Ugo Pesci - Come Siamo Entrati in Roma
Ugo Pesci - Come Siamo Entrati in Roma
Ugo Pesci - Come Siamo Entrati in Roma
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Giosu Carducci.
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I I 111 Iti-. V la biografia dciran
Milano
FRATELLI TREVES, EDITORI
Milano
yia PaUtmo,
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: Cor!o Umh. rto 1,174 NAPOLI : VJa i. lUrxo Ikru.)
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T(JUINO: VU S. Teresa, 6. GF.NOVA: Vico SuU, :4 (V.aua i'onUne Mru!*c).
IlUENOS-.\IUi;S: Calle Florida. .U4.
BOLOGNA: presso N. Zamchelli.
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(Himefi.- Schubart.
IJPSIA ^ UIRUNQ : presso F. A. iirocknaus.
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Giosu Carducci.
NUOVA EDIZIONE POPOLARE
col ritratto e la biografia dell'autore
MILANO
Fratelli Treves, Editori.
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PROPRIET LETTERARIA.
Riservati tatti i
diritti.
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Tip. FnliUli Trevos
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Nel pubblicare questa nuova, edizione del-
roi>era di Ugo Pesci che fu presentata al inondo
da Oiosue Carducci, crediamo aggiungere qual-
che cenno sull'autore eh"
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precocemente.
Ugo Pesci spir il io dicumbrc l'JU.s mila
sua cara Bologna, che dal 1888 era diventjttii la
sua patria adottiva. Non aveva che 6G anni,
essendo nato a Firenze nel 1842, da famiglia
liberale. Nel 1865 usciva dalla scuola di Mo-
dena ufficiale; e nei granatieri combatt va-
lorosamente ranno dopo a Custoza; pass poi
nei l>ersaglieri
;
ed uscito dal servizio attivo
si diede al giornalismo. Fu uno dei primissi-
mi e pi valenti redattori del Fanfulla, in
Firenze e in Roma, sotto la direzione di Bino
Avanzini. In questo bellissimo volume Come
siamo entrati in Roma egli ha narrato,
in parte, la sua vita operosa e brillante di
giornalista liberale moderato; ma egli non era
solo il cronista simpatico, elegante, signorile.
l'U
g
o del Fanfulla, egli era uno dei legami
fra il giornale ])riosissiino e battagliero e tutto
le classi sociali, indigene^ forastiere, nella con-
quistata capitale d'Italia; e fu visto persino,
in ima garden party al Quirinale, ottenere
l'onore di un giro di valtzer dell'ai lora prin-
cipessa di Piemonte Margheritii di Savoia, poi
prima regina d'Italia. Vittorio Fmanuele gli
faceva cenno d'amicizia con la mano e lo
salutava con la voce sonoi-a- tutte le volte
che lo trovava, anche a distanza. Re Um-
berto lo ebbe in conto di un amico, il cui
lealismo monarchico, sincerissimo e quanto mai
disinteressato, resist a molte e non meritate
disillusioni non che politiche, personali. Aveva
il cuore largo come l'ampia persona: ed ebbe
insieme allo spirito arguto dei toscani ed alla
facilit giornalistica di assimilazione, anche
una larga cultura letteraria, ao-tistica, e pili spe-
cialmente storica; pregi, che oggi nel giorna-
lismo vanno diventando sempre pi rari. St-ette
al F a n f u 1 1 a fin che fu di Avanzini, poi venne
per alcuni anni a Milana iiel Corriere della
Sera, poi nel Caff, ed allora collabor at-
tivamente nella Illustrazione Italiana.
A Milano spos una figlia del pittore Formis,
la signora Gigia, dalla quale ebbe una figlia
amatissima, Vittoria, oni s[>osa in Bologna. Ugo
I>ass poi neir88 a dirigere con vigoria, lar-
ghezza di idee, e grande operosit la Gaz-
zetta dell'Emilia, ed anche in questo
snen'anto lavoro quotidiano mostr tutta la
freschezza di un ingegno validissimo e di un
animo buono, seblxjne il pari>ito costituzionale,
che doveva sorreggere il giornale, non rispar-
miasse al valoroso pubblicista ingnite de-
lusioni.
Cessata temporaneamentt '
a z z e 1 1 a
,
egli rimase a Bologna, il cui ambiente in-
tellettuale
senza uguali altrove in quel tem-
po
lo aveva avvinto. Nell'intimit di Car-
ducci, di Panzacchi. di Pascoli, dei Zanichelji
Ili
tro di vita, e lavorava con Iena per TI 1 1 u-
strazione Italiana, pel Secolo XX,
|.or il Giornale d'Italia, il Messag-
gero, la Perseveranza; ed in Bologna
mor lavorando. Da pi anni il diabete insidia-
ilo, e nel 11)05 aveva dovat<j subire, p;r can-
lenadialR'tica. raniputizionedi un piede. ^ Qui
iKiSSUJio potr pi pestarmi i calli > diceva col
-no inestinguibile umorismo, additando il piede
artificiale. K negli ultind suoi a'ini. nonostante
il male che insidiavalo, diedf allt Iftt'Kitura
storica italiaiui larga messe, non solo di articoli
in giornali e riviste, ma di apprezzati volumi:
popolarissimi divennero questo suo Come
siamo entrati in R o m
a,
di cui diamo ora
la ristampa; Il re martire, vita di re
Umberto; Firenze capitale, i Primi
inni di Roma capitale, i Bolognesi
nelle guerre nazionali; e non ristava
<lal ricercare e raccogliere materiale per gli
studi della storia del risorgimento e contem-
poranea, che. erano sua predilezione.
Iilgli sopravvive nelle sUe belle opere; e la
sua cara, dolce memoria vive nel cuore di
(| nauti lo conobbero, e ne seppero il patriottico
rvore dV italiano, la genialit di uomo di
pirite, la sinceritTi e devota bont di amico,
saldo nei suoi principii, alieno (La ogni intolle-
ijinza, e pronto a tutte le prove di l(\i,lt,;\ e
(li solidariet;i.
Fu una delle fignrr pin c;i.i'aLi/<i i.si lem- jn-i
periodo di consolidament<j doirUnit Nazio-
nale, e nessuna occasione pi propizia, a ricor-
darlo ed onorarlo della ristami>a del volume
dove vibra tanta parte della sua nobil vii.i
INTRODUZIONK
DI
GIOSU
CARDUCCI.
Questo del cav. Ugo Pesci parmi un bello e buon
libro, come ce ne vorrebbe per ogni avvenimento
memorabile. Uno spettatore e testimone fedele,
tutt'altro clie indifferente, ma osservatore arguto,
nota e racconta ci che vide e sent, ci che si
disse si pens e si fece, uon pur di giorno In
giorno, ma d'ora in ora, di luogo in luogo, men-
tre Tavvenimento si svolgeva nella sua solenne
pienezza. Egli non ancora lo storico; ma il con-
temporaneo a qualche distanza ama, leggendo,
di ritrovarsi nelle sue ricordanze ricreate, allar-
gate, corrette; e tanto pi ne sa grado allo scrit-
tore quanto V avvenimento dei singolari in
un'et d'uomo e di quelli che lasciano l'im-
pronta loro nei secoli. 11 suo libro non anche la
storia; ma di quei piccoli fatti, di quei senti-
menti, di quelle impressioni e osservazioni indi-
viduali, di quelle passioni popolari fuggenti, la
INTRODUZIONE
storia, che non pu raccontarle tutte, ha pur bi-
sogno per rifare e rappresentare il momento psi-
cologico del grande fatto. Per ci tutto il libro
del cav. Pesci buono e bello, n abbisogna
delle mie lodi: chi prender a leggerlo, non lo
deporr svogliato; tanta nella semplicit e fa-
migliarit calda e non affettata l'attrattiva della
narrazione. Volendo scriverne qualche cosa dir
brevemente per introduzione, come si fece nei
secoli ci che la mattina del 20 settembre 1870
fu-disfatto in poche ore.
Come in alcune democrazie 11 germe del po-
tere assoluto dalle forme del principato civile,
cosi nel bel mezzo della repubblica cristiana il
papato si svolse dal vescovato, in Roma, la citt
imperiale e accentratrice, adottando a capo sti-
pite San Pietro, l'autore dell'epistola pi conci-
liante e accomodante. Cerc o accett dall'au-
torit imperiale la sanzione della preminenza,
quando Valentiniano III nel 445 sottoponeva tutti
1 vescovi d'occidente alla giurisdizione della santa
sede di Roma. Ruinato l' impero occidentale, il
papato In Roma tra il diluvio barbarico apparve
come il faro della civilt, rest come il porto
della tradizione lathia. Ma esso il papa in Roma,
nfrnrfnzione Vii
anche se Gregorio Magno, anche se ricco di fa-
colt da nutrir la plebe e riparare ai grandi pub-
blici danni, non era che il suddito dell* impera-
tore d^oriente; e avea rivali di maggioranza la
chiesa ravennate e l'ambrosiana. Nella contro-
versia per l'adorazione delle imagini, Gregorio II
scomunic l'esarca e sommosse i romani a non
pagar pi tributo a Costantinopoli: rotti a grado
a grado i rapporti tra quell'impero e il papato
romano, ne segui anche la separazione delle due
chiese. I longobardi intanto prendevano tutto, e
anche stringevano Roma. Il papato allora fiut
una forza nuova che forse avea bisogno d'una
sanzione per affermarsi: e Gregorio III, sire di
nazione, mand legati suoi e del senato e popolo
romano invocando il vincitore degh arabi Carlo
Martello contro Liutprando, e offerendogli, di-
cono, la sovranit della repubblica romana; cio
di quel che restava nella media Italia hnmune
dal dominio dei longobardi. Stefano II avanz il
passo risoluto, quando fu in Francia a Pipino;
e, usurpato un diritto imperiale, Io cre patrizio
di Roma, commettendo cosi la repubblica
e la
chiesa alla protezione di lui. Quindi, Pipino
e
Carlo fecero le note donazioni alla Chicca, al
ft
Vm IKTRODtJZIOKE
beato Pietro, alla repubblica dei Romani; e
Leone III, coronato e proclamato imperatore
Carlo, gli si prostr a* piedi e gli giur e fece
giurare fedelt dal clero e dal popolo. E il Magno
e suoi discendenti esercitarono in Roma ogni atto
di sovranit.
Coir estinguersi dei Carolingi, Y anarchia, che
spezz il nuovo impero, infuri pi che altrove
mostruosa in Roma attorno la santa sede. Il
vecchio e il nuovo; la classica repubblica e la feu-
dalit longobarda; l'impero bizantino, il regno
italico, l'impero tedesco
;
i consoli baroni, i papi
tribuni; cozzano nel buio di quegli anni: in mezzo
arde e combatte Castel Sant'Angelo, onde scen-
dono cinque o sei papi in sedici mesi, amanti o
figli incestuosi di Teodora e Marozia, portati dal-
l'una fazione, scannati dall'altra. Tali i prossimi
effetti dell'accrescimento politico nel ponteflcato.
L'anarchia romana provoc l'intervento e ferm
l'impero tedesco in Roma. Della religione ap-
parve e fti salvatore il sassone Ottone, depo-
nendo il nefando Giovanni XU. Ma col salva-
tore e suoi successori la chiesa di Pietro, da
Leone vni al sorgere d'Ildebrando, divenne un
organismo mosso e regolato da Cesare, che
Jvt''oduzi(me
designava, eleggeva e investiva
f)api,
vescovi,
abbati.
Col mille principia e tre secoli dura l'et eroica
del papato. Cominciato a parere sacrilego il
sopraffare dell'impero; all'ombra dei chiostri,
albergo allora dell'idea se non proprio della
libert e della coltura; nacque d'ira e di vergo-
gna, si pasco d'odio e d'invidia, crebbe di virt
e di santit, si esalt di idealismo e misticismo,
s'inebri della sua propria potenza, la reazione
spirituale dei papi contro la forza bruta di tutto
isieme il despotismo feudale; proruppe come
Icone, satt come aquila, cadde come toro ferito*
Gregorio VII, Innocenzo III, Bonifazio Vili: tre
grandi uomini, tre momenti, tre simboli. Grego-
rio VII, il trionfatore degli imperatori franconi,
la volont e la santit: Innocenzo HI, il trionfa-
tore degli svevi, l'idealit e la scienza: Bonifa-
zio Vili, il vinto del re di Francia, la forza
e la
politica. Gregorio VII rivendic a s solo il titolo
di papa: Innocenzo III asser al papato la na-
ira e l'ufficio del sole, permettendo all'impero di
rappresentare la luna: Bonifazio Vili cre impe-
ratore s stesso, e mise il triregno. Vero che
lo schiaffo di Sciarra Colonna, glielo abbatt dal
INTRODUZIONB
vecchio capo. Que'papi che deponevano g' im-
peratori, che faceano e disfaceano i re della terra,
in Roma erano come il figlio dell'uomo, non
aveano luogo sicuro dove posare la testa. Roma,
fedele agli esempi di Crescenzio e alle massime
d'Arnaldo, annunzi con la sassata a Lucio III il
suo procedere co' papi: quando non gl'imprigio-
nava, l cacciava, o stava per chi fosse contro
loro. Ma quei tre miravano pi alto che non
fosse la Roma imbastardita del medio evo. Essi
volevano la preminenza della loro idea su l'uni-
verso. Dinanzi a tanto concetto un incidente
la donazione matildca, della quale il pontefcato
in quel sbito o non seppe o non pot o non
cur trarre gran costrutto. Tra Gregorio VII e In-
nocenzo III, un papa mediocre, se bene versar-
tosi tuttavia nella politica, il terzo Alessandro, la-
vorava pi pratico degli altri per l'avvenire,
quando fin) di sottrarre il papato a ogni inge-
renza o influenza popolare e cesarea
fermando
definitamente che soli i cardinali raccolti in con-
clave potranno dare un papa alla Chiesa e un
sovrano a Roma
La cattivit di Avignone, se trasfer il papato
iu soggezione dei re di Francia e dei conti di
hitroduztone
\i
Provenza, non mut di troppo le relazioni di lui
con ritalia. E gi ne' duo secoli anteriori e du-
rante la lotta tra V impero e il sacerdozio i co-
muni e i signori stavano per questo o per quello
secondo i loro interessi e secondo i loro inte-
ressi mutavano da guelfi a ghibellini, volendo e
sapendo in fatto mantenersi indipendenti dal-
l'uno e
dall'altro. Ora il papato transalpino,
men-
tre conctiiudeva le sue vittorie su l'impero otte-
nendo nel 1353 da Carlo IV la rinunzia In fatto a
ogni diritto su i possedimenti della Chiesa, do-
vea vedere questi cosi detti possedimenti im-
punemente smembrarsi in repubbliche e signorie
autonome. Contro le quali mandava a pi riprese
suoi cardinali legati, che erano altrettanti con-
dottieri di ventura, e fatto il guasto tomavan-
sene in vano; mand la ftiria francese di Ber-
trando del Poggetto, che molto attent e nulla
strinse
;
mand la calma spagnola di Egidio d*Al-
bornoz, che segn le vie per l'avvenire;
mand
la ferocia del cardinal di Ginevra, che sparse
Ro-
magna di stragi non dissimiglianti a quelle degli
ultimi due ponteflcati del tempo nostro e che
vide riuniti contro la Cliiesa guelfi e ghibellini,
repubblica e tirannia, Firenze e Milano; di che
INTRODUZIONE
molto fu diminuita l'influenza anche morale dei
papi in Italia.
N crebbe di certo nello scisma occidentale,
quando clero popoli e principi non sapevano e
non volevano pi distinguere tra papi e antipapi
vagabondanti per il mondo, e Roma poco manc
non divenisse, a consolazione di molti in Italia,
un bel regno nelle mani del migliore degli An-
gioini di Napoli. La qual Roma per parte sua
aveva veduto durante la cattivit d'Avignone
un nuovo esperimento di repubblica tentato col
plauso d'Italia e con l'assenso del lontano pon-
tefice da Cola di Rienzo; e ora vedeva, nel primo
apparire della sovranit papale politica, la cen-
sura
di Stefano Porcari.
Perch circa a mezzo il secolo decimoquntc
i papi fermarono in Roma il nuovo governo;
ma per rimaner fermi intesero che bisognava
allargarsi e assodarsi all'intorno. A ci gli aiut
4
la costituzione, gi ordinata da Eugenio III, del
"*
sacro collegio in senato politico, partecipe, depo-
sitario, usufruttuario dell' autorit, della sovra-
nit, della masserizia papale. E, lasciate da parte
le grandiose idee di Gregorio VII e d'Innocenzo III,
pensatilo a fui'si uno stato in Italia. Ma come:?
Introduzione xiii
Il coiistituirsi iutorno alla penisola le naziona-
lit estere in forti despotismi guerreschi, come
fiacc l'energia elastica dell'Italia federale, cosi
imped il papato nelle sue tendenze e lo forz a
contingenze nuove.
Da Sisto IV a Paolo IV ! papi, come i re di
Francia e di Spagna, si diedero a circonvenire,
a
insidiare, a sopprimere con le arti politiche del
quattrocento i signori o tiranni che avevano do-
vuto riconoscere vicari; ma la condizione elet-
tiva imped la continuit ed efficacia dell'azione,
e. alla trasmissione ereditaria mal sopperivano
col nepotismo. Un solo, Alessandro VI, fu a
un
punto di lasciare la santa sede trasformata
in trono; e il Valentino, se non era quel fiasco,
forse
diventava il Cesare di un impero compo-
sito,
teocratico -pagano, con Vaqula di San Gio-
vanni conversa a rapir Ganimede e il bue di
san Luca fatto insegna domestica con la Lu-
crezia, in vece d' Europa, a bisdosso.
Giulio II, sovrano veramente politico, ebbe una
grande idea e un gran momento, quando pens
e grid: l' Italia non avr pi che un padrone,
il papa. Ma non era pi il tempo. Le grosse mo-
narchie premevano oiamai da tutte le parti.
INTRODUZIONE
Leone X, Clemente VII, Paolo III ondeggiano mi-
seramente tra Carlo V e Francesco I, per amore
d fare uno stato, non alla Chiesa, ma ai nepoti.
mentre mezza cristianit scappa loro di mano,
portandosene pi che mezza Tautort e rendita
della Chiesa. Paolo IV, alla disperata, giuoca
r ultima partita con T impero; e la perde. Da
indi in poi il papato fu alla dipendenza di casa
d'Austria, come gi dei Carolingi, dei Sassoni,
dei Valois; e dalla elaborazione penosa d'una ri-
forma interna, mossa da un concilio a malin-
cuore subito, sbucava e a chiuse spire divin-
colandosi s'inalberava sul Vaticano il grande
boa costrittore, il gesuitismo. Ahim! a lato
d'Innocenzo III, nella reazione contro il razio-
nahsmo averroistico dell'impero di Federico II
e la sensualit albigese della baronia meridio-
nale, erano sorti Domenico di Guzman e Fran-
cesco d'Assisi. Quali altri uominil quali altri
ordinil
E pure da Sisto IV a Paolo IV la sovranit
pontifcia, con tutti i suoi peccati pi che seco-
lareschi, anzi foi-se per questi, esercit intorno
a s uu' attrazione, onde senza produrre essa
nulla aspirava e rendeva qualche cosa non dii'O
Introduzione xy
deir anima ma della mente dell' Italia, e del-
l'Italia rifletteva mi' immagine artisticamente
e artifiziosamente e talvolta anche politicamente
foggiata. Dopo il quarto Paolo, dopo il concilio
tridentino, nella depressione massima della patria,
colla riforma cattolica atteggiata a devozione
morosa e a bigottismo feroce, con l'esagera-
zione del potere esecutivo, con l'invasione e
r usurpazione de' feudi e d' ogni funzione [dello
stato, con Pio V e con Sisto V, la sovranit pon-
tiflcia si allarga, si arrotonda, si corregge, ma si
converte in governo clericale, perde ogni sen-
tore d italianit, decade. Governo clericale
j^overno di casta: solo i preti comandano, pen-
sano, agiscono, vivono a spese degli altri esseri
inferiori. E cacciano gli Estensi, seppelliscono i
Della Rovere, fan di Floma una citt cosmopo-
lita. Ma Ferrara per le sue vie gi frequenti del
concorso d' Europa vede crescere l' erba
;
vede
Urbino cadere a pezzi quel che i cardinali le han
lasciato del palazzo di Bramante; per iscam-
pare ai preti, Ravenna protesta volersi dare
ai turchi; Perugia perde popolo e arte e vive
nella fama dei veleni; Bologna, la meglio trat-
tata, lascia il titolo di dotta per quello di grassa;
XVI INTRODUZIONE
Roma cosmopolita non produce un uomo, non
vanta un nome (il Metastasio venuto d'Assisi
di formazione napolitano). In Roma cosmopolita
Luigi XIV manda a farsi chiedere perdono dal
papa, e a ricordo che il papa gli ha obbedito
il re di Francia in Roma cosmopolita rizza ima
colonna o non so che altro monumento. E men-
tre la divozione non ralluma pi la fede di Bo-
naventura, di Tommaso, di Dante, la Riforma
determina da una parte un nuovo principio po-
litico, confla dall'altra un nuovo spirito filoso-
fico. E quindi la chiesa gallicana proclama per
bocca di Bossuet che il concilio generale so-
pra il papa, che il papa non infallibile se non
a capo della Chiesa, che n il papa n il concilio
n la Chiesa non possono nulla sul temporale dei
re, non possono deporre ossi n sciogliere i po-
poli dal giuramento. Quindi il libero esame di-
venta libero reggimento, diventa libero pensiero
in Olanda e in Inghilterra, e por infiltrazione
ge-
nera nella Francia gallicana il filosofismo e l'en-
ciclopedia. E i Borboni cacciano d' ogni parte i
gesuiti, e comandano al papa di sciogliere la
compagnia; e Leopoldo I In Toscana fa dir la
messa In volgare; e Giuseppe li ne' suoi stati
Introduzione xvii
fa il vescovo e il sacrista lui e rimanda con bel
complimenti Pio VI. E scoppia la rivoluzione.
Nelle conseguenze della rivoluzione era che
la chiesa cattolica stata fin allora tutto in Europa
tornasse non pi che una confessione tra le
altre confessioni religiose. Napoleone le rese
onore col concordato, ma non le Provincie pre-
sele a Tolentino; anzi proclam di riprendersi
come successore di Carlo Magno ci che il suo
antecessore avea donato; e riun Romaall'Impero
francese cinque anni dopo che il sacro impero
romano era stato casso anche di nome. Cosi le
due maggiori instituzioni del medio evo, uscite
runa dall'altra e pur sempre in guerra tra loro,
spiravano insieme. E la Francia, la figlia pri-
mogenita della Chiesa, che aveva con Filippo il
Bello scliiaffeggiato Bonifazio Vili, costretto con
Luigi XIV a inginocchiarsele Alessandro
VII,
ora con Napoleone faceva arrestare da un gen-
darme Pio VII reo di reclamare per ci che cre-
deva suo.
Alla restaurazione, se non fossero state le po-
tenze
scismatiche ed ereticlie, l'Austria,
erede
diretta del sacro romano impero, si sarebbe
presa le Legazioni; e le teiiiie di fatto dal 1821
XVIII
INTRODUZIONE
al 1859. I romagnoli invocavano i croati di Fran-
cesco I a scampo dai barbacani di Gregorio XVI;
e
cospirarono, molti, per darsi in governo a
Ferdinando I : incredibile in queir odio d' allora
contro i tedeschi, e pur verol Tanto il governo
di casta era tornato per la paura peggiore, tanto
era
amaro e spiacevole a gente che aveva pro-
vato il governo della legge, gustato l'eguaglianza
civile, trattato l'armi nel nome d'Italia!
E
pure la reazione ideale liberale mossa dal
quindici fece di tutto per la Chiesa. Io non dico
del De Mastre e del Lamennais; ma in Italia il
Gioberti, ponteficante ancora Gregorio, sillogizz
l'ontologa per rimettere il papato a capo della
civilt e il papa a capo dell' Italia. Leopoldo Ga-
leotti, qualche mese prima dell'amnistia di Pio IX,
scrisse un libro con di molti ragionamenti storici
e giuridici a dimostrare la necessit della sovra-
nit pontificia e del riformarne il governo secondo
i suoi principi! i suoi ordini e i tempi nuovi Ma
chet Tutto il guelflsmo italiano, risorto, ahi quanto
diverso dal secolo decimoterzo e decimoquarto!,
risorto in quel fidente romanticismo del 1847
e 48, s'era tolto su il suo morto, e se lo cullava
tra le braccia, e lo riscaldava d entusiasmo e di
Introduzione xix
baci, e gli cantava: Svegliati, Gregorio VII, e
piglia un fulmine! monta su la mula bianca,
Alessandro III I alla breccia, alla breccia, Giulio II
I
Pio IX rispose come doveva, cosi bene, che
in capo a un anno, un pugno d'Italiani, d*ogni
parte della sacra penisola, tenne fronte In Roma
ai pi bravi soldati del mondo, per non voler
saper pi di preti al governo. La Repubblica
romana fu la maggior gloria di Giuseppe Mazzini
;
e dopo ciie per Roma morirono insieme traste-
verini e guardie nazionali de* rioni, romagnoli
piceni e umbri, genovesi e piemontesi e lom-
bardi, e toscani e napolitani, giovani e vecchi,
lavoratori e poeti, popolani e marchesi, mode-
rati e arrabbiati, e fin sacerdoti, e fino una
donna; dopo il 1849, dico, il governo chiericale
fu definitivamente sentenziato, lioma fu virtual-
mente deir Italia una.
Ma
opponeva la diplomazia della vecchia
Europa
Roma cosmopolita : necessario che
il papa sia sovrano temporale per essere pon-
tefice indipendente : necessario che gli italiani la
intendano, e, se sacrifizio
, sacrifichino
parte
di lor gente a servir di soggetto a tale
sovra-
nit. Dcir indipendenza del papa, sovrano
tem-
XX
INTRODUZIONE
porale in Roma
cosmopolita, accennai alcun
che: potrebbesene fare lunghe storie, se io fossi
condannato a s inamabile trattazione. Roma
cosmopolita? Ah sii c' proprio da tenersene!
quanto della Roma siriaca d'Eliogabalo. Eccola!
una folla di protestanti, luterani, calvinisti, angli-
cani che fa ressa alle funzioni della settimana
santa in San Pietro come a teatro; una plebe
di mendicanti che sporge in tre giorni quaran-
tamila suppliche a un despota scismatico tutto
ancora fumante di sangue cattolico; una bor-
ghesia di affittacamere, di coronari, di antiquari,
che vende di tutto, coscienza, santit, erudi-
zione, reliquie false di martiri, false reliquie di
Scipioni, e donne vere
;
un ceto di monsignori e
abati in mantelline e fogge di pi colori, che
anch'esso compra e vende e ride di tutto; un'a-
ristocrazia di guardiaportoni
;
una societ che in
alto e in basso, nel sacro e nel profano, nel tem-
pio e nel tribunale, nella famiglia e nella scuola,
vive in effetto quale tratteggiata nelle satire di
Settano e del Belli, come la pi impudicamente
scettica, la pi squisitamente immorale, la pi
serenamente incredula e insensibile a tutto che
di
sii^i"M.\
di nobile, di vii-tuosu, d'umano pos-
IntroduTxone
m
sano credere, vagheggiare, adorare o sognare le
altre genti; una societ clie per trovarle una tinta
d'eleganza o d'idealizzazione bisogna ricorrere
alla tisi o alla pletora europea dantesi convegno
intorno le ruine de' Cesari a ballare , a tirare
alla volpe, a comperar la dispensa di mangiar
grasso il venerd, a giudicare la musica sacra
dei castrati e portare a spasso i suoi amori, bi-
sogna ricorrere alla sensualit delle elegie e della
ragazza del Goethe, alla sentimentalit fastosa del
Chateaubriand seppelliente nell'ombra dell'urbe
l'adulterio con l'egoismo; a Niebhur, a Gregoro-
vlus, a Mommsen, dotti uomini in vero, e stil-
lanti eloquentemente disprezzo per gl'italiani.
Ah, per questa Roma dunque; per il governo
d'una casta in sottana e roccetto, che aveva per
finanze i debiti montanti di tre secoli e 1 prestiti
ebrei, per legge i capricci saltellanti sotto le zuc-
chette rosse o nere, per armi le prezzolate di
tutta Europa; per questo governo che riscattava
l'omicidio a scudi
;
per questo governo che in una
citt la quale avea tante terme ed ha tant'acqua
fece un popolo sporco; per questo governo che ve-
niva a patti coi briganti, e cedeva il diritto di
grazia a Radetscky nelle Legazioni e l'autorit al
JtJCtl INTRODUZtOl^B
Goinaiido superiore francese nella capitale; per
tale societ, per tale governo, i forti romagnoli
nati alla milizia, i piceni ingegnosissimi nelle
lettere e nel giure, gli umbri devoti all' ideale
dell'arte, dovevano essere taglieggiati, angariati,
scannati in Cesena, in Forl, in Fermo, in Pe-
rugia? dovevano tollerare
tre esempi tra
mille
monsignor Stefano Rossi delegato apo-
stolico in Ravenna, scrivente nel 1851 al gover-
natore di Faenza che per correggere 1 ragazzi
delle scuole indisciplinati s'intendesse con V t e r.
comandante la guarnigione austraca che l fa-
cesse da' soldati austriaci vergheggiare al pan-
cone? tollerare il cardinale Cagiano,
ordinante
nel 1844 tre mesi di carcere a quei genitori che
lasciassero le figliuole fare all'amore? tollerare
un padre Rossi, eccitante nel 1849 la plebe a
vibrare senza piet le armi nel petto ai
profa-
natori della religione, a disperderne i nemici,
non eccettuati t bambini? A tali onte la nobile
nazione italiana doveva sacrificare parte del po-
polo suo? E dove era 11 diritto cristiano, il di-
ritto delle genti, l'umanit?
Napoleone III, il cospiratore del 1831, dov sor-
reggere a malincuore, portando in pace 1 superbi
Introduzione
disdegni di Pio IX, quel clie rimaneva della trista
baracca dal 1860. Dopo Sedan (Mentana dio forse
un
granello di polvere insanguinata a far traboc-
care il secondo Impero), dopo Sedan l fall erari
pieni:
volgarmente, la pera era matura, cadde.
Come cadesse, cio come facilmente e piana-
mente, con l'assenso delle opinioni, si compiesse
un tanto mutamento negli annali d'Italia e del
mondo, lo racconta, ripeto, pienamente, di mo-
inento in momento, dal vero, il cav. Ugo Pesci
in questo libro. Leggendolo a noi parve rivi-
vere nella nostra giovinezza; della quale non
siamo al tutto scontenti, se fummo degnati a
veder tanto. Legga la generazione nuova; e sia
degna dell' avvenire.
Giosu Carducci.
Courmayeur, 20 agosto 1895
COME SIAMO ENTRATI IN ROMA
r.
Da Firenze a Terni.
La questione Romana esposta a gran velocit.
Alla stazione d Firenze.
Un salyacondotto rimasto sul
tavolino d'un ministro.
Il mio compasfno di viaggio.
4Jn
"
omagfifio reso alla rivoluzione ,..
Faites vite!
L'or-
dine del giorno Boncompagni.
Ricasoli e la questione
Romana.
Aspromonte e la convenzione di Settembre.
Il sillabo.
Non pi stranieri in Italia.
I feriti di
Mentana.
Prima e dopo Sedan.
La visita di Costan-
tino Nigra a Giulio Favre.
La lettera di Vittorio Ema-
nuele a Pio IX.
La sera dell' 8 settembre 1870, nella stazione
di Firenze
gi reputata una delle pi brutte
del mondo e che conserva gelosamente da pi
d'un quarto di secolo codesta reputazione
non si pu dire che vi fosse gran folla; ma
all'ora della partenza del treno per Roma e
Napoli v'era pi gente del solito. Dove gente
vi son curiosi; e questi si occupavano con par-
ticolare attenzione d'un gruppo radunato sul
marciapiede, vicino al treno. Lo formavano due
Pesci. Cone siamo entrati in Roma. 1
LA QUESTIONE ROMANA
o tre senatori e cinque o sei deputati, sui quali
predominava per la statura il conte Castellani
Fantoni: v'erano il marchese di Montezemolo,
prefetto di Firenze, il questore Amour, morto
prefetto di Bologna nel 1893, ed alcuni fra i pi
noti emigrati romani. Si affollavano intorno ad
un signore di media statura, vestito severamente;
il conte Gustavo Ponza di San Martino, senatore
del Regno , che re Vittorio aveva incaricato di
portare a Pio IX una sua lettera autografa. Lo
accompagnava nella onorevole ambasceria un
giovine diplomatico, miope ed elegante, il mar-
chese Alessandro Guiccioli di Ravenna, che men-
tre scrivo prefetto di Roma dopo esserne stato
anche sindaco.
Non posso dire se il conte di San Martino spe-
rasse molto nel buon esito della missione afif-
datagli : tanto meno so quanto desiderasse d'ott
tenere dal Papa che le truppe italiane entrassero
negli Stati ancora pontifici col di lui beneplacito.
Poich queste pagine, dove raccolgo senza pre-
tensione i ricordi d'avvenimenti de' quali fui te-
stimone, non aspirano punto ad essere un libro
storico, n politico, n biografico, neanche tocca
a me il dire della antecedente vita pubblica del-
l'inviato del re d'Italia. Gi dal 1852, Camillo Ca-
vour, che poi lo volle seco ministro dell'interno,
gli scriveva fino da Edimburgo, della questione
Romana. Nel 1859 fu commissario Regio a Ge-
nova, quando vi sbarcarono le truppe francesi:
nel 1861 luogotenente generale del Re a Napoli :
Sebastiano Tecchio, facendone l'elogio funebre,
dal seggio presidenziale del Senato, afferm
che se Gustavo Ponza di San Martino s'er
Il conte Ponza di San Martino
inesso a capo, dopo il 18G4, del gruppo di oppo-
sizione piemontese detto
"
della Permanente
,
lo
aveva fatto soltanto per timore che i gover-
nanti,
allettati dalle attiche delizie del soggiorno
a Firenze, dimenticassero di condurre IMtnia a
l'orna.
Nel gennaio 18G7 andato a Roma per lar visita
ad un fratello gesuita
padre Alessandro Ponza
di San Martino
da questi era stato presen-
tato a Pio IX, cui aveva parlato schiettamente
dei pericoli minaccianti la Chiesa, consigliando
il pontefice a chiedere a Vittorio Emanuele l'invio
di milizie italiane a Roma: ed il Papa l'aveva
ascoltato con benevolenza.
Politicamente l'ambasciatore era dunque degno
dell'ambasciata; per dire quale uomo egli fosse
nella vita privata baster un fatto che credo
generalmente dimenticato. Il presidente del con-
siglio, Giovanni Lanza, insieme con le istruzioni
relative alla missione affidatagli, consegnava al
conte di San Martino una credenziale di 50000 lire
sul banco Spada e 10 000 in oro per le spese mi-
nute. La sera dell' 11, di ritorno a Firenze, il
conte di San Martino restitu al Lanza la cre-
denziale ed il resto della somma in oro. Aveva
speso, in totale, 275 lire e centesimi per so e per
quanti lo accompagnavano.
Mentre senatori, deputati, prefetto, si acco-
miatavano dal latore della lettera regia, i non
molti viaggiatori s'erano studiati di accomo-
darsi alla meglio ai loro posti per passare la
notte. Ebbi la fortuna d'avere un solo compagno
di viaggio, e ne fui contento , non soltanto per
4 LA QUESTIONE ROMANA
la possibilit di starmene comodo, ma perch
quanti meno siamo in uno scompartimento d'una
carrozza ferroviaria, tanto meno facilmente ca-
pita l'occasione di dover discorrere senza averne
voglia. In quel momento non ne avevo punta.
Mi dava pensiero l'essermi accinto ad un'im-
presa dalla quale non sapevo se mi sarebbe
riuscito di cavare le gambe onorevolmente. Il
Fanfulla, fondato 11 16 giugno di quell'anno
e divenuto in due mesi e mezzo il giornale pi
ricercato di Firenze, aveva quel giorno stesso,
tre o quattr'ore avanti la mia partenza, pub-
blicata In prima pagina la seguente nota, in ca-
ratteri tipografici di straordinaria grandezza:
In questi straordinari movimenti di truppe, anche Fa^
fula
mobilizza una parte delle sue forze, e spedisce questa
sera alla frontiera il suo collaboratore Ugo^ incaricato di
dare tutti 1 pi grandi ragguagli sui nostri soldati e di
entrare in Eoma con essi.
Queste poche righe
me ne sono accorto
dopo
non figureranno mai fra 1 testi di lin-
gua. Ma lo non ne ho proprio colpa. Allora
pensavo alla sostanza, non alla forma. Si sa-
rebbe entrati davvero a Roma? A Firenze v'era,
da per tutto dove bazzicavano 1 cos detti uo-
mini politici, un'aria di dubbio, di mistero, di
indecisione, che consolava poco. Quella sera
stessa m'avevano detto in un orecchio che il
Lanza s'era dimesso e che il Sella avrebbe fatto
altrettanto.... ed era verissimo.
Se, invece d'essere semplicemente aspirante a
diventare un romano moderno, fossi stato un
romano antico, pi d'un presagio mi avrebbe
Il mio salvacondotto
consigliato a restare a casa. Appartenevo allora
alla numerosa schiera di ufficiali dell'esercito
"
collocati
in aspettativa per riduzione di corpo
dopo la campagna del 1866, ed ero diventato
giornalista per caso, cominciando a scribacchiare
(Ielle "cronache mondane
Il dissidio s'inaspr
soggiungeva il mio
facondo compagno
per l'attitudine presa dal-
l'alto clero e dai cattolici in Francia. Il governo
imperiale, non ostante le querimonie de' vescovi,
sopprimeva rf//iicers; il signor Thouvenel man-
dava ai rappresentanti della Francia una circo-
lare nella quale era detto che l'ultima enciclica
del Papa contradiceva ai dati pi positivi della
politica; il ministro Billaut raccomandava ai
prefetti di non permettere agitazioni contrarie
alla politica del governo, ed il guardasigilli Rou-
land esortava i vescovi a sentimenti di mode-
razione, di prudenza e di carit. Veniva intanto
fuori, non si sa come, l'idea di nominare Vittorio
Emanuele vicario delle Legazioni, sulle quali il
Papa avrebbe conservato il diritto d'alta sovra-
nit: ma il conte di Cavour la respingeva; le Le-
gazioni votarono col plebiscito del 12 aprile 18G0
la loro unione alla monarchia costituzionale di
Vittorio Emanuele: il Papa scomunic tutti pro-
testando, ed alle lettere rispettose di Vittorio Ema-
nuele rispose deplorando "l'infelice stato del-
Tanimo del Re
che si trovava
"
ilaqueato nelle
censure ecclesiastiche
.
Gli avvenimenti precipitavano. Il 13 luglio 1860,
quando la Sicilia era gi quasi intieramente li-
bera per opera di Garibaldi e de' Mille, Pio IX
Una
"
disgustosa c&municazione
9
pronunziava un'altra allocuzione in odio al go-
verno italiano, mentre il Farini correva a Genova
e riusciva con le buone ad impedire un'impresa
contro lo Stato Pontificio, che vi preparavano il
Pianciani ed altri; ed il Ricasoli proibiva al Ni-
cotera di prendere la strada della frontiera pon-
tificia con la brif^^ata messa insieme a Castel
Pucci, presso Firenze. Ma non si poteva sempre
impedire; bisognava regolare, prevenire. Il 7 set-
tembre, il conte di Cavour mand una nota al
cardinale Antonelli, per mezzo del conte della
Minerva, dicendogli non potere il governo del
Re
"
rimanere indifferente all' agglomeramento
di milizie mercenarie estere continuato dal go-
verno Romano
ed invitandolo a disarmare
e
sciogliere quei corpi. Prevedendosi la risposta,
Vittorio Emanuele aveva mandato pochi giorni
prima Farini e Cialdini ad ossequiare Napo-
leone III, venuto a visitare la Savoia, e a dimo-
strargli nel tempo stesso la necessit di occu-
pare le Marche e l'Umbria a scanso di pi pe-
ricolosi ed irrimediabili avvenimenti.
Napoleone
rispose col celebre: Faites si vous le croy&j,
mais faites vite.
Poicli Antonelli non aveva lasciato neppure
arrivare a Roma il conte della Minerva dichia-
rando di respingere
"
la disgustosa
comunica-
zione
il governo del Re non si fece ripetere
due volte il consiglio datogli da Napoleone,
e
ni settembre le truppe italiane entravano negli
Stati del Papa. Il cardinale Antonelli, non tro-
vando pi r ubi consisiam per la sua politica
di resistenza, dopo aver protestato nuovamente
il
18 settembre, ciiicdeva spiegazioni al go-
10 LA QUESTIONE ROMANA
verno francese. Il Thouvenel gli rispondeva, un
po' seccato , che la Francia , stando a Roma
a proteggere il Papa, faceva pi dell'obbligo suo:
ma in quello stesso giorno, per dare un colpo al
cerchio e l'altro alla botte, il ministro della guerra
ordinava l'invio d' un' altra divisione a Roma.
Incomodo inutile ! Nel memorandum alle potenze
in data del 12 settembre, il conte di Cavour aveva
solennemente affermato che le truppe italiane
avrebbero scrupolosamente rispettato Roma ed
il territorio che la circonda. A Pio IX, manco a
pensarlo, l'affermazione non bastava e nell'allo-
cuzione del 28 se la prendeva con la "insigne
impudenza ed ipocrisia degli iniquissimi inva-
sori
invocando di veder punita
"
la scellerata
e non mai abbastanza esecrata aggressione.
e che
"
l'Imperatore conservava sempre gU stessi
sentimenti riguardo a Roma.
Il barone Ricasoli, succeduto a Cavour nella
presidenza del Consiglio, aveva dichiarato di vo-
ler risolvere la questione romana d'accordo con
la Francia; ma era nota la rigida interezza del-
Tuomo: era noto che il Ricasoli voleva andare
a Roma non soltanto per dare all' Italia la sua
capitale, ma vagheggiando di risolvere problemi
e compiere riforme religiose e inorali delle quali
H barone Ricaaoli 13
si trovano i concetti fondamentali nelle lettere
da lui dirette agli amici intimi e pubblicate dopo
la di lui morte \ A Roma voleva andare subito,
ed in questo suo proponimento era fermo con
ostinazione pi patriotica che diplomatica, mi-
nacciando in lettere officiose di chiamare la ri-
voluzione in proprio sussidio se le potenze d'F.u-
ropa non gli avessero dato mano. I negoziati
indiretti con la Santa Sede, incominciati da Ca-
vour
servendosi del padre Passaglia e del dottor
Diomede Pantaleoni, non potevano certamente
ottenere il risultato immediato che il Ricasoli
desiderava.
Infrattanto Urbano Rattazzi, andato a Parigi,
domandava all'Imperatore quale risposta avrebbe
egli potuto dare al Parlamento sulla questione
romana, nella ipotesi che egli fosse divenuto mi-
nistro
;
e l'Imperatore gli rispondeva dover agire
l'Italia come se Roma non esistesse: la Francia
non potere abbandonare il Papa dopo averne re-
staurata la sovranit temporale; egli non poter
richiamare le sue truppe da Roma per quanta
benevolenza gli ispirasse l'Italia. L'officiosa Pa-
trie pubblic un articolo , nel quale spiegava
la politica di Napoleone III dicendo che quanto
egli aveva fatto a pr' dell' Italia sarebbe stato
snaturato se avesse dovuto avere per conse-
guenza necessaria la caduta del dominio tem-
porale dei Papi.
Il corpo d'occupazione a Roma si aumentava
^
Lettere e documenti del barone Bettino Ricasoli pubbli-
cati per cura di Marco Tabarrini ed Aurelio Gotti. Firenze.
Successori Le Monnier. Vedi particolarmente alcune lettere
dirette a Q. B. Giorgini.
14 LA QUESTIONE ROMANA
fino a 20000 uomiiii a corollario di tali dichia-
razioni, e mentre tutto questo accadeva, il Mo-
niieur des Communes divulgava negli 87 dipar-
timenti di Francia lo scritto del Passaglia contro
il potere temporale.
Riaperto il Parlamento il 20 novembre, il Ri-
casoli present alla Camera i documenti re-
lativi alla questione Romana, compreso uno
schema d' accomodamento con la Santa Sede.
Incominciata subito una discussione intorno a
quei documenti, termin soltanto l'il dicembre
con l'approvazione di un ordine del giorno Con-
forti, col quale la Camera, confermava
"
il voto
del 27 marzo che dichiara Roma capitale e con-
fida che il governo dar opera alacremente a
compiere l'armamento nazionale e l'ordinamento
del Regno.
Tamquam non esset! Il partito radicale profit-
tava intanto della questione romana per man-
tenere l'Italia in un permanente stato di agita-
tazione. Il Ricasoli mandava una circolare ai
prefetti invitandoli ad assicurare le popolazioni
che il governo del Re poneva ogni diligenza ri-
guardo alla questione di Roma, esortandoli nel
tempo stesso ad impedire che si rinnovassero
le manifestazioni gi accadute in qualche citt
delle principali. Il ministero Ricasoli mancava
per ormai di forza, non soltanto perch so-
stenuto da una maggioranza indecisa e tenten-
nante, ma perch fra Vittorio Emanuele e il Ri-
casoli v'era dissenso intorno al programma da
seguire per il compimento dell'unit nazionale.
Il Re voleva prima liberare Venezia; il suo primo
ministro era d'opinione che alla liberazione di
7
"
mezzi morali
Venezia si dovesse premettere quella di Roma.
Vittorio Emanuele non aveva taciuto al Ricasoli
il suo pensiero; uno scambio di lettere, nelle
juali la vivacit era soltanto temperata dal ri-
spetto del ministro per il sovrano e dalla stima
del sovrano per il ministro, determin questo a
l'ilirarsi.
Gli succedette il Rattazzi, e presentandosi alla
Camera, disse egli pure che per il consegui-
mento di Roma occorrevano
"
mezzi morali
e mezzi diplomatici, e che l'Italia non vi sarebbe
potuta andare senza il concorso della Francia.
Doveva e^Vi per ci inevitabilmente trovarsi in-
nanzi le difficolt incontrate dal predecessore; gli
stessi pericoli resi maggiori dall'alleanza, neces-
saria al ministero, con i gruppi parlamentari pi
avanzati, che il Rattazz si lusingava d mode-
rare e dai quali era trascinato.
Il governo imperiale, sempre pi incerto, dimi-
nuiva la forza del corpo d'occupazione dopo
averla aumentata, sostituiva in Roma al de
Goyon il conte di Montebello, faceva sperare al
Rattazz, poi bruscamente toglievagli ogni spe-
ranza. Ed il
"
partito d'azione
sempre pi mi-
naccioso, dopo la riunione di Trescorre ed il
tentativo di Sarnico con il quale accennava alla
Venezia, rivolgeva la propria azione apertamente
contro gli Stati del Papa. Il Rattazz, salvato a
mala pena il 4 giugno 1862 da un ordine del
giorno Mnghetti che
"
confidava d veder man-
tenute illese le prerogative della Corona e del
Parlamento
non sapeva pi far rispettare l'au-
torit del governo: il grido di Roma o morte
echeggi per la prima volta nei boschi della
16 LA QUESTIONE ROMANA
Ficuzza, da dove Garibaldi non impedito pigliava
la strada del continente per rimanere ferito ad
Aspromonte e prigioniero nel forte del Varignano.
spiegando
gli ultimi eventi diceva
"
irresistibile il mo-
vimento che trascina verso Roma la nazione
intiera
.
Ma il consenso della Francia, stato di-
chiarato indispensabile, mancava ancora. Napo-
leone escogitava nuove proposte; la Santa Sede
le respingeva in modo assoluto; e l'Imperatore
sempre pi incerto fra la benevolenza per l'Italia
e il bisogno di non disgustare i cattolici di Fran-
cia, licenziava il Thouvenel, il quale aveva scritto
imporre gli interessi della religione che il Pa-
pato si riconciliasse con l'Italia, e lo sostituiva
col Drouyn de Lhuys. Questi cambi subito i
ministri di Francia a Roma e a Torino.
La discussione delle interpellanze sui fatti di
Aspromonte alla Camera italiana, nel novem-
bre
1862, termin con le dimissioni del mini-
stero Rattazzi e la formazione di un ministero
presieduto da L. G. Farini, ministro degli esteri
il conte Giuseppe Pasolini, al quale poco dopo
non pi ministro, si affidarono due missioni in
Francia ed in Inghilterra che furono di grande
giovamento alla nostra causa. Il Pasolini s'era
ritirato il 23 marzo 1863,
quando il Farini do-
vette lasciare il governo per le tristi condizioni
della salute
e gli era succeduto il Visconti
Venosta che, rispondendo alle solite interpellanze
sulla questione romana, dichiarava gli sforzi del
La Conventxone dx Settembre 17
Governo
dover essere particolarmente rivolti
a
far cessare la occupazione francese a Roma. I.a
Camera
approvava tale programma con fortis-
sima
maggioranza; mentre il
"
partito d'azione
minacciando di lasciare
"
ai contravventori la re-
sponsabilit degli atti che avranno provocato
.
Non posso n vorrei riandare qui tutti gli avve-
22
LA QUESTIONE ROMANA
riimenti che precedettero Mentana^; Farresto di
Garibaldi a Siimlunga, la prigionia del generale
nella fortezza d'Alessandria, il ritorno incondi-
zionato a Caprera, lo sconfinamento del Fontana
e la presa d'Acquapendente, quello del Nicotera
con 800 uomini a Vallecorsa, il combattimento
di Menotti Garibaldi a Montelibretti, la fuga del
generale da Caprera, il suo arrivo a Firenze, la
sua parlata al popolo dal terrazzino dell'albergo
Bonciani. Da Firenze, Garibaldi andava a Passo
Corese, ed entrava la mattina del 23 ottobre negli
Stati del Papa: il 25 vinceva a Monte Rotondo.
Truppe
francesi, imbarcate in fretta a Tolone,
facevan rotta per l' Italia, sbarcavano a Civita-
vecchia, giungevano a Roma, e la mattina del
3 novembre, due battaglioni del
1.
di linea fran-
cese furono i primi ad entrare in battaglia ac-
canto ai Pontifici, contro i Garibaldini, a Men-
tana; scambiati da prima con gli Antiboini, rico-
nosciuti poi, quando il combattimento divent mi-
schia a Villa Santucci. E gli Chassepots della divi-
sione DeFailly fecero merveilles nei petti italiani.
Tristi giornate furono quelle per tutti : specie
per i molti giovani ufficiali che le strettezze della
finanza italiana avevano allontanati dal servizio
attivo, e tenevano inoperosi, inutili agli altri ed
a loro stessi. Nella capitale risiedevano in gran
numero: altri ve ne aveva attratti la singolarit
degli eventi. Lottavano fra la scrupolosa osser-
vanza del dovere di non combattere sotto altra
^
Per questo episodio rimando i lettx)r alle briose me-
morie di A. 6. Barrili , che escono contemporaneamente a
questo volume; esse portano per tito'o: Con Garibaldi, alle
porte di Roma.
Mentana 23
bandiera che non fosse quella del Re d'Italia, e
l'ansioso desiderio di prender parte ad un'im-
presa che s'illudevano potesse riescine gloriosa
ed efficace come quella de' Mille. A far crescere
tale illusione e a render pi acuto e tormentoso
il dubbio, contribuiva la persuasione quasi ge-
nerale d'un tacito accordo fra il Governo e Gari-
baldi, persuasione alla quale la fuga del generale
da Caprera, la inattesa e non disturbata appari-
zione di lui a Firenze davano maggior apparenza
di verit. Sicch anche i pi saldi nell'osservanza
del dovere, dopo aver titubato un pezzo, lascia-
vano l'impulso del cuore sopraffare i suggeri-
menti della ragione. Un giovine capitano ci as-
sicurava d'aver ricevuto l'incarico di formare i
quadri d'un battaglione e li aveva formati sce-
gliendo fra noi i comandanti delle sue quattro
compagnie che si sarebbero dovute trovare al
contine, quando sopraggiunsero la formazione
del ministero Menabrea, il proclama di Vittorio
Emanuele agli Italiani in data del 27 ottobre.... ed
un ulciale dei reali carabinieri che tratteneva
gentilmente, con una parolina all'orecchio, quanti
ufficiali in aspettativa si avvicinavano al fine-
strino del bigliettinaio della stazione di Firenze
a chiedere un biglietto per Passo Corese.
Pochi giorni dopo, eravamo afflitti a quella sta-
zione a ricevere, a sollevare, a trasportare con le
nostre braccia parecchi de' nostri compagni, de'
nostri amici, che giacendo feriti di palla erano stati
punzecchiati, cincischiati dalle baionette francesi.
Poveri giovani!
disse Vittorio Emanuele
quando lo seppe, e due lagrime gli rigarono il ma-
schio volto abbronzato. Li ricord forse nel 1870.
24 LA QUESTIONE BOMANA
quando la Francia invocava, troppo tardi, il no-
stro soccorso.
Le condizioni politiche dell'Italia, passata quella
burrasca, furono migliori, non buone. Ormai, se
prima v'erano state esitanze, nessuno dubitava
pi della necessit di andare a Roma e di an-
darvi presto, per togliere qualunque scusa a tur-
bolenze interne, e per avere in conseguenza le
mani libere, nel caso non remoto d'una guerra
all'estero. Nella possibilit d'una conciliazione
col Papa non era pi lecito porre alcuna spe-
ranza: Pio IX l'aveva detto chiaramente anche
a lord Clarendon che, autorizzato, anzi pregato
da Vittorio Emanuele, s'era studiato di mo-
strare al Papa come, ricercando negli interventi
stranieri un appoggio alla sua politica di resi-
stenza ad oltranza, rendeva inevitabile la con-
danna definitiva di quella politica e faceva danno
alla religione.
Nelle trattative corse durante il 1868 e parte
del 1869 per un'alleanza fra l'Austria-Ungheria,
la Francia e l'Italia, il nostro Governo pose come
condizione preliminare e sine qua non il richiamo
delle truppe francesi da Roma, il ritorno alla con-
venzione di Settembre, la consacrazione chiara e
patente del principio di non intervento. Il Go-
verno austro-ungarico riconobbe subito la ragio-
nevolezza delle pretensioni dell'Italia: ma Napo-
leone III, dopo molto esitare, non accett quella
condizione premurosamente consentita dal Go-
verno d Vienna.
La convocazione del Concilio Ecumenico a
Roma per l'inverno del 1869-70 offri nuovamente
Al principio del 1870 25
al Governo italiano l'occasione di far notare agli
altri governi gli inconvenienti derivanti da una
occupazione straniera nello Stato Romano. Nes-
suna opposizione per fu fatta ai vescovi del
Regno desiderosi d'andare al concilio. Il nuovo
ministero Lanza-Sella, presentatosi alla Camera
il 14 dicembre 1869, continuava le tradizioni ca-
\()urane e, riguardo alla questione romana, non
si allontanava dalla strada battuta dai prede-
cessori. A questo ministero era riservata la sod-
disfazione e la gloria di condurre l'Italia a Roma.
Una recente importante pubblicazione del conte
Nigra, allora ministro d'Italia a Parigi
S
ha rive-
lato in tutti i suoi particolari l'ultima fase diplo-
matica della questione romana. Napoleone 111,
che aveva voluto dichiarare guerra alla Prussia,
stringeva i panni addosso al Governo italiano
perdio si mettesse d'accordo con l' Austria per
una azione comune, mentre spngeva l'Austria
ad agire efficacemeiite al pi presto possibile.
L'Austria era convinta
lo scriveva il barone
di Beust al principe di Metternich ambasciatore
austriaco a Parigi
che, quando i Francesi
uscissero dagli Stati Pontifici, gli Italiani doves-
sero entrarvi di pieno diritto e con l'assenso del-
l'Austria e della Francia. 11 duca di Grammont
ci ofifriva soltanto di ritornare alla convenzione
di Settembre; l'offerta aveva anzi avuto un prin-
cipio d' esecuzione, poich le truppe francesi si
allontanavano gi da Roma.
Prevalse, per l'ostinato contegno della Francia,
^
Costantino Niora, Ricordi diplomatici
(1870),
nel fasci-
colo 1.0
marzo 1890 della Nuova Antologia.
26 LA QUESTIONE ROMANA
la politica della neutralit; bench l'inclinazione
personale di Vittorio Emanuele e di parecchi no-
stri uomini politici fosse per aiutare la Francia
e l'Imperatore. Quintino Sella sosteneva nel mi-
nistero la urgenza di una pronta ed energica
azione rispetto a Roma. Un ordine del giorno
di fiducia nella politica del ministero, presentato
dal deputato Carlo Arrivabene, fu votato con
63 voti di maggioranza sopra 228 votanti, dissen-
zienti parecchi di destra. L'Imperatore sperava
ancora nel nostro aiuto: Vittorio Emanuele non
aveva deposto il pensiero di soccorrere i Fran-
cesi e non altro scopo ebbe certamente la mis-
sione del conte Vimercati a Metz dove il Re lo
mand a raggiungere l' Imperatore. Ma questi
non volle cedere riguardo a Roma, non ostante
le premure del principe Napoleone Girolamo. La
neutralit dell' Italia era ormai inevitabile.
Il 19 agosto l'ultimo soldato francese lasciava
Roma, per sempre. Il Governo italiano aveva gi
riconosciuto la necessit di riunire un forte corpo
di truppe sulla frontiera Pontificia, per non la-
sciarsi strappar d mano dagli Impazienti la di-
rezione di un avvenimento ormai ineluttabile. 11
14 agosto le truppe mobilizzate erano riunite
in varie localit prossime alla frontiera e poste
agli ordini del generale Cadorna.
Riconvocata la Camera il
16,
per chiederle un
nuovo credito di 40 milioni e la facolt di requi-
sire cavalli, il 20, dopo una discussione molto
vivace, con 214 voti contro 152 fu approvato
un ordine del giorno col quale la Camera con-
fidava che il ministero si adoperasse a "ri-'
solvere la questione romana secondo le aspira
Ija catastrofe di Sedan
zioni nazionali
.
La sinistra, non soddisfatta da
una formula che le pareva indeterminata, minac-
ciava le dimissioni in massa: la rabbon il Sella
rinnovando solennemente, in una riunione di
quel partito, la promessa d'andare a Roma. La
mattina del 3 settembre giunse a Firenze la no-
tizia della catastrofe di Sedan: in consiglio de' mi-
nistri furono discusse quello stesso giorno le ri-
soluzioni da prendere, e non essendo concordi
i consiglieri della Corona, si stabili, mediante
concessioni scambievoli, che le truppe italiano
avrebbero passato il confine, ma si sarebbero
fermate alle nmra della citt aspettando la coo-
perazione dei cittadini romani
;
e che, affidandola
ad un inviato speciale, si sarebbe intanto man-
data una lettera del He al Papa, per avvertirlo
delle intenzioni del Governo Italiano.
Per questi motivi, come dicono le sentenze de'
tribunali, il cav. Nigra la mattina del 7 era an-
dato da Giulio Favre ministro degli esteri ad an-
nunziargli che le truppe italiane sarebbero en-
trate negli Stati pontifici a mantenervi l' ordine
e s'era sentito rispondere che il Governo fran-
cese consentirebbe l'azione dell'Italia lasciandoli.*
la responsabilit dei fatti imminenti.
Per questi motivi, andando a Terni a raggiun-
gere il quartier generale, avevo passato la notte
in un carrozzone di ferrovia, vicino a quello nel
quale viaggiava per Roma il conte Gustavo Ponza
di San Martino, latore di una lettera di Vittorio
Emanuele a Pio IX, lettera scritta da Gelesthio
Bianch direttore della Nazione,
II.
Prima di passare il confine.
Terni nel 1870.
Un deputato e un sottoprefetto.
Dove
erano le truppe del corpo d' occupazione.
Il generale
de Chevilly.
Il conte Carlo Arrivabene.
Le strade che
conducono a Roma.
Si passa o non si passa?
Ci av-
viciniamo al confine.
In un carro bagagli.
Narui e la
divisione Ferrer.
Alla ricerca di una carrozza in una
citt poco carrozzabile.
Otricoli.
In un mare di neb-
bia.
La sveglia del 12 settembre.
Questa volta si
passa davvero!
Terni, a quell'ora mattutina, aveva l'aspetto
che prendono tutte le nostre piccole citt quando,
per qualsiasi motivo, vi si affolla un gran nu-
mero di soldati. Ormai le grandi manovre hanno
reso quasi consueto lo spettacolo delle tende al-
lineate lungo le viottole de' campi, de' soldati dai
volti allegri ed abbronzati dal sole, delle lunghe
file di cavalli legati per la cavezza alle corde
tese da un albero ad un altro. Tutto codesto
mondo soldatesco, gi desto e alzato da un pezzo,
era in un momento di massima attivit. Un cen-
tinaio di cavalli condotti a mano s'avviavano
fuor di citt, mentre altrettanti d' un' altra bat-
Temi nel 1670 29
teria da campagna andavano in piazza ad abbe-
verarsi ad una fonte ricchissima d'acqua.
Venticinque anni sono, Terni era molto diffe-
rente da quella d'adesso. Lo svolgersi deirindu-
stria metallurgica non le aveva ancor dato quel
colore di modernit nel quale oggi vince molto
altre citt di provincia. L'albergo principale,
pieno zeppo d'ufficiali e nel quale mi riusc per
grazia di avere una modestissima camera, of-
friva aspetto ed agi di locanda campagnola
pi
che cittadina a chi volesse alloggiarvi. Vi si fer-
mavano per poche ore i forestieri, andando
o
venendo dalla cascata delle Marmore. Nel 1867
la citt era stata un quartier generale di Gari-
baldini e la vicinanza alla frontiera pontificia vi
aveva attratto negli ultimi anni un continuo via-
vai di emigrati romani, d'uomini del partito d'a-
zione. V'era una giunta municipale d'idee avan-
zate, ed appesa nell'atrio della residenza del
comune si vedeva In quei giorni una grande
ghirlanda di semprevivi, sulla quale era scritto
Mentana a lettere nere: il deputato di Terni
era il colossale Alceo Massarucci, oggi tran-
quillo e pacifico senatore del Regno, allora fra
i pi irrequieti della sinistra. Reggeva la sotto-
prefettura di Terni il cav. Lucio Fiorentini, poi
prefetto in diverse Provincie, ora sociologo e
polemista, il quale da un pezzo dava vivo e
parlante esempio del come pu essere messa
a dura prova la pazienza di un pubblico ufficiale
obbligato a vigilare, a sorvegliare, a tenere a
freno gli impazient, pur partecipando in fondo
del cuore alle loro impazienze. In quei giorni il
Fiorentini avrebbe dovuto dividersi in quattro
30
PRIMA DI PASSARE IL CONPDTE
per contentar tutti, eppure si pu dire che vi
riuscisse e quanti lo conobbero in quella occa-
sione hanno serbato di lui ricordo gratissimo.
Il generale Raffaele Cadorna, nominato coman-
dante del
"
corpo d' osservazione alla frontiera
pontifcia
,
aveva posto il suo quartiere generale
a Terni, ed abitava in una casa prossima al
Duomo.
Delle tre divisioni poste direttamente
sotto i di lui ordini , la
11^
(Cosenz) con la si-
nistra a Collalto si stendeva lungo il confine
Umbro-Romano, col quartier generale a Rieti:
la
12^
(Maz de la Roche) stava a cavallo della
gran strada Firenze-Roma per Arezzo-Peruga-
Spoleto-Narni, col quartier generale a Terni: la
13*
(Ferrer) a cavallo della strada Firenze-Roma
per
Siena-Viterbo, aveva il quartier generale ad
Orvieto. Furono successivamente formate altre
due divisioni; la
2*
(Bixio) destinata ad operare
al nord fra Radicofani e il mare : la
9*
(Angio-
letti) che aveva per campo d'azione a sud lo
spazio fra il mare e la estrema sinistra della
11*
divisione appoggiata a Collalto.
Ho detto gi come fino dal 17 giugno il Go-
verno avesse ordinato il richiamo delle due classi
1844 e 1845, che dettero in sei giorni all'esercito
un aumento effettivo di circa 65 000 uomini: ne
furono poi richiamati 2136 della classe 1848 stati
congedati in gennaio, ed il 5 settembre fu-
rono richiamate altre tre classi, il 1839. 1810
e 1841, in tutte circa 40000 uomini, e deliberata
nel tempo stesso anche la chiamata della seconda
categoria del 1848.
L' esercito, ridotto una larva dalle economie
contro le quali aveva tanto vivacemente alzato
7/ 40
corpo d'esercito 31
la voce il generale Cialdiiii in Senato, in po-
chi giorni era ritornato alla rispettabile cifra di
340000 uomini. Le truppe non erano sul piede
di guerra, ma sul piede mobile, meno le batterie
campagna portate al piede di guerra. Ave-
vano quel bellissimo aspetto che prendono i corpi
di truppa quando accanto alle classi giovani, ai
soldati poco pi che ventenni, si veggono nelle
file uomini pi fatti, sulla trentina. Le classi ri-
chiamate avevano preso parte alla campagna
1 18GG; pochissimi erano allora gli ufTlciali che
iMii avessero mai visto la guerra.
Oltre l'artiglieria da campagna addetta alla ri-
serva del corpo d'osservazione, e poche truppe
del genio, non v'era in Terni che un battaglione
del G fanteria, ma vi brulicavano tutti gli uffi-
ciali che sono addetti ai quartieri generali d'una
divisione e d'un comando d'esercito; ulYciali
di stato maggiore, intendenti
oggi commis-
sari,
medici, ufficiali di ordinanza. V'era il
"funerale barone Humilly de Ghevilly, savoiardo,
mandante della brigata di cavalleria del corpo
d'osservazione, ed il colonnello Gambini coman-
dante del genio. Il generale de Glievilly era fratello
di un tenente colonnello del
2
granatieri, stato
mio comandante di battaglione nel 18GG dopo la
liorte di Vincenzo Statella; e i due fratehi si somi-
i lavano fra loro come due gocciole d'acqua, an-
clie nella gentilezza squisita. V'erano anche pochi
ufficiali de' lancieri d'Aosta venuti allora dalla
guarnigione di Firenze; sicch, un'ora dopo ar-
rivato, potevo dire d'essere in paese di cono-
scenza e nelle migliori condizioni possibili per
ompiere l'incarico affidatomi. Allora non tutti
32 PRIMA DI PASSARE IL CONPINE
i giornali pensavano a mandare corrispondenti
dietro a un esercito, ed il solo che m'avesse pre-
ceduto a Terni era il conte Carlo Arrivabene,
deputato e corrispondente del Daily Telegraph
e di qualche altro giornale straniero, bell'im-
pasto di gentiluomo e di uomo politico, di gior-
nalista e di soldato. Ufficiale dei dragoni lom-
bardi nel 1848, quando nel 1849 fu sciolta la
divisione lombarda, tent d'imbarcarsi per an-
dare a Roma e sfid gli ufficiali d'una nave fran-
cese che aveva catturato quella sulla quale egli si
trovava. Emigrato in Inghilterra, divenne colla-
boratore e corrispondente di varii giornali in-
glesi, del Daily News fra gli altri, e il conte di
Cavour l'ebbe caro ed apprezz i servigi resi in
Inghilterra dall' Arrivabene alla causa Italiana.
Aveva seguito le truppe alleate nel 1859: nel
1860,
presa dai Borbonici una nave sulla quale era
imbarcato per raggiungere Garibaldi in Sicilia,
fu portato prigioniero a Gaeta e maltrattato; fu
liberato soltanto per intromissione del ministro
inglese. Rappresentava il collegio di Soresina e
lo rappresent fin quando mori, nel 1874.
Quell'egregio uomo, non ostante la differenza
che v'era fra noi due per l' et, per l' autorit
e l'esperienza giornalistica e militare, mi dimo-
str presto grande benevolenza e convenimmo
quasi subito un'alleanza per arrivare insieme
alle porte di Roma e per scambiarci amiche-
volmente le informazioni che all' uno, indipen-
dentemente dall'altro, fosse dato raccogliere. Ma
il raccoglierne era davvero un affare serio, pei'-
ch se il generale Cadorna aveva gi stabi-
Il conk Curiu Arrivabene 33
.
^ .
lito il SUO piano, gli ordini da Firenze venivano
contradditori e risentivano delle indecisioni di
quel momento : li rendeva pi indecisi e incoe-
renti l'improvviso cambiamento avvenuto nella
persona del titolare del ministero della f,uerra.
Fatto sta che in quel primo {j:iorno di perma-
nenza in Terni, l'artiglieria della riserva del
corpo d'osservazione ricevette due volte l'ordine
di partenza e due volte quello di non muoversi.
A Terni v'erano anche parecchi emigrati romani
che pareva aspettassero da un momento all'altro
cosi dicevano
la notizia di qualche insui*-
rezione nella citt eterna, ma le loro speranze
non furono confortate dai fatti, bench ce le
confermassero ripetutamente ed in tutti 1 modi,
pienamente convinti di quanto dicevano.
Da Terni si dirigono verso Roma due strade,
una delle quali, pi vicina alla sponda sinistra
del Tevere, passa sotto Narni, traversa 11 fiume a
Ponte Felice e prosegue per Civita Castellana,
Nepi
e la Storta fino a Ponte Molle e Porta del Popolo;
mentre l'altra, rimanendo sempre sulla sinistra
del Tevere, entra in Roma per Porta Salara.
Per chi ha la fortuna di esser nato da quando
non vi sono pi confini in Italia non sar male
premettere che la prima strada entrava negli
Stati del Papa al Ponte Felice sul Tevere, men-
tre seguendo la seconda si entrava in quelli
Stati a Passo Corese, molto pi vicino a Roma.
La strada ferrata, che segue il corso della Nera,
sulla sponda destra del fiume, sconfinava fra
Narni ed Oi-te, percorrendo un lungo tratto negli
Stati del Papa, per rientrare noi toi'i'it'i'io
del
PF>rT. Cnm^ iamo entrati in Tfoma. :;
34 PRIMA DI PASSARE IL CONFINE
Regno a Ponte Felice ed uscirne di nuovo a
passo Gorese. Una convenzione fra il governo
Pontificio e quello del Re d'Italia aveva stabilito
da un pezzo che, su quei due tratti della ferrovia
compresi dentro i confini pontifici, fosse per-
messo di transitare agli ufficiali italiani in uni-
forme ed armati, come era permesso per il mag-
gior tratto da Passo Corese a Ceprano per quelli
diretti a Napoli. In quei giorni, sul confine Umbro-
romano, non essendo stata ancora intimata al-
cuna dicliiarazione di guerra, n potendosi legal-
mente ritenere il paese in stato di guerra guerreg
giata, avvenivano dei curiosi incidenti. Un tenente
del
35
fanteria ch'era dovuto venire a Terni per
motivi di servizio, da Passo Corese dove si tro-
vava il suo reggimento, per evitare il fastidio
della lunga strada carrozzabile, aveva preso il
suo biglietto alla stazione di Passo Corese ed
era salito in treno senza alcuna molestia. Quando
arriv, tutti volevano sapere come era andato
il fatto, ed il pi meravigliato di tutti era lui....
per la meraviglia degli altri. Ogni mezz' ora
qualcuno ci veniva a confidare con la massima
segretezza che i Pontifici avevano rotto la strada
ferrata; ma i treni continuavano ad arrivare,
non molto regolarmente, da Firenze e da Napoli.
Andavamo alla stazione di tanto in tanto con la
speranza di potervi racimolare qualche notizia.
I viaggiatori che andavano dall'Italia alta verso
la bassa facevano, durante la fermata alla sta-
zione di Terni, una quantit di domande alle
quali non bastava a rispondere l'esperienza d
poche ore. I viaggiatori che venivano da Napoli
raccontavano che, transitando per la stazione
Due strade che vanno a oma
3'.
di
Roma, avevano veduto cannoni ed altri ap-
parecchi
militari : si stavano asserragliando i
tre
archi per i quali la strada ferrata penetra
nella
cinta Aureliana.
Tutto questo non ci illuminava molto riguardo
ai
movimenti del
"
corpo d*osservazone
diven-
tato
appunto quel giorno
^
IV corpo d'esercito
.
Il Cadorna, come egli stesso ha narrato*, insi-
steva neir idea d' andare a sconfinare a Passo
Corese; il ministro Ricotti invece gli ordinava
di far passare il confine dalla
12*
divisione (Maz
de la Roche) a Ponte Felice, incamminandola
su
Civita Castellana; la
11*
doveva seguirla e la
13*
passare ad Orte e muovere su Viterbo:
poi
ripiegare per Ronciglione e ricongiungersi con
le altre due a Monteros, da dove il
4*^
corpo
proseguendo su Roma avrebbe poi dovuto pas-
sare dalla via Cassia alla Salaria.
Il nuovo piano era consigliato dal Ricotti,
"anche per considerazioni di ordine politico e
il dispaccio diceva, parlando dell'ingresso
delle
nostre truppe nel territorio del Papa ....
"
quando
dovesse avvenire.
Tutti particolari questi
che
ho conosciuto molto pi tardi
;
ma in quel primo
giorno se ne vedevano abbastanza chiaramente
dipinte le impressioni nelle facciedei pezzi grossi
dello Stato Maggiore, tanto chiaramente
che si
fini per andare a letto molto incerti dell'indo-
mani e addolorati dal sospetto che la faccenda
si potesse trascinare per le lunghe chi sa per
quanti altri giorni.
Lapfaele CADOB.VA, La liberazione di Roma nelVanno 1S70
lebisciio. Narrazione politico-militare. Torino, L. Roiix e C.
36 PRIMA DI PASSARE IL CONPINE
La mattina del 10 si rianimarono le speranze..
Ero in piedi all'alba. Alle G part da Terni, dove
era accampata lungo la passeggiata amenis-
sima che guarda verso le verdeggianti
alture
di Collescipoli, la brigata da posizione del
9
ar-
tiglieria
comandata dal maggiore Luigi Pelloux,
addetta alla riserva del
4^
corpo. Doveva far tappa
la sera a Narni e proseguire il giorno 11 per Sti-
migliano, a due passi dal confine. Verso Narni
sapevamo gi avviata anche la divisione
del
generale Ferrer. Si cominciava a farsi un'idea
precisa di qualche cosa, a sapere dove erano
dislocate le brigate ed i reggimenti. Si capiva
che ormai s davano ordini esatti, categorici,
senza il costante timore di doverli disdire.
Arriv a Terni il reggimento lancieri
Novara,
comandato dal colonnello Costa Reghini che pa-
reva ancora un giovinotto, e adesso si riposa
da qualche anno a Livorno e a Castiglioncello,
dopo essere arrivato al grado di tenente
gene-
rale ed aver comandata la divisione di Bologna.
Arrivarono anche Edmondo De Amicis, mandato
dall' Italia Militare, Roberto Stuart per il Dailij
News, l'Arbib per la Gas:^eita del Popolo di Fi-
renze e due corrispondenti di giornali d Torino.
Il drappello giornalistico andava aumentando,
ed il conte Arrivabene, pi esperto di tutti, mi
susurrava in un orecchio che bisognava prov-
vedersi di un mezzo di trasporto prima d'es-
sere prevenuti dagli altri. Il cavaliere Fiorentini,
nostra provvidenza, ci insegn recapito e nomi
di vetturini di Narni, Borghetto e Civita Castel-
lana. In Narni dovevamo far capo al signor Vin-
cenzo Massarotti Martelli; in Borghetto, di l
Corrispondenti al campo
CO
a Ponte Felice, ad un tale Aiitoiiiuccio Abboii-
nza; in Civita Castellana ad un tal Dotsetto,
L'Arrivabene che vestiva di velluto rigato nero,
con
cappello alla calabrese, e stivali duri inglesi
on
speroni d'argento, avrebbe preferito andare a
vallo anzich in carrozza
;
ma oltre alla diffi-
colt di trovar cavalli
alla quale i nostri anii<M
ufficiali
s'erano offerti di rimediare, almeno
prov-
visoriamente
v'era quella di portarsi
dietro
il bagaglio. Fu deciso dunque di prendere
una
carrozza a Narni.... trovandola. A Terni non vi
era
assolutamente mezzo d'averla.
Ormai
fiduciosi nell'avvenire della nostra
spe-
dizione,
alla quale mancava fino a quel mo-
mento
soltanto il modo d'andare avanti,
re-
stammo al caffo fino a dopo la mezzanotte.
Mentre
^li altri ciarlavano, Arrivabene empiva di scrtto
una
prodigiosa quantit di foglietti sottilissimi
dei quali imbottiva ogni giorno una gran busta
I-ossa, semicoperta di francobolli, oggetto di me-
raviglia per l'ufficiale postale ternano.
Prima del tocco dopo mezzanotte si seppe che
il generale Cadorna aveva ricevuto
pochissime
ore prima un lungo dispaccio in cifra,
e, dopo
averlo
decifrato col colonnello Primerano,
suo
capo di Stato Maggiore
oggi capo di Stato
Maggiore dell'esercito
aveva dato gli ordini
li partenza per il Quartier generale ed il reggi-
mento Novara. Ci alzammo tutti contenti
per
andare a dormire qualche ora, e poi continuare,
anzi incominciare, la marcia.
Qui cominciarono le dolenti iKjte. Ci eiavamo
rassegnati, la mattina dell'll, ad andare a Narni
38 PRIMA DI PASSARE IL CONFINE
col cavallo di San Francesco, quando il Fioren-
tini ci mand alla stazione ad aspettarvi
un
treno straordinario di provviste per l'esercito,
che doveva passare, ora prima ora dopo, nella
mattinata. Quando arrivammo alla stazione, par-
tiva invece per l'Alta Italia un treno di richiamati
delle classi 39, 40 e 41, mandati ai depositi dei"
loro reggimenti. Erano tutti dei comuni della
parte pi meridionale dell'Umbria: molti ave-
vano moglie e figlioli venuti ad accompagnarli.
Li abbracciavano, li baciavano, e poi ci doman-
davano premurosamente se avrebbero fatto in
tempo essi pure ad entrare a Roma con gli altri.
Sapemmo, discorrendo col capo stazione, che
il conte Ponza di San Martino, ripartito da Roma
la sera del 10, era passato per Terni durante la
notte diretto a Firenze: da questa notizia non
ci fu diffcile dedurre che le trattative per l'oc-
cupazione pacifica di Roma fossero andate a
vuoto, com'era realmente avvenuto.
Alle 11 arriv finalmente il treno lungamente
aspettato. Arrivabene, Arbib ed io salimmo nel
bagagliaio, accolti gentilmente da un ingegnere.
11 treno portava anche delle ruotale nuove: si
ferm a mezza strada per deporne alcune. A mez-
zogiorno eravamo alla stazione di Narni che
in basso, distante non breve tratto di strada ri-
pida dalla citt che sul monte. Mentre sali-
vamo, seguiti da un magro ronzino carico delle
nostre robe, la brigata Abruzzi
57**
e
58*>
(gene-
rale Bcssone)
levava il campo posto dalle due
part della strada. La brigata Cuneo
Tq
8^
ge-
nerale De Fornari
s'era gi avviata, preceduta
da due squadroni di lancieri Milano. L'intiera divi-
A Nauti
39
sione Ferrer s'avanzava verso il Ponte di Orte,
per il quale doveva passare il confine. Quando!
Nessuno lo sapeva o chi lo sapeva non doveva
saperlo. Ma si capiva che sarebbe stato presto,
forse domani, anzi probabilmente domani: lo ca-
pivano anche i soldati che marciavano con vero
entusiasmo.... Pur troppo dopo un quarto di se-
colo questa parola diventata retorica!
Il Quartier generale del
4
corpo, invece di so-
stare a Narni, aveva continuato la strada e non
si sarebbe fermato che a Magliano, a breve di-
stanza da Ponte Felice.
Arriviamo a Narni. La veccliia citt, distrutta
una volta dal Gonnestabile di Borbone, pare ap-
pollaiata sopra una roccia. Ieri era piena d'uf-
ficiali: quando giungiamo a mettervi il piede
deserta : ma le traccie dell' affollamento d' ieri
son tanto manifeste da farci restare in pericolo
di morir di fame. E come si fa ad andar avanti?
hicontriamo il tenente colonnello Giorgio
Pozzo-
lini, capo di stato maggiore del generale Emilio
Ferrer, ora tenente generale a riposo e sindaco
della patria di Leonardo da Vinci. Il Pozzolini,
allora appena quarantenne,
^
biondo era e bello
e di gentile aspetto
e pareva che la fortuna
avesse avuto per lui soltanto sorrisi. Ci fece ac-
coglienza festosa, ascolt le nostre pene, ci pre-
sent al generale e questi ci offr
cortesemente
<li
condurci fino ad Orte in un treno speciale. Ma
poich ci pareva miglior pai'tito seguire il quartier
generale principale, non accettammo la graziosa
offerta e ci mettemmo alla ricerca d'un qualsiasi
veicolo. 11 sindaco, cui c'eravamo rivolti, ci mand
dentro di so a quel paese, non tanto nascosta-
40 PRIMA. DI PASSARE IL CONFINE
mente per che non ci bastasse guardarlo in
viso per avvedercene. Finalmente riuscimmo a
rintracciare il signor Massarotti Martelli
l'a-
mico del cav. Fiorentini
vecchio patriota de'
buoni
j
guida di Garibaldi nel 1848 , e guida no-
stra quella sera per i viottoli pi oscuri e pi
scoscesi di Narni, in fondo ai quali calava di
quando in quando, alle svolte, un raggio di luna
come in fondo ad un pozzo. E come a Dio
piacque la carrozza fu trovata, con un cocchiere
che a suo rischio e pericolo, per con largo
compenso, ci garantiva di portarci fin dentro la
citt Eterna e mantenne fedelmente la promessa,
come vedremo.
Poich la cena, che volle offrirci in casa sua il
signor Massarotti Martelli, ci ebbe compensato
del magro e compendioso desinare
il quale
fu preludio, ahim! di pi crudeli digiuni
alle
undici di sera cominciammo a scendere la china
che dalla citt di Narni porta nella valle fertile
ed ubertosa nella quale scorre la Nera. Illumi-
nato dalla luna, il paesaggio era veramente stu-
pendo: il pccolo fiume pareva un filo d'argento
e risaltava fra il cupo nereggiare dei pini e dei
cespugli che coprono le balze scoscese sulle
quali si scorgevano delineati in una tinta pi
chiara i sentieri tracciati dalle pedate umane.
Le maestose rovine di un ponte romano, che
mi rammentavano una delle opere pi lodate del
paesista Castelli, danno al paesaggio l'impronta
di un grandioso quadro scenografico.
La nostra carrozza, a due posti, era un po' scon-
(juassata ma comoda, e calcolammo subito che,
I
I
9
I
Ci avviamo al
confine 41
tirando su il mantice, ci avrebbe potuto servire
di riparo durante la notte, in mancanza d me-
glio: il conte Arrivabene, pi previdente di me,
aveva seco un arsenale di plaicts e di Mac In-
tosch che bastava a sfidare il fresco e l'umidit.
11 bagaglio era accomodato e legato dietro: il
vetturino non era punto loquace, bench di tanto
in tanto parlasse solo.
Percorso un breve tratto nella valle, la strada
per la quale eravamo avviati si stacca dalla fer-
rovia dirigendosi verso il monte di San Pan-
crazio. Salendo in alto, il panorama si fa sempre
pi bello. La strada era gi completamente sgom-
bra : la campagna silenziosa e deserta. Lo case
scure e basse d' Otricoli
un povero villaggio
in mezzo al quale passa la strada sul dorso pi
alto del monte
erano mute come le tombe
d'una antica necropoli. N una voce u un lume.
Dopo Otricoli la strada discende verso il Tevere
a valle del confluente della Nera. 11 tratto di pia-
nura che s'allarga sulla riva sinistra del fiume
ci appare sommerso in una fittissima nebbia,
sopra la quale, come un promontorio sul mare,
emerge il monte di Maglano Sabino, dove il
generale Cadorna ha passato il pomeriggio e
la notte. Scendendo sempre, ad un risvolto della
strada, a traverso gli umidi vapori della bas-
sura nei (|uali siamo gi immersi, brillano cen-
tinaia e centinaia di grandi fuochi accesi dalle
nostre truppe. Ci fermiamo vicino ad uno di
quei fuochi. Sono le due e mezzo di notte, e pochi
minuti dopo la brezza fresca porta al nostro
orecchio gli accordi vivaci della sveglia suonata
da \\\v.\ fniir.ir.'i di l^ersaglieri.
'ho li^ fniifarc
e le
42
PRIMA DI PASSARE IL CONFINE
musiche degli altri corpi ripetono lontano e a
mano a mano poi sempre pi vicino. Nella nebbia
fitta e nel buio della notte, fantasticamente inter-
rotto ma non diradato dalle fiamme delle fascine
accese e crepitanti, non si vede, ma si sente che
tutti si muovono d'intorno a noi. Su a Magliano,
il cui profilo si stacca nel fondo del cielo sereno,
v' un grande via vai di lumi e molte case hanno
lumi ad ogni finestra.
La
12^
divisione (Maz de la Roche), in mezzo
alla quale siamo, si prepara a passare il Tevere
sul ponte Felice, ancora per un paio d'ore con-
fine fra lo Stato Pontificio ed il Regno d' Italia;
ponte per il quale passa la strada che abbiamo
fatto venendo da Narni, ed li, distante poco
pi d' un chilometro innanzi. La
11*
divisione
(Cosenz) che s' spinta pi avanti fino a Stimi-
gliano, ha l' ordine di tornare indietro e pas-
sare essa pure il ponte Felice dietro la
12% se-
guita alla sua volta dalla riserva del
4
corpo;
mentre la
13*
divisione (Ferrer) pronta per
varcare il confine ad Orte alle 5 antimeridiane.
Andiamo avanti e raggiungiamo l'avanguardia
della
12.*
divisione a mezzo chilometro dal ponte
Felice. agli ordini del maggior generale An-
gelino e la compongono il
40
reggimento fan-
teria, il
35
battaglione bersaglieri (maggior Ca-
stelli) due sezioni del
7
artiglieria, due squadroni
del reggimento Aosta e il
12
battaglione ber-
saglieri (maggior Novellis). Queste truppe sono
schierate nei terreni incolti ai due lati della
strada. Il tenente colonnello Municch, coman-
dante dei lancieri d'Aosta, appiedato, aspetta il
ritorno delle pattuglie mandate al di l del ponte
A Ponte Felice 43
i
in esplorazione, per marciare avanti. Scendiamo
anclie noi dalla carrozza sconquassata, dicendo
al vetturino di tener dietro agli ultimi bersaglieri,
poich vogliamo levarci il gusto di passare il
confine insieme con i primi. Il vetturino, dianzi
cosi taciturno, ci rivolge una quantit di do-
mande dalle quali lecito argomentare ch'egli
provi un vago timore di trovarsi in mezzo a
qualche frangente cruento. Mi riesce di rassicu-
arlo completamente: poi torno al mio posto alla
testa della colonna.
Nessuno parla: v* nell'aria qualche cosa di
solenne, ed un'umidit che arriva Ano alle ossa.
UT.
Passiamo il confine.
Di l dal ponte.
La R. C. A.
Il forte di Civita Ca-
stellana.
Il capitano Aymonino e una caduta pericolosa.
^
sentimento di fraterna accoglienza alle truppe.
Me ne meraviglio e mi si risponde che i pi^
fervidi d'amor patrio sono gi stati scottati^
nel 18G7. Capisco che non si esclude la possilji-
lit di vederci tornare indietro dopo una Men-,
tana qualsiasi; n vale dimostrare che il signor
De Failly occupato altrove, ed anche incon-
trandolo questa volta siamo tanti da potergli far
fronte. Cominciano a persuadersene quando, poca,
fuori di citt, verso Roma, veggono accampati
17 o 18 mila uomini. Il sindaco di Civita-Castel-"
lana, conte Rossi, s' ritirato in un suo pajazzo
a Bologna per non essere obbligato a fare agli,
usurpatori gli onori della citt.
Dei nostri soldati sono stati feriti sette, nelle
prime avvisagUe della mattina: cinque del
39
fan-
teria, due del
35
battaglione bersaglieri: uno solo
gravemente, ad un braccio.
i
Andiamo al forte e possiamo entrare. Nel prima'
androne mi trovo davanti a quelli zuavi ponti-'
fci che hanno fatto tanto parlare di loro. una
bella truppa, alla quale d strano aspetto la va-*
ria et degli uomini che la compongono,
dall'ini-,
herbe diciassettenne all'uomo di cinquant'anni^
nella cui barba prolissa e fluente gi sono alni
bondanti i fili d'argento. L'uniforme grgia,
guar*
nita di nero, tagliata a foggia di quella degli
zuavi francesi, molto elegante; ma spiacciono
all'occhio 1 colli ignudi fin sotto al gorgoz-
zule. La compagnia, che la
4*
del reggimento
lia per capitano il barone Zenone di Resimont^
di nobile famiglia belga, bell'uomo sui 35, di tipo
(inamente aristocratico, biondo, con una lunga
Gli zuavi pontifici 63
barba bionda e pince ne^ d'oro. furiosamente
stizzito contro i suoi colleghi pontifici che, pi
anziani di grado, lo hanno obbligato alla resa.
Avrebbe voluto almeno resistere qualche ora.
perdere qualche uom<.
fi6
ALLE VISTE DI ROMA
^ruppare i quartieri generali del
4^
corpo e della
11^
divisione. Quello della
12''
era poco pi avanti.
Le truppe accampavano alla sinistra della strada,
sparse in modo da profittare della poca acqua
buona dei fontanili. Ma verso sera comincia-
rono a venire soldati da tutte le parti, a due, a
tre, a quattro, a drappelli intieri, fantaccini, ca-
valieri, artiglieri e s'avviavano come attratti da
una forza invisibile verso un rialzo di terra arida
e scura a destra della strada. Lo ascendevano
per cento sentieri e si spingevano avanti fra
l'erbe brulle e gli spinosi cardi selvatici.... avanti,
avanti fin quando, fatti un centocinquanta passi,
appariva loro sull'orizzonte, circonfuso nei gravi
vapori, il profilo della cupola di San Pietro e una
striscia violacea, senza contorni netti e ben defi-
niti, risaltava sul rosso infuocato del tramonto....
I soldati si affollavano a centinaia, a migliaia. Se-
condo il temperamento d'ognuno, anche magari
secondo l'indole regionale, il sentimento da essi
provato si manifestava in una muta ed intensa
contemplazione, od in una esclamazione -vivace
e allegra. Ma pure, nell'allegria di quel momentd
vi era qualche cosa di composto, di solenne.
H
lazzo plebeo non trovava eco se pure osato: la
facezia volgare moriva sulle labbra di chi s'at
tentava di pronunziarla. Eppure quei soldati, dal
pi al meno
,
ignoravano la storia dell'antica
grandezza di Roma: eppure non potevano nepJ
pure avei'e la intuizione della grandiosit
ma4
terale del capai mundi, perch quanto se n
vedeva era vagamente indefinito; e neanche
quella della maest architettonica dei monu-
menti, perch appena la cupola di San Pietro^
i
io
estolleva sulla massa confusa e iiidetermi-
ta de;;l altri edifci. Che cosa li sorprendeva
nque? Che cosa li esaltava? Per quale ra-
lone tante di quelle bocche mormoravano come
elio della donna adorata il nome di Roma?
nome che tante volte avevano forse ripetuto
n indifterenza, pareva loro grande, immenso,
Icissinio, in quel momento nel quale si trova-
vano alle viste della sospirata meta da quel
I^Hpme
indicata? O i)otenza stranamente incanta-
^^Hace d'un nome! Come ^'li Arabi del medioevo
^^H entusiasmavano nelle loro leggende per la
^^H(tmy che non avevano mai veduta, cosi questi
^^ostri bravi soldati si esaltavano ve<l<Mid'> I'mu-
si)icata
capitale d'Italia.
Oli! Se a Pio IX fosse venuto in quei giorni
lino degli slanci di amor di patria con i quali
iveva incominciato ventiquattro anni prima il
suo pontifunito; se avesse fatto spalancjire
le
porte di Konia ai soldati d'Italia, quei 35,000 gio-
vanotti robusti, pieni d'ardire e di vita, gli si sa-
rebbero andati a prosternare dinanzi, nella mae-
stosa pcn<jinbra della Basilica Vaticana....
e la
(luestione romana sarebbe stata bell'e finita per
sempre.
Invece le poj-te di Roma erano chiuse e bar-
icate : dalla parte della citt non giungeva anima
Iva. 11
2*^
sciuadronc dei lancieri Novara (capi-
Itano Solaro) movendosi la mattina di quel
lorno 14 dall'osteria della Giustiniana per esplo-
ire il terreno verso Monte Mario, passando per
strada del casale della Zucchina, era andato
sboccare sulla via Trionfale a Sant'Onofrio
G8 ALLE VISTE DI ROMA
non quello del Tasso, un altro fuor delle mura
e vi aveva incontrato una compagnia di Zuavi,
la quale s' era ritirata. Ma alcuni di loro,
ai-
postatisi dietro ad un muro, fecero fuoco a
bruciapelo sullo squadrone e ferirono legger-
mente il tenente Rossi, un caporale e un lanciere,
ed uccisero il sergente Bonizza. 11 sottotenente
Grotti non torn indietro con lo squadrone. Fu
ritrovata la sua sciabola
,
poi dopo lunghe ri-
cerche anche il suo cavallo moribondo. Si fecero
le pi strane congetture su quella scomparsa:
si suppose che, cadendo da cavallo, fosse andato
a finire malconcio in fondo a qualche burrone.
La verit non si seppe prima della mattina se-
guente, da un biglietto dello stesso ufTciale, di-
retto al suo capitano. Il cavallo del Grotti, presa
la mano , aveva finito per rovinarsi le gambe,
dopo essere andato molto lontano da Sant'Ono-
frio. Alzatosi da terra, il Grotti era andato alla
casa pi vicina a lavarsi la faccia e le mani
imbrattate di terra e a domandare quale fosse
la strada per tornare alla Giustiniana. Sia che
lo' volessero ingannare, sia che il Grotti non
capisse bene le indicazioni dategli, fatto sta
ciie, dopo aver errato un pezzo intorno a Roma,
fin per imbattersi in una pattuglia di dragoni
del papa che lo fece prigioniero e lo condusse
in citt. Fu alloggiato all'albergo Roma, il ge-
nerale Kanzler lo invit a pranzo, e la mattina
del IG lo foce riaccoinpagnarc ai nostri avam-
posti.
11 14 \i SI d'ano presentati alcuni dragoni ai
quali l'idea delia guerra guerreggiata garbava
poco.
// sotMenente Croiti 69
I
Vittorio Alfieri scrisse alla Storta un suo ce-
bre
sonetto
rlio iiirnniiiiria:
Vuota, insalubre region cho Stato
Osi nomarti e non sei che lesorto..
Compresi in quel pomerij^giu del 14 settembre
utta rindigiiazioiie del fiero Astigiano, pensando
li'egli avr fatto colazione a Montcrosi sperando
desinare alla Storta e vi avr trovato (juello
le noi vi trovammo.... neppure un pezzo di pane.
Il generale Cadorna nel suo libro La libera-
tone
di Roma, a pagina 147, fa una strapaz-
ita ai corrispondenti di giornali che seguivano
quartier generale e li rimprovera di averlo
>rmcntato, non soltanto per avere notzie, ma
in pretensioni di vitto e d'alloggio. Posso dire
non aver rimorsi, perch ho sempre avuto
Tore di chiedere; ma indubitato che il conte
trrivabeneed io, non chiedendo nulla a nessuno,
iremmo morti di fame, senza la cortesa del ge-
jrale Cerroti e senza un altro fortunato evento.
Filippo Cerroti, di Roma, allora maggior ge-
lerale del genio (morto volontariamente nel 1890
lopo aver rappresentato per parecchi anni la
|ua citt nella Camera ed avere poi avuto un
jggio in Senato) era stato mandato a disposi-
lone del quartier generale principale,
potendo
jndere utilissimi servigi nella sua qualit di ro-
tano. Occupava una delle tre case a sinisti'a
iella strada, col colonnello Cambini comandante
lei genio, con altri ufficiali dell'arma e con degli
iffciali medici, se non sbaglio. Avevamo fatto
moscenza col generale: conoscevamo alcuni
ALLE VLSTE DI ROMA
de^J^li altri. Non avevano laute imbandigioni ncp-
pur loro : ma grande abbondanza di spaghetti
conditi
alla meglio. L'Arrivabene considerava
con
filosofica indifi"erenza quel ben di Dio: io,
passando e ripassando davanti alla porta d'una
specie di rimessa dove erano le mense
giac-
ch
cercavo nel passeggiare un mezzo per in-
gannar V appetito
mi sentivo venir Y acquo-
lina in bocca. Quando il generale ci chiam in-
vitandoci a dividere con gli altri quanto offriva
il
convento, ebbi per un momento le traveggole,
come deve averle chi vede esposta sul botte-
ghino del lotto la quaderna giocata. Almeno lo
suppongo; non l'ho mai provato.
Sedetti.... e divorai. Se non che, pochi minuti
dopo, un gran rumore ci fece alzare tutti da ta-
vola e correr fuori. Arrivava il principe Baldas-
sarre
Odescalchi
volgarmente Balduccio
accompagnato da alcuni amici e dai notabili di
Bracciano e de' paesi del lago omonimo, in cin-
que carrozze, scortate da alcune guardie cam-
pestri dell'eccellentissima casa, armate ed a ca-
vallo, e dai capi nmsica dei paesi del lai-"
y^-
stiti a foggia di militari e pure a cavalle.
Il principe Odescalchi, che nel 1807 Pio IX
aveva fatto pregare, poco pi che ventenne, d'an-
darsene da Roma, era stato infelice autore d'una
Imelda dei Lamt)ertac^i, fisciiiata al Niccoliiii
di Firenze, poi addetto alla legazione italiana a
Vienna. Uientrato allora nel suo feudo, diremo
cos, di Bracciano
un antico feudo d casa
Orsini
veniva a presentare al generale Ca-
dorna i voti di quindici comuni che chiedevano
di essere aggregati al regno d'Italia.
Padron Beppe Lietta 71
Credo che il generale Cadorna accettasse il
voto con le dovute riserve: noi non ne facemmo
alcuna quando il principe e' invit gentilmente
a passare la notte nel suo castello. Era un
po' lontano: ma l'idea di dormire forse in una
delle camere d' Isabella Orsini, dopo tre giorni
di vita semi-barbaramente vissuta, di man-
giare una cena servita dal cuoco d'un principe
romano, avreljbe fatta parer breve qualunciue di-
stanza. Le carrozze erano pronte e partimmo.
Incontrammo in varii punti, lungo la strada,
gruppi d' uomini a cavallo clie si mettevano di
scorta alle carrozze gridando "viva l'Italia,, e
facendomi venire in mente, nel buio della notte,
che i centauri dovevano essere molto simili
a loro.
La gita a Bracciano sarebbe una parentesi che
nulla avrebbe da fare con il mio racconto, se con
alcuni dei nostri compagni di quella sera non
" i fossimo trovati pi tardi insieme sotto le mura
di Roma. V'era fra gli altri un oste trasteverino,
Giuscpi)C Lietta, conosciuto col nome di padron
Beppe, che merita quattro parole di storia.
Nel 1S(>7 padron Beppe era proprietario d' una
icria nella Longarctta, in Trastevere, poco lon-
tano dal lanificio Ajani dove gli zuavi pontifici uc-
cisero la Giuditta Tavani. In casa Ajani erano
pronte alcune delle armi per la sommossa, la quale
avrebbe dovuto scoppiare a tempo per aprire le
porte di Roma a (luel
drappello di valorosi che,
lasciato solo a villa Glori, fu sopraffatto dal nu-
mero. Padron Beppe era del complotto. Quando
1 apparire degli zuavi in Trastevere gli fece ca-
pire che tutto era scoperto
e
la sommossa di-
72 ALLE VISTK DI ROMA
ventava impossibile, avrebbe voluto saltar fuori
e andare a combattere, a difendersi coWainidd
ora me
lo
si>iop:o
la vignarola era tanto
agghiiiduta.
Alle 9 circa si ripete lo scherzo della canno-
nata,
questa volta seguito anche da spari di fu-
cileria. Passiamo il Teverone per andare a veder
meglio da qualche punto elevato. Quando si ar-
riva ogni rumore finito.... ogni- speranza scom-
parsa. D'altronde la risposta del conte d'Arnim
non
ancora arrivata....
Incontriamo di nuovo
1'
onorevole Cucchi. Ci
troviamo
subito d' accordo nell' idea di andare
quanto si potr pi vicino alle mura di Roma,
per veder qualche cosa. Prendiamo la via Salara.
Mano a mano che ci avanziamo, la campagna
prende
un aspetto diverso ed sempre pi se-
minata
di casini e di ville. 11 Cucchi sa che in
Pesci.
Comp xiamo entrati in Roma
7
98 ALLE PORTE DEtLA CAPITALE D^ITALIA
que' pressi deve esistere una villa dei conti Car
cano di Roma, famiglia affine a quella dei Car
cano di Milano. Vi giungiamo dopo avere oltre
passata la linea de' nostri avamposti. proprie
quella. Anche qui ci troviamo in paese di cono-
scenza: il figlio del proprietario della villa, uffl
ciale dei granatieri italiani, fu ferito a Custoze
dove era ufficiale d'ordinanza del generale Goz-
.
Zani di Treville, comandante la brigata Sardegna.
I padroni non sono in villa, ma dentro citt;
ma i vignaroli ci accolgono con ogni cortesia
e si commuovono sapendo ch'io sono amico
del signorino.
Profittiamo della commozione per pregarli
a
darci da mangiare, ed essi premurosamente ci
offrono pane eccellente, ova, cacio pecorino e
vino de vigna: ma ad un giovinotto pare che
la refezione non sia quale si conviene a perso-
naggi del nostro stampo e si mette d corsa per
una viottola a traverso le vigne. Lo vediamo
ricomparire poco dopo di rimpetto a noi su certe
prode sotto la via Nomentana: andato alla
osteria del Mangani distante un chilometro, dalla
quale ritorna con una casseruola piena di squisito
"pollo alla cacciatora,,. Fo cos la prima cono-
scenza con la cucina delle osterie romanesche
e mi compiaccio d'aver mangiato come non m'ora
riuscito da Bracciano in poi.
Usciti da villa Garcano, la curiosit ci spinge
fino al risvolto di via Salara dirimpetto al quale
la porta, distante non pi di 800 metri. I vi-i
gnaroli ci avevano detto che era chiusa e ter-
rapienata internamente. Andando avanti ne scor-
giamo benssimo a occhio nudo la tnta verde
te fx>rte di nm
scura, e col cannocchiale vediamo sulla porta
tre soldati del battaglione cacciatori esteri. Uno
dei tre, mentre siamo fermi in mezzo alla strada,
spara una fucilata per farci paura o per dar l'al-
larme, perch il proiettile non pu arrivar fino
a noi. La nostra curiosit essendo soddisfatta
torniamo indietro, e per delle viottole traverse
ci avviamo verso la chiesa di Sant* Agnese. Al
di l della via Nomentana si sentono a lunghi
intervalli dei colpi di fucile: sono diretti contro
gli avamposti della
13*
divisione che si avvici-
nano a porta San Lorenzo senza rispondere allo
fucilate tirate dalle mura del Castro Pretorio.
Sant'Agnese, come ho detto, vi sono i ber-
lieri del tenente colonnello Pinelli. Ci sconsi-
gliano di andare avanti verso la porta : qualche
ufficiale, gi stato a perlustrare la strada fin
presso la citt, ci racconta che davanti la Porta
Pia, alla quale fa capo la via Nomentana, stata
costruita un'opera di fortificazione di forma qua-
drangolare, gabbionata, armata di cannoni. I
pontifici si divertono a tirare qualche colpo d'in-
filata per la strada deserta ed incassata quasi
continuamente, per un lungo tratto, fra mura
di giardini Una granata andata a cadere poco
prima nel cortile d' una casa dove stava una
gran guardia di bersaglieri, ma non scoppiata.
Torniamo indietro per la via Nomentana, giun-
giamo al ponte e andiamo pochi passi al di l,
dove stabilito il quartier generale della
12*
di-
visione. Il generale Maz de la Roche sta in una
piccola
osteria detta dei cacciatori che ancora
sussiste. Facciamo un altro chilometro di strada
ed arriviamo a Casal de' Pazzi, vasto recinto con
lOO ALLE PORTE DELLA CAPITALE DlTALtA
pi d' un fabbricato , di propriet di casa Gra-
zioli, dove comodamente alloggiato il quarter
generale principale.
Mentre ci tratteniamo ad aspettare qualche
notizia, arriva da Roma al generale Cadorna la
risposta del conte d'Arnim che dice di non es-
sere riuscito nel suo tentativo d'indurre Pio IX
ed i suoi consiglieri a desistere dall'idea della
resistenza.
Appena saputo questo, assediamo di domande
gli ufficiali del quartiere generale. Dunque? Sar
per domattina? Siamo impazienti di saperlo!
Arrivabene e Cucchi ne domandano direttamente,
al generale Cadorna, loro collega alla Camera.
Il generale non dice imlla di positivo; soltanto
promette di farli avvertiti a tempo. Intanto ferve
il lavoro per dare le disposizioni e le istruzioni
per l'attacco; per stabilire esattamente le zone
nelle quali ciascuna divisione dovr operare
mantenendo sempre unit d'azione con lo divi-
sioni vicine.
Non fu difficile comprendere la impossibilit
di un attacco per la mattina del 19. Il generale
Bixio, bench avesse adoperato anche la fer-
rovia per trasportare da Civitavecchia a Palo le
truppe a piedi, era ancora troppo lontano da
Roma per giungervi in poche ore con la divi-
sione pronta a combattere : tanto vero ch'egli
non aveva neppur potuto assistere alla riunione
di generali tenutasi nel pomeriggio del 18 a Casal
de' Pazzi. Ci mettemmo dunque l'animo in pace
e tornammo al ponte Nomentano. Era verso il
tramonto. In un prato vicino al ponte, seduti
sull'erba, trovammo riuniti dieci o dodici
giovani
Al jponte KomenUino 101
;4nori che chlaccliieravano di politica. Il prin-
cipe
Baldassarre Odescalchi era arrivato nuo-
vamente da Bracciano col nnarchese di Castel
Maurigi e padron Beppe Lietta: il duca France-
sco
Sforza Gesarini e suo fratello Bosio conte
di Santa Fiora avevano cavalcato da Genzano
a
traverso la campagna: da Monterotondo, fin
dove erano riusciti ad arrivare con la ferrovia,
una carrozzella aveva portato il conte Antonio
Greppi, milanese, ex ufficiale di Piemonte Reale,
e il signor Mondelli di Como, che aveva dato
saggio del suo valore nel 1860 e nel 1866 mili-
tando nelle guide di Garibaldi. V'erano con loro
altri giovani milanesi ed il crocchio divent sem-
pre pi numeroso, aggiungendovisi parecchi uf-
ficiali di cavalleria e d'altri corpi. Era un suc-
cedersi di grida di meraviglia, di saluti cordiali
fra chi non s'era veduto da qualche anno; uno
scambiarsi di strette di mano, un conversare
fitto fitto che dur fino a notte fatta.
Allora ci parve di poter fare senza scrupolo
gii onori di vigna Tosti, dove ci seguirono il
Greppi, il Mondelli e il Castel Maurigi, per i quali
v'era posto abbondante sulla paglia distesa in
terra dal nostro amico vignarolo, che non fu
turbato punto vedendo aumentare il numero dei
suoi ospiti. Anzi! egli capiva benissimo che, non
aumentando per lui il disturbo, sarebbe aumen-
tata la mancia. Del signor Tosti, sia detto a
lode del vero, nessuno si occupava: gli assenti
hanno sempre torto. Del resto, bisogner con-
fessare anche questo; l'offerta dell'ospitalit
da
parte nostra non si poteva dire intieramente
disinteressata. Il conte Greppi era seguito
da un
102 ALLE PORTB DELLA CAPITALE d'iTALIA
SUO lido iaiiiiliare, uomo prezioso, previdente,
che a Monterotondo, da uno de' seguaci del for-
nitore Accossato, aveva comprato qualclie chilo
di riso portandoselo dietro nel caso di carestia
completa. Sul cammino di vigna Tosti scintill
presto una gran fiammata di sarmenti, ed in
mezzo alla fiamma viva nereggi il paiuolo, den-
tro il quale fu dal cameriere stesso preparato
un risotto che sarebbe stato sufficiente a una
compagnia. La vignarola and a tirar fuori una
grossa tovaglia fragrante di spigo, e poco dopo
sedevamo intorno alla mensa divorando con
appetito pantagruelico il risotto del conte Greppi,
il presciutto ed il cacio del vignarolo. Ed alle 10
eravamo addormentati con la coscienza calma
di chi sa d'avere bene Impiegato la propria gior-
nata, magari senza far nulla....
All'alba del 19 eravamo in piedi per ricomin-
ciare la stessa vita, ma con la speranza che
quello fosse proprio davvero l'ultimo giorno. La
prima visita fu naturalmente a Casal de' Pazzi,
e si seppe che la
9*
divisione era accampata
a Porta Furba, dove la via Tusculana s'incrocia
con la strada ferrata, quattro chilometri fuori
di Porta San Giovanni. La
2^
giunta a Casal
Guido sulla via Aurelia, avrebbe continuato la
marcia, secondo le istruzioni ricevute, in modo
da impedire qualunque tentativo di ritirata dei
pontifici sulla destra del Tevere.
Il generale Cadorna, col generale Celestino
Corte ed il suo stato maggiore, si avanz quella
mattina fino al di l di Sant'Agnese, per ricono-
scere le nostre posizioni e disporre quanto ers^
Siamo alla vigilia
103
necessario per l'attacco. Quella visita fu salutata
da qualche colpo di cannone che non feri nes-
suno, secondo il solito. Qualche altro colpo di
cannone fu tirato da Porta San Lorenzo, non si
seppe veramente a chi, e senza danno.
Il generale Corte, col maggior Pelloux ed il
maggiore Vivanet, ispezionarono lo spazio com-
preso fra le vie Salara e Nomentana per trovarvi
un posto adatto alle batterie da posizione desti-
nate ad aprire la breccia nella cinta Aureliana;
facile compito perch non terrapienata n difesa
da artiglierie. I comandanti delle divisioni, alla
loro volta, esploravano le zone di terreno nelle
quali doveva svolgersi la loro azione, con i loro
capi di stato maggiore ed i comandanti delFar-
tiglieria dipendenti da ciascuno d loro.
Tanto per far qualche cosa anche noi, rifa-
cemmo la via Nomentana fino a Sant* Agnese
ed all'osteria del Mangani. Andammo a vedere
l'affresco del Tojetti, nel quale raffigurato il
pericolo scampato da Pio IX quando rovin il
palco d' una stanza attigua alla chiesa per es-
sersi spezzata una trave: stemmo a curiosare
dove preparavano il posto per collocare le bat-
tere del
7
artiglieria, comandate dai capitani
Buttafava e Faella, addette alla
12*
divisione.
Poi tornammo ancora verso Ponte Nomentano
e Casal de* Pazzi, dove altri corrispondenti d
giornali, accantonatisi a Monterotondo per scan-
sare r inopia de' viveri e il pericolo d dormire
al sereno, erano venuti a domandare notizie.
Come fu interminabile quella giornata ! Le ore
non passavano mai, pur occupandone molte
nello scrivere, nel riordinare gli appunti presi
e
104 ALLE PORTE DELLA CAPITALE d'iTALIA
nel prepararne altri. Ma non v'era caso! il sol
pareva immobile e non accennava a declinare
sull'orizzonte. La divisione Gosenz rimasta al di
l di Ponte Salaro si avanz nel pomeriggio pas-
sando i ponti di barche, ed estese la sua fronte,
a destra della via Salara, spingendosi verso
villa Borghese e la collina del Pincio che si di-
ceva fortemente munita.
Sul tramonto, poich anche quel giorno il sole:
fin col decidersi a tramontare, vi fu il solito
convegno di
"
dilettanti
a ponte Nomentano.
Venne a far conversazione anche il general Masi,
r antico comandante dei cacciatori del Tevere
nel 1860, chiamato dal governo da Palermo per
affidargli il comando della piazza di Roma appena
occupata. Prima di notte giunse da Casal, de'
Pazzi la conferma di quanto tutti dicevano. Que-
sta volta era proprio la buona: il generale Ca-
dorna aveva mantenuta la promessa di avvertire
i suoi collegiii della Camera. Arrivabene mi sus-
surr in un orecchio :
Per le cinque e mezzo
precise.
Rientrammo di buon'ora a vigna Tosti, tanta
era l'ansia che quella notte passasse presto. Rac-
cogliemmo le nostre robe, e andammo a riposare,
vestiti in modo da esser pronti da un momento
all'altro a qualunque evento. A riposare, non
a dormire, perch l'inquieta bramosa non ci
lasciava chiudere occhio. 1 giovinoti! nati dopo
il 1870, se leggeranno questo libro
ma proba
bilmente non lo leggeranno, perch tratta di cose
delle quali si occupano generalmente molto di
rado
non capiranno
U
perch di quell'inson-
nia. Me ne dispiace per loro; i ricordi di quella
Ansiosa aspettativa 105
Inette
che precedette il pi grande avvenimento
del secolo, sono scolpiti nella mia memoria come
cosa d'ieri; e per aver passata li quella notte ed
essere entrato il giorno dopo in Roma per Porta
Pia, mi pare di poter dire che non mi mancata
*^
almeno nella vita una grande soddisfazione.
^,
Ricordo che, dopo essermi girato e rigirato un
^pezzo sulla paglia senza trovar posa, mi decisi ad
1 uscir fuori a fumare. Era verso la mezzanotte.
Una linea di fuochi circondava tutta la parte
della citt che non vedevo, ma indovinavo
nel-
l'oscurit di quell'ora. Altri fuochi ardevano lon-
tani sulle montagne di Tivoli e i colli Tusculani.
Il silenzio era alto e solenne, bench trenta mila
uomini fossero riuniti l intorno, in uno spazio
relativamente ristretto.
Mi buttai di nuovo sulla paglia e m'addor-
mentai. Alle 4 eravamo in piedi tutti, a lavarci
il viso suir aia, facendo secchiello con le mani
air acqua che il vignarolo ci versava da una
brocca di terra. Il conte Arrivabene s'era fatto
spolverare con ogni cura il costume di velluto
da caccia, e pulire gli stivali lucidi con gli sproni
d'argento, e col cappello Lobbia inclinato
a de-
stra pareva pronto ad andare a una festa. Il
conte Greppi tradiva l'impazienza
percorrendo
l'aia a lunghi passi e fregandosi con energia le
mani fra loro
;
il Mondelli era calmo, ma guar-
dava l'orologio ogni mezzo minuto.
Cos aspettammo le 5 e mezzo
antimeridiane
(lei giorno 20 settembre,
VI.
Il 20 SETTEMBRE.
L'ASSALTO.
Come furono annunziate le
5V2
antimeridiane del 20 set-
tembre 1870.
La divisione Maz de la Roche e le bat-
terie da posizione.
Una fila di fantasmi marmorei.
I
primi feriti.
A porta San Pancrazio ed a porta San Gio-
vanni.
Ai tre archi.
S'incomincia a veder la breccia.
La ban-
diera bianca.
Il corpo diplomatico a Villa Albani.
L'ra nuova d'Italia.
Gli albori del crepuscolo mattutino comincia-
vano a tingersi del croceo color dell'aurora sul
quale si disegnava gi chiaramente la bruna
massa delle mura di Roma. L*ora si avvicinava.
Istintivamente, per uno di quei fenomeni che il
ragionamento non vale a spiegare, tacevamo,
trattenevamo quasi il flato, per timore che qua-
lunque rumore ci distraesse. A qualciie distanza
da noi sentivamo il rumore sordo delle pedate
di molti cavalli per le viottole erbose, e pi
lon-
L'alba del 20 settembre 107
iaiio ancora quella specie di rombo cupo pro-
dotto dalle artiglierie quando muovono a lento
passo: neppure un suono di voci.
Il distacco fra il color bruno delle mura e quello
del cielo fattosi roseo appariva sempre maggiore:
la nostra trepidazione solenne. Uno, poi due, poi
tre, poi altri orologi di chiese e di campanili bat-
terono il primo tocco delle cinque e mezzo : poi
il secondo, poi il terzo.... Quante voci diverse e
strane hanno le campane degli orologi!... Al terzo
colpo delle cinque rispose un colpo di cannone,
poi un secondo, dalla parte di porta San Lorenzo
e al di l di porta Salara. Oramai cosa fatta
capo ha! Non si torna pi indietro!
L'aria era pura, odorosa; la mattinata bellis-
sima, senza una nuvola in cielo. Moviamoci ! an-
diamo a Roma.
L'ho detto fin da principio. Non ho la pretesa
(li scrivere n un libro tecnico n un libro storico.
Intorno all'azione militare delle nostre truppe
nella giornata del 20 settembre 1870 esistono do-
cumenti ufficiali che ognuno pu leggere e, se
crede, anche imparare a memoria. Se, per dare
alla narrazione un ordine complessivo, e per
non farla monca e spezzata accenner breve-
mente a quanto accadde dove io non ero pre-
sente, sulla fede di relazioni ufficiali o di testi-
moni oculari, racconter pi particolarmente
quanto ho veduto ed ho notato mentre avveniva.
Descrivendo come potr meglio i movimenti
dello truppe, devo necessariamente riportarmi
alla topografia del terreno quale era venticinque
anni sono, differentissima da quella attuale, spe-
cie nella plaga pi prossima alla citt. Por^s^
108 IL 20 SETTEMBRE
-
l'ASSALTO
Salara, eh' era alla destra della nostra princi-
pale fronte d' attacco, dista da porta Pia 260 o
270 metri soltanto. Un tratto di strada assai
larga unisce le due porte esternamente alla cinta.
Al di qua della strada e parallelamente alle mura
esisteva allora un altro muro, adesso scomparso,
come sono scomparsi gli avvallamenti del ter-
reno esistenti nella zona fra la citt e villa
Albani. Non ostante quelli avvallamenti, era fa-
cile il collocare le artiglierie, come erano state
collocate, In posizioni elevate di fronte al livello
della strada di circonvallazione. L'artiglieria di-
visionale aveva l'incarico di controbattere quella
delle opere della piazza: le batterie da posizione
della riserva dovevano aprire la breccia in un
punto qualunque delle mura, nel breve tratto
compreso fra le due porte. L' assalto principale
alla piazza doveva esser dato dalle divisioni Go-
senz a destra del nostro fronte, e Maz de la
Roche a sinistra.
Il generale Maz de la Roche aveva collocato
la brigata Bologna
39
e
40
a sinistra della
via Nomentana: il
39
era nel parco della villa
Massimo: il
40
all'altezza di Sant'Agnese: il
35
battaglione bersaglieri a villa Tor Ionia. La brigata
Modena
41
e
42
fu collocata a destra della
strada dietro un rialzo di terreno sul quale
costruita la vigna Bonesi, che ci dissero allora
appartenere al seminario Irlandese. Con la bri-
gata Modena v'era il
12
battaglione bersaglieri.
Due battei-ie della
13*
divisione stavano a villa
Bonesi: quattro pezzi della terza a villa Diez;
una sezione sulla via Nomentana per contro-
battere il tiro de' pezzi di porta Pia.
Come erano dis-poste le iruppe lOft
Dietro Sant'Agnese furono collocati anche gli
squadroni del reggimento Aosta addetti alla
12*
,
divisione, e poco pi indietro il reggimento lan-
^B^ieri Novara ed i sei battaglioni bersaglieri della
^^iserva, a disposizione del generale Cadorna.
^B La
12*
divisione aveva occupato fino dalle 3 ant.
^Ba villa Borghese con il
35
fanteria e il
21**
bat-
^Kaglione bersaglieri: il
19, che faceva brigata
^B^ol
35, agli ordini del generale Bottacco, stava
dietro villa Albani col
34
bersaglieri. La brigata
Sicilia
61
e
02
era collocata in seconda
linea fra villa Albani e villa Borghese. L'arti-
glieria della divisione era collocata parte a villa
Della Porta a sinistra della via Salara; parte alla
villa del collegio de' Nobili, a 500 metri poco
pi dalla porta.
Due batterie della brigata d'artigliei-ia della ri*
serva comandata dal maggiore Luigi Pelloux fu-
rono collocate sopra un piccolo altipiano dietro
villa Macciolini a 1000 metri dalla cinta: l'altra
batteria a villa Albani, a 400 metri dalla cinta
stessa.
Bisognava trovare modo di abbracciare con
la vista dall'alto quanta maggiore estensione di
terreno fosse possibile. Il belvedere della villa
Belloni, a circa 1200 m. dalle mura, faceva al caso
nostro. Quando vi salimmo parecchi spettatori
ci avevano preceduto: v'era Vincenzo Tittoni,
poi componente della Giunta di Governo ed ora
senatore del Regno, allora esiliato da Roma:
v'era Felice Ferri, altro ricco mercante di cam-
pagna che veniva col Tittoni da Napoli: v'erano
altri emigrati, giunti la sera antecedente o du-
110 IL 20 SETTEMBRE -
l'aSSALT
z i-^Ti
rante la notte per aspettare il momento di rien-
trare in patria.
Una nuvola di denso fumo indicava e nascon-
deva nel tempo stesso lo svolgersi del combat-
timento fra porta Salara e porta Pia, non che a
destra della prima e a sinistra della seconda. Al di
sopra di quella nuvola di fumo, alla nostra si-
nistra, apparivano in alto come lontani fantasmi
le barocche statue colossali disposte in fila sulla
facciata della basilica Lateranense
ecclesia ec-
clesiarum
ed era facile comprendere come
anche porta San Giovanni fosse stata vivamente
attaccata. Tutto invece era In perfetta quiete
dalla parte di porta del Popolo e di Monte Mario.
Con 1 cannocchiali si distingueva benissimo la
precisione di tiro dei nostri pezzi. Vedemmo pre-
sto larghi fori nel muro rossastro a destra ed
a sinistra di porta Pia e nella torre a destra di
chi guarda verso la porta. La sommit di quella
torre era coperta di materassi e da essa, come
dalla sommit merlata del tratto di muro pi vi-
cino alla porta, partivano frequenti colpi di Re-
mington. Le artiglierie dei difensori, collocate
dietro l'opera provvisoria costruita innanzi a
porta Pia, non avevano azione che sullo stradale.
I colpi erano rari e senza efficacia : i nostri sol-
dati li accoglievano con allegre risate. Il maggior
danno che fecero fu di guastare due bellissimi
pilastri barocchi all' ingresso d' un giardino fra
villa Patrizi e villa Torlonia ; due di qua* pilastri a
sagome e scartocci, sormontati da grandi vasi
coperti d'edera e di rampicanti, che offrono sem-
pre un
^
motivo
^
ai pittori di paesaggio, od un
fondo simpatico per i quadretti "di genere^.
Veffetto
delle cannofMie 111
1
n sole, levatosi in tutto il suo splendore, tn-
geva di magnifici colori la campagna romana.
I vignaroli, che da prima avevan pensato a fug-
gire, accortisi che il pericolo non era grande e
non corrispondeva al rumore, erano rimasti nelle
oro vigne, aggruppandosi nei punti pi elevati
o salendo sui tetti per godersi lo spettacolo della
"
battuta
.
Spettatori n'erano usciti fuori da tutte
le parti, precisamente come alle grandi manovre.
Erano emigrati, erano abitanti dei paesi pi vi-
cini della Sabina: fatto sta che aumentavano
sempre di numero e d'audacia, si che fu neces-
sario obbligarli a restare indietro. Dietro le bat-
terie di villa Macciolini passeggiavano, Tuna a
braccetto all'altra, due giovani donne.
Le battere della
12*
divisione vanno a collo-
carsi ancora pi avanti. Seguiamo quel movi-
mento : tutti gli spettatori lo seguono. Pochi mi-
nuti dopo una granata cade a non molta distanza.
Lo sbandamento degli spettatori precipitoso
le due giovani donne gridano come disperate.
Ma, poich nessujio rimasto offeso, la quiete
ritorna, gli spettatori si fanno coraggio e vanno
d nuovo ai loro posti d poco prima. Scorsi al-
tri pochi minuti passa vicino a noi una lettiga
portata da quattro soldati del
41
fantera. Vi
giace un artigliere ferito e lo accompagna un
medico militare. La vista di quel primo ferito
produce anche maggiore impressione di quella
prodotta dalla granata caduta. Gli spettatori si
diradano: le due giovani donne spariscono.
Erano fra le 8 e un quarto e le 8 e mezza anti-
112 IL 20 SETTEMBRE -
L'ASSALtO
meridiane. Che cosa avveniva intanto negli altri
punti nei quali la piazza era stata attaccata ?
Di rimpetto a noi, al di l di Roma, sulla riva
destra del Tevere, il generale Nino Bixio aveva
occupato San Pancrazio e villa Pamphili ed in-
cominciato a tirare alle 6 contro porta San Pan-
crazio e i bastioni laterali. Missione del Bixio
era specialmente impedire che i difensori della
citt, riconosciuta la impossibilit di sostenere
un attacco, tentassero di allontanarsi da Roma
verso il mare: doveva essere una dimostrazione
pi che un assalto. Insofferente d'indugi, il ge-
nerale Bixio colloc subito l'artiglieria a 350 me-
tri dalla piazza, al casino de' Quattro Venti, fa-
cendo tacere prestissimo il fuoco delle artiglierie
poste a difesa della porta. Ma dalle batterie de'
giardini del Vaticano quelle di campagna
del
Bixio erano facilmente colpite di fianco, n si
potevano far tacere, prescrivendo
assolutamente
le istruzioni date dal comandante in capo di non
far fuoco sulla citt Leonina. Nello stato mag-
giore del Bixio v'era chi bisbigliava
consiglian-
dolo a rispondere; ma il generale, per quanto
danno facessero quei tiri di fianco e quasi di
rovescio alle sue truppe, non volle
ascoltare il
consiglio n trasgredire alle istruzioni ricevute.
I papalini molestavano le truppe della
2*
divi-
sione anche con tiri di fucileria a traverso le
feritoie praticate in quel tratto della cinta mu-
rata. Per farli tacere il generale fece spiegare
alcune compagnie del
20
e del
33
battaglione
bersaglieri, che risposero al fuoco, coprendosi
come meglio potevano, meritandosi speciale en-
comio ruffciale della guardia svedese Ivan Key,
Dall'altra parte di Roma 113
aggregato al
20''
bersaglieri del quale vestiva
runiforme; il sergente Domenico Del Fante del
33
ed il bersagliere Rosati del 2(f battaglione.
La
9*
divisione (Angioletti), passata la notte a
porta Furba, aveva mosso alle 4 vei*so porta
San Giovanni, divisa in due colonne. La pi forte,
composta della brigata Savona , con 14 pezzi
scortati da quattro compagnie del
27^
fanteria,
fu destinata ad attaccare poi-ta San Giovanni,
agli ordini del maggior generale De Sauget: la
brigata Pavia, comandata dal colonnello briga-
diere Migliara, distaccati due battaglioni in sus-
sidio all'altra colonna, s'avvi verso porta Latina:
ma non avendo trovato da preiidere posizione
adatta per le due sezioni che l'accompagnavano,
prosegui a sinistra e and a cannoneggiare porta
San Sebastiano.
11 resultato dei tiri delle due sezioni essendo
nicdi'K'i'c, il generale Angioletti mand in loro
rinfoi'zo altri due pezzi, mentre faceva avanzare
al bivio delle strade di Frascati e di Napoli una
delle (lue batterie dal De Sauget precedentemente
collocate a villa Mattei. A quella brevissima di-
stanza i colpi furono straordinariamente efficaci,
e la porta cominci presto a cascare a pezzi. I
difensori avevano ritirati i loro pezzi sul bastione
di San Giovanni in Laterano, ma l'azione di essi
era assolutamente nulla. I nostri artiglieri invece
si facevano onore; primi fra gli altri il tenente
colonnello Moreno, il capitano Silvani, il tenente
Mattirolo del
9
reggimento d'artiglieria.
Anche alla sinistra di Porta Pia e di villa Pa-
U'/ la configurazione del terreno molto cam-
biata
per nuove strade e fabbricati che coprono
Pesci. Come siamo entrati in Roma. 8
114 IL 20 SETTEMBRE -
l'aSSALTO
in pai'tc uno spazio allora intieramente scoperto|
Subito al di l della porta sporge in fuori de|
recinto Aureliano, come un gran bastione qua-
drato, la cinta murata del piazzale del Macao o
Castro Pretorio, dopo la quale le mura della citt
vanno in direzione perpendicolare da tramon-
tana a mezzogiorno, interrotte prima da porta
San Lorenzo
,
poi da un taglio praticato nelle
mura per il passaggio della strada ferrata poco
prima d' arrivare a porta Maggiore ed all' altro
saliente di Santa Croce in Gerusalemme. L' in-
gresso della ferrovia in citt, detto dei tre ardii,
era fortemente difeso da un'opera provvisoi'ia.
e da quella parte si faceva gran vigilanza. Un bat-
taglione del 57, avanzatosi la sera precedente
per la via Prenestina fin quasi sotto le mura
(lolla citt, non aveva pituto stal)ilirsi in avam-
posto senza respingere mia sortita de' Pontifici,
ricacciati alla baionetta cUdla
9*
compagnia di
quel reggimento. La mattina del 20 l'artiglieria
della
13^
divisione fu la prima ad aprire il fuoco:
il capo di stato maggiore Pozzolini in persona
fece puntare un pezzo e sparare quel colpo che
aveva fatto sobbalzare tante migliaia di cuori
dentro e fuori di Roma, un colpo di cannone
davvero memorabile nella storia.
Come altrove, cannoni pontifici, foi'se non
avendo l'abitudine d'essere sparati, neppur qui
fecero male a nessuno. Tirarono pochi colpi mal
diretti, poi tacquero: continu vivo il fuoco della
fucileria, non ostante il quale, la G*^ batteria del
7**
apri il fuoco a 300 metri delle mura, mentre le
colonne d'attacco, formatesi con grande calma,
erano andate a mettersi a meno di cento metri
Ai tre archi Ili
dalla
citt, sulla via Prenestina e la \ i.i Mal.i-
barba clie convergono a porta San Lorenzo.
Il maggiore Pelloux , dopo essere stato un
pezzo a
cavallo, immobile, aveva messo ]>iede
a terra e passeggiava tranquillamente dietro i
pezzi da 9 centimetri e dava di tanto in tanto
una guaiolata col caimoccliiale vei*so le mura,
al punto d' arrivo dei proiettili. Dal polverio di
fiantumi e di calcinacci che s'inalzava ad ogni
c(jlpo, giudicando ben diretti i tiri, ordinava che
si acci-cscesse l'intensit del fuoco ed il rombo
dei 18 pezzi da posizione copriva presto il ru-
more delle batterie divisionali e (|uollo della mo-
sclietteria che crepitava come grandine (tta ca-
dente sopra una tettoia di cristalli. Le macerie
cominciavano a staccarsi dalle mura bersagliate:
relTetto de' proiettili scorgevasi ad occhio imdo.
Quando, durante una breve pausa nel camio-
Tieggianento, l'aria mossa strappava il denso
velo di fimio, si vedeva facilmente che la brec-
cia diventava sempre pi larga. Il muro al di
qua della strada ovn andato in briciole con po-
chi colpi.
Anche Porta Pia mostrava gli effetti dei tiri
delle batterie da campagna della
12*
divisione.
Nelle quattro colonne, nel timpano, nel fregio
sottostante, negli stipiti della porta, nella parie
superiore di essa dove scolpita una lunga iscri-
iie latina, i travertini erano scheggiati e rotti
ualle granate: la statua di Sant'Alessandro era
Iapitata:
due o tre tiri pi alti erano andati
olpire l'imagine colossale della Madonna di-
la a fresco nella parte interna. Nelle nmra
110 IL 20 SETTEMBRE -
l'aSSALTO
rossasti-e i colpi delle granate apparivano come
tante macchie.
Le batterie da campagna seguitavano a finire
a regolari intervalli senza gran fretta.
11 generale Maz de la Roche riconol)l)C la ne-
cessit di occupare villa Patrizi, nella quale il
nemico s'era stabilito. Vi mand il maggior Ca-
stelli col
35
battaglione bersaglieri, per un'aper-
tura praticata dal genio in un muro divisorio fi-a
villa Torlonia e villa Patrizi. 11 nemico sloggiato
a viva forza dall'impeto delle compagnie coman-
date dai capitani Fche, Barlassina, Viola, si ri-
tir sollecito dentro Porta Pia, tornando per a
molestare la sinistra della
12*
divisione da dietro
le mura del Castro Pretorio. 11 generale Maz
mand allora alcuni pezzi sopra un'altura di
villa Torlonia a battere il Castro Pretorio e(n
tiri in arcata: altri pezzi colloc sulla via Xo-
mentana per compiere lo sfacelo delle difese di
Porta Pia. La fanteria seguiva il movimento avan-
zando; ma le fucilate dal Castro Pretorio la mo-
lestavano e giungevano anche a molestare lo,
batterie di posizione del maggiore Pelloux col-
pendole di fianco. Tre caporali di quelle batterie,
Piazzoli, Agostinelli e Corsi, erano caduti morti*
o mortalmente feriti: erano feriti anche tre can-1
nonieri. Bisognava occupare il fabbricato della|
villa e rispondere fucilate alle fucilate. L'occu-t
pazione era tanto pi necessaria, in quanto clie^
sulla torretta di villa Patrizi doveva essere IsJ
sata una bandiera la cui comparsa sarebbe stata-
li segnale di cessare il fuoco delle artiglierie ed
assalire la breccia. Tocc al
2*
battaglione, del
39
fanteria, comandato dal maggiore Tharena
Le hatte'ie da posizione 117
l'incarico d'impadronirsi del fabbricato. La
6*
com-
pagnia, con la bandiera del reggimento, fu la
prima a traversare lo spazio fra il muro di cintii
e la casa del giardiniere, spazio battuto eflca-
remente dai fuochi di moschetteria del Castro
Pretorio. Un caporale e un soldato furono feriti;
subito dopo, il capitano Cesare Bosi cadde col-
pito da una i)alla al braccio sinistro. Alle pre-
uiui-e dei soldati clic gli si affollavano intorno,
rispondeva incitandoli ad andare avanti, a non
occuparsi di lui. Raccolto e trasportato all' am-
bulanza, pi tardi in un ospedale di Roma, do-
\eva quasi un mese dopo lasciarvi pur trop|)o
la vita. Il tenente Sanipieri sostitu il capitano
i'osi nel comando della compagnia , la quale
dalla casa del giardiniere -si inoltr vcreo la
torre, e protetta poi da un boschetto arriv
al
lal^bricato principale: il resto del 'Z"" i)aitaglione
le tenne diotiM. Un plotone occup il piano su-
IK'riorc. un secondo and a rinforzarlo, ed am-
bedue cominciarono un vivo fuoco contro i di-
lensori del Castro Pretorio, alle fucilate de' quali
continuava a rispondere anche il
:'.:"
battaglione
bersaglieri.
Alle U l'artiglieria papalina di Porta Pia era ri-
dotta al silenzio: il trinceramento esterno scon-
(juassato, i difensori ritiratisi per la maggior
parte al Castro Pret(M-io o nella villa del prin-
cipe Carlo Napoleone Bonaparte, il giardino della
<iuale occupa lo spazio compreso fra Porta Pia e
porta Salai'a. Il principe, cugino in sc^condo
grado
di Nai)oleone III e tenente colonnello in un reggi-
mento francese, combatteva valorosamente
in
(luei giorni a Metz con il maresciallo Bazaine,
118 IL 20 SETTEMBRE
- l'aSSALTO
mentre la guerra
gli metteva a soqquadro la
casa in Roma.
Cacciati di qua e di l, ora respinti da qualche
ufficiale che non voleva
"
borghesi
fra i piedi,
ed a cui troppo ci sarebbe voluto e forse non
avrebbe servito a nulla l'esporre l'essere nostro
dall'a alla ::eia; ora accolti da strette di mano
e da sorrisi cordiali di buoni amici
;
ritraver-
sammo un'altra volta lo spazio fra le due strade,
dalla Nomentana verso la via Salara, per andare
a vedere clie cosa v' era di nuovo nella zona
d'azione della divisione Gosenz. Ho detto quali
disposizioni avevano preso all'alba le truppe. \\
rimasero per qualche ora: ma perch difen-
sori della piazza di porta Salara tiravano a breve
distanza contro la batteria da posizione di villa
Albani, il Cosenz mand per sloggiarli i tii*a-
tori scelti del
34^
bersaglieri e del
19
fanteria.
E poich dal Pincio le artiglierie nemiche mo-
lestavano la sua destra, il generale fece mettere
in batteria una sezione a villa Borgliese
per
controbatterle. Questa era la condizione
delle
cose, alle 9 ed un quarto circa, quando, sboccati
sulla via Salara di fronte a villa Potenziani,
dove
erano i cassoni della brigata da 9, ci dirigemmo
correndo verso la villa Albani dove il generale
Cadorna, fino dalla mattina, dopo breve sosta a
vigna Boiicsi, aveva stabilito il suo quartiere
ge-
nerale, in mozzo alle meraviglie dell'arte antica.
Quando vi giungemmo, il Cadorna aveva man-
dato ai generali Cosenz e Maz de la Roche
l'ordine di far avanzare sempre pi vci*so
la
citt le colonne destinate airassalto. Quegli
che
l)ort
tale ordine, di somma importanza e deci-
Le colonne d'attacco
119
sivo, fu il capitano di stato maggiore Bogliolo
un ex Ijersa.uliei-c
doveva tener pronti
quei due reggimenti della brigata Modena per
lanciarli all'assalto della breccia, mentre la bri-
gata B(3logna sarebbe montata all'assalto di Porta
Pia: il
35
bersaglieri ^ra unito alla brigata Bo-
logna: il 12, comandato dal capitano Leopoldo
Serra in vece del maggiore Novellis di Coai-azze
l'.innalato, doveva precedere la brigata Modena.
Anche le truppe della
11*
divisione si avanza-
no per la via Salara, per gli orti e per i giar-
dini adiacenti, superando vari ostacoli ed aprendo
passaggi nel nuu'i divisori. Il generale Bottacco,
' 1
sottenente Luigi Bono suo aiutante di campo
cosi si chiamava allora rutlciale d'oi-dinanza
il capitano Vinassa di stato maggiore ed il
lente Zanotti de' lancieri d'Aosta, preceduti da
I
drappello del genio, comandato dal tenente
120 IL 20 6ETTE5IBRE
-
l'ASSALTO
Stura, si spinsero fin sotto la breccia, avendo it^
generale avuto l'incarico dal Cadorna di vedere
se fosse realmente praticabile. Erano appiedati
come lo erano ormai quasi tutti gli ufficiali ge-
nerali e superiori.
Ho detto .che il terreno compreso fra le vie
Nomentana e Salara era separato dalla strada :
di circonvallazione esterna da un avvallamento
,
la cui sponda s'alzava scoscesa dalla parte della
strada stessa; pi alta e scoscesa quanto pi vi-
cino a porta Salara ed a villa Albani. La colonna
d' attacco della divisione Cosenz , formata dal
34
battaglione bersaglieri e da alcune compagnie
del
19^
fanteria, alla testa delle quali era il colon-
nello Garin di Cocconato , doveva per conse-^
guenza salire prima dalle vigne e dagli orti sulla
strada, poi dalla strada arrampicarsi sui rottami
delle mura ablmttute fino al terrapieno del parco
di villa Bonaparte. Cosi , ma forse con minore
difficolt, perch la proda era meno scoscesa, la;
colonna d'attacco della divisione Maz de la Ro-/
che, cui marciavano in testa il IS"* bersaglieri e
un battaglione del
41
maggiore Qucirazzii. ;
Alle dicci tutti erano pronti. I pezzi da
pos-f
zione tiravano ancora frequenti colpi ad intoi-'
valli regolari, quasi cadenzati. Ne tirarono iii;^
tutti 835. Al valore storico di quelle cannonate,^
siamo sincori, credo che in quel momento nes-*
suno pensasse. Gli artiglieri, sporchi di fumoi-
di polvere e di sudore, introducendo nella bocca!
dei loro pozzi le cariche e le granate non so-|
gnavano neppure di star lacerando le conces-i
sioni di re Pipino. Ma ormai nell'animo di tutti,
anrlo de' fantaccini pi ignari,
r-'
..,.... ....^
Jl segnale dell'aifKtUo 121
sciuto, radicato il convincimento che la data del
20
settembre 1870, di quel p^iorno nel quale gii\
il sole era alto nel cielo, sarebbe stata una delle
pi celebri date nella storia del mondo: tutti
erano compresi dall'idea che in quel porno stesso,
la citt Eterna, Vurbs caput mundi, l'antica re-
gina del mondo conosciuto, la Roma de' Cesari
e dei Pontefici, la Roma del 1849, sarebbe dive-
nuta italiana, la capitale d'Italia; tutti intui-
vano che, passato quel vecchio muro ormai
squarciato, era compita l'unit della patria.
VA i pezzi da nove tiravano ancora....
Alle dieci il iiia^i^iioit.' lliarona del o'.)'', col te-
nente Fontaiiive aiutante mag:p:iore in
2*
ed il
sottotenente portabandiera Gaetano Lu?;li, s;il-
ii:ono sulla torretta di villa Patrizi e v'inalberano
la bandiera tricolore del reggimento. il segnale
convenuto fra il comando generale ed i coman-
danti delle divisioni e delle artiglierie perch
queste cessino il fuoco, e le colonne gi pronte
marcino all'assalto. Una grandine di palle di Ibe-
rni ngton saluta i colori italiani e i tre valorosi
ufficiali che li hanno inalzati: il fuoco di mo-
sclicttcria diventa pi fitto da Castro Pretorio,
(la Porta Pia, dalla breccia, i difensori delle
quali si riparano e si nascondono dietro gli
alberi di villa Bonaparte. La gran voce del can-
none tace.
Da villa Patrizi, il
39^
si avanza all'assalto di
Porta Pia. Ve un momento d'agitazione, di dub-
bio. Una tromba ha suonato cessate il
foc...;
corsa la voce che al Castro Pi'etorio a Porta
Pia svoutola la >aiirliora iMaiirn. I,c fucilate si
122 IL 20 SETTEMBRE - l'ASSALTO
fanno pi rade, ma ricominciano subito dopo
con maggior lena. Numerosi zuavi appariscono
dietro il riparo esterno della porta: i bersaglieri
del
35"
scambiano con loro delle fucilate a po-
che diecine di metri : il maggior Castelli soddi-
sfatto dei suoi bravi bersaglieri, li esorta, burbero
in viso, con tutte le delicatezze del dialetto ve-
neziano. Il colossale maggiore Tavallino del
7
ar-
tiglieria, comandante la brigata addetta alla
12*
di-
visione, poich la sua parte gi fatta, va a dare
un'occhiata a quello che fainio 1 compagni d'arme,
pronto magari a dar loro una mano.
I colpi del- nemico hanno ferito alcuni soldati
del
39^:
il colonnello Belly osserva tranquilla-
mente che non si pu star li fermi a prender-
sele: bisogna andare avanti o tornare indietro.
Le troml>e danno i segnali deW cwatUi, atienti
per l'attacco: il generale Angelino e il colonnello
Bell3^ sono alla testa del reggimento,
mentre
sfila di corsa nel giardino davanti al generale
Maz de la Roche, che ancora a cavallo, colla
sciabola in pugno, dice parole di esortazione e
di lode. Dal cancello della villa, che sta proprio
dirimpetto alla Porta Pia, i plotoni del
39*^
irrom-
pono all'assalto del trinceramento che la difende:
vi giunge primo il tenente Arrigo col primo plo-
tone della
1^
compagnia e supera la scarpa se-
guito da vicino dal caporale Giordano e da altri
soldati : quasi contemporaneamente arriva
al
ciglio dell'opera il maggior Tharena con
un pugno
di soldati del suo Imttaglione: il secondo.
Alcuni
adono feriti
;
molti fanno fuoco dentro la porta:
altri aiutano i sopravvenienti a superare la prima
scarpa. Salgono sul ciglio il colonnello Belly
ed
La hriijaia Bologna 123
il generale
An^eliiit' : \i sal<^ il generale Mn/.
de la Roche, mentre i primi, suiicrato un fosso
che si sono trovato davanti, superano anche un
rondo riparo e si trovano dentro lo spazio com-
preso fra il corpo esterno e quello interno della
porta, bizzarramente costrutta e decorata dal
r.iionarroti.
Ik\
.W s' unito il \\) laiiicii.i ; iiim (ici pruni
Sciali del reg^^imento che supera la barricata
jerna il tenente Auj^usto Valenziani, romano,
sioso non soltanto di entrare in patria, ma di
rivedere, di riabbracciare la vecchia madre. Una
fucilata lo uccide.... Il tenente colonnello Davide
Giolitti
un ex bersagliere egli pure, bel tipo
di soldato della vecchia scuola
ed il capitano
Giovanni De l'errari sono feriti, ma non lasciano
'1
loro posto. Superate le difese di Porla Pia, non
iiza sagrifzio d'altri feriti, inalzata dai difen-
sori l)andiera l)ianca, la colonna di sinistra della
1 J
'
divisione entra nella piazza, fermandosi su-
bito, per ordine del generale Maz de la Roche,
appena imboccata quella che allora chiamavasi
via di Porta Pia ed ora si chiama via Venti Set-
La colonna di destra della divisione Maz,
<l(*stinata ad assalire la breccia, era composta
come ho gi detto
della brigata Modena,
iierale Cai-cliidio, e del
12^
battaglione bersa-
rliori, capitano Leopoldo Serra. Giova ratmnen-
e che all'assalto della breccia era destinata a
bperare anche una colonna della
11*
divisione
Cosenz,
Pare accessibile.
Vado a provarla,
rispose il capitano.
E poich l'ordine dell'assalto veniva allora ap-
punto trasmesso al Carchidio dal comandante la
divisione, il
12
bersaglieri rapidamente avanz.
Per la prima volta il nostro esercito si trovava
di fronte ad armi capaci di un fuoco tanto celere
come quello che usciva da quelle mura italiane
agli italiani contese. Bisognava affidarsi allo
slancio de' nostri bersaglieri e far cessare il
fuoco con la bajonetta. Il
12
battaglione, avan-
zando sempre di corsa, attravers la linea oc-,
cupata dal
34
battaglione
della divisione Co-
senz
traendo seco in quell'impeto un plotone
di quel battaglione, agli ordini dell'ardimontoso i
sottotonente Pasquale Carino.
'4
Superato il ciglione fra i campi e la strana
dif
circonvallazione, attraversata la strada tutta in-|
gombra di grossi rottami, il battaglione era giunto
|
ai piedi della breccia, quando, quasi nello stesso'
momento, da colpi di rcmington sparati dall'alto
in basso, furono contemporaneamente feriti alle
gambe il capitano Serra e il capitano Andrea
Ripa. Atterrato sul posto dove ricevette la ferita
n
120 berMglieri 125
m
he (nialclie settimana dopo lo trasse a morte,
erameiite ribelle alla necessit che lo costrin-
va a lasciarsi oltrepassare dai suoi bersa-
lioi'i slanciati all' assalto, il Ripa non permise
d
alcuno, neppure al suo attendente, di fermarsi
soccorrei-lo : ma da terra levando alto il brac-
cio, la sciabola e la voce, eccitava i sopravve-
ienti gridando giocondamente: Avanti! Savoja!
Il Serra, ferito meno gravemente
la palla
va
speziato al Ripa la tibia ed il peroneo
t, a botta calda, salire sulla l)reccia col suo 12,
e dopo pochi secondi l'aveva superata ed era
tto riunito. Primo a giungere al ciglio ed a su-
rarlo fu il sottotenente Federico Gocito
oggi
lonnello comandante il
47
fanteria
il cui
me sar per ci sempre
caro alla patria ed
norato da ogni italiano.
[^
La gloriosa pi'iorit mestala alloi'inala dallo
jsso capitano Serra
oggi maggiore della
iserva
ed d'altronde solennemente dichia-
Lta nel decreto dell'I 1 dicembre 1870 col quale
spunto fu conferita al Cocito la medaglia
d'ar-
gento al valor militare ""per essere stato il pruno
'
a superare il ciglio della breccia,
mostrando
"
sempre esemplare e splendido coraggio ed egre-
''giamente coadiuvando il suo capitano signor
"
Casnedi
che con la sua compagnia s'era lan-
ciato primo all'assalto, e ch'ebbe egli pure la
medaglia d'argento, insieme con il Ripa, ed i te-
nenti Palazzi e Sorgato. Il Serra
poi insignito
(iella croce di cavaliere dell'ordine militare
di
Savoja
bench mal fermo per la ferita
toccata
i pi della breccia, trovatosi a fronte uno zuavo
126 IL 20 SETTEMBRE
- l'ASSALTO
appena fa fra le aiuole fiorite della villa Boiia-
parte , lott corpo a corpo con lui. Caddero
entrambi: i bcrsag^lieri Ferdinando Soprano di
Nocera, Serafino Natali e Giuseppe Galli di Bo-
logna corsero in sua difesa, e il Serra dovette al
oro soccorso di non rimaner soccombente. Per
quanta fosse la forza dell'animo suo, egli fu co-
stretto a lasciarsi trasportare sanguinante e mal-
concio nella villa Bonaparte dove rimase per
due o tre iJ:iorni.
Al momento dell'assalto del
12
coincideva il
doloroso caso della morte del maggiore Pagliari
comandante del
34
bersaglieri. Questo batta-
glione era appostato in posizione molto avan-
zata ma bassa e coperta. Vedendo irrompere il
12
battaglione, il maggior Pagliari, fattosi an-
cora pi innanzi per verificare personalmente
l'accessibilit della breccia e portare il battaglione
all'assalto, fu colpito in pieno petto. Kra ancora
a cavallo. Gli stava vicino, fra gli altri, il capi-
tano Bogliolo che, parendogli di non aver fatto
abbastanza esponendosi al gravissimo rischio di
percorrere la nostra fronte da Porta Salara a
Porta Pia, volle ancora unirsi ad una delle co-
lonne accorrenti all' assalto della breccia sulla
quale fu uno dei primi a salire.
Gli ufficiali e bersaglieri del
34
battaglione,
vedendo cadere il loro maggiore, cui seguivano
ansiosi di cimentarsi col nemico e gareggiare di
valore con i loro com]>agni del l-J"". si jirocihifn-
rono a vendicarlo.
La contemporaneit dell' assalto daio uai i:.'"
bersaglieri e della morte del comandante del
34
fece si clic 1 due fatti furono l per l fusi in-
II maggiore Pagliari 127
sieme e n'usc di primo getto l'errata voce che
il
34^
fosse stato primo a salire. A conformare
l'equivoco contribu l'assenza del ni:i;rjjriore del
1*2
la ferita del capitano che lo comandava. Per
luanto
l'avvenuto fosse esattamente esposto nelle
relazioni offirMali. e chiarito anche da un'inchiesta
^dinata dal ministero, si propag l'equivoco nei
iniali ed anche in scritti di carattere storico.
storia che vorr tenersi a tutta l'esattezza
\\ vero, atti'ibucndo al
34'*
il generoso sagrifzio
suo comandante ed il valoroso concorso al-
izione militare di quella storica giornata, non
itr negare al
12
la fortunata precodonza
di
rer scalata la breccia.
[Contemporaneamente al IJ
t^ ir>.i^nri i r>aliva
breccia la l*^ (compagnia del
19^
fanteria, sc-
iita dalla
3^^
del reggimento' stesso. Erano alla
o tosta il colonnello Garin di Cm'conato. il
tpitano Maccagno comandante la t*. il tenente
Inni, il maggiore Rottini e l'aiutante maggiore
adolla. A questa l** compagnia del
10
si pre-
itava appunto un parlamentario pontificio an-
inziando la resa.
ilo detto che il generale Cadorna aveva sta-
ilito il suo (juartior generale nella villa son-
tuosa nella quale, alla met del secolo scorso, il
cardinale Alessandro Albani raccolse, seguendo
i consigli del Winokolmann, un prodigioso nu-
mero di statue, di l)usti, di bassorilievi, di sar-
Ifaghi,
d'iscrizioni, di colonne; vero tesoro ar-
tict) ed archeologico che i francesi saccheg-
irono allegramente al principio del secolo,
e
e 11 principe Torlonia compr nel 18GG, con la
128 IL 20 SETTEMBRE - l'aSSALTO
villa e i teri'eiii annessi, per circa quattro mi-
lioni. Non si poteva trovare un luogo pi mo-
,
numentale per dirigere le operazioni militari con-
tro l'inclita citt de' monumenti di due civilt.
Gli ufficiali di Stato Maggiore, gli aiutanti di
campo, andavano e venivano per 1 portici, i ve-
stiboli, le gallerie del piano terreno, fra le statue
di Faustina, d'Agrippina, d'Adriano e di Pallade.
V'era qualche cosa di stranamente fantastico in
quel nuovo clamore guerresco che turbava la
lunga quiete di quella muta
popolazione d'ermo
e di statue; ma il fumo e la polvere non pote-
vano davvero offuscare gli splendori di quella
residenza veramente regale.
inutile dire che, non soltanto gli ufficiali ad-
detti al comando del
4
corpo i quali rimasero
nella villa tutto quel giorno, ma anche le truppe
raccolte per parecchie ore nelle vicinanze e ne'
giardini della villa stessa non vi fecero il pi
piccolo danno. Da parte de' pontifici v'era un po'
meno di rispetto per le antichit, e pare che il
timoi-e di sbocconcellare un bassorilievo od una
statua non li trattenesse dal tirare contnua-
mente fucilate contro la villa. Il generale Cadorna
che spesso, col colonnello Primerano o con qual-
che altro ufficiale, saliva sull'osservatorio da dove
vedeva stesa ai suoi piedi, come una carta topo-
grafica, la parte principale del campo d'azione,
fu preso pi volte di mira; le palle dei Remington
fischiarono ripetutamente vicino alle orecchie di
lui e di chi era con lui. Palle di Remington ne
arrivavano da per tutto, anche al primo piano
e nelle sale terrene, specie in quelle meglio bat-
tute dai tiri della Porta Salara. Ne arrivarono
4
.-1 villa Albani 1 _
M. all'ultimo, quando gi si stava trattando per
irmistizio. Il capitano Buschetti stava scrivendo
Il ordine, per incarico avutone dal generale,
'
.pra un tavolino di marmo nella gran sala ovale
el primo piano. Il guardiano della villa, pieno
li spontanee premure per gli
"
usurpatori
,
entr
Il quella sala con un cestino di bellissima uva
ippena colta e Io pos sopra la tavola in mezzo
illa stanza. Il capitano, assetato come eravamo
utti, si alz dal seggiolone dorato e coperto di
lamasco, per andare a prendere lin grappolo
; rinfrescarsi.
J|ra appena alzato, quando una palla forando
I^Ketro
and a conficcarsi nella spalliera del
"8igi
olone....
Fortunatamente nessuno degli ufificiali del quar-
ier generale rimase neppur leggermente ferito:
na a chi capit a Villa All)ani durante la matti-
nata, parve (piasi un miracolo ciucila generale in-
ioluinit.i.
bandiera bianca fu alzata simultaneamente
if quasi tutti i i)unti della cinta assaliti e difesi.
L'ordine fu mandato dal generale Kanzlcr che
stava in Vaticano a disposizione di Pio IX. Si
afferma
che il Papa, il quale aveva ceduto al
consigli
del partito militare estero, contraria-
mente al parere del cardinale Antonelli, ordi-
nando la resistenza tanto per obbligare le truppe
italiane
ad entrare in Roma per forza, sollecitasse
poi
il termine di un inutile spargimento di san-
gue.
Si disse allora altres che il conte d'Arnim
[esse
vivacemente dimostrato al Papa la ne-
it della resa. Sar difTicile stabilire in quale
5Cf. Camp f)iamn rv frati tv Tfnvia.
9
130 IL 20 SETTEMBRE
-
l'ASSLI
misura la volont d Pio IX e quella delle
per-
sone che lo circondavano e consigliavano ab-
biano ciascuna contribuito a far cessare il fuocc
de' difensori. Debbo rammentare per un parti-
colare che potrebbe avere qualche valore sto-
rico. Nelle vetrine di un Frezza venditore d
stampe, che stava sull'angolo di via Condotti
dove ora e da molti anni la bottega dell'orafe
Marchesini, fu esposto alcuni giorni dopo il 20 set
tembre un acquarello di fattura discreta, ne
quale era rappresentata una scena che sarebbe
avvenuta in Vaticano la mattina del 20 settem
bre. Vi si vedeva il Papa con qualche cardinale
tutti seduti, e in mezzo al gruppo vicino al Papi
l'alta persona del conte d'Arnm in atto di par
lar concitato. Quell'acquarello scomparve quas
subito dalla vetrina del Frezza e mi fu asserite
che la contessa d'Arnim
una coltissima dama
d'idee elevate, degna veramente del marito e noi
degna delle sventure toccatele poi
lo avesse
comprato, come un ricordo di famiglia, come
memoria di un fatto cli'essa sola poteva sapen
se fosse stato fedelmente riprodotto dal pittori
il cui nome ho dimenticato.
Comunque sia, la bandiera bianca fu alzate
quasi simultaneamente in ogni punto dove 8
combatteva: alla breccia invece o fu inalzata pii
tardi o non fu veduta subito, e il conflitto coi
I difensori di villa Bonaparte continu qualch
minuto di pi. Un parlamentario fu fermaU
dalla
4*
compagnia del
19
fanteria che, com<
ho detto, aveva con la
3*
salito la breccia quas
contemporaneamente al
12
bersaglieri, e ira
versando la parte del giardino di Villa Bona
Chi ha fatto cessare il fuoco 131
parte
pi vicina a porta Salara, raggiunse poi
rli li la strada fra questa porta e la via di Porta
Pia, oggi via XX settembre. Da questo fatto del-
l' aver
prolungato per alcuni momenti il fuoco,
derivata poi la voce che il maggior Pagliari
mandante del
34
battaglione bersaglieri sia
ito ucciso a tradimento quando era gi stata
inalzata la bandiera bianca. difficile aCfermare
negare solennemente se quella voce fu vera-
mente fondata. Da quanto ho raccontato in que-
sto sto^^so capitolo
in seguito a indagini scru-
jH M-
.1 domande rivolte a testimoni
oculari
era
il solo che avesse statura alta, incesso di rap-
presentante d'una nazione di vincitori, parvenza
di fiorente virilit teutona. Dietro lui cammina-
vano a balzelloni, facendosi male ai piedi, dei
vecchi oppressi dal peso dei ricami dorati e delle
numerose decorazioni, impacciati dallo spadino,
soffocati da cappelh fantastici : la loro fisonomia
esprimeva senza sottintesi la poca o punta sod-
disfazione di trovarsi in mezzo a recenti vestigia
di guerra guerreggiata; molti forse credendosi
mal sicuri e non sentendosi tutelati abbastanza
dalla loro qualit d'inviolabili, in mezzo a gente
che aveva tirato contro le mura di Roma con
artiglierie delle quali potevano scorgere a 300 me-
tri le bocche ancora fumanti.
Poi veniva un altro gruppo pi sparpagliato
di quelli che per lo stento del camminare rima-
nevano indietro, e fra un gruppo e l'altro ed
in coda ah' ultimo, staffieri e servitori vestiti
in strane foggie che ricordavano alcuni curiosi
"
esemplari di collezioni ornitologiche, con panciotti
verdi o canarini, gambe color arancione od aua-
ranto.... Ed i bersaglieri di nuo\o a presentat'arniy
ridevano sotto 1 baffi, senza offesa alla pi se-
vera disciplina; ma pure sui loro volti abbron-
zati e gioviali s'effondeva il sorriso. Quanto era
-
grande, bello il contrasto fra quei
giovanotti :
bruni, aitanti, con le tuniche, i cappelli
piumati, ;
i baffi, le ciglia incipriate di polvere, gli zaini
i
pesanti, i fucili dalle canne brunite, e quella lunga
'
%
f
TI corpo diplomatico 136
;i cosmopolita d'uomini vecchi o maturi che,
irante il loro soggiorno a Roma, avevano as-
bito qualche cosa di Vaticano regio in tutto
insieme del loro aspetto!! E come fondo mera-
ii^iioso del quadro, la cinta d'Onorio squarciata,
breccia gi storica fino da quel momento, co-
lata da altri bersaglieri, sporchi, coperti di
ra, alcuni con l' uniforme stracciata, la testa
ciata, o le mani peste e sanguinolenti....
Dove andavano quei rappresentanti delle po-
ize estere? Che cosa cercavano a villa Albani?
juale ragione li aveva spinti ad uscire dai loro
ilazzi, dove erano stati destati la mattina dal
muore delle cannonate! Venivano in sembianza
lile a implorare la clemenza del vincitore, o
l dell'autorit dei governi da loro
rappresen-
i pretendevano di farci la tara sulle
conse-
Mize inevitabili della lotta? In quella
breve
V aiupagna, s'era sentito parlare tanto
spesso
di
negoziati
diplomatici, d'intervento
diplomatico,
di azione collettiva delle potenze per la tutela dei
diritti del Capo della chiesa cattolica, e di tante
altre cose egualmente ostiche per soldati e per
Italiani impazienti, che l'inatteso intervento
di
tutte quelle giubbe ricamate d' oro ci dava pro-
prio fastidio. Eravamo come chi, secondo il
poeta, sogna il proprio danno, e.... sognando,
de-
sidera sognare
"
si che quel ch', come non fosse,
agogna.
Il conte Carlo Arrivabene, il pi diplomatico
e il
pi considerato di tutto il nostro drappello, s'af-
frett a villa Albani per informazioni e ce le port
quando, una mezz'ora dopo, i capi delle missioni
estere accreditate presso la Santa Sede, ci sfila-
I
136 IL 20 SETTEMBRE -
l'aSSALTO
vano davanti per la seconda volta, direni a iioina.
Questa volta, sa detto ad onore del vero,
ave-
vano un po' meno l'aspetto di gente spaventata:
qualcuno sorrideva bonariamente e rispondeva,
levandosi il cappello, al secondo presentai'
arm.
Erano venuti a villa Albani dimostrando il de-
siderio d'intervenire nei negoziati per la resa,
per tutelare ciascuno i diritti de' sudditi del pro-
prio Stato facienti parte del cosmopolita
esercito
pontifcio. Il generale Cadorna li aveva appagati di
buone parole, assicurandoli che a nessuno
sa-
rebbe torto un capello, e i diritti di tutti sareb-
bero stati riconosciuti; ma insistendo
sulla op-
portunit che 1 negoziati per la resa
procedessero
direttamente fra i due comandanti militari,
quello
delle truppe italiane e quello dell'esercito ponti-
flcio. Il generale Cadorna cap subito in quale
vespaio
la parola da lui adoperata
si sa-
rebbe messo volontariamente ed avrebbe
messo
il Governo italiano, se l'atto della capitolazione
di Roma dalle firme di tutti costoro avesse preso
il carattere di un atto internazionale. Se il
ge-
nerale avesse ceduto su quel punto, probabil-
mente si risentirebbero ancora gli effetti del^e^
rore ch'egli poteva connnettere e non commise;
11 conte d' Arnim lo aiut dichiarandosi
subito
soddisfatto a nome di tutti, e i diplomatici se ne
andarono da villa Albani soddisfatti del resul-
tato della loro gita e lusingati dalle accoglienze
ricevute dal generale Cadorna e da quanti ave-
vano veduto ed avvicinato. A furia di sentirlo
dire e forse anche di ripeterlo spesso, quei si-
gnori avevano probabilmente finito con crederci
dei fanatici anticristiani, sitibondi di sangue, e si
i
I
La caj^yiiui.u^une
firmata 137
rallegravano accorgendosi che eravamo invece
la pi tranquilla e buona gente di questo mondo,
rispettosa per tutti.
I diplomatici erano gi arrivati a Porta Pia
Indietro,
la prima
che vediamo
insieme con i suoi aiutanti. La
folla lo leva di peso dalla
"
botte ,
lo solleva
l colonnello J'inelli
14')
'
braccia, gli bacia le mani, gli abiti, ad onta
ll.i vigorosa resistenza del generale,
seccato
i
quella ovazione troppo espansiva. Ognuno
le indovinare il nome di quel generale, il
no arrivato in piazza Colonna, e gli sono at-
Liiti tutti quelli pi noti, che corrono su tutte
3 bocche. Cadorna, Bixio, Cosenz....
, in
gni modo, un generale italiano, e questo basta
erch tutti si spingano contro le porte del caffo
love riuscito ad entrare
un caff suir an-
;olo del palazzo Ferraiuoli, fra piazza Colonna
d il Corso
oggi trasformato in una pastic-
eria
che a quell'ora ha gi avuto il tempo
li ribattezzarsi in "Caffo Cavour . Tutti vogliono
edere come fatto un generale italiano, come
! vestito, come siede, come beve; vorrebbero
iuscire tutti a udirlo y)arlare. L'attenzione di
nolti distratta dal giungere d'un altro gene-
rale.
Questa volta davvero il Cosenz, con la
sonomia imperturbabilmente serena come a
vlilazzo, gli occhiali d'oro e l'inseparabile mag-
gior Mantelliiii suo capo di stato maggiore. Cli
3 gi capitato di dover fare un pezzo di strada,
1 cavallo, venendo dal Pincio, sotto una specie
li
l>aldaccliino portato da un numeroso gruppo di
i'vanl. Gira intorno alla Tontana, essendo tutta
arte centrale della piazza occupata dagli zuavi
-iouier e dai bersaglieri che li proteggono
Il folla ormai
i)i
curiosa che irata, e pare
ito verso via della Colonna. Si appena sof-
iiiato vicino alla chiesina dei Bergamaschi
indo, sopra il confuso strepito della folla, sopra
I
ixWe
grida d'evviva, echeggia il rumore secco di
'l'ie
fucilate. Un'ondata di gente corre nella di-
l'ESCi. Come siamo entrati in Roma.
10
146 l'entrata in roma
rezione dalla quale venuto il rumore. C -r-
rono, gridano, sospingendosi gli uni sugli airi
accalcandosi in modo che ad un drappello di
bersaglieri a baionetta inastata impossi i.i>
aprirsi una strada senza far male a nessniin..,.
Che cosa stato? Girano ancora per Roma pa
recchi Zampitti , specie di volontari arruolati
negli ultimi tempi dal governo pontificio, gente
ribelle ad ogni disciplina e ignara d'ogni regola
che non sia fra quelle del bandito. Pare che due
rimasti appiattati in 'qualche portone nelle vici
nanze di Monte Gitorio e piazza Colonna, vedendc
un generale, gli abbiano tirato quei colpi pei
istinto di brutale malvagit, senza pensare alle
conseguenze della loro sanguinaria follia. Fop-
tunatamente i colpi sono andati a vuoto:
nu
non pare che vada egualmente a vuoto lo scop
pio d'indignazione provocato dal popolo. N X
lora n poi sono mai riuscito, in mezzo a quelk
confusione di persone, di cose, d'impressioni,
d
sensazioni , a farmi un' idea precisa della sorfc
toccata a quei due sciagurati. Ma pochi giorfi
dopo, avendone domandato ad un tale che
$
trovava presente al fatto ed era corso all'ini
guimento, mi rispose co!i l'espressione
d'uor
pienamente soddisfatto :
Al Campidoglio, al Campidoglio!
comin-
ciarono a gridare in piazza Colonna; e via, su.
la folla verso piazza Venezia. Due battaglioni
bersaglieri
ne uscivano fuori da per ogni
dove
erano andati avanti. Bastarono poche
fucilate per ridurre al silenzio le postume vel-
leit di combattimento, e il presidio del Campi-
doglio, debitamente scortato, fu mandato fuor
di pericolo. Alle 3 circa, la piazza del Campido-
glio, fra i tre palazzi, fu occupata e presa in
consegna dal
2^
battaglione del
39^
fanteria
maggiore Tharena
col quale erano anche il
colonnello Belly ed il generale Angelino, coman-
dante la brigata Bologna. Mentre i vigili anda-
vano a inalberare una gran bandiera tricolore
in mano alla statua di Fioma in cima alla Torre
Capitolina, la bandiera del SO''
quella stessa
che dalla torretta di villa Patrizi aveva dato poche
ore prima il segnale dell'assalto alla breccia
salutata dalla mai'cia reale, fu appoggiata ad
un braccio della statua equestre d Marco Au-
relio, e la brezza del
'^
ponentino
muovendone
le pieghe metteva in mostra i buclii fattile da
dieci palle sulla barricata di Porta Pia.
Bisogna averla sentita suonare la marna ivae
per la prima volta in Campidoglio, davanti v.
quella bandiera gloriosamente forata; bisogna
aver veduto i popolani di Roma, corsi lass con
le armi portate via ai papalini, brandii'le in alto
entusiasti; e le donne, i ragazzi, 1 vecchi, sven-
tolare i fazzoletti, gridare.
]!'!'i<'^'^''o
ni.bracciare
La manta n-dlc m i\iini>idoyliii 149
i soldati immobili in rango al pres^ntaV arm
,
per poter dire d'aver provato davvero una forte
,c<Mmn<t/ion<^ ]>atriotica!
^
Quando si torn sul Corso, le bandiere svento-
vano da per tutto, i parati adornavano le tne-
re in tutte le strade. Cominciavano ad apparire
alcune hoUi: da Porta Pia, dove alla neglio era
^tato aperto un passaggio , ne arrivavano con
quattro o cinque ufficiali ognuna. Quelli de* corpi
rimasti agli alloggiamenti occupati durante la
n(jtte dal 11) al
20, venivano nel Corso alla spic-
ciolata, accolti dalle pi clamorose dimostrazioni.
Por andare da piazza del Popolo a piazza Colonna,
una botte
piena d' ufficiali non impiegava meno
d'un'ora, ed il bottaro generalmente non era il
meno entusiasta
nel festeggiare i propri clienti.
Uno dei pi commoventi episodi di quella gior-
nata fu il ritorno degli emigrati. Riaperta la (Mtt,
n'erano venuti dentro da tutte le parti. Correvano
a casa, in cerca della famiglia, la quale era
spesso corsa altrove in cerca del reduce. S' in-
contravano, piangevano, rivedendo i bambini ve-
nuti grandi, o pensando a quelli morti durante la
lunga assenza. Poi, quasi insofferenti di quiete,
andavano per le strade seguiti dalle loro famiglie,
con la vecchia manmia a braccetto o con i bam-
bini per mano, e incontrando gli antichi cono-
scenti ed amici si buttavano nelle loro braccia,
s'intenerivano di nuovo e ricevevano commossi
i baci e gli amplessi. I soldati, ii mezzo a quella
lieta
ed universale commozione, si trovavano
gi come in famiglia, davano strette di mano a
tutti, passeggiavano sotto braccio a popolani
ed
150 l'entrata in roma
a cittadini in cappello a cilindro, alle?:ri e con-
tenti, soddisfatti di loro stessi e deti:li efTetti d'una
vittoria ottenuta con poche perdite. E quanto
vino l"u bevuto quel giorno alla salute dei sol-
dati, del Re, dell'Italia, di Roma! Allora la stati-
stica non era ancora in tanto grande onore
com' venuta poi, e nessuno pens a fare il
computo delle /oj(?^^e vuotate, ma scommetto che
dicendo tanto per dire una cifra altissima non
s'andrebbe molto lontani dal vero.
In mezzo a quell'agi tarsi di passioni e di sen-
timenti maschi, le doime romane volevano la
loro parte. Quelle del ceto medio, le popolane,
passeggiavano in mezzo alla folla, un po' tui-
bate
dall'inconsueto fi'astuono, ma sorridenti,
fiduciose, contente.
Alle finestre de' palazzi, delle case, nelle vie
principali, si affollavano teste idealmente mera-
vigliose. Gli occhi brillavano, i seni opulenti pal-
pitavano, ed era facile sorprendere su quelle
bocche
coralline brevi e tronchi gridi di schietto
entusiasmo mal represso dal convenzionalismo
sociale. Mai le donne m'erano sembrate pi belle;
n il convenzionalismo sociale sub mai pi
grandi sconfitte.
Verso sera fu trovato modo di sgombrare
piazza Colonna dai prigionieri, facendo loro oc-
cupare le sale terrene del Casino militare.
La
luce d'una infinita quantit di lanterne di mol-
teplici e svariatissime forme
chi sa mai dove
le avessero tenute fino a quel giorno?
sostitu
quasi intieramente la luce del sole. Chi aveva
provvisoriamente preso il posto del Seiialorc di
La sera del 20 sHembre IJl
ina nell'ufficio di primo magistrato civico,
I a affrettato a far mettere, al posto delle solite
1 lime a gas, i famosi girando ancora in uso.
1 Corso , affollato cos che da piazza Venezia
L
piazza del Popolo s vedeva dall'alto un solo
)iano di teste, dal quale emergevano centinaia
li bandiere e diecine di migliaia di lanterne trl-
!olorate, con le finestre pavesate ed imbandie-
ate, con l'incessante ripetersi di evviva e di ac-
jlamazioni, offriva tale spettacolo che pu capi-
tare una volta sola nella vita d'un uomo, se
pure capita. Pareva, se fosse stato possibile, che
l'entusiasmo crescesse ad ogni momento.
In noi era tanto grande la tensione dell'animo,
la sopreccitazione nervosa che, in piedi da quin-
dici o sedici ore, non soffrivamo alcuna stan-
chezza e avevamo perfino dimenticato
d'esser
digiuni. Una sete ardente ci divorava , ma i l-
monari non avevano disertato i loro posti, e
partecipavano alla comune letizia di dietro al
banco, mescendo contiimamente acqua di Trevi
e spremendo arancie e limoni. Ma ci accadeva
un curioso caso : gli stivali, il cappello, la foggia
dell'abito, qualche cosa nel parlare e nel muo-
versi, e pi d'ogni altra cosa l'essere ancora
coperti di polvere e di terra ci deimnziavano
per gente veimta allora, ofii sa da dove, come,
perch. I pi arditi ce lo domandavano: altri in-
vece tacevano, ma dal limonaro come al caff
tirando fuori i denari, ci sentivamo dire inva-
riabilmente : pagato!!
Un gran busto in gesso di Vittorio
Emanuele
inutile,
mi ripeteva il tenente Mancini.
Ma poicli non potevano innpedirnii il passo
ed io m'ero ostinato in quella mia idea, mi la-
sciarono andare. All'altra estremit del ponte la
fcuardia
papalina era dentro il cancello che chiu-
deva l'ingrosso a Castel Sant'Angelo: fuori del
cancello stava soltanto la sentinella che non apri
bocca. Il vetturino, insospettito dalle parole degli
ufficiali, si voltava indietro ogni tanto quasi per
interrogarmi, e mi vedeva impassibile. Su per
Borjj:o l' andirivieni era grande e inquieto. Le
hottoghc dei coronari quasi tutte chiuse: s'in-
(^ontravano altre botti col mantice alzato, sotto
il quale pareva cercassero di nascondersi preti
e frati; s'incontravano soldati papalini di tutte le
razze, militi della guardia Palatina e della guar-
dia urbana
chiamati da' romani cacciaiepri o
sigari scelti
dragoni, gendarnn*, un po' d'ogni
cosa. Uno con i pantaloni rossi ed un gran trom-
bone correva non saprei dove. Un'ordinanza gui-
dava un bel cavallo attaccato a una poneij-c/iase.
Avevano tutti l'aria di gente ansiosa di trovatasi
in luogo sicuro. Poi v'erano venditrici di cicoria,
\ (Miditori di latte e di ricotta che annunziavano
gridando la loro merce, tal quale come se non
fosse finito il dominio temporale de' Papi : v'e-
rano bottegai, gente minuta di tutti i generi, servi-
tori gallonati che forse andavano a rinchiudersi
in Vaticano, e nessuno naturahne.ntc badava a
me che passavo. Quando si fu arrivati in piazza
Rusticucci e mi vidi davanti tutta la maest della
piazza e della Baslica Vaticana rimasi sbalor-
160
l'inorksso dellt truppe
dito, come deve rimanere iufallantemeiite ogni
uomo suscettibile di ammirare il jrrande ed il
bello. Ma v'era da guardare qualche altra cosa
oltre quel prodigio dell'arte. Tutt' intorno alla
parte della piazza compresa dentro i porticati
del Bernini, erano schierati dai 6000 ai 7000 uo-
mini di tutte le armi. Una batteria da campagna,
di sei pezzi, stava davanti all' obelisco con la
fronte verso la citt : un' altra batteria e uno
squadrone di dragoni ai piedi della scalinata per
la quale si ascende alla Basilica. Il reggimento
zuavi
ne riconobbi a prima vista l'uniforme
grigia
era davanti al portico a sinistra di chi
guarda la facciata, al di l della fontana. I dra-
goni erano appiedati, con i cavalli sotto la mano:
i pezzi ed i cassoni delle batterie con i cavalli
attaccati : le truppe a piedi avevano fatti i fasci.
Le file non eran rotte per ordine dato: ma ap-
parivano scomposte per la permanenza foi^e gi
lunga e per la scarsa disciplina. Sotto i portici
si vedevano fumare de' fuochi di legna : proba-
bilmente cuocevano il rancio. Riporto tutti i
particolari di ci che potei scorgere con poche
occhiate e notai subito dopo per conservarne
memoria esatta. Non v'era un borghese in tutta
la piazza. Molto innanzi fra l'obelisco e lo spazio
fra i due porticati v'era un numeroso gruppo di
uftcial: altri piccoli grup[)i (lua
e l noi \
"<!-;-
Simo spazio.
11 vetturino, poco tranquillo, rallentava senza
avvedersene il trottarono del suo cavallo: lo
ferm addirittura per domandarmi da quale parte
volevo uscir dalla piazza. La domanda era im-
barazzante per uno ohe vi entrava in (juel mo-
tn piaiza San Pietro i'A
mento per la prima volta. Domandai degli schia-
rimeiiti die per poco non mi costarono cari. Men-
tre discutevo in piedi, dal fondo della piazza, dove
erano gli zuavi, furono sparati tre colpi di fu-
cile uno subito dopo raltro. Non li avranno ti-
rati a me , n al vetturino , n tanto meno al
cavallo: ma mi parvero, lo confesso, pocliis-
siino incoraggianti. Mi venne subito in mente il
venta nen andeje del capitano Boycr e considerai
non senza inquietudine la mia condizione, pi
he altro ridicola. Perch il cacciai^i avanti a
capo ftto e farsi anunazzare come un cinghiale,
in un luogo non sottoposto in quel momento ad
alcuna giurisdizione duratura e legale, sarebbe
stato davvero mi eroismo da scMOcchi : racco-
mandarsi a ([ualcuno o scappare era indeco-
I oso e pericoloso. L'unico espediente possibile mi
parve il far mostra di non essermi neppur ac-
corto di quel saluto. Dissi al vetturino, eviden-
temente impensierito per la conservazione del
proprio essere e del proprio cavallo, di andare
ancora qualche passo avanti, e poi voltare rifa-
cendo la strada gi fatta. Mentre egli eseguiva
l'ordine datogli, con mano abbastanza sicura, ed
io mi davo l'aria di guardare la guglia e le fon-
tane monumentali, vidi un ufficiale distaccarsi
dal gruppo pi numeroso, nel quale erano il co-
lonnello AUet e il De Gharrette, e correre verso il
punto da dove erano partiti i colpi. Poi non vidi
pi nulla, perch il vetturino aveva voltato sol-
lecitando l'andatura della sua bestia, traver-
sando in fretta e furia piazza Rusticucci ed infi-
lando di galoppo per Borgo....
Al di qua del ponte, dalla parte italiana, ini
Pesci. Come siamo entrati in Roma. U
162 l'ingresso delle truppe
presi una amichevole lavata di capo dal capi-
tano Boyer, dopo la quale m'avviai nuovamente
verso piazza di Spagna. L'episodio che ho nar^
rato non ebbe di per se stesso alcuna impor-
tanza: l'ho voluto rammentare soltanto per far
vedere in quali strane condizioni si trov Roma
dalle 10 e mezza ant. del 20 settembre alle prime
ore del pomeriggio del 21, cio fino a quando le
truppe papaline furono definitivamente scom-i
parse, ed anche la citt Leonina fu occupata dai
nostri soldati.
Verso le 9 antimeridiane sfilava per piazza di
Spagna il corteo funebre del maggiore Pagliari.
Aprivano la marcia le quattro compagnie del
suo battaglione, il 31, in tenuta di marcia; poi
la musica del
19
fanteria ed un infinito numero
di sott'ufficiali dei dodici battaglioni bersaglieri
del
4
corpo. Il feretro era portato a spalla da
quattro sergenti del
34:
due capitani del batta-
glione e due maggiori d'artiglieria reggevano i
quattro lembi della coltre funebre, sulla quale
stavano il cappello, la sciarpa, la sciabola le
decorazioni del maggiore. Subito dopo la bara,
l'attendente portava a mano il cavallo del Pa-
gliari, quello stesso che il maggiore montava
(piando fu ucciso davanti alla breccia. Poi ve-
nivano il generale Cosenz ed il generale Cele-
stino Corte, molti ufficiali di tutti i corpi della
\\^
divisione, e dei bersaglieri del
4
corpo, ed
in) infinito numero di cittadini d'ogni condiziono.
La salma del maggior Pagliari fu provvisoria-
mente tumulata a Campo Vcrano, da dove fu
l)oi
trasportata al di lui paese natale, presso Ci*e-
La salma del maggior Pagliari 163
mona, e la tomba di lui ora frequente meta di
patriottiche e pie visite di militari e di cittadini.
I preti, per ordine superiore, ricusarono il loro
ufficio e la tumulazione non fu accompii^nata
(la alcuna pompa religiosa.
Poche sere dopo ebbi occasione di trovarmi in
una casa con un prelato, clfera stato dei primi
a uscir fuori ed a persuadersi che la presenza
delle truppe italiane in Roma era una fjjaranzia
del mantenimento dell'ordine e della libert per
tutti. 11 discorso cadde, non so come, sulla tu-
mulazione del maj7j;ior Pagliari. Come il prelato
si mostrava rajj^ionevole e disinvolto, n io po-
tevo aver ritc^nio ad esprimere rispettosamente
ci che mi pareva indiscutibilmente
giusto, gli
manifestai la mia sorpresa per quanto era av-
venuto a Campo Verano. 11 prelato si strinse
nelle spalle, e poi fece un gesto espressivo come
per dirmi
''
cosi vuoisi col dove si puote
.
Non
sono punto convinto ch'egli, per quanto orto-
dosso, approvasse. Alcune signore liberali, ossia
bianche
come si diceva in quei primi giorni,
per antitesi al nero colore sacerdotale
comin-
ciarono subito dopo ad assalire il prelato,
a ri-
guardo d' un cappuccino che essendo
stato il
giorno precedente ad assistere alcuni feriti, a villa
Potenziani fuori porta Salara, la sera
tornando
al convento se n'era viste sbattere in faccia le
porte. 11 prelato, messo alle strette, si prov
a
difendere il provvedimento ordinato
dall'autorit
ecclesiastica: poi fin col perdere la pazienza
ed
esclamare:
quando
ci stavano
portava centinaia,
migliaia di passeggeri stanchi da lunghi ed in-
comodi viaggi, alle delizie de' quali si aggiun-
geva quella del trasbordo al ponte Salaro. Ma
bench pigiati nei vagoni come le acciughe nel
barile, la maggior parte giungevano lieti e pro-
rompevano in esclamazioni di gioia quando co-
minciavano a scorgere da lontano, le mura ed
i monumenti della citt eterna.
Erano antichi e nuovi emigrati 'clie rivedevano
dopo lunga assenza la patria libera, erano ro-
mani che dimoravano per i loro negozi in
altrQ
Gli emigrati 203
citt del Regno
;
venivano tutti a prender parte
come cittadini romani al plebiscito che doveva
riunire perpetuamente Roma al resto d'Italia.
Venivano con loro gli ufficiali ed i sott' ufficiali
di Roma che da lungo o da breve tempo servi-
vano neir esercito nazionale. Erano moltissimi,
n prima d'averli veduti riuniti insieme si sa-
rebbe creduto clie Roma avesse dato tanti suol
figli a difesa della patria comune. V'erano ge-
nerali
il Cerroti, il Lopez, 11 Borghesi,
co-
lonnelli, ufficiali di tutti i gradi che aggiungevano
la* nota festosa delle loro varie uniformi alla lieta
Intonazione generale della contentezza di un po-
polo che si sentiva alla vigilia di poter libera-
mente disporre dei propri destini. A tale intona-
zione dava maggior risalto la tranquillit, la
tolleranza della quale erano evidenti le prove.
Al Pincio, affollato verso il tramonto di vetture
padronali e di piazza, di ufficiali di tutte le armi
della guarnigione e di fuoi^i, di emigrati che dal-
l'alto dell'ameno colle dal quale Nerone contem-
pi')
l'incendio di Roma venivano a riabbrac-
ire con un'occhiata la loro citt diletta, in
quella passeggiata bellissima, forse unica nel
^"o
genere, s'incontravano brigate di semina-
ti d'ogni nazione e vestiti d'ogni colore, punto
dispiacenti di quell'insolito movimento, e frati e
preti che andavano per i fatti loro senza alcun
tiiiiore
d'essere disturbati.
Gli abitanti d'ogni rione tenevano delle riunioni
I>
r concertarsi riguardo alla solennit che de-
sideravano dare all'atto del voto ed alle feste
con le quali si voleva, in tutta la citt, acco-
glierne il resultato. GU esercenti una stessa arto
204 IL PLEBI8CTT0
od uno stesso mestiere si mettevano d'accordo,
rione per rione
,
per andare insieme a dare
il
loro voto e per riunirsi pi tardi a festeggiai^
la proclamazione del plebiscito. Cartelli affissi in
ogni parte assegnavano luoghi di ritrovo ai cul-
tori della musica o delle belle arti, agli orafi,
d
muratori, ai falegnami, a tutte le corporazioni
Gli ufficiali e sott' ufficiali nativi di Roma, che
non avendovi per domicilio stabile erano stali
iscritti tutti nella sezione elettorale del Campi-
doglio, tennero una riunione al Caff delle Con-
vertite per stabilire di andare tutti insieme essi
pure a mettere la scheda nell'urna.
V'era da per tutto una aspettativa ansiosa,
una specie di febbre per il plebiscito. Merita d'es-
ser ricordato che in quei giorni, bencli il ser-
vizio dei reali carabinieri e del personale di
pubblica sicurezza fosse gi regolarmente im-
piantato e fatto con molta cura, non vi fu da
denunziare nessuno di quei delitti comuni eh
non sono rari in nessuna grande citt nei tempi
normali.
Finalmente spunt l'alba del gran giorno. Credo
che i nove decimi della popolazione romana fos-
sero desti prima di veder lume. Certo che, ap-
pena si cominci a vederci bene, le strade bru-
licavano di gente e la citt era trasformata in
una monumentale formula di affermazione. I si
di tutte le dimensioni coprivano non soltanto i
cappelli, ma le mura, le colonne, le porte delle
case, le vetrine delle botteghe: non v'era spazio
del quale i si non occupassero almeno una parte,
non v'era altezza alla quale non si fossero ar-
ditamente sphiti.
Valha del gran giorno 205
Mentre V Unit cattolica seguitava a dire che
la
liberazione di Roma fu imposta ed applaudita
da
pochi ladri e femmine di mala vita, il popolo
romano
metteva tutto il proprio orgo?:lio nel
dare alla sanzione legale della riunione di Roma
all'Italia una dignitosa impronta di nobilt, con-
sentanea
alle sue nobilissime tradizioni. In tutto
quanto si pu dire di quella grande giornata
storica e che oggi forse parr esagerato, non
vi pu
essere ombra di esagerazione: soltanto
apparisce in questo momento quanto sia inetta
una penna come la mia a dare un' idea delle
grandi
impressioni provate allora e non dimen-
ticate pi mai. Uomini autorevoli e stimabilis-
simi che, dal 1831, avevano assistito ai prin(!ipali
avvenimenti del risorgimento nazionale, affer-
mavano di non aver mai veduto nulla di pi
solenne ed ammiravano tanto ordine unito a
tanto entusiasmo.
Nelle prime ore della mattina si riunirono a
piazza del Popolo i lavoratori di marmo, nume-
rosissimi, i cocchieri, poi l'emigrazione romana
.Illa testa della quale era una bandiera portata da
una signora. S'avviarono per il Corso e noi die-
tro: ma procedendo non sapevamo pi dove ri-
\ (Igere la nostra attenzione. Queste corporazioni
ne incontravano altre e le salutavano con reci-
proclie acclamazioni festose. Ogni arte, ogni me-
stiere sfoggiava una bandiera, un vessillo tri-
colore nuovo fiammante, con qualclie emblema
in cima dell'asta: la societ degli amatori e cul-
tori delle belle arti portava una bandiera fatta
fino dal 1859, nella speranza di una pronta ri-
scossa, e conservata gelosamente per pi di dicci
206 it PLEBISCITO
anni prima di poter esser salutata dai raggi del
caldo sole di Roma. Dietro al vessillo degli orafi,
in Roma numerosissimi, camminavano tutti
i
ricchi proprietari di negozi ed i pi modesti ope-
rai, avendo a capo Augusto Castellani, l'illustre
orafo archeologo rinnovatore di un'arte vera-
mente romana, e membro della Giunta provvi-
soria di Governo.
I componenti delle corporazioni marciavano a
quattro per quattro, militarmente ordinati, salu-
tati dagli applausi della gente schierata lungo
la strada, dallo sventolare de' fazzoletti delle si-
gnore che gremivano tutti i balconi. Nelle piazze,
nei quadrivi pi frequentati, accadeva che due
o pi comitive s' incontrassero o si trovassero
sulla strada d'altre comitive. Allora i primi ar-
rivati si fermavano e facevano fronte dalla parte
per la quale gli altri passavano e 11 nuovi ap-
plausi ed acclamazioni e strette di mano.
Alle 11 e mezza si radunarono in piazza d
Spagna tutti gli ufficiali e sott' ufficiali romani.
Ve n'erano, come ho detto, di tutte le armi, an-
che di marina, anche un ingegnere delle costru-
zioni navali. Alcuni erano giunti quella mattina
stessa da Trapani o da Sondrio ed avevano ot-
tenuto, per ragioni di servizio, un permesso ajv
pena sufficiente per arrivare, votare e tornai-e
indietro. S'incamminarono seriamente, ordinata-
mente quale si conviene a chi veste l'abito mi-
litare, per via Condotti ed il Corso, in mezzo ad
acclamazioni fragorose, entusiastiche. Li prece-
deva una magnifica bandiera accanto alla quale
marciavano il cappuccino di Palestrina cacciato
dal convento per essere stato ad assistere i f-
/ votanti in moto 20T
riti nelle ambulanze, ed Jin prete canuto, in abito
talare, con le calze paonazze ed il volto raggiante
di contentezza. Una banda musicale, seguendo
la bandiera, suonava la marcia reale....
Perch
apro una parentesi
accadde in
quei giorni a Roma questo fenomeno. Uscirono
fuori, non si sa da dove, dieci, dodici, venti bande
musicali,
o come dicono romanamente
"
con-
certi
y,
composte di borghesi che suonavano
perfettamente la marcia reale, l'inno di Gari-
baldi, quello di Mameli, VAddio, mia bella, addio,
e tante altre arie patriottiche, lo studio delle quali
non era certamente favorito e neppur tollerato
sotto il paterno regime di monsignore Randi go-
vernatore di Roma.
Erano in prima fila il generale Cerroti, stato no-
minato pochi giorni prima comandante la piazza
di Civitavecchia, i generali Borghesi e Lopez; i
colonnelli Galletti, Lipari, Gigli, Croce e poi me-
scolati insieme sottotenenti e maggiori, sergenti
e capitani, molti de' quali s'erano riveduti quella
mattina in Piazza di Spagna, magari dopo un-
dici anni, gi amicissimi in patria, poi separati
da lungo esilio. Figurarsi la commozione di tali
incontri in quel giorno!
Sotto
al palazzo Piombino la schiera degli uf-
ficiali
si sofferm a salutare il Cadorna chia-
mato al balcone dal popolo: poi continu la
strada fra gli evviva fino al Campidoglio, e fra
gli evviva deposero tutti la loro scheda nell'urna.
Mi par di vederla ancora la piazza del Campido-
glio qual'era
quella mattina. Dalle finestre del
Museo
Capitolino e del palazzo de' Conservatori
pendevano
ricchi damaschi: i portici erano adorni
208 IL PLEBISCITO
di piante e di splendidi arazzi. La gradinata del
palazzo Senatorio, sul ripiano centrale della quale
sorgeva l'urna, scompariva quasi intieramente
sotto gli arazzi e i damaschi. In mezzo a centi-
naia di bandiere nazionali ancora nuove sven-
tolavano le vecchie bandiere dei quattordici rioni
e dietro all'urna era piantato il gonfalone del mu-
nicipio di Roma. I fedeli del municipio, nel loro
strano ma pittoresco costume di velluto rosso
guarnito d' oro e con una specie di cappello a
cilindro in testa, stavano presso all'urna, la cu-
stodia della quale era affidata a un gruppo di
cittadini scelti fra i pi notevoli e pi stimati,
che portavano al braccio destro un nastro con
rs. P. Q. R. V'era in tutta quella scena una
combinazione fortunata, una fusione perfetta-
mente riescita di ricordi storici e di fatti mo-
derni, di tradizioni municipali e di manifestazioni
dell' idea nazionale.
N meno grandioso era lo spettacolo del voto
negli altri luoghi della citt dove erano state col-
locate le urne. Una era in piazza di Spagna, ai
piedi della maestosa scalinata della Trinit de'
Monti, gremita di folla: un'altra in piazza Na-
vona. Quelle della parte pi alta della citt si
trovavano in piazza Barberini ed in via dei
Serpenti, ed i monliciani s'erano tutti agghin-
dati a festa per fare onore al voto ed avevano
decorato quanto meglio avevano potuto le ca-
sette di que' rioni popolari, allora fuori di mano.
Le urne della parte pi centrale delia citt erano
al palazzo Odescalchi in piazza SS. Apostoli e
in piazza Colonna. Ve n'era una al palazzo Ca-
merale di Ripetta, divenuto poi residenza dell'i-
Le urne per il plenscito 209
stituto di Belle Arti e che tempo fa minacciava
di rovinare. Un'altra era in piazza del Biscione
non lontano da Campo de' Fiori, un'altra al pa-
lazzo Ricci vicino al palazzo Farnese, e un'altra
ancora sulla piazza di Ponte Sant'Angelo sulla
riva sinistra del fiume. Da per tutto avvennero
episodi commovcntissimi. Alla dodicesima urna
collocata in piazza di Santa Maria in Trastevere
gli abitanti di quel rione andarono processio-
nalmentc a portar la scheda accompagnati dalle
madri, dalle mogli, dalle figliuole, e parecchi di
quei popolani tenendo i loro bambini piccoli in
collo si compiacevano, con pensiero patrioti-
camente gentile, di far loro avere una parte al-
1 itto solenne facendo metter nell'urna la scheda
dalle tenere manine innocenti.
Gli abitanti dei sette borghi della citt Leoivina,
riinasti fino all'ultima ora nell'incertezza, perch
dal Governo di Firenze non veniva risposta ri-
1:1 lardo al voto, oppure venivano risposte eva-
sive e punto soddisfacenti, avevano insistito
presso il generale Cadorna, per mezzo di loro de-
legati e di componenti della Giunta provvisoria
di governo, perch il loro diritto di cittadini ro-
mani, non differenti dagli altri, non fosse ulterior-
mente contestato. I borghigiani poco si curavano
'l'elle
parole difficili che si ripetevano in quei
rni a proposito della "extra territorialit
y,
della citt Leonina
della quale non si erano
ancora stabiliti precisamente i confini. 11 loro ra-
>namento, semplice e chiaro, s restringeva a
aire che essi pure erano "Romani de Roma
e
volevano votare come gli altri Romani. Tntta
Pksci.
Come xiamo entriti in Romn. 14
210 IL PLEBISCITO
Roma, manco a dirlo, era della loro opinione e ne
sosteneva le ragioni. Il generale Cadorna n po-
teva, n tanto meno voleva impugnare il loro
diritto; ma doveva in certo qual modo salvare
la forma, che in talune faccende diplomatiche
vale qualche volta pi della sostanza. Fu stabi-
lito che gli abitanti della citt Leonina avreb-
bero votato separatamente per conto loro, e fuori
del territorio sulla cui padronanza si avevano
ancora idee tanto vaghe e indeterminate. Il voto,
in tutti i modi, non avrebbe pregiudicato le ri-
soluzioni delle potenze europee, giacch si aveva
ancora la debolezza di supporre e forse di tolle-
rare che r Europa avesse da ingerirsi d' una
faccenda nostra italiana.
L'urna, di cristallo, fu posta sul ponte Sant'An-
gelo, pochi passi fuori dal territorio della citt
Leonina. Dalle finestre del Vaticano potevano
benissimo levarsi il gusto di vedere tutti 1 capi
famigha, tutti gli uomini d'et maggiore, da
Borgo Angelico, da Borgo Pio, da Borgo San Spi-
rito, da Borgo Nuovo, da Borgo Vecchio, da
Borgo Sant'Angelo, da Borgo Vittorio e dalle vie
trasversali, avviarsi al ponte in beli' ordine, si-
lenziosi, e deporre nell'urna la loro scheda. Nep-
pure un grido, neppure un evviva si alz da quel-
l'affollamento d'uomini decisi a voler essere ita-
liani a qualunque costo, consci dell'importanza
dell'atto che essi compievano.
Quando ebbero deposte tutte le schede nel-
l'urna, vi furono posti i suggelli alla presenza
di un notaio, borghigiano egli pure, che steso
processo verbale della cerimonia, sottoscritto
d.'i notabili del rione. Messa poi queir urna
L'urna della citt Leonina 211
sopra un cuscino verde, sorretto sulle robuste
braccia di un popolano dalla gran barba nera,
fra due grandi bandiere tricolori , la portarono
in Campidoglio dove si doveva procedere allo
scrutinio de' voti. Un immenso stendardo bianco,
sul quale era scritto in rosso Citt Leonina:
SI, apriva la marcia: seguiva l'urna, e dietro
l'urna tutti i votanti, e dietro i votanti quasi
tutti gli abitanti dei borghi, le mogli e le sorelle
formose, i bambini, le madri curve per gli anni.
Traversarono molte vie della citt nel pi per-
fetto silenzio, salutati da acclamazioni mai pi
finite. Quando la processione nobile e digni-
tosa dei borghigiani, nella quale il ceto popo-
lare predominava, apparve in fondo alla rampa
Capitolina e la sali lentamente, sempre in si-
lenzio, non scoppi un applauso ma s'alz dalla
folla che stava nella piazza una esclamazione,
un grido sommesso di commozione e d' ammi-
razione. N la commozione fu minore fra
gli
astanti quando i notabili della citt Leonina
con-
segnarono l'urna alla Giunta di Governo
ed il
cieco duca di Sermoneta vi pose sopra le mani
brancolanti come su di un sacro deposito.
La votazione procedette sollecitamente
e nelle
ore del pomeriggio la citt era nella
massima
quiete. L'ordine pubblico fu affidato per tutta
la
giornata ai vigili ed al loro '^elmo di Scipio
oggi dei
( < )ruzzieri
Le colonie estere.
Eiempi d' intransigenza.
I chiassi
deir8 dicembre.
Esagerazioni dei giornalisti.
I popo-
lani e le popolane di Roma.
Perch una citt s'iininedesimi in un re?:no e
senta la coscienza di doverne dividere la pro-
spera come l'avversa fortuna, essendone la ca-
pitale, non basta comunanza di orij^ine e di
lingua, n lungo ed ansioso scambievole desi-
derio di unione vaticinata, n recente acquisto
(logli stessi ordinamenti civili : ma occorre una
spontanea fusione di sentimenti, di costumi,
d'abitudini materiali e morali. L'ambiente di
Koma prima del settembre 1870 era senza dub-
l)io molto differente da quello di Firenze, di
Torino, di Napoli, per cento ragioni facili a com-
prendersi e che sarebbe troppo lungo l'enume-
rare. Da lunghi secoli Roma era soggetta ad un
governo dissimile da qualunque altro: da lunghi
256 T ROMANI DEL 187
secoli i Romani suggevano col latte il pregiu-
dizio storico di una loro grandezza derivante
dall'antica, della quale rimaneva ormai la tra-
dizione, non la ragione.
Nelle orecchie d'ogni friggitore, d'ogni abbac-
chiaro, d'ogni minuto bracciante risuonava, se
non le parole, il concetto del
Tu regere imperio populos, Komane, memento.
Senza essere una ampollosit retorica, come
poi diventato da quando meno sentito, il
romanesimo era un po' nel sangue di tutti;
senza escludere, ben inteso, il sentimento na-
zionale
;
senza neppure attenuarlo, come lo atte-
nuano qualclie volta alcune tendenze rcgi(na-
liste. Noi eravamo per loro "gli Italiani.,
td
essi erano
"
li Romani de Roma
ma non si
sentivano per questo meno italiani di noi quandi)
il sentimento della nazionalit doveva necessa-
riamente intervenire nel loro pensiero.
"
Romani
de Roma,, di fronte a noi; Italiani e di tutto
cuore di fronte agli altri.
Parlo particolarmente di chi aveva dL^innaiM
l'unione di Roma all'Italia o vi s'era rassegnato
di buon animo, vale a dire della grande mag-
gioranza della popolazione romana: non dei
rimasti fedeli al Vaticaio regio, per convinzione,
per pregiudizio, o per tornaconto. Chi scriver
la storia di Roma capitale non potr per tra-
scurare la esistenza, dir cosi, d'uno strato inter-
medio fra i liberali e i vaticanisti
;
composto di
persone le quali, pur non avendo mai provato
alcun bisogno di cambiamenti ix>litic, e pur con-
I
"
Bomani de Roma
257
siderando gli Italiani come intrusi, si adattarono
presto, se non teoricamente almeno in pratica
al fatto compiuto.
Ho conosciuto una signora che, dici anni
d< po il 20 settembre, continuava sempre a chia-
marci
"
questi
senz' altro appellativo, e an-
dava di quando in quando ai ricevimenti
del
Vaticano: ma pianse sincere lagrime quando
mor Vittorio Emanuele e ne avrebbe sparse chi
sa mai quante se
"
questi
avessero lasciato
Roma.
Le divisioni fra le diverse classi sociali, fra i
varii ceti, erano, venticinque anni fa, molto
pi evidenti, molto pi nettamente determinate
clie non lo siano adesso. Esistevano fra un ceto
e l'altro delle linee di confine che raramente
alcuni uomini varcavano; pi raramente, le
donne. Tali confuii esistevano in alcune circo-
stanze anclie fra le suddivisioni d'uno stesso
o: nella Tolla, l'About ci ha narrato una vera
a l)ietosa storia d'amore della quale fu motivo ed
origine il differente grado di nobilt esistente
fra due famif;lie ciie pure erano inscritte egual-
mente nel libro d'oro Capitolino. Eppure la no-
bilt romana non si pu dire clie fosse spagno-
lescamente altezzosa, n che facesse compren-
dere nella vita di tutti i giorni di sentirsi molto
al disopra degli altri ceti.
Essa nobilt, quale esisteva nel 1870, poteva
distinguersi in tre classi ; quella avente origine
feudale o storica; quella d'origine pontifcia o
prelatizia; e quella di origine pi recente per a
quale il titolo nobiliare rappresentava la meta
Pesci. Come siamo entrati in Roma. 17
258 I ROMANI DEL 1870
ambita e raggiunta
qualche volta
comprata
oggi marcliesi,
i Tommaslni, i Guer-
rini, grossi banchieri soci in affari con Filippo
Berardi,
gli domanda-
vano con orgoglio:
Chi ppopolo p sse, e echi sovrano,
Che cciabbi a casa sua 'na ciippoletta
Coni' or noitro San Piotr'in Vaticano?
XIV.
Vittorio Emanuele a Roma.
Il biondo Tevere.
Un teatro incomodo.
Il principio
dell' inondazione
Il Corso sott' acqua.
ta i^iornata
del 28 dicembre.
Pontieri e zattere.
La guardia nsr
zionale al palazzo Doria.
A Montecitorio.
L' acqu4
comincia a decrescere.
Danni terribili.
Incertezze e rim-
pianti.
Viene il Re!
Dalla stazione di Termini al
Quirinale.
Da dove Vittorio Emanuele apparve la prima
volta ai Romani.
La visita alla citt e la part<;nza.
I destini d'Italia sono compiuti!
Piovve molto a Roma nell' autunno del 1870.
Nel dicembre, dopo tre o quattro splendide j^ioi^
nate al principio della seconda met, ricomincift
a piovere quasi sempre a dirotto. Il 26 cadde!
un vero diluvio sulla citt e la campagna cii
costante ed il Tevere, pi biondo del solito, ei
straordinariamente gonfio. Ci non ostante
pubblico numerosissimo assisteva la sera ali
prima rappresentazione della stagione di carm
vale al teatro Apollo con la Jone di Petrella eJ
11 ballo II
figliuol prodigo,
|
Sul finire del ballo arriv la notizia che la
piazza davanti al teatro. Hnlla parte di ponte
Un teatro incomodo
277
Sant'Angelo
la piazza dove fu decapitata
Beatrice Cenci
cominciava ad allagarsi.
La
notizia fu accolta con molta indifferenza, perch
non nuova per i Romani. Il principale teatro di
Roma, oggi scomparso ed allora propriet del
principe Alessandro Torlonia, aveva fra gli altri
pregi quello d'essere in uno dei punti pi bassi
della citt, sicch, appena il Tevere dava fuori
o le fogne rigurgitavano, si correva riscliio di
rimanervi chiusi.
Terminata l'opera, il pubblico fu invitato ad
iis(Mre da una porta laterale, e le signore, pas-
sando sopra un ponte di legno improvvisato,
l)()tcrono raggiungere a piedi quasi asciutti le
loro carroz/e, nella piazzetta di San Salvatore
ili Lauro, pi alta un paio di metri di via Tor
di Nona.
Tutto questo mi pareva assai strano; jii
strana ancora l'indifferenza del pubblico. Ma
<>^'nuno, anche i giovani, si ricordavano d'aver
Ncduto qualche cosa di simile.
11 27 si mostr il sole ed, essendo festa, una
iimncnsa (juantit di persone state costrette
dalla pioggia costante a rimanere in casa per
parecchi giorni, uscirono a frotte. Un tratto di
via Ripetta, davanti al porto, dove ora il ponte,
era allagato: l'acqua che copriva la strada ba-
stava al transito delle barche fra il palazzo Bor-
ghese e il palazzo Valdambrini. Le barche ser-
\ ivano di spettacolo: non allarmavano alcuno.
Un dispaccio affsso alla Posta annunziava la
rottui-a della ferrovia ad Orte, ed in conseguenza
non giunsero le corrispondenze dall'Alta Italia.
Mancava allora un servizio regolare d'informa-
278 VITTORIO EMANUELE A ROMA
zioii! che facesse sapere le condizioni del fiume
e de' suoi affluenti a qualche distanza dalla citt.
La giornata del 27 termin senza alcun al-
larme. Circa due ore dopo la mezzanotte tor-
navo a casa, insieme con un amico che abitava
come me all'estremit del Corso, vicino a piazza
del Popolo. Percorrendo la via principale di Roma
vedemmo che una parte delle vie fra questa-
e Ripetta cominciava ad essere inondata. I ri-
flessi della fiamma rossastra delle torcie a vento
dei vigili guizzavano sinistramente nell'acqua
che pareva nera come l'inchiostro. Volli andare
a vedere : i vigili ci dissero che l'acqua era
lentamente ma costantemente in aumento.
L'amico mi assicur che l'acqua inondava
spesso quelle piccole strade ed altre parti pi
basse della citt: ma non v'erano da temere
pericoli.... tanto vero che il padre del mio in-'
terlocutore, attivo e coscenzioso assessore mu-
nicipale, era andato tranquillamente a letto alla
solita ora. Le acque come straripavano pron-
tamente, cos prontamente si ritiravano: la
mattina seguente, tanto pi essendo cessato di
piovere, non ve ne sarebbe stato pi traccia.
Gli abitanti delle strade inondate riposavano
tranquillamente. Perch non avrei io pure fatto
altrettanto ?
Alle 7 antinun'idiane ilei :J<S, moijlie doi'juivo
ancora, mi vennero ad avvertire che l'acfjna,
entrando per le strade fra via di Ripetta ed il
Corso, inondava quest'ultima strada. Non vo-
lendo farmi chiudere in casa dall' inondazione,
mi vestii ed uscii quanto pi presto mi fu pos-
sibile, usando dell'unico mezzo che
mi lim.i-
Il prinrpio dell' inotidazione 279
iieva, cio salendo sull'alto della casa dove abi-
t.ivo, passando da un tetto e da un terrazzo a
quella vicina, l'ultima del Corso, dalla quale s
[toteva scendere sopra una lista di terra non
incora sonnnersa.
L'ac(iua
cresceva a vista d'occhio*, il Corso,
(la piazza San Carlo allo sbocco in piazza del
Popolo, era alla^^ato completamente. La piazza,
t'sscndo fatta un po'a conca, era sommersa nel
mezzo
;
adagio adagio sparivano uno dopo l'altro
i gradini defila base dell'obelisco, ma tutt' all'in-
torno rimaneva una zona asciutta per la quale
si poteva comodamente arrivare all'ingresso del
l'inrio.
11 tempo era bellissimo, primaverile: dalle case,
(lai palazzi del Corso una moltitudine di teste
appariva alle numerose finestre: le donne, sve-
gliate improvvisamente, tutte spettinate e scom-
|)oste, guardavano l'acqua avanzarsi: ma nes-
suno temeva danni gravi; i volti esprimevano
sorpresa ed ilarit per il nuovo spettacolo pi
clic desolazione o spavento.
Salii la collina del Pincio per vedere dall'alto
maggiore estensione della citt e della circo-
stante campagna. Di lass lo spettacolo era ter-
libilmcntc grandioso. Le campagne fuori di porta
l(3l Popolo a destra ed a sinistra del fiume, 1
pi-ati della Farnesina, il tratto allora deserto fra
il Tevci-e e il Vaticano di fi-onte a Ripetta,
ai>-
parivano intieramente coperti dalle acque
:
il
(Nrso del fiume era indicato in quella massa li-
piida dalla quantit d'alberi e di masserizie
trascinate dalla impetuosa corrente.
Krano stati condotti al Pincio, per tenerli lon-
280 VITTORIO EMANUELE A ROMA
tani da qualunque pericolo, centinaia di cavalli
dalle parti inondate della citt: bestie di tutte le
razze e di tutti i prezzi. Rotta la cavezza,
al-
cuni scorrazzavano allegramente per i viali
e le
aiuole fiorite. Vetture signorili erano trascinate
lass a braccia d'uomo, e vi accorreva
gran
numero di curiosi. Ma tanto poco si prevedevano
i disastri poi sopravvenuti, che i militi d'un bat-
taglione di guardia nazionale, invitati al Pincio
dalle 8 alle 9 e mezza per l'istruzione, vi erano
andati come se nulla fosse avvenuto e si erano
messi ad eseguire con tutta calma il maneggio
dell'arme.
Sceso dal Pincio per villa Medici e la Trinit
de' Monti corsi con una botte a Montecitorio,
dove allora era la Questura di Roma. Vi trovai
pessime notizie: in via Tordi Nona ed in Ghetto
l'acqua aveva raggiunto l'altezza d'un uomo:
nel Ghetto il pericolo era grave ed imminente
per la meschina struttura delle casupole nelle
quali si stipavano tanti e tanti miserabili. A Ri-
petta l'acqua era ormai giunta a tale altezza che
le grosse barche dei pontieri vi potevano mano-
vrare come in un fiume. Erano le sole bardita
che fossero in Roma
non si potevano certa-
mente adoperare i navicelli ancorati a Ripa
grande
e fu una gran fortuna per tutti che
si trovassero nella citt gli intrepidi e bravi pon-
tieri, ai quali ogni elogio sarebbe inferiore al vero.
Alla questura si era stabilito il centro per la
distribuzione de' soccorsi: l accorrevano i vo-
lenterosi che avevano la buona intenzione d
prestare in qualche modo l'opera loro. Il questore
cav. Berti si centuplicava.
I primi soccorsi
281
A mezzoj^orno i rioni pi bassi di Roma erano
intieramente inondati: sul Corso l'acqua arri-
vava al palazzo Glii{?i. Da per tutto aumentava
sempre : nelle vie pi basse s'erano formate pe-
l'icolose correnti. Al Campidoglio si comincia-
vano a prendere disposizioni per approvvigio-
nare gli abitanti delle strade inondate. Il prin-
cipe Doria, fif. di Sindaco, aveva subito ottenuto
lai generale Cosenz tutti i mezzi disponibili:
love poteva penetrare un cavallo robusto, le
carrette di battaglione, le prolong/ie di cavalle-
lia furono adoperate a vettovagliare le case.
Ricominci a piovere. La via di Ripetta pa-
I va 1111 impetuoso torrente, nel quale i pontieri
siidavaiio l'immenso pericolo di essere trasci-
nati dalla corrente", lo sfidava con loro il te-
nente colonnello cav. Garavaglia.
Alle tre l'acqua era arrivata in piazza Colonna,
lino alla base della colonna Antonina. Si era
intrapresa, 11 in piazza, la costruzione di zattere
s(tto la direzione di Augusto Silvestrelli asses-
sore municipale, perdio n le 16 barche dei
pontieri, n i carri della truppa potevano sup-
plire a tutti i bisogni urgenti. I cittadini volente-
rosi lavoravano alacremente a quelle costru-
zioni; mentre altri, sotto la direzione d'impiegati
(Iella questura e del municipio, curavano la di-
sti'ibuzione del pane. Si vedevano patrizi atten-
dere ai pi faticosi lavori insieme con popolani:
il principe Orsini s'era imbarcato sopra una fra-
gilissima zattera: il principe Odescalchi andava
incettando pane ne' luoghi pi distanti da quelli
inondati.
Il principe Doria ff. di sindaco chiam a raccolta
282 VITTORIO EMANUELE A RO>IA
la guardia nazionale: ufficiali e militi, sebbene
non ancora tutti vestiti in uniforme, si presenta-
rono in gran numero, gareggiando con gli ufficiali
e i soldati della guarnigione che, comandati o no,
erano tutti occupati a benefizio de'pericolanti. Il
generale Cosenz, tutti i comandanti dei corpi della
guarnigione, il colonnello Ghersi ff. di coman-
dante la piazza, si moltiplicavano. Ed i nostri
soldati si mostrarono osservanti del dovere fino
all'eroismo. Un caporale ed otto soldati del
58
fan-
teria erano di guardia ai macelli pubblici. Non
si mossero dal posto clie avevano in consegna.
Nessuno, in quel trambusto, pensava pi a loro;
vi pens il colonnello Garavaglia e andato con
due barche a salvarli, li trov con lo zaino in
spalla, il fucile in mano, in -piedi sopra i tavo-
lacci, appoggiati al muro e con Tacqua fino alle
spalle!!
In via dell'Orso in Ghetto, in altri luoghi, molte
persone dovettero la vita al nobile ardimento
dei nostri soldati. I pontieri, esponendosi ad un
pericolo quasi sicuro, traversarono due volte la
corrente del fiume per andare a salvare delle
persone rimaste in una casupola isolata ne' Prati
di Castello. Quattro o sei barconi de' pontieri
stavano in pennanenza in Ripetta, dove nel tratto
fra il i)ort(^ e i)iazza del Popolo l'acqua era tanto
alta da coprire i fanali del gas che i barconi
spezzavano con la chiglia.
Si parlava di vittime umane
che fortuna-
tamente non vi furono:
si prevedevano gli
immensi danni fatti dall'acqua, se non altro nei
negozi di via Condotti e del Corso, divenuto un
gran canale d'acqua torbidissima sulla quale
I
La gio-nata del 28
283
p:alle?:f?iavano oggetti minuti d'ogni sorta e lar-
ghissime cliiaz/.e d'olio.
La notte venne i)restissinio, ed accadde quanto
ra stato facilmente preveduto: il gas appena
acceso si spense percli i condotti erano pieni
d'acqua.
Il livello della inondazione, rimasto staziona-
rio dalle
rj alle
5, cresceva nuovamente: la piog-
gia cadeva di nuovo abbondante. Il triste silenzio
della desolazione era presto succeduto al cin-
guettio della sorpresa e della curiosit: in piazza
(Colonna, dove Vaccina rifletteva il funereo cliia-
roi'c (li una quantit di torcie, il silenzio era
rott( soltanto dal picchiare dei martelli e dalle
l)oche e concitate parole dei volontari fabbri-
canti di zattere.
A Montecitorio ^>i lavorava alacremente alla
distribuzione del pane. I comitati di soccorso
formatisi nei vari rioni corrispondevano diret-
tamente col cav. Berti. Oltre i carri militari
si erano requisiti quanti carri privati si pote-
vano adoperare: a sera inoltrata chi aveva
avuto bisogno di pane non ne mancava.
Il generale Lopez, comandante la guardia na-
zionale, stabili il suo (inai'tier generale al pian
terreno del palazzo Doria. I militi della guardia
vi si riunirono armati di pessimi fucili e di
molta buona volont. La guardia nazionale a
cavallo dava l'esempio dello zelo. Divisa in drap-
pelli di sei od otto cavalieri
,
perlustrava la
])arte pi alta della citt, dove non l'acqua, ma
la malvagit de' cattivi faceva paura. Anche nei
quartieri bassi, mettendo i cavalli nell'acqua fino
284 VITTORIO EMANUELE A ROMA
al petto, quei giovani volenterosi rendevano pre-
ziosi servigi. I militi a piedi scortavano i con-
vogli di pane, vigilavano i forni dove si lavo-
rava continuamente, pattugliavano per l'ordine
pubblico nelle strade immerse nelle tenebre. La-
sciata da canto per un momento l' ambizione
del grado, gli ufficiali facevano la sentinella dove
occorreva; e con grande sodisfazione e com-
mozione di molti, persone conosciute per opi-
nioni retrive, messo un berretto da guardia
nazionale ed impugnato un fucile, anche senza
essere iscritti nei ruoli, s univano agli altri,
accolti da mute ma eloquenti strette di mano.
La cavallerizza del palazzo Doria, quartiere
provvisorio della guardia nazionale , era piena
di persone vestite in tutte le foggie, armate, in-
zuppate dall'acqua, riunite in numerosi gruppi.
Mentre alcuni si asciugavano ad un gran fuoco
improvvisato come in un bivacco, un gruppo di
novizi si esercitava nel
flanco
clestr sotto la di-
rezione di qualche provetto.
In un angolo una ventina di cavalli nitrivano.
V'erano tamburini e colonnelli: principi romani
e guatteri di carfc!
A
mezzanotte arriva l'ordine precipitoso di
andare al Campidoglio. L'acqua incalza; ha gi
inondato le cantine del palazzo Doria; il co-
mando generale obbligato a lasciare la sua
residenza; si conducono in salvo anche i ca-
valli del principe. L' acqua sboccata dalle chia-
viche del Pantheon arriva per piazza di Pietra
fino a piazza Sciarra, unendosi a quella che viene
da piazza Colonna. Montecitorio , elevato sul
monticello formato dalle ruiiie d'un anfiteatro,
q
Al palazzo Doria 285
divenuto un'isola. A porta San Paolo, alla Bocca
della Verit, al tempio di Vesta, l'inondazione
aumenta. Un uomo disperato si raccomanda alla
questura perch gli salvino la moglie e quattro
figli che si sono ridotti sul tetto della loro me-
schina casa fuori porta San Paolo. Come s fa
ad avventurarsi in mezzo a quelle tenebre senza
una barca Pure cinque o sei partono con quel
pover'uomo e si propongono di salvargli la fa-
miglia in qualunque modo.
11 servizio di soccorso e di vettovagliamento
non cessa. Verso le due dopo mezzanotte un
po' di quiete s spande per tutto: triste quiete
Ma tutti hanno bisogno d'un po' di riposo.
L'jilbci del 29 ci sorprende in quattro o cinque
addormentati a sedere sui gradini dello scalone
di Montecitorio: il cav. Berti seduto vicino a noi,
digiuno da ventiquattr'ore, sbocconcella un pez-
zetto di pane da munizione.
11 cortile del palazzo, quello che poi ricoperto
divenuto l'aula della Camera dei deputati, s'af-
folla di carri pieni d pane "da munizione,, co-
perti alla meglio da incerati, da cappotti, da co-
perte di truppa. Soldati e guardie nazionali ri-
cominciano il lavoro del giorno precedente. Il
conte Guido di Carpegna,
presidente del Comitato
d soccorso del rione Camptelli, manda ad an-
niuziare che alcune casupole del Ghetto minac-
ciano rovina: bisogna sgombrarle subito a qua-
lun(iue costo per evitare disgrazie.
Viene fuori il sole ad illuminare un luttuoso
quadro. L'acqua stazionaria ma ricopre gran
parte della citt. Nel Corso arriva fino a San
286 VITTORIO EMANUELE A HOltA
Marcello, per via Condotti giunge a pochi passi
dalla fontana di piazza di Spagna. Nelle vie
strette e tortuose vicine al Tevere , in alcuni
punti l'acqua arriva fino ai primi piani delle case
basse. Portare il pane agli affamati, le medicine
agli ammalati, in codeste viuzze veramente
ardua impresa. Eppure bisogna accompagnarvi
anche una levatrice e da un carro militare, ti-
rato da un robusto mulo, issarla fino ad un se-
condo piano mediante una scala, non ostante la
pi che giunonica abbondanza delle di lei forme.
La gaia spensieratezza del carattere romano
non si smentisce. Quando passano carri o zat-
tere, quando si distribuisce il pane, le finestre
si gremiscono di teste e volano per l'aria motti
pungenti all'indirizzo di questo e di quello, ma-
gari de' soccorritori. Vi sono gl'indiscreti che
non nascondono il loro malcontento ricevendo
del pane solo.
Viene il Re
mi disse in un orecchio: e
nrii mostr un telegramma che gli annunziava
la partenza gi avvenuta d'un treno speciale
con le carrozze, i cavalli e i bagagli di Sua
Maest.
Corsi alla Consulta dove mi fu confermato
quanto avevo saputo dal questore: nulla di
pi, nulla di meno. Vittorio Emanuele non era
ancora partito, n si sapeva quando partirebljc
n per quale strada: perch la ferrovia per
Arezzo e Foligno era rotta a Orte, e quella per
Pisa-Civitavecchia era rotta fra Civitavecchia e
Orbetello.
Al Campidoglio, dove la notizia era stata
trasmessa dal luogotenente del Re, quale egli
l'aveva ricevuta, discutevano se si dovesse an-
nunziarla al pubblico. Prevalse pedantescamente
l'opinione di aspettare che fosse nota l'ora pre-
cisa dell'arrivo, e poich questa si seppe soltanto
tardi, la citt non fu informata d'un fatto che
pur doveva alleviare moralmente tanti dolori.
A sera comparve la terza edizione della Li-
bert
la Cassetta del Popolo delI'Arbib, che
fondendosi con un altro giornale ne aveva preso
Viene il ile!
2S<i
anche il titolo
con un dispaccio da Firenze
fhe annunziava la partenza del He per Roma
ille 5 pomeridiane per la via di Civitavecchia
ed il probabile arrivo alle tre e un quarto anti-
meridiane del 31. Ma la pioggia dirotta impe-
diva una gran vendita di giornali, e se ormai
l'acciua era scomparsa da tutte le strade, que-
ste erano egualmente impraticabili perch co-
l)erte da un palmo di fango denso e vischioso,
sul quale era impossibile camminare.
Non ostante, la notizia dell' arrivo del Re si
spai*se presto per opera di chi V aveva saputa
in un modo o in un altro, e perch dal comando
superiore della guardia nazionale erano stati
>rdinati di servizio due battaglioni in tenuta di
parata*, anche lo squadrone della guardia a ca-
vallo
gi in servizio da qualche ora e che
Lveva passato a cavallo la notte precedente
aveva ricevuto T ordine di trovatasi riunito al
tocco dopo la mezzanotte in grande tenuta.
Molti per, sapendo delle strade ferrate rotte,
flubitavano che il Re sarebbe arrivato. Non v'
li peggio del dubbio quando riguarda qualche
cosa vivamente desiderata. Alle dieci, alle un-
<lici di sera s'incontrava della gente che pareva
avesse la febbre addosso. Chi era supposto per-
sona bene informata non poteva fare un passo
senza essere fermato ed interrogato da persone
mai viste n conosciute.
Era certo che il Re era partito alle cinque
ed
era passato da Pisa circa alle sette. Al tocco
lopo mezzanotte i due battaglioni e lo squa-
drone della guardia nazionale erano gi radu-
nati, quando ricevettero l'ordine di sciogliersi.
ri'.s I. Come siamo eitrati in Roma.
19
290
VITTORIO EMANUEI-E A ROMA
Non viene pi I
fu detto, con una escla-
mazione
generale, unanime di dolore.
Si seppe invece subito che il Re, da una sta-
zione lungo la strada, aveva fatto telegrafare
che, desiderando di arrivare senza alcuna pompa
in un momento di tanto dolore, dispensava la
guardia nazionale da qualunque parata. Fu man-
data una compagnia di guardia al Quirinale e
il rimanente de' militi fu licenziato.
Alle due arriv un dispaccio che annunziava
avvenuta
alla una e trentacinque la partenza
del treno reale da Civitavecchia. Molti gruppi di
gente
s'incamminarono con fiaccole accese verso
la stazione di Termini. Alle tre vi saranno state
sul piazzale
pi di tremila persone: parecchie
vetture ;
molte donne d'ogni condizione. Un altro
migliaio di persone era dentro la stazione. La
pioggia era cessata: il gas illuminava
molto
languidamente la piazza vastissima, nella
quale
risplendevano vari gruppi di torcie a vento.
Due
squadroni di lancieri Milano erano schierati
di fronte all'ingresso, molto distanti, nel buio.
Alle tre e pochi minuti vennero dal Quirinale
le carrozze reali, giunte poche ore prima per la
via di Civitavecchia. Erano tre landau attaccati
a quattro, alla postigliona, preceduti da un bat-
tistrada.
Alle tre e quaranta, si ud il fischio della lo-
comotiva. Di fuori gli rispose un grande urlo
della gente che avrebbe voluto pi-ccipitarsi xlen-
tro, peneti-are da qualche parte sul marciapiede
dove erano il gei)erale I.a Marmora con Tonorc-
vole Gerra, la Giunta municipale, gli onorevoli
L'arrivo del Re 291
Vincenzo Trttoni ed Emanuele Ruspoi deputati
di Roma. Il Re, appena giunto il treno nella sta-
zione, s'affacci allo sportello, lo apri, salt gi,
dette la mano al La Marmora e, senza neppure
aspettare le presentazioni d' uso , domand ai
deputati ed agli assessori che gi conosceva
per essere stati a Firenze a portargli il plebiscito
(li Roma, quale fosse veramente la entit dei
danni' Scesero dopo Vittorio Emaimele, ilLanza,
il Sella, il Visconti Venosta, i colonnelli Angelo
I
i.iUetti e il marchese Spinola, il marchese di La-
Jatico ed il capitano marchese Giuseppe Della
Rovere.
Nella profonda oscurit della notte risuon,
in fondo alla piazza, la fanfara reale suonata
<lalle trombe della cavalleria, e la piazza si illu-
min della luce rossa dei fuochi di Bengala che
(lava un aspetto strano e meravigliosamente
iniponente ai resti delle terme Docleziane. Tutto
il vasto spazio, oggi occupato dal giardino, dalla
lontana e da grandiosi edifzi , sembrava in
lianime, ed in quell'ambiente infiammato si agi-
tavano cento e cento fiaccole, si muovevano e
(maggiore Di Aichelburg).
33
(maggiore Colombini).
Artiglieria (tenente colonnello Moreno).
4'
V
e 12^
Batteria del
9
Reggimento.
Cavalleria.
Reggimonto Savoia cavalleria (colonnello Ristori di Ca-
saleggio).
Genio.
2^
Compagnia zappatori del Genio.
302 NOTE E DOCUMENTI
n^ DIVISIONE.
Comandante Generale: Luogotenente gen. Cosenz cav. Enrico.
Capo di Stato Maggiore: Maggiore Mantellini cav. Cesare.
(maggiore Pagliari).
Artiglieria (maggiore Boido).
10*
11-
e
12*
Batteria del
7
Reggimento.
Cavalleria.
2
e
3
Squadrone Lancieri Milano (tenente colonnello
Galli della Loggia).
12*
DIVISIONE.
Comandante Generale: 3Iaggiore generale .>!
' ' '
i lun h,
conte Gustavo.
Corpo di Sfato maggiore: Maggiore D'Ayala nob. Alessan-
dro.
Addetti: Capitani, Rasini di Mortigliengo cav.
(Ca-
listo, promosso maggioro e sostituto da Aymonino cav. Carlo,
Manacorda Ernesto, tenente Bollati Emilio.
Conandunte Vartiglieria: Maggiore Tavallino.
Le truppe che occuparono Roma 303
tendente militare. Commissario di guerra Bonome cava-
liere Evasio.
danza divisionale : ileco direttore Guidetti cav. Carlo.
Truppe.
Brigata Bologna (maggiore generale Angelino).
\9^ Reggimento fanteria (colonnello Belly).
(colonnello S. Martino).
Brigata Modena (maggiore generale Carchidio).
41
Reggimento fanteria (colonnello Cattaneo).
42
(colonnello Fontana).
Bersaglieri,
12
Battaglione (maggiore Novellis d Coarazze).
35
(maggiore Castelli).
Artiglieria (maggiore Tavallino).
la 2*
e
8*
Batteria del T Reggimento.
Cavalleria.
IO
Qo
f)*^
e
6^
Squadrone lancieri d'Aosta (tenente colon-
nello Municchi).
13
DIVISIONE.
>mandante generale: Maggiore generale Ferrer cav. Emilio.
Capo di Stato maggiore: Luogotenente colonnello Pozzolini
cav. Giorgio.
Addetti: Capitani, Amey Settimio. Flores
d'Arcais Fortunato, tenente Moreno cav. Ferdinando.
Comandante l'artiglieria: Maggiore Novellini.
Intendente militare: Commissario di guerra Novelli cav.Enrico.
Ambulanza divisionale: 3Iedico direttore Colombini cav. Fla-
minio.
Comandante il quartiere generale: Gariazzo cav. Vincenzo
capitano
3
granatieri.
Truppe.
Brigata Cuneo (maggiore generale marchese De Fornari).
7
Reggimento fanteria (colonnello Spinola).
8
(colonnello Giusiana).
304 NOTE E DOCUMENTI
Brigata Abruzzi (maggiore generale Bessone cav. Giuseppe),
57 Reggimento fanteria (tenente colonnello Mont-Real).
58
(colonnello Bracco).
Bersaglieri.
16
Battaglione (maggiore Garrone).
36
(maggiore Prevignano).
Artiglieria (maggiore Novellini).
4a 5a
g
ga
Batteria del
7
Reggimento.
Cavalleria.
1
e
4
Squadrone lancieri Milano (maggiore Porcara
Bellingeri).
RISERVA.
Artiglieria.
5* 6*
e
8^
Batteria da posizione del
9
Reggimento (mag-
giore Pelloux cav. Luigi).
Parco d'artiglieria (maggiore Vivanet).
Equipaggio da ponte (capitano Della Croce cav. Benedetto).
Genio.
Brigata zappatori del Genio (maggiore Scala).
Bersaglieri.
6
Battaglione (maggiore Melogari).
10
(maggiore Pallavicini).
17
(maggiore Ulbrich).
28
(maggiore Mattioli).
40
(maggiore Cartacei).
Cavalleria.
Reggimento Lancieri Novara (colonnello
Costa Righini
cav. Alberto).
II.
I MORTI E I FERITI.
Elenco degli ufficiali, sotto-ufficiali ed uomini
di truppa, morti sul campo od in seguito a ferite
riportate nelle operazioni di guerra per l'occu-
pazione dello Stato Pontificio e della citt di
Roma, o feriti durante le operazioni stesse.
MORTI.
Pagliari cav. Giacomo, di Cremona, maggiore comandante il
34
battaglione bersaglieri, ucciso sotto la breccia alla testa
del suo battaglione.
Paohitti Giulio Cesare, di Firenze, tenente del
9
artiglieria,
ferito durante il combattimento e morto poche ore dopo a
Villa Potenziani.
Valenziani Augusto, di Roma, tenente nel
40
fanteria, ferito
all'assalto dell'opera esterna di Porta Pia e morto subito
dopo a villa Patrizi.
Bosi Cesare, di Bologna, capitano nel
39
fanteria,
ferito
nel giardino di Villa Patrizi, e morto allo spedale Fate-
bene-fratelli, in Roma, il 15 ottobre 1870, in seguito alle
riportate ferite.
30G NOTE E DOCUMENTI
Ripa Alarico, di Eavenna, capitano nel
12
bersaglieri, fe-
rito all'assalto della breccia, morto all'ospedale di San Spi-
rito, in Roma, in conseguenza delle riportate ferite.
Sangiorgi Paolo, Mattesini Ferdinando e Parillo Biagio,
soldati del
3
granatieri, morti a Porta San Pancrazio.
Bosio Antonio, soldato del
39
fanteria, morto in conseguenza
di ferite ricevute nell'assalto dell'opera esterna di Porta Pia.
Giainiti Luigi, sergente; Campagnolo Domenico, caporale;
Gamhini Angelo e Zobolo Gaetano, soldati del
40
fanteria.
Maddalena Domenico, soldato del
41.
Matricciani Achille, caporale del
45.
Spagmiolo Giuseppe e Cascardla Emanuele, soldati del
57.
Canal Luigi, soldato nel
61.
Morava Serafin(>, soldato nel
62:
Tumino Giovanni Antonio, caporale; Peretta Pietro e San-
tunioie Tommaso, bersaglieri del
12
battaglione.
Rissato Domenico e Martini Domenico, bersaglieri del
16
battaglione.
Leoni Andrea, furiere maggiore del
21
battaglione bersaglieri.
Therisod Luigi, De Francisci Francesco, caporali
;
Jzzi Paolo,
Ramhaldi Domenico, Calcaterra Antonio, bersaglieri del
33
battaglione.
Jaccarino Luigi, caporale, Cardillo Beniamino e Bertuccio
Domenico, bersaglieri del
34
battaglione.
Mazzocchi Domenico e Gioia Guglielmo, bersaglieri del
35
battaglione.
Bonezzi Tommaso, dei lancieri Novara, ucciso a Sant'Onofrio
il 14 settembre.
Aloisio Valentino, cavalleggero del reggimento Lodi, ucciso
a Porta San Pancrazio.
Turnia Carlo, Zanardi Pietro, Cavalli Lorenzo, cannonieri
del
7
artiglieria.
Romagnoli Giuseppe, sergente; Xharra Luiy:i, Jiianchetd
Martino e Renzi Antonio, cannonieri dell*
8
artiglieria.
Corsi Carlo e Plazzoli Michele, caporali; Agostinelli Pietro
cannoniere del
9
artiglieria.
I morii e i feriti
307
FERITI.
Eosso Roberto, tenente nei lancieri Novara, ferito di bajo-
netta a Sant'Onofrio il 14 settembre.
Giolitti cav. Davide, tenente colonnello del
40
fanteria, e
De Ferrari Giovanni capitano nel detto reggimento, feriti
ambulile all'assalto dell'opera esterna di Porta Pia,
Serra Leopoldo, capitano del
12
battaglione bersaglieri, fe-
rito sulla breccia.
Ramanini Alessandro, tenente^ del
34 battaglione, ferito
sulla breccia.
Viale. Michelo, sottotenente drl 1U^
fanteria, ferito davanti
alla broccia.
Lodalo Vittorio, sottotenente nel
21
battaglione bersaglieri,
ferito davanti a Porta Salara.
Strada Giulio, sottotenente del
3
battaglione bersaglieri,
ferito a Porta Pia, mentre col suo plotone controbatteva
il fuoco del Castro Pretorio.
Kei/ Ivan, tenente nel
1
reggimento della Guardia Svedese,
che prestava servizio per sua istruzione nel
20
battaglione
bersaglieri, ferito a Porta San Pancrazio.
3
REGGIMENTO GRANATIERI: Colottibo Pictro, Caporale; Moro
Vincenzo, Giacomini Giuseppe, Tubaro Luigi, Zironi
En-
rico, Ferrari Giovanni Battista, granatieri
7
fanteria: Vellone Luigi, soldato.
8
fanteria: Costi Giacomo, soldato.
15 fanteria: Cocco Pasquale, caporale.
16 fanteria: Bazzano Alessandro, Scarrone Francesco, Ber-
tani Gaetano, soldati.
19 fanteria: Mnlas Antonio, soldato.
33 fanteria : Gian Franceschi Domenico, Bordignoni Seba-
stiano, soldati.
39 fanteria: Burrini Giovanni Battista, sergente; Meglioli
Vincenzo, Gallorini Giorgio, caporali
;
Mengali Francesco,
Oliva Gabriele, Mattcucci Gaspare, La Viola Tommaso,
Parhingo France.sco, Tofanin Napoleone, Favaro Natale.
Roasio Luigi, soldati
308 NOTE E DOCUMENTI
40
fanteria: Squcrso Agostino, Bascolla Giuseppe, Maa-
guzzi Valerio, sergenti; Ferrer Domenico, Petrini Sante,
Catelani Ettore, caporali
;
Comisso Giovanni Battista, Zezza
Michele, Taggiasco Antonio, Ghetti Francesco, Desimone
Paolo, Jacquin Ambrogio, Bosi Luigi, Re Pasquale, Grassi
Giovanni, Alberti Sebastiano,
Dolfi
Giovanni, Delhoni
Enrico, Mandola Sabato, Bordi Pietro, soldati.
41
fanteria: Bartolini kMonsOj Cara?/e^/o Giuseppe, capo-
rali; Amarotta Crescenzio, Negri Pietro, Violo Angelo,
Bedin Giacomo, Capucd Luigi, La Monica Antonio, Bri-
gnone Felice, soldati.
57
FANTERIA : Roniauo Gabriele, sergente; Di Lauro Pa-
squale, soldato.
61
fanteria: Ciesca Domenico, sergente; Carjnneto Giu-
seppe, Fogliarti Pompeo, Migliore Filippo, Lamo Pellegrino,
soldati.
12 BATTAGLIONE BERSAGLIERI: Fortc Sauto, caporalc; Ga-
butto Vincenzo, Maroncelli Vincenzo, Luminari Costantino,
Rebuffo
Antonio, Bessony Antonio, Chiappini Giovanni
Battista, Locatelli Carlo, Pstato Giuseppe, PizzuUo Luigi,
Di Bartolomeo Carmine, Emiliani Vincenzo, De Marinis
Michele, Comba Giacomo, Ameglini Silvestro, Barassi
Raffaele, bersaglieri.
16 BATTAGLIONE BERSAGLIERI! Bassi Luigj, bersagliere.
20 BATTAGLIONE BERSAGLIERI: Rosuti Alcriano, bersagliere.
21 BATTAGLIONE BERSAGLIERI: Rilucente Guspm^f' r.inoralo;
Merani Domenico, bersagliere.
29 BATTAGLIONE BERSAGLIERI: Zonini Adriano, oaporal fu-
riere; Giuffrida Domenico, Largura Giovanni, bersaglieri.
:]:j BATTAGLIONE BERSAGLIERI: Del Fontc Domonico, sor-
gente; Nenni Francesco, Nasfdsi Pietro. Femia Pas.iualt'.
Ceparo Vincenzo, bersaglici
34 BATTAGLIONE BERSAGLIERI: i'c'M" i.illi; I, ca|M.ialf. trr/i-
iili Pellegrino, Pret^ Orazio, Zaccari Filippo, Tassane
Vincenzo, bersaglieri.
3')
BATTAGLIONE BERSAGLIERI: DEustochio Salvatore, ser-
gente; Ciciliani Domenico, Chillo FraDcesco, Simonclli
/ morti e i feriti 309
Giorgio, Nicolosi Agostino, Colonna Giovanni, Antignano
Raffaele, Grimaudo Bernardo, Pieralisi Luigi, bersaglieri.
7
REGGIMENTO ARTIGLIERIA! PelHccia GuIo, Caporale;
Maf-
fei
Michele, Tarini Mariano, Zotti Giovanni, cannonieri.
8^
REGGIMENTO ARTIGLIERIA : De Stefano Francesco, sergente
;
Piccian Giuseppe, Crea Domenico, Oiacohhi Giovanni,
Bemo Giuseppe, Trancheae Giovanni, Benivcgna Ignazio,
Digiuno Michele, Creppi Giovanni, cannonieri.
9^
REGGIMENTO ARTIGLIERIA: VaUevga Simone, Mazzoni
Antonio, sergenti; Moretti Giovanni, caporale; Ubaldo
Gennaro, Ingenito Giuseppe, Cosenza Giovanni, Caviola
Lorenzo, Turri Alessandro, Cue Giacomo, Castagno Car-
melo, cannonieri.
ZAi'PATORi DEL GENIO: Maxnardx Giovanni, Qrtti Amedeo,
Andrioli Giuseppe, zappatori.
LANCIERI NOVARA: Minoggio Giovanni, caporale.
III.
Le ricompense al valore.
Elenco delle ricompense concesse a favore di
militari e funzionari che maggiormente si distin-
sero nelle operazioni militari per l'occupazione
del territorio Pontificio.
Con R. Decreto 23 ottobre 1870:
Cadorna cav. Raf-
faele, luogotenente generale gi comandante il
4^
corpo
d'esercito
nominato gran croce dell'ordine militare di
Savoja per i segnalati servigi resi quale comandante del
corpo d'esercito che, merc l'occupazione di Roma, port a
compimento i voti della Nazione.
Con R. Decreto 8 ottobre:
Nino cav. Bioro, luogote-
nente generale gi comandante la
2*
divisione attiva
,
il quale rimarr a disposi-
zione dol Santo Padre col suo attuale equipaggio, quale
consta dal Ruolo che presenter il signor capitano di vascello
Cialdi, comandante il medesimo. Qualora Sua Santit rinun-
ciasse a detto possesso, il bastimento verr consegnato al
Governo italiano, ed il personale sar compreso nelle condi-
zioni degli altri capitolati militari indigeni, essendo riservato
fino ad oggi ogni qualunque diritto accordato al corpo della
marina dalle Leggi pontificie sulle pensioni.
Art. 10.
Le disposizioni del precedente articolo, non
essendo contemplate nelle istruzioni ricevute dal generale
comandante le truppe italiane, il medesimo non sar vale-
vole che dopo di essere stato approvato dal Governo del Re
d'Italia, approvazione che il generale s'impegna di ottenere.
Pesci. Come siamo entrati in Roma.
7S^
338 NOTE E DOCUMENTI
Aet. 11.
^^*
ITALIANA
ESCE OGNI DOMENICA
24
pagine In-folio a 3 colonne e copertina.
X'Illusteazioke Italiana, diretta da fornii io e GJ-nido
Treves, la sola rivista del nostro paese che tenga al
corrente della storia del giorno in tutti i suoi molteplici
aspetti: la sola dose tutto sa originale ed inedito, e tutto porti
unHmpronia prettamente nazionale. Non v^ fatto
contempo^
raneo, non personaggio illustre, non scoperta importante, non
novit letteraria o scientifica od artistica, che non sia regi'-
strata in queste pagine colla parola e col pennello.
Fuori testo, dei QUADRI A. COX-ORI
Abbiamo il piacere di annunziare che col 1911
FERDINANDO MARTINI
ha ripreso la serie delle sue
CONFESSIONI E RICORDI
Anno, L. 35
-
Semestre, L. i8
-
Trimestre, L. 9
(Estero, Franchi 48 l'anno).
Centesimi 75 11 numero.
I 52 fascicoli stampati in carta di lasso formano in fine d'anno die
magnifici volami di oltre milleduecento pagine, illostratl da oltre
600 incisioni; ogni volarne ha la coperta, il frontiepizio e l' indice.
Dirigere commissioni e vaglia ai Fratelli Treycs, editori, Milano
Milano
Frat^u^li IKr.Vta, -.ditori
Miljlno
L'Illustrazione Popolare
Anno XLII
CON ANNESSO L
CiDtlOiliu.
ALBUM F0T0GRAFI60
diretto da RAFFAELLO BARBIERA. il giornale lette-
rario pi antico e pi brillante d'Italia. raccomandabi-
lissimo alle famiglie, come quello che illustra e alimenta
gl'ideali di famiglia e di patria.
Nel 1911 rillustrazione Popolare ha subito una
IBIPOBTANTE TRASFORMAZIONE
Il numero sottiinanale composto di
SEDICI PAGINE di solo testo nel formato solito in-4 a
tre colonne (la prima pagina illustrata); pi
OTTO PAGINE in-8 di sole incisioni d'attualit ed arte,
tirate a parte, in carta di lusso, e con numerazione speciale.
Inoltre gli associati annui e diretti ricevono ogni mese
16 pagine
di
ROMANZO ILLDSTRATO.
A questo modo gli associati avranno nel corso dell'anno
Un volarne di amena lettura di 832 pag. in-4 a 8 colonne;
Un altro volume di illustrazioni che former un magnifico
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di 416 pigine in-8;
Uno due volumi di romanti illustrati,
Ciascun volume avr una numerazione separata.
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^li^anno
(Estero, Fr. S,50).
Il prezzo dol numero
(16
pagine di testo, 8 di illn-
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D I E C I CENTESIMI,
ma il romanzo mensile riservato soltanto agli associati
annui e diretti.
Coll'ultimo numero d'ogni mese si d una copertina perch gli
associati e i lettori possano avvolgere i numeri del mese.
Nella copertina sono intercalati i Buoni da 20 oenteiiml,
per acquistare a un prezzo mitissimo, eccezionale, molti bel-
lissimi volumi di letteratura amena, di storia di viaggi, di
poesia, editi dalla Casa Treves.
/ numeri d'ogni mese deiriLLUSTRAZIONE POPOLARE, raccolti
nella relativa copertina color di rosa, formano un bel fascicolo
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/ Divoratori, romanzo diAnnieVivanti . . . 5
La citt del giglio, romanzo di
Dora Melegari
.
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Nel deserto, romanzo di
Grazia Deledda . . . 4
Duello d'anime, to manzo
diNeera. . . . . 4
Donne e Fanciulle, di
Luciano Zccoli. ... 3 50
La Guerra lontana, romanzo di Enrico CorradinJ. 3 50
Storie dell'Amore sacro e dell'Amore
profano,
dol conto
Tommaso Gallarati Scotti . . . 4
La messa di nozze, romanzo di
F. De Roberto. 3 50
L'albero della Scienza, novelle di
F. De Roberto. 3
Le
fiabe
della virt, di
Alfredo Fanzini ... 3 50
La volutt di creare, di
Luigi Capuana. ... 3 50
Adolescenti, romanzo di
Luigi Materi .... 1
L'ultimo sogno, romanzo di
Flavia Steno ... 1
Teatro e Poesia
Il Martirio di San Sebastiano, mistero composto
in ritmo francese da Gabriele d'Annunzio,
volto in prosa italiana da Ettore Janni , . 3 50
Il Mantellaccio, poema dramm. di
Sem Beneli.
3
lignola, commedia di
Sem Benelli
3
/ Colloqui, jiricle di
Guido Gozzano . . . . 4
I sentieri e le nuvole, poesie di
Guelfo Civinlni.
4
Canzoni al vento, di
A. G. Barrili
(opera postuma).
5
Sempre cos, dramma di
E. A. Butti. . . . 4
Nel paese della fortuna, dramma di
E. A. Butti.
3
L'amante ignoto, poema tragico di
Amalia Gu-
glielminetti. ............ 4
L'amore die passa
-
I
fiori
-
/ Galeoti
-
La pena,
commedie di
S.
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G. Alvarez Quintero . . 3
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U'<rD?.J^.,:^'"*''^>'^:
Garibaldi, la sua vita narrala ai giovani,
oSVoc'ot
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cowposizioni di E. MATAIflA,
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riproduzione di
2j monumenti innalzali a Garibaldi
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I MIIp
""*o Mpecialc dedicato al Cinquantenario
del Mille. In-foIL
ifiiiic,
con i ritratti dei Mille, 3 tavole a colori e numerose inci
sioni da documenti e quadri del tempo
1 5
Con Garibaldi alle porte di
K(m2iTT.'^</f%\^^^"txU"
pubblicate per il giubileo di Roma capitale
(1895). Edizione bijou . . 4
-
Da San Martino a Mentana.
!JiT,t.t."N>:o;nu!',^pw'''
Patriotti Italiani,
[^'Tli'-o t"""'.":'*'.".'''*"^'^
*'/""'-:
Bettino Ricasoli, Luigi Settembrini,
(iiu.stpp.Martinengo, Daniele Manin. I ;
rio. Costanza d'Azeglio, (Goffredo Manu li, Ugo Bassi, Nino Bixio, I C.i ul;
II IftRQ
^'*" l'Ionihiroji a Vlllnfrnncn), storia namU da AL-
II \Js3sJ
iril1-i><>
l'AISZirvi
3
5'
Per il
Cinquantenario del
1859,
r;i'r'd,"E"'4l"'nt
undici splendide incisioni a colori, 100 ritratti, ecc 1 50
Federico
Gonfalonieri,
o"a^S*on'a! 2?*
^i^^f
^^.'^'.^"?
DIUKJBRK
COMMISSIONI E VAGLIA Al FRATELLI TKEVKS, EDITORI.
BlNDmG_^r.APR3
1988
DG
Pesci,
Ugo
559
Come siamo entrati in
P4.7 Roma
Nuova ed.
1911
PLEASE DO NOT REMOVE
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UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY