GRANADOS - Sacerdozio e Famiglia - Anthropotes 2017-2
GRANADOS - Sacerdozio e Famiglia - Anthropotes 2017-2
GRANADOS - Sacerdozio e Famiglia - Anthropotes 2017-2
José Granados*
SUMMARY: What is the priest’s relationship with the family? The article
seeks to answer this question, not from the point of view of the priest’s pasto-
ral action, but as a key to understanding his identity. The priest is also, and
above all, a familiar man, whose identity is not found only in himself but in
the relationships in which he lives, in Christ and in the Church. The link
between Eucharist and priesthood will offer the biblical and theological basis for
defending this thesis. From the words of thanksgiving that the priest repeats
(“my body, my blood, for you”), the identity of the priest will be described
in time (narrative identity). He is the man of the most original filial memory,
of the covenant that gives unity to the days of life, of a fruitfulness and new
fatherhood in Christ. Only this “familial” vision of the priest, in turn, allows
us to understand the richness that families are for him and the great mission
that the Lord has entrusted to him with families and for families.
Nel film del regista tedesco Wim Wenders Il cielo sopra Berlino, si raccon-
ta la storia di un angelo che vive dedito all’aiuto della gente. Bisbiglia
buoni consigli all’orecchio delle persone perché siano capaci di amare,
perché dirigano la loro mente verso Dio, perché non perdano la speran-
za… Quest’angelo, si potrebbe pensare, è immagine della vita sacerdo-
tale: ecco uno che non vive per sé, ma per gli altri, che ha rinunciato ai
* Docente di Teologia Dogmatica e Vice Preside del Pontificio Istituto Teologico per
le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, Roma.
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2 Cfr. Giovanni Paolo II, Dono e mistero. Diario di un sacerdote, LEV, Roma 2011.
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sacerdote ha a che fare nel suo centro con la vita familiare, solo così può
anche portare una luce per la famiglia, una luce che venga dal di den-
tro del suo vissuto sacerdotale. Altrimenti la sua parola sarà confrontata
sempre dall’obiezione: come può parlare di famiglia un uomo che non
ne ha? E invece, se egli è anche homo familiaris, porterà in sé per altri il
fuoco vivo dell’esperienza familiare3. La sua parola sarà parola nata dal
di dentro della sua esperienza, anche se in un modo nuovo, e potrà illu-
minare elementi diversi dell’esperienza degli sposi.
Per studiare la questione possiamo cominciare con diversi videtur
quod non, con difficoltà contrarie alla nostra proposta. a) La prima si rife-
risce ai fondamenti teologici e biblici. Non è esagerato dire che il sacer-
dozio, secondo la Bibbia e la tradizione, secondo le fonti della teologia,
ha una dimensione sponsale e paterna, ha una dimensione familiare?
Tanti studi biblici sul sacerdozio usano appena le categorie familiari per
descrivere il ministero. La tradizione ha preferito, per esempio, adope-
rare l’immagine del buon pastore4. Siamo allora davanti ad esagerazioni
teologiche la cui altezza non corrisponderebbe alle fondamenta dell’edi-
ficio? b) La seconda difficoltà riguarda il vissuto concreto di queste di-
mensioni familiari: paternità spirituale, sponsalità verso la Chiesa… non
è tutto questo in fin dei conti un’astrazione? Non sono parole belle che
non corrispondono con la realtà solitaria della vita sacerdotale? c) Pos-
siamo aggiungere, in terzo luogo, che questa connessione con la vita
familiare può non sembrare così essenziale. Non rischiamo di diminuire
l’ampiezza del sacerdozio usando delle categorie, come quelle familiari,
che non sono adatte per la vita pubblica di oggi, che tendono ad isolare
l’uomo nella sfera degli affetti?
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è stata quella di capire il mondo come opposto alla Chiesa, per dire che
la Chiesa, fin adesso isolata, dovesse andargli incontro. Invece, la Chiesa
è entrata più profondamente nelle sue radici, nella comprensione del
mistero di Cristo, perché soltanto così era possibile un dialogo pieno con
il mondo, dato che Cristo, nella sua Incarnazione, ha abbracciato tutto
l’umano. A partire da Cristo il Concilio sviluppa un’antropologia che
supera l’individualismo della Modernità includendo le giuste aspirazioni
del tempo moderno; è un’antropologia relazionale fondata sull’amore
del Padre manifestato da Gesù.
Prima del Concilio il sacerdote aveva certezza della sua missione
all’interno della Chiesa capita come società perfetta. Questo gli permet-
teva di vivere la sua identità in modo sociale e relazionale. Tuttavia,
restava sempre senza collegarsi e confrontarsi con la visione del mondo
moderno; la mancanza di questa relazione impoveriva la sua missione e
la sua comprensione di sé8. Dopo il Concilio la Chiesa ha cercato di
impostare in altro modo il rapporto con il mondo moderno. Appunto
perché il sacerdote dipende dall’identità ecclesiale davanti al mondo, e
perché questo è stato il punto centrale trattato dal Concilio, era allora
normale che la posizione del sacerdote fosse messa in questione.
Il problema si è aggravato per la sua connessione con il problema
generale della crisi d’identità dell’uomo moderno. Il sacerdote doveva
impostare il suo problema come problema di identità in un mondo in
crisi di identità. C’era il rischio di capire il Vaticano II come un andare
verso il mondo, come adattamento ai tempi, senza criticare i principi
autonomi e isolati che derivano dalla modernità. Si cercava allora di
comunicare il contenuto cristiano con un linguaggio e una grammatica
che erano stati costruiti al margine della fede, mosse da una logica di au-
tonomia individualista. Questo tentativo, tuttavia, non poteva riuscire,
perché per comunicare la sua parola, il Vangelo ha bisogno di trasfor-
mare (approfondendo e illuminando) non solo il contenuto, ma anche il
linguaggio e la grammatica della nostra esperienza.
Nella misura in cui il sacerdote è definito radicalmente in modo
relazionale a partire da Gesù, il concetto moderno di libertà come
8 Questo è stato negativo per la società: privata del riferimento del sacerdote, si è perso
anche un immagine essenziale per dire la trascendenza della figura paterna. Al riguardo,
cfr. J. Granados, “Il sacerdozio: un sacramento del Padre”, in Communio 22 (2009)
20-36.
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Si propone di solito l’immagine del Buon Pastore per parlare del sacer-
dote. La perfezione della vita sacerdotale consiste infatti nella perfezione
della carità pastorale11. Secondo Hans Urs von Balthasar l’immagine del
pastore è quella migliore per descrivere il sacerdozio, perché assicura la
9 Cfr. Giovanni Paolo II, Es. Ap. Pastores Dabo Vobis, 12: “Non si può allora definire
la natura e la missione del sacerdozio ministeriale, se non in questa molteplice e
ricca trama di rapporti, che sgorgano dalla Santissima Trinità e si prolungano nella
comunione della Chiesa, come segno e strumento, in Cristo, dell’unione con Dio e
dell’unità di tutto il genere umano. In questo contesto l’ecclesiologia di comunione
diventa decisiva per cogliere l’identità del presbitero, la sua originale dignità, la sua
vocazione e missione nel Popolo di Dio e nel mondo”.
10 Cfr. J. Ratzinger, Kirche, Ökumene und Politik: neue Versuche zur Ekklesiologie, Johannes
Verlag, Einsiedeln 1987, capitolo I.
11 Cfr. Giovanni Paolo II, Es. Ap. Pastores Dabo Vobis, 23: “Il principio interiore, la
virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo
Capo e Pastore è la carità pastorale, partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù
Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nello stesso tempo compito e appello alla
risposta libera e responsabile del presbitero”.
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della parola di Gesù sul calice (la nuova alleanza nel mio sangue) e del-
la parole sul pane, perché il corpo si riferisce al sacrificio dell’agnello
pasquale15. Le parole di Gesù spiegano la sua morte come sacrificio e
come pienezza dei sacrifici dell’alleanza. È necessario allora capire in
profondità l’offerta eucaristica di Cristo, edificata sulla visione sacrificale
dell’Antico Testamento.
Or bene, il sacrificio dell’agnello è collegato in Isaia al Servo soffe-
rente, che offre la sua vita in espiazione per molti; in questo senso il cor-
po dell’agnello è identificato con il corpo del profeta, luogo dei rapporti
nuovi nel popolo e con Dio. La morte espiatoria significa la capacità di
morire per altri, di abbracciare e sostituire altri. L’Eucaristia presuppone
dunque la visione della personalità corporativa di Israele: le persone non
sono soggetti isolati, ma abitano in relazione, i loro destini si apparten-
gono mutuamente ed è possibile che uno porti su di sé il destino di altri.
Si noti che la personalità corporativa non è un’astrazione, ma poggia
sull’esperienza familiare di mutua appartenenza: i figli appartengono ai
genitori e portano avanti il loro destino, così come assumono la loro
eredità; e, come base di questa generazione, l’uomo e la donna appar-
tengono insieme alla stessa carne. Questo non significa in nessun modo
una dissoluzione dell’individuo: più si è in relazione, più uno diventa se
stesso, come membro del Popolo. Così si potrà dire che tutto il popolo
è stato tagliato, come una pietra, del cantiere che è Abramo, in unione
con Sara (cfr. Is 51,1-2).
Due sfondi appaiono per concretizzare il valore di quest’identifi-
cazione del corpo. Il primo è dato dal sacrificio di Abramo, secondo
la visione de l’aqédah nei Targumim. Isacco, legato dal padre, docile per
offrirsi al sacrificio, diventa capace di espiare per i peccati di tutto il Po-
polo16. Questa dimensione filiale e fraterna del sacerdozio appare dopo
nella lettera agli Ebrei, nella connessione di una stessa origine e anche di
una primogenitura capace di donare vita (cfr. Eb 2, 10-18)17.
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consegna di sé di Gesù nel tempo intero della sua vita. Lasciandoci l’Eucaristia, Gesù
ha lasciato il segreto della sua consegna, che solo poteva capirsi pienamente nella forma
di un rito. Se pensiamo anche che la Chiesa nasce dall’Eucaristia, la connessione del
sacerdote con quest’ultima, serve a trovare anche il suo posto giusto nella Chiesa. Sulla
connessione tra Eucarisita e tempo, Cfr. G. Angelini, Il tempo e il rito alla luce delle
Scritture, Cittadella, Assisi 2006.
21 Cfr. San Tommaso, In IV Sent., d. 24, q. 1, a. 1, sol. 1 (ed. Parma, 888).
22 Certo, è importante trovare un giusto paradigma familiare, che non sarà quello della
famiglia affettiva, o della famiglia slegata dal sociale, ma quello della famiglia che sa di
puntare al di là, verso un compito sociale ed ecclesiale, e di dover essere trasformata in
una pienezza. Appunto la connessione con il sacerdozio aiuterà la famiglia a compiere
questo passo.
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25 Cfr. A. Vanhoye, Dio ha tanto amato il mondo. Lectio divina sul “sacrificio” di Cristo,
Paoline, Milano 2007.
26 Cfr. P. Valéry, Cahiers, XXIX, 908-909.
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27 Cfr. L. Alonso Schökel, Dov’è tuo fratello? Pagine di fraternità nel libro della Genesi,
Paideia, Brescia 1987.
28 J. Ratzinger, Die christliche Brüderlichkeit, Kösel, München 1960.
29 Secondo Tommaso, i sacramenti guariscono gli affetti dell’uomo, In IV Sent., d. 1, q.
1, a. 2, sol. 1 (ed. Parma, 458): “Similiter quantum ad affectionem: quia eis quasi summis
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bonis inhaerebant, Deo postposito. Similiter etiam quantum ad actionem: quia homo eis
inordinate utebatur: necessarium ergo fuit ad curationem peccatorum ut homo ex
sensibilibus in spiritualia cognoscenda proficeret, et ut affectum quem circa ea habebat, in
Deum referret, et ut eis ordinate et secundum divinam institutionem uteretur; et ideo necessaria
fuit sacramentorum institutio, per quae homo ex sensibilibus de spiritualibus eruditur;
et haec est secunda causa quam Magister ponit: per quae etiam affectum, qui sensibilibus
subjicitur, in Dei reverentiam referret; et haec est prima causa: per quae etiam circa ea in
honorem Dei excetaretur; et haec est tertia causa”.
30 Cfr. A. Neher, « Le symbolisme conjugal: expression de l’histoire dans l’Ancien
Testament » in Revue d’histoire et de philosophie religieuses 34 (1954) 30-49, p. 34:
“Le symbolisme conjugal n’implique pas seulement une alliance, c’est-à-dire une
communication entre deux êtres, mais une véritable dialectique de l’alliance, puisque
celle-ci relie deux êtres qui restent nécessairement différents, en tant qu’individualités
sexuelles, et qui sont perpétuellement ressemblants par l’identité de l’amour qu’ils
éprouvent l’un pour l’autre. Dialectique complétée par celle d’une proximité et d’une
distance, d’une connaisance et d’une découverte, d’une habitude et d’un jaillissement,
qui déterminent la relation conjugale et la rattachent à un éternel mouvement. Ce
mouvement, ou, si l’on préfère, ce caractère dramatique du symbolisme conjugal,
me paraît décisif dans l’adoption du symbole par les prophètes. Ceux-ci y trouvaient
une ressource pour exprimer ce qui, dans leur conception générale du monte était
essentiellement mouvant et dramatique: l’histoire”.
31 Cfr. B. M. Perrin, “L’institution du mariage dans le Scriptum de Saint Thomas”, in
Revue Thomiste 108 (2008) 423-466; 599-646.
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Geremia non si sposa appunto per esprimere nel suo corpo quanto è
penosa per l’uomo questa mancanza di sponsalità con Dio.
Ecco che si apre così un cammino che arriva a pienezza in Gesù.
La grande differenza è che mentre i profeti vivono in negativo l’assenza
di matrimonio, Gesù lo fa in positivo. Egli è lo Sposo. Se i profeti an-
nunciavano un tempo rotto, Gesù porta la misura di un tempo pieno,
il tempo dell’alleanza compiuta. Per questo Gesù adopera anche la me-
tafora sponsale, come colui che è lo Sposo e ha la Sposa. Gesù non si è
sposato, non perché doveva esprimere l’assenza di Dio nel rapporto con
il Popolo, ma perché doveva manifestare la sua presenza insuperabile e
definitiva. È vero che Gesù ha sofferto anche la mancanza di amore del
Popolo, e in questo senso la sua verginità diventa anche segno di un ri-
fiuto; ma la parola finale, quella del Risorto, annuncia di nuovo un’unità
per sempre, la nascita della Chiesa, santa e immacolata (Ef 5,27). L’Alle-
anza nel sangue di Gesù può vedersi così come pienezza di un rapporto
sponsale, simbolo dell’amore compiuto di Dio per Israele. Il sacerdote,
che partecipa a quest’alleanza, sarà coinvolto anche in questo nuovo
modo di rappresentare il culmine del rapporto sponsale.
Gesù porta con sé, certamente, una novità all’amore sponsale. Tut-
tavia, questo non succede per negazione dell’esperienza corporale, ma
secondo una sua trasformazione. Adesso non si vive la differenza sessuale
a livello della genitalità. Si deve notare che l’amore sponsale non è qua-
lificato semplicemente in questa sfera, ma piuttosto nella sfera dell’affet-
tività, aperta al rapporto personale. L’affettività permette di riconoscere
l’unicità dell’altra persona e di costruire una vita per l’altro in cui la storia
non sia più storia isolata, ma storia intrecciata, con ricordi e prospettive
comuni. È nella sfera dell’affettività che può segnarsi il per sempre dell’a-
more, perché in essa si scopre l’unicità dell’altra persona e il suo rapporto
con l’eterno.
Come è possibile che l’affettività si trasformi abbracciando in essa
a tutti, senza per questo perdere il suo riferimento all’unicità e singola-
rità personali? Parlare di un amore sponsale per tutti gli uomini, non è
concepire questo amore in un modo troppo astratto? Non ci si espone
così all’obiezione di quel personaggio di Dostoevskij: “quanto più amo
l’umanità in generale, tanto meno amo gli uomini concreti”?
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32 Cfr. B. Ognibeni, Il matrimonio alla luce del Nuovo Testamento, Lateran University Press,
Città del Vaticano 2007.
33 Cfr. Giovanni Paolo II, L’amore umano nel piano divino. La redenzione del corpo e la
sacramentalità del matrimonio nella catechesi del mercoledì (1979-1984), G. Marengo (ed.),
Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2009.
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Ci siamo occupati tanto del corpo! L’abbiamo vestito, lavato, curato, fatto
la barba, abbeverato, alimentato! … di esso diciamo: sono io. Ma pre-
sto l’illusione crolla… Il tuo figlio e chiuso in un incendio? Lo salverai!
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Nessuno può fermarti! Bruci! Non te ne importa! Lasci quel resto di carne
a chi lo voglia, scopri che non t’interessa in assoluto ciò che t’interessava
così tanto. … Quando il corpo si disfa appare l’essenziale. L’uomo è solo
un nudo di rapporti. I rapporti sono l’unica cosa importante per l’uomo37.
Il corpo, visto come preoccupazione per se stesso, come cura dei bi-
sogni isolati, cambia di segno quando entriamo in azione, quando c’im-
mettiamo in un rapporto. È come se il corpo diventasse altro quando
lo cogliamo in relazione. E allora il suo messaggio non è quello della
sopravvivenza, di mantenerci in vita, ma quello di assicurare il rapporto,
di vivere per un altro, in modo che anche la paura della morte sparisce,
che la morte appare come modo di proteggere quella relazione.
I nostri genitori ci hanno generato per la vita eterna. Ecco perché
il loro ufficio è spirituale, come notava San Tommaso38. Per l’educa-
zione dei figli verso l’eternità i genitori li indirizzano verso l’Eucaristia,
educandoli a mangiare del cibo d’immortalità. È a questo punto che
appare necessaria la paternità del sacerdote, che svela l’origine e destino
definitivo, secondo un traguardo ultimo che il padre da se non è capace
di aprire al figlio.
Questa nuova paternità è immagine di quella propria di Dio Padre,
che supera la nostra visione di paternità perché, come diceva Gregorio
Nazianzeno, è Padre verginalmente (per la sua esuberante ricchezza non
ha bisogno dell’unione con altro), Padre che dona tutto ai figli (mentre
un padre di solito dona soltanto qualcosa al figlio, mai tutto), ed è per
questo Padre di un solo figlio (mentre noi generiamo tanti figli, perché
nessuna generazione è perfetta)39.
Chiave della fecondità sacerdotale è il riferimento alla Chiesa come
dimora in cui il figlio può nascere. Senza la Chiesa, senza introdurre
nel suo spazio di comunione, il sacerdote rimane incapace di generare,
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6. Conclusione
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