Termodinamica Applicata
Termodinamica Applicata
Termodinamica Applicata
INGEGNERIA INDUSTRIALE
2016
FILE: TERMODINAMICA APPLICATA .DOC
AUTORE: GIULIANO CAMMARATA
DATA: 21 AGOSTO 2016
www.giulianocammarata.it
[email protected]
Il presente volume può essere liberamente copiato e diffuso dagli utenti per usi
esclusivamente didattici a condizione che rimangano invariati i riferimenti dell’Autore sopra
indicati.
I giovani sono spesso portati a pensare che il tema fondamentale della loro specializzazione
sia quella del loro indirizzo o qualunque altra disciplina ed a questi insiemi di discipline dedicano
molta (spesso anche tutta la loro) attenzione. La giovane età porta a commettere questi errori ed a
pensare che una figura professionale possa essere, già nel 2000, monoculturale o che lo spettro
delle conoscenze possa restringersi a poche specialità (tendenza che viene chiamata
specializzazione). Nulla di più errato!
Prima di tutto un Ingegnere ha un modo di pensare ben preciso e tale da caratterizzarne il
comportamento in ogni occasione di vita. Questo modo di pensare è fatto principalmente di
capacità logiche organizzative che possono derivare solamente da un’ampia conoscenza di tutte le
problematiche scientifiche e tecniche oggi presenti. Non è pensabile che l’Ingegnere sappia solo
parlare di Meccanica o di Tecnologia, senza rendersi conto che qualunque manufatto oggi venga
costruito è sempre più un sistema complesso e pertanto comprensivo di molteplici aspetti
disciplinari. Lo stesso vale per qualsivoglia altra specializzazione.
Sono solito portare ad esempio il motore di una automobile. In esso c’è sicuramente un
condensato di sapere a tutto campo: Meccanica, Termodinamica, Macchine, Costruzioni di
Macchine, Controlli, Tecnologia Meccanica, Materiali, … Non si può pensare che la sola
conoscenza di una sola disciplina possa portare ad una buona progettazione di un motore. Occorre
spaziare culturalmente in ambiti non solo tecnici o tecnologici ma anche, perché no, filosofici ed
umanistici.
La Fisica Tecnica è una disciplina di base per tutta l’Ingegneria e fra le più formative
dell’intero corso di studi. Il nome apparentemente strano non deve trarre in inganno: esso deriva,
storicamente, dalla vecchia impostazione della Scuola di Ingegneria dei primi del ‘novecento
quando alla Fisica Teorica e Sperimentale dei primi due anni (il famoso biennio di Ingegneria) si
contrapponeva una Fisica Applicata e Tecnica che comprendeva quasi tutte le attuali discipline
scientifiche applicative (Meccanica, Macchine, Scienza delle Costruzioni, Elettrotecnica, …).
Nel corso dei successivi decenni da questa pangea si sono staccate le varie discipline (oggi
denominate: Meccanica, Macchine, Scienza delle Costruzioni, Elettrotecnica, ...) lasciando ancora
un raggruppamento enorme (il più vasto dell’Ingegneria) e che va dalla Termodinamica Applicata
alla Trasmissione del Calore, alla Fluidodinamica, agli Impianti (sia civili che industriali), alla
Termotecnica, all’Energetica, alla Criogenia, all’Acustica Applicata, all’Illuminotecnica, alla
Climatologia, …
Di recente, dal 1995, la Fisica Tecnica si è ancora suddivisa in due gruppi disciplinari
denominati Fisica Tecnica Industriale e Fisica Tecnica Ambientale. Ciascuno di essi raggruppa
ancora ben 15 materie distinte, oltre alla disciplina fondamentale Fisica Tecnica.
Per i Corsi di Laurea in Ingegneria Industriale, ai quali questo volume è principalmente
indirizzato, si svolgerà il programma tipico dell’attuale Fisica Tecnica Industriale che, almeno nelle
maggiori università italiane, è composto dai seguenti insegnamenti fondamentali:
Termodinamica Applicata
Trasmissione del calore e Moto dei Fluidi
Il grosso del programma è comunque centrato sulla Termodinamica Applicata e sulla
Trasmissione del Calore, come avviene nelle altre università italiane.
Vorrei spendere ancora qualche parola sull’importanza (scientifica e culturale) dello studio di
queste discipline per la formazione della sopra citata figura dell’Ingegnere.
Il lettore ha cominciato a parlare di Termodinamica fin dalla Scuola Media ma con gradi di
approfondimento sempre maggiori (almeno spero!). Già al primo anno di Ingegneria Egli incontra
questi argomenti sia nel corso di Fisica Generale 1° che di Chimica Generale, naturalmente con
punti di vista diversi.
E’ il caso di sottolineare che sono proprio le diversità dei punti di vista che determinano le
diversità culturali. In Fisica si sono studiati gli aspetti teorici principalmente dei sistemi chiusi
(sistemi termodinamici, trasformazioni, …) di questa che è ancora una Scienza giovane rispetto alle
altre. In Chimica si sono studiati gli aspetti inerenti i sistemi chimici (entalpia di reazione, cinetica
chimica, …). Adesso, per la terza volta, il lettore affronterà la Termodinamica partendo dal punto
di vista dell’Ingegnere. Non per nulla si parla ora di Termodinamica Applicata (gli anglosassoni
usano ancora meglio il termine Engineering Thermodynamics).
Cosa cambia rispetto a prima? Forse niente e forse tutto: non voglio usare una tautologia
inutile ma desidero osservare che cambiare il punto di vista significa cambiare solo il punto di
osservazione da parte dell’osservatore pur mantenendo invariato l’oggetto. E invero la
Termodinamica resta sempre la stessa! Cambia la terminologia, l’impostazione metodologica e
culturale e quindi anche il modo di impostare il problema termodinamico.
Un esempio: il Fisico studia l’espansione di un gas in un cilindro, il Chimico si interessa alle
variazioni delle sue proprietà chimiche (reazioni), l’Ingegnere si deve preoccupare di portare i gas
dentro il cilindro (già, perché sappiamo bene che da solo non ci va!) farlo espandere (magari non
più idealmente lungo una isoentropica ma realmente lungo una politropica1) e poi farlo uscire (si
dice scarico) per riversarlo nell’ambiente o in entrata in un altro processo industriale. Quanto
detto si chiama anche ingegnerizzazione del problema e non è difficile intuire che nei motori
endotermici si fanno proprio le operazioni appena citate.
Potrei subito concludere che le differenze culturali fra i vari punti di vista sono riassumibili in
queste poche parole: l’Ingegnere deve fare i conti con la realtà e pertanto tutte le trasformazioni
con cui ha a che fare sono ben diverse da quelle ideali immaginate dal Fisico e dal Chimico.
Adesso il sistema termodinamico è aperto2, le trasformazioni termodinamiche hanno un
rendimento di trasformazione rispetto a quelle ideali che deve essere sempre tenuto in conto in
quella che è l’attività principale dell’Ingegnere: la progettazione.
Non che il Fisico o il Chimico non sappiano che la realtà porti a risultati ben diversi dalla
teoria. Essi considerano disturbi tutti gli effetti della realtà mentre l’Ingegnere sa che una realtà
senza disturbi si chiama immaginazione. Loro idealizzano, Noi realizziamo. In fondo quando si
parla di ingegnerizzazione si vuole proprio dire, come sinonimo e/o accezione comune,
realizzazione.
In conseguenza di quanto detto l’oggetto del nostro studio non sono le trasformazioni ideali
ma quelle reali e per di più finalizzate alle applicazioni: i cicli termodinamici, gli impianti, i
macchinari, …
Non è un cambiamento da poco e gli sviluppi, anche filosofici, della Termodinamica
Irreversibile3 degli ultimi tre decenni lo dimostrano inequivocabilmente!
Lo studio della Termodinamica non è fine a sé stesso ma trova ampie applicazioni nei corsi di
Macchine e di Impianti (sia Termotecnici che Industriali). Una buona preparazione in
Termodinamica consentirà di affrontare i corsi applicativi con buoni risultati.
1
Si vedano più avanti le definizioni di queste due trasformazioni termodinamiche.
2
Si vedrà fra poco cosa questo termine significa.
3
Purtroppo non c’è il tempo di affrontare questa tematica di enorme valore scientifico e culturale. Nel
prosieguo si faranno solo dei bervi cenni ad integrazione della trattazione classica qui svolta della Termodinamica.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 3
Qualche parola merita la Trasmissione del calore: si tratta di una disciplina del tutto nuova
per il lettore e di estrema importanza per tutta la Scienza e la Tecnica.
Spesso il notevole apparato matematico utilizzato porta ad un disorientamento ma si tratta
pur tuttavia di applicazioni di teoremi e regole matematiche che dovrebbero essere già note.
E’ fondamentale che il lettore si renda conto che, qualunque sia il corso di laurea prescelto,
sia la Termodinamica Applicata che la Trasmissione del Calore trattano fenomeni sempre presenti
in qualunque dispositivo (meccanico, elettronico, elettrico, …). Non si può mai prescindere da
queste implicazioni metodologiche e/o concettuali in tutte le applicazioni!
Anche qui un cenno alle applicazioni può essere utile per acquisire coscienza dell’importanza
degli argomenti. Una centrale termoelettrica, un impianto nucleare o un dispositivo elettronico di
potenza non potrebbero mai essere realizzati senza una buona ed avanzata conoscenza della
Trasmissione del Calore. Alcuni dispositivi elettronici, per quanto può apparire strano, disperdono
molto calore, eccome! Basti pensare, ad esempio, quanta potenza termica viene prodotta da un
chip elettronico quale il processore Pentium®. Si hanno circa 100 W prodotti in una superficie di
circa 10 x 10 mm². Un rapido conto ci porta a calcolare la potenza di 1 m² di superficie di Pentium,
ben 1 MW, cioè la potenza elettrica di un condominio di 100 appartamenti. Raffreddare il
Pentium® pone problemi termotecnici quasi simili a quelli che si hanno per il raffreddamento delle
centrale termoelettriche!
Il clystron (tubo a vuoto utilizzato negli impianti radar) emette una potenza termica
dell’ordine 40 kW in un volume di meno di 1 dm³ (circa una lattina di birra) e quindi con una
densità di potenza di 40 MW per m³ paragonabile a quella di un reattore nucleare di potenza!
Un computer di grandi dimensioni (detto anche mainframe) dissipa una potenza termica di
2040 kW pari alla potenza di riscaldamento di 48 appartamenti e questo smaltimento di calore
risulta fondamentale per il buon funzionamento del computer.
L’evoluzione dell’Architettura degli ultimi decenni (diciamo dagli anni ’40 in poi) ha portato
ad avere edifici con pareti leggere, strutture in cemento armato e grandi superfici vetrate (o
addirittura interi grattacieli vetrati).
Ebbene questo sistema costruttivo si è rivelato un vero buco termico che obbliga4 gli utenti
degli edifici ad usare gli impianti di riscaldamento e/o di raffrescamento artificiali con un costo
energetico non indifferente. Oggi circa il 40% dell’energia viene spesa per la climatizzazione degli
edifici in Italia e questa percentuale potrebbe essere notevolmente ridotta se i progettisti
conoscessero le leggi della Trasmissione del Calore ovvero se ci fosse ciò che l’Unione Europea
chiama un energy building conscious design.
Quando, all’inizio di questa introduzione, ho definito la Fisica Tecnica come materia di base
intendevo dire che quanto viene in Essa svolto costituisce un patrimonio culturale trasversale alle
specializzazioni e sempre presente nel modo stesso di affrontare i problemi.
4
Fino all’inizio del ‘novecento gli impianti tecnici costituivano meno del 3% in valore di un edificio: si avevano
(e non sempre!) solo gli scarichi pluviali e fognari e negli edifici importanti anche gli impianti idrici. La grande massa
degli edifici in muratura (come si vedrà nel prosieguo) costituiva una difesa naturale dal freddo e dal caldo
consentendo di vivere con un basso ricorso ad integrazioni energetiche esterne. Con un braciere o un camino i nostri
avi sono sopravvissuti per millenni! Alla fine del ‘novecento abbiamo una incidenza dell’impiantistica sul valore totale
degli edifici che varia, a seconda della destinazione d’uso, dal 30 allo 80% e quindi predominante sul valore delle
murature e delle strutture. Si parla di intelligent building per indicare, con un neologismo quasi onomatopeico, un
edificio la cui gestione degli impianti (termici, elettrici, informatici, illuminazione, movimentazione, …..) è talmente
complessa da richiedere una rete di computer e controllori elettronici diffusi. Come si vede, l’impiantistica sta
assumendo un ruolo sempre più crescente e fondamentale anche in connessione agli accresciuti standard qualitativi di
vita (condizioni di benessere) oggi richiesti dai moderni edifici.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
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Di ciò mi accorgo sempre più ogni volta che affronto un problema con altri colleghi
ingegneri: l’impostazione sistemistica, la visione globale del problema aiuta non poco a trovare la
soluzione ottimale.
Rivolgo quindi un invito a studiare la Fisica Tecnica Industriale anche come materia
caratterizzante di quella forma mentis che contraddistingue l’Ingegnere dalla altre figure
professionali.
Giuliano Cammarata
Catania, 21/08/2016
Nel campo della Scienza e della Tecnica5 ci si riferisce a grandezze che possiamo definire
come entità (matematiche, fisiche, chimiche, …) affette dalla caratteristica di misurabilità. In
effetti é proprio questa caratteristica che consente di fare Scienza (come disse Thompson) e quindi
dobbiamo essere in grado di saperne controllare il significato e la definizione. La misura é il
rapporto fra una grandezza ed un'altra presa come riferimento. Così, ad esempio, quando
misuriamo la lunghezza di uno spigolo di un tavolo facciamo un rapporto fra la lunghezza (entità
fisica data dalla proprietà dei corpi di avere un'estensione geometrica) e il metro di riferimento.
Pertanto dire 1,55 m vuole dire che la lunghezza dello spigolo misurata equivale ad 1,55 volte
quella del metro, inteso come oggetto standardizzato, eguale per tutti, la cui misura é garantita
essere eguale a quella di un campione6 depositato presso il Museo di Pesi e Misure di Parigi. Il
campione di riferimento é detto anche unità di misura della grandezza in esame e ciascuna
grandezza fisica, chimica, ..., ha una unità di misura rispetto alla quale definire la sua misura.
E' allora chiaro che la grandezza é del tutto indipendente dall'unità di misura: la lunghezza di
uno spigolo del tavolo é una proprietà fisica che non dipende dall'unità di misura scelta. Possiamo
utilizzare il metro o il pollice ma il concetto di lunghezza resta immutato, cambierà solo la misura
corrispondente.
5
Quanto svolto in questo capitolo è, di norma, argomento fondamentale dei corsi di Fisica Generale. Se ne
riprendono in questa sede i concetti principali per comodità del lettore.
6
Le nuove definizioni operative delle unità di misura consentono ai laboratori primari di ottenere un
riferimento esatto senza dover ricorrere al campione depositato. Negli ultimi anni si sono avute definizioni operative
diverse da quelle qui riportate e che si omettono per semplicità. L’allievo sappia, ad esempio, che il metro è definito
come la lunghezza percorsa dalla luce nel vuoto nel tempo di 1/299792458 secondi. Il secondo è definito come la
durata di 9192631770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli iperfini dello stato
fondamentale dell’atomo di Cesio 133. Come si può ben vedere si tratta di definizioni specialistiche che consentono di
riprodurre il campione localmente avendo, però, un laboratorio specializzato.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 6
Il SI deriva direttamente dal vecchio Sistema MKSA (Metro, chilogrammo, secondo, Ampere)
e ne definisce le modalità di campionatura delle unità fondamentali in modo più operativo e più
facilmente riproducibile in laboratorio. Esistono altri sistemi di unità di misura ancor'oggi usati sia
nella Tecnica che nei paesi anglosassoni. Qui si citano brevemente perché utili nelle applicazioni
tecniche.
SISTEMA TECNICO DEGLI INGEGNERI (ST)
1. Lunghezza Simbolo L Unità di misura metro simbolo m
2. Peso Simbolo P Unità di Misura chilo-peso simbolo kgp
3. Tempo Simbolo t Unità di Misura secondo, ora simbolo s, h
4. Temperatura Simbolo T Unità di misura grado Celsius simbolo °C
5. Corrente Simbolo I Unità di Misura Ampere simbolo A
Tabella 2: Unità fondamentali del Sistema Tecnico
Ma la diversità di questo Sistema di Unità di Misura non consiste solo in questa sostituzione:
gli effetti sulle unità derivate sono numerosi e in alcuni casi strani per cui é opportuno prestare
sempre il massimo di attenzione quando si incontrano unità di misura di questo sistema. Fra le
cose più strane e che in parte derivano dalla vecchia impostazione della Termodinamica citiamo
quella di avere unità di misura diverse per l'Energia meccanica (kgm), elettrica (Joule) e l'energia
termica (kcal) e così pure per le unità di misura della Potenza meccanica (CV), elettrica (kW) e
termica (kcal/h). Definizioni multiple si hanno pure per la pressione (kgp/m2), oppure (kgp/cm2 )
detta anche atmosfera tecnica e mm.ca equivalente a (kgp/m2).
Durante il prosieguo del corso si daranno le definizioni delle grandezze derivate più
importanti per la Termodinamica e la Trasmissione del Calore nei vari Sistemi di Misura indicati.
sempre affette da dimensioni e quindi debbono essere seguite da unità di misura: 5 metri sono
cosa ben diversa da 5 kg e così puri da 5 kW o altro ancora.
Non basta, quindi, scrivere i valori numeri delle variabili di calcolo ma occorre sempre farli
seguire dall’indicazione di cosa esse rappresentano, cioè dalle unità di misura che sono, in pratica,
il loro nome e cognome. A complicare le cose si hanno unità di misura diverse per sistemi di misura
diversi, con riferimento a grandezze omogenee.
Così 7 N non sono equivalenti a 7 kgf o a 7 lb. Ne segue l’importanza di riferirsi sempre ad
unità di misura omogenei e coerenti onde evitare errori grossolani nei risultati. E agli errori
grossolano possono seguire anche enormi catastrofi!
Spero allora che questo paragrafo sia letto con la necessaria attenzione e tenuto sempre in
evidenza durante i calcoli proprio per evitare errori dannosi e/o potenzialmente pericolosi.
Spesso nelle applicazioni tecniche occorre ricordare alcune costanti fisiche importanti o
universali7. Pertanto nella tabella seguente si ha un elenco fra le costanti di maggior interesse.
7
Cioè che si riferiscono a Leggi fisiche fondamentali, quali la costante dei gas perfetti, il Numero di Avogadro,
…-
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 9
Sempre più spesso mi accorgo che gli Allievi Ingegneri ed Architetti al 3° o al 4° anno del loro
corso di studi rimangono paralizzati dinanzi alla richiesta di alcuni valori comuni di uso pratico
comune nella Fisica Tecnica, nella Termotecnica e nell’impiantistica in generale.
Eppure fin dalla scuola media questi valori sono definiti in modo chiaro ed inequivocabile,
senza contare il fatto che prima di arrivare allo studio della Fisica Tecnica c’è sempre uno o due
corsi di Fisica Generale che questi valori necessariamente li definisce. Spero che anche questa
tabella sia tenuta nella necessaria considerazione per il prosieguo di questo testo.
Nei manuali specializzati sono riportati i dati termotecnici ed entalpici relativi a vari fluidi di
lavoro (acqua, vapore, aria, freon vari …) e ad essi si rimanda per un riferimento più approfondito
e completo.
8
Oggi abbiamo la possibilità, ad esempio, di utilizzare codici di calcolo fluidodinamici del tipo multiphysics che
consentono di risolvere più problemi di diversa natura contemporaneamente e in sopovrapposizione. Ad esempio si
può simulare un problema per ottenere le distribuizioni delle linee di flusso e successivamente risolvere, su queste,
problemi di diffusione e/o di combustione e altro ancora. Di questo argomento si parlerà a proposito della
Trasmissione del Calore e dei metodi numerici per la convezione termica.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 11
9
Mediante la Set Theory si è pervenuto ad un algoritmo che riesce a dimostrare la veridicità dei teoremi
matematici. Il linguaggio di programmazione SETL (Set Theory Language) è capace di verificare fondatezza logica dei
teoremi di matematica o in genere di logica.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 12
In questo paragrafo si presenta il metodo di studio che si utilizza nella Termodinamica per
l’analisi dei problemi reali e si illustra un concetto fondamentale, la trasformazione
termodinamica. Si può dire che la Termodinamica studia la realtà, cioè studia la materia che la
compone e le trasformazioni11 che subisce.
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Si parlerà più diffusamente nel prosieguo sul significato di trasformazione.
11
La prima legge della dinamica ci dice che un corpo senza interazioni esterne mantiene il suo stato di quiete
o di moto. L’assenza di una qualunque interazione, quindi, presuppone una realtà statica ed immutabile. Dire che la
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 13
Definiremo trasformazione termodinamica tutto ciò che porta a variare uno o più dei
parametri termodinamici del sistema che fra poco saranno definiti. Prima di proseguire, però, è
opportuno osservare anche che nel momento in cui nasce una trasformazione nasce anche il
tempo che risulta essere un indicatore della trasformazione.
Una semplice osservazione può farci riflettere riflettere sull’importanza di quanto appena
detto: se consideriamo l’equazione del moto12 s v t si osserva subito che se v =0 anche lo
spazio percorso è nullo. Ma è anche vero che è t s e cioè che senza movimento non si ha
v
evoluzione del tempo!
In senso figurato, ad esempio, Noi associamo al movimento del pendolo la metafora, ossia il
concetto stesso, del tempo. Quindi trasformazione termodinamica ed evoluzione temporale sono
fortemente correlati: una trasformazione termodinamica rappresenta l’evoluzione stessa del
sistema termodinamico e quando inizia una trasformazione termodinamica inizia anche un
tempo13 associato ad essa.
Un sistema termodinamico in trasformazione (o in evoluzione) è un sistema vivo per il quale
si definisce il suo tempo. Si può allora pensare che l’inizio assoluto del tempo sia quello della
nascita dell’Universo ossia il noto big bang dell’Universo. E può anche essere (possiamo solo
immaginarlo) che ci siano stati più big bang e che quindi si siano originati più tempi assoluti. Chi
può dirlo? Di fatto ciò che Platone definiva “il comune senso del prima e del dopo”, e quindi una
illusione dell’Uomo, altro non è che un indicatore sequenziale di trasformazioni termodinamiche
(in senso lato): questo indicatore è normalmente assunto come variabile abbinata allo spazio per
definire un universo spazio-temporale fisicamente determinato.
Lo sviluppo della Scienza è sempre stato dettato dal livello di conoscenza delle grandezze
fisiche. Si pensi che Galilei diede inizio al suo metodo scientifico nel momento in cui potè
cominciare ad effettuare le prime misure, pur le mille difficoltà dovute ad un mondo ancora legato
alla filisofia aristotelica e quindi ancora disposto ad accettare teorie apodittiche che dare
attenzione alle conoscenze sperimentali.
Molte leggi della Fisica sono scaturite nel momento in cui si sono potute effettuare le
osservazioni sperimentali che le coinvolgevano direttamente.
Può sembrare banale ma la manzanza di un cronometro o comunque di un orologio adatto
ad effettuare misure precise ha condizionato gli sviluppi della Meccanica galileiana, prima e
newtoniana dopo.
Inizialmente tutto era considerato accessibile ai sensi e pertanto macroscopico in quanto
misurabile direttamente dall’esterno di un sistema.
Termodinamica studia le trasformazioni dei sistemi reali equivale anche a dire che studia la vita stessa dei sistemi
termodinamici. La trasformazione termodinamica (in senso lato) dovuta alle interazioni fra sistemi è condizione
necessaria, come ha dimostrato Ylia Prigogine, per avere evoluzione temporale e quindi per avere la vita. Ad ogni
modo il concetto di trasformazione vieni meglio approfondito in questo paragrafo.
12
Si considera in questa sede una forma elementare della legge di moto a solo scopo euristico.
13
Il tempo è considerata una variabile fisica e come tale misurabile con strumenti adeguati. Il tempo di
riferimento internazionale (ora del meridiano di Greenwich) è un tempo fittizio definito proprio per potere effettuare
confronti e misure. Non sfugga al lettore la nascita del tempo con l’inizio di una trasformazione sia un concetto ben
diverso dal tempo (eguale per tutti) convenzionale sopra indicato. Possiamo facilmente convincerci di quanto detto
osservando che la nostra percezione del tempo dipende dal nostro stato d’animo e cioè dall’insieme delle
trasformazioni del nostro corpo.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 14
la variazione media di quantità di moto è la pressione esercitata sulle pareti del serbatoio
(misurata con un barometro), l’energia cinetica media delle particelle è l’energia interna (rilevata
esternamente mediante una misura delle temperatura).
Uno dei grandi meriti della Termodinamica è stato quello di avere saputo correlare le
grandezze microscopiche interne (u, h, s) di un sistema termodinamico con i valori delle grandezze
macroscopiche esterne (p, v, T).
Se consideriamo una massa di materia sappiamo già che essa è formata da innumerevoli
particelle (atomi o molecole poliatomiche) che sono organizzate più o meno ordinatamente in
reticoli cristallini (solidi) o che possono variare la loro disposizione assumendo il volume del
contenitore (fluidi). È opportuno, a questo punto, soffermarsi in alcuni concetti fondamentali
riguardanti l’idea della precisione assoluta e cioè dell’idea di potere conoscere con precisione
posizione e velocità delle singole particelle elementari. L’idea di calcolare in modo esatto ogni
grandezza fisica fa parte della formazione filosofica del mondo occidentale.
Già da Newton e Lagrange (famosa è l’affermazione di quest’ultimo “datemi un punto e le
sue condizioni iniziali che potrò prevederne la sua evoluzione all’infinito”) gli scienziati e i filosofi
avevano accettato come possibile e realistica la teoria deterministica secondo la quale tutto è
scientificamente determinabile e prevedibile purché se ne conosca la legge fisica14.
In realtà le cose non sono andate esattamente così come Newton e Lagrange prevedevano.
Basti pensare che il problema dell’attrazione di tre corpi è tuttora irrisolto. Quando un sistema
diventa complesso nasce una sorta di impossibilità materiale a risolverlo in modo deterministico15.
Nella prima metà del ‘novecento le teorie di Planck, Heisenberg, Einstein, … hanno sconvolto
il mondo della Fisica e della Filosofia (nasce proprio in questo periodo con la Scuola di Vienna
l’Epistemologia) codificando in modo matematico (e quindi, in modo apparentemente
contradditorio, deterministico) l’indeterminazione (vedasi il Principio di indeterminazione di
Heisenberg).
La nostra conoscenza, in base al principio di indeterminazione, non può
contemporaneamente risolvere due infinitesimi: non si possono rivelare frazioni di energia
piccolissime in frazioni di tempo piccolissime. L’indeterminazione fisica ha portato a risolvere
fenomeni complessi quali, ad esempio l’effetto tunnel nei semiconduttori e la teoria ondulatoria
della materia. E’ tutt’oggi una teoria ancora proficua di risultati scientifici. Si tratta di tematiche di
grandissimo interesse filosofico (nel senso della conoscenza della realtà) oltre che scientifico.
Non voglio qui estendere oltre la discussione per la quale rimando (caldamente!) ai testi
specializzati di Fisica ed Epistemologia contemporanea. Desidero aggiungere, a completamento di
questa non breve osservazione, che dal 1965 un matematico iraniano, L. Zadeh, ha introdotto una
nuova teoria (oggi prorompente nella scena scientifica) detta fuzzy logic.
In essa si definiscono variabili incerte, dette appunto fuzzy, che non hanno un valore unico
(deterministico) ma possono assumere un intervallo di valori secondo una legge di variazione detta
membership function.
Di simili grandezze è piena la realtà quotidiana in tutti i campi ed anzi il linguaggio lessicale
dell’Uomo è costituito proprio da questo tipo di definizioni: caldo, freddo, bello, più caldo, meno
freddo, … sono proprio definizioni incerte (fuzzy) del nostro vivere quotidiano.
14
Questo è anche conosciuto come positivismo scientifico e principio di causalità: ad ogni causa corrispone un
effetto.
15
Oggi sappiamo che un sistema complesso genera caos e quindi indeterminabilità.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
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Ebbene anche con queste grandezze non rispondenti alla normale Aritmetica ma ad una
nuova logica (detta fuzzy logic) si può fare Scienza. L. Zadeh ha proposto una nuova teoria di
calcolo detta Fuzzy Set Theory capace di risolvere operazioni logico-matematiche con questo tipo
di variabili incerte16.
La filosofia orientale caratterizzata da un possibilismo innato ha avuto una grossa rivincita
sulla filosofia occidentale permeata dall’idea della precisione e del determinismo quasi assoluto.
Zadeh giustifica l’introduzione della sua teoria fuzzy osservando che al crescere della complessità
dei sistemi diminuisce la precisione e pertanto non risulta possibile fare osservazioni significative
circa il comportamento del sistema stesso. In questi ultimi anni si stanno evolvendo nuove
metodologie di analisi dei problemi tecnico-scientifici alla luce della fuzzy logic. E non solo questa
teoria caratterizza l’evoluzione odierna della Scienza, altre metodologie di studio (vedansi le reti
neurali, gli algoritmi genetici, gli automi cellulari, …) si sono affacciate all’orizzonte scientifico e si
propongono prepotentemente come le nuove matematiche degli anni futuri.
Dovremo abituarci a nuove definizioni e ad un nuovo modo di operare che proprio
dall’incertezza delle variabili (e quindi della conoscenza) trae vantaggio operativo. In fondo anche
la Termodinamica Irreversibile è conseguenza di disequazioni (e quindi incertezza).
Alla luce di quanto sin qui detto l’idea di voler controllare in modo esatto il mondo
microscopico della materia appare solo un’illusione matematica che solo la fantasia dell’Uomo
riesce ad immaginare.
Se volessimo studiare esattamente (in senso newtoniano e lagrangiano) il mondo
microscopico interno della materia potremmo immaginare di scrivere le equazioni di equilibrio
meccanico (dette equazioni di Lagrange o anche le Hamiltoniane) per ciascun atomo della materia
e risolvere il sistema di equazioni con riferimento ad una terna di riferimento inerziale (ammesso
che questo sia ancora possibile a livello atomico) di tipo lagrangiano.
Teoricamente siamo in grado solo di immaginare una simile operazione ma non possiamo
neppure minimamente realizzarla nella pratica. Basti pensare all’elevatissimo numero di particelle
elementari che compongono la materia (in una grammo molecola ci sono un numero di molecole
pari al Numero di Avogadro cioè 6.03.1026) per comprendere come sia materialmente impossibile
una soluzione esatta del problema in un dato istante. Senza considerare gli effetti relativistici e
quantistici di cui non si neppure fatto cenno.
Probabilmente e con certe approssimazioni un discorso del genere si può fare per i gas
estremamente rarefatti (e quindi con relativamente piccoli numeri di particelle) ma non certo per
le applicazioni usuali della Scienza e della Tecnica.
La Termodinamica consente di affrontare il problema dello studio delle trasformazioni della
materia in modo realistico, globale ma senza la presunzione di voler sapere tutto di tutte le
particelle che compongono la materia.
16
Un esempio semplice può dare senso a quanto detto. Si desideri mantenere in equilibrio un bastone posto
sul palmo di una mano. Anche i bambini di pochii anni sanno farlo. Basta guardare la punta del bastone e spostare la
mano in controfase allo spostamento del bastone: se il bastone si sposta poco a sinistra si sposta la mano poco a
sinistra, …. Come si può osservare il bambino applica semplici regole euristiche basate su considerazioni elementari
(variabili fuzzy) quali gli spostamenti nelle varie direzioni della mano correlate (in direzione e in grandezza) con quelle
del bastone. Eppure se volessimo risolvere il problema dell’equilibrio del bastone con il metodo scientifico
tradiazionale dovremmo scrivere le equazioni differenziali di equilibrio del bastone (tre per ogni estremità) e,
supponendo il bastone indeformabile, risolverle magari con l’aiuto di un computer. Ma il bambino non sa nulla di
equazioni differeneziali né di meccanica lagrangiana. Egli applica regole euristiche (che la fuzzy logic chiama regole
inferenziali) semplici basate sul linguaggio parlato: poco, molto, alto basso, sinistra destra. Come si può osservare la
complessità matematica del problema viene superata dalla semplicità operativa della fuzzy logic.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 17
Prima di passare ad una breve presentazione storica della Termodinamica è opportuno che il
lettore abbia presente il metodo scientifico che l’Uomo ha sempre seguito per la conoscenza. Alla
base delle discipline fisiche vi è sempre l’osservazione della Natura. Alcune osservazioni non
sempre sono spiegate mediante teorie fisiche19 ed allora le si ritiene indimostrabili e valide fino a
quando non si dimostra il contrario.
17
Il lettore osserverà che si utilizzano spesso attributi particolari associati alla Termodinamica per
caratterizzare un particolare punto di vista. Così si parla di Termodinamica Quantistica quando ci si riferisce a sistemi
per i quali valgono le leggi quantistiche, si parla di Termodinamica Atomica e di Termodinamica Nucleare se ci si
riferisce al mondo atomico o al mondo nucleare. Non ci si deve lasciare fuorviare da queste definizioni: la
Termodinamica è unica e studia tutte le trasformazioni della materia, qualunque sia la scala di osservazione. In realtà il
principio cesareo “divide et impera” vale anche nello studio delle discipline scientifiche e il suddividere un problema
complesso in tanti problemi più semplici (cioè facendo una analisi del problema complesso) serve all’Uomo a trovare
più facilmente la soluzione. Questa sorta di suddivisione specialistica è, quindi, una nostra necessità operativa e non
una qualità assoluta della Termodinamica.
18
Si vedrà fra poco come definire un Sistema termodinamico.
19
Si ricordi che una Teoria Fisica è un insieme di principi che si ritengono validi senza necessità di
dimostrazione e mai smentiti dalle osservazioni sperimentali e di leggi tali da costituire un modello di conoscenza per
altre leggi fisiche. Si pensi, ad esempio, alla teoria atomica o a quella nucleare, alla teoria della relatività, … Se una sola
osservazione scientifica contraddice i risultati previsti da una Teoria allora questa non è più ritenuta valida.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 18
Queste leggi fisiche non dimostrate sono detti principi e costituiscono (metodologicamente)
l’analogo dei postulati della Matematica. A differenza della Fisica, i postulati sono teorici e
vengono assunti come base di partenza per teorie matematiche astratte che non debbono
necessariamente legarsi alla realtà (ad esempio, si ricordano i postulati di Euclide per la Geometria
piana).
Gli scienziati utilizzano i principi per costruire teorie fisiche mediante le quali muovere alla
conoscenza di altre leggi della natura, come in un palinsesto fisico molto rigido. In pratica i principi
costituiscono un orientamento preciso verso cui muoversi per la conoscenza scientifica. Se la
teoria che si è costruita è sbagliata allora i risultati che essa produce sono in disaccordo (ne basta
solo uno per dire che è sbagliata20!) con la realtà.
Inoltre spesso non ci si rende conto di queste incongruenze se non con molto ritardo. Si
pensi, ad esempio, alla Teoria Tolemaica (vedasi l’Almagesto considerato fino a Galilei il
fondamento delle osservazioni astronomiche) che vedeva la Terra al centro dell’Universo e il Sole
che girava attorno ad essa: oltre che una teoria pseudo scientifica questa era basata anche su
convincimenti religiosi (purtroppo!) che hanno rallentato l’evoluzione dell’Astronomia per secoli.
Ci sono stati Uomini illustri condannati al carcere o a morte (vedasi Giordano Bruno) per avere
osato contraddire questa teoria. Lo stesso Galilei è stato condannato al carcere e solo da qualche
anno (proprio così, solo da poco più di un decennio dopo quasi tre secoli !!!!) è stato riabilitato!
Se lasciassimo la Scienza agli scienziati sarebbe certamente un bene per tutti perché forse si
commetterebbero meno errori21. Fra tutte le scienze fisiche la Termodinamica non è fra le più
antiche ma anzi fra le più recenti.
Le scoperte scientifiche in questa disciplina sono state forse più sofferte delle altre per via di
alcuni preconcetti (false teorie scientifiche) rimasti nella mente degli scienziati fino a quasi la fine
dell’ottocento. Si pensi, infatti, che quando S. Carnot scrisse il suo libro sulla potenza termica del
calore (siamo nel 1824) era imperante la teoria del calorico: si immaginava, cioè, che il calore fosse
un fluido immateriale che fluisse da un corpo ad un altro.
La trasformazione del calore in lavoro (immaginati come entità distinte) avveniva come in
una cascata: il fluido calorico passando da livelli maggiori a livelli minori dava luogo al lavoro. Si
usavano anche unità di misura diverse: il lavoro in kgm e il calore in Caloria.
La teoria del calorico rimase valida a lungo fino a quando Joule, Kelvin, Mayer, Gibbs,
Maxwell, Boltzmann e tanti altri illustri scienziati non ne dimostrarono l’infondatezza scientifica.
Boltzmann apparve così innovativo con le sue teorie statistiche che fu osteggiato moltissimo dai
suoi contemporanei, tanto che si suicidò!
Succede anche questo: l’ignoranza è spesso più forte della conoscenza! Non per nulla
Socrate considerava la conoscenza un valore e un potere!
20
Da un punto di vista epistemologico si osserva che Popper afferma che “una teoria scientifica può solo
essere falsificata”.
21
L’Uomo ha la grande qualità di potere estrapolare mentalmente i concetti sino a limiti improponibili per
qualunque essere vivente. L’Uomo supera la limitatezza dei propri sensi riuscendo ad immaginare l’infinito
(probabilmente essere unico nell’Universo a poterlo fare) e riesce ad astrarre del tutto il suo ragionamento dal mondo
reale creando una Scienza fatta di pura logica, la Matematica. Dinanzi ai problemi che la conoscenza pone tutti noi
siamo (direi in modo naturale, innato) portati a trovare una soluzione, una risposta accettabile, a tutti i costi, anche
accettando un’affermazione indimostrabile, l’assioma o il dogma. Così, ad esempio, quando l’Uomo, in un suo periodo
storico, non conosceva le origine dei fulmini ha cercato una sua giustificazione immaginando una divinità capace di
costruire ciò che per egli era impossibile fare, il fulmine. La storia dell’Uomo è piena di questi esempi più o meno felici.
Anzi la Storia è stata quasi sempre segnata dall’affermazione di dogmi utilizzati non solamente come momento di
superamento della limitatezza conoscitiva dell’Uomo ma anche e soprattutto come strumento di potere assoluto,
intoccabile. I dogmi sono stati spesso utilizzati impropriamente per costituire posizioni di potere o di privilegi
particolari che hanno dominato (e in alcuni casi ancora oggi dominano) l’Uomo.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 19
Ancora oggi, come già accennato in precedenza, usiamo termini che si riportano alla teoria
del calorico quali il calore specifico, il potere calorifico, l’equivalente meccanico della caloria.
Per fortuna compreso che la teoria del calorico era errata si trovò quasi subito (c’è voluto il
travaglio di tutto l'ottocento!) una nuova teoria che è tutt’oggi alla base della Termodinamica
Classica così come oggi la studiamo e la applichiamo. Questa si basa su almeno quattro principi
fondamentali detti appunto Principi della Termodinamica. Brevemente si dirà che essi sono:
22
Questo principio è spesso trascurato ma è di importanza fondamentale anche nella vita comune. Se
misuriamo la nostra temperatura corporea usando un termometro a mercurio in fondo applichiamo, forse anche
inconsapevolmente, questo principio. La coscienza di fenomeni fondamentali spesso diventa banalità.
23
Data la natura del Corso si farà solo cenno a questo principio che pure ha grandissime implicazioni
filosofiche.
24
E’ opportuno tenere presente che gli sviluppi della Termodinamica Classica che qui stiamo affrontando
sono tutti riferiti alle condizioni di equilibrio dei sistemi termodinamici. I risultati conseguiti in queste ipotesi (che
saranno esaminati nel prosieguo) sono oggi considerati limitativi poiché derivati da considerazioni puramente
deterministiche che non riescono più a spiegare i tanti fenomeni complessi che, invece, spiega la Termodinamica
Irreversibile di Y. Prigogine. Gli studi che si faranno nei prossimi paragrafi pongono l’ipotesi di piccole (anzi
infinitesime) distanze dalle condizioni di equilibrio termodinamico, al contrario di quanto fa la Termodinamica
Irreversibile che ipotizza distanze grandi dalle condizioni di equilibrio ed anzi attribuisce maggior forza alle
trasformazioni quanto più distante sono le condizioni del sistema da quelle di equilibrio. E non è una differenza da
poco!
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 20
LAVORO USCENTE
SUPERFICIE DI SEPARAZIONE
MASSA ENTRANTE
SISTEMA
MASSA USCENTE
CALORE ENTRANTE
25
In condizioni relativistiche, alla luce dell’equazione di Einstein E=m c2 , massa ed energia sono equivalenti
e pertanto un sistema chiuso non ha senso in quantcché potendo scambiare massa può anche scambiare energia.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 21
26
Tutti gli sviluppi analitici che vedremo richiedono l’equilibrio termodinamico. Solo per opera di Prigogine,
come più volte accennato, si è potuto comprendere quanto siano importanti i sistemi termodinamici non in equilibrio.
Si è sviluppata una vera e propria corrente di pensiero filosofica che fa derivare dalla mancanza di condizioni di
equilibrio termodinamico una maggiore capacità di evoluzione dei sistemi. Il Secondo Principio della Termodinamica
(vedi nel prosieguo) ci dice che ogni fenomeno reale origina da una differenza di potenziale (elettrico, termico,
meccanico, molecolare, …). Per oltre un secolo si è considerato ciò come una sorta di ineluttabile tributo da pagare,
dovuto ad un distacco fra una realtà fisica dissipativa ed una idealità fisica non dissipativa. In pratica nelle
trasformazioni reali si hanno perdite di potenziale (elettrico, termico, meccanico, …) che ci complica la vita e che in
qualche modo dobbiamo calcolare per far quadrare i conti che continuiamo a fare supponendo che queste perdite
non ci siano. Sembra quasi che ciascuno debba esclamare: ah se non ci fossero le irreversibilità dei sistemi reali come
sarebbe tutto più facile da studiare! Le cose stanno molto diversamente da quanto appena detto. Prigogine ha
dimostrato che se non ci fossero le irreversibilità (e quindi lontananza dall’equilibrio) non si avrebbe vita, non si
avrebbero trasformazioni di alcun genere. E’ un cambiamento di punto di vista enorme ed importantissimo!
27
In questa sede si trascurano le considerazioni sulle specie chimiche molto utili per lo studio dei sistemi
chimici. Alle suddette variabili macroscopiche esterne si dovrebbe aggiungere anche il numero di moli N i. di ciascuna
specie chimica.
28
Si definisce Aria Umida, come si vedrà nel prosieguo, una miscela di aria secca (composta da gas
incondensabili quali O2, N2, CO, NOx Ar, … e vapore acqueo che, invece è condensabile. Si studieranno quindi le
trasformazioni dell’aria umida (Psicrometriai).
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 22
Per potere studiare i sistemi termodinamici occorre scrivere relazioni fisiche tra le variabili
che sono interessate dal problema. In genere questo richiede una conoscenza della
Termodinamica Applicata e della Fisica Sperimentale.
Considerate le finalità del corso si vuole qui enunciare una delle equazioni più importanti
della Termodinamica e che costituisce uno strumento fondamentale di studio e analisi dei sistemi
termodinamici anche complessi. Essa rappresenta uno strumento di analisi formidabile e
ricchissimo di applicazioni e che sarà lo strumento principale per il prosieguo degli studi.
Si sta facendo riferimento alla cosiddetta equazione dell'energia per i sistemi aperti. Da
quest'equazione si possono derivare facilmente le altre forme valide per i sistemi chiusi e per i
sistemi isolati. Prima di descrivere questa equazione di bilancio, detta anche Primo Principio della
Termodinamica per i sistemi aperti, é opportuno fare qualche richiamo su alcuni concetti
fondamentali di Fisica Generale.
Per gli scopi del corso si prenderanno in considerazione solamente alcune forme energetiche
e verranno volutamente trascurate altre anche molto importanti.
Si richiamano qui brevemente alcune equazioni fondamentali della Fisica:
Energia Cinetica:
é l'energia posseduta dai corpi in movimento e si esprime con la relazione: Ecin 2 mw , ove
1 2
m é la massa (kg) del corpo e w é la velocità da esso posseduta ( m/s);
Energia Potenziale
é l'energia posseduta dai corpi posti ad una certa altezza dal suolo e si esprime mediante la
relazione : E pot mgh , ove m é la massa del corpo (kg), g é l'accelerazione di gravità (9,81
m/s2) ed h é l'altezza dal suolo a cui si trova il corpo (m);
Energia Termica
é l'energia interna posseduta da un corpo ed é dovuta all'agitazione molecolare interna delle
particelle che lo costituiscono. E' possibile trovare relazioni che legano l'energia interna con
varie grandezze atomiche o molecolari del corpo. In questa sede ci interessa sapere che
l'energia interna di un corpo si può calcolare mediante la relazione: du=mcvdT, ove m é la
massa del corpo, cv é il calore specifico a volume costante29 (espresso in J/(kgK) o anche
J/(kg°C) ) e infine dT é la differenza di temperatura (in °C o anche in K) fra lo stato iniziale e lo
stato finale della trasformazione termodinamica;
Lavoro Termodinamico
é il lavoro compiuto da un fluido (solitamente ci si riferisce ad un gas) quando subisce una
trasformazione di espansione (lavoro positivo) o di compressione (lavoro negativo). In Figura
2 é dato l'esempio di un pistone che comprime un gas in cilindro di sezione S.
Se p é la pressione che esso esercita sul gas, supponendo che non ci siano attriti nel
movimento del pistone, si deduce che il lavoro (dato dal prodotto della forza per
spostamento nella direzione della forza) é: L = pV mentre il lavoro specifico é dato dal
prodotto l = pv con v volume specifico del fluido.
p p
gas
29
Si definisce calore specifico l'energia che si deve fornire ad 1 kg di un corpo per far variare la sua
temperatura di 1°C (coincidente anche con 1 K) lungo una trasformazione prefissata. Se la trasformazione é a volume
costante si ha il calore specifico a volume costante, se la trasformazione é a pressione costante si ha il calore specifico
a pressione costante. Se si considera una trasformazione isotermica (cioè a temperatura costante) il calore specifico
tende ad infinito poiché occorre una quantità infinita di energia per far variare la temperatura di un corpo che si
mantiene a temperatura costante. Se si considera una trasformazione senza scambi di calore con l'esterno (detta
anche adiabatica) si ha calore specifico nullo. Si vedrà meglio, nel prosieguo, come definire e calcolare il calore
specifico lungo le varie trasformazioni pratiche.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 24
Energia Elettrica
é l'energia posseduta da una carica elettrica sottoposta ad una differenza di potenziale ed é
data dalla relazione: E elet QV , ove Q é la carica elettrica (in Coulomb) e V é la differenza
di potenziale (in Volt) cui é sottoposta;
Energia Chimica
é l'energia che si viene a liberare (o che bisogna fornire) quando avviene una reazione
chimica. Ai fini del corso le reazioni chimiche che ci interessano sono quelle di combustione
(cioè di combinazione del combustibile con l'ossigeno) e l'energia che si libera viene
caratterizzata dal potere calorifico inferiore definito come l'energia termica (in Joule) che si
ottiene bruciando completamente a temperatura costante un kg di combustibile e lasciando
andare via i fumi con il vapore acqueo che si viene a formare dalla combustione. Pertanto il
P.C.I. si misura in J/kg o meglio dal multiplo kJ/kg. Ad esempio il potere calorifica inferiore
del gasolio (P.C.I.) é di circa 42.000 kJ/kg corrispondenti a circa 10.400 kcal/kg nel S.T;
Energia di Flusso
é l'energia necessaria per immettere o estrarre una massa da un sistema termodinamico (ad
esempio per immettere o estrarre aria in una camera d'aria); essa si calcola mediante la
relazione : E flusso pV , ove p é la pressione del sistema nel punto considerato (in Pa cioè in
N/m2 ) e V é il volume del fluido introdotto o estratto dal sistema (espresso in m3).
Come già detto in precedenza, si farà riferimento quasi sempre alle grandezze specifiche per
cui avremo la seguente tabella riassuntiva: Si definiranno nel prosieguo altre forme di energia di
interesse termodinamico.
ENERGIA SPECIFICA RELAZIONE FISICA UNITÀ DI MISURA
Energia Cinetica ecin = w2/2 J/kg
Energia Potenziale epo = gh J/kg
Energia Termica U = cvdT J/kg
Energia Chimica P.C.I. J/kg
Lavoro di flusso eflusso = pv J/kg
Tabella 12: Relazioni fra le unità di misura
Prima di passare allo sviluppo dell’equazione dell’energia per i sistemi aperti è opportuno
soffermarci sulla metodologia che si utilizzerà nel prosieguo. Se consideriamo un sistema
termodinamico aperto (vedi Figura 1) possiamo scrivere una serie di equazioni di bilancio per
varie grandezze fisiche o chimiche o comunque di interesse ingegneristico. Ad esempio ci potrà
interessare il bilancio di massa o di energia o di quantità di moto o di specie molecolari , …
In ogni caso occorre scrivere un’equazione di bilancio la cui forma matematica è sempre la
stessa ed è necessario averla ben in mente e non solo per gli sviluppi della Fisica Tecnica. Se il
sistema è aperto e può scambiare massa e/o energia solo attraverso punti discreti di transito e
siamo in condizioni di regime non stazionario30 allora l’equazione di bilancio discreta per
qualunque grandezza si desideri esaminare è sempre scritta nella seguente forma:
Uno dei concetti fondamentali per potere scrivere equazioni di bilancio di qualsivoglia
grandezza é quello di accumulo in un sistema termodinamico. Facciamo un esempio con quanto
succede con un serbatoio di acqua che riceve da un rubinetto una certa quantità di acqua e ne
cede mediante un secondo rubinetto un'altra quantità. Avviene, si intuisce, che se la quantità di
acqua immessa é uguale a quella prelevata il livello di acqua del serbatoio rimane costante
altrimenti se si immette più acqua di quanta se ne prelevi si ha un innalzamento del livello e,
viceversa, se si preleva più acqua di quanta se ne immetta si ha un abbassamento del livello.
In questo esempio il livello dell'acqua é proporzionale alla massa di acqua presente nel
serbatoio e la grandezza presa come riferimento é la massa di acqua immessa, prelevata o
accumulata, la cui indicazione visiva esterna è data dall’altezza del liquido nel serbatoio stesso.
In generale nel caso di un sistema termodinamico parleremo di scambi energetici (oltre che
di massa) e l'accumulo va quindi riferito all'energia. Avviene pertanto che l'accumulo di energia
all'interno di un sistema termodinamico fa variare la sua energia interna31 termica, cioè il sistema
si riscalda se l'energia interna aumenta (vedi in particolare la relazione U mcv T che mette in
relazione di proporzionalità, a parità di massa e calore specifico, l'energia U con la differenza di
temperatura) o si raffredda se l'energia interna diminuisce. Ne segue che è la temperatura
l’indicatore macroscopico esterno della variazione dell’energia interna del sistema e quindi
dell’accumulo energetico che è avvenuto.
Nelle equazioni di bilancio energetico per i sistemi termodinamici scriveremo solamente i
termini relativi alle energie in gioco.
Va però detto che unitamente all'equazione di bilancio dell'energia occorre scrivere anche (e
non solo, come si vedrà nel capitolo della Trasmissione del Calore) l'equazione di bilancio della
massa nei termini dati dalla relazione:
Molto spesso quest'equazione verrà sottintesa perché si assumerà la massa entrante (o più
specificatamente la portata di massa entrante) eguale alla portata di massa uscente e per
conseguenza, essendo nullo il termine relativo alla sorgente interna, si ha che anche l'accumulo di
massa é nullo.
Si supporrà, pertanto, che si verifichino condizioni di stazionarietà. Nei casi in cui
quest'ipotesi non risulta valida allora occorre verificare l'equazione di bilancio sopra indicata.
Infine va osservato che non é necessario avere un solo flusso entrante ed uno uscente ma,
più in generale, si possono avere più flussi entranti ed uscenti ed anche in numero fra loro diversi
ma con la condizione che, a regime stazionario (cioè con accumulo di massa nullo) sia la massa
totale entrante pari a quella uscente.
31
In generale l'accumulo fa variare l'energia globale del sistema, intesa come somma di tutte le forme di
energia interne al sistema stesso. Così si avrà energia interna se la natura é solo termica, cinetica, potenziale, ... Per
semplicità della trattazione e per mancanza di adeguati strumenti matematici faremo riferimento alla sola energia
interna di tipo termico ma si sottolinea la semplificazione che si sta effettuando.
Si osservi, inoltre, che non è necessario avere un solo punto di ingresso ed uno di uscita o
che il numero dei punti di ingresso sia pari a quelli di uscita. E’ importante verificare globalmente
la precedente equazione per tutti gli ingressi e per tutte le uscite del sistema:
Tutte le entrate Massa_Entrante) – Tutte le uscite (Massa_Uscente) + Massa_ Sorgenti_Interne = Massa_Accumulata
SUPERFICIE DI SEPARAZIONE
MASSA ENTRANTE
w
2
m1 gz1 1 u1 p1v1 e1
2 SISTEMA
w2
E
M
gz
2
u e dm
MASSA USCENTE
w
2
m2 gz2 2 u2 p2 v2 e2
2
CALORE ENTRANTE Q'
In parentesi per ciascuna delle portate, indicate con 1 quella entrante e con 2 quella uscente,
si hanno energie specifiche (vedi tabella paragrafo 2.4.2) e in particolare:
Energia specifica cinetica : w2/2 (J/kg);
Energia specifica potenziale : gz (J/kg);
Energia specifica interna :u (J/kg);
Energia specifica di flusso : pv (J/kg);
Energia specifica varia :e (J/kg)
Poiché la portata ha dimensioni kg/s il prodotto di m per i termini in parentesi ha
dimensioni:
kg
s
J
kg [ Js ] [W]
Pertanto tutti i termini di scambio del sistema sono potenze e pertanto possiamo scrivere il
seguente bilancio delle potenze (cioè di energia nell'unità di tempo):
Potenza_Entrante - Potenza_Uscente + Potenza_Sorgenti = Potenza_Accumulata [1]
L'equazione [2] é l'equazione dell'energia per i sistemi aperti in condizioni di regime non
stazionario. Essa é la forma più generale (non relativistica) dell'equazione dell'energia, ha validità
molto vasta ed è la forma che utilizzeremo quando si parlerà di transitorio termico dell’edificio.
Come caso particolare della [2] si ricava ora l'equazione dell'energia per i sistemi chiusi.
Come già detto in precedenza, un sistema é chiuso quando non scambia massa con l'esterno ma
può scambiare solo energia. Pertanto le portate entranti e uscenti dovranno essere nulle e
l'equazione si riduce alla seguente:
Q L E
ove è l’energia interna totale del sistema e tutti i termini sono omogenei a potenze e in
particolare anche il secondo membro é una variazione di energia nell'unità di tempo e più
specificatamente dell'energia interna totale del sistema U. Se una relazione vale per le potenze
vale anche per le energie e cioè possiamo scrivere, togliendo il segno di derivata temporale, Q ed L
e indicando con U l'energia interna si ha la relazione33:
Q L U
32
Si tratta di una convenzione generalmente rispettata. Tuttavia in qualche caso si preferisce avere una
impostazione unitaria degli scambi sia di calore che di lavoro ritenendoli positivi se entrambi entranti e negativi nel
caso in cui siano uscenti. Questa impostazione è seguita, ad esempio, in alcuni corsi di Macchine. In questo caso il
lavoro motore diviene negativo mentre quelle fornito al sistema diviene positivo. In fondo basta solo abituarsi al
nuovo simbolismo. In questa sede, anche per l’impostazione classica che si è scelto per lo studio della Termodinamica,
si preferisce utilizzare la convenzione storica di lavoro positivo se uscente e negativo se entrante.
33
Si osservi che si indicano con i simboli le quantità in gioco nei bilanci e quindi è più corretto scrivere la
relazione nella forma: Q - L=U.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 28
che é nota come Primo principio della Termodinamica per i sistemi chiusi. Probabilmente è
questa la forma più conosciuta del Primo Principio da parte degli Allievi. In Fisica Generale e in
Chimica Generale, infatti, ci si interessa (punto di vista specifico) quasi esclusivamente di sistemi
chiusi.
Anche se in forma semplificata la [2] può essere ridotta per i sistemi isolati che, pertanto,
non scambiano né massa né energia con l'esterno. Tutto il primo membro diviene nullo e resta
solo:
w2
M 2 gz u e 0
dm
ovvero che :
w2
M 2 gz u e Costante
dm [3]
Questo risultato è generalizzato poiché altre all'energia interna si ha che l'energia totale del
sistema (che comprende, oltre all'energia interna U anche l'energia potenziale, cinetica, chimica,
...) deve essere costante.
In pratica la [3] ci dice che per un sistema isolato le sole trasformazioni energetiche possibili
sono di trasformazioni di forme di energie in altre ma sempre in modo tale che l’energia totale
rimanga costante.
La [3] ha un grande significato fisico (e filosofico): un sistema isolato si evolve in modo tale da
avere sempre costante la sua energia totale, ovvero ogni trasformazione in un sistema isolato
avviene a spese (mediante trasformazione) di altre forme di energia.
Si pensi, ad esempio, alla Terra come un sistema isolato34, consegue che tutte le
trasformazioni avvengono a spese di forme di energia interna della Terra stessa.
L'energia consumata nei motori delle auto, infatti, é ottenuta a spese dell'energia chimica
contenuta nei prodotti fossili e negli oli combustibili estratti dalla Terra.
La produzione di energia elettrica mediante bacini idroelettrici (trasformazione di energia
potenziale del bacino di raccolta) e mediante centrali termiche ad olio combustibile
(trasformazione di energia chimica in energia termica e poi in energia meccanica ed elettrica) o
mediante centrali nucleari (trasformazione dell'energia nucleare in energia termica, poi in energia
meccanica e poi elettrica) é sempre dovuta a trasformazioni di risorse interne.
L'uso dell'energia solare ed eolica (il vento nasce dallo spostamento di correnti di aria fra
zone della superficie terrestre a diversa temperatura e quindi si può considerare una diretta
conseguenza e trasformazione dell'energia solare) é invece un utilizzo diretto dell'energia che ci
arriva dall'esterno e quindi al di fuori del bilancio sopra indicato.
Per un sistema solido l’energia totale interna, trascurando le altre forme energetiche
(chimiche, elettromagnetiche, nucleari, …) si riduce alla sola energia termica interna che può
essere scritta nella forma:
34
In realtà la Terra scambia energia solare e radiativa con lo spazio circostante ma qui trascuriamo questi
scambi perché non influenti per quello che si vuole qui dimostrare, nel senso che noi sfruttiamo poco direttamente
tale forma di energia.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 29
E McvT
In particolare il calore specifico a volume costante, cv, è coincidente con quello a pressione
costante, cp, e quindi si può usare indifferentemente l’uno o l’atro dei due calori specifici.
35
Viceversa, quando si prende in considerazione l’accumulo di una qualunque grandezza si ha un’equazione
differenziale funzione del tempo.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 30
w2
gz h q l [8]
2
ove la somma in parentesi rappresenta la metalpia (detta anche, meno propriamente,
entalpia totale) della massa entrante. L'importanza tecnica di questa relazione é enorme; essa
costituisce uno degli strumenti di analisi e di calcolo più potenti per la risoluzione di problemi
termodinamici anche complessi. Si vuole qui richiamare l'attenzione sul fatto che per
l'applicazione della [8] occorre verificare le seguenti ipotesi:
Prima di procedere nello sviluppo della Termodinamica Applicata occorre fare alcune
precisazioni concettuali e metodologiche. In Figura 4 è riportato un esempio di trasformazione non
reversibile nella quale l’effetto della variazione di pressione p + dp non è risentito
istantaneamente in tutto il volume interno del cilindro ma inizialmente dagli strati vicini al pistone
e poi, negli istanti successivi, anche dagli strati più lontani. Tutto ciò comporta l’impossibilità di
assegnare all’intero sistema termodinamico (gas interno al cilindro) un’unica terna di valori (p,v,T)
poiché si hanno valori variabili con il tempo durante il transitorio di equilibratura della pressione.
Il risultato di quanto indicato è che in un piano (p,v) la trasformazione termodinamica che
porta dallo stato iniziale a quello finale non è più rappresentabile con una sola linea bensì con una
banda di valori all’interno della quale possono variare i parametri (p,v,T), come indicato nella
Figura 5 a destra.
La mancanza di unicità nella terna dei valori di (p,v,T) porta all’indeterminazione nei calcoli e
quindi all’impossibilità di scrivere bilanci esatti. Le trasformazioni non reversibili portano a
scrivere non più equazioni ma disequazioni.
Quanto detto porta alla necessità assoluta di definire trasformazioni ideali per le quali si
possano scrivere relazioni di bilancio esatte. Si suppone, pertanto, che i tempi di osservazioni siano
lenti rispetto all’evoluzione dei fenomeni o anche che le trasformazioni siano infinitamente lente in
modo da avere, istante per istante, equilibrio termodinamico in tutti i punti interni del sistema. Le
trasformazioni così immaginate si dicono quasi statiche e rappresentano una idealizzazione
necessaria per lo studio della Termodinamica. Ovviamente le trasformazioni reali sono ben
lontane dall’essere quasi statiche e quindi anche dall’essere reversibili.
La necessità di immaginare trasformazioni reversibili ha portato a definire un fluido ideale
capace di effettuare trasformazioni di questo tipo.
Si tratta, quindi, di una idealizzazione necessaria per lo sviluppo della Termodinamica stessa.
Si conviene, poi, di apportare opportune correzioni ai risultati così ottenuti in modo da adeguarli
alle trasformazioni reali non reversibili.
Un sistema termodinamico si dice in equilibrio36 termodinamico se ogni sua parte é
contemporaneamente in equilibrio di massa e di energia.
Pertanto in un sistema termodinamico in equilibrio non si hanno trasformazioni energetiche
(ad esempio reazioni chimiche) o meccaniche (parti in movimento che trasformano energia
potenziale in cinetica).
p p
v v
36
Si osservi che, alla luce di quanto detto sull’uniforme distribuzione delle grandezze fisiche all’interno sul
sistema, non si potranno avere trasformazioni termodinamiche (vedi dopo il Secondo principio della Termodinamica).
Boltzmann defiva i sistemi termodinamici in equilibrio come “sistemi morti” perché non danno luogo ad alcuna
trasformazione. Già la prima legge di Newton diceva che un corpo in condizioni di quiete o in moto uniforme rettilineo
rimane indefinitamente nelle condizioni inziali.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 32
un sistema termodinamico lungo la stessa curva AB nel piano (pv), come indicato in Figura 6 nella
curva a tratto continuo. La curva tratteggiata porta da B ad A lungo un percorso diverso da quello
di andata a tratto intero e pertanto la trasformazione non é reversibile.
In genere estrapolando quanto detto per le trasformazioni lente all'interno del cilindro di
figura possiamo ritenere reversibili le trasformazioni che avvengono lentamente rispetto alla
velocità di propagazione del disturbo all'interno del sistema. Tale velocità di propagazione é detta
anche celerità del suono ed é sufficientemente elevata e tale da far ritenere le normali
trasformazioni meccaniche lente e quindi reversibili.
Ad esempio per aria a 1600 °C (temperatura dei gas interni al cilindro) la celerità del suono é
superiore a 2000 m/s e pertanto una velocità del pistone di 50 m/s (valore realistico nei motori a
scoppio) é da considerare piccola rispetto ad essa e le trasformazioni di compressione ed
espansione possono considerarsi lente e quindi reversibili.
Naturalmente quanto sopra detto costituisce una semplificazione del problema e spesso
anche piuttosto grossolana; si tratta, però, di una semplificazione necessaria perché si possa
effettivamente fare scienza sul sistema termodinamico.
In mancanza di queste semplificazioni tutti i problemi pratici sarebbero irrisolvibili. Tutte le
volte che scriviamo un'equazione termodinamica o tracciamo una curva in un piano
termodinamico dobbiamo fare delle semplificazioni o idealizzazioni del problema che intendiamo
risolvere.
Il lettore non deve lasciarsi fuorviare dal linguaggio ormai classico usato in questo paragrafo.
Spesso si ha l’impressione che la trasformazione irreversibile sia solamente non reversibile, una
sorta di grossa scocciatura fisica che ci impedisce di fare le cose semplici alle quale siamo abituati
dalla Fisica Teorica. In verità le cose sono molto diverse e investono aspetti filosofici ed
epistemologici di grandissimo interesse.
Una trasformazione reversibile richiede che il sistema possa compiere un ciclo
termodinamico di area nulla e che quindi non rimanga traccia nell’ambiente della sua
evoluzione. Vedremo più avanti, con il teorema di Perrin e Longevin, che un sistema isolato non
può percorrere una trasformazione ciclica e quindi non può ritornare, proprio per effetto delle
trasformazioni reali irreversibili, allo stato iniziale37.
e
ibil
ers
Rev
ile
v e rsib
Irre
A
37
Vale la pena osservare che l’Universo è il sistema di massima espansione che non ha ambiente esterno.
L’Universo è quindi un sistema isolato e pertanto, evolvendosi sempre in modo irreversibile, non può compiere un
ciclo, cioè non può ritornare allo stato iniziale!
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 33
D’altra parte una trasformazione reversibile è anche una trasformazione per successivi stati
di equilibrio termodinamico e spesso non ci si sofferma abbastanza su questa osservazione per
comprenderne sia l’importanza concettuale che metodologica.
Si è detto che un sistema termodinamico è in equilibrio se lo è sia dal punto di vista termico,
meccanico, chimico, elettrico, …
Consideriamo un sistema in equilibrio meccanico, ad esempio un pendolo: se questo è in
equilibrio esso è in posizione di riposo al potenziale minimo, cioè è fermo e tale rimarrà fin
quando resterà in equilibrio. Se vogliamo che il pendolo si muova dobbiamo allontanarlo
dall’equilibrio.
Quindi c’è evoluzione meccanica se non c’è squilibrio fra le forze!
Analogamente si può dire, facendo un rapido riferimento agli studi di Fisica Generale, che
anche un sistema elettrico non dà segni di vita se non c’è una differenza di potenziale. Allo stesso
modo non c’è moto di fluidi se non si verifica una differenza di pressione.
Si potrebbe continuare all’infinito con gli esempi per trovare sempre la stessa verità: le
condizioni di equilibrio comportano l’immobilità del sistema, cioè un sistema in equilibrio è di
fatto un sistema morto!
Eppure abbiamo appena parlato di trasformazione termodinamica da uno stato A verso uno
stato B: ma come avviene questa trasformazione se supponiamo il sistema in equilibrio
termodinamico in ogni istante della trasformazione? Siamo di fronte ad una sorta di
contraddizione: se il sistema è in equilibrio termodinamico non si evolve eppure consideriamo le
evoluzioni reversibili e quindi costituite da trasformazione istantaneamente in equilibrio. Anzi ci
complichiamo ancora la vita supponendo che, sempre per avere le condizioni di equilibrio, il
sistema sia tanto lento da essere quasi statico!
Ma come è possibile? Si tratta di un vero e proprio imbroglio concettuale fatto a fini euristici
e pragmatici. Se volessimo effettivamente studiare i sistemi termodinamici così come sono nella
realtà ci troveremmo dinnanzi ad una complessità di fenomeni che non ci lascerebbe scampo. Non
potremmo studiare proprio nulla!
L’idea di trasformazione reversibile è una idealizzazione scientifica che serve a semplificare la
complessità della realtà. E’ un bisogno concettuale che Noi abbiamo per potere scrivere in qualche
modo leggi fisiche con segni di eguaglianza anziché di disuguaglianza.
Di questi imbrogli se ne fanno spesso in campo scientifico, a fin di bene (euristico), si
capisce! Vedremo con il Secondo Principio, e in particolare con i lavori di Y. Prigogine, quali sono le
grandissime implicazioni concettuali e scientifiche che l’esistenza delle trasformazioni irreversibili
comportano.
Per quanto sopra detto la Termodinamica ha praticamente inventato un fluido di lavoro che
non ha massa, non ha perdite per attrito e quindi si evolve (in genere) lungo trasformazioni
termodinamiche reversibili38: tale fluido prende il nome di fluido ideale (o anche gas ideale). Il
38
Si farà cenno più avanti all’esperienza di Joule-Thompson nella quale la trasformazione è intrinsecamente
irreversibile anche per un gas ideale.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 34
lettore ha già studiato le proprietà fisiche di questo fluido e in particolare si ricorda che esse sono
perfettamente determinate dalla conoscenza delle due equazioni caratteristiche fondamentali:
Equazione elasto-termometrica
Che caratterizza le trasformazioni termodinamiche in termini di coordinate macroscopiche
esterne (p,v,T), cioè:
f p, v, T 0
Ove R* è la costante universale dei gas (R*=8.314 kJ/kmol.K), M peso molecolare del gas.
Indicheremo nel prosieguo il rapporto R*/M con R detta costante del gas.
Equazione energetico - calorimetrica
Che caratterizza il comportamento interno del gas in funzione di parametri macroscopici
esterni. Per il fluido ideale si dimostra, tramite l’esperienza di Joule, che l’energia interna
dipende solamente dalla temperatura. Infatti Joule suppone di avere due recipienti di eguale
volume, in uno si ha gas ideale a pressione p e temperatura T. mentre nel secondo recipiente
si ha il vuoto. Ponendo in comunicazione i due recipienti il gas si riversa nel secondo
recipiente compiendo lavoro nullo (p=0) e pur tuttavia la temperatura rimane costante.
Poiché sono cambiati volume e pressione (in quanto il valore finale è pari alla metà di quella
iniziale) mentre la temperatura rimane costante allora Joule ne dedusse che l’energia interna
del gas (il cui parametro esterno è la temperatura) non dipende da ve da p ma solo da T. In
particolare si ha:
U f (T )
[10]
du cv dT
ove con u si è indicata l’energia specifica interna del fluido ideale [J/kg] e con cv il calore
specifico a volume costante definito dalla relazione:
du
cv [11]
dT v
Si dimostra, ma se ne tralascia qui lo sviluppo, che queste due equazioni sono sufficienti a
caratterizzare completamente il fluido ideale (così come qualunque altro corpo).
Nel prosieguo si effettuerà uno studio elasto-termometrico ed energetico calorimetrico dei
corpi dal quale si potrà meglio comprendere quanto ora affermato. Il Primo Principio per i gas
ideali può essere esplicitato nella forma39:
q l du [12]
e poiché per il gas ideale (con trasformazione reversibile) il lavoro elementare si può
esprimere nella forma:
l pdv [13]
39
Per sistemi chiusi.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 35
h u pv
differenziando si ottiene:
dh du pdv vdp
Differenziando l’equazione caratteristica pv = RT si ottiene:
pdv vdp RdT
Combinando le due precedenti equazioni si ottiene:
dh q vdp
ovvero anche:
q dh vdp [15]
E pertanto il lavoro tecnico (-vdp) (vedi $3.3) in una trasformazione adiabatica è dato dalla
diminuzione di entalpia. Più avanti si vedrà che una adiabatica è da considerare come
trasformazione non reversibile, diversamente dalla isoentropica (che sarà definita nel prosieguo)
che è reversibile.
Calore scambiato lungo una isobara
Dalla [15] si ottiene:
q dh [17]
e quindi l’energia scambiata per una trasformazione isobara è data ancora dalla variazione di
entalpia. Si vedranno nel prosieguo numerose applicazioni di queste ultime considerazioni quando
si parlerà dei cicli termodinamici. Ad esempio un riscaldamento di fluidi in caldaia è di tipo isobaro.
Il lettore tenga ben presenti questi concetti e non pensi di ricorrere sempre alle differenze di
entalpie al di fuori delle due ipotesi suddette!
Calcolo delle grandezze di scambio
Per calcolare le grandezze di scambio (lavoro ideale, lavoro tecnico e calore) occorre sempre
applicare le relazioni viste in precedenza per il gas ideale avendo cura di risolvere il legame
funzionale fra le variabili sotto integrale mediante l’equazione caratteristica (pv =RT) e l’equazione
termodinamica della trasformazione. In particolare si ricorda che si ha:
Isoterma: pv =cost
Isobara: p =cost
Isocora: v =cost
Adiabatica: pvk =cost
Politropica: pvn =cost
Si vedranno nel prosieguo alcune applicazioni di quanto appena enunciato.
Relazione di Mayer per i Fluidi ideali
Per i fluidi ideali vale un’importante relazione fra i calori specifici a pressione e a volume
costante. Infatti derivando ambo i membri dell’equazione caratteristica si ottiene:
pdv vdp RdT
D’altra parte essendo:
q c p dT vdp
q cv dT pdv
dal confronto con i secondi membri si ottiene:
c p dT cv dT pdv vdp
Semplificando dT si ha:
c p cv R [18]
che è detta Relazione di Mayer. Si vedrà nel prosieguo una relazione analoga valida per
fluidi reali e che chiameremo relazione di Mayer generalizzata nella quale il secondo membro non
è più R bensi un termine più complesso che dipende dalle caratteristiche termofisiche del fluido.
In base alla [18] il calore specifico a pressione costante nei fluidi ideali è sempre maggiore
del calore specifico a volume costante.
Calore specifico in una politropica
Possiamo adesso trovare una importante relazione che lega il calore specifico in una
trasformazione politropica con l’indice n, l’indice k =cp/cv e il calore specifico a volume costante cv.
Il calore necessario per una trasformazione politropica di indice n è dato dall’integrazione di:
q cv dT pdv
ossia:
q12 cv T2 T1 pdv
2
[19]
1
L’integrale a secondo membro lo si calcola nota l’equazione della trasformazione: pvn = cost:
2 p v pv
1 pdv 2 12 n 1 1
Ricordando l’equazione di stato pv = RT si ha anche:
2 p v pv R T2 T1
1 pdv 2 12 n 1 1 1 n [20]
Isobare n =0 c = cp
Isoterme n =1 c =
Adiabatica n =k c =0
Isocora n = c =cv
Ogni altra trasformazione ha valore di n che può variare da - a + con calori specifici
determinati dalla [24].
Si osservi che l’essere il calore specifico negativo (n<0) comporta che durante la
trasformazione di riscaldamenti da 1 verso 2 (corrispondente al calore ceduto al fluido q12) si ha
anche una maggiore cessione di calore dal fluido verso l’esterno di segno negativo.
La [6] é di fatto, in forma analitica, il Primo Principio della Termodinamica per sistemi aperti
in regime stazionario: esso si enuncia dicendo che tutte le forme di energia sono equivalenti e che
vale il principio di conservazione dell'energia.
Nella sua forma più nota tale principio per i sistemi chiusi si esprime con la seguente
relazione, in forma finita:
Q = L + U [25]
ove Q é l'energia termica scambiata, L l'energia meccanica (lavoro), U l'energia interna del
sistema e la variazione va calcolata fra due punti estremi della trasformazione. Qualora i punti
iniziali e finali coincidono si ha:
Q = L
ove con si indica un operatore matematico che indica un differenziale non esatto40 e con d
il differenziale esatto.
Con il Primo Principio (scoperto circa mezzo secolo dopo il Secondo Principio) ha avuto inizio
la Termodinamica moderna. Vedremo che il Secondo Principio introduce il concetto di non
40
Si dirà nel prosieguo perché si utilizza questo simbolismo.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 39
w2
con M massa totale del sistema. Quando le forme di energia meccanica gz e l’energia
2
chimica ec sono trascurabili rispetto all’energia termica u e allora si ha E = U.
Le grandezze energia interna ed entalpia sono dette anche potenziali termodinamici. Essi
sono grandezze di stato nel senso che vengono definiti in ciascun punto di esistenza dei corpi e
non dipendono dai cammini percorsi per arrivarci. Il calore e il lavoro dipendono dal tipo di
trasformazione seguita (si suol dire che dipendono dal cammino seguito nella trasformazione) e
non sono pertanto definiti univocamente in ciascuno stato dei corpi.
Nella definizione di calore specifico si é osservato che si hanno definizioni e valori diversi a
seconda che la trasformazione sia a volume costante, a pressione costante, adiabatica o
isotermica. In questo senso il calore scambiato lungo una trasformazione dipende dalla stessa
trasformazione e non é in assoluto calcolabile dalla sola conoscenza dei punti iniziali e finali.
La stessa osservazione può essere fatta per il lavoro che dipende, anch'esso, dal tipo di
percorso effettuato. Se si ricorda, infatti, che il lavoro é dato dal prodotto di una forza per il
percorso effettuato nella direzione della forza si comprende come scegliendo cammini diversi fra
due punti si avranno valori diversi del lavoro (vedi Figura 7). Riassumendo, con riferimento alla
Figura 7, si ha:
LA1B LA2B
LA1B2A= Lavoro del ciclo
Per i potenziali termodinamici non occorre specificare il percorso seguito perché i valori da
essi assunti dipendono solamente dagli stati in cui il sistema si trova. Ancora con riferimento alla
Figura 7 si ha che l'energia interna nei punti A e B sono rispettivamente UA e UB
indipendentemente dal percorso seguito per andare da A verso B. Pertanto per calcolare la
differenza di valore fra due punti di un potenziale termodinamico basta fare la differenza fra i
valori assunti nei rispettivi punti; ad esempio, per la differenza di energia interna fra A e B si ha:
UAB=UB-UA
H K
v
Lo stessa dicasi per la differenza di entalpia fra due punti. Sono potenziali termodinamici (o
anche funzioni di stato41) le seguenti grandezze (finora incontrate):
p pressione
v volume specifico
T temperatura
U energia interna specifica
h entalpia specifica.
Si vedranno nei prossimi paragrafi altri potenziali termodinamici di particolare importanza.
L’espressione del lavoro termodinamico è data, con riferimento alla Figura 7, dall’integrale:
B
L p dv [29]
A
41
Lo stato, in senso termodinamico, é dato dall'insieme dei valori delle variabili che il sistema assume in una
condizione di equilibrio ed é quindi rappresentato in un diagramma da un punto a cui corrispondono l'insieme
(p,v,T,u,h,..) delle coordinate. Una grandezza si dice di stato se dipende solo dalle condizioni corrispondenti ad uno
stato e non dal modo con cui si raggiungono. Pertanto un modo di provare che una grandezza è di stato è quello di
vedere se essa è indipendente dal cammino scelto per passare da uno stato ad un altro. Infine se si effettua un
cammino chiuso e si trova una variazione nulla della grandezza considerata (circuitazione nulla) allora questa è
certamente una grandezza di stato (teorema della circuitazione).
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 41
ove k =cp/cv è detto rapporto di adiabacità. Allora il calcolo del lavoro termodinamico
diviene:
B B C p v p1v1 T T
L p dv k dv 2 2 R 2 1 [32]
A A v 1 k 1 k
Analogamente si procede per altri tipi di trasformazioni termodinamiche aventi equazioni
elasto-termometriche note. Si tratta di esplicitare il legame funzionale fra p e v nella [29] e poi
svolgere l’integrale. Si intuisce, anche analiticamente, quanto affermato in precedenza sulla
dipendenza del lavoro termodinamico dal cammino seguito per la trasformazione. Il cammino altro
non è che l’equazione della trasformazione lungo la quale effettuare il calcolo dell’integrale [29].
Se si considera una situazione del tipo indicato in Figura 1 (sistema termodinamico) allora si
può facilmente vedere come il lavoro termodinamico svolto all’interno del sistema dal fluido (dato
sempre dalla [29]) non è quello che risulta disponibile (e quindi tecnicamente utilizzabile)
all’esterno. Occorre, infatti, tener conto dei lavori di immissione (p1v1) nel sistema e di estrazione (-
p2v2) dal sistema. Pertanto si ha che il lavoro disponibile esternamente è dato dalla differenza fra
2
quello che il fluido fornisce nella sua espansione ( pdv ) meno il lavoro di flusso (p2v2-p1v1) e
1
quindi:
2 2
L ' p dv ( p2v2 p1v1 ) v dp [33]
1 1
ove si è tenuto presente la regola dell’integrazione per parti del primo integrale. Alla stessa
relazione si perviene se si applica il metodo del bilancio per un sistema aperto. Infatti dovremmo
scrivere per il sistema di Figura 8 la seguente equazione di bilancio energetico:
Lentrante Ltecnico Luscente Lteorico 0
Ovvero, con riferimento ai versi e ai valori indicati in figura:
L1 Ltecnico ' L2 LTeorico 0
che, noti gli stati 1 e 2 e la trasformazione termodinamica di espansione, diviene:
2
p1v1 p2 v2 pdv L 'tecnico
1
p1v1
L1
2
L pdv
1
p2v2
L2
2
L ' vdp
1
da cui si ricava:
q dh vdp [34]
42
Questo risultato è detto anche 1° Assioma di Karateodary.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 43
e
ibil
ers
Rev
B
L pdv
A
A
Spesso si utilizzano diagrammi riferiti a masse diverse o anche variabili, come, ad esempio,
nei diagrammi all’indicatore o di Watt ottenuti ponendo in ascissa il volume totale occupato da un
fluido di lavoro in un cilindro e in ordinate la pressione in esso regnante.
43
Giustificheremo nel prosieguo (vedasi l’Effetto Joule Thompson) questa diversità fra isoentalpica ideale e
isoentalpica reale.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 44
B
Ltecnico vdp
A
e
ibil
ers
Rev
A
Fino ad ora abbiamo quasi sempre fatto riferimento a trasformazioni ideali e a sostanze
ideali ed abbiamo enunciato il Primo Principio come principio della conservazione dell'energia o
anche (e forse meglio) della equivalenza energetica. L'osservazione della realtà ci porta a
concludere che le cose non vanno sempre come le vogliamo supporre e che le trasformazioni reali
sono ben diverse da quelle ideali.
Con ciò non si vuole negare la validità (invero grandissima, rivoluzionaria!) delle affermazioni
fatte in precedenza: esse hanno consentito di capire come stanno le cose e quindi anche di
distinguere i comportamenti reali da quelli ideali.
Se Newton avesse voluto studiare la caduta dei corpi tenendo conto anche dell'attrito
dell'aria (cosa ha afflitto tutti gli studiosi prima di lui) probabilmente avrebbe avuto le idee più
confuse: un foglio di carta o un pezzo di piombo sono sottoposti entrambi alla stessa accelerazione
di gravità ma se li lasciamo cadere vediamo che la loro velocità appare diversa per effetto
dell'attrito maggiore dell'aria sul foglio di carta che non sul pezzo di piombo. Il paracadute, in
fondo, ci consente di precipitare lentamente proprio per quest'attrito dell'aria!
L'avere capito che la forza resistiva dovuta all'attrito era un mascheramento del fenomeno
della gravità e che quindi non doveva essere presa in considerazione per lo studio della caduta dei
corpi é forse stata la manifestazione più elevata di genialità di Newton. Allo stesso modo, se é
consentita la parafrasi, se avessimo voluto studiare le trasformazioni termodinamiche senza
essere capaci di intuire ciò che é dovuto ad un fenomeno, rispetto ad altri fenomeni spesso
concomitanti (fenomeni dissipativi), forse non avremmo ottenuti grandi risultati.
E in effetti uno sguardo storico alla successione degli eventi avvenuti nell'ottocento ci porta
ad osservare che fu scoperto per primo il Secondo Principio e non il Primo Principio. Infatti Sadi
Carnot enunciò il suo Principio di Carnot all’inizio dell’ottocento, mentre Thompson, Gibbs,
Clausius, ... enunciarono il Primo Principio nella seconda metà dell’ottocento.
Lo stesso Carnot non era molto convinto delle idee diffuse al momento dell'enunciazione del
postulato che porta il suo nome. In quel tempo prevaleva la teoria del fluido calorico e quindi di
equivalenza energetica non se parlava neppure.
E' difficile enunciare il Secondo Principio della Termodinamica principalmente perché é
possibile farlo in moltissimi modi formalmente diversi, apparentemente di contenuto differente,
ma che sostanzialmente riflettono lo stesso concetto: la realtà evolve sempre in modo
dissipativo.
Pertanto tutto l’apparato matematico sin qui costruito è da intendere come un riferimento
al limite ideale di trasformazioni reversibili.
Il calcolo che con le idealizzazioni suddette possiamo eseguire per una qualunque
trasformazione termodinamica è sempre in difetto rispetto alle condizioni reali nelle quali, come
già anticipato, dobbiamo fare i conti con le cause di irreversibilità quali l’attrito nelle
trasformazioni meccaniche, le correnti di Foucault e l’effetto Joule nelle trasformazioni elettriche,
la viscosità dinamica e le perdite di pressione nel moto dei fluidi, …
Non si vuole qui fare una trattazione lunga e completa di quest'argomento, per altro già
introdotto nei corsi di Fisica Generale 1, perché si andrebbe oltre i limiti del corso (che grande
interesse, anche filosofico, desta lo studio del Secondo Principio!) ma ci si limiterà a dare
un'enunciazione semplificata ed intuitiva. Nel corso di Fisica Generale 1 il lettore ha già visto le
considerazioni fisiche che sono alla base di questo principio della Termodinamica Classica.
Storicamente il Secondo Principio della Termodinamica viene espresso tramite quattro
apparentemente diversi enunciati (qui consideriamo solo gli aspetti termici delle trasformazioni
subite da un sistema termodinamico):
Enunciato di Clausius
Il calore fluisce spontaneamente da una sorgente a temperatura più elevata verso una a
temperatura più bassa;
Enunciato di Kelvin
Non é possibile ottenere lavoro ciclicamente avendo a disposizione solo una sorgente di
calore, come mostrato immediatamente nel prosieguo;
Enunciato di Carnot
Non é possibile costruire una macchina avente un rendimento di trasformazione44 maggiore
della macchina di Carnot che evolve reversibilmente fra due sorgenti di calore a temperatura T 1 e
T2 mediante due trasformazioni isoterme e due adiabatiche.
44
Per rendimento di trasformazione () si intende il rapporto fra il lavoro netto (Ln) ottenuto da un ciclo e il
calore ceduto (Q) al fluido: cioè si ha : = Ln/Q.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 47
Enunciato di Duhem
Una trasformazione reversibile più la sua inversa non lasciano traccia nell’ambiente.
Malgrado la loro apparente diversità questi enunciati (e ce ne sono ancora altri dovuti ad
altri ricercatori in campi specifici, ad esempio P. Curie) dicono la stessa cosa e rappresentano,
quindi, modi diversi di enunciare il Secondo Principio della termodinamica. Questo enunciato
indica una direzione naturale obbligata nel trasferimento di energia termica: il calore45 passa
spontaneamente da temperatura maggiore verso temperatura minore.
E' fondamentale comprendere il valore dell'avverbio spontaneamente: tutti noi sappiamo
che nei frigoriferi domestici facciamo esattamente l'opposto e cioè raffreddiamo corpi
estraendone il calore e riversandolo nell'ambiente esterno (a temperatura più elevata) ma ciò non
avviene spontaneamente bensì a spese dell'energia elettrica che consumiamo. Se lasciamo una
tazzina di caffè sul tavolo troveremo che dopo qualche tempo il caffè si é portato alla stessa
temperatura dell'ambiente, diciamo cioè che si é raffreddato.
E' questo ciò che avviene in natura spontaneamente. Ogni volta che vogliamo alterare il
naturale andamento delle cose dobbiamo spendere energia e quindi pagarne il costo. L’enunciato
di Clausius definisce una freccia ossia una direzione obbligata nello svolgimento delle
trasformazioni naturali. Esse si evolvono sempre in quella direzione e mai viceversa e pertanto
tutte le trasformazioni non sono più reversibili.
La forma di Kelvin, che si può dimostrare essere equivalente a quella di Clausius (nel senso
che si nega una forma si nega anche l'altra) introduce un concetto del tutto nuovo sulla
trasformabilità dell'energia termica.
Sappiamo, infatti, che é possibile trasformare tutta l'energia cinetica in potenziale o
viceversa, che é possibile trasformare energia meccanica (cinetica o potenziale) in elettrica e
viceversa, ma ora scopriamo che per trasformare ciclicamente energia termica in meccanica non
basta avere una sorgente ad una data temperatura ma ne occorrono almeno due. In effetti questo
é vero solo se la trasformazione avviene ciclicamente, cioè in modo tale che il sistema ritorni
sempre allo stato iniziale. Qualora rinunciassimo all'avverbio ciclicamente si può intuire facilmente
che ciò non é più vero.
In Figura 11 si é riportato il caso di un gas contenuto in un cilindro di dimensioni finite,
riscaldato in basso mediante una fiamma. Per effetto del riscaldamento il gas si espande e sposta
verso l'alto il pistone che, mediante un meccanismo di tipo meccanico (ruota dentata e
cremagliera), fa ruotare una ruota dentata e quindi fornisce all'esterno lavoro. La trasformazione
di espansione si deve arrestare quando si raggiunge il fondo superiore e quindi non si può più
avere lavoro in modo ciclico.
Dobbiamo, infatti, riportare il pistone indietro e questo richiede un raffreddamento del gas e
quindi dobbiamo avere una sorgente a temperatura inferiore a quella precedente di
riscaldamento, proprio come Kelvin ha enunciato.
45
Il Calore è energia termica in movimento. E’ corretto riferirsi a questo termine solo quando si ha
trasferimento di energia. Qualche volta si utilizzano, ancora tutt’oggi, forme infelici che derivano da un uso secolare
di termini impropri. Si pensi, ad esempio, alla definizione di calore specifico dei corpi la cui origine nasce dalla vecchia
Calorimetria. Sarebbe meglio usare il termine Energia specifica di un corpo. Si ritornerà su questo concetto più avanti.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 48
Lavoro
Gas
Calore
Serbatoio Caldo
T1
CALORE FORNITO
Q1
Sistema
Termodinamico
LAVORO
UTILE L
Q2 CALORE CEDUTO
T2
Serbatoio Freddo
La macchina di Carnot é costituita (vedi Figura 12) in modo da lavorare con un fluido ideale
(e questa é una idealizzazione importante perché il fluido ideale non esiste in natura ma ci si può
avvicinare molto con gas rarefatti a bassa pressione) fra due serbatoi46 a temperatura diverse T1 e
T 2.
Le trasformazioni termodinamiche che compongono questo ciclo sono: due isotermiche e
due adiabatiche reversibili (vedi Figura 13 più avanti). Con un semplice bilancio al sistema
termodinamico indicato in figura si ottiene il lavoro che la macchina fornisce e che risulta :
L=Q1 - Q2
Pertanto non tutto il calore fornito dalla sorgente calda, Q1, viene trasformato in lavoro ma
solo una parte e il rimanente viene riversato sul serbatoio freddo a temperatura T2. Il rendimento
di trasformazione del ciclo vale, in generale:
L Q1 Q2 Q
1 2 [35]
Q1 Q1 Q1
e si dimostra che solo per la macchina di Carnot47 si ha anche:
Q T
1 2 1 2 [36]
Q1 T1
L'enunciato di Carnot afferma che é sempre :
Q T
1 2 1 2 [37]
Q1 T1
La condizione di eguaglianza si ha solo quando le trasformazioni sono reversibili e il ciclo é
quello di Carnot formato da due isotermiche e due adiabatiche ideali48 quindi da trasformazioni
sempre reversibili.
Si vuole qui osservare che la scelta delle due tipologie di trasformazioni ideali (isotermiche e
adiabatiche reversibili) non è casuale. Carnot non si è svegliato una mattina avendo sognato la
combinazione vincente ma ha derivato il suo ciclo ideale da semplici e potenti ragionamenti.
Fra l’altro va osservato che parte dei ragionamenti che seguono non potevano essere fatti in
quel periodo storico perché le conoscenze dell’epoca erano ancora troppo limitate. Noi possiamo
fare a posteriori considerazioni teoriche che sintetizzano oltre un secolo di sviluppi teorici nel
campo della Termodinamica. Proprio per questo l’intuizione di Carnot deve essere considerata di
maggior valore.
Irreversibilità negli scambi termici
Vediamo di rendercene conto anche Noi. La macchina di Carnot deve operare con
trasformazioni reversibili (è questa l’ipotesi fondamentale da tenere presente!) e pertanto ogni
sua trasformazione deve esserlo. Se la macchina scambiasse calore con i due serbatoi di energia a
temperatura T1 e T2 in modo non isotermico avremmo allora una differenza di temperatura che,
per l’enunciato di Clausius, renderebbe le stesse trasformazioni irreversibili. Quindi il calore deve
46
Per quel che ci interessa nel prosieguo del corso, definiremmo serbatoio termodinamico un sistema capace
di scambiare energia termica senza variare la propria temperatura. In natura questa idealizzazione viene ben
rappresentata, ad esempio, da sistemi aventi grandi masse di accumulo come lo è l’atmosfera, il mare, un grande lago
o un grande fiume.
47
La dimostrazione di questa relazione è di norma oggetto di approfondimento nel corso di Fisica Generale I e
pertanto non si ritiene utile dilungarci su quest’argomento.
48
Chiameremo le adiabatiche ideali con il termine isoentropiche più avanti.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 50
passare dal serbatoio caldo alla macchina di Carnot e da questa al serbatoio freddo facendo in
modo di non creare irreversibilità e quindi mediante due isoterme.
Nella realtà se vogliamo che il calore passi dal serbatoio caldo alla macchina occorre avere
una differenza di temperatura altrimenti, per l’enunciato di Clausius, non si ha trasmissione di
energia.
Questa differenza di temperatura è una causa di irreversibilità evidente poiché non si potrà
mai realizzare la trasformazione inversa in modo naturale e quindi senza l’intervento di un sistema
esterno che spenda energia per farla avvenire.
Pertanto nella realtà siamo obbligati ad avere scambi termici irreversibili: per annullare la
differenza di temperatura fra serbatoio e macchina dovremmo ricorrere a superfici di scambio
infinite. Infatti l’equazione fondamentale per la trasmissione del calore è:
Q K S T
49
Definiremo l’adiabatica reversibile come isoentropica.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 51
pistone non generi attrito con le pareti del cilindro e quindi che le perdite di irreversibilità siano
nulle.
Le trasformazioni adiabatiche reversibili, come si ricorderà dalla Fisica Generale,
obbediscono all’equazione:
pv k C
con C costante, k =cp/cv. Le trasformazioni adiabatiche hanno calore specifico nullo, essendo
Q=0). In genere le trasformazioni reali si approssimano bene con le politropiche che hanno
equazioni del tipo:
pv n C
con n variabile teoricamente da - a + . Queste trasformazioni non hanno calore specifico
nullo, tranne nel caso in cui sia n=k.
Pertanto le politropiche non forniscono il massimo lavoro utile e quindi il rendimento di una
macchina che opera secondo queste trasformazioni ha certamente rendimento termodinamico
inferiore a quella di Carnot.
Se si ricorda quanto detto nel §2.9 sulle trasformazioni reversibili si può concludere che
l’enunciato di Duhem sia conseguenza diretta della stessa definizione di reversibilità di una
trasformazione termodinamica.
In questo caso l’enunciato di Duhem non solo definisce, in modo coerente con il 2° Principio,
una trasformazione reversibile ma ne rivela anche l’impossibilità pratica di realizzarla.
Infatti una trasformazione reale, anche sulla base dei primi due enunciati di Clausius e
Kelvin, non può avvenire senza differenze di potenziali e quindi, di fatto, le trasformazioni reali
sono sempre irreversibili.
con C e D costanti sperimentali del gas. Se si effettuano varie misure con gas diversi si
osserva che tutte le rette del tipo [38] si incontrano in un punto avente valore –273.15 per
pressione p nulla. A questo valore si riferisce lo zero assoluto della scala Kelvin. Mediante il ciclo di
Carnot si può anche definire una scala termodinamica in considerazione del fatto che, per la [36] il
rendimento termodinamico di Carnot dipende solo dalla temperatura delle sorgenti, =f(T1,T2).
Q1
In pratica possiamo esprime anche un legame funzionale f (T1 , T2 ) per un ciclo di
Q2
Carnot che opera fra le temperature T1 e T2.
Analogamente si può scrivere per un ciclo di Carnot che operi fra le temperature T2 e T3,
Q2
ossia f (T2 , T3 ) . Se ora immaginiamo un ciclo combinato dei due precedenti e quindi
Q3
Q1
operante fra T1 e T3 si ottiene il funzionale f (T1 , T3 ) . Combinando queste relazioni possiamo
Q3
però scrivere:
Q1 Q Q
1 : 2
Q2 Q3 Q3
Questa relazione ci dice che la quantità di calore scambiata dalla macchina di Carnot (e
indipendente dal fluido perché supposto ideale) può essere considerato una proprietà
termometrica e quindi utilizzato per misurare la temperatura termodinamica dei corpi. La
temperatura di 273.16 K assume ancora un significato fisico importante. Scritto il rendimento di
Carnot nella forma:
Q
1 2 1 2
Q1 1
si definisce zero assoluto quella temperatura che rende pari ad uno il rendimento di Carnot.
Questo fatto ha portato a dire, ponendo in relazione la scala termodinamica con quella assoluta,
che le due scale coincidono e che pertanto la scala assoluta ha anche un valore termodinamico
operativo, cioè si ha:
T1 1
T2 2
Per la [41] si ha anche:
T
TT T
In termini matematici la relazione precedente dice che per trasformazioni reversibili (cioè
quando vale il segno di eguaglianza) si può definire una nuova grandezza termodinamica tale che
abbia circuitazione nulla e quindi essa è un differenziale esatto:
Q
dS [45]
T
ove con S si definisce l'entropia (misurata in J/K) e che risulta essere un nuovo potenziale
termodinamico cioè é indipendente dal percorso ma dipende solo dagli stati termodinamici del
sistema. Come si ricorderà Q non é un potenziale termodinamico mentre dS = Q/T lo é. Il fattore
1/T si suole dire che normalizza Q rendendolo un differenziale esatto.
Consideriamo un ciclo composto da una trasformazione reversibile di andata ed una
irreversibile di ritorno, come indicato in Figura 6. Essendo l’entropia grandezza di stato essa risulta
funzione solo dei punti termodinamici e quindi per un ciclo (qualunque esso sia, reversibile o non)
la sua variazione deve essere nulla. Se per la trasformazione reversibile si può scrivere:
BQ
SB S A
A
T reversibile
per la trasformazione inversa irreversibile si ha:
A Q
S A SB
B
T irreversibile
E poiché per l’equazione [44] la funzione integranda è minore di zero (o pari a zero solo se al
limite della reversibilità) allora occorre immaginare che per le trasformazioni irreversibili si abbia
anche una produzione di entropia sempre positiva sirreversibile tale che la somma delle due
quantità sia esattamente nulla: [(SB – SA)]Rev + [(SA – SB)]irr=0.
p p
CICLO DI CARNOT CICLO AD INFINITE TEMPERATURE
Q+
T1
L- L+
T2
Q-
v v
Per trasformazioni non reversibili (e quindi per trasformazioni reali) si può allora scrivere la
nuova forma della relazione di Clausius che rappresenta anche l'espressione analitica del Secondo
Principio della termodinamica:
Q
dS Sirreversibile [46] (Relazione di Gibbs)
T Re ale
Questa relazione, detta di Gibbs, dice che in una trasformazione reale la variazione di
entropia é pari alla variazione di Q/T|reale (termine che si può calcolare nota il calore scambiato e
la temperatura a cui esso viene scambiato) alla quale va aggiunta una grandezza sempre positiva
pari a Sirreversibile detta anche produzione di irreversibilità del sistema (o vivacità) e che dipende
dalla trasformazione termodinamica (cioè dal cammino seguito).
Il termine di irreversibilità Sirreversibile non è di solito facilmente calcolabile perché é proprio
quello che é dovuto alla presenza di attriti vari (in senso meccanico, elettrico e termico) e di
irreversibilità di varia natura. In genere si utilizza la [46] per calcolare sirreversibile facendo la
differenza fra la variazione di entropia (sempre calcolabile con una trasformazione reversibile) e
Q
l’integrale .
T reale
La relazione di Clausius é fondamentale per lo studio dei processi irreversibili e per la nuova
Termodinamica basata sui rendimenti exergetici (si dirà fra breve cos'è l'exergia) delle
trasformazioni termodinamiche e non solamente sui rendimenti energetici.
Ora l’anergia si può scrivere anche in diverso modo utile alla comprensione del concetto di
entropia:
Q
A 1 T2 T2 S [50]
T1
essendo S=Q1/T1 la variazione di entropia del serbatoio caldo. Pertanto l'anergia (cioè
l'energia perduta) é data dal prodotto della temperatura inferiore del ciclo per la variazione di
entropia.
Ecco che il significato della precedente affermazione (l'entropia dell'universo é sempre
crescente) é anche il seguente: l'universo (come sistema isolato) evolve in modo tale che é sempre
crescente la sua anergia ovvero che diminuisce la capacità di trasformare calore in lavoro
meccanico.
Quest'osservazione, unitamente alle osservazioni di Boltzmann sul significato statistico
dell’entropia (vedi più avanti), ha fatto sì che si desse all'entropia un significato fisico importante:
l'entropia é una grandezza termodinamica proporzionale all'ordine interno del sistema. Pertanto,
l'aumentare dell'entropia equivale anche al crescere del disordine interno di un sistema e quindi
della sua capacità di fornire lavoro all’esterno.
In modo semplice si può osservare che il lavoro massimo dà al calore Q1 un valore che
dipende dalla sua temperatura T1 rispetto alla temperatura T2 (di solito coincidente con la
temperatura dell'ambiente esterno su cui si va a scaricare il calore Q2): tanto più elevata é la
temperatura T1 tanto maggiore é il lavoro ottenibile nella trasformazione e, al limite, quando T1=T2
il lavoro ottenibile diventa nullo.
Per chiarire il significato fisico di entropia immaginiamo di avere 1 kg di oro sotto forma di
lingotto: esso ha un valore commerciale definito ed elevato. Ma se lo stesso kg di oro lo avessimo
sotto forma di polvere aurea dispersa in un campo di un ettaro di superficie il suo valore sarebbe
ben diverso! Occorrerebbe recuperarlo e cioè ordinare tutto l'oro in un blocco omogeneo.
Qualcosa di simile succede con il calore: se é ad elevata temperatura rispetto all'ambiente
esso ha un elevato valore perché si trasforma meglio in lavoro (vedi espressione del lavoro
massimo) mentre se é a bassa temperatura il suo valore energetico é sempre più basso fino ad
annullarsi quando la temperatura coincide con quella ambiente.
Boltzmann50 ha dimostrato che l’entropia è proporzionale al logaritmo naturale della
probabilità che le particelle componenti si trovino in un volume considerato, alla pressione e alla
temperatura del sistema. Si ha, cioè:
S k lnP [51]
50
Boltzamann ebbe il grande merito di impostare lo studio della Termodinamica in modo statistico
pervenendo a risultati di grandissima importanza che hanno influenzato moltissimo gli sviluppi della Fisica. Basti
pensare che Planck sviluppò la sua teoria sui quanta (vedi volume sulla Trasmissione del Calore) per l’emissione
monocromatica del corpo nero proprio per avere una congruenza dei radiatori termici con la relazione di Boltzamann.
Questa congruenza si aveva solamente imponendo che la radiazione fosse proporzionale alla grandezza h.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 57
L’evoluzione naturale dei sistemi tende a procedere verso stati più disordinati e casuali (cioè
verso stati ove si hanno meno individualità ovvero si ha un minor numero di sottosistemi
organizzati) mentre risulta impossibile il contrario. Ad esempio se si hanno due recipienti
contenente uno vapore d’acqua e l’altro il vuoto e si pongono i comunicazione fra di loro allora si
può certamente pensare che il sistema si evolverà in modo da annullare le diversità e quindi farà
migrare il vapore verso il sistema vuoto per cui alla fine si avrà vapore in entrambi i recipienti (in
questo stato si hanno maggiori possibilità di posizioni spaziali delle molecole di vapore rispetto allo
stato iniziale di separazione!).
La trasformazione contraria non può avvenire, cioè sarà impossibile che il vapore si separi da
solo tutto in un recipiente lasciando vuoto il secondo. L’evoluzione naturale, quindi, può
univocamente avvenire verso il disordine ovvero la capacità di auto organizzazione dei sistemi
termodinamici tende sempre a diminuire51.
Se consideriamo ancora due sistemi a diversa temperatura allora il calore passerà
spontaneamente da quello a temperatura maggiore verso quello a temperatura minore.
Apparentemente non si ha variazione di volume e quindi non si produce alcuna
riorganizzazione spaziale dei due sistemi (si suppongano i due sistemi solidi), diversamente dal
caso precedente di spostamento del vapore da un sistema all’altro.
Pur tuttavia la Termodinamica Statistica ci dice che il disordine interno di un sistema
dipende dalla sua temperatura. La trasmissione di calore fra i due sistemi accresce il disordine
molecolare dei due sistemi rispetto allo stato antecedente alla trasmissione, cioè il sistema finale
tende verso stati meno strutturati e quindi più casuali.
Con riferimento alla Figura 14 si ha che il sistema A diminuisce la sua temperatura e quindi
passa da un maggior disordine molecolare (vedi significato statistico della temperatura dalla
Teoria Cinetica dei gas) ad un minor disordine molecolare, quindi passa da uno stato meno
organizzato ad uno più organizzato. La perdita di energia (- Q) comporta, quindi, una maggiore
organizzazione del sistema A. Il sistema B, al tempo stesso, riceve l’energia Q e accresce la sua
energia interna passando da uno stato a bassa temperatura e pertanto più organizzato ad uno a
maggior temperatura e quindi meno organizzato (o più disordinato).
Il sistema complessivo A + B, isolato per ipotesi come rappresentato in figura, passa
complessivamente ad un livello di disorganizzazione maggiore rispetto allo stato iniziale. Anche se
uno dei due sottosistemi appare più organizzato (il sistema A), il sistema complessivo (A + B) è
maggiormente disorganizzato. Pertanto la trasmissione del calore accresce il disordine totale del
sistema, rispettando la legge dell’evoluzione naturale dei sistemi termodinamici isolati (entropia
crescente). In definitiva il disordine di un sistema termodinamico può essere cambiato in due
modi:
Riarrangiamento spaziale del sistema ;
Trasmissione del calore.
L’equivalenza:
Entropia Disordine
è ormai entrata nell’uso comune delle persone in vari settori della vita.
Si parla di entropia del linguaggio, di entropia teatrale, di entropia della comunicazione, di
entropia sociale, di entropia economica, …. E’ forse questo il concetto termodinamico più
esportato nelle altre discipline.
51
Questa affermazione è vera per sistemi termodinamici in equilibrio. Per sistemi lontani dall’equilibrio
Prigogine ha dimostrato che si possono avere strutture dissipative organizzate (ad esempio le celle di Bènard) che
evolvono in modo diverso da quanto sopra indicato.
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TERMODINAMICA APPLICATA 58
Alla luce di tutte queste considerazioni possiamo dire che il Secondo Principio della
termodinamica mette chiarezza nella comprensione del valore dell'energia termica: questa é sì
una forma energetica metricamente equivalente alle altre (meccanica, elettrica, ...) ma il suo
valore energetico dipende dalla temperatura alla quale viene prelevata. Il Secondo Principio,
quindi, fornisce una scala di valori per l’energia termica che si trasforma in lavoro meccanico.
Si è parlato fino ad ora di scambi generici fra sistema ed ambiente esterno. In generale si può
scrivere la relazione:
Q Qi Qe [52]
ove Qi è il calore scambiato internamente fra sottosistemi e Qe e il calore scambiato con
l’ambiente esterno. L’entropia è allora definita dalla relazione:
Qi Qe
dS [53]
T T
Qualora si suddivida un sistema termodinamico in più sottosistemi allora per ciascuno di essi
vale la [53] e per tutto il sistema deve essere:
Q Q
dS i e [54]
T T
Il calore interno
Le quantità di calore scambiate internamente hanno grande importanza per i processi
irreversibili per i quali si può dimostrare, anche con considerazioni qualitative derivanti
dall’osservazione sperimentale delle trasformazioni reali, che è Qi0.
Si pensi, ad esempio, al contributo dato agli scambi di calore interni dall’attrito nelle
trasformazioni reali: esso è sempre positivo, qualunque si il verso della trasformazione, e pertanto
anche la produzione di entropia è positiva. Come altro esempio concreto si immagini di avere un
serbatoio non isolato contenete acqua a 20°C e contenente al proprio interno un secondo
serbatoio contenente ghiaccio a 0°C, come illustrato in Figura 15.
Se invece del ghiaccio all’interno del secondo recipiente ci fosse una sostanza che cambia di
fase a 20 °C (o a temperatura molto prossima a quella dell’acqua che la circonda) allora la
precedente relazione diviene:
Qi Qi
0
T1 T1
e quindi la variazione totale di entropia dell’intero sistema sarebbe dovuta solamente al
termine di scambio esterno Qe T1 . In definitiva la [54] si può sdoppiare in due equazioni:
Qi
T
0 [55]
e per conseguenza:
Qe
dS [56]
T
Da queste relazioni discende subito, per integrazione della precedente, che :
Q
SB S A e
B
[57]
A T
e, per un sistema termicamente isolato:
dS 0 ovvero SB S A [58]
Come conseguenza della [58] discende l’enunciato di Perrin e Langevin del 2° principio della
Termodinamica: un sistema termodinamico reale isolato termicamente non può percorrere un
ciclo.
Infatti esso, per quanto dimostrato, non si può presentare con la stessa entropia a meno che
non compia trasformazioni reversibili e quindi sia un sistema ideale.
Applicando la [57] ad un ciclo chiuso deriva l’importante considerazione:
Q
Te 0 [59]
calore Q1 attraverso una macchina di Carnot che assorbe il calore q1 dal serbatoio A. Per il teorema
di Carnot possiamo scrivere, allora:
q1 Q1
T0 T1'
Analogamente possiamo scrivere per il serbatoio 2:
q2 Q2
T0 T2'
Qualora avessimo avuto più serbatoi a temperature T’i allora si potrebbe generalizzare la
relazione precedente in:
qi Qi
T0 Ti '
Sommando tutte le quantità di energia entranti nel sistema lavorante si può allora scrivere:
Q
qi T0 T 'i
i
Tutti i serbatoi del sistema restano nello stesso stato iniziale (bilancio in pareggio fra energia
ricevuta da A ed energia ceduta al sistema lavorante) mentre il serbatoio A ha perduto la quantità
globale di energia qi e per il principio di conservazione dell’energia questa si deve trasformare nel
lavoro L prodotto dal sistema lavorante, ossia deve aversi:
qi L
Serbatoio
Serbatoio
To
q2
q1
M1 M2
Serbatoio Serbatoio
Q1Q1 Q2
T'1 T'2
Q1 Q2
SERBATOIO LAVORANTE
Ma poiché i serbatoi intermedi e le macchine di Carnot danno contributo nullo allora si deve
pensare che il sistema lavorante ha compiuto il lavoro L avendo attinto ad un solo serbatoio
esterno, il serbatoio A a temperatura T0, contrariamente a quanto stabilisce il Secondo Principio
della termodinamica (enunciato di Kelvin).
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TERMODINAMICA APPLICATA 62
Pertanto il lavoro compiuto dal sistema lavorante o è nullo o è minore di zero, cioè deve
essere:
L0
e quindi deve essere:
Qi
q i T0
T 'i
0
Questa disuguaglianza, detta di Potier e Pellat, risulta utile nella pratica perché fornisce una
indicazione sui rapporti fra energia fornita dai serbatoi e la temperatura dei serbatoi stessi,
prescindendo dai contributi di quantità di calore scambiati internamente al sistema. E’ facile
osservare che se i recipienti principali sono due, A e B, allora la precedente relazione si riduce alla
relazione di Carnot [42]. Alla luce della [60] possiamo scrivere, per la [46]:
Q
dS e dSirr [61]
T'
riferita alle sole sorgenti esterne e alle temperature di scambio effettive. In conseguenza il
lavoro reale, che per una trasformazione reversibile è dato da:
L Q dU TdS dU
diviene ora:
L T ' dS dU T ' dSirr [62]
Pertanto la [64] indica una direzione ben precisa per l’evoluzione dei processi nei sistemi
isolati nel senso che possono evolversi solamente con entropia crescente e mai viceversa. Tali
processi sono detti, come già sappiamo, irreversibili.
Se risulta Sfinale = Siniziale allora il processo è reversibile. Ne consegue che alla luce della [64] la
disuguaglianza definisce il limite fra irreversibilità e reversibilità. Parimenti si può dire, per la [46],
che per un processo reversibile Sirrev =0. Per un sistema composto di più sottosistemi allora
possiamo definire i processi irreversibili in termini di entropia composta per effetto della
variazione di entropia di tutti i sottosistemi.
Potremmo meglio definire i processi per un sistema composto come totalmente reversibili o
totalmente irreversibili. Se consideriamo il sottosistema A dobbiamo definire bene i concetti di
processi internamente reversibili o internamente irreversibili. Un processo internamente reversibile
può essere percorso in senso inverso in qualunque momento per cui il sistema ritorna sempre allo
stesso stato iniziale. Ciò comporta la necessità di avere scambi con l’ambiente esterno di tipo
reversibile anche se l’ambiente esterno non necessariamente subisce processi reversibili.
Si dice allora che un processo è internamente reversibile ma esternamente irreversibile. Un
processo esternamente reversibile (o irreversibile) attiene all’ambiente esterno e non al
sottosistema considerato. Nel caso in esame il sottosistema A evolve reversibilmente mentre i
sottosistemi B,C e D evolvono reversibilmente o irreversibilmente a seconda del particolare
processo.
Pertanto un sistema semplice (o un sistema composto) che evolve reversibilmente (o in
modo totalmente reversibile) deve essere reversibile internamente ed esternamente mentre un
sistema composto non totalmente reversibile può evolvere in modo reversibile internamente e in
modo irreversibile esternamente.
In definitiva una reversibilità totale comporta reversibilità sia interna che esterna al sistema.
Pertanto un processo totalmente reversibile è sempre un processo quasi-statico poiché sia il
sistema che l’ambiente subiscono processi reversibili e quindi processi che evolvono secondo
successioni di stati di equilibrio.
Si osservi che un processo quasi-statico è certamente reversibile per il sistema ma non
necessariamente per l’ambiente poiché quest’ultimo può anche evolvere irreversibilmente. Solo la
reversibilità totale (interna ed esterna) garantisce l’equilibrio sia per il sistema che per l’ambiente
esterno.
Quanto detto risulta importante nello studio dei cicli termodinamici per i quali si supporrà,
per semplicità e a solo scopo euristico, che il sistema (macchina) evolva in modo internamente
reversibile mentre può evolvere in modo esternamente irreversibile.
Ad esempio se supponiamo di avere una macchina a vapore e si suppone che questo evolva
lungo trasformazioni ideali reversibili è possibile avere scambi con l’ambiente esterno di tipo
internamente reversibile mentre l’ambiente esterno compie una trasformazione irreversibile.
Abbiamo dato nei precedenti capitoli le definizioni di temperatura e pressione come variabili
macroscopiche esterne che rappresentano indicatori di variazione media di energia interna (la
temperatura) e di quantità di moto (la pressione). Vediamo adesso di legare meglio le definizioni di
queste due grandezze di stato alle grandezze interne del sistema termodinamico. Se consideriamo
l’energia interna del sistema data solamente dall’energia termica, trascurando l’energia cinetica,
potenziale, chimica ,…., allora possiamo scrivere il legame funzionale:
U=U(S,V)
52
Si dimostra che sempre il rapporto fra due grandezze estensive fornisce una grandezza intensiva, come si è
visto a proposito delle grandezze specifiche.
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TERMODINAMICA APPLICATA 65
U
p [68]
V S
La [67] può sembrare una definizione piuttosto astratta della temperatura. Vediamo se
possiamo ritrovare in essa alcuni concetti intuitivi quali l’applicazione del principio zero (equilibrio
termico) e di freccia direzionale per le trasformazioni termodinamiche. Consideriamo il sistema a
della Figura 18: il blocco A è ad alta temperatura mentre il blocco B e a bassa temperatura.
Inizialmente i due blocchi, interni ad un sistema isolato, sono posti a contatto pervenendo allo
stato finale di destra nel quale entrambi hanno la stessa temperatura di equilibrio T. Per il 1°
principio possiamo scrivere:
dU d (U A U B ) 0 ossia dU A dU B
Per la seconda legge della termodinamica si ha, essendo il sistema totale isolato:
dS d ( S A SB ) 0
La variazione di entropia, con lo scambio termico, è positiva poiché il sistema subisce una
trasformazione irreversibile dallo stato iniziale a quello finale. Se consideriamo variazioni
infinitesime attorno allo stato finale di equilibrio la variazione di entropia è nulla, cioè si ha (per
l’equilibrio di un sistema isolato):
dS d ( S A SB ) 0
Poiché si sta supponendo che il processo avvenga a volume costante possiamo ritenere che
sia solamente S =S(U) e che quindi:
S S
dS dS A dS B A dU A B dU B 0
U A VA U B VB
Avendo anche (per il 1° principio) dUA = - dUB si ottiene:
S S
dS A B dU A 0
U A VA U B VB
1 1
dS dU A 0
TA TB
Cosicché per ottenere l’equilibrio termico occorre avere TA =TB che è la condizione che ci
aspettiamo.
Quindi la definizione della temperatura data dalla [67] soddisfa il concetto di equilibrio
termico.
Se consideriamo il sistema durante lo scambio termico che porta dallo stato 1 allo stato
finale 2 allora si può scrivere che la variazione positiva di entropia vale:
1 1
dS dU A 0
TA TB
Se il sistema non compie lavoro la [66] diviene dUA=QA e sostituendo nella precedente si ha:
1 1
dS dQ A 0
TA TB
Poiché si suppone TA >TB allora deve essere QA0 cioè il calore è uscente dal sottosistema A
e quindi la trasmissione avviene da temperatura maggiore verso temperatura minore, come ci
aspettiamo che sia. Da quanto detto consegue che la definizione di temperatura [67] è congruente
con i nostri concetti intuitivi.
La Pressione
Il secondo coefficiente dato dalla [68] ci dice che la pressione è definita dalla relazione
U
p
V S
Vogliamo ancora una volta verificare se questa definizione è congruente con i concetti già
sviluppati in precedenza di equilibrio meccanico e di equivalenza della definizione con quella
precedentemente data di forza per unità di superficie. Si consideri il sistema isolato di Figura 19
composto da due sottosistemi separati da un pistone mobile e che possono comunicare
termicamente.
In figura sono indicati gli stati iniziale (1) e finale (2). Il Primo Principio ci dice:
dU d (U A U B ) 0 ossia dU A dU B
Poiché il volume totale è costante si ha anche:
dV d VA VB 0 ossia dVA dVB
All’equilibrio la variazione di entropia del sistema isolato deve essere nulla e quindi:
dS d Sa S B 0
Per la [67] le prime due derivate sono le temperature TA e TB. Le altre due derivate sono
nulle poiché risulta:
S V U
1
V U U S S V
e quindi:
S 1
V
V U U s U S V
ovvero:
S U V S
U
V U S V
che rappresenta la condizione di equilibrio meccanico ricercata. Poiché vale la [66] e deve
essere dS=0 all’equilibrio si ottiene:
dU=-pdV=-L
Quindi la pressione come ora definita porta ancora ad correlazione con il lavoro
termodinamico in accordo a concetto inizialmente espresso di forza per unità di superficie.
Abbiamo sin qui visto varie espressioni per l’entropia ma ci siamo sempre riferiti a sistemi
isolati ed abbiamo visto che le trasformazioni per essi evolvono sempre in modo direzionale
dettato dalla necessità di avere sempre entropia crescente (2° principio della Termodinamica).
L’interesse tecnico va, però, ai sistemi aperti (detti anche a controllo di volume) e ai sistemi
chiusi (detti anche a controllo di massa). Vediamo, quindi, come trasformare le equazioni
dell’entropia sin qui viste per una loro immediata utilizzazione.
Quando negli esempi precedenti, vedi Figura 17, abbiamo suddiviso il sistema isolato in più
sottosistemi fra di loro non isolati abbiamo detto, implicitamente, che questi sono sottosistemi a
controllo di massa (cioè chiusi) e quindi capaci di scambiare energia con i sottosistemi circostanti.
Idealizziamo due tipologie di sottosistemi: i serbatoi di lavoro reversibili e i serbatoi di calore
reversibili. Supponiamo, cioè, che ciascuno di questi serbatoi (sottosistemi esterni al sottosistema
considerato) operi trasformazioni di scambio di lavoro e di calore, rispettivamente) in modo
reversibile.
Serbatoi reversibili di calore
Questi scambiano energia termica solamente in modo reversibile e pertanto dalla
Q dU L ponendo L=0 (stiamo supponendo che questi serbatoi scambiano solo calore) si
ha Q = dU e quindi:
dU
dS
T
Serbatoi reversibili di lavoro
Questi serbatoi partecipano solamente agli scambi di lavoro attraverso espansione delle
superfici di separazione con i sottosistemi circostanti. Risulta allora:
dU p
dS dV
T T
e poiché, in mancanza di scambi di calore, deve essere:
dU pdV
allora risulta:
p p
dS dV dV 0
T T
Pertanto i serbatoi di lavoro reversibili hanno variazione nulla di entropia. Ne segue che per
ogni sottosistema del sistema isolato vale la relazione:
Q
dSisolato dS sottosistema i 0
Ti sottosistema
ove con Qi e Ti si sono indicate le quantità di calore e le relative temperature scambiate con
i serbatoi reversibili costituiti dai sottosistemi viciniori. La precedente relazione, essendo
dSisolato=0, porta ad avere:
Q
dS sottosistema i [69]
Ti sottosistema
Si osservi che la temperatura indicata in questa relazione è la temperatura dei serbatoi di
calore per cui la seconda legge della Termodinamica può cosi essere espressa per i sistemi chiusi:
Valgono analoghe relazioni per le equazioni relative alla velocità di produzione dell’entropia:
dS sottosistema d Qi
sdV Sirreversibile [74]
d d V Ti sottosistema
Se il sistema è aperto allora i flussi di massa trasportano con sé anche entropia (e quindi si
hanno flussi di entropia).
Di conseguenza si ha anche una variazione di entropia interna del sistema per effetto dei
flussi di entropia entranti ed uscenti.
Per i sistemi aperti possiamo dare la seguente definizione:
e quindi risulta:
Sscambio ms ingresso ms uscita
Si è più volte ripetuto che i processi reali sono irreversibili e fra questi rientrano le
trasformazioni naturali: vediamo adesso quanta entropia (e quindi anche anergia pari a T0s) si
produce in alcuni di essi.
Si possono qui fare le seguenti osservazioni generali:
Ogni processo reale è irreversibile e quindi si ha sempre una produzione di entropia sirr;
La produzione di irreversibilità sirr produce sempre una perdita di lavoro utile pari a T0sirr
La produzione di entropia può essere calcolata sostituendo al processo reale irreversibile uno
o più processi ideali reversibili che portino dallo stato iniziale allo stesso stato finale del
sistema con eventuale sola somministrazione di calore esterno.
Vediamo adesso due esempi tipici di processi naturali per i sistemi meccanici.
In occasione della definizioni delle trasformazioni ideali del ciclo di Carnot (vedi §4.2.3) si è
detto che una causa di perdita di lavoro dei cicli reali è dovuta alla necessità di trasmettere calore
fra serbatoio caldo (ad esempio una caldaia di un impianto a vapore) e il fluido di lavoro del ciclo
(che si chiama Rankine) mediante una differenza di temperatura necessariamente non nulla.
Essendo presente una T che rende irreversibile lo scambio termico si ha una produzione di
irreversibilità sirr che produce un’anergia T0s.
Serbatoio Caldo Q1
T1
CALORE FORNITO
Q1 T2
Q1
M1 LAVORO
UTILE L 1 M2
L2
Q2'
Q2 CALORE CEDUTO
To
Serbatoio Freddo
Calcoliamo subito la produzione di entropia. Con riferimento alla Figura 20, supposto di
avere la migliore macchina di trasformazione, quella di Carnot, il serbatoio caldo cede calore -Q1
(si ricordi che per la convenzione dei segni il calore ceduto dal serbatoio è, con riferimento al
serbatoio, negativo) e temperatura T1 e quindi la sua entropia varia della quantità:
Q1
s1
T1
La macchina di Carnot 2 riceve il calore (positivo per essa) Q1 ma alla temperatura T2=T1-T e
quindi la sua entropia varia di:
Q
s2 1
T2
La variazione totale di entropia del serbatoio e della macchina (che è la perdita di lavoro)
vale:
Q1 Q1 1 1
sirr s1 s2 Q1 [79]
T1 T2 T2 T1
Possiamo facilmente dare un significato termofisico a questo risultato. Se consideriamo una
seconda macchina di Carnot (sempre con riferimento alla Figura 20) assumiamo che la stessa
quantità di calore Q1 passi dal serbatoio a temperatura T1 al serbatoio a temperatura T2 e che la
seconda macchina di Carnot operi fra T2 e la temperatura T0 comune alla prima macchina. I lavori
che si ottengono con le due macchine sono:
T
L1 Q1 1 0
T1
e ancora:
T
L2 Q1 1 0
T2
Essendo T2<T1 risulta L2<L1 e pertanto si ha una perdita di lavoro (e quindi produzione di
anergia) pari a:
1 1
L L1 L2 Q1T0 [80]
T2 T1
Confrontando la [79] e la [80] si può allora scrivere:
L A T0sirr [81]
Pertanto ogni volta che degradiamo l’energia termica mediante un salto di temperatura si ha
una perdita di lavoro utile e la [81] ne quantifica l’ammontare.
Un fluido reale è soggetto a fenomeni dissipativi generati dalla sua viscosità dinamica (vedi
nel prosieguo il Moto dei Fluidi) che producono una perdita di pressione nel loro movimento
all’interno dei condotti. Un fluido reale non si sposta se non si produce una differenza di pressione
ai suoi capi che almeno bilanci le perdite per attrito. Questo comportamento è ben diverso da
quello di un fluido ideale che può teoricamente spostarsi senza subire attrito e quindi senza
perdite di pressione. Abbiamo per il moto dei fluidi reali una analogia con la trasmissione del
calore: occorre sempre avere una differenza di potenziale per avere un flusso.
Si parlerà di potenziale termico per il flusso di calore e di potenziale di pressione per il flusso
di massa di un fluido, così come occorre avere una differenza di potenziale elettrico per avere un
flusso di cariche elettriche.
Per semplificare il nostro studio ai soli aspetti che qui interessano supponiamo che il fluidi si
sposti all’interno di un condotto in condizioni di perfetta adiabacità (quindi senza scambi di calore
con l’esterno). L’equazione dell’energia per i sistemi aperti [8] può scriversi in forma differenziale:
dq dh dL wdw gdz [82]
Per l’ipotesi di adiabacità si ha dq=0 ed inoltre possiamo supporre che il moto avvenga senza
variazione di quota (dz=0) e di energia cinetica (w =cost). Si ha, pertanto, l’equazione:
dh 0 [83]
Il moto di un fluido reale è, nelle ipotesi sopra considerate, isoentalpico ma ciò non significa
affatto che sia reversibile. Possiamo calcolare la variazione di entropia utilizzando una
trasformazione ideale reversibile fra gli stessi stati iniziale e finale del fluido e con sola
somministrazione di calore dall’esterno: è possibile scrivere:
q
ds
T
come già detto nel $4.4. Tenendo presente la [34] si ha:
q dh vdp
ds
T T T
e poiché risulta dh=0 si ha:
vdp
ds
T
Fra gli stati 1 e 2 (iniziale e finale) si ha una variazione di entropia:
2 v
s2 s1 dp [84]
1 T
isoentalpica
L’aumento di entropia sopra calcolata è avvenuta per l’irreversibilità del sistema e quindi
essa rappresenta la produzione sirr per il processo reale isoentalpico considerato. Con riferimento
alla Figura 21 possiamo calcolare l’aumento di entropia sostituendo alla trasformazione
isoentalpica reale 12 (tratteggiata essendo irreversibile) due trasformazioni reversibili che portino
dallo stato 1 allo stato 2.
p
Ta
h=c 3
ost
2
Sommando membro a membro i due risultati e tenendo presente che è s2=s3 si ottiene:
Anergia Ta s2 s1 vdp vdp
3 2
1 3
da cui ricaviamo:
1 3
vdp vdp
2
sirr s2 s1 [85]
Ta 1 3
isoterma isoentropica
Il calcolo degli integrali è possibile una volta esplicitati i legami fra le variabili p e v per le
trasformazioni considerate per il fluido in evoluzione. Se, ad esempio, ipotizziamo che il fluido sia il
gas ideale per il quale vale l’equazione caratteristica:
pv RT
allora per T =Ta e tenendo conto che per esso l’isoentalpica coincide con l’isotermica
(dh=cpdT) e quindi i punti 3 e 2 coincidono si ottiene dalla [85]:
1 2 RT dp p
vdp a
2
sirr s2 s1
Ta 1 Ta 1 p
R ln 1
p2
isoterma
quindi la produzione di irreversibilità è proporzionale al rapporto fra le pressioni iniziale e
finale.
Si osservi che negli sviluppi sopra considerati si è supposto di utilizzare un fluido ideale per
effettuare una trasformazione reale e quindi irreversibile ottenendo una produzione di entropia
per irreversibilità. In effetti è l’ipotesi di trasformazione isoentalpica che ha portato ad avere
questa irreversibilità. Se, per coerenza, consideriamo il fluido ideale in moto senza perdite di
pressione avremmo una trasformazione isobara che porta ad avere sirr=0.
Spesso si ricorre a queste apparenti confusioni: ci si riferisce a trasformazioni reali ma si
continuano ad utilizzare le equazioni del gas ideali. In effetti ciò è possibile quando l’utilizzo delle
equazioni caratteristiche del gas ideali (e principalmente l’equazione elasto-termometrica pv = RT)
non portano ad errori inaccettabili nei calcoli.
Se il fluido reale può essere ragionevolmente descritto dalle equazioni caratteristiche del
fluido ideale allora l’utilizzo di queste risulta certamente più agevole e pratico.
Si vedrà nel prosieguo come i fluidi reali siano più complessi da trattare rispetto ai fluidi
ideali e le equazioni caratteristiche sono spesso molto più complesse e matematicamente più
impegnative da trattare nei calcoli termodinamici.
Consideriamo la trasformazione irreversibile (ma adiabatica, vedi Figura 22) che porta dal
punto 1 al punto 2 e la trasformazione reversibile 1-2 (compressione reversibile) ed inoltre sia
isovolumica la 3-1. Il secondo postulato di Karatheodary dice che la T2R è sempre minore della T2
ottenuta con la trasformazione reale.
Si dimostra infatti, anche alla luce di quanto detto nel paragrafo precedente e
dell’eguaglianza di Clausius, che se non fosse valido l’assioma di Karatheodary si avrebbe una
produzione di entropia negativa. Ciò risulta importante in quanto stabilisce che non si possono
raggiungere alcuni stati attraverso processi solamente adiabatici quando è raggiunto il volume
finale
Alla luce dell’eguaglianza di Clausius possiamo dire che il Secondo Principio della
Termodinamica si può anche enunciare dicendo che esiste per un sistema termodinamico una
funzione, detta entropia, che è somma di due componenti: quella proveniente dall’esterno e quella
prodotta internamente. La produzione di entropia interna è sempre positiva o nulla (caso ideale di
trasformazioni reversibili) e pertanto si conclude che tutte le trasformazioni reali sono
irreversibili.
L’irreversibilità può quindi essere associata alla produzione interna di entropia e questa, alla
luce delle considerazioni di Boltzmann, alle nozioni di ordine interno del sistema.
Occorre qui puntualizzare qualcosa sul concetto di disordine e ordine di un sistema
termodinamico per non cadere in conclusioni affrettate ed errate.
53
Si osservino, per avere un’idea delle celle di Bénard, i sistemi di raffreddamento delle lampade dei
proiettori luminosi.
54
Nel senso di definizione fisico-matematica.
55
Atti di moto elementari con i quali comporre moti complessi nello spazio.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 77
Una struttura dissipativa può distruggere l’omogeneità del tempo e dello spazio poiché si
hanno interazioni forti con il sistema che a sua volta può subire trasformazioni che chiameremo
biforcazioni.
Biforcazioni
Una biforcazione è una nuova soluzione delle equazioni differenziali descrittive del
fenomeno per effetto di alcuni valori critici delle condizioni al contorno56.
La nascita di una biforcazione e di quindi di un nuovo sistema termodinamico rende il tempo
asimmetrico57 poiché esso testimonia della storia evolutiva del sistema stesso.
La successioni delle trasformazioni dei sistemi termodinamici per effetto delle biforcazioni
conseguente alla nascita delle strutture dissipative è segnata dal tempo che assume un significato
di indicatore biologico della vita di un sistema termodinamico. In Figura 23 si ha un esempio di
biforcazione successiva di un sistema termodinamico per effetto della variazione del parametro p:
A e A’ rappresentano punti di biforcazione primaria del sistema mentre B e B’ rappresentano
biforcazioni secondarie.
56
Si vedranno nel corso della Trasmissione del Calore le equazioni di Navier Stokes e dell’energia per i fluidi.
Ad esse si aggiungono anche le equazioni di equilibrio alla diffusione chimica (Legge di Fick) e di equilibrio chimico
(reazione dei componenti che compongono il fluido, ad esempio durante una combustione). L’insieme di queste
equazioni differenziali del secondo ordine, non omogenee e non lineari costituisce la descrizione fisica del sistema
termodinamico fluido in movimento. La risoluzione di quest’insieme di equazioni differenziali non è semplice ed anzi
rappresenta una dei problemi più ardui della Scienza e della Tecnica. La non linearità delle equazioni, ad esempio per i
soli fenomeni meccanici:
Conservazione della Massa:
u 0
Conservazione della quantità di moto:
Du
P F 2 u
D
è la causa della complessità del fenomeno e della possibile biforcazione del sistema con la nascita di strutture
dissipative, come nelle già citate celle di Bénard.
57 Il termine simmetria risale ai greci, che con esso indicavano una nozione strettamente legata a quelle di
proporzione ed armonia. L’accezione moderna è fondata invece sul concetto di relazione d’uguaglianza tra elementi in
qualche modo opposti (si pensi all’uguaglianza tra le parti destre e sinistre di una figura). Nella scienza contemporanea
la simmetria ha il senso ben preciso di “invarianza rispetto ad un gruppo di trasformazioni”. Il tipo delle
trasformazioni (riflessioni, rotazioni, traslazioni, permutazioni…) definisce il tipo di simmetria (simmetrie di riflessione,
di rotazione, di traslazione, di scambio…) e la natura gruppale delle trasformazioni (cioè il fatto che esse costituiscano
un gruppo in senso matematico) traduce sul piano formale il tipo di unità intrinseca al concetto di simmetria. Con una
simile accezione la simmetria ha acquistato una posizione del tutto centrale nella descrizione, spiegazione e previsione
dei fenomeni naturali. Le simmetrie sono di diversi tipi ed hanno significato e funzioni diverse a seconda degli ambiti
in cui sono applicate, ed in generale quali tra esse siano rilevanti per la descrizione della natura dipende da quale
dominio fenomenico si considera. Nella Fisica classica ad ogni simmetria del sistema (o della sua lagrangiana)
corrisponde una certa grandezza, a essa legata, che si conserva. Così, ad esempio, se la lagrangiana (che caratterizza
una classe di sistemi dinamicamente equivalenti) non varia in corrispondenza di una traslazione delle coordinate:
qi qi qi
si ha la conservazione dell’impulso pi. Ogni qual volta si rompe una simmetria, o si ha una
diminuzione del suo ordine, deve nascere un campo che la ricrei localmente o globalmente. Con il termine “globale” si
intende che essa accade in tutti i punti dello spazio e nello stesso istante; mentre per una simmetria “locale” si può
decidere una convenzione indipendentemente per ogni punto dello spazio e per ogni istante del tempo. Il termine
“locale” può far pensare ad un dominio più modesto che non una simmetria globale, ma in realtà un tale requisito
fissa un vincolo ben più rigoroso alla costruzione di una teoria. Una simmetria globale afferma che alcune leggi fisiche
restano invarianti quando si applica contemporaneamente la stessa trasformazione in qualsiasi punto. Perché sia
possibile osservare una simmetria locale le leggi fisiche devono mantenere la loro validità anche quando ha luogo una
diversa trasformazione in ogni punto dello spazio e del tempo.
Come si può osservare dalla Figura 23, l’interpretazione degli stati termodinamici non è
possibile senza la conoscenza della storia della sua evoluzione. Si può dire che un sistema
termodinamico segue le regole deterministiche della Termodinamica Classica quando si evolve fra
le biforcazioni A ed A’ mentre segue un comportamento probabilistico quando si avvicina ai punti
di possibile biforcazione poiché in questi punti le fluttuazioni delle strutture dissipative giocano un
ruolo fondamentale nella determinazione del ramo che il sistema dovrà seguire. Nella successiva
Figura 24 si ha una schematizzazione di biforcazioni primarie, sulla base del solo parametri p,
successive del ramo termodinamico. Quanto sopra accennato si collega direttamente alle strutture
caotiche che oggi trovano grande interesse negli studi termodinamici ed applicativi.
B
B'
A A'
B''
35 60
T2(t+5tau)
30 55
T2(t+5tau)
50
25
45
20
40
15
15 20 25 30 35 40 45 50 55 60
T2(t)
T2(t)
35 44
30
T5(t+5tau)
42
T5(t+5tau)
40
25
38
20
36
15 34
15 20 25 30 35 35 40 45
T5(t)
T5(t)
20 20
DT(t+5tau)
15
DT(t+5tau)
10
10
0 5
-10 0
-5
-5 0 5 10 15 20 25 0 5 10 15 20
DT(t)
DT(t)
Figura 26: Andamento degli attrattori per protestabili (sinistra) e instabili (destra)
58
Se si portano in assi cartesiani le ampiezze di due sinusoidi in fase si ha una circonferenza o, in generale,
una ellisse (detti di Lissajou). Pertanto una oscillazione stabile è rappresentata da una ellisse. Se le curve descritte
sono curve chiuse ma non coincidenti allora le oscillazioni sono di ampiezza variabile, tipiche dei fenomeni instabili.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 80
Tale comportamento può essere studiato utilizzando le equazioni costitutive del fenomeno
(le equazioni di Navier Stokes e dell’energia) le quali, proprio per la loro natura non lineare
generano instabilità, quindi oscillazioni e quindi biforcazioni.
Lo studio analitico di quanto qui accennato esula dalla portata del presente corso di studi. Si
rinvia alla letteratura scientifica per ulteriori dettagli.
Le oscillazioni risentono anche del rumore esterno (cioè dei parametri controllati
esternamente) e pertanto anche le biforcazioni possono essere influenzate dal rumore esterno. Si
possono, cioè, avere nuove transizioni di non equilibrio (biforcazioni) generate da variazioni non
previste dalle leggi fenomenologiche del sistema.
Il rumore deve agire in modo moltiplicatorio59 e quindi non additivo. In pratica il rumore è
rappresentato da una variabile accoppiata ad una variabile di stato60 del sistema e si annulla
quando questa variabile di annulla.
Sistemi semplici;
Sistemi complicati;
Sistemi complessi.
I primi seguono per lo più le leggi deterministiche della Scienza, i secondi sono costituiti da
un insieme di elementi interrelati a livello meccanico e con comportamento prevedibile
(deterministico) ed organizzabile.
Questi due tipologie di sistemi seguono le leggi della Termodinamica Classica e il Secondo
Principio in particolare. Per essi vale il principio dell'aumento di entropia.
I sistemi complessi sono caratterizzati da una dinamica non lineare, non sono prevedibili né
organizzabili. Essi non possono essere scomposti in unità e ricostituiti nella struttura originaria e
non se ne può garantire il funzionamento e sono caratterizzati da interazioni e interconnessioni fra
gli elementi costituenti.
Per i sistemi complessi non si applica il principio dell'aumento di entropia poiché questi sono
in grado di creare un ordine spontaneo e arginare determinati fattori di disturbo ed inoltre
possono riprodursi in modo autonomo (biforcazioni).
59
Vedasi l’effetto Larsen di amplificazione a retroazione positiva tipica degli altoparlanti che fischiano quando
si trovano in linea con i microfoni che riportano all’interno, amplificandoli, i rumori elettronici generati dalle stesse
casse.
60
Lo stato di un sistema è caratterizzato dall’energia totale del sistema e le variabili di stato sono quelle che
caratterizzano questa energia. Ad esempio la temperatura è una variabile di stato, la tensione elettrica è una variabile
di stato, … Nella Teoria dei Sistemi si utilizzano diffusamente le variabili di stato e le equazioni descrittive dei sistemi
sono dette equazioni di stato.
61
Si tenga presente che un sistema termodinamico è definito come un volume contenente materia e quindi
esso è un sistema di carattere generale che può descrivere qualunque struttura (animata o non animata) in natura.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 81
Autorganizzazione
In pratica i sistemi complessi sono in grado di autorganizzarsi e non si deve pensare che
questa caratteristica sia appannaggio solamente degli organismi viventi ma anche della materia.
Pertanto si può pensare che nella materia vi sia la tendenza ad alimentare, sotto
determinate condizioni al contorno, un processo di autorganizzazione volto a raggiungere una
forma superiore di ordine e/o di efficienza. Si pensi, ad esempio, al fenomeno della formazione dei
cristalli (più organizzati) da un liquido (più disorganizzato). Un altro esempio di autorganizzazione è
dato dalle rotonde che regolano il traffico stradale non più con segnali semaforici (e quindi esterni)
ma in base all'organizzazione che gli utenti della strada riescono a raggiungere autonomamente su
semplici regole di precedenza.
La Natura ci offre numerosi esempi di autorganizzazione. Le api, ad esempio, costituiscono
strutture sociali con alto livello di cooperazione e tali da surclassare le capacità dei singoli individui
senza che ciascuno di essi abbia la coscienza di ciò che accade nel gruppo.
In pratica ogni insetto si muove deterministicamente per assolvere un suo specifico compito
senza sapere di come si evolve il suo gruppo che si comporta, pertanto, come un superorganismo.
Le api lavorano a livello locale secondo regole semplici e senza una visione d'insieme o un piano
interiore del contesto generale.
I superorganismi sono in grado di immagazzinare, elaborare, memorizzare e trasporre in
qualsiasi momento una quantità di informazioni sull'ambiente circostante con una capacità che va
oltre le capacità dei singoli componenti. Le colonie di insetti, ad esempio, si comportano da
superorganismi pur non avendo un sistema nervoso centrale o un connettivo cerebrale: esse si
comportano come organismi superiori.
Un altro esempio è dato dalle celle di Bénard nelle quali, per effetto del riscaldamento dal
basso, il fluido passa da uno stato iniziale caotico (agitazione termica delle particelle) alla
formazione di strutture dissipative organizzate di forma esagonale a forma di scacchiera (vedi
Figura 27) capaci di resistere alle azioni esterne, di autoformarsi. Queste celle si formano con
dimensioni e forme determinate dagli attrattori.
Questi fattori intrinseci definiscono le possibili forme che un sistema complesso può
assumere mediante autorganizzazione. Le celle di Bénard sono caratterizzate da un'interazione
bidirezionale alternata (collaborazione), dalla capacità di autogerenazione e dalla capacità di
autoconservazione.
Se la struttura di Bénard viene destabilizzata da fattori esterni essa si adegua alla nuova
situazione (forma flessibile) ma ricostituisce la forma esagonale appena cessa la perturbazione.
4.9.1 ISOMORFISMO
62
In questo senso è da interpretare uno dei testi fondamentali di Y. Prigogine: “Dall’Essere al Divenire”.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 85
Il calcolo dell’entropia per i gas ideali può immediatamente essere effettuato ricordando che
si può scrivere:
dT p dT dv
ds cv dv cv R [86]
T T T v
dT v dT dp
ds c p dp c p R [87]
T T T p
Tenuto conto che R=cp-cv e k=cp/cv dalla [86] si ha:
s cv ln Tv k 1 cos t
Definendo la costante come il valore assunto a zero Celsius, cioè:
k 1
cos t cv ln T0v0
si ha, infine:
k 1
T v
s cv ln [88]
T0 v0
h h h
s s
T T
La [45], valida per trasformazioni reversibili, consente di avere dQ Tds . In un piano aventi
in ordinate la temperatura assoluta, T, e in ascisse l’entropia specifica, s, è allora possibile
calcolare la quantità di calore scambiata in una trasformazione, vedi Figura 28, mediante
s2
l’integrale Q Tds .
s1
E’ facile dimostrare che nel piano (Ts) la sottotangente assume il significato di calore
specifico nel punto A lungo la trasformazione considerata. In Figura 32 si ha la rappresentazione
grafica di quanto detto.
Dato il punto A si traccia la tangente geometrica alla curva della trasformazione in A fino ad
incontrare l’asse delle ascisse in R.
Temperatura
s1 s2 Entropia
T
v3 v2 v1
p3 p2 p1
Figura 29: Andamento delle isocore e delle isobare nel piano (T,s)
A Q1
B
T1
L= Q1 - Q2
T2
D C
Q2
s1 s2 s
T
v
p
T
A
AS T Tds dQ
RS cp [90]
tag dT dT A dT A A
ds A
che dimostra quanto affermato. Ciò spiega anche perché le curve isobare sono più rivolte
verso l’asse delle ascisse, vedi Figura 31, rispetto alle isocore.
Occorre ricordare, infatti, che per la legge di Mayer risulta essere:
c p cv R [91]
per cui, essendo R>0, deve essere cp>cv, ossia la sottotangente di cp deve essere maggiore
della sottotangente di cv, come indicato in Figura 33.
T
ne
azio
form
tras
R sottotangente S s
v
p
R cp Q S s
cv
applicazioni poiché, in base a quanto osservato nel $3.3, consente di calcolare il lavoro tecnico
facilmente mediante una semplice differenza dei valori di entalpia lette nell’asse delle ordinate.
h2 2
2
vdp h2 h2
a
1
ic
bat
Adia
h1
1
R s
I processi isoentropici sono ideali e reversibili, come dimostrato con la [46]. Possiamo, allora,
rappresentare le trasformazioni ideali con isoentropiche e le trasformazioni reali con politropiche
ad entropia sempre crescente. Studiamo i casi importantissimi di espansione e di compressione
isoentropiche e reali.
Espansione isoentropica e reale
Per espansione isoentropica si intende un’espansione che porti un fluido da una pressione
maggiore ad una minore, come rappresentato in Figura 36.
Il lavoro tecnico ideale di espansione vale, essendo Tds = dh – vdp:
2
Li vdp h1 h2
1
T
p1
1 p2
T1
T2'
2'
T2
2
T
p1
2'
T2'
2 p2
T1
T2
1
Uno dei grandi successi (anche culturali) della Termodinamica è stato quello di avere saputo
trovare relazioni valide per le trasformazioni reali dei sistemi partendo da considerazioni teoriche
che utilizzano solo poche variabili macroscopiche esterne.
Definiamo ora due nuovi potenziali termodinamici che trovano largo utilizzo nelle
applicazioni di Fisica e Chimica: il potenziale di Helmoltz:
f u Ts [97]
e il potenziale di Gibbs:
g h Ts [98]
Abbiamo allora quattro equazioni differenziali relative ai potenziali termodinamici du, dh, df
e dg e pertanto possiamo applicare il noto teorema di Swartz dell’Analisi Matematica sui
differenziali esatti e cioè che perché una forma lineare sia un differenziale esatto, supposte valide
tutte le ipotesi di derivabilità e continuità delle funzioni (stiamo parlando di grandezze fisiche
certamente mai discontinue) devono essere eguali le derivate incrociate dei coefficienti. Cioè dato
il differenziale:
d A x, y dx B x, y dy
v s
[104]
T p p T
Sono queste le equazioni di Maxwell. Ciascuna di esse lega una derivata fra variabili esterne
con una ove compare l’entropia (variabile interna). Pertanto queste equazioni consentono di
sostituire alle variazioni di grandezze interne (nota l’entropia si possono calcolare le altre funzioni
di stato mediante le forme differenziali sopra scritte) le variazioni di variabili esterne.
Vedremo nel prosieguo alcune notevoli applicazioni delle equazioni di Maxwell. Possiamo
qui indicare una semplice regola mnemonica per ricavare le equazioni suddette con poco sforzo.
Basta scrivere in ordine alfabetico le quattro variabili:
psT v
ed effettuare le derivate a coppie fra le quattro nello stesso ordine progressivo sopra
indicato e con l’avvertenza di aggiungere un segno meno se le coppie di variabili sono contigue.
Ad esempio la [101] lega le seguenti coppie vicine (e quindi occorre aggiungere il segno
meno):
p s T v
Se invece si considera la [102] si hanno le seguenti coppie (senza il segno meno perché non
contigue) :
p T s v
La regola mnemonica, quindi, può essere applicata sia in senso diretto che inverso rispetto
all’ordine di scrittura delle variabili. Si osservi ancora, come già fatto nel §4.5 per le definizioni di
temperatura e di pressione, che dalle [95], [96], [99] e [100] si hanno, per identificazione dei
coefficienti:
u h
T [105]
s v s p
u f
p [106]
v s v T
h g
p p v [107]
s T
f g
s [108]
T v T p
Si osservi ancora dalla [100] che durante i passaggi di stato di un corpo, essendo invarianti la
temperatura e la pressione e quindi dP=dT=0, deve essere dg=0 e pertanto durante i cambiamenti
di stato l’energia di Gibbs deve mantenersi costante. Infine possiamo ancora scrivere i calori
specifici a volume costante e a pressione costante utilizzando l’entropia nella forma:
u u s
cv
T v s v T v
e per la [105] si ha:
s
cv T [109]
T v
Analogamente possiamo procedere per cp ottenendo:
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 94
h h s
cp
T p s p T p
ossia, per [105]:
s
cp T [110]
T p
Queste nuove definizioni risultano comode per derivare le forme generali dei differenziali
dell’energia interna e dell’entalpia.
Possiamo ora derivare due forme differenziali dell’entropia che risultano molto utili per
esprimere in forma generalizzata il differenziale dell’energia interna e dell’entalpia. Esprimiamo
dapprima l’entropia in funzione di temperatura e volume, cioè supponiamo che sia:
s s(T , v )
Differenziando si ottiene:
s s
ds dT dv
T v v T
Moltiplichiamo ambo i membri per T e, tenendo conto della [109], otteniamo:
s s s
Tds T dT T dv cv dT T dv
T v v T v T
Per la [103], eliminando la derivata della grandezza di stato interna del sistema, si può allora
scrivere:
p
Tds cv dT T dv [111]
T v
Questa equazione è detta 1° equazione dell’entropia e lega Tds ai differenziali della
temperatura e del volume specifico. Allo stesso modo possiamo procedere supponendo che sia:
s s(T , p ) per cui differenziando si ottiene:
s s
ds dT dp
T v p T
Moltiplicando ambo i membri per T e tenendo conto della [104] per eliminare la derivata
della variabile interna si ha:
v
Tds c p dT T dp [112]
T p
detta 2° equazione dell’entropia e lega il differenziale Tds ai differenziali della temperatura
e della pressione.
Vogliamo adesso trovare una forma generalizzata del differenziale dell’energia interna. Fino
ad ora, infatti, abbiamo ritenuto du funzione della sola temperatura per i gas ideali (vedi
esperienza di Joule). Abbiamo visto con la [95] che è:
du Tds pdv
Allora per la [111] si può scrivere:
p
du cv dT T dv pdv
T v
Ossia ancora:
p
du cv dT T p dv [113]
T v
Questa equazione lega l’energia interna alla temperatura (cvdT) e al volume specifico. Per un
fluido ideale, utilizzando l’equazione di stato pv = RT, si ottiene:
p R
T T p T p p p 0
v v
e quindi si ritorna nella sola dipendenza dell’energia interna dalla temperatura. In genere,
però, il termine:
p
T T p pi [114]
v
è diverso da zero e si identifica con la pressione interna del fluido detta anche pressione di
Amagat.
Si vedrà più avanti (§6) l’equazione di Wan der Waals per i fluidi reali che qui si trascrive per
un kg di fluido:
a
p 2 v b RT [115]
v
Le costanti a, b ed R sono caratteristiche del fluido considerato. Possiamo vedere facilmente
il significato del termine a/v2. Infatti applicando la [114] alla [115] si ottiene:
RT a
p 2
vb v
p R RT a a
pi T p T 2 2
T v vb vb v v
Analogamente a quanto fatto per l’energia interna possiamo ora derivare una forma
generalizzata per il differenziale dell’entalpia. Infatti dalla [96] si ha. Per la [112]:
v
dh Tds vdp c p dT T dp vdp
T p
ovvero, ordinando i termini:
v
dh c p dT T v dp [116]
T p
che lega l’entalpia sia alla temperatura che al volume e alla pressione. Il termine in parentesi
quadra è chiaramente nullo nel caso di gas ideali, come si può facilmente dimostrare mediante
l’equazione caratteristica pv = RT.
Per un gas reale questo termine assume un valore diverso da zero, come si vedrà a proposito
dell’effetto Joule - Thompson (vedi §6.2).
Dalle due equazioni dell’entropia [111] e [112] possiamo derivare una forma generalizzata
dell’equazione di Mayer che lega la differenza dei calori specifici dei fluidi. Eguagliando i secondi
membri delle due relazioni si ha, infatti:
v p
c p dT T dp cv dT T dv
T p T v
Questa eguaglianza dovrà valere per qualunque trasformazione e quindi anche, ad esempio,
per una isobara. Ponendo dp=0 nella precedente si ottiene:
p v
c p cv T [117]
T v T p
Questa equazione è già importante perché lega la differenza dei calori specifici in una forma
più generale di quella già vista per i gas ideali (cp - cv = R).
v
A secondo membro compare la derivata che è legata ad una caratteristica ben nota
T p
1 v p
dei corpi, il coefficiente di dilatazione cubica . La derivata è piuttosto difficile
v T p T v
da calcolare o derivare sperimentalmente.
Si può ovviare all’inconveniente osservando che deve essere, come è noto dall’Analisi
Matematica:
T p v
p v T 1
v T p
e quindi è anche:
p p v
[118]
T v v T T p
1 v
Si definisce modulo di comprimibilità isotermo T
v p p
Tenendo conto di questi due coefficienti (proprietà termofisiche dei corpi e quindi
perfettamente note sperimentalmente) si ottiene:
2
c p cv Tv [119]
T
che è la relazione cercata. Ovviamente, se ne omette la dimostrazione, per il gas ideale il
secondo membro è pari ad R.
e pertanto si ha:
g
p v [121]
T
e ancora
g
s [122]
T p
Integrando la [121] si ottiene:
g p, T vdp T
p
[123]
p0
ove (T) è una funzione incognita, avendo integrato in p, della sola temperatura T.
p
In questa equazione p0
vdp si può calcolare una volta nota la funzione caratteristica elasto-
termometrica f(p,v,T)=0. La funzione (T) può facilmente essere determinata osservando che
ponendo p=p0 la [123] fornisce:
T g p0 , T [124]
e si sappia, inoltre, che ad una data pressione p0 il calore specifico sia costante con la
temperatura:
c p0 T c p0 [130]
p
g ( p, T ) vdp T RT log c p0 T log T 1 AT B
p
p0
p0
ossia, riordinando i termini:
g p, T RT log p c p0 T log T A ' T B '
Pertanto la sostanza qui esaminata è il gas perfetto più volte studiato nei capitoli precedenti.
Questo esempio vuole confermare quanto già noto in precedenza e cioè che le ipotesi di
conoscenza delle due equazioni caratteristiche [129] e [130] portano alla [132] e quindi alla piena
definizione del comportamento termodinamico della sostanza.
Quanto sopra dimostrato ci dice anche che un fluido ideale ha calore specifico costante a
qualunque pressione e che le due definizioni sono biunivoche: fluido ideale calore specifico a
pressione costante invariante con la pressione e viceversa.
5 EXERGIA
ove con e si é indicata l'exergia specifica (misurata in J/kg), con s l’entropia specifica
(misurata in J/K∙kg) e con T0 si é indicata la temperatura dell'ambiente (detta anche stato di
riferimento).
Infatti supponendo che la massa abbia temperatura iniziale T1 e che si trovi alla pressione p0
dell’ambiente, il massimo lavoro che possiamo ottenere dall’energia termica posseduta da questa
è dato da una macchina elementare di Carnot che, istante per istante e quindi a temperatura
variabile da T1 a T0, trasformi il calore ceduto dalla massa Q, (negativo perché uscente) in lavoro
L. Abbiamo, allora, per una trasformazione che porti la massa da T 1 a T0 il lavoro massimo:
T0 T
Lmax e Q 1 0
T1
T
T po
T T Massa iniziale
1 1
T
-Q
Macchina elementare
C di Carnot
L
To Ambiente
63
Stiamo qui supponendo il processo reversibile.
64
Si lascia all’Allievo la semplice dimostrazione di questa affermazione.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 102
20 273
1
exergetico 80 273 0.201
20 273
1
1600 273
Pertanto produrre l’acqua a 80°C mediante fiamma a 1600 °C significa utilizzare solo 20% di
quello che, invece, potrebbe essere ottenuto se utilizzassimo il calore direttamente alla
temperatura di 1600 °C. Con temperatura di fiamma di 2000 °C si avrebbe un rapporto di circa il
19.5%.
Dunque quotidianamente noi commettiamo un assurdo termodinamico bruciando un
combustibile nobile (che potrebbe essere più convenientemente utilizzato per produrre lavoro nei
motori delle auto o nelle centrali elettriche) ad alta temperatura per utilizzare l'acqua riscaldata ad
una temperatura di 80 °C, ridicola rispetto a quella di fiamma.
Questi sprechi energetici che oggi tutti egoisticamente ed ipocritamente tolleriamo saranno
rimpianti dai nostri figli che troveranno sempre meno risorse pregiate per ottenere energia
meccanica in futuro!
Abbiamo già trovato che per un sistema aperto in regime stazionario vale la [6]. Se
osserviamo bene quanto essa vuole dirci ci accorgiamo subito che è possibile incorrere in errori
gravi. Se annulliamo tutto il primo membro si ha:
ql 0 [134]
ovvero che tutto il calore può trasformarsi in lavoro, cosa che contraddice l’enunciato di
Kelvin e di Carnot del Secondo Principio della Termodinamica. In realtà la [134] pone in luce
solamente quello che il Primo Principio ci ha sempre detto: l’equivalenza metrologica del calore e
del lavoro. Essi sono entrambi forme di energia e quindi si equivalgono. Oggi con il S.I. utilizziamo
la stessa unità di misura per l’energia termica e quella meccanica, il Joule.
Ben diversamente vanno le cose se teniamo conto non solo di un bilancio ma anche di una
trasformazione (mediante un ciclo termodinamico) del calore in lavoro. Ciò può e deve essere fatto
utilizzando il Secondo Principio della Termodinamica. Si consideri il generico sistema di Figura 39
che scambia con l’esterno N flussi di massa entranti ed M uscenti, scambia la potenza meccanica L
(Watt) e i flussi termici (Watt) Q0 con l’ambiente a temperatura T0, Q1 con il serbatoio a
temperatura T1, …, QK con il serbatoio a temperatura TK. Scriviamo l’equazione dell’energia [6] che
ora diviene, indicando con il pedice 1 l’ingresso e con il pedice 2 l’uscita e supponendo (per sola
semplicità operativa poiché la sola condizione necessaria è la stazionarietà nel flusso di massa) che
il numero di flussi di massa in uscita sia pari a quello di ingresso:
N
wi22 wi21
1 i 2 g zi 2 zi1 hi 2 hi1 Q0 Q1 ..... QK L
m [135]
Per il Secondo Principio possiamo scrivere, integrando la [46], la seguente equazione di
bilancio dei flussi di entropia (W/kg.K):
N
Q Q Q Q
1 mi si 2 si1 T 0 T1 ..... T j ..... T K sirr
0 1 j K
m1
m1
m2
m2
SISTEMA
m
m N
N
Qo To Tn
T1
Qn
T2
Q1
Q2
1 2 T1 TK
Questa equazione contempla sia il Primo che il Secondo Principio della Termodinamica e
quindi non porta agli errori discussi all’inizio del paragrafo. Si osserva, infatti, che la potenza
ottenuta si compone (vedi il secondo membro) di tutti i termini meccanici (variazioni energia
cinetica e potenziale fra ingresso e uscita del fluido di lavoro), dei termini entalpici modificati
secondo la [133] (exergia di sistema) e delle potenze ottenute dalla trasformazione delle quantità
di calore, QJ, (trasformate mediante macchine di Carnot operanti fra le temperature dei rispettivi
serbatoi, Tj, e l’ambiente esterno a temperatura T0) e diminuito della quantità T0s’irr., cioè dal
flusso di anergia prodotta dalle irreversibilità del sistema.
Qualora volessimo la massima potenza dovremmo annullare proprio l’anergia per
irreversibilità e quindi dovremmo utilizzare trasformazioni reversibili. Si vede ancora dalla [137]
che il flussi di calore QJ pesano secondo i fattori (1-T0/Tj) detti anche fattori di Carnot. Quindi si è
stabilita una scala di pesatura (o di valore) dell’energia termica tramite il fattore di Carnot:
l’energia termica vale tanto di più quanto maggiore è la sua temperatura di utilizzo, come già
accennato in precedenza. La [137] è ricca di applicazioni pratiche e consente di calcolare
facilmente il rendimento exergetico o di secondo ordine di una qualunque trasformazione.
Caso dei sistemi chiusi
Se il sistema termodinamico considerato è chiuso e quindi non si hanno portate di massa
entranti ed uscenti allora la [137] si riduce alla:
T T
L Q1 1 0 ..... QK 1 0 T0 sirr
T1 TK
che fornisce il lavoro utile nel caso di sorgenti multiple di energia termica. Se le sorgenti
divengono solo due, T1 e T0, allora si ha:
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 104
T
L Q1 1 0 T0 sirr [138]
T1
Questo risultato era facilmente prevedibile: una macchina reale che opera fra le stesse
temperature di una macchina di Carnot produce un lavoro utile L minore di quest’ultima. La
differenza sta proprio nella produzione di anergia per irreversibilità, T 0sirr. Ciò significa che
abbiamo due tipi di problemi con i cicli reali:
non utilizzando le trasformazioni di Carnot (due isoterme e due isoentropiche) esse hanno
sempre rendimenti termodinamici inferiori a quello del Carnot corrispondente;
essendo i cicli reali attuati mediante trasformazioni non reversibili si hanno sempre
produzioni di irreversibilità che producono anergia e quindi perdita del lavoro utile.
Caso di sistemi senza scambi di energia con l’esterno
Se annulliamo nella [137] gli scambi di calore con i serbatoi esterni e ci riferiamo all’unità di
massa (dividendo per la portata totale di massa) si ottiene la relazione:
w2 w22
L 1 g z1 z2 h1 h2 T0 s1 s2 T0sirr [139]
2
Se trascuriamo i termini meccanici (solitamente piccoli rispetti a quelli termici tranne nei casi
in cui si abbiano forti variazioni di quota o di velocità del fluido) si ottiene la relazione:
L h1 h2 T0 s1 s2 T0sirr [140]
Questa equazione ci dice una massa di fluido che si evolve, lungo qualunque trasformazione
termodinamica, dallo stato 1 allo stato 2 produce un lavoro utile pari alla variazione di entalpia
diminuita del prodotto T0(s1-s2) e dell’anergia di irreversibilità T0sirr. Qualora la trasformazione sia
reversibile si ha:
L h1 h2 T0 s1 s2
che coincide formalmente con la [133]. Si sottolinea il fatto che l’exergia di sistema e è
indipendente dal tipo di trasformazione seguita per passare dallo stato 1 allo stato 2. Essendo la
[133] una combinazione lineare di grandezze di stato è anch’essa una grandezza di stato.
Possiamo sempre calcolare la variazione di exergia di sistema mediante la [133] anche se la
trasformazione è realmente irreversibile nel qual caso è, ovviamente:
L e T0sirr
1 2 T1 TK
Sottraendo membro a membro queste due equazioni si trova l’importante relazione:
Data l’importanza pratica della [133] si fa qui cenno ad una costruzione grafica detta di
Bosniakovic. Si ricordi che in base alla [34] si ha:
q dh vdp [34]
valida sempre poiché lega valori di stato e quindi indipendenti dal tipo di trasformazione.
Dalla [142] si deduce anche:
h
T [143]
s p
Quindi il calcolo della temperatura nel piano entalpico di Mollier si effettua calcolando la
tangente trigonometrica della tangente geometrica nel punto desiderato lungo l’isobara che passa
per esso. Con riferimento alla Figura 40 si tracci la isobara ambiente, p0, e su di essa si determini il
punto ambiente 0 (indicato con la lettera A in figura). Si voglia adesso calcolare l’exergia del punto
1: dimostriamo facilmente che il segmento 12 è proprio l’exergia e=h1-h0-T0(s1-s0).
Si vede, infatti, che valgono le seguenti relazioni geometriche (punto A coincidente con il
punto 0 di riferimento):
12 13 23 h1 h0 h2 h3 h1 h0 03 tag h1 h0 T0 s1 s0
h1 1
p0
h2
2
h0
3
A
h
p1
1 p2
h1
h2'
2'
h2
2
1 p2
A
C
D 2'' 2'
B 2 nte
tta Ambie
re
h
p1
D 2''
C 2'
p2
2
B
h2-h1
e-e1
A
e
1
Am bient
rett a
Per caratterizzare una fonte di energia si utilizza il fattore di qualità, FQ, che misura la parte
di exergia contenuta nella quantità totale di energia. Per l’energia elettrica e meccanica FQ=1
mentre per l’energia termica vale il fattore di Carnot (1-T0/T) che esprime il grado di conversione
ideale di una sorgente di calore in lavoro utile (cioè la sua exergia).
In Figura 44 si ha l’andamento del Fattore di Carnot in funzione della temperatura della
sorgente calda rispetto ad un ambiente a 300 K.
1
0.8
0.6
FQ( T )
0.4
0.2
0
0 500 1000 1500 2000
T
Se consideriamo una macchina che produrre una potenza elettrica E ed una termica Q
utilizzando una fonte di energia primaria C=m(p.c.i.), con m quantità di combustibile avente
potere calorifico inferiore p.c.i., si definisce rendimento energetico della cogenerazione:
E Q E Q
E T (148)
m pci C
ove E ed T sono i rendimenti elettrici e termici ciascuno riferito alla stessa quantità di
energia primaria C.
L’exergia del combustibile è definita come il lavoro massimo ottenibile in un sistema
termodinamico aperto in regime permanente con possibilità di scambio termico solo con
l’ambiente esterno, sede di una reazione di ossidazione completa (mediante operazioni reversibili)
dell’unità di massa del combustibile con aria comburente, i reagenti entrando nel sistema a
temperatura e pressione ambiente ed i prodotti della combustione uscendo dal sistema ancora a
temperatura e pressione ambiente, ed in equilibrio chimico con l’ambiente esterno.
Ai fini pratici l’exergia del combustibile è quasi coincidente con il suo p.c.i.
Nella seguente tabella si ha il rapporto e/pci di alcuni combustibili.
Combustibile e/pci
Monossido di Carbonio, CO 0,97
Idrogeno, H2 0.985
Metano, CH4 1.035
Etano, C2H6 1.046
Etilene, C2H4 1.028
Acetilene, C2H2 1.007
Gas Naturale 1.04
Coke 1.05
Carbone 1.06
Torba 1.16
Oli combustibili 1.04
Tabella 13: Rapporto exergia-potere calorifico inferiore per alcuni combustibili
L’exergia totale di una massa m di combustibile può, in prima approssimazione, essere posta
pari :
ecambustibile mcombustibile pci (149)
E FQ( E ) Q FQ(T )
exergetico E T FQ(T ) (150)
mcombustibile pci
ove si è posto, come già osservato, FQ(E)=1. Si osservi che in questa espressione si suppone
che l’exergia del vapore o dell’acqua calda sia riferita a quella ambiente (che è nulla).
Se ci si riferisce ad un circuito chiuso con acqua di ritorno a temperatura diversa da quella
ambiente allora occorre valutare correttamente l’exergia del flusso di calore come differenza fra il
flusso entrante e quello uscente dal sistema e cioè:
E mH 2O hentrante huscente T0 suscente sentrante
exergetico (151)
mcombustibile pci
Si vedrà nel prosieguo una applicazione di quanto sopra detto con lo studio del Diagramma
di Sunkey per le centrali a vapore.
6 I FLUIDI REALI
Il fluido ideale studiato nei paragrafi precedenti fornisce uno strumento di analisi
termodinamica facile perché consente di scrivere come equazioni le relazioni matematiche sin qui
viste. Nella realtà i fluidi reali si comportano diversamente dai fluidi reali per effetto dell’attrito
interno. Gli atomi (o le molecole) hanno dimensioni piccole ma finite e non più nulle come si
ipotizza per il fluido ideale.
Per sapere di quanto i fluidi reali si discostano da quelli ideali si possono esaminare le curve
di Amagat realizzate a metà dell’ottocento e che sono state alla base di tutti gli sviluppi della
Termodinamica.
Se si esaminano le isoterme per un fluido reale si osserva che esse hanno un andamento
regolare al diminuire della temperatura fino a quando viene raggiunto un valore, detta
temperatura critica, per il quale l’isoterma presenta un flesso a tangente verticale.
I valori delle grandezze di stato in corrispondenza del flesso sono detti critici e quindi si ha
una pressione critica ed un volume critico per ciascun gas reale.
Il rapporto fra i valori di p,v,T e i corrispondenti Pc, vc, Tc sono detti valori ridotti e sono
utilizzati per tracciare le curve di Amagat in modo indipendente dal fluido, come rappresentato in
Figura 45.
pv
In ordinate si ha il fattore di comprimibilità del gas ( z ) mentre in ascissa si ha la
RT
pressione ridotta. Le curve sono parametrizzate in funzione della temperatura ridotta T/T c. Si
possono fare le seguenti osservazioni:
Al tendere a zero della pressione ridotta (pr = p/pc) tutte le curve tendono ad 1 che è il valore
del fattore di comprimibilità del gas ideale. Pertanto a bassa pressione i gas reali si
comportano spesso in modo assai vicino ai gas ideali e quindi l’uso dell’equazione
caratteristica pv =RT può essere fatto con buona approssimazione;
Si definisce isoterma di Boyle l’isoterma avente pendenza nulla per pr=0. Si può osservare
dalla Figura 45 che questa si ha per Tr=2.5. Al disopra di questa isoterma si hanno fattori di
comprimibilità sempre maggiori di 1;
Per pr>1 si hanno ancora fattori di comprimibilità maggiori di 1 mentre per valori inferiori si
hanno valori di z<1. Oltre pr=12 si hanno valori di z ordinati, cioè tanto meno discosti dal
valore z=1 quanto più è alta la temperatura ridotta. Pertanto per valori di p r>12 il
comportamento di un gas reale si avvicina a quello dei gas ideali quanto maggiore è la loro
temperatura ridotta
Nella zona ove z<1 il gas reale ha volume specifico minore di quello ideale e ciò a causa delle
attrazioni molecolari o comunque delle azioni interne al gas;
Nella zona ove z>1 predominano le forze di repulsione e quindi il volume specifico dei gas
reali è maggiore di quello dei gas ideali.
27 R 2Tcr RTc
a ; b
64 pcr 8 pcr
Note le proprietà termodinamiche del fluido in corrispondenza del punto critico si possono
così determinare i valori delle costanti a e b. Si dimostra che è possibile anche scrivere una
equazione universale di Van der Waals nella forma:
3
p 2 3vR 1 8TR
vR
ove con vR, tR, pR si intendono i valori ridotti delle tre grandezze ossia i rapporti di p, v, T con i
rispettivi valori critici vC, pC, TC.
La rappresentazione dell’equazione di Van der Waals è riportata in Figura 48 per un campo
di esistenza in vicinanza del punto critico.
l’equazione di Van der Waals per la trasformazione termodinamica desiderata è più complesso.
Si consideri il caso di due serbatoi contenenti un fluido (gas o liquido) e mantenuti a due
pressioni diverse, p1 e p2, come indicato in Figura 49.
I serbatoi e il condotto che li unisce siano coibentati in modo tale da non fare scambiare con
l'esterno né lavoro né calore.
Si supponga che la sezione del condotto sia costante (e quindi anche la velocità del fluido si
mantiene costante, essendo m'= wS ove é la densità del fluido, w la velocità e S la sezione di
passaggio) e che anche la quota del condotto sia costante (z2=z1). Per effetto della differenza di
pressione fra i due serbatoi il fluido passa verso il serbatoio a pressione inferiore.
Supponendo che il sistema non scambi calore o lavoro con l'esterno, indicato il sistema
termodinamico e i punti di ingresso e di uscita, applicando l'equazione [7] si ha:
h2 h1 0 [155]
ovvero che l'entalpia iniziale e finale sono eguali. Si é supposto che le velocità e le quote
siano eguali prima e dopo il setto poroso. Questo risultato é di grande importanza tecnica in
quanto consente di calcolare le condizioni del punto 2 note che siano quelle del punto 1.
Se al posto di un setto poroso si utilizza un condotto con una strozzatura (presenza di una
valvola semichiusa o un restringimento di sezione) si ha un fenomeno noto con il nome di
laminazione che viene molto utilizzato nell'impiantistica tecnica, negli impianti frigoriferi,... Lo
studio dell’effetto Joule-Thompson è più complesso di quanto sopra esposto.
Se si effettuano una serie di espansioni (passaggi da pressione maggiore a pressione minore)
partendo con gas ad una data temperatura65 si ha l’andamento di una curva punteggiata66, come
rappresentato in Figura 50.
p1 p2
T1 T2
Setto Poroso
Fluido 1 2 Fluido
Serbatoio 1 Serbatoio 2
Sistema Termodinamico
Ripetendo lo stesso esperimento per varie entalpie iniziali (e quindi per varie temperature
iniziali) si ha una famiglia di punteggiate che in figura sono state raccordate con linee per meglio
coglierne la tendenza.
65
Se cp è costante e si assume il comportamento del gas prossimo a quello ideale allora l’isoterma ha ho
stesso andamento dell’isoentalpica.
66
Si tratta di trasformazioni irreversibili per definizione e quindi non rappresentabili con linee continue che,
invece, indicano trasformazioni reversibili.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 118
T <0
Isoen
talpic
a
h4
h3
h2
h1
Congiungendo i valori di massimo di ogni curva si ha una linea trasversale che divide il piano
in due zone: nella prima, a sinistra, un decremento di pressione comporta un decremento di
temperatura e quindi il rapporto T è positivo (differenze di eguale segno), nella seconda,
p
a destra della curva, ad un decremento di pressione corrisponde un incremento di temperatura e
pertanto T risulta <0 (differenze di segno discorde).
p
Poiché ogni differenza è calcolata su una curva isoentalpica, si definisce Coefficiente di Joule-
Thompson il rapporto:
T
[156]
p h
E pertanto tale coefficiente può assumere valori positivi (a sinistra della curva), nulli (in
corrispondenza della curva) e negativi ( a destra della curva). La curva di separazione delle due
zone è detta curva limite. Un gas reale, quindi, può avere comportamenti diversi a seconda della
zona in cui l’espansione avviene. L’essere =0 porta ad avere T=0 e quindi ad apparire
esternamente (ma non lo è nella realtà) un gas ideale.
Utilizzando la [116] si dimostra che il coefficiente di Joule-Thompson è dato dalla seguente
relazione67:
v
T v
T p T 1
v [157]
cp cp
avendo indicato con:
1 v
v T p
67
Si è dimostrato che vale la relazione dh c p dT T v T p v dp . Ponendo dh=0, per avere h=cost,
e risolvendo per c h
T
p h si ha la relazione cercata.
e quindi:
1 2a
b
c p RT
Il valore di è diverso da zero per i gas reali. Ad esempio per l’ossigeno è pari a 2.97 .10 -6
per T=300 K.
7 I VAPORI SATURI
Fra i fluidi reali assumono particolare importanza i vapori saturi cioè vapori in presenza del
proprio liquido. Il loro studio ebbe inizio con Andrews. Partendo da una miscela di gas (ad esempio
di acqua) e comprimendo isotermicamente si ha l’andamento indicato nella seguente Figura 51. Il
piano qui rappresentato porta in ascissa il volume totale, V (e non il volume specifico v), e al di
sotto dell’asse V vi è la rappresentazione di un cilindro con un pistone che comprime inizialmente
un gas.
L’ascissa è pertanto proporzionale, a scala S sezione del cilindro, allo spostamento del
pistone. Procediamo da destra verso sinistra comprimendo il gas alla temperatura T 0: la curva della
pressione è segnata in figura con un tratto di isoterma fino al punto B nel quale si ha, sulla
superficie interna del pistone, la formazione di piccolissime goccioline.
In B si ha l’inizio di un cambiamento di stato: da aeriforme (vapore surriscaldato) a liquido. A
questo punto si ha una varianza pari ad 1, come si desume dalla legge
F V C 2 [158]
Fasi Varianza Componenti
ove si ha:
F Numero delle fasi pari a 2 (vapore e liquido);
C Componenti pari ad 1 (ad esempio solo acqua).
Punto Critico
Isot
erm T
aC
ritic
a
Tc
Vapori Surriscaldati
Condensazione Vaporizzazione T3
A B
T2
68
E’ l’isoterma che risulta tangente al punto C nel quale gli stati liquido e gassoso appaiono indifferenziati. In
C si ha un flesso dell’isoterma critica.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 122
Le equazioni di Maxwell hanno applicazione importante anche nei passaggi di stato con
verifiche sperimentali notevoli di tutto l’impalcato teorico della Termodinamica.
Se, infatti, ricordiamo l’equazione:
p s
[159]
T v v T
detta anche equazione di Clapeyron, in corrispondenza di un passaggio di stato diviene:
p l
T v T v
ove l è il calore latente necessario al passaggio di stato e v è la variazione di volume
corrispondente. La precedente equazione può essere scritta nella forma:
p
l T v [160]
T v
Questa equazione lega il calore latente alla derivata p T . Si conclude che se l è positivo
v
la derivata p T è negativa e i due differenziali sono discordi. Ebbene queste osservazioni sono
v
sempre state confermate dalla sperimentazione.
Il secondo caso è tipico del passaggio di stato ghiaccio-acqua che comporta una riduzione di
volume: al crescere della pressione decresce la temperatura di passaggio di stato.
Questo fatto ha implicazioni notevoli per la vita biologica nel mare poiché rende possibile la
vita in fondo al mare dove si hanno elevate pressioni e quindi temperature di formazione del
ghiaccio inferiori.
Ancora dall’equazione [159] si può derivare un’altra equazione che conferma le osservazioni
sperimentali. Infatti, nel caso di vaporizzazione (cioè passaggio dalla fase liquida a quella di
vapore) si può scrivere, osservando che v v del vapore69:
p r rp
T v Tv RT
2
69
Si ricordi che il volume specifico del liquido, a meno che non ci si trovi in vicinanza del punto critico, è
sempre notevolmente inferiore a quello del vapore.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 123
e queste confermano la bontà delle equazioni di Maxwell dalla quali sono state derivate. Per
il vapore d’acqua per pressioni variabili fra 0.25 e 20 bar si ha la seguente legge empirica che lega
la pressione alla temperatura di saturazione:
4
t
p [163]
100
con t in °C e p in atmosfere tecniche (1 atm=98 kPa = 1 bar). Per altri intervalli di pressione
occorre ricorrere a relazioni sperimentali più complesse della forma data dalla [161] o dalla [162].
Un’altra relazione utilizzata per il vapore d’acqua è la seguente:
16
pvv 15
1.786
in unità del S.I. Questa relazione è valida fra 0.07 e 22 bar.
In condizioni di saturazione la varianza termodinamica del vapore è pari ad 1 e pertanto la
pressione di saturazione è funzione solamente della temperatura (legge di Clapeyron):
psi f ( tsi )
Ad esempio si può utilizzare la relazione, suggerita dall’ASHRAE:
LM 65.81 7066.27 5.976 ln b t gOPP
si 273.15
psi eMN
b t 273.15g
si Q
ove si è indicato con r il calore latente di vaporizzazione (positivo perché fornito al fluido
mentre il calore latente di condensazione è negativo, seppur di pari valore, poiché viene ceduto
dal fluido). In definitiva si ha:
r u p vv vl
Energia interna
Lavoroesterno
Quindi il calore latente di vaporizzazione è speso per vincere i legami interni fra le molecole
(energia interna) e per compensare il lavoro esterno di espansione da v l a vv. Il valore di r varia a
seconda del fluido considerato.
Per l’acqua si ha:
r 2539.2 2.909t
nel S.I. (in kJ/kg) e :
r 606.5 0.695t
nel S.T. (in kcal/kg).
Nel caso in cui il fluido venga prima vaporizzato completamente e poi surriscaldato ad una
temperatura t allora il calore totale vale:
t
q r c pl dt
ts
Si definisce titolo di vapore il rapporto fra la massa del vapore e la massa totale (liquido più
vapore) presente nella miscela: in definitiva si ha:
p
A X B
T1
v v vv
l x v
mvapore
x [164]
mliquido mvapore
esso varia da 0 (tutto liquido) a 1 (tutto vapore) e pertanto i due rami della curva di Andrews
sono detti curva del liquido saturo secco quella a sinistra del punto critico e curva del vapore
saturo secco quella a destra del punto critico. Con riferimento alla Figura 52 si desidera calcolare il
volume specifico di una miscela di vapore saturo avente titolo x.
Per la stessa definizione [164] si ha che il volume complessivo è la somma di due volumi
(supposti immiscibili i due componenti liquido e vapore): quello del liquido in quantità (1-x) e
quello del vapore in quantità x. Risulta, quindi:
v x xvv (1 x )vl
da cui si calcola:
v x vl x vv vl [165]
e quindi:
v x vl AX
x [166]
vv vl AB
La [166] prende il nome di regola della leva per l’analogia con i momenti di una leva. E’ allora
possibile calcolare il titolo per ogni condizione e tracciare le curve isotitolo, come indicato in Figura
53. Tutte le curve partono dal punto critico C. Si osserva che in alcuni testi (specialmente quelli
anglosassoni) il titolo è espresso in percentuale e pertanto varia da 0% al 100%.
La rappresentazione fatta della curva di Andrews nel piano (pv) è poco utilizzata perché non
pratica. Infatti è facile osservare che il volume specifico del liquido, vl, è molto piccolo rispetto a
quello del vapore, vv.
Per l’acqua a temperatura di 30 °C, ad esempio, si ha vl=0,001 m³/kg e vv=60 m³/kg. Se si
desiderasse rappresentare alla stessa scala il volume specifico dell’acqua e quello del vapore
occorrerebbe avere un foglio di circa un chilometro di larghezza.
Più conveniente risulta la rappresentazione della curva di Andrews e delle curve isotitolo nel
piano entropico (Ts), come indicato in Figura 54. Adesso si ha una forma a campana con
dimensioni reali compatti e tali da consentirne la rappresentazione in un foglio.
p
x=0 x=1
0.2 0.4 0.6 0.8
A B
T1
Sullo stesso piano (Ts), considerata la corrispondenza biunivoca di ogni punto con il piano
(pv), è possibile calcolare l’entropia di una miscela avente titolo x. Parafrasando quanto già detto
per il piano (pv) si ha:
sx sl x sv sl
da cui:
s x sl AX
x [167]
sv sl AB
Vale, quindi, ancora la regola della leva applicata alle entropie. Con questo criterio si
calcolano e si tracciano le curve isotitolo nel piano (Ts). In Figura 54 si ha anche la
rappresentazione di una generica isobara nel piano di Gibbs: essa ha andamento esponenziale
nella zona dei vapori surriscaldati (a destra della curva di Andrews), andamento esponenziale a
sinistra (zona del liquido) e si mantiene orizzontale (per l’invarianza di pressione e temperatura)
all’interno della campana di Andrews.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 126
Si osserva ancora che l’andamento dell’isobara nella zona del liquido è stata esaltata per
motivi didattici. In realtà essa si mantiene vicinissima alla curva x=0 detta curva del liquido.
C
T
cco
o se
atur
do s
a
bar
i
Liqu
iIso
x=0
X T, p costanti
A
B
0.2 0.4 0.8
0.5 0.6 x=1
ara
Vap
Isob
o re s
a
turo
secc
o
sl s s
X v s
Spesso questo tratto di isobara non è rappresentato nel piano di Gibbs. I vapori saturi
rivestono grande importanza nelle applicazioni tecnico-impiantistiche perché consentono di avere
trasformazioni isoterme (e al tempo stesso isobare) negli scambi di calore con l’esterno. In nessun
altro caso si può riscaldare o raffreddare un fluido reale di lavoro senza variarne la temperatura e
quindi senza introdurre irreversibilità esterne. Si vedranno nel successivo capitolo alcune
applicazioni alle macchine termiche a vapore a ciclo diretto e a ciclo inverso e si avrà modo di
evidenziare quanto sopra detto.
Con riferimento alla Figura 55 si desidera esprimere Q per un vapore saturo. Supponiamo di
voler portare il vapore saturo dalle condizione del punto A a quelle del punto C.
p
F B C G
D E
A
Il calore fornito lungo una trasformazione termodinamica è di solito funzione della stessa
trasformazione. Nel campo dei vapori saturi, anche tenendo conto della monovarianza del fluido,
si può considerare che la quantità di calore fornita, almeno in forma differenziale, non dipenda dal
cammino seguito. Pertanto possiamo pensare di seguire il percorso da A a B e da B a C e quindi si
può scrivere:
Q rdx cx dT [168]
Avendo indicato con cx il calore specifico del vapore saturo lungo la curva isotitolo che da A
va a B. Analogamente a quanto visto per il volume specifico della miscela liquido e vapore, anche
qui si può scrivere:
cx dT 1 x cl dT xcv dT
ovvero si può pensare che il calore specifico del vapore saturo sia:
cx cl cv cl x
Se si considera una trasformazione di compressione all’interno della zona dei vapori saturi,
come indicato in Figura 56, a seconda della posizione del punto di partenza si può avere un
aumento del titolo finale (trasformazione PQ) o diminuzione (trasformazione RS). Analiticamente
possiamo scrivere per il calore di una trasformazione interna alla zona dei vapori saturi che vale
l’equazione [168]. Per una trasformazione adiabatica è Q=0 e quindi si ha:
cx dT rdx 0
ovvero:
cx dT .rdx
da cui deriva:
dx cx
dT r
F S Q G
Curva di Inversione
D E
R P
Ne segue che per una trasformazione adiabatica di compressione, e quindi con dT>0, si
hanno i seguenti casi:
Se è cx 0 allora dx<0
Se è cx 0 allora dx>0
come anche graficamente illustrato. Per cx=0 allora dx=0 e quindi non si ha variazione del
titolo di vapore La curva di inversione è il luogo dei punti per i quali si ha dx=0 per una
trasformazione di compressione adiabatica. La generica equazione dell’adiabatica ( pvk = cost) per
il vapore acqueo ha esponente dato dalla relazione:
k 1.036 0.1x A
ove xA è il titolo del punto iniziale. Questa relazione vale fino a 12 bar.
Nel piano di Mollier, per le già citate corrispondenze con i punti del piano di Gibbs, si hanno
le curve indicate in Figura 57. Le isobare e le isoterme coincidono (non i valore, ovviamente)
all’interno della curva di Andrews.
All’esterno della curva x=1 queste curve si differenziano. Quella a p = cost diverge verso l’alto
mentre la T = cost piega verso destra e tende asintoticamente a divenire orizzontale. Si possono
fare le seguenti osservazioni.
Nel campo dei vapori saturi, per le isotermo-bariche, si ha, nel piano (h,s):
dh rdx
T
ds p ,T r dx
T
e pertanto queste linee sono rette aventi coefficiente angolare pari alla temperatura T e
quindi di valore crescente al crescere di quest’ultima.
a
h co r
Iso ra
ba
Iso
Isoterma
nti x=1
ta
cos
T,p
0.8
0.6
0.5
x=0 0.4
0.2
s
Nel campo dei vapori surriscaldati, lungo una trasformazione a pressione costante si ha:
dh c dT
p T
ds p c dT
p
T
per cui le linee corrispondenti sul diagramma (h,s) sono continue anche sulla tangente (cosa
che non si verifica nel diagramma (T,s) di Gibbs). Inoltre tali linee sono ancora esponenziali
con concavità rivolta verso l’alto.
Sempre nel caso di vapori surriscaldati, lungo una trasformazione a volume costante si ha:
dh dq vdp Tvdp
T
ds v dq cv dT
T
ricordando l’equazione di Clausius – Clapeyron si ha, ancora:
dp r
dT Tvd
dh r
T
ds v cv
Pertanto le isocore sono curve esponenziali con concavità verso l’alto e con pendenza pari a
T + r/cv e quindi maggiore delle isobare (che hanno concavità pari a T).
Sempre nella zona dei vapori surriscaldati si ha per le isoterme, ricordando che valgono le
relazioni:
v
dh c p dT v T dp
T p
e ancora:
dT v
ds c p dp
T T p
ds T v v
dp p
T p
Lontano dalla curva limite superiore (x=1) si ha un comportamento quasi ideale del vapore e
pertanto il coefficiente angolare diviene:
dh dT pv
T v T T T 0
ds T dv p R
quindi la isoterma tende a divenire orizzontale. Sulla curva limite superiore, ove per p = cost
si ha anche T = cost, il coefficiente angolare diviene (essendo (dT/dv)p=0):
dh
T
ds T
e cioè lo stesso valore delle isobare.
Quindi le isotermo-bariche divergono, in modo continuo sulla x=1, con curvatura delle
isoterme verso il basso e con asintoto orizzontale. La isoterma emerge dalla curva limite superiore
con tangente positiva pari a T che, al crescere dell’entropia, tende a 0.
Si osservi che la curva di saturazione non sempre è della forma indicata nelle figure
precedenti potendosi avere rientranze (di soliti per la curva limite superiore) di forma non
regolare, come avviene per i fluidi frigorigeni pesanti.
8 MACCHINE TERMICHE
Vediamo brevemente, anche come applicazione immediata dei concetti appena visti sui
vapori saturi, alcuni fondamenti di macchine termiche che risultano importanti per il prosieguo. Le
ipotesi di base che qui sono considerate sono: trasformazioni reversibili, comportamento ideale
dei fluidi. I cicli così ottenuti si chiamano cicli ideali o cicli limiti.
I cicli reali sono sempre composti da trasformazioni irreversibili e per la [46] comportano
perdite per irreversibilità che debbono essere esplicitate di volta in volta.
Inoltre, sempre per la stessa [46], la loro rappresentazione grafica non può più essere fatta
con linee ideali e il calcolo delle aree non corrisponde più al calore scambiato o al lavoro netto
ottenuto poiché così facendo non si tiene conto delle irreversibilità.
I cicli studiati limiti70 nell’ambito del corso di Termodinamica Applicata sono di riferimento
per i cicli reali (affrontati di solito nel corso di Macchine). Pertanto gli aspetti che qui si desidera
evidenziare sono solo termodinamici e non impiantistici e costruttivi.
70
Supporremo che le trasformazioni siano, nella quasi totalità dei casi, internamente reversibili e che quindi si
possano applicare ad esse le considerazioni già viste per le trasformazioni ideali. In qualche caso si introdurranno le
trasformazioni reali delle quali si terrà conto mediante i rendimenti isoentropici. I cicli formati da trasformazioni
interamente reversibili sono detti cicli limite o anche cicli ideali. La loro importanza è fondamentale sia dal punto di
vista concettuale che applicativo.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 132
Indichiamo con Qi il calore ricevuto da una sorgente esterne dalla macchina (calore positivo
di ciclo) e con Qi quello negativo di ciclo (cioè ceduto ad una sorgente esterna). Il rendimento
termodinamico ideale vale:
L
t ,i n,i [169]
Qi
Definiamo adesso le analoghe grandezze per trasformazioni reali per cui si ha che il lavoro
positivo reale è Lr ed è dato da:
Lr Li
Il lavoro negativo reale vale:
Li
Lr
Il lavoro netto reale è dato dalla somma algebrica dei lavori reali positivi e negativi e
pertanto:
L
Ln ,r Lr Lr Li i [170]
ove, si osservi, non è necessario avere lo stesso rendimento adiabatico di trasformazione per
il lavoro positivo e per il lavoro negativo.
Il rendimento termodinamico reale, a pari calore positivo fornito alla macchina, è dato dalla
relazione:
Li
Li
Ln,r Lr Lr
t ,r
[171]
Qi Qi Qi
Definiamo adesso rapporto dei lavori il rapporto fra il lavoro netto ideale ed il lavoro
positivo ideale di ciclo:
L L L
RL n,i i i [172]
Li Li
Possiamo ora calcolare il rapporto fra rendimento termodinamico reale e rendimento
termodinamico ideale in funzione di RL:
Li 1
t ,r
Li RL 1
[173]
t ,i Li Li RL
Questo rapporto ci dice di quanto il ciclo reale si allontana da ciclo ideale e poiché questa
divergenza è data dalle irreversibilità proprie dei cicli reali questo rapporto è anche indice della
dipendenza del ciclo reale dalle irreversibilità stesse.
1
1
R 0.5 R L 0.8
R 0.6 R L
R 0.7 R L 0.6
R 0.8 R L
0.4
R 0.9 R L
R 0.95 R L
0.2
0 0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
0.095 RL 1
In Figura 58 si ha l’andamento del rapporto dei rendimenti in funzione del rapporto dei
lavori, RL, e del rendimento di trasformazione . Si osservi come per RL elevato (RL>0.9) il
rapporto t,r/t,i sia poco discosto dal valore dello stesso . Per >0.95 si ha un rapporto > 0.95 e
quindi poco sensibile alle irreversibilità.
Per contro, per RL bassi, ad esempio RL=0.5, allora anche con =0.95 si ha un rapporto dei
rendimenti pari a 0.85 e quindi le irreversibilità hanno peso. Per =0.8, valore ricorrente nelle
trasformazioni reali, si ha che il rapporto vale 0.8 per RL=1 mentre vale 0.4 per RL=0.5.
Vedremo più avanti che il ciclo a vapore (cicli Rankine e Hirn) ha RL>0.92 mentre il ciclo a gas
(Joule-Bryton) ha RL variabile fra 0.4 e 0.6 e pertanto il primo ciclo è meno sensibile alle
irreversibilità del secondo.
Ciò significa che, in alcuni casi, può essere preferibile un ciclo con minor rendimento
termodinamico ma con alto RL rispetto ad un altro con rendimento termodinamico più elevato ma
basso RL.
La macchina a vapore utilizza il vapore come fluido di lavoro poiché esso gode della
caratteristica di operare trasformazioni isotermiche ed isobariche all’interno della curva di
Andrews, come indicato in Figura 59.
Si osservi, infatti, che per una generica isobara all’interno della curva si ha un andamento
orizzontale (coincidente con l’isoterma, anche se non di eguale valore, s’intende!). Questo è
giustificato dalla varianza ridotta ad 1 quando il vapore è saturo71.
La caratteristica appena evidenziata risulta interessante per la realizzazione di un ciclo che si
avvicini al ciclo ideale di Carnot. Si osservi, infatti, la Figura 61: in essa si ha all’interno della curva
di Andrews un ciclo di Carnot a tratto intero. Non vi è dubbio che le trasformazioni BC di
vaporizzazione e DA di condensazione sono contemporaneamente isotermiche ed isobare. Nella
realtà si ha sempre un perdita di pressione nel movimento del vapore saturo nelle tubazioni della
caldaia ma si può per il momento pensare che queste perdite siano piccole e trascurabili.
Le trasformazioni CD e AB sono isoentropiche ma non realizzabili nella realtà. L’espansione
CD può essere politropica e quindi con una perdita di lavoro utile a causa della non isoentropicità.
La trasformazione AB rappresenta una compressione di un vapore saturo (in A) che viene
compresso fino al punto B in cui è liquido saturo secco.
Una tale trasformazione non è in alcun modo realizzabile nella pratica, neanche con
produzione di irreversibilità, a causa della grande variazione del volume specifico del fluido
(grande quando c’è vapore e piccolo quando c’è liquido!) e del pericolo di impuntamento del
pistone di compressione. Pertanto la trasformazione AB viene sostituita, per il momento con
riferimento al ciclo ideale reversibile, con la trasformazione di piena condensazione DA’ e poi
segue una compressione in fase liquida (mediante una normale pompa) da A’ alla pressione in
caldaia, punto A’’. Dal punto A’’ occorre ora riscaldare l’acqua fino al punto B di inizio
vaporizzazione per poi proseguire con le fasi normali del ciclo di Carnot.
C
T
cco
o se
atur
do s
a
bar
i
Liqu
iIso
x=0
X T, p costanti
A
B
0.2 0.4 0.8
0.5 0.6 x=1
ara
Vap
Isob
o re s
a
turo
secc
o
sl s s
X v s
Purtroppo la fase di riscaldamento A’’B è esternamente irreversibile nel senso che in questa
trasformazione si fornisce calore alla macchine ma a temperatura variabile e pertanto si ha una
irreversibilità termodinamica che porta ad avere un ciclo ideale (cioè internamente reversibile) ma
con un rendimento inferiore rispetto al ciclo di Carnot. Il ciclo di Carnot così modificato è il ciclo
Rankine che è il ciclo noto fin dalla fine del settecento come ciclo delle macchine a vapore.
71
Si ricordi che un vapore si dice saturo quando è in presenza del proprio liquido.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 135
Le prime macchine a vapore furono costruite in Gran Bretagna per azionare i montacarichi
nelle miniere del Galles. Esse avevano rendimenti bassissimi (2-4%) ma segnarono l'inizio della
cosiddetta era industriale.
Pian piano vennero perfezionate e divennero sempre più affidabili e potenti tanto da potere
essere utilizzate anche per le locomotive a vapore e per i motori marini dei piroscafi.
Le macchine a vapore del novecento (ma che sono utilizzate anche oggi in alcune
applicazioni) utilizzavano quale organo motore il cassonetto con stantuffo. L'esempio tipico é
quello delle locomotive a vapore o dei motori marini vecchio tipo. Oggi tali organi motori sono
stati soppiantati quasi del tutto dalle turbine a vapore.
Il ciclo di Rankine o delle macchine a vapore e rappresentato in Figura 63 nel piano (T,s). Il
calore viene ceduto in caldaia all'acqua che vaporizza (trasformazione ABC) e poi si invia il vapore
in una turbina dove viene fatto espandere (trasformazione CD).
In uscita dalla turbina il vapore viene condensato (cioè passa dallo stato di vapore a quello di
liquido) nel condensatore (trasformazione DA’) e da questo mediante una pompa (non é
rappresentata in figura la corrispondente trasformazione perché troppo piccola alla scala
considerata) viene rimandato in caldaia e si ripete il ciclo.
Il rendimento termodinamico dipende dalle quantità di calore cedute nella vaporizzazione in
caldaia e nella condensazione nel condensatore secondo la relazione
L Q
1 2 . [174]
Q1 Q1
Ricordando che per trasformazioni isobare si può calcolare il calore scambiato mediante
differenza di entalpia così come per trasformazioni adiabatiche il lavoro è ancora dato dalla
differenza di entalpia, si può ancora scrivere:
L h h
C D [175]
Q1 hC hA"
Questo ciclo é utilizzato in tutte le centrali termiche per ottenere potenze elevate. Esso é
utilizzato nelle centrali termoelettriche (non nella versione di base ora vista ma con ulteriori
miglioramenti impiantistici) e negli impianti industriali.
Il ciclo Rankine produce, negli impianti di grande potenza (oggi si hanno centrali da >1 GW),
inquinamento termico nel senso che il condensatore si hanno scarica nell'ambiente enormi
quantità di calore a bassa temperatura che può, qualora non adeguatamente controllato,
provocare mutazioni nell'equilibrio ecologico dell'ambiente circostante. In genere si limitano a due
o tre i surriscaldamenti per problemi in caldaia.
In Figura 63 si ha la rappresentazione del ciclo Rankine normale sul piano entropico (T,s). Il
tratto AE corrisponde alla compressione operata dalla pompa: esso è solitamente così piccolo da
non essere rappresentato e pertanto il punto A coincide con E.
Il tratto CE corrisponde all’espansione in turbina ed è supposta isoentropica (ideale).
La trasformazione più vicina all’espansione reale è una politropica con indice n=1,3÷1,4. In
ogni caso sia la compressione della pompa che l’espansione in turbina sono ad entropia crescente.
In Figura 64 si ha il confronto (supponendo trasformazioni internamente reversibili!) fra il
ciclo Rankine ed il ciclo di Carnot.
L’area tratteggiata indica la perdita ideale72 rispetto al ciclo di Carnot a pari temperature
estreme.
La stessa figura spiega anche perché è importante utilizzare i vapori saturi per le macchine
termiche.
Si osserva, infatti, che la trasformazione BC è di vaporizzazione (da A verso B) e pertanto, per
quanto detto per i cambiamenti di stato, la temperatura è costante.
Analogo discorso, anche se parziale, può essere fatto per la trasformazione DE di parziale
condensazione.
Quindi l’utilizzo di trasformazioni all’interno della curva di Andrews consente di avere scambi
termici a temperature costanti e quindi, almeno idealmente, di essere confrontabili con le
analoghe trasformazioni del ciclo di Carnot.
72
Si ricordi che le trasformazioni reali sono sempre irreversibili e che le aree nel piano di Gibbs non sono pari
ai lavori reali poiché sono incluse anche le perdite per irreversibilità che il diagramma entropico non visualizza.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 137
Si può ancora osservare dalla Figura 64 che la fase AB di preriscaldamento del liquido fino
alle condizioni di saturazione (corrispondenti al punto B) non avviene a temperatura costante e
pertanto la trasformazione, pur essendo internamente reversibile, è esternamente irreversibile con
la conseguenza che il rendimento del ciclo Rankine è ineluttabilmente inferiore a quello del ciclo di
Carnot corrispondente.
Oggi si cerca di ovviare a queste conseguenze mediante la rigenerazione termica con la quale
si riduce al massimo la fase esternamente irreversibile di preriscaldamento. Il ciclo che ne deriva è
più complesso di quello sopra schematizzato, come si vedrà più avanti.
TURBINA
LAVORO UTILE
CONDENSATORE
CALDAIA
POMPA
B C
D
E
Zona in difetto
rispetto al Carnot
B
C
D
E
La Caldaia
Le caldaie di potenza sono mastodontiche installazioni, vedi Figura 65, nelle quali si
trasferisce la massima quantità di energia termica dalla fiamma, in basso nella sezione conica,
all’acqua e al vapore che fluiscono lungo le pareti e nella zona laterale protetta, rispettivamente.
La zona laterale (detta naso) è utilizzata per il surriscaldamento del vapore: essa riceve calore solo
per convezione poiché l’irraggiamento termico della fiamma viene mascherato dalla struttura e in
questo modo può limitare la temperatura massima del vapore.
Si ricordi, infatti, che il calore specifico del vapore è minore di quello dell’acqua e pertanto se
si mantenesse lo stesso flusso termico di fiamma si avrebbe il rischio di bruciatura dei tubi. Queste
caldaie sono assai ingombranti e pongono seri problemi anche dal punto di vista delle installazioni.
L’economizzatore, posto nella parte estrema della caldaia con la funzione di riscaldare
l’acqua di alimento;
Il riscaldatore d’aria che sfrutta il calore contenuto nei fumi all’entrata della caldaia;
Le pompe di circolazione, presenti solo nelle caldaie a circolazione forzata o controllata;
L’impianto di pulizia della caldaia per allontanare i depositi e/o le incrostazioni.
La Turbina a vapore
L’organo che produce potenza attiva è la turbina a vapore il cui schema costruttivo è dato in
Figura 66 nella quale sono visibili gli organi di distribuzione del vapore e gli anelli del rotore di
diametro crescente verso l’uscita73. Nella Figura 67 si può osservare una turbina a vapore di
potenza aperta in stabilimento. Sono ben visibili gli anelli di palette e la sezione crescente verso il
collettore di uscita (coclea esterna). Le dimensioni delle turbine a vapore sono crescenti man
mano che la pressione di esercizio si abbassa rispetto a quella iniziale.
Pertanto le turbine ad alta pressione (oltre 50 bar) sono molto più piccole di quelle a bassa
pressione (una decina di bar). Le turbine ad alta pressione sono spesso del tipo contrapposto, vedi
Figura 68, per ridurre lo sforzo sui cuscinetti di supporto. In questo caso la distribuzione del vapore
è centrale e il flusso viene poi suddiviso verso i due lati in modo da bilanciare la spinta laterale sui
banchi di supporto. I parametri che caratterizzano una turbina a vapore sono i seguenti:
condizioni del vapore all’ammissione e allo scarico;
portata massica del vapore;
rendimento adiabatico;
potenza fornita.
Il rendimento adiabatico a dipende dal tipo di turbina e in particolare dalla taglia secondo la
seguente tabella:
per potenze sopra i 150 MW si ha a= 0.820.83
73
Si ricordi che il vapore espandendosi aumenta considerevolmente il suo volume specifico e pertanto la
turbina deve consentire questo incremento volumetrico mediante l’incremento della sezione di passaggio del vapore.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 141
Condensatore
Il condensatore è l’organo di maggiori dimensioni di tutto l’impianto. Esso è costituito da
grandi banchi di tubi di rame nei quali si fa passare acqua fredda all’interno e vapore in uscita dalla
turbina all’esterno. La condensazione avviene ad una temperatura di 32-40 °C e ad una pressione
di 0,035-0,045 bar. Si utilizza, di norma, l’acqua di mare o l’acqua di fiumi di grandi portate (ad
esempio il Po) per evitare l’inquinamento termico cioè l’innalzamento sensibile della temperatura
dell’acqua e ciò per evitare conseguenze biologiche nella flora e nella fauna marina. La pressione
di esercizio (0,020,04 bar) dei condensatori viene inizialmente creata mediante pompe per vuoto
e poi, una volta avviato il ciclo a vapore, mantenuta automaticamente (termodinamicamente) per
effetto dell’equilibrio fra pressione e temperatura nei vapori saturi.
Pompe di alimentazione in caldaia
L’acqua uscente dal condensatore a bassa pressione (circa 0,04 bar) viene poi portata alla
pressione di alimentazione in caldaia (circa 70 bar) mediante opportune pompe di alimentazione
le cui dimensioni sono piccole rispetto a quelle degli altri organi sopra descritti. La potenza
assorbita dalle pompe di alimentazione è di 1÷2 % di quella prodotta dalle turbine.
B' C' p2
B C p1
A'
A
p0
D
E D'
Figura 69: Spostamento del punto D verso sinistra al crescere della pressione in caldaia
D
C
B p1
A
p0
F E
Oggi con il combustibile ad alto costo è preferibile avere rendimenti più elevati che costi
iniziali di installazione più ridotti. Per aumentare ulteriormente il rendimento del ciclo Hirn si può
anche avere più di un surriscaldamento, come riportato in Figura 71. In genere si limitano a due o
tre i surriscaldamenti per problemi di sicurezza in caldaia.
Avviene, infatti, che il surriscaldamento del vapore comporterebbe, a pari calore ceduto in
caldaia, elevati surriscaldamenti per effetto del minor calore specifico rispetto a quello dell’acqua.
Pertanto si pongono le batterie di scambio termico per i surriscaldatori in una zona protetta
della caldaia in modo da essere interessata solo dal calore di convezione (cioè dei fumi) e non da
quello di radiazione (della fiamma).
Questa zona è detta naso della caldaia, vedi Figura 65, ed è solitamente posta lateralmente
al corpo centrale.
T
D
G
C
B p1
p2
A H
F H'
Per superare i limiti impiantistici dei cicli Rankine e Hirn sopra illustrati e quindi per
accrescere il rendimento termodinamico degli impianti a vapore si ricorre ai cicli rigenerativi che
basano il loro funzionamento sul concetto, assai importante, di rigenerazione termica.
Questa consiste nel ridurre gli effetti di irreversibilità esterna nelle fasi di preriscaldamento e
surriscaldamento, cioè nelle fasi nelle quali si ha scambio termico a temperatura variabile e quindi
con produzione di irreversibilità esterna (cioè dovuta alla sorgente e non al fluido di lavoro che qui
si sta supponendo ideale).
Se osserviamo la Figura 64 si conclude che la fase di preriscaldamento AB avviene a
temperatura variabile ed è responsabile della produzione di irreversibilità esterna. La fase di
vaporizzazione BC avviene, nella zona dei vapori saturi, a temperatura costante e quindi senza
produzione di irreversibilità. Se allora potessimo in qualche modo compensare il preriscaldamento
BC con uno scambio di calore interno che non interessi la sorgente termica esterna allora
l’irreversibilità corrispondente sarebbe annullata.
In Figura 72 si ha lo schema di una possibile trasformazione isodiabatica alla AB che sottrae
calore nella fase di espansione CD in modo che l’area sottesa dalla CF sia eguale all’area sottesa
dalla AB. Mediante uno scambio termico ideale (senza perdite) fra il fluido in espansione lungo la
CF e il fluido in preriscaldamento lungo la AB si potrebbe avere l’effetto desiderato e cioè di
annullare la produzione di irreversibilità esterna perché il calore di preriscaldamento è ottenuto
internamente.
Zona in difetto
rispetto al Carnot
B
C Trasformazione
isodiabatica alla
trasformazione AB
F
A
D
E E
L’ultima tendenza nella direzione del miglioramento del rendimento del ciclo a vapore è
quella dei cicli a spillamento. In questi cicli si cerca di riparare al guasto termodinamico provocato
dal preriscaldamento in caldaia dell’acqua prima di vaporizzare.
Questa fase è, come già detto in precedenza, fortemente irreversibile e riduce molto il
rendimento del ciclo Hirn (o anche di Rankine). Allora se si riesce a riscaldare il più possibile
l’acqua di alimento in caldaia con calore sottratto allo stesso vapore durante l’espansione in
turbina si può pensare di ridurre le perdite di irreversibilità anzidette. Questo è proprio quello che
si fa nei cicli a spillamento. Si preleva vapore dalla turbina durante la fase di espansione e lo si fa
condensare in uno scambiatore di calore (detto recuperatore) in modo da cedere il calore di
condensazione all’acqua che alimenta la caldaia.
In Figura 74 si ha un esempio di ciclo Hirn con 4 spillamenti che portano l’acqua dalle
condizioni del punto A (uscita dalla pompa) fino al punto B’. Occorrerà fornire solamente il calore
di preriscaldamento da B’ a B.
Questo è certamente inferiore al calore AB senza spillamenti e pertanto si riducono le
perdite per irreversibilità. Aumentando il numero di spillamenti si può portare il punto B’ molto
vicino a B incrementando, così, il rendimento termodinamico. Per motivi di costo si limitano gli
spillamenti a 10÷14 al massimo.
In Figura 73 si ha il layout dell’impianto corrispondente alla Figura 74. In esso si sono indicate
con x, y, z, k le portate di spillamento (frazioni della portata totale che per un diagramma
termodinamico è pari a 1 kg/s). Queste portate sono determinate imponendo il bilancio entalpico
per ciascuno degli scambiatori di calore (detti recuperatori) indicati con S1, S2, S3 ed S4 in Figura
73. Ad esempio, con riferimento alla Figura 75, si può scrivere che, a regime stazionario, la somma
dell’entalpia entrante è pari a quella uscente e quindi.
mv hv m1h1 mls hls m2 h2 mld hld
ove si ha m1=m2=1 ed i punti indicati con 1,2,3,4 e 5 sono quelli relativi alla posizione del
recuperatore nel layout di Figura 73.
D
D
L
C M N E
O
B x
y
B' z
k F
S1 S2 S3 S4
A
B' I H G
I valori delle entalpie sono letti nel diagramma di Gibbs per temperature e pressioni
corrispondenti ai punti nel layout. Scrivendo tante equazioni quanti sono i recuperatori di calore si
ha un sistema in tante incognite quante sono le portate di spillamento74 e quindi è possibile
scrivere l’espressione del rendimento termodinamico di impianto:
1 h h 1 x hL hM 1 x y hM hN 1 x y z hN hO 1 x y z k hO hE
d L
1 hD hB '
B'
spillamento
F E
s
Figura 74: Cicli a spillamento
I cicli a spillamento risultano vantaggiosi, oltre che per l’aumento del rendimento
termodinamico, anche perché producono una sensibile riduzione delle dimensioni delle turbine e
del condensatore. In questi organi, infatti, viene a fluire una portata inferiore rispetto al caso di
ciclo senza spillamento e pertanto sia la turbina (specialmente quella di bassa pressione) che il
condensatore possono avere un volume (e quindi anche un costo) più ridotto.
mv
m2 m1
2
3
4 5
mls mld
74
Si osservi che le portate di spillamento non sono in ordine regolare crescente o decrescente. Si possono
avere valori apparentemente non congruenti con le aspettative ma questi dipendono dalle condizioni di prelievo e
quindi di bilancio dei singoli recuperatori di calore.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 148
Si è detto che nel ciclo a vapore si può, in generale, utilizzare qualunque tipologia di
combustibile sia esso solido, liquido o gassoso. La scelta del combustibile si riflette sulle
caratteristiche della caldaia, del ciclo di trattamento del combustibile e del sistema di depurazione
dei fumi.
La combustione con combustibili gassosi e con polverino di carbone polverizzato viene
realizzata tramite l’uso di bruciatori nei quali l’aria viene miscelata al combustibile mentre nel caso
di combustibili solidi (non polverizzati) si ha un focolare dotato di griglie. Fra i combustibili
principali si ricordano:
greggio;
olio combustibile
gas naturale
gas residuo (gas di cokeria, gas di raffineria, …)
polverino di carbone;
coal-oil
Nelle caldaie a focolare si possono bruciare:
carbone povero
combustibile da rifiuti (CDR)
legna.
I combustibili gassosi non richiedono, in generale, alcun trattamento ed i bruciatori sono più
semplici che in altri casi. I combustibili liquidi comportano una fase di filtraggio e riscaldamento al
fine di raggiungere i valori necessari di pressione e viscosità (4060 bar e <5 °E) per la successiva
operazione di polverizzazione al bruciatore.
I combustibili solidi (carbone, scarti di lavorazione, Rifiuti Solidi Urbani RSU, …) possono
subire trattamenti preliminari per raggiungere i valori di granulometria e contenuto d’acqua
imposti dal tipo di bruciatore adottato o del tipo di forno (ad esempio a letto fluido).
L’elemento attivo che fornisce calore è il bruciatore che bruciando combustibile produce i
fumi, come indicato in Figura 76. In base al principio di conservazione della massa possiamo
scrivere il bilancio:
mc ma m f ms [179]
ove si ha:
mc portata massica del combustibile
ma portata massica di aria comburente
mf portata massica dei fumi prodotti e che escono dal camino
ma
mf
mc
ms
75
Si ricordi che si definisce metalpia la somma : h+w2/2 + gz. Qualcuno chiama la metalpia Entalpia Totale.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 150
u i
E Q mh j mh j [183]
j 1 j 1
ove si ha il simbolismo:
E potenza elettrica entrante per azionamento degli ausiliari
Qd potenza termica dispersa dall’involucro del generatore
Qt potenza termica utile e quindi ceduta al fluido termovettore
hf entalpia massica dei fumi
hs entalpia massica delle scorie (assunte come solido inerte)
mI portata di massa degli incombusti (trascurabile rispetto ad m f )
HI potere calorifico inferiore degli incombusti
ha entalpia massica dell’aria comburente
hc entalpia massica del combustibile (inteso come fluido inerte)
H potere calorifico inferiore (a pressione costante) del combustibile)
Le condizioni di riferimento (t0, p0) delle entalpie sono quelle del combustibile. La [184] si
può ancora scrivere nella forma:
E
Qd Qt
ma ha
mf hf
GENERATORE
mc *H+hc(
ms hs mlHl
E mc H Qt Qd m f h f ma ha mc hc mI H I ms hs [185]
Questa equazione ci dice che la potenza del combustibile e degli ausiliari elettrici viene
convertita in parte in potenza utile ( Qt ) e la restante parte viene persa in disperdimenti vari. Si
osservi che la potenza elettrica degli ausiliari ( E ) è di solito trascurabile (qualche %) rispetto alla
potenza del combustibile e alla potenza utile ma la si è esplicitamente indicata per tenere conto
dell’alto valore exergetico rispetto alle energie termiche. Viene definita potenza al focolaio il
prodotto:
Q f mc H [186]
cioè la potenza fornita al bruciatore e rappresenta l’energia primaria in ingresso (oltre quella
elettrica per gli ausiliari) al generatore, fondamentale per tutte le analisi economiche. La
La potenza perduta per incombusti ( mI H I ) dipende dalla qualità della combustione e quindi
dalla maggiore o minore presenza di sostanze che non sono state completamente ossidate.
Temperatura teorica di combustione
Se assumiamo le ipotesi:
assenza di scambio termico, Qt 0
assenza di disperdimenti Qds 0
reazione di ossidazione completa (e quindi mI H I 0 )
assenza di scorie calde (e quindi ms hs 0 )
possiamo scrivere l’equazione di bilancio:
mc H m f c f tad t0 ma ca ta t0 mc cc tc t0 [189]
ove I è la densità degli incombusti, f la densità dei fumi (in condizioni normali) e il rapporti
VI/Vf è il contenuto di incombusti in volume nei prodotti della combustione secchi.
TURBINA
CONDENSATORE
CALDAIA
CALDAIA
ALLA UTENZA
TURBINA GENERATORE
TURBINA
G
AP BP
CALDAIA
Figura 80: Schema di un impianto a contropressione con due turbine e due livelli di scarico vapore
Questi impianti sono detti a recupero totale e forniscono calore ad una utenza (detta
fredda) in grado di dissipare tutto il carico. Essi presentano una elevata rigidità e quindi non
consentono di variare indipendentemente i carichi elettrici e termici.
UTENZA
Figura 81: Schema di un sistema cogenerativo con turbina a vapore a contropressione per reti di
teleriscaldamento
Risulta interessante sviluppare un’analisi exergetica del ciclo a vapore per mettere in risalto
sia le incongruenze che l’analisi energetica ancora oggi pone sia per evidenziare i possibili punti di
attacco per migliorare effettivamente il rendimento termodinamico.
Si consideri il ciclo Hirn di Figura 82 e consideriamo le perdite energetiche ed exergetiche
delle trasformazioni fondamentali. Ricordiamo che, ai fini pratici, per quanto detto nel §5.8,
consideriamo che l’exergia del combustibile coincida con il suo potere calorifico inferiore, pci.
B C
F E
Figura 83: Layout del ciclo Hirn ai fini del calcolo delle perdite
mv eD eE hD hE mv T0 sD sE
4
ec ec
Le perdite energetiche sono nulle perché l’espansione si suppone adiabatica (anche se non
isoentropica). Con i valori di funzionamento dell’impianto prima indicati e e=0.82 si ha perdite
exergetiche pari al 6.4 %.
100% 100%
ENERGIA
EXERGIA
32.1%
COMBUSTIONE
29.7
SCAMBIO GENERATORE
1% CAMINO 5.9%
CAMINO
63.8%
6.4%
TURBINA
CONDENSATORE
1.5% CONDENSATORE
Non si può fare più nulla con questa quantità enorme di energia a bassa temperatura!
Riportando le perdite sopra calcolate in forma grafica, come mostrato in Figura 84, si ha il
cosiddetto diagramma di Sunkey che ben evidenzia la differenza concettuale che si ha
nell’impostazione dei bilanci dal punto di vista exergetico ed energetico.
I motori alternativi che più vengono utilizzati sono quelli endotermici basati su ciclo Diesel e
su ciclo Otto. Va tenuto presente, tuttavia, che se i combustibili di elezione di questi motori sono il
gasolio e la benzina, in campo cogenerativo si usano spesso anche combustibili diversi quali il
metano, il syngas (derivato da pirolisi industriali), oli pesanti (di scarto), ….. Il diesel può anche
funzionare a gas con opportune iniezioni di nafta (combustione pilota) in percentuale del 5% del
totale. Questa soluzione (detta dual fuel) consente di funzionare anche a gas ma con un aggravio
dei consumi di circa il 10% rispetto al solo funzionamento a nafta.
Si tratta di uno dei cicli termodinamici più utilizzati ed è il ciclo di riferimento per i motori a
benzina.
E’ proprio la caratteristica del combustibile alla base della concezione di questo motore. La
benzina, infatti, è una frazione petrolifera leggera ed evapora facilmente.
Ciò consente di ottenere con relativa semplicità (mediante i carburatori) miscele di aria
(comburente) e vapori di benzina (combustibile) da utilizzare all’interno dei cilindri dei motori per
ottenere energia dai prodotti di combustione. Si vedrà che la miscela di aria e vapori di benzina
non può essere compressa a piacimento perché, con l’innalzarsi della temperatura adiabatica di
compressione, si ha il raggiungimento del punto di autoaccensione che provoca i fenomeni di
detonazione anticipata (si dice che il motore picchia) che risultano dannosi sia per gli stessi motori
sia per lo scarso rendimento globale che si ottiene.
I motori commerciali hanno rapporti di compressione (che fra poco definiremo) variabili fra 5
e 8 e le benzine utilizzate hanno numeri di ottani76 compresi fra 9496. I motori aeronautici hanno
NO notevolmente più elevati per consentire la costruzione di motori più compatti e leggeri.
Si osservi che non si ha alcuna convenienza ad usare benzine con NO più elevati di quelli che
il rapporto di compressione consente, mentre l’uso di benzine con NO inferiori a quelli minimi
richiesti possono provocare malfunzionamenti e danneggiamenti vari.
Ciclo Termodinamico
Esso si compone, vedi Figura 86, di una compressione isoentropica, sempre con riferimento
al ciclo ideale ad aria standard, seguito da una combustione interna isocora, mediante scoppio
76
Il Numero di Ottani è riferito al rapporto, espresso in percento, fra il punto di autodetonazione di una
miscela di aria con iso-ottano normale e la miscela di benzine utilizzate. In commercio si hanno benzine contenenti
composti aromatici ciclici e non lineari (come l’iso-ottano) e ciò comporta un abbassamento del punto di
autodetonazione. Si aggiungono additivi chimici di vario genere per incrementare il punto di autodetonazione. Le
benzine commerciali hanno NO variabile fra 0.04 e 0.96. Le benzine per motori aeronautici hanno valori di
NO=130160 e quindi sono fortemente additivate per potere avere motori di minore dimensioni e peso a pari
potenza.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 160
attivato da una scarica elettrica, seguita da una fase utile di espansione e poi di una fase di scarico
dei prodotti di combustione in atmosfera ancora isocora.
Le fasi di scambio di calore con l’esterno sono qui supposte reversibili ma occorre precisare
che, avvenendo a temperatura non costante, esse sono esternamente irreversibili. Ciò significa
che si ha, comunque si operi, una forte penalizzazione termodinamica rispetto al ciclo ideale di
Carnot, così come si è osservato a proposito del ciclo Rankine e Hirn.
Questo ciclo, come pure il ciclo Diesel e quello Joule-Bryton dei quali si parlerà fra poco,
consente la rigenerazione termica con maggiore facilità rispetto al ciclo a vapore.
Si osserva, infatti, che dopo la fase utile di espansione il fluido di lavoro (gas combusti) si
trovano ad una temperatura ancora sufficientemente elevata (variabile fra 300 e 450 °C) e quindi
tale da consentire un recupero energetico.
Il rendimento di questo ciclo può essere calcolato facilmente. Infatti si ha:
Q
1 DA
QBC
SCOPPIO
Q1
ESPANSIONE
B L+
D
L-
COMPRESSIONE Q2
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0 A
RIEMPIMENTO - SVUOTAMENTO
v
Figura 85: Ciclo Otto nel piano (p,v)
QBC cv TC TB
ove, si ricordi, si ha la costanza dei calori specifici a volume costante perché l’aria standard è
supposta comportarsi come un gas ideale. Sostituendo nell’espressione del rendimento si ha:
T T
1 D A
TC TB
Questa espressione va bene da un punto di vista termodinamico ma non viene utilizzata in
campo motoristico perché non evidenzia i parametri meccanici e costruttivi dei motori a scoppio.
Definito il rapporto di compressione rv = vA/vB si può scrivere per le due isoentropiche:
k 1
TB TC v A k 1
rv
TA TD vB
Pertanto applicando la regola dello scomponendo ai primi due rapporti e tenendo conto
dell’espressione del rendimento si ottiene la seguente relazione:
1
1 k 1 (198)
rv
C
T
Combustione a Lavoro utile
volume costante di espansione
B
D
Lavoro di
compressione
Scarico a
volume costante
I cicli reali si allontanano molto da quelli ideali qui descritti, come indicato in Figura 87. Si
osservi come le fasi di riempimento e di svuotamento non sono più coincidenti (caso teorico) ma
costituiscono una sorta di ciclo negativo (lavoro perso) prima per riempire il cilindro (depressione)
e poi per svuotarlo (sovrapressione).
Le fasi di compressione e di espansione non sono più isoentropiche ma politropiche con
indice n diverso da quello di adiabacità dell’aria standard (k = 1.4) sia perché la trasformazione si
allontana da quella ideale che per la diversa composizione dei gas di combustione rispetto alla
miscela iniziale di aria e vapori di benzina. La fase di scoppio avviene non più istantaneamente
(volume costante) bensì in un piccolo intervallo di tempo durante il quale, per effetto dello
spostamento del pistone (anticipo all’accensione e posticipo di fine combustione) assume un
andamento curvilineo.
La stessa osservazione si può fare per la fase di scarico che avviene a volume variabile. In
definitiva il ciclo reale appare piuttosto deformato rispetto a quello ideale, interno a questo e di
area inferiore. Pertanto il lavoro netto reale è inferiore (anche molto) rispetto a quello ideale.
SCOPPIO
Q1
ESPANSIONE
B L+
D
L-
COMPRESSIONE Q2
SCARICO
0 A
RIEMPIMENTO - SVUOTAMENTO
v
Figura 87: Ciclo Otto reale nel piano (p,v)
La forma del ciclo reale è detta a scarpetta e si intuisce come l’inviluppo esterno (ideale) sia
solo una idealizzazione necessaria per lo studio termodinamico del ciclo Otto. Nei cicli reali si
definisce la pressione media del ciclo come la pressione che moltiplicata per la cilindrata fornisce il
lavoro netto reale. Questa può essere calcolata facilmente per via grafica o numerica una volta
noto il ciclo reale. Maggiori dettagli sul ciclo Otto sono rimandati al corso di Macchine Termiche.
Uno dei motori più antichi è quello a gasolio basato sul ciclo Diesel di cui si parlerà fra breve.
Si tratta di motori endotermici caratterizzati da un numero di giri al minuto piuttosto basso (alcune
centinaia), dall’assenza di candele di accensione e dall’utilizzo di combustibile oleoso (che funge
anche da lubrificante) detto gasolio. Questo motore ha buoni rendimenti e relativa facilità d’uso.
E’ usato prevalentemente per motori di potenza ad uso industriale, marino o terrestre nel
campo dei trasporti su camion, … Oggi si è avuta una evoluzione automobilistica (diesel veloci) con
un numero di giri elevato (50006000 gpm) e con iniezione elettronica ad alta pressione che lo
rende molto competitivo rispetto al motore a benzina. Il motore diesel non emette CO e quindi
non risulta particolarmente pericoloso come quello a benzina.
Va tuttavia tenuto conto anche degli aspetti negativi che il motore diesel presenta e cioè:
potenza unitaria limitata e non suscettibile di rapidi aumenti, complessità notevole della macchina
e quindi maggiori oneri di manutenzione, abbondante produzione di ossidi di azoto e di
particolato.
Ciclo Termodinamico
Il ciclo Diesel è formato da due isoentropiche una isobara ed una isocora, come indicato in
Figura 89. La fase di combustione avviene insufflando, ad alta pressione (oltre 100 bar e oggi si
possono avere pressioni elevatissime fino ad oltre 2000 bar nei diesel common rail), gasolio
nebulizzato in piccolissime goccioline nel cilindro ove si trova aria compressa nelle condizioni del
punto B e quindi ad una temperatura di circa 900 °C, sufficiente per fare avvenire la combustione.
Non occorre alcun dispositivo elettrico di accensione, come si ha nel motore a benzina, e la
trasformazione avviene ad una pressione che si può ritenere, almeno idealmente, costante poiché
durante la combustione si ha un aumento di volume della camera di combustione per effetto del
movimento del pistone. Pertanto la cessione di calore avviene a temperatura variabile e quindi la
trasformazione è esternamente irreversibile.
SCOPPIO
Q1
B C
ESPANSIONE
L+
COMPRESSIONE
L- D
Q2
SCARICO
0 A
RIEMPIMENTO - SVUOTAMENTO
Il rendimento del ciclo Diesel si calcola facilmente applicando i concetti sin qui studiati. In
particolare si ha:
Q
1 DA
QBC
Il calore scambiato lungo la isobare e la isocora77 vale:
QBC c p TC TB
QAD cv TD TA
77
Si osservi che lungo la isocora vale la relazione q = du + pdv e quindi q = du. Supponendo il fluido di
lavoro ideale vale ancora la relazione q = du = cv dT.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 164
TD TA
1
k TC TB
T C
Combustione a
pressione costante
Lavoro utile
di espansione
B
D
Lavoro di
compressione
Scarico a
volume costante
1 rc 1
k
1 k 1 (200)
rv k rc 1
Combustione a
pressione costante Maggiore area del
T ciclo Otto rispetto
C al Ciclo Diesel a pari
compressione
Lavoro utile
di espansione
B Pari rapporto di
D compressione
Lavoro di
compressione
Scarico a
volume costante
Figura 90: Confronto fra ciclo Otto e Diesel a pari rapporto di compressione
SCOPPIO
Q1
ESPANSIONE
c* L+
B
D
L-
COMPRESSIONE Q2
SCARICO
0 A
RIEMPIMENTO - SVUOTAMENTO
v
Figura 91: Confronto fra i cicli Otto e Diesel a pari rapporto di compressione nel piano (p,v)
Pari temperatura
massima di ciclo
Combustione a
pressione costante
T Maggiore area del
C ciclo Diesel rispetto
al Ciclo Otto a pari
Temperatura massima
Lavoro utile
B di espansione
D
Lavoro di
compressione
Scarico a
volume costante
Figura 92: Confronto fra i cicli Otto e Diesel a pari temperatura massima
SCOPPIO
Q1
B C
ESPANSIONE
L+
COMPRESSIONE
L- D
Q2
SCARICO
0 A
RIEMPIMENTO - SVUOTAMENTO
Figura 93: Confronto fra i cicli Otto e Diesel a pari temperatura massima nel piano (p,v)
Pertanto questo motore ha rapporti di compressione ben più elevati rispetto a quelli dei
motori Otto e in queste condizioni operative, quindi a pari temperatura massima raggiungibile dai
materiali di costruzione, si ha un rendimento maggiore, vedi Figura 92. Per avere un esempio
concreto, oggi i normali motori Otto hanno rv = 610 mentre i Diesel veloci hanno rv=2550. Si
osservi che il ciclo reale è ben distante da quello ideale qui considerato e il diagramma
all’indicatore è una specie di scarpetta tutta interna al ciclo limite ideale.
L’iniezione del gasolio è realizzata con pompe ad elevata efficienza con nebulizzatori molto
efficaci alimentati da pressioni a monte di 130180 bar. Nel caso di iniezione diretta con pompe ad
alta pressione (common rail) si raggiungono circa 2500 bar.
Di recente si sono sviluppati i cicli misti, cicli Sabathè, caratteristici dei diesel veloci. Si
raggiungono 6000 g/m e anche più ed hanno alti rendimenti.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 167
L’andamento di un ciclo Diesel reale nel piano di Clapeyron è dato in Figura 94. Anche per
questo ciclo si ha la scarpetta caratteristica dei cicli reali.
COMBUSTIONE
Q1
C ESPANSIONE
B L+
D
L-
COMPRESSIONE Q2
SCARICO
0 A
RIEMPIMENTO - SVUOTAMENTO
v
Figura 94: Ciclo Diesel reale nel piano (p,v)
La fase di combustione avviene con un certo prolungamento dovuto all’azione degli iniettori.
La combustione iniziale è più rapida (primo fronte di fiamma) mentre quella secondaria avviene
con un maggior tempo in funzione della quantità di combustibile da iniettare e della
polverizzazione ottenuta dagli iniettori.
Con l’evolversi dei motori automobilistici la fase iniziale (primo fronte di fiamma) è divenuta
molto efficace e rapida tanto da suggerire l’evoluzione termodinamica verso il ciclo Sabathè.
SCOPPIO Q1
C C*
Q1
ESPANSIONE
L+
COMPRESSIONE
L- D
Q2
SCARICO
0 A
RIEMPIMENTO - SVUOTAMENTO
Aumentando la velocità, infatti, la fase di combustione non può più considerarsi a pressione
costante perché la velocità del pistone è parecchio elevata e quindi non si può immaginare di
esaurire la fase di iniezione del combustibile nella sola vicinanza del punto morto superiore del
moto del pistone.
Si può immaginare che all’inizio, vicino al punto morto superiore del pistone, si abbia una
combustione che avviene a volume costante e poi in secondo tempo, con lo spostarsi del pistone,
a pressione costante.
Combustione
a pressione
costamte
T D
C
Combustione a
volume costante
Lavoro utile
di espansione
B
E
Lavoro di
compressione
Scarico a
volume costante
s
Figura 96: Ciclo ideale Sabathè
Questa relazione ci dice che il rendimento del ciclo Sabathè è intermedio fra quello Otto
(primo rapporto a secondo membro) e Diesel (secondo rapporto a secondo membro). Se si pone
rc=1 si ha la coincidenza con il ciclo Otto e analogamente se si pone rp=1 si ha la coincidenza con il
ciclo Diesel.
I cicli diesel di seconda generazione, detti common rail, si avvicinano molto alle condizioni
ideali di Sabathè grazie all’elevata pressione usata per l’alimentazione con gli iniettori.
Si hanno pressioni elevatissime comprese fra 1200 e 2500 bar. Il combustibile viene posto
all’interno di un grosso cilindro comune (detto appunto common rail) che, a pressione
elevatissima, alimenta gli iniettori garantendo una elevata polverizzazione delle goccioline di
gasolio e quindi una combustione più efficace e rapida.
L’elevata pressione consente anche una ripresa migliore del motore e quindi una migliore
brillantezza d’uso.
I Diesel possono utilizzare, nelle versioni industriali, diversi tipi di oli combustibili e quindi
sia frazioni leggere, come il gasolio, che frazioni pesanti.
Le caratteristiche delle frazioni leggere sono:
Proprietà Valori Unità di Misura
Negli aerei e nelle centrali di potenza di terra si utilizza il ciclo di Joule - Bryton. Questo è
composto78, con riferimento al ciclo ideale ad aria standard79, da due isobare e due isoentropiche,
come indicato in Figura 97.
Lungo la trasformazione AB si ha una compressione (qui supposta ideale isoentropica)
dell’aria esterna fra la pressione pA e la pressione pB. La compressione viene effettuata in un
compressore rotativo alimentato dalla turbina (vedi dopo) e pertanto assorbe parte dell’energia
prodotta dalla stessa turbina.
Nella trasformazione BC si ha la combustione di petrolio raffinato (detto JP, Jet Propeller)
all’interno di una camera di combustione toroidale. La combustione avviene a pressione costante
perché si ha fuoriuscita dei gas di combustione in modo continuo verso l’anello di distribuzione
della turbina di potenza. La trasformazioni BC, anche se supposta internamente reversibile, è
esternamente irreversibile poiché si ha cessione di calore a temperatura variabile.
T p1
C
Q1
Combustione a Lavoro utile
pressione costante di espansione
L+ p2
B
D
Lavoro di
compressione
Scarico a
L- pressione costante
A Q2
78
Si rimanda ai corsi di Macchine per maggiori approfondimenti.
79
Si ricorda che un ciclo si dice ideale quando è formato da trasformazioni termodinamiche internamente
reversibili. I cicli a combustione (ciclo Otto, Diesel, Sabathè, Joule-Bryton) utilizzano aria come comburente e benzina o
gasolio o petrolio come combustibile. La combustione produce vari composti chimici detti gas di combustione e
pertanto la composizione del fluido di lavoro (inizialmente aria esterna) viene modificata. Poiché le caratteristiche
termodinamiche complessive (calore specifico, densità, costante di adiabaticità,….) non sono molto diverse da quelle
dell’aria esterna allora si fa l’ipotesi (ovviamente semplificativa) di fluido di lavoro con caratteristiche costanti e
coincidenti con quelle dell’aria standard ossia dell’aria supposta come fluido ideale e quindi con calori specifici
costanti al variare della temperatura. Questa ipotesi semplifica molto i calcoli termodinamici anche se è un po’ lontana
dalla realtà. Per quanto necessario nell’ambito di questo corso possiamo accettare pienamente questa semplificazione
senza perdita di generalità.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 171
La differenza fra l’energia meccanica prodotta e quella assorbita dal compressore è l’energia
utile che è possibile utilizzare esternamente al ciclo. La trasformazione isobare DA è di
raffreddamento (anch’essa esternamente irreversibile) e può avvenire in uno scambiatore di
calore (impianti fissi di terra) o in aria (impianti mobili aeronautici) cioè scaricando i prodotti di
combustione nell’atmosfera esterna. Si osservi che avendo aspirato aria atmosferica con il
compressore in A lo scarico equivale ad una cessione di calore all’ambiente esterno a pressione
costante.
In Figura 101 si ha la vista sezionata di una turbina di tipo aeronautico nella quale si possono
vedere i componenti fondamentali del ciclo Joule – Bryton e cioè il compressore, a destra in primo
piano, a cui segue la camera di combustione toroidale, al centro, e poi la turbina di potenza che,
per questo tipo di motore, è seguita da un ugello di scarico che fornisce la spinta per far muovere
gli aerei.
Per gli impianti di terra si usano configurazioni impiantistiche meno compatte e con elevati
carichi di lavoro (heavy duty) tipicamente 8000 ore/anno. Il rendimento termodinamico del ciclo
Joule – Bryton si calcola facilmente ricordando che è:
Q
1 DA
QCB
Con riferimento ad aria standard per le due isobare si hanno le relazioni:
QBC c p TC TB
QDA c p TD TA
rp
Figura 98: Andamento del rendimento del ciclo Joule – Bryton e del Rapporto dei lavori
TB TA
k 1
k 1
pB k pA k
da cui si trae:
TB TC k 1
rp k [202]
TA TD
Applicando la regola dello scomponendo ai primi due rapporti e sostituendo il risultato
nell’espressione del rendimento si ottiene la relazione:
1
1 k 1 (203)
rp k
Da questa relazione si conclude che il rendimento del ciclo Joule – Bryton cresce al cresce del
rapporto delle pressioni. Sfortunatamente non possiamo comprimere a dismisura perché la
temperatura di fine fase compressione e poi di combustione non può andare oltre i limiti
tecnologici dei materiali utilizzati per la costruzione della camera di combustione e delle palette
della turbina.
Con riferimento alla Figura 100 si osserva che aumentando il rapporto delle pressioni a pari
Tmax si ha un restringimento dell’area del ciclo stesso. Quando i punti B e C coincidono il ciclo si
riduce ad una linea (BC) di area nulla ma di rendimento massimo (il ciclo diviene un ciclo di Carnot
degenere).
Q1
Combustore
Compressione Espansione
p1
Compressore
l-
L+ Turbina
p2
Raffreddamento
Q2
p4 p3
p2
B p1
Figura 100: Andamento del ciclo J-B al variare del rapporto delle pressioni a pari T max
ne segue che il lavoro netto prodotto dal ciclo è dato dalla differenza:
Ln L L hC hD hB hA (207)
In termini di temperatura, per aria standard, possiamo scrivere la precedente nella forma:
Ln c p TC TD TB TA [208]
Si definisce Rapporto dei lavori il rapporto, come già detto in precedenza, fra il lavoro utile e
il lavoro positivo della turbina:
L Ln c p TC TD TB TA T T
RL n 1 B A [209]
L c p TC TD TC TD
TB TA TA TA TC
TC TD TD TC TD
k 1
TC
Ricordando che rp k si ha:
TD
k 1
TB TA TA k
rp [210]
TC TD TC
Pertanto la [209] diviene, tenendo conto anche della (204):
k 1
Ln T
k 1
r k
RL
1 A r p
k
1 p (211)
L TC rpmax
Il rapporto dei lavori è massimo per rp=0 mentre vale 0 quando rp=rp.max come indicato in
Figura 98.
In essa si può anche osservare come il lavoro utile abbia un andamento parabolico con un
valore massimo corrispondente interno al rapporto delle pressioni. Inoltre a pari rp il rapporto dei
lavori è tanto più elevato quanto maggiore è il rapporto TC/TA fra la temperatura massima e quella
minima del ciclo.
Si osservi che la temperatura minima TA è, di solito, quella dell’ambiente esterno e quindi
non controllata dal processo mentre la TC è la temperatura massima che dipende dalla
temperatura di combustione e dalla resistenza dei materiali utilizzati.
Si tratta, quindi, di un limite tecnologico che varia nel tempo con il perfezionarsi della
tecnologia dei materiali. Spesso è utile utilizzare il rapporto:
L
bwr [212]
L
detto backwork ratio (rapporto del lavoro negativo). Procedendo come già indicato in
precedenza si ha:
h hA TB TA
bwr B
hC hD TC TD
Per la [210] si ha anche:
k 1
TA k
bwr rp [213]
TC
Pertanto il rapporto dei lavori è anche espresso dalla relazione:
RL 1 bwr [214]
La [208] ci dice che il rapporto dei lavori è funzione di una differenza e che pertanto,
escludendo i valori negativi, si ha una variabilità da un valore minimo (lo zero) ed uno massimo.
ovvero:
TC 2 kk1
rp 1 0
TA ott
da cui si ricava:
k
T 2 k 1
rpott C
TA
e quindi, ricordando l’espressione (204) si ha:
k
2 k 1
T
rpottimale rpmax C (216)
TA
In Figura 98 si ha l’andamento del rendimento e della curva RL per un ciclo ideale ed
assegnato rapporto fra le temperature massima e minima di ciclo. Si può osservare che il rapporto
ottimale è ben diverso da quello massimo e che al crescere di questo rapporto oltre il valore
ottimale aumenta il lavoro negativo e quindi diminuisce il lavoro netto.
I cicli Joule – Bryton sono caratterizzati da uno sviluppo di grandi potenze con piccoli volumi
di impianto. In Figura 98 si ha un tipico andamento del rendimento e del rapporto dei lavori in un
ciclo ideale. Ciò è dovuto al fatto che, diversamente dai motori a scoppio (sia a benzina che diesel)
essi producono potenza in continuità. I rendimenti vanno dal 25% al 35% a seconda del rapporto
delle pressioni utilizzato e del rapporto fra la temperatura massima e la minima del ciclo. Si tratta
di valori lontani dai rendimenti dei cicli a vapore (circa 40% e oltre nei moderni impianti) e
pertanto la produzione di grandi potenze elettriche è oggi sempre più delle centrali a vapore (sia
tradizionali che nucleari) mentre i cicli a gas sono considerati complementari ai cicli a vapore.
Si è già detto che i cicli che lavorano con rapporto dei lavori non vicini all’unità sono
caratterizzati da una forte sensibilità alle irreversibilità del sistema. Poiché il rapporto ottimale
delle pressioni varia, di norma, fra 0.4 0.6 si deve concludere che questo ciclo, diversamente dal
ciclo Rankine o Hirn, soffre molto le irreversibilità di sistema, secondo quanto indicato in Figura 58.
p
B
T C
p
A
D
B D'
B'
A
s
Figura 103: Ciclo Joule Bryton con trasformazioni adiabatiche
TB ' TA rp k 1
TB TA TA [219]
ic ic
e ancora:
1
TC TD ie TC TD ' ieTC 1 k 1 [220]
r k
p
Inoltre si ha:
k 1
TB T T rp k 1
1 B A 1 [221]
TA TA ic
Sostituendo le ultime tre espressioni in quella del rendimento si ottiene:
1 1 k
k 1
TC
ie 1 k 1 rp 1
rp k ic
TA
[222]
1 k
k 1
TC
1 rp 1
TA ic
che è l’espressione cercata del rendimento ideale per trasformazioni adiabatiche. Un
confronto con la (203) relativa al ciclo ideale isoentropico ci dice che nelle nuove ipotesi il
rendimento dipende dal rapporto delle temperature massima e minima (TC/TA), dal rapporto delle
pressione rp e dai rendimenti isoentropici di espansione e di compressione.
In Figura 104 si ha l’andamento del rendimento reale per rapporti TC/TA pari a 3,5 e 5, con
ic=0.82, ie=0.84 e per il caso ideale. Al crescere del rapporto fra le temperature si ha un benefico
effetto sul rendimento che tende verso quello ideale. L’effetto delle irreversibilità è ben visibile ed
è più marcato quanto minore è il rapporto delle temperature.
80
Si osservi che l’avere indicato trasformazioni adiabatiche al posto delle isoentropiche non ha del tutto reso
reale il ciclo in esame. Non si stanno considerando, infatti, gli effetti di attrito interno nel moto dei fluidi e quindi le
cadute di pressione. Inoltre le trasformazioni reali sono più vicine alle politropiche che alle adiabatiche. Questi
approfondimenti sono oggetto del Corso di Macchine.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 178
0.5
r p 3.5
r p5 0
r p1
0.5
0.839 1
0 5 10 15 20 25 30 35
0.5 rp 35
Per le turbine di aereo si hanno due regimi di funzionamento: quello di regime normale ha
rapporto fra le temperature inferiore (minori sollecitazioni) mentre con funzionamento con post
bruciatore si ha un rapporto tendente a 5. Nelle turbine per impianti di terra il rapporto delle
temperature può essere elevato sia per la maggior sicurezza delle installazioni fisse che per la
costruzione più robusta delle turbine poiché il peso complessivo riveste minore importanza
rispetto alle turbine di aereo.
Rapporto dei lavori per cicli non isoentropici
Il rapporto dei lavori per il ciclo non isoentropico di Figura 103 è dato dalla relazione:
Ln c p TC TD TB TA
81
Nella turbina di espansione l’organo più sollecitato è il distributore del primo anello che è attraversato dai
prodotti di combustione alla temperatura più elevata.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 179
p
B
T C
p
A
E
D
B
A
s
Figura 105: Rigenerazione termica in un ciclo J-B ideale
82
Nei cicli aeronautici e spesso in quelli fissi di terra la fase DA di raffreddamento è sostituita con lo scarico
dei prodotti combusti in aria. L’isobara pA è quella ambiente e il calore di scarico è ceduto all’aria ambiente. Il ciclo si
ricostituisce riprendendo dallo stesso ambiente aria fresca nelle condizioni A.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 180
Pertanto il rendimento di un ciclo rigenerativo non dipendo più dal solo rapporto delle
pressioni rp ma anche dal rapporto delle temperature minima e massima TA/TC. Per rp 1 il
rendimento del ciclo rigenerativo tendo a quello ideale di Carnot, (1-TA/TC) e quindi il rendimento
diviene tanto maggiore quanto minore è il rapporto delle pressioni. In Figura 108 si ha la
rappresentazione del rendimento del ciclo J-B ideale con rigenerazione per due valori del rapporto
delle temperature. Nella stessa figura è riportato l’andamento del rendimento del solo ciclo ideale.
p
B
T C
p
A
E
D
B
A
s
CALORE DI RIGENERAZIONE
A D
F
CC
B E C
D
B C
T
C
Si osservi come le curve con rigenerazione termica incontrino la curva senza rigenerazione in
corrispondenza del rapporto delle pressioni dato dalla relazione:
k 1
1 TA k
1 k 1 1 rp
TC
rp k
0.8
rp
0.6
r r p
1
3.5
r r p
1 0.4
5
0.2
0 0
0 5 10 15 20
0 rp 20
Figura 108: Andamento del rendimento del ciclo J-B ideale rigenerato e del ciclo ideale
p
A
F
D
C'
B
E
A'
A
s
Figura 109: Ciclo reale J-B con rigenerazione termica
In Figura 110 si ha l’evidenziazione delle aree di scambio per il recupero termico. Si osservi
che in questo caso i punti finali dello scambio termico, indicati con E ed F, sono diversi da quelli
teorici
E’ ef F’, perché negli scambiatori reali occorre sempre prevedere una differenza di
temperatura per avere un flusso termico positivo. Ciò deriva dal 2° principio della Termodinamica.
Si vedrà in Trasmissione del Calore, che si definisce efficienza di uno scambiatore di calore
il rapporto fra il calore realmente scambiato nelle condizioni di esercizio e il calore teorico
massimo che si potrebbe scambiare con una superficie infinita dello scambiatore di calore.
p
B
T C
p
DT1 A
E'
E D
F C'
B
F'
E
A'
DT2
A
s
Supponendo, come di regola si fa, che lo scambiatore di calore sia del tipo a
controcorrente83, allora l’efficienza di scambio risulta data dal rapporto:
Calore_Realmente_Scambiato
c p Tu f Ti f
Freddo T T
E B
[228]
Calore_Teoricamente_scambiabile c p Ti c Ti TD TB
f
Il rendimento termodinamico del ciclo rigenerato reale è dato, con il simbolismo di Figura
109, da:
T T TB TA
C D [229]
TC TE
83
Si intende per controcorrente una disposizione geometrica delle superfici di scambio tali che il flusso del
fluido caldo sia parallelo ma in direzione opposta rispetto al flusso della corrente fredda. Si pensi a due cilindri
concentrici nei quali si fa scorrere il fluido caldo nel cilindro interno da sinistra verso destra, mentre il fluido freddo
scorre nell’intercapedine fra i due cilindri ma da destra verso sinistra. Questa configurazione geometrica, si vedrà, è la
migliore che si possa avere ed è considerata come riferimento per tutte le altre configurazioni geometriche che, pur
risultando più pratiche dal punto di vista costruttivo, hanno una efficienza minore di quella a controcorrente pura.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 183
da cui:
TC TE TC TB TD TB
TC TD TB TA [230]
1 TC TB TC TD
Utilizzando ora le espressioni dei rendimenti isoentropici [218] si ottiene:
1 1 k
k 1
TC
ie 1 k 1 rp 1
rp k ic
TA
[231]
T 1
k 1
1 C 1 rp k 1 ie C 1 k 1
T 1
TA ic TA k
rp
In Figura 111 si ha l’andamento del rendimento di un ciclo J-B reale nelle ipotesi di rapporti
delle temperature pari a 3.5 e 5 e con efficienza di scambio termico 0.85. Nella stessa figura è
riportato l’andamento di un ciclo J-B ideale.
0.6
0.5
r p 3.5 0.4
r p5 0.3
t rp
0.2
0.1
0 0
0 2 4 6 8 10 12 14 16
0.8 rp 15
Figura 111: rendimento di un ciclo JB reale rigenerato con vari rapporti T C/TA ed =0.85
In Figura 112 si hanno le stesse curve messe a confronto per due valori dell’efficienza degli
scambiatori di calore pari a 0.8 e 0.7. La [231] ci dice che il rendimento di un ciclo reale con
rigenerazione termica dipende ancora dal rapporto delle pressioni tp e dal rapporto fra le
temperature massima e minima di ciclo ma dipende anche (e fortemente) dai rendimenti
isoentropici di espansione e compressione e dall’efficienza degli scambiatori di calore.
Si osservi come il rendimento si annulli per rp 1.
0.6
0.5
r p 3.5 0.8
r p 5 0.8
0.4
r p 3.5 0.7
0.3
r p 5 0.7
0.2
t rp
0.1
0 0
0 2 4 6 8 10 12 14 16
0.8 rp 15
Figura 112: Rendimento di un ciclo JB reale rigenerato con vari rapporti T C/TA ed =0.8 ed =0.7
Inoltre il rendimento con rigenerazione reale mostra un valore massimo per valori del
rapporto delle pressioni inferiore a quello ottimale reale dato dalla [224].
Pertanto la scelta del rapporto delle pressioni di lavoro viene effettuato, nel caso di
rigenerazione termica in cicli J-B reali, con considerazioni diverse da quelle fatte in precedenza.
Inoltre si deve osservare che nel caso di rigenerazione termica in un ciclo reale il rapporto dei
lavori dato dalla [223] non fornisce più indicazioni complete sugli effetti dell’irreversibilità perché
in quella relazione non si tiene conto del comportamento non ideale dello scambiatore di calore e
quindi della sua efficienza termica .
Negli impianti di terra si vuole ottenere dal ciclo Joule – Bryton la massima potenza senza
avere il problema del peso da trasportare. Pertanto negli impianti fissi si hanno layout che
favoriscono gli scambi termici (combustori esterni ottimizzati) e si possono anche avere cicli
rigenerativi con scambi multipli con raffreddamenti intermedi in fase di compressione e
riscaldamenti in fase di espansione, come illustrato in Figura 113.
Si possono anche usare anche più raffreddamenti intermedi nella fase di compressione (cicli
con intercooler) e più riscaldamenti intermedi nella fase di espansione in turbina (cicli ad
espansione multipla). In questi cicli occorre inserire tanti scambiatori di calore intermedi quante
sono le interruzioni delle fasi di compressione e di espansione. Si rinvia ai testi specializzati per
ulteriori approfondimenti.
In Figura 114 si ha una rappresentazione di impianti a gas di terra: a sinistra si può osservare
il combustore (ora esterno alla turbina) e a destra si ha una vista di una turbina a più stadi
accoppiata ad un compressore sullo stesso albero motore.
p
B
T E G
H p
A
F
C
A
s
Negli impianti di terra le turbine a gas sono nate per bruciare gas naturale ma l’evoluzione
tecnologica porta oggi all’uso anche di combustibili gassosi di altro tipo ed anche liquidi purché
sottoposti a trattamenti di depurazione particolari.
Le caratteristiche medie dei combustibili gassosi sono le seguenti:
Proprietà Valori Unità di Misura
Per combustibili aventi caratteristiche diverse da quelle sopra indicate occorre prevedere
turbine opportunamente modificate. Nel caso di combustibili gassosi non devono essere presenti
fasi liquide.
I combustibili pesanti possono richiedere un preriscaldamento per rendere possibile sia la
nebulizzazione che il pompaggio. I metalli vanno separati mediante trattamento di separazione
elettrostatica, lavaggio e centrifugazione (per il sodio) e l’aggiunta di additivi neutralizzanti (per il
vanadio). Nel caso di funzionamento con olio pesante occorre prevedere una fermata ogni
4001000 ore per l’eliminazione delle ceneri ed il lavaggio con acqua calda.
Tipicamente per una turbina a gas si hanno le percentuali di energia indicate in Figura 115.
L’elevata percentuale di energia nei gas di scarico (67%) lascia intravedere forti possibilità di
recupero energetico a temperature variabili fra 400 e 550 °C e quindi ancora interessanti
impiantisticamente. Naturalmente occorre evitare che la temperatura finale dei gas di scarico
scenda al di sotto dei 120140 °C per evitare il pericolo di condensazione dell’acqua acida.
Le possibilità di cogenerazione delle turbine a gas possono essere schematizzate nelle
seguenti:
Recupero termico per uso diretto di processo;
Produzione di fluidi termovettori (ad esempio per il teleriscaldamento)
Ciclo combinato turbina a gas – turbina vapore.
Il rapporto C =ET/EE può variare nell’intervallo 1.73.5 per turbine a semplice recupero. La
produzione di acqua calda surriscaldata o anche di vapore per tele riscaldamento urbano lascia
intravedere interessanti sviluppi per questo tipo di impianti.
In Figura 116 si ha lo schema di impianto per un ciclo combinato gas- vapore con caldaia a
recupero per la produzione del vapore acqueo da inviare nella turbina a vapore (che può essere a
condensazione, a derivazione, a spillamento o in contropressione a seconda delle esigenze
impiantistiche).
Gs di scarico
Olio Raffreddamento
Lavoro Utile
Condensatore
Turnina a gas
Combustore
Pompa
Combustore
Compressore Caldaia a recupero
Turnina a gas
SERBATOIO
CALDO T1
Q1
L
Q2
SERBATOIO
FREDDO T2
In Figura 118 é data una rappresentazione schematica di quanto appena detto. Per il ciclo
frigorifero si definisce un coefficiente di effetto utile dato dal rapporto:
Q
2 [232]
L
Mentre per la pompa di calore si definisce il COP (Coefficient of Performance):
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 189
Q1
COP [233]
L
Risulta il seguente bilancio energetico per il sistema termodinamico della stessa Figura 118:
Q1 Q2 L [234]
e pertanto risulta:
COP 1 [235]
Per la macchina di Carnot risulta essere > 1 e quindi COP >2. Per le macchine a ciclo inverso
reali si ha > 1 se il lavoro viene fornito dall'esterno sotto forma meccanica (cicli a compressore).
Il ciclo inverso di Carnot non può essere utilizzato nelle applicazioni pratiche in quanto ciclo
ideale e pertanto si utilizza un ciclo detto a compressione di vapori saturi.
I vapori saturi (cioè vapori in presenza del proprio liquido) hanno la caratteristica di subire le
trasformazioni di cambiamento di fase (ebollizione e condensazione) a temperatura e pressione
costante. Proprio l'avere le trasformazioni a temperatura costante ha dato l'idea di utilizzare
questi fluidi nelle macchine termiche (cicli a vapore e cicli frigoriferi a compressione). In Figura 119
ne é data una rappresentazione schematica. Seguendo lo schema di impianto della stessa figura si
ha la compressione del gas (trasformazione CD) poi la condensazione (DA), la laminazione (AB, si
tratta di un'applicazione dell'effetto Joule-Thompson) e quindi l'evaporazione (BC). La fase
frigorifera é data dall'evaporazione lungo BC, mentre la fase di riscaldamento per il funzionamento
a pompa di calore é data lungo la DA.
L'energia esterna é fornita mediante il compressore (trasformazione CD) ed é la fase pagante
del ciclo. Per la definizione del coefficiente di effetto utile e del COP si rimanda alle relazioni già
indicate in precedenza.
CONDENSATORE
D E A
Q1
COMPRESSORE D A
LAMINATORE
C Q2 B
C B
EVAPORATORE
A
Q1 COMPRESSORE
E
CONDENSATORE
LAMINAZION
L
E
EVAPORATORE
B C
Q2
ZONA DEI VAPORI SATURI
s
D
COMPRESSORE
Q1
A E
CONDENSATORE
LAMINAZION
L
E
EVAPORATORE
B C
Q2
ZONA DEI VAPORI SATURI
s
Nel primo caso, funzionamento frigorifero, si ha il coefficiente di effetto utile frigorifero dato
dal rapporto:
Q
2 [236]
L
Nel secondo caso, funzionamento a pompa di calore, si definisce il coefficiente di effetto utile
termico (detto anche COP, Coefficient of Performance) dato dal rapporto:
Q
' 1 [237]
L
Poiché dal bilancio globale, a regime stazionario, della macchina termica di Figura 119, deve
essere:
Q1 Q2 L [238]
Nella precedente tabella la dizione Acqua – Acqua si intende per fluido di lavoro acqua
nell’evaporatore e acqua nel condensatore, cioè si tratta di un frigorifero che raffredda acqua e
che è raffreddato (al condensatore) con acqua. Analoghe considerazioni vanno fatte per le altre
tre configurazioni di scambio.
Si osservi come lo scambio Acqua – Acqua sia molto efficiente e che è, quindi,
impiantisticamente conveniente. Purtroppo per questi tipi di scambio occorre avere anche acqua a
ciclo continuo per la refrigerazione al condensatore, cosa non sempre possibile.
Pertanto si usano spesso macchine con raffreddamento ad aria e cioè con condensatori nei
quali il fluido frigorigeno è raffreddato con scambio con aria ambiente mediante ventole per la
circolazione forzata.
Data la limitatezza del Corso non si possono approfondire tutti gli aspetti impiantistici dei
cicli frigoriferi.
F D COMPRESSORE
Q1
A
CONDENSATORE
LAMINAZION
E
L
E
EVAPORATORE
B C
Q2
ZONA DEI VAPORI SATURI
s
Ciò non è sempre facile se, ad esempio, si usa il raffreddamento con aria ambiente perché
non si può controllarne il valore.
Pertanto si utilizzano forme di scambio intermedie, ad esempio surriscaldando il fluido a fine
fase evaporazione a spese del calore sottratto al fluido da sottoraffreddare, come illustrato in
Figura 124.
Il layout corrispondente a queste modifiche è facilmente desumibile dall’esame delle fasi
costituenti il ciclo inverso. I frigoristi usano spesso un piano di lavoro diverso dal (T,s) o (h,s) prima
visti e più precisamente il piano (h,p) del tipo raffigurato in Figura 125.
Questo piano ha le pressioni in ordinate e le entalpie in ascisse. La curva di Andrews è del
tipo segnato in Figura 125.
Q1 E
A
COMPRESSORE
CONDENSATORE
LAMINAZION
F
L
E
EVAPORATORE
B B' Q2 C
Su questo piano il ciclo a vapori saturi si traccia facilmente. Fra le due isobare p 1 e p2 si
traccia la isoentalpica di laminazione DE, poi la fase di evaporazione EA, quindi la compressione AB
a cui segue la fase di desurriscaldamento BC e condensazione CD.
T
D C''
Q1 E
A
COMPRESSORE
CONDENSATORE D'
LAMINAZION
F
L
E
EVAPORATORE C'
B B' Q2 C
p1 D C
B
p2 E A
h
h h h
D A B
Oltre alla comodità di tracciamento sopra vista questo piano offre un facile modo di
calcolare l’efficienza frigorifera.
Infatti si ha, con riferimento alla stessa figura:
Q h h
2 A E
L hB hA
che a scala grafica è dato dal rapporto dei segmenti rappresentativi sull’asse delle ascisse.
Nel prosieguo si vedranno i diagrammi (h,p) per i fluidi di lavoro più utilizzati nelle applicazioni
frigoristiche.
Gli impianti frigoriferi e in generale la Tecnica del Freddo rivestono oggi un’importanza
fondamentale nella vita moderna industriale e civile. Essi infatti debbono garantire temperature di
processo negli impianti industriali, la conservazione di derrate alimentari nell’industria alimentare
(catena del freddo) e debbono produrre fluidi di lavoro (acqua, aria, freon,…) a bassa temperatura
per gli impianti di climatizzazione. Possiamo classificare gli impianti frigoriferi a seconda della
temperatura minima che consentono di raggiungere e della potenza impegnata, secondo la
Tabella 19.
Tipo di Impianto Temperatura minima (°C) Pressione lavoro Potenza frigorifera (kW)
(Bar)
Con compressore volumetrico:
-25 ciclo semplice 0.1 30 ermetico
Compressione di vapore - 60 ciclo a doppia 3300 rotativo
compressione e
>1 30 250 semiermetico
doppia laminazione
250500 aperto
-150 cicli in cascata
4003000 a vite
Con compressore centrifugo
3006000 chiuso
30030000 aperto
Assorbimento (fluido 0 (H2 O-BrLi) 0.01 3505000
frigorigeno/solvente)
-60 (NH3/H2O) 0.2 500010000
Vapore d’acqua 0 0.006 303000
-20 salamoia 0.0013
Compressione di gas -25 (aria) 1 10
Effetto termoelettrico -33 - <7
-103
Tabella 19: Classificazione degli impianti frigoriferi
Q1
B
C
L
D A
t2
Q2
Gli impianti termoelettrici (senza fluido di lavoro) sono utilizzati in campo elettronico e
spaziale.
C
50
T B h=370 kJ/kg
q1
p=3 bar
0 C
A h=315 kJ/kg
q2
p=1 bar
D h=230 kJ/kg
-50
kJ/kgK
s
Figura 127: Ciclo Joule inverso per frigoriferi a gas
8.8.2 LAMINAZIONE
Al Compressorfe
Dal Condensatore
Valvola Termostatica
Se, ad esempio, la temperatura sale, allora aumenta la pressione del fluido contenuto nel
bulbo che esercita sulla membrana una forza verso il basso.
Lo stelo, indicato con 2, trasla verticalmente e l’otturatore, indicato con 3, scende rispetto
alla sede, indicata con 7, che rimane fissa fino, all’equilibrio con la forza della molla, fm, e la forza
dovuta alla pressione all’evaporatore, fe. La molla di taratura è regolabile con la vite indicata con 5.
T
pb
C
B
A
s
Possiamo fare un bilancio del forze sul diaframma della valvola termostatica. Con
riferimento alla Figura 130 si ha:
p A pm pb pD [243]
ove si ha:
p perdite di carico sull’evaporatore
psuff=f(Ts) con Ts= 47 °C.
Per dimensionare la molla di spinta occorre avere:
pm psuff p [246]
I fluidi di lavoro degli impianti frigoriferi sono detti fluidi frigorigeni. Questi fino all’inizio del
1900 erano naturali ma sono stati poi rimpiazzati con fluidi artificiali quali gli idrocarburi alogenati
(CFC e CHFC) della serie Freon F11, F12, F22, F13 (o gli equivalenti con sigle internazionali R11,
R12, R22, R13).
Gli idrocarburi alogenati presentano proprietà termofisiche interessanti che li hanno reso
prevalenti sugli altri fluidi frigorigeni: essi sono stabili chimicamente, non infiammabili, non tossici,
inodori e insapori, hanno un buon calore latente di vaporizzazione e un accettabilmente basso
lavoro specifico di compressione.
Purtroppo la recente scoperta della pericolosità del fluoro e del Cloro per la fascia di ozono
nell’atmosfera ha cambiato tutti i giudizi su questi fluidi refrigeranti ed anzi sono state approvate
convenzioni internazionali per la totale messa al bando degli HCFC entro un breve lasso di tempo.
Il Problema dell’Ozono
L’ozono, O3, ha la caratteristica di assorbire le radiazioni solari ultraviolette (nell’introno di
0.25 m) e quindi di esercitare una vitale funzione protettiva sull’Uomo. Esso si forma dalle
molecole di O2 mediante la reazione endotermica:
3 O2 2 O3 288.8 kJ / mol [247]
L’ozono è uno stato allotropico dell’O2 ed è piuttosto instabile. La costante di equilibrio della
precedente reazione è K=10-54.
L’input energetico è fornito sia dalla radiazione solare che dalle scariche elettriche
atmosferiche. La radiazione solare è molto intensa ad alta quota (stratosfera, da 25 a 50 km s.l.m)
e in corrispondenza dell’equatore.
La maggior quantità di ozono si ha ai poli per effetto del trasporto dovuto ai moti planetari
dell’aria. La concentrazione dell’ozono nell’aria è molto bassa e pari a 0.375 ppm. I processi che
possono provocare la formazione e la distruzione dell’ozono possono essere molteplici e in
particolare si segnalano le seguenti reazioni:
3SO2 O3 3SO3
H 2 S O3 H 2 SO3
NO O3 NO2 O2
Cl O3 ClO O2
3H 2 O3 3H 2O
H 2O O3 3H 2O2 O2
Si vede, quindi, che alla distruzione dell’O3 concorrono anche alcuni inquinanti atmosferici
quali l’SO2, H2S, NO,….
A queste reazioni si aggiunge anche quella di attacco dei CFC secondo il seguente schema:
CFC Ultravioletto Cl FC
Cl O3 ClO O2 [248]
Pertanto il cloro (ma è presente anche un’analoga reazione per il fluoro presente in minor
quantità) attacca l’ozono eliminandolo dall’atmosfera.
Le intuizioni dei ricercatori Rowland e Molina (1974) sull’azione dei CFC è stata confermata
dalle osservazioni fatte dal 1978 al 1989 che hanno mostrato una riduzione del 9% di ozono
nell’emisfero Sud e 4% nell’emisfero Nord.
I CFC più aggressivi sono quelli più stabili, cioè con una molecola priva di legami deboli. L’R12
è una molecola composta da CCl2F2 e quindi molto stabile: è questa la molecola più aggressiva.
Per destabilizzare i CFC (clorofluoro carburi) si preferisce usare molecole con presenza del
legame a idrogeno, come avviene nelle molecole HCFC (idroclorofluoro carburi). Si definisce indice
di distruzione dell’ozono (Ozone Depletion Index), ODP, l’effetto sull’ozono valutato in rapporto a
quello dell’R11.
Si ha la seguente tabella comparativa:
USO R11
SCHIUME ISOLANTI
REFRIGERAZIONE E
CONDIZIONAMENTO
SPRAY
ALTRO
USO DI R12
SCHIUME ISOLANTI
REFRIGERAZIONE E
CONDIZIONAMENTO
SPRAY
ALTRO
Sono stati proposti riduzioni ancora più radicali. In ogni caso occorre ottimizzare i processi
tecnologici e produttivi in modo da minimizzare i rilasci, ridisegnare agli organi di tenuta e
giunzioni degli impianti esistenti.
Per la sostituzione completa dei CFC occorre trovare nuovi fluidi frigorigeni che abbiano
caratteristiche chimico – fisiche ottimali: non devono inquinare, non essere volatili, essere
chimicamente stabili, non corrodere i metalli costitutivi degli impianti, non essere infiammabili,
avere buona capacità di trasporto termico e quindi elevato calore latente di vaporizzazione, basso
costo, possibilità di adattarsi ai compressori e alle attuali tecnologie del freddo.
USO DI R11 + R12
SCHIUME ISOLANTI
REFRIGERAZIONE E
CONDIZIONAMENTO
SPRAY
ALTRO
Possibili sostituti dei CFC sono: solo in fase transitoria gli idrocarburi alogenati insaturi,
HCHFC, gli Idro fluoro Alcani, HFA, come R123.R124, R134a, R141b.
Si tenga presente che il problema della sostituzione dei CFC è di enormi proporzioni sia per la
ormai grandissima produzione industriale attuale di questi fluidi, sia per il necessario lavoro di
adattamento della meccanica (compressori) alle mutate caratteristiche termofisiche e infine per il
problema posto dai nuovi componenti (R123, R134a,….) di essere diluenti delle guarnizioni
utilizzate nella costruzione degli stessi compressori.
Caratteristiche Termofisiche dei Fluidi Frigorigeni
Al fine di dimensionare gli impianti frigoriferi è necessario conoscere le caratteristiche
termofisiche dei fluidi di lavoro oggi più utilizzati, quali l’R22, l’R134a e l’ammoniaca (R717).
Nelle tabelle nelle figure seguenti si riportano queste caratteristiche, per altro reperibili nei
manuali specializzati per impianti frigoriferi e nel manuale ASHRAE.
Per ulteriori approfondimenti si rimanda ai manuali specializzati.
Tabella 22: Confronto delle efficienze per funzionamento standard –10, +30 °C
In Figura 119 si vede che l'organo meccanico che assorbe lavoro dall'esterno é il
compressore. Solitamente l'energia viene fornita ad un motore elettrico che provvede a far
muovere i componenti di un compressore meccanico del tipo a pistoni, a vite o centrifugo. E'
possibile sostituire quest'organo meccanico con un sistema alimentato con energia termica? La
risposta é positiva e il ciclo viene detto ad assorbimento. In Figura 137 ne é indicato lo schema
impiantistico per una macchina del tipo acqua-ammoniaca. La miscela acqua-ammoniaca si
compone di acqua che fa da solvente e di ammoniaca che fa da soluto (e quindi più volatile). Per
effetto del calore Q4 ceduto al serbatoio superiore (detto generatore) si libera NH3 allo stato quasi
puro e ad alta pressione.
L'NH3 inizia il ciclo classico di condensazione, laminazione ed evaporazione (presente anche
nel ciclo frigorifero classico a compressione di vapori saturi). All'uscita dell'evaporatore l'NH3 si
ricombina nel serbatoio inferiore, detto assorbitore, con la miscela di acqua-ammoniaca
impoverita di ammoniaca e proveniente dal serbatoio superiore (tramite una valvola di
laminazione perché in basso c'è una pressione inferiore a quella presente in alto). La reazione di
assorbimento é esotermica e quindi cede calore Q4 all'esterno. Una pompa provvede a riportare la
miscela di acqua e ammoniaca ricomposta al serbatoio superiore (generatore) e si riprende il ciclo.
In conclusione si hanno due cicli:
uno interno fra generatore e assorbitore;
uno esterno che produce nell'evaporatore l'effetto frigorifero.
GENERATORE 1
NH3
CONDENSATORE
7 H2O + NH3
qg qc
6 VALVOLE DI LAMINAZIONE
p1
8 2 LINEA DELLE PRESSIONI
POMPA RICIRCOLO 9 3
p2 5
EVAPORATORE
H2O
qo
4
ASSORBITORE
qa
L'utilizzo come pompa di calore risulta conveniente negli impianti cogenerativi perché
queste macchine trasformano un carico elettrico (quello dei compressori tradizionali alimentati ad
energia elettrica) in un carico termico (quello del generatore) e quindi consentono di avere sia
caldo (pompa di calore) che freddo (refrigeratore) con sola energia termica.
q0 qg qa qc
To Tg Ta
avendo indicato con T0, Tg e Ta le temperature all’evaporatore, al generatore e all’assorbitore.
Log p
1
0.8 0.6 0.4 0.3 0.2 0
pc 1=2
8
po
3=4 5 Soluzione
A B C
To Tg 1/T
Ta
E’ noto dalla teoria delle soluzioni che per liberare NH3 da una miscela con acqua occorre
fornire calore mentre corre raffreddare la miscela per assorbirla. Quanto detto viene riportato in
abachi aventi in ascissa la concentrazione (massa di soluto per kg di miscela) e la temperatura T.
In Figura 139 si ha un esempio per curve vaporus – Liquidus relative a due pressioni. Le due curve
separano tre campi di esistenza della soluzione: liquido – vapore saturo – vapore surriscaldato.
Applicando la regola delle fasi di Gibbs si possono determinare i gradi di libertà del sistema
nei tre campi di esistenza anzidetti e sulle curve di equilibrio.
Nelle applicazioni impiantistiche relative agli impianti frigoriferi risulta più agevole riferirsi al
piano (h,), aventi in ordinate le entalpie specifiche e in ascisse le concentrazioni del soluto
(ammoniaca). Si ha quindi la modifica dell’abaco di Figura 139 che diviene quello di Figura 140.
In questi abachi, oltre alle curve di equilibrio, vi sono le curve ausiliarie che servono per
determinare il punto corrispondente del vapore in equilibrio con il liquido di cui sono note ( e T) o
( e p). Nella stessa figura si vede come il liquido segnato con A stia in equilibrio con il vapore B
determinato dall’intersezione della AA’ (con A’ sull’ausiliaria di pari pressione) e con la A’B (con B
sulla curva vaporus alla pressione del liquido).
L’abaco così strutturato prende il nome di Merkel – Bosnjakovic ed è riportato, per la miscela
acqua – ammoniaca, in Figura 141.
La trasformazione 56 avviene a v costante fino alla temperatura di uscita alla pressione p1. Il
liquido condensato è formato da NH3 quasi pura ed attraversa la valvola di laminazione
(trasformazione isoentalpica) fino al punto 7 (trasformazione =costante e h =costante)
coincidente con il punto 6 prima trovato.
Il liquido laminato viene poi vaporizzato nell’evaporatore nelle condizioni relative al punto 8.
A seconda della temperatura di inizio e di fine evaporazione (si osservi che si ha sempre una
miscela di due componenti e che, per conseguenza, non si ha temperatura costante durante il
passaggio di stato di evaporazione) il punto 8 può ricadere nella zona dei vapori saturi.
Per determinarlo occorre conoscere le condizioni della miscela tutta liquida alla temperatura
di inizio vaporizzazione (L) e di quella tutta vapore nelle stesse condizioni, (V), come indicato in
figura con l’ausilio delle curve ausiliarie, vedi il particolare in Figura 144.
La miscela avrà le condizioni 8 date dalla intersezione del v = costante (in quanto la
percentuale di NH3 rimane costante nella miscela) con la retta LV dianzi determinata.
Il fluido nelle condizioni del punto 8 entra nell’assorbitore e il ciclo riprende nuovamente
con la miscela arricchita che esce nelle condizioni del punto 4 dall’assorbitore.
La portata di fluido frigorigeno all’evaporatore si determina con il rapporto:
P0
mv
h8 h7
ove si ha:
P0 potenzialità frigorifera, kW;
h8 – h7 differenza di entalpia all’evaporatore, kJ(kg.
GENERATORE 5 NH3
CONDENSATORE
1 H2O + NH3
Ge Qg Q1
2 6
p1
LINEA DELLE PRESSIONI
POMPA RICIRCOLO 3 7
p2 4'
EVAPORATORE
3' H2O
Q2
8
As
4
ASSORBITORE Qa
La portata di liquido impoverito è in rapporto ben determinato con quella del vapore
nell’evaporatore e per determinarla occorre fare un bilancio delle masse di NH3 entranti ed uscenti
dal generatore, Ge. A tale scopo indichiamo con f il numero di kg di soluzione ricca da far circolare
per ogni kg di vapore necessario all’evaporatore. Con riferimento alla Figura 145 si ha il seguente
bilancio delle masse:
f r 1 v f 1 p
da cui ricaviamo:
v p
f
r p
espressa come kgsoluzione/kgvapore.
La portata totale della soluzione è:
mr f mv
Il calore da fornire al generatore, Qg, può essere determinato dal bilancio energetico allo
stesso generatore. Dalla Figura 145 si ha:
1 h5 f 1 h2 f h1 Qg
Energiauscente Energiaentrante
Assume una certa importanza, in questo tipo di impianti, il rapporto fra il calore asportato
all’evaporatore e quello fornito al generatore. Questo viene detto rapporto termico, R, e coincide
con il coefficiente di effetto utile se si trascura il lavoro della pompa. Risulta:
Q h h
R ev 8 7
Qg Qg
p
r v
Figura 143: Ciclo ad assorbimento nel piano (h, )
1 [kg]
5
f [kg]
1 Ge
Qg
2
[f-1] [kg]
ove si ha:
mr è la portata di miscela ricircolata, (kg/s)
vr volume specifico della miscela, (m³/kg)
p1 –p2 salto di pressione fra assorbitore e generatore, (Pa).
Per la determinazione del ciclo di Figura 143 occorre conoscere, quali dati di progetto, la
temperatura di evaporazione iniziale, t’ev, e finale, t”ev, la temperatura del generatore, tg, la
temperatura di uscita della soluzione ricca dall’assorbitore, ta, e la temperatura finale di
condensazione, tc.. Si determina, in primo luogo, la pressione di esercizio del condensatore, p1,
nonché la pressione di esercizio dell’evaporatore, p2. Per far ciò supponiamo, inizialmente, che
l’NH3 lasci il generatore pressoché pura (v =1); in questo modo sull’asse verticale a destra della
Figura 141 è possibile trovare l’intersezione la =1 e le isoterme t’ev e tc determinando le due
isobare di equilibrio p2 e p1. Noti questi valori, dall’intersezione della isobara p1 con la isoterma tg
si ottiene il punto 2 di equilibrio all’uscita dal generatore e dall’intersezione dell’isobare p 2 con
l’isoterma ta si ottiene il punto 4 di equilibrio all’uscita dall’assorbitore.
Qualora non ci sia lo scambiatore di calore di recupero si traccia il ciclo di liquido, come
indicato in Figura 143. Sono così determinati i valori delle concentrazioni r e p delle soluzioni
ricca e povera. Con l’uso delle curve ausiliarie a pressione p1 si può determinare il punto 5
rappresentativo del vapore all’uscita dal generatore. Il punto 6 di fine condensazione si determina
dall’intersezione dell’isoterma tc e della v Il punto 7, a valle della laminazione, coincide (almeno
per questo tipo di abachi) con il punto 6, per quanto già detto in precedenza. Il punto 8 si
determina mediante l’intersezione fra la LV con la v = costante. Se si ha lo scambiatore di calore
allora si procede come sopra detto per la determinazione delle pressioni e dei punti 4, 2, 5, 6, 7, 8.
Il punto 3’ di uscita dallo scambiatore di calore di determina intersecando la p 0 cost con la
isoterma tc. L’entalpia del liquido nelle condizioni del punto 1’ si determina con un semplice
bilancio energetico allo scambiatore di calore. Con il simbolismo di Figura 145 si ha:
f h1' h4 f 1 h3 h3'
ovvero:
f 1
h4' h4 h3 h3'
f
In genere si può considerare h4’ = h1 e segnare il punto 1 lungo la = r nel diagramma di
Figura 143. Il flusso termico che lo scambiatore deve trasmettere vale:
Qsc mv f h4' h4
In questo modo resta completamente tracciato il ciclo ad assorbimento nel piano (h, ).
Si é detto che una macchina frigorifera può essere usata anche per produrre calore: in
questo caso più che interessarci del serbatoio freddo ci si interessa del serbatoio caldo. In Figura
119 é indicato anche il lato pompa di calore nello schema di impianto a destra della stessa figura.
Quando la macchina é alimentata elettricamente l'utilizzo come pompa di calore risulta
decisamente conveniente essendo il COP maggiore di 2 e variabile fra 2 e 5 a seconda dei casi. In
effetti il valore del COP dipende soprattutto dal meccanismo di scambio di calore utilizzato nei due
serbatoi.
L'uso delle pompe di calore é da preferire all'uso diretto dell'energia elettrica su resistenze
elettriche (effetto Joule). In quest'ultimo caso si ha una conversione 1:1 di energia elettrica in
energia termica mentre con una pompa di calore si ha una conversione con rapporto 1:COP e
quindi con un migliore utilizzo della stessa energia. Attualmente l'utilizzo e l'installazione delle
pompe di calore sono favoriti dalla legislazione vigente mediante finanziamenti in parte a fondo
perduto e con agevolazioni negli interessi e nel pagamento. Inoltre l'introduzione della tariffazione
dell'energia elettrica differenziata fra giorno e notte può consentire notevoli risparmi e benefici
economici potendosi, ad esempio, accumulare energia di notte (ad un costo più basso) e utilizzarla
di giorno.
I serbatoi freddi da cui prelevare l'energia termica sono di solito costituiti da bacini
ambientali di grandi capacità, quali l'aria, l'acqua del mare o di laghi o di fiumi di grande portata. Il
funzionamento delle macchine frigorifere può essere reso reversibile a pompa di calore mediante
inversione delle funzioni del condensatore e dell'evaporatore.
Ciò é oggi effettuato elettronicamente mediante elettrovalvole servocomandate. In questo
modo gli impianti frigoriferi (che prima venivano utilizzati solamente per il condizionamento
estivo) possono essere utilizzati anche per il riscaldamento invernale con beneficio economico
notevole: il costo del contratto di fornitura dell'energia elettrica non é più suddiviso nei soli mesi
estivi ma in tutto l'arco dell'anno.
Alcuni costruttori hanno introdotto nel mercato pompe ad assorbimento del tipo acqua-BrLi
(bromuro di litio) o FLi (Fluoruro di litio) che presentano interessanti vantaggi rispetto a quelle
acqua-ammoniaca prima illustrate. Le nuove macchine, infatti richiedono una temperatura al
generatore di circa 80 °C e quindi possono essere alimentate con caldaie tradizionali ovvero anche,
ed è questo l’aspetto più interessante, con energia solare.
Infatti con una opportuna scelta di collettori ad alto rendimento (magari del tipo a tubi di
vetro o debolmente concentranti per avere temperature di esercizio vicine agli 80 °C) si può
9 PSICROMETRIA
84
Nel campo di applicazione della Climatizzazione i gas presenti nell’aria secca (O 2, O3, N2, CO2, He, Ne, Ar,…)
non sono condensabili e si comportano da gas ideali. Al contrario il vapore acqueo (H2O) si comporta come vapore
saturo secondo il noto diagramma di Andrews.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 218
Legge di Gibbs-Dalton
La pressione parziale di ciascun componente è quella che si ottiene supponendo che il
componente occupi da solo, a pari temperatura, l’intero volume. Inoltre la pressione totale
della miscela è la somma delle pressioni parziali dei componenti:
pt pa pv [251]
ove pa è la pressione parziale dell’aria secca e pv è la pressione parziale del vapore acqueo.
Legge di Amagat - Leduc
Il volume parziale di un componente è quello che occupa supponendo che esso sia, alla
stessa temperatura, alla pressione totale della miscela:
Vt Va Vv
Si preferisce considerare una quantità 1+x di miscela per comodità di calcolo (come si vedrà
nel prosieguo). Valgono le seguenti relazioni (assumendo entalpia nulla a 0 °C):
ha c pa t
[257]
hv r c pv t
che è l’espressione dell’entalpia dell’aria umida cercata. Con riferimento al S.I. si ha,
numericamente:
h1 x h 1.003 t x (2501 1.93t ) kJ/kgas [259]
e si esprime in kJ/kgas cioè in kJ per kg di aria secca, intendendo che x , (g/kg), di vapore
sono associati nelle condizioni di temperatura e pressione totale della miscela.
Nel S.T. la precedente relazione si scrive nella forma:
h 0.24t x 597.5 0.448t in kcal/kg as
La conoscenza delle forme analitiche dell’entalpia dell’aria umida risulta utile nel calcolo
delle grandezze di scambio mediante computer.
Risulta utile nelle applicazioni impiantistiche riportare la [259] in forma grafica. A questo
scopo il primo diagramma per l’aria umida, detto anche psicrometrico, è stato quello di Mollier
riportato in Figura 147. Esso riporta su assi obliqui l’umidità specifica, x, e l’entalpia, h, secondo le
equazioni sopra riportate.
Nel diagramma sono anche segnate le curve ad umidità relativa, , costanti, le curve a
volume costante, v, e le isoterme, T.
Il diagramma psicrometrici è costruito in modo tale da avere l’isoterna t=0 orizzontale, come
schematicamente illustrato in Figura 148. Si osserva, inoltre, che le isoterme generiche incontrano
l’isoterma t=0 in un punto avente coordinate date dalla soluzione del sistema di equazioni:
h c pa t x r c pvt
t 0
ovvero nel punto avente coordinate:
c pa c pa
x' ; h ' r
c pv c pv
Questo punto non ha significato per l’aria umida poiché non ha senso una umidità specifica
negativa. Esso rappresenta il centro di un fascio di rette (le isoterme), come indicato in Figura 149.
L’essere il centro di proiezione molto lontano dall’origine degli assi porta ad avere le
isoterme sensibilmente orizzontali nell’intervallo di temperature da -10 °C a 50 °C.
Ciò porta a quotare l’asse delle ordinate (asse delle entalpie totali) come asse fittizio delle
temperature. Allo stesso modo si proietta l’asse delle x sulla retta che rappresenta l’isoterma t=0
ottenendo un asse fittizio dell’umidità specifica.
Ne consegue che spesso il diagramma psicrometrici di Mollier appare (ma non lo è) come un
diagramma ad assi rettangolari (t,x) anziché ad assi obliqui (h,x)., come si può osservare dalla
stessa Figura 147. Nel piano qui considerato si tracciano anche le curve ad umidità relativa
costante e quelle a volume costante, mediante la relazione che lega il volume specifico ad x:
pv Ra xRv T
da cui si trae:
pv Ra
x
RvT Rv
85
La disposizione del diagramma e la scelta opportuna dell’angolo fra gli assi obliqui porta ad avere le
isoterme apparentemente verticali e quindi ad immaginare l’asse delle ascisse come quello delle temperature. L’asse
delle ordinate è quello dell’umidità specifica, x. Le isoentalpiche (asse delle ascisse vero) sono rette oblique riportate
nel diagramma come dipartentesi da un asse obliquo quotato con i valori dell’entalpia dell’aria umida.
86
La nebbia è uno stato metastabile nel quale dell’acqua in sospensione risulta miscelata ad aria umida
satura. L’interesse pratico di questo stato (come pure l’aria nevosa) è tipico della Meteorologia più che
dell’impiantistica.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 222
t=0
rx
t=40°C
50 t=30°C
40 t=20 °C
30
20 t=10°C
10 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 g/kg t=0 "C
0 (x)
P (x',h')
negativa
h t costante
v cost
ante
h co
stan
te
t e
costan
umidità
Se supponiamo di avere due canali coibentati che trasportano ciascuno due flussi d’aria
avente condizioni termoigrometriche indicate dai punti 1 e 2, rispettivamente.
Corrente 1: m1, 1, t1, x1
Corrente 2: m2 , 2 , t2 , x2
Allora la miscelazione (supposta per semplicità adiabatica, cioè in assenza di scambio di
calore con l’esterno) porta a scrivere tre equazioni di bilancio: una per la massa di aria secca, una
per l’entalpia e una per la massa specifica di vapore acqueo. Si hanno, quindi, le equazioni:
m1 m2 m0
m1 x1 m2 x2 m0 x0
m1h1 m2h2 m0h0
Da queste è immediato ricavare:
m x m2 x2
x0 1 1 [260]
m1 m2
m1h1 m2h2
h0 [261]
m1 m2
E ancora, in analogia:
m1t1 m2t2
t0 [262]
m1 m2
h x
1
1
2
3
2
Figura 152: Rappresentazione della miscelazione adiabatica di due correnti d’aria umida
2
h
h x
1
1 2
La condensa rievapora non appena l’umidità relativa sale al di sopra della =100% ma i
materiali che sono stati bagnati possono deteriorarsi facilmente.
Si tratta del tipo di deumidificatori più utilizzati, soprattutto nel campo della climatizzazione,
e consistono in batterie alettate nelle quali un fluido freddo porta l’aria umida (che fluisce
esternamente) in condizioni al di sotto del punto di rugiada e quindi facendo condensare il vapore
in eccesso.
La batteria alettata è del tipo ad alette ma in questo caso alla base si deve avere una vasca di
raccolta della condensa ed un sistema di scarico. Il processo di deumidificazione avviene per
variazioni successive delle condizioni igrometriche dell’aria, come mostrato nella Figura 154: dalla
temperatura iniziale t1 si passa ad una temperatura t21 nella quale inizia il distacco dal
87
Il diagramma di Glaser è molto utilizzato nell’impiantistica civile per rappresentare graficamente
l’andamento delle pressioni di vapore nei vari strati di una parete e delle pressioni di vapore di saturazione alle
temperature medie degli stessi strati. Quando le due curve si intersecano allora si ha formazione di condensa interna
nella parete. In pratica per effetto delle distribuzioni di temperature negli strati e delle caratteristiche termofisiche
degli stessi, all’interno delle pareti si può scendere al di sotto del punto di rugiada con conseguente formazione di
condensa liquida interstiziale che, di solito, produce guasti strutturali (sbriciolamento dei materiali, formazione di
muffe superficiali, ….).
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 227
h 1
t21
nte
nge
Ta
t211
ts
Ga Gv
t,x,h
t,x,h ts dS
t+dt
x+dx Ga
h+dh
Gv + dGv
2
S
Il flusso termico totale scambiato dalla superficie dS vale, per le precedenti relazioni:
dq dqs dql h t ts D x xs r dS
detto Numero di Lewis che riveste grande importanza nei fenomeni di trasporto e
rappresenta il rapporto fra fenomeni convettivi (rappresentati da h) e diffusivi (rappresentati da
cpD). Nel caso di scambi fra aria umida e la superficie fredda delle batterie alettate in regime
turbolento si può ritenere Le 1 e quindi la diviene:
h
dq c p t ts x xs r dS [270]
cp
Poiché l’entalpia dell’aria umida vale:
h c pa t r c pv t x
dh h h hs
dx Dc p x xs
BPFGa
Aria che subisce by pass
[1-BPF] Ga
L’aria umida di partenza può assorbire una quantità di vapore sufficiente a farle raggiungere
le condizioni di saturazione oltre le quali non accetta più vapore. In queste condizioni (aria
saturata) l’acqua spruzzata non ha più alcun effetto e viene totalmente rigettata. In Figura 161 si
ha la rappresentazione schematica per i due tipi di diagrammi psicrometrici della saturazione
adiabatica.
Analiticamente la saturazione adiabatica (si trascurano gli scambi con l’esterno) si studia
impostando le equazioni di bilancio dell’entalpia e dell’umidità specifica della corrente d’aria
umida prima e dopo l’operazione di lavaggio con acqua fredda ottenendo le seguenti relazioni:
m1 m2
x1 x
m1 mw m2 2 [273]
1000 1000
m1h1 mwhw m2h2
ove si è tenuto presente, come si può osservare dal diagramma psicrometrico di Figura 147,
che le quantità di umidità specifica associata ad 1 kg di aria secca sono molto piccole (pochi g/kgas
o qualche decina di g/kgas) e pertanto per riportiamo le x in kg occorre dividerle per 1000.
Si ha il simbolismo della Figura 160 e si è indicata con hw l’entalpia dell’acqua introdotta con
portata mw (kg/s).
Si osservi che nelle [273] la portata di aria secca non varia ma varia solo l’umidità specifica
per effetto dell’acqua spruzzata.
E’ questo il motivo fondamentale per cui le grandezze psicrometriche sono sempre riferite al
kg di aria secca. Con semplici passaggi si ottiene:
h h h mw c p w
R 2 1 w [274]
x2 x1 1000 1000
Questa relazione ci dice che il rapporto direttivo R (si ricordi che i diagrammi psicrometri
sono in assi obliqui h, x) della retta luogo dei punti della trasformazione considerata è pari
all’entalpia dell’acqua che spruzziamo.
h
1
h x
2 1
3
3
Ora l’ultimo membro esprime un rapporto molto piccolo tanto che si considera praticamente
pari a zero e pertanto il rapporto direttivo della retta è nullo.
Ciò significa che essa è parallela all’asse delle x ovvero che la trasformazione qui considerata
è, con buona approssimazione (tanto più vera quanto minore è la temperatura dell’acqua
spruzzata) una isoentalpica, come visibile in Figura 161.
Se si osserva bene l’andamento delle linee di trasformazione che passano dal punto 1
(iniziale) al punto 2 (finale, saturo) si deduce che la saturazione adiabatica oltre a far aumentare
l’umidità88 specifica (sino alla condizione di saturazione) fa anche scendere la temperatura
dell’aria in entrata nel saturatore.
h x
1
2 2
88
Nella pratica non tutta l’aria riesce a saturarsi poiché le goccioline non hanno un contatto esteso con tutta
la massa dell’aria che attraversa gli ugelli. Ne consegue che il punto finale, 2, è sempre leggermente al di sopra del
punto rappresentato nella Figura 161. In ogni caso si ha sempre un incremento sensibile dell’umidità specifica e un
decremento della temperatura dell’aria.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 234
Pertanto si può anche pensare di utilizzare questo sistema (invero semplice ed economico)
per far diminuire la temperatura dell’aria. E’ proprio quello che gli arabi hanno fatto per secoli:
mediante un uso sapiente e raffinato dell’acqua delle fontane essi saturavano l’aria che veniva
mandata all’interno degli edifici medianti canali in muratura e ciò contribuiva (e contribuisce
tuttora) a mantenerli accettabilmente freschi.
Un’antica usanza meridionale per difendersi dal vento caldo di scirocco è quella di porre
nei battenti delle porte e delle finestre pezze di lana bagnate: l’aria di infiltrazione
(originariamente calda) che attraversa i battenti si arricchisce di vapore proveniente dai panni
bagnati e, inumidendosi, si porta a temperatura inferiore a quella esterna.
Allo stesso modo l’antico uso di serbatoi in argilla per custodire l’acqua si giustifica con una
saturazione adiabatica dell’aria circostante ottenuta avvolgendo il serbatoio con un panno di lana
(più poroso del normale panno di cotone) imbevuto con acqua: questa evaporando nell’aria
circostante (se l’umidità relativa è inferiore al 100%) assorbe calore latente di vaporizzazione dal
contenuto del serbatoio e quindi raffresca, seppur moderatamente, l’acqua contenuta all’interno.
Quanto detto spiega anche la sensazione di fresco che si ha in campagna o vicino ai
giardini: la traspirazione di vapore dalle foglie assorbe calore latente dall’ambiente contribuendo a
renderlo più fresco delle zone circostanti e lontane dagli alberi.
La temperatura di saturazione adiabatica, tb, è, per quanto sopra detto, la temperatura
raggiunta da una quantità di aria umida quando, con un processo adiabatico verso l’esterno, viene
portata a saturazione mediante evaporazione di una certa quantità di acqua che si trovi alla
temperatura tb. nell’ipotesi di processo adiabatico si può scrivere:
hb h xb x hls [275]
ove h e x sono l’entalpia e l’umidità specifica della miscela prima del trattamento e hb e xb
sono le analoghe grandezze dopo la saturazione adiabatica, hl è l’entalpia dell’acqua evaporata a
temperatura tb.
Poiché l’aria nelle condizioni finali si hanno le condizioni di saturazione allora queste sono
solo funzioni della temperatura tb e lo stesso si può dire per l’entalpia del liquido hl.
Ne segue che tb è solo funzione di h e x e quindi è una funzione di stato.
Tenendo presente le espressioni delle grandezze interessate, la [275] fornisce:
1.006 tb ta xb 2501 2.364tb
x [276]
2501 1.83ta 4.194tb
Punto Ambiente
tbs iso
ent
alp
ica
tbu Punto di
rugiada
t
bs
t
bu
Bulbo Bulbo
Umido Secco
10 TERMOELETTRICITÀ
Se due materiali diversi, A e B come indicato in Figura 164, sono posti a contatto formando
due giunzioni e se ciascuna giunzione è posta a temperatura T e T0 allora ai capi del circuito si
sviluppa una f.e.m. data dalla relazione:
E AB (T T0 ) (277)
T To
A A
B
Il coefficiente AB è detto coefficiente di Seebeck relativo fra i due materiali considerati A e B.
La Termodinamica Irreversibile (Onsager, Callen) dimostra che è possibile definire i poteri
termoelettrici assoluti A e B di ciascuno dei due materiali dato dal rapporto (cambiato di segno)
tra il gradiente di potenziale elettrico ed il gradiente di temperatura nel materiale considerato a
corrente nulla.
Il potenziale termoelettrico assoluto può essere positivo e negativo e risulta, inoltre:
AB A B (278)
In genere si utilizza un valore medio di AB nell’intervallo TT0, come illustrato in Figura 165. I
valori usuali del potere termoelettrico è dell’ordine di 50 V/K per materiali metallici e 200300
V/K per i materiali semiconduttori. L’effetto sopra descritto è detto Effetto Seebeck e risulta di
grandissima importanza nella applicazioni elettroniche e nel campo delle misure termiche. Esso,
infatti, rappresenta il legame fra campi termici e fenomeni elettrici.
Scegliendo opportunamente l’intervallo T si può utilizzare un valore medio che è
sensibilmente vicino al valore puntuale di AB e pertanto si può immaginare una legame funzionale
lineare che lega T con la forza elettromotrice E che si manifesta ai capi dei morsetti.
Se una coppia si mantiene a temperatura nota (ad esempio T0) allora la (277) lega
univocamente la E con la T e quindi, dopo una opportuna taratura, mediante un voltmetro
sufficientemente sensibile, si può conoscere il valore della temperatura T.
Si osservi che le termocoppie non solo risolvono il problema della misura della temperatura
senza dover fare ricorso a termometri a fluido di tipo convenzionale, esse consentono anche di
avere un segnale elettrico di tipo analogico che può essere utilizzato in campo controllistico
(dispositivi elettromeccanici) con elevate precisioni e rapidità di risposta.
Oggi le termocoppia sono strumenti standard nel campo delle misure termiche e gli stessi
dispositivi di raccolta dati (Data Logger) provvedono a correggere le misure con riferimento ad un
giunto freddo convenzionale a 0 °C.
Le dimensioni delle termocoppie possono essere davvero piccole potendosi oggi costruire
giunzioni con diametri inferiori a 0.2 mm e quindi inseribili in punti di misura tanto piccoli da
disturbare molto poco il campo di misura.
Le coppie di metalli usate sono Ferro – Stagno, Ferro – Costantana, ed altre ancora.
Si consideri adesso il circuito di Figura 166 nel quale le due giunzioni composte dai materiali
A e B sono mantenute alle temperature T e T1 con circuito chiuso e con una corrente circolante I.
Si dimostra che allora in corrispondenza delle due giunzioni si ha cessione ed assorbimento di
flussi termici dati dalla relazione:
qP AB I (280)
ove AB è detto coefficiente relativo di Peltier tra i materiali A e B. Le dimensioni di questo
coefficiente sono di [W/A]=[V]. Il coefficiente di Peltier deve essere valutato alla temperatura del
giunto a cui si riferisce.
Anche l’effetto Peltier è reversibile per cui invertendo le polarità della generatore di
tensione, e quindi il verso della corrente, si ha l’inversione dei flussi termici.
Fra i coefficienti di Seebeck e quello di Peltier si dimostra (vedi Onsager) valere la seguente
relazione:
AB ABT (281)
Ove T è la temperatura del giunto considerato. Pertanto l’effetto Peltier si può anche
scrivere nella forma:
qP AB T I A B T I (282)
Si osservi che oltre ai flussi termici di Peltier si hanno contemporaneamente i flussi Joule (per
effetto della resistenza elettrica dei materiali) e Fourier (di conduzione termica per effetto della
differenza di temperatura fra i due giunti).
q- q+
T P P
T1
A A
B
I
+ -
89
Un semiconduttore di tipo p è drogato con elementi positivi e quindi si hanno lacune elettriche positive
disponibili.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 240
formare due giunti, quello caldo in alto e quello freddo in basso. Il circuito è chiuso e circola una
corrente di intensità I alimentata da un generatore di tensione V.
Il bilancio di energia al giunto freddo è dato da:
qP q0 qi (285)
ove si ha:
qP calore generato o assorbito per effetto Peltier;
q0 calore assorbito al giunto freddo,
qi calore generato internamente per effetto Joule e per conduzione termica fra i
giunti.
q
o T
0
Giunto Freddo
qi qp qp qi
p n
T1 T1
Giunto caldo
q1
q1
I
E
ove si è supposto, per semplicità (ma con buona approssimazione) che il calore prodotto per
effetto Joule si suddivida in parti eguali verso i due giunti. Nella precedente relazione K è la
trasmittanza termica totale che dipende dai materiali utilizzati per i due componenti p ed n.
Inoltre R è la resistenza elettrica totale del circuito. Sostituendo le espressioni del calore di
Peltier dato dalla (282) nella (285) si ha:
q0 p n T0 I K T1 T0 0.5RI 2 (287)
Questo è l’effetto frigorifero prodotto da questo circuito. Esso dipende dai materiali (tramite
pn) e dalle loro proprietà termofisiche (K) ed elettriche (R). Di un frigorifero si suole calcolare
l’efficienza frigorifera definita dal rapporto fra l’effetto frigorifero ottenuto e la potenza elettrica
impegnata, cioè:
q
0 (288)
P
90
Un semiconduttore di tipo n è drogato con elementi negativi e quindi si hanno elettroni liberi che sono
caricati negativamente.
PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA
TERMODINAMICA APPLICATA 241
Osserviamo ora che la caduta di tensione nel circuito è la somma della caduta ohmica e di
quella per effetto Seebeck, cioè si ha:
V pn T1 T0 R I (289)
L’efficienze frigorifera risulta allora data dal rapporto (per la (287) e la (290) sopra scritte):
a pnT0 I K T1 T0 0.5R I 2
(291)
pn T1 T0 I R I 2
Questa relazione è interessante poiché ci consente di osservare che in assenza di perdite
irreversibili dovute alla conduzione termica e all’effetto Joule avremmo ottenuto una efficienza
pari a:
pnT0 I T0
pn T1 T0 I T1 T0
che è l’efficienza massima ottenibile da un ciclo di Carnot inverso. Le irreversibilità, quindi,
riducono l’effetto frigorifero e quindi occorre ridurle al massimo. In pratica si può dimostrare che
occorre massimizzare il parametro:
pn
2
z (292)
KR
detto figura di merito della coppia di materiali utilizzati. Si osservi come in questo rapporto
siano comprese sia le proprietà termoelettriche (pn) che quelle elettriche (R) e termiche (K).
Attualmente sono disponibili materiali aventi figura di merito pari a z =0.003 K-1 ed aventi le
seguenti caratteristiche:
potere termoelettrico assoluto: =0.00021 V/K
resistività elettrica. =0.00001 m
conducibilità termica: =1.5 W/(mK).
Si tratta di leghe di bismuto – tellurio – antimonio per gli elementi di tipo p e di bismuto –
tellurio – selenio per gli elementi di tipo n.
In Figura 168 si ha un abaco che indica l’andamento dell’efficienza frigorifera in funzione
della differenza di temperatura (T1-T0) in ascissa e della figura di merito z (assumendo che la
temperatura del giunto caldo sia pari a quella atmosferica T1= 300 K).
Come si può osservare per una figura di merito z=0.003 K-1 si possono avere efficienze
comprese fra 2 e 4 per T compresi fra 10 e 20 °C.
Questi valori sono del tutto comparabili a quelli dei frigoriferi a compressione di vapori saturi
ma con l’indubbio vantaggio di non avere organi meccanici in movimento e quindi di potere avere
effetti frigoriferi anche in assenza di gravità o in condizioni operative di particolare disagio. In
Figura 169 si ha lo schema costruttivo di un frigorifero ad effetto Peltier.
Ecco spiegato, quindi, l’interesse di questo dispositivo per applicazioni aeronautiche e
spaziali e in questi ultimi anni anche per alcune applicazioni elettroniche.
Sono infatti disponibili (ad un costo contenuto di circa 5 €/W) piccoli frigoriferi Peltier da
applicare al di sopra di microprocessori per mantenerli a temperatura accettabile.
Questi componenti, infatti, presentano forti dissipazioni termiche (20 90 W per una
superficie di scambio effettiva di qualche cm²) e richiedono un accoppiamento con opportuni
sistemi di dispersione.
Solitamente si utilizzano le piastre con alette di alluminio ma per potenze specifiche elevate
queste possono non essere sufficienti.
Inoltre se manca la circolazione dell’aria le piastre alettate non possono lavorare
correttamente (vedi computer portatili).
Quando si vuole ottenere un raffreddamento certo e maggiore che ne casi normali le piastre
Peltier sono una valida alternativa.
Nella figura seguente si hanno i dati caratteristici di una cella Peltier commerciale: TEC1-
12706 Thermoelectric Cooler Peltier.
e al giunto freddo:
qP pn I T2 (295)
Con il solito ragionamento di flusso Joule diviso in due fra giunto caldo e giunto freddo, la
(293) diviene:
qP K T1 T2 qe 0.5R I 2 (296)
q
Giunto caldo e T
1
q qp qJ q
J qp cond
p n
T T2
Giunto Freddo
qc
q1
r
I
P r I2
(299)
qe pn I T1 K T1 T2 0.5RI 2 2
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172. G. CAMMARATA et alii “Numerical simulation of phase change materials melting process”,
Process. Computational Thermal Sciences, vol. 5, p. 227-237, ISSN: 1940-2503
173. G. CAMMARATA et alii:. “Lumped parameter modeling for thermal characterization of high
power modules”. IEEE Transactions On Components And Packaging Technologies, ISSN:
1521-3331, DOI: 10.1109/TCPMT.2014.2353695
174. G. CAMMARATA et alii: “Indoor Air Quality in a Real Operating Theatre under Effective Use
Conditions”, Journal Of Biomedical Science And Engineering, vol. 7, 2014, ISSN: 1937-6871
11.1.3 MONOGRAFIE
INDICE GENERALE
1 UNITÀ DI MISURA E SISTEMI DI UNITÀ DI MISURA 5
5 EXERGIA 100
9 PSICROMETRIA 217
10 TERMOELETTRICITÀ 236
11 BIBLIOGRAFIA 249
Figura 92: Confronto fra i cicli Otto e Diesel a pari temperatura massima 166
Figura 93: Confronto fra i cicli Otto e Diesel a pari temperatura massima nel piano (p,v) 166
Figura 94: Ciclo Diesel reale nel piano (p,v) 167
Figura 95: Ciclo Sabathè nel piano (p,v) 167
Figura 96: Ciclo ideale Sabathè 168
Figura 97: Ciclo Joule – Bryton con aria standard 170
Figura 98: Andamento del rendimento del ciclo Joule – Bryton e del Rapporto dei lavori 171
Figura 99: Layout del ciclo Joule – Bryton 172
Figura 100: Andamento del ciclo J-B al variare del rapporto delle pressioni a pari Tmax 173
Figura 101: Ciclo Bryton in una turbina di tipo aeronautico 174
Figura 102: Turbina a gas heavy duty Mitsubishi da 131 MW 175
Figura 103: Ciclo Joule Bryton con trasformazioni adiabatiche 176
Figura 104: Rendimenti reali per TC/TA pari a 3.5 e 5 e ciclo ideale 178
Figura 105: Rigenerazione termica in un ciclo J-B ideale 179
Figura 106: Ciclo rigenerativo con l’evidenziazione del calore trasferito 180
Figura 107: Layout di un ciclo Joule Bryton ideale con rigenerazione 180
Figura 108: Andamento del rendimento del ciclo J-B ideale rigenerato e del ciclo ideale 181
Figura 109: Ciclo reale J-B con rigenerazione termica 181
Figura 110: Ciclo rigenerativo reale con aree di scambio 182
Figura 111: rendimento di un ciclo JB reale rigenerato con vari rapporti TC/TA ed =0.85 183
Figura 112: Rendimento di un ciclo JB reale rigenerato con vari rapporti TC/TA ed =0.8 ed =0.7184
Figura 113: Andamento di un ciclo J-B reale con intercooler 185
Figura 114: Impianti a gas di terra 185
Figura 115: Bilancio energetico per una turbina a gas 187
Figura 116: Ciclo combinato a gas e a vapore 187
Figura 117: Ciclo combinato turbina a gas – vapore 187
Figura 118: Ciclo inverso 188
Figura 119: Ciclo inverso a compressione di vapori saturi 189
Figura 120: Ciclo frigorifero a compressione nel piano (Ts) 190
Figura 121: Ciclo frigorifero reale con compressione adiabatica 190
Figura 122: Ciclo frigorifero con compressione multipla 192
Figura 123: Ciclo frigorifero con sottoraffreddamento prima della laminazione 193
Figura 124: Ciclo frigorifero con sottoraffreddamento e surriscaldamento 193
Figura 125: Ciclo frigorifero nel piano (h,p) 193
Figura 126: Layout del ciclo Joule inverso 195
Figura 127: Ciclo Joule inverso per frigoriferi a gas 195
Figura 128: batteria evaporatrice con valvola termostatica 196
Figura 129: Azione della valvola Termostatica 197
Figura 130: Layout della valvola termostatica 197
Figura 131: Uso di R11 in Occidente 199
Figura 132: Uso di R12 in Occidente 200
Figura 133: Uso combinato di R11 ed R12 in Occidente 200
Figura 134: Diagramma h-p per R22 203
Figura 135: Diagramma h-p per R134a 204
Figura 136: Diagramma h-p per R717 (Ammoniaca) 205
Figura 137: Schema di una macchina frigorifera ad assorbimento 206
Figura 138: Rappresentazione del ciclo ad assorbimento 207
Figura 139: Esempio di curve Vaporus – Liquidus 208