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201Ờ/20ổồ
in:
Relatore Candidato/a
Correlatore
Dott.ssa Floriana Aiezza
INSEGNARE OGGI FRA TECNOLOGIA E VECCHIA SCUOLA
“Il vero insegnante è colui che lascia il segno” questo sosteneva, nel secolo scorso, Jerome Bruner,
psicologo statunitense che ha contribuito allo sviluppo della psicologia cognitiva e della psicologia
culturale nel campo della psicologia dell’educazione.
In effetti non è errato pensare che l’insegnante segna profondamente l’esperienza dei suoi allievi in
quanto è la prima figura che il bambino conosce e con la quale si confronta al di fuori della prima
agenzia educativa, ovvero la famiglia.
L’insegnante dovrebbe, per essere considerato tale, suscitare il gusto dell’apprendimento per tutta
la vita.
La scuola odierna dovrebbe orientarsi sempre più verso il motto imparare ad imparare e quindi, da
questo punto di vista, l’insegnante ha il compito di fornire l’allievo degli strumenti atti a sviluppare
un proprio e personalissimo metodo mediante il quale si misurerà con tutte le realtà che incontrerà
durante le fasi della sua vita per trarre da esse gli insegnamenti più utili e vicini alle proprie
attitudini.
Un lavoro, dunque, di semina che regalerà frutti durante tutta la vita dell’alunno prima e uomo dopo
in grado di elaborare, confutare e applicare in modo creativo nuove teorie, prodotti e nuove
informazioni.
Questo nuovo concetto educativo richiede un forte ripensamento dell’insegnamento nei suoi
modelli e contenuti che non deve più considerare la classe come un mero contenitore di singoli
alunni bensì un luogo di interazioni sociali molto ricche. Si parla, infatti, di ambienti di
apprendimento, di metodologie innovative, di percorsi didattici che coniugano il sapere con il saper
fare come ad esempio laboratori musicali e di informatica, biblioteche ben attrezzate che
incentivino la lettura, spazi per attività motorie e laboratori di arte.
In uno scenario storico e culturale in cui tutto si modifica fin troppo rapidamente insegnare ad
apprendere diventa una vera e propria sfida culturale, sociale e perché no umana che durerà per tutta
la vita.
In questa avventura conoscitiva l’insegnante diventa animatore, regista e mediatore culturale in
grado di avviare gli alunni alla ricerca, alla costruzione del sapere con entusiasmo, con stupore
sviluppando cosi una scuola inclusiva di tutti e di ciascuno con i propri tempi e propri ritmi.
A tal proposito la didattica tradizionale risulta desueta e superata e come la lezione frontale deve
necessariamente alternarsi a metodologie innovative quali cooperative learning, class-rom, role
playing, tutoring, brainstorming tutti conditi dalla curiosità che risulta essere un ingrediente
fondamentale per favorire l’apprendimento e la sua motivazione. Gli alunni motivati conseguono
più facilmente il successo formativo, come al contrario, le esperienze negative portano
all’insuccesso scolastico.
Le più recenti ricerche psicologiche sostengono proprio che insegnare è l’arte di incoraggiare,
sostenere, sollecitare e creare quotidianamente proposte didattiche interessanti e significative.
Le dimensioni della azione didattica nell’ottica dell’inclusione
In generale per didattica si intende la teoria, la pratica e l’arte dell’insegnare, in particolare con il
termine didattica si fa riferimento a quel complesso di interventi volti a progettare, improntare,
gestire e valutare “ambienti di apprendimento” adatti al gruppo di riferimento con cui si andrà ad
operare:
Con il termine didattica ci si riferisce sia all’attività di chi insegna, sia alla riflessione e alla
progettazione operativa relative all’insegnamento, alla definizione di orientamenti, condizioni,
modalità operative che si ritiene possa assicurarne l’efficacia formativa. La definizione di didattica
rinvia a quella di insegnamento, identificabile come un’attività volta intenzionalmente, in forma
organizzata, secondo procedimenti ritenuti efficaci, a sviluppare (estendere, approfondire,
modificare) abilità, conoscenze, valori nonché il rapporto del soggetto con la propria cultura e con
altre culture.
L’azione didattica in questo caso interviene nel sottolineare i processi nonché il ruolo interpretativo
e costruttivo del soggetto.
- Dimensione tecnico-pratica
Questa dimensione, chiamata anche intelligenza pratica è
• Connessa alle prestazioni di altre persone
• Influenzata dall’uso di strumenti materiali
• Connessa a contesti specifici d’esperienza e a compiti particolari come sosteneva lo psichiatra L.
B. Resnick nel 1995 sostenendo che, dopo svariate sperimentazione, fosse impossibile generalizzare
le strategie educative, in quanto, l’uso omogeneo di tali formule non conduceva al desiderato livello
di abitudine mentale, ovvero gli studenti non erano in grado di giudicare per conto proprio quando
sarebbe stato utile rimettere in uso tali strategie di nuova acquisizione. Lo psichiatra statunitense
pertanto sosteneva che l’una strada percorribile fosse quella della metacognizione, secondo la quale,
ogni singolo uomo debba raggiungere soluzioni di risoluzione in maniera introspettiva e
assolutamente soggettiva in quanto la vera intelligenza sta nel poter prevedere il futuro e cambiare il
mondo in una direzione che conduca il sistema individuo al “migliore futuro possibile”.
A tal proposito l’azione didattica deve mirare al superamento di logiche meramente addestrative ma
spingersi verso l’apprendimento di modelli d’azione astratti dai contesti, rafforzati dalla costruzione
di conoscenze sul campo in riferimento all’esperienza.
*Per “problem solving” si intende il complesso delle tecniche e delle metodologie necessarie
all’analisi di una situazione problematica, allo scopo di individuare e mettere in atto la soluzione
migliore.
In questo caso l’azione didattica deve fungere da sostegno alla socializzazione (primaria,
secondaria, risocializzazione) attraverso lo sviluppo della capacità di giudizio e l’attribuzione di
significato a fatti, esperienze, comportamenti (costruzione di valori) e adesione ai valori qualora
questi eventi accadano nella sfera scolastica o vengano proposti ex novo.
Se adeguatamente valorizzate dalla didattica, le emozioni possono trasformarsi in risorsa, al pari del
contenuto dell’azione formativa, perché l’alunno/studente non solo pensa ed elabora, ma “sente” e
partecipa. Se l’insegnante/docente efficace le mette in luce, inglobandole nella pianificazione di un
intervento didattico, può farle diventare una leva formidabile per la didattica, contribuendo a uno
sviluppo che tenga presenti contemporaneamente e in maniera equilibrata gli aspetti razionale,
emozionale e cognitivo.
Per mettere in atto un’educazione emotiva, è fondamentale avere come obiettivo primario
l’esistenza del bambino nella sua totalità, e ciò comprende lo sviluppo sociale della persona,
dimensione che si occupa dell’efficacia delle relazioni del bambino con gli altri e del lo sviluppo
emotivo.
Dalle considerazioni esposte sinora, ne consegue che la didattica, per essere efficace, deve includere
la dimensione emozionale nei suoi processi, ponendo massima attenzione allo spazio interiore, alla
valorizzazione di ogni forma di diversità e alla formazione di essere umani completi in un clima di
libera espressione:
Emozionare ed emozionarsi rende la formazione più vicina alle persone, ne potenzia gli
stratagemmi, le pratiche, gli orientamenti. La circolazione di emozioni positive genera ulteriori
emozioni positive, ed essere consapevoli di tale processo significa avviare un percorso verso la
valorizzazione delle emozioni e la massima attenzione alle persone in formazione e al loro
apprendimento. È infatti importante e necessario imparare a sollecitare le emozioni positive e a
gestire ed arginare quelle negative, con l’obiettivo di potenziare le performance formative in
termini di coinvolgimento e di efficacia.
Le emozioni diventano risorsa formativa se nominate, riconosciute e declinate. Anche in assenza di
eventi eclatanti l’elemento emotivo sussiste sempre: se i discenti esprimono indifferenza non
dobbiamo dimenticare che si tratta comunque di un’emozione. Però per questo è necessario che i
formatori siano preparati a gestire prima le proprie e poi le altrui emozioni, almeno a livello di
consapevolezza degli ambiti che le emozioni coprono. Conoscendo le reazioni di se stessi e degli
altri si può lavorare richiamando in causa le emozioni senza il rischio di addentrarsi in circuiti
“pericolosi” che possono scatenare dinamiche personali o interpersonali di esclusiva competenza e
capacità di gestione degli esperti in psicologia. Gestire le emozioni ed evitarne i rischi non vuole
infatti dire trasformarsi in psicologo, bensì sapere entro quali confini potersi muovere senza
operare danni, questo sì che è auspicabile.
Per questo una didattica emotiva diventa un’occasione per ampliare il ruolo della scuola a tutto
beneficio degli alunni/studenti. Una scuola che fa entrare le emozioni in classe, che “approfitta”
della loro naturale presenza, diventa un’istituzione che si impegna su un fronte ampio, in cui gli
obiettivi diventano di tipo generale perché non riguardano solo l’istruzione in senso classico, ma la
formazione umana.
Trasformare le emozioni in risorsa consente all’insegnante/docente una serie di vantaggi preziosi in
termini di stimolo per l’apprendimento (ma anche per l’insegnamento), sintonia nella relazione
formatore-allievo, comunicazione più profonda, lavoro più significativo. Elementi, questi, che
potenziano il coinvolgimento dell’alunno/studente, creano una partecipazione attiva e collaborativa,
generano un efficace apprendimento personale e condiviso, creano un clima di gruppo favorevole
all’apprendimento e allo sviluppo di relazioni.
Lasciare fuori dalla formazione le emozioni, significherebbe “svuotare” la classe e renderla un
luogo asettico e “freddo”, in cui le relazioni diventano impersonali e i contenuti didattici “una
minestra da ingerire per forza”.
Far entrare le emozioni in classe, vuol dire creare un “contatto” tra insegnante/docente e alunno/
studente e dar vita a un gruppo-classe. Quest’ultimo diventa un importante strumento per
l’apprendimento poiché assume la funzione di sostegno emotivo, di contenimento dell’ansia e di
aiuto per tollerare le frustrazioni legate all’apprendimento e alla valutazione[25].
A far entrare in gioco le emozioni a scuola, rendendole uno strumento facilitatore per
l’apprendimento possono essere, ancora, l’interesse, le situazioni in cui si stimolano la curiosità, la
sfera dei desideri, delle aspettative, cercando contatti con l’esperienza e la vita personale degli amici
di classe e dell’insegnante/docente.
Questo, attenzione, non vuol dire per l’insegnante/docente porre enfasi sul fatto emozionale ed
estremizzarlo, abolendo il confine tra formatore e allievo. Significa, invece, coinvolgere, valorizzare
il singolo che insieme agli altri crea un gruppo, invitare alla partecipazione attiva. E questo
utilizzando anche altri strumenti diversi dai libri e dalla lezione classica, mi riferiscono all’impiego
di foto, filmati, musica, ballo, teatro, racconti, attività umoristica, sport, lavoro di gruppo, ma anche
“uscite” e visite guidate (musei, biblioteche, luoghi di interesse storico) e così via, elementi questi
che, assieme “al saper fare” dell’insegnante-docente, diventano utili strumenti di coinvolgimento e
di partecipazione, generatori al loro volta di emozioni.
Ogni relazione educativa tra insegnante-docente e alunno-studente deve essere infatti incontro e
scambio, partecipazione e alleanza, fiducia e stima, dialogo e comprensione. E in questo clima le
emozioni non possono essere tralasciate.
Riassumiamo gli ambiti che concorrono a marcare l’importante centralità delle emozioni nella
didattica:
– la formazione degli insegnanti-docenti all’uso in classe delle emozioni nella didattica per
facilitare l’apprendimento;
– l’apprendimento come risultato della spinta propulsiva delle emozioni;
– il coinvolgimento, il dialogo, la fiducia, la comprensione come risultato dello stimolo delle
emozioni;
– la relazione formatore-allievo, in stretta connessione con le emozioni;
– la crescita personale e il cambiamento, che nelle emozioni rintracciano il proprio impulso;
– il gruppo–classe come luogo cui le emozioni più si manifestano.
Azione didattica
Dunque il riconoscimento e la gestione consapevole dell’emotività non può che generare aspetti
positivi perché l’emozionare e l’emozionarsi generano quel segno con cui si apriva questo breve
percorso di riflessione in cui si sostiene che l’intelligenza emotiva è alla base della didattica.
Didattica inclusiva della dimensione emotiva e affettiva
Emozioni e variabili psicologiche nell’apprendimento
Le emozioni giocano un ruolo fondamentale nell’apprendimento e nella partecipazione. È centrale,
pertanto, sviluppare una positiva immagine di sé e quindi buoni livelli di autostima e autoefficacia
e un positivo stile di attribuzione interno. La motivazione ad apprendere è fortemente influenzata
da questi fattori, così come dalle emozioni relative all’appartenenza al gruppo dei pari e al gruppo
classe. L’educazione al riconoscimento e alle gestione delle proprie emozioni e della propria sfera
affettiva è indispensabile per sviluppare consapevolezza del proprio sé.
- Dimensione metodologica
Nel metodo didattico entrano in gioco forme procedurali che costituiscono la via razionale per il
raggiungimento di un obiettivo, di uno scopo, di un fine educativo, mettendo in relazione dinamismi
mentali e oggetti della cultura.
Al metodo possono essere riferiti aspetti quali lo stile educativo, l’organizzazione dei contenuti
culturali, la strutturazione di un processo didattico in sequenze di apprendimento, le forme di
raggruppamento di educatori e soggetti in apprendimento, le forme del lavoro didattico (metodiche,
tecniche...)
E la messa in atto del metodo deve rispondere ai principi di razionalità, tecnico-praticità ed etica.
Conclusioni
Riepilogando quanto finora detto in questo brevissimo percorso di riflessione, si può asserire che la
didattica inclusiva nasce come una possibile risposta alle nuove sfide che la scuola si trova ad
affrontare al giorno d’oggi, in termini di complessità, inclusione, nuove modalità di apprendimento,
nuovi stili didattici, coinvolgendo tanto gli alunni quanto gli insegnanti.
Oggigiorno, infatti, la scuola non può prescindere dall’integrazione degli studenti ad una reale
inclusione degli stessi, in un clima partecipativo e collaborativo.
Per ottenere una piena inclusione si rende necessaria la modifica dell’ambiente in classe ma non
solo, al fine di consentire le espressioni individuali e le caratteristiche degli studenti, che
necessariamente saranno sempre diverse a seconda dei contesti.
Le complessità che la scuola deve fronteggiare sono infatti molte, e riguardano i più svariati ambiti
dell’apprendimento: una scuola inclusiva deve sapersi adattare anche alle diverse esigenze di
apprendimento degli studenti.
Queste possono riguardare ragazze e ragazzi con bisogni educativi speciali dell’apprendimento, o
con alcune criticità ambientali, che possono essere sociali, linguistiche, familiari.
La scuola e gli insegnanti possono sviluppare diverse strategie per adattare le metodologie di
apprendimento ai diversi contesti in cui si trovano di volta in volta.
In questa ottica le emozioni giocano un ruolo fondamentale nella didattica, diventando una risorsa
importante per la formazione. Facendo uso nella formazione di emozioni, questa diventa più
efficace, più trascinante, più vicina alla persona, più profonda e più significativa.
Abbiamo notato che tanti sono gli effetti positivi delle emozioni nella didattica: creano desiderio di
partecipazione attiva; generano coinvolgimento, impegno, fiducia; riproducono un clima classe
collaborativo e disteso; aumentano l’interscambio costruttivo, creano un gruppo-classe,
consentendo alle relazioni di svilupparsi in un clima favorevole.
La costruzione di un clima umano positivo, con tutte le emozioni che appartengono alla persona, è
un elemento fondamentale per avvantaggiare l’apprendimento, favorire la formazione, garantire in
classe un buon equilibrio psicologico e un’identità positiva a favore degli alunni-studenti. In questa
maniera l’attivazione dei processi cognitivi e metacognitivi è fortemente incentivata e
l’apprendimento diventa autentico anche di fronte a oggettive difficoltà fisiche.
Bibliografia
L. S. Vygotsky, Pensiero e linguaggio, Giunti, Firenze 1966, p. 225 (orig. 1934).
J. Piaget, La nascita dell’intelligenza nel fanciullo, trad. it., Giunti e Barbera, Firenze 1991, p. 215,
(orig. 1936).
Cfr. H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità della intelligenza, trad. it., Feltrinelli,
Milano 2010, (orig. 1983).
D. Goleman, Intelligenza Emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Bur, Milano 2011, (orig.
1995).
Cfr. B. S. Bloom, Caratteristiche umane e apprendimento scolastico, Roma, Armando, 1979, ora
2006 (orig. 1976).