIl. M forse io ci dicendo son cieco, e predico per terribili, cose che non son da temere. Roma non corre altro rischio che di un cambiamento, cosa certo TtoH difficHe ; potendovisi facilissimamente introdurre mercenari ^ clienti in epia da gni genie e luogo. Cos van divulgando molti de contrarj al popolo, uo mini , viva Dio non dispregievoU. A tanta' stOtezz Vengono alcuni ; che non propongono gi consigli saitvoli, ma dsiderj impossibili I Ora io volentieri dimanderei questi uomini quale tempo mai ne si dia per far tali cose, essendone tanto vicini i nemici : qucde condiscendenza atC indugio o al ritard di giugnfe degli alleati in mezzo a mali che nOh temporeggiano , n aspettano? Qual uomo, o qual Dio mai vi ' terr sicuri, o congregher da ogni luogo in gran calma , e qui ei porter de sussidj ? Inoltre e quali mai srah quelli che lasceranno^ la patria per venir sene a noi ? ' Quelli forse che hanno case e Dii Lari e viveri ed onori tra proprj cittadini per la nobilt

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DELLE

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ROMANE

degli anlendti, o qulU chs pfir Ict, ^h /ia tiifilfitii4oao) de ptvprj mariti F E c(ti mai . sosterrebbe/d donare i prQprj vqmtfiodi,, e pftrtficipgr^ mi^nte i medi . altrui ? JSppur^ ^ noi .iii vert^.bbe .f^ ^ per diviate con noi Itf pace e le deU!f9.,-fim lagu^rf!^ e i p^ricoU y , ft 'q m sti in a ili , se a b^ne riescano ! Convocheretno forse mia turba, qU(il ffi quella rigete tetta da noi, plebea e senza Uui? Ben ^ chiaro pe disagi suoi, io dQ.0 ptr debiti, per le penalit, fi per. eaufe altreiiali prmder4 vfthnti^rifdipa dovunque una sede: ma sebbene questa pU(lfe siaiMile, e ,( per concederle . questo ancora ) sebbene sia modetma ; tuttavia ci riuscir gteeralmente , assai m^Ho buona della nostra , percJi non nata tra noi, n copip^toi disciplinata, e perch ignora i rtQslri costum i,Jeno^ sire leggi, e le nosu-e maniere. . LUI. Quanto alla plebe nostra san pure qui o s ta ^ ira noi, i figli, le mogli, i genitori, e tante t^pre per-: sone che h f^partengono ; e l'amore , viva Dio , della, t^rrct, die gli lia nudriti n a t^ri^ in fa tti, ed indei^, lebile. Ma una plebe sop^acchiamata , plebe qui ricoverata se tra noi si domicUU, tal che non abbia qui r\im;iQ' dfi beni indicati ; per ifual fine mai correr tra pericoli , se niuno le pi^mi^tta. una^parhe.4^lle terre e della, citt, spogliandone chi le possiede ^ quando non abbiamo voluto con^^defle a nostri cit-, ^ i n i i quali guerreggiarono tante , volte per, co^qu^r starle? Che s, die forse n o n ,sar, contenta.!^ questo solo ; ma yprr partecipare al paro de' p a trizj, gli onori, li magistrati , \ed ogni bene. Or se in ci

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che <ihiede non la secondiamo ; ne ^diviene inimica; ma se io: secoridimo } addio patria, aeUio governo ! gli aunvw 'colle mani nostre med&sinie rovesciati. A que sto agpungo che noi di presente abbiamo bisogno di uomini atti alla guerra, non di coltivfOorif n di mer cenari , n di mercadaati, n di fai>bri, oziasi tra le arti loro , a quali uopo insegnare le cpfe mi litari, e la sperienza di quest ; diJj^HissUna ,pfir chi non vi .fu costumato. Eppure tali per necessit sa^ reibero, quelli, che qua da tutte le gefiti verrebbono, ed. unieebbotisi. Certo io non vedo che a noi si pre sentino truppe co\federate, n , se a noi fuori della speranti si preseroassro , vi ^esorterei che qui le ri.ceveste, dopo tante citt so^ogate ^ milizie alleate, iatrodoUeyi po' difenderle. LIV. Considerando voi dunque queste e le cose dette dianzi j ricordatevi ancora in grazia di chi vi ammonisce alla pace, che non qui la prima ed unica volta si scissa la povert dai ricchi, n la igno. biiit dai nobili ^ ma che la ntoUitudine per lo pi tumultua contro de pochi in tutte per cos dire le citt .picciole.e grandi: che in queste i capi, del comune salvarono, colla moderazione la patria, ma colla ostinzione rovinarono sestessi e tutti i buoni : che ogni cosa composta da pi parti sconciasi naturalmente in alcuna :.\ che inoltre c^m noti sempre ne corpi umani dee recidersi ogni parte che infermasi ; perch brutto diverrebbe V aspetto , n,molto durevole il complesso delle altre cos non dee troncarsi dalla repubblica ogni. n\embro che le, si vizia, perch alfine mancheD i o m a i , Itm o I I . i;*

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rebha tatto il suo corpo instane co' membri. ,Consi^ derando injtte quanta sia la forza della necessit alla quale sla cedono anche gli )ei, non vi sdegnai colla sorte, n vi ostinate, n insanite quasi vadavi W to a seconda : ma piegatevi e condiscendete prenn. derido esempio della iella risoluzione da! fia ti della patria , non delie genti. LV. S i gloriino, egli ben giusto, il cittadino, come la intera citt per V egregie loro ef/oni, ma in^ sieme provvedano come pur le future a queste corri spondano. Voi tenendo nelle mani k ^n id nemici che tanto vi aveano alloggiato , non voleste n distrag-, gerii n cacciarli da loro poderi ; ma consentiste che avessero le case, i heni, e le patrie ove nacquero , anzi concedeste ad alcuni di loro ch e , quanto vo i, fossero cittadini e votassero.. E qui dicasi pure V al tra pi meravigliosa delle opere vostre , cio che voi lasciaste senza pena molti de vostri che aveano gra-K vissnameme mancato contra voi, sfogando lira vo stra su capi; e sono que cittadini, appunto quelli,, che divennero poi li coloni di A n te r a , di Q-ustumero, di M edullia, cU Fidene, ed aitri in copia. Che giova infine commemorare quei tutti che voi avete assediato ed espugnato , e poi trattato discretamente e da cittadini? Nondimeno non f u Roma danneggiata o .vituperata, ma celebrasi la vostra dem enza, e niente si diminu la vostra sicurezza. D ite, voi che avete a! nemici perdonato , farete vai guerra agli amici? Voi che avete lasciati impuniti i prigionieri, voi punirete quelli che hanno insieme con voi con-

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^uistato t impero ? Voi che aprivate la vostra citt come asilo sicvaro a chiim^ug ne ahbisognat'a , avretxi il cuore di esduderne Quelli che ci nacquero , quelli <ihe furono con voi educeoi e nudrti, quelli in somma che fiiroho tante volte i vostri compagni de beni de mali in pace, ed in guerra? Ifo } se vorrete fa r IO che giusta ci che a voi si comviene, e se ciderete senta ira de vostri varOaggi. LVI. Ma dir taluno : ben dee calmarsi la sedi ^ione : noi pure il sappiamo > e ccddamente lo desi deriamo : or t piuttosto ci addita come debba ealTnarsi. Vedi pure queuOA ostinazione nei popolo,, il quale n manda A noi per ctciliarcisi esso che offensore , n porge risposte umane e ,socievoli a quelli che noi stessi gli abbiamo inviati : ma s inai* iero^ minaccia , n laida conofcere quello che w g/ja. Udite voi dunque ci che io consiglio che fa c ciasi. Io n penso il popolo irreconciliabile a noi^ n che mai fa r quanto minaccia > * dicch mi sono buon argomento le opere sue che a* detti non somim gliano. D on che io lo credo assai pi che noi sollecito di pacificarsi. Certamente noi abitiamo una patria onoratissima e teniamo in potar nostro le so stanze di lu i, le case , i genitori , tutte le cose pi preziose: ed egli si trova senza patria, senza m a-> gioni, senza i pegni suoi pi cari > e senza V bbon* danza ancora del vivere quotidiano. Che se escano m i chieda: perch mai fr a tanti patimenti egli n ac cetti gV inviati nostri j n mandi a noi per istanza m una, rispondo ci essere mmfestamente y perch

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fin qui non intese dal Senato che parole senza ve derne poi l opere o di benevolenza o di moderazione ; e perch crede di essere stato mcdte volte in gannato da noi che promettevamo di provvedere sn lu i, senza at^ervi mai provveduto. Non ci spedisce amhasciadori perch son qui tanti che ce lo accusano , e. perch teme non ottenere ci che dimanda: e forse cos gli suggerisce un ambizione non bne conside rata; n gi meraviglia. Imperocch son puire trA noi non pochi, difficili, contenziosi, i quali colle brighe loro non vogliono che cedasi punto ai contrarj, e cercano per ogni via di soprqffzttli senza mai con discendere essi i prim i, finch loro non sottomettasi chi vuole essere beneficato. Or ci considerando io penso che debbansi spedire al popolo ambasciadori, principalmente di sua corfidnza : e consiglio che questi ambasciadori siano plenipotenziarj, perch le vino la sedizione coi patti che essi terranno per giu sti , senza rimettersene al Senat. Questo popolo che ora vi pare s spregiante e grave , questo daf loro udienza , al vedere che voi cercate veramente la con cordia, e ridurrassi a condizioni piti miti^ senza chie derne alcuna vitupersa, o non fattibile. Impetocch tu tti, e specialmente i plebeiine dissidj s'infuriano con chi su toro insolentisce ; ma si ammansono con chi li blandisce. , LVII. Cosi disse Menenio; e levossene In Senato gran rom ore, parlandovi ciascuno alla stia volta. I fautori del ppolo esortvansi a vicenda' a dar tutta la InanO per ch ripatriasse, avendo per capo di questo consiglio il

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p riguardevole de patrzj. Per l'opposito quegli ottitnati die cercavano cKe nulla si alterasse 'de' coslubii della patria mal sapeano ci che avessero a fare, n volgano condiscendere; n poteaao ostinarsi. Nondimeno uomini integerrimi n caldi per l uno o 1' altro partito volgano la pace, intenti a questo di non essere assediti tra le mura. Or qui fattosi da tutti silenzio il pi anziano dei cnsoli encomi Menenio della sua generosit, stimo> land anche gli al^i a somigliarlo nella cura della re pubblica , a dir francamente ciocch ne sen tissero e compiere senza strepito ciocch sen deddesse: indi nel modo stesso cercandolo del suo piarre; chiam per nome Manio Valeno, uomo infra ttti gli ottimati ca rissimo al popoto>, e fratello aUuno di quelli che aveano Uberato Roma dai 'tiraani. LVIII. Costui levatosi in pide ricord ai Padri i suoi provvedimenti, e cmb avendo egli presagito pi volte i terribili casi avvenire , ne tennero pochissimo conto : poscia e^rt li contrari della pac*, a non dinutere ornai su la moderazione , ma solo, a vedere ( giacch non aveano permesso che si, estirpasse quand era ancor piccola) di racchetare ora, comunque ,<il pik presto , la sedizione y perch ^ trascurata j non proce desse pi oltre, e non divenisse incurabile f o presso che incurabile , e sorgente di nudi senza fine. D i chiar che le dimande del popolo non sdrebbero come per V avanii ; e pronostic che non s i .accorderebbe colle condizioni di prima insisnd per la sla re missione dei debiti, ma che vorrebbe forse ~u qual che difensore , onde tenersi illeso nell avvenire : af-

270 DKLLE a n t i c h i t ROMAN fermava che dopo introdotta la dittatura era i^enutd meno la le ^ e tutelare della libwi la quale non per* metteva o patriz^ di uccidere alcun cittadino non giu dicato , n di cederlo giudicato reo nelle numi de loro contradditori, e la quale concedeva a chi w lea V ap pello , di portare le cause al popolo da*patrizji tanto che quello si eseguisse che il popolo ne decidesse. Poco mancarvi che non fosse stata tolta al popolo tutta la potenza esercitata gi da esso ne' tempi ad~ dietro, quando non pot ottenere dal Senato per le imprese militari il trionfo a Pubblio ServiUo Prisco ^ nomo infra tutti degnissimo di quest oriore. Pertanto ben essere verisimile che il popolo cos offeso sconfortisi n abbia se non triste speranze della sua sicurezza. Non il console, non il dittatore aver potuto soccorrer il popolo, quantunque il volessero ; ansi averne par tecipate le ingiurie e V awilimento , perch studiavansi provvedere su Im. Essersi poi cospirati per im pedirli non uomini autorevolissimi fr a li patrizj, ma uomini oltraggiosi, avari, acerrimi ne rei guadagni, i quali y pe grandi prestiti a grandi usure, aveano ridotto schiavi piii de cittadini : dicea che questi facendo loro dure, orgogliose. aveano alienata tutta la plebe da pabizf ; e -che datosi per capo A p pio Claudio y odiatore della plebe , e propizio ai po chi , rimescolavano tutti- gli affari di Rotna. E se la parte savia del Senato non si contrapponesse, la repubblica pericolerete di essere schiava o distrutta. Da ultimo dichiar bea fatto valersi del parer di Menenio, e chiese che si spedisse al popolo quanto

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prima t procurassero i deputati quanto volessero la calma della sedizione : ma se il popolo non accet tava le dimanda loro, essi queUe accettassero del popolo. LIX. Sorse , inritato, dopo lai Appio Claudio, uomo contrario al popolo, e grande estimatore di sestesso, n senza cagione. Perocch nel virere suo quotidiano era moderato e santo, nobile nella scelta de' provredimenti, e tale da conservare la dignit de' patrizj. Costui preo* dendo occasione dell'aringa di Valerio, disse: Certa^ mente sarebbe Valerio men riprensibile [se palesava uniceunente il suo parere , senza condannare quello de* contrari ; giacch non avrebbe nemmen egli ascol tato i suoi vizj. Siccome per non f u pago di dar consigli onde renderci schiavi ai cittadini piit v ili, ma sferz pure i Suoi corOrarj, mmtando anche me ; cos vedami necessitato assai d i rispondere, e d i respingere primieramente le calunnie a me fatte. Son io rimproverato di una condotta n sociale, n decorosa, quasi io cerchi per ogni via fa r danari , quasi spogli molti de' poveri della libert, e quasi da me sia derivata in gran parte la separazione del popolo. Ben vi facile per di conoscere che niente d i ci vero ', niente probabile. Or su , dim m i, o Valerio, quali sono quelli che ho io ridotti servi pei debiti, quali i cittadini che ora tengo nella carcere ? Quale dei fuorusciti si privato della patria per la duretza e per V avarizia mia ? Certo non potrai tu dirlo. A n zi' tanto lungi che alcuno sia da me ri dotto servo pe debiti; che io sparsi tra molti F aver

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ROM ANE

m io, n mi rendei schiavo, n disonorai niim o\di quei che''mi hanno defraudato : ma tut ne aon liberi , e tutti me ne ringraziano j e stansi nel numero degli amici e de clienti miei pi fam iliari, .N ci dico per incolpare chi' non opefa come m e, n per ingiuriare chi ha fatto cose concedute dalle leggi; ma solo per levca-e' da me . le ', cabinhici LX. In ci' poi che mi accusa della durezza e del patrocinio mf sui scellerati, chiamandomi odiapdpolo ed .o&gtiTca .perch favorisco il comando de pochi ^ in ci son io da ., riprendere quantp voi che avete , ricu sato, come \pi^ riguardeyoU:, di soggioc^e ai men degni y e di. lanciarvi foriere, il comando dei. vo stri antenati .d a una democrazia y pessimo iafra tutti i governi. N gi perch egli soprannomina oli garchia il comando de pochi doter questo disciogliersi per le hqff \del nome. E pi ^ustamente, e propria^ mente possiamo noi riprendere lui come un adulatore del popolo, ed un ambizioso. ,di trfmneggiare,. Perjciooch.niuno ifftora che la tirannide nasce, dalle adu lazioni. della plebe : e che la via speditissima a ren dere le citt scve quella che mena al comando 'colmezzo dt^.cittadini, peggiori. Or egli ha Jm qui 'earezzat costoro, n tuttavia cessa di carezzarli. vedete .che questi abietti , questi tmseri ^ nop, avreh'beno mai ardito d'insolntire in tal modo se non fossero stati eccitati da questo s riguardevole e s heUo amatore della patria, come se .T oper^ non sai^ b e stata per loro i pericolosa ;.anzi , che in luogo. d.iticorrere. alcuna pena , avrebbero vanta^iato di

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Condizione. E , che io dica il vero, potrete conoscerlo, ricordandovi, che facendoci egli paura per la guerra, ed inculcandoci necessaria la pace, affermava insieme, che i poveri, lutto che liberati dai debiti,. non si ac cheterebbero , ma vori'ebbero una difesa maggiore, senza permettere di essere dominati da voi come per addietro. Da ultima vi esortava di conformarvi ai tem pi , e di concedere ciocch il popolo volesse pel ri torno , senza che distingueste ci che decoroso da ci che sconviene, n il giusto daU ingiusto. Tanto la parte stolida di Roma fu riempita di pervicacia da questo seniore , da questo che noi abbiamo con tutti gli onori magnificato! O r; d Valerio, convenivati lanciar su gli altri accuse - non proprie , quando a le si doveano propriamente? LXl. E su le calunnie di costui basti il detto fin qui. Ma quanto alle consultazioni per le quali vi siete adunati pormi giusto, degno di Roma, ed utile a voi, eiocch io vi suggeriva da ' principio , e tuttavia , corstante, vi suggerisco, vaie a dire, di non turbare la Jorma del^ gOi^erno , di non movere I9 costituzioni in violabili degli antenati, di non togliere la buona f e de , santissimo vincalo della cmun sicurezza, n di cedere ad un volgo ignorante ; accintosi ad una im presa ingiusta o svergognata. E non solo io punto non mi rimovo dal mio parere per tema de' miei contrarj, i quali vogliono impaurirmi coU aizzare in R o ma la plebe contro 'di m e, anzi pi che prima mi ostino nella indignazione, e raddoppio la insofferenza mia cantra le dimando del popolo. Certo ammiierei o Dioatai, tom o it.

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Padri Coscritti t incocrenza vostra, se voi che non avete accordarci t assolusione dei debiti al popolo che ve la chiedeva non essendo ancora vostro aperto nemiao , voleste accordargliela ora che su arm i, e fa cose ostili; tutto che gli vergano, in merite ben altre dimande ( e gliene verranno ) , e fa r primiet ramenle di essere a voi pari nel competere e nel par-^ tecipare gli onori. D ite, ammettereste voi dunque untf democrazia , governo , corri io diceva , il pi indisci-* plinato di tu lli, e dannosissifno a voi che aspirate a comandare su gli altri ? No , fin che siete voi sayj , ci non farete. E noti sareste voi stolidissimi, se non avendo comportato di soggiacere ad un solo tiranno , ora vi sottometteste alla dominazione del popolo, quale la tirannia di molti ? n gi per grazia < f;h e. chiedavi; ma per necessit che. imponevi , cedendo, contro voglia , per non sapere che farvi. E se la plebe insana in luogo di esser punita sia prendala de tuoi delitti, quanto non diverr caparbia, e quanto inso lente ? Non vi lusingate che sia per esser moderata nelle dimanda, quando sappia che voi tut avrete ci decretalo. LXn. ./Assaissimo tri questo s' ingmna, Menenio orgomentando dalt indole sua la moderazione degU altrii Fi sovraster la plebe piil grave del dovere per la baldanza solita a nascere in chi prepondera , e per la imprudenza propria in gfan parte della moltitudine. E quantunque ci non faccia in principio ; certo col volger del tempo pigliando le arme ogni volta che non sia so n d a ta vi fa r , come ora, violenza terribiie.

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t'arif che se voi, giudicandolo a proposito, le cot ixdnte una prima cosa ; ben tosto per esservi cos iatciati vinci^r dalla paura , dovrete concederne anche altre , poi altre a mano a mano pi sconcio e pii duir ; 'finch Ui'cccirto di citt , come succedette in tdir, d tdlinianent in ^irdcis, ove i proprietarj daU terre furono sputsi dai loro clienti. Che se sde gnati per le nuove dimrtd, foste allra per contrapporvel ; t prche non potte fin da ra aver libero tenore ? P'dl megli che eccitati da piccioli im pulsi, ipieghiat prinia d essere ffesi n indole generosa; th riserltirvene dopo vern toUrate bri molte i cotniriciOr a fa r senno , m tardi, n permettre piil oltre C insolenza. Ninno di Poi tema n i mti dei rivoltosi i ri le guerr cogli esteri. Non diffidate delle vostr f r z , quasi insufjcinti alla difesa di Roma. Piccl la ntilizia defggiiivi j e quella, che ora ti sta ili campo aperto liori resister pi 'lungamente hll iris>erno tra le speonch qiiaitd consumati i vi veri ch tiene rion potr fornirsene altri predando , e meno ptr procurarseli altronde compe'randoli, essa che stretta dalla miseria , nuda di danari pubblici privati. E le giierr^ pr lo pi coll abbondanza dei danari si manirigon. Non regna in essi che lanar chia , e come veriiimil, Seguitando dalT anarchia la sedizione , presto conforider e dissiper tutti i loro disegni. Gi nn i>ortanno servire ai Sabini, ai Tirreni, n ad altri, sottomettendo sestessi a quelli a quali un giorno rapirono con noi la libert. Mollo piil che quelli non si fideranno a questi che pronti

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DELLE

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ROM ANE

sono a rovinare scelleratamenle e vitMpoi'psameni^ x patria , affinch non facciano.aitr^tlanto a chi li ri^ cave. Ti^ltje le gent,i intorno-sonO' g o v e r n i d(^U o # * limati , n .il popolo, ha diritti egiK^li etd ejsi^ in niuna ciit. Di tal cite li prifnarj di ognuna di qmfMe noti vorranno rimovere, dalla patria ta plebe loro per irtn trodurvene una estranea , e tumultuaria ; perch esfi stessi che ye t accomunano non jiiano col tprfipo spo gliati. dei loro diritti. Cte se io m' ingannassi n e l mio sentiment , e taluna citt li ricettasse, ci si dareb bero con ci appunto a conoscere come nerbici, dovrebbonsi come tali trattare. Ahhiam per ostaggi le hro mogli, i loro padri, e tutto il parentado , dei quali non potremmo chiederne altri migliori da' Numi. Q uesti, li collocheremo ni questi al cospetto dei loro congiunti, minacciando , se tentano assalirci, di uc ciderli con estremi supplizi : ma, credetemi, dove ci sappiano, vai li riceverete inermi, supplichevoli, pian^ genti, pronti ad ogni pena. Terribili sono, tali neces sit , e frangono, ed annientano ogni bmldonza. LXni. E questi sono i riflessi pe quali non dob biamo la guerra temere degli esuli. Le minacce poi di altri popoli non ora la prima volta si trovarono, fin ire in parole ; ma per addietro ancora ci si sco^ prirono sempre minori delt apparenza quante volte i popoli fecero di noi pai'agone. E quelli che tengono per insufficienti le intime nostre fo rze, e per temono appunto la guerra , quelli non bene le han calcolate. A i cittadini da noi separati, se il vogliamo, possiamo contrapporre scegliendoli e liberandoli ^ il fiore deservi

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Cerlamenle vai meglio^ donare a questi ia Mert', che lasciarsi torre da quelli il comando : tanto pi che stali essend quesU tante volte presenti ne nostri campi hanno sperienza che basta di guerra. Per com^ hallere poi coglia esteri usciremo noi stessi pieni di ardore e meneremo con noi tutti i clienti, e lutto ii resto del popolo: e perch sia questo espedito adi meni , rilascer emo ciascuno priuatamertle, e non mai per legge, ad esso i suoi debiti. Se dobbiamo in vista de tempi cedere in .parte e temperarci; non dee mai farsi questo con citladirH che ci s'inimicano , ma cogli amici, perch sappiasi che noi toncediamo gra~ zie , commossi e non violentati s che se queste non bastino, se bisognino altre fo r z e , farem venirne dc presidii e dalle colonie: e quanta sia la moltitudine loro , facile raccoglierlo dalU ultimo censo, 1 Homani atti alle arn^e son cento trenta mila, e di questi appena la Settima parte fuggita da u>i (i). Non commemoro qui le trenta citt de L atini , le quali come vostre alleate , comhattercmna di bonissima l'oglia per voi, sol che decretiate di ammetterle alla vostra cillndinariza che sempre vi hnno domandata. LXIV. Ora vi aggiungo ( e finisco ) quello che rileva fra le arme assaissimo , e che voi non avete av vertito, o certa niun dice de Padri. Chi cerca il buon esito delle guerre, di niente ha tanto bisogno, quanto di egregi capitani. Or di questi la nostra citt soprab(i) Questo eeusonun par quello fallo da T. Largio primo dittatore, m ii laliro fissalo da fiigouio nell anno 360 di Aoma, ore dice cbe furouo ouroerali pi<l clic ceotddtei mila ciliadD.

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DELLE ANTICHIT* ROMANE

hona , ma scarsissme ne sono quelle de nemici. Le grandi milisie se ricevano duci mal Otti alle arme, si svergognano, e rovinano di per sestesse- con danno tanto maggiore, quanto sono pi numerose: ma i buoni condottieri presto rendono grandi anche pUxiole ar mate. Di qua seguita che fiTwh avrem uomini buoni al comando, mai avremo penuria di quelli che fa c ciami comandare. Or ci considerando, e ricordando voi le imprese di Roma ; certo mai non porrete detreli meschini, v ili, indegni. Che dunque , se alcuno mel chiede, ( e gi forse bramale da gran tmpo sa perlo ) che dunque io propongo che facciasi ? Io pro pongo che n spediscansi ambasciadori fuorusciti , n sen decida la remissione dei debiti ; n vengasi ad altra cosa niuna l(t qual sia documento di timore e di debolezza. Che se deposte le armi tornano in patria; se lasciano che deliberiate su di essi; pro pongo che placidi neW esame usiate moderazione, ri flettendo che ogni stolido, specialmente la moltitudine, insolentisce con chi se le umilia , ma si umilia con chi le si ostina. LXV. Taculosi Claudio levoss ia Senato clamore e torbido grande e diuturao Que' che sembravano tenerla dagli ottimati, e pensavano doverst mirare {tnzi al giu< Sto che all' ingiusto, si unirono a Claudio, e solleci tarono i consoli pi che altri a mettersi nel partilo dei potenti con dire, eh essi aveano un comando anzi regio che popolare ; o a restarsi almeno neutrali senza avva lorare niuna delle parti j finch raccolto il voto de' se natori si dedicassero ai voleri dei pi. Se violato 1 uno

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e ]' altro di questi consigli, faceano di lor voglia la pace ; protestavano che noi permetterebbero, ma vi si opporrebbono di tutto lor animo, colle parole ^ncli dovevasi, o colle arme in ultimo se bisognava. Era qa&t sto partito il pi forte , aderendovi quasi tutta la gio'^ veni patrizia. In opposito piegavano al partito di Me nenio e di Valerio tutti qulli che aveano cara la pace, 0 che temeano soprattutto per l et loro, considerando quanti siano nelle citt li mali delle guerre civili. Mossi per dai clamori e dal tumulto dei giovani , adombrati dall*^ibizione loro, e dall arroganza contro de'consoli, e timorosi che, indi a poco si venisse alle mani se nou cedevano ; si volsero in ultimo a piangere, e supplii care, piangendo, i contrarj. LXVL Sopitosi col tempo lo strepitp, e tornato il silenzio, i comsoli abboccatisi fra loro, cosi conchiuser, Noi vorremmo primieramente o Padri Coscritti, che yoi lutti foste unanimi d" intelligenza e di volere in-, tomo la salvezza del cotnune : se no, che i pi gio^ vani almeno cedessero , non ripugnassero a seniori , considerando , che ancK essi giunti alt et di questi avran pari onori dai discendenti. Ora siccome vediamo voi caduti in una discordia, rovinosissima fra i nudi umani, e sorgere qui mollo P arroganza de* giovani; e siccome poco ornai sopravvanza del giorno, n pos sono a\>er fine le discussioni ; ritiratevi dal Senato tornerete in altra adunanza pi placidi e con sentenze migliori. Che se qui persevera /' amore delle cotitese, non pi ci varremo de'giovani per giudici, n per consiglieri su quello, che giova.", ma precluderemo il

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DELLE

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disordine con una legge ; determinando la et che OM er dee chi consiglia. Quanto a seniori se non si uniscono ne' seniin%enii ; torneremo a dar loro la pa rola , e ne risoU>erento le dispute per una via spedii tissima, la quale meglio che-voi udiate e conosciate precedentemente, f^oi sapete che noi abbiamo fin dalla fondazione di Roma , che il Senato t arbitro, vero , di ogni cosa, ma non di creare i ministrati, non di fare le leggi, non di portale o cessare la guerra; le quali tre coso il popolo le difinisce in ul timo col suo volo. E siocorne ora non consultiamo che su la guerra e la pace ; coti debbo il ppolo, ii~ herissimo ne suoi voli ratificare indispensabilmente i vostri decreti. Quando voi dunque avrete dichiarato i vostri pareri, noi seguendo questa legge, inviteremo la moltitudine al For , perch ne sententii. Cos le contese avran fine ; mentre ci che la pluralit dei voti destincnA, quello abbracceremo. Senza dubbio son degni di quest' onore quelli che si tennero finora be naffetti alla patria ^ io dica i comparteeipi de nostri beni e de mali. LXVn. Sciolsero, ci detto, l adunana^. Fecero nei giorni appresso annunciare a tutti de villaggi e delta aiYipagna che si presentassero, e similmente al Senato che si riunisse nel di stabilito ; e quando videro la citt riempita di popolo, e gli animi depatrizj mossi dalle preghiere fatte tra le lagrime, e tra lamenti de' Teccht genitori , e de teneri 6 gli de profughi , recironsi nel tempo destinato sul ^nir della notte al Foro , angusto a lutt^ la mollilnditie. Yeqmi al tempio di Yi^lcano

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donde soleano ariogar ladunanza, lodarono primiera- . mente il >popolo dello zelo e della prontezaa nellaccoro nere in u n u freqneaza; quindi lo esortarono che aspet tasse in calma la rislusione del ^Scnato; animando in tanto gli attenenti de'profughi a buone, speranze, come quelli che riavrebbero tra non molto i loro pegni dol cissimi. Dopo ci passando in Senato-vi'tnneo bcDgai e modesti ragionamenti, ed invitarono ancor gli altri a proporre consigli vantaggiosi, ed anfani..Chiamarono innanzi tutti Menenio, il quale alzatosi in piede rivenne ai suggerimenti di prima stimolando il Senato alla pace : e riproponendo che si deputassero ai segregati bentosto de personaggi, arbitri di concordare. LXYin. invitati poi secondo 1'et sorsero a mano a mano gli uc^nini ooosolari: parve a tutti questi che fosse da seguire^ il parer di Menaiio finch tocc ad Appio di favellare. Or questi sorgendo veggo , disse, d Padri Costrkli che piace ai consoli e pac meno che a tutU di rimpatriare il popolo colle condizioni ch.i vuole: che fr a tutti i contrarj deila pace or io rimangon solo , esposto aie odio di quello, e niente utile .a voi. M a non per questo rimovomi dalle mie prime delirberazioni : n ripudio da me stesso ci che intendo su la repubblica. Quanto pi restami derelitto da quelli i quali come me ne sentivano ; tanto pi cl volger degli anni ne sar pregiato tra voi, sar in vita coronato di gloria, e morto sar benedtto dalla ricordanza de posteri. Sia pure o Gioi>e Capitolino , o Dei presidenti della nostra citt, o eroi e genj, e quanti in guardia avete il suolo Jiomano, sia pur
D W N Z G I , tmo I I '
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bello ed utile a tutti il ritorno de Jtorusciti, e delusa resti la espettazione eh io nC avea su V avvenire. Ma se pe' consigli presenti dee venire ( e fia ci pa lese tra non moUo ) alcun disastro su JRoma, deh ! rettificateli voi prestamente , e fa te la nostra salvezza. Deh ! siate benevoli e propizj a me ohe non avendo tnai voluto dir le piacevoli per le utili cose, non tradir nemmerC ora il comun per la mia sicurezza. Io cos volgami a pregare gC Iddj ; perch non abbiso gnano pi parole. Aipeto la sentenza di,prim a: A s S O L V A S t IL POPOLO JaM A STO IH CITTA* D A I D S B IT I ; U A C O tSSATTAN SZ COW TUTTO l ARDOSM l rO O R V S C iT l r m c B S T A R A jra o s a l x a r m i .

LXIX. E ci detto fini. Poidi le sentenze de' seniori oencotdaronsi con quella di Menenio, e poich venne il discorso ai giovani ; standosi tutti in espettazione, sorse Spurio NaOzio, un rampollo della jwosapia nobi lissima originata da quel Nauzio compagno di Enea nel guidar la colonia, e sacerdote di Mberva urbana, il quale nel trasmigrare arcane portato seco il divin simu lacro , dato poi snccesvamente in custodia a' suoi di scendenti ( i ). Ora Nauzio che parea per le sue bdle doti pi nobile ancora di tutti i giovani, n lontano molto dalT ottenre la dignit consiJare, cominci la difesa comune di questi : diceva che quando nel Senato
( i ) Anche Viigiiiio & umbioim di quMto N tax io , cfaa egli cbiois N a u t , nel libro 5. ' Tarn tenor N autes , unum T ritonia PalUu , Quaem docuit, mvUaqua insigium reddidit a rte, H ate retfo m a dabat.

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precedente weano jjronunziaU) . in contrario dii padri, non fu gi per amore di contendere o d insuperbire con es-sij ma solo mancando, se aveano pur mancato, per inesperienza di anni: e soggioose che fa teh hero fede d i ci co/ variar sentimene : che lascia^ fono a loro come pi savj decidere co voti il ben del comune : essi non contrarierebbono , ma secon derebbero i seniori. E dichiarando lo stesso aocor gli altri gioyani, tolune pochi, legati di parentado con Appio; i consoli ne lodarono la verecondia; ed esorta tili 4id essere sempre tali ne man^gi pubblici, dessero tra' seniori pi cospicui dieci deputati, uoinini consolari tntd, fuori che uno. Furono gli eletti, Manio Valerio, Tito Largio, Agrippa Menenio figliuolo di Gajo , Publio Serrilio figlio di PubUo, Postumio Tnberto figlio di Quinto, Tito Ebnzio Flavio figlio di Tito, Servio Sulpicio Camerino figlinolo di Publio, Aulo Postumio Albo figliuolo di Publio, Aalo Verginio Celimontano figliuolo di Aulo (1). Or qui sciolto il Senato i constai vennero all'adunanza, e vi lessero il Seuatusconsulto, e vi pre sentarono i deputati. E chiedendo la moltitudine di sa> pere le istruzioni che aveano ; dissero tutti manifesta mente che erano queste, di riconciliare in ogni motto ma senza intrico ed inganno il popolo co patrzj, e di rendere quanto prima alle case loro quei che le aveano lasciate. . LXX. Presi tali ordini, partirono i deputati nl giorno
( i ) Nel testo si omettono Manio Valerio , T ito Largio , si n o tano altre maocanx* in questo laogo. Mei abbiamo seguita la lexioae d i P orto.

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DELLE

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Diedesimo. Preced la fama il gianger loro, dtvalgaodo nel campo tutte le cose fatte in citt : dond' che lasciaodo tutti le fortificazioni uscirono inamantinente in contro a'deputati che erano- in via. Aveai nel campo un uomo turholenio affatto e sedizioso j acto' a preve der da lontano ciocch 'avverrebbe , n insfBcirate , come parlator lusinghiero, a dime quanto, ne pensava. Chiamavasi questi Lucio Giimio col ioorae appunto di lui che tolse i tiranni : e voglioso di assumerne il nome per intero , faceasi mtitolare Brito ancora. Rideno i pi su la cura vana di esso, e Bruto il chiamavano quando pungere Io volevano. Or questi ihise in cuore a Sicibio, duce deir esercito , che il.baie del poplo non istava nel rendersi troppo facilmente, sicch men degno ne fosse il ritomo per le umili condizioni; ma nel resbtere lungamente, simulando come in una tragedia. E profferendosi egli a Sicinio. di parlare in favore del po polo , e . suggerendogli altre cose che erano da fare o dire , lo persuase. Dopo ci Sicinio, convocato, il po polo, impose a'legati che dicessero le cagioni per le quali vanivano. LXXI. Recatosi in mezzo Marno Valerio come il pi provetto e popolare , e icontestatt^li dalla moltitudine la sua benevolenza con grida e saluti ami<^cyoli, alfine, fatto silenzio, disse: Niente t o popolo proibisce cha vi riconduciate alle vostre case, niente che vi paciJichae co Patrizi. I l Senato ha per voi decretcft un ritorno utile e decoroso, e di- non pi ricordare o vendicare il fatto finora. E noi che vedeva propen sissimi per voi , come da )eoi rispettati , ha qui de-

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putato con poteri assoluti d i concordan: affinch ni non opinando n congetturando su vostri dsiderf, ma udendo da voi stessi con quali condizioni chie dete ricOnciUarvici, ve le accordassimo se moderate , se non impossibili, n impedite da indecenza insa nabile , senz' aspettare il voto de P adri, e senza 'in tristire T affare colle dilazioni, e colla invidia dei contrarj (i). Avendo il complesso de'Padri cos per voi decretato ; ricevetene il dono lieti , pronti , e benevolit pregiandone deliamente una sorte .s bella y e rin graziando vivamente Id dj che Ram ai domina trice di tanti, popoli, che il Senato, regoktUtre di tutto il bene che- in essa, mentre V usanza della patria, non permette <Ae cedasi ad alcuno^ cedano alle istanze vostre solamente , n pretendano come i p i grandi su men grandi discutere nrtutamente ijuanto conviene ad ambedue , ma primi essi vi spe discano per la pace : che non piglasser con ira le risposte imperiose da voi Jalt ai primi ambasciadori, ma pazientassero alV-orgoglio e fie r e ^ d i una ostinazione giovanile , come il buon padre sul figlio non savio : che volessero indirizzarvi una seconda ^ambasberia, diminuire i loro diritti, e rimettervisi fin dove la moderazione il consente. Giunti a tanta Jelicit non esitate a dime ciocch bisognavi, e non esorbitate o cittadini: lasciale le iedizioni: tornatevi giubilando alla terra che vi ha generati e nudriti :
( i ) Allade ai senatori t h aT nhbond perorato in contrario nel S en ato . '

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D EL L E a n t i c h i t ROM ANE

Gi non le deste voi li trofei e le ricompmse piii belle , riducendla quanto da v o i solitaria, o come un campo da pascolarvi. Se trascurata questa oc casione , forse ne richiamerete pi volte la sonr gliante. LXXIL Taciatosi Valerio feeesi innanzi Sicinio, e disse, che chi ben consulta non riguarda F utUe da una banda sola, ma lo contempla nel suo rovescio ancora , principalmente in affare di tanta importanza. Pertanto comand che chi volea rispondesse a ci6, deponend ogni verecondia e timore. Non permettere la natura delle cose che essi bench ridotti a tante angustie cedessero per paura o per vergogna : E qui, fttto silenzio, e gli uni riguardando sa gli altri, e cer> cando chi perorasse pel comune; ninno si present. Ma replicando Sicinio altre volte l'istanza venne alfine in mezzo secondo gli accordi quel Lucio Giunio desideroso di essere cognominato Bruto : ed avuto a far ci grandi significazioni dalla moltitudine, tenne questo ragiona mento : Il timore che avevate de Patrizj o compagni scolpito ancora per quanto vedo , e trionfa negli animi vostri. Abbattuti da questo timore esitate fa r q u i, udendovi tu tti, i discorsi che usavate tra voL Forse ciascuno confida che il vicino suo aringher sul comune, e che piuttosto incorrer tra pericoli ogni altra e non egli: anzi che egli tenendosi in sal^ vo , goder senza pericoli parte del bene ch possa mai nascere d a lt ardire degli altri : ma stolto que sto concetto. Imperocch se tutti aspettiamo la stessa cosa, la codardia di ciascuno sar nocevole a tutti;

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e dove ognuno figurasi la sua sicurezta ; ivi insieme on tutti roviner la comune. Ma se non avete apt preso finora che .per le arme ci togliemmo la paura, e per le arme (n>ete consolidata la vostra libert ; conoscetelo ora almeno, ed i P a trh j, essi stessi ve lavinsegnino. Questi, orgoglisi, questi d iissim i uonUni'f non vengono come prima comandando e w ncciando, ma supplxmdoci, ed esortandoci a tor nare (die nstre case.i e gi comincMw a trattarci come liberi vermiente. Che dunque or pi vi anne ghittite e ta c ^ ? Che non la fa te da liberi uomini ? , e se avete gi scosso il fieno : che non dite qui ora pubblicamente ciocch avete sopportalo da loro ? O miseri ! e quali p a ti^ n d te m ^ ? se io stesso v invita a parlar, francamente ? Io dunque, io stesso mi rischier di dire liberamente per voi ciocch giusto, senza niente occultare.-JE poich Kcderio dice che niente proibisce che vi rendiate alle case-vostre concedendovisi dal Senato il ritorno, ed essendosi decretata d i non perseguitarvi} io risponder a lui cose nen^ meno vere che g e ss a n e a dire. LXXUL Oltre i motivi ben ff'oadi e varj , tre ne seno o Valerio Jbrtissirni e chiarissimi che c i^pe.discono di rimetterei a voi deponendo le armi, Il primo che venite a noi per esortarci come traifiati; e gmdioate benefic&wa vostra aecardw^ H ritorno : il secondo che invitando noi a pac^carvici, niente dichiarato le condizioni compiacevoli o giuste su le quali possiamo ci fa re : poi f ultimo che niente di qumto ci promettete sar per essere stabile, giao-

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DELLB a n t i c h i t ROMANE

ch avete continuato a ri^raroi e deluderci tante volte. Discorrer di ciascuna di queste cose , Kominciando dai diritti ; giacch sempre dai dirti si vuol cotmn^^ ciare sia che trattinsi le cose private, sia che le pubbliche. N oi duatjue se ve ne abbiamo mai fa tte , noi non chiediamo ji-mpumit n dimenticanza delle in^ giurie. E non vorremo piii no starci, a parte delia vostra citt , ma dandoci in blia della sorte e dei genj ehe ci guidino , ci fermeremo l dove porta il destino. Ma' se .per colpa vostra noi siamo ridotti (dia condizione in cui ci troviamo ; e petch non cm^essate die voi li quali>foste- g lio b ro f^^to ri, vi abbi sognate anzi di perdono e di dimenticanza ? Cme dite di accordata voi questa ; q u a r^ avreste a di'mandarcela ? Come cos vi m a g n ia te quasi voi cal miate lo sde^io verso di noi , quando dovreste 'cer care che noi verso di voi Iq placassimo ? Cosi con fondete la. natura della verit-, cos la digmt dei diritti pervertite / Che 'poi nota siate'^ voi g li offesi ma offensori ; che voi beneficati, tante volte e , tanto dal popolo per fondare la libert e V impero, lo abbiate non bene contraccambiato ; uditelo ', e convineetevne. Io,non parler ^se Tton d i cose che voi sapete , e se alcuna mai sar fa lsa ; reclamate per gli Dei ve ne prego , non ohe stiate a bqda pazientando. LXXIYw II nostro governo primitivo f u monarchico, ,e lo abbiamo conservato per setto generazioni. In tutti que principati il popolo n on -fu mai cohadccOo dm re , specialmente dagli ultimi. A nzi lascio'di 4irtihe deriv da quel dominio molti e: segnOflati vantaggi;

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imperocch per obbligarlo a sestetsi ed alienarlo da voi lo adulavano non che lo favorivano, come fanno quelli che van cangiando il comando in tirannide^ Quindi che espugnata con: lunga guerra Sesta j citt doviziosissima ( i) , tatto che potessero , appro-< piarsi la preda y e non dividerla con altri , anicchen^ dosene pi che tutti etsi che dominavano, noi sep* pero fa rey e la recarono in mezzo, e la resera tutti comune. Tanto che noi ce ne d>idemnf cinque, mine di argento per uno senza contare gli schiavi, li bestiami, e ^ nitri acquisti. Pur noi senza ci ri^ guardare, dacch si valsero del potere per tiranneg giare voi, non il popolo , ce ne incollerimmo , e /astdammo la benevolenza dei re per volgerci a voi. Cosi noi della citt e dell' armala sollevandoci in sieme con voi abbiamo cacciato essi, e trasferita e eonsecrata a voi la loro potenza. E sebbene tante volte stesse in poter nostro di passare al partito de-* gli espulsi coi bene ancora de'' doni cospicui che ci prometteano, perch lasciassimo la vostra aderenza ; non abbiamo mai sostenuto di farlo , anzi abbiamo subito per voi guerre e pericoli varj, grandi, inces santi : e gi volge P anno diciassettesimo che abbiam guerra con tutti per la pubblica libert. Perciocch non ssendo ancora ben fondato io stato di questa , amte accade nelle subite mutazioni; e tenbmdo due citt Toscane nobilissime , quella de Tarquiniesi e
(i) F a espugnata sotto T arquinio superbo. Vedi lib. 4 i S Pertanto chiaro a qual* sovrano qui si a lluda.

m o m a i , umo ii.

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DELLE ANTICHIT. BOMANE

de Fejenti riportarci con esercito 'poderoso i monarchi; noi affrontato il pericolo combattemmo , pochi incontro di m olti; e spiegato un ardor luminso li vincemmo schierati in battaglia, e respintili, conser vammo il comando al console che ci restava. Non molto dopo volendo anche Porsena re dei Tirreni rimenarci quegli esuli colle milizie di tutta laEtruria e con quelle, raccolte gi da gran tempo dagli esuli stessi, pure noi che non m'evanto forze eguali da contrastarlo , noi che ci eravamo rinchiusi in citt per esservi assdicui, e che non sapevamo come espedirci in mazo al disagio di tutto , noi col sosienere magnanimamente ogni pi terrihile prova , lo ridu cemmo a farcisi amico , e partire. Da ultimo prepa-^ randosi i re per, la terza volta di tornare col soste gno de Latini e col movere le armi di trenta citt noi nel vdervi che a noi vi rivolgevate , che geme vate, che c invocavate un per uno, a ricordarci della compagnia, della educazione e della milizia comune, noi non avemmo il coraggio d i abbandonarvi. H iputando bellissima e nobilissima vhpresa combattere per v o i, ci levammo insieme contro il nembo terri bile ; e rigettandone il pericolo gravissimo con rice vere molte ferite, col perdere molti de parenti, degli amici, de compagni, vincemmo gli eserciti, truci dammo i capitani, e portammo V ultimo colpo alla stirpe dei monarchi. LXXV. Tali sono le prove che per liberarvi dai tiranni noi vi abbiam dimostrato con ardore maggior delle fo rze, guidati dalla virt, non dalla necessit.

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Ora udite quelle che abbiamo fa tte perch Jbste ono rati ; perch ci comandaste, perch aveste un impero pi ff-ande che in principio non ideaste : e se favel lando devio punto dal vero, contraditemi pure, come gi vi. richiesi. V o i, quando a voi parve di avere la lib e r t ^ salva e stabile , non sapeste contentarvi di essa : ma dativi ad imbaldamire e sconvolgere ; teneste tutti i popoli intorno per nimici della vostra eguaglianza, e poco meno che non dichiaraste la guerra alF urverso. In mezzo a tanti percoli, in mezzo a tante gare della vostra ambizione, giudicaste che fossero da avventurare le nostre persone! E qui lascio di commemorare quante citt vi abbiamo sog gettate, vincendole in campo, o negli assalti delle mura, mentre una o due la volta con voi guerreggia vano per la libert. E come parlare minutamente di cose tanto feconde a discorrerle ? Ma CEtruria tutta divisa in dodici reggenze e tanto potente in terra e per mare, questa, dite, chi con voi cooperando la sottomise ? E li Sabini, quel popolo si numo'oso , e s acceso a contendere con voi del principato, questi chi mai li ridusse a non pi guerreggiavi? Che pi} le trenta citt de Latini non solo animate dalla gran dezza della loro potenza, ma sublimate per ci, che cercavano il giusto, chi le , dom queste, e le rese a voi supplichevoli per fuggire lo sterminio delle mura, e la schiavit de suoi cittadini ? LXXVI. Z<M CJO le altre imprese , quante ne ah~ hiamo cimentate con voi quando non ancora divenuti discordi partecipavamo anche noi per qualche maniera

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DELLE ANTICHIT

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le speranze belle del principato. E poich manifestamente rivolgeste il comando in tirannide y e voi fo tte onvinti di usare noi come schiavi ; poich noi non pi ci serbavamo simili ne nostri pensieri verso di t>oi, e vi si ribellavano intanto quasi tutti li sudditi cominciando la insurrezione i V ols, e svita n d o la gli Equi, gli E tnici, i Sabini ed altri moki ; poich pi sembr venuto il tempo quale mai prima ci era venuto di fare , se volevamo , V uno o /' altro, 0 di abbattere /' autorit vostra o di renderla pi mode rata ; vi ricordate in quale ^sperazione cadeste alilora di poter pi dominare , a quali timori in tutto vi abbandonaste y sia che noi non ci unissimo a voi per cotnbattere , sia che portati dalP ira ci m elas simo co vostri nemici? Fi ricordate le preghiere , e le promesse che ci faceste ? E noi depressi, noi ol traggiati da voi che facemmo ? JVai vinti daUe prer ghiere , noi persuasi dalle promesse , che questo buon Servito allora console porgeva al popolo, noi non pi mentori verso di voi dei nudi antichi, noi pieni di lusinghiere speranze per Favvenire, ci dedicammo tutti a voi stessi; e dissipate in poco tempo tutte le guerre, tornammo con seguito fo lto di schiavi e di prede bellissime. E voi, ne avete voi dato ricompense giuste , o degne de pericoli ? ma quando mai ? troppo lungi ne smto. A nzi ne avete tradito le promesse che imponevate al console di fa rci a nome del co mune. E quest uomo bonissimo , del quale abusavate per deluderci, lo avete questo privato del trionfo, quando degnissimo ne era pi che tutti i mortali. N

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gi per altra fagiane coti ancor lo sprecaste , se non pwch vi dimandava eh adempiste le pr- messe , e perch sdegnato mostratasi vhe ci bef^ fcuta. LXXyiI. UUifntmeim ( vi aggiungo questo solo intorno al dirto , e finisco) qmnd. gU Equi, i Sa^ bini, i Folfci inswsero d i commi voto, e concitarono ancor gli altri, non foste ridotti, voi venerabili e gravi, a ricorrere a noi negletti e vili , colmandoci di promesse per iscamparvela ? e non volendo parer d! ingannarci come altre volte t trovaste per coprir la impostura questo Manio Falerio, uomo amantissimo della plebe. E noi credendogli come a uomo dal quale non saremnto traditi perch dittatore, ed amicissimo nostro , ci consociammo novamente a voi per questa guerra, e vincemmo i n&mci con battaglie non poche, n picciole, n ignobilL Bidotta la guerra a bellissimo fine prna ancora delle speranze comuni, tanto foste alieni da renderne grazie , e ben copiose al popolo , che cercavate ritenerlo anche sema voglia, sotto le insegne e fr a V armi ^ per trasandr le pr-messe, come trasandarle destinavate fin dal princi pio. E non tollerando il valentuomo la beffa, n la infamia deW opera , e riportando in citt le bandiere, e rilasciatido tutti per le proprie case; voi, presone motivo onde non fa r la giustizia, ingiuriaste lui , n serbaste a noi veruna delle convenzioni con tre abusi gravissimi , perch profanaste la maest del Senato, annientaste il credito di un tal uomo, e rendeste inutile a vostri benefattori il merito delle fatiche. Ora

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potendo noi dir queste e simili cose non poche, non abbiamo o Pattizj voluto piegarci alle umiliazio,ni ed lle preghiere, n accettare come i rei di gravissime colpe, il ritorno su la obblivion del passato. Seb bene , essendoci noi qui riuniti pr concordare ; non dobbiamo ttra investigare pi sottilmente^^ queste cose 9 ma V aiam o trascurarle e dimenticarla, e tener cele. LXXyilI. Che non dite voi dunque palesemente a qual fine siete qui deputati, e qual 'oofa venite per chiederne ? Su quali speranze volete in citt ricon^ darci ? Qual sorte abbiamo a prendere per guida del nostro ritorrio ? Qual giubilo, quale benevolenza ci aspetta ? Fin qtii non abbiamo punto ascoltate esibi zioni umane e benefiche, non onori, non magistra ture , non sollevamento dalla indigenza, n altre cose qualunque, sebben tenuissime. Quantunque non dovea gi dircisi ciocch siete per fare , ma cib che fa te , perch sperimentandovi subito, benevoli nelle opere vostre, vi argomentiamo ancor tali per V avvenire. Ma io. penso die voi risponderete.a ci, che voi siete qui plenipotenziari, e che qualunque cosa ci persua deremo a vicenda, sar stabilita. Or sia ci vero; e ne sieguano conformi gli effetti ; niente vi contraddico. Bramo per sapere le cose che d^ lro ci si faranno dopo queste. Vale a dire , quando avremo noi detto su quali condizioni vogliamo il ritorno ; e quando ci saran concedute ; chi ci sar di esse mallevadore ? Su quale sicurezza deporremo le arm i, e metteremo le nostre persone di bel nuovo nelle lor mani ? Sa

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quella forse dei decreti che si farn dal Senato , non essendovene ancora ? Ma qual cosa mai impedir che nnulliho questi con altri decreti, quando cos paja ad Appio e ad altri che pensn coni egli ? Con teremo forse su la dignit dei deputati che ne pot a n o in pegno la fede loro ? Ma prima ancora ci han deluso colla interposizione di tali uomini. Riposeremo forse 'ne trattti fa tti innanzi agl Id d j, e confermati da loro co giufamer^? Ma io temo di ogni fede umana consimile , vedendola da quei che comandano vUipesa.^ E so , n gi ora per la prima volta, che i trattati forzosi tra chi brama esser liber e chi vuol dominare han vigore soltanto finch la necessit cosi porta. Or quale queir amicizia e quella fede nella quale siamo costretti dd ossequiarci contro' voglia , insidiando f uno il tempo delP altro ? Allora inces santi i sospetti e le calarmi^ ; allora le invidie e gli od) ed ogni maniera di nudi: allora la gara di preoccaparsi a dis&ug^re F emolo ; riuscendo ogn indugio a mal termine. LXXIX. iVbn vi y come tutti satino, 'guerra pOt ^ista della civile : questa i vinti fa miseri, ed ' in giusti li vincitori: e li vinti han dagli amici i lr m ali, i vincitori agli amici li causano. Or voi dun que o Patrizj. non vogliate chiamew noi a pari cir costanze , a pari bisogno non desiderabile e noi o plebei non ci rendiamo loro mai pi : ma cme Uk sorte ci ha divisi , cos teniamoci in calma. Abbian pur essi tutta Rom a, senza noi se la godano, e ne raccolgano soli ogni bene, essi che han ridotto fuor

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della patria noi miseri, noi disonorcOi plebei. E noi emdiamocene pure dove gC Iddj ci guidano, conriderondo che non la nostra ma t altrui citt lasciamo. JPfiuno di noi qui Imscia non campagne proprie, non abitazioni paterne, non sacerdozj, non magistrature comuni come in sua patriaper {esercizio delle quali siavi ritenut pur contro' voglia; anzi nemmeno la sciammo qui per noi la libert, quella che ci ave vamo colle carme e con tanti travagli acquistata. Jnir perocch parte i nemici, parte la miseria quotidiana, parte l' alterigia degli usurieri ci han guasto e con sunto e tolto ogni cosa : tanto che noi miseri eravamo ridotti a coltivare le terre di questi zappando, pian tando , arando , pasturando, divenuti conservi degli schiavi loto da noi presi colle arme;, e chi di noi portavamo catene alle tnani, chi ne piedi, chi nella cervice finalmente, come fiere intrattabili. E qui non ricordo le fe rite , gli avvilimenti , le battiture , le fioitiche da notte a notte ( i) , ed ogni altra sevizia, e non le ingiurie, e non F orgoglio che ne abbiam so stenuto. Liberati , la Dio merc, da tanti e s gran m ali, fum iam o ben contenti quanto possiamo e sap piamo j e prendiamo per duci della fuga la sorte e g f Jddj li quali veglian per noi, considerando come patria nostra la libert, e la virt come nostra ric chzza. Ogni popolo n ammetter, s perch non molesti , come perch utili a chi ne riceve. LXXX. E ci siano in ci di esempio molti Greci,
( i ) D al tempo prima dell alba fino a era.

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e molti barhari f e principalinente gli ' anteneui di quelli e di noi. Gli antenti nostri passando con Enea dcd Asia riM Europa fanironsi nel Lazio ima patria: e poi spipcandasi da jiXha soUo gli au'r spicj di Momolo che guidaua' la colonia f pigliarono sede ne luoghi appunto ahbahdo^tcUiida nai, Abbiamo noi forze: non gi^ poco^ maggiori che essi ^ m a trtpUcate, e cagione mollo pi giusta d i trasmigrare. Qetii partivan da Ilio persguitati da nemici, e noi di qu dagli latiei : e ben pi misera cosa essere e^nUsi dm domestici, che dagli estnmei. Quei che a Romolo si ligarono per compagni trascurarono la patria per cercare terr migliori: ma noi lasciamo un vit'erip senza citt, un vivere '^senza case paterne, quando're^ chiamo la . colonia : e crto la rechiamo non odiosa agf Iddj.^ non molesta a^li Uomini, n gravosa a terra ninna ; non rei del sngue e della itrage decitf tttdini che ci hn discacci^ , non rei del ferro o del fuoco messo m campi che abbandoniamo, n d ia ltn monumento qualunque fondatovi di eterna inimicieiai come spinti da necessit Sconsigliata rei se ne fanno i popoli traditi ntlP qUeanza. Noi chiamati in testimonio i genj e gl Iddj che guidano con giustizia le cose mortali, e lasciando che essi prendano per noi la vendetta , abbiamo chiesto unicamente di riavere 4 nostri teneri figli, i.vecchi Padri, che in citt si rimasero, e le mogli in fin e, se alcune pur vogliono dividere con noi la nostra sorte. Contenti di ricevere questo , non altro dimandiamp da Roma. E voi tanto
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DELLE AMTICHTrA ROMANE

impolitici, tanto insoeiewM v^rso de-jAisti^ vivete feU ci, e-com^ pi desiderata. LXXXI. Appeoa Bruto d>be ci dotto si , tacque. Parve ajU asunti tutto; vero quanto disse'iatoroo ai diritti, <|aanto per ccosar la si^ rb la de" jseatbn l^rincpalmeate quando didMar che la sem^ioit lei patti tutta piena d intrioo 0 d'^nganniL ma'Xjanilo iftfiae' deliae gli afirooti cbe averne patito dagli iuurieri,> ciaseuno ricord li suoi mali; piim y'ebbe si fermo di, abisro , che non si desse a piangere j e kunentare i danni eomani. N impietokironq gi sol, essi, tn fino gl'inviati dal Senato. C^n poteano que a< etiiow conte n d e le lagrime, pnsando la calamit per la spaiaMoae de' cittadiixi r e rliiiasero gran tmpo tra 1' afflinone , e tra '1 pianto senza sapere ornai cbe pi dire. Cessati Iti gemiti, e tornato il silenzio nell'adunanza, proe. -cedette per farvi le difese Tito Largio autoPevole soprai tutti i itladini per anni, e per dignit i come lui ohe due volte ccuisole, e gi rivestito della dittatura, avea con esercitarla bene pi che gli altri, rendutta venera bile, e santa una carica altronde odiata. E datosi a par lare sopra i diritti, e talvolta incolpando gli usuraj per ch aveano operate cose dure, e disumane; talaltra rimproyerando i poveri come non giusti n e r chiedere che si rimettessero ad essi i debiti per forsa an^i che per grazia, e nell esacerbarsi col Senato piuttsto che con ' quelli die impedivano che si concedesse loro alcuna cosa anche moderata ; e dippi tentando mostrare cbe picciela era la parte del popolo, ingiuriosa suo mal gi-ado, e necessitata a dimandare per la inopia gravissima la

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coAdbarlon^ .dei .dekiti " , ami pi gmadfe'ibm lapparle la. cpide'.-.esi^era' i^' perhfei viVeaM^ scorretta, l'asalente y volottiiMaF ., f)irpv^xii rpplire' co&ifti:.alle silc pss sivni, tak!ii^^d\>vclbs^ bea distingiMre i pveri dai ri^ baldi, quelli che. rino d ;codipatire da jueMi 6be erano da< odiate ; d aggi ungendo 'in fiae disersi casiinfli , veF', iaa non grati gend^almate; noti soddisfece tptt U i ndiiiz^. Dond cbe sorsenie Mrepito grande di Lvooe; altri.sdegmndosi 'quasi rincrndisse loro gli affanoi,' ci^ altri oonfessand ehe dioia pur troppo il veto. M a<pei<i^ dicmRi gli nidori rarao assai :minori di nninero, soom parivano tea la: nAltitudine degli altri, e prcTaleanio ipratiutto i daaalori-! degli adirali. LXXXn. A qest^ cse ne aggtugnea Lo-gio. podiQ altre su la . partenxai e prcipitansa loro, qamdik:rpi gliando. la parla Sicinio il qipo del popolo ne riaccese assai pi lo sdegno, qon dire: 'C ^ hen poteana da ua tal parlare comprendere ^uali onori e qiuUi rlngr kiamend'. ne avrebbero, se tornassero niella patria. S quelH che stansi nel colmo de'pericoli, ed abhito^ giao del braccio del popolo, e per questo a Iki vengono , aon sn irovwe nemmen ora discorsi mo* drtl ed tanni ; ijual animo dee credersi che avrannq qaand siano le cose riiucit loro, secondo il dise^na^ e quoftdo chi offendono ora clie parole , sia sotto^ messo h m ancora nelle opqre ? Da quali iflslene mai si conterranno? da quali flagelli^ o da-qual^ tiranniche sevizie? Se a voi d il cuore, ei dicea, di servire tutta la vita incatenati, battuti, straziati col ferro , col fuoco , colla fa m e, con ogni guisa di matti

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D^LLE a n t i c h i t ROMNE

SU , non perdete tempo, geliate ie armi seguUateli.^ Ma se t^^ .p t^ in voi desidrio d i Ubert ; non pa>^ lenUUe ornai pOL Amhcuciadori! o dite su quali con>^ dizini ci richimate ; o partite dalC adunanza ; pereh non . lasceremo pi che vi parliate. . L XXXIIL E qui'tacendosi la i, tutti gli ;astan n Miepitarono , acclamandolo , perch area detto a: {urapoMto. Restituitasi quindi la calma , MeUeni' Agrippa il ^ l e ; aveva interloquito in Snato sul popolo, e piro posto e fatto principalmente che gli s'inviasse un'am*i basceri^ plenipotenziaria, f' cenno di Volre anch' egli diacotrere. Riusc la richiesu gratissima ; :parea come; 1 * augurio che udirebbonsi allra ! finalmente condizioni giste, e salutevoli ad ambe le pti. E sibito escla marono tatti a gran race, che parlasse. Pdi si dietaroBO, e si profondamente, quasi fosseri slitudin. Parve un tal uom o, com'era verisimile, assai persuasivo nei suoi discor, e> tutto confacevole ai v c ^ i della udienza: Vfama per che in ultimo proponesse una tal favola sol gusto deQe EUopine espressivissima delle circostan, e ohe eoa questa principalmente li guadagnasse. Dond' che. la favola fu creduU degna d i' ricordanza , e rap portasi in tutte le storie ant iche. L ' aringa di lui fit qnesu : Popolo , noi veniamo dal Senato a voi, non per difendere lui , n per accusarne voi: n gi pormi che il tempo ci chieda, n che ci sia prosperevole per la sorte della repubblica. Ma noi. veniamo con tutto t ardore e P efficacia per levar le discordie, e rimettere la repubblica nel buon ordine primitivo , riyestiH per ci fare d i , un potere assoluto. Pertanto

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non perniano chs sim om da esaminare i diriui , come fece con msione limghissirna quetto Giunio ; pensiamo piuttos0 ihe\ debbansi con gli a^otefoli T ^ d i. Tcon^fger gli spiriti. Qual fd e sia ^ i per garantire le i^tf:e cometmonf M esporremo, appuriloalfbiaito de*ker<^- Considerando r^i che \le f^ a io n i si cUrcmo- in ogni citt col to~ gli^e. i semi; ^dvjlle d is^^^ , abbiamo giudicato n^ cessario di conoscere e spegnere le Cause produUrici 4ella divisione. Or trovcu^o noi c J t> B le esazioni dure de'prestiti sono la erigine de mali ipm senti ; cos U correggiamo. Dpcreti^ano che quanti. soggiacciono a debiti, n possono estinguerli, ne siano del tutto as soluti. Decnuicmo liberi .tutti ', qufUfU son detenuti per (H >er differite le paghe oltra i tempi legittimi , \e .de.creliamo liberi i ^ f i ^ quanti furono in- mano cofisegnali dei creditori per sentenze speciali di giudici, eainuUandp noi queste totalmente. Cosi ripariamo ai fo ritrcd ti.p recin ti, tenuti come c ^ a della sedizione; ^ a q fu ^ a, qontratti oiverUre facciasi pome, no or~ pitter la ;_legge che sar cos^tuita da, voi, da tuttp il popolo , ded Senafo^ Dite , non erano queste U. cose che vi .i^enavano da Patrizj ? Non giudicavate voi che sarete, contenti, e che, altro di piii non brame^ reste, se le impetravate ? Oggi vi si concedono ; an.dato, tornatevi giubilando alla patria. LXXXIV. I riti poi che convalideranno ed asskur reranno questi trattati saran quelli (^punlg delle leggi, usati nel deporsi delle inimicizie. Il Senato appnyyer pur egli questi trattati, e i^ ' loro forza di

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D E L L E ANTICHIT!! iROM ANE

legp qiuind seriui c g * t> 6 miv (Jtii Twi come-'ne piao ^ ed il^en o M 'Vi' sar Stt6nie^s: che questi si rimamthn' iti3ele'iU^' hi^ il Snat, non po,tpmi soffraggi^er^i Will iti tntfario , ni qui y''noi> U -nii ]fatitm goTCtttzia sid Korpo, e vita, ' !ftif^e n(>itf^, '^c(^''i^t piiri! v w yjih gtiitina U ^^snatoH he- firWttiikrt "/ imp^'OccM inai , rrpgHdaiti>i noi si 'd^teM sA 'ninna contto del popol} gktck rti'^fkint'd li prni nht'Snalo , e noi li ^p^irtti < * tch.lhrar i n ^ i pa~ ferii 'Vn far^ da uttm& gmnii 4a fde coihune ^utt- i Greci, e ' a tutti ^BWBitri^ juelf eker fiiTi tmpo niai ptr- cnclli^'j qtteU ch\ coh gt ~ trti^ni i e li^gioM f^^d'^ Wifti 'piHdli^ dgi acordf-, e su 4a quale ^ht^o'nsi tante, e pn picciole ^niihi^ ciiie d" privali, e tttnte guerfe di \rpbl>liea con r-^ fittMiea. Of qusta'fd rcevtei ancora voi ; sia ^h" \>ogtitff pertketere a ni, pochi s , nkt capi del Sfitito , di giuhivi a nom dt questo , sia che vo'gliat che tutti i PdH sottoscrivan' & giurino con rito sahto di s'srbarven ^i patti invioUi. - tu j d 'Btkt&', n'n'' .irtopr il^ pegno dlie desiti non. l libagioni, Ttfi l fed e data hn>ocartdn i IVumi, n togliere tali spedieHti belissimi degli Uomini : e voi Tton vogliate toUfcit che costui ricordi le promesse tradite dai scellerati dai tiranni, da quali tanto iontana la 'virt de Romani. * > * LXXX V. Or, lasciate, che io soggiariga (e termino) uria cosa non ignrat , ri controsMri. da riiun dei mortali. Ma qui 'mi qttist? Eis ithpdyta t utii

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soinuMV .ysaha^l'Io pfti una colt vltM i et^a t unica e sola che ci raccolse gi tutti in un corpo mai farwsapararoi: Abbisogna, n *ncd cesser d i <fbb.i^Q^naite l mokitcltkff^ impeMt d i satff che Ut ;-eoma 'uh .complsso 4* idonei a.dirigere tdtbitogna' d i d i ^ i s l governare. JV ci per im(na>> ^n fzio n i lappiamo,, ma per esperienza. Che dunqivo d ridutciapta a' trmare rigandoci gii uni con gli a/> tri { a che ci iogotiamo in triste ^parole ; essendoci facilissimo tomaroi^ td tile nostro ? Che dunque riot\ ci pandiamo , ed, nhreciamo \ e voUmno alla pa~ td a y alle Mitiche delizie, agU oggctli di tanti dolcis>simi e soaissin\i nostri, desiderj ? A che cercare imm f>ossihiU assipur^ni? A th fidanze malfide, come in guerra nemici fierissimi che in ttulO' sospettano H peggio? A noi, o plebei^ a rtoi membri dei Senato^ hasta la sola vostra parola, che non sarete se tornati iniqid con noi : e perch ? perch sappiamo il vostro bum allevamento i la i^ituzioke legittima, e le altrii virt che avete in guerra- ed in pace dimostrate. E se i contratti oggi ottengono a nome del immune um^ rifofiha , cos dimcmdando la fed elt , cosi la speranza degli uni verso degli (diri ; teniam certo ancora che siano per corrispondere in voi le altre bune doli: a niente da voi cerchiamo i giuramenti, niente gli ostag^ , n altro pgno qualunque di sieurvzza , n per mai contrareremo Ut vostre dimande. Ma ci basti la fedelt intorno la quide Bruto c incolpava. Che se in voi resta ancora lcuna in vila non degna, che vf eccita a pensar pravamente del Senato ; io dii pur.

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

di ' questa l e voi etUeitti, in culmo , asaoUatemi o piabei. , LXXXVI. Somiglia ad un corpo umano una repubbUoa: perdcch t uno e t altra risultano da pi par tii n ciascuna delle parti in essi ha forze eguali, n porge un uso medesimo. Adurufue se le membra del corpo umano ricevessero tutte , come il senso, la voce , e poi nascesse discordia fra loro congiurandosi tutte le altre ad una ad una contro del ventre y e li pi si dolessero che il corpo intero poggia su loro , le mani che solo esse trattan le arti, procacciano il ne cessario , combeMono co nemici, e pongoru> molti altri beni in comune \ gli omeri perch porlan essi ogni peso, la bocca perch parla, la testa perch vede , perch ode, e perch comprende tutti i sensi orule il complesso vive del corpo; e se quindi dicessero, or tu buon ventre fa i tu niuna di queste cose ? quale riconoscenza, qual utile tu ci rendiF A nzi tanto sei lon^ tono dal cooperare e dal com piei con noi alcun u tik comune ; che ne impedisci e conturbi, e quel che pi intollerabile, ci necessiti a servirti, e portarti di ogn intorno quanto ti sazj negli- appetiti tuoi. Or su; ch non ci rendiamo noi liberi, n cessiamo dedle cure che in grazia di lui sosteniamo? Se cos piacesse loro, se niuna parte pi fornisse le proprie funzioni^ or potrebbe il corpo a lungo sussisterne ? A nzi in pochi d consumerebbesi dalla fcune, pessimo fra tutti i mali ; e niuno pu dime U coiUrario. Or concepite pure altrettanto di una repubblica. Compiono questa molti generi d persone niente infra lor somiglianti ;

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e ciascuno le porge un uto proprio di lu i, come le memirt lo porgptio al corpo. Chi coltiva i campi, cj. pe campi combatte, co! nemici : chi ne reca assai beiti trajjficwtdo p mari ; e chi travaglia in su le ai'ti neceesarie. Se ciascun genere di . queste persone iasotga contro il. Senato , che l' ordine degli ottir m oti, e dica: qual cosa, o Senato, tu ci fa i di be ne? e per qual causa, non avendone tu alcuna; vuoi eomandare su gli altri? Non ci torrem una volta da questa tirannide tua ? n vivremo indipendenti Se con tali pensieri si levasse ognuno dalle ugat^ incombente; cosa impedir cho una tale sconcia re-, pubblica miseramente perisca per la fa m e , per la guerra, per ogni male ? Istruiti dunque, o voi def popolo , che come ne corpi nostri il venire accusatq a torlo da m olli, nudrito nudrisce, conservato con serva ; e quasi uiut dispensa universale , porge ad ognuno il suo bene , e la sussistenza in un tutto ; Mt nelle repubbliche il Senato che man.Qggia il co mune e provvede a ciascuno / utile suo , tutto s<d/a 0 custodisce e dirige ; cessate di lanciai' contro lui voci calunniose, quasi per lui siate fuori della par v ia , e ne andiate raminghi e mendici. Il Senato non volle mai questo, n faravvelo : anzi vi chiama , e vi supplica, e vi stende le mani, e vi spalanca le porttf, e raccoglievi.
L X X X V II. Intauto che Menenio coacionava, sorgeano

ad ora ad ora voci varie e molte, dagU asiaiiii. Ma poir


ch sul fine del suo l'aglonauieato si diede a coinmo^ verii , e deplorare le diagriie e la sorte iimniuume su
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D ELLE i rtlC aiT A ROMAKE

di anibeclae, sn quelli rimasi ia citt e ta gli altri che ne erano usciti ; si misero tutti a piangere, ed naoimi ad una voce gridarono che li riconducesse alla patria , n pii!l s'indugiasse. E poco manc che partissero tntti a furia dall' adunansA ; rimettendo ogni csa ai depqtati senea brigarsi pi oltre della sicurezza, Se non che 9roto facendosi innanzi ritard l'impeto loro, dicendo: chtt erano pur buone per c^uei del popolo le promesse del Senato , e chiedendo che grazie appieno gli si dessero per le cose a loro concedute. Aggiungeva an cora di temere per l avvenire che uomini una voke^ oppressivi, si dessero , venutone il tempo , a ricor dare , e punire le cose operaie dal popolo. Rimanervi una sicurasza sola per quelli che temow questo dagU pttiauii, cio quella di rendere indubitato che , se vogliono i non posson pik offenderli. Finch sta ia essi il poter danneggiare, non mancheran de mal~ vagi che il vogliano. Pertanto se il popolo ottenga tal sicurezza, non altro resteragli da chiedere. Ripi gliando Menenio , ed incitandolo a dire <|ual sicurezzai pensava che al popolo bisognasse, concedeteci, disse ^ che noi ci scegliamo ogni anno dall' ordine nostro alcuni magistrati i quali non siano ad altro autorizzati che a prote^ere gli oltraggiati, e gli (^pressi n el popolo, n lascino che alcuno sia d^raudato de suoi diritti. A lle cose accordLateci aggiungete in grazia ancor questa , ve ne. prediam o , ve ne suppli chiamo f se la pace esser dee non m parole, ma in fatti. LXXXVni. Il popolo adendo un tal dire lo accora*

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|M|ga con grandi e lunghe acdainaaoni, raccomandaa* doti al deputati che gli concedessero anche questo. I deputati ritirandosi dall'adunansa, e conferendo al(juanto in fica loro, vi ritornarono dopo non molto. Taciutisi ttiui, Menenio &ttosi innanzi disse: La dimanda gtande e piena o plebei di enormi sospetti. A noi rne timore ed ansiet che non ahhiansi a fare due citt di una sola. Quanto da noi > nemmeno in ci ui ci oppofrtmo t or voi compiaceteci (tende anche que sto at ben uQstro) date a tr dejmtat che tornino in Rom a, e narrino al Senato la richiesta. Non ci ar roghiamo noi di risolverne > quantunque abbiamo da esso il potere di concordre come ne piace, arbitri in tutto di promettere. Siccome il caso che ci occorre l inaspettato e nuovo ; cos ce ite riportiamo ai Pa,dri, quasi, in esso l autorit ci si limiti. G persua diamo per cfie efsi ne sentiran come noi. Frattanto io qui resto, e con me parte dei deputati. Valerio e gli altri anderanoo. Stabilito ci gl'incaricati d'inforxoare il Senato spronarono i cavalli alia volta di Roma. Proponendo i consoli in Senato la richiesta ; Valerio opin che si concedesse. Appio , nimico fin da princi pio di ogni accordo, contraddisse anche allora chiaris simamente , esclamando e rilevando , chiamatine in te stimonio i Numi, i germi dei mali che impiantavano alla repubblica. Non per convinse la pluralit , desiderps, come ho detlo, di spegnere la discordia. Adun que il Senato autorisx con suo decreto le promesse dei deputali al popolo , come pure che gli accordas sero la sicurezza che dimandava. Fatto ci tornando il

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DELLE a n t i c h i t R OMANE

giorno appresso i deputati nel campo vi spojfero j vo leri del Senato. Q uindi esoftando Menenio il popolo d'in v iare alquanti a quali il Senato desse la sua f e d e ; fu spedito Lucio G iunio B r u to , del quale abbiam detto di sopra , e Marco Decio , e Spurio Icilio con eS'so. A nd met dei deputati compagna di Bruto in Roma. Agrippa , pregatone , si riinse nel campo , per istnde# la l e g g e a iioima d e lla ' q u a l e il popolo cretebbft i s u o i mngistrati. L X X X lX . Ne! d seguente B ruto ritorn gi ftifi i patti col Senato per m ezso de F c c ia lt, clie chiftmaiio. Divisosi allora il popolo in Fratrie', come aJt n qui homnerel)he quelle che essi dicono C u r i e , dcliiar suoi magistrati dell anno Lucfio Q ionio B ra t^ , e Cajo Sicinio Bellutd, fino a quel d loro capi, e con essi ancora Cajo e Pnblio Licinio , e Cajo Ictiio Ift*ga (i)i Assunsero questi cinqtie i primi l potest tribu n iz ia , quattto giorni avanti le idi di deceoibpe (2) , co me pur nel mio tempo si pratica^ F in ite le eleJiio^ii parv a deputati del Senato, adempito 1*intento della lotx) mM*sione. Ma B ru to , ronvO cataTadunanza del popolo, coiTsigli clic dichiarassero i suoi magistrali santi ed InviO'^

( 1) L iv io , D icn ig i, d a tu i aiorioi a n tid ii non ben si accordano sa la nomina di questi magistrali. Livio dice che i due i primi D o minali furono Cajo L iciuio, e L . Albino, e clie questi poi si scel sero tre Colleghi tra quali fn Sicinio 1' autore dlia sedizione. Ma Cticnigi pone, per primi Lneio Gimiiq Brnto , e C . SioiairO Bellnt': e quindi C . e Publio Lictuio , c C. Icilio Ruga. (a.) Anni di Roma a6 i secondo Catone , a63 secondo Varrone , e 491 ovanti Cristo.

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lWJi stabilenilisoe ' la sicui zta colle, e co'giiiiameBtii Piacene ei a tatti, e si fece su lui e su eoUeghi Ift lege : che nitt.no forzasse un tribuno j come im altro qualunque a fa r mai i0 ntra tua voglia ; n lo 6 atr tesise, ni lo uccidesse , n ordineuse ari altri hot terlo i o di ucciderlo. Gf^e s alcuna ci cantiavveng anche in parte ; siasne reo capitale ; se ne diano a 'Cerei'e i beni : e chiunque lo uccide , abbiasi come jmro iaUa 'strabe. E {^vcli non si'potesse ani pi far cessare gsesta legge , ma restarne immobile in ogni av*venilre , sv stabili che 4 demani giurassero iK tii^s riti 4nti di osservarla essi-, ed i po^e?! loro pei^etuaq[ieit8'. E 3 1 ' aggiunse ai giifpai*eiiti la preghiera , i^e gK -Dti saperti!, ed iolierni fossero propizj a chiunque fkvoriva la legge , oba' contrri > a quanti i violavano, conie eoittamiiHil di de>l'itti gravissimo., Da^ indi sOvse ne Romaqi il costnhie che persevera pvr .umiei gior^ii, dii rigmiiv dare le persne de trbani come sacrorante. XG. Concordato ei / feoecoi u altare sti le cime delia montagna ove sierano accampati,' lo>deBOnitna^ rotto nell idioma loro, I aliare di Giove terribile ; dal teirore che allora tutti'comprese. E fatti a: questo Did ide' sa^iGci, e renduto- sacro il luo^o che aveali. accoltk, ritornarono coi deputati alla patria. Quivi ofiGroii ssor^ fiaj di ringramotento a'Numi , di; Roma : persuasi i pairizj a confermare co' voti pvoprj i loro magiatraii , ,contentatine ; pregarono ancora. il SensK) a iconcedeBe lofo di nominare ogni atmt> due plebei , U quali mini strassero ai tribuni in ci che aveano di bisogno, giudicacaer le c a ^ oud'erano questi incaricali y e tenessero

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DELLE ANTICHIT* KOMAKE

cura de templi, de'pnUiJio iMogU i e deU' dobaodAtiu. Compiaidii in jqaetfo neon dal Senato erearono i mi* Dstri d a ilHiai, dMUBdoK coUcglii, e giudici. Or f>er& BB patrio vocaboi dall' una delie incombenze che adempiono, si chiaipano cnratori de' templi, e di ahr laogl (i) ; n bau pi& come prima un potere compia* ario di altri ; ma ve^ano in <ur varie, e gravi, e oongltano in gran parte agii abbondansieri de'Gntci. XCI^ Poich fiirono rieon^ioste le cose, e Roma vi> a m nnovamente ccll'oodiiae antico; i capitani arrota^ roQo in esercito contro i neni di fuori, mostrando* fiai prontisaimo ^1 popolo, tanto che in piociolissimo ompo si apparecchi per la gnenra. I consoli, come loro eostmae, decisero cotte sorli sul comando; Spurio Cassio dbbe in sorte la cura di ftoma, e vi rjmase jcoi> ^parte sufficieiHe di troppe sc^e. Postnmio Coniai anse in mpo le altre caotpoMe di Romani degni , 6 di alleati Latini non poehi. Ddiberaio di attacare i Yolsci innane lutis, prese a. prim impeto Longola , na loro citt. Ben cercarono oloro che vi erano iUa* latrarvtsi con qoah^e iilore; e pedirone faora nn eseiv ito u la fiducia di respingere i neqci che si avani^ .xairaM; ma oostoelti bruttamente a fuggire prima di -dare alcnna noUte prova , nemmen iecero punto di ger -aeroso combattendo poi su le mursb Adunque i Ro^ mani in un sol gioru a impadronirono senza combat> fiere del lor territorio, e ne presero a forza la cittiy n con molto iravaglio. Il comandante Romano condcdi sin
() ViM^I dire Edile. Era quest vomboio proprie d e R oim bI.

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che le ni^izie ! appropiassero le robe invas^; e presi* diala la citt, ne and col reato delf esercito contro l'altra citt de'Yplsci, chiamata Polusca, noa moltfll lontana da Longola. N osando alcuno di uscirgli in-* eontro, percorse facilissimamente la campagna, e me iovestl le mura. E datisi i soldati , chi a spezzare le porte, cbi a scalare le mura ed ascenderle; Poloscs anch'essa fu presa nel giorno roedesiniq. Il console scel* tivi aicnm pochi, autori della ribelUoDc, li f' morire : e multati gli altri in danari, e spogliatili delle arm e; gli astrinse a dipendere in avvenire dai Romani. XCIl. Lasciato anche in guardia di questa un pk eiolo presidio., and nel prossimo giorno coll' esercito Coriola, citt molto considerabile ; come antica ma dre de'Volsd. Stava quivi raccolta milizia potente: n le mura eran facili ad espugnarsi , avendovi i cittadini apparecchiata da gran tempo la guerra. Pertanto dan> dovi l 'assalto fino alla sera ; ne fu respinto con per* dervi molti de' suoi. Ma nel prossimo giorno tenendo in pronto arieti, yioee, e scale ; preparavasi di violeni> tarla con tutte quasi le forze^ Ascoltando per che gli Anziati come congiunti d lei verrebbero, anzi gi erano in via oon armata copiosa per soccorrerla; divise le schiere deliberato di combattere con met sa le mura lasciatovi Tito Largio per capitano, e di traversare coK r altra i sussidj che si avanzavano. Perci si fecero in un giorno due coinbaUtmenti. La vitlona si decise io aanbedue pe'Rom ani, adoperandovisi tutti ardentemente} ma uno infrA gli altri fecevi pt^ve di valoi-e maggiori di ogni d ire , e di ogni credere. Discendeva costui da

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DEL L E ANTTCHITA ROMANE

Stirpe patnsia , noli iog[loi>iosa per amenti ; e Csjo Maif-' xio eraue il nome. Soiabrio nel visere suo quotidiano' kunfieggiava tu tto u li liberi genj. L ordine dalla battaglia fii tale in am be le p arli: Largio insieme col d ca-Vandw l armala U rec fin sotto C orio la, ifivestendone in pi hiogfai le mura. Ringrandivansi i Gorilesi pel soccorso dagii A n z ia ti, confidando che giungerebbe loro indi a BOI! molto : e spalandate tutte Je porte poinbaeono a folla o ^ t r o ai nemici. Ne soSlenaeny i Homaiii il prim o impeto , empiendoli di leiit^ : ma fopziiti poi pel cre scere continuo d ^ l i assalitori' si ripiegarono gi per luoghi declivi. Mareio 1 an sid e tlo , veduto questo , si (ertn con pochi , e ricev lo sco ntro'di u n corpo u e mico. Prostrotioe molti ; gli altri rineulavauo e fig givacnsi alla citt. N on pertanto costui volava ^ u -li> orm e- loro , e ne uccideva ; invitando via via li Ro mani dispersi^ a ' r T i^ e r s i, e confidare, e s e ^ ir io . V e r ' gognaftisi questi di sestessi e rivoltisi fin alm en te, si gettarono su gli avversar) fere n d o , e incalzando.} tanto che tra poco tempo fugarono' tutti il loro com p etitore, e i i i rono sotto le mura. M arzio, baldanzosissitno gi n el pericolo , si spinse anche pi oltre. G iu n to a lle 'p o rte cacciovvisi insieme co'fi|ggi4ivi. ^Panetraiivi con essa molti a ltri, faceansi in 'pi p a n i della^citt vicendevli: e g r a n d i uccisioni ; . altri cotnimttendo m su lo stretta delle strade , altri nelle ce ehe s invadevano. Goepe- ravano ai k>r-oMadD t fmmine, lanciando da tetti le tegole su'nem ici. E tutti fin dve a ^ a n iorza je potenza, (oecotTevaao pieui di ardore* la - patria. N(M resistoroaa

LIBRO VI,

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per lungo tempo; violentati a rimettersi alfine ai vin> citori. Presa in tal modo Coriola, gli altri Romni si diedero e per gran tempo a predare una citt espu gnata , intenti a profttarne, essendovi roba in copia e schiavi. x e n i. Marzio il primo che avea tenuto fronte ai nemici, Marzio che erasi nobilitato pi& che tutti i Ro mani nell' assalto , e dentro le mura ; brill pi ancora nell' altra battaglia con gli Anziati. Non rfeput gii egli, che fosse da non meschiarvisi : m& vinta appena la citt, menando con s pochi idonei a seguirlo vi accorse. Tvo vate le milizie gi schierate e pronte per venire alle mani, egli primo annunzi tra suoi la presa dlia citt, dandone per segno il fumo che alzavasi io copia dalle case incendiate ; e bea tosto , pregatone il console, si mise contro a' nemici pi formidabili. Alfine, dati j segni della battaglia j primo si lanci su' nemici che gU erano incontro ; ed uccisine molti di quelli che veni vano seco alle mani, si cacci nel mezzo dli' armata. Non reggevano gli Anelati combattere di pi ifermo con lai ; ma dove si presentava, levavansi di ordinanza, e folti gli si giravano intorno e lo saettavano, ritiran dosi o seguendolo secondo che si moveva, Postumia avvedutosi di ci, temendo ohe il valentuomo lasciato solo non patisse disastro , spedi per soccorrerlo giovani sceltissimi e fortissimi. Ristrettisi, piombarono questi sui ^pernici che non tennero fronte, ma fuggirono. Inoltratisi i^^varono Marzio pieno di ferite, e molti intorno di lui iporii o semivivi. Allora preso IVfarzio per dace ne an darono tutti contra quelli qhe serbavano un ordine anp i a m o r , tomo i r .

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DELLE AKTICniTA ROMANE,

cor, UGcidendo chi resisteva, e malmentandoli come schiavi. Furono per tale battaglia degai di ricordanza anche ahri romani, e principalmente i difensori di Mar zio.*'a tutti pero Marzio precede come autore incon trastabile delia vittoria. Fattasi notte \ Romani superbi di s stessi per ia vittoria, tornarono alle trinciere eoaducendovi molti prigionieri dopo avere ucciso .pur molti degli nziati. XCtV. Nel giorno seguente Postumio convocando l'esercito vi espose tra le lodi le belle azioni di Manio , Io condeoor di nna corona in premio del valor suo e segno di riconoscenza per l 'una e 1' altra batUglia. L o regal di un cavallo marziale, fregiato come quello di un capitano; di dieci schiavi a scelta sua, di argento, quanto potesse portarne egli stesso, e di molte altre vaghe primizie della preda. Acclamando intanto tutti con voci di encomj e di riconoscenza ; Mai'zio fecesi iaoanzi e disse che rendea grazie vivissime al console e agli altri per gli onori che gli compartivano: che lon~ tatto per dall abusarne teneasi pago del solo ca vallo , per la belt de suoi fr e g i, e di un prigio niero solo, gi ospite silo. Le milizie che lo avevano prima ammirato per la sua magnanimit, molto pi lo ammirarono ora pel disprezzo delle ricchezze, e per la moderazione del cuore in tanta sua buona sorte. Fu perci cognominato i l . Coriolaiio , divenendone iasigais>simo infra tutti del suo tempo. Terminatasi cosi la bat taglia cogli nziati, le altre citt de' VoUci, e quanti pensavano come queste deposero la nimicizia pe Romani. E chi gi era su larme , e chi vi si apparecchiava.

LIBRO VI.

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. tatti si racchetarono. Postamio dimostratoti benigno con tu tti, si ricondusse in patria, e discioke 1' esercito. Cassio r altro de' consoli rimasto in Roma consagraya intanto il tempio di Cerere , di Bacco, e di Proserpina situato a'con6ni del circo massimo, appunto sopra le B H isse. Promesso questo. pel bene della repubblica in voto a que' Numi da Aulo Postumio il dittatore quando era per combattere.co'Latini, e dopo la vittoria facen* dosi per decreto del Senato erigere tutto colle prede ; [Hgliava allora finalmente il suo termine. XCV. Si fecero nel tempo stesso nuovi accrdi e giu ramenti con tutte le citt Latine per la pace e per la micizia; perch non si erano punto sommosse ne'tempi della sedisione , perch notoriamente si rallegravano del ritorno della plebe, e perch si erano vivissimameate prestate per la guerra contro de* popoli ribellatisi. Fu segnato ne' patti : tra Romani e tutte le citt de La^ tini sw pace .vicendevole finch il cielo e la terra avr lo stato medesimo : n faranno guerra fr a loro; n la chiameranno gli, uni su gli altri da altre re gioni , n le daranno libero il passo : gli uni soccor reranno gli altri con tutte le forze nelle guerre, e divideranno ugualmente le spoglie e le prede delle guerre comuni. J giudizj de contratti privati si com piano tra dieci giorni ne tribunali della gente ove accadde il contratto : e ninno possa aggiungere o to gliere a questi trattati senza il voto dei Romani, e di . tutti i Latini. Stabilite tali condizioni fra loro, i La-r tini ed i Romani le giurarono su le sante cose ad uua ad una. Il Senato decretando che si porgessero sagrifizj

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D E L L E a n t i c h i t ROMNE

di rngratiamento agl Iddj per la riconciliazione cl popolo , aggiunse la terza alle ferie chiamate Latine che erano due. Istituitane la prima da Tarquinio re quando Tinse i Tirreni, il popolo vi uni la seconda, quando rend libera la sua pati'ia cacciando i tiranni ; ed ora Ti st appose la terza per lo ritorno del popolo segre~ gato. Pigliarono la presidenza e la cura de* sagrifi2j e d e ' spettacoli sliti di farsi in esse i ministri de'tribuni; quelli che avendo ora come ho detto il poter degli edili, sono dal Senato privilegiati della pretesta, della sedia curale, e di alun regj ornamenti. XCYI. Non inolto dop tal festeggiamento cess di vivere Menenio AgrTppa l ' uno de' consoli , quegli che avea vinti i Sabinim enandone un trionfo nobilissimo , e pe' suggerimenti del quale il Senato concedette a' se* gregali il ritorno, ed i segregati deposer le armi. Roma ne fece a pubbliche spese gli onori estremi , dandogli bellissima e splendentissima sepoltura : imperocch un tanto valentuomo non avea sufficienza per un trasporto e per una sepoltura InagniGca, tantoch tenutone fra loro consiglio, pareane ai tutori de*figli di lui che do*, vesser esportarlo e tumolarlo umilmente, come un al* tro qualnque della moltitudine. Non per lo permise il p ^ o : imperocch li tribuni convocandolo a parla mento , e ripetendo le tante belle virt, guerriere e po litiche dell* estinto, e la frugalit, e la semplicit sua nel vivere , e soprattutto celebrandone con lungo elogio la superiorit sua contro le ricchezze ; rilevarono come saria bruttissima cosa che un tal nomo avesse per la povert non distinti ma tenui gli ultimi Qssequj. Pertanto

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esortavano il popolo a subirne la spesa, e contribuirT come ordinassero. Piacque all adunanza il consiglio} e recate ben tosto da tutti le tasse prescritte , se ne rac colse somma copiosa. Il Senato, risapendolo, tenne ci come infamia. Giudic non essere da tollerare che il pi insigne de* Romani mendicasse gli ultimi onori dai privati : e decret che si facessero col pubblico erario { imponendone ai questori la cura. E questi pattuendo tutto a gran somme, ne fecero trasportare con ricchis sima gala il cadavere ; e dispensando quant' altro esigevasi a magnificarne le glorie, lo seppellirono in fine come i meriti dimandavano del valentuomo. Il popolo , emulo del Senato per onorarlo, non sostenne di ripren dere il denaro contribuito , sebbene si volesse a lui ren dere : ma diedelo in dono ai figli delFestinto i per piet su la indigenza loro, affinch non si umiliassero ad arti indegne della virt del padre. In quel tempo si fece da' cnsoli il censo; e le persone numerte si trovarono pi che cento dieci mila. E tali sono le cose operate da Romani in questo consolato.

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ANTICHIT ROMANE
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D IONIGI ALICARNASSEO

LIBRO SETTIMO.

I. I^REND ENDO la coQsoIar dignit Geganio Maceriao, e Publio Minncio (i) fecesi ia Roma penuria somma di grano, come un seguito della sedizione. Imperocch il popolo si era segregato dai Patrizj circa 1' equinozio autunnale, appunto cominciandosi la stagione del semi nare: dond' cbe i cultori, abbandonate le campagne, eransi concentrati, i pii agiati co Patrizj, e li mercenarj colla plebe , tenendosi gli uni lungi dagli altri fiach la citt si riun, pacificatasi non molto prima del
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(i) Anni di Roma zGi secondo Catone, a64 secondo V arrone , avanti Cristo.

D E L L E a n t i c h i t ROMANE LIBRO V I I .

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solstzio invernale. In tuno quell' intervallo cnsumaa dosi la stagioae delle sementi, la campagna si rest senza chi la curasse ; male che dur tuttavia molto tem po ; non essendo facile ripigliarne i lavori ai villani che vi tornavano, danneggiati pe'schiavi dissipatisi, e pe'bestiami distrutti co' quali la coltivavano, n fomiti molto di semi, n di alimenti per l anno appressQ. Il Senato ci conoscendo spedi de' commissar] nell Etruria , nella Campania, e nell' agro detto Fomentino, affinch vi comperassero il pi che poteano di frumento. Furono spaili in Sicilia Publio Valerio e Lucio Geganio, Va* lerio il figUo di Poplicola, e Geganio il fratello deh* r uno de' consoli. Stavano ivi allora de' tiranni per le citt, .e di essi era il pi cospicuo Gelone, figlio di Dinomeno, fresco successore d'Ippocrate fratello suo (i),
(l) I critici Iian gi notato che qui Dionigi prende un equToco. Gelone non era fraiel.Io d Ippocrale , e questi non regnava in Si racusa ma in Gela. Anzi propriamente Gelone fu 1 usurpatore pi che il successore del regno d Ippocrate. Morto questo, ricusando i Gelesi di ubbidirei ai figli di lu i; Gelone datosi a difendere i-se condi , inse i primi ed invase il trono di Gela ; ma egli vi present le Tirt piil desiderate ne monarchi. Non molti anni dopo, nata se ditione in Siracusa, cacciatine i Gamori; Gelone rimise questi in patria e si attTibu lo scettro ancora d i Siracusa. Egli diede una disfatta famosa in Sicilia ai Cartaginesi nel giorno stesso che Leo nida si segnal contro i Persiani alle Termopile. A lui succedette Jerone tanto lodato da Pindaro : a Jerone succed Trasbulo che perdette il regno, fuggendo in Locri. Siracusa torn libera ; ma dopo pirca 6 0 anni vi si riprodusse la tirannia dei Dionisii e quindi laltra di Agatocle. Finalmente un altro Jerone disceso dalla stirpe di Ge lone ricuper il trono. E questo secondo quel Jerone insigne per V amicizia de Romani : su luno e su l altro Jerone pu consultarsi Paiisa^ia lib- a. '

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D ELLE a n t i c h i t ROM A N E

e D O Q Dionigi Siracusano , come narra Licbio e GeHio e molti altri autori Romani, non solleciti gi, come la cosa stessa dimosiral, dell'esame diligente dei tem p i , ma inconsiderati nello scriverne ciocch alla pri ma ne seppero. Iniperoccb la legazione deputatavi fece vela per la Sicilia nell anno secondo della olimpiade settantesima seconda , essendo Ibrilide ai^oute d Ate ne diciassette anni dopo la espulsione dei re , come si conviene tra questi e quasi tutti gli altri scrittori. Al* fronde Dionisio il Seniore investendo ottantacinque anni dopo quest epoca li Siracusani, sea fece tiranno l'aiio -terzo della olimpiade novantesima terza, essendo ar conte in Atene Callia successore di Antigene. Si con doner forw agli storici se sbagliano di alcuni pochi anni, disponendo memorie antiche e diuturne ; non per mai si permetter che deviino dalla verit per due o tre generazioni intere. Sembra che il primo il quale cosi pecc nella sua cronologia , seguito poi da tutti gli altri, trovasse ne' vecchi annali solamente , che sotto questi consoli furono spediti deputati in Sicilia per com perarvi de' grani , e che ne tornarono eoa portarne quanto piacque al tiranno concederne ; e che poi noa cercando pi oltre negreci monumenti chi fosse questo tiranno lo supponesse, come vennegH a mente , Dionigi, senza considerazione niuna, IL I deputati navigando verso la Sicilia, colti mare dalla tempesta, e girati a forza intorno delC iso la , non giunsero che tardi dove era il tiranno : e sop-r portato quivi l'inverno, ripassarono a primavera nellItali^ con viveri copiosi. I commissari spediti a'carnpi P q-

LIBRO VII.

meatiai per poco non furono accisi da Volsci, come spe, per calunnia degli esuli da Roma : e salvatisi, la buon merc degli ospiti loro, quantunque a gran stento, tor narono a Roma senza danari e senza lintento. Occorse pari infbrmnio anche agli altri mandati a Ctima d Itaw lia ; imperoct;h vivendo ivi molti Romani , scampati, perch fuggiti con TaBqwnio dall' ultima battaglia ; que> sti si fecero su le prime a chiedere dal re del luogo , per ucciderli, que' deputati : e respintine, dimandarono di ritenerli almeno coie ostag'gi, finch riavessero i loro beni dalla citt che gli aveva deputati. Diceano che erano que beni confiscati ingiustainente, e pensavano che il re stesso del luogo dovesse giudicar di tal causa. In quel tempo era tiranno di Cuma Aristodemo figlio di Aristocrate, nomo non ignobile di lignaggio. Chiamato da cittadini il Molle , fu col volger degli anni noto prin cipalmente pel soprannome , sia che si ammorbidisse fin dalla fanciullezza , sia che porgesse in s gli usi di una femmina come narrano alcuni, sia che mite fosse per indole e dolce nell'ira, come altri pur notano (i). Ed io non credo fuor di proposito sospendere alquanto le cose Romane, e dire di lui brevemente come si accinse alla tirannide, per quali vie vi pervenne, e ne resse il comando , e come vi peri finalmente.
( i ) Plutarco riprende chiunque allude a questi significati ; e dica che fu chiamato Malaco perch, giovinetto ancora ebbe gran pregia di fortezza tra'b arb ari, cio quasi fosse adulto anzi tempo. Caiaab. Questa interpretaiione ben diversa <fa quella di M olle. Forse colla voce M alato si alludeva ad ambedue li siguiicati. Qui par che si alluda a quello di Molle.
D i o m a i , tomo I I . il

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DELLE AMTICHITA R OMANE

III. Volgendo la olimpiade sessantesima quarta , in tanto che Milziade era arcont di Atene, i Tirreni dei contorni del golfo Ionio, cacciati poscia di li dai Galli, e ^ Umbri con essi, e li Daunj , ed altri barbari in copia tentarono distruggere Cama , Greca citt tra gli Opici fondata dagli Eretrj e da Calcidesi ( i ) , senz' al tra vera cagione, se non che ne odiavano la prosperit. Imperwch Cuma famosissima di quei tempi in tutta r Italia per la ricchezza , per la potenza, e per molti altri b e n i, avea le terre le pii irattuose della Campa nia, con porti utilissimi presso al Miseno. Invidiandone i barbari il si gran biene, le mossero incontro con di ciotto mila cavalli e con cinquecento mila,fanti (a), e non meno. Accampatisi questi non lungi dalla citt surse un portento meraviglioso, quale non ricordasi accaduto mai n tra' Greci dovunque, n tra'barbari. 1 fiumi che scorreano presso gli alloggiamenti ( Volturno nominavasi 1' uno , e l 'altro il Ciani (3) ) lasciando lo
(i) Gli E retrj ed i Calcidesi erano popoli dell Eabea o IN'egroponle. Eretria era distante venti miglia da Calcide. Vi erano due altre Eretrie. Vedi tom. i , la not. al 4 ^ , qui si parla della prima. ( 1) P ar troppo torrente contro di una citt s forse vi sbaglio nei numeri. (3) Vi sono altri fami di pari nome. Questo quello additalo da Virgilio 1. a , Georg. V icina Vesevo Ora jugo , e t vacuis Clanitu non aequus acervis. Antonio Boadrand: (vedi uovum Lexicon Geograpbic.) chiama que sto fiame ^giio ; e dice che passa presso di Acerra , di Aversa a Minturno. Forse il Ciani h quello stesso fiume che ora chiamasi Patria nelle cane geografiche.

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V II.

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scadere lor naturale, si ripiegarooo, rifluendo gran telnpo daU imboccatura alle fonti. Vista la meravglia , iero core i Cumani di piombare su barbari, come se i Nomi fossero per deprimere laltezza di quelli, e per sublimare loro che depressi ornai ne pareano. Pertanto dividendo in tre corpi la gente militare > con ubo guar darono la citt , con altro le navi, e col terzo., 'Schie-< ratolo avanti le mura, aspettarono 1 inimico cHe.iooltravasi. Seicento erano i cavalli Cumani, e quattro, milq cinqo^nto i fanti : pure si pochi di numero tennero fronte a tante migliaja I IV. Come i barbari seppero che eransi apparecchiati per con^attere, dat un grido, corsero in barbara for ma , disordinati e^ misti, cavalli e fanti, appunto per annientarli' tutti in un colpo. Il lno|[o, dove innanzi la citt si affrntaronc, era una valle angusta , rinchiusa da lagune, e da'm onti, propizia al valor de Cumani, ma nemica alla folla de barbari. Dond che, travolgendosi e calcandosi questi, gli uni gli altri in pi luoghi, e principalmente su pel fai^o intorno la palude , si di strussero in gran parie fra loro, senza pur veiiire alle mani colla Greca milizia di Cuma: e quell esercito ap piedi s numeroso, e disfatto, e sbaragliato da sestesso, fini qua e l fu rtiv o , senz' avere operato nulla di generoso. Li cavalieri per si avventarono, e molto tra vagliarono i Greci: ma non polendo circondar l inimico per r angustia del loco, e temendo i destini che combatteano per Cuma colle piogge, co tuoni, co fulmini, si diedero anch' essi alla fuga. In questa battaglia i ca valieri Cumani militarono tutti luminosamente, ricono-

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sciutine quindi come autori della vittoria. Si distinse so pra tutti Aristodemo chiamato Malaco ; imperocch solo opponendosi, uccise il capitano nemico , e molti Talorosi. Finita la guerra porgeansi sagrifizj di ringrazia mento ai numi , e davasi magniBca sepoltura agli estinti in battaglia : ma quando si ebbe a decidere a chi si dovesse la corona , come al pi forte ; assai se ne di sput. Li giudici piilt ' ingenti, e con essi anche il po polo , voleano che ad Aristodemo si concedesse ; ma i pi potenti, e con; loro tutto il Senato, ad Ippome<donte , duce de' cavalieri. Di que' tempi era in Cuma il governo degli ottimati, n molto il popolo vi potea : ma natavi sedizione appunto per tal controversia, i se niori temendo che tanta ambizione finisse colie armi e colle stragi , persuasero ambedue li partiti di dar pari onore all' uno e all altro di que' valorosi. Da quell' ora divenne Aristodemo Malaoo il protettore del popolo ; e poich si avea procacciato una persuasiva nei discorsi di Stato, commovea con questa la moltitudine , allet tando lei con stabilimenti gradevoli, beneficando coll'aver suo molti de poveri, e rimproverando i potenti che si appropiavano ciocch era del comune. Dond che ne divenne ai primi degli ottimati molesto e terribile. V. Venti anni dopa la battaglia co'barbari veanro ambasciadori dalla Riccia co simboU di pace ai Cumani per supplicare che li soccorressero nella guerra contro i Tirreni. Imperocch Porsena re di questi dopo l pace con Roma dando met dell esercito, come esposi nelibri antecedenti, ad Arante suo figlio, lo aveva inviato, voglioso che o' era , ad acquistarsi un dominio : e costi

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di quel tempo appniUo assediava gli Ariciti rifugiatisi tra le mura, sulla idea di preaderne tra .non molto la citt colla fame. A tale ambasceria li primi degli otti mati. odiando Aristodemo e temendo che non causasse alcun male al governo ; concepirono di avere il buon punto di levarsel d'intorn con delicate maniere. Per suadendo il popolo a spedire due mila per soccorso de gli Aricini, e nombandone capitano Aristodemo come il pi insigne nelle armi, fecero pi tal maneggio , onde lusingarsi che colui perirebbe o pr le battaglie co' ne mici , o per le fortune di mare. Imperocch resi dal Senato arbitri di scegliere quei che dovrebbero andare di rinforzo , non v' inchiusero alcuno de pi famosi e f)i riguardevoli ; ma reclutando i pi poveri e pi scel lerati da quali, aveano sospettato sempre delle sommosse, rdinarono con questi l armata, e riducendo in mare dieci navi antiche j pessime a correr le acque, e dan done il comando a Cumani poverissimi, ve la soprap posero , con minacciare di morte chiunque ne disertasse. VI. Aristodemo , dicendo unicamente che non igno rava le mire degli avversar] che in apparenza lo man davano per soccorrere , ma in realt per farlo soccom bere ; assunse il comando dell esercito. E facendo ben tosto vela co deputati Aricini, e superando a stento e con pericolo il tratto interposto di mare, approd sui lidi pi prossimi dell ArLcia. E lasciata guarnigione sufficiente alle navi, e fatto nella prima notte il cam; mino, il quale vi restava , che certo non era lungo, si . presenl su 1 alba inaspettato agli Aricini. Accampajtosi presso di loro, e persuasi gli assediati di uscire all a-

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peno sfid ben tosto i Tirreni a battaglia. Schieratisi ed attaccatisi, gli Aricini resisterono picciolo tempo, e piegarono e rifuggironsi in folla tra le mura. Aristodemo per coi pochi scelti Cnmani che avea d 'in to rn o , so stenne tutto il forte della battaglia, ed uccisone di sua mauo il duce, mise in fuga i Tirreni, riportandone una vittoria nobilissima. Ci fatto, e magnificato dagli Aricini con doni copiosi rinavig speditamente verso Cnma per essere egli stesso nunzio della vittoria. Teneano dietro a lui molte barche Aricine colle spoglie e coi schiavi presi ai Tirreni. Avvicinatosi a Cuma e messe' a proda le D a v i , concion tra 1' armata. E molto accusando I capi della c itti, e molto encomiando quelli che si erano se gnalati nella battaglia, e dispensando argento e parteci* pando a ciascuno i doni degli Aricini; preg che di tali beneficenze si ricordassero , quando sbarcherebbero nella patria, e lo fiancheggiassero se mai gli otmati gli creavan pericolo. Confessandosi tutti obbligatissimi per la salvezza insperata che aveano da lui ricevuta , come perch tornavano colle mani non vuote in fami glia ; e protestando che darebbero a'nemici anzi sestessi che lui ; Aristodemo , ringrazionneli, e sciolse 1 adu nanza. Quindi chiamandone al suo padiglione i pi ma< liziosi e prodi, e guadagnandoli tutti co' doni, co bei discorsi, e colte speranze lusinghiere, li f' pronti a mutare il governo che vi era. VII. Presi questi per ministri e per combattitori, istruitili parte a parte su ci che avessero a fare, e messi in libert gli schiavi che conduceva per obbligarsi

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ancor essi, viaggi pii\ oltre colle Davi coronate (i) fino ai porti di Cuma. I padri e le madri de'militari, tutto il parentado, i figli insieme e le mogli, venutili ad in<i contrare mentre scendevano a teiro, lagrimavano , gli abbracciavano, li baciavano, li chiamavano con tenerisiffli nomi. Tatto il resto della moltitudine urbana rice* vette fra tripudj ed acclamazioni il capitano, accompa* gnandolo fino alla casa. Di che dolenti i capi delia cittd, qaeiU principalmente che gli aveano affidato 1 armata e ne aveano con altri modi tramato la rovina, fecean tristi colloqnj su l 'avvenire. Aristodemo lasciati deoor rere alquanti giorni onde rendere agl' Iddj li suoi voti, e ricevute intanto le sue navi da carico rimaste indietro^ alfine venutone il tempo, dbse voler esporre in Senato le cose operate nella guerra e mostiargli le prede ripotii fatene. Riunitisi in numero i primarj, ed i magistrati nel Senato, egli fattosi innanzi prese a dire e narrare tutOe le cose operate nella battaglia ; quando gli uomini apparecchiati da lui per l impresa , accorsi in folla nel Senato co' pugnali sotto gli abiti, vi uccisero tutti gli ottimati. Si diedero allora a fuggire e correre , chi alle proprie case, chi fuori della citt, quanti erano al Foro, eccetto i complici del disegno, i quali avevano occupato la fortezE a , il porto, ed ogni luogo munito della citt. Nella notte seguente sprigionando quanti vi erano ( e molti ve ne erano ) dalle pubbliche carceri, destinati alla morte,' ed armandoli con altri suoi amici, tra'quali
( i ) I d egno d e lla v ittoria r ip o rta ta . Col nettioDfi a n c o r a li fiisci. i

CoroDavaao

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erano gli schiavi Tirreni , ne fece un corpo di guardia per la sua persona. Fatto giorno, convocato il popolo a parlamento, ed accusativi a lungo gIL uccisi, disse che. erano stati meritamente puniti ; avendo per tante volte insidiata a lui la vita.: ma che , quanto agli altri cittadioi, egli darebbe loro la libert, la eguaglianza dei diritti, ed altri beni copiosi. Vili. Ci dicendo, ed elevando tutto il popolo a speranze meravigliose, subill due regolamenti, pessimi tra tutti irgolamenti, ed iniziativi di ogni tirannide, io dico la nuova division delle terre e la remissione dei debiti. Egli promettea provvedere su l'una e l'altra cosa, purch fosse eletto comandante assoluto, finch il comune fosse in salvo, e vordinassero uno stato popolare. Con piacere ud la plebe e tutti i peggiori che avrebbonsi a ghermire i beni degli altri: ed egli, avutone un polene indipendente, aggiunse un nuovo decreto col quale decadendo ancor essi, alfine tolse a tutti la libert. Imperocch fingendo temere torbidi e sedizioni d'nobiy contro dei plebei per le assoluzioni dai debiti e per le divisioni nuove de' terreni, disse che a precludere una guerra ed un eccidio civile , trovava un solo rimedio, cio che tutti prima di ridursi a tal male ^ recassero dalle loro case le arme, e le consacrassero agl' Iddj per averle nel bisogno pronte contro i nemici esterni se ne venivano, non contro sestessi: pertanto esser bonissima cosa che stessero quelle presso de Numi. Persuasi di tanto.i Cumani ; egli nel giorno stesso ebbe le armi di tutti, e negli alui appresso fe cercare le ca?e di ognuno , uc cidendovi molti buoni sul pretesto che non avessero

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portate al Numi tutte le armi. Dopo ci fortific la ti.< rannide su con tre generi di guardie: il primo fu di que' vilissimi e reissimi cittadini ' co quali tlse 1' auto rit d ^ li ottimati : il secondo fu de' servi indegnissimi renduti liberi da esso perch aveano trucidati i loro pa* droni : ed il terzo furono i militari assoldati da barbari pi inumani. Erano questi nommen di due mila, e va' lidissimi pili che gli altri nelle arme. Tolse le immagini degli uccisi da ogni luogo sacro e profano supplendovi in vece loro le sue. Le case , campi, ogni avere di questi lo don tutto ai complici suoi nel preparargli la coron , riservando per s l 'oro e 1' argento , e quanto Itro base della tirannide. Ma li doni pi numerosi e pi grandi li profuse tra gli assassini dei loro padroni ; i quali chiesero perfino in moglie le donne e le figlie de' padroni medesimi. IX. Quantunque per niente avesse in principio cu rata la stirpe virile degli uccisi, alfine si accinse a ster minarla tutta in un giorno, sia che per un qualche oracolo f sia che per computi verisimilt concludesse che perpetuava con questa a sestesso uno spavento non pic colo. Ma perciocch vivamente nel distoglievano quelli (i) presso a' quali dimoravauo i figli e le madri, egli vo lendo concedere loro un tal dono, gli assolv, sebbene contro sua voglia , dalla morte. Per cautelarsi per da loro sicch congiurandosi non insorgessero contro il suo regno ; comand che uscissero tutti dalla citt chi verso r uno e chi verso 1 altro luogo : e vivessero per le
^i) I Satlliti del tiranno alli quali egli stesso le avea marilat.

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campagne senza istrnzione e coltura , propria di liberi gioTinetti, con pascer le greggi o con altri campestri esercizi, minacciando di morte chiunque di loro in citt fosse preso. Cosi quelli, abbandonati patrj lari, S O '^ steneansi come schiavi per le campagne, servendo agli uccisori medesimi de' padri loro. E perdi niente pi ci avesse di virile o di generoso prese ad effeminare colle istituzioni sue tutta la giovent Cnmana, toglien dole i ginnasi e gli esercizj militari , e variandone le maniere gi consuete del vivere. Volle che i giovani come le donzelle nudrisser la chioma , e bionda la ri ducessero e riccia sserla, e riccia ta di reti lievi la cir condassero; e portassero toghe talari e ricamate , ie clamidi sottili e molli, vivendosi all' ombra. Donne, educatrici loro, li acoompagnavano, recando parasoli e ventagli ai spettacoli di suono e danza e simiglianti mtisiche dissolutezze: ed esse li lavavano, esse porta vano ai bagni i pettini, e gli alabastri con gli unguenti, e gli specchj. Con tal modo ammorbidiva i giovani fino ai venti anni, concedendo allora che passasser tra gli uomini. Ma egli che avea cosi vituperato e danneggiato i Cumani, egli che non avea risparmiato loro n im pudenze , n sevizie , egli alfine gi vecchio , quando si credea sicuro nella tirannide, sterminato con tutti i suoi , ne pag le giustissime pene ai Numi ed agli uo>. mini. X. I prodi che insorgendo liberarono la patria dalla tirannia di lui furono i figli de' cittadini uccisi : quelli che egli avea risoluto in principio di trucidare tutti in un giorno, m adie poi risparmi, come ho detto, vinto

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Malie istanze de' satelliti snoi, maritati da lu eolie ma dri loro, comandaudo che abitassero per le campagne. Pochi anni appresso viaggiando egli pel' contado e ve dendoli gi adulti e molti e floridi ; tem che non si congiurassero ed assalisserlo : e macchin di prevenirli ed ucciderli tutti prima che niuno se ne avvedesse. Adunque consultandosene cogli amici, deliberava eoa essi le maniere sollecite e piane ma occultamente, onde spegnerli. Sepperlo que' giovinotti per indizio forse di alcuno che ne era consapevole, e, forse mossi da con* getture probabili, fuggironsi ai monti, dando di piglio ai ferri degli agricoltori. Corsero ben presto in ajuto loro i fuorusciti Cmani rifugiati in Capua , tra' quali erano i pi cospicui, e segniti in gran parte dagli ocpiti loro Campani, i figli d Ippomedonte, di quello che ndla guerra Tirrena avea comandato la cavallera. Essi armati recavano a' compagni le armi con una truppa nou picciola di amici e di mercenarj della Campania. Alfine riunitisi scorrevano e turbavano predando i campi nemici, ritoglievano gli schiavi dai padroni, ed ogni altro qualunque dalle carceri, e gli armavano, e quanto non poteano trasportare o menar seco lo davano alle fiamme, o alla morte. Ansio dubitava il tirando come avesse a combatterli, perch n sapeasi quando impren* derebbero , n'tneansi fermi sempre in .luoghi mede simi , ma regolavano le loro incursioni o colla notte fino all aurora, o col giorno fino alla notte. Avendo pi volte spedilo milizie ma indarno a guardia delle cam pagne , a lui ne venne un .ale degli esuli malconcio di battiture, spedito ad arte da essi quasi un iliserkore.

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Costui diiedendo ' la impunit promise al tiranno di guidare l ' armata che manderebbe con lu i, nel luogo appunto ove quelli sarebbero nella notte imminente. In> dotto il tiranno a credergli perch non chiedea verna premio , e porgea sestesso in ostaggio , spedi li suoi duci pi fidi, seguiti da molti cavalieri e da mercenari , con ordine di condurre a lu i, legati almeno , p i , s non tutti quegli esuli. Il disertore eh' erasi a ci posto men tutta la notte 1 armata a disagi gravissimi per vie non trite e per boschi, in parti le pi lontane dalla citt. ' XI. Come i ribelli e i profughi posti per le insidie intorno all' vemo , monte vicino alla citt, conobbero peWgnali dati dagli esploratori che l'armata del tiranno era uscita, mandarono circa sessanta i pi arditi di loro che . cinti da irte pelli portavano fasci di sarmenti. Or que sti nell' ora , quando accendonsi i lumi, chi per l una e chi per 1 altra parte entrarono, quasi operaj , la citt senza essere conosciuti; ed entrati cavarono da sarmenti le spade die vi occultavano, e si raccolsero tutti ad un 'luogo. Donde marciando in schiera alle porte che me nano all' Averno, ne uccisero i custodi che dormivano, e spaancatele, v' introdussero tutti i loro che v' eraa gi prossimi, n per Unto il fatto ravvisavasi ancora. Scontravasi per sorte in quella notte una pubblica festa, ond che tutti oziavano per tutto in citt tra le be vande ed altri diletti. Or ci di loro gran sicurezza di trascorrere tutte le vie che guidavano alla casa del tiramio : e nemmen qui trovando nelle entrate molti, n .vigihaii, ve gli acciserO'senza stento, oppressi dal sonno

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o dal vino : ed internatisi in folla trucidarono nell' abi tazione, quan una gnggia, tutti gli altri, ornai pei viab non pi arbitri de'corpi n degli animi loro. Or qiit preso Aristodemo, i figli, e tutti i parenti, e battotiU gran parte della notte, e tort^iratili, e devasutili con ogni male, gli uccisero finalmente. Cosi sterminando dalle radici quella stirpe, di tiranni fino a non lasdarri non fanciulli, non domie, non consanguineo niuno ; e rintracciati tutta la notte tutti li cooperatori a fondar la tirannide ; andarono , nato il giorno , niel Foro , e con* Tocatovi il popolo , e depostevi le arme, renderono l patria a sestesSa, XII. Or questo Aristodemo nel quartodecimo anno della sua tirannide in Cuma , questo voleano gli esult compagni di Tarquioio che giudicasse' tra loro e la pa tria. Ripugnarono alcun tempo i deputati de Romani, come quelli che n erano a tal fine veduti; n avevan dal Senato i poteri per difendere ivi Roma^ Non pro> fittando per niente, anzi vedendo quel despota pre^ pendere in contrario per le brighe, e per le istanze degli esuli ; chiesero un tempo per le , difese , e deposi^ tarOQO una somma per garanzia di eseguirle essi stessi.* Ma poi nel crrere di questo tempo, quando ninno pi vegliava su loro, fuggirono, ritenendosi il tiranno gli schiavi, li giumenti, e li danari che aveano portato per comperare de' viveri. Tali furono gl' incontri di queste legazioni, e cos riusc loro di tornarsene in patria sd>bene senza l ' intento. Ma la legazione spedita Dell'Etruria comperatovi miglio e fiirro lo trasport su barche fluviali a Roma, e Roma ne iu nudrita ebbene per

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poco ; finch coasumatili, ricadde ne' disagi medesimi Non eravi ^n ere di alimenti & oai non si rivolgesse. Dond' che non pochi tra la scarsezza, e la inconve nienza de' cjbi non soliti, s avean male nella persona, o diventavano a tutto im potentinon soccorsi nella po vert. Come ci seppero i Volsci doinati di fresco, s isti garono con vicendevoli occulti messaggi a riprender le armi, quasi foase impossibile, che i Romaui resistessero bersagUati dalla guerra e dalla ime. M al ou propizj cbe vegliavano perch non rimaeessero in preda . a' ne mici , ne dioiQsirarono allora pi Ivai'amente la prote zione. Di repente si mise tra'Volsci una tal pestilenza, quanta non ieggesi mai stata in Greche o barbare terre, ditiacendoli promiscuamente di ogni ^ , di ogni fortu na , di ogni temperamento, validi p invalidi. Mostr soprattutto gli eccessi del male Yelletri, citt insigne , de'Yolsci, e grande allora e popolosa. La peste appena ne risparmi la decima parte , investendovi e consumandovene le altre. Ond' che i superstiti a tanto in fortunio , mandati ambasciadori, e dichiarau a' Romani la loro solitudine, sottomisero la citt. E siccome aveano prima ricevuto de' coloni da essi ; ne chiedeano di pre sente ancor altri. XIII. Impietosirono, sapendoli, ai loro teali i Ro mani; n pensarono che si avessero a {wemere come nemici fra tanta sciagura, dacch pagavano agl Iddj le pene per ci che voleano fare su Roma. Piacque loro di riammetter Velletri, e spedirvi numero non picciolo di coloni presagendone sommi vantaggi. Parea che il posto , se presidiavasi acconciamente , sarebbe ostacolo

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grande e ritardo a chiunqae si voleva rimesoolare e sommoversi. E concepivasi che la penuria di Roma non poco si scemerebbe se una parte notabile di popolo al trove si trasferisse. Inducevali soprattutto a spedire una colonia la sedizione che vi si riproduceva, non essen dovi ancora sopita in tutto la prima. Imperocch il po polo discordava un altra volta come per addietro , e ne odiava i Patrizj : e molta era 1 amarezza dei discorsi co'quali accusavano la poca cura, e la scioperatezza di essi perch non aveano a tempo preveduta n riparata la penuria fuiara, dicendo alcuni perfino che ad arte aveano procurato la carestia per astio e desiderio di af fliggerne il popolo in memoria della ribellione. Per tali riguardi sollecitissima iii la spedizione della colonia , de stinativi dal Senato tre condottieri. Da principio udiva il popolo con diletto che trarrebbonsi a sorte i coloni, {lercb sarebbe cosi levato dalla fame, e perch viverebbe in terra fdiice: ma poich .riflett che la peste ge nerata nella citt che gli avrebbe a ricevere aveva di stratto i suoi cittadini, e tem che in tal modo ancora maltratterebbe i coloni, vari poco a poco di sentimento. Tantoch non molti, anzi meno assai che il Senato ne permetteva, esibironsi per la colonia: e questi bentosto Ile firon pentiti come sconsigliati, e scansavano di uscixe. Da tale vincolo erano trattenuti questi e quanti al tri non piC i si acconciavano ad andare. Ma decretato avendo il Senato che la colonia si ricavasse dal com plesso di tutti i Romani secondo le sorti, e stabilendo dure ed irreparabili pene per chi ricusava ; alfine fu per tale necessit condotto il numero conveniente in Velie-

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tri. Non molti giorni appresso un altra colonia fa tra-i sferita in Norba, citt non igaobil dei Latini (i). XrV. Non per segui da ci ninna delle cose conghietturate da patrizj secondo la speransa di spegnere le discordie. Imperocch la plebe rimasta intrist pi an^ Gora, vociferaildo con assai clamore contro de' padr nelle adunanze prima di pochi, indi di molti, per la fiime divenuta gravissima; e concorrendo al Foro volgeasi lamentosa ai tribuni suoi perch 1' aiutassero. Or tenendo (juesd adunanza, fattosi innanzi Spurio Icilio allora capo di essi, peror lungamente contro de padriaumentandone guanto pot la malvolenza. Egli istig pur altri a dire pubblicamente ciocch sentivano , e prin cipalmente Siccinio e Bruto allora edili, invitandoveli a nome, appunto come capi gi del popolo nella prima sedizione , ed inventori, anzi magistrati la prima volta della podest tribunizia. Presentatisi dissero andi'essi, udendoli il popolo vogliosissimamente , malignissime cose gi da molto tempo premeditate, come se la caresda fosse procurata per malizia de' ricchi, perch II popolo avea loro malgrado, ricuperata colla sedizione la libert. Dissero che I ricchi non aveano pur la minima parte del disagio dei poveri molta essere la loro non cnranza de' mali, perch aveano cibi occulti e danari onde com^ perarli se introducevansl, laddove I plebei mancavano- di ognuna di queste due cose : protestarono che mandare I coloni a luoghi contagiosi, era un avviarli a rovina visibile e funestissima, aggravando quanto pi poteano
(i)'.A tempo di Piiaio era nu ammasso di rovine Restava circa sei miglia lontana da Segni a muogiomo.

LIBRO V II. 337 cn parole il male. Cbiedeano qual ^sarebbe il fiae a unte sciagure , e richiatnavaao loro in memoria gli aa< tichi ilageHi , ond erano stati malmenati da' ricchi ; aggiungeudo ancora impuuissimamente cose consimili. Da' ultimo Bruto la fini minacciando, dicendo cio, ch se secondavano, . egli necessiterebbe quanto prima a spe gner l incendio quelli stessi che eccitato laveano. E cod r adunanna fu sciolta. XV. Intimoriti i consoli sii tali innovazioni, e solle citi che le adulazioni di Bruto verso del popola noo terminassero, in grandi sciagure, jntimairono nel prossi mo giorno il Seato. Ivi si fecero discorsi molti e varj da essi, come dagli alfii seniori. Pensavano alcuni ohe. si dovesse blandire i plebei eoa ogni dolcezza di parole e promessa di pere, e renderne i capi pi moderati, con esporre lo stato delle cose, e convocarli e consuU. tare insieme il bene comune : in opposito altri consiglia vano che non cedessero, n si abbassassero verso dei popolo : essere la moltitudine, impriia, e caparbia : in solente , incredibile l ardore dei capi che 1 adulano : facessero piuttosto costare che non ci avea n' pati') ; colpa uiuua, e promettessero ovviare, quanto potevasi,' al male. Redarguissero e minacciassero di pene conde gne i s o m m Q v ito ii del popolo , se non si chetavano. Ap< | jo era il p r i m o in tal sentimento, e {Prevalse in mezzo alle grandi opposizioni de padr. Tanto che il popolo turbato all udirne tanto da lungi i clamori accorse alla curia , e tutta la citt fu sospesa nella espettazione. Dopo ci li consoli uscixi dunarono il popolo, restandovi breve
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parie del giorno, | tentarono di esporgli i voleri del Senato. Contraddissero i tribuni, n gi fa vicendevole n ordinato il colloquio. Gridavano , interrompevansi ; tanto che non era facile agli astanti distinguere i loro pener , e ci che volessero. XVL Diceano i consoli ch'es come di autorit pre minente doveano comandare in tutto alla citt; laddove i triboni replicavano che i consoli avean dritto in Se nato , ma su le adunanze del popolo i tribuni : questi aver tutto il potere su quanto si dee discutere e sen tenziare da vod del popolo. Prendea parte, vociferava per essi la moltitudine, pronta ad assalire se bisognava, chiunque ostasse loro. Altronde i patrizj acclamavano, e davan animo ai consoli, circondandoli. Vivissima era la contesa per non cedere gli uni agli altri ; quasi allora. appunto si cedessero i diritti una volta per sempre. Gi il sole era per tranionUre, e tuttavia concorrea dalle case nuovo popolo al Foro: e se la notte non li tron cava, forse i dissidi finivano a colpi , ancora, di pietre. Bruto perch ci non seguisse, fecesi innanzi, e chiese ai consoli di parlare ; promettendo di sedare il tumulto. Concederono questi che parlasse, parendo loro che s deferisse ai consoli mentre quel capipopolo ci chiedeva da essi, presenti i tribuni. Fatto silenzio , Bruto senza dir altro interrog U consoli di tal modo: ricordale^ voi che lasciando noi le divisioni, ci accordavate per. diritto che quando i tribuni adunassero sotto quaiunqte fine il popolo, i patrizj n intervenissero al^ adunanza, n la turhassem ? Ce ne ricordiamo, disse Geganio. E Bruto ripigli ; qual mede aveste voi dun^-

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'que da noi che c impedita, n permettete che i tri buni dicano ciocch vogliono? E Geganio rispose: per~ ch non voi, ma noi consoli avevamo chiamalo il popolo a patiamento. Se fosse staio invitato da voi, non ^ impediremmo ; anzi nemmeno curiosi ci brighe remmo in ci che si tratta : ora essendo da noi con^ vocato , non v' impediamo che favelUate ; ma che noi ne siamo impediti, ci non giusto. Allora Bruto , abbiamo vinto , disse, o popolo', concedesi a noi dagli avversar] quanto chiedevamo : ora desistete, chetatevi, ritiratevi', domani promettovi dichiarare quanta forza v' abbiate. E voi tribuni cedete ad essi di presente nel Foro : non sempre gi qui cederete quando ab biate compreso ( e presto lo comprenderete, io pro metto chiarirvene J il potere del vostro magistrato, jbbasserete cotanta loro preminenza', e se troverete che io V * abbia deluso , Jote ciocch vi piace di me. X yiL E uiuflo pi contraddicendo, ritiravans lutti dall' adunanza : non per gli ani e gli altri con pari divisamente. Credeano i poveri cbe avesse Bruto ideato gualche nobile impresa, e cbe non indarno la probiet* tesse : ma i patriz) trascuravano la leggerezza di lui , pensando che V audacia delle promesse non andasse pi in U delle parole ; non essendo conceduta dal Senato ai tribuni altra autorit cbe di proteggere il popolo, se lion facevasi ad esso ragione. Non per la cosa parea pregevole a tutti, specialmente ai seniorT, ma cbe do vesse attendersi cbe la mania di un tal uomo non ge nerasse mali insanabili. Bruto la notte appresso svelato il parer suo fra i tribuni, e raccolta una massa non tenue

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di popolo , ne and di .conserva nel Foro : e prima che si facesse di chiaro, occupato il tempio di Vulcano donde eglino soleano concionare , invitarono il popolo a parlamento. Empiutosi il Foro di un concorso, quale mai pi v'era stato, presentasi Icilio il tribuno, e par lavi lunghissimamente contro depadri. Egli commemora quanto han fatto in danno del popolo, e come nei giorno addietro aveano impedito lui fin di parlare con tro i poteri ancora della sua dignit. E qui disse : e di che altro sarem pi padroni se nol siam di parlare Come potremo soccorrere voi se ojffesi, quando ci si^ toglie la libert di adunarvi ? Son le parole i preludj, delle operazioni: n ignorai che quelli che non pos^ fono dir ciocch pensano, nemmen possono fa r cioc ch vogliono. Pertanto o ripigliatevi, disse, la potest che ci deste, se non volete mantenercela inviolabile; o proibite con legge che alcuno pi ci si opponga. A., tal dire provocavalo il popolo che egli stendesse la leg ge ; e siccome teneala gi scritta, la lesse. E , dispen-, sati i voti, fe' che il popolo immantinente ne decidesse;, parendogli non esser questo un afire da esitarne, o, differirlo, perch non avesse altri inciampi dai consoli. La legge era questa; Concionando un tribuno al po polo , niuno aringhi in contrario, n interrompalo : e se alcuno contravvenga, dia mallevadori ai tribuni di, pagare, chiamatone in giudizio, la multa che gS im- porranno : e non dandoli, egli sia punito di morte, li beni di lui sien sacri, e tutte le controversie su tali multe spettino al popolo. I tribuni confermata coi voti la legge dimisero 1 adunanza: ed il popolo si ri.<

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tir , tutto di buon animo, e pieno di riconoscenza per Bruto , come per l 'autore della legge. XYIII. Dopo ci li tribuni ripugnavano ai consoli molto, e su molte cose : n- il popolo rati6cava i de creti del Senato , n il Senato approvava decisione niuna della plebe. Cos tedeansi contrapposti e sospetti. Non per r odio lo ro, cotee avviene in simili turbqlenze, procedette a danni irreparabili. Imperocch n i poveri investirono mai le case de' ricchi ove concepivano che troverebbon de'cibi riservati ; n mai si lanciarono su pa> lesi merci per involarle : ma pazienti comperavano a gran costo il poco , e sosteneansi di radici e di erbe se penuriavan di argento. N ' mai li ricchi per dominare soli nella citt violentarono colla forza propria, o de' clienti, ( eh' era pur molta ) la classe indigente, esiliandone o trucidandone; ma conduceansi come padri savissimi in verso de' figli, con cuore sempre benevolo e premuroso -tra le lor delinquenze. Or tale essendo lo slato di Boma, le citt vicine invitavano qual pi volealo de' Romani a traslatarsi nel seno di esse, allettandoli con dar loro la cittadinanza, ed altre propizie speranze : ma le une in citavano mosse dai bei genj per benevolenza e piet nei mali altrui, le altre (ed eran le pi !) per invidia della prosperit passala della repubblica. E furono ben molti quei che partirono con tutte le famiglie, e posero alirove il soggiorno : ma taluni di questi, riordinato lo stato , ripatriarono, e tal' altri mai pi. XIX. Or ci vedendo i consoli parve loro, per voler del Senato, che avesse a farsi una iscrizione di soldati, e porre in campo un esercito. Prendeano occasione spe-j

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ciosa a tanto dall' essere la campagna tante volte dan* neggiata dalle scorrere, e saccheggi de' nemici ; calco lando ancora i beni che nascerebbero dall'inviare un esercito di l da conGni : mentre quei che restavano avrebbero, come diminuiti, le vettovaglie in pi copia: e gli altri colle arme vivrebbero in siti pi abbondanti a spese dell' inimico, e la sedizion tacereMie , almen quanto si tenesse in piedi l'armata. Tanto pi poi sem brava che restiluirebbesi la calma tra patrizj e plebei, quanto che dovrebbero militare insieme, e partecipare i beni e i mali a fronte de' pericoli. Non per la mol titudine ubbidiva , n si presentava spontanea, come aU tre volte , per essere iscrtta. Non vollero i consoli foiv xare secondo le leggi i renitenti : ma alcuni palrzj s'iscris tero volontari co' loro clienti, congiungendosi ad essi che uscivano, anche picciola parte di popolo per militare. Era duce di quest' esercito quel Caio Marcio, il quale espugn la citt de' Corioiani, e riport la co> rona dei forti nella pugna cogli Anziati. Or vedendo lui per capitano, i pi de'plebei che aveano pigliato le armi vi si confermarono, altri per benevolenza, altr per la speranza di f^serne diretti a buon fine. Imperocdi famosissimo egli era quest' uomo, e gran de il terrore sparso di lui fra nemici. Si avvanz tal esercito fino ad Anzio ; impadronendosi di schiavi f e di bestiami in copia, senza dirne il molto grano che era ne campi ; tornandone indi a non molto ricchissimo fello di viveri: tanto che quei che s eran rimasti, eran mesti e dolenti verso de'tribuni, pe quali Sembravano privi di un tanto bene : cosi Geganio e Minucio consoli

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di qnir anno trovatisi in tempeste varie e gcaudi, e pi volte lu pericolo di rovinar la cilti, non operarono nulla con troppa efficacia : -pur sai w ono la repubblica pi savj che prosperi nell* uso delle circostanze. XX. Marco Minucio Augurino, ed Aulo Sempronio Atratino eletti consoli dopo lo ro , presero per la se conda volta quel grado ( i ). Non imperiti nell' arm e, e nel dire, empierono con assai provvidenza la citt di grano e di ogni maniera di viveri, come si ristrngesse all abbondanza la concordia del popolo. Non per po terono ottenere 1' uno e 1' altro bene ; ma venne colla saziet pur l'orgoglio in quelli eh' eran saziati. E quando meno pareva, allora fu su Roma il pencolo maggiore che mai per addietro. I commissarj spediti pe'grani , comperatone negli emporj entro terra o sul mare, lo aveano gi trasportalo a'pubblici serbato). Quand' ecco negozianti pure di viveri ne condussero d' ogn intorno in Koma ; e Roma comperando a pubbliche spese I lor carichi, li custodiva. Vennero i primi i commissarj spe diti in Sicilia, Geganio e Valerio con piene assai bar* che : portavano in esse cinquanta mila moggia siciliane di grano, met procacciato a lievissimo costo, e met regalato e mandato a ^ese sue dal tiranno. Nunziatosi in citt l'arrivo delle navi portatrici de'grani siciliani; discussero i patrizj longamente come avesse a dispor sene. 1 pi moderati e popolari fra loro, considerata la pubblica calamit, consigliavano che il grano donato dal re si donasse ancora a tutti del popolo, e che 1' altro
(i) Auni di Roma a63 seconda C atone, a65 secondo Varone , e

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comperato coll erario , si vendesse loro a picciol mer cato V ricordando che per tali beneficenze principaltnenle i ainmansaDO gli nimi de poveri verso de' ricchi. Per r opppsito i pi arroganti fra loro, ed amici del co mando dei pochi, sentenziavano che aveasi con tutto r ardore e l ' ingegno a deprimere il popolo, ed eccita vano a non fargliene se non carissima la vendita, per ch la necessit li rendesse per innanzi pi savj e pi conformi alle leggi. XXL Fra questi amici del comando de pochi era pur <}uel Marcio, chiamalo Coriolano, n gi dicea come gli altri in occulto e con riguardo i proprj sentimenti, ma di proposito, e con ardore, sicch molti del popolo lo udirono. Avea costui non che le cause comuni con tro, del popolo, motivi privati e recenti onde parer di odiarlo meritamente. Cercando esso ne comiz) ultimi il consolato , il popolo se' gli oppose, ad onta de'padri che lo sostenevano , n permise che lo conseguisse ; per ch sospettava che tm tal uomo colla chiarezza ed ar dire suo prendesse ad abbattere il tribunato : e tanto pi ne temea che vedeva che tutti i patrizj aderivansi a Iq i, come a riiun altro mai per addietro. Infiammato costui dalla ingiuria, e macchinando riordinar la repubblica su le antiche maniere, adoperavasi, come ho detto, pale semente , incitandovi pur gli altri, all'annientamento del popolo. Lui cingeva un segufto di molti nobili e riochissimi giovani, e per lui stavano molti clienti, pro speratine gi nella guerra. Esaltato da questi, andavane fastoso, e minaccievole, e fra tutti chiarissimo ; noa per ne ebbe termine fortunato. Adunatosi pe casi pr&;

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semi il Senato e proponendo, com' costume, il pro prio parere prima li seDori, tra quali non molti con trariarono manifestamente la plebe ; alfine riilottasi la disputa ai giovani, egli chiese da coilsoli il poter dire cioccb voleva : e tra l favor grande, e la grande atten> zione di tutti cosi contro del popolo ragion. XXII. Che U popolo non siasi ribellato per necessit e per disagi, ma sollevato dalla rea speranza di abbattere il comando de pochi, e farsi egli stesso / arbitro del comune ; credo ornai che lo abbiate o padri compreso voi tutti , considerando la inconlenlabilit sua nel pacificarcisi. Non era il solo disegno suo di violare la fede de contratti, e di abolirei le leggi che la garantivano, senza passare pi oltre. Esso per levare il magistrato de consoli, ne fondava un altro nuovo, e lo rendeva sacrosanto ed immune per legge, ed ora, e voi non vel conoscete, lo ha con un ple biscito recente immedesimato al poter dei tiranni. E per certo-, quando g t incaricati di un tal magistrato col pretestare i bei titoli di proteggere i plebei mal menati opereranno con esso e disporranno come a lor piace , quando niuno, non uomo privalo , non pub blico , potr impedirne gli abusi per timor della legge la qual toglie anche il dire non che il fa r e , minac ciando la morte a chi pur lascia fuggirsi una libera voce in contrario; dite , e qual altro nome dee met tere allora chi ha senno a tal magistrato se non quello di ci che veramente, e che voi tutti confesserete, quello cio di una tirannide ? Siasi un salo che tiranneggia , siasi il popolo tutto , e qual divaria ? quando

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uno appunto f operar di ambedue? Era ottimsima cosa non lasciare mai che il seme / introducesse di un simil potere, e soffrir prima tutto , come il valo^ rosissimo ^ppio voleva, antivedendone da latito tempo le ree conseguenze. Ma giacch ci non si fe c e , ora almeno sradichiamolo , gettiamolo dalla citt mentre debole ancora, e facile da superarlo. Certo voi non siete , o padri coscritti, n i prim i, n i soli a quali tocchi ci fare ; quando moki gi tante volte deviando daUe buone risoluzioni su di affari gravissimi; e ranfvoUisi in necessit sconsigliate, tentarono' estinguet e il mal gi cresciuto , se impedito nel nascere n^n lo aveano. E quantunque la penitenza di chi tardi f a senno sia da meno della previdenza ; tuttavia sottal^ Ir rispetto apparisce- non inferiore, annullando t er> ror gi commesso colt impedir che si termini. XXKT. Se alcuni di voi han per gravi le operai zioni del popolo, se pensano doversi lui prevenire sicch pi non esorbiti, ma vien loro la verecondia di parere i primi a rompere i patti e li giuramenti; sap piano , che se fa n ci, saranno incolpabili innanzi g t Id d j, e compiran la giustizia colf utile proprio ; giacch non eomincian essi t oltraggio ma lo respin gono , non tolgon essi i patti , ma chi prima li tolse puniscono. E grandissimo argomento siavi che non voi cominciate a rompere i palli, non voi t alleanza^ ma il popolo il quale non pi soffre le leggi colle quali ottenne il ritorno. Non chiese gi egli i tribuni per danneggiare il Senato; ma per non essere dan-^ neggato. Eppure or ne usa non per ci che lo dee^

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n per ci che f u crealo , ma per turbare e cottotidere lo stato della repubblica. Ben vi ricorda delt ul tima adunanza, e della cose dettevi da tribuni, e quanta arroganza e quale disordine y i dimostrassero. Ed ora, niente pi savj, quanto fasto non menano al vedere, che tutta la forza della citt sta ne voti, e ne vti ci vincon essi, tanto maggiori di numero ? Se dunque han essi incominciato a frangere i patti e le leggi; che dobbiamo noi fare se non rispinger la ingiuria, se non ripigliarci giustamente ciocch ingistamente ci han tolto ? e ftenar tante lor pretensioni ognora pi grandi ? e ringraziarf; g l Iddj che non han permesso che essi colf acquisto del primo potere di venissero savj per t avvenire ; ma gli han ridotti a tal vituperio e briga per la quale voi di necessit tentaste ri cuperare il perduto, e custodir ciocch resta, come si dee? XXIV. Se volete riavervi; non altra occasione mai fia cos buona, quanto la presente.'Ora la pi parte di essi vinta dalla fa m e , -e f altra non potr resi stere lungamente per t indigenza, 'se abbia i viveri scarsi e cari. L i pi re i , quelli non mai propensi al comando de' pochi, ridurransi a lasciarci, ma gli altri pi miti diverranno ancora pi docili, n mai pi vi turberanno. Custodite dunque , non iscemate di prezzo i viveri, e fa te che vendansi il pi caro che mai. Vai ne avete oneste occasioni, e pretesti lodevoli nella ingratitudine di un popolo che mormora, quasi ab biate voi prodotta la carestia, nata dalla ribellione loro ^ e dal guasto che diedero alle campagne, levan done e trasportandone ciocch vollero come da terre

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ANTICHIT .' ROMANE

nemiche, e nelle spese delT erario per la spedizione de' commissarj in cerca di viveri, e nelle tante altre ingiurie, onde foste oltraggiati. Conoscansi fin da ora quali sono i mali co quali ci ajliggeranno , se non facciamo tutto a piacere del popolo, come i capi loro dicono per atterrirci. Se vi lasciate fuggir di mano questa occasione ; ne sospirerete le mille volte una simile. E se il popolo sappia una volta che voi mac chinavate di abbattere tanta sua fo rza , ma ne desi'^ steste ; tanto pii vi si render grazioso, tenendovi nei vostri voleri come nemici, e come impotenti nevostri timori. XXV. Si divisero a tal dire di Marcio i pareri, e molto si romoreggi del Senato. Imperocch quelli che da principio contrariavan la plebe, e ne ammisero mal grado loro la pace, tra quali erano i giovani, quasi tu tti, e li pi ricchi e pi rignardevoli de' seniori ; esasperandosi della impudenza di essa, encomiavan que st' uomo come generoso, come amico della patria , e che parlava il ben del comune. Ma quelli che propendeano, come prima, verso del popolo, n stimavano le ricchezze oltre il dovere, n credevano cosa alcuna necessaria quanto la pace, eransi corucciati a tal d ire , non che vi aderissero. Volevano che si vincessero i po veri colle dolci, non colla violenza: essere'la dolcezza una cosa non solo conveniente ma necessaria ; prin cipalmente per la benevolenza verso de cittadini : e chiamavano que'suoi consigli non libert di detti, e di opere ; ma delirj : nondimeno questo partito , come pic ciolo e debole, era -sopraffatto duU' altro pi forte. Oi(.

tjB R O V II. 349 ci vedendo i tribuni ( eran questi - presenti, nTtaii ia Senato da' rnsoU ) gridarono e fremerono j chiamando' Marcio peste e rovina della citt ; come lui che usciva in discorsi s rei contro del popolo. E se i patinzj non lo frenavano coir esilio o con la morte, mentre svegliava in Boma una guerra civile , essi, diceano, che lo pu nirebbero. Or qui nato un tumulto ancora pi vivo pei discorsi dei tribuni, principalment dal canlo dei gio vani che mal sopporUvano quelle minacce ; Marcio ani matone parl pi veemente ancora e pi risoluto. I o , diceva, io se voi non la finite di fa r qui turbolenza, e di sommovere i poveri; io da ora innanzi mi far can tra voi n o n colle parole, ma colle opere. XXVI. Or qui riscaldatosi pi ancora il Senato^ i tri-^ buni vedendo che pi erano quelli che volevano richia mare, che serbare i poteri conceduti alla plebe , fug girono dal Senato gridando, e protestando gl' Idd], vin^ dici de'giuramenti. convocata immitinente Tfiduuanza del popolo esposero i discorsi di Mrcio tra'se natori , citandolo a giustificarsene. Non attese costdi li messi di quelli che lo citavano, ma li vituper, e re spinse. Dond che i tribuni esasperatine preser seco gli edili e molli altri; e volaron su lui. Stavasi ancor egli dinanzi la curia tra seguito di patrizj e di altri compa gni. Come i tribuni lo videro^ ordinarono agli edili di invaderlo, e di portarlo a forza, se ricusava di andare. Erano allora gli edili Tito Giunio Bruto, ed Icilio Ruga; e questi si avvanzarono come per arrestarlo. I patrizj riputando terribilissima cosa che un di loro fosse por tato via colla forza , prima di ogni condanna, furono

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DELL E ANTICHIT, ROMANE

alle difese di Marcio : e percotendo quanti gli si aTren tavauo, li rispinsero. Divulgatosi l ' incontro, ovuaque per Ift citti ; sboccavano faori delle case i cittadini ; i pi graduati e ricchi per difendere Marcio co' patrizj, e restituire la ferma antica della repubblica : ma li pi abietti e poveri per sostenere i tribuni, e far quanto im ponessero. Cosi fu tolta la verecondia che avea (in II contenuti gli uni e gli altri, senz ardire di offendersL Tuttavia per quel giorno non commisero nulla di gra ve : ma vinti dai voleri, e dalle ammonizioni de con soli , differirono tutto al giorno seguente. XXVII. Primi nei prossimo giorno scesero al Foro tribuni , e vi chiamarono il popolo a |>ariamento. Poi gli uni dopo gli altri accusarono ampiamente i patrizj come avessoo traditi i palli e rotti i giuramenti fatti al popolo , di scordare il passato ; dabdo per argomento ehe non s' eran essi riconciliati, davvero, e la carestia da loro voluta de'grani, e la spedizione delle due co Ionie, ed altre cose dirette a scemare la moltitudine. Inveirono sopi^tttto contro di Marcio, narrando t di* scorsi tenuti da lui nel Senato, e come chiamato s( di fendersi non solo avea ricusato, anzi avea rispinto colle percosse gli edili che lo arrestavano. Allegavano per testimonj dell' avvenuto in Senato tutti i pi riguardevoli di queir ordine : come per 1' affronto degli edili allegavano tutti i plebei, quanti ne erano presenti ia quel punto nel Foro. Ci detto concederono ai palriz), se voleano , di giustificarsi ; giacch essi terrebbero il popolo in adunanza finch il Senato si disciogliesse. Consultandosi anch essi appunto allora i senatori su le

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vicende, dubitavano se avessero a purgarsi dalle calun<T tiie presso del popolo, o se guardassero la calma. Ma poich li voli dei pi preferirooo i consigli della benevolenta quelli del riseotimento ; i consoli, sciolto il St'tiAio, vennero al Foro per togliervi le accuse comuni e perorare su Marcio ; sicch il popolo non prendesse aspre risoluzioni ^u lui. dunijue presentatosi Minucio il pili anziano dei due disse : XXVIII. B m v o popolo t apologia su la scar sezza de viveii ; n offero altri testimonj che voi su quanto sono per dire. Ben sapete voi che ne manc la raccolta dei grani, perch tralasciata ne f u la se~ menta. Non dovete poi conoscere da altri che da voi, donde sia nato altro guasto de campi, e come in fine la terna pi ampia e buona sia quasi restata senza fr u tti, snza schiavi, senza bestiami. Ci nacque pai'te per le ruberie de nemici, e parte perch insufficieiUe a nudrire tutti voi, tanti di numero , n fo r niti di viveri da altra parte niuna. Se dunque ri'saltata la fame non donde i tribuni dicono , ma donde voi ben sapete ; cessale dt imputare a nostri artifizj un tal m ale, e d" irritarvi contro noi che ne siamo innocenti. Le spedizioni delle colonie si fecero di ne~ cessit, giudicando voi tutti pubblicamente che si do.vesser guardtwe de' luoghi opportuni per la guerra: e queste, fatte in tempi durissimi, assai giovarono chi addava e chi si rimase : perocch gli uni trovano l vveri abbondantissimi , e gli altri qui scemati di numero ne sentono minore il disagio. N gi potr mai rimproverarsi eguaglianza la quale noi patrizj

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

abbiamo con voi plebei participalo con fa r uscire , socondo le sorli, per la colonia. XXIX. Di che dunque son offesi in ci li tribuni che cen riprendono, se noi tutti in comune ne abbiamo deliberato e partecipato , sia che triste, coni essi di cono , ne fossero le conseguenze , sia che giovevoli come noi crediamo ? Ci poi che essi c imputano circa il Senato ultim , vale a dire che noi non vogliamo in memoria ed astio della ribellione , mitigare i prezzi de viveri, mircmdo sempre ad abbattere il tribunato, e deprimere per ogni guisa il popolo e fa r ingiurie consimili; questo noi lo escludiamo ben tosto intera mente colle opere. tanto lungi che noi siamo per causarvi alcun danno ; che la potest tribunizia ve la confermiamo appunto come ve t abbiam conceduta. E questo grano , venderawisi questo cme voi fisse rete. Aspettale dunque , e se ci non facciamo , allora s ci accusale. Che se vorrete esaminar piit dappresso ciocch ci divide f forse noi patrlzj abbiam piti diritto a richiamarci del popolo , ^che il popolo ne abbia a richiamarsi del Senato. Foi ci fate ingiuria o plebei ( non vi offendete ci udendo ) se volete accusarci su le nostre risoluzini senzaspettare che siansi ulti mate. Or chi non vede quanto facile a chi lo vuole, confondere con tali accuse una citt , e levarvene la concordia? Una risoluzione non dichiarata ancora co voti, se credesi che esser lo possa, non esime pi noi dalT incorrer nellodio ; ed per gli oppositori un pretesto per sembrare di non offenderci. Se non che non soriano da riprendere solamente i vostri capi per.

ji,iBBo vir.

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le calunnie che c impongono ; ma \> oi nommeno che prestate lor fe d e , e con noi vi sdegnate innanzi de~ gli esenti. Voi se temevate cC ingiustizie future , dovevate riservar C ira vostra appunto per quel tempo. Ma ora vi deste a divedere anzi precipitosi che savj} e che tanto vi tenete pi sicuri, quanto piit malignate. X S X . Ma su* pubblici aggratf/, su'quali i Ixibuni accusano tutto il Senato, credo che basti il detto fin qui: voglio ora soggiungere quanto io giusto ne cre do , intorno U rnalignare che fanno su ci che ciascuno di noi ha detto in SenaUf f a t tadptmene quasi di suniamo la citt, ed intorno il chiedere finalmente la morte o l esilio di Caio Marcio , uomo amantis simo della patria e che liberissfmamente per la patria ha parlato. E voi, o plebei, voi giudicherete^ se io parli con moderazione, e con verit. Quando voi vi pacificaste col Senato, pensavate che vi bastasse ta s soluzione dai debiti', e solfi dimandaste de m e^tra ti tra voi, perch difendessero i poferi che fossero vio lentati. Otteneste , . assai ringraziandocene, t una- e t altra dimanda. Ma n chiedeste, n pensaste voi mai di chiedere che si togliesse il magistrato de' coh^ soli, che non pi valesse il Senato nella pubUca pre* siden)ui, e tutto si sconvolgesse F ordine dello stato. Ora e che ne avete dippit patito che vi accingete a confondere tutte insieme queste cose ? Su quali diritti mai cercate spogliarci de' nostri onori ? Se volete che i membri del Senato tremino a dir liberamente cich pensano ; e quando sar pii moderazione ne'capi
V IO iriG l,

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d e lle

AJTICHITA R OMANE

vostri? Con quali le ^ i cercheranno la morte a leMli di akuno de patrizi ; quando o gli antqhi dirktixit eoncedono, n gli ultimi accordi vostri col Settato ? Passwv i confini delle leggi, preferite- alla giustizia la violenza ; gi non >questo un canKtndare- alla p-, polare , fa un darsi piuttosto per tiranno.^ io per ma vi esorterei a tenervi i benefizj cte gi trovaste dal Senato y senza pretendere ciocLh nemmeno allora pre^ tendevate, tfuando le inimicizie si deposero, XXXI. Ma perch meglio conoscasi che i tribuni non-domandano n V onesto n il giusta, ma 1 H '^ giusto e t impossibile , trasferite ^ considerate' la vi-^ eenda in voi stessL Fate il caso che i senatori, accu^ sino i vostri magistrati, perch vaa seminando rei discorsi contro del Senato, e t autorit ne ddssolr* vana ^ che era /' autorit della patria , e mettono in eitt. la sedizione j ( cose tutte- vere e di fatto ) , e (sfte eoTOgano ( ciocch pi' duro ancora ) un po-^ tere< pi grandi di fanello che a lor si concede, pre-< tendiMdo di fa r morire senza prt'y^io giudixio., pAi piU voglion di noi ; e fa te il caso ch.9 il SertatOi> dacida che debhasi a tali uomini impunemente la morte, f con qual mmo sofferireste voi la lialdanza- del no stro consesso? che ne direste? uan vi sdegnereste^ non vi dimostrereste oltraggiati, se' almna vi togliesse ifdesta franchigia di parlare., questit Ube't, ridu-^ cendo a pericoli, estrmi chi osasse pur fiatare con liberi accenti, verso del popolo ? Certo che si. E: se voi non sapreste patir ci , reputerete poi giust ch& altri lo sopportino ? Son questi o popolo i moderati,

LIBRO V II.

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i sc{ei>li ystr prvi^edilnenti ? Chsl nH fa te vai ptu-r vera te calurmi he di f^ i t par^' gon ? e cA sat>j sh pet pbblicofU M i i^niU glianq < ifie MrS pi dtsder ii lasci ifusta i^ostr ffdii teAz vit^itB dll lggi ? A fn s pf^ b e i^ mente. Ma s t'Orfete ' ftr t i , cntf-afi a ^iteth dlie quali v k * ilusri, mdrMevi i rie a/iii^ti(/ ! ricevete a con* pldidt j e rtrt cOti ir, S disc^iJiii quali siete investiti. Voi t tb il fa te , ile ptOret n*mii dabbne, 6 tlord th vi ieMo i ri strtUtno pentiti^ X!^X-IL- Ai^&tvi o i noi fit t^ n ' Mptit' tinta coiHe pinHimo \ non iiite , w n ic^tiam , indegni di voi. Foleiid'vi fidi implaeidir rton essprtr'e m iti, titian'futorio l p&^e colle qucdi t^i abbiamo mittt : t dio, per tc'r l-fiic^, ifel fattevi Ai rcenie vostr ritotri. Ottment sarebbe pOf" gs6> che vi vi ficarddst di queste } d ritte' fti vo^rehwio di/henticareetie. Tttav^ la necesii ci itrin ^' ricordaivl per chiedervi in c&ntrccdmbid di tanti ^ a n d i bhefttj che noi ^i concediamo atie iiuse vstr i che ri Vi uccida, ne Ifandissi iri otrio' tn&ntissiriio' dlia p lri'i e ndifCtissinh infra tutti nelld guerra. Non poca srhbe ( perdita: , voi lo vdete', se Homa fosse privata di tanta vtr&i. Egli ^ust che mitighiate lo sS^o verso lu i, ris^uairdrido (rieri quanti ne AlW di voi nella guerra, ripteridorie l belle sue ^ s t d , non p rsegttfarido t vahe parte. Niente vi haririo i deti nociiUo- di litii ina- rrK&ttisirrio i fatti' vf gvo-

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D E L L E ANTICHIT. ROM ANE

var<no. Che se pur siete infl^fibU i in suo riguardo^ donatelo almeno a n(ki 3 donatelo al Senato nhe vel iMede : rendete una volta la stabile calnM, e la sua unif4 primitiva alla patria. E, se .voi non vi piegherete alle nostre persuasive; rimettete che neppur noi ce deremo, alle vostre, violenze. Cos i l , popolo messone a,,, prova o sar cagione a tutti di amicizia sincera e .maggiorii o nuovQ prwuipfO di una guerra civile f e di ffavitsin^i inali. , I tr^po > avendo . MiapzQ cos piotato , consideraune la moderazioa del dire , e come la plebe .ee% . mesa dalla dolcezza delle sne pfomesse, ne furono ,8df^^tl e doleriti j e soprattutti Caj.o 3>cinio Belluto , ^e|[U che ayea. suscitato i poveri a ribellarsi da patrixj ed erane stato nominato, capitano, finch furon su I'ap> nyi.^Nei)iicissiato degli ottimati, ei?a perci stato portato .a gn^ide. chiarezza da' djttaditii. Ora creato per la se conda volta tribuno giudicava che a ninno giovasse men che a lui che la citt fos appieno concorde , e .ripigliasse la forma aptica. Imperocch vedeva che se governavano gli otUmati, egli nato e cresciuto ig n c ^ e , }uoe alcuna d'imprese in pace o in. guerra , non . avrd)be pi gli onori, n la influenza medesitna ; anzi <cbe correrebbe pericoli estremi, come sompiovitore del popolo , ed aurore di tanti suoi mali. Fissato adunque , ciooph avrebbe a dire e fare, e consnlutosene co'tril;>uni compagni, poich li ebbe unanimi, sorse, e la mentata brevemente la disgrazia del popolo, lod li consoli perch degnati si.fossero di rendere ragione ai plebei, senza spregiarne la loro bassezza: e disse che

L IB R O V I I . 357 rngraziaVA i patrizj aooora, perd i nasceva fiftabneote in essi la car della Alate de'poveri ; e clie molto pi egli ci contesterebbe a nme di tutti i cdlegfai, quando darebbero pur le opere, simili ai ^ t i . XXXIV. Cos proemiando, e parendone dnz! sedato^ e propenso alla pace, si volse a Marcio presente.ai coo< soli, e disse E tu o Palentuomo niente ti d^eiuU cot tuoi cittadini su quanto hai detto in Senato ? Ch non supplichi piuttosto, e ne plachi lo sdegno i, sic* ch miti sieno nel sentenziartene? Gi non vorri che tu negassi un tale tuo fUo , avendolo ' tanti ve duto ; n che, tu Marcio, tu pi akero in cor tao che un privato, ti volgessi ad invereconde dijkse. Sar paruto non-indegno a i consoli ed ai patrigj di aringare essi in tuo bette, n parr per te degno che tu lo facci su te stesso ? Or cosi parlava costui ; ben conoscend che qul generoso non soffrirebbe 'mai di essere l'accusaitor di -sestesso, e chiedere come colpevol la esention della pena , n mai contro l 'indole ra ricorrerebbe alle umiliazioni ed alle suppliche : ma che o ricuserebbe fare ogni difsa; o facendola ooll'!n> nato ardimento suo, niente tetnperereldie n il popolo, n il dire. E cosi fu; perdi taciutisi, e {'esi i plebei, quasi tutti, da bel desiderio di Ite ra rlo , purd i- egli ne favorisse la occasione, manifest tanu insolenza e dispregio per essi ; che n , presentatosi, neg' le parole da lui dette in Senato, n come penatone, si diede ad impietosirli e placarii<: ma fin sul principio non li come privi di autorit competente per giudici di cosa nittna , pronto per altro a sottomettersi, com era la

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DELLE a n t i c h i t KOMAME

leg g e , t trlHHwJe d' eonsoli ^ se alenno voleste accA sam lo* e obiedenie. fiQddw&BQne p e 'd e tti, o per le opere Diceva eb' egli er, pU venm o, giacch vel chia marono , parie per ri^reDdere le lorO; prevoricaeioDi, e I9 QConteDtabilit& s manife^iaia aesiprepi nella separa o n e , e dopo il ritorno ; b parie pr conwgliaFli> per* fhi fienasser una voU&, e reatnngeaero gl'ngiiuti de* side). Dopo ci sferjiavA con assai amarezsifi e conidenjui tutti q aan ti, e p i che tu tti,, i trihnni. Non era nei d ir 800 la belt verwomU di un ciudioo che aipmaes tn U amo p o p o lo , U savio contegno di uq privato odiato daUa iu<>hitudBe il qti^Ie parli dipanai ai potenti sdegnati, ma la rabbia si^enata d i uq nimicp ch|e disncmi i v in ti, ^ qali tiev prigionieri, e l ocgoglio fiero di ehi sialo gravem ente oltraggi^iq. ; X X X V , Adunque, lui peroivatlo, descavasi orfi quinci ora quindi , come tra ni liitudini scinse n unanimi D voleri, nji romqr grande e frequente , CPQipiacendosi gli u n i , e fremendo gli a ltri, e passionando varia m ente ^a quel dire^ Ma piit ancora crt;bberp i clamori e il tum ulto, qu 99 d$i egli tacque. Imperocch li patrizj chiamandolo fortissimo uomo , lo encomiavano del franco SUO d ir e , e I9 additayi^o <ome l ' unifio liber<^ infra tt>tti, il qual n temeva gli assalti de,nemici fra le arm i, n g u a d a g n a v a a d u l a n d o l i i uoiii de' qittatjjini, caparbi contro le leggi. P er 1 opposito i pl^>i, esa-i erbAti dlie ingiurie^ lo chiam^uufc u^mo acoiaro, e nemico he lutti^ i n im . C gi ( e gvnde; ne ei la- iaoiiii ) lottwaciio un ardor vivo

di assalirlo;co diritti d^Ua forza, e di ucciderl p ; con-

tifino VII.

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M oetn^ e eooperanclo con essi i trifauni, e Sicinio ,principalmeiiUi tl <}nal dava lit^rimmo il ikeao tii lor desideri. lBae dpo avere molto iaveito, e mollo in* .fiatimat, soffiandovi, l ira del popolo, concluse r.o osa, <ch il tribunato'ne sentenziava la morte, per tloluaggio (atto agli edili, dhe egli percosse e respinse mentre per ocdin soo lo aiiKstavtHio il di precedente < fion finire che su chi g f incarica) gU oltraggi danU-^ nittri. E cosi dicendo ordin che portassero Marcio al^ l'altura ohe sovrasta sai Foro. questa un dirupo ro* vinoso e vasto donde soleaoo precipitare i rei ondan* nati alla inrte. Corsero gli edili per pcenderlo: ma -dato tea altissimo stndoy levarono contra loro in ^ lla i patrizj, e quindi contro de' patmj il popolo t c Diolio eira in ambe le pwti il disordine , mlto lo io> giuriarsty lo spingerti, l'assaticsit Se non che gli autori di wa tanto moto farouo rattenuti e necessitati a mo^ dorarsi dai consoli i quali, cacciatisi in mezzo, cOman daroDO ai littori di rmovr la turila. Tanta era allora negli uomini la riverema per quel magistrato, e tanto il pregio dell autoritik suprema ! Intanto Sicinio non pi saldo,>ma pertur)ato, e' timoroso di ridurre i partiti 8 respingere forza con forza , non volendo lasciare , n potendo continuate la impresa una volta tentata, m i pensierosissimo su ci che fosse da fare. XXXVl. Or lui vedendo in tanti dubbj Lucio Gi* nio Bruto, quel capipopolo che ide le condizioni della concordia, uomo aclito specialmente in trovare, ove mandano t gli espedienti, venne, e solo con solo, sug* ger che non si ostinasse itt una disputa ardente.

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D E L L E a n t i c h i t ROMANE*

n I^ttim a: mirasse tutti i patrizj irritati, e .tutti pronti alle armi se vi fossero incitati dai consoli, ma dubbiosa la parte migliore del popolo ^ n ben animata a permettere senza previo giudizio la morte deir uomo pi insigne di Roma : cedesse per allora, egli cos consigliava ; badasse a non combattere i consoli per non eccitare medi maggiori: piuttosto in dicesse a un tal uomo, fissandone un tempo qua lunque, di perorar la sua causa, i cittadini votas sero per trib su lu i: e ci sen facesse che la plu ralit de voti dichiarerebbe. Non competere che ai tiranni la violenza che ora minacciamosi, facendosi il tribuno accusatore in un tempo e giudice ed arbi tro delia pena : ma in una repubblica doversi agli accusati le difese come voglion le l ^ i , ed il.gastigo secondo il voto dei pi. Cedette Sicinio a tale consi glio non trovandraie altri 'migliori, e fattosi innanzi disse I Foi vedete o plebei V entusiasmo de patrizj per la violenza e le stragi: vedete, come tengon voi tutti da meno che un solo caparbio che oltraggia una intera repubblica. Non conviene che noi li somigliamo e corriamo alla nostra rovina, cominciando o respin gendo una guerra. Ma perciocch alcuni di loro ed ita n o , come onorevol pretesto , la legge la qual non permette che uccidasi un cittadino senza previo giu dizio , ed allegandola ci tolgono infiiger le pene ; diasi pur luogo alla legge ; quantunque ne Twstri disagj non abbiamo noi mai sofferto n cose giuste,, n secondo le<leggi da essi. Dimostriamoci anzi probi colle clementi maniere, che del numero de vostri of-

LIB RO V II.

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Jinsori colla violenza. Ritiratevi ; aspettate, n gi sar m olto , il tempo avvenire. Noi preparando in^ tanto le cose che importano, fisseremo a codesi uomo un tempo perch si difenda, e non eseguiremo se non la vostra sentenza. Quando v' avrete in mano i su ffra ^ secndo la legge, votatene allora la pena che merita. E d basti su questo proposito ; Che poi giustissima facciasi la compra e la distribazitme dei grani, noi vi provvederemo, se questi ( i ) ed il iSe> nato non vi provvedono. E ci detto disciolse 1' ado* nansa. XXXYII. Dopo qaestb evento i consoli convocando il Senato considerarono posatamente come dar fine alia discordia presente. Sembr loro primieramente cbe do vettero cattivarsi il popolo con vendergli i viveri a pic ciolo e fkcil mercato, e poi persuadre i lr capi a che tarsi in gnud del Senato, n astringere pi Marcio al giudizio, temporeggiare in fine lunghissimamente, se non lasciassero persuadersi, finch l'ira del popolo si diminuisse. Ci decretato portarono e proclamaroM al popolo tra pubblici applausi l'editto su i viveri cosi concepito che: sarebbero i prezzi de-generi necessarj al vitto quotidiano , tenuissimi come innanzi la sedi zione. Poi col molto insistere presso de' tribuni ebbero per Marcio dilzion quanta vollero, se non piena asso luzione. Anzi essi stessi gli procacciaroi^o altro indugio > valendosi di questa occasione. Gli anziati , spedita una banda di pirati, aveano predato non lungi dal lido,
(i)
I

Conssli.

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DELLE a n t i c h i t ROMANE

mentre tomavano in casa, le navi e i depntali d d te d Sicilia, che aveaao recato i grani in dono ai Re nani } e TO^;endoae ogni cosa come di nemiol d ntile proprio, ne teneano in carcere le penone. 1 consoli, ci saputo, spedirBO agii Anziati : ma non patendone per ambMcikdori oftener la gioftti, deciaero marciare eolie armi su loro. Adunque fatto il ruolo di tutti gl' i* donei a oonibaUere, uscirono ambedue; promulgato m -> nanzi il decreto che sospendeva , durante ia guerra, tu te le cODtrovmie sU private, sia pubbliche. E cosl fi; non per quanto tempo essi ideavano,* ma per molto minore! Imperocchi gli Apziati vedendo i Ro mani usciti con tutte le forse, aemmeno si opposeoo loro : ma pregando , ed istando, e restiiuendo le per sone e le robe de commissari predati, ioeeto che i Ro^ mani ltrocedessero verso la patria. X X X yin. Disciolta Tarmata, Sicioio il iribaaotXHHro' cato il popolo, gir prescrsse il giorno, nel quale ultim erei^ il giudizio su Marcio. Egli esort quanti erano in Roma ad accorrere in folla per ascoltare e decidervi, e quanti abitavano per le campagne a sospendere per quel giorno i lavori, e presentarsi come per votare della libert e ^eHa laiute della repubblica. Intim similmente a Mar cio di comparire a difendersi perch non mancherebbegU ninna ddle cose ordinate dalle leggi su de gludizj. Pareva ai, consoli,. deliberatisi col Senato, che non fosse da permettere che il popolo s impadronisse di un tanlor potere. Or si di loro nn titolo giusto e legittimo dim* pedirneli ; e credeano, usandolo, di renderne vani tutti i disegni ; tanto che invitarono a colloquio tutti i capi

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del popolo. Congregatisi con quanti erauo gli opportuni per essi, Miooicio disse : Tribuni, ci piaciuto decre tare die basiscasi la sedizione da Monta con tutte le forze , n pi nudrasi contesa niwia m i pftpolo ; vedendo voi principalmente che tornavate dalla vio lenza alla giustizia fd alla ragione. Or noi Iqdando voi di questo proposito , abbiamo repuU^o che il Se nato , come plifria ustfn^a, vi precedesse co suoi decreti. E potete contestare vai stessi che dalP ora che i nostri avi fondarono Roma r il Senato che la ebbe , ritenne sempre questa precedenza : e che il popolo senza la previa risoluzione di lui mai n giu dic , n vot non solo in questi tempi, ma nemmeno in quelli di re Tanto die li re non rimettevano al popolo, se non le cose decise in Senato , e cosi le confermavano. Non vogliate dunque levarci questo di ritto , n abolirti tal bella istituzione primitiva. Pream monite il S e n f^ , se avete il bisogno di m se. mode rate e giusti , e rquello che il Senato ne avr giudic<fto, quello, mtificaie al popolo , e ne decida. XXXIX. Csi discorreodok i codsqI , Stcioio mal spportavali, u volea r^eocter arbitro di cosa niuna il Senato. Ma gli altrie g u ali a lui di potere, seguendo, i suggerimenti di Lucio (i) cousentirono che si facesse questo previo decreto. Imperoccb ancor essi arevauo
( I ) L ucio Bruto : fotie cont) pDsa> il Gelenio , de Ir^gersi Decio {n luogo <Ji Lucio. CFtameiito In <]ue&ti af&ri ehbe (varte anche De cio Dominalo prima e pof da D ionigi: vedi I. 6, 83. Bruto aveva, ' vercr il prooom e di L ucio : Ma 1)1011%! non lo ha mai contrasse* gaa^o n e o n col w lo;ptaiiQ ine...................

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delle

ANtlGHITA* ROMANE

fatta (n i consoli la esclusero ) la istanza ragionevole ; Che il Senato desse la parola anche ai tribuni, che sono i procuratori del popolo , come agli altri che volevano aringare favorendo, o contrariando ; e che infine, dopo udite le discussioni di tu tti, allora cia scun padre porgesse il siu voto, premesso il giura mento legittimo , come ne* giudizj, e dichiarasse cioc ch gli paresse il giasto e F utile della repubblica : e quello si tenesse per valido che i pi pr^erissero. Concedendo i tribuni che si decretasse come i consoli dimandavano ; si divisero. Raccoltisi nel giorno appresso i padri in Senato ; i consoli vi esposero le convenzioni : e quindi chiamando i tribuni gl'invitarono a dire le cause per le quali venivano. E qui fattosi innanzi Lu ci, colui che avea condisceso di si fecesse il previo decreto, disse : XL. Potete ravvisare o padri ciocch sia per suc cedere, vuol dire che noi saremo accusati appresso il popolo dell essere qui venuti, e che F accusatore sar quel nostro collega , per quel previo decreto che V abbiam conceduto. Pensava costui che non doves simo noi chiedere da voi quello che ci attribuiscon le leggi, n prendere per benefizio quanto avevamo per diritto. Chiamati in giudizio correremo in rischio non tenue , che condannati, abbiamo a sortire bruttissi mamente come chi diserta, e tradisce. Ma quantun que ci sapessimo ; noi siamo qui venuti, superiori a noi stessi, confidando su la rettitudine della cau s a , e mirando ai giuramenti secondo i quali voi do vete dirigere le vostre sentenze. Nai tenui siam o, e

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disacconci pi. assai che non conviene, a parlar di tali cose y che piccole certamente non sono. Parateci non pertanto udienza, e se queste vi parranrio giusta ed utili i e vi o ra n g o , necessarie a ^ r a pel comu^ ne > vogliate spontaneamente concedercele, XLI. Primieramente dir sul diritto. Quando o senatati ctuxiaste i monarchi avendo ni com pari nel^ ropera, e fondaste il governo nel quale ora siamo, ed il quale noi non riproviamo, voi vedendo i plebei {gravati ne giudizj- se mai li facevano ( e molti sea facevano ) co patrizj , emanaste per suggeriamo di Publio Valerio consolo una /egge per la quale permettevasi a tutti i plebei sovverchiati d quelli di ap pellare al popolo : e per niut altra, quanto per que- sta legge , procacciaste la concordia di Rom a, e re spingeste i re che vi tornavano in seno. In forza di questa legge citiamo codesto Caio Marcio dinain. al popolo , e gli prescriviamo che risponda su cose nelle quali tutd ci diciamo da lui sovverchiati ed offsi. N su questo abbisognavi previo decreto del Snato. Imperocch voi siete gli arbitri di deliberare i primi, d i l . popolo di confermare do' voti quello su cui le legj^ non'parlano ; ma dove ci han le leggi, sono immobili ^ e debbono osservarsi, quantunque nierOe ora voi, perch si osservino, decretaste. Gi non dir niuno che in caso di aggravio ne ^udizj. un privato appelli validmente al popolo, n valida mente V appellino i tribuni. E fo rti per tale concession della legge, veniamo qui, non snza pericolo, ad esser sotto vm giudici. Pel diritto della natura ,

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diritto che non scritto , n introdotto come le aUre leggi , noi vogliamo che il popolo non sia n d a p i h da meno di voi : mentre con questo diritto ha con voi sostenute molte e grandissime guerre, e mstretto ardore vivissimo per compierle i contribuendo non poco perche Roma l desse, iton ricevesse da altri le leggi. Or voi farete che noi non siamo da meno che voi se frenerete col terror di ot giudizio ekiun* que attenta ontro le nostre persone e la libert. Pen* siamo che magistrati, le precedenze , gli onori bansi compartire ai primi e pi. viituosi tra voi: ma pensiamo pure ben giusto che essendo tutti sotto un governo, m tti dobbiamo ugualtnente senza riserva o non essere offesi, o riceverne putr soddisfatiom, CorOe d u m ^ a voi concedimo ifue gradi sublimi laminosi, cos non vogliamo esser privi di diritti eguali e comuni. Ma ebbene potrebbero aggiiMgersi le mille cose, bastino le dette fin qui sul diritto. XLIt; Or quanto sian utili queste eose, quanto il popol le apprezzi se facciansi, lasciate ohe io br vemente ve lo esponga. Su dunque : se alcuno vi di mandi qual pensiate U pi grande de' mali, quale l cagion pi pronta della rovina delle citt f non. dt^ reste che sia questa la dissensione? certo che s. Oir chi si stolido, hi 5 fatto a rovescio, chi s n^ miao della eguagUan'sa, il qual non vdA, che s^ concedasi al popolo' d giudicare le caiise che gli spettano , avrem la coneordia ; ma se g li si n e ^ i , leverete a noi per fino la libert ( c/t lor libert si toglie, a chi U leggi si tolgono e li g ia d izj), e oi

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ridorme ad insorgere- nuovamente, & coinbeatervi? Certo die nelle citt dalle (piali si escludon i giu>^ dizj e l- leggi, la,'discordia sottentra e la guerra. O d non si travata in- guerre civili non meeettrigtim che per ia inesperit^nsa noti sertta ribrezzo de mali nteckdenti, n pneeliida- i Jiuuri: Ma quelli, che cmdti me voi trai pericoli estremi, felicemente se ne librarono , sgombrando 1 mali come permettevasi dalle circostanze ; queiU, io dioo , se vi ricadono , qUkL tnai scu^a aver postorio sufficiente e decorosa'? -Chi m n: condannerebbe la te4tee^a deliria vostro bandissim o , considerando che fo i li quali per noi\ aver la plebe discorde vi> piegaste, non ha. guarii w tante eticeisini., fo rse npn ^ tte convenevoli ed utili, ora vogliate in ~discordia to r n a r v i, tutto che non siUe offesi negli averi, h elf onore , o in altre pubbliche cose, e solo per favorir chi la-odia? Se non che voi ci non farete S0 sm>j'. Con- piacere io V interrogherei quali concetti erano i vostri quando ci concedevate il ritorno colle condizioni che chiede vamo. JXe apprendevate voi forse ragionando un be ne ? o Ju necessit che vi ridusse a cedere ? Se ne apprendevi il bene di Roma, e perch ora non vi ci attenete? se fu necessit, se impossibilit di eisere diversatnent,, or che vi dolete delfaU o ? Biso gnava, se pur tanto potevate j nori cedere forse da principio ; ma <^duto ^avteno una fwha^ non dovete pi> rimppoverarvene. XLUL A nie sembra o padri che voi seguiste il i>o4tro migliore nel pacificarvici : ma se fu necessit

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DELLE a n t ic h it ROMANE

di scendere a condizioni ; ella pure necessit man tenercele. Voi gl Iddj chiamaste vindici degli accor d i , imprecando molte e terribili pene a chiunque li viola/m di voi o de' nipoti in perpetuo. Ora io non vedo perch dobbiamo tediare pi a lu n ^ voi che tanto bene il sapete t con dire che giuste ed utili sono le nostre dimande, e molta la necessit che vi astringe a corrisponderle , se memori siete de' giura menti. Voi capite, o piuttosto ( giacch io non dico cosa che voi non sappiate ) voi tenete presente, th rileva per noi non poco il non desistere dalla impresa per violenza o per inganno, e che un fortissimo sti molo ci ha qui condotti, offesi gravemente , e pi che gravemente, da quest uomo^ Date dunque su quanto ho dello il vostro voto, ma, dandolo , consi derate qual sarebbe il vostro animo verso quel ple beo, se alcuno pur ve ne fo sse , il quale tentasse dire o fare contra voi nelle adunarne, ci che qui codesto Marcio ha pur tentato di dire. XLIV. Le convenzioni della pace sacrosante al Senato , quelle che munite pi che con vincoli ada mantini , niuno di voi, per averle giurate, n de vo stri discendenti pu sciogliere, finch Roma fia Ro ma ; quelle ha il primo codesto Marcio tentata di rovesciarle , non essendo nemmen quattro anni che si conclusero, e tentato ha di rovesciarle non col silen zio , non da oscurissimo luogo , ma qui, pubblicissi mamente, al cospetto di voi tutti, sentenziando j che non dovea pi lasciarsi, ma ritogliersi a noi la po dest tribunizia, che la primaria ed Unica difesa

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della libert, e col mezzo della quale potemmo rU congiungersi. N qui P ardimento fin del suo dire f ma vi consigliava a riCoroela ; divulgando come una incuria la libert dei poveri, e tirannide nominando C uguaglianza, Risowengavi ( era questa la pi ififame delle istanze sue ) corn egli disse allora, che era pur venuto il lenito di ricordar tutte le ingiurie del pe polo nella prima discordia^ e come esortam quindi a mantenere la stessa penuria di viveri, giaccli U popolo, logoro fai disagj diuturni si ridurrebbe a cedere in tutto ai patritj. Non resisterebbero 1 poveri gran tempo comperando a cfirissimo prezzo cibi scar sissimi ma parte se ne andrebbero lasciando la citt^ e parte rimanendovi, perirebbero in/Ucissimamenta, E msi delirava, oosl era in ira agt Iddj ci persua'r deridavi { che non discerneva che oltre i tanti medi co quali travagliatasi per annientare i trattati del Se nato, quando avrebbe ridotto i poveri i quali cren pur tatui, alle angustie de viveri, questi poveri ap punto farehbonsi addosso agli autori delle angustie ^ non pi tenendoU per amici. Tanto che te voi pur delirando approvavate il suo parere; non restava pi mezzo : ma ne andava la rovina intera del popolo, o de patrisj. Imperocch non ci saremmo gi dati quasi schiavi spatriare o morire : ma chiamando i genj ed i numi in testimonio de' mali che soffrivi^ mo ; avremmo riempiute , ben la intendete, le piazze^ e le vie di cadaveri, e fatto un mare di sangue ci vile ; avremmo cosi ricevuta la sorte che ci si doveva,
D lO K ia i, tomo U .

370. DELLE a n t i c h i t R OMANE Sono questa o padri t empiet ohe vi proponeva ^ queste ie aHnhe lo quali cnJea dpver fare. XLV. JVe gi tent Marcio dir, senza fare mai cose che scirtdevano la eitl ; ma tenendo am i a fianqo una banda di uomini prontissima -a tutti i suoi cepni^ citato dal nostro magistrato ntm si present , e. r e i fpmse a furia di colpi i nostri eteutori accintisi per rdin nostro ad arrestarlo, non conterusndp de Jnaa/ nemmeno dalle nostre persone. Tanto che , quanto e da lu i, restava a noi un bel nom e, m a .vilipeso, df un magistrato inviolaiile f e senza paten eseguire rtep^ jfur una delle operaettmi attribuitegli. Come avremmo, soccorso ad altri che cltiamavansi offesi, quand non era nemmeno per noi la sicurezza? Malmerutti cosi noi'poveri da un tal uomo, che non era ancora un, tiranno , ma che qffrettm>asi ad esserio , avutine gi iaU oltraggi, eravamo ornai vicini a riceverne ancor pi, se voi non vi opponevate, o padri, coll vostra pluralit. Non dobbiamo noi dunque a-ragion corruc-^ darcene? E si; che noi pensiamo non senza esserne pur da voi compassionati, doverci da lui premunire chiamandolo a giudizio comune e legittimo, ove tutto il popolo diviso per trihit conceda di parlare a chi io chiede , e dia il suo giuramento ed il volo. Vanne ivi dunque o Marcio, ivi d per iMa difesa nelladu. fumza di tutti quella che qui diretti. E sia che qui consigliasti il beriei a buon fin e , e giovasse a Homa iJie fsse fatto , n debbansi giustificare altrove le cose qui disputate; sia che'non ad arte e premeditatarnenle, rnct cederido al^ ira , scorresti a . suggerire

LlB KO v n .

iati vrgogne ,* iia che tu abbi ' edtm difesa fuctiunqae; scandi da fu el tuo entusiasmo orgoglioso e tirannico, tom a, teiauFoto, ai concetti dei popolo: renditi simiie agli altri: pfendi come ehi ha peccato ,e raccontandosij un abito dismessa, ddolorevole, conforriie ai disastri, e crca il tuo scampo ; nfnUian^ doli, non insolentendo dinansi gli oltraggiti da te* Sianti esempio di heUa moderazione le opere,, le quali se tu aife.ssi itnitato non saresti ora tipreso dai Uti cittadini, io dito qi^elle di tanti buoni quanti 4fui ne vedi, segnalati per tante, virt .militari ci vili, quante non sarebbe facile nemmeno, in gran tempo percorrere. Li quali quantunque grandi e ri'* \ipettabili ; nientem ai fecero di duro, Hieht di or .gogiioso contro noi si tenui e bssi, e pruni intromi sero'discorsi d pace , primi la pace offerirono, quando la sorte ci avea separati e concederoit la pace non 9 u le endizioni clte essi ripiitavan migliori, ma sU quelle che noi chiedevamo; dandosi infitte premura grandissima di levare i disgusti recenti su la dispensa de* grani per l quale noi gli accusavamo. \ L \ l . Ma tralasciando le altre cose, quali pte* ^ ie re Hon fecero per te , nel tuo. superno accecai fkenta, presso tulli, e prsso ciascuno del popolo per involarti alla pena? Appresso i consoli ed il Senato^ i qOali invigilano sU questa, tanto grande citt, ere* deron bene che al giudizio ti sottomettessi del pOpolo , n tu o Marcio a bei),e lo tieni ? Questi tutti noh han per un biasimo il pregare per tuo scampo il popolo., e tu per biasima tei prenderai? N ci ti

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DELLE ANTICHWa ROMANE

bastava, o magnammo ; ma quasi fatta una beir aipera ^ ne vai con fronte altera e magnificandoti, e niente adoperandoli a mansuefarti? per non dire che insulti f che rimproveri, che minacci la plebe. E pre tendendo lui qaanto niuno di voi ; non vi sdegnerete, a Padri , a tanto orgoglio ? Se voi tutti risolveste di accingervi ad una guerra per esso ; egli dovrebbe tHOotvene, e tenersi tutto pronto per voi, non accet tar per mai un tal bene privato col danno comune, ma sottomettersi alle difese, alla sentenza , a tutte infine le pene, se bisognasse. Questo sarebbe T obbligo di un vero cittadino, di uno che vuole il berte eolie opere , non colle parole. Ma^ le violenze pre senti qual ne additano mai t indple su a , quale la incUUtzion? quella appunto di violare i giuramenti , di tradire la fe d e , di rescinder gU accordi, di fa r guerra al popolo, di oltraggiare le persone dei ma gistrali , di non sottometter la propria per niuna mai di queste cause, e di girarsela franchissimamente, non come un eguale di tanti cittadini, ma come uno che ^niun tem e, e di niuno abbisogna, immunissimo in tutto da tribunali e discolpe. Or non questo un vi vere alla tirannicaF certo che si ! Eppure a conforto di quest uomo spargono aure lievi e suoni dolci, al cuni tra voi che pieni di odio implacabile verso del popolo non san vedere che questo nude si termina anzi contro de'nobili che degt ignobili, e credonsi affatto sicuri, sol che deprimano il partilo che loro contrario per natura. Ma non cos sta il vero , ingan nati che siete. Prendete a maestra la esperienza che

3 Marcio stesso vi somministra, , prenderne U corso dei tempi: iUuminatevi per gli esempj straniri insiemi e domestici, e ravvisate , che la tirannia la quirtii^ dresi contro i plebei, contro tutta la citt si alimenla : e che la tirannia che ora contro noi s ineomiit-^ eia, fortificatasi, cantra tutti ruggir. XLVII. Ragionate queste cose da Decio , e supplita ^a* tribani compagni quelle che mancar vi sembravano, quando il Senato n dov sentenziare, levronsi i primi in piedi i seniori tra gli uomini consolari, inviati condo r ordine consueto dai consoli, e quindi via via gli idtri men riguardevoli- per queste qualit : seguii-no ultimi i giovani, ma non disser parola ; perocch ci v6a que' giorni ancora tra' Romani la verecondia , che niun giovane si arrogava saperne pi degli anzianf. *rtanto acoostaronsi essi alle seatenze de'consolari. Erasi preordinato che i senatori presenti giurassero prima, -come ne' tribunali, e poi dessero il voto. Appio Clan** dio il patrizio, come bo detto, pi acerbo col popolo, che mai non aveva approvato che si concordasse con esso, mal soffriva che ora si &cesse un pari dec^o^ e disse : XLVni. ^ ife i veramente voluto, e- pi. polle ne ho supplicato i num i, essermi sbagliato io circa il sentimento su la pace col popolo, vale a dine che il ritorno defuorusciti non era n giusto, n decoroso, n utile; tanto che quante volte sen prese a trattare, tante io primo ed ultimo mi vi opposi, anche abbartr donato da tutti. A nzi avrei voluto o padri, che voi li quali per le speranze concepute del meglio i' ctmi.
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A M IC H IT A * ROMANE

^scendeste al popolo, sul giusiQ e su t ingiusto, ne con^ariste ora pi sani di rne, Rittscil^vi per le eos&, jtori coma io^ desiderava, anche pregandone i num i, ina come io prevedeva, e cangialeVisi l henefi.enze in vilipendio ed odio; io lascer, come estraneo a ci che dee fa rsi , di riprmdervi di 'contristarvi in t/ano per le vostre' mancanze, quantunque iarehhe pur fa cile, ed pur questo P w o dei pi. Dir piut tosto ci che pu rettificare le cose passt, quelle almeno che non sono in tutto insanabili, e tenderei pifl qirca le presenti. Quantunque non ignoro ^ che. dicendo io liberamente i miei sentimenti > parr farneticare e sagrifiearmi, ad alcuni di voi, li.ufttaU cQTtsiderino quanto sia disastroso il parlarfranca/nenie^ p rifi^tftno la, cal(fmil di Marcio, il quale rton per uUra e lio n e ota corre pericolo tdella vila. RlaioMOU penso che la cura della propria salyezta sia da pre* giarsi pi che il p^bblico benet Gi questa 'mia perisona ti4 ta pe vostri periiioU, ' tutta pe timeati deit patria ; tanto che gl incontrer generosissimamente , com^ piape agl" d d j , coti tutti vi, o con pochi, e solo a n co ra se bisogna. N finch io' vivo, mai mi terr la. paura- .dcd di(v quello che io pens. P prirnietaments io voglio che^ n persuadiatie W viflta senz eccezioni che il popolo ma* hffetto e nemic al governo presente ) e che qua-^ lunque, cosa gli avete , coma deboli, conceduta, tavetei spesa varssimamente, e vi stata cagione di vilip4tr dio , quofi cangeduta F abbiate per .forta, non a ra* vfidta, e per beneplacito. Condrate come rf

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popolo si appart da voi, pigliando le arm i, e come ardi mostrarvisi palesissimamente per inimico, non offeso da voi realmente, ma fingendosi offeso: per^ che non potea corrispondere a suoi creditori, di^ cendoi che se decretax'ote la remissione dei debiti, e la condonazione delle colpe commesse per la sedizione, non desidererebbe pi oltre. 1 pi di voi, non per tutti, sedigli da vani consiglieri {cos Jatt mai non lo avessero ! ) deliberarono di MinuJlare le le ^ i, malleyadrici della fed e pubblica, n piil ricordare, perseguitare P esorbitanze passale. Egli per non. si tepn^ gi contento di questa concessione -, pel solo bisogno della quale diceva di essersi ribellato ; ma ben tosto pretese altra prerogativa pi grande, e menoegittima ; io dico quella di eleggersi ogni anno dtd* Sordin suo i tribuni, pretestando il troppo nostro potere, perch fossero scudo e rifugio a*poveri oUrag^ giati ed oppressi, ma in realt tendendo insidie alto stato delia repubblica, e volendola ridurre democr* tica. Adunque vi persuasero questi consiglieri a la sciare die entrasse in repubblica il tribunato; come in fa tti vi entr per isciagura comune, e principtd-^ tnente in onta del Senato , mentre io , se bene ve ue ricorda, tanta ne schiamazzava, protestando ai numi ed agli uomini, che introdurreste tra voi una guerra alterna ed implacabile, e presagendovi tutti i nudi, quanti ve ne avvengono. . L. E questo buon popolo che vi ha egli fatto dopo /che gli avete conceduto il tribunato? Non ha gi vaIfitato degnamente tanto dono, (mai nemmeno da voi

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DELLE a n t i c h i t ROMNE

10 prese con prudenza, e con verecondia, come sa gli lo abbiate accordalo, premuti e costernali dall forze di lui. Ha detto che aveasi. a rendere sacro , iiwiolabile i sicuro pegiuramenti , ed ha pretesa un autorit ngliofe che non qwella da voi destinata pei consoli. E voi avete tollerato ancor questo, e l tra le vittime giuravate la rovina di voi e de vostri di scendenti. E dopo questo ancora che vi ha fatto egU^ mai questo popolo ? In. luogo di riconoscervene, in luogo di custodire il.governo degU avi, pigliata or gine da queste prerogative, e volutosi di esse corno dS mzzi indegnf per ottenerne ancor altre , propeso leggi non discusse prima dal Senato, e le autorizz tol suo voto , senza del vostro. Niente baa agli sta>^ biUmenti da voi fa tti, ed accusa i consoli, quasi non iene governino, e fin per cose che avvengono fuori del vstro consenso, a caso, e motta rte avvengono che t intelletto umano non pu prevedere, eppure non 1 1 caso, come ho detto, ne incolpa, ma i vostri di segni. Fingendo di essere insidiato da voi, e temer che lo priviate della libert , e lo escludiate dalla pa* tria , egli stesso va tramando contro voi queste cose. E ben chiaro eh' egU difendesi dall incorrerli, col fare a voi previamente i mali che dice temere. Egli ha ci dimostrato gi prima con moki documenti, cha U tempo ora toglienti di ricordare; ma soprattutto col tentare di uccidere anche senza condanna questo Marcio, uomo tanto bellicoso , non oscuro di natali, n minore ad altri per .virt, sul pretesto che lo ah-^ bia insidiato, e ne abbia qui detto i mille mali.

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se , vista tanta scelleraggine, voi consoli , ed altri i pi savj non vi riunivate, e li contenevate ; sareste in un sol giorno stati privati degli o n o r id e l comando, della libert; vuol dire di tutto quello che i vostri padri vi hanno lasciato come frutto di tanU loro stenti, e che voi con altri non minori conser-' vavate. Ma voi generosi, voi che non amavate ,pih nulla senza que beni, avreste voi perduto qual pri- ma , qual p o i, piuttosto la vita che quelli. E se questo Marcio era cos turpemente e scelkratamerUo manomesso, come in uria solitudine; qual cos im^ pedirebbe pi che pur io soccombessi tra. le mani di questi nemici, e ne soccombessero, quanti si oppo^ sero , 0 fossero mai per opporsene ai temerarj'^ ca^ pricci Se dobbiamo dalle cose passate argomentar, le fu tu re , non sarebbesi il popolo appagato della strage di noi due, n proceduto fin qua , sarebbesi contenuto : ma fatto da noi principio , avrebbe qual rovinoso torrente rapito e trasportato seco chiunque: si opponeva o non cedeva, senza guardare n et , n stirpe , n virt. LL Ecco, o padri, le belle ricompense che pei tanti B la n d i vostri benefizj la plebe vi ha fin qui dimostrMe, e che era p ^ dimostrarvi, se voi non la frenavate. Or su considerate ancora cf eh ellc^ fece dopo quella savia e maschia vostra risoluzione, perch raccogliate in qual modo avete a condurvi con essa. Come seppe che voi non eravate per sof ferirla pi oltre i ma che vi apparecchiavate a resi sterle , ne sbalord : ma rivenendo alcun poco a s
D I O m C I , tomo I I .
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stessa, come da delirio o da crapola; si rivolse dal fa r violenza al chiedere un giudizio : e prescrittone il giorno, cit Marcio a subire un esame ov ella sarebbe accusatrice, testimonio , giudice , ed arbitra del grado della pena. E poich vi opponeste anche a ci , conghietturando che un tal uomo chiamavasi' al castigo, non al giudizio; ella al vedere che niente potea di per sestessa , ma che solo era V arbitra di ratinare le cose che avreste voi decretale , scese dalla tanta superbia che respirer, e viene a chie~ dervi che ci per grazia le concediate. Considerato ci, capite y e convincetevi una volta , che quanto le avete fin qui conceduto pi semplici che savj ne'vostri consigli, tutto vi ha recato danni ed offese: e che quanto le avete virilmente negato opponendovene alle violenze ed ai capricci; tutto a bene vi si termi nato. E ci toccato da voi con mano; che debbo io consigliarvi f che suggerirvi su la discussione pre sente ? Io vi consiglio che le cose che voi date e concedute per finir le discordie , le osservUe co munque , senza violarne niuna ; non perch sieno oneste e degne di Roma ( giacch e come lo sareb. bero m ai?) ma perch necessarie, n pi capaci tU emenda : vi consiglio insieme per , che' quante cose pretende per violenza, contro la legge, e vostro mal grado, tutte le neghiate, n le permettiate, opponendovele ad uno ad uno e tutti co' detti e colle opere. Imperocch non se alcuno vinto dalla seduzione o dalla fo rza , ha mancato una volta, dee pur fare il simile per V avvenire; ma memore delle cose passate

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dee vedere di non imitare pi oltre sestesso. Queste sono le cose che io giudico che dobbiate voi tutti conoscere, e che vi esorto che adempiansi contro le pretensioni ingiuste della moltitudine. LII. Che poi t affare ora posto ad esame non sia equo e giusto come il tribuno, illudendovi > cerca persuadervi, ma somigli li altri tentativi iniqui ed ingiusti del popolo ; conoscetelo a prova quanti non bene ancor 1 apprendete. La legge de giudizj popo lari alla quale Decio principalmente si appoggia, non f u gji formata in danno di vi patrizj, ma per garanzia de plebei sovverchiati, come ella stessa dimostra; essendone non equivoca la scrittura, e come voi tutti , che ne siete appieno istruiti, andate con~ t^nuamaite dicendo. E gran segno di questo il tempo , ( bonissimo in ogni controversia a fa r di scernere il dritto ) il tempo io dico di diciannove anni gi decorso dalla introduzion della legge. Ora in tutto questo tempo non pu Decio dimostrare niifna causa n privata n pubblica giudicata in forza di questa legge ^ntro alcuno de patrizj. E se pur dica di averla ; dimostrila, n pi avran luogo le dispute. I trattati ultimi pe quali vi riconciliaste col popola, questi trattati che il tribuno interpreta, tra volgendoli, e che per vi si debbono espor netta mente , questi comprendono due concessioni : vuol dire che si assolvesse la plebe dai debiti, e si nomi nasse ogni anno il magistrato per difender gli oppressi, e non altro. Ed argomento grandissimo che n la legge , n i trattati concedono al popolo il potere di

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giudicare un patrizio la inchiesta appunto che oggi egli fa . egli chiede d voi una facolt che prima non aveva ; niun cercando dagli altri ciocch gi tiene per legge. Come dunque, o padri coscritti ( che cos pure volea Decio che la pensassimo) , come sar un dritto di natura non scritto quello cio che il popolo sia giudice delle cause che i plebei sosten^ gono da^ patrizj o le intentano ; n poi li pairizj giudichino quelle d patrizj sia che questi le inten^ tino a p lebei, sia che vi pericolino ? che i plebei s abbiano in ogni caso il vantaggio, e noi non possiam paleggiarli ? Se Marcio, se un altro qualunque de patrizj conculchi il popolo , e sia giusto che ne abbia la morte > o T esilio ; non da lu i, ma qui sia giudicato e condannato secondo le leggj. fo r s e , o Decio, il popolo un giudice equabile, un giudice che niente condiscende a sestesso , dando il voto contro di un nemico ? E li patrizj se- dian essi questo voto, pregieranno pi un reo che la patria ojfesa per su birne dagli uofnini la esecrazione e P odio di sper giuri , e dagli Dei la pena della giustizia tradita j e per vivere sempre tra lugubri speranze ? Non cos penso, o plebei, di un Senato , al qitale consentite che si dispensino per la sua virt gli onori , i ma~ gistrati, e tutti gV incarichi pi belli di Roma , chia mandovi ad esso obbligatiisimi per la propensiort dimostrala sul vostro ritorno. Or le cose ripugnan fr a loro : come va mai che quelli che encomiate, temete ? che ad essi vi rimettete in cose gravissime , e ve ne sottraete nelle altre ? Che nqn siete sempre

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coerenti a voi stessi, che non vi fidate in tutto, o in tutto vi diffidate di loro, l i reputate bonissimi perch deliberino essi i primi le cose, n poi bonis simi li reputate, perch ne sentenzino ? Avrei da aggiungere o padri , pi, cose intorno ai diritti ; ma il fin qui deUo ne basti. LUI. E poich Decio ragionando sull' utile, si fece a dire , quanto bene sia la concordia, e quanto di sastro la discordia, e come avrem la concordia nel popolo se lo contentiamo, ma la discordia se gli proibiamo di bandire o di uccidere chi vuol depa tri^ ; io gli far breve risposta, quantunque pur lunga me V abbia. E primieramente io mi stupisco della dissimulazione di Decio, per non dire della stolidit, quando egli che si messo non 'molto a*pubblici affari, pensa vedere Putii comune meglio che noi che abbiamo invecchiato tra questi, e renduta grande di piecola la repubblica: e mi stupisco in secondo luogo che egli mai si lusingasse di per suadervi che v era d'uopo di consegnare ad essi che ne sono nemici, pel castigo vn cittadino collega vo stro non ignobile, n dappoco, ma da voi riputato insignissimo in guerra , sohbrissimo di costumi , .n inferiore a niuno nel maneggio del pubblico. Eppure egli ha osato dir questo , tuttoch vedo che voi avete gran rispetto pe supplichevoli, e che lo avreste, benevoli ugualmente, anche pe nemici di arme, se mai qui ricorressero. Che se ci avessi tu o Decio cono sciuto dediti a cose contrarie, pensar malamente dei numi, ed operare ingiustamente cogli uomini ; e qual

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cosa pi indegna avresti mai suggerito che sostener simo , perch sradicati, dismessi in tutto , perissimo trik t odio degli uomini, e degl'Idd]? JYon ci abbi sognano y o Decio_i.: i tuoi consigli non su la conse gna de'cittadini, n su di altra cosa niuna che debbasi da noi fare. N pensiamo che noi giunti fino a ' <juesta et tra tanta esperienza di beni e di mali , dobbiamo ora decidere t util nostro colla inespe rienza di un giovine , e di un giovine estraneo da noi. Le minacce di guerra le (fuali usate per atter rirci , non le abbiamo ora la prima volta da voi ; ma essendoci gi state faUe tante volte e da tanti, le sosterremo imperturbbilmente., reggendoci collan tica nostra mansuetudine. Che se a detti conforme rete pur le opere, vi rispingeremo ; giacch stanno per noi gl' Iddii , li quali non favoriscono le guerre ingiuste, ed per noi pronto non poco di truppe ausiliarie. Saran per noi tutti i Latini ai quali ab biamo di fresco conceduta la cittadinanza, e com batteranno per questa citt come per la patria loro. E le colonie di qui partite , le quali ora formano tante e buone citt, soccorreranno ancor esse con tutto r impegno la citt loro madre. Che se vorrete ridurci alla necessit di raccoglier sussidj da ogni parte j vi si ridurremo o Decio { ed invitati i servi ad sser liberi, i nemici di arme ad avere la pace^, e tutti a partecipare la speranza della vittoria ; vi faremo insieme la guerra. Ma deh ! che non sianci mai questi bisogni, o Giove , o Dei tutti difensori di Roma ! iton scorrano i terrori oltre le parole ; 'n mai sieguane opera disgustosa. ,

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LIV. Appio cos disse : Marco per Valerio il pi popola^re di tatto il consesso , quegli che avea dimo strata la propension pi grande per la pace, propizio^ anche allora manifestamente verso del popolo , tenne no assai studiato discorso ; riprendendo quelli che noa permettevano che la citt fosse unita, ma vi scindevano la plebe da patrizj, e vi risuscitavano per tenui cagioni una guerra intestina ; encomiando, quelli che seguivano il bene comune, e pregiavano la conconlia pi che ogni cosa ; e facendo riflettere che se il popolo dive nisse l'arbitro, come chiedeva, di quel giudizio, e ne avesse la concessione dal Senato, forse non procede rebbe fino agli estremi, ma contento di aver 1' accu sato , ne disporrebbe piuttosto con mansuetudine , che con durezza. Che se i tribuni ad ogni modo volessero compiere secondo le forme tutto il giudizio,' il popolo arbitro de' voti assolverebbe colui da ogni colpa , parte per verecondia di vedere in pericolo un uomo del quale dovea ricordare tante e si splendide imprese , e parte per gratitudine al Senato che gli avesse conceduto qnel potere senza contriapporsegli nella onesta dimanda. Pertanto consigliava i consoli, tutti i membri del Senato ivi presenti, e tutti gli altri patrizj di andare in folla e trovarsi a quel giudizio, di difendervi iweme il reo, e di supplicare il popolo a non sentenziare con rigore su lui ; mentre conferirebbe ci non poco, n di lieve momento sarebbe per la saviezza di Marcio in pericolo. Consigliava che non solamente essi fossero cos animati, ma che v invitassero ciascuno i proprj clienti, vi cougregasser gli amici, e vi assumessero, se ne aveano,

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quanti erano i loro beneficati, dal popolo, e ne d iiedessero allora nel dar di quel voto la riconoscenza gi prima .dovuta. Diceva che non poco lo giovereUie la parte di popolo che amava la patria, e detestava gli sceU lerati, e la parte ancora pi numerosa, la quale si ad dolora per le altrui sciagure, e sa ^m patire gli uomini costituiti in dignit, se la 'sorte loro travolgasi. Tuttavia diresse a Marcio la maggior parte del discorso mista di amoionimenti, di esortazioni, e di preghiere che face vano violenza. E giacch egli era la causa della discoiw danza del popolo dal Senato, e calunuiavasi come ti rannica la esuberanza, delle sue maniere, e temeasi che per lui si desse principio alle sedizioni e ai mali gra vissimi, quanti ne sorgono dalle guerre civili^ pregavalo a non verificare, o non confermare almeno le incolpazioot e le paure con quel suo non gradito contegno : assumesse un abit pi umiliato : souom^esse la sua prsona per dar conto a quelli che chiamavausi oltrag giati da lui : si presentasse alle difese contro di un ao^ cusa ingiusta s, ma che in giudizio appunto si annul lerebbe. Sarebbe un tal lare pi sicuro per la salvezza, pi splendido per la fama che desiderava , e pi con* fientaneo i/olle opere antecedenti. Dichiarava che se ostinavasi anzich raddokinsi, e se riduceva , persua^deadoli, i padri a subire ogni perielio per esso, mi sera sarebbe per loro se vinti la perdita, ma turpissima jie vincitori, la vittoria. qui tutto davasi al pianto , riepilogando i mali gravi e non dubbj che straziano elle discordie le citt. LY. Tali cose esponendo con molte lagrime non

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artificiose e aoa finte, ma vere, egli venerabilissimo per anni e per m e ritico m e videne commosso tutto il Senato , cosi con pi confidenza seguit, dicendo : S alcuno di voi conturbasi, o padri, pensando che introducesi un tristo costume nel concedere al popolo di votar su patrizj, e che non produrr niun bene r autorit de tribuni che tanto si fortifica , sappiate che voi siete errati, e v ideate il contrario di quel che conviene Imperocch se mai vi sar metodo sa lutare, metodo per cui non si tolga n la libert n le forze a Roma, e per cui le si conservi in perpetuo la concordia ; senza dubbio il metodo principalissimo sar quello che assumasi anche il popolo al governo^ talch non sia questo n pretta oligarchia, n demo^ crazia, ma un tal misto di tutti. E questa la forma che pi che tutte ne giovi ; perch ciascuna delle al tre , applicata sola , coni per sestessa, scorre faci lissimamente alle insolente ed alle ingiustizie; laddove quando una forma si abbia ben contemperata da tutte, allora se utia parte commovesi ed esce dalP ordin suo , vien contenuta sempre deUt altra, che savia, e tiensi al dovere. La monarchia diventila dura, superba, tirannica, suole abbattersi da pochi valenti umini: la oligarchia , qual voi f avete al presente , se troppo s' innalza per le rochezze e per le ade renze, n pi tien conto della giustizia e della virt, si annienta da un popolo savio; un, popolo savio e che vive secondo le leggi, se poi volgesi ai disordini ed alle ii^iustizie; sopraffatto dalle arme, e rimesso
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in dovere dal pi forte. Voi trovaste, o padri, rimedj efficaci perch il potere di un folo non si mutasse i n tirannide. Voi scegliendo in luogo di un solo due capi della repubblica , e dando loro il comando non per un tempo illimitato, ma per un anno; destinaste oltracci per invigilarli i trecento palrizj, i pit anziani e pi grandi, da quali composto il Senato. M a vo i, per quanto si vede, non avete fin qui messo per voi niun che vi osservi, e tenga in dovere. Cer tamente io finora non temei che vi corrompeste ancor voi tra t abbondanza, e la grandezza dei bejii, per ch non molto che avete liberato 'Roma da una vecchia tirannide ; n aveste mai comodo di scoprici ciiirvi e (f insolentire per le guerre continue e lunghe. Ma riflettendo io ciocch pu succedere dopo vo i, e quante mutazioni suol produrre la diuturnit dei tempi ; temo che i potenti del Senato si rimescolino, e riducano per occulte vie finalmente il governo in tirannide. LVI. Ma $e comunicherete il comando col popolo, non sorger quindi alcun male. E se altri ( giacch tutto dee prevedersi da chi consulta su la repubblica) se altri tenti elevarsi piii de colleghi e del Senato , procacciandosi un seguito di uomini pronti a congiwrare e ad offendere ; costui citato dai tribuni al po^ polo, per quanto egli sia grande e magnifico, render conto ai negletti ed ai poveri : e trovatosi reo , ne subir le pene che merita. Ma perch il popolo con tal potere non insolentisca nemmen esso, n guidato da capi rei s'inalberi contro de buoni, tiranneggiando

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( che nasce anche nel popolo la tirannide J ; lo invi giler , n permetter che ne abusi un uomo dislin^ tissimo per saviezza. Un dittatore eletto da voi con potere assoluto, inappellabile, separer dalia citt la parte infetta di popolo, n lascer che la sana se ne corrompa. E gli, riordinati i costumi e le preclare maniere del vvere, nominati i magistrati, che giudica savissimi per la cura del pubblico , ed eseguiti tali cose in sei m esi, rientri di bel nuovo nella classe de privati, conservando per s Honore, e non pi. Pertanto considerando voi questo , e giudicando bonissima tal form a di repubblica, non vogliate da ci che chiede escludere il popolo. Ma come avete attri buito al popolo che scelga ogni anno i,magistrati che regolino , che ratifichi o annulli le leggi, e decida della guerra e della pace, cose tutte rilevantissime e principali tra quante in uno stato sen facciano n avete di ninna di ess lasciato arbitro indipendente il Senato ; cosi chiamate anche il popolo a parte dei giudizj, massimamente se alcuno sia accusalo di of fendere la stessa repubblica, eccitando sedizioni, pre parando la tirannide, convenendosi co nemici di tra" dirci, e macchinando mali consimili. Imperocch quanto pi renderete ten ibile agl! indocili ed ai superbi la trasgresslon delle leggi, e le innovazioni di Stato, mostrando intenti su loro pi occhi e pi guardie ; tanto pi la repubblica star nel suo fiore.
LVII. Dette queste e cose consimili, tacque. Con vennero nel parere medesimo gli altri senatori sorti dopo lui , eccettuatine pochi, E standosene ornai per

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formare il decreto ; chiese Marcio la parola e disse ; Quale, o padri coscritti, io sia stalo verso la repub~ blica , come io sia venuto in tanto pericolo per la benevolenza mia verso di voi, e come ora io ne sia da voi contraccambialo fuori della mia espetiazione, voi tutti il vedete , e meglio lo intenderete ancora dopo dato un fine alle mie cose. E d oh ! se come la sentenza di Valerio prevede ; cos vi giovasse, ed io mi sbagliassi nelle mie congetture sul Juturo. A l meno per perch voi che siete per emanare il de creto , conosciate le cause per le quali mi consegniate al popolo, n io ignori su ette sar combattuto neht adunanza di esso ; intimate ai tribuni che dicano alla presenza vostra la ingiustizia su la quale mi ac cuseranno , e qual titolo diasi a questo giudizio. LVIII. Egli cod diceva , perch congetlurava che avrehbe a difendersi appunto pe discorsi fatti in Senato, e perch voleva che i tribuni convenissero che su que sto appunto verserebbe l azione. Ma i tribuni consulta tisi lo accusarono che brigato avesse la tirannide , e su questa accusa chiedevano che venisse a difendersi. (Schivi di restrigere 1' accusa ad una sola causa, e questa n valida n cara al Senato ; riserbavansi il potere di ac cusarlo su quanto volevano , pensando che resterebbe cos Marcio spogliato di tutto il soccorso del Senato ). Marcio dunque replic : se io debbo essere giudicato su questa calunnia, mi sottometto al giudizio del popolo , n mi oppongo che ne stenda il Senato il decreto. Piaceva al pi de' padri che su ci si rigi-rasse l'accusa e per dae fqi: perd^ da indi in po

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non pi sarebbe un senatore incolpato per dire cioc ch pensava nelle consultazioni ; e perch di leggieri quel valentuomo se ne purgherebbe, sobbriissimo altron de , ed irreprensibile nella vita. Fu dunque , secondo ci, steso il decreto pel giudizio : e dato a Marcio tem po per preparar le difese da indi al terzo mercato. Te> nevasi allora, e tuttavia si tiene da Romani il mercato in ogni nono giorno. In questi adunandosi i plebei dalle campagne in citt ; vi cambiavan le merci, e vi discu tevano le liti -private : e ricevendo i voti ; sentenziavano su le cause pubbliche, riservate loro dalle leggi, o dal Senato. Negli otto giorni intermedj a' mercati viveansi nelle campagne, essendone i pii di loro lavoratori e poveri. I tribuni preso il decreto, e recatisi al F o ro , v'adunarono il popolo : e lodatovi con ampj encomj il Senato , e lettavene la sentenza ; intimarono il giorno nel quale si finirebbe quella causa; raccomandando a tutti d'intervenire, perch discuterebbono importantis sime cose. LIX. Divulgato ci ; vivissime furono le cure e i ma neggi de plebei e de patrizj ; di quelli come per punire un arrogante, e di questi perch non restasse all arbi trio de loro avversar] il difensore del comando de po chi. Pareva ad ambi che si mettessero in quella causa a pericolo i diritti tutti della viu e della libert. Giunto il terzo mercato , si ridusse dalle campagne in citt tanta moltitudine , quanta mai pi per addietro , occu pando infno dall alba il Foro. I tribuni la invitarono a riunirsi per trib, separando con funi il sito dove ciascuna si alluogherebbe. L adunanza su quest uomo

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fu la prima la quale votasse per trib ( i ) , sebbene as sai si opponessero i patrizj perch ci si facesse ; chie dendo che si tenessero, com'era l uso della patria, i comizj per centurie. Imperocch ne' primi tempi se il popolo dovea votare su di una causa qualunque rimes sagli dal Senato ; i cousoH adunavano i comizj per cen turie, compiendo prima i sagrifzi legittimi , che in parte si compiono ancora. Il popolo ordinato come nei tempi di guprra sotto i centurioni e le insegue , adunavasi nel campo di Marte posto innanzi della citt. Quivi non prendevano e davano tutti insieme il lor voto ; ma ciascuno nella propria centuria, secondo che eran chiamate dai coasoli. Ed essendo le centurie cento novanta tr e , e dividendosi queste in sei classi, chiamavasi innanzi tutte, e dava il suo voto la prima classe, la quale formata dei pi riguardevoli per sostanze, e primi negli ordini militari, comprendeva diciotto cen turie equestri, ed ottanta appiedi. Appress votava l al tra classe la quale men comoda per sostanze, seconda neUordine della battaglia , e men cospicua de' primi per armatura , formava venti centurie ; aggiuntene ancor due di artefici, i quali apprestano legni e ierro, ed ogni alira macchina militare. Costituivano i chiamati nella terza classe venti centurie, inferiori tutte nell onore, nell ordine della battaglia, e {belle armi, non simili a quelle de precedenti. Gli altri chiamati appresso , rispet tabili anche meno in pregio di sostanze e di armi, ma pi sicuri di posto nella battaglia, divideansi ugualmente
(i) Anni di Roma a63 secondo Catone, aC5 secondo V arrone, 489 av. Cristo.

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in venti centurie ; alle quali se ne anivano altre due, di suonatori di corni e di trombe. Chiatnavasi per quin ta , la classe tenuissima per averi e per armi oh' erano strali e ionde. Non aveano questi luogo nella legione, ma spediti e leggeri, e divisi in trenta centurie, com battevano insieme con quelli di grave armatura. Final mente i cittadini pi poveri, tuttoch non minori agli altri di numero, ristretti, tutti in una centuria, prendeano gli ultimi il voto. Immuni essi per sestessi dai ca taloghi militari, e dai tributi ordinati secondo gli ave ri, erano appunto per queste due cause inferiori a tutti nella collazione de'voti (i). Se le centurie della, prima classe, vuol dire le novantotto tra le equestri e pedestri e che aveano il primo posto in battaglia, si trovavano tutte di accordo ; la collazione de' voti era finita, n lasciavasi alle altre, che erano sole novantacinque , di votare ( ) ; e se ci non succedeva , chiamavasi la se conda delle ventidue centurie, e quindi la terza : e cosi procedevasi finch unanimi si trovassero novanta sette centurie. E per lo pii le discussioni ultimavansi col chiamare la prima classe; non bisognandovi punto le altre. E di raro mai scontravasi un tal fatto cos dub( 1) Questa namerazlone i forse saperflua. JNel lib, 4 > $ 30 ; si tratta >a materia m edesim a. I soldati che qui si dicoDo immuni dai cataloghi m ilitari, erano certam ente l iberi dalle coscrizioni: p e r a l tro potevano militare se volevano. (a) Nella prima classe ci aveano ottanta centurie appiedi e diciotto a cav a llo , iu tutto novantotto yedi loco citato. Le, altre classi in tutto costituivano novantacinque centurie : perch la seconda classe com prendeva ventidue centurie: la terza 'venti: la quarta di nuovo ventidae : e la quinta tre n ta ; risultando la sesta d a una sola.

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bio da ricorrere al volo finale de' poveri. Era questo il refiigio estremo, se mai le cento aorantadue ceotnrie sciadeansi in parti eguali ; e ne preponderava la parte alla quale quell ultimo voto si volgeva. Chiedeano i difensori di Marcio che si adunassero i comizj ordinati secondo gli averi, immaginandosi forse che il valentuomo sarebbe liberato dalle novantotto centurie della prima classe quando le chiamavano, o dalle altre almeno della seconda o della terza. Ma sospettando eziandio ci li tribuni, conclusero che si avesse a riunire il popolo per trib, e cosi- renderlo giudice della contesa ; perch n i poveri ci avessero men potere dei ricchi, n i soldati leggeri men di quelli di grave armatura, n la molti tudine , differita per 1' ultima chiamata, fosse impedita a dare egual voto. Divenuti tutti pari nellonore e nel voto , avrebbero ad una sola chiamata dato i loro suf* fragj per trib. Or pareano i tribuni pi giusti che gli altri, col pensare che il giudizio del popolo fosse ve ramente del popolo, non della parte fautrice degli ot timati ; e che su le offese di tutti, tutti dovessero sen tenziare. LX. Conceduto ci con stento da patrizj , essendosi omai per disputare la causa, Minucio l altro de'con* soli ascese il primo in ringhiera, e disse quanto eragli stato commesso dal Senato. E prima ricord tutte le be neficenze , quante il popolo ne avea ricevute da patrizj : e poi chiese in contraccambio di queste, eh eran pur tante, che il popolo concedesse una grazia, neces saria ad essi che la domandavano, pel pubblico bene : quindi lod la concordia e la pace e rilev di quanti

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beni 8ien causa 1 una e 1 altra nelle citt: condann le sedizioni e le guerre intestine; e mostr che ne erano state distrutte le citt con gli abitanti, anzi le intere nazioni : raccomand che secondando l'ira non isceglissero il peggio per lo migliore : che provvedessero il fu turo con saviezza, non si valessero in consultazioni gra> vissime del consiglio de' cittadini piii tristi, ma di quelli che tenean per bonissimi , da' quali sapeano .essere stata tanto giovata in guerra ed in pace la patria , e de' quali non era giusto che diffidassero, quasi avessero gi mu tato natura. Era l ' intento di tanti discorsi, che non dessero niun voto contro di Marcio , ma in vista prin cipalmente di essi assolvessero quel valentuomo ; ricor dandosi quale egli era stato per la repubblica, quante guerre avea portato a buon termine per la libert e per r impero di Roma, e come non farebbero cosa n pia; n giusta, n degna di loro, se ingrati alle opere segna late di lui ne punissero le vane parole. Esservi bellis sima la opportunit di dimetterlo ; giacch egli presen< tava la su^ persona ai nemici , per subirne in pace il giudizio che di lui formerebbero. E se non che riconciliarsegli, persistevano duri, implacabili con esso, al meno giacch il Senato trecento i pi insigni della citt, facevasi a supplicarli, s'impietosissero e mansuefacessero, ci considerando; n per punire, un nemico ributtassero le preghiere di tanti amici, ma in grazia di tanti va lentuomini condonassero la pena di un solo. Dette que ste consimili cose , aggiunse in ultimo , che se assol vessero dopo dati i voti un tal uomo , parrebbono rila sciarlo per non esser stato un offensore del popolo : ma

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se proibivano di prosegairae il giudizio, mostrerebbero di donarlo a tanti che per lui supplicavano. LXI. E qui taciutosi Minucio, fecesi innanzi Sicinto il tribuno, e disse : che u egli tradirebbe la libert del popolo, n permetterebbe di buon grado che altri la tradissero. Pertanto se i patrizj sottomettevano realmente a tal uomo al giudizio del popolo, &rebbe che su lui si votasse, n punto da ci si scosterebbe. E qui su bentrando Minucio replicava : Poich siete o tribuni ferm i in tutto di dare il voto su quest'uomo; almeno non lo accusate di altro che della offesa imputatagli. E poich lo dinunziaste reo di ambila tirannide, di chiarate e convincete ci con gli argomenti: ma non vogliale n ricordare n accusare le parole , le quali 10 iiKolpavate di aver detto in Senato. Imperocch' 1 1 Senato lo dichiarava immune da questa colpa , e sentenzi che al popolo si presentasse per le cause convenute. E qui lesse la sentenza. E dette e protestate queste cose, discese. Allora Sicinio il primo fra' tri buni espose r accusa con cura ed apparecchio grande, riferendo tutte le cose dette o fatte da quest'uomo ai disegni di fondar la tirannide. Parlarono dopo lui gli altri pi potenti de' tribuni. LXII. Ma non s tosto tocc a Marcio di perorare , cominciando da capo, numer quante spedizioni mili tari avea sostenuto dalla prima et sua per la repub blica , quante corone trionfali avea riportate da suoi co mandanti , qnanti erano i nemici presi da lui prigiooier i , quanti li cittadini salvati nelle battaglie. E ad ogni dir suo mostrava i premj dati al suo valore, e ne prof-

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feriva in testimonio i capitani, e ne chiamava a nme i cittadini liberati. E questi si presentavano sospirando e supplicando i cittadini a non uccidere, n distruggere come nemico chi era la causa della loro salvezza ; chie> dendo la vita di un solo per quella di tanti , ed esi bendo in luogo di lui sestessi, perch come pi voleano ne disponessero. Erano i pi di loro del popolo, anz^ al popolo utilissimi. E preso il popolo da verecon dia all aspetto ed alle lagrime di tanti ne impietosi, e ne pianse. Quando Marcio squarciandosi l'ab ito , mo str pieno il petto, piene le altre membra di cicatrici, e dimand se credeano poter esser le opere di un uomo stesso salvare il popolo in guerra dd nemici, e salvato opprimerlo nella pace : e se chi fonda una trannlde , caccia dalla citt una parie del popolo, dal quale principalmente la tirannide si alimenta e cor robora. E lui parlando ancora, tutti i pi mansueU, e pi umani del popolo esclamavano, che si rilasciasse: e vergognavansi che stesse fin dal principio in giudizio per simil cagione un uomo che avea tante volte spre giata la propria salvezza per quella di tutti. Ma tutti i pi invidiosi, tutti i pi malevoli ai buoni, e pi pronti alle sedizioni, soffrivano di mal in cuore di avere a li berare un tal uomo : tuttavia non sapeano che pi fare, non apparendo in esso indizj n di tirannide, n di ambizion di tirannide , e su ci doveasi giudicare. LXIU. Or ci vedendo quel Decio che avea ragio nato in Senato, e procurato che si stendesse il decreto per la causa , levatosi in piede fece silenzio e disse : Poich , o popolo, i patrizf hanno assoluto Marcio

3g6 DELLE a n t i c h i t ROMANE detUe parole dette in Senato, e d d fa tti violenti e superbi che le seguirono: n vi hanno lasciato mezzi onde accusarlo ; udite , non le parole, no , ma la egregia cosa che questo valentuomo vi apparecchiava ; uditene t orgoglio, la sowerchieria, e conoscete qual vostra legge , egli privatissimo uomo , violasse. Fot tutti secete che quante spoglie nemiche ci riesce di acquistar col valore, tutte per legge son del comune, e che niuno, nemmeno lo stesso capitano ^ non che un privato , ne r arbitro ; sapete che il questore le prende, le vende, e , fattone danaro, lo versa nel pubblico erario- Or questa legge che niuno da che Roma Roma non solo non ha mai violato, ma nemmeno ha ripreso come non buona ; questa gi firm ata, gi invalsa, questa ha C unico Marcio con culcata, appropriando le prede che erano del comune, C anno scaduto, e non prima. Imperocch essendo noi scorsi su le terre degli A n zia ti, e pigliato aven dovi prigionieri, e bestiami, e frum enti, ed altro in copia ; egli non deposit gi tutto nelle mani del questore: e nemmeno, aUenandolo, ne mise il prezzo neW erario : ma divise in dono agli amici suoi per cattivarseli, tutta la preda ; or questo io dico eh egli argomento certissimo di tirannide. E come no ? Costui beneficava col tesoro pubblico li suoi adulatori, li custodi della sua persona, li cooperatori della ti rannide, E vi affermo che questo f u come un abro gare manifestamente la legge. Or su, facciasi pure innanzi Mai cio, e dimostri P una o F altra delle due; o che egli non comparti le belliche prede asuoi

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nici ; o che se bene ci fe c e , non ruppe la legge. Ma egli non potr dire niuna di queste due cose. Imperocch % > o i sapete P una e V altra, la legge e opera : N mai potrete col assolverlo , dar vista di conoscere i diritti ed i giuramenti. Lascia o Marcio le corone ed i prem j, lascia le ferite ed ogni osten tazione , e rispondi a questo, su che ti concedo ornai che tu parli. LXIV. Cagion tale accasa grande mutazione; e li pi dolci, e pi premurosi per 1' assoluzione di questo uomo si rallentaron ci udendo. E li pi perfidi, quali erano i pi della plebe , deliberati aifatto di perderlo, vi si ostinarono ancor pi , per una occasione si gran> de , e s manifesta. EU era ben vera la distribuzion della preda , non era per fatta per mal genio, n in vista di una tirannide , come Dcio calunniava, ma solo con fine benissimo, con quello cio di riparare ai mali della repubblica: perch, essendo allora il popolo di scorde ed alienato da'patrizj, i nemici dispregiandoli, ne scorrevano e ne predavano di continuo le campagne. E quante volte parve al Senato di spedire una forza che li reprimesse , niuno usciva del popolo, anzi giubbilava contemplando i casi d'intorno , n le forze dei patrizj ha* stavano a contrapporsi. Or ci vedendo Marcio promise ai consoli, se lo creavano capitano, di portar su' nemici un'ar* mata spontanea, e di pigliarne ben tosto vendetta. Ottenuto Marcio il potere , congreg li clienti, gli amici, e quanti voleano partecipare le sue fortune , e la sua gloria nelle armi. E quando parveg]i chp si fosse raccolta milizia suf ficiente ; la men su nemici che niente ne prevedeano.

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Scorso ia region doviziosissima, ed arbitro divenuto di amplissima preda, peimise alle sue milizie che tutta se la dividessero , afSnch li compagni dell' impresa , rac coltone il frutto, andassero pronti anclie agli altri ci menti : e quelli, che impigrivano in casa, considerando da quanti beni, a' quali poteano partecipare , gli allon tanasse la sedizione; divenissero pi savj per le spedi zioni seguenti. Tale era su ci la idea del valentuomo. Ma la turba invida e -tenebrosa , considerandone con malvolere le operazioni, credette vedere in esse un pre dominio , una largizione tirannica. Dond' che il Foro si riempi di clamori e di tumulto : n pi Marcio, n il consolo, n alcun altro sapeano che rispondere, riu scendo la incolpazione inaspettata ed improvvisa. Poi ch dunque niuno pi faceane le difese; i tribuni di spensarono alle trib li suffragi, proponendo per pena del delitto 1' esilio perpetuo, io credo perch temevano, che se proponevano la morte, non sarebbevi stato con dannato. Dato da tutti il voto, e numeratili, non vi fu gran divario. Imperocch essendo allora ventnna le trib le quali ottennero il voto, nove si decisero per la li berazione di Marcio , tanto che se altre due vi si ag giungevano , sarebbe stato, come ordina la legge , libe rato per la uguaglianza (i).
(i) Se le trib erano a i , e nove si dichiararono per M a r c io ; dunque dodici lo condannarono; e per tre e non due altre tr ib ci voleaao per uguagliare i Toti della condanna e dell assoluzion. Forse Diaoigi vuol dire che se la tribl condauaavano ed n u d ic i assolvevano, l efRcacia d e voli era la stessa in gu is4 , che per u a voto di pi non condannavasi il re o , ma si rilasciava. Se ci , n^l teslu non vi discordia , ma la voce dovr trad u rsi

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LXY. F u questa la prima citazione di un patrzio al popolo.per esserne giudicato : e d' allora in poi fu stabilito il costume che i tribuni chiamano chi lor piace de' cittadini a subire il giudizio del popolo. E dopo tal fatto ancora assai il popolo si elev, decadendo nommeno il potere de' pochi, perch ne furono ridotti ad ammettere i plebei nel Senato, a concedere che aspi rassero agli onori, a non vietare che prendessero i sa cerdozi , e a dividere con essi per forza e loro malgra do , o per provvidenza e saviezza, i tanti bei pregi, un tempo proprj solo de' patrizj , come ne' luoghi op portuni diremo. Del resto l 'uso di citare i cittadini primarj al giudizio della moltitudine pu sopaministrare ma teria bea ampia di discorso a chi vuol biasimarlo o lo> darlo ; perciocch molti uomini probi ed egregj ne so* stennero cose non degne della loro virt, fatti ingloriosameute uccidere e malvagiamente pe' tribuni : e per r opposito ne pagarono pure la debita pena molli uomini arroganti e tirannici, astretti a dar conto del vivere e procedere loro. Quando dunque vi si faceano con cor buono le discussioni, e vi si reprimevano le esorbitanze dei graudi, quella sembrava mirabilissima cosa, ed erane da tutti lodata : ma quando a torto il merito vi si pro strava de' valentuomini egregj nel governo del comtme ; sembrava orribilissima, e gli autori se ne accusavano
nou per la uguaglianza de' voli come abbiamo fallo ma per la tf j i ^ ca d a de voli. Sappiasi in fine che talaoo de critici afferma che le trib allora erano 3 i , e non a i ; ma il Slgooio d t civilate Rom, c. 2 , ed Onofrio Paavino al c . 8 , sosteogoao che erano realmeole Tcntuna.

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della cobsaetudine. Esaminarono , evvero , pi volte i Romani se la dovessero annullare , o custodire come 1' aveano ricevuta dagli antenati ; ma non diedero mai flue all' esame. E, se pur io debbo dirne ciocch ne pen so, a me ne sembra la istituzione, se per s si consi deri , vantaggiosa, anzi necessariissima a Roma ; esservi per pi o men bene riuscita, secondo il carattere dei tribuni. Imperocch se scontravansi savj, giusti, e sol leciti del pubblico, pi che del proprio lor bene, e se chi offendeva la patria ne e ra , come dovea , caligato; in tal caso un timor vivo frenava ancor gli altri dal fare altrettanto. E 1' uomo buono , I' uomo avvanzatosi con cuore puro ai maneggi pubblici n subiva pene vergo gnose , n giudizj, alieni dal procedere suo. Ma quando aveansi il poter tribunizio uomini scellerati, intempe ranti , avari, succedeane tutto l'opposito. Tantoch non doveasi retti6c{ir come.erronea la consuetudine, ma curar piuttosto come si avesser tribuni probi ed onesti, senza che tanta autoiitA temerariamente si conferisse. LXVI. Tali furono le cagioni, e tale il termine della prima sedizione de' Romani dopo la espulsione dei re. Io ne parlai lungamente , perch ninno si meravigli come i patrizj permiser che il popolo si attribuisse tanto po tere , n succedessero intanto come in altre citt, gli eccidj e le fughe degli ottimati. Ciascuno brama cono scere delle insolite cose la cagione ; proporzionandosene a questa la credibilit. Dond che io conclusi che non sarei stato creduto in gran parte o in tutto, se io di ceva nudamente , e senza allegarne le cause, che i pa trizj aveano ceduto ai plebei la primazia ; e che po-

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tendo' dominare come nl comando dei pochi, ayeano reuduto il popolo arbitro di affari gravissimi: e csl concludendo ; volli esprimerle tutte. E pich fra loro non si violentarono e necessitarono colle armi, ma couf* cordaronsi colla persuasiva, giudicai portare il pregia dell' opera, che si esponessero soprattutto i discorsi te nuti allor dai' primarj di ciascun dei partiti. E ben iq mi stupirei che taluni pensassero doversi i falti d ^ a guerra descirivere minntissinaamente, talvltar consu massero tante parole intorno di una sola battaglia d ^ cenda la natura de luoghi, la propriet delle arm i, U forma delle ordinanze, le ammonizioni del capitano, e tutti i motivi, quanti coadjuvarono la vittoria ; n poi credessero- che narrando i nummenti, e le adizioni vili sen dovessero insieme riferire i discorsi pe'quali *i operarono impensate maravigliosissime irprese. Certa^ mente se nel governo de' Romani vi fu portento degno di eDcomj, e della emulazione di tutti, fu qusto a parer mio, famosissimo pi che i tanti, che pur vi furoBO. stupendissimi, vuol dii che i plebei spregiando i patirizj non si avventasser su loro, uccidendone in coipia i pi insigni, ed. usurpandon i beni, -che quelli ohe . esercitavan le cariche non conquidessero di per fiestessi' o co soccorsi di fuori tutto il popolo, rimaneadosene poi liberi dfi paure in citt ; ma che a. guisa di fratelli .co fratelli, e di figli co' padri in una savia fa miglia , la discorresser fra loro su diritti comuni, e Gnisser le controversie col dialogo e colla persuasione, senza permettersi gli uni contro degli altri azione alcuna inir
D i o m c i , unno I I . a6

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qna ed iosanabile , come nelle loro secliziom ne fecero i Coreiresi, come gli Argivi, i Miiesj, e la Sicilia in tera , e tani'altri. E per queste cause io volli anzi esten derne che rsiringeme la narrazione ; e ciascuno oe pensi come glien pare. LX yiI. Avuto allora il gindizio un ul esito , il po polo si parti con una vana ghiattania; concependo aver tolto il comando dei pochi. Altronde i patrizj ne an elavano umiliati e mesti, ed incolpavano Valerio per SQggerimento del qoale avevano rimessa al popolo sentenza. E quelli che riconducevano Marcio ; impieto ti, ne sospiravano e ne lagrimavano : non per vedeasi Marcio n piangere, n lamentare la sorte sua, n dire o fere cosa qualunque, non d ^ a de' soblimi suoi genj : anzi dimosti pi ancora la generosit e for tezza dell animo suo, quando giunto in casa videvi b moglie e la madre che aveansi squarciata la veste, e pesto il petto , e gridavano, come sogliono in simili casi, donne separate dai bro pi cari per 1' esilio , o per la morte : niente invili tra le lagrime , niente tra' damori delle donne. Ma dato loro un amplesso, le animava a tollerar virilmente la disgrafia, racconuadand* ad esse i suoi figli. Grande era T uno di dieci anni , ma soeteneano l ' altro colle braca ancwa. E senza dare aU tri pegni della sua benevolenza , e senza tor seco cioc> th bisognavagli per 1' esilio , usci solleciumente dalle porte, non indicando a niuuo, dove si trasferiva. LXVll. Venuto pochi giorni appresso il tempo de'co miz}, furono dal popolo scelti consoli Quinto Sulpicio Camerino e Spurio Largio Flavo per la seconda voi-

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m (i). Turbarono quest'aniio la citt mohi segni di ce> lesti terrori. Imperocch apparvero a molli visioni inso lite, e vopi si udirono senza niun che parlasse ; le ge neraziom degli uomini e delle liestie assai scostandosi dal naturale tendevano al mostruoso ed all' incredibile : e si udivano in pi luoghi risonare gli oracoli, e donne da divino furor sorprese annunziavano alla citt lamen teroli e terribili sorti. Si aggiunse a tanto un tal contagio cella moltitudine. Fece questo assai strage di bestiame, ma non molta fu la mortalit degli nomini, non esten* ^endosi il mor>o pi in l che a far dei malati. (hi diceva succedere l'infortunio per disegno de'numi i quali si Yendicavano dellessere espulso dalk patria il miglio^ de' cittadini ; e chi dicea che gli eventi non erano opeca divina, ma fortuiti, come tutte le vicende degli uomi-* ni. Poi si present, portatovi in una lettiga, un in&r> m o, chiamato Tito Latino di nome, vecchissimo d'annr, fornito a sufficienza di beni, e che avea per lo pi' vi* vuto nella campagna, lavorandola colle sue mani. Co* stui venuto in Senato rivel che avea tra il sonno ve^ duto Giove Capitolino che standogli a fronte, r a , gli disse ; fa intendere a' tuoi cittadini che nelt ultima pompa che mi celebrarono, non mi diedero un buon capo per la danza. Pertanto mi ripetano , e compiano uri altfu fetta di nuovo, non avendo io accettata la pri^ ma. Dicea costui che risvegliatosi non facea vemn caso della visione, ma teneala come una delle comuni ed il lusorie. Quando ecco infine gli si present nel sonno (i) Anni di Roma a64 tecondo Catone, >66 secondo Varrone, e 488 Criflo.

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la imiDagDe stessa, e bieca e donata, che non ayessv annuneiaio i 'comandi al Senato, e miaacciandolo , se non gli annunciava immantinente che apprendet'ebbe con grave suo danno a non trascurare g^ Iddj. Que sta seconda Tsioae, egli disse, cb la riguard comc la prima, vergognandosi di assmr l'iqcatico, egli vec chio e lavoratore , di portare al Secato 4 sogni gaoi pieni di augurio e di terrore, pepcb noo vi fosse de ciso. Or pochi giorni appresso il vago e giovine suo figlio , senza malattia , e senza nkioa cusa sensibile fo isapto da morte improvvisa. E ben tosto il simulacro 8tesw dd nnme apparendogli nel sonno gli dichiar che egli avea. gi colla perdita, del fi^io subita la pena della sua trascuraggine, e del dispregio delle celesti voci , ma che ben tosto ne subirebbe-ancor altre. Udendo tali cose disse che contentissimo ne accettava Fannun zio , se avesse a morirsi , non piii curando la vita: che non gli diede il nume per questa pena, ma che gFin^ terh per tutto il corpo dolori acutissimi ed insoj^riinli j non potendone movere parte alcuna senza tor mento estremo. E che allora infine con^unicato teverUo agli amici, venivane per consiglio loro al Senato. Pa rca , ci dicendo , che poco a poco si riavesse dal do lore. Alfine compiuto il discorso, usci di lettiga, ed in vocato il nume,, ne and per la citt libero e sano ia sua casa. LXIX. Il Senato ne fu spaventalo ed atlonito ( i ) ,
( i ) Questo fatto riportato anche da L ivio. Cicerone lo allega nel lib. I de Divinatione. Q uanto i facile sognare con chi sogna ! Ala il Senato avea bisogno d illudere un popolo supertiixioso, e ue second li d e lirj. Fer tali vie la verit si c o n fonde, e si allontana!

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n sapeva ladovinare ciocch il nume significasse, e qual fosse nella festa antecedente il dace de' salti die buono a lui non paresse. Alfine un tale, memore delr evento, lo disse ; e tutti se gli accordarono. Or fu l'evento cosi: Un Romano non ignobile consegnando un suo schiavo agli altri conservi perch lo menassero alla morte , ordin per renderne pi romorosa la pena, die lo traessero, flagellandolo , pel Foro , e per tutti , quanti erano, luoghi pi insigni della citt. Precedi costui la festa che la citt avea prescritto che si facesse in quei tempi a lai nume. Coloi'o che lo spingevano al supplizio slargandogli e legaodogli ambedue le mani ad nn legno, postogli dietro il petto e diretto per le, spalle fino agli estremi delle braccia, lo seguivano, e lo bat* levano nudo co'flagelli. Stretto costui da tale, necessit gridava e eoa sconce voci, quali il dolore gliele sug geriva, e tra salti indecenti, per le battiture. Or questo giudicarono tutti che fosse il saltatore non biiono indi* cato dal nume. - LXX. E giacch sono a tal parte d istoria penso non dover tralasciare i riti che nella feista si tengono dai Romani: non perch pi bella ne sia la narrazione per giunte teatrali e per fioriti discorsi , ma perch sia pi credibile il proposito rilevantissimo , vuol dire, che greche furono le colonie fondatrici di Roma , e venute da famosissimi luoghi, e non barbare e non prive di case , come alcuni hanno esposto. Imperocch nel fine del primo libro, tessuto da me su la origine sua , protnisi convalidarla con mille forti argomenti di leggi, d i cpstumi, d'industrie che vi persistono ancora, quali si

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ricevette dagli avi; n giudico che basti a chi scrive le storie antiche de* luoghi delioearle come degne di fede perch tali si odono da' paesani , ma per l ' opposito giudico che a renderle credibili abbisognino queste di altri documenti invincibili, quali sono principalissimamente le cerimonie, ed il cullo usato in ogni citt verso i numi e i genj patrj. Cerumente li Greci e li barirari custodiscono queste gelosamente per lunghissimo tempo frenati dalla riverenza de' numi vendicatori. E ci ibano i barbari soprattutto, per molte cagioni da non essere qhi ricordate. E ninno ha mai persuaso a dimenticare o corrompere alcuna delle divine case gli Egizj, i L ibj, li Celti , gli Sciti, gl' Indi e general mente tutti i barbari, seppure caduti sotto il comando ^ luri non furono necessiuti ancora di volgersi ai riti IcN T o. Roma per non fu mai ridotu a tal sorte , anzi ssa diede agli altri le leggi perpetuamente. Se traeva da'barbari lorigin sua, dovette pur da'barbari derivare le istituzioni nazionali, per le quali giunse a unta foiw tona : e quindi dovette astringere tutti i sudditi a ve nerare gl' Iddj con le forme Romane come- migliori. Se dunque i Romani eran barbari, niente poteva ritar4are che bariiiara si rendesse tutta la Grecia che ornai da sette generazioni ne poru il giogo. LXXI. Alcuno forse creder che bastino per segno non piccolo delle pratiche antiche, quelle che ancor vi si usano. Ma perch altri noi prenda come insufficiente per la opinione non giusta, che i Romani quando vinser la Grecia , con piacere ne assunsero i <xtstumi come migliori, ripudiando i proprj ; ho deliberato ar>

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gomentar dal tempo quando espii non ci dominavano ancora , n avevano oltre mare l ' impero , valeadomi bellautorit di Quinto Fabio senza che altra me ne bisogni. Imperocch antichissimo tra quanti scrissero le cose romane, ce le accredita non solo perci che ne ha udito, ma perci che ne ha veduto ancora. Il Se nato , come ho detto di sopra , aveva decretato quella festa, per adempiere il voto fattone da ulo Postumio ditutore , quando fu per combattere le citt ribellatesi deLatini, che tentavano rimettere Tarquinio sul trono: ed aveva decretato che si applicassero ogni anno per li sagriGcj e pe' giuochi cinquecento mine di argento ; e puntualmente ve le applicarpno fino alla guerra con i Cartaginesi. In questi sacri giorni si foeano molte cose conformi alle greche usanze circa il concorso , 1' acco glienza de' forestieri, e le immunit, cose tutte bea diflcili a descriversi. Le cose poi, che concernono la pompa, i sagrifizj, ed i cerumi, erano come sieguono, e ben da queste si possono argomentare , quali fosserp ancora, le tante che sen Uciono. LXXII. Prima che si desse principio ai giuochi, le persone che aveano il potere pi grande, avviavano dal Campidoglio la pompa, conducendola pel Foro al Circo Massimo: e nella pompa eran primi i lor figli prossimi alla pubert : ma que' garzoncelli che poteano per 1 * et far parte della pompa ne andavano a cavallo "se fossen^ di equestre famiglia , o a piedi , se a piedi dovessero militare: e quali ne andavano ad ale e caterve, e quali a corpi ed ordinanze maggiori come per essere istruiti: e ci perch fosse visibile ai forestieri la giovent Ro>

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tnana cHe e n per giungere alla et militare, e quanto ne fosse il numero, e quanta la bellezza. Venivano ap presso loro i guidatori di quadrighe , di bighe, ed altri che pompeggiavano su cavalli' non aggiogati. Seguivano quindi i combattitori di certami leggeri o gravi; e nudi si vedevano, se non quanto velavano le parli del sesso. E tal costume conservasi ancor tra' Romani come nei principi aveasi pure tra' Greci , finch tra' Greci vi fu tolto dai Spartani: Perch il primo che prese a nudarsi Il corpo e nudo corse ne* giuochi Olimpici nella olim(liade decimquiuta fii Acanto di Lacedemonia; laddove innanzi lui vergognavansi i Greci di avere tutto nudo il corpo ne' spettacoli, come certidca Omero scrittore antichissimo e degnissimo pi che tutti di fede, il quale introduce gli eroi cinti da una zona. Quindi descrivendo il certame di Ajace e di Ulisse ne'funebr onori di Par trodo disse :
Sceser cnti di zona amii alla pugna.

E ci dichiara ancor pi nell Odissea, narrando il pu< gilato di Ir e di Ulisse in tal modo :
SI disse ; e tutti eneomiaro Vlisse , E di una zona circondando i lombi, Gli ampj e vaghi suoi femori scopria , E nude sen vedean le vaste spalle , Nudo il petto t e le Iraccia.

Ed introducendo quel misero che non volea combattere, ma ne temea ; scrive :


Cosi diceano : ad Ir il cor si scosse .< Cinserlo i proci di una zona , e tutto Tremante lo sospinsero alla pugna.

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Tal costume primitivo de' Greci serbato fino all ultimo tempo dai Romani dimostra die questi non lo appresero nltimamente da noi , anzi clie non lo mutaron col tempo, come abbiamo noi fatto. Tenean dieUro agli atleti , cori di salutori divisi in tre bande : erano i primi adulti, imberbi gli altri, e giovani gli ultimi ; venivano quindi sonatori cbe davan fiato a tibie di an> tica forma, e picciole, come costumasi ancora, e cita redi che toccavan c<J plettro lire eburnee di sette cM^e, ed altre ancora di p i , barbiti nominati. Di questi era mancato l'uso ne'miei tempi tra'Greci quantunque fosse lor proprio: ma tra Romani conservasi in tutti i sagrifizj di antico rito. Erano l ' apparato de' salutori pur puree toniche, cinte con metalliche fasce , e spade che ne pendeano , ed aste anzi corte che giuste : vedeasi negli altri uomini elmo di bronzo con cimieri vaghi ; e pennacchi cbe 1' adornavano. Era di ogni coro il duce un uomo il qual dava agli altri la forma del ballo ; rappresentando moti marziali e vivi, con ritmo per lo pi proceleusmatico (i). Era greca antichissima pratica anche quella di saltare colle armi Pirrica si chiamava, sia che Minerva cominciasse la prima dopo la disfatta de' Titani a danzare e saltare colle arme tra cantici trionfili per la vittoria ; sia che prima ancora fosse il
(i) Proceleusmatico chiamavati no pi tnetrico di quattro sillabe breri : e qi^iadi i diceaao wfxt\ivrftM Tticm i veni che conteneano qae' piedi. Forse furono cosi detti perch solcano ptemetlersi, cantandoli, r t f xiAivr/tr< vuol dire alle esortazioni o comandi. Quindi il ritmo proceleusmatico ne' balli dovrebbe avere allusione a tati piedi o v e rsi , ed esortazioni.

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rito intrOiiotto da' Cureti , quando educando Giove leano cai$ezzarlo col nono delle arme, e con lieti moti e cadenze, come la favola narra. Omero pi ^oite , e principalmente netta formazione de|lo scudo che dice donato da Vulcano ad Achille, mostra l'aatichit di questo rito, e la nascita sua traGreci. Imperocch rap* presentando in esso due citt , l ' una ornata di pace bella, e l altra sUraziata dalla guerra, delinea, com era naturale, la feUdi di quella con feste, con matrimonj, e conviti, e dice :
Faeeott la daeta i giovani, e frattm ta Udiasi il $uon di tibie, e cetre ; t tutte , Meravigliando ai limitar di casa, Slavati le donne.

E d nuovo effigiando con vago ornamento nello scodo un altro coro di giovani e di vergini Cretesi dice :
Aveaci etpresto V ncUto Vulcano Un vario coro somigliante a quello Che Dedalo firm per Ariam a , Che in s ei ricci aven la chioma attorta: Qui giovinetti e ver^nelle v a ^ e , Tenendosi per man , facean lor dama.

Ed esponendo 1' ornamento di questo coro per dichia rare che i giovani saltavano colle arme, scrive :
E quelle avean va ^e ghirlande, e questi A im te spade a cinti argentei appese.

E parlando dei, duci del salto loro , di quelli che da vano agli altri le prime mo^e , dice :
Il popolo prendea dolce diletto Intorno al coro; e due desaltatori Gian cantando e danzando a tutti in mezzo ,

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N solo potrem Tedere la somiglianza co' greci riti da queste danze maniali ed ordinate, osate da' Rpmatit ne' sagriGcj e nelle pompe, ma dalle danze ancora satl* ricfae e derisorie. Dopo i cori armati vedeansi io mostra cori imitatori de* satiri, non dissimili dalla greca Siciii* ne (i ). L abito in chi rappresentava un Sileno erano ispide vesti, chiamate da .alcuni Cortee (a) ; e roadti con ogni variet di Gori: in quelli poi che somigliavano un satiro erano perizomi e pelli caprine, e sai capo criniere irte di lioni, e cose altrettali. Or questi befiit vano e contraffaceano serj moti, spai^endovi del ridi colo : e gli andamenti de' trionfi assai palesano che era antico e proprio de'Romani il motteggio e la satira. Imperocch permettevasi a quelli che segnivan la pom[ia lanciar beffe e giambi su gli uomini pi riguardevoli, e fino sa'comandanti ; siccome un tempo in Atene era permesso che ne lanciasser quelli che sul carro segui tavan la pompa , e dhe ora cantai versi improwisL Ed io ne' funerali di personaggi cospicui , specialmente M gi fertanati, vidi tra le altre pompe cori in forma di satiri che precedevano il feretro, e saltavano come nefla Sicinne. Che poi il gioco e la danza alla guisa de'satiri non fu ritrovamento de' Liguri n degli Dmlvi n di altri barbari , abitanti dell' Italia , ma de Greci} temo di sembrare molesto, volendo a lungo convincere una cosa deUa quale gi si conviene. Dopo questi cori pas>
( i ) Vosfio crire pi coe intorno a ^aeuo genere di Mllatisiie nel I. a o. 1 9 . Inttilut. Poet. (a) Cortee proviene quesl voce da ohe t i g n i f i c a e r -

baec.

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savane mdti sonatori di tibie e di cetere: e poi quelli che portavano profumi di aironhi e d D censi, e quelli che portavano lavori meravigliosi di oro e di argento ^ a de'templi, sia del comune. Venivano in ultimo della pompa recati su le spalle di uomini i simulacri divini , foggiati come quelK de' Greci quanto alla forma , agli abiti, ai simboli ed ai doni, secondo che que numl es* sendone stati i trovatori, gli aveano, ciascuno , donati ai mortali, n solo v' erano i simulacri di Giove , di Giunone , di Minerva, di Nettuno , e degli altri che li Greci contano tra i dodici numi (i); ma di altri pi antichi da' quali la favola origina i dodici ; io dico i simulacri di Saturno, di Rea , di Temide, di Latona, delle Parche, di Mnemosinie, in somma di tutti, quanti haa tempii, ed are fra i Greci, come quelli de' numi c|ie fiivoleggiansi nati dopo che Giove ottenne limpero, Vuol dire quelli di Proserpina , di Lucina, delle Ninfe, ideile Muse, delle Ore,, delle Grazie, di Bacco, quelli de'semidei, l'anime de'qaali spogliate del corporeo frale xticeansi andate in cilo, e godervi onori simili ai divini, <do quelli di Ercole, di EscuUpio, di Castore e Poi* lu c e , di ^en a , di Pane, e di altri mille. Se dunque i fondatori di Rocna eran barbari, e se v'istituiron tal festa; jcom'era possibile mai che adorassero tulli i numi e genj della Grecia, negligentando i propr) ? Almeno mi si. dimostri un altra gente non greca, la quale avesse
(i) Erodoto narra nel libro sacondo che t Greci derivarono que sti dodici Numi dagli Egizj. L'interprete di Apolluaip scrive ciia questi rano: Giove, Apollo, M ercurio, Nettnao , Marte, Valcaao^ Giunone, D iana, Pallade, Cerere, Venere , e Vesta.

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tali sante cose come nazionali ; ed aHora si condanni lai mia {limosuasione come non buona. TerminaU la pompa facean sagri6zio i ^consoli e qua' sacerdoti a'quali spetlavasi, e la forma del santo rito era quale appunto tra noi. Lavatesi le mani , lustrale le viuime con acqua pura, sparsi i frutti di Cerere sui capo di esse , e poi fatti de voti, comandavano infine ai loro ministri d'im molarle. E quale di questi mentre la vittima era in piede ancora ne percota le tempia colla mazza, e quale nel cadere la trafiggeva colle cehella. E poi scor ticandola e squartandola prendean le primizie di cia scuno de visceri e di ogni membro : e sparsele con fa rina di farro , le portavano ne' bacini a quelli che sagrificavano : e questi soprappostele ali' altare , le arde-< vano, e spruzzavano intanto di vino. poi facile in tendere dalle poesie di Omero essersi ciascuna di queste cose fatta secondo le leggi istituite daGreci pe'sagrifiz^: percioc(!li descrive gli eroi che si lavan le mani ed usano farina di farro con sale dicendo :
E laparon le mani, e sparser farro :

E che ne tagliano i capelli e li gittano al foco in quei detti :


Ma cominciancb il santo rito getta 1 capelli sul foco :

E li descrive che colpiscono colle mazze in fronte le vittime, e che cadute le immolano come fa nel sagrifizio di Emeo.
Percofela, di quercia alzando un tronco. Cui rapido poi lascia ; e lascia insieme Lo spinto la vittima, e qid gli altri Miseria in rani, e ne arrostir . . .

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E descrivdi he pigliano le (Harizie delie viscere , e di altri membri, e le iafrinaao, e le braciaDo sa gK altari: cooae fa nel s^rificio OK^esimo.
E da ogni parte le primiziv piglia Ve memlri tutti, e crudi ancor U copre Di grasso , e di farina ; e da^ al foco .

Ora io so per averlo vedato , che i Romani osservano ancora tali riti ne'loro sagrificj: e su questo argomento, anche solo , mi rendei certo, che i fondatori di Roma non furono barbari, ma greci venuti da tutte le parti. Ben pu essere che alcuni barbari somiglino in parte ai Greci nelle istituzioni de' sagrifizj, e delle feste ; ma che in tutto somiglino toro, ci non verisimile. LXXni. Mi resta ora di dir brevemente de giuochi che ikceaao dopo la pompa. Era prima la corsa delie quadrighe, delle bighe, e dei cavalli sciolti, come nei giuochi Olimpiaci e Pitiaci de'Greci in antico, e 6 d di presente. Ne certami equestri si conservano ancora tra Romani due istituzioni antiche , come furono fon date in principio, quella, cio de carri a tre cavalli, la quale ora in Grecia cessata ; sebben vi fosse atto tichissima e gi ne' tempi eroici ; introducendo Omero de Greci che ne usarono nelle battaglie. Imperocch essendo due cavalli congiunti come nelle bighe un terzo accompagnavali contenuto e tratto colle redini, e chia mato parioron appunto dall' esser pi libero ; e non come gli alu-i in biga. L altra cosa di cui restano an cor le vestigie ne'riti antichi di aleune poche citt di Grecia la corsa di quelli che andavan su' carri ; pe-

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rocch finite 1^ gare a cavallo , smontati dal carro qudli che vi sedeano presso de' guidatori, e che li poeti chia* roano parabati, e li Ateniesi chiamano apobati (i) contendeano infra loro correndo nello stadio. Adunque dopo le gare equestri entravano in campo quelli che de' corpi loro facean prova , cursori, atleti, lottatori ; giacch questi erano i tre certami, antichi presso dei greci , come Omero ci fa intendere ne' funerali di Pa troclo. Ne' tempi intermedi a queste contese presentaTansi uomini che faceano sul costume bonissimo, e propriissimo de' Greci, coronazioni ed onorificenze colle quali condecoravano i loro benefattori, come usavasi in Atene nelle feste di Bacco; e quindi poneansi in vista le spoglie che prendeansi nella guerra. Ora tali cose non era bene ucerle : noi volendo il subjetto, n bene flafcbbe prolungarle oltra il dovei^. E gi tempo che io riprenda la narrazione interrotta. Appena il Se nato riseppe da chi glie ne ravvivava la memoria , le vicende del servo spinto al supplizio, e come egli era r antesignano della pompa, concependo che questo fosse il previo saltatore non buono, significato, come ho detto, dal nume, ricercato quel si ofTensivo padrone , ed impostagli la pena che meritava, decret nuova pompa allo D io, nuovi spettacoli, sontuosi il doppio de* primi. E uli sono gli eventi di quel consolato.
(i) Air*/8<r< cioi smonuii.

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