Latourelle, R. - Rivelazione

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RIVELAZIONE

I. Introduzione - II. Premesse metodologiche - III. Rivelazione veterotestamentaria - IV.


La rivelazione nel Nuovo Testamento - V. Il tema della rivelazione nei Padri della chiesa VI. Dichiarazioni del magistero - VII. Riflessione sistematica: singolarit della rivelazione
cristiana - VIII. Tratti specifici della rivelazione cristiana (R. Latourelle).

I . INTRODUZIONE - Nel contesto del


pensiero contemporaneo, il tema della
rivelazione al crocevia di tutti i problemi e di tutte le contestazioni.
L'uomo occidentale, infatti, contesta
la pretesa del cristianesimo di presentarsi come la rivelazione assoluta.
D'altra parte l'ebraismo, l'islam e
l'induismo hanno la stessa pretesa.
L'uomo post-cristiano, soprattutto
occidentale, ateo o indifferente, deluso, amareggiato o ribelle, che proviene da una civilt modellata dal cristianesimo, ma ormai divenuta esangue e incapace di generare qualcosa
di diverso dal vuoto e dal non senso,
non vede pi che cosa il cristianesimo potrebbe portargli ancora, tanto
pi che si scopre in un'ignoranza abissale.
Una crisi di questa dimensione non
pu essere superata con palliativi ma
con una riscoperta di questo intervento sconvolgente e inaudito di Dio nella carne e nel linguaggio di Cristo.
Al tempo dell'impero romano il cristianesimo ha dovuto affrontare il paganesimo; questa volta deve riallacciare i rapporti con l'uomo post-cristiano che ha abbandonato o tradito
Cristo. Prima l'uomo andava verso
Cristo; ora deve convertirsi e ritornare a lui. Come stato detto nel
Sinodo del 1985 e nell'esortazione
Christifideles Laici, l'uomo occidentale ha bisogno di una seconda evangelizzazione.
Di fatto il cristianesimo ha qualcosa da dire all'uomo contemporaneo
e in particolare all'uomo occidentale, qualcosa di decisivo. Se non fosse
in grado di dirlo, nessun'altra potenza, ideologia o religione sulla terra
sarebbe in grado di sostituirlo. Poi-

ch Cristo la teofania suprema, il


Dio che rivela ed rivelato, l'universale concreto, il cristianesimo occupa una posizione unica che lo distingue da tutte le religioni che si dicono rivelate e che gli contestano la
sua pretesa fondamentale. Esso l'unica religione la cui rivelazione si incarna in una persona che si presenta
come la verit viva e assoluta, accogliente e unificante in s tutti gli
aspetti della verit di cui costellata
la storia dell'umanit: trascendenza
della verit che caratterizza le correnti
platoniche, storicit della verit che
caratterizza il pensiero moderno e
contemporaneo, interiorit della verit messa in luce dalle diverse forme
dell'esistenzialismo. Cristo non semplicemente un fondatore di religione:
egli contemporaneamente immanente alla storia degli uomini e assolutamente trascendente ad essa. anche
l'unico mediatore di senso, il solo esegeta dell'uomo e dei suoi problemi.
Aiutare l'uomo contemporaneo a riscoprire in tutta la sua freschezza
questa realt prima del cristianesimo
qual la rivelazione, a coglierne la
specificit, non questione di libera
scelta ma di necessit di natura, da
parte di una - teologia che vuole essere a un tempo contestuale e sistematica.
I I . PREMESSE METODOLOGICHE - I l

compito, che pure sembra necessario,


non per questo facile. La prima difficolt viene dal diverso angolo di approccio scelto dagli stessi teologi. Infatti un certo nmero di teologi, cattolici o protestanti, hanno cos ottenebrato la riflessione teologica a
furia di problematicizzare, da riu-

scire a velare questa realt che paradossalmente si definisce rivelazione o svelamento. Il problema
che essi hanno scelto come punto di
partenza Yinspiegato per chiarire lo
spiegante. Invece di lasciarsi trasportare dalla corrente stessa della rivelazione, per ascoltare ci che essa dice
di s, sono partiti da presupposti teologici.
1. questo il caso dei teologi protestanti come K. Barth, R. Bultmann,
W. Pannenberg. Fin dall'inizio, la loro riflessione condizionata da una
teologia della fede, dell'esistenza umana, della storia. Alcuni teologi cattolici, eccessivamente influenzati da
questa recente teologia, hanno elaborato la loro riflessione sulla rivelazione all'interno delle prospettive della
teologia dialettica, dell'ermeneutica
esistenziale, della teologia della prassi, invece di poggiare sulle tradizioni
bibliche e patristiche, indubbiamente
meno sistematiche, ma pi vicine alla fonte nel suo originale sgorgare.
2. Altri teologi hanno scelto come
punto di partenza il fenomeno universale delle religioni. Osservando che
tutte si definiscono religioni rivelate,
con modelli che si assomigliano tra
loro (mediatori, riti, istituzioni), ne
concludono che la rivelazione cristiana la forma superiore di un'esperienza comune. Questo comparatismo
religioso rischia di giungere alle posizioni riduttive di Schleiermacher e
di Sabatier, o alle posizioni pi spinte del modernismo. La fede cristiana
ha dei luoghi normativi - come
il dono di Cristo - che sfidano ogni
attesa ed esperienza comune.
3. Altri, invece di partire dall'universale concreto, cio da Cristo, preferiscono svolgere dapprima una tela
di fondo, cio la rivelazione trascendentale, la grazia universale della
salvezza data a ogni uomo che viene
in questo mondo. La rivelazione eristica o speciale appare allora come un episodio pi importante, un

momento pi intenso di questa rivelazione universale. Invece di partire


dall'universale concreto e conosciuto, si parte dall'universale nascosto
e indeterminato, sfuggendo alle prese della coscienza umana. Tale prospettiva non viene adottata n dalle
Scritture n dai documenti del magistero.
4. Altri, infine, si lasciano guidare
dai termini, soprattutto dalla parola
rivelare (apokalptein). I termini sono a loro volta un terreno minato.
Sebbene il termine rivelazione sia
divenuto il termine tecnico per designare l'automanifestazione e l'autodonazione di Dio in Ges Cristo, non
cos nelle fonti bibliche. Infatti, nell'Antico Testamento, rivelare-rivelazione ha un'incontestabile risonanza
apocalittica e ricopre solo in parte
una realt molto pi ampia. Nel Nuovo Testamento, la rivelazione viene
descritta da una trentina di parole,
nel suo aspetto attivo o passivo. Nell'AT, il termine Parola prevale immediatamente su quello di rivelazione e nel NT si amplia fino a divenire
il Logos di san Giovanni. A dire il
vero la parola vangelo che pi si
avvicina all'attuale senso di rivelazione. Non deve essere solo la diversit
dei termini presenti a tenerci allerta.
5. Siamo forse di fronte a un problema senza uscita? dunque impossibile definire quella realt polivalente
che chiamiamo rivelazione? Riteniamo di poterci richiamare a due criteri di discernimento:
a. Possiamo trovare nella tradizione cristiana ci che oggi viene inteso
dal termine preciso e tecnico di rivelazione proposto, ad esempio, nella
Dei Verbum? Non si tratta di forzare i testi per far loro dire ci che oggi comprendiamo, ma di vedere se,
fin dall'origine, non esiste un solco
luminoso, dapprima lontano e appena percettibile come una serie di punti
chiaro-scuri e disgiunti, di cui l'occhio non percepisce ancora bene l'u-

nit, ma che finiscono per costituire


dei ponti e una linea sempre pi salda, sempre pi brillante, fino a diventare quell'abbagliante luce che
Cristo, mediatore e pienezza della rivelazione (DV 2). La
Dei Verbum,
che rappresenta un punto di arrivo,
assomiglia a un faro che evita all'esploratore di imboccare strade senza
uscita: essa pone dei segnali alla sua
ricerca.
b. Il secondo criterio richiama l'attenzione sulla realt che corrisponde
a ci che chiamiamo rivelazione. Costatiamo allora la sorprendente diversit dei termini che hanno come confronto la fede. Cos Ges proclama
il vangelo e dice: Credete al vangelo (Mc 1,15); egli predica, insegna
e invita alla fede (Mc 6,2.5); testimonia, sebbene non si creda alla sua testimonianza (Gv 1,1; 3,32); parla e
dice la verit, ma i contemporanei
non credono (Gv 8,46-47). A loro
volta gli apostoli testimoniano, predicano, insegnano e invitano alla fede in Cristo risorto (At 2,41). S. Paolo dice: Cos predichiamo e cos avete creduto (1 Cor 15,11). Il mistero
nascosto e poi rivelato manifestato
e reso noto a tutti i popoli perch
obbediscano alla fede (Rm 16,25-26).
Nell'AT come nel NT Dio parla per
essere ascoltato (Eb 12,25) e creduto
(Eb 4,2). Un solo termine designa la
risposta dell'uomo: la fede che risponde all'azione rivelatrice di Dio
esprimentesi in molteplici concetti; di
fronte al mistero di Dio infatti l'uomo non pu che moltiplicare i tentativi di avvicinamento e balbettare ci
che riesce a coglierne.
Per definire la rivelazione useremo
il duplice criterio che abbiamo proposto. Non si tratta evidentemente di
riprendere all'interno di un articolo
le ricerche bibliche, patristiche, teologiche, gi compiute nel GLNT, nel
DBSuppl, nei due fascicoli dell'Handbuch der Dogmengeschichte o nelle
monografie elaborate sulla teologia
della rivelazione. D'altra parte, una

sistematica della rivelazione senza una


prospettiva diacronica sarebbe molto povera. Inoltre i lettori di un dizionario non hanno sempre accesso
a queste opere di ampio respiro e
nemmeno il tempo di scorrerle. Scegliamo una soluzione di mezzo: sottolineare i punti di continuit e di discontinuit, indicare le angolature di
approccio, gli elementi di rilievo, i capisaldi responsabili di nuovi orientamenti. Sebbene sia il primo oggetto
delle richieste del lettore, questo genere di operazione non viene sempre
effettuato: dunque sincronia e diacronia a un tempo, priorit accordata
alla sistematica, ma a partire da fonti seriamente passate in rassegna.
I I I . RIVELAZIONE VETEROTESTAMENTARIA - L'AT non ha un termine tec-

nico per designare ci che chiamiamo


rivelazione; ma usa un linguaggio
variato. Presa nella sua totalit, in
quanto fenomeno complesso e includente una molteplicit di forme, di
mezzi, di vocaboli, questa rivelazione
si presenta come l'esperienza dell'agire di una potenza inattesa ma sovrana, che modifica il corso della storia
dei popoli e degli individui. Tale azione tuttavia non una bruta manifestazione di potenza: si presenta come
un incontro tra qualcuno che comunica e qualcuno che riceve. In senso
ampio si tratta di un processo di dialogo tra esseri intelligenti, tra persone.
1. Tappe e forme della rivelazione a. Terminologia. L'ambiente orientale si serviva di determinate tecniche
per cercare di conoscere i segreti degli di: divinazione, sogni, consultazione del destino, presagi, ecc. L'AT
conserv a lungo qualcosa di queste
tecniche purificandole dai loro legami politeisti o magici (Lv 19,26; Dt
18,10ss; 1 Sam 15,23.28), attribuendo
loro un determinato valore. ugualmente significativo che Israele si sia
sempre rifiutato di accettare certe forme classiche di tecniche destinate a

far conoscere il pensiero divino, soprattutto l'epatoscopia, dovunque in


uso nella mantica sacrificale dell'antico Oriente. Come la maggior parte
dei popoli antichi, gli ebrei hanno
ammesso che Dio poteva servirsi dei
sogni per far conoscere la sua volont (Gn 20,3; 28,12-15; 37,5-10; 1 Sam
28,6). Giuseppe possiede una coppa
per la divinazione ed eccelle nell'interpretazione dei sogni (Gn 40-41). Ma
progressivamente vengono distinti i
sogni che Dio invia ai profeti autentici (Nm 12,6; Dt 13,2), da quelli dei
divinatori di professione che spacciano sogni menzogneri (Ger 23,25-32;
Is 28,7-13). L'AT molto riservato
per ci che riguarda le visioni di Dio
dirette o indirette. Nelle teofanie ci
che conta non il fatto di vedere Dio,
ma quello di ascoltare la sua parola.
La chiamata di Abramo da parte
di Dio si presenta come un puro parlare divino (Gn 15,1 ss). anche significativo che Mos, sebbene potesse conversare con Dio come un amico (Es 33,11), non poteva vederne il
volto (Es 33,21-23). Nei profeti, anche nelle visioni, le parole sono l'essenziale. La rivelazione concessa a Samuele un'audizione (1 Sam 3). Nel
linguaggio rivelatore dell'AT le radici usate pi frequentemente sono in
rapporto con l'azione di comunicare, dire, parlare, raccontare, anche se
l'espressione parola di Dio resta l'espressione privilegiata per significare
la comunicazione divina. con la sua
parola che Dio introduce progressivamente l'uomo nella conoscenza del
suo intimo essere, fino al dono supremo della sua Parola fatta carne.
b. Rivelazione patriarcale. La rivelazione comincia a delinearsi con
Abramo e i - patriarchi. Tuttavia
i racconti patriarcali non sono storici nel senso moderno del termine:
non sono biografie, miti, racconti popolari, leggende, ma sono racconti
popolari religiosi; vogliono far condividere l'esperienza di un Dio particolare, l'esperienza che fonda quella

di Israele come popolo credente. Si


sarebbe potuto concepire questa esperienza come un'illuminazione e una
conoscenza di Dio, simile a quella di
Buddha. Ma non vi niente del genere nella vita di Abramo; vi sono
piuttosto una serie di avvenimenti e
di decisioni provocate da Dio e dalla
sua chiamata: Questa parola del Signore fu rivolta ad Abramo (Gn
15,1).
Questo Dio un Dio sconvolgente che disturba: Vattene verso il
paese che io ti indicher (Gn 12,1;
22,1-2). Abramo vive l'esperienza di
una partenza verso l'ignoto con una
sola garanzia: la promessa di Dio. Egli
sa che Dio lo guida, ma in una direzione insospettabile (Gn 15,5.6.12.17).
Nel profondo di questa notte della fede sorge una promessa gratuita, unilaterale, incondizionata, quella di una
discendenza innumerevole (Gn 17) a
cui segue un cambiamento di nome.
Abram diventa Abraham, padre di
una moltitudine. Questa stessa promessa sembra contraddetta dai fatti,
poich Abraham e Sara non hanno
discendenza. Ma Dio fedele al di l
dell'improbabile, anzi dell'impossibile. Sara genera un figlio. Ma appena
nato Dio ne chiede il sacrificio (Gn
22,1-19). Nelle tenebre Abraham si rimette a Dio che vede (Gn 22,1-14).
A Dio che si manifestato come signore della storia e della vita e come
il Dio della promessa, Abraham risponde con una disponibilit totale:
la sua reazione quella della fede e
dell'obbedienza. Abraham quindi il
padre dei credenti (Rm 4,16). In
questa prima tappa della rivelazione,
prototipo di tutta la rivelazione futura, Dio si manifesta con la sua azione nella storia: un'azione che promessa e compimento, parola efficace
che opera la salvezza che promette.
Di conseguenza la promessa non corrisponde a una gnosi di Dio ma a
una fede obbediente.
c. Rivelazione mosaico. La seconda
tappa decisiva della rivelazione si com-

pie nell'evento vissuto dell'esodo: un


evento di salvezza che libera Israele
dalla schiavit degli egiziani e che si
unisce all'autopresentazione del suo
autore. Rivelando il suo nome a Israele per mezzo di Mos suo mediatore,
Dio non rivela solo di esistere, ma di
essere l'unico Dio e l'unico salvatore:
Io sono colui che sono (Es 3,14).
Jhwh sempre presente, sempre attivo, pronto a salvare; egli unico. Rivelando il suo nome, Dio prende le
parti di Israele che diventa il suo eletto e il suo alleato. Liberazione, -
elezione, alleanza, legge, formano un
tutto indivisibile. L'alleanza e la legge
si comprendono infatti solo alla luce
di tutto il processo di liberazione di
cui sono il compimento. Con l'alleanza Jhwh, che ha provato a Israele la
sua potenza e la sua fedelt, fa di
questo popolo una sua propriet e diventa il capo della nazione. Le parole dell'alleanza (Es 20,1-17) o le
dieci parole (le dbrim: Es 34,28)
esprimono l'esclusivismo del Dio di
Israele e le esigenze morali del Dio
santo che stringe alleanza con un
popolo santo. Accettando l'alleanza, Israele accetta lo stile di vita che
corrisponde alla sua vocazione. Ma
la salvezza precede l'elezione, l'alleanza la legge. D'ora in poi il destino
di Israele legato alla volont di Dio
storicamente espressa e fondata sull'evento della liberazione. Nell'esodo
Israele ha fatto esperienza di un incontro, ma Jhwh non riducibile all'evento. Attraverso Mos egli ha rivelato il proprio Nome e il senso dell'evento. Israele si impegna in un'esistenza di dialogo, situata in un
contesto di chiamata e di risposta.
Fin dall'origine la rivelazione possiede gi la sua struttura di eventosignificante. La dialettica della promessa e del compimento prosegue.
Rivelandosi prima ai patriarchi e poi
a Israele come il Dio della storia, egli
conferisce gi alla rivelazione storica
la sua dimensione universale.
d. Rivelazione profetica. La parola

non viene rivolta al popolo direttamente ma attraverso mediatori


(Es 20,18). Mos, mediatore dell'alleanza e del decalogo, il prototipo dei profeti (Dt 34,10-12; 18,15-18).
Anche se Giosu appare gi come il
confidente e il porta parola di Jhwh,
solo a partire da Samuele (1 Sam
3,1-21) che il profetismo si impone
per diventare quasi permanente, sotto una forma carismatica pi che istituzionale, fino al secolo V.
I - profeti precedenti al periodo
dell'esilio (Amos, Osea, Michea, Isaia)
sono i guardiani e i difensori dell'alleanza e della legge. La loro predicazione un richiamo alla giustizia, alla fedelt verso il Dio tre volte santo; e poich Israele infedele alle
condizioni dell'alleanza, il dbr divino pronuncia per lo pi condanne e annuncia castighi (Am 4,1; 5,1;
Os 8,7-14; Mie 6-7; Is 1,10-20; 16,13;
28,13-14; 30,12-14). Tali castighi non
saranno revocati. Questo tema dell'irreversibilit e dell'efficacia della
parola di Dio viene nettamente affermato in Is 9,7: Una parola mand
il Signore contro Giacobbe, essa cadde su Israele. Puro dinamismo, la
parola si abbatte come una freccia e
sviluppa i suoi effetti in tappe successive.
Nella riflessione teologica sulla rivelazione, Geremia occupa un posto importante, in quanto ha tentato di determinare i criteri dell'autenticit della parola di Dio. Tali criteri sono: il
compiersi della parola del profeta (Ger
28,9; 32,6-8), la fedelt a Jhwh e alla
religione tradizionale (Ger 23,13-32),
la testimonianza spesso eroica del profeta stesso nella sua vocazione (Ger
1,4-6; 26,12-15).
Il Deuteronomio, che deriva dagli
ambienti del nord influenzati dalla
predizione profetica del IX e VIII secolo, si trova al confluire di due correnti: la corrente legalista, espressione
del sacerdozio e la corrente profetica. Sotto questa duplice influenza la
teologia della legge si approfondisce.

Il Deuteronomio unisce pi che mai


la legge al tema dell'alleanza. Se
Israele vuole vivere, deve mettere in
pratica tutte le parole della legge
(Dt 29,28); infatti questa legge, uscita
dalla bocca di Jhwh, fonte di vita
(Dt 32,47). Ma il Deuteronomio include anche nella legge mosaica tutte le
clausole dell'alleanza (Dt 28,69), cio
tutto il corpus delle leggi morali, civili, religiose, penali. Infine la parola
della legge si interiorizza: Questa
parola molto vicina a te, nella tua
bocca e nel tuo cuore, perch tu la
metta in pratica (Dt 30,11-14). La
legge consiste nell'amare Dio con tutto
il cuore e con tutta l'anima (Dt 4,29).
Parallelamente alle correnti profetica e deuteronomica, si elabora una
letteratura storica (Giudici, Samuele,
Re), che di fatto una storia della
salvezza e una teologia della storia.
L'alleanza conclusa da Jhwh e le condizioni da lui poste suppongono che
il corso degli avvenimenti sia regolato dalla volont divina in funzione
degli atteggiamenti del popolo scelto. Israele da quel momento non ha
cessato di pensare la sua religione nelle categorie della storia. In definitiva
la parola di Dio che fa la storia
e la rende intelligibile. Un testo importante di questa letteratura storica
la profezia di Natan (2 Sam 7) che
regalizza l'alleanza e fonda il
messianismo regale. Con questa profezia, la dinastia di David diventa direttamente e per sempre l'alleata di
Jhwh (2 Sam 7,16; 23,5), l'asse della
salvezza. D'ora in poi la speranza di
Israele riposer sul re; il re attuale,
prima, e poi un re futuro, escatologico, nella misura in cui le infedelt
del re storico allontanano la speranza di un re secondo l'ideale davidico. Questa profezia il punto di partenza di una teologia elaborata dai
profeti che eminentemente promessa volta al futuro, diversamente dalla teologia dell'alleanza la cui esigenza prima di tutto quotidiana.
Al tempo dell'esilio la parola profe-

tica, senza cessare di essere parola viva, diventa sempre pi parola scritta.
A questo proposito significativo come la parola confidata a Ezechiele sia
scritta su un rotolo che il profeta deve assimilare per predicarne il contenuto (Ez 3,1 ss). Una caratteristica importante della profezia di Ezechiele
il tono pastorale. Dopo la caduta
di Gerusalemme (Ez 33,1-21), Israele non esiste pi come nazione. La
parola di Jhwh diventa allora parola
di conforto e di speranza per gli esuli scoraggiati. Ezechiele tenta di formare il nuovo Israele alla maniera di
un direttore spirituale (Ez 33,1-9).
Lasciando intravedere che la parola
che ha decretato e realizzato il castigo resta sempre promessa fedele, Ezechiele tuttavia vigila perch non ci si
sbagli sulla sua natura: non basta
ascoltare la parola, bisogna viverla
(Ez 33,31).
Il Deuteroisaia (Is 40-55), che va letto nel quadro dell'esilio, considera il
dbr divino nella sua dinamica contemporaneamente cosmica e storica.
La sua sovranit assoluta sulla creazione il fondamento e la garanzia
della sua azione onnipotente nella storia; poich Jhwh ha suscitato dal
niente ogni cosa con la sua parola,
egli signore delle nazioni come delle
forze della natura. Egli all'inizio e
alla fine degli avvenimenti; la sua parola predice, suscita, compie. Dio tiene i poli estremi della storia (Is 41,4;
44,6; 48,12). E quest'ultima intelligibile perch si svolge seguendo un
piano che la parola rivela progressivamente agli uomini e che non torna
mai senza risultato (Is 55,10-12).
Vediamo che soprattutto grazie al
profetismo, la rivelazione del Sinai resta sempre il blocco centrale della rivelazione, perdura attraverso l'AT,
soprattutto in epoca regale e durante
l'esilio, e si approfondisce. Ora ci
che costituisce l'originalit del profeta il fatto di essere stato l'oggetto di un'esperienza privilegiata, la
maggior parte delle volte nel momen-

to della sua vocazione: egli conosce


Jhwh, perch questi gli ha parlato e
gli ha affidato la sua parola. stato
chiamato a un'intimit speciale con
Dio, a conoscere i suoi segreti (Nm
24,16-17), i suoi disegni (Am 3,7) per
divenirne l'interprete presso gli uomini.
Questa esperienza l'espressione
fondamentale del profeta: la parola
di Jhwh in lui (Ger 5,13). Il profeta ha coscienza di non aver cercato
questa parola, che essa non viene da
lui ma da Dio. Se egli ha ricevuto
questa parola per trasmetterla, per
renderla pubblica, per annunciarla.
Egli la bocca di Jhwh (Ger 15,19;
Ez 7,1-2), l'uomo della parola (Ger
18,18). E fra gli uomini l'interprete
autorizzato di Dio per tutto ci che
succede nell'universo (tempeste, cataclismi, carestie, prosperit), tra gli
uomini (peccati, morti, indurimenti)
e nella storia (disfatte, successi, successioni di imperi). importante sottolineare il carattere oggettivo e dinamico di questa parola. Il suo primo effetto si verifica nel profeta stesso che la riceve. Essa agisce in lui
come fuoco divoratore (Ger 20,8-9),
come potenza irreprimibile (Ger 20,8-9),
come luce abbagliante. Jhwh ha parlato: il profeta deve testimoniare. Questa
l'esperienza di Amos (Am 3,8), di
Geremia (Ger 7-8), di Isaia (Is 8,11),
di Ezechiele (Ez 3,14), di Elia (1 Re
18,46), di Eliseo (2 Re 3,15). Parola
di Dio in una parola umana, la parola profetica partecipa della sua efficacia. Non mai sterile. Dio tuttavia
ne sempre il signore e la sua parola
agisce secondo il disegno che egli scopre a poco a poco e che disegno
di salvezza e di vita. Per questo, Dio
- dovunque nell'AT - pazienta,
esaudisce, si lascia piegare, perdona.
Il campo d'azione della parola profetica la storia: questa parola creatrice e interprete della storia. Infatti
nella storia, attraverso gli interventi di Dio, che il popolo ebreo ha fatto l'esperienza dell'azione divina in
suo favore. La fede di Israele si basa

su questi eventi fondatori e il suo credo


consiste nel raccontarli (Dt 26,5-10).
L'azione di Dio annunciata dai profeti doppiamente opera della parola. Prima di tutto perch la parola
di Jhwh che suscita e dirige gli eventi: Il Signore non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi
servitori (Am 3,7). Per Israele la storia un processo diretto da Jhwh verso un termine da lui voluto. Il profeta non solo annuncia la storia, ma
la interpreta. Egli percepisce il senso
divino degli avvenimenti e lo rende
noto agli uomini: interpreta la storia
dal punto di vista di Dio. Eventi e
interpretazione sono come due dimensioni dell'unica parola di Dio. La storia della salvezza un succedersi di
interventi divini interpretati dal profeta. Quindi, attraverso gli eventi dell'Esodo, interpretati da Mos, il popolo ebreo ha conosciuto Jhwh come Dio vivente, personale, unico, onnipotente, fedele, che salva il suo
popolo e stringe alleanza con esso in
vista di una comune opera di salvezza (Dt 6,20-24). Ne consegue che Dio,
i suoi attributi e il suo disegno, si rivelano non astrattamente ma nella
storia e attraverso la storia. C' progresso nella conoscenza di Dio, ma
tale progresso legato ad eventi che
la parola di Dio annuncia, realizza
e interpreta per mezzo dei profeti:
una storia-significante.
e. Rivelazione sapienziale. Sebbene
la letteratura sapienziale dell'AT appartenga a una corrente di pensiero
internazionale (Grecia, Egitto, Babilonia, Fenicia), attestata fin dal secondo millennio, tale corrente di pensiero stata ben presto trasformata
da Israele in strumento di rivelazione. Lo stesso Dio che illumina i profeti si servito dell'esperienza umana per rivelare l'uomo a se stesso
(Prv 2,6; 20,27). Israele assume l'esperienza umana, ma la interpreta e
l'approfondisce alla luce della sua fede in Jhwh. Ancor pi, i dati su cui
si esercita la riflessione sapienziale ap-

partengono spesso alla rivelazione:


storia, legge e profeti. La Sapienza,
come la parola, uscita dalla bocca
dell'Altissimo. Alla fine anch'essa si
identifica con la parola di Dio. Il salterio che si forma a poco a poco lungo il corso della storia, principalmente risposta alla rivelazione; ma
anche rivelazione, poich la preghiera degli uomini d alla rivelazione
tutta la sua dimensione mediante i
sentimenti che esprime. La maest,
la potenza, la fedelt, la santit di
Jhwh rivelate dai profeti, si riflettono negli atteggiamenti del credente e
nell'intensit della sua preghiera. Specchio della rivelazione, i salmi ne sono anche l'attualizzazione quotidiana nel culto del tempio.
Alla rivelazione sapienziale si ricollega il tema della rivelazione cosmica
- cio attraverso la creazione - che
rappresenta uno stadio abbastanza
tardivo della rivelazione ispirata. Infatti soprattutto nella storia che
Israele ha conosciuto Jhwh, quando
in Egitto ha fatto l'esperienza della
sua potenza liberatrice. L'incessante
meditazione operata su questa illimitata potenza di Jhwh, che usa a suo
piacimento gli elementi della natura
per salvare il popolo, ha avuto come
esito, attraverso una maturazione organica e omogenea, la credenza nella
creazione. Israele ha compreso che lo
stesso Dio che ha suscitato il popolo
dal niente della schiavit, ha anche
suscitato dal niente il cosmo. La sua
sovranit universale: Dalla parola
del Signore furono fatti i cieli, dal
soffio della sua bocca ogni loro schiera... perch egli parla e tutto fatto (Sai 33,6.9). Quando la parola si
impone alle cose, essa crea; quando
si impone agli uomini diventa legge.
Poich la creazione ci che Dio ha
detto, anch'essa rivelazione (Gb,
Prv, Sir, Sap, Sal, Rm 1,16).
2. Oggetto e carattere della rivelazione veterotestamentaria - La rivelazione nell'AT ha tratti ben specifi-

ci che la distinguono da ogni altro


tipo di conoscenza:
a. La rivelazione essenzialmente
interpersonale. manifestazione di
Qualcuno a qualcun'altro. Jhwh
contemporaneamente Dio rivelatore e
Dio rivelato, che si d a conoscere
e che si fa conoscere. Stringe alleanza con l'uomo, dapprima come un
padrone con il servo e poi, progressivamente, come un padre con il figlio, come un amico con l'amico, come lo sposo con la sposa. La rivelazione introduce in una comunione
con Dio per la salvezza dell'uomo.
b. La rivelazione veterotestamentaria deriva dall'iniziativa di Dio. Non
l'uomo a scoprire Dio: Jhwh che
si manifesta quando vuole e a chi
vuole, perch vuole. Jhwh libert
assoluta. Per primo ha scelto, ha promesso, ha stretto alleanza. E la sua
parola, che contraddice le prospettive umane e carnali di Israele, fa ancor pi esplodere la libert del suo
disegno. Questa libert si manifesta
ancora nella variet dei mezzi scelti
da lui per rivelarsi: la natura, la storia, l'esperienza umana; per la variet delle personalit elette (sacerdoti,
saggi, profeti, re e aristocratici, contadini e pastori); nella diversit dei
modi di comunicazione (teofanie, sogni, consulti, visioni, estasi, rapimenti, ecc.); nella diversit dei generi letterari (oracoli, esortazioni, autobiografie, descrizioni, inni, poesia, riflessione sapienziale, ecc.).
c. Ci che dona unit all'economia
rivelatrice la parola. I filosofi greci
e le religioni del periodo ellenistico
tendono alla visione della divinit. La
religione dell'AT, al contrario, la
religione della parola ascoltata. Questa prevalenza dell'ascoltare rispetto
al vedere esprime uno dei tratti essenziali della rivelazione biblica. Dio
parla al profeta e lo invia a parlare:
questo comunica il disegno di Dio e
invita l'uomo all'obbedienza della fede. Questa parola tuttavia introduce
alla visione. Se gli uomini ancora non

re nella persona del suo Unto o Mespenetrano fino alle profondit del misia, la promessa un tempo fatta ad
stero, ne hanno comunque un primo
Abramo di benedire nella sua discenapproccio e una prima percezione atdenza tutte le nazioni della terra.
traverso la parola. Notiamo ancora
Quest'azione concepita come paroche la parola manifesta un maggiore
la di Dio che invita l'uomo alla fede
rispetto da parte di Dio della libert
e all'obbedienza: una parola essendell'uomo. Dio si rivolge all'uomo,
lo interpella, ma quest'ultimo restazialmente dinamica che opera la salvezza nello stesso tempo in cui l'anlibero di acconsentire o di rifiutare.
nuncia e la promette.
Infine la parola, che rimane tra gli
uomini il pi spirituale degli scambi,
anche il mezzo per eccellenza della
I V . L A RIVELAZIONE NEL NUOVO TEcomunicazione spirituale tra Dio e
STAMENTO - L'intuizione centrale del
l'uomo. Il peccato consiste nell'induNT che si sia verificato un evento
rire il cuore per non ascoltare la padi capitale importanza tra le due alrola. A seconda che essa venga acleanze: Dio, che aveva gi parlato
colta o no, la rivelazione diventa per
nei tempi antichi molte volte e in dil'uomo vita o morte.
versi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha
d. Ma lo scopo della rivelazione
parlato a noi per mezzo del Figlio
la vita e la salvezza dell'uomo, l'al(Eb 1,1-2). In Ges Cristo, la parola
leanza in vista della comunione. La
interiore in cui Dio conosce tutte le
rivelazione dell'AT prende slancio
cose e in cui si esprime totalmente,
dalla promessa fatta ad Abramo e
assume la carne e il linguaggio deltende al compimento. Per il profeta
l'uomo, diventa vangelo, parola di salil presente non che la parziale reavezza, per chiamare l'uomo alla vita
lizzazione del futuro annunciato, atche non finisce. In Ges Cristo, Verteso, preparato, ma ancora nascosto.
bo
incarnato, il Figlio presente tra
Ci che presente acquisisce tutta la
noi e parla, predica, insegna, attesta
sua importanza solo grazie alla proci che ha visto e sentito in seno al
messa nel passato di ci che sar l'avPadre con termini umani che possiavenire. Ogni rivelazione profetica semo comprendere e assimilare. Cristo
gna un compimento della parola, ma
il culmine e la pienezza della rivelanello stesso tempo lascia sperare in
zione, colui che rivela Dio e che riveun compimento ancora pi decisivo.
la l'uomo a se stesso: questa la granLa storia tende quindi alla pienezza
de novit, il mistero inesauribile di cui
dei tempi che sar il compimento del
gli scrittori sacri manifestano lo splendisegno di salvezza in Cristo e per
dore, ognuno insistendo su un aspetmezzo di Cristo.
to. Bisogna poi ricomporre in unit
3. Nozione veterotestamentaria della
queste differenti prospettive per corivelazione - Nell'AT la rivelazione
glierne la complessit e la ricchezza,
appare come l'intervento gratuito e
un po' come le complementari angolibero con cui Dio santo e nascosto
lature di un'unica cattedrale.
- nell'ambito della storia e in relazione con gli avvenimenti della sto1. La tradizione sinottica - In Marria, autenticamente interpretati dalla
co le parole chiave del vocabolario
parola di Jhwh rivolta ai profeti sedella rivelazione (per esempio apokacondo modi di comunicazione molto
lypto, apokalypsis) sono assenti. Pi
diversi - fa progressivamente conoche altrove, un'attenzione esclusiva al
scere se stesso e il disegno di salvezloghion di Mt 11,25-27, Le 10,21-22
za dell'alleanza con Israele e, in ese ai binomi nascondere-rivelare, coso, con tutte le nazioni, per realizzanoscere-rivelare, pu essere occasio-

ne di equivoco. Raccontando la storia di Ges, gli evangelisti non fanno


altro che raccontare la manifestazione di Dio in Ges Cristo; infatti Cristo il luogo pi importante di questa epifania di Dio. Il vangelo di Marco, soprattutto, la progressiva manifestazione di Ges messia e Figlio
del Padre che si rivela e rivela il Padre con le parole, le parabole, le opere, e in particolar modo i miracoli,
gli esempi, la passione, la morte. Ma
si scontra con il rifiuto dei suoi.
I termini che descrivono l'azione rivelatrice di Cristo sono: predicare
(kryssein) e insegnare (diddskein).
Cristo predica la buona notizia del
regno e la conversione come mezzo
per entrarvi: Il tempo compiuto
e il regno di Dio vicino; convertitevi e credete al vangelo (Me 1,15; Mt
4,17). Questa notizia decisiva punta
cos direttamente su Ges da designarlo come l'inaugurazione in persona del regno: oggi (Lc 4,21)
che inizia l'era della grazia annunciata dai profeti. Ali 'oggi dell'annuncio
del regno corrisponde l'ecco: il rabbi, il maestro che insegna con autorit: il suo insegnamento nuovo, la
sua autorit unica (Mt 7,29), un'autorit che lo pone allo stesso livello
di Dio: Amen, Ma io vi dico
(Mt 5,22.28.32). Sulla base di Dt 18,18
le folle designano Ges come il profeta atteso per la fine dei tempi (Me
6,14s; 8,28; Mt 21,11). Ges tuttavia
non rivendica mai questo titolo di
profeta (- Profezia) quando parla
di se stesso, poich, in quanto rivelatore, egli supera i profeti (Mt 12,40;
Me 9,2-10; Mt 17,1-13; Le 7,18-23;
9,28-36). Egli predica, insegna, ma a
titolo di Figlio del Padre (Mt 7,21;
10,32-33; 11,25-27). Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui
al quale il Figlio lo voglia rivelare
(Mt 11,27). Nessuno, se non il Padre, conosce (Le: ghignskein; Mt:
epighignskeiri) questa esperienza, il
carattere e la vita intima e profonda
del Figlio; e nessuno se non il Figlio

conosce la vita intima e profonda del


Padre. Entrambi si conoscono, semplicemente perch sono uno davanti
all'altro come grandezze uguali, dello stesso ordine. E nessuno pu partecipare a questo mistero di reciproca conoscenza senza una rivelazione
gratuita. Cristo, che Figlio, il perfetto rivelatore del Padre. Ai discepoli che ha scelto stato dato, come
grazia, di conoscere i misteri del regno dei cieli. Anche il Padre rivela
il mistero della persona di Cristo ai
piccoli che riconoscono la loro indigenza davanti a Dio; ma anche questa rivelazione suo dono, luce interiore accordata dal Padre e rifiutata
all'orgoglio dei sapienti. Questo
annuncio del regno, cos come la rivelazione dell'identit di Cristo come figlio del Padre, si compie con
gesti e parole, in parabole e con
miracoli, secondo una rigorosa economia di incarnazione.
Quindi nella tradizione sinottica Cristo rivelatore in quanto proclama
la buona notizia del regno dei cieli
e insegna con autorit la parola di
Dio. In definitiva egli rivela perch
Figlio che conosce la vita intima
del Padre. Il contenuto essenziale della rivelazione la salvezza offerta agli
uomini nell'immagine del regno di
Dio annunciato e instaurato da Cristo. Cristo a un tempo colui (ecco)
che annuncia il regno e colui nel quale il regno si realizza (oggi).
2. Gli Atti degli apostoli - Gli Atti,
in continuit con la tradizione sinottica, presentano gli apostoli come testimoni di Ges che proclamano la
buona notizia e che insegnano ci che
hanno ricevuto dal Maestro. Testimoniare, proclamare il vangelo, insegnare spetta alla funzione apostolica.
Testimoniare designa gli apostoli ed
essi soli, poich soltanto loro sono
stati associati al Cristo durante tutta
la sua vita e dopo la risurrezione.
Hanno seguito il Cristo dappertutto;
sono stati suoi commensali prima e

dopo la risurrezione. Essi soli possiedono un'esperienza diretta e viva


del Cristo, della sua persona, del suo
messaggio e della sua opera. Essi sono prima di tutto i testimoni della
sua risurrezione (At 1,22; 2,32; 3,1316; 4,2.33; 5,30-31; 10,39.41.42; 13,
31), ma, in generale, di tutto il suo
cammino (At 1,21), dal battesimo alla
risurrezione; di tutta la sua opera che
va verso la passione-risurrezione e di
quella che inaugurata dalla risurrezione. La testimonianza degli apostoli
si compie nella potenza dello Spirito
(At 1,8) che d loro coraggio e costanza, che agisce nel cuore di chi li
ascolta allo scopo di rendere la parola di Dio solubile nell'anima e accolta dalla fede (At 16,14). Come il Cristo stesso, gli apostoli proclamano la
buona notizia della salvezza (At 2,14;
8,5; 10,42); essi non cessano di insegnare e di proclamare la buona notizia di Ges (At 15,35; 18,25). La loro
funzione dunque quella di testimoni e di araldi. La loro parola dinamica ed esplosiva: non possono tacere la salvezza data in Cristo, poich
l'unica notizia valida, la sola in grado di trasformare i cuori, di incendiare il mondo per accendervi l'amore.
La deposizione degli apostoli-testimoni costituisce l'oggetto della nostra fede: una deposizione fatta non
di sole parole ma anche di esempi di
vita, di atteggiamenti e di riti. Questa testimonianza concreta, inglobante, opera la crescita della chiesa sotto l'azione dello Spirito.
3. Il corpus paolino - Il binomio
mistero-vangelo ci situa al centro del
pensiero di S. Paolo sulla rivelazione. Questo mistero, prima nascosto,
poi svelato, predicato, reso noto in
vista della fede. Tale vocabolario evoca la letteratura sapienziale e apocalittica; inoltre sottolinea pi il contenuto della rivelazione che l'azione rivelatrice stessa.
Il mistero, come intuizione fondamentale di Paolo, conosce nelle let-

tere un ampliamento di senso chiaramente percepibile. In 1 Cor 2,6-10, il


mistero gi il disegno di salvezza
realizzato in Cristo, ma appare come
sapienza che ha per oggetto i beni
destinati da Dio agli eletti e che solo
gli uomini animati dallo Spirito possono comprendere, poich questa sapienza ha la propria fonte nello Spirito di Dio (1 Cor 2,10-16).
In Col 1,26 il mistero, un tempo nascosto, ora svelato e realizzato. Esso diventa evento della storia: concerne la partecipazione sia dei gentili
che degli ebrei ai beni della salvezza
(Rm 16,25). La lettera agli Efesini
amplia ancor pi questa visione (Ef
1,9-10). Il mistero la riunificazione
di tutte le cose in Ges Cristo, l'unione di tutti gli esseri terreni e celesti sotto un unico Signore, Cristo. Il
mistero di cui parla Paolo il piano
divino della salvezza, nascosta in Dio
da tutta l'eternit, ma ora svelata e
attraverso la quale Dio stabilisce Cristo come centro della nuova economia e lo costituisce, con la morte e
la risurrezione, unico principio di salvezza, sia per i gentili che per gli
ebrei, capo di tutti gli esseri, degli
angeli e degli uomini. il totale piano divino (incarnazione, redenzione,
partecipazione alla gloria) che in definitiva riconducibile a Cristo con
le sue insondabili ricchezze (Ef 3,8).
Concretamente il mistero Cristo
(Rm 16,25; Col 1,26-27; 1 Tm 3,16).
Nel descrivere il mistero, S. Paolo
pone all'inizio l'accento sulla vocazione dei gentili di cui ministro
per speciale vocazione (Ef 3,8-9;
1 Tm 2,7; Rm 15,6); poi, nelle lettere della prigionia, il mistero diventa
principalmente Cristo e la partecipazione a Cristo: tutto si ricapitola
in lui. Creato nella unit, il mondo
ritorna all'unit tramite Cristo, Salvatore e Signore universale.
Una volta rivelato ai testimoni scelti
(Ef 3,5; Col 1,25-26), il mistero reso
noto a tutti gli uomini. Paolo stabilisce un'equivalenza pratica tra vange-

10 e mistero (Rm 16,25; Col 1,25-26;


Ef 1,9-13; 3,5-6). In entrambi i casi
si tratta di un'unica realt, cio del
disegno divino di salvezza, ma vista
da prospettive diverse. Si tratta di una
buona notizia, di un messaggio annunciato, proclamato. Piano divino
nascosto e rivelato, piano divino proclamato: vangelo e mistero hanno lo
stesso oggetto o contenuto. Questo
oggetto duplice: soteriologia, cio
tutta l'economia della salvezza in Cristo (Ef 1,1-10), ed escatologia, cio
promessa della gloria e di tutti i beni
della salvezza destinati sia ai gentili
che agli ebrei (Col 1,28; 1 Cor 2,7;
Ef 1,18). Il mistero reso noto agli uomini con la predicazione del vangelo
diventa il piano di salvezza giunto allo stadio dell'evento personale. Invece del termine vangelo Paolo impiega, ma con lo stesso senso, anche il
termine parola (Col 1,25-26; 1 Ts 1,6)
0 parola di Dio (1 Ts 2,13; Rm 9,6;
1 Cor 14,36) o parola del Cristo (Rm
10,17). Con questa parola, che messaggio di Dio per bocca umana,
sempre Dio che parla e interpella l'umanit (Rm 10,14), invitandola all'obbedienza della fede (Rm 16,26;
2 Cor 10,5). Cos predichiamo e cos
avete creduto (1 Cor 15,11).
Poich il mistero la riunione in
Cristo degli ebrei e dei gentili, la chiesa appare come il termine definitivo
del mistero, la realizzazione meravigliosa dell'economia divina, la sua
espressione visibile e stabile. Il disegno di salvezza non solo rivelato
e proclamato dal vangelo, ma anche effettivamente realizzato nella
chiesa corpo di Cristo (Ef 4,13).
Lo stabilirsi della chiesa significa che
11 tempo della sottomissione di tutte
le cose a Cristo giunto (Col 1,16).
Proprio come Cristo il mistero di
Dio reso visibile, cos la chiesa il
mistero di Cristo reso visibile. I tempi sono compiuti; la salvezza annunciata data.
Tuttavia per Paolo sussite sempre
una tensione tra la rivelazione stori-

ca e la rivelazione escatologica, tra


la prima e l'ultima epifania di Cristo, tra quella velata e quella gloriosa
(Fil 2,5-11). Indubbiamente ora
che il mistero, un tempo nascosto,
rivelato (Rm 16,25) ed ora che si
compie la predicazione del vangelo.
Tuttavia Paolo desidera ancor pi vivamente la rivelazione escatologica,
quando si realizzer nella sua pienezza
la manifestazione del Signore nostro
Ges Cristo (1 Cor 1,7; 2 Ts 1,7),
quando apparir anche la gloria di
tutti quelli che si sono configurati in
Cristo (Rm 8,17-19). Questa tensione tra storia ed escatologia, tra fede
e visione, tra umilt e gloria, caratteristica di S. Paolo.
La rivelazione concepita dall'apostolo come l'azione libera e di grazia
con cui Dio, in Cristo e con Cristo,
manifesta al mondo l'economia della salvezza, il suo disegno eterno di
riunire tutte le cose in Cristo, salvatore e capo della nuova creazione.
La comunicazione di questo disegno
si compie con la predicazione del vangelo affidata agli apostoli e ai profeti del NT. L'obbedienza della fede
la risposta dell'uomo alla predicazione evangelica sotto l'azione illuminante dello Spirito. Questa fede inaugura un processo di conoscenza sempre crescente del mistero che si compir solo nella rivelazione della visione.
4. La lettera agli Ebrei - Il termine
che prevale nel designare la rivelazione quello di parola. In un accostamento delle due fasi dell'economia
della salvezza, la lettera sottolinea la
continuit tra le due alleanze e, nello
stesso tempo, l'eccellere della nuova
rivelazione inaugurata dal Figlio. La
novit della lettera agli Ebrei per la
storia della rivelazione concerne due
aspetti: paragone tra l'antica e la nuova alleanza, grandezza delle esigenze
della parola di Dio.
Fin dai primi due versetti, la lettera
mette in evidenza l'autorit della rivelazione del NT, pur mantenendo la

relazione storica tra le due fasi della


storia della salvezza: tra le due economie vi continuit (Dio ha parlato), differenza (tempi, modi, mediatori, destinatari), eccellenza (superiorit della nuova economia).
L'elemento di continuit Dio e la
sua parola. L'assenza di complemento oggetto del verbo lalin sottolinea
che Dio con la sua parola vuole prima di tutto entrare in comunicazione, in dialogo personale con l'uomo,
per una comunione con lui. La lettera non indica il contenuto di questa
comunicazione; piuttosto i destinatari: i padri, i profeti, noi. Questa parola tuttavia segnata dalla storicit: c' differenza nelle epoche (i tempi
passati e i giorni di oggi), nei modi
di espressione (parola successiva, parziale, frammentaria, multiforme dell'AT), nei mediatori (molteplicit degli ispirati nell'AT paragonata all'unit del NT in cui tutto si risolve nella
persona del Figlio, erede di tutte le
cose, irradiazione della gloria del Padre, unico mediatore sul piano della
rivelazione e su quello del sacerdozio). In ultima analisi la parola che
costituisce l'unit tra le due alleanze
ed la persona del Figlio che comporta la superiorit della nuova rivelazione rispetto all'antica.
Il secondo tema su cui insiste la lettera agli Ebrei quello dell'entit delle
esigenze della parola di Dio, sempre
in una prospettiva di confronto delle
due alleanze. Dobbiamo obbedire al
vangelo ancor pi che alla legge
(Eb 2,1), in ragione dell'assoluta superiorit di Cristo. La parola di Dio
viene presentata nella lettera agli Ebrei
con tratti che evocano quelli dell'AT,
ma con un accresciuto carattere di urgenza a causa della presenza del Figlio tra noi. Attiva, efficace, pi tagliente di qualunque spada a doppio
taglio (Eb 4,12-13), sempre attuale
(Eb 3,7.15; 4,7), fa risuonare all'orecchio dei cristiani, in un oggi permanente, l'invito a entrare nella pace del
Signore (Eb 3.7.15; 4,11). La parola

del NT esige una fedelt e un'obbedienza proporzionate all'origine e all'autorit del suo mediatore, il Figlio.
5. Il corpus giovanneo - Giovanni, come Marco, ignora i termini di
rivelazione come apokalypt, apokalypsis, cos come il binomio nascostosvelato. Non usa il vocabolario di
Paolo circa il mystrion\ usa piuttosto il linguaggio degli ambienti ellenistici: zo, lgos, phs, altheia, dxa,
tutti sostantivati in Ges Cristo. Si
incontra phanero e soprattutto un
insieme di termini che richiamano la
stessa reazione di fede: comandamento (11 volte), testimonianza (14 volte), testimoniare (33 volte), parlare
(59 volte), gloria (18 volte), verit (25
volte), parola (40 volte) e parole che
sottolineano l'accoglienza della rivelazione come ascoltare (58 volte), credere (98 volte). Se Giovanni opera
una riclassificazione dei vocaboli di
rivelazione in ragione della novit
portata da Cristo che gi Dio-tranoi. Egli in persona la Verit, il
Logos, la Luce, la Vita. Si tratta di
un salto qualitativo. Cristo manifesta il Dio invisibile. L'incarnazione
la rivelazione realizzata.
Per Giovanni, Cristo il Figlio che
racconta il Padre: Egli attesta ci
che ha visto e udito (Gv 3,32; 8,38).
A sua volta il Padre testimonia il Figlio con le opere di potenza che gli
ha concesso di attuare (Gv 5,36) e
con l'attrazione che esercita nelle anime dando loro la possibilit di acconsentire alla testimonianza di Cristo (Gv 6,44-45).
Gi dal prologo, Giovanni stabilisce un'equazione tra Cristo, Figlio del
Padre, e il Logos. Il Cristo la parola eterna e sussistente; la rivelazione si compie perch questa Parola si
fatta carne per raccontarci il Padre. Il prologo si presenta come le
gesta del Logos, come un riassunto
di tutta la storia della rivelazione in
un testo di densit nucleare. Anche
se queste gesta cominciano con l'a-

zione creatrice del Logos, ci che


primo e spiegante il dramma del
Logos che si fatto carne, che abita
tra gli uomini, che manifesta la sua
gloria e si scontra con il rifiuto dei
suoi. In una visione retrospettiva, il
prologo vede nella creazione una prima manifestazione di Dio e del Logos e un primo rifiuto degli uomini.
La luce brill nelle tenebre (Gn 1,3),
ma gli uomini non hanno compreso
e hanno offuscato questa prima manifestazione del Verbo (Gv 1,10; Rm
1,19-23; Sap 13,1-9). Dio ha poi scelto un popolo e gli si manifestato
con la legge e i profeti; ma questa
manifestazione si conclusa, come la
prima, con uno scacco. Il Verbo
venuto tra i suoi, ma i suoi non
l'hanno accolto (Gn 1,11). Infine il
Logos si fatto carne e ha piantato
la sua tenda in mezzo a noi. Dio
nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1,18).
Nessuno pu vedere l'invisibile: se conosciamo Dio perch in Cristo la
Parola si fa carne, diventa evento storico e nello stesso tempo esegeta del
Padre e del suo disegno d'amore.
Tre elementi costituiscono il Cristo
perfetto rivelatore del Padre: la preesistenza come Logos in Dio (Gv 1,1-2),
la discesa nella carne e nella storia
(Gv 1,14), l'intimit costante di vita
con il Padre, sia prima che dopo l'incarnazione (Gv 1,18). S. Giovanni conferisce quindi alla rivelazione il massimo di significato e di estensione.
In virt della sua missione rivelatrice che si radica nella sua vita stessa in seno alla Trinit, il Cristo parla e testimonia: egli il Figlio che
racconta il Padre (Gv 1,18), il testimone che dichiara ci che ha visto
e sentito, un testimone fedele (Ap 1,5;
3,14). Nella tradizione sinottica Ges il messia che insegna, predica
e annuncia la buona notizia del regno. In Giovanni il messia pienamente identificato come figlio del Padre. Ci che il Figlio racconta la

vita intima, il reciproco amore del


Padre e del Figlio: un amore che il
Padre vuole comunicare a tutti gli uomini perch tutti siano una cosa sola. La finalit della rivelazione che
gli uomini siano perfetti nell'unit
e che cos sappiano che il Padre ha
inviato il Figlio e che li ama come
ama il Figlio (Gv 17,23-25).
Giovanni ci elargisce l'ultima parola sulla rivelazione: opera d'amore,
di salvezza che ha origine nella Trinit. Ma se si presenta come evento
storico del Verbo che assume la carne, la rivelazione appare uno scandalo. Sconcerta le prospettive umane, anche quelle dell'AT. Il tragico
della rivelazione che gli uomini si
chiudono alla luce, si rinchiudono nel
loro Dio idolo e preferiscono correre
incontro alla loro rovina. Dramma,
questo, descritto nel prologo, poi ripreso e illustrato nel miracolo del cieco nato (Gv 9).
Dopo questa ricerca possiamo descrivere la rivelazione neotestamentaria
come l'azione sovranamente amante
e libera con cui Dio, attraverso un'economia di incarnazione, si fa conoscere nella sua vita intima, e fa conoscere anche il disegno d'amore che
ha eternamente concepito di salvare
e ricondurre tutti gli uomini a s in
Cristo. Azione che egli realizza per
mezzo della testimonianza esteriore di
Cristo e degli apostoli e con la testimonianza interiore dello Spirito che
opera dal di dentro la conversione degli uomini a Cristo. Quindi, mediante l'azione congiunta del Figlio e dello Spirito, il Padre dichiara e realizza il suo disegno di salvezza.
V . IL TEMA DELLA RIVELAZIONE NEI
PADRI DELLA CHIESA - Sarebbe inutile

cercare nei Padri della chiesa dei primi secoli l'equivalente di un moderno
trattato sulla rivelazione; essi infatti
non vedono nella rivelazione un fatto
da definirsi, n un problema da approfondire. Le prime generazioni cristiane sono ancora sotto l'effetto del-

la grande epifania di Dio in Ges Cristo. La rivelazione una realt che


va da s. La riflessione perci pi
preoccupata di proclamare al mondo
intero l'evento sconvolgente e inaudito dell'irruzione di Dio nella carne e
il messaggio di Cristo, piuttosto che
di dimostrare che la rivelazione
possibile. Il primo problema che si pone dunque quello dell' -nnculturazione della rivelazione cristiana nel
mondo greco. La riflessione che ne
deriva non ancora sistematizzata, ma
direttamente legata alle esigenze delle
comunit evangelizzate o da evangelizzare: essenzialmente una teologia
contestuale, in rapporto con le correnti di pensiero dell'epoca: obiezioni
ebraiche, gnosi, ecc. Non si mette in
dubbio la realt della rivelazione; anzi si fa riferimento ad essa come all'unico criterio d'interpretazione.
In questa riflessione contestuale e
occasionale dei primi Padri della chiesa vi contemporaneamente qualcosa di meno e qualcosa di pi rispetto
all'attuale riflessione sulla rivelazione.
Indubbiamente molti problemi di
oggi non avrebbero nemmeno potuto sfiorare la coscienza di quei cristiani. D'altra parte, nel pensiero patristico vi sono principi di fecondit
inesauribile da cui pu trarre vantaggio l'attuale sistematica: 1. Del tutto
vicino all'evento, il pensiero patristico si evolve in seno a una visione
d'insieme del mistero cristiano. Esso
si ispira alla Scrittura e resta in contatto con i primi testimoni. Si abbevera e si elabora alla fonte. Ogni discorso discorso su Dio che crea, che
salva e che rivela. In ogni riflessione
vi sempre una teologia implicita della rivelazione. 2. Per rispondere alle
obiezioni, alle eresie e alle visioni riduttive, i Padri della chiesa sono indotti a comporre grandi mappe per
illustrare meglio i punti di incontro
con le culture e le religioni, ma anche la singolarit e la specificit del
fenomeno cristiano: cos che si sviluppano con una particolare intensi-

t i temi del rapporto tra AT e NT


nella differenza e nell'unit, della gradualit delle tappe della rivelazione,
dell'economia e della pedagogia del
piano divino, della centralit di Cristo, della tensione nel mistero di Dio
rivelato ma sempre nascosto, della
necessaria azione dello Spirito sia per
accedere alla rivelazione che per comprenderla. Questi primi piani periodicamente ripresentati, finiscono
con l'imporre un'immagine della rivelazione cristiana nella sua totalit:
un paesaggio di cui ogni dettaglio
illuminato da un flash in un momento della storia. L'impatto sugli spiriti pi intenso di quello di una punteggiatura uniforme. Facendo un'altro paragone, si potrebbe dire che la
riflessione patristica, facendo sorgere nel corso dei secoli alcuni blocchi
di pensiero come isole emergenti nella coscienza cristiana, ha finito per
costituire arcipelaghi e poi continenti dai contorni e dai rilievi ben definiti. La contestualit di questa riflessione ci porta spesso, con tutti i suoi
imprevisti, a prese di coscienza pi
forti rispetto a quelle di un pensiero
teologico lineare e troppo ben allestito. Quindi riteniamo pi utile indicare alcuni degli aspetti della rivelazione che i Padri della chiesa hanno illuminato, invece che passare in
rassegna gli autori. La chiesa postapostolica ha vissuto in un primo
tempo l'attesa dell'immediato ritorno del Signore. Di qui la rivelazione
ha preso una colorazione escatologica. Ma ben presto fu il problema dell'articolazione dei due Testamenti a
mobilitare l'attenzione.
1. I due Testamenti: unit e progresso - Mentre i giudaizzanti vogliono conservare il primato della rivelazione profetica, i marcioniti oppongono fra loro i due Testamenti. Rappresentano Cristo come rivelatore di
un Dio assolutamente nuovo, sconosciuto al mondo ebraico. Stabiliscono una radicale opposizione tra il Dio

dell'AT e quello del NT. Tra i due


atteggiamenti - non cogliere abbastanza la novit del vangelo (tentazione degli ambienti ebraici tradizionali), o sottovalutare l'AT e rompere con esso (al modo di Marcione)
- Giustino, Ireneo, Clemente d'Alessandria e Origene sottolineano la
continuit e l'unit profonda dei due
Testamenti. Un unico Dio l'autore
della rivelazione nel Verbo o Logos:
la creazione, le teofanie, la legge, i
profeti, l'incarnazione, sono le tappe di questa manifestazione unica e
continua di Dio attraverso la storia
umana. D'altra parte, essi sottolineano altrettanto chiaramente il progresso verificatosi da un'economia all'altra. Progresso visto in modo un po'
diverso da ognuno. Per Giustino si
tratta di una manifestazione parziale
e oscura del Logos nell'AT; chiara
e in pienezza nel NT. Secondo
Ireneo, nell'AT si trova una preparazione, un'educazione dell'umanit, abbozzi e promesse dell'incarnazione;
poi, compimento e dono di Cristo nel
NT. Secondo Clemente d'Alessandria, si tratta di enigmi e misteri nell'AT, di esplicazione della profezia
nel NT. Secondo Origene, conoscenza del mistero nell'AT; realizzazione
e possesso del NT; passaggio dalle
ombre e dalle immagini alla verit,
dalla lettera e dalla storia allo Spirito.
2. La teologia del Logos: punto di
incontro tra le culture - La predicazione ai pagani significava confrontare
il messaggio cristiano con una corrente
di pensiero segnata da categorie non
bibliche ma filosofiche. Per rendere
il vangelo accessibile ai pagani la riflessione cristiana adott una filosofia elaborata dal .- platonismo e dallo stoicismo, con il rischio di inflettere il concetto di rivelazione nel senso
di una conoscenza, di una gnosi superiore a svantaggio del carattere storico. Per Platone, Dio ineffabile e
dunque non interviene nella storia. Per
costituire un aggancio tra l'idea della

trascendenza radicale di Dio e la sua


rivelazione nella storia, Giustino attira l'attenzione sulla funzione mediatrice di Cristo. Infatti il Ges della
storia si identifica con il Logos, con
il Verbo di Dio apparso dapprima a
Mos e ai profeti, fattosi carne in seguito per la salvezza di tutti gli uomini. Giustino concepisce la rivelazione
come un processo soteriologico, ma
tende ad attribuire a Cristo-Logos un
valore universale. Dottrina questa che
si fa spazio nel tema del Lgos spermatiks. Prima di Cristo esistevano
sprmata tou Lgou: tali germi sono
la partecipazione a una conoscenza infima, parziale, di cui solo Cristo, Logos incarnato, dar la perfezione. In
virt di questa partecipazione, i pensatori pagani hanno potuto percepire
qualche raggio di verit e meritare il
titolo di cristiani (I Apol. 46,2-3). Situando quindi il Logos come centro di
prospettiva, Giustino pone la rivelazione sotto il segno della conoscenza.
Questa stima e ricorso alla filosofia greca, gi presente prima di Giustino, ancor pi visibile in Clemente d'Alessandria (morto prima del
215), il cui sistema di pensiero si fonda sulla teologia del Logos salvatore
e rivelatore. Clemente non esita a dare la priorit alla conoscenza di Dio
sulla salvezza (Str. IV, 136, 5). Optando per un Logos fonte di luce e
di verit, Clemente propone la rivelazione come gnosi cristiana, corrispondente quindi al desiderio di conoscenza che animava il suo ambiente culturale. Il volto del Padre il
Logos in cui Dio messo in luce e
rivelato (Paed. I, 57, 2: Str. VII,
58, 3-4). Luce del Padre, il Logos rivela tutto ci che al mondo, tutto
ci che rende l'uomo capace di comprendere se stesso e di partecipare alla
vita di Dio. Questa conoscenza offerta da Dio in pienezza, e che procura la salvezza all'uomo, costituisce
il contesto della rivelazione. Solo il
Logos incarnato conferisce l'iniziazione rivelatrice di Cristo e non i

misteri gnostici. Indubbiamente per


Clemente la conoscenza di Dio al
primo posto nella riflessione, pi ancora della storia della salvezza. Di
conseguenza il nostro unico pedagogo il Logos. Siamo scolari di Dio:
il suo stesso Figlio che ci d un'istruzione davvero santa (Str. 1, 98,
4; Prot. 112, 2). L'incomparabile superiorit del cristianesimo deriva dal
fatto di avere il Logos per maestro
(Str. II, 9, 4-6), da cui esso riceve
un insegnamento superiore. Prima di
Cristo la filosofia venne data ai greci
come un terzo testamento per condurli a Cristo. Ormai la filosofia
al servizio della fede. Ora il Logos
incarnato che ci insegna come l'uomo possa diventare figlio di Dio;
lui il Pedagogo universale che riunisce legge, profeti e vangelo. La dimensione della storia della salvezza
viene mantenuta nelle sue tappe, ma
subordinata al principio della gnosi
totale. Non c' vera gnosi se non nel
cristianesimo, ma la fonte Dio che,
con tale gnosi, conduce alla salvezza
indissolubilmente legata a Cristo.
Origene (morto nel 253-254) elabora anch'egli una riflessione sulla rivelazione a partire dal Logos, immagine fedele del Padre. Vediamo nel
Verbo, che Dio e immagine di Dio
invisibile, il Padre che l'ha generato (Com. Jo. 32, 29). La rivelazione si compie perch il Verbo si incarna e, attraverso l'incarnazione, cio
nella carne del corpo e della Scrittura, ci permette di capire il Padre invisibile e spirituale. Il Logos mediatore di una rivelazione che va dalla creazione alla legge, ai profeti e
al vangelo. La rivelazione raggiunge
un primo apice nell'incarnazione del
Logos. Agli occhi di Origene, l'incarnazione, tuttavia, non tanto una
brusca discesa del Logos nella storia
quanto una promozione di tutte le cose allo Spirito. L'incarnazione del Logos inaugura una conoscenza processo che segue la triade: ombre-imma-

gine-verit. Origene sottolinea, pi


ancora che il passaggio dalle prepa
razioni al compimento, il passaggic
dai segni alla realt: dalla carne alle
spirito, dalle ombre e dalle immagin
alla verit, dalla lettera allo spirito
dal vangelo temporale al vangelo eter
no. Ci che importante non tan
to il fatto dell'incarnazione, quante
il captare e il riconoscere la venuti
di Dio sotto l'azione della grazia. An
che Origene, e pi di Clemente d'A
lessandria, sottolinea la soggettiviti
della rivelazione. L'illuminazione inaugurata dalla fede innesca un procs
so di progressi nell'intelligenza del
la rivelazione: tensione del vangelc
temporale, sempre meglio compreso
verso il vangelo eterno, realt dei misteri abbozzata nel vangelo temporale. Non il contenuto che cambia me
il suo svelamento progressivo, la sue
spiritualizzazione, fino al compimento definitivo nella visione. Origenecome Clemente, accoglie lo sforzo d:
inculturazione della filosofia greca,
ma non arriva al punto di parlare d:
un Testamento dei Gentili.
La riflessione degli alessandrini, volta a far uscire la chiesa dal suo isolamento e ad andare incontro alla cultura ellenistica, rappresenta uno sforzo positivo di riconciliazione con i
mondo antico, ma anche un pericolo
di intellettualizzazione eccessive
della rivelazione biblica, concepita come gnosi, insegnamento, dottrina superiore. Questa corrente, che rischic
di sganciare la rivelazione dai suoi legami storici, ha avuto ripercussioni
in tutta la successiva teologia e anche fino al recente concilio. Gi nel
periodo post-tridentino, con Suarez.
De Lugo, la rivelazione viene compresa sempre pi come una dottrina,
come un insieme di verit su Dio. L
lamentele espresse alla vigilia del Vaticano II sottolineano tutte l'impoverimento della nozione di rivelazione,
afflitta da intellettualismo e ridotta
alla comunicazione di un sistema di

idee, piuttosto che essere la manifestazione e la donazione di una persona che Verit in persona.
3. Economia e pedagogia della rivelazione - Se il pensiero patristico dei
primi secoli ha saputo evitare questi
pericoli, perch non ha mai perso
i contatti con le categorie bibliche; e
soprattutto non ha mai smesso di riflettere sulla storia della salvezza. Questo legame con la storia servito da
contrappeso a una rivelazione concepita come pura conoscenza. Perci la
teologia di Ireneo in reazione agli gnostici costituisce un punto di riferimento incontrovertibile.
In un certo senso gli gnostici portano all'apogeo l'idea di rivelazione,
poich per loro la conoscenza o gnosi viene dall'alto, per illuminazione.
La gnosi entra quindi in concorrenza
con il cristianesimo, in quanto si distacca dalla storia. Essa si distoglie
dal Ges storico per legarsi al Cristo
pneumatico. Il Cristo conserva il suo
ruolo di mediatore, ma sfigurato; la
chiesa ha dovuto ridefinire e precisare
tale ruolo nella storia della salvezza.
Nel contesto antignostico, che oppone AT e NT, Ireneo sottolinea l'unit della storia della salvezza. Di
conseguenza, il tema della rivelazione si ricollega al tema pi ampio dell'azione del Verbo di Dio, a un tempo creatore e salvatore. Con il suo
concetto di economia o di disposizione, Ireneo insiste sull'unit organica della storia della salvezza. Lo
stesso Dio realizza, nel suo unico Verbo, un solo piano di salvezza dalla
creazione alla visione. Sotto la guida
del Verbo l'umanit nasce, cresce e
muore fino alla pienezza dei tempi
(Adv. Haer. IV, 38, 3).
Agli gnostici, che distinguono il Cristo dal Ges secondo la carne, Ireneo oppone il tema dell'economia e
propone l'incarnazione come culmine di questa economia iniziata nell'AT. Anzi, poich il Verbo presente alla totalit del tempo, fin dal-

l'inizio, fin dalla creazione, che rivela il Dio creatore (Ibid. IV, 6, 6; II,
6, 1; 27, 2). Anche con la legge e
i profeti il Verbo proclamava se stesso e proclamava il Padre (Ibid. IV,
6, 6; 9, 3). Infine, il Figlio con la
sua venuta ci ha dato tutta la novit donando se stesso (Ibid. IV, 34,
1). La novit del cristianesimo la
vita umana del Verbo: non c' nuovo Dio, ma nuova manifestazione di
Dio in Ges Cristo. L'incarnazione
una teofania del Verbo di Dio e
il progresso consiste nella presenza
umana e carnale del Verbo, divenuto
visibile e palpabile tra gli uomini, per
manifestare il Padre che resta invisibile (Ibid. IV, 24, 2). L'AT il tempo della promessa; il NT la realizzazione della promessa e il dono del
Verbo incarnato. I due Testamenti
formano un tessuto non lacerabile.
Ireneo pone in evidenza gli avvenimenti della storia della salvezza e lega strettamente l'AT e il vangelo tetramorfo. Gli apostoli sono l'anello della catena tra Cristo e la chiesa
(Ibid., I, 27, 2; IV, 37, 7), ma Cristo
la chiave di volta di tutto l'edificio.
Quasi tutti i Padri, soprattutto Giustino, Clemente, Origene, Basilio,
Gregorio di Nissa, Agostino, insistono come Ireneo su questo carattere
di economia della rivelazione. Essa si presenta come piano di salvezza
infinitamente saggio, concepito da
Dio da tutta l'eternit e pazientemente realizzato secondo vie da lui previste, preparando ed educando l'umanit, facendola maturare e rivelandole
progressivamente ci che in grado
di accogliere. I Padri, soprattutto Ireneo, si compiacciono di ricostruire la
storia delle iniziative di Dio per abituare l'uomo alla sua presenza.
A questa idea si ricollega quella delle dilazioni della venuta di Cristo. La
lettera a Diogneto afferma che gli uomini dovevano fare l'esperienza della loro impotenza prima di conoscere la pienezza della salvezza (prospettiva drammatica). Ireneo, Clemente,

Origene (in alcuni testi) sviluppano


la tesi della pedagogia divina. Dio
educa l'umanit a ricevere la pienezza dei doni divini dell'incarnazione
(prospettiva ottimista). Per Agostino
e per Origene (in altri testi), il problema si pone appena, poich la chiesa coestensiva all'umanit. Essa
iniziata con i patriarchi. La verit di
Cristo era gi conosciuta dai profeti
dell'AT.
Evocando costantemente le tappe di
questa economia e di questa pedagogia, i Padri non cessano di affermare il carattere storico della rivelazione: il suo legame profondo con la storia nella preparazione e nell'annuncio, nella pienezza in Ges Cristo,
nell'estensione al mondo per mezzo
degli apostoli e della chiesa. Questo
schema conosce alcune varianti, riguardanti soprattutto il posto lasciato ai profeti e agli apostoli, cos come l'importanza accordata alla filosofia. Ma per tutti la rivelazione culmina in Cristo, Figlio del Padre, Verbo o Logos incarnato e, di conseguenza, perfetto rivelatore.
4. Centralit del Cristo - Tutti i Padri della chiesa vedono nel Cristo il
culmine, il compimento della storia
della salvezza. Verbo di Dio, Figlio
del Padre, egli assume tutte le vie dell'incarnazione, sia la parola che l'azione, per farci conoscere il Padre e
il suo disegno di salvezza. Tuttavia,
per lo pi, attribuiscono il ruolo principale alla parola umana di Cristo.
Priorit che si esprime nell'uso dei
vocaboli: parola di Dio, parola di
Cristo, buona notizia o vangelo, insegnamento, dottrina della fede, dottrina della salvezza, prescrizioni, comandamenti, ordini di Dio o di Cristo, regola di verit, regola di fede,
ecc. Per Ignazio di Antiochia, per Ireneo e Atanasio, incarnazione e rivelazione sono strettamente legate.
Ignazio di Antiochia vede nella persona di Cristo la totalit della rivelazione e la totalit della salvezza: Vi

un solo Dio, il quale si manifesta


in Ges Cristo suo Figlio, che il
Verbo uscito dal silenzio (Magn. 8,
2; 6, 1-2). Tutte le manifestazioni dell'AT si orientano verso la manifestazione definitiva dell'incarnazione:
La conoscenza di Dio Ges Cristo (Eph. 15, 1; Magn. 9, 1). Ai giudaizzanti che oppongono vangelo e
profeti e che subordinano il vangelo
agli archivi dell'AT, Ignazio oppone
la persona di Cristo in cui tutto si
risolve nell'unit, nella speranza e nel
compimento: Per me gli archivi sono Ges Cristo; i miei archivi inviolabili sono la sua croce, la sua morte
e risurrezione e la fede che viene da
lui (Phil. 8, 1-2). Cristo la porta
per la quale entrano Abramo, Isacco
e Giacobbe, i profeti e gli apostoli
della chiesa. Tutto ci porta all'unit con Dio (Philad. 9, 1). Cristo
l'unico salvatore e rivelatore.
Ireneo polarizza ugualmente tutto
l'evento della rivelazione nell'incarnazione del Figlio: Il Padre appariva
nel Verbo reso visibile e palpabile
(Adv. Haer. IV, 6, 6). Il Figlio incarnato non procura solo una conoscenza astratta del Padre: egli ne la manifestazione viva. Non che il Figlio sia
naturalmente visibile: egli di natura
invisibile, come il Padre, ma l'incarnazione lo rende visibile, e attraverso
le sue molteplici vie, gli permette di
manifestare il Padre (Ibid. IV, 6, 6).
La rivelazione appare dunque agli occhi di Ireneo come l'epifania del Padre attraverso il Verbo incarnato. Cristo o il Verbo incarnato il visibile
che manifesta il Padre, mentre il Padre l'invisibile manifestato dal Figlio incarnato e visibile. Ireneo stabilisce dunque un'equivalenza pratica tra l'incarnazione concretamente
considerata e la rivelazione: entrambe sono interscambiabili.
Atanasio distingue due aspetti nella
manifestazione del Verbo per mezzo
dell'incarnazione: la manifestazione
di Cristo come persona divina, immagine del Padre, e la comunicazio-

ne per suo mezzo della dottrina di


salvezza. Nonostante la Legge e i profeti, gli uomini hanno dimenticato
Dio: hanno peccato. Per condiscendenza, per filantropia e per restaurare nell'uomo l'immagine del Padre,
il Verbo di Dio si incarnato (De Inc.
8), divina epifania agli uomini (De
Inc. 1). Egli coglie gli uomini al loro
livello: cos essi potranno riconoscere
dalle sue opere compiute con il corpo il Verbo di Dio e in lui il Padre
(De Inc. 14). Proprio come il Verbo
invisibile si manifesta nell'opera della
sua creazione, il Verbo incarnato si
fa riconoscere nelle sue opere di potenza, i miracoli (De Inc. 16). Atanasio afferma come Origene: Il Verbo
ha re'so visibili s e il suo corpo perch ci facessimo un'idea del Padre invisibile (De Inc. 54). In secondo luogo, l'incarnazione ha permesso a Cristo di far conoscere all'uomo la dottrina della salvezza (De Inc. 52) e di
invitarlo alla fede.
Pur riconoscendo il ruolo centrale
di Cristo, la teologia greca meno
sensibile al ruolo dell'assunzione della
carne. Quindi Giustino e Clemente
vedono in Cristo soprattutto il maestro, fonte di ogni verit, e nella rivelazione la comunicazione della verit assoluta, della vera filosofia. Nel
punto di incontro di queste due teologie si situa Origene. Per lui Cristo
rivelatore in quanto, attraverso la
carne, possiamo farci un'idea del
Verbo e nel Verbo, immagine del Padre, un'idea di Dio stesso. Gli alessandrini vedono in Cristo colui che
porta la luce alle intelligenze immerse nelle tenebre. Nostalgia platonica
del mondo della luce e della sua contemplazione da parte dell'intelligenza.
5. Inaccessibilit e conoscenza di
Dio - L'eresia di Eunomio, nel secolo IV, porta i cappadoci a riprendere
il problema della centralit di Cristo
in una prospettiva diversa. Eunomio
infatti pretendeva di affermare che
l'essenza divina, una volta rivelata,

non presentasse alcun mistero. Di


fronte a questo errore, Gregorio di
Nazianzio, Basilio e Gregorio di Nissa, confessano che Dio resta ineffabile, inaccessibile anche dopo essersi
rivelato: la Tenebra misteriosa che
nessuno pu penetrare interamente.
Anche i grandi confidenti di Dio come Mos, David, Isaia, Paolo, dichiarano che l'essenza di Dio resta
mistero. Ci che sappiamo dei segreti di Dio ci viene da Cristo. Solo lui
attraversa l'opacit delle tenebre della nostra ignoranza. La nostra fede,
dice Gregorio di Nissa, viene da nostro signore Ges Cristo che il Verbo di Dio, vita, luce e verit, Dio
sapienza, ed tutto ci per sua natura. Persuasi che Dio apparso nella carne, crediamo questo solo vero
mistero di piet che ci stato trasmesso dal Verbo stesso, che ha parlato personalmente agli apostoli (C.
Eunom. II: 45, 466-467).
Come i cappadoci, Giovanni Crisostomo insiste sul fatto che Dio, sebbene rivelato, resta invisibile, inenarrabile, inscrutabile, inaccessibile, incircoscrivibile, irrappresentabile: egli
rimane sempre l'Abisso, la Tenebra.
Ci che sappiamo di Dio ci stato
rivelato da Cristo e dal suo Spirito
(Jo. Hom. 15; 1).
I cappadoci, come gli alessandrini,
sono particolarmente attenti all'appropriazione soggettiva della verit e
alla sua fruttificazione nell'anima mediante la fede e i doni dello Spirito.
Sotto l'azione illuminatrice di quest'ultimo, l'anima penetra sempre pi
i misteri del Figlio e del Padre: ricerca di verit mai compiuta e sempre
pi ardente. Lo Spirito irradia la sua
luce nell'anima che, sotto l'effetto di
questa irradiazione, diventa sempre
pi trasparente e spirituale. Solo lo
Spirito, osserva S. Basilio, conosce
le profondit di Dio e da lui la creatura riceve la rivelazione dei suoi misteri (De Sp. S. 24).
6. Duplice dimensione della rivela-

zione - Questa insistenza sull'azione


illuminatrice del credente ad opera
dello Spirito ci introduce a un ultimo aspetto della rivelazione sottolineato dalla maggior parte dei Padri
della chiesa: un tema particolarmente illustrato da -> Agostino, ispirato
a S. Giovanni e anche alla filosofia
platonica e neoplatonica. All'azione
esteriore di Cristo che parla, predica, insegna, corrisponde un'azione interiore della grazia che i Padri, secondo le Scritture, chiamano rivelazione, attrazione, adesione interiore,
illuminazione, unzione, testimonianza. Nello stesso tempo in cui la chiesa proclama la buona notizia della
salvezza, lo Spirito opera dal di dentro per rendere assimilabile e feconda la parola ascoltata.
Gli alessandrini insistono su questa
seconda dimensione della rivelazione,
ma Agostino che ne spiega maggiormente la funzione e il meccanismo. La parola di Cristo non una
parola umana: essa dotata di una
duplice dimensione, esteriore e interiore, a motivo della grazia che la vivifica e l'accompagna. Agostino sviluppa questo pensiero soprattutto nel
suo commento a Giovanni 6,44: Nessuno pu venire a me se non l'attira
il Padre e nel De Gratia Christi rivolto contro Pelagio. Venire a Cristo significa subire l'attrazione del
Padre e credere. Se Pietro ha potuto
confessare Cristo come messia, in
virt di questa attrazione che dono.
Cristo fa sentire la sua parola, ma
il Padre che concede all'uomo di accoglierla in virt dell'attrazione verso
il Figlio che egli provoca nell'anima.
Ricevere le parole di Cristo, osserva
ancora Agostino, non vuole dire solo
ascoltare esteriormente con le orecchie del corpo, ma dal profondo del
cuore come gli apostoli (Jo. tr. 106,
6). Ascoltare con le orecchie interiori, obbedire alla voce di Cristo, credere: si tratta di un'unica cosa (Jo.
tr. 115, 4). Agostino insiste: la parola
ascoltata esteriormente non niente

se lo Spirito di Cristo non agisce interiormente per farci riconoscere, come parola a noi personalmente rivolta, la parola ascoltata: Ges Cristo
nostro maestro e la sua unzione ci
istruisce. Se questa ispirazione e questa unzione fanno difetto, invano le
parole risuonano alle nostre orecchie
(Ep. Jo. tr. 3, 13). Questa grazia
a un tempo attrazione e luce. Attrazione che sollecita le facolt del desiderio, luce che fa vedere in Cristo la
verit in persona. Il concilio di Orange, esprimendosi secondo la prospettiva di Agostino, dir che nessuno pu
aderire all'insegnamento del vangelo
e porre un atto salvifico senza un'illuminazione e un'ispirazione dello Spirito Santo che d a tutti la soavit
dell'adesione e della credenza nella verit (DS 377). L'uomo riceve da Dio
un duplice dono: quello del vangelo
e quello della grazia per aderirvi nella
fede (De gr. Christi, I, 10, 11; 26, 27;
31, 34). In modo pi universale, Cristo come Verbo di Dio, l'unica luce
dell'uomo, il principio di ogni conoscenza, sia naturale che sovrannaturale. In termini giovannei Agostino si
compiace di definire Cristo come la
Via, la Verit, la Luce e la Vita.
Concludiamo: la tematica sviluppata
dai Padri della chiesa sui punti che
abbiamo indicato troppo importante per non essere accolta da una teologia della rivelazione. In numerosi
punti essa dissipa le tenebre accumulate da una filosofia costruita al di
fuori delle categorie bibliche o tributaria di una filosofia di ispirazione
razionalista.
Per il periodo medievale cfr., in
questo Dizionario, S. Tommaso d'Aquino (pp. 1337-1341).
V I . - DICHIARAZIONI DEL MAGISTE-

RO - In una prospettiva diacronica,


le dichiarazioni del magistero succedono naturalmente alla riflessione
dell'et patristica e medievale. Durante i primi secoli e per tutto il medioevo, l'esistenza della rivelazione non

mai stata contestata. In ogni caso,


mai si verificato anatema o condanna che lasciasse credere a una negazione del fatto o a Una contaminazione del concetto. Le controversie
che attirano l'attenzione della chiesa
vertono principalmente sulla Trinit,
sull'incarnazione, sui misteri di Cristo. Nessuno immagina di negare o
di mettere in dubbio che Dio abbia
parlato agli uomini per mezzo di Mos e dei profeti, e poi per mezzo di
Cristo e degli apostoli.
L'espressione pi completa in epoca
medievale del concetto di rivelazione
indubbiamente quella fornita dal
quarto concilio Lateranense del 1215:
Questa Santa Trinit dapprima per
mezzo di Mos, dei santi profeti e dei
suoi altri servitori, secondo una sapientissima disposizione delle circostanze, ha dato al genere umano una
dottrina della salvezza. Infine il Figlio unigenito di Dio, Ges Cristo ha
reso visibile e in modo pi manifesto
la via della vita (DS 800-801). Il concilio, come i Padri della chiesa, sottolinea i temi dell'economia e del progresso della rivelazione che culmina
in Ges Cristo. Come S. Bonaventura e S. Tommaso, parla di dottrina
della salvezza. La rivelazione
l'azione-fonte da cui procede questa
dottrina, ma la dottrina che qui conserva l'attenzione. Lo stesso termine
di rivelazione non appare ancora.
1. Il concilio di Trento e il protestantesimo - Il protestantesimo del
primo periodo, sebbene non metta direttamente in causa la nozione di rivelazione, tuttavia la minaccia. Cos
Calvino (- Calvinismo), nella sua
Istituzione della religione cristiana
(1,5,2), ammette che Dio si manifesta agli uomini nelle opere della creazione, ma aggiunge subito che la ragione umana stata cos gravemente
toccata dalla colpa di Adamo che
questa manifestazione di se stesso resta vana per noi. Per questo Dio ha
fatto dono all'umanit non solo di

maestri muti ma anche della sua


divina Parola (Ibid. 1,6,1). Dunque,
dei due tipi di conoscenza di Dio tradizionalmente riconosciuti, cio mediante la creazione e la rivelazione
storica, il primo si trova svalutato a
beneficio del secondo. Ben presto il
protestantesimo tende a svalutare
qualsiasi conoscenza di Dio che non
sia rivelazione in Ges Cristo. Inoltre, nello stesso tempo in cui afferma il principio della salvezza mediante la grazia e la sola fede, il protestantesimo pone il principio dell'autorit sovrana della Scrittura. La -
rgula fidei la sola Scrittura con
l'assistenza individuale dello Spirito,
che permette di cogliere ci che rivelato e quindi ci che bisogna credere. Testimonianza dello Spirito nelle anime e parola di Dio nella Scrittura sono inseparabili. Solo lo Spirito illumina la Parola.
Al primo approccio il protestantesimo sembra dunque esaltare il carattere trascendente della rivelazione,
poich sopprime qualunque intervento mediatore tra la parola di Dio e
l'anima che la percepisce. Di fatto esso compromette tale carattere, poich nello stesso tempo in cui pone
il principio dell'autorit sovrana della Scrittura, si irrigidisce contro l'autorit della chiesa (DS 1477), sia nella sua tradizione che nelle attuali decisioni del magistero. Esso rischia di
cadere in una ispirazione incontrollabile, avviandosi all'individualismo
e al razionalismo. Processo questo
che appare nella sua luce pi cruda
con il protestantesimo liberale, ma
che era gi iniziato fin dal secolo
XVII. Da parte sua, il concilio di
Trento si dedicato ad allontanare
il pericolo pi immediato, costituito
da un'attenzione troppo esclusiva alla Scrittura a detrimento della chiesa
e della sua viva tradizione. Il decreto
sull'argomento, pubblicato il 15 aprile
1547, si esprime cos:
Il Santo Concilio di Trento avendo sempre davanti agli occhi l'inten-

zione di conservare nella chiesa, eliminando gli errori, la stessa purezza


del vangelo che, dopo essere stato
precedentemente promesso dai profeti nelle Sacre Scritture, stato reso
noto dapprima per bocca di Nostro
Signore Ges Cristo, Figlio di Dio,
e poi dai suoi apostoli cui egli ha affidato, la missione di annunciarlo a
ogni creatura quale fonte di ogni verit salutare e di ogni regola dei costumi; e considerando che questa verit e questa regola morale sono contenute nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte che sono giunte fino
a noi, o ricevute dagli apostoli per
bocca di Cristo o trasmesse come di
mano in mano dagli apostoli a cui
10 Spirito Santo le aveva dettate; il
concilio dunque, secondo l'esempio
dei Padri ortodossi, riceve tutti i libri sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, poich lo stesso Dio autore dell'uno e dell'altro, cos come
le tradizioni che concernono sia la fede che i costumi, in quanto provenienti dalla stessa bocca di Cristo o
dettati dallo Spirito Santo e conservati nella chiesa cattolica con una
continua successione: il concilio li riceve e li venera con lo stesso rispetto
e la stessa piet (DS 1501).
Notiamo prima di tutto che in questo paragrafo il termine rivelazione
non compare: quello che al primo
posto il termine vangelo che rappresenta un uso neotestamentario largamente diffuso, cio la buona notizia o messaggio di salvezza portata
e realizzata da Cristo, predicata a
ogni creatura (Me 16,15-16). Il concilio si allinea dunque con l'uso medievale e con il concilio lateranense.
11 vangelo, la dottrina della salvezza,
l'oggetto proposto alla nostra fede. In
modo pi sistematico il testo comporta una triplice affermazione: 1. il vangelo ci stato dato progressivamente:
dapprima annunciato dai profeti, poi
promulgato da Cristo, infine predicato dagli apostoli per ordine di Cristo
a ogni creatura. In esso la fonte

di ogni verit salutare e di ogni regola dei costumi. 2. Questa verit della salvezza e questa legge del nostro
agire morale, di cui il vangelo l'unica fonte, sono contenute nei libri ispirati della Scrittura e nelle tradizioni
non scritte. 3. Il concilio accoglie con
uguale piet e rispetto la Scrittura (AT
e NT) e le tradizioni che provengono dalla bocca di Cristo o dettate dallo Spirito Santo e conservate nella
Chiesa cattolica con una continua successione. Per questo bisogna credere
tutto ci che contenuto nella parola
di Dio, scritta o trasmessa (DS 3011).
L'unico messaggio evangelico, l'unica buona notizia si trova espressa in
forme diverse: scritta e orale. Nel decreto sulla giustificazione, l'oggetto
della fede nuovamente presentato
come una dottrina insegnata da Cristo, trasmessa dagli apostoli, conservata dalla chiesa e difesa da essa contro ogni errore (DS 1520). Indubbiamente ci che in primo piano nella
rivelazione il messaggio di salvezza,
la dottrina insegnata da Cristo. La
centralit di Cristo come persona, fonte, mediatore, pienezza della rivelazione, passa in secondo piano.
2. Il primo concilio Vaticano e il
razionalismo - Per la prima volta un
concilio usa esplicitamente il termine
rivelazione. Ma ci che viene messo
in questione non ancora la natura
e i tratti specifici di questa rivelazione, come sar nel Vaticano II, ma
il fatto della sua esistenza, della sua
possibilit, del suo oggetto. Come nel
concilio di Trento, ci che merita l'attenzione non tanto l'azione rivelatrice originale quanto il risultato, l'oggetto di questa azione, la dottrina di
fede e il suo contenuto: Dio e i suoi
decreti, i suoi misteri.
Per comprendere il
Vaticano I
bisogna richiamarsi al contesto storico antecedente. Con l'illuminismo europeo dei secoli XVII e XVIII, le esigenze del soggetto pensante sono venute a occupare il primo posto nella

coscienza occidentale. Inevitabilmente


doveva porsi il problema di un intervento divino di tipo trascendente.
Oltre alla posizione cattolica si potevano teoricamente concepire tre risposte diverse che di fatto sono esistite. Rifiutare l'ipotesi di una rivelazione e di un'azione trascendente di
Dio nella storia umana, come fanno
il deismo e il progressismo (DS 30273028) che reclamano un'autonomia
assoluta della ragione. La fede in una
religione rivelata comporta un disprezzo della ragione umana; l'uomo
deve cessare di comportarsi come un
minorenne, sempre asservito, sempre a rimorchio della chiesa. Oppure
ridurre la rivelazione a una forma
particolarmente intensa del sentimento religioso universale: risposta questa del protestantesimo liberale e delle
estreme posizioni del modernismo.
Infine, sopprimere uno dei termini:
Dio. Cos i partigiani dell'evoluzionismo assoluto, come gli hegeliani,
conservano ancora il termine rivelazione, ma svuotato di ogni senso tradizionale. Il cristianesimo rappresenta solo un momento, ormai superato, dell'evoluzione della ragione verso il suo totale divenire.
Di fronte al panteismo e al deismo,
il Vaticano I dichiara il fatto di una
rivelazione soprannaturale, la sua
possibilit, la sua convenienza, la sua
finalit e discernibilit e il suo oggetto. Per cogliere la portata del suo intervento bisogna tenere presenti i nomi che da secoli dominano il pensiero occidentale, per la maggior parte
protestanti, che a poco a poco sono
andati alla deriva verso le diverse forme del razionalismo e del materialismo. In Germania, Wolf (1679-1754),
Kant (1724-1804), Fichte (1762-1814),
Schelling (1775-1854), Hegel (17701831), Schopenhauer (1788-1860), Schleiermacher (1768-1834), Strauss (18081874), Baur (1792-1860). Il razionalismo inglese si ricollega alla filosofia di Bacone (1561-1626), al materialismo di Hobbes (1588-1679), al

sensismo di Locke (1631-1704). In


questo incessante processo di deriva
sono comparsi il positivismo di Stuart
Mill (1773-1836), l'evoluzionismo colto di Spencer (1820-1903) e di Darwin (1809-1882). In Francia, Voltaire (1694-1778) e Rousseau (1712-1778)
sono stati con l'Enciclopedia i maestri del laicismo moderno. Le teorie
di Locke vi si sono infiltrate attraverso Condillac (1715-1780), mentre
il positivismo inglese, con Hume,
Spencer e Darwin, venne introdotto
da Comte (1798-1857), Taine (18281893) e Littr (1801-1880).
Per limitarci all'immediato contesto
del concilio, ricordiamo che il secolo
XIX, tranne un breve periodo di religiosit romantica, ha subito soprattutto l'influenza dei deisti inglesi e degli enciclopedisti francesi. I concetti
di soprannaturale, di rivelazione, di
mistero, di miracolo e i titoli del cristianesimo vengono messi in causa e
discussi negli ambienti colti, in nome
della critica storica e della filosofia.
La scienza delle religioni, ancora giovane, contesta lo stesso suo carattere
di trascendenza. La sinistra hegeliana, con Feuerbach, prepara la strada
all'ateismo di Marx, mentre le spiegazioni materialiste del mondo e della vita guadagnano rapidamente il favore del pubblico sotto l'influenza di
Spencer e di Darwin.
La costituzione Dei Filius del Vaticano I espone in quattro capitoli la
dottrina della chiesa su Dio, sulla rivelazione, sulla fede e sui rapporti tra
fede e ragione. Ricorderemo soprattutto il contributo del secondo capitolo che riguarda la rivelazione: non
tanto la sua natura quanto il fatto
della sua esistenza, della sua possibilit, del suo oggetto.
a. Nel primo paragrafo di questo
capitolo il concilio distingue due vie
per le quali l'uomo pu accedere alla
conoscenza di Dio: la via ascendente
che parte dalla creazione (per ea quae
facta sunt) ha per strumento la luce
della ragione e non raggiunge Dio

nella sua vita intima ma nella relazione causale con il mondo. La seconda via ha per autore Dio che parla, autore dell'ordine soprannaturale, che si fa conoscere, cos come fa
conoscere i decreti della sua volont.
Parlando della prima via d'accesso alla conoscenza di Dio attraverso tutto
il creato, il concilio non dice se questa conoscenza si operi, di fatto, con
o senza l'aiuto della grazia. Se il concilio afferma che la ragione umana
pu accedere alla conoscenza di Dio
attraverso il contingente prima di
tutto perch esso vede affermata questa verit dalla Scrittura (Rm 1,18-32;
Sap 13,1-9) e da tutta la tradizione
patristica; poi perch la negazione di
questa verit condurrebbe allo scetticismo religioso.
La seconda via di accesso a Dio
la via soprannaturale della rivelazione: Tuttavia piaciuto alla sapienza e alla bont di Dio rivelare al genere umano per un'altra via, e soprannaturale, se stesso e gli eterni decreti della sua volont; ci che dice
l'Apostolo: dopo aver a pi riprese
e in numerose forme gi parlato un
tempo ai Padri e ai profeti, Dio in
questi ultimi giorni, ci ha parlato nel
Figlio (DS 3004). Sebbene sommario, questo testo fornisce numerosi
importanti dati sulla rivelazione: 1.
Il testo stabilisce il fatto della rivelazione soprannaturale e positiva, cos
come proposta dall'AT e dal NT.
2. Questa operazione essenzialmente
grazia, dono dell'amore, effetto del
compiacersi di Dio (placuisse). 3.
Iniziativa di Dio, la rivelazione tuttavia non stata data senza motivo:
essa conveniva alla sapienza e alla
bont di Dio. Alla sapienza di Dio,
creatore e provvidenza (DS 3001-3003),
affinch le verit religiose di ordine
naturale potessero essere conosciute da tutti senza difficolt, con una
ferma certezza e senza possibilit di
errore (DS 3005); alla sua sapienza
di autore anche dell'ordine naturale,
poich se Dio avesse elevato l'uomo

a tale ordine, avrebbe dovuto fargliene conoscere il fine e i mezzi. La rivelazione conveniva anche alla bont di Dio. Gi l'iniziativa con cui Dio
esce dal proprio mistero, si rivolge
all'uomo, lo interpella ed entra in comunicazione personale con lui, un
segno della sua infinita benevolenza.
Ci che conviene all'amore infinito
che questa comunicazione non solo
renda pi facile il cammino naturale
dell'uomo verso Dio, ma anche lo associ ai segreti della sua vita intima,
alla partecipazione dei beni divini
(DS 3005). 4. L'oggetto materiale della rivelazione Dio stesso e i decreti
eterni del suo libero volere. I paragrafi successivi (DS 3004, 3005) indicano che questo oggetto comprende
sia verit accessibili alla ragione sia
misteri che la superano. Per Dio bisogna intendere la sua esistenza, i
suoi attributi e anche la vita intima
delle tre persone. E per decreti tutto
ci che concerne la creazione e il governo naturale del mondo, come anche tutto ci che concerne la nostra
elevazione all'ordine soprannaturale,
l'incarnazione, la redenzione, la vocazione degli eletti. 5. L'intero genere umano beneficiario della rivelazione: essa universale come la salvezza stessa. 6. Il testo della lettera
agli Ebrei viene a confermare questa
dottrina del fatto della rivelazione e
ne segna il progresso da un'alleanza
all'altra. La citazione, strettamente legata al testo, lascia intendere che la
rivelazione concepita come parola
di Dio all'umanit: Deus loquens locutus est. Ci che costituisce l'unit
e la continuit delle due alleanze
la parola di Dio: quella del Figlio
infatti il seguito e il compimento di
quella dei profeti.
b. 1. Il secondo paragrafo apporta
a questi elementi di definizione nuove determinazioni concernenti la necessit, la finalit e l'oggetto della rivelazione. Se la rivelazione assolutamente necessaria, dice il concilio,
perch Dio nella sua infinita bon-

t ha ordinato l'uomo a un fine soprannaturale, cio alla partecipazione ai beni divini (DS 3005). dunque in definitiva l'intenzione salvifica di Dio che spiega il carattere necessario della rivelazione dell'ordine soprannaturale. In rapporto alle verit
religiose dell'ordine naturale, il concilio, riprendendo gli stessi termini di
S. Tommaso, le descrive con i tratti della necessit morale: questa necessit non riguarda n l'oggetto, n
la potenza attiva della ragione, ma
la condizione attuale dell'umanit.
Senza la rivelazione queste verit non
possono essere conosciute da tutti
senza difficolt, con una ferma certezza, senza possibilit di errore
(STh 1,1,1; II-II; 2, 4c). L'enciclica
Humani generis del 1950 parla esplicitamente di necessit morale. Si
tratta dello stesso oggetto di cui si
parlava nel paragrafo precedente, ma
questa volta considerato sotto un
aspetto di proporzione o di sproporzione rispetto alle forze della ragione. 2. Un vocabolo come rivelazione
evoca anche sia l'azione che il suo
esito, cio il dono ricevuto, la verit
rivelata. Anche il concilio portato
da una normale transizione a considerare la rivelazione nel suo aspetto
oggettivo di parola detta o espressa.
Il contenente di questa rivelazione, dice il concilio, riprendendo i termini
stessi del concilio di Trento, sono i
libri scritti o le tradizioni che sono
giunte fino a noi, o ricevute dagli
apostoli per bocca di Cristo, o trasmesse come di mano in mano dagli
apostoli a cui lo Spirito Santo le aveva dettate (DS 3006). Ma, con una
nuova precisazione che non compariva nel concilio di Trento, il Vaticano I usa espressamente il termine di
rivelazione per designare il contenuto della parola divina: haec porro
supernaturalis revelatio. Questa parola detta da Dio, contenuta nella
Scrittura e nelle tradizioni, l'oggetto della nostra fede. Per questo il
concilio dichiara nel terzo capitolo

che dobbiamo credere tutto ci che


contenuto nella parola di Dio scritta o trasmessa (DS 3011).
c. Alla rivelazione da parte di Dio
risponde la fede da parte dell'uomo.
Il motivo di questa fede l'autorit
di Dio che parla. La fede, dice il concilio, aderisce alle cose rivelate non
a causa della loro verit intrinseca
percepita alla luce naturale della ragione, ma a causa dell'autorit di Dio
stesso che non pu n sbagliare n
far sbagliare (DS 3008). La dichiarazione evidentemente diretta contro il razionalismo. Distinguendo cos scienza e fede, evidenza naturale
e assenso di fede, il concilio dice in
modo equivalente - ma il termine
non compare - che la parola di Dio
appartiene all'ordine della testimonianza. Una parola infatti che suscita una reazione di fede, cio che invita ad ammetterla sulla sola autorit di colui che parla, propriamente
una testimonianza. Ma la fede stessa un dono di Dio. Riprendendo il
testo del concilio di Orange (DS 377)
e le affermazioni pi volte ripetute
della Scrittura, della tradizione patristica e medievale, il concilio dichiara: nessuno pu aderire all'insegnamento del vangelo, come necessario per arrivare alla salvezza, senza
un'illuminazione e un'ispirazione dello Spirito Santo che d a tutti la soavit dell'adesione e della credenza alla
verit (DS 3010). Il s della fede alla predicazione del vangelo nello
stesso tempo libero abbandono alla
mozione dello Spirito.
Cos il Vaticano I vede la rivelazione in senso attivo, come azione di Dio
in vista della salvezza dell'uomo, attraverso la quale egli fa conoscere se
stesso e i decreti della sua volont.
Tuttavia manifestamente la rivelazione in senso oggettivo che attira
l'attenzione del concilio. Nella costituzione sulla chiesa, il Vaticano I stabilisce un'equazione tra rivelazione e
deposito della fede: Lo Spirito
Santo stato promesso ai successori

di Pietro perch conservino santamente ed espongano fedelmente la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della fede (DS 3070).
Il contributo del Vaticano I si riconduce ai seguenti punti: a. Affermazione dell'esistenza della rivelazione soprannaturale, della sua possibilit, della sua necessit, della sua finalit; b. Determinazione del suo
principale oggetto materiale: Dio stesso e i decreti della sua volont salvifica; c. L'adozione del termine rivelazione in senso attivo e oggettivo, che diventa cos un termine ufficiale e tecnico; d. Il ricorso alle
analogie della parola e della testimonianza (implicitamente) per descrivere questa realt inedita; e. La fede,
libera adesione alla predicazione del
vangelo, sostenuta da un'azione interiore dello Spirito che feconda la
parola ascoltata. Questo contributo,
se paragonato a quello del Vaticano
II, sembra ancora limitato, ma se inserito nel suo contesto storico va giudicato con apprezzamento per le prospettive che delinea.
3. La crisi modernista - Il modernismo nel suo pi profondo intento
la manifestazione contestuale di
uno sforzo sempre da riproporre per
armonizzare i dati della rivelazione
con la storia, con le scienze e con le
culture. Problema troppo grave per
essere risolto in un solo momento. Lo
sforzo del modernismo si comprende
solo alla luce dei cambiamenti che la
chiesa del tempo doveva affrontare
di fronte a un mondo in mutamento
a tutti i livelli. Il progetto dei modernisti si situa a livello religioso e intellettuale, ma ha avuto la sfortuna di
arrivare in un momento in cui la chiesa, mal preparata, inquieta di fronte
a un pensiero sempre pi frondista,
si sentita attaccata da tutti i lati.
Invece di aprirsi al mondo del suo
tempo, come nel Vaticano II, essa
non ha pensato ad altro che a difendersi e a condannare: ha prodotto la

Pascendi invece della Gaudium et


Spes. Che contrasto c' tra questi due
momenti della storia della chiesa?
I fattori in gioco in questa presa di
coscienza di una nuova cultura in gestazione erano troppo complessi per
essere tutti rappresentati da coloro
che sono stati definiti modernisti. Come raggruppare sotto un'unica etichetta e accostare pensatori cos diversi tra
loro come M. Blondel, mons. Mignot,
L. Laberthonnire, G. Tyrrel, il barone von Hgel e A. Loisy? Certamente
nessun modernista si sarebbe riconosciuto nel corpo dottrinale fortemente strutturato presentato dalla Pascendi. Non esiste un modernismo comune, ma esistono delle tendenze che all'epoca sembravano portare a gravi
e sicure deviazioni.
Nel movimento di riflessione sulla
rivelazione i documenti antimodernisti rappresentano un momento della
crisi di una chiesa ancora presa nel
labirinto della modernit (E. Poulat) e che deve avventurarsi su piste
inesplorate. I documenti dell'epoca
testimoniano una transizione: si
pi preoccupati di proteggere, di difendere, che di creare e rinnovare.
Per di pi non possiamo accordare
alle decisioni della Commissione biblica, al decreto Lamentabili, all'enciclica Pascendi, al motu proprio Sacrorum antistitum la stessa autorit
di un concilio dell'ampiezza del Vaticano II.
Essenzialmente ci che la chiesa temeva nelle tendenze spinte all'estremo del modernismo era vedere la rivelazione storica dissolversi in un sentimento religioso cieco, sorto dalle
profondit dell'inconscio, sotto la
pressione del cuore e l'impulso della
volont. A questo punto si raggiungono le posizioni di A. Sabatier. La
rivelazione si riduce a una vaga esperienza religiosa, di cui le diverse religioni sono punti di uscita nella coscienza di ognuno. Si pu capire come il magistero, di fronte a simili deviazioni, abbia difeso con vigore il

carattere contemporaneamente storico e trascendente della rivelazione e


il contenuto dottrinale. Senza negarne gli elementi di immanenza, esso
rifiutava di ridurla a una pura immanenza. Contro gli eccessi del modernismo - che non accettava la nozione di rivelazione come deposito
divino o insieme di verit definite, volendo sostituirvi una rivelazione come creazione umana, uscita dalle profondit dell'inconscio - il discorso antimodernista, elaborandosi
a poco a poco dall'oscurit alla chiarezza, dall'informulato al formulato,
dichiara che l'oggetto della fede
tutto ci che Dio ha detto, attestato e rivelato (DS 3542). La rivelazione il contenuto di una parola,
di una testimonianza. Questo contenuto chiamato altrove dottrina, parola rivelata, vangelo (DS 3538-3550).
Per la prima volta in un documento
ufficiale si trovano riuniti i tre termini: parola (dieta), testimonianza
(testata), rivelazione (revelata). Ognuno di questi termini raccoglie e precisa il precedente. Parola, la rivelazione si rivolge all'uomo e gli comunica il disegno di Dio; testimonianza, richiama la reazione specifica della fede. La rivelazione parola di attestazione: di qui la definizione di locutio Dei attestons che avr fortuna
per molti decenni e che condensa in
una formula dichiarazioni della Scrittura e della tradizione patristica e teologica. Ci che Dio ha detto, attestato, rivelato definito dalla chiesa: parola rivelata, dottrina di fede, deposito divino affidato alla sua custodia
per essere conservato senza aggiunte, alterazioni, mutamenti di senso o
di interpretazione. Questa dottrina
non dell'uomo ma di Dio.
Sul tema della rivelazione i documenti antimodernisti presentano una
terminologia pi precisa nello stesso
tempo in cui si caratterizzano per
un'evidente inflazione del carattere
dottrinale della rivelazione, a detrimento del carattere storico e perso-

nale. Si comprende meglio allora l'allergia per la teologia preconciliare,


rappresentata da uomini come de Lubac, Danilou, Bouillard, von Balthasar, Chenu, che si elevava contro un
certo intellettualismo tendente a fare
della rivelazione la comunicazione di
un sistema di idee piuttosto che la
manifestazione di una persona che
verit in persona, punto di arrivo di
una storia che culmina in Ges Cristo. Gli eccessi dei teologi antimodernisti hanno provocato una reazione
manifestatasi nella -* Dei Verbum.
Le rimostranze della teologia preconciliare si riconducono a due: timore
di ridurre il cristianesimo a un intellettualismo esagerato; e, in positivo,
desiderio di una maggiore fedelt ai
dati della Scrittura e della Tradizione.
V I I . RIFLESSIONE SISTEMATICA: SINGOLARIT DELLA RIVELAZIONE CRISTIA-

NA - 1. Contesto - L'attuale teologia


della rivelazione conciliare e post-conciliare non il frutto di una germinazione spontanea; piuttosto il risultato di un cammino laboriosamente effettuato in numerosi anni in mezzo a drammatiche tensioni. Questa riflessione nata in un contesto di
mutamento accelerato descritto molto bene dalla Gaudium et Spes (nn.
4-10). Lo spirito scientifico ha esteso
il suo dominio su tutto il mondo della conoscenza: sulle scienze fisiche,
biologiche, psicologiche, economiche
e sociali. Le filosofie di moda sono
quelle dell'esistenza, della persona,
della storia, del linguaggio, della prassi (R. Winling, La thologie contemporaine, 1945-1980, Paris 1983).
L'interesse per la teologia della rivelazione nel mondo cattolico stato stimolato dal rinnovamento biblico e patristico. Il rifiorire biblico ha
avuto come corollario il primato della parola e dell'azione rivelatrice. In
effetti, nei recenti dizionari ed enciclopedie gli articoli contenuti nelle rubriche parola, linguaggio, rivelazione, fede, costituiscono spesso, per

ampiezza e ricchezza di informazione, vere e proprie monografie. Inoltre si sono moltiplicati i lavori su nozioni fondamentali, necessarie all'intelligenza della rivelazione (per esempio: gnosi, mistero, epifania, testimone, testimonianza, parola, verit).
Anche se la teologia patristica sul tema della rivelazione non progredita con lo stesso ritmo, la teologia della rivelazione invece, ha gi beneficiato del rinnovamento degli studi patristici, sia a livello delle grandi
collezioni come Sources chrtiennes,
Handbuch der Dogmengeschichte, sia
a livello di monografie (per esempio
su Origene, su Ireneo, sulla scuola di
Alessandria, su Gregorio di Nissa, su
Ilario di Poitiers, su Agostino, ecc.).
Dal canto suo, la teologia protestante ha potuto contribuire, con abbondanza e qualit, al rinnovamento della teologia cattolica. Basti elencare alcuni dei nomi pi importanti: -* K.
Barth, - R. Bultmann, E. Brunner,
H.W. Robinson, - P. Tillich, H.R.
Niebuhr, G. Kittel, J. Baillie. Azione, evento, storia, incontro, significativit, sono tutti aspetti che la teologia protestante si compiace di sottolineare. Nel mondo cattolico troviamo le riflessioni che servono da catalizzatori, sullo statuto della teologia, sul senso della predicazione (teologia kerigmatica, teologia della predicazione), sullo sviluppo del dogma,
sulla fede. In seguito, nel dopo-guerr, sono apparsi i primi saggi di sistematizzazione: punto di partenza di
una prodigiosa proliferazione di monografie sulla rivelazione stessa, sulla DV e sulla teologia fondamentale.
Questa presa di coscienza circa l'importanza del tema della rivelazione
non si prodotta senza sofferenze e
senza vittime. La teologia della rivelazione si infatti costruita in un clima di tensione tra l'insegnamento ufficiale e una ricerca segnata dalle
nuove correnti di pensiero. La teologia dei manuali non era abbastanza

sensibile al movimento della storia,


al carattere interpersonale della rivelazione e della fede. La sua attenzione verteva pi sul lato oggettivo della rivelazione che sull'azione rivelatrice stessa. Era pi preoccupata per
la dottrina da conservare che per il
tesoro da far fruttificare. La libert
di ricerca era severamente controllata dal Sant'Uffizio. Tipico a questo proposito il dibattito che ha coinvolto la nuova teologia, sviluppatosi in mezzo a sospetti, denunce, sospensioni dall'insegnamento.
2. Tipologia della rivelazione - A
dire il vero, un buon numero di queste posizioni, in apparenza irriducibili, deriva dalla complessit stessa
della rivelazione, dai suoi paradossi,
dalla molteplicit dei suoi aspetti. La
verit che la rivelazione di una
ricchezza inesauribile: contemporaneamente azione, storia, conoscenza,
incontro, comunione, trascendenza e
immanenza, progresso, economia e
compimento definitivo. La polivalenza stessa della realt espone costantemente il teologo a valorizzare un
aspetto a danno dell'altro e dunque
a falsarne l'equilibrio. Chi potrebbe
pretendere di esprimere lo splendore
di una cattedrale per mezzo di una
sola prospettiva? E questa diversit
di approccio che legittima saggi come quello di A. Dulles (Models of
Revelation, New York 1983).
In uno studio diacronico abbiamo
gi costatato come la riflessione contestuale di ogni epoca abbia privilegiato questo o quell'aspetto, senza
pertanto escludere o rinnegare gli altri. Cos, sotto l'influenza greca, si
sviluppata una riflessione che ha
sottolineato soprattutto il carattere di
conoscenza, di gnosi superiore della
rivelazione, a danno di una rivelazione centrata sulla manifestazione della persona. In seguito, il periodo gregoriano, che culmina con Melchiore
Cano, ha stabilito una differenza, che
quasi diventa rottura, tra il periodo

costitutivo della rivelazione e il periodo successivo che si dedica a esporre, spiegare e interpretare il dato rivelato concepito in modo statico e
giuridico. Cos si stempera la contemporaneit della rivelazione e della fede attuale. Con l'illuminismo, la ragione diventa l'assoluta capace di conoscere tutto: l'uomo non ha pi nulla da ricevere da Dio. La reazione
del Vaticano I stata quella di affermare il dono soprannaturale della rivelazione, senza tuttavia liberarsi da
una certa estrinsecit che separa azione e contenuto della rivelazione, segni di una rivelazione concepita soprattutto come dottrina. Con il Vaticano II la rivelazione ritrova il proprio centro in Ges Cristo: Dio rivelante, Dio rivelato, segno della rivelazione. Il Cristo l'universale concreto che siamo invitati ad accogliere
nella fede.
A. Dulles, in una prospettiva a un
tempo diacronica e sincronica, propone cinque modelli fondamentali
della rivelazione che raggruppano tutti gli altri: a. Il primo modello quello della rivelazione concepita principalmente come dottrina formulata in
proposizioni che la chiesa offre alla
nostra fede. Questo modello mette in
evidenza il versante oggettivo della rivelazione, identificata con il deposito della fede affidato alla chiesa. L'origine divina di questo insegnamento
attestata da segni esterni. Tale modello condiviso dai conservatori della chiesa evangelica e dalla neo-scolastica. Si ritrova anche nell'attuale
ala integrista della chiesa cattolica, b.
In contrasto con il primo modello,
il secondo pone in primo piano, nella rivelazione, i grandi eventi della
storia della salvezza che culminano
nella morte e risurrezione di Ges che
permettono di interpretare la storia
passata e futura. Questa rivelazione
richiede una risposta di indefettibile
speranza nel Dio della promessa e
della salvezza. Con accentuazioni
molto diverse, questo modello rap-

presentato da O. Cullmann, W. Pannenberg, G.E. Wright, c. In un terzo modello - rappresentato da F.


Schleiermacher, A. Sabatier, G. Tyrrel - la rivelazione concepita prima di tutto come un'esperienza interiore di grazia e di comunione con
Dio che si effettua in un incontro diretto e immediato di ciascuno con il
divino. Dio comunica se stesso spontaneamente all'anima che si abbandona alla sua azione: questa esperienza portatrice di salvezza e di vita
eterna. Per alcuni Cristo resta mediatore di questa esperienza. In ogni ipotesi la risposta dell'uomo a questa
esperienza mistica quella della pia
devozione, della preghiera del cuore.
d. Un quarto modello, rappresentato
da K. Barth, R. Bultmann, E. Brunner, G. Ebeling, concepisce la rivelazione come manifestazione dialettica. Poich Dio il Trascendente, il
totalmente Altro, egli stesso va incontro all'uomo che lo riconosce nella
fede. La parola di Dio rivela e a un
tempo nasconde la manifestazione di
Dio. Il primato di Dio assoluto. I
bultmanniani tuttavia sottolineano
che lo svelamento di Dio nello stesso tempo svelamento all'uomo della
sua condizione di peccatore, e. Secondo un quinto modello, la rivelazione trova il suo luogo privilegiato
in un cambiamento dell'orizzonte ultimo dell'uomo. Si tratta di una nuova presa di coscienza dell'uomo di
fronte all'azione trascendente di Dio
che si rivela e all'impegno dell'uomo
nella storia umana. Gli avvenimenti
del passato hanno interesse solo in
quanto interpretano il presente. La
rivelazione ha un potere salvifico in
quanto contribuisce a ristrutturare
continuamente la nostra esperienza e
il mondo stesso. La fede la presa
di coscienza di questo processo trasformatore della rivelazione. Tale
modello rappresentato, con diversi
accenti, da M. Blondel, P. Tillich, K.
Rahner, G. Baum, G. Moran, D. Tracy, A. Darlap e dalla teologia della

liberazione sotto l'influenza di G. Gutirrez e L. Boff.


A. Dulles cerca di ricuperare i valori di ogni modello, non con la scelta privilegiata di un modello, n per
raggruppamento selettivo di modelli
e neppure per via di armonizzazione,
ma con un superamento che egli
scopre nella mediazione simbolica:
concretamente, nel Cristo-Simbolo
che integra tutti i modelli e li perfeziona. Anche noi pensiamo che Cristo la sola via di approccio alla rivelazione: la sua persona di Verbo
incarnato che assume, riclassifica, interpreta e decifra tutto. Optiamo per
un approccio totalizzante della rivelazione cristiana che permetta di
esprimerne la singolarit, i tratti
specifici, offrendo cos la possibilit di identificarla come tale e nello
stesso tempo di distinguerla dalle altre religioni che hanno la pretesa di
essere rivelate. Proponiamo ora tratti che ci sembrano appartenere alla
specificit della rivelazione cristiana.
V I L I . TRATTI SPECIFICI DELLA RIVELAZIONE CRISTIANA - 1. Principio di

storicit - Il primo tratto specifico


della rivelazione cristiana il legame
organico con la storia. In senso molto generale, tutte le religioni sono storiche, cio coesistenti con la storia,
ma ci che caratterizza la rivelazione
cristiana non solo il fatto di essere
data nella storia e di possedere essa
stessa una storia, ma di dispiegarsi
a partire da eventi storici il cui senso
profondo reso noto da testimoni autorevoli, e di compiersi in un evento
per eccellenza qual l'incarnazione
del Figlio di Dio: evento cronologicamente definito, puntuale, in situazione e in contesto rispetto alla storia universale. Dunque, al contrario
della filosofia orientale, del pensiero
greco e dei misteri ellenici che non
accordano nessun posto alla storia o
lo fanno solo in qualche caso, la fede cristiana essenzialmente confrontata con eventi che sono succes-

si. La Scrittura ritraccia fatti, presenta persone, descrive istituzioni. In


altri termini, il Dio della rivelazione
cristiana non solo il Dio del cosmo,
ma il Dio di interventi, di irruzioni
inattese nella storia umana; un Dio
che viene, che interviene, che agisce
e che salva. Non si potrebbe parlare
di rivelazione, n nell'AT n nel NT,
di promessa o di compimento, senza
una serie di eventi situati nel tempo
in un ambiente culturale determinato e senza mediatori che rendono nota da parte di Dio la significativit
di questa storia, tesa verso un compimento definitivo in Ges Cristo.
Questo legame organico della rivelazione con la storia non mai stato
rinnegato o dimenticato, anche se nel
corso dei secoli stato talvolta poco
sottolineato. Cos il Vaticano I, l'abbiamo visto, presenta la rivelazione
come un agire divino con il quale ci
comunicata la dottrina rivelata o
il deposito della fede. Esso cita Eb
1,1, ma le implicazioni di questo testo non entrano in modo significativo nella descrizione della rivelazione:
quest'ultima appare come un'azione
verticale il cui esito una dottrina
su Dio, per tale azione tocca appena la storia. La coscienza cristiana,
comunque, non ha mai dimenticato
questo tratto fondamentale della rivelazione: ne prova che la chiesa
ha costantemente rifiutato tutte le
forme di gnosi sempre rinascenti: da
Marcione a Bultmann. Il Vaticano II
ha ritenuto opportuno riaffermare
con fermezza il carattere storico della rivelazione.
2. Struttura sacramentale - La DV
sottolinea altrettanto fermamente che
la rivelazione non si identifica con il
tessuto opaco degli avvenimenti della storia. Essa afferma che si tratta
insieme di una storia e della sua autentica interpretazione, che includono a un tempo l'orizzontalit del fatto e la verticalit del senso salvifico
voluto da Dio e reso noto per mezzo
dei suoi testimoni autorevoli: i pro-

feti, Cristo, gli apostoli. La rivelazione contemporaneamente evento


e commento. Dire che Dio si rivela
verbis gestisque significa affermare
che Dio interviene nella storia, ma
con mediazioni: mediazione degli eventi, delle opere, dei gesti e mediazione di qualche eletto che li interpreta. Dio entra veramente in comunicazione con l'uomo, gli parla, ma
con la mediazione di una storia significante e autenticamente interpretata. L'evento non elargisce tutto il
suo senso se non con la mediazione
della parola. Senza Mos, l'abbiamo
gi notato, l'esodo sarebbe solo una
migrazione tra le tante. Questa struttura sacramentale della rivelazione distingue la rivelazione cristiana da ogni
altra forma di rivelazione, come anche da ogni apparenza di gnosi o di
ideologia. L'affermazione di questa
struttura, chiaramente espressa dalla
DV, costituisce una rivoluzione le cui
implicanze si fanno sentire a tutti i
livelli. Per esempio, se vero che la
rivelazione cristiana si opera con verba e gesta di Cristo, ne segue che la
trasmissione di questa rivelazione non
si pu ridurre alla comunicazione di
un corpo dottrinale. La rivelazione
diventerebbe allora discorso su Dio
e sulla salvezza, ma senza impatto
sulla vita.

messo nel passato. Ma ci che d impulso a questa storia e che mantiene


il suo slancio l'intervento del Dio
della promessa. la promessa infatti che rende sensibili alla storia, mediante la speranza che suscita nell'evento che la compir. Poich Dio
fedele alle sue promesse, ogni nuovo
compiersi fa sperare in un compimento ancora pi decisivo, e costituisce
quasi un collegamento nel continuo
svolgersi della storia verso il suo fine
ultimo. Per questo il passato in Israele non solo commemorato, ma visto come promessa per l'avvenire. La
salvezza escatologica stessa descritta nella categoria della promessa, ma
di una promessa ampliata, di un compimento che sar la trasfigurazione
del passato. L'evento decisivo sar un
nuovo esodo, una nuova alleanza,
una salvezza universale. Cos, grazie
alla promessa, tutta la storia in
cammino verso l'avvenire, verso un
compimento definitivo di questa storia, che tuttavia non si pu anticipare o definire chiaramente. Anche se,
dal punto di vista fenomenico, la storia di Israele sembra in declino e incamminata verso la sconfitta, in realt, al livello pi profondo della promessa e della storia della salvezza, la
rivelazione si avvia al tempo della pienezza che il tempo di Cristo.

3. Progresso dialettico dell'AT - La


dimensione storica permea la rivelazione anche nel suo progresso, oltre
che nella sua struttura. Tale progresso si effettua seguendo un duplice
movimento dialettico: promessa e compimento (- Testamento Antico/Nuovo, I) da parte di Dio; attenzione meditativa e fiduciosa da parte di Israele.
a. Agli occhi di Israele ci che conta non tanto il ciclo annuale in cui
tutto ricomincia, quanto ci che Dio
ha fatto, fa, e far secondo le sue
promesse. Promessa e compimento
costituiscono il dinamismo di questo
tempo a tre dimensioni. Il presente
abbozza il futuro annunciato e pro-

b. Alla dialettica della promessa e


del compiersi della parola di Dio, corrisponde da parte di Israele un atteggiamento di attenzione meditativa e
di fiducia nella promessa. Infatti, poich la storia il luogo della rivelazione di Jhwh, Israele non cessa di
meditare sugli eventi che hanno segnato la sua nascita e il suo sviluppo
come popolo. In particolare gli eventi
dell'esodo, dell'elezione, dell'alleanza e della legge costituiscono una sorta di prototipo delle relazioni di Jhwh
con il suo popolo, chiave di tutte le
ulteriori interpretazioni. L'AT, nella
sua forma attuale, il frutto di questa continua riflessione multisecolare
del popolo di Dio sotto la guida dei

profeti e degli scrittori ispirati, a partire per dagli avvenimenti stessi. Le


grandi compilazioni che chiamiamo
jahvista, eloista, sacerdotale, il Deuteronomio, le Cronache, sono nate da
questa riflessione: rappresentano riletture della storia della salvezza. L'unificazione dell'AT dunque avvenuta non sulla base di una sistematizzazione logica, ma a partire dalla
successione degli avvenimenti promessi e compiuti da Dio. Il principio di
unificazione prima di tutto l'agire
di Dio nella storia secondo una concezione del tempo non semplicemente lineare, ma a spirale, fatta di cerchi sempre pi ampi e ricchi di intelligibilit. Infine, poich la rivelazione soprattutto promessa e compimento, il tempo presente appare come un tempo di vigilante attesa, di
speranza e di fiducia. Per Israele credere significa obbedire e fidarsi; riconoscere Jhwh come il solo Dio salvatore e fidarsi delle sue promesse.
Nella misura in cui Israele cammina
nel tempo, facendo la dolorosa esperienza della sua sconfitta e del suo
peccato, vive nell'attesa di Colui che
viene e della salvezza decisiva che egli
porta. La speranza cresce al ritmo
della sua miseria.
4. Principio incarnazionale - Se
vero che la rivelazione cristiana storica, bisogna aggiungere subito un'altra caratteristica ancora pi specifica
della prima, cio quella dell'incarnazione del Figlio di Dio tra gli uomini. L'incarnazione il tempo della
pienezza, il momento in cui il ritmo
della storia precipita e si concentra
nella persona del Verbo fatto carne.
La novit radicale e assoluta. Non
solo Dio entra nella storia, ma assume per manifestarsi, ci che vi di
pi dissimile rispetto a lui: il corpo
e la carne dell'uomo con tutti i rischi
e i limiti del linguaggio, della cultura, dell'istituzione. Non solo Cristo
porta la rivelazione: egli la rivelazione, l'epifania di Dio. E tuttavia
questa oscurit della carne diventa il

mezzo privilegiato con il quale Dio


vuole manifestarsi e donarsi definitivamente a noi in una rivelazione che
non passer. La grazia di Dio, dice
Paolo, stata rivelata solo ora con
l'apparizione del salvatore nostro Cristo Ges (2 Tm 1,10). In Ges Cristo l'agape di Dio, cio la bont di
Dio, salvatore nostro e il suo amore
per gli uomini ci sono manifestati (Tt 3,4). In Ges Cristo la vita
che era in Dio noi l'abbiamo veduta (1 Gv 1,2-3). Grazie al segno dell'umanit di Cristo, Giovanni ha potuto vedere, ascoltare e toccare il Verbo incarnato. Nei termini della Scrittura, dunque, l'incarnazione nella
sua realizzazione concreta, la rivelazione di Dio stesso in persona.
Cristo la parola epifanica di Dio.
L'umanit di Cristo l'espressione di
Dio. In Cristo il segno raggiunge il
suo massimo di espressivit, poich
presente e rivolto dalla pienezza del
significato, cio da Dip stesso. Cristo il Sacramento di Dio, il Segno
di Dio. proprio questo principi incarnazionale che DV ha espresso in
un testo di rara intensit e concisione: Perci egli (Ges Cristo, Verbo
fatto carne) con tutta la sua presenza e con la manifestazione di s compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina,
che cio Dio con noi (DV 4).
Questo principio incarnazionale ha
molteplici conseguenze per l'intelligenza della rivelazione:
a. Bisogna prima di tutto sottolineare che la funzione rivelatrice di
Cristo risulta immediatamente dall'incarnazione. La rivelazione e l'incarnazione appartengono allo stesso mistero dell'elevazione della natura
umana e del linguaggio umano. L'incarnazione sottolinea l'assunzione
della carne da parte del Figlio con
l'unione ipostatica, mentre la rivelazione sottolinea la manifestazione di
Dio attraverso le vie della carne e del
linguaggio. Ma sia l'incarnazione che
la rivelazione sono automanifestazio-

ne e autodonazione di Dio. Rivelandosi, Dio si dona; e donandosi nell'incarnazione, Dio si rivela.


b. In secondo luogo, se con l'incarnazione vi vera umanizzazione di
Dio, ne segue che tutte le dimensioni
dell'uomo sono assunte e utilizzate
per servire da espressione alla persona divina. Non solo le parole e la predicazione di Cristo, ma anche le azioni, gli esempi, gli atteggiamenti, il
comportamento nei confronti dei piccoli, dei poveri, degli emarginati, di
tutti coloro che l'umanit ignora, disprezza o rifiuta, la passione e la
morte, tutta la sua esistenza, sono un
modo perfetto di rivelarci il suo mistero, il mistero della vita trinitaria
e il nostro mistero di figli. Cristo si
coinvolge interamente nella rivelazione del Padre e del suo amore. Bisogna dunque dire che l'amore di Cristo l'amore di Dio reso visibile e
che le azioni e le parole di Cristo sono le azioni e le parole umane di Dio.
c. Allargando l'applicazione di questo principio incarnazionale, possiamo dire che il Verbo di Dio assume,
incarnandosi, le diverse culture dell'umanit per esprimere la salvezza
cristiana a ogni popolo e per portare
queste culture al loro compimento (-
Inculturazione). D'altra parte, sebbene Cristo appartenga a una cultura
determinata, a motivo della sua trascendenza come assoluto che salva le
culture, compresa la propria, dalle loro deviazioni e scorie, purificandole,
raddrizzandole, elevandole e rendendole perfette.
d. Comprendiamo meglio il senso
di questa economia dell'incarnazione se osserviamo ci che Cristo ha
rivelato agli uomini: la condizione di
figli e un nuovo stile di vita, una
prassi. Ora, la rivelazione di questo
nuovo stile di vita mediante il solo
insegnamento orale sarebbe stata ben
poco efficace e senza vero impatto;
bisognava illustrare, esemplificare, vivere questo nuovo stile di vita. Per questo Cristo, Figlio del Pa-

dre all'interno della Trinit, venuto tra gli uomini per rivelare loro la
condizione di figli assumendo egli
stesso la condizione di figlio. ascoltando, contemplando e vedendo agire Cristo che ci rivelata la nostra
condizione di figli e che apprendiamo di quale amore il Padre ama il
Figlio e gli uomini suoi fratelli adottivi.
5. Centralit assoluta di Cristo Poich Cristo a un tempo il mistero rivelatore e il mistero rivelato, il
mediatore e la pienezza della rivelazione (DV 2 e 4), ne segue che egli
occupa nella fede cristiana una posizione assolutamente unica che distingue il cristianesimo da tutte le religioni, compreso l'ebraismo. Il cristianesimo l'unica religione la cui rivelazione si incarna in una persona che
si presenta come la verit viva e assoluta. Altre religioni hanno fondatori, ma nessuno di questi (Buddha,
Confucio, Zoroastro, Maometto) si
proposto come oggetto della fede
dei suoi discepoli. Credere in Cristo
significa credere in Dio. Cristo non
un semplice fondatore di religione:
egli contemporaneamente immanente alla storia e suo Trascendente assoluto, non uno fra mille, ma l'Unico, il totalmente Altro.
Se Cristo tra noi come il Verbo
incarnato, i segni che permettono di
identificarlo come tale non gli sono
esterni, come un passaporto o un sigillo diplomatico, ma emanano da
questo centro personale di irradiazione che Cristo stesso. Poich egli
in persona, nel suo essere interiore,
luce e fonte di luce, Ges pone gesti,
proclama un messaggio, introduce nel
mondo una qualit di vita e di amore mai viste, mai immaginate, mai
vissute e fa sorgere il problema della
sua reale identit. Infatti le opere, il
messaggio e il comportamento di Ges sono di un ordine diverso; manifestano nel nostro mondo la presenza del totalmente Altro. Colui che
vicino e in realt il Trascendente, uno

tra miliardi, eppure l'Unico; il predicatore itinerante e l'Onnipotente; il


condannato a morte e il tre volte Santo. Questa presenza simultanea mette in allerta e ci interpella. Vi sono in
lui i segni della debolezza, ma anche
segni di gloria sufficienti per aiutarci
a penetrare fino al mistero della sua
reale identit. Ges in s il segno
che va decifrato, e tutti i segni particolari portano a lui come un fascio
convergente. Questo mistero del discernimento dell'epifania del Figlio
tra gli uomini, con la mediazione dei
segni della sua gloria, un altro tratto distintivo e nello stesso tempo
scandaloso della rivelazione cristiana.
6. Principio dell'.economia - Uno
dei principali meriti della DV stato
quello di presentare la rivelazione cristiana non come mistero isolato, ma
(secondo la tradizione patristica) come una vasta economia, un disegno infinitamente sapiente che Dio
scopre e realizza seguendo vie da lui
previste. Iniziativa del Padre, questa
economia raggiunge la storia e il suo
culmine in Ges Cristo, pienezza della
rivelazione; poi si perpetua sotto l'azione dello Spirito Santo nella comunit ecclesiale mediante la tradizione
e la Scrittura, nell'attesa della consumazione escatologica. Tutti gli elementi di questa economia si sostengono e si chiariscono reciprocamente; si organizzano in una sintesi di
cui Cristo e lo Spirito sono il principio di unificazione e di irradiazione.
Illustriamo brevemente quest'altro
tratto della rivelazione cristiana.
In questa economia l'AT esercita
una triplice funzione di preparazione, di profezia e di prefigurazione,
dal momento che il Verbo di Dio, assumendo la carne e il tempo, qualifica tutto il tempo dell'economia della
salvezza. Tutto ci che anteriore alla sua venuta preparazione: preparazione di una famiglia secondo la
carne, preparazione di un ambiente
sociale, preparazione di un linguaggio come mezzo di espressione, pre-

parazione delle istituzioni (alleanza,


legge, tempio, sacrifici, ecc.) e dei
grandi eventi (esodo, conquista, monarchia, esilio, restaurazione) che hanno fatto della comparsa di Cristo una
rivelazione situata, in contesto.
In secondo luogo, l'AT come totalit una profezia dell'evento di Cristo, cio un abbozzo dell'evento escatologico che si costituisce nel corso
dei secoli e che suscita l'attesa e il
desiderio dell'evento stesso, imprevedibile e inaudito nella sua concreta
determinazione. Solo quando l'evento sia dato, la profezia acquisisce tutto il suo senso e il suo peso. Infine,
l'AT esercita una funzione di prefigurazione o di rappresentazione simbolica dell'schaton: rappresentazione
nella quale il fatto antico (avvenimenti, istituzioni, personaggi), conserva
tutta la sua consistenza di fatto storico, ma nello stesso tempo si trova ampliato, superato, trasceso dalla presenza di Cristo tra noi, l'Emanuele.
Infatti quando il Figlio presente
tra noi ci data tutta la novit. L'evento colma e supera l'attesa.
E tuttavia sebbene sia certo che l'AT,
compreso alla luce del vangelo, acquisisce un senso nuovo, esso a sua volta,
conferisce al NT una densit e uno
spessore temporale quale non potrebbe
avere da solo. Non si potrebbe comprendere il NT senza il discorso, sempre presente in trasparenza, dell'AT.
Senza la chiave ermeneutica dell'AT,
alcuni passaggi del NT, come la cena pasquale, il calice del sangue dell'alleanza nuova ed eterna, resterebbero ancora nella penombra. Camminando insieme ai discepoli di Emmaus, Cristo ha inaugurato un'era
nuova dell'esegesi: egli in persona
l'esegeta dell'AT di cui l'esito e il
compimento.
Con Cristo la rivelazione fondatrice raggiunge il suo apogeo e il suo
carattere definitivo. Essa tuttavia deve trasmettersi e perpetuarsi attraverso i secoli, tanto presente e attuale
come il primo giorno. Con il tempo

della chiesa la rivelazione entra nella


sua fase di espansione, di sviluppo spazio-temporale. Sotto il suo
aspetto di economia, questa nuova fase di assimilazione e di inculturazione della rivelazione altrettanto ricca di saggezza quanto la fase
costituente.
Cos come, infatti, la pienezza della rivelazione in Ges Cristo stata
preparata dall'elezione di un popolo, con una sua lunga, paziente e progressiva formazione, con una preparazione del linguaggio e delle categorie atte a esprimere il vangelo, nello
stesso modo la trasmissione della rivelazione non stata consegnata al
caso fortuito della storia e dell'interpretazione individuale. Bisogna gi
notare che la pienezza della rivelazione non ci stata data per il tramite
relativamente ordinario di un profeta, ma per il mezzo straordinario del
Verbo incarnato. Nello stesso modo,
la rivelazione protetta da un insieme di carismi (- Carisma) che sono
opera dello Spirito: carisma dell'origine apostolica della tradizione, carisma dell'ispirazione della Scrittura,
carisma dell'infallibilit conferito al
magistero della chiesa. Questi carismi
non solo sono al servizio della rivelazione per assicurarne la fedele trasmissione, ma sono essi stessi legati
tra loro e in reciproco servizio (DV
cap. II).
Indubbiamente una simile economia qualcosa di inaudito, di unico nella storia; ma Cristo e il cristianesimo non sono altrettanto unici?
Sebbene dunque sia vero che una rivelazione non pu, come sembra,
sfuggire alle vicissitudini del divenire
storico, non bisogna tuttavia mai perdere di vista la singolarit della rivelazione cristiana e la specificit della
sua economia: la sua preparazione (elezione), il suo progresso (profetismo), la comunicazione definitiva (Cristo, Verbo incarnato), la trasmissione (tradizione e Scrittura ispirata), la sua conservazione e interpre-

tazione (chiesa e carisma di infallibilit). In definitiva, proprio come Cristo presiede alla fase costituente della rivelazione, lo Spirito di Cristo
presiede alla fase di espansione attraverso i secoli. Questa economia, tanto singolare quanto specifica, impedisce di assimilare la rivelazione cristiana a qualunque gnosi umana e alle
altre religioni che si dicono ugualmente rivelate.
7. Unicit e gratuit - Se la rivelazione si presenta come un intervento
dell'azione di Dio nella storia umana, culminante nell'incarnazione del
Figlio, facile comprendere il suo carattere di gratuit e di unicit.
La rivelazione infatti non si presenta
in una forma di conoscenza da scoprire, comunicata da un essere pi intelligente, ma come novit assoluta.
Il suo punto di partenza un'iniziativa del Dio vivente, il cui atto creatore del cosmo non ne esaurisce l'infinita libert. Questa volta si tratta
di un evento creatore, di una creazione nuova, di un uomo nuovo, di
una nuova vocazione e di un nuovo
stile di vita. Si tratta di un nuovo statuto dell'umanit che fa dell'uomo un
figlio di Dio e dell'umanit il corpo
di Cristo. Una simile iniziativa sfugge a ogni esigenza e costrizione da
parte dell'uomo.
Se ammettiamo che la
storia
un elemento costitutivo dell'uomo in
quanto spirito incarnato, ne consegue che la storia il luogo di un'eventuale manifestazione di Dio e che
l'uomo deve interrogare la storia per
scoprirvi il tempo e il luogo in cui
la salvezza ha forse toccato l'umanit. Ma che Dio effettivamente esca
dal suo mistero per invitare l'uomo
a condividere la sua vita e che intervenga nel campo della storia umana,
qui piuttosto che altrove, ora e non
poi, questo deriva dal mistero della
sua libert.
Questo gi uno dei tratti pi vigorosamente sottolineati dalla rivelazione vetero-testamentaria. Non

l'uomo che scopre Dio; Jhwh che


si manifesta quando vuole, a chi vuole e come vuole. Jhwh libert assoluta. Per primo egli ha scelto, promesso e stretto alleanza. E la sua parola contraddice le vie umane e carnali di Israele, fa risplendere ancor
pi la libert e la continuit del suo
disegno. Questa libert si manifesta
anche nella verit e nella molteplicit dei mezzi scelti da lui per rivelarsi. Ma soprattutto esplode nell'intervento decisivo dell'incarnazione. Appartiene al mistero insondabile dell'amore il fatto che Dio abbia deciso
di rivelarsi e di salvare l'uomo assumendo la sua carne e il suo linguaggio e che abbia decretato di prolungare questa economia con un'economia omogenea di segni. La rivelazione altrettanto gratuita e soprannaturale dell'incarnazione e della redenzione: tutte appartengono al mistero
dell'elevazione gratuita della natura
umana.
Infine, l'iniziativa di Dio di rivelare all'uomo le dimensioni dell'amore
divino (cui invita a partecipare) con
l'economia della croce, non pu che
apparire agli occhi dell'uomo come
follia e delirio. E tuttavia gettandosi nel pi profondo e incredibile
abisso di questa morte in croce, che
l'amore di Dio si rivela in Ges Cristo come amore del totalmente Altro. In nessun caso pi di qui appare
l'assoluta libert e gratuit della rivelazione.
Epifania di Dio in Ges Cristo, la
rivelazione cristiana luce verticale
del mistero di Dio sul mistero dell'uomo. Non l'uomo a rappresentare il parametro di Dio e a dettargli
le forme pi accettabili della sua azione, ma Dio che misura l'uomo e
lo invita all'obbedienza della fede.
Questa la costante prospettiva della Scrittura. Quindi, qualunque concezione della rivelazione che tendesse a ridurre quest'ultima al senso che
l'uomo vuole riconoscerle, nella comprensione di se stesso, sarebbe un per-

vertire uno dei tratti pi nettamente


affermati dall'AT e dal NT. La rivelazione grazia del Dio assolutamente
libero. S. Paolo, quando vuole parlarne, non riesce a far altro che balbettare e renderle gloria (Eb 1). Solo
rinunciando alle proprie prospettive
e lasciandosi condurre dallo Spirito
che sussurra in lui, l'uomo pu cogliere qualcosa di questo mistero di
grazia e di libert.
A questo carattere di gratuit e di
libert possiamo collegare quello dell' unicit. Infatti se Cristo la parola
di Dio fatta carne, il figlio del Padre
presente tra noi, colui in cui si esprime e si esaurisce l'amore di Dio per
l'umanit, dobbiamo concluderne, insieme al Vaticano I e al Vaticano II,
che l'economia apportata in lui e da
lui non pu essere considerata come
un semplice episodio della storia della rivelazione (DV 4). La rivelazione
del Cristo elimina la possibilit di un
terzo testamento. Siamo entrati negli
ultimi tempi. In Ges Cristo Dio ci
ha detto la sua unica parola e ci ha
dato il suo unico Figlio. Tutto ci
che Dio voleva esprimere all'uomo
circa il mistero di Dio e dell'uomo
stato detto e consumato nella parola totale e definitiva del Verbo di
Dio.
8. Carattere dialogico - Per designare questo rapporto unico che la rivelazione stabilisce tra Dio e l'uomo
con la mediazione degli eventi e la
loro interpretazione, il Vaticano II,
seguendo la Scrittura e tutta la tradizione patristica e teologica, mantiene l'analogia della parola: Dio ha
parlato all'umanit. Parola, dialogo,
rapporto d'amicizia con gli uomini,
sono tutte forme che l'analogia della
parola include e sono mezzi di comunicazione attestati dalla Scrittura.
Ma quale profondit rivela questa
analogia quando, applicata a Dio e
purificata da tutte le imperfezioni,
serve a descrivere questo incontro
inaudito del Dio vivente con la sua
creatura per mezzo di Mos e dei pro-

feti e poi nella carne, nel volto e nella voce di Cristo, parola interiore del
Padre fatta carne per chiamare tutti
gli uomini e invitarli alla comunione con lui! Parola articolata divenuta vangelo, parola data, elargita,
immolata fino al silenzio della croce
in cui viene detta la suprema parola
con le braccia stese e il cuore trafitto: Dio amore. Questa struttura dialogica caratterizza tutta la rivelazione dell'AT e del NT.
Ma parlare di
analogia significa
anche parlare di dissimilitudine, altrettanto e pi che di similitudine. Da
una parte vero che la rivelazione,
come la fede, si apre al mistero di
una persona e non di qualcosa: di un
10 che si rivolge a un tu; di un io
che, scoprendo il mistero della sua
vita, fa scoprire all'uomo che tutto
11 senso dell'esistenza umana risiede
nell'incontro di questo io e nell'accoglienza amorosa del dono che egli
fa di se stesso. anche vero che il
vangelo non semplicemente incontro ineffabile del Dio vivente, senza volto e contenuto, ma annuncio
della salvezza in Ges Cristo. Con
questo duplice aspetto di messaggio
e di interpellanza, all'interno di uno
svelamento personale di Dio per una
comunione di vita, la parola di Dio
evidentemente evoca ci che gli uomini definiscono parola, cio quella
forma superiore di scambio con la
quale una persona si esprime e si rivolge a un'altra per comunicare.
Ma d'altra parte, che abisso c' tra
questa parola d'uomo e la parola della rivelazione! Colui che in Ges Cristo si rivolge all'uomo non un semplice profeta, ma il Trascendente che
si fa vicino, l'intangibile che si rende
palpabile, l'eterno che invade il tempo, il tre volte Santo che si rivolge
con amicizia alla sua creatura diventata, a causa del peccato, infelice e
ribelle. Questo peccatore, Dio lo incontra al suo livello, come uomo tra
gli uomini, e si rivolge a lui con gesti
e parole che l'uomo pu cogliere. Cri-

sto inizia questo peccatore a ci che


vi di pi intimo in lui, cio al mistero della sua intimit con il Padre
e con lo Spirito. Tutto il vangelo infatti si presenta come una confidenza d'amore (Gv 13,1). Questa confidenza cercata da Dio fino d? estremo dell'amore. Quando Cristo ha
esaurito tutte le risorse della parola,
del gesto e del comportamento, porta la sua testimonianza fino al compimento del
martirio, testimonianza suprema. Tutto ci che vi di ineffabile nell'amore del Padre per gli uomini si esprime allora nel dono del
Figlio. All'uomo non resta altro che
guardare e comprendere. Giovanni
che ha visto le braccia stese sulla croce, che ha visto colare acqua e sangue, che ha visto il cuore trafitto dalla lancia, testimonia che Dio amore. In Ges Cristo l'amore si esprime
e si dona nello stesso tempo.
L'uomo peccatore non potrebbe
aprirsi a questo abisso dell'amore senza un'azione interiore che rigenera
l'uomo dal di dentro e che gli permette di accogliere il totalmente Altro (Gv 6,44: 2 Cor 4,4-6; At 16,14).
L'uomo non pu rispondere alla rivelazione e assimilarla nella fede, se
non gli viene dato un nuovo principio di conoscenza e di amore. Messaggio del vangelo e azione interiore
dello Spirito costituiscono dunque le
due facce, le due dimensioni dell'unica rivelazione cristiana: due dimensioni complementari che talvolta le
circostanze storiche separano, ma che
sono destinate a incontrarsi e a vivificarsi reciprocamente nell'economia
della salvezza. Senza il messaggio, infatti, l'uomo non potrebbe sapere che
la salvezza viene a lui e conoscere ci
che Dio realizza nel profondo dell'uomo in Cristo e con il suo Spirito; e,
d'altra parte, senza la parola interiore a lui personalmente rivolta, l'uomo non potrebbe abbandonarsi al
Dio invisibile e fondare su di lui tutta la sua vita. Infatti, un abisso separa sempre Dio e l'uomo. L'uomo

ha bisogno di sicurezza che trova in


ci che vede e tocca, nella comprensione dell'universo in cui abita e nel
soggiogarne le forze.
Ora, con la rivelazione l'uomo invitato a fondare la propria vita non
sulla sicurezza che gli procurano i
sensi, ma sulla parola del Dio invisibile. Senza l'azione interiore dello
Spirito l'uomo non sarebbe in grado
di convertirsi; di rinunciare ad appoggiarsi a ci che vede per abbandonarsi, sulla parola, a ci che non
vede. Quindi la rivelazione oggettivamente data in Ges Cristo come
realt, ma assimilata dall'uomo solo grazie allo Spirito. La rivelazione
cristiana contemporaneamente automanifestazione e autodonazione di
Dio in Ges Cristo sotto l'azione interiorizzante dello Spirito.
La rivelazione cristiana come parola di Dio, per la sua struttura dialogica che la rende simile alla parola
degli uomini e nello stesso tempo la
distingue, costituisce una realt assolutamente originale e specifica.
9. Rivelazione di Dio, rivelazione
dell'uomo - L'uomo enigma e mistero a se stesso. Infatti ci che vi di
pi profondo in lui, ci che costituisce l'orizzonte primo in cui si staglia
tutto il suo essere e il suo divenire
lo stesso mistero di Dio che si china
verso l'uomo, che lo copre del suo
amore e lo invita a un'intimit di vita
con le persone divine. In realt, dice la Gaudium et Spes, solamente nel
mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Cristo,
che il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo
amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. (GS 22). Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, si
fa lui pure pi uomo (GS 41).
Secondo Bultmann, la rivelazione
non fa che rendere noto il senso della nostra esistenza di peccatori salvati dalla fede. Parlare di rivelazione
significa parlare dell'uomo nel suo

rapporto con Dio: prima di tutto


un discorso sull'uomo. esatto che
la rivelazione ci fa scoprire il senso
della condizione umana, ma bisogna
subito aggiungere che ci avviene prima di tutto rivelandoci il mistero di
Dio e della sua vita trinitaria. Cristo
la Luce che illumina ogni uomo,
e non con una illuminazione che gli
sarebbe estranea, ma con l'atto stesso con cui ci svela il mistero dell'unione del Figlio con il Padre nello
Spirito. Infatti Dio pu cos rivelare
il segreto della sua vita intima, solo
se per una comunione e una condivisione di vita.
Senza essere prima di tutto antropologia, la rivelazione ha una destinazione antropologica nella misura in
cui luce sgorgata dal mistero divino proiettata sul mistero dell'uomo.
La grandezza dell'uomo quella di
essere chiamato a conoscere Dio e a
condividere la sua vita. Per discernere la specificit della rivelazione cristiana nel suo rapporto con l'uomo
bisogna dunque partire dalla fonte di
luce, cio Cristo, e non dalle tenebre
che vanno rischiarate.
In questo caos e queste tenebre, il
Cristo appare come mediatore di senso: colui in cui l'uomo giunge a situarsi, a decifrarsi, a comprendersi,
a realizzarsi, e anche a superarsi.
Quando l'uomo ascolta il Cristo, apprende qualcosa della ragione per cui
si sente isolato, disorientato, ansioso, disperato. Un cammino di luce
si apre di fronte a lui e illumina la
vita, la sofferenza, la morte. Il messaggio del Cristo misterioso, ma
fonte di senso sempre zampillante.
L'essenziale di questo messaggio
che l'uomo, se lasciato a se stesso,
solo odio e peccato, egoismo e morte, ma che, per grazia, l'amore assoluto si introdotto nel cuore dell'uomo per conferirgli, se vi consente, la
sua vita e il suo amore. Cristo colui nel quale e per mezzo del quale
ci fatto questo dono. Figlio del Padre all'interno della Trinit, Dio nel-

la carne tra gli uomini, egli fa di noi


i figli del Padre che hanno in s lo
Spirito del Padre e del Figlio, che
Spirito d'amore e che raduna tutti gli
uomini in questo amore. ancora in
Cristo che il mistero degli altri affiora nella sua verit profonda. Gli
altri sono Cristo, chiamata del Padre all'amore per tutti gli uomini.
Gli altri sono il Figlio dell'uomo,
servo sofferente che ha fame e sete,
che nudo, malato, abbandonato,
ma destinato alla gloria del Figlio
prediletto. In Cristo non vi pi
straniero, ma vi sono figli dello
stesso Padre e fratelli dello stesso Cristo. Non vi altro che l'amore del
Padre e del Figlio e l'amore degli uomini tutti uniti dallo stesso Spirito.
La libert a sua volta consenso all'amore che invade l'uomo, apertura
all'amicizia divina che invita alla condivisione della sua vita. La morte
stessa non tanto una rottura quanto un compimento e una maturazione, un passaggio del figlio alla casa
del Padre, l'incontro definitivo dell'Amore accolto nella fede. In ci sta
la salvezza.
La presenza del Cristo nel mondo
appare quindi come pienezza d'amore. Questo il suo senso e il senso
che conferisce alla condizione umana. Se Dio Amore (1 Gv 4,8-10),
l'amore di Dio, in Cristo, non mai
stato pi simile a quell'Amore; mai
l'ha evocato in modo pi sconvolgente. In un mondo di interesse e di egoismo, Cristo appare come l'amore puro e senza macchia, ardente e fedele,
donato, consegnato fino al sacrificio
della vita per la salvezza di tutti: dilexit, tradidit se ipsum. In Cristo gli
uomini scoprono l'esistenza di un
Amore assoluto che ama l'uomo per
se stesso e in se stesso, senza ombra
di repulsione, e scoprono la possibilit di un dialogo e di una comunione con questo Amore. Hanno immediatamente la rivelazione che il vero
senso dell'uomo quello di entrare
liberamente nella corrente della vita

trinitaria; entrarvi liberamente come una persona, senza dissolversi o


perdersi nell'Assoluto. Il senso ultimo dell'uomo rispondere al dono
di Dio, accogliere questa incomprensibile e sconvolgente amicizia, rispondere a questa offerta di alleanza tra
l'infinito e la nostra miseria. Nell'ottica cristiana l'uomo realizza davvero
se stesso solo nell'attesa e nell'accoglienza del dono di Dio, dell'Amore.
10. Tensione presente-passato - Il
messaggio della fede stato definitivamente costituito dalla deposizione
dei testimoni e dei confidenti di Cristo, gli apostoli. E tuttavia, se non
vuole diventare parola senza risonanza, questo messaggio deve restare vivo come nel giorno della sua proclamazione. L'uomo del secolo XX deve sentirsi raggiunto dalla parola di
Cristo in modo altrettanto vivo quanto il giudeo, il greco o il romano del
primo secolo; infatti il progetto del
vangelo di suscitare nell'umanit un
dialogo che finir solo con la storia.
Parola rivolta a un ambiente determinato e in un momento preciso del
tempo, deve tuttavia incontrare gli
uomini di tutti i tempi nella loro situazione storica, ogni volta unica, e
deve rispondere alle loro domande,
alle loro inquietudini per avviarli a
Dio. La chiesa trasmette il messaggio, ma nello stesso tempo deve anche riesprimerlo in funzione della cultura, del linguaggio e delle esigenze
di ogni generazione.
Ne deriva dunque una tensione inevitabile tra il presente e il passato.
Da una parte, infatti, la chiesa non
deve legarsi alla lettera del passato
al punto da cadere in una sorta di
primivitismo o di romanticismo delle
fonti. E dall'altra, non deve nemmeno, con il pretesto di rispondere alle
aspirazioni del mondo contemporaneo, sacrificare Cristo e il suo messaggio, come fa Bultmann o il protestantesimo liberale dell'ultimo secolo.
In questo lavoro di interpretazione

e di attualizzazione indefinita del


messaggio, la chiesa costantemente
esposta a questo duplice pericolo:
mancare del necessario adattamento
in nome della fedelt al passato o
compromettere il messaggio stesso
con il pretesto di revisionismo spirituale. Essa pu essere vittima del ristagno, dell'immobilismo o delle forme passeggre della moda del tempo. Sicuramente resta inevitabile la
tensione tra il passato, dato e pacificamente posseduto, e l'adattamento
ancora oscuro e incerto al presente
e all'imminente futuro. La chiesa
condannata a vivere nella precariet.
I binomi di tradizione e interpretazione (a livello del messaggio), di vangelo e inculturazione (nella presentazione del messaggio), di tradizione e
sviluppo (a livello dell'intelligenza e
della formulazione) esprimono ognuno a suo modo questa singolare condizione della rivelazione cristiana.
Di fatto la chiesa manifesta nella
predicazione la volont di non lasciar
cadere niente del messaggio ricevuto, di non alterarlo e di non introdurvi alcuna novit, ma di conservarlo intatto e di proporlo secondo il suo
vero senso. D'altra parte riconosce di
avere l'obbligo di comprendere il vangelo con una freschezza sempre nuova per attingervi risposte inedite a
problemi inditi. Essa deve predicare
il vangelo come buona notizia per
l'oggi. Deve, come dichiara > l'Ecclesiam Suam, inserire il messaggio
cristiano nella circolazione di pensiero, di espressione, di cultura, di usanze, di tendenze dell'umanit, cos come vive e si agita oggi sulla faccia
della terra (AAS 1964, 640-641). Dal
canto suo la Gaudium et Sps riconosce che la chiesa attraversa una
nuova era della storia e che deve in
ogni momento scrutare i segni dei
tempi e interpretarli alla luce del vangelo per rispondere agli interrogativi degli uomini di ogni generazione
(GS 4). E aggiunge: La ricerca teologica non trascuri il contatto con il

proprio tempo. Essa aiuter cos i


pastori che potranno presentare ai
nostri contemporanei la dottrina della chiesa intorno a Dio, all'uomo e
al mondo in maniera pi adatta, cos
che quella parola sia da loro accettata ancor pi volentieri (GS 62). Questo lavoro di attualizzazione e di presentazione della parola di Dio si articola con una tradizione iniziata alle
origini della chiesa e mai interrotta.
Cos il Vaticano II ha confrontato il
vangelo su molti punti con i problemi che le epoche precedenti non potevano nemmeno porsi, poich sorti
in un contesto differente.
Questa fedelt al passato senza esserne schiavi e questa fedelt nell'attualizzazione, costituisce a un tempo
un paradosso e un tratto specifico
della rivelazione cristiana. Per apprezzare la gravit di questa tensione basti pensare alle difficolt di molte comunit protestanti: alcune ferocemente attaccate alla lettera del vangelo
ma senza vera creativit (comunit
protestanti di tipo fondamentalista);
altre, al contrario, troppo preoccupate dell'uomo contemporaneo e della sua filosofia, pronte a sacrificargli
punti essenziali del messaggio. La
chiesa vuole essere custode di un passato che non un museo, ma fonte
sempre zampillante e vivificante. Essa poggia sul passato per comprendere il presente; resta fedele alla rivelazione senza edulcorarla; fedele a
Cristo senza svuotarlo di senso e, d'altra parte, non cessa di ripetere: oggi
Cristo presente e vivo.
11. Tensione storia-escatologia - Cos come esiste una tensione tra passato e presente, esiste anche una tensione tra rivelazione della storia e rivelazione della parusia. L'interesse di
molti teologi contemporanei si dirige
volentieri su questo atto finale della
rivelazione, al punto talvolta da falsare il difficile equilibrio tra i due termini di questa nuova tensione.
N n n c'. a l c u n H n h h i o c h e affli ne-

chi della Scrittura, l'evento decisivo


della rivelazione sia stato dato in Cristo. In lui la salvezza resa nota e
compiuta, l'avvenire iniziato. Dire
infatti che la rivelazione culmina e si
compie in Ges Cristo significa dire
che, poich Cristo Dio-tra-noi come parola del Padre, il dialogo di Dio
giunto al culmine; in questo dialogo infatti Dio non ha voluto comunicare all'uomo una certa quantit di
verit, ma comunicare se stesso con
la sua Parola. Lo scopo della rivelazione dunque raggiunto quando, attraverso la Parola, l'Amore appare
e quando, in questa Parola, Dio e
l'uomo si incontrano e comunicano.
Ora, in Ges Cristo, Dio si storicamente dato e comunicato interamente. Dunque la rivelazione, storicamente data in Ges Cristo, la rivelazione decisiva, quella che nutre la nostra fede, la speranza e la carit.
Ci che caratterizza la rivelazione
storica la categoria dell'ora (nunc)
e dell 'oggi (hodie). Con la presenza
di Cristo il tempo compiuto
(Me 1,15), la pienezza dei tempi
giunta (Gal 4,4). Paolo, che desidera
con forza la manifestazione finale di
Cristo, non cessa tuttavia di ripetere: ora il mistero, un tempo nascosto, rivelato (Rm 16,25); ora
la giustizia di Dio si manifesta (Rm
3,21); ora si compie la predicazione del vangelo per rendere ciascuno
perfetto in Cristo (Col 1,25-28). La
rivelazione del NT si presenta anche,
sopratutto in Giovanni, come l'ecco
(ecce) di una persona, cio di Cristo,
con la salvezza che egli porta e manifesta. A questo ecco corrisponde
l'Io sono di Cristo. In lui la rivelazione divenuta una persona presente in mezzo a noi.
Questo carattere decisivo della rivelazione storica non esclude comunque la speranza e l'attesa del Cristo
glorioso. Il compimento include anch'esso un gi e un non ancora. S.
Paolo, che predica con tanto zelo la
rivelazione portata da Cristo, desidera

nello stesso modo la rivelazione escatologica (1 Cor 1,7; 2 Ts 1,7). Avendo beneficiato, nel momento della
sua conversione, di un'apocalisse
del figlio di Dio, attende la piena manifestazione della gloria del suo Signore e della gloria di tutti coloro che
si sono configurati in Cristo (Rm 8,
17-19). Infatti ci che sarebbe non
stato ancora rivelato (1 Gv 3,2).
Infine la chiesa annuncia sempre che
il Signore viene, che deve venire. Attende il ritorno dello Sposo e la manifestazione gloriosa di ci che gi
esiste sotto il velo della fede.
Dobbiamo tuttavia sottolineare che
esiste una differenza essenziale tra la
prima e l'ultima attesa di Cristo, tra
la rivelazione della storia e quella della parusia. Nell'AT la promessa trova il suo compimento in un futuro
che non si ancora verificato. Con
il Cristo, al contrario, ci che vi
di decisivo, rispetto sia al passato che
al futuro, accaduto. Con Cristo
l'avvenire gi dato e iniziato. In
Cristo, vita eterna tra noi, la storia
conosce una soglia, uno stadio inatteso. La rivelazione non definisce
semplicemente Dio e l'uomo come
non-mondo, ma annuncia che Dio
nel mondo, affinch gli uomini vivano nel mondo, ma orientati a Dio
in un qui che gi la vita eterna, che
inaugura, nel tempo, la vita al di fuori dei limiti del tempo, ma passando,
come il Cristo, attraverso la morte
temporale e la risurrezione alla vita
eterna. Il cristiano ha il proprio futuro dietro di s, poich con il battesimo passato dalla morte alla vita.
Se la speranza e l'attesa del Signore
cos viva in S. Paolo e nella chiesa
proprio perch l'evento decisivo
sopraggiunto e garantisce ci che verr. Se speriamo nel ritorno di Cristo
perch egli gi venuto. Non la
parusia che illumina il NT, ma piuttosto l'evento-Cristo che, con tutto
ci che include, illumina il futuro. Il
futuro certo, poich l'evento-Cristo
ha illuminato, irradiato il prima e il

dopo, fino a quel momento ancora


nelle tenebre. E l'epifania nella storia che garantisce l'apocalisse; ed
essa che rilancia costantemente la
chiesa sulla strada della conversione,
del ringiovanimento e della santit,
per essere degna di incontrare il suo
Signore. Ogni futuro, quello di Cristo, come quello dei cristiani, sar il
futuro di questo ora. Ogni avvenire
l'avvenire della rivelazione compiuta
in Ges Cristo.
Ci sembra quindi eccessivo presentare la rivelazione come se non fosse
altro che promessa, attesa, escatologia, apocalisse. A questo proposito
la teologia di J. Moltmann ci sembra
troppo influenzata dal pattern della
rivelazione vetero-testamentaria. Non
arriveremo mai certamente a sopprimere la reale tensione esistente tra ci
che successo e ci che accadr. La
rivelazione storica stessa attesta nello stesso modo tanto l'apocalisse finale di Cristo quanto la sua epifania
nella storia. Ridurre o svuotare l'una delle due sarebbe dunque un'infedelt al dato rivelato.
Per il Vaticano II la rivelazione che
corrisponde alla nostra reale condizione di viatores, di pellegrini, quella che ci accessibile e assimilabile
in Cristo: con tutta la sua presenza
e la manifestazione di s egli compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina
(DV 4). Il concilio usa il termine rivelazione per designare prima di tutto la manifestazione storica di Dio
nel Verbo fatto carne. Per designare
la manifestazione di Dio nella creazione, il concilio parla della perenne testimonianza di s nelle cose create (DV 3); e per designare l'evento
finale della parusia, parla di manifestazione gloriosa del Signore nostro
Ges Cristo (DV 4). Rivelazione
un termine riservato alla manifestazione e alla comunicazione storica di
Dio in Ges Cristo. Creazione e parusia sono chiamate anche manifestazione di Dio. Ma solo la manife-

stazione storica di Dio nell'incarnazione del Verbo incarnato, riceve il


nome di rivelazione che resta il termine tecnico consacrato. La fede e
la speranza tendono al ritorno glorioso di Cristo ma, in Cristo, l'avvenire gi ci appartiene. Scopriremo allora con rapito stupore Colui che nella fede gi il compagno di tutti i
nostri giorni.
12. Il Cristo, norma di ogni interpretazione della salvezza - Il punto di
partenza di qualunque considerazione teologica sulla salvezza e sulla rivelazione Cristo. Egli l'unico punto di riferimento e di intelligibilit della storia della salvezza e della storia
della rivelazione. Arche e tlos, egli
colui che d a ogni cosa il suo senso
ultimo e non equivoco. la chiave
d'interpretazione dei tempi che precedono e seguono la sua venuta, come
anche di tutte le forme della salvezza
anteriori, contemporanee e successive
alla sua venuta storica. Prendere quindi la rivelazione eristica come criterio
universale in materia di salvezza e di
rivelazione non segno di disprezzo
o di diffidenza nei confronti delle altre religioni, ma al contrario l'unico mezzo per situarle e valorizzarle.
Procedere nel modo contrario, equivarrebbe a sostituire le tenebre alla luce piena e a chiedere all'inspiegato di
chiarire lo spiegante. quindi a partire da Cristo, considerato come universale concreto che tenteremo di
precisare il rapporto della rivelazione
nel senso tecnico che le viene riconosciuto dal Vaticano II e dalla DV
in poi, con realt che le sono strettamente imparentate e chiamate troppo
spesso abusivamente rivelazione.
Qui come altrove le confusioni terminologiche conducono presto alla confusione sul piano delle realt.
13. Rivelazione e storia della salvezza - La storia della salvezza coestensiva alla storia dell'umanit. Dio
ebbe costante cura del genere umano. ner dare la vita eterna a tutti co-

loro i quali cercano la salvezza con


la perseveranza nella pratica del bene (DV 3). Il concilio non identifica pertanto rivelazione e salvezza.
Ogni fase della storia precedente a
Cristo storia della salvezza
Storia, V) ma non in senso stretto storia della rivelazione; poich essa si
ignora come storia della salvezza. Senza la rivelazione cristiana non possiamo sapere con certezza ci che succede nel cuore della storia profana.
Ripetiamo, la migrazione di Israele
senza l'interpretazione di Mos in nome di Dio non apparterrebbe alla storia della rivelazione, ma si confonderebbe con la moltitudine delle migrazioni della storia universale. La
salvezza presente dovunque ma non
pienamente rivelata se non in Ges Cristo. Cristo infatti, insieme all'AT, l'annuncia e la prepara, d alla storia della salvezza coscienza di
se stessa e della sua specificit rispetto alla storia profana (politica, giuridica, sociale, economica, militare,
culturale). Se cos, non forse meglio, seguendo in questo la tradizione della chiesa, riservare il termine
rivelazione e storia della rivelazione
per designare prima di tutto la rivelazione in Ges Cristo e per mezzo
di Ges Cristo?
14. Rivelazione trascendentale e rivelazione speciale - Allora come designare la grazia della salvezza accordata a tutti gli uomini (che alcuni autori chiamano anche rivelazione trascendentale o universale) e come precisare il suo rapporto con la rivelazione cristiana chiamata, anche in questo contesto, speciale o categoriale?
Cominciamo con il descrivere e
identificare la realt di cui stiamo
trattando. Per rivelazione trascendentale o universale si intende l'autocomunicazione diretta o gratuita
che Dio fa di se stesso a ogni uomo
che viene al mondo (nell'attuale economia). Questa azione elevante di
Dio si inserisce misteriosamente nel di-

namismo cognitivo e volitivo dell'uomo. Sebbene non sia oggetto di coscienza riflessa e discorsiva, essa tuttavia come il primo orizzonte dato insieme con l'esistenza, su cui si inscrive
l'agire umano. Quando l'uomo si abbandona nel profondo della sua coscienza a questa grazia, anche se ne
ignora l'esistenza, il nome e l'autore,
egli opera la propria salvezza. Ma una
cosa riconoscere questa azione interiore della grazia e un'altra qualificarla come rivelazione.
La Scrittura da parte sua attesta che
la rivelazione storica data in Ges
Cristo pu essere accolta solo nel
contesto di una soggettivit toccata
dalla grazia. Essa richiede quest'azione
interiore: un'attrazione (Gv 6,44),
un'illuminazione paragonabile alla luce della creazione del primo mattino (2 Cor 4,4-6), un'unzione di
Dio (2 Cor 1,22), una testimonianza dello Spirito (1 Gv 5,6) e, una
volta soltanto, una rivelazione interiore (Mt 11,25; 16,17). Nel movimento verso il Cristo, che l'accoglienza della rivelazione per mezzo
della fede, vi Qualcuno che opera
per primo. Questa azione interiore
tuttavia mantiene l'incognito: tanto
che in Mt 16,17 si osserva che Cristo
stesso deve rendere nota a Pietro questa azione della grazia in lui.
Questa azione interiore di Dio, che
in modo identico la grazia della salvezza e della fede, come la dimensione interiore della rivelazione cristiana, poich non vi sono due rivelazioni, due vangeli, ma due facce o
dimensioni di un'unica rivelazione, di
un'unica parola di Dio. Ora la grazia interiore la salvezza offerta ma
non identificata. solo con la rivelazione storica, categoriale, che l'azione salvifica di Dio diventa cosciente e nota in categorie umane. solo
per mezzo del vangelo che conosciamo la volont salvifica universale di
Dio e i mezzi di salvezza messi a disposizione di tutti gli uomini. Ora
spetta all'economia della salvezza far

s che il disegno di Dio in Ges Cristo sia riconosciuto, reso noto e portato a conoscenza delle nazioni. Ma
spetta alla natura umana, alla creatura razionale, far s che l'opzione di
fede, che coinvolge tutta la vita, sorga all'interno di una coscienza pienamente illuminata sulla seriet e la
rettitudine di questa opzione.
Dunque la rivelazione raggiunge la
maturit solo quando la storia della
salvezza sa positivamente e con sicurezza di essere voluta da Dio. Ora
solo l'evento-Cristo l'evento pieno
e definitivo che sfugge non solo all'anonimato ma anche a ogni falsa
interpretazione della storia della salvezza e a ogni ambiguit. La rivelazione trascendentale resta fondamentalmente ambigua senza la luce della
rivelazione storica e categoriale. L'orizzonte dell'uomo verso il futuro
apertura su un orizzonte indefinito
che pu ricevere un'interpretazione di
tipo panteista, teista o ateo. Solo la
rivelazione di Dio nella storia pu
dissolvere l'ambiguit di fondo che
circonda la rivelazione trascendentale.
Di conseguenza ci sembra abusivo,
a livello di linguaggio teologico, confondere semplicemente storia della
salvezza, grazia della salvezza e storia della rivelazione, creando cos
l'impressione che la rivelazione sia
prima di tutto la grazia della salvezza dispensata agli uomini di tutti i
tempi; mentre la rivelazione cristiana, storica, categoriale, sarebbe solo
un episodio pi importante, un momento pi intenso della rivelazione
universale, una sorta di rivelazione
settoriale o una filiale della rivelazione trascendentale. La verit che
questa distinzione tra rivelazione universale (grazia della salvezza) e rivelazione speciale (in Ges Cristo) travisa la realt. La rivelazione universale autentica non anonima: quella che si compie in Ges Cristo e che
conferisce all'uomo la grazia della
salvezza prima e dopo di lui. Ci che
speciale non il cristianesimo, che

l'universale concreto, in Ges Cristo, l'universale assoluto. Questo universalismo cristiano include l'AT, che
svolgimento progressivo della rivelazione piena, germinazione della rivelazione totale fino a Ges Cristo.
Rovesciare le prospettive vuol dire
oscurare la luce, prolungare una confusione che non trova alcun sostegno
nella Scrittura e nel magistero, per i
quali la rivelazione si presenta come
un'irruzione storica, inaudita, da parte
di Dio in mezzo a noi. Confondere
questa irruzione puntuale con la grazia salvifica, anonima e universale che
invade l'uomo a sua insaputa, significa aumentare il numero gi troppo
elevato delle ambiguit che ingombrano la teologia. La DV si tiene con cura a distanza da questi equivoci. Se
cerchiamo un termine adatto a discernere l'azione di questa grazia della salvezza, possiamo parlare, seguendo l
Scrittura, di attrazione, di illuminazione, di testimonianza o, come Tommaso, di istinto interiore, parola interiore. Inoltre se vogliamo sottolineare che la rivelazione cristiana a un
tempo vangelo esteriore e grazia interiore, azione congiunta di Cristo e del
suo Spirito, possiamo parlare della dimensione interiore dell'unica rivelazione, dell'unica parola di Dio.
15. Rivelazione e storia delle religioni - Se il Cristo la pienezza della
rivelazione, Dio-tra-noi, ne segue che
egli l'unica interpretazione autentica di tutte le forme della salvezza,
anteriori, contemporanee e successive
alla sua venuta storica. vero che
la grazia della salvezza, in quanto
opera in uno spirito segnato dalla storicit, tende a oggettivarsi nei riti,
nelle pratiche, in un linguaggio. Sotto l'azione di questa grazia gli uomini cercano a tastoni, vagamente presentendo un mistero si salvezza. Le
grandi religioni (per esempio
l'induismo e il > buddhismo), la cui intenzione principale la liberazione
d e l l ' i i f i m n . snrrn t e n t a t i v i Hi i n t e r n r e -

tazione di questa grazia che agisce a


loro insaputa e senza che ne abbiano
una conoscenza riflessa; ma poich
mancano di un criterio di discernimento, l'interpretazione che danno
dell'incognito della salvezza, comporta insieme a elementi validi, ingredienti umani, ambiguit, devianze ed
errori. Le grandi religioni della storia hanno un rapporto positivo con
la rivelazione cristiana, ma la qualit
e l'esattezza del loro contenuto devono essere precisate. Ora, solo Cristo la pienezza della vita religiosa (NA 2). Anche l'AT, preso isolatamente, non d della propria rivelazione un'interpretazione assoluta e
infallibile, poich non conosce ancora la Parola definitiva che dissolve
le sue ambiguit, che illumina le figure e dissipa le ombre. Solo Cristo
rende possibile la perfetta intelligenza dell'AT cosi come di tutte le esperienze religiose dell'umanit.
Unicamente il vangelo di Cristo,
proclamato dalla chiesa, costituisce
un evento che si interpreta da solo
infallibilmente; infatti qui il principio di interpretazione Dio stesso in
Ges Cristo. Ora il Verbo illumina
in modo diverso le diverse religioni
che si presentano come raggi di questa Verit che illumina ogni uomo che
viene al mondo (NA 2). Possiamo
parlare a loro riguardo di illuminazione o di manifestazione che Dio fa
di se stesso attraverso il cosmo, attraverso le vie della conoscenza o altre esperienze, per esprimere cos l'azione del Verbo sull'umanit: niente
sfugge a questa azione che fonte
e norma di ogni verit. Ma la rivelazione cristiana una realt molto specifica da non confondersi con realt
connesse o che presentano elementi
parzialmente simili.
16. Rivelazione ed esperienza - In
questi ultimi tempi la teologia della
rivelazione stata spesso confrontata con il concetto di esperienza, anch'esso molto ambiguo quando lo si

applica alla rivelazione. All'origine di


questo rapporto rivelazione-esperienza
bisogna porre il protestantesimo liberale di F. Schleiermacher e di A.
Sabatier. In reazione a Kant, Schleiermacher (1768-1834) si dedicato a rivalorizzare il sentimento e l'esperienza religiosa. Per lui la rivelazione si
confonde con l'esperienza religiosa e
immanente dell'uomo. Ci che avviene nel credente la ripetizione personale e imperfetta della coscienza di
Dio che Ges aveva in modo perfetto. Per A. Sabatier, come per Schleiermacher da cui dipende, l'essenza del
cristianesimo si trova in un'esperienza religiosa, in una rivelazione interiore di Dio che avviene per la prima
volta nell'anima di Ges di Nazareth,
ma che si verifica e si ripete, in modo indubbiamente meno luminoso ma
non misconoscibile, nell'anima di tutti i suoi veri discepoli (Esquisse d'une philosophie de la religion, Paris
1897, 187-188). La rivelazione un'esperienza religiosa che deve potersi ripetere e continuare come rivelazione attuale ed esperienza individuale nella conoscenza di tutti gli uomini di tutte le generazioni (Ibid.,
58-59). Pi recentemente G. Moran
(in The present Revelation, the Search
of religious Foundations, New York
1972) ha ripreso come sue, consapevolmente o meno, le posizioni di
Schleiermacher e di Sabatier, identificando rivelazione ed esperienza interiore personale. Questa esperienza
personale non sottomessa a nessuna norma. La Scrittura merita rispetto ma la guida suprema l'esperienza. La rivelazione un'esperienza che
si compie tra due persone, da soggetto a soggetto. Dal momento in cui
si privilegia il versante oggettivo del
termine, si ritrova, secondo Moran,
l'idea di rivelazione cristiana, ostacolo insormontabile. La rivelazione
si compie nell'esperienza quotidiana.
In queste posizioni sul rapporto
rivelazione-esperienza appare nuovamente un'ambiguit di fondo. Si di-

mentica che la rivelazione comporta


sempre un duplice dono: Dio si manifesta e si dona, ma vi anche ci
grazie a cui possiamo ricevere questo
dono, cio l'esperienza originale e
fondatrice che l'autocoscienza di
Ges, l'illuminazione del profeta, l'esperienza di Ges vissuta dagli apostoli. D'altra parte, vi l'accoglienza della rivelazione fondatrice per
mezzo della fede nei testimoni che sono all'origine della rivelazione. Nelle
posizioni che abbiamo appena descritto si confonde la fede nei testimoni
con l'esperienza della rivelazione fondatrice. Prima di essere esperienza
della parola di Dio, sempre attuale
nella nostra coscienza e nella vita di
oggi, la rivelazione stata, nel suo
sorgere originale, esperienza di questa Parola nella coscienza di Ges,
dei profeti e degli apostoli. La nostra esperienza vissuta interiormente sotto il regime della fede: la fede
e la mediazione dell'esperienza dei testimoni della rivelazione costituente.
La rivelazione cristiana non solo
passaggio da un'esperienza comune
a un'esperienza pi intensa, ma un
salto di qualit, una novit assoluta
realizzata dalla presenza personale di
Dio tra noi nel Figlio. La categoria
di esperienza non basta a spiegare la
rivelazione: bisogna aggiungervi la
mediazione storica di Cristo, dei profeti, degli apostoli e la mediazione
della fede in questi testimoni autorizzati. Non si pu confondere e assimilare questi due tipi di esperienza.
Una giusta concezione della rivelazione cristiana evita entrambi gli estremi: un immanentismo che elimina
praticamente la rivelazione in Cristo;
un estrinsecismo che ne farebbe l'oggetto di un puro consenso dello spirito a verit che gli sono inaccessibili.
Se possiamo parlare propriamente
di esperienza vissuta e cosciente prima di tutto a livello della rivelazione
fondatrice. Quindi l'autocoscienza di
Ges come Figlio del Padre la rivelazione alla fonte. La profondit di

questa autocoscienza ci sfugge. Vi


in Ges un sancta sanctorum, un
santuario, poich ha origne dalla vita trinitaria stessa esprimendosi nella
umanit di Ges e attraverso di essa.
Questa autocoscienza ci tuttavia
accessibile nei segni e nelle irradiazioni che ce ne danno i vangeli attraverso termini come -> Abba, che indica un'intimit unica ed esclusiva
con il Padre, nelle parabole sul rapporto Padre-Figlio come quella dei vignaioli omicidi o nel lghion di
Mt 11,27; Le 10,21-22, che manifesta tra Padre e Figlio una conoscenza reciproca che anche comunione
di vita (- Cristologia). Anche il profeta gode di un'esperienza privilegiata, grazie alla luce che lo invade, che
eleva il suo spirito e gli permette di
discernere ci che sarebbe incapace
di scoprire da solo. Questo l'esplodere della luce che il profeta coglie
senza esplicito ragionamento: Dio
l'autore della luce ricevuta e della verit che scopre. Il profeta non solo
ricettore, come noi, della rivelazione
per mezzo della fede, egli anche
l'organo della rivelazione e fonte della sua crescita. Tuttavia non possiamo comprendere come si articolino
nella coscienza del profeta questi due
piani della rivelazione costituente e
della rivelazione accolta con la fede.
Gli apostoli infine hanno un'esperienza unica e privilegiata di Cristo (1
Gv 1,1-3). Partecipiamo alla loro esperienza del Verbo di vita solo con
la mediazione della loro testimonianza e con la fede in tale testimonianza. L'esperienza che testimoniano
di una ricchezza inesauribile. Nessuno pu rivaleggiare con gli apostoli
nella conoscenza di Cristo. Momento nico della storia della rivelazione, alba della nuova creazione. Di
questa pienezza di esperienza gli apostoli non hanno trasmesso tutto, n
lo potevano fare. La loro predicazione e anche il loro stile di vita non
potevano esaurire la parte ineffabile
di questa esperienza personale, uni-

ca. A noi proposto di credere nella


testimonianza apostolica, cio nella
deposizione di coloro che hanno visto e sentito e che attestano ci che
hanno visto e sentito. La fede nella
testimonianza di Cristo e degli apostoli non tuttavia semplice consenso dello Spirito, ma il frutto congiunto della predicazione e della grazia interiore. Questa grazia tuttavia
non ,, nell'economia abituale, oggetto di una esperienza cosciente e riflessa e non pu definirsi rivelazione in senso stretto.
17. Rivelazione e luce della fede Seguendo la Scrittura, la tradizione
patristica e la riflessione teologica
hanno sempre sottolineato come la rivelazione raggiunga la soggettivit
dell'uomo, la elevi, la trasformi affinch l'uomo percepisca il messaggio del vangelo come Parola viva a
lui personalmente rivolta. Non cessa
mai di far notare l'azione congiunta
della parola esteriore e della parola
interiore. Questa grazia interiore che
fa eco alla parola esteriore e la rende
solubile nell'anima, pu dunque ricevere per questo l'appellativo di rivelazione? La Scrittura, come abbiamo visto, parla di attrazione, di testimonianza, di insegnamento, di illuminazione, di unzione, di apertura del
cuore e talvolta di rivelazione. Tommaso parla di istinto interiore (STh
11-11,2, 9 ad 3) e di parola interiore.
Attrazione interiore e buona notizia del vangelo sono in stretto rapporto, ma questa attrazione non rivelazione in senso stretto: inoltre ne
conosciamo l'esistenza solo dalle fonti
della rivelazione e non da una riflessione psicologica sull'esperienza vissuta della nostra fede. L'attrazione
del Vero e del vero personale sono
a tal punto legate nel dinamismo intellettuale che, al di fuori dei casi di
mistica straordinaria, non possibile
distinguerli con una conoscenza riflessa. L'influenza di questa attrazione
reale e decisiva nell'adesione di fe-

de; infatti concede al credente di aderire al vangelo e al Dio del vangelo.


prima nell'ordine dell'efficienza,
ma non vangelo o parola nuova.
In un discorso teologico rigoroso,
non si potrebbe designarla col nome
di rivelazione; essa spinge a credere,
permette di credere, ma senza perdere l'anonimato: si tratta piuttosto di
ispirazione o illuminazione dello Spirito (DS 3010). Possiamo tuttavia
darle il nome di - testimonianza (in
senso ampio ma non improprio) di
Dio che agisce dal di dentro, con la
garanzia della Verit increata. Questa testimonianza tuttavia resta indistinta.
Precisiamo ora il rapporto che lega
le due realt. Si tratta di due realt
complementari, ordinate l'una all'altra e costituenti come due dimensioni dell'unica parola di Dio, che interpella e invita a credere con il vangelo di Cristo, con la predicazione degli apostoli e della chiesa e, in modo
complementare, con l'inclinazione e
l'attrazione interiore che provoca nell'anima. Vi azione combinata dell'annuncio esterno e dell'attrazione
interiore. L'attrazione, adattandosi
alla testimonianza esterna, la sottende, la sussume, la vivifica e la feconda. Cristo e gli apostoli dichiarano
ci che lo Spirito insinua e fissa nelle anime. L'attrazione interiore data per connaturalizzare l'uomo con
questo mondo nuovo, inconcepibile,
che il regno: essa al servizio del
vangelo. Nell'ordine della rivelazione, la missione dello Spirito completa e compie la missione di Cristo. La
manifestazione di Cristo e del suo disegno di salvezza viene dal vangelo;
l'efficienza (disposizione all'ascolto e
capacit di cogliere) viene dall'attrazione. A motivo di questa dimensione interiore, la rivelazione costituisce
una parola di specie unica. Alla sua
efficacia di parola esterna si aggiunge un'efficacia particolare che raggiunge l'uomo nell'intimo della sua
soggettivit, nel cuore della sua azio-

ne cognitiva e volitiva, per suscitare


la risposta della fede. Questa grazia
che muove, eccita, chiama, previene,
solleva, sebbene sia dell'ordine dell'illuminazione, non pu tuttavia rivendicare per s il titolo di rivelazione.
18. Scandalo e sovrabbondanza Sono tutti questi elementi che abbiamo descritto, quantitativamente e
qualitativamente contrastanti, molteplici e complessi, che compongono il
volto della rivelazione cristiana e ne
costituiscono la specificit. La rivelazione cristiana non dunque senza
volto o rilievo, cos poco distinta dalle altre forme di religione da doversi
accontentare di un vago pan-rivelazionismo. Al contrario, reperibile
nel tempo e riconoscibile nei suoi
tratti ben definiti. Diciamo di pi.
L'insieme dei tratti menzionati fa scoprire, nella rivelazione cristiana, due
caratteri nuovi che risultano dalla
considerazione della loro totalit stessa: sono il carattere di scandalo e di
sovrabbondanza.
a. La rivelazione cristiana infatti si
presenta, agli occhi dei contemporanei in particolare, come qualche cosa di scandaloso, se non di inintelligibile. Questo carattere coinvolge la
rivelazione a tutti i suoi livelli. Prima di tutto scandalo di una rivelazione che viene dalla fragilit e dalla
caducit dell'evento esposto a tutte
le fluttuazioni della storia; scandalo
poi di una rivelazione che viene attraverso la carne e il linguaggio del
Verbo incarnato, figura tenue, punto sperduto nella storia di una cultura, di una nazione che a sua volta
un niente in mezzo alle potenze del
mondo. Scandalo infine di una rivelazione affidata, nel suo espandersi
attraverso i secoli, alle mani di una
chiesa fatta di miserabili peccatori.
La kenosi di Dio nella, storia di Israele, la kenosi del Figlio nella carne di
Cristo, la kenosi dello Spirito nell'infermit degli uomini e della chiesa:
questi successivi annientamenti di

Dio, consumati nella forma scandalosa della rivelazione suprema dell'amore, nella forma visibile e tangibile
di un crocifisso, sconvolgono ogni
concezione umana. In realt non
il genere di singolarit che ci saremmo aspettati dall'assoluto e dal trascendente; e tuttavia vi in questo
rovesciamento stesso delle nostre concezioni umane, in questo scandalo,
un tratto fondamentale della rivelazione di Dio come totalmente Altro.
L'uomo non giunger mai a superare questo scandalo se non eliminer
la propria autosufficienza per aprirsi
all'amore che si offre a lui.
b. Un secondo carattere della rivelazione nella totalit dei suoi elementi
la sovrabbondanza della salvezza
che manifesta: sovrabbondanza dei
mezzi di comunicazione e di espressione; sovrabbondanza delle vie che
annunciano e preparano l'evento culminante dell'incarnazione del Figli;
sovrabbondanza dei carismi che accompagnano e proteggono l'espandersi della rivelazione attraverso le
epoche (tradizione, ispirazione, infallibilit); sovrabbondanza infine dei
doni e dei mezzi di salvezza. Tale sovrabbondanza, che gi il segno di
Dio nell'universo, anche una caratteristica della storia della salvezza.
Ci che sorprende non la salvezza
offerta a tutti gli uomini; piuttosto
la sovrabbondanza della salvezza che
accompagna la rivelazione cristiana.
Questa rappresenta, rispetto alla salvezza universale e alle religioni storiche, un surplus, una sovrabbondanza nei doni della salvezza, che manifesta la prodigalit di Dio nella nuova creazione. Ci che sorprende la
sovrabbondanza dell'amore di Dio
per l'uomo peccatore. Si pu concepire che Dio esca dal suo silenzio e
che dichiari il suo amore; ma che
esprime questo amore fino all'esaurimento dell'espressione, cio fino al
dono di se stesso e fino all'abisso della croce, questa una manifestazion o Ai u n o mrtra rli o aKV\An/4o o cr\_

vrabbonda. Di fronte a questa sovrabbondanza che segnala la rivelazione cristiana all'attenzione di


tutti gli uomini, non vi altra risposta di quella dell'amore: Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore
che Dio ha per noi (1GV4,16).
19. Rivelazione e Trinit - La chiave ermeneutica che spiega la rivelazione si trova in ultima analisi nel mistero dei misteri, la -* Trinit, e in
particolare nella teologia delle missioni trinitarie e dell'appropriazione.
La rivelazione l'opera della Trinit tutta: Padre, Figlio e Spirito. La
fecondit spirituale della Trinit si dispiega seguendo la duplice linea del
pensiero e dell'amore: di qui la dizione del Verbo e la spirazione dello
Spirito. La dizione ad intra si prolunga in una dizione ad extra ed
la rivelazione. La parola di Cristo ha
origine nella comunione di vita del
Padre e del Figlio e per questo parola di Dio. Lo Spirito prolunga la
missione di Cristo, ma non lo fa parlando di se stesso: egli chiarisce la parola del Cristo in comunione di vita
con il Figlio, che anche in comunione con il Padre. La rivelazione non
la verit di una persona, ma la verit delle tre persone. Essa si radica nella comunione di vita delle tre persone
e traduce tale comunione.
Sebbene il Padre, il Figlio e lo Spirito siano un solo e unico principio della rivelazione, ci non vuol dire che
la Trinit come tale non influisca affatto sulla rivelazione. Ogni persona
agisce e secondo modi che rispondono misteriosamente a ci che sono rispettivamente il Padre, il Figlio e lo
Spirito all'interno della Trinit.
Come in ogni cosa, il Padre che
ha l'iniziativa, poich il Figlio riceve
tutto dal Padre, natura e missione.
il Padre che invia il Figlio come
rivelatore del suo disegno d'amore
(1 Gv 4,9-10; Gv 3,16); il Padre che
rende testimonianza al Figlio e alla
sua missione rivelatrice, per mezzo

delle opere che fa compiere al Figlio


(Gv 10,25; 5,36-37; 15,24; 9,41);
ancora il Padre che attira gli uomini
al Figlio con l'attrazione interiore che
produce nei cuori (Gv 6,44).
Poich il Figlio gi all'interno della Trinit la parola eterna del Padre
nella quale il Padre si esprime adeguatamente, ontologicamente qualificato per essere tra gli uomini la
rivelazione suprema del Padre e per
iniziarli alla vita di figli. Cristo il
perfetto rivelatore del Padre e del suo
disegno. Ora il disegno del Padre
di estendere all'umanit la stessa vita della Trinit. Il Padre vuole rigenerare il proprio Figlio in ogni uomo, infondere negli uomini il suo Spirito e associarli nella comunione pi
intima affinch tutti siano uno, come il Padre e il Figlio sono uno in
un unico Spirito d'amore. Se accogliamo la testimonianza che il Padre
rivolge per mezzo del Figlio, il Padre
fa di noi i suoi propri figli (Gv 1,12).
Di conseguenza riceviamo in noi uno
spirito di figli, uno spirito d'amore:
Dio ha mandato nei nostri cuori lo
Spirito del suo Figlio che grida: Abba, Padre (Gal 4,6).
Mentre il Figlio fa conoscere, lo
Spirito ispira. il soffio e il calore del pensiero divino. Egli d potenza ed efficacia alla parola. Cristo
propone la parola di Dio: lo Spirito
la pone e la interiorizza affinch resti in noi. Rende la parola solubile
nell'anima con l'unzione che vi diffonde. Rende effettivo il dono della
rivelazione. cos che lo Spirito attualizza la rivelazione per ogni generazione attraverso i secoli. Lo Spirito risponde agli interrogativi di ogni
epoca con il suggerimento di quel
momento.
cos che il Padre con l'azione congiunta del Verbo e dello Spirito, come fossero le sue due braccia d'amore, si rivela all'umanit e l'attrae a
s. Il movimento d'amore con il quale
il Padre si fa scoprire dagli uomini
in Cristo e la risposta degli uomini

a questo amore con la fede e la carit, appaiono come immersi nel flusso e riflusso d'amore che unisce il Padre e il Figlio nello Spirito. La rivelazione un'azione che coinvolge
contemporaneamente la Trinit e l'umanit, che intreccia un dialogo ininterrotto tra il Padre e i suoi figli acquisiti con il sangue di Cristo. Essa
si sviluppa a un tempo sul piano dell'evento storico e sul piano dell'eternit. Si inaugura con la parola e la
fede e si compie nell'incontro faccia
a faccia della visione.
- Le limitiamo a tre.
1. Nozione di rivelazione - La prima concerne evidentemente la nozione stessa di rivelazione. La rivelazione cristiana l'automanifestazione e
l'autodonazione di Dio in Ges Cristo nella storia, come storia, con la
mediazione della storia, cio con la
mediazione di avvenimenti o gesti interpretati dai testimoni autorizzati da
Dio. Questa manifestazione ha tratti
assolutamente specifici che fanno della rivelazione cristiana una realt unica e senza precedenti: storicit, struttura sacramentale, progetto dialettico a spirale, principio incarnazionale, centralit assoluta di Cristo, Verbo
fatto carne, economia e pedagogia,
dialogo d'amore, rivelazione a un
tempo di Dio e dell'uomo a se stesso, realt sempre in tensione (presente-passato, storia-escatologia). La singolarit di questa rivelazione fa di
Cristo la chiave di interpretazione di
tutte le realt che le sono connesse
o le assomigliano: grazia universale
della salvezza, esperienza delle religioni storiche, illuminazione della fede. Questa singolarit della rivelazione cristiana permette di identificarla
e contemporaneamente di distinguerla
da tutte le religioni che si dicono
ugualmente rivelate.

suoi tratti specifici, del tutto evidente come la sua -< comunicazione differisca da quella di un sistema filosofico, di una scoperta scientifica o di una tecnica artigianale. La
comunicazione della rivelazione dell'ordine della testimonianza. Proprio
come la testimonianza di Cristo stata indissolubilmente un docere e un
facere, anche la comunicazione del
vangelo include nello stesso modo la
prassi di uno stile di vita filiale e la
proclamazione della fede. Di fatto
con la testimonianza congiunta dell'insegnamento e della vita che gli
apostoli hanno trasmesso ci che avevano appreso da Cristo, dal vivere
insieme [con lui] e dalle opere di Cristo (DV 7). A sua volta la chiesa
perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ci che essa e tutto
ci che essa crede (DV 8 e 10). Comunicare la rivelazione significa che
colui che comunica, che proclama
la salvezza, nello stesso tempo il
testimone vivente di una fede che ha
prima di tutto illuminato e trasformato la sua vita. Altrimenti il vangelo rischia di diventare un'ideologia,
un sistema, una gnosi, un'etica.
In regime cristiano la comunicazione partecipa all'elevazione dell'uomo
per mezzo dell'incarnazione e della
grazia. I mass-media sono in qualche
modo gratificati di una nuova dimensione che deriva dalla specificit
della rivelazione cristiana. Infatti: a.
ci che comunicato il vangelo, parola rivelata e ispirata, parola efficace; b. colui che la comunica e invita
alla fede egli stesso testimone vivo
del vangelo che propone; c. l'uditore
della parola un uomo in cui opera
lo Spirito di Cristo. Le tecniche sono
le stesse (radio, TV, cinema, stampa),
ma la realt comunicata, chi la comunica e chi l'ascolta, costituiscono una condizione unica.

2. Implicazioni nell'ambito della


comunicazione - Dopo ci che abbiamo detto sulla rivelazione e sui

3. L'oggi della rivelazione L'oggi della parola della salvezza


proclamata da Cristo resta attuale e

CONCLUSIONI

si rivolge a ogni uomo. Oggi viene


la salvezza; oggi viene il tempo della
conversione. La salvezza non al termine del cammino, ma in ogni
istante della nostra vita: oggi, ora.
Le attuali ingiustizie, la guerra onnipresente, il terrorismo, il genocidio,
dovrebbero contribuire a riattivare in
ognuno il senso dell'oggi della salvezza resa nota dalla rivelazione. L'uomo non meno orrendo di ieri.
L'ingiustiza e l'odio sono un richiamo disperato del Servo sofferente
verso un regno di giustizia e di amore. Come all'epoca dei patriarchi e
dei profeti, Dio dirige la storia.
Quando siamo soffocati, oppressi da
tanta violenza, il silenzio di Dio ci
proietta verso la rivelazione. Gli uomini di oggi assomigliano a quelli dell'AT: attendono la pace, la giustizia,
la verit, la vita, l'amore, la salvezza. Nel segreto del loro cuore cercano un senso per ogni cosa in un mondo apparentemente privo di senso. A
questi smarriti, a questi uomini che
camminano nelle tenebre, Cristo, pienezza della rivelazione risponde: Io
sono la via, la verit, la luce, la vita,
l'amore. A tutti egli dice: Io sono.
A Dio niente impossibile, a condizione di incontrare la nostra buona
volont.
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MENTALE - La maggior parte di queste opere


contengono uno o pi capitoli sul tema della
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