Latourelle, R. - Rivelazione
Latourelle, R. - Rivelazione
Latourelle, R. - Rivelazione
scire a velare questa realt che paradossalmente si definisce rivelazione o svelamento. Il problema
che essi hanno scelto come punto di
partenza Yinspiegato per chiarire lo
spiegante. Invece di lasciarsi trasportare dalla corrente stessa della rivelazione, per ascoltare ci che essa dice
di s, sono partiti da presupposti teologici.
1. questo il caso dei teologi protestanti come K. Barth, R. Bultmann,
W. Pannenberg. Fin dall'inizio, la loro riflessione condizionata da una
teologia della fede, dell'esistenza umana, della storia. Alcuni teologi cattolici, eccessivamente influenzati da
questa recente teologia, hanno elaborato la loro riflessione sulla rivelazione all'interno delle prospettive della
teologia dialettica, dell'ermeneutica
esistenziale, della teologia della prassi, invece di poggiare sulle tradizioni
bibliche e patristiche, indubbiamente
meno sistematiche, ma pi vicine alla fonte nel suo originale sgorgare.
2. Altri teologi hanno scelto come
punto di partenza il fenomeno universale delle religioni. Osservando che
tutte si definiscono religioni rivelate,
con modelli che si assomigliano tra
loro (mediatori, riti, istituzioni), ne
concludono che la rivelazione cristiana la forma superiore di un'esperienza comune. Questo comparatismo
religioso rischia di giungere alle posizioni riduttive di Schleiermacher e
di Sabatier, o alle posizioni pi spinte del modernismo. La fede cristiana
ha dei luoghi normativi - come
il dono di Cristo - che sfidano ogni
attesa ed esperienza comune.
3. Altri, invece di partire dall'universale concreto, cio da Cristo, preferiscono svolgere dapprima una tela
di fondo, cio la rivelazione trascendentale, la grazia universale della
salvezza data a ogni uomo che viene
in questo mondo. La rivelazione eristica o speciale appare allora come un episodio pi importante, un
tica, senza cessare di essere parola viva, diventa sempre pi parola scritta.
A questo proposito significativo come la parola confidata a Ezechiele sia
scritta su un rotolo che il profeta deve assimilare per predicarne il contenuto (Ez 3,1 ss). Una caratteristica importante della profezia di Ezechiele
il tono pastorale. Dopo la caduta
di Gerusalemme (Ez 33,1-21), Israele non esiste pi come nazione. La
parola di Jhwh diventa allora parola
di conforto e di speranza per gli esuli scoraggiati. Ezechiele tenta di formare il nuovo Israele alla maniera di
un direttore spirituale (Ez 33,1-9).
Lasciando intravedere che la parola
che ha decretato e realizzato il castigo resta sempre promessa fedele, Ezechiele tuttavia vigila perch non ci si
sbagli sulla sua natura: non basta
ascoltare la parola, bisogna viverla
(Ez 33,31).
Il Deuteroisaia (Is 40-55), che va letto nel quadro dell'esilio, considera il
dbr divino nella sua dinamica contemporaneamente cosmica e storica.
La sua sovranit assoluta sulla creazione il fondamento e la garanzia
della sua azione onnipotente nella storia; poich Jhwh ha suscitato dal
niente ogni cosa con la sua parola,
egli signore delle nazioni come delle
forze della natura. Egli all'inizio e
alla fine degli avvenimenti; la sua parola predice, suscita, compie. Dio tiene i poli estremi della storia (Is 41,4;
44,6; 48,12). E quest'ultima intelligibile perch si svolge seguendo un
piano che la parola rivela progressivamente agli uomini e che non torna
mai senza risultato (Is 55,10-12).
Vediamo che soprattutto grazie al
profetismo, la rivelazione del Sinai resta sempre il blocco centrale della rivelazione, perdura attraverso l'AT,
soprattutto in epoca regale e durante
l'esilio, e si approfondisce. Ora ci
che costituisce l'originalit del profeta il fatto di essere stato l'oggetto di un'esperienza privilegiata, la
maggior parte delle volte nel momen-
re nella persona del suo Unto o Mespenetrano fino alle profondit del misia, la promessa un tempo fatta ad
stero, ne hanno comunque un primo
Abramo di benedire nella sua discenapproccio e una prima percezione atdenza tutte le nazioni della terra.
traverso la parola. Notiamo ancora
Quest'azione concepita come paroche la parola manifesta un maggiore
la di Dio che invita l'uomo alla fede
rispetto da parte di Dio della libert
e all'obbedienza: una parola essendell'uomo. Dio si rivolge all'uomo,
lo interpella, ma quest'ultimo restazialmente dinamica che opera la salvezza nello stesso tempo in cui l'anlibero di acconsentire o di rifiutare.
nuncia e la promette.
Infine la parola, che rimane tra gli
uomini il pi spirituale degli scambi,
anche il mezzo per eccellenza della
I V . L A RIVELAZIONE NEL NUOVO TEcomunicazione spirituale tra Dio e
STAMENTO - L'intuizione centrale del
l'uomo. Il peccato consiste nell'induNT che si sia verificato un evento
rire il cuore per non ascoltare la padi capitale importanza tra le due alrola. A seconda che essa venga acleanze: Dio, che aveva gi parlato
colta o no, la rivelazione diventa per
nei tempi antichi molte volte e in dil'uomo vita o morte.
versi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha
d. Ma lo scopo della rivelazione
parlato a noi per mezzo del Figlio
la vita e la salvezza dell'uomo, l'al(Eb 1,1-2). In Ges Cristo, la parola
leanza in vista della comunione. La
interiore in cui Dio conosce tutte le
rivelazione dell'AT prende slancio
cose e in cui si esprime totalmente,
dalla promessa fatta ad Abramo e
assume la carne e il linguaggio deltende al compimento. Per il profeta
l'uomo, diventa vangelo, parola di salil presente non che la parziale reavezza, per chiamare l'uomo alla vita
lizzazione del futuro annunciato, atche non finisce. In Ges Cristo, Verteso, preparato, ma ancora nascosto.
bo
incarnato, il Figlio presente tra
Ci che presente acquisisce tutta la
noi e parla, predica, insegna, attesta
sua importanza solo grazie alla proci che ha visto e sentito in seno al
messa nel passato di ci che sar l'avPadre con termini umani che possiavenire. Ogni rivelazione profetica semo comprendere e assimilare. Cristo
gna un compimento della parola, ma
il culmine e la pienezza della rivelanello stesso tempo lascia sperare in
zione, colui che rivela Dio e che riveun compimento ancora pi decisivo.
la l'uomo a se stesso: questa la granLa storia tende quindi alla pienezza
de novit, il mistero inesauribile di cui
dei tempi che sar il compimento del
gli scrittori sacri manifestano lo splendisegno di salvezza in Cristo e per
dore, ognuno insistendo su un aspetmezzo di Cristo.
to. Bisogna poi ricomporre in unit
3. Nozione veterotestamentaria della
queste differenti prospettive per corivelazione - Nell'AT la rivelazione
glierne la complessit e la ricchezza,
appare come l'intervento gratuito e
un po' come le complementari angolibero con cui Dio santo e nascosto
lature di un'unica cattedrale.
- nell'ambito della storia e in relazione con gli avvenimenti della sto1. La tradizione sinottica - In Marria, autenticamente interpretati dalla
co le parole chiave del vocabolario
parola di Jhwh rivolta ai profeti sedella rivelazione (per esempio apokacondo modi di comunicazione molto
lypto, apokalypsis) sono assenti. Pi
diversi - fa progressivamente conoche altrove, un'attenzione esclusiva al
scere se stesso e il disegno di salvezloghion di Mt 11,25-27, Le 10,21-22
za dell'alleanza con Israele e, in ese ai binomi nascondere-rivelare, coso, con tutte le nazioni, per realizzanoscere-rivelare, pu essere occasio-
del NT esige una fedelt e un'obbedienza proporzionate all'origine e all'autorit del suo mediatore, il Figlio.
5. Il corpus giovanneo - Giovanni, come Marco, ignora i termini di
rivelazione come apokalypt, apokalypsis, cos come il binomio nascostosvelato. Non usa il vocabolario di
Paolo circa il mystrion\ usa piuttosto il linguaggio degli ambienti ellenistici: zo, lgos, phs, altheia, dxa,
tutti sostantivati in Ges Cristo. Si
incontra phanero e soprattutto un
insieme di termini che richiamano la
stessa reazione di fede: comandamento (11 volte), testimonianza (14 volte), testimoniare (33 volte), parlare
(59 volte), gloria (18 volte), verit (25
volte), parola (40 volte) e parole che
sottolineano l'accoglienza della rivelazione come ascoltare (58 volte), credere (98 volte). Se Giovanni opera
una riclassificazione dei vocaboli di
rivelazione in ragione della novit
portata da Cristo che gi Dio-tranoi. Egli in persona la Verit, il
Logos, la Luce, la Vita. Si tratta di
un salto qualitativo. Cristo manifesta il Dio invisibile. L'incarnazione
la rivelazione realizzata.
Per Giovanni, Cristo il Figlio che
racconta il Padre: Egli attesta ci
che ha visto e udito (Gv 3,32; 8,38).
A sua volta il Padre testimonia il Figlio con le opere di potenza che gli
ha concesso di attuare (Gv 5,36) e
con l'attrazione che esercita nelle anime dando loro la possibilit di acconsentire alla testimonianza di Cristo (Gv 6,44-45).
Gi dal prologo, Giovanni stabilisce un'equazione tra Cristo, Figlio del
Padre, e il Logos. Il Cristo la parola eterna e sussistente; la rivelazione si compie perch questa Parola si
fatta carne per raccontarci il Padre. Il prologo si presenta come le
gesta del Logos, come un riassunto
di tutta la storia della rivelazione in
un testo di densit nucleare. Anche
se queste gesta cominciano con l'a-
cercare nei Padri della chiesa dei primi secoli l'equivalente di un moderno
trattato sulla rivelazione; essi infatti
non vedono nella rivelazione un fatto
da definirsi, n un problema da approfondire. Le prime generazioni cristiane sono ancora sotto l'effetto del-
idee, piuttosto che essere la manifestazione e la donazione di una persona che Verit in persona.
3. Economia e pedagogia della rivelazione - Se il pensiero patristico dei
primi secoli ha saputo evitare questi
pericoli, perch non ha mai perso
i contatti con le categorie bibliche; e
soprattutto non ha mai smesso di riflettere sulla storia della salvezza. Questo legame con la storia servito da
contrappeso a una rivelazione concepita come pura conoscenza. Perci la
teologia di Ireneo in reazione agli gnostici costituisce un punto di riferimento incontrovertibile.
In un certo senso gli gnostici portano all'apogeo l'idea di rivelazione,
poich per loro la conoscenza o gnosi viene dall'alto, per illuminazione.
La gnosi entra quindi in concorrenza
con il cristianesimo, in quanto si distacca dalla storia. Essa si distoglie
dal Ges storico per legarsi al Cristo
pneumatico. Il Cristo conserva il suo
ruolo di mediatore, ma sfigurato; la
chiesa ha dovuto ridefinire e precisare
tale ruolo nella storia della salvezza.
Nel contesto antignostico, che oppone AT e NT, Ireneo sottolinea l'unit della storia della salvezza. Di
conseguenza, il tema della rivelazione si ricollega al tema pi ampio dell'azione del Verbo di Dio, a un tempo creatore e salvatore. Con il suo
concetto di economia o di disposizione, Ireneo insiste sull'unit organica della storia della salvezza. Lo
stesso Dio realizza, nel suo unico Verbo, un solo piano di salvezza dalla
creazione alla visione. Sotto la guida
del Verbo l'umanit nasce, cresce e
muore fino alla pienezza dei tempi
(Adv. Haer. IV, 38, 3).
Agli gnostici, che distinguono il Cristo dal Ges secondo la carne, Ireneo oppone il tema dell'economia e
propone l'incarnazione come culmine di questa economia iniziata nell'AT. Anzi, poich il Verbo presente alla totalit del tempo, fin dal-
l'inizio, fin dalla creazione, che rivela il Dio creatore (Ibid. IV, 6, 6; II,
6, 1; 27, 2). Anche con la legge e
i profeti il Verbo proclamava se stesso e proclamava il Padre (Ibid. IV,
6, 6; 9, 3). Infine, il Figlio con la
sua venuta ci ha dato tutta la novit donando se stesso (Ibid. IV, 34,
1). La novit del cristianesimo la
vita umana del Verbo: non c' nuovo Dio, ma nuova manifestazione di
Dio in Ges Cristo. L'incarnazione
una teofania del Verbo di Dio e
il progresso consiste nella presenza
umana e carnale del Verbo, divenuto
visibile e palpabile tra gli uomini, per
manifestare il Padre che resta invisibile (Ibid. IV, 24, 2). L'AT il tempo della promessa; il NT la realizzazione della promessa e il dono del
Verbo incarnato. I due Testamenti
formano un tessuto non lacerabile.
Ireneo pone in evidenza gli avvenimenti della storia della salvezza e lega strettamente l'AT e il vangelo tetramorfo. Gli apostoli sono l'anello della catena tra Cristo e la chiesa
(Ibid., I, 27, 2; IV, 37, 7), ma Cristo
la chiave di volta di tutto l'edificio.
Quasi tutti i Padri, soprattutto Giustino, Clemente, Origene, Basilio,
Gregorio di Nissa, Agostino, insistono come Ireneo su questo carattere
di economia della rivelazione. Essa si presenta come piano di salvezza
infinitamente saggio, concepito da
Dio da tutta l'eternit e pazientemente realizzato secondo vie da lui previste, preparando ed educando l'umanit, facendola maturare e rivelandole
progressivamente ci che in grado
di accogliere. I Padri, soprattutto Ireneo, si compiacciono di ricostruire la
storia delle iniziative di Dio per abituare l'uomo alla sua presenza.
A questa idea si ricollega quella delle dilazioni della venuta di Cristo. La
lettera a Diogneto afferma che gli uomini dovevano fare l'esperienza della loro impotenza prima di conoscere la pienezza della salvezza (prospettiva drammatica). Ireneo, Clemente,
se lo Spirito di Cristo non agisce interiormente per farci riconoscere, come parola a noi personalmente rivolta, la parola ascoltata: Ges Cristo
nostro maestro e la sua unzione ci
istruisce. Se questa ispirazione e questa unzione fanno difetto, invano le
parole risuonano alle nostre orecchie
(Ep. Jo. tr. 3, 13). Questa grazia
a un tempo attrazione e luce. Attrazione che sollecita le facolt del desiderio, luce che fa vedere in Cristo la
verit in persona. Il concilio di Orange, esprimendosi secondo la prospettiva di Agostino, dir che nessuno pu
aderire all'insegnamento del vangelo
e porre un atto salvifico senza un'illuminazione e un'ispirazione dello Spirito Santo che d a tutti la soavit
dell'adesione e della credenza nella verit (DS 377). L'uomo riceve da Dio
un duplice dono: quello del vangelo
e quello della grazia per aderirvi nella
fede (De gr. Christi, I, 10, 11; 26, 27;
31, 34). In modo pi universale, Cristo come Verbo di Dio, l'unica luce
dell'uomo, il principio di ogni conoscenza, sia naturale che sovrannaturale. In termini giovannei Agostino si
compiace di definire Cristo come la
Via, la Verit, la Luce e la Vita.
Concludiamo: la tematica sviluppata
dai Padri della chiesa sui punti che
abbiamo indicato troppo importante per non essere accolta da una teologia della rivelazione. In numerosi
punti essa dissipa le tenebre accumulate da una filosofia costruita al di
fuori delle categorie bibliche o tributaria di una filosofia di ispirazione
razionalista.
Per il periodo medievale cfr., in
questo Dizionario, S. Tommaso d'Aquino (pp. 1337-1341).
V I . - DICHIARAZIONI DEL MAGISTE-
di ogni verit salutare e di ogni regola dei costumi. 2. Questa verit della salvezza e questa legge del nostro
agire morale, di cui il vangelo l'unica fonte, sono contenute nei libri ispirati della Scrittura e nelle tradizioni
non scritte. 3. Il concilio accoglie con
uguale piet e rispetto la Scrittura (AT
e NT) e le tradizioni che provengono dalla bocca di Cristo o dettate dallo Spirito Santo e conservate nella
Chiesa cattolica con una continua successione. Per questo bisogna credere
tutto ci che contenuto nella parola
di Dio, scritta o trasmessa (DS 3011).
L'unico messaggio evangelico, l'unica buona notizia si trova espressa in
forme diverse: scritta e orale. Nel decreto sulla giustificazione, l'oggetto
della fede nuovamente presentato
come una dottrina insegnata da Cristo, trasmessa dagli apostoli, conservata dalla chiesa e difesa da essa contro ogni errore (DS 1520). Indubbiamente ci che in primo piano nella
rivelazione il messaggio di salvezza,
la dottrina insegnata da Cristo. La
centralit di Cristo come persona, fonte, mediatore, pienezza della rivelazione, passa in secondo piano.
2. Il primo concilio Vaticano e il
razionalismo - Per la prima volta un
concilio usa esplicitamente il termine
rivelazione. Ma ci che viene messo
in questione non ancora la natura
e i tratti specifici di questa rivelazione, come sar nel Vaticano II, ma
il fatto della sua esistenza, della sua
possibilit, del suo oggetto. Come nel
concilio di Trento, ci che merita l'attenzione non tanto l'azione rivelatrice originale quanto il risultato, l'oggetto di questa azione, la dottrina di
fede e il suo contenuto: Dio e i suoi
decreti, i suoi misteri.
Per comprendere il
Vaticano I
bisogna richiamarsi al contesto storico antecedente. Con l'illuminismo europeo dei secoli XVII e XVIII, le esigenze del soggetto pensante sono venute a occupare il primo posto nella
nella sua vita intima ma nella relazione causale con il mondo. La seconda via ha per autore Dio che parla, autore dell'ordine soprannaturale, che si fa conoscere, cos come fa
conoscere i decreti della sua volont.
Parlando della prima via d'accesso alla conoscenza di Dio attraverso tutto
il creato, il concilio non dice se questa conoscenza si operi, di fatto, con
o senza l'aiuto della grazia. Se il concilio afferma che la ragione umana
pu accedere alla conoscenza di Dio
attraverso il contingente prima di
tutto perch esso vede affermata questa verit dalla Scrittura (Rm 1,18-32;
Sap 13,1-9) e da tutta la tradizione
patristica; poi perch la negazione di
questa verit condurrebbe allo scetticismo religioso.
La seconda via di accesso a Dio
la via soprannaturale della rivelazione: Tuttavia piaciuto alla sapienza e alla bont di Dio rivelare al genere umano per un'altra via, e soprannaturale, se stesso e gli eterni decreti della sua volont; ci che dice
l'Apostolo: dopo aver a pi riprese
e in numerose forme gi parlato un
tempo ai Padri e ai profeti, Dio in
questi ultimi giorni, ci ha parlato nel
Figlio (DS 3004). Sebbene sommario, questo testo fornisce numerosi
importanti dati sulla rivelazione: 1.
Il testo stabilisce il fatto della rivelazione soprannaturale e positiva, cos
come proposta dall'AT e dal NT.
2. Questa operazione essenzialmente
grazia, dono dell'amore, effetto del
compiacersi di Dio (placuisse). 3.
Iniziativa di Dio, la rivelazione tuttavia non stata data senza motivo:
essa conveniva alla sapienza e alla
bont di Dio. Alla sapienza di Dio,
creatore e provvidenza (DS 3001-3003),
affinch le verit religiose di ordine
naturale potessero essere conosciute da tutti senza difficolt, con una
ferma certezza e senza possibilit di
errore (DS 3005); alla sua sapienza
di autore anche dell'ordine naturale,
poich se Dio avesse elevato l'uomo
a tale ordine, avrebbe dovuto fargliene conoscere il fine e i mezzi. La rivelazione conveniva anche alla bont di Dio. Gi l'iniziativa con cui Dio
esce dal proprio mistero, si rivolge
all'uomo, lo interpella ed entra in comunicazione personale con lui, un
segno della sua infinita benevolenza.
Ci che conviene all'amore infinito
che questa comunicazione non solo
renda pi facile il cammino naturale
dell'uomo verso Dio, ma anche lo associ ai segreti della sua vita intima,
alla partecipazione dei beni divini
(DS 3005). 4. L'oggetto materiale della rivelazione Dio stesso e i decreti
eterni del suo libero volere. I paragrafi successivi (DS 3004, 3005) indicano che questo oggetto comprende
sia verit accessibili alla ragione sia
misteri che la superano. Per Dio bisogna intendere la sua esistenza, i
suoi attributi e anche la vita intima
delle tre persone. E per decreti tutto
ci che concerne la creazione e il governo naturale del mondo, come anche tutto ci che concerne la nostra
elevazione all'ordine soprannaturale,
l'incarnazione, la redenzione, la vocazione degli eletti. 5. L'intero genere umano beneficiario della rivelazione: essa universale come la salvezza stessa. 6. Il testo della lettera
agli Ebrei viene a confermare questa
dottrina del fatto della rivelazione e
ne segna il progresso da un'alleanza
all'altra. La citazione, strettamente legata al testo, lascia intendere che la
rivelazione concepita come parola
di Dio all'umanit: Deus loquens locutus est. Ci che costituisce l'unit
e la continuit delle due alleanze
la parola di Dio: quella del Figlio
infatti il seguito e il compimento di
quella dei profeti.
b. 1. Il secondo paragrafo apporta
a questi elementi di definizione nuove determinazioni concernenti la necessit, la finalit e l'oggetto della rivelazione. Se la rivelazione assolutamente necessaria, dice il concilio,
perch Dio nella sua infinita bon-
t ha ordinato l'uomo a un fine soprannaturale, cio alla partecipazione ai beni divini (DS 3005). dunque in definitiva l'intenzione salvifica di Dio che spiega il carattere necessario della rivelazione dell'ordine soprannaturale. In rapporto alle verit
religiose dell'ordine naturale, il concilio, riprendendo gli stessi termini di
S. Tommaso, le descrive con i tratti della necessit morale: questa necessit non riguarda n l'oggetto, n
la potenza attiva della ragione, ma
la condizione attuale dell'umanit.
Senza la rivelazione queste verit non
possono essere conosciute da tutti
senza difficolt, con una ferma certezza, senza possibilit di errore
(STh 1,1,1; II-II; 2, 4c). L'enciclica
Humani generis del 1950 parla esplicitamente di necessit morale. Si
tratta dello stesso oggetto di cui si
parlava nel paragrafo precedente, ma
questa volta considerato sotto un
aspetto di proporzione o di sproporzione rispetto alle forze della ragione. 2. Un vocabolo come rivelazione
evoca anche sia l'azione che il suo
esito, cio il dono ricevuto, la verit
rivelata. Anche il concilio portato
da una normale transizione a considerare la rivelazione nel suo aspetto
oggettivo di parola detta o espressa.
Il contenente di questa rivelazione, dice il concilio, riprendendo i termini
stessi del concilio di Trento, sono i
libri scritti o le tradizioni che sono
giunte fino a noi, o ricevute dagli
apostoli per bocca di Cristo, o trasmesse come di mano in mano dagli
apostoli a cui lo Spirito Santo le aveva dettate (DS 3006). Ma, con una
nuova precisazione che non compariva nel concilio di Trento, il Vaticano I usa espressamente il termine di
rivelazione per designare il contenuto della parola divina: haec porro
supernaturalis revelatio. Questa parola detta da Dio, contenuta nella
Scrittura e nelle tradizioni, l'oggetto della nostra fede. Per questo il
concilio dichiara nel terzo capitolo
di Pietro perch conservino santamente ed espongano fedelmente la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della fede (DS 3070).
Il contributo del Vaticano I si riconduce ai seguenti punti: a. Affermazione dell'esistenza della rivelazione soprannaturale, della sua possibilit, della sua necessit, della sua finalit; b. Determinazione del suo
principale oggetto materiale: Dio stesso e i decreti della sua volont salvifica; c. L'adozione del termine rivelazione in senso attivo e oggettivo, che diventa cos un termine ufficiale e tecnico; d. Il ricorso alle
analogie della parola e della testimonianza (implicitamente) per descrivere questa realt inedita; e. La fede,
libera adesione alla predicazione del
vangelo, sostenuta da un'azione interiore dello Spirito che feconda la
parola ascoltata. Questo contributo,
se paragonato a quello del Vaticano
II, sembra ancora limitato, ma se inserito nel suo contesto storico va giudicato con apprezzamento per le prospettive che delinea.
3. La crisi modernista - Il modernismo nel suo pi profondo intento
la manifestazione contestuale di
uno sforzo sempre da riproporre per
armonizzare i dati della rivelazione
con la storia, con le scienze e con le
culture. Problema troppo grave per
essere risolto in un solo momento. Lo
sforzo del modernismo si comprende
solo alla luce dei cambiamenti che la
chiesa del tempo doveva affrontare
di fronte a un mondo in mutamento
a tutti i livelli. Il progetto dei modernisti si situa a livello religioso e intellettuale, ma ha avuto la sfortuna di
arrivare in un momento in cui la chiesa, mal preparata, inquieta di fronte
a un pensiero sempre pi frondista,
si sentita attaccata da tutti i lati.
Invece di aprirsi al mondo del suo
tempo, come nel Vaticano II, essa
non ha pensato ad altro che a difendersi e a condannare: ha prodotto la
ampiezza e ricchezza di informazione, vere e proprie monografie. Inoltre si sono moltiplicati i lavori su nozioni fondamentali, necessarie all'intelligenza della rivelazione (per esempio: gnosi, mistero, epifania, testimone, testimonianza, parola, verit).
Anche se la teologia patristica sul tema della rivelazione non progredita con lo stesso ritmo, la teologia della rivelazione invece, ha gi beneficiato del rinnovamento degli studi patristici, sia a livello delle grandi
collezioni come Sources chrtiennes,
Handbuch der Dogmengeschichte, sia
a livello di monografie (per esempio
su Origene, su Ireneo, sulla scuola di
Alessandria, su Gregorio di Nissa, su
Ilario di Poitiers, su Agostino, ecc.).
Dal canto suo, la teologia protestante ha potuto contribuire, con abbondanza e qualit, al rinnovamento della teologia cattolica. Basti elencare alcuni dei nomi pi importanti: -* K.
Barth, - R. Bultmann, E. Brunner,
H.W. Robinson, - P. Tillich, H.R.
Niebuhr, G. Kittel, J. Baillie. Azione, evento, storia, incontro, significativit, sono tutti aspetti che la teologia protestante si compiace di sottolineare. Nel mondo cattolico troviamo le riflessioni che servono da catalizzatori, sullo statuto della teologia, sul senso della predicazione (teologia kerigmatica, teologia della predicazione), sullo sviluppo del dogma,
sulla fede. In seguito, nel dopo-guerr, sono apparsi i primi saggi di sistematizzazione: punto di partenza di
una prodigiosa proliferazione di monografie sulla rivelazione stessa, sulla DV e sulla teologia fondamentale.
Questa presa di coscienza circa l'importanza del tema della rivelazione
non si prodotta senza sofferenze e
senza vittime. La teologia della rivelazione si infatti costruita in un clima di tensione tra l'insegnamento ufficiale e una ricerca segnata dalle
nuove correnti di pensiero. La teologia dei manuali non era abbastanza
costitutivo della rivelazione e il periodo successivo che si dedica a esporre, spiegare e interpretare il dato rivelato concepito in modo statico e
giuridico. Cos si stempera la contemporaneit della rivelazione e della fede attuale. Con l'illuminismo, la ragione diventa l'assoluta capace di conoscere tutto: l'uomo non ha pi nulla da ricevere da Dio. La reazione
del Vaticano I stata quella di affermare il dono soprannaturale della rivelazione, senza tuttavia liberarsi da
una certa estrinsecit che separa azione e contenuto della rivelazione, segni di una rivelazione concepita soprattutto come dottrina. Con il Vaticano II la rivelazione ritrova il proprio centro in Ges Cristo: Dio rivelante, Dio rivelato, segno della rivelazione. Il Cristo l'universale concreto che siamo invitati ad accogliere
nella fede.
A. Dulles, in una prospettiva a un
tempo diacronica e sincronica, propone cinque modelli fondamentali
della rivelazione che raggruppano tutti gli altri: a. Il primo modello quello della rivelazione concepita principalmente come dottrina formulata in
proposizioni che la chiesa offre alla
nostra fede. Questo modello mette in
evidenza il versante oggettivo della rivelazione, identificata con il deposito della fede affidato alla chiesa. L'origine divina di questo insegnamento
attestata da segni esterni. Tale modello condiviso dai conservatori della chiesa evangelica e dalla neo-scolastica. Si ritrova anche nell'attuale
ala integrista della chiesa cattolica, b.
In contrasto con il primo modello,
il secondo pone in primo piano, nella rivelazione, i grandi eventi della
storia della salvezza che culminano
nella morte e risurrezione di Ges che
permettono di interpretare la storia
passata e futura. Questa rivelazione
richiede una risposta di indefettibile
speranza nel Dio della promessa e
della salvezza. Con accentuazioni
molto diverse, questo modello rap-
dre all'interno della Trinit, venuto tra gli uomini per rivelare loro la
condizione di figli assumendo egli
stesso la condizione di figlio. ascoltando, contemplando e vedendo agire Cristo che ci rivelata la nostra
condizione di figli e che apprendiamo di quale amore il Padre ama il
Figlio e gli uomini suoi fratelli adottivi.
5. Centralit assoluta di Cristo Poich Cristo a un tempo il mistero rivelatore e il mistero rivelato, il
mediatore e la pienezza della rivelazione (DV 2 e 4), ne segue che egli
occupa nella fede cristiana una posizione assolutamente unica che distingue il cristianesimo da tutte le religioni, compreso l'ebraismo. Il cristianesimo l'unica religione la cui rivelazione si incarna in una persona che
si presenta come la verit viva e assoluta. Altre religioni hanno fondatori, ma nessuno di questi (Buddha,
Confucio, Zoroastro, Maometto) si
proposto come oggetto della fede
dei suoi discepoli. Credere in Cristo
significa credere in Dio. Cristo non
un semplice fondatore di religione:
egli contemporaneamente immanente alla storia e suo Trascendente assoluto, non uno fra mille, ma l'Unico, il totalmente Altro.
Se Cristo tra noi come il Verbo
incarnato, i segni che permettono di
identificarlo come tale non gli sono
esterni, come un passaporto o un sigillo diplomatico, ma emanano da
questo centro personale di irradiazione che Cristo stesso. Poich egli
in persona, nel suo essere interiore,
luce e fonte di luce, Ges pone gesti,
proclama un messaggio, introduce nel
mondo una qualit di vita e di amore mai viste, mai immaginate, mai
vissute e fa sorgere il problema della
sua reale identit. Infatti le opere, il
messaggio e il comportamento di Ges sono di un ordine diverso; manifestano nel nostro mondo la presenza del totalmente Altro. Colui che
vicino e in realt il Trascendente, uno
tazione (chiesa e carisma di infallibilit). In definitiva, proprio come Cristo presiede alla fase costituente della rivelazione, lo Spirito di Cristo
presiede alla fase di espansione attraverso i secoli. Questa economia, tanto singolare quanto specifica, impedisce di assimilare la rivelazione cristiana a qualunque gnosi umana e alle
altre religioni che si dicono ugualmente rivelate.
7. Unicit e gratuit - Se la rivelazione si presenta come un intervento
dell'azione di Dio nella storia umana, culminante nell'incarnazione del
Figlio, facile comprendere il suo carattere di gratuit e di unicit.
La rivelazione infatti non si presenta
in una forma di conoscenza da scoprire, comunicata da un essere pi intelligente, ma come novit assoluta.
Il suo punto di partenza un'iniziativa del Dio vivente, il cui atto creatore del cosmo non ne esaurisce l'infinita libert. Questa volta si tratta
di un evento creatore, di una creazione nuova, di un uomo nuovo, di
una nuova vocazione e di un nuovo
stile di vita. Si tratta di un nuovo statuto dell'umanit che fa dell'uomo un
figlio di Dio e dell'umanit il corpo
di Cristo. Una simile iniziativa sfugge a ogni esigenza e costrizione da
parte dell'uomo.
Se ammettiamo che la
storia
un elemento costitutivo dell'uomo in
quanto spirito incarnato, ne consegue che la storia il luogo di un'eventuale manifestazione di Dio e che
l'uomo deve interrogare la storia per
scoprirvi il tempo e il luogo in cui
la salvezza ha forse toccato l'umanit. Ma che Dio effettivamente esca
dal suo mistero per invitare l'uomo
a condividere la sua vita e che intervenga nel campo della storia umana,
qui piuttosto che altrove, ora e non
poi, questo deriva dal mistero della
sua libert.
Questo gi uno dei tratti pi vigorosamente sottolineati dalla rivelazione vetero-testamentaria. Non
feti e poi nella carne, nel volto e nella voce di Cristo, parola interiore del
Padre fatta carne per chiamare tutti
gli uomini e invitarli alla comunione con lui! Parola articolata divenuta vangelo, parola data, elargita,
immolata fino al silenzio della croce
in cui viene detta la suprema parola
con le braccia stese e il cuore trafitto: Dio amore. Questa struttura dialogica caratterizza tutta la rivelazione dell'AT e del NT.
Ma parlare di
analogia significa
anche parlare di dissimilitudine, altrettanto e pi che di similitudine. Da
una parte vero che la rivelazione,
come la fede, si apre al mistero di
una persona e non di qualcosa: di un
10 che si rivolge a un tu; di un io
che, scoprendo il mistero della sua
vita, fa scoprire all'uomo che tutto
11 senso dell'esistenza umana risiede
nell'incontro di questo io e nell'accoglienza amorosa del dono che egli
fa di se stesso. anche vero che il
vangelo non semplicemente incontro ineffabile del Dio vivente, senza volto e contenuto, ma annuncio
della salvezza in Ges Cristo. Con
questo duplice aspetto di messaggio
e di interpellanza, all'interno di uno
svelamento personale di Dio per una
comunione di vita, la parola di Dio
evidentemente evoca ci che gli uomini definiscono parola, cio quella
forma superiore di scambio con la
quale una persona si esprime e si rivolge a un'altra per comunicare.
Ma d'altra parte, che abisso c' tra
questa parola d'uomo e la parola della rivelazione! Colui che in Ges Cristo si rivolge all'uomo non un semplice profeta, ma il Trascendente che
si fa vicino, l'intangibile che si rende
palpabile, l'eterno che invade il tempo, il tre volte Santo che si rivolge
con amicizia alla sua creatura diventata, a causa del peccato, infelice e
ribelle. Questo peccatore, Dio lo incontra al suo livello, come uomo tra
gli uomini, e si rivolge a lui con gesti
e parole che l'uomo pu cogliere. Cri-
nello stesso modo la rivelazione escatologica (1 Cor 1,7; 2 Ts 1,7). Avendo beneficiato, nel momento della
sua conversione, di un'apocalisse
del figlio di Dio, attende la piena manifestazione della gloria del suo Signore e della gloria di tutti coloro che
si sono configurati in Cristo (Rm 8,
17-19). Infatti ci che sarebbe non
stato ancora rivelato (1 Gv 3,2).
Infine la chiesa annuncia sempre che
il Signore viene, che deve venire. Attende il ritorno dello Sposo e la manifestazione gloriosa di ci che gi
esiste sotto il velo della fede.
Dobbiamo tuttavia sottolineare che
esiste una differenza essenziale tra la
prima e l'ultima attesa di Cristo, tra
la rivelazione della storia e quella della parusia. Nell'AT la promessa trova il suo compimento in un futuro
che non si ancora verificato. Con
il Cristo, al contrario, ci che vi
di decisivo, rispetto sia al passato che
al futuro, accaduto. Con Cristo
l'avvenire gi dato e iniziato. In
Cristo, vita eterna tra noi, la storia
conosce una soglia, uno stadio inatteso. La rivelazione non definisce
semplicemente Dio e l'uomo come
non-mondo, ma annuncia che Dio
nel mondo, affinch gli uomini vivano nel mondo, ma orientati a Dio
in un qui che gi la vita eterna, che
inaugura, nel tempo, la vita al di fuori dei limiti del tempo, ma passando,
come il Cristo, attraverso la morte
temporale e la risurrezione alla vita
eterna. Il cristiano ha il proprio futuro dietro di s, poich con il battesimo passato dalla morte alla vita.
Se la speranza e l'attesa del Signore
cos viva in S. Paolo e nella chiesa
proprio perch l'evento decisivo
sopraggiunto e garantisce ci che verr. Se speriamo nel ritorno di Cristo
perch egli gi venuto. Non la
parusia che illumina il NT, ma piuttosto l'evento-Cristo che, con tutto
ci che include, illumina il futuro. Il
futuro certo, poich l'evento-Cristo
ha illuminato, irradiato il prima e il
namismo cognitivo e volitivo dell'uomo. Sebbene non sia oggetto di coscienza riflessa e discorsiva, essa tuttavia come il primo orizzonte dato insieme con l'esistenza, su cui si inscrive
l'agire umano. Quando l'uomo si abbandona nel profondo della sua coscienza a questa grazia, anche se ne
ignora l'esistenza, il nome e l'autore,
egli opera la propria salvezza. Ma una
cosa riconoscere questa azione interiore della grazia e un'altra qualificarla come rivelazione.
La Scrittura da parte sua attesta che
la rivelazione storica data in Ges
Cristo pu essere accolta solo nel
contesto di una soggettivit toccata
dalla grazia. Essa richiede quest'azione
interiore: un'attrazione (Gv 6,44),
un'illuminazione paragonabile alla luce della creazione del primo mattino (2 Cor 4,4-6), un'unzione di
Dio (2 Cor 1,22), una testimonianza dello Spirito (1 Gv 5,6) e, una
volta soltanto, una rivelazione interiore (Mt 11,25; 16,17). Nel movimento verso il Cristo, che l'accoglienza della rivelazione per mezzo
della fede, vi Qualcuno che opera
per primo. Questa azione interiore
tuttavia mantiene l'incognito: tanto
che in Mt 16,17 si osserva che Cristo
stesso deve rendere nota a Pietro questa azione della grazia in lui.
Questa azione interiore di Dio, che
in modo identico la grazia della salvezza e della fede, come la dimensione interiore della rivelazione cristiana, poich non vi sono due rivelazioni, due vangeli, ma due facce o
dimensioni di un'unica rivelazione, di
un'unica parola di Dio. Ora la grazia interiore la salvezza offerta ma
non identificata. solo con la rivelazione storica, categoriale, che l'azione salvifica di Dio diventa cosciente e nota in categorie umane. solo
per mezzo del vangelo che conosciamo la volont salvifica universale di
Dio e i mezzi di salvezza messi a disposizione di tutti gli uomini. Ora
spetta all'economia della salvezza far
s che il disegno di Dio in Ges Cristo sia riconosciuto, reso noto e portato a conoscenza delle nazioni. Ma
spetta alla natura umana, alla creatura razionale, far s che l'opzione di
fede, che coinvolge tutta la vita, sorga all'interno di una coscienza pienamente illuminata sulla seriet e la
rettitudine di questa opzione.
Dunque la rivelazione raggiunge la
maturit solo quando la storia della
salvezza sa positivamente e con sicurezza di essere voluta da Dio. Ora
solo l'evento-Cristo l'evento pieno
e definitivo che sfugge non solo all'anonimato ma anche a ogni falsa
interpretazione della storia della salvezza e a ogni ambiguit. La rivelazione trascendentale resta fondamentalmente ambigua senza la luce della
rivelazione storica e categoriale. L'orizzonte dell'uomo verso il futuro
apertura su un orizzonte indefinito
che pu ricevere un'interpretazione di
tipo panteista, teista o ateo. Solo la
rivelazione di Dio nella storia pu
dissolvere l'ambiguit di fondo che
circonda la rivelazione trascendentale.
Di conseguenza ci sembra abusivo,
a livello di linguaggio teologico, confondere semplicemente storia della
salvezza, grazia della salvezza e storia della rivelazione, creando cos
l'impressione che la rivelazione sia
prima di tutto la grazia della salvezza dispensata agli uomini di tutti i
tempi; mentre la rivelazione cristiana, storica, categoriale, sarebbe solo
un episodio pi importante, un momento pi intenso della rivelazione
universale, una sorta di rivelazione
settoriale o una filiale della rivelazione trascendentale. La verit che
questa distinzione tra rivelazione universale (grazia della salvezza) e rivelazione speciale (in Ges Cristo) travisa la realt. La rivelazione universale autentica non anonima: quella che si compie in Ges Cristo e che
conferisce all'uomo la grazia della
salvezza prima e dopo di lui. Ci che
speciale non il cristianesimo, che
l'universale concreto, in Ges Cristo, l'universale assoluto. Questo universalismo cristiano include l'AT, che
svolgimento progressivo della rivelazione piena, germinazione della rivelazione totale fino a Ges Cristo.
Rovesciare le prospettive vuol dire
oscurare la luce, prolungare una confusione che non trova alcun sostegno
nella Scrittura e nel magistero, per i
quali la rivelazione si presenta come
un'irruzione storica, inaudita, da parte
di Dio in mezzo a noi. Confondere
questa irruzione puntuale con la grazia salvifica, anonima e universale che
invade l'uomo a sua insaputa, significa aumentare il numero gi troppo
elevato delle ambiguit che ingombrano la teologia. La DV si tiene con cura a distanza da questi equivoci. Se
cerchiamo un termine adatto a discernere l'azione di questa grazia della salvezza, possiamo parlare, seguendo l
Scrittura, di attrazione, di illuminazione, di testimonianza o, come Tommaso, di istinto interiore, parola interiore. Inoltre se vogliamo sottolineare che la rivelazione cristiana a un
tempo vangelo esteriore e grazia interiore, azione congiunta di Cristo e del
suo Spirito, possiamo parlare della dimensione interiore dell'unica rivelazione, dell'unica parola di Dio.
15. Rivelazione e storia delle religioni - Se il Cristo la pienezza della
rivelazione, Dio-tra-noi, ne segue che
egli l'unica interpretazione autentica di tutte le forme della salvezza,
anteriori, contemporanee e successive
alla sua venuta storica. vero che
la grazia della salvezza, in quanto
opera in uno spirito segnato dalla storicit, tende a oggettivarsi nei riti,
nelle pratiche, in un linguaggio. Sotto l'azione di questa grazia gli uomini cercano a tastoni, vagamente presentendo un mistero si salvezza. Le
grandi religioni (per esempio
l'induismo e il > buddhismo), la cui intenzione principale la liberazione
d e l l ' i i f i m n . snrrn t e n t a t i v i Hi i n t e r n r e -
Dio, consumati nella forma scandalosa della rivelazione suprema dell'amore, nella forma visibile e tangibile
di un crocifisso, sconvolgono ogni
concezione umana. In realt non
il genere di singolarit che ci saremmo aspettati dall'assoluto e dal trascendente; e tuttavia vi in questo
rovesciamento stesso delle nostre concezioni umane, in questo scandalo,
un tratto fondamentale della rivelazione di Dio come totalmente Altro.
L'uomo non giunger mai a superare questo scandalo se non eliminer
la propria autosufficienza per aprirsi
all'amore che si offre a lui.
b. Un secondo carattere della rivelazione nella totalit dei suoi elementi
la sovrabbondanza della salvezza
che manifesta: sovrabbondanza dei
mezzi di comunicazione e di espressione; sovrabbondanza delle vie che
annunciano e preparano l'evento culminante dell'incarnazione del Figli;
sovrabbondanza dei carismi che accompagnano e proteggono l'espandersi della rivelazione attraverso le
epoche (tradizione, ispirazione, infallibilit); sovrabbondanza infine dei
doni e dei mezzi di salvezza. Tale sovrabbondanza, che gi il segno di
Dio nell'universo, anche una caratteristica della storia della salvezza.
Ci che sorprende non la salvezza
offerta a tutti gli uomini; piuttosto
la sovrabbondanza della salvezza che
accompagna la rivelazione cristiana.
Questa rappresenta, rispetto alla salvezza universale e alle religioni storiche, un surplus, una sovrabbondanza nei doni della salvezza, che manifesta la prodigalit di Dio nella nuova creazione. Ci che sorprende la
sovrabbondanza dell'amore di Dio
per l'uomo peccatore. Si pu concepire che Dio esca dal suo silenzio e
che dichiari il suo amore; ma che
esprime questo amore fino all'esaurimento dell'espressione, cio fino al
dono di se stesso e fino all'abisso della croce, questa una manifestazion o Ai u n o mrtra rli o aKV\An/4o o cr\_
a questo amore con la fede e la carit, appaiono come immersi nel flusso e riflusso d'amore che unisce il Padre e il Figlio nello Spirito. La rivelazione un'azione che coinvolge
contemporaneamente la Trinit e l'umanit, che intreccia un dialogo ininterrotto tra il Padre e i suoi figli acquisiti con il sangue di Cristo. Essa
si sviluppa a un tempo sul piano dell'evento storico e sul piano dell'eternit. Si inaugura con la parola e la
fede e si compie nell'incontro faccia
a faccia della visione.
- Le limitiamo a tre.
1. Nozione di rivelazione - La prima concerne evidentemente la nozione stessa di rivelazione. La rivelazione cristiana l'automanifestazione e
l'autodonazione di Dio in Ges Cristo nella storia, come storia, con la
mediazione della storia, cio con la
mediazione di avvenimenti o gesti interpretati dai testimoni autorizzati da
Dio. Questa manifestazione ha tratti
assolutamente specifici che fanno della rivelazione cristiana una realt unica e senza precedenti: storicit, struttura sacramentale, progetto dialettico a spirale, principio incarnazionale, centralit assoluta di Cristo, Verbo
fatto carne, economia e pedagogia,
dialogo d'amore, rivelazione a un
tempo di Dio e dell'uomo a se stesso, realt sempre in tensione (presente-passato, storia-escatologia). La singolarit di questa rivelazione fa di
Cristo la chiave di interpretazione di
tutte le realt che le sono connesse
o le assomigliano: grazia universale
della salvezza, esperienza delle religioni storiche, illuminazione della fede. Questa singolarit della rivelazione cristiana permette di identificarla
e contemporaneamente di distinguerla
da tutte le religioni che si dicono
ugualmente rivelate.
suoi tratti specifici, del tutto evidente come la sua -< comunicazione differisca da quella di un sistema filosofico, di una scoperta scientifica o di una tecnica artigianale. La
comunicazione della rivelazione dell'ordine della testimonianza. Proprio
come la testimonianza di Cristo stata indissolubilmente un docere e un
facere, anche la comunicazione del
vangelo include nello stesso modo la
prassi di uno stile di vita filiale e la
proclamazione della fede. Di fatto
con la testimonianza congiunta dell'insegnamento e della vita che gli
apostoli hanno trasmesso ci che avevano appreso da Cristo, dal vivere
insieme [con lui] e dalle opere di Cristo (DV 7). A sua volta la chiesa
perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ci che essa e tutto
ci che essa crede (DV 8 e 10). Comunicare la rivelazione significa che
colui che comunica, che proclama
la salvezza, nello stesso tempo il
testimone vivente di una fede che ha
prima di tutto illuminato e trasformato la sua vita. Altrimenti il vangelo rischia di diventare un'ideologia,
un sistema, una gnosi, un'etica.
In regime cristiano la comunicazione partecipa all'elevazione dell'uomo
per mezzo dell'incarnazione e della
grazia. I mass-media sono in qualche
modo gratificati di una nuova dimensione che deriva dalla specificit
della rivelazione cristiana. Infatti: a.
ci che comunicato il vangelo, parola rivelata e ispirata, parola efficace; b. colui che la comunica e invita
alla fede egli stesso testimone vivo
del vangelo che propone; c. l'uditore
della parola un uomo in cui opera
lo Spirito di Cristo. Le tecniche sono
le stesse (radio, TV, cinema, stampa),
ma la realt comunicata, chi la comunica e chi l'ascolta, costituiscono una condizione unica.
CONCLUSIONI
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