S.agata Final - Compressed
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Anno accademico
2019/2020
- R. Facciolli: nella relazione sui “Lavori compiuti dall’Ufficio Regionale” del 1898, redatta dall’ingegnere Facciolli, sono riportati in maniera piuttosto dettagliata e a mo’ di resoconto
cronistorico sia le motivazioni di fondo che hanno condotto all’escavazione all’interno della navata della chiesa, sia i risultati ottenuti dopo gli interventi effettuati. L’autore esordisce con una
constatazione di fatto: il pavimento della chiesa sul finire del XIX secolo è in condizioni davvero deplorevoli, per cui urge una tempestiva manutenzione che possa conferire nuova dignità allo
stabile tutto. I sondaggi toccano una quota di – 2,80 m e riportano alla luce una porzione di mosaici che, su base stilistica e iconografica, sono stati ricondotti al V secolo d.C.
- A. Testi Rasponi (1915, Note agnelliane: i vescovi ravennati del 5. secolo): interessantissima la sua dissertazione sull’appartenenza cronologica della parte inferiore dell’abside fino alle finestre:
qui, materiale e metodo di costruzione sono a suo giudizio di V secolo (in accordo quindi con quel modus construendi che, protraendosi fino ad epoca teodoriciana, prevede l’uso di mattoni
frammentari uniti con calce bianca e breccia). I laterizi di Sant’Agata sono in effetti frammentari (presentano le seguenti misure, cm 41 x 31 x 7,5) e sono immersi in una malta di calce bianca con
abbondante breccia. Come riporta l’autore, se la breccia è abbondante soprattutto nelle opere barbariche, mentre è finissima in quelle imperiali, si può allora agevolmente concludere che l’abside
doveva collocarsi orientativamente tra il 476 e il 526 (da Odoacre sino alla morte di Teodorico, quando i laterizi raggiungono invece le misure di 44 x 32 x 7 cm).
- G. Gerola: importantissimo il ruolo rivestito dal veneto Giuseppe Gerola; la sua grande sensibilità per l’arte e la cultura in generale, senza alcuna forma di campanilismo individuale, lo hanno
portato a ricoprire cariche e ad intraprendere opere di grande impatto e risonanza per le comunità che beneficiarono del suo contributo. Tra queste, sicuramente di vitale importanza per la storia
degli studi ravennati è stato lo scavo archeologico del giardino antistante alla chiesa di Sant’Agata. La lungimiranza del Gerola, nel suo ruolo di Soprintendente, lo ha portato alla scoperta di un
atrio d’ingresso alla basilica, del tutto dimenticato dalle fonti storiche locali, nonché al rinvenimento di numerose arche sepolcrali, attualmente ancora esposte in situ e di cui cui si parlerà più
avanti (Il quadriportico di S. Agata, 1934).
- G. Bovini: va citato il suo instancabile e minuzioso lavoro archivistico, finalizzato alla ricerca di testimonianze concrete sugli scavi condotti dal Facciolli nel 1898. L’indagine del Bovini getta
nuova luce sugli interventi ottocenteschi nella chiesa e sulla probabile destinazione dei frammenti rinvenuti in quel momento storico. Si arriva a comprendere, infatti, come i mosaici rintracciati a
2,80 m di profondità potessero ubicarsi in sedi diverse da quella originaria di S. Agata (quali il Palazzo di Teodorico e la Chiesa di S. Francesco) e come di questi si fosse persa ogni traccia nel
torno di una cinquantina d’anni dal loro ritrovamento (Rintracciati due frammenti del mosaico pavimentale della chiesa ravennate di S. Agata Maggiore, 1966).
- P. Martinelli Angiolini: l’autrice si sofferma sull’ambone presente nella chiesa, odiernamente conservato tra la nona e la decima colonna del colonnato settentrionale. È in marmo bianco, con
venature orizzontali di colore grigio – verde cupo; consta di due parti quasi semicircolari e deve avere avuto in passato una base alta 1,50 m. La tipologia “a balcone” sembra avvicinarlo a quelli
ravennati di Santo Spirito e S. Apollinare Nuovo; tuttavia, il tipo tutto particolare di decorazione ci orienta verso l’ambone presente nella Basilica del Foro Severiano di Leptis Magna. Se questo di
S. Agata non è reimpiegato, potrebbe allora datarsi al VI secolo (Amboni ravennati, 1966; Corpus Ravenna I, 1968).
- F. W. Deichmann: immenso il contributo dello studioso tedesco, cimentatosi in un’enciclopedica raccolta di dati e informazioni su monumenti e opere ravennati. In quest’eterogeneo e vasto
corpus (Hauptstadt des spätantiken Abendlandes I eII), una sezione molto importante è dedicata proprio alla chiesa di S. Agata; oltre al compendio storico sulla genesi della basilica, vi si trovano
fondamentali e numerosi riferimenti ai materiali presenti nello spazio chiesastico, sia in opera che decontestualizzati. Degna di nota è l’analisi dei capitelli e dei rispettivi pilastri di sostegno,
“censiti” tipologicamente e cronologicamente.
- S. Pasi: ulteriore conferma sulla probabile costruzione (o ricostruzione) dell’area absidale/presbiteriale nel VI sec. L’autrice evidenzia come i resti degli intradossi delle finestre dell’abside, dei
lacerti musivi conservati nelle tre finestre centrali dell’emiciclo, siano vicini a dei pattern iconografici molto diffusi nel VI secolo d.C., inserendosi questi così molto bene nel contesto di ipotetico
rifacimento della zona terminale dell’edificio nel secolo summenzionato (La decorazione musiva degli intradossi delle finestre absidali della basilica di S.Agata Maggiore di Ravenna, 1984).
- E. Russo: diversi i suoi contributi sulla basilica di Sant’Agata, alcuni dei quali toccano aspetti differenti sull’edificio. In particolare, degno di nota è lo scavo condotto nell’area presbiteriale della
chiesa, alla metà degli anni 80; l’indagine ha permesso di arrivare sino al piano di calpestio antico, ad una quota di 2,10 m circa, e di rinvenire le tracce della cattedra vescovile e dell’emiciclo dei
subsellia. L’approfondimento nella zona sacra, inoltre, ha restituito tutta una serie di materiali utili all’individuazione cronologica della terminazione absidale in questione, tra i quali numerosi tubi
fittile che, sulla base della tecnica per la loro messa in opera, sono stati ricondotti al VI secolo (Scavi e scoperte nella chiesa di S. Agata di Ravenna. Notizie preliminari, 1989; Nuovi dati per la
conoscenza delle volte in tubi fittili dallo scavo della chiesa di S. Agata di Ravenna, 2003).
- E. Cirelli: nel suo libro del 2008, Ravenna: archeologia di una città, ha gettato le fondamenta per uno studio archeologico integrale della città adriatica, nel quale affrontare in maniera analitica e
di dettaglio i resti monumentali (e non) presenti nel centro romagnolo. Tra queste vestigia del passato, uno sguardo è stato gettato anche sul complesso di S. Agata, per il quale si sono messi in
evidenza (anche tramite elaborazioni GIS), i diversi elementi cronologici che compongono l’edificio: l’abside e il quadriportico, entrambi con mattoni di tipo giulianeo, sono quelli che
maggiormente contribuiscono all’individuazione della chiesa.
Compendio storico sulla basilica
Dedicata alla martire catanese, al pari di altre due chiese attestate a Ravenna in età medievale (S. Agata de Mercato e S. Agata Pittula),
la basilica di Sant’Agata Maggiore era situata a Ravenna nell’antica regio Circli, prospiciente il corso dello scomparso fiume
Padenna. Mancano sicure notizie sulla sua fondazione, assegnata comunque in età tardoantica. Più che la presenza del monogramma del
vescovo Petrus (identificato dallo Zirardini con Pietro II, 494-519) in un pulvino del colonnato – possibile reimpiego posticcio – offre
più solido appiglio il richiamo del protostorico ravennate Agnello alla sepoltura del vescovo Giovanni I (477-494), già effigiato sopra la
cattedra, e forse identificabile come il fondatore della chiesa. La muratura dell’abside poi, che utilizza nella parte superiore i cosiddetti
mattoni giulianei (diffusi negli edifici di età giustinianea), unitamente ai tubi fittili nel catino, fa pensare a un completamento della zona
presbiteriale nel VI secolo avanzato, forse durante l’episcopato di Agnello (556-569), che qui servì come diacono e fu sepolto. A
quest’epoca doveva risalire anche la decorazione musiva del catino absidale, di cui permangono miseri resti leggibili nell’intradosso delle
finestre, e che cadde durante il terremoto dell’11 aprile 1688; un disegno del padre Cesare Pronti, pubblicato dal Ciampini (1699), ne
testimonia l’iconografia, con Cristo assiso su di un trono gemmato “a lira” e fiancheggiato da due angeli con baculum in mano, collocati
su di un prato fiorito. Ancora durante il VI secolo, sulla fronte della chiesa fu innalzato un quadriportico con loggiato interno, a
racchiudere un’area con destinazione ancora non chiara (cimiteriale o liturgica). L’aspetto attuale della chiesa di S. Agata Maggiore si
deve in buona parte agli interventi attuati alla fine del Quattrocento, quando si procedette all’innalzamento del pavimento per fare fronte
alla subsidenza del terreno, reimpostando così l’intero colonnato. Attorno a quello stesso periodo fu probabilmente eliminato anche
l’antistante quadriportico, per innalzare l’attuale campanile cilindrico (1560). Altri interventi si ebbero dopo il terremoto del 1688, come
il rialzamento dell’arcone absidale, o quello all’inizio dell’Ottocento, quando venne costruito il robusto arcone di sostegno all’altezza
della terza colonna, con aggiunta di contrafforti esterni; e ancora quello del 1892, quando nello scavo fu esplorato il primitivo livello
tardoantico (a m. 2,80): in quell’occasione fu estratto un lacerto dell’originario mosaico pavimentale, recante motivi fitomorfi molto
vicini a modelli nordafricani di V secolo. Nei restauri effettuati da Giuseppe Gerola, fu sia liberato il presbiterio dalle suppellettili
barocche, che la facciata da una serie di edifici che ne compromettevano la leggibilità. Si intraprese uno scavo del quadriportico, del
sepolcreto antistante e, alla fine di questi lavori, si innalzò davanti all’ingresso l’attuale protiro rinascimentale, proveniente dalla vicina S.
Nicolò. S. Agata, tuttavia, ha visto anche altri interventi: quelli del 1963-64, quando furono aperte le originali finestre dell’abside, e
quelli su più vasta scala effettuati tra il 1979 e il 1989, quando ci fu il rifacimento del tetto ligneo e della pavimentazione in cotto.
L’interno della chiesa di Ravenna, come oggi si presenta pur attraverso successive alterazioni e restauri, conserva in buona parte quella
che doveva essere l’originaria spazialità dell’edificio tardoantico; la pianta è di tipo basilicale orientata, a tre navate (spartite da arcate
poggianti su colonne) e con abside di tipo ravennate (poligonale all’esterno e semicircolare all’interno).
Topografia della chiesa in antico
La basilica di Sant’Agata Maggiore
(definita maggiore perché, come
anticipato, nel Medioevo a Ravenna
vi erano altre due chiese dedicate
alla santa) sorse in posizione
prospiciente il fiume Padenna (ora
scomparso, ma il cui corso è
ravvisabile nell’attuale Via Mazzini)
e in prossimità del circo cittadino (di
cui si conserva la memoria nella “via
del cerchio”, proprio sul lato
meridionale dell’edificio).
Fig. 1: in rosso la chiesa e l’area dell’ippodromo; in bianco via
Mazzini [N/S] e via del Cerchio [E/O] (elaborazione dell’A. da https://
www.google.it/maps).
Ubicazione della chiesa nella Regio dell’Ippodromo
Resti musivi con motivi vegetali ancora presenti negli intradossi delle finestre
dell’emiciclo, con tutta probabilità strettamente collegati alla stesura di VI secolo.
Il modello architettonico, sulla base degli scavi effettuati, si avvicina molto agli ambienti presenti nella
chiesa di S. Giovanni Evangelista, con un rimando quindi a soluzioni cantieristiche tipiche del V secolo.
Fig. 13: mosaico di S. Agata proveniente dalla basilica di S. Francesco, ritrovato nel XX secolo
(da FARIOLI CAMPANATI 1987, p. 133).
Intervento di rialzo strutturale ad opera dei fratelli Spreti
Tra gli anni 1476 – 1494 si ebbe un rialzo pavimentale e, contestualmente ad esso, una poderosa opera di
sistemazione architettonica che comportò il sollevamento dei pilastri e il taglio di una porzione della muratura
della navata centrale, cosicché lo spazio interno non risultasse troppo schiacciato dopo l’innalzamento. Il motivo
di tale operazione, comune ad altri monumenti ravennati, è dovuto al problema della subsidenza e della risalita
dell’acqua di falda; per arginare tale fenomeno, in antico, si ricorreva al rialzo del piano di calpestio.
Fig. 26: ricostruzione 3D del quadriportico (elaborazione dell’A. con software Sketchup).
Prima del quadriportico: la Canonica settecentesca
Nell’analizzare lo spiazzo e la facciata della chiesa ci si può agevolmente appoggiare alla
documentazione fornita dal Gerola, il Soprintendente dei beni archeologici ravennati che per primo
ha condotto qui gli scavi, arrivando ad alcune delle conclusioni più importanti sulla basilica.
Prima dei lavori degli anni ‘20, un piccolo corpo di fabbrica (la Canonica) si ergeva nell’attuale
giardinetto di S. Agata, alla stessa quota di Via Mazzini, e inglobava al suo interno, rinserrato
nell’angolo S - E dello spiazzo, il vecchio campanile del 1560.
Fig. 27: planimetria settecentesca del fabbricato della Canonica, redatta al tempo del Cardinale Falconieri;
si nota come lo spazio dell’attuale giardinetto sia occupato da divisori e ambienti (da GARDINI 2012, p. 79).
La demolizione della Canonica e l’avvio degli scavi
Fig. 28: foto d’epoca della Canonica di S. Apollonia Fig. 29: Via Mazzini oggi, senza l’antica Canonica (da
(elaborazione dell’A. da GARDINI 2012, p. 79). https://maps.google.it/).
Demolizione della Canonica
Fig. 32: appunti del Gerola sulla pianta del quadriportico (da GARDINI 2012, p. 80).
Osservazioni sulla pianta rinvenuta
A Est il limite del portico era costituito dalla fronte dell’edificio di Sant’Agata, mentre a Ovest dalla
facciata del quadriportico stesso (ubicata all’incirca sulla linea dell’odierna Via Mazzini). All’interno il
corpo di fabbrica era costituito da colonne, quattro nei lati maggiori e due nei minori (sebbene in pianta
il Gerola riporti un solo pilastro per ciascuno dei due lati minori - Fig. 32). Poiché nei due lati più lunghi
l’intercolumnio centrale era più ampio degli altri, è possibile che l’arcata sovrastante fosse sopraelevata
rispetto alle altre e che questa a sua volta comportasse un rialzamento a timpano della muratura.
Fig. 33: ipotetica ricostruzione in alzato del quadriportico (da GEROLA 1934, p. 750).
Analisi della facciata della basilica
Gli scavi a Est dell’area recintata hanno accertato che le fondamenta del muro della facciata aggettano, per mezzo di
una risega di 30 cm, dal filo della cortina superiore e sono costituite completamente di muratura a sassi calcarei
irregolari. La risega non ha un livello uniforme: è più elevata all’angolo nord – est e tendenzialmente lineare sino al
punto in cui si rialza di 5 cm, al di là della prima lesena; abbassatasi di 25 cm in corrispondenza dell’altra lesena, nei
pressi della porta maggiore, dopo un ulteriore tratto rettilineo (sotto l’ingresso principale) si alza di altri 25 cm alla
successiva lesena, per poi calare di 5 cm subito dopo il quinto risalto murario. Delle 3 porte originali solo quella
centrale si conserva ancora, ma a un piano sensibilmente più alto.
Fig. 34: ricostruzione 3D della risega e stratificazione Fig. 35: andamento della risega (elaborazione dell’A. da
muraria della facciata (elaborazione dell’A. con software CIRELLI 2008, p. 121).
Sketchup).
Ipotesi sulla base dei dati murari a disposizione
Nell’angolo nord - est del cortile si è scoperto come il perimetrale esterno del
quadriportico non fosse ammorsato nella lesena angolare della basilica, ma eretto solo in
appoggio ad essa. Un’osservazione del genere assicura come, sulla base di un preciso
rapporto stratigrafico murario, l’avancorpo fosse sicuramente posteriore alla costruzione
del complesso sacro di V secolo e che dunque fosse il risultato di un’ulteriore attività
cantieristica.
Il summenzionato perimetrale correva in direzione Sud, riducendosi progressivamente
d’altezza verso via Mazzini, fino a pochi corsi al di sopra della risega di fondazione. In
generale, i perimetrali esterni del portico indagati dal Gerola sono stati rinvenuti in uno
stato di conservazione molto lacunoso, per cui si può dire solo che le suddette ali nord e
sud fossero tendenzialmente identiche, con un muro fungente da limite esterno al
camminamento interno dell’atrio.
La fronte occidentale, invece, è quella che fungeva da facciata: per essa furono previsti
due ingressi (individuati nell’indagine di scavo), disposti agli estremi nord e sud del lato
in questione.
Le lacune nella pianta del quadriportico
Per quanto riguarda la parte più interna del quadriportico, quella che cingeva il cortile aperto, si è constatato come
un’unica fondazione sostenesse muri e colonne del lato Est. La sua costruzione era in mattoni di “tipo usuale
antico” (Gerola utilizza sempre una terminologia poco specifica o comunque in linea con il lessico archeologico
dell’epoca), aveva un aggetto della risega di circa 20 cm (sia verso l’esterno, che verso l’interno) e il suo livello
era alquanto più basso rispetto a quello della facciata.
Il muro angolare a L, che occupava l’angolo nord – est del lato in questione, era costruito completamente in
mattoni giulianei: questi, nello specifico, hanno fornito il terminus post quem per l’inquadramento dell’avancorpo.
Purtroppo, dalla seconda colonna sino al supposto muro angolare sud – est del portico, non si conservavano né i
pilastri (con le rispettive basi), né la banchina di appoggio, né i filari della risega; la forte devastazione riscontrata
nella zona era dovuta principalmente alla sistemazione del campanile del 1560.
Tav IV: planimetria della chiesa (elaborazione dell’A. da PICARD 1998, p. 94).
Struttura generale dei muri angolari e delle colonne rinvenute
Fig. 36: analisi del lato interno Est del quadriportico (elaborazione dell’A. da GEROLA 1934, p. 751).
Elementi accessori allo studio del quadriportico
Lo scavo stratigrafico dell’area (quello che non interessa da vicino le murature
rinvenute) non verrà affrontato in questa ricerca, essendo la zona sostanzialmente
costellata di numerose arche e lapidi che esulano un po’ dalla tematica architettonica
dell’argomento principale.
Altro spazio non verrà concesso nemmeno alla serie di muri di epoche differenti
ritrovati nel corso dell’indagine, poiché tutti successivi alla realizzazione del primo
portico. Questi setti murari possono effettivamente aggiungere notizie in più sulle
vicende storiche intervenute sull’avancorpo tardoantico; tuttavia, si è evitato di allargare
ulteriormente il discorso su resti non propriamente paleocristiani, per non rendere
prolissa la narrazione sulla struttura antistante alla chiesa (d’altronde, se si fosse dato
adito ad una ricerca troppo certosina, si sarebbe arrivati addirittura ad includere nella
disamina tutto l’organismo settecentesco della Canonica, cosa che avrebbe creato non
pochi problemi, dato che nemmeno chi ha scavato, il Gerola, sembra essersi posto
minimamente il problema di una documentazione puntuale in merito).
Confronti con modelli di VI secolo
Il quadriportico di S. Agata è lontano da quella ricercatezza architettonica
osservabile negli atrii di S. Vitale e di S. Apollinare in Classe (di poco anteriori a
quello della basilica in questione) ed è forse addirittura l’ultimo del suo genere
ad essere eretto in epoca paleocristiana a Ravenna.
Tav. V: pianta di S. Vitale (da https:// Tav VI: pianta di Sant’Apollinare in Classe (da
colorgrammar.files.wordpress.com/ https://diakosmesis.wordpress.com/2013/12/29/
2014/07/illustrazione003-2.jpg).
architettura-cristiana-ravennate-edifici-basilicali-
santapollinare-in-classe/).
Ipotesi ricostruttiva
Certamente, esami dei resti ossei e dei corredi (quasi inesistenti) aprono ulteriori finestre sul panorama
della vita e dei protagonisti del passato, ma se nessuno di questi si rivela utile a confutare le tesi finora
proposte sulla cronologia tardoantica del complesso di S. Agata, allora entrano automaticamente
nell’ambito degli studi di settore, in particolare in quello delle mere sepolture, che per l’elaborato in
questione potrebbe risultare piuttosto “superfluo”.
Alla luce di quanto esposto finora, anche il quadriportico ha avuto una storia piuttosto travagliata e
complessa, tanto da lasciare ben poca testimonianza della sua forma antica. E in effetti, al di là delle
labili tracce dell’impianto e dei pochi corsi murari originali rinvenuti (alquanto manomessi e non troppo
utili nella ricostruzione dell’alzato), si può dire come di tale struttura si conservi oggigiorno solo un
ricordo estremamente labile, per giunta non coadiuvato dalla situazione osservabile nell’antistante area
della chiesa: gli effimeri resti di colonne disposti nel giardino appaiono decontestualizzati (monconi di
pilastri si affastellano senza una rigida geometria all’interno dello spazio) e non sembrano affatto seguire
uno schema che alla lontana possa richiamare l’originaria disposizione dei sostegni del porticato. Se
dunque la testimonianza materiale è venuta meno nella conoscenza visiva dell’avancorpo, almeno lo
studio portato avanti nell’elaborato è venuto incontro all’esigenza di una sua comprensione storica.
Altri punti andrebbero indagati e affrontati mediante una lettura puntuale ed attenta della
documentazione, ma proprio la mancanza di dati sufficienti a disposizione potrebbe rendere
difficoltoso qualsiasi proposito.
Un esempio potrebbe essere proprio quello dell’individuazione della funzione precipua del
quadriportico: semplice recinto per area funeraria (come indicherebbe l’abbondante presenza
di arche e lapidi, sebbene posteriori alla costruzione dello stesso), oppure zona originariamente
impiegata per attività rituali? Nessuna delle due ipotesi sembra escludere l’altra. Benissimo i
due usi (rituale e funerario) hanno potuto coesistere, magari fino ad un certo momento della
storia di tale avancorpo.
Appare poi singolare che in uno spazio così ridotto, quale poteva essere il piazzale residuo tra
la facciata e l’antico corso del Padenna, si sia scelto di innalzare un porticato della stessa
larghezza della basilica (che ha finito così per ingombrare del tutto il suolo antistante):