Cotticelli Eduardo
Cotticelli Eduardo
Cotticelli Eduardo
Eduardo
I saggi contenuti nel volume si propongono di contestualizzare in maniera
ampia e approfondita un’esperienza particolare nella storia del teatro
napoletano e universale, ricostruendo i percorsi di formazione del grande
attore e commediografo al cospetto di modelli attoriali e di mentori letterari
d’eccezione, guardando alla sua scrittura scenica come processo di
sedimentazione di una prassi militante del teatro entro e oltre un orizzonte
immateriale, rivalutando l’apporto di quelle figure che hanno lasciato
un’impronta indelebile nella resa delle sue dramatis personae, e infine
confrontandosi con la problematicità del suo lascito, nello specifico milieu
“napoletano” come nel panorama della scena occidentale.
euro 20,00
ISBN: 978-88-8497-535-5
La coincidenza del Forum Universale delle Culture-Napoli e Campania con il trentennale della A trent’anni dalla scomparsa di Eduardo De Filippo, la sua opera di drammaturgo, di regista,
scomparsa di Eduardo De Filippo ha incoraggiato l’amministrazione comunale ad accendere ancora di attore e di intellettuale è quanto mai viva.
una volta i riflettori su questo insuperabile artista. Eduardo rimane una presenza costante per i suoi
concittadini, un’autentica gloria per l’antica capitale così ricca di tradizione - da lui rappresentata Ne sono dimostrazione le solenni celebrazioni svoltesi il 31 ottobre del 2014 a Palazzo Ma-
sempre ai massimi livelli in tutto il mondo -, un esempio di straordinaria aderenza alle radici più profonde dama, volute con grande determinazione dallo stesso Presidente Pietro Grasso. E ciò non
di un popolo e della sua cultura accanto alla capacità di conferire loro accenti davvero universali, solamente per ricordare il commediografo a noi tutti caro, ma anche per rimarcare l'impe-
come dimostra il successo del suo teatro a ogni latitudine. L’ampio ventaglio di manifestazioni che gno che da lui venne profuso nel breve mandato di Senatore a vita, a favore dei ragazzi a
si sono svolte in suo onore ha inteso sollecitare nuove letture della sua opera, avvicinando a essa rischio, a quel mondo fatto di giovani che vivono sulla propria pelle i disagi di una società
un pubblico in cui alla memoria vivente del personaggio sta lentamente subentrando l’immagine, spesso disattenta nei loro confronti. E già nella denuncia espressa in occasione del discorso
immortale ma lontana, di un “classico”. Alcuni pregevoli messinscene hanno messo in risalto la di insediamento al Senato suggeriva un rimedio semplice ed efficace per provare ad argi-
varietà e il fascino di un repertorio capace di esprimere ogni volta altri significati e di mettere in nare le difficoltà e gli svantaggi prodotti da una società non equa, quando sosteneva che se
discussione quell’eccessiva familiarità che quasi tutti i napoletani vantano con i suoi lavori più e si opera con energia, amore e fiducia verso di loro molto si può ottenere da questi ragazzi.
meno noti. È stato dato risalto anche all’impegno sociale del drammaturgo, che, fino al suo lavoro Che Eduardo declinasse nei suoi testi i problemi della società in cui viveva, proponendoli
come senatore a vita, ha guardato con dedizione e interesse ai problemi della devianza giovanile e al dal palcoscenico all'attenzione del pubblico e delle istituzioni è un dato fin troppo evidente,
recupero dei ragazzi a rischio. Ma, proprio pensando all’autore-attore come patrimonio immateriale su cui si è indagato e forse ancora molto c'è da approfondire. E infatti un ruolo ugualmente
e senza confini di una capitale, abbiamo voluto sostenere momenti di studio e di riflessione che significativo nel ricordarlo nel trentesimo anniversario della sua morte è stato offerto dal
sottolineassero la densità e la dimensione non localistica di un’esperienza singolare. Il bellissimo mondo accademico, che non si è lasciato sfuggire l'occasione di approfondire la sua opera
convegno e le iniziative promosse dalla Seconda Università degli Studi di Napoli (ricordiamo anche la dedicandogli convegni, giornate di studio e proponendo testimonianze, rese dal vivo, di
mostra in collaborazione con la Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli sui documenti quanti ebbero la fortuna di collaborare e lavorare con lui.
dell’Archivio De Filippo confluiti nella sezione Lucchesi Palli), acquisendo una volta per tutte la
statura e la complessità di un monumentum da indagare perennemente, si sono soffermate proprio La Fondazione che porta il suo nome ha come scopo prevalente la salvaguardia, il recupero
sul rapporto difficile che lega l’artista ai luoghi, ai momenti, alla humus della sua formazione, sui e il tener viva l'attenzione sulla tradizione napoletana dando impulso alla crescita della
destini di una tradizione che in lui non si estingue - se è vero che Napoli e il teatro continuano a cultura teatrale contemporanea. Ma, accanto a questo compito, altro onere altrettanto signi-
essere un binomio inscindibile - ma si riassesta, si trasforma, si proietta al di là degli schemi che ficativo è quello di tener vivo l'interesse per le difficoltà vissute dal mondo giovanile, spesso
l’hanno governata per secoli e si rinnova agli occhi di un uditorio planetario. destinatario di distrazione da parte di quelle Istituzioni che alle sue esigenze dovrebbero
Misurare la “differenza” di Eduardo significa prendere coscienza di quel policromo universo di inter- provvedere. E infatti, nel segno dell'opera avviata da Eduardo, raccogliendone quindi l'ere-
preti, impresari, capocomici, famiglie d’Arte, piccole e grandi sale, generi e forme di intrattenimento dità, in occasione del prossimo 31 ottobre la Fondazione organizzerà, onorando l'impegno
che hanno costituito sin dagli albori del professionismo la spina dorsale di quel teatro “napoletano”, preso un anno fa, un convegno internazionale, quanto mai attuale per i recenti eventi de-
che è stato ed è punta di diamante della cultura del nostro territorio. Senza di esso il lungo cammino littuosi che hanno macchiato la città, dedicato alla devianza giovanile e che sia in grado di
dell’artista sarebbe inconcepibile, come sarebbe inconcepibile pensare al teatro a Napoli oggi senza esaminare quelle condizioni ambientali che generano i presupposti che da una situazione
la viva memoria di tutti quei protagonisti. «Modelli, compagni di strada e successori»: nelle pagine del di rischio conduce alla deriva delinquenziale giovanile.
volume prendono corpo alcune delle tensioni con cui il giovane Eduardo ebbe a misurarsi (come, ad
esempio, l’ancora scomodo magistero di Viviani, il lavoro di chansonnier, le urgenze della macrostoria Un convegno che non indaghi solamente gli aspetti psico-sociologici del disagio giovanile
alla fine del suo percorso con i fratelli, il confronto con gli attori di matrice dialettale ), gli incontri - reali che indulge a fenomeni criminosi, ma che sia la sede nella quale proporre strumenti pratici
o immaginari - di una vita sul palcoscenico (Paolo Grassi, Wilder, il mito di Pulcinella), i dialoghi a di- e soluzioni adeguate per contrastarne e prevenirne l’evenienza.
stanza con interlocutori d’arte e di letteratura, il complicato intrigo di aspettative deluse e dirompenti
novità che le messinscene del suo teatro all’estero suscitarono e suscitano ancora. Molto si potrà Concludo ringraziando di cuore la Seconda Università di Napoli per l’ottimo lavoro realizza-
ancora fare in questa contestualizzazione ad ampio raggio dell’opera eduardiana, ma il volume si to, e auguro a questo volume tutto il successo che merita.
propone di tracciare itinerari diversi che - si spera - possano dimostrare e documentare il prestigio in-
discusso e l’autorevolezza di una via napoletana alla scena, mai subalterna, ma ispiratrice e maestra.
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L’abitudine umana del vivere
Daniele Pittèri
Commissario Fondazione Forum Universale delle Culture
Docente di comunicazione Università di Roma, Università di Siena
The Roots and the Future - Le Radici e il Futuro - è il claim che il Forum Universale delle
Culture di Napoli ha scelto per descrivere in maniera rapida e sintetica la prospettiva con
cui ha esplorato i temi caratterizzanti del Format Forum - la conoscenza, le condizioni per
la pace, lo sviluppo sostenibile, le diversità culturali - e il tema qualificante l’edizione napo-
letana dell’evento - il mare.
Un’esplorazione, dunque una modalità di indagine che non si pone finalità specifiche, ma
che al contrario si pone alla ricerca costante di una relazione fra le culture contemporanee
e le trasformazioni che le percorrono - il “futuro”, appunto -, mettendo al centro di esse, non
perché più consistenti delle altre, ma come semplice punto di partenza, quelle che animano
e hanno animato il territorio e la storia partenopea. Viste in tal senso, le radici interessano
non in quanto punto fermo e statico, ma in quanto principio dinamico, fonte essenziale di
nutrimento, crescita e sviluppo di tutte le culture locali - popolari e colte, orali e scritte, ana-
logiche e digitali, visuali e visionarie. Radici vocate alla trasformazione, che si alimentano di
un “terreno”- geografico, antropologico e sociale - che, tuttavia, pur mutando nel tempo e
non restando mai uguale a se stesso, mantiene invariate alcune caratteristiche genetiche e
alcune proprietà organolettiche che lo rendono unico e diverso da tutti gli altri.
Particolarmente emblematica, sotto questo profilo, è l’esplorazione della “radice Eduardo”,
una figura che ha costituito uno snodo centrale della cultura sviluppatasi a Napoli nel XX
secolo. Uso volutamente il termine “figura” perché penso sia estremamente riduttivo guar-
dare a lui esclusivamente come drammaturgo o attore, per quanto grande e per certi versi
insuperabile. Di Eduardo, non solo a Napoli, si ricordano soprattutto le espressioni, il recita-
to, il tono di voce, il volto scavato, alcuni testi, sicuramente alcune memorabili battute - su
tutte “Ha da passa’ ‘a nuttata” - divenute proverbiali e per questo acquisite dal linguaggio
quotidiano. Tutto giusto e comprensibile, ma tremendamente ingiusto e superficiale nei
confronti di Eduardo, un uomo che ha radicalmente messo in discussione le radici (mi si
perdoni il bisticcio lessicale) sue, del suo popolo e della sua città e che al contempo quelle
medesime radici le ha innestate con una linfa nuova e vitale, che è stata in grado di rinno-
vare profondamente la cultura napoletana, di porla in relazione con il mondo, di snaturarla
rendendola diversa da sé senza dimenticare se stessa e addizionandola di un’attenzione
particolare alle persone e alle relazioni fra le persone e il proprio habitat.
Il Forum Universale delle Culture di Napoli ha coinciso con il trentennale della scomparsa
di Eduardo, ma ha evitato di celebrarlo o di commemorarlo. Lo ha invece, come si è detto,
esplorato, usando strumenti e linguaggi diversissimi fra loro (spettacoli, workshop, conve-
gni, simposi, mostre, street art), ciascuno capace di offrire un punto di vista particolare, una
prospettiva unica su una figura tanto complessa, anche e soprattutto grazie al contributo di
studiosi, uomini di teatro, intellettuali che, riuniti in comitato, hanno con decisione imbocca-
to la strada dell’esplorazione, spinti innanzitutto dalla volontà di “mettere a nudo” Eduardo,
di “scoprirlo”, di farlo emergere in tutta la sua straordinaria complessità.
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damentale, perché si pone in una prospettiva particolare, perché assume un punto di osser- Interrogare la classicità di Eduardo
vazione sull’universo di De Filippo inscritto nell’alveo della sua “classicità contemporanea”,
ovvero del suo essere divenuto un classico in vita, del suo essere stato, ad attività ancora Marzia Pieri, Anna Scannapieco
in corso, un punto di riferimento universale, non solo drammaturgico, per i suoi contempo-
ranei.
Va qui fatta subito una distinzione. Non è inusuale che alcuni artisti assurgano a zenit, a
punto di riferimento nel proprio tempo, per poi finire nel dimenticatoio negli anni imme-
diatamente successivi la propria morte, non per mancanza di “qualità” e quindi per moda,
quanto per “esaurimento” della spinta innovativa che in un modo o nell’altro li aveva con-
traddistinti. È una vecchia regola, che è valsa in passato - si pensi soltanto a Metastasio -,
così come in tempi recenti - Elio Vittorini, per restare in ambito letterario, o Woody Guthrie, Un po’ come per Eugenio Montale, la classicità di Eduardo si impose con innaturale precoci-
per toccare l’ambito della cultura popolare. Tutte personalità di grande spessore, capaci di tà, “vita natural durando”. Al di là dell’astrale distanza che separa le due personalità, alcuni
influenzare con la propria espressività i contemporanei, di divenirne fonte di ispirazione sintomatici denominatori comuni ne svelano la nascosta parentela, sia sotto il profilo della
perché “codificatori” di un genere e di un epoca o perché primi decodificatori dei linguaggi vicenda biografica, sia sotto quello della risonanza dei rispettivi operati artistici: entrambi
precedenti e tuttavia non assurti a pietre miliari, proprio perché profondamente - e terribil- insigniti di lauree honoris causa e soprattutto eletti senatori a vita, accompagnati in morte
mente - inscritti nella propria epoca. da decine di migliaia di persone, la maggior parte delle quali “comuni”, e magari anche a
Non è questo il caso di Eduardo. Egli, come altri grandi del teatro - Shakespeare o Molière digiuno di poesia come di teatro; entrambi assunti a maschere emblematiche, senza tem-
-, ha conosciuto in vita un successo radicato e profondo in virtù della propria maestria atto- po, del proprio tempo (un secolo breve troppo lungo), racchiusi e vulgati nelle espressioni
riale, cui si è accompagnata, seppur in forme e modalità profondamente differenti, l’attività divenute quotidiani talismani (il male di vivere, ha da passa’ ‘a nuttata). Certo, per Montale,
drammaturgica, che in tutti quei grandi - Eduardo incluso - è sembrata essere forma e pun- sia pure poeta-non-laureato, scattò il riconoscimento di quel Nobel che per Eduardo rima-
tello imprescindibile per il virtuosismo recitativo, una sorta di habitat atto a fare emergere le se solo un’eventualità non realizzata; e, ancor più, egli poté vivere l’esperienza - all’epoca
qualità indubbiamente superiori della recitazione. Ma, mentre Shakespeare e Molière hanno inedita e neanche concepibile - di veder realizzata l’edizione critica della propria Opera in
operato in un’epoca pre-goldoniana, in cui i ruoli di autore/attore erano inseparabilmente versi, per le cure nientemeno che di Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini: poco conta che
fusi in un’unica figura, Eduardo è un figlio del Novecento, di un’epoca in cui i due ruoli non ad appena un anno da sì imperituro monumento la vita lo abbandonasse - altrimenti, forse,
solo erano ben distinti, ma avevano acquisito una dignità propria, l’una pienamente lettera- non era possibile.
ria - indagatrice ed esploratrice della realtà e della psiche -, l’altra integralmente mimetica Ma anche per Eduardo ebbero vigore singolari destini: quello, per esempio, di veder scandi-
- proiezione dei desideri, delle ambizioni e delle ansie dell’essere umano. to il centenario della nascita (a nemmeno un quindicennio dalla morte, ben vivo e palpitante
Dentro il secolo breve, Eduardo è stato, in questo, al contempo unico e precursore. È stato, il ricordo, la presenza) con la costruzione dell’effigie “critica” del suo teatro negli eleganti
con una lingua propria - un napoletano classico e tuttavia profondamente rivisitato e “me- volumi dei Meridiani Mondadori, in un’impresa che le competenti cure di Nicola De Blasi e
ticciato” con l’italiano, una sorta di slang, di linguaggio non ufficiale, di codice sovversivo Paola Quarenghi avrebbero portato a termine sette anni dopo (e che aveva avuto d’altronde
- il solo “capocomico” in grado di elevarsi a una dimensione autoriale globale. Ed è stato il una congrua anticipazione storico-critica tra il 1995 e il 1998 - al “riparo” da ogni pretesto
primo drammaturgo a scardinare i capisaldi e le certezze della società e, più in generale del commemorativo -, grazie alla ricognizione editoriale effettuata per i tipi Einaudi da Anna
mondo, attraverso una prospettiva “sospesa”, aerea, non incardinata nel presente, ma fidu- Barsotti, studiosa legata al teatro eduardiano da una lunga e vigile fedeltà). Per questa via,
ciosa della potenza di una lingua, di una espressività interpretativa - finché ha recitato - e, salvo improbabili smentite, si deve riconoscere proprio in Eduardo - il più strenuo difensore
soprattutto, di un testo, di un’opera aperta orientata a toccare le corde profonde, e per que- della dimensione artigiana, fabbrile del teatro (la bottega a cui aveva dedicato «tutta una
sto senza tempo, dell’individuo in relazione a se stesso, ai propri simili, al proprio habitat. vita di sacrifici e gelo») - il primo poeta teatrale per cui con tanta celerità venisse, nella storia
In questo - a parere necessariamente modesto di chi scrive, che ha sempre amato essere di tutti i tempi, innalzato il monumento letterario per eccellenza, quello che le cure filolo-
spettatore e lettore, interpretando fino in fondo questi due ruoli - consiste la “classicità con- giche, per la distanza storica che presuppongono, insigniscono dell’aura della classicità:
temporanea” di Eduardo: prima ancora che guida e ispiratore dei propri coevi, indagatore persino l’opera di un Pirandello, che poteva vantare ben altre patenti di “nobiltà”, aveva do-
dell’abitudine umana del vivere. vuto aspettare mezzo secolo dopo la morte dell’autore perché si mettesse in moto l’edizione
critica delle Maschere nude, e - nonostante il vigoroso impegno di un curatore d’eccezione,
Alessandro d’Amico - un altro ventennio ancora per vederne il compimento (sempre nei
Meridiani Mondadori, 4 voll. 1986-2007). Del che - sia detto per inciso - un Thornton Wilder
sarebbe stato ben lieto, dal momento che non solo teneva Eduardo nel conto del suo «favo-
rite contemporary playwright», ma soprattutto lo riteneva, contro tutte le vulgate già allora
correnti, non debitore di ma superiore a Pirandello (si veda quanto, anche sotto riguardo,
ci illustra oggi Isabella Innamorati). L’ingresso nel canone dei classici, d’altronde, era stato
scandito già nel 1995-1996 con i due volumi della Letteratura italiana Einaudi dedicati alle
Opere del ‘900, allorché l’Eduardo autore di Natale in casa Cupiello interviene a rappresen-
tare l’intera letteratura teatrale della prima metà del secolo, “a pari merito” dei Sei personag-
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Eduardo in Francia: tra ammirazione e indifferenza sassone, e che per i francesi è una sorta di Commedia dell’Arte elevata al quadrato.
A ciò vanno aggiunte altre due difficoltà oggettive a cui va incontro la ricezione del teatro
Marco Consolini italiano in terra di Francia. Semplificando all’eccesso, si può dire che risulta assai difficile
al pubblico transalpino percepire esattamente due dimensioni peculiari del nostro teatro: la
drammaturgia d’origine attorica e la stratificazione di diversi registri linguistici.
Per quanto riguarda la prima dimensione, va rilevato che la figura dell’attore-autore o, come
lo si definisce sempre più spesso, dell’autore-performer, è davvero insolita nel contesto fran-
cese, e perlopiù confinata nel ristretto ambito del teatro comico o, più precisamente, del co-
siddetto one man show. Esistono eccezioni, ma tutto sommato non significative. L’autoria-
lità sembra cioè non poter risiedere che nella parola scritta e questa parola scritta non può
«Toutes les anglaises sont rousses» recita un celebre proverbio francese (preso in prestito a che precedere l’atto performativo: questa la doxa, lo sguardo culturale inconsapevole e do-
Roland Barthes), vale a dire «tutte le inglesi son rosse di capelli». Succede un po’ la stessa minante - anche in questi tempi di sempre più imperante voga del teatro post-drammatico.
cosa col teatro italiano: da svariati secoli a questa parte, per i francesi, tutto ciò che fanno gli L’attore, dunque, appare condannato a un ruolo d’interprete. Quando avviene il contrario,
italiani a teatro è Commedia dell’Arte. A ben poco serve spiegar loro la riforma goldoniana, quando, per esempio, gli attori forniscono materiale drammaturgico attraverso improvvisa-
la differenza fra “drammaturgia preventiva” e “drammaturgia consuntiva”, la complessità zioni - pratica che comunque resta piuttosto marginale nel panorama francese contempo-
del fenomeno del teatro “all’antica italiana”, la questione del plurilinguismo, quella del no- raneo - l’autorialità risiede comunque in un gesto altro, quello del regista a cui si riconosce
madismo delle compagnie, ecc. Non c’è niente (o quasi) da fare. Anche fra i meno sprovve- la paternità autoriale della scrittura scenica o dell’écriture de plateau, formula che oggi - in
duti, la tentazione irresistibile di leggere le manifestazioni teatrali di casa nostra attraverso tempi dominati appunto dalla moda post-dramatique - va per la maggiore. Da qui discende
il prisma dell’adequazione o meno al presunto e mitico modello originario della sacrosanta una sorta d’impedimento alla piena accettazione, e dunque alla comprensione, della speci-
Commedia dell’Arte riemerge puntuale, quasi come un riflesso condizionato. Del resto, in ficità di una scrittura teatrale che scaturisce dalla perizia e dall’identità stessa di un attore.
un certo senso, sono proprio i francesi ad averla inventata, la nostra Commedia dell’Arte... Dario Fo e Carmelo Bene, per prendere due esempi significativi perché molto conosciuti e
come ci hanno ricordato tanti studiosi del settore, a cominciare da Ferdinando Taviani. studiati in Francia - molto di più, occorre dirlo fin d’ora, di Eduardo - ne “soffrono” entrambi.
Per sintetizzare questo stato di cose, come resistere, allora, alla tentazione di richiamare un Capita non di rado, infatti, che essi siano presi in esame come autori tout court. Se Carmelo
passaggio del citato Roland Barthes, che spiega tutto ciò col suo stile inimitabile? Il brano Bene, grazie alle bellissime traduzioni di Jean-Paul Manganaro (che oltre che traduttore è
in questione proviene da una recensione alla celebre edizione viscontiana della Locandiera un grande esegeta dell’opera scenica di Bene), può essere “frainteso” come semplice “scrit-
di Goldoni, interpretata negli anni Cinquanta dalla compagnia Morelli-Stoppa: tore” drammatico, anche Dario Fo - di gran lunga il più letto, studiato e messo in scena fra i
nostri autori - si trova di fronte a non pochi equivoci interpretativi, particolarmente quando
Tutte le inglesi sono rosse di capelli, diceva l’Inglese della leggenda. Analogamente, per i
nostri uomini di teatro e per i nostri critici, ogni pièce italiana è una commedia dell’arte.
Il teatro italiano può essere soltanto vivo, spiritoso, leggero, rapido, ecc.
La nostra critica ha trovato La Locandiera di Visconti molto pesante, molto lenta. Che
delusione, che scandalo questa compagnia italiana che non recita all’italiana: costumi e
scenografie raffinati, profondi, sinceri, contrari, in una parola, al vetriolo dei verdi e dei gialli
che per i francesi sono il segno distintivo di ogni arlecchinata italiana; una regia quasi
realistica, fatta di silenzi, di episodi prosaici, in cui gli oggetti familiari (la salsa che si versa,
la biancheria che si stira) raddensano la durata teatrale come in una pièce di C̆echov. In
breve, Visconti ha azzardato la scelta che poteva scioccare maggiormente la nostra critica:
ha rappresentato La Locandiera come una commedia borghese. È scomparsa l’eterna
commedia dell’arte! Abbiamo subito fatto la predica a questo italiano così poco fedele alla
sua nazione: venga in Francia a prendere lezioni di italianità...1.
C’è da figurarsi cosa possa accadere quando si tratta di teatro napoletano, e di teatro in
lingua napoletana! Il complesso groviglio, il groppo di folklore, luoghi comuni, images d’Epi-
nal (per usare l’espressione francese) e reale volontà degli italiani (non solo dei teatranti) di
corrispondere a tale somma di stereotipi, fa sì che è ancora oggi difficile sfuggirne. Il teatro
di Eduardo De Filippo, infatti, non vi sfugge. Intendiamoci: nessuno, in Francia, dice o scrive
che il suo è un teatro di maschere o di tipi fissi. Aleggia, piuttosto, su di esso, il fantasma
della “vena farsesca da Commedia dell’Arte”, con i suoi corollari più tipici: gesticolazione,
gaiezza, movimento indiavolato, ecc., ovvero, per usare una formula lapidaria, la “napoleta-
nità”, qualcosa di simile al Neapolitan flavour indicato da Isabella Innamorati in area anglo-
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si tratta di analizzare o realizzare scenicamente le sue “giullarate”, da Mistero Buffo in poi, de notorietà, almeno fin dall’uscita del film Napoli milionaria!, nel 1950. Fu poi Valentine
difficilmente separabili dalla sua identità di attore-narratore. Tessier, la celebre attrice formata da Jacques Copeau e a lungo interprete a fianco di Louis
A proposito di Eduardo, un autore-attore-chef de troupe che scrive per un ensemble al Jouvet, a voler incarnare Filumena Marturano, nell’adattamento di un autore importante
cui interno la propria creazione attorica funge insieme da fulcro, da collante e da guida, la dell’epoca, Jacques Audiberti, andato in scena nel 1952 col titolo di Madame Filoumé.
faccenda dovrebbe risultare meno complessa: poiché nel suo caso ritroviamo, con le dovute La consacrazione definitiva avvenne nel 1955 - complice forse anche un altro successo ci-
proporzioni, lo stesso “mestiere” di quei grandi drammaturghi-attori europei in cima alla nematografico internazionale, L’Oro di Napoli di De Sica, del 1954 - quando Eduardo stesso
cui lista stanno Shakespeare e Molière. Ma, in fondo in fondo, per i francesi Molière resta partecipò con la sua compagnia al prestigioso festival internazionale di Parigi, il Théâtre des
un’eccezione: i guitti non posson diventar poeti... tanto è vero che c’è sempre qualche dotto Nations, presentando Questi fantasmi!2
pronto a giurare che dietro alla firma di Molière vi fosse in realtà Racine. Leggiamo cosa scriveva, a questo proposito, proprio Jacques Audiberti, nell’importante ri-
Per quanto riguarda la seconda dimensione, il pluringuismo che caratterizza la nostra cultura, vista Théâtre populaire:
letteratura e, soprattutto, il nostro teatro, bisogna riconoscere che per i francesi non è facile en-
trare in questa ricchezza e varietà lessicali, idiomatiche, sonore e soprattutto gestuali; difficile Il sipario si è alzato di soppiatto. Nessuno, in sala, se n’è accorto. In scena, un trasloco
per un popolo che ha sconfitto nel tempo praticamente tutte le lingue regionali, riducendole a napoletano fa spostar mobili in un idioma che non è chiaro al pubblico.
patois e rendendo infine pressoché irrevocabile la loro estinzione. E sappiamo tutti dell’impor- D’un tratto, gli applausi. Sono gli spetttatori a battere i tre colpi, a migliaia. Eduardo De
tanza capitale di questa seconda peculiarità, sappiamo tutti che è questa seconda caratteristi- Filippo, in effetti, è apparso con la sua faccia da Napoli milionaria!, pelle e ossa, gli zigomi in
ca a generare la prima: è perché noi italiani disponiamo di un’infinita tavolozza di suoni e gesti, rilievo, nudo e povero nel suo completo...
è perché possiamo riconoscere la provenienza del nostro vicino di posto se solo gli chiediamo Eduardo scrive, mette in scena e recita. Le sue rappresentazioni fan parte del film della
a che ora arriverà il treno, che i nostri attori sono, spesso, creatori di lingue teatrali; è forse per sua vita. Non gli danno alcun modo di distrarsi. È l’ultimo venuto dei personaggi della
questo che sono, spesso, anche autori. Ora, va ammesso, entrare nella speciale, specialissima commedia italiana. Personaggio che vive. E che suda il tragico. Un personaggio che
varietà della lingua di Eduardo è particolarmente arduo! Che fare davanti alla stratificazio- potrebbe essere un misto di Molière e Pirandello, ma che i sentimenti, l’onore e gli scrupoli
ne-intreccio d’italiano, d’italiano napoletanizzato e di napoletano aristocratico e raffinato, di condannano a non liberarsi del tutto dei saporiti ostacoli del dialetto e dell’affinità del suo
napoletano borghese e spiccio, di napoletano proletario e ruvido, di napoletano di città e di ritmo profondo per l’amarezza più nera. Mai un drammaturgo si è spinto oltre nella fedeltà
napoletano dell’hinterland, ecc.? Che fare, soprattutto, se lo si deve tradurre in francese? alla sua arte e nella solitudine3.
Questa serie di ostacoli non basta tuttavia a spiegare la scarsezza, per non dire l’assenza, in
Francia, di studi seri e documentati su Eduardo. Non basta a giustificare una certa sporadi- Un paio d’anni dopo, sull’onda del successo, andò in scena la versione francese, Sacrés fan-
cità delle rappresentazioni delle sue opere che, certo, sono state più volte messe in scena, tômes!, con la regia dello stesso Eduardo. Ecco cosa ne scriveva ancora Théâtre populaire,
ma raramente hanno dato luogo a realizzazioni sceniche veramente importanti (anche la questa volta a firma di André Gisselbrecht, uno dei più infervorati e intransigenti critici
recente Grande magia presentata nel 2010 alla Comédie-Française, con la regia di Dan Jem- dell’ondata brechtiana che aveva investito la rivista:
mett, non ha cambiato le cose). Non basta soprattutto a motivare il vuoto di un’edizione se
non completa almeno critica, unitaria e editorialmente accessibile del suo teatro. Forse a Napoli, al Teatro San Ferdinando, Questi fantasmi! è teatro popolare. Qui, al Vieux-
In fondo, le premesse per questo stato di cose erano già leggibili, a posteriori, ai tempi delle Colombier, è soltanto teatro di Boulevard.
prime glorie francesi di Eduardo, che furono notevolissime. De Filippo ebbe infatti una gran- La delusione è grande quando si conosce il lavoro compiuto da De Filippo nel suo paese:
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risurrezione e adattamento delle commedie popolari napoletane, creazione di un nuovo
repertorio ispirato a questa tradizione, rigenerazione della lingua letteraria tramite il dialetto
vivente. Al pubblico francese, affinché non giudichi sulla base di questo spettacolo, va detto:
De Filippo è uno dei migliori artigiani del teatro popolare nel mondo.
Cosa manca, allora, a questo spettacolo? De Filippo, in primo luogo. Il testo, secondo
le migliori ricette della Commedia dell’Arte, è un canovaccio sul quale l’eroe principale
ricama invenzioni pantomimiche e persino verbali. [...] [Henri] Guisol [l’interprete di
Pasquale Lojacono], invece, cerca di sfruttare al massimo i trucchi della sua parte ma non sa
improvvisare, è buffo ma non è inventivo. Manca poi, e soprattutto, la lingua di De Filippo,
questa lingua letteraria dialettale che è forse la polpa del suo teatro; se lo si priva di essa,
non ne resta altro che lo scheletro. Cioè un vaudeville, anche se un ottimo vaudeville. [...]
Del teatro di Boulevard, ecco il perché dell’unanimità di una certa critica borghese, che vi ha
ritrovato ciò che le è noto, e niente che possa infastidire le sue confortevoli certezze.
Eppure abbiamo a che fare con un uomo che ama il suo popolo, un popolo alla ricerca di
tutti i mezzi possibili per sbarcare decentemente il lunario. Avremmo voluto conoscerlo in
migliori condizioni: beati coloro che prima di Sacré fantômes! al Vieux-Colombier, hanno
visto l’anno scorso Questi fantasmi! al Théâtre des Nations4.
Malgrado i citati e quasi inevitabili stereotipi - l’eroico personaggio solitario, tipo fisso co-
mico-tragico della “commedia italiana” per Audiberti; l’immancabile richiamo alle “ricette”
di una non meglio precisata “Commedia dell’Arte” per Gisselbrecht - si vede bene che la
ricezione, almeno in queste punte di eccellenza critica, mostrava un notevole sforzo di com-
prensione, magari in direzioni opposte: la prima alla ricerca della poesia amara del teatro di 7 8
Eduardo, la seconda tesa a metterne in luce l’impegno civile e il suo valore di rigenerazione
di una tradizione popolare. La consapevolezza della forza e della specificità della lingua per di più priva della presenza di Eduardo attore. Ma, sempre sulla base della testimonianza
d’Eduardo, in ogni caso, emerge in modo assai netto. di Huguette Hatem, a disamorare ancor più Eduardo e a fargli decidere di rifiutare sistemati-
Con Madame Filoumé, che aveva riscosso un notevolissimo successo grazie soprattutto camente i diritti della sua opera in Francia, sarebbe stata ancor di più l’operazione alquanto
alla gran prova d’attrice di Valentine Tessier, il poeta “meridionale” Audiberti, come si è avventata di un paio d’anni dopo, Zì Nico...ou les artificiers, adattamento, sembra, poco
soliti definirlo in Francia, era riuscito del resto a creare una notevole atmosfera d’analogia fedele di Denise Lemaresquier de Le Voci di dentro7. Difficile, ancora una volta valutare con
col tessuto gestuale e sonoro d’origine. Eduardo stesso, forse in vena di complimenti, lo esattezza. Anche se non si può fare a meno di notare che a interpretare Alberto Saporito fu
ebbe a segnalare: «Audiberti è riuscito a restituire, cosa che sembrava impossibile, lo spirito proprio quell’Henri Guisol di cui abbiamo visto le notevoli acrobazie in Sacrés fantômes!...
napoletano in francese»5. Sia quel che sia, a partire dagli anni Sessanta, in Francia, Eduardo è progressivamente ca-
La critica negativa di Sacrés fantômes! appena citata contribuiva del resto a mettere in duto nel dimenticatoio, e all’assenza di rappresentazioni si è aggiunto il vuoto degli studi di
guardia contro lo scimmiottamento vuoto dell’inimitabile lavoro d’attore della compagnia cui si diceva all’inizio. Si è venuta così a perdere quella vivezza di reazioni critiche, giuste o
napoletana, e di Eduardo in particolare. Un rapido confronto fra alcune foto ritraenti Eduardo sbagliate che fossero, ma feconde, di cui abbiamo dato un breve saggio. Il teatro di Eduardo
e il suo corrispettivo francese, Henri Guisol, nei panni di Pasquale Lojacono, risultano infatti ha dunque potuto ricoprirsi di quell’inevitabile patina di stereotipi che, come la ruggine,
assolutamente impietose per quest’ultimo. Laddove Eduardo eccelle per sobria, misura- si deposita sui capolavori del nostro teatro in Francia, se solo li si lascia un attimo senza
tissima espressività, Guisol si sbraccia, gesticola, si contorce come un ridicolo burattino. custodia. Si pensi a Goldoni: malgrado il lavoro straordinario compiuto da Mario Baratto e
Sarebbe del resto interessante sapere cosa pensò Eduardo di questa esperienza registica poi dai suoi allievi, a cominciare da Ginette Herry, basta voltarsi un attimo e già le piroette,
d’oltralpe. Sta di fatto che fin da questi anni Cinquanta si ravvisano le premesse sia per la i salamelecchi e le parrucche di paccottiglia si reimpadroniscono dei testi del grande ve-
riproduzione degli abituali luoghi comuni, sia per una loro almeno parziale ridiscussione. neziano. Allo stesso modo, Eduardo è scivolato nel limbo, fra ammirazione e indifferenza,
Cos’è stato dunque a far sì che il rapporto di conoscenza critica col teatro di Eduardo arri- preda indifesa delle definizioni più facili e banali, dall’“inventore di situazioni burlesche,
vasse a una sorta di punto morto? È difficile stabilirlo con esattezza. A sentire la testimo- personaggi stravaganti e tutta una galleria di figure hautes en couleur” al creatore “di una
nianza di Huguette Hatem, sorta di traduttrice plenipotenziaria in Francia da trent’anni moderna Commedia dell’Arte”.
a questa parte, Eduardo fu deluso dalle reazioni manifestatesi al Théâtre des Nations e si Ora, bisogna riconoscere che è grazie alla testardaggine e alla passione di Huguette Hatem
disamorò della Francia6. Non si trattò certo di Questi Fantasmi!, che fu un trionfo o quasi. La se si è ricominciato a parlare di Eduardo in Francia, a partire dagli anni Ottanta, quando il
Hatem, che non precisa meglio, si riferisce probabilmente a Pulcinella in cerca della sua for- progetto di traduzione e messa in scena di Sabato, domenica e lunedi che risaliva all’inizio
tuna per Napoli, la riscrittura della commedia ottocentesca di Pasquale Altavilla, spettacolo degli anni Sessanta (quando Valentine Tessier, secondo il volere dell’autore, avrebbe dovuto
coprodotto col Piccolo di Milano e presentato al Festival di Parigi nel 1960. Era senz’altro interpretare Rosa) fu ripreso e portato a termine, nel 19848. La Hatem, forte di una sorta di
difficile, infatti, per il pubblico francese, apprezzare quell’operazione teatrale quasi filologica, imprimatur datole, sempre secondo la sua testimonianza, da Eduardo stesso, è divenuta
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da allora l’infaticabile traduttrice e ambasciatrice in Francia del suo teatro, costruendo nel Eduardo in spagnolo: «umile ed enorme»
tempo una sorta di lodevole quanto ingombrante monopolio.
Malgrado questo meritevole lavoro, va osservato che i monopoli, in fatto di letteratura, e Ana Isabel Fernández Valbuena
ancor più di teatro, non sono mai proficui. L’opera vivente e diversissima di Eduardo, avreb-
be bisogno di un nuovo slancio, di nuovi talenti teatrali e letterari capaci di rileggerlo e di
reinterpretarlo, riprendendo in mano il lavoro abbozzato, all’inizio degli anni Cinquanta da
Audiberti, magari per andare in direzione opposta. Avrebbe bisogno di teatranti disposti a
penetrare nel suo universo, a farlo rivivere sulle scene francesi, magari senza troppi vincoli
di fedeltà, come ha fatto recentemente Fabrice Melquiot, ancora con Filumena Marturano 9,
la cui traduzione, tuttavia, non è stata pubblicata. Avrebbe infine bisogno di studi, di ricer-
che, a partire dalle conoscenze e dalle problematiche accumulate in questi anni dall’univer- I primi testi in spagnolo e catalano
sità italiana e che sono transitate poco o male oltralpe. Prima del 2010, vale a dire l’altro ieri, si erano visti in Spagna pochi allestimenti del celeber-
Le cose, però, stanno forse cambiando. L’ottima tesi di dottorato realizzata nel 2012 all’U- rimo Eduardo, nonostante la congenialità degli spagnoli con molti dei suoi drammi, che rac-
niversité Paris 3 da Célia Bussi, codiretta da Myriam Tanant e da Anna Barsotti, ha aperto contano i destini della sua gente - i teatranti, e i napoletani - con i ferri popolari del mestiere
nuove prospettive sul fronte degli studi. Sul fronte delle realizzazioni sceniche, le recenti sì, ma con lo spirito delle opere universali.
tournées delle regie eduardiane di Toni Servillo (Sabato, domenica e lunedi, e, più recente- El teatro humilde y enorme de Eduardo De Filippo fu il titolo che il noto critico teatrale del
mente, Le Voci di dentro) e di Carlo Cecchi (Sik Sik l’artefice magico) e il successo che hanno giornale El País, Marcos Ordoñez, diede alla sua recensione di marzo 2010 su L’Arte della
riscosso, fanno sperare bene. C’è forse una nuova prospettiva nel paese di Molière per le commedia1. Questo critico diceva di riconoscere nel suo teatro le fondamenta «della Com-
sorti del teatro di Eduardo: uno dei capolavori della nostra cultura nazionale. media dell’Arte, di Goldoni, Céchov e Pirandello», e aggiungeva che, a suo avviso, partendo
da esse Eduardo aveva «spalancato le sue finestre per far entrare l’aria fresca della strada,
e della vita».
Le foto si riferiscono alla tourneé parigina di Questi fantasmi! al Festival Théâtre des Nanons Infatti, il mondo eduardiano, di affascinanti perdenti, era stato accolto prima che nell’entro-
del 1955 e alla messinscena della stessa opera in traduzione francese (Sacrés fantômes!), terra, nelle regioni mediterranee spagnole: a Barcellona, per esempio, dove La gran il.lusiò
sempre con la regia di Eduardo, ma con l’interpretazione di Henry Guisol, al Théâtre Vieux -versione catalana di La grande magia - fu messa in scena già nel 1988 da Herman Bonnin,
Colombier nel 1957. a soli tre anni dal mitico allestimento di Strehler al Piccolo.
Anche L’art de la comedia fu messa in scena nel 1992 dal regista Jordi Mesalles. Un po’ più
1. Roland Barthes, La Locandiera, in «Théâtre populaire», n. 20, Settembre 1956, in Sul Teatro, a cura di Marco tardi (2003), sempre con grande successo Dissabte, diumenge i dilluns (Sabato, domenica e
Consolini, trad. di Laura Santi, Roma, Meltemi, 2002, pp. 183-184.
2. Da segnalare che la Bibliothèque nationale de France conserva una bellissima serie di fotografie del celebre
Roger Pic, alcune delle quali che ritraggono Eduardo e i suoi attori in camerino, prima dello spettacolo.
3. Jacques Audiberti, Questi fantasmi!, in «Théâtre populaire», n. 13, maggio-giugno 1955, p. 91 [salvo
indicazione contraria, le traduzioni dal francese sono mie].
4. André Gisselbrecht, Sacrés fantômes!, in «Théâtre populaire», n. 24, Maggio 1957, pp. 91-92.
5. Eduardo De Filippo, intervista rilasciata al giornale Combat, cit. in Madame Filoumé, pièce en trois actes de
Eduardo De Filippo, texte français de Jacques Audiberti,in «RadiOpéra», n. 69, 1952, p. 29.
6. Vedi a questo proposito, l’intervista a Huguette Hatem, realizzata nel marzo 2013 da Luca Canonica,
disponibile all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=xLDZ2_cChpI.
7. Lo spettacolo, messo in scena da Michel Fagadeau, andò in scena al Théâtre Gaîté-Montparnasse, nel
febbraio 1962.
8. Samedi, dimanche et lundi, regia di Françoise Petit, Théâtre du 8ème, Lione, 1984.
9. Lo spettacolo, con la regia di Gloria Paris, è andato in scena al Théâtre Athénée nel febbraio 2006.
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naturalmente - nella versione di Edi Liccioli e Javier Mateo. Ma notiamo che questo inte-
resse per il teatro defilippiano, lentamente crescente in Spagna, è stato promosso in linea
di massima dai catalani2 - di solito all’avanguardia delle novità teatrali europee - e si è, co-
munque, sviluppato solo dopo la morte di Eduardo. Per decenni, i soli drammi rappresentati
in Spagna - e con successo - erano stati Filumena Marturano, che nel 1979 sotto la regia di
Ángel Fernández Montesinos conobbe il suo più grande successo grazie alla grandissima
attrice Concha Velasco3 (una replica risale al 20074) e Questi fantasmi!, la cui versione del
1959 era intitolata Con derecho a fantasma. Purtroppo, il noto sceneggiatore Jaime de Ar-
miñán non colse dello spirito eduardiano che la sua parte farsesca, cambiando addirittura
della sciagurata vicenda di Pasquale Lojacono il suo snodo finale. Un’operazione tramite la
quale quest’oscuro dramma del dopoguerra diventava una commediola amabile per il pub-
blico borghese della Spagna di Franco.
Carles Sales come Sik-Sik (Espai Lliura, 2003) Fotografia Tersi Roquer. Locandina di El arte de la comedia (Teatro La Abadía, 2010).
Julio Navarro come Luca Cupiello, 1998, Murcia. Enric Benavent come Oreste Campese (Teatro La Abadía, 2010).
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Max de las Artes Escénicas 2010, nelle categorie di miglior testo adattato e migliore spet- viene da lontano, dai tempi di Alfonso il Magnanimo, re dei due nostri territori; dei vincoli
tacolo. Mi permetto dunque di tirare le somme delle operazioni linguistiche e drammatiche storicamente associati alla nostra mediterraneità. Ecco perché i personaggi ritratti da De
eseguite, per cercare di capire le ragioni del successo. Filippo noi li vediamo se come fossero i nostri. […]
Il soggetto della pièce è di piena attualità in Spagna: l’eventuale “utilità” del teatro, e della L’opera di De Filippo stende un ponte tra due società sociologicamente molto simili. Pochi
cultura, perché i punti di riferimento della politica italiana degli anni Sessanta - cui, ricor- autori ci fanno sentire la vicinanza di quella drammaturgia valenziana di metà del ‘900 che
diamo, risale l’originale - non sono quelli della Spagna di allora… ma piuttosto quelli di avrebbe dovuto essere, e non fu8.
oggi. Ecco a proposito la recensione di Miguel Ayanz all’indomani del debutto madrileno:
«Stupisce vedere che la radiografia del 1964 serve anche per il 2010: la difficoltà di decidere Sempre nel 2010, a Giugno ancora un altro allestimento di Questi fantasmi! vide la luce al
sulle sovvenzioni pubbliche, i problemi con i distributori teatrali, la considerazione sociale Festival del Grec, a Barcellona, sotto la regia di Oriol Broggi. Lo spettacolo fu portato nel-
dell’attore…»5. Come dunque, ripristinare, anche attraverso le scelte linguistiche, l’eventua- la stagione 2011 al Centro Dramático Nacional di Madrid, l’istituzione del Ministero della
le attualità delle premesse eduardiane quando si traduce? Come collegarla all’esperienza Cultura che ha per scopo quello di offrire al pubblico spagnolo i campioni della moderna
dello spettatore di oggi in quella citata “lettura contemporanea” del testo? Non è questo il drammaturgia, e che, per la prima volta dalla sua fondazione nel 1978, accoglieva un testo di
luogo per approfondire con la dovuta finezza il tema delle trasposizioni culturali, ma tengo Eduardo. Come forse si saprà, era in coproduzione con i Teatri Uniti di Napoli e annoverava
a dire che il successo di pubblico che prolungò per un anno quasi le repliche dell’Arte della nel cast tre attori italiani.
commedia in tutta la Spagna, insieme agli elogi indiscussi della critica avvalorarono le no- Nella stagione successiva (2011-12) sempre il Centro Dramático Nacional ripeté l’espe-
stre decisioni artistiche; e, soprattutto, fecero esplodere, oltre il territorio catalano, nel resto rienza defilippiana programmando Yo, el heredero (Io l’erede) in una produzione di Andrea
della Spagna - finalmente - un interesse generalizzato per il teatro di Eduardo. D’Odorico, con la regia di Francesco Saponaro (trad. J.C. Plaza). Riporto un commento della
Il pubblico si meravigliava di fronte a questi personaggi, per loro italianissimi, vestiti e cir- recensione del critico M. Ayanz (2011):
condati di una luce scadente - quella del mondo epigonale defilippiano - e che pure parlava-
no della loro immediata realtà: «A un certo punto - commentavano alcuni - non ti rendi più Il regista napoletano Francesco Saponaro dimostra di conoscere bene lo spirito del suo
conto che stanno parlando in spagnolo. Hai l’impressione di essere tu a capire l’italiano!». compaesano De Filippo, e trasferisce il testo nella sua prossimità, sebbene la sua concezione
scenica, sorretta da una squisita ma sobria scenografia di Andrea D’Odorico, resti un po’
Finalmente Eduardo conservatrice nel mettersi al servizio di un testo che permetterebbe nuove letture9.
Mai come allora, nel 2010, si erano materializzati in Spagna in un’unica stagione tanti alle-
stimenti di Eduardo, tanto interesse da parte dei registi, dei produttori e, quindi, del pubbli- E, ultima per ora in elenco, nella passata stagione Napoli milionaria! è stata realizzata a
co: una vera Renaissance defilippiana. Madrid, in una sala modesta, e con un cast giovane con la regia di Paco Vidal.
A gennaio di quell’anno (ripresa nei due successivi) Natale in casa Cupiello, in catalano, fu
allestita alla Biblioteca de Catalunya (a Barcellona, sotto la regia di Oriol Broggi6) e fece pure Actores consagrados per Eduardo
una tournée di un certo rilievo. Il titolo era rimasto in italiano perché gli attori fingevano di Sin dagli anni in cui Eduardo si destreggiava nel varietà, era lui stesso a incarnare i prota-
essere una compagnia napoletana in tournée in Spagna. gonisti dei suoi testi, come si sa, dando alla sua drammaturgia una coesione che rendeva
Comunque, a detta di alcuni critici, non si erano evitati i rischi di cogliere esclusivamente la
parte farsesca del testo:
Alfred Lucchetti come Otto Marvuglia, Barcellona, 1988 (Cortesia del CDMAE della
La serietà, nella commedia è fondamentale per approdare all’effetto giusto, Oriol Broggi Catalogna).
però sembra più interessato a suscitare la risata attraverso i grandi gesti gratuiti, che a Concha Velasco come Filumena, e José Sazatornil, 1979 (Cortesia di Ángel Fernández
cercare la propria efficacia del testo7. Montesinos).
A febbraio dello stesso anno, come si è detto, L’arte della commedia fu allestito all’interno
delle celebrazioni dei quindici anni di attività teatrale del Teatro La Abadía di Madrid, che
volle con essa rendere omaggio a tutta una forma di vivere il teatro, e di praticarlo. Il regista
valenziano Carles Alfaro, fece una proposta scenica di malinconia felliniana e di perizia at-
toriale grazie a un elenco di primissime figure.
Ad aprile il Centre Teatral de la Generalitat di Valencia allestì in valenziano Questi fantasmi!
(Estes fantasmes) - notiamo ancora che riportava il titolo in tutte e due le lingue - con la
regia di Juanjo Prats, che così si esprimeva nel quadernetto pubblicato per le rappresen-
tazioni, facendo appello alla mediterraneità, che a suo avviso, affratella i valenziani con la
drammaturgia eduardiana:
Purtroppo, il teatro valenziano non ha avuto una figura come quella di Eduardo De Filippo
capace di aprirci le porte al secolo XX. La prossimità storica tra napoletani e valenziani
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fondamentali non sono stati neanche mai rappresentati. È il caso di Le voci di dentro - ma
è arrivata l’edizione di Toni Servillo, la primavera del 2014, a Madrid - o di altri come Non ti
pago! o Il sindaco del Rione Sanità. Tali assenze probabilmente si ricollegano alla difficoltà
di ottenere i diritti di produzione dall’Italia. Una casa editrice di Barcellona, specializzata in
teatro, Alba Editorial, mi propose tre anni fa di tradurre le Lezioni di Teatro di Eduardo, ma
non ricevettero mai alcuna risposta dall’Italia, così che il progetto non si è potuto ancora
realizzare.
Quando agli esordi delle mie ricerche su Eduardo - nei primi anni Novanta - viaggiavo
spesso a Napoli, ebbi il privilegio di incontrare Carlo Molfese, che mi ricevette a casa sua
e mi regalò il catalogo di una mostra che allora girava sotto la sua direzione, Eduardo nel
mondo. Vi si leggevano solo due misere frasi sulla Spagna. Quel “mondo” eduardiano ancora
non era approdato se non sporadicamente sulle nostre scene, e i testi di Eduardo tradotti in
spagnolo si contavano sulle dita di una mano.
C’è voluto un po’ di tempo, è vero ma oggi, grazie allo sforzo di alcuni teatranti - tra cui mi
conto anch’io - che hanno saputo vedere in lui un fratello, e hanno capito l’attualità della
sua tenera decadenza, il panorama è alquanto cambiato. Posso ora festeggiare con voi la
soddisfazione di sapere che la drammaturgia di Eduardo si estende al mondo spagnolo,
9 arrivando al grande pubblico. E che quel suo teatro «umile, ed enorme» è riuscito ad attra-
Pedro Casablanc interprete di De Caro, T. La Abadía, 2010. versare, finalmente, il Mare Nostrum.
difficile distinguere se la grandezza dei personaggi appartenesse all’autore oppure all’inter- 1. Cfr. http://elpais.com/diario/2010/03/13/babelia/1268442758_850215.html; Marcos Ordoñez, El teatro humilde
y enorme de Eduardo De Filippo, in «El País, Babelia», 13/03/2010, p. 21.
prete. Ma il riconoscimento internazionale della sua drammaturgia e il successo di un teatro 2. Per la ricezione della drammaturgia di Eduardo nella Catalogna, cfr. Eduardo De Filippo a Catalunya, in
fieramente collegato ai problemi del suo tempo, chiariscono oggi ogni dubbio. Ma quali «Quaderns d’Italiá», n. 12, Universidad Autónoma de Barcelona, pp. 53-58.
sono i cosiddetti mattatori che hanno costruito in Spagna questo suo archetipo drammatico, 3. Ripresa poi nel 2006, sempre dal tandem Fernández Montesinos-Concha Velasco. E prima di loro anche da
che Anna Barsotti nel suo libro fondamentale10 ha chiamato l’achipersonaggio eduardiano? altre grandi primedonne della scena spagnola (cfr. Ana Fernández Valbuena, Eduardo De Filippo: un teatro, un
tiempo, Madrid, Fundamentos, 2004, p. 186).
Certo, una drammaturgia di grandi personaggi è sempre un richiamo per i grandi attori; ed 4. Javier Villán, De Filippo vuelve con la ternura animal de Filomena Marturano, in «El mundo (El cultural)»,
è così anche in Spagna, dove questa genìa di figli d’arte è designata con il nome di actores Madrid, 02/03/2006.
consagrados. E quelli associati ai testi di Eduardo sono stati di solito all’altezza del compito: 5. Miguel Ayanz, El poder de los actores, in «La Razón», Madrid, 26/02/10, p. 82.
6. Allestito dalla compagnia laperla29. Broggi era stato l’aiuto regista di Belbel nella sua celebrata Dissabte,
uno tra i grandi, in qualche modo fratello di Eduardo, Fernando Fernán Gómez, lui stesso diumenge i dilluns del 2003. Nell’edizione del 2012 si trattò di una regia in collaborazione con Ferran Utzet.
drammaturgo e rinomato interprete del cinema e della televisione, interpretò Pasquale Loja- Cfr. anche Sergi Doria, Broggi arma el Belén, in «ABC Cataluña», 24/01/2010, p. 48. Si veda anche Juan Carlos
cono nell’edizione degli anni Cinquanta. Olivares, Natale in casa Cupiello, www.timeout.cat, (2013), p. 57.
Lo scomparso Alfred Lucchetti fu Otto Marvuglia nella versione catalana de La grande ma- 7. Joaquim Armengol, Pessebre, in «El Punt», Barcelona, 26/01/2010, p. 32. Le traduzioni del catalano e il
castigliano sono dell’autrice.
gia (1988); egli stesso tradusse in catalano nel 1995 Filumena Marturano, in cui interpretò la 8. Juanjo Prats, Per qué Eduardo De Filippo, ara i ací, Questi fantasmi! (Estes fantasmes), in «Cuadernos
parte di Domenico Soriano (al Teatro Romea). Escénicos de Teatres de la Generalitat», Valenzia, 2010, pp. 10-17.
Un ruolo che aveva incarnato magistralmente nella versione castigliana di Filumena del 9. Miguel Ayanz, Yo el heredero: casa tomada, in « La Razón», Madrid, 07/10/11.
10. Il riferimento è ad Anna Barsotti, Eduardo drammaturgo: fra mondo del teatro e teatro del mondo, Roma,
1979 José Sazatornil, conosciuto come “Saza”.
Bulzoni, 1995.
E per quanto riguarda quelli degli ultimi anni, Marcos Ordoñez parlava così dell’Oreste 11. http://elpais.com/diario/2010/03/13/babelia/1268442758_850215.html; Marcos Ordoñez, El teatro humilde y
Campese di Enric Benavent nell’Arte della commedia del 2010: «È il miglior lavoro nel quale enorme de Eduardo De Filippo, cit., p. 21
io l’abbia visto; costruisce un Campese impeccabile, orgoglioso, infiammato e furbo, con 12. Ibidem.
13. «L’espectacle decau en el tercer amb la repetició dels tics de Cruz al llit», dice di lui César Lòpez Rosell,
tanto di ragioni e saggezza»11. E a proposito di Pedro Casablanc, interprete di De Caro, scri- Sainet napolità a la Biblioteca, in «El periódico de Catalunya», Barcelona, 30/01/2010, p. 69.
ve: «morde di continuo il freno della farsa, ma finisce per sprigionare un raro patetismo»12.
E quanto al Luca Cupiello della produzione catalana del 2010, lo ha impersonato Pep Cruz13;
mentre il noto Ernesto Alterio, figlio dell’attore argentino Héctor Alterio, è stato Ludovico in
Yo, el heredero al Centro Dramático Nacional.
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