Dispense Di Fondamenti Di Meccanica Applicata
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Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica - Facoltà di Ingegneria – Università degli Studi di Firenze
DISPENSE DI:
FONDAMENTI DI MECCANICA
APPLICATA ALLE MACCHINE
Testo di riferimento
E. Funaioli ed altri “Meccanica applicata alle macchine “ vol. 1 e 2 - Ed. Patron
BOZZA 1
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Indice
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8. ROTISMI ............................................................................................................................113
8.1. ROTISMI ORDINARI ..........................................................................................................113
8.2. ROTISMI EPICICLOIDALI ...................................................................................................114
8.3. MOMENTI AGENTI SU UN ROTISMO...................................................................................118
9. DINAMICA DELLE MACCHINE ALTERNATIVE .......................................................119
9.1. MASSE RIDOTTE DELLA BIELLA IN UN MANOVELLISMO ...................................................119
9.2. ENERGIA CINETICA DEL MANOVELLISMO .........................................................................121
9.3. BILANCIAMENTO DELLE MACCHINE ALTERNATIVE MONOCILINDRICHE ...........................124
9.4. FORZA ROTANTE ..............................................................................................................126
9.5. FORZE ALTERNE...............................................................................................................127
9.6. BILANCIAMENTO DELLE MACCHINE ALTERNATIVE PLURICILINDRICHE ............................128
9.6.1. Motore con 2 cilindri a 2 tempi .............................................................................131
9.6.2. Motore con 2 cilindri a 4 tempi .............................................................................133
9.6.3. Motore con 3 cilindri a 2 tempi .............................................................................135
9.6.4. Motore con 4 cilindri a 2 tempi .............................................................................137
9.6.5. Motore con 4 cilindri a 4 tempi .............................................................................139
10. DINAMICA DI SISTEMI LINEARI CON 1 GRADO DI LIBERTÀ.........................140
10.1. POSIZIONE DI EQUILIBRIO ................................................................................................141
10.2. EQUAZIONI DI MOTO NEI SISTEMI LINEARI. ......................................................................141
10.3. FORZE ELASTICHE ............................................................................................................142
10.4. FORZE SMORZANTI: SMORZAMENTO VISCOSO ..................................................................144
10.5. EQUAZIONI DI MOTO ........................................................................................................145
10.5.1. Comportamento libero di un sistema con 1 GdL con smorzamento viscoso .........145
10.6. MOTO LIBERO ..................................................................................................................147
10.6.1. Parametri adimensionali .......................................................................................149
10.6.2. Decremento logaritmico ........................................................................................151
10.7. MOTO FORZATO ...............................................................................................................153
10.7.1. Moto forzato del sistema senza l’utilizzo dei numeri complessi ............................154
10.7.2. Moto forzato del sistema con i numeri complessi ..................................................156
10.8. RICETTANZA ....................................................................................................................157
10.8.1. Rappresentazione della ricettanza .........................................................................158
10.9. STRUMENTI SISMICI .........................................................................................................160
10.10. ISOLAMENTO DALLE VIBRAZIONI E EFFICIENZA DELLE SOSPENSIONI ...........................166
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Alcuni autori chiamano coppie elementari quelle che qui sono chiamate inferiori (vd. Lezioni di Meccanica Applicata
alle macchine, Funaioli et al.)
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I xx − I xy − I xz
I xx = ∫
Volume
( y 2 + z 2 ) ρ dV ; I xy = ∫
Volume
( x y ) ρ dV ;
I O = − I xy dove I yy = ∫ ( x 2 + z 2 ) ρ dV ; I xz = ∫ ( x z ) ρ dV ;
B
I yy I yz
− I xz − I yz I zz Volume Volume
I zz = ∫
Volume
( x 2 + y 2 ) ρ dV ; I yz = ∫
Volume
( yz ) ρ dV ;
Occorre però conoscere tutte le forze applicate al rigido e quindi anche le forze che un membro
trasmette ad un altro attraverso gli elementi della coppia cinematica che li collega; tra queste,
particolare importanza ai fini del funzionamento della macchina, hanno le forze di attrito, che sono
difficilmente valutabili con esattezza. Si ricordi che due sistemi di forze S1 ed S2 si dicono
equivalenti se hanno lo stesso risultante e lo stesso momento risultante (ovviamente fissato un
unico polo per il calcolo del momento). Guardando le equazioni cardinali della dinamica del corpo
rigido, si vede che se due sistemi di forze agenti su un rigido sono equivalenti, sono anche
dinamicamente equivalenti (ossia sostituibili ai fini del moto). Ciò non è vero in generale per un
corpo deformabile.
Se invece del passaggio: date le forze ⇒ si trovi il moto, si vuole il passaggio: imposto il moto ⇒
trovare le forze, si possono utilizzare i procedimenti grafici e/o analitici della statica, con l’artificio
di aggiungere alle forze “vere” (o più correttamente “d’interazione”), delle forze fittizie, dette forze
d’inerzia, che sono note poiché immediatamente calcolabili una volta imposto il moto!. Per ogni
punto materiale di massa m che viaggia con accelerazione a si definisce forza d’inerzia Fin = −ma .
Per un corpo rigido si trova:
R in = −Q = − Ma
G
in
{
M C = − K C = − Γ C (ω ) + ω ∧ Γ C (ω ) }
E dunque le equazioni cardinali della dinamica si possono scrivere nella forma:
R + R = 0
in e
in
M C + M C = 0
e
formalmente analoga alle equazioni della statica! (Si parla di equilibrio dinamico).
ATTENZIONE: l’equilibrio dinamico vale per ogni sistema meccanico (non solo rigido), ossia in
ogni sistema meccanico l’insieme di forze costituito dalle forze d’interazione esterne e le forze
d’inerzia che si sviluppano per effetto del moto deve risultare un insieme equilibrato.
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Le perdite sono in questo caso in diretta dipendenza con le proprietà del fluido e in particolare con
la sua viscosità. Quando il campo di sovrapressione nasce in conseguenza del moto relativo degli
elementi cinematici della coppia, si parla di lubrificazione naturale, se invece esso è ottenuto
alimentando il volume ripieno di lubrificante (meato) con un fluido messo in pressione con mezzi
esterni (pompa di alimentazione) si parla di lubrificazione idrostatica o forzata. In questo secondo
caso il moto relativo degli elementi cinematici può anche essere nullo o avvenire con velocità molto
bassa. Nelle coppie cinematiche correttamente lubrificate, l’usura degli elementi cinematici è
pressoché nulla.
La lubrificazione si dice elastoidrodinamica quando le deformazioni degli elementi cinematici,
rispetto alle dimensioni del meato, sono sensibili. Essa interessa principalmente le coppie superiori
(ruote dentate, camme, etc.) e si può a sua volta distinguere in elastoidrodinamica rigida (hard) e
soffice (soft) rispettivamente quando gli elementi cinematici sono costituiti da materiale con
modulo di elasticità molto elevato o viceversa.
La prima eventualità si manifesta ad esempio negli ingranaggi e nelle camme: lo spessore minimo
del metallo è dell’ordine di 0,1 µm e la pressione varia da 0,5 a 3 GPa, in queste condizioni la
variazione di viscosità con la pressione non può essere trascurata.
Il secondo caso si presenta essenzialmente nelle tenute quando sono presenti guarnizioni in
elastomero e nelle coppie per protesi artificiali; lo spessore minimo del meato è di circa 1 µm ed i
valori massimi di pressione dell’ordine di 1 MPa. Le variazioni del coefficiente di viscosità con la
posizione sono di nuovo trascurabili.
Sostanzialmente il problema elastoidrodinamico differisce da quello idrodinamico perché la forma
del meato non è nota a priori, ma dipende dal campo di pressione. Per qualche cenno alla teoria
della lubrificazione, si veda l’appendice a questa sezione.
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3
10 -1
2
1
-3
10
Coefficiente di attrito
1) Lubrificazione idrodinamica
2) Lubrificazione elastoidrodinamica
3) Lubrificazione limite
4) Superfici asciutte
Figura 9: Valori medi del coefficiente di attrito in scala logaritmica per varie condizioni di
lubrificazione
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Questa ipotesi è utilizzata per determinare la distribuzione della pressione nella superficie di
contatto, una volta prevista l’usura2.
2
Lo strato usurato viene assunto tale che, anche durante il logoramento, la coppia mantenga un contatto della stessa
natura!!
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Rm
Gli stessi risultati valgono pure nel caso di un innesto a frizione monodisco.
P P
Frizione monodisco
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dx h
h0 h1
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Puleggia h
O Direzione di
accostamento
R hcosθ
L’altezza dello strato usurato in posizione angolare ϑ , (riferita alla direzione di accostamento), vale
h cos ϑ . Si assume una profondità unitaria.
Il volume del materiale asportato in corrispondenza di un elemento Rdθ , individuato dalla
posizione ϑ , dopo una rotazione relativa Ω , è Rdϑ h cos ϑ ; per l’ipotesi di Reye si ha :
Rdϑ h cos ϑ ≡ fp (ϑ ) Rdϑ RΩ ⇒ p (ϑ ) ≡ cos ϑ ⇒ p (ϑ ) = c cos ϑ
volume di materiale asportato lavoro delle forze di attrito
in rotazione relativa Ω
La direzione di accostamento non coincide in generale con la direzione della risultante Fp delle
azioni radiali p, né con l’asse di simmetria del ceppo.
O
γ
Bisettrice
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D’altra parte, proiettando tutte le azioni di pressione sulla retta di angolo γ , si deve trovare il valore
della risultante Fp :
δ
1
Fp = ∫ 2δ p cos (α − γ ) Rdα = … = cR δ cos ( β − γ ) + sin δ cos ( β + γ ) (Β) .
−
2 2
Dunque le azioni di pressione p(ϑ ) = c cos ϑ equivalgono ad una forza diretta secondo l’angolo γ
individuato tramite la relazione (A), e di modulo determinato dalla relazione (B).
Analogamente a quanto succedeva negli esempi precedenti, da considerazioni di equilibrio si può
ricavare questa forza ed utilizzare la relazione (B) per trovare la costante c, e dunque la
distribuzione di pressione.
Calcoliamo la forza equivalente alle azioni d’attrito: è evidente che la loro risultante varrà T= fFp e
sarà diretta ortogonalmente alla direzione individuata dall’angolo γ ; inoltre sarà applicata ad una
distanza d da O tale che:
+
δ δ
2 4sin( )
2 cos γ
∫δ fp (ϑ ) R dϑ = Td = fFp d ⇒ d = R
2
δ + sin δ
−
2
momento frenante M f
Si indichi con K la intersezione delle rette d’azione di T ed Fp : è immediato notare che al variare di
γ , tale punto descrive una crf. di diametro l0 = 4 R sin(δ 2) (δ + sin δ ) giacente sull’ asse di
simmetria del ceppo, passante per O. Tale crf è detta “del Romiti” o “ausiliaria” ed è tracciabile non
appena si conoscano le caratteristiche geometriche della coppia. Si noti che al variare di γ (ossia al
variare della posizione di K sulla crf.), la risultante delle azioni normali e tangenziali di scambio
passa sempre per un punto P0 appartenente alla crf. ausiliaria: difatti l’angolo alla circonferenza
OKP0 è invariante, valendo ϕ = arctan f , dunque non varia la lunghezza dell’arco sotteso OP0 ,
ossia la posizione di P0.
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B)coppia rotoidale: ogni atto di moto del ceppo si può considerare la composizione di una
rotazione intorno al centro O della puleggia, inessenziale
all’accostamento, ed una traslazione (che determina la direzione d’accostamento) in direzione
ortogonale ad (O – O1), dove O1 simboleggia il centro di rotazione del ceppo, difatti:
∀P solidale al ceppo : dP = ω ceppo dt ∧ ( P − O1 ) = ω ceppo dt ∧ ( P − O) + ω ceppo dt ∧ (O − O1 )
C) ceppo flottante (ceppo incernierato ad una leva, a sua volta incernierata al telaio): si lascia al
lettore per esercizio (si utilizzi l’equilibrio al ceppo, il punto P0, e la relazione tra γ e β ).
Nel caso di corpo perfettamente elastico il diagramma delle pressioni è comunque simmetrico e
dunque le azioni di pressione equivalgono comunque ad una azione normale passante per il centro
della ruota.
In realtà, imposto il rotolamento, esistono diversi fattori (il principale è la non perfetta elasticità)
che fanno spostare in avanti nel senso del moto il centro delle pressioni, di una lunghezza u detto
parametro d’attrito volvente ( 0 < u < c ).
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Dunque le azioni di pressione equivalgono ad Rn passante per il centro della ruota e coppia che si
oppone al rotolamento M a = Rn u .
Il lavoro dissipato per unità di percorso è :
dLa M a dϕ M a ds M a Rn u
= = = = .
ds ds ds r r r
dL ds u
Definiamo coeff. d’attrito volvente o di rotolamento: f v = .
Rn r
Nota: il coefficiente d’attrito volvente è praticamente lo stesso in condizioni statiche e cinetiche.
∫ W (t )dt ∫ η (t ) W
r i m (t )dt
ηmedio =
t0 t0
t1
= t1
∫ Wm (t )dt
t0
∫W
t0
m (t )dt
3
Per la precisione, i vincoli ideali sviluppano reazioni che compiono lavoro virtuale nullo, quale che sia il sistema di
spostamenti virtuali applicati al sistema: è noto che se il sistema è a vincoli fissi, ogni spostamento reale può essere
assunto come un particolare spostamento virtuale.
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N.B.: in pratica, a parte moti artificiosi di nessun interesse applicativo, un meccanismo è a regime
assoluto, solamente quando lo è ogni suo membro.
Lr Lr1 + Lr 2 + ..... + Lr n
η= = =
Lm Lm1 + Lm 2 + ..... + Lm n
η1 ⋅ Lm1 + η2 ⋅ Lm 2 + ..... + ηn ⋅ Lm n
=
Lm1 + Lm 2 + ..... + Lm n
(media ponderata dei rendimenti, con pesi i lavori motore)
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k
Si noti che η ′ < 0 ⇔ η < : poiché usualmente k ≅ 1 , ciò implica approssimativamente η < 0.5 ,
1+ k
ossia le macchine ad arresto spontaneo hanno basso rendimento.
Facendo l’equilibrio in direzione ortogonale a quella della reazione R, si ha (si ponga ϕ = arctg f ):
sen (α + ϕ )
Psen ( β + ϕ ) = Qsen (α + ϕ ) ⇒ P = Q
sen ( β + ϕ )
e, nel caso ideale:
sen (α )
P0 = Q
sen ( β )
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P0
η=
P
senα sen ( β + ϕ ) senα ( sen β ⋅ cos ϕ + senϕ ⋅ cos β ) 1 + f ctg β
η= = =
sen (α + ϕ ) sen β sen β ( senα ⋅ cos ϕ + senϕ ⋅ cos α ) 1 + f ctgα
Il rendimento di moto retrogrado può essere calcolato, dopo aver determinato P′ . Si troverà che
allo stesso risultato si poteva pervenire invertendo il rendimento di moto diretto e “cambiando
segno all’attrito”, (ossia scambiando f con –f ).
1 − f ctgα
η′ =
1 − f ctg β
Si noti che, essendo β > α si ha che η ′ < 0 ⇔ α < ϕ . Il moto retrogrado è possibile se α ≥ ϕ ,
anche se per innescarlo dovrà essere α > ϕ a .
Si consideri il rendimento del perno che ruota internamente alla sua sede, sottoposto alle forze
d’interazione con la sede stessa (che, per quanto detto sopra, equivalgono ad una forza tangente al
circolo d’attrito), alla forza resistente Q assegnata ed alla forza motrice P, di cui è nota solamente la
retta d’azione.
Applicando l’equilibrio dei momenti intorno ad H, si conclude che la reazione vincolare R deve
passare per H. Dovendo essere anche tangente al circolo d’attrito, si hanno due possibili rette
d’applicazione per questa forza; come al solito l’indeterminazione è superata guardando al caso
ideale ed osservando il senso di rotazione. La retta è quella tratteggiata nella figura su riportata.
Con queste informazioni è possibile chiudere il triangolo dei vettori e trovare la soluzione
graficamente.
Analiticamente, si ha:
eq. delle forze (utilizzando tr. Carnot ) : R = P 2 + Q 2 − 2 PQ cos θ
eq. dei momenti : R ρ + Qb = Pa
Si hanno due equazioni nelle due incognite R e P, e dunque con un po’ di manipolazioni algebriche
il sistema è risolubile. Qui siamo interessati ad una soluzione semplificata:
Dall’equilibrio dei momenti è possibile calcolare P in funzione di Q e R: P=(Qb+R ρ )/a. Non
commetteremo un grosso errore se valuteremo P sostituendo R0 (modulo della reazione vincolare
nel caso ideale) ad R.
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Qb 2 Qb b2 b
R0 = P02 + Q 2 − 2 P0Q cos θ = ( ) + Q 2 − 2( )Q cos θ = Q 2 + 1 − 2 cosθ
a a a a
Qb + R ρ Qb ρ b2 b
dunque: P = = + Q 2 + 1 − 2 cos θ
a a a a a
P 1
da cui η = 0 =
P 1 1 2
1 + ρ 2 + 2 − cos θ
a b ab
1 1 2
mentre η ′ = 1 − ρ 2 + 2 − cos θ
a b ab
Le rette d’azione delle reazioni dei collari come al solito si trovano osservando il verso dei
componenti ideali dal caso ideale e che il verso delle componenti d’attrito è tale da opporsi al moto.
La soluzione grafica si riduce al banale problema statico delle quattro forze.
Risolviamolo in maniera analitica. Imponendo l’equilibrio in direzione ortogonale a quella delle due
reazioni vincolari:
P cos (α + β ) = Q cos ( β − ϕ ) ⇒ P0 cos α = Q cos β
cos β cos (α + ϕ ) cos β ( cos α ⋅ cos ϕ − sin α ⋅ sin ϕ ) 1 − f tgα
η= = =
cos ( β − ϕ ) cos α cos α ( cos β ⋅ cos ϕ + sin β ⋅ sin ϕ ) 1 + f tg β
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Sia α l’inclinazione dell’elica4 media (l’intersezione tra il filetto ed il cilindro coassiale con la vite e
raggio rm ) , sia ϑ l’angolo che le generatrici dell’elicoide formano con un piano normale all’asse
della vite e h sia il passo della vite.
Ipotesi fondamentale:
a) Il carico Q è assiale.
b) Le dimensioni assiali del filetto sono piccole, così da poter supporre una distribuzione di
pressione uniforme lungo una generatrice. Pertanto è lecito considerare, anziché forze per
unita di superficie, forze per unità di linea (elica media): p = dF dl
Riferiamoci a rotazione della vite di un angolo 2π , in condizioni di regime.
Dal teorema delle forze vive:
Lm = Lr + Lp ⇔ M m 2π = Q h + Lp
4
Per definizione l’elica è una linea che si sviluppa su una superficie cilindrica e che taglia le sue generatrici con angolo
costante. Ogni punto del filetto, nel moto relativo vite-madrevite, descrive un elica. L’intersezione tra il filetto ed un
cilindro coassiale alla vite è un elica.
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Q h + Lp
da cui M m = .
2π
Per valutare L p , facciamo alcune considerazioni.
Sviluppiamo su un piano il tratto percorso durante una rotazione un punto appartenente all’elica
media. Notiamo che tan α = h 2π rm , mentre la lunghezza di tale tratto è h sin α . Dunque il lavoro
L L
hf p hf
perduto è: L p = ∫
sin α O∫
dl = p dl , dove L è la lunghezza della porzione di elica media
O
sin α
interessata al contatto vite-madrevite.
L’integrale che appare in questa formula, è facilmente ricavabile dalla imposizione dell’equilibrio
in direzione assiale:
L L L
Q
Q = ∫ p cos γ dl − ∫ fp sin α dl ⇒ ∫ p dl =
O O O
cos γ − f sin α
Qh
L
1 fh f Qh
e dunque: M m = Qh +
2π sin α ∫ p dl = 2π 1 + sin α ( cos γ − f sin α ) ⇒ M mo =
2π
.
0
Calcoliamo il rendimento:
sin α cos α
1− f
M mo 1 sin α cos γ − f sin α
2
cos γ cos α
η= = = = =
Mm f sin α cos γ + f cos 2 α cos α
1+ 1+ f ctg α
sin α ( cos γ − f sin α ) cos γ
1 − f ′ tg α cos α
η= con f ′ = f si noti ϑ = 0 ⇒ f = f ′
1 + f ′ ctg α cos γ
Ponendo ϕ ′ = arctan f ′
1 − f ′ tgα 1 − tgϕ ′tgα tgα
η = tg α ⋅ = tgα = .
tgα + f ′ tgα + tgϕ ′ tg (α + ϕ ′ )
tg (α − ϕ ′ )
Con il noto procedimento è immediato ricavare: η ′ =
tgα
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Si noti che γ è determinato una volta fissati α e ϑ , difatti: si consideri un punto P sull’elica media,
la generatrice dell’elicoide, la tangente all’elica media e la azione di pressione passanti di lì
individuano direzioni a due a due ortogonali.
Poniamo un riferimento con origine in P, asse z parallelo all’asse della vite, asse x radiale ed y di
conseguenza. Scomponiamo in questa terna i versori che individuano tali direzioni:
n1 = [ cos ϑ 0 − sin ϑ ]T (generatrice)
n2 = [ 0 cos α sin α ] (tangente)
T
n3 = [ cos β1 cos β 2 cos γ ] (azione di p.)
T
Dalla prima vale cos β1 = cos γ tan ϑ , dalla seconda cos β 2 = − cos γ tan α ; introducendo nella terza
si ha
(
cos γ = 1 + tg 2ϑ + tg 2α )−1 / 2
.
Se ϑ = 0 (viti a filetto rettangolare) ⇒ α = γ
Se ϑ > 0 ⇒ γ > α .
Assegnati f ,ϑ ⇒ η = η (α ) , il cui grafico non è, in teoria, facilmente tracciabile poiché
tan α
η= dipende da α , anche tramite la dipendenza di ϕ ′ da α … ma se α è piccolo:
tan(α + ϕ ′(α ))
f f
tan ϕ ′ = f cos α 1 + tan 2 ϑ + tan 2 α = 1 − sin 2 α sin 2 ϑ ≈ , e dunque si può assumere
cos ϑ cos ϑ
costante su α e immediatamente calcolabili poiché f ,ϑ sono assegnati.
tan α
A questo punto è facile tracciare il diagramma di η (α ) = e vedere che ha un massimo
tan(α + ϕ ′)
π ϕ′
per α = − .
4 2
Con la stessa ipotesi semplificativa è immediato constatare che il diagramma di η ′(α ) si ottiene da
quello di η (α ) , “ritardandolo” di un angolo ϕ ′ . Dal diagramma si nota che η ′ < 0 per α < ϕ ′ (vite
irreversibile), così come era immediato desumere dalla espressione generale di η ′ .
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Consideriamo il moto di un fluido viscoso entro un volume (meato) in cui una dimensione è molto
minore delle altre due. Il volume è dunque definito, istante per istante, (visione Euleriana) da due
funzioni:
yB= yB (x,z) e yA= yA (x,z).
Le due superfici sono in moto rispetto al riferimento, e sono dunque definite su ogni punto delle due
superfici le velocità:
cB = u B ( x, z ) i + vB ( x, z ) j + wB ( x, z )k
c A = u A ( x, z ) i + v A ( x, z ) j + wA ( x, z )k
che sono assegnate. Si ipotizza:
• il fluido è di Newton-Stokes5, omogeneo, incomprimibile e con viscosità costante.
5
Un fluido si dice di Newton-Stokes se è caratterizzato dalla seguente relazione tra sforzi τij e gradiente della velocità
c (τij è la componente sull’asse di riferimento generico xj della tensione applicata alla faccetta fluida ortogonale all’asse
∂ci ∂c j 2
1 (i = j ) !
xi): τ ij = − pδij + µ( + ) − µ(∇ic )δij . Si ricordi la definizione δij =
∂x j ∂xi 3
0 (i ≠ j )
BOZZA 29
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6
Per l’espressione si rimanda a testi specializzati, si sappia che fisicamente è un numero che esprime il rapporto tra il
“peso ” delle forze di inerzia ed il “peso” delle forze d’attrito viscoso. La sua transizione verso elevati valori comporta il
passaggio da regime laminare a regime turbolento.
BOZZA 30
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Supponiamo gli elementi cinematici infinitamente lunghi in direzione z. è evidente che con questa
posizione il problema diviene bidimensionale, ossia tutte le grandezze non dipendono dalla
coordinata z. In particolare si ha p=p(x) e dalla prima di (2) abbiamo:
∂ 2u 1 dp 1 dp 2
2
= ⇒u= y + c1 y + c2
∂y µ dx 2µ dx
ma vale che, detta h l’altezza del meato:
u=-U per y=0 e u=0 per y=h. Imponendo queste due condizioni, si trova che:
c2 = −U
1 dp y
U 1 dp ⇒ u = y ( y − h ) + U ( −1) :
c1 = − h 2µ dx h
h 2µ dx
Dobbiamo ancora utilizzare l’equazione della continuità, div c = ∂ u + ∂ v = 0 .
∂x ∂y
Dal teorema della divergenza7consegue che questa equazione impone che la portata volumetrica in
direzione x per unità di profondità qx (x) non dipenda dalla sezione x alla quale la misuro:
d
h( x)
dqx
( x) = 0 ⇔ ∫ u ( x, y )dy = 0 . Dai calcoli emerge che:
dx dx 0
h h
1 dp y 2 y2 y2
h( x) h( x)
1 dp 2 y
qx ( x) = ∫ u ( x, y )dy = ∫ ( y − yh) + U ( −1) dy = − h +U − y
0 0
2µ dx h 2µ dx 3 2 0 2h
0
1 dp h dqx 1 d 3 dp U dh
⇒ qx ( x ) = − h3 −U ⇒ ( x) = − h −
12 dx 2 dx 12 dx dx 2 dx
7
∫ div c dV = ∫ c ⋅ n dA
V ∂V
BOZZA 31
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1 d 3 dp dh
h = −U (è una forma particolare della equazione di Reynolds).
6µ dx dx dx
d 3 dp dh dp dh dp 6µU c
Dunque si ha: h = −6µU ⇒ h3 = −6µU ∫ dx + c1 ⇒ = − 2 + 13 ;
dx dx dx dx dx dx h h
x x
1 1
integrando tra 0 e x: p( x) − p(0) = −6µU ∫ 2 dx + c1 ∫ 3 dx e sfruttando le condizioni al contorno
8
0
h 0
h
a
1
a a ∫h 2
dx
(p(0)=pa e p(a)=pa), si trova: p(a) − p (0) = pa − pa = −6µU 12 dx + c1 13 dx = 0 ⇒ c1 = 6 µU
∫0 h ∫0 h 0
a
1
.
∫0 h3 dx
h*
Ovviamente la forza risultante per unità di lunghezza che verrà applicata – in direzione verticale –
al membro A sarà vettorialmente opposta alla PB e con la stessa retta d’azione.
Determiniamo proprio la retta d’azione della PB, individuando la sua eccentricità e rispetto alla
mezzeria:
8
Da un punto di vista di formalismo matematico, l’integrale andrebbe scritto utilizzando una variabile muta diversa da x,
visto che questo è anche un estremo di integrazione…l’importante è capirsi!!
BOZZA 32
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a
a
PB − e = ∫ x ( p ( x) − pa ) dx ;
2 0
le azioni tangenziali agenti su B valgono:
∂u ∂v
τ yz y =0 = 0; τ yx y =0 = µ + ;
∂y y =0 ∂x y =0
∂v
Ricordando che la componente v è ovunque nulla per y=0 ( ⇒ ) e sostituendo l’espressione di
∂x y =0
u:
∂ 1 dp U 1 dp U 1 h* − h U 4h − 3h*
τ yx =µ y ( y − h ) + y = µ − h + = µ − h 6 µU + = µU
y =0 ∂y 2µ dx h y =0 2 µ dx h 2µ h3 h h
2
e dunque le azioni tangenziali danno risultante (per unità di profondità):
a
4h − 3h*
TB = µU ∫ 2 dx .
0 h
Si hanno casi particolari a seconda della forma di h(x).
Consideriamo il caso in cui anche il pattino è delimitato da una superficie piana (ma non
parallela all’altro elemento!...vedremo dopo che questa condizione è improponibile):
h1 − h0 m h −h
h( x) = h0 + x = h0 (1 + x) ponendo m = 1 0 Con tale posizione, si ha:
a a h0
a
dx
∫
2
0 1 + m x
a 1+ m
h* = h0 a
= 2h0
dx 2+m
∫
3
m
1 + a x
0
Calcoli altrettanto semplici permettono di trovare il valore della sovrapressione in ciascun punto del
meato. Successivamente possiamo determinare l’intensità della portanza, la sua retta d’azione, la
resistenza dovuta agli attriti viscosi.
I risultati cui si perviene sono i seguenti:
BOZZA 33
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−2
6µUa x x x x x
p( x) − pa = 2 k (m, ) dove k (m, ) m 1− (2 + m)−1 1 + m
h0 a a
a a
a
2
a 1 2
PB = 6µU ψ (m) dove ψ (m) ln(1 + m) −
h
2
0 m m(2 + m)
a 4 6
TB = µU ϑ(m) dove ϑ(m) ln(1 + m) −
h0 m (2 + m)
[m 2 + 6(m + 1)]ln(1 + m) − 3m(m + 2)
e = aε(m) dove ε(m)
2m[(m + 2) ln(m + 1) − 2m]
µU ϑ ( m)
Si definisce coefficiente d’attrito f=TB/PB e si trova che vale λ (m) dove λ (m) .
PB 6ψ ( m )
Nella figura successiva, a sinistra è riportato l’andamento del fattore dimensionale k(m, x/a) in
funzione di x/a, per diversi valori del parametro m, mentre a destra sono tracciate le funzioni λ, ε,
ψ, θ rispetto ad m. È evidente l’opportunità che m sia prossimo ad 1, infatti per m nell’intorno di 1 è
elevata la capacità portante e basso il coefficiente d’attrito. Si noti che in caso di facce piane
parallele, m è nullo, così come nulla è la portanza che ne segue!
In alcuni casi applicativi lo schema sopra riportato deve essere modificato imponendo al pattino non
più la possibilità di traslare in direzione ortogonale al piano (pattino ad inclinazione fissa), bensì la
possibilità di potersi orientare, ruotando attorno ad un punto fisso O, così come evidenziato in nella
figura sottostante (pattino oscillante).
Per l’equilibrio dell’insieme meato-slitta, è evidente che la linea d’azione della portanza dovrà
passare per O. Fissare la retta d’azione vuol dire fissare l’eccentricità e dunque fissare ε: in
definitiva è fissato m, e dunque sono fissati, per costruzione, anche tutti i parametri adimensionali
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sopra esposti, ed è facile dedurre il comportamento della coppia lubrificata al variare delle
condizioni di impiego; ad esempio fissata ψ si ha una relazione tra h0, a, PB,µ ed U. Tramite questa
relazione si può verificare che l’altezza h0 sia sempre maggiore di una data soglia (dipendente da
errori di planarità delle superfici delimitanti il meato e la loro rugosità), tale che sia evitato il
contatto diretto tra le asperità delle superfici stesse.
Si noti infine che il punto O non può essere messo in mezzeria, poiché i diagrammi ci mostrano che
in tal caso la portanza è zero.
È da rilevare, infine, che né il pattino ad inclinazione fissa né il pattino ad inclinazione mobile
possono essere utilizzati contemporaneamente nei due sensi di moto del membro B. Difatti se il
pattino è ad inclinazione fissa, mentre in un senso di moto esso è caratterizzato da profilo crescente,
nell’altro è caratterizzato da profilo decrescente (ne seguirebbe un campo di sovrapressioni
negative!); se il pattino è orientabile, mentre in un senso è ad eccentricità positiva, nell’altro è ad
eccentricità negativa (ne seguirebbe una portanza “negativa”!).
Il caso “pattino su superficie” schematizza casi applicativi frequenti, come quelli rappresentati da
cuscinetti reggispinta (ad inclinazione fissa o variabile) riportati nella seguente figura.
Ovviamente ad essi non si può applicare brutalmente la teoria sopra esposta, per l’evidente
insoddisfazione di ipotesi fondamentali, prima tra tutte la infinità profondità della coppia
cinematica. Esistono in letteratura tecnica dei coefficienti “correttivi” che permettono di estendere
la validità dei risultati ottenuti in precedenza alle coppie di larghezza finita.
Fino adesso abbiamo studiato il caso in cui una portanza nasce in conseguenza del moto relativo tra
i due membri (sostentazione fluidodinamica). Studiamo adesso un caso di coppia lubrificata a
sostentazione fluidostatica (o forzata), in cui la capacità portante è conseguenza dell’alimentazione
esterna di lubrificante in pressione nel meato.
Cuscinetto reggispinta a lubrificazione forzata
Innanzitutto riscriviamo le equazioni (2) a pagina 28 in coordinate cilindriche (r, θ, y):
BOZZA 35
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∂p ∂ 2 vr
= µ
∂r ∂y 2
∂p
=0 dove c = vr ir + vθ iθ + v y iy
∂y velocità velocità velocità
1 ∂p ∂ vθ
2 radiale tangenziale assiale
=µ 2
r ∂θ ∂y
Torniamo al caso del perno di spinta che ruota con velocità angolare ω, e, come si vede dalla
sezione riportata nella seguente figura, porta all’estremità una parete piana, ortogonale all’asse
dell’albero, limitata da due raggi R1 ed R2. Attraverso un foro, viene inviato lubrificante sotto
pressione entro un pozzetto di raggio R1 ricavato nell’estremità dell’albero. Il lubrificante viene
alimentato con pressione p0 costante a mezzo di un circuito idraulico non visibile in figura.
Attraverso il foro di alimentazione di piccolo diametro, la pressione del lubrificante cade dal valore
p0, all’ingresso del forellino, al valore p1 entro il pozzetto.
∂p ∂ 2v ∂p ∂ 2v
Considerazioni di simmetria assiale (p=p(r)) permettono di scrivere: = µ 2r ; = 0; µ 2θ = 0
∂r ∂y ∂y ∂y
Dalla terza abbiamo che vθ = c1 (r ,θ ) y + c2 (r ,θ ) , ma imponendo le condizioni al bordo:
ωr
vθ y =0
= 0 e vθ y =h
= ω r , si ha: vθ = y.
h
Dalla prima equazione abbiamo:
∂ 2 vr 1 ∂p 1 dp ∂v 1 dp
= = ⇒ r = y + c1 (r ,θ )
∂y 2
µ ∂r µ dr ∂y µ dr
1 dp 2
⇒ vr = y + c1 (r ,θ ) y + c2 (r ,θ )
2 µ dr
Imponendo le condizioni al bordo (velocità radiale nulla per y= 0 e y=h), si determinano facilmente
c1 e c2 .
Si ottiene:
1 dp
vr = y ( y − h) .
2µ dr
Dobbiamo utilizzare ancora l’equazione di continuità, che, come già visto, esprime la conservazione
della massa. Per un fluido incomprimibile essa implica che la portata volumetrica entrante in un
certo volume di controllo deve eguagliare la portata uscente. Se prendiamo come volume di
controllo un cilindro coassiale al perno, dobbiamo imporre che la portata volumetrica uscente dalla
superficie laterale eguagli la portata Q entrante dal foro di adduzione.
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h h
1 dp π r dp 3
Q= ∫
Sup .lat .
c ⋅ n dA = ∫ (v i
Sup .lat .
r r + vθ iθ ) ⋅ n dA = ∫
Sup .lat .
vr ir ⋅ n dA = ∫ vr 2π rdy = ∫
0 0
2µ dr
y ( y − h)2π rdy = −
6µ dr
h
Da cui:
dp 6µ Q 6µ Q 6µ Q
=− ⇒ p(r ) = − ln r + C , ma p(r)=pa per r= R2 da cui C = pa + ln R2 , per cui il
dr π rh 3
πh 3
π h3
campo di sovrapressioni ha il seguente andamento:
6µ Q R2
p(r ) − pa = ln .
π h3 r
Si noti che questa relazione è valida solo per r ∈[ R1, R2], ma non per r ∈[ 0, R1], perché dentro il
pozzetto non valgono più alcune ipotesi fondamentali. Dentro il pozzetto la pressione p1 si può
ritenere approssimativamente costante e, per continuità, uguale a p(R1) che ricavo dalla relazione di
cui sopra. In definitiva vale che:
6µ Q R2
π h3 ln r per r ∈ [ R1 , R2 ]
p(r ) − pa =
6µ Q ln R2 per r ∈ [0, R ]
π h3 R1 1
1
ln 2
R1
Per il calcolo del momento necessario a mantenere in moto uniforme il perno, si possono trascurare
le azioni tangenziali all’interno del pozzetto (dove è piccola la velocità del fluido):
R2
∂v rω πω R24 − R14
τθ = µ θ = µ ⇒ M = ∫ 2π rτ θ rdr = µ .
∂y h R1
h 2
2. I problemi di statica
Con ‘problemi di statica’ si intende una serie di problemi legati alla individuazione delle forze che
mantengono un determinato corpo o sistema di corpi rigidi nella loro posizione di equilibrio. Alcuni
problemi possono consistere nella determinazione delle reazioni vincolari in un corpo con 0 (zero)
gradi di libertà sottoposto a forze note (ma tali problemi saranno affrontati più approfonditamente
nel corso di Scienza delle Costruzioni). La maggior parte dei problemi di meccanica applicata
consisterà invece nel determinare l’ampiezza di una forza (o di un momento), di cui è nota la retta
di applicazione, in maniera che l’intero meccanismo, teoricamente labile (con almeno un grado di
libertà), possa trovarsi in condizioni di equilibrio.
Con ‘problemi di cinetostatica’ si intende invece indicare quella serie di problemi che richiedono
l’individuazione delle forze o momenti in grado di mantenere un determinato corpo o sistema di
corpi rigidi in moto con velocità costante. Se infatti la velocità rimane costante, l’accelerazione è
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nulla come le forze di inerzia, e le equazioni cardinali della statica e della dinamica vanno a
coincidere.
Per la risoluzione di tali problemi adotteremo esclusivamente la via grafica tenendo conto che una
forza può essere considerata un vettore.
Dire l’intero meccanismo è in equilibrio comporta che ogni singolo membro deve essere in
R e = 0
equilibrio, per ciascun corpo devono valere le equazioni cardinali della statica
M e = 0
Poiché verranno affrontati esclusivamente sistemi piani, le equazioni cardinali, una volta scelto un
adeguato sistema di riferimento con assi x e y sul piano del moto (e asse z normale ad esso), si
riducono alle sole equazioni scalari:
• equilibrio alla traslazione nella direzione x;
• equilibrio alla traslazione nella direzione y;
• equilibrio alla rotazione (attorno alla direzione z) rispetto ad un polo generico.
Queste tre equazioni devono essere contemporaneamente verificate affinché un corpo possa dirsi in
equilibrio.
Vale la pena di ricordare che nel caso dei corpi rigidi le forze possono essere traslate lungo la
propria direzione senza determinare variazioni nella soluzione del problema. La traslazione in
direzione parallela (alla direzione della forza stessa) dovrebbe essere compensata dall’introduzione
di un momento con le seguenti caratteristiche:
• modulo pari al prodotto del modulo della forza e della distanza tra le due rette di azione (tra
quella ‘originale’ e quella successiva alla traslazione);
• verso opposto a quello del momento generato dalla forza traslata calcolato rispetto ad un
qualsiasi punto appartenente alla retta della direzione originale.
Poiché l’introduzione di tale “coppia di compensazione” risulta spesso di difficile comprensione,
nei problemi che verranno affrontati in seguito le forze saranno unicamente traslate lungo la loro
direzione.
Nei seguenti problemi considereremo solo corpi o sistemi di corpi rigidi collegati tra loro tramite
coppie ideali (prive di attrito).
Si ricorda infine che nei problemi di statica la forma dei corpi rigidi non influenza in alcun modo
la soluzione. Se le forze applicate al corpo e il tipo e le posizioni dei vincoli sono le medesime, il
fatto che un corpo rigido sia un’asta, una patata, una sfera o assuma una qualsiasi altra forma
geometrica (regolare oppure no) non ha la minima importanza.
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F M
y y
x x
F1
P1
F2 =-F1
y
P2
x
Ovviamente è verificata la prima equazione cardinale della statica:
e
R = 0 ⇒ F 1 + F 2 = F 1 + (− F 1 ) = 0 .
Anche la seconda equazione cardinale della statica è verificata
e (1) (2)
M o = 0 ⇒ M o + M o = F 1 ∧ ( P1 − 0) + F 2 ∧ ( P2 − 0) = 0
infatti se come polo O si sceglie un punto appartenente alla retta di azione delle due forze, entrambe
le forze hanno rispetto ad esso momento nullo, essendo nullo il braccio b delle due forze; se come
polo O si sceglie un punto non appartenente alla retta di azione delle due forze, entrambe le forze
hanno rispetto tale polo il medesimo braccio b, forniscono momenti opposti.
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Affinché sia soddisfatta la prima equazione cardinale della statica, il momento generato dalla coppia
(il cui di modulo sarà pari al prodotto del modulo di una qualsiasi delle due forze per il braccio
indipendente dal polo O), dovrà equilibrare il momento esterno M.
e (1) (2)
M o = 0 ⇒ M o + M o + M = F 1 ∧ ( P1 − 0) + F 2 ∧ ( P2 − 0) + M = 0
e anche F 1 ∧ b + M = 0 con b = b1-b2 , in modulo F1 =F2 =M/b
M
F2 =-F1 F1
b
y
b1
x b2
O
Anche cambiando la posizione del polo O il valore della coppia delle due forze non cambia
poiché la loro risultante è nulla. Se viceversa la risultante delle forze esterne non fosse stata nulla,
al variare del polo (se da O si spostasse O’) il valore del loro momento varierebbe come il prodotto
tra la risultate delle forze e la distanza tra i due poli calcolata in direzione normale alla risultante R
( OH ). L’equazione vettoriale dei momenti diventa, facendo riferimento alla figura seguente:
M o( e' ) = M o( e ) + R ⋅ OH .
F1
F3 R
y F2
x
O
O’
H
In pratica si ha che se la prima equazione cardinale della statica è verificata e se si verifica la
seconda per un particolare polo O, allora la seconda equazione cardinale della statica sarà
verificata anche rispetto ad ogni polo O’≠O.
Quindi, per un sistema così sollecitato:
• Se si conosce completamente una forza (sia F1) e il momento esterno M, si ricavano subito
modulo direzione e verso dell’altra forza (sia F2, che avrà stesso modulo e direzione ma
verso opposto). La retta di applicazione della seconda sarà parallela a quella della prima e a
distanza b pari al rapporto dei moduli del momento esterno e delle forze (b=M/F1). Tra le
due rette di azione che soddisfano tale condizione si sceglie quella che consente di realizzare
l’equilibrio alla rotazione del corpo.
• Se si conosce completamente momento esterno M, e siano noti i punti di applicazione delle
due forze unitamente alla direzione di una di loro il problema è comunque facilmente
risolvibile. Dovendo le due forze essere equilibrate, allora dovranno costituire una coppia (e
quindi le due direzioni saranno le medesime). Conoscendo i due punti di applicazione, si
individuano quindi anche le rette di azione. Dalla conoscenza del momento M e del braccio
BOZZA 40
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b delle due rette di azione appena identificate si trova subito il modulo comune delle due
forze pari al rapporto tra momento applicato e braccio (F1=F2=M/b). Rimane da individuare
i versi delle due forze, ma questa è una operazione molto semplice in quanto basta fare in
modo che la coppia generata dalle due forze sia opposta al momento applicato.
O F1
F1
F2
F3
y F3
F2
x R=0
Si dimostra inoltre che condizione necessaria perché il momento risultante sia nullo (che diventa
anche condizione sufficiente se si è già verificata la costruzione del triangolo delle forze) è che le
forze devono essere incidenti in un unico punto9 O.
Infatti se tutte e tre le forze passano per lo stesso punto O, è evidente che rispetto ad esso hanno
tutte momento nullo per cui la seconda equazione cardinale della statica sarebbe banalmente
verificata.
Al contrario, se per assurdo le tre le forze non passassero per lo stesso punto, basterebbe osservare
che rispetto al polo O’, punto di incontro tra le rette di applicazione di due forze (siano F1 e F2), il
momento della terza forza (F3) è non nullo. Anche il momento risultante delle tre forze rispetto ad
O’, sarebbe dunque non nullo; quindi rispetto a O’ la seconda equazione cardinale della statica non
sarebbe verificata ed il corpo non potrebbe quindi essere in equilibrio.
9
Il punto O può essere anche improprio, nel qual caso si avrebbe che le tre forze sarebbero parallele, e il triangolo delle
forze degenererebbe in tre segmenti allineati sulla stessa retta.
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O’
F1
y F3
F2
x
Sono molti i casi applicativi in cui si avrà a che fare con un corpo sottoposto a tre forze, e molte le
considerazioni che potrebbero essere tratte dalle regole pratiche su indicate (triangolo delle forze e
incidenza delle rette di azione). Non si ritiene né utile né facile trattare estensivamente e in via
teorica tutti i casi applicativi connessi a tale schema (di cui peraltro si farà largo uso negli esercizi,
svolti e proposti anche durante le lezioni). Tuttavia il caso più ricorrente sarà quello in cui delle tre
forze:
• una (sia F1) è completamente nota;
• di un’altra (sia F2) è nota la retta di azione;
• dell’ultima (sia F3) è noto il punto di applicazione.
In questo caso si prosegue come segue:
1. deve dapprima essere individuata la retta di azione della terza forza F3. Per fare ciò si
prolungano le rette di azione delle forze F1 e F2 fino a che si incontrano in un punto O. Per
l’equilibrio ai momenti anche la forza F3 dovrà passare per O e, essendo già era noto il
punto di applicazione P3, la retta di applicazione passa per i punti P3 e O.
dir F2
y dir F1 O
F1
x
P3 dir F2
(appl F3)
2. trovate le tre rette di azione è necessario chiudere il triangolo delle forze. Si parte
dalla forza nota F1 e si trasla sul vertice la retta di azione di una forza (sia F2) e
sull’origine la retta di azione dell’altra (sia F2).
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dir F2
y dir F1 O F1
F1
x
dir F3
dir F2
P3 dir F2
(appl F3)
3. Per “chiudere il triangolo” bisogna fare in modo che la somma vettoriale
F1 + F2 + F3 sia pari a zero quindi bisognerà fare in modo che il vertice di ciascun
vettore coincida con l’origine di un altro (i vettori devono “mordersi la coda”) ed
inoltre il vertice della forza F3 deve coincidere con l’origine di F1.
F1
F2
F3
dir F3
dir F2
M F1
O
F1
F1+F2 b F2
y F1 +F2
dir F3
F2
x
F3
dir F2
Anche in questo caso sono molti i casi applicativi in cui si potrebbe avere a che fare, e quindi non
verranno trattati tutti gli aspetti ad esso connessi, tuttavia un caso abbastanza ricorrente è quello che
segue:
• Il momento M è completamente noto;
• una forza (sia F1) è completamente nota;
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M F1
O
F1
F1+F2 b F2 F1 +F2=-F3
y F2
F3 M=b⋅F3
x
2. Rispetto al punto O, dove si può pensare applicata la somma (F1+F2), le due forze
hanno momento nullo quindi sarà il momento della forza F3 a dover equilibrare il momento
applicato M. Da questa osservazione si ricava il braccio b della forza F3 e quindi la sua retta
di azione.
O2
O1 dir (F1+F2)
y
F1
x dir F3
dir F2
dir F4
10
Tale punto può essere anche improprio, tale caso si verifica quando le rette sono tra loro parallele.
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dir (F3+F4)
F2 F1
O2
dir (F1+F2) F3 +F4
O1
F1
dir F3
y F4 F3
dir F2
dir F4
x
F3 +F4
In questo caso si prosegue come segue:
1. Si prolungano le rette di azione di F1 e F2 fino ad incontrare il punto di intersezione O1 in cui
può pensarsi applicata la loro somma;
2. Si prolungano le rette di azione di F3 e F4 fino ad incontrare il punto di intersezione O2 in cui
può pensarsi applicata la loro somma;
3. Il sistema di quattro forze si è ridotto alle due forze (F1+F2) e (F3+F4), di cui si conosce il
punto di applicazione. Poiché due forze per farsi equilibrio devono costituire una coppia di
braccio nullo, unendo i punti O1 e O2 si ottiene la direzione della retta di azione comune alle
due forze (F1+F2) e (F3+F4);
4. Basta a questo punto chiudere i due triangoli delle forze che corrispondono alle due seguenti
relazioni vettoriali, ciascuna contenente 3 termini:
• F1+F2+(F3+F4)=0;
• (F1+F2)+F3+F4=0;
5. Si inizia dalla relazione F1+F2+(F3+F4)=0 , di cui si conosce completamente un termine e le
rette di azione degli altri, con cui si può costruire un triangolo da cui ricavare il termine
(F3+F4);
6. Individuato quindi il termine (F3+F4) basta trovare le due forze F3 e F4, note in direzione, la
cui somma è pari il termine già ricavato al punto precedente.
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ω ω
1 1
2 2
F21 F21
ρ
C
F21
F01
0 0
F01
δ
a) b)
F01
F01n
F01t
BOZZA 46
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La forza di contatto F01 può essere scomposta in una componente normale F01n e una tangenziale
F
F01t. Se il rapporto tra le due componenti 01t è inferiore al coefficiente di attrito statico fs la ruota
F01n
F
rotola senza sulla strada, viceversa se 01t > f s la ruota slitta.
F01n
Riassumendo:
F01t
o < f s la ruota non slitta;
F01n
F01t
o > f s la ruota slitta.
F01n
ω ω
Cm Cm
2 1 2 1
ρ
C
F21 F21
F01 F01
b b
0 0
δ
a) b)
BOZZA 47
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F01
F01n
F01t
ω ω
Cf Cf
2 1 2 1
b b ρ
C
0 0
δ
a) b)
BOZZA 48
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2.7.4. Esempio
Si consideri il veicolo riportato in figura 16. La ruota anteriore 1 è trascinata, la ruota 2 è motrice.
Sul veicolo è applicata una forza normale Q e una forza tangenziale T, nel punto A del veicolo.
Sono assegnati per ciascuna delle ruote i raggi dei corrispondenti circoli d’attrito e il parametro
dell’attrito volvente. È’ possibile determinare facilmente la risultante R delle forze Q e T.
T A
2 R Q 1
BOZZA 49
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F01
R
F02
F02 R
F01
ω
Cm
3 2
F32
b
F02
0
δ
2.7.5. Esercizio
La figura seguente rappresenta un motociclo in salita; ammettiamo trascurabile l’inerzia delle
ruote e del motociclista (tanto è vero che è trasparente…); sia M la massa del telaio del
motociclo, sia G il centro di massa del telaio ed a l’accelerazione del sistema.
Si determini, in maniera grafica, la coppia motrice che è necessario il telaio applichi alla ruota
posteriore.
BOZZA 50
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Sul telaio, oltre alle forze vincolari ed alla reazione alla coppia motrice, agiranno le seguenti forze
esterne:
– le forze “reali” di gravità equivalenti a Mg applicata in G;
– le forze di inerzia equivalenti a − Ma applicata in G.
Componendo queste forze troviamo la forza Q applicata in G.
A questo punto il problema diviene “statico”.
Risolviamolo prima nel caso ideale, annullando le cause di perdita (attrito radente cinetico, attrito
volvente) e non l’attrito adesivo che permette il rotolamento ruota-strada!!. Indichiamo con il pedice
t il complesso telaio-motociclista, p la ruota posteriore, a ruota anteriore, O la strada.
Si noti che per l’equilibrio della ruota anteriore è subito immediata la retta d’azione delle Roa e Rta
che passa per il punto di contatto teorico Ca ed il centro della ruota.
Facendo un bilancio delle incognite è immediato constatare che è subito applicabile l’equilibrio al
sistema complessivo (problema delle tre forze).
Successivamente è facilmente risolubile l’equilibrio della ruota posteriore, da cui si determina la
coppia motrice Mm (esterna alla ruota, ma interna al sistema complessivo!!)
BOZZA 51
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Risolviamolo adesso nel caso reale. La procedura è analoga al caso ideale. La differenza sta nel
fatto che le rette d’azione delle reazioni della strada sulle ruote passano per un punto spostato in
avanti di u rispetto ai punti di contatto teorici e che le reazioni del telaio sulle ruote tramite le
coppie rotoidali devono essere tangenti ai circoli d’attrito (si suppongono uguali parametri
dell’attrito volvente ed uguali circoli d’attrito per le due ruote). Considerando l’equilibrio della
ruota anteriore, sottoposta a Roa e Rta, si ha una inizialmente una duplice possibilità per la loro
comune retta d’azione, subito chiarita rifacendosi al caso ideale e ricordando che la scelta opportuna
è quella per cui l’attrito ostacola il moto. A questo punto è immediato fare l’equilibrio del sistema
complessivo, ricavare Roa , e con questo, tramite l’equilibrio della ruota posteriore, ricavare la
coppia motrice, evidentemente più grande rispetto al caso ideale.
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Figura 21: Centro di istantanea rotazione della biella del manovellismo di spinta
Figura 22: Centro di istantanea rotazione della biella del quadrilatero articolato
I punti O1 e O2 sono i centri di rotazione delle aste 1 e 3. L'asta 2 ha un moto di istantanea rotazione
attorno al punto C24 che è il centro di rotazione del membro 2 rispetto al membro 4 (telaio), lo si
trova semplicemente considerando che le traiettorie dei punti A e B della biella sono ortogonali ad
O1A e O2B. In moto analogo si può determinare C31 il centro di istantanea rotazione del membro 3
nel suo moto rispetto al membro 1.
A proposito dell'utilità della determinazione del punto C31 si osserva che mentre il punto C24 , ha,
nell'istante considerato velocità nulla, nel punto C31 la velocità relativa dei membri 1 e 3 è nulla.
ω3 ⋅ O3C31 = ω1 ⋅ O1C31
ω3 O1C31
da cui: =
ω1 O3C31
Noto C31 si può determinare il rapporto tra le velocità angolari dei membri incernierati al telaio, tale
rapporto è positivo, cioè le velocità di rotazione sono concordi, se il centro di rotazione è esterno al
segmento O1O2, mentre è negativo, cioè le velocità sono discordi, se il centro di rotazione è interno
al segmento O1O2
BOZZA 54
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! Si ricordi il teorema delle catene cinematiche, che risulta utile per lo studio dei moti rigidi piani :
Nel moto piano di due corpi rigidi i e j indicando con
Ci : centro d’istantanea rotazione di i;
Cj centro d’istantanea rotazione di j;
Cij centro d’istantanea rotazione relativa di i rispetto a j;
Ci Cj Cij devono essere allineati (in caso contrario non è possibile moto relativo).
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4. Sistemi articolati
Un sistema articolato è un meccanismo formato da un certo numero di membri (aste) collegati fra
loro da coppie elementari.
I sistemi articolati possono essere:
• piani: se gli assi di tutte le coppie sono paralleli fra loro.
• sferici: se gli assi di tutte le coppie sono incidenti in punto.
• generali: se gli assi delle coppie sono comunque sghembi.
Il membro fisso costituisce il telaio.
Se il meccanismo ha un solo grado di libertà sussiste la seguente relazione:
n = numero di coppie rotanti
a = 2n − 4
a = aste
d
b
a
A D
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VB
VC
ω
D
A
Figura 25: Quadrilatero articolato: velocità dell’asta AB
Dalla formula fondamentale dei moti rigidi poiché l’asta AB ruota intorno ad A, la velocità del
punto B risulta:
V B = ω ∧ ( B − A)
di modulo V B = ω BA
Per procedere nella risoluzione grafica utilizziamo adesso la seguente convenzione:
! rappresentiamo le velocità a meno di ω e ruotate di π 2 nel senso del moto
cosicché la velocità del punto B è rappresentata dal segmento orientato BA
VB
= ( A − B)
ω
Il punto C ruota intorno al punto D, la sua velocità sarà perciò diretta come CD.
Inoltre tale velocità può essere considerata anche come la somma vettoriale tra la velocità del punto
B e la velocità della biella intorno a B V C = V B + V CB , si può quindi scrivere.
V C V B V CB
= +
ω ω ω
La velocità reale di C rispetto a B è ortogonale al segmento BC, può essere quindi rappresentata con
un vettore diretto come BC. La precedente equazione vettoriale può essere risolta graficamente
come riportato in figura 25:
V CB VC VB
= ( B − S ); = ( A − S ); = ( A − B);
ω ω ω
Analogamente si procede per trovare la velocità di un punto rigidamente collegato alla biella.
Infatti si può scrivere la velocità di un qualsiasi punto P sia rispetto ad B sia rispetto C, cioè:
V P V B V PB
= + ;
ω ω ω
VP VC V PC
= + ;
ω ω ω
La VPB ha la direzione di PB, la VPC ha la direzione del segmento PC; indicando con T
l’intersezione tra la direzione PB e la parallela a PC condotta per S, vedi figura 26, si ha:
V PB V PC VP
= ( B − T ); = ( S − T ); = ( A − T );
ω ω ω
BOZZA 57
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C
B
VCB
S
VPB
VPC
T
VB
VP
VC
A D
Figura 26: Quadrilatero articolato: velocità del punto P della biella BC
Figura 29: LAMPADA sono due parallelogrammi accoppiati: così si possono ottenere
movimenti in due direzioni (si hanno due gradi di libertà) ma il parallelismo del movimento
è sempre garantito.
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VP
VM
P ω O
VT VP
VM
P
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aPMn M
K aM
aPMt
P
J O
aP
Figura 33: Manovellismo di spinta: accelerazioni di P
g l r
P f
O
PMS sP
Figura 34: Schema cinematico per la determinazione analitica della velocità del pistone
sP = (r + l ) + l cos γ − r cos ϕ
poiché: l sin γ = r sin ϕ
r
indicando con λ = si ha: sin γ = λ ⋅ sin ϕ
l
( )
sP = r (1 − cos ϕ ) + l 1 − 1 − λ 2 sin 2 ϕ
derivando rispetto al tempo si ottiene l’espressione della velocità del pistone:
ds g λ 2 2sin θ cos θ λ sin 2θ
V= = rω sin θ + ω 1
= rω sin θ + 1
dt 2 2
(1 − λ 2 sin 2 θ ) 2
(1 − λ 2 sin 2 θ ) 2
Tenendo conto che il parametro λ assume generalmente valori molto minori di 1 0.1÷0.2 , si può
trascurare l’espressione λ 2 sin 2 ϕ rispetto a 1, si ha quindi l’espressione semplificata della velocità:
λ
V ≅ rω sin θ + sin 2θ
2
derivando di nuovo, si ottiene l’accelerazione semplificata
d 2 s dv λ
a= 2 = ≅ rω 2 ( cos θ + λ ⋅ cos 2θ ) + rω sin θ + sin 2θ
dt dt 2
che nel caso di moto uniforme si riduce a:
BOZZA 62
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a ≅ rω 2 ( cosθ + λ ⋅ cos 2θ )
Figura 35: Motore ducati testa stretta Figura 36: Punto GT 4 cilindro in
del 2000 linea a quattro tempi
BOZZA 63
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β Q
α
A D
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punteria
punteria
bilanciere
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V2
V1
Problema cinematica diretto: assegnato il profilo della sagoma si determina il moto della punteria
Esempi
t t
V2
t t
a2
t
t
Figura 43: Grandezze cinematiche per: sagoma con profilo rettilineo (a sinistra) e
profilo rettilineo con raccordi parabolici (a destra)
Se si suppone che la sagoma abbia profilo rettilineo, la velocità V2 presenta due discontinuità una
all’inizio e una alla fine della corsa, in corrispondenza ci sono due picchi di accelerazione (urti).
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Il più semplice profili che non diano infiniti nel diagramma delle accelerazioni è quello rettilineo
con raccordi parabolici,un profilo di questo tipo dà luogo a delle discontinuità nel diagramma delle
accelerazioni che si traducono in infiniti nel diagramma di a2 che possono essere fonte di fenomeni
vibratori alle alte velocità.
Un tipo di profilo che non dia nessuna discontinuità in nessuno dei diagrammi corrisponde a una
funzione y(x) di ordine superiore, che però è più complicato e quindi richiede lavorazioni più
complicate e costose.
Problema cinematica inverso:assegnata la legge di moto della punteria, è nota quindi y=y(t) o la
V2=V2(t) , si determina il profilo della sagoma.
Le considerazioni fin qui svolte si riferiscono a una punteria a spigolo vivo, ma se la punteria è a
rotella o a testa sferica cosa cambia? Niente; solo che le curve considerate costituiscono adesso la
traiettoria del centro della rotella, e il profilo effettivo della sagoma è definito come inviluppo di
una famiglia di cerchi aventi il centro sulla curva suddetta.
−ω
M0
M1
N0
e
θ1
N1
Figura 44: Due configurazioni successive assunte dalla punteria nel moto relativo
rispetto alla camma
La velocità del punto M appartenente alla punteria può essere vista come somma della velocità di M
appartenente alla camma più la velocità della punteria rispetto alla camma stessa;
P C
VM = VM + VPC
Di VMP si conosce la direzione, poiché la punteria trasla sulla guida, anche della VPC si sa la
direzione infatti la camma vede la punteria strisciarle intorno e quindi la sua velocità sarà sulla
tangente comune; il punto M della camma si muove di moto rigido intorno a O, quindi la sua
BOZZA 68
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H
Figura 45: Velocità del punto M
! Il punto C è il Centro di istantanea rotazione del moto relativo tra camma e punteria, esso si trova
nel punto di intersezione della retta passante per O e perpendicolare all’asse della punteria (il cui
centro di rotazione è improprio) e della normale alla tangente comune nel punto di contatto.
Per le sue proprietà, in C la velocità relativa della camma e della punteria è nulla, si ha:
VP = ω OC
M0
βο
O1 O2
θ1
M1
−ω1
β1
O2
BOZZA 69
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Rispetto al centro di istantanea rotazione, la cui individuazione è analoga al caso precedente e viene
lasciata per esercizio allo studente, si ha O2Cω 2 = O1Cω1 e la velocità relativa nel punto di contatto
vale: V M = (ω1 ± ω 2 ) CM .
φ
R1
H
K
φ
R2
Mm Ro
BOZZA 70
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P0 CASO IDEALE
Q P EFFETTO ELASTICO Q P ATTRITO Q
PREVALENTE PREVALENTE
R (reazione vincolare) = P + Q
CASO IDEALE: P⋅ r = Q⋅ r ⇒ P = Q K ≥1
(r +∂q + ρ)
EFFETTO ELASTICO PREVALENTE: P ⋅ ( r +∂ p − ρ ) = Q ⋅ ( r +∂q + ρ ) ⇒ P = Q = Q⋅ K
(r +∂ p − ρ)
(r +∂q + ρ)
EFFETTO ATTRITO PREVALENTE: P ⋅ ( r −∂ p − ρ ) = Q ⋅ ( r +∂q + ρ ) ⇒ P = Q = Q⋅ K
(r −∂ p − ρ)
BOZZA 73
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R R
r ∂p ρ r ∂q
P Q Q
CASO IDEALE
P CASO REALE
R (reazione vincolare) = P + Q
CASO IDEALE: P⋅r = Q⋅r ⇒ P = Q
(r + ∂ q + ρ )
EFFETTO ELASTICO PREVALENTE: P ⋅ (r + ∂ p − ρ ) = Q ⋅ (r + ∂q + ρ ) ⇒ P = Q = Q⋅K
(r + ∂ p − ρ )
(r + ∂ q + ρ )
P ⋅ (r − ∂ p − ρ ) = Q ⋅ (r + ∂q + ρ ) ⇒ P = Q
EFFETTO ATTRITO PREVALENTE:
= Q⋅K
(r − ∂ p − ρ )
P0 1
RENDIMENTO: η= = K = fattore di perdita tra i rami della cinghia
P K
BOZZA 74
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P P R
R ∂p ρ ∂v
r
r
Q
Q CASO REALE
CASO IDEALE
R (reazione vincolare) = P + Q
CASO IDEALE: P ⋅ 2r = Q ⋅ r ⇒ P =
Q K ≥1
2
(r +∂v + ρ)
EFFETTO ATTRITO PREVALENTE:
P ⋅ ( 2r −∂ p +∂v ) = Q ⋅ ( r +∂v + ρ ) ⇒ P = Q
(2r −∂ p +∂v )
Oppure: P(r − δ p − ρ) = V ( r + δv + ρ ) ⇒ P = KV ( K ≥ 1)
V +P=Q
K
⇒P= Q
P0 1+ K 1+ K
RENDIMENTO: η= =
P 2K
2
η I (retrogrado) =
1+ K
6.5. Macchine per sollevamento carichi: paranchi
I paranchi sono costituiti da una serie di carrucole fisse e una serie di carrucole mobili
rispettivamente montate su di un unico asse, e da una fune che si avvolge alternativamente su di
esse. Una delle estremità della fune è libera, e ad essa è applicata la forza motrice; l’altra estremità
può essere fissata alla parte mobile o a quella fissa.
BOZZA 75
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Facendo riferimento al paranco con fune collegata alla parte mobile, imponendo le condizioni per
l’equilibrio verticale della parte mobile si ha:
T0 + T1 + T2 + + Tn −1 = Q .
Dalla espressione del rendimento delle singole carrucole si ottiene anche:
BOZZA 76
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T1 = K ⋅ T0
T2 = K ⋅ T1 = K 2 ⋅ T0
Tn −1 = K n −1 ⋅ T0
P = K n ⋅ T0
Dalle precedenti relazioni si ottiene dunque:
K n −1
Q = T0 (1 + K + + K n −1 ) = T0
K −1
e quindi anche:
K n ( K − 1)
P=Q .
K n −1
Se ci si trovasse nel caso ideale, ovvero assenza di attrito nella coppia rotoidale e perfetta elasticità
della fune, sarebbe K=1. Dalla precedente si ottiene anche (passando al limite):
Q
P0 = .
n
Il rendimento del paranco ha quindi la forma:
P0 K n −1
η= = .
P nK n ( K − 1)
Per ottenere il rendimento del moto retrogrado η’, si introduce una regola pratica valida in questo
caso come in generale: basta calcolare il reciproco della espressione del rendimento diretto η e
sostituire i parametri dipendenti dall’attrito (in questo caso il coefficiente K) con il loro reciproco
(in 1/K). Si ottiene quindi:
1 1
n − 1
P0 K −1 n
1 nK ( K − 1) n
Kn K n(K − 1)
η= = ⇒ = ⇒ η' = =
P nK n ( K − 1) η K n −1 1 K ( K n − 1) .
− 1
Kn
6.5.2. Paranchi a tiro diretto
BOZZA 77
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Facendo riferimento al paranco con fune collegata alla parte fissa, dall’equilibrio verticale della
parte mobile si ha:
Q = T0 + T1 + T2 + + Tn −1 + P .
Dalla espressione del rendimento delle carrucole si ottiene anche:
T1 = K ⋅ T0
T2 = K ⋅ T1 = K 2 ⋅ T0
P = K n ⋅ T0
Dalle quali si ottiene:
K n +1 − 1
Q = T0 (1 + K + + K ) = T0
n
K −1
e quindi anche:
K n ( K − 1)
P=Q .
K n +1 − 1
Se ci si trovasse nel caso ideale sarebbe K=1, quindi dalla precedente si ottiene (passando al limite):
Q
P0 = .
n +1
Il rendimento del paranco ha quindi la forma:
P0 K n +1 − 1
η= = .
P (n + 1) K n ( K − 1)
Il rendimento del moto retrogrado η’, applicando la regola esposta in precedenza risulta:
(n + 1)(K − 1)
η' = .
K ( K n +1 − 1)
BOZZA 78
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BOZZA 79
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K (R + δ + ρ ) 1 (R − δ − ρ )
P=Q ⋅ 1 −Q ⋅ 2 =
( K + 1) ( R1 − δ − ρ ) ( K + 1) ( R1 − δ − ρ )
Q K ( R1 + δ + ρ ) ( R2 − δ − ρ )
= ⋅ −
( K + 1) ( R1 − δ − ρ ) ( R1 − δ − ρ )
δ +ρ δ + ρ
1 + 1 −
Q R1 R2 R2
= ⋅ K − ≅
( K + 1) δ + ρ R1 δ + ρ
1 −
1 − R R
1 1
Q δ + ρ R2 δ + ρ δ + ρ
≅ ⋅ K 1 + 2 − 1 − + .
( K + 1) R1 R1 R2 R1
Per conoscere la forza motrice in condizioni ideali basta imporre ρ=δ=0; dalla precedente si ottiene
quindi:
Q R
P0 = 1 − 2 .
2 R1
Se si trascura la differenza tra i raggi R1 e R2 della carrucola fissa nei termini di attrito (R2/R1≅1) e si
suppone:
δ +ρ
1+ 2 ≅K;
R1
dalle precedenti si ottiene:
Q R
P= ⋅ K 2 − 2
( K + 1) R1
dalla quale si ottiene l’espressione del rendimento:
Q R2
1 −
P0 2 R1 (R − R2 ) 1 + K
η= = = 1
P Q 2 R2 2 R1 R2 .
⋅K − K 2
−
( K + 1) R1 R1
Per quanto riguarda il moto retrogrado si ha:
1 R R
2
− 2 1− K 2 2
2 R1 K R1 2 R1 R1
η' = =
(R1 − R2 ) 1+
1 ( R1 − R2 ) K ( K + 1) .
K
Dalla precedente si osserva che risulta η’<0 se:
R2
K2 > 1.
R1
BOZZA 80
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Se il rendimento del moto inverso η’ è negativo significa che tale moto non è possibile; si conclude
quindi che se vale la precedente relazione la macchina è ad arresto spontaneo (è questo è di grande
aiuto nel caso del macellaio).
Argano
Verricello differenziale
BOZZA 81
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Se invece la trasmissione del moto (es. cinghie lisce) avviene per attrito si suppone che la coppia da
trasmettere sia tale da non provocare lo scorrimento delle cinghie sulle pulegge.
Il rapporto di trasmissione risulta quindi:
ω R
ω1 ⋅ R1 = ω 2 ⋅ R2 ⇒ 1 = 2
ω 2 R1
ω2
ω1
ATTENZIONE: Per cinghie e catene dentate i raggi R1 ed R2 non possono avere valori arbitrari ma
devono essere necessariamente dei multipli del passo della dentatura adottato.
T2
ω1 Mr
Mm
T1
BOZZA 82
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dα
coppie sulle pulegge).
dN Tale variazione della tensione delle cinghie tra i
fdN due rami è riconducibile nelle cinghie lisce alle
dF forze di attrito tangenziali scambiate con la
superficie della puleggia.
Per effetto della geometria della trasmissione
T1 (interasse e diametro delle due pulegge) la
cinghia abbraccia la puleggia su un arco detto di
T+dT “abbracciamento” “ α ”.
Si prenda in esame un elemento infinitesimo
della cinghia di ampiezza “ dα ” .
BOZZA 83
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T1 − T0 T −T T +T
l = l 0 2 ⇒ T0 = 1 2
ES ES 2
l = lunghezza di un ramo della cinghia
Sostituendo le due espressioni delle tensioni delle cinghie sopra trovate si ottiene:
M e f β +1
T0 = fβ
+ qv 2
2r e − 1
M
Di solito si sceglie il valore di progetto di T0 in modo che risulti: T0 = 2
r
2ψ
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7. RUOTE DENTATE
7.1. TRASMISSIONE DEL MOTO FRA ASSI PARALLELI
Si considerino due assi tra loro paralleli (r e r’ in figura 50) e due corpi rigidi che ruotano attorno a
tali assi con velocità angolari ω e ω’, facciamo inoltre l’ipotesi che le due velocità angolari siano fra
loro discordi.
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Figura 52: Forze agenti sulle ruote di frizione nel caso ideale
Riferendoci allo schema in figura 52 si può scrivere:
M mo = R ⋅ h ⋅ N
M r = R' ⋅ h ⋅ N
dove h è un definito come:
0≤h≤ f
Eliminando hN si giunge all’espressione:
R
M mo =⋅Mr =τ ⋅Mr
R'
ovvero, nel caso ideale, il momento motore è esprimibile attraverso il prodotto del rapporto di
trasmissione per il momento resistente.
L’assunzione che il moto relativo sia dato da un rotolamento puro è però una semplificazione, in
realtà si vengono a creare delle deformazioni locali nell’intorno del punto di contatto, deformazioni
dovute alla pressione tra le due ruote; quindi il contatto non avviene più in un punto ma su di una
linea. Come conseguenza si ha che la forza N non passa più per il centro delle ruote di frizione ma è
traslatata, parallelamente a se stessa, di una quantità δ (figura 53), la direzione della traslazione
dipende dal senso di rotazione delle ruote di frizione.
Anche per il caso reale calcoliamo le espressioni del momento motore e del momento resistente:
M m = N ⋅δ + R ⋅ h ⋅ N
M r = −N ⋅δ + R' ⋅ h ⋅ N
Dalla seconda espressione si può ricavare N:
Mr
N=
h ⋅ R' − δ
Sostituendo poi N nella prima espressione si ricava il momento motore:
δ
h+
h⋅R +δ R R'
Mm = Mr = Mr ⋅ ' ⋅
h⋅ R −δ
'
R δ
h−
R
Ricordando l’espressione del rendimento:
M mo
η=
Mm
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Figura 53: Forze agenti sulle ruote di frizione nel caso reale
Le ruote di frizione vengono impiegate nella trasmissione di piccole coppie (strumenti di misura,
motorini di ciclomotori), nella trasmissione di moto sotto l’azione di forze modeste ad organi di
grandi dimensioni ( ad esempio betoniere).
Il difetto di una trasmissione del moto mediante ruote di frizione è che essa dipende dal valore del
coefficiente d’attrito; volendo utilizzare un tipo di trasmissione indipendente da tale coefficiente si
deve rinunciare ad avere un moto relativo di puro rotolamento.
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• Metodo dell’inviluppo
Questo metodo consiste nel disegnare le posizioni assunte dal profilo p’ durante il moto di
rotolamento della polare mobile sulla polare fissa. La curva ottenuta come inviluppo di tutte le
curve p’ tracciate sarà il profilo p cercato.
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• Metodo dell’epiciclo
Consideriamo una curva ε ed un punto P ad essa solidale e facciamo rotolare la curva ε una volta
sulla polare fissa λ e una volta sulla polare mobile λ’. Durante tali moti il punto P descriverà due
curve p e p’ tra loro coniugate.
C1' P1' = C1 P1
tale relazione indica che i punti P1’ e P1 sono coniugati durante il moto.
Si possono ottenere due profili coniugati anche utilizzando, al posto del punto P, una curva µ
solidale alla curva ε.
Il metodo dell’epiciclo ha la particolarità di poter creare delle famiglie di curve tali che presi due
profili qualunque questi risultano essere fra loro coniugati. L’asserto deriva dal considerare che il
profilo p è ricavato unicamente da ε e dalla polare fissa, mentre il profilo p’ è ricavato unicamente
da ε e dalla polare mobile. Variando λ’ (o λ) si ottiene una nuova curva p’ (o p) ancora coniugata
con p (o p’).
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3. La ruota con un numero infinito di denti (denominata dentiera) ha un superfici dei denti
piane.
Figura 58: Generiche ruote dentate cilindriche a denti dritti, dentatura esterna e
dentatura interna
Prendiamo, come riferimento, la generica ruota dentata cilindrica a denti dritti riportata in figura 58.
La cresta del dente è compresa entro una circonferenza, la quale prende il nome di “circonferenza
di testa”. Oltre a questa sono presenti la “circonferenza primitiva”, traccia sul piano della ruota
dentata della polare del moto relativo; la “circonferenza di base” e la “circonferenza di piede”.
Quest’ultima delimita la parte inferiore del dente ed è a questo raccordata. Tutte le circonferenze
sopraccitate sono concentriche. Per maggiore chiarezza si veda la seguente figura 59.
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Le superfici laterali del dente prendono il nome di fianco. La circonferenza primitiva divide il
fianco del dente in due porzioni, un’esterna alla circonferenza primitiva che prende il nome di
fianco addendum e un’interna alla circonferenza primitiva che prende il nome di fianco dedendum.
Si definisce modulo di una ruota dentata il rapporto tra il diametro primitivo 2R e il numero di denti
z, ovvero:
2R
m=
z
Il valore del modulo non può essere scelto a caso ma deve rientrare in uno dei valori normalizzati
(UNI 4504).
VALORI NORMALIZZATI DEL MODULO
1 1.25 1.5 1.75
2 2.25 2.5 2.75
3 3.25 3.5 3.75
4 4.5
5 5.5
6 6.5
7 8 9 10 11 12 14 16
La norma UNI prevede che siano adottati di preferenza i valori del modulo sottolineati.
Una volta definito il modulo si può distinguere tra due diversi tipi di proporzionamento:
• Proporzionamento normale: in cui
o a=m
o d = 1.25m
o h = 2.25 m
• Proporzionamento ribassato: in cui
o a = 0.8m
o d=m
o h = 1.8m
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Ma questo equivale a dire che due ruote dentate ingranano fra loro se hanno lo stesso modulo.
Volendo dimostrare l’asserto si considerino due ruote dentate (ruota 1 e ruota 2) aventi la prima
passo p1 e la seconda passo p2. Affinché vi sia ingranamento deve risultare:
p1 = p 2
ma scrivendo il passo in funzione del modulo si ha:
πm1 = πm2
semplificando si ottiene infine:
m1 = m2
Consideriamo la definizione del rapporto di trasmissione tra due ruote dentate:
R
τ= 1
R2
dove R1 e R2 sono i raggi delle primitive delle ruote. Dalla definizione di passo si può ricavare la
seguente espressione:
p⋅z
R=
2π
Quindi il rapporto di trasmissione può essere scritto come:
p ⋅ z1 2π z
τ= ⋅ = 1
2π p ⋅ z 2 z 2
Ovvero il rapporto di trasmissione è direttamente legato al numero di denti delle due ruote dentate.
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Durante il moto del punto di contatto dal punto N1 al punto N2, le due primitive σ1 e σ2 rotolano su
di un arco s, denominato arco di azione. Esiste una relazione tra il passo di una ruota e la lunghezza
dell’arco di azione, tale relazione prende il nome di condizione di continuità del moto e si esprime
analiticamente attraverso la relazione:
s≥ p
Dove con p si è indicato il passo della ruota dentata. Se non si verificasse tale condizione (ad
esempio risultasse che p > s) vorrebbe dire che in un arco di lunghezza p-s non si avrebbero denti in
presa e quindi il moto della ruota dentata risulterebbe discontinuo, cosa che non è accettabile.
Calcoliamo adesso, per via analitica le lunghezze dell’arco di azione e dell’arco di ingranamento.
Riferendosi alla figura 64, dalle proprietà geometriche dell’evolvente di cerchio si ha che vale
l’uguaglianza:
HL = N 2 C
Consideriamo adesso le circonferenze di testa e primitiva; esiste una relazione tra gli archi B2C e
HL e i raggi delle circonferenze:
B2 C R1 R1 1
= = =
HL ρ1 R1 ⋅ cos(α ) cos(α )
sfruttando l’uguaglianza scritta in precedenza:
HL N 2C
B2 C = =
cos(α ) cos(α )
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la quale risolta porta ad un’espressione della variabile in funzione unicamente del raggio della
circonferenza primitiva, dell’addendum e dell’angolo di pressione.
x = N 2C = − R1 sin (α ) + a 2 + R1 ( R1 sin 2 (α ) + 2a )
Per calcolare anche l’espressione della parte di segmento CN1, si deve considerare l’altra ruota
ripetendo, in modo del tutto analogo, i ragionamenti fatti in precedenza.
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Facciamo l’ipotesi che la ruota 1 abbia diametro maggiore e che sia realizzata con
proporzionamento normale. Sotto queste condizioni vale la disuguaglianza:
CN 2 < CN 1 ≤ CT2 < CT1
La condizione più gravosa per le ruote dentate è:
CN 2 ≤ CT2
La quale impone un valore massimo sull’addendum e quindi una condizione minima sul numero di
denti della ruota, infatti
2R
a = k ⋅m = k
z
Quindi, per una data primitiva, se l’addendum assume un valore di massimo il numero di denti deve
necessariamente assumere un valore di minimo, dal momento che sono in una relazione di
proporzionalità inversa.
Cerchiamo adesso di ricavare, per via analitica il numero di denti minimo. Riferendoci alla figura
66 , poniamoci in una condizione limite, ovvero vale la relazione:
CN 2 = CT2
Figura 66: Costruzione per la determinazione del numero minimo di denti di una ruota
Consideriamo il triangolo N2CO1 , in questo i cateti sono esprimibili attraverso le relazioni:
O1 N 2 = a + R1
O1C = R1
N 2 C = R2 ⋅ sin (α )
Applichiamo il teorema di Carnot si ha:
(R1 + a )2 = R12 + R22 ⋅ sin 2 (α ) − 2 R1 ⋅ R2 ⋅ sin (α ) ⋅ cos π + α
2
BOZZA 99
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Come ultimo caso prendiamo in esame l’ingranamento tra una dentiera e una ruota dentata (in
questo caso : τ → ∞ ).
BOZZA 100
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CT2 = R2 sin (α )
e quindi:
a = R2 sin 2 (α )
Procedendo come nel caso di due ruote, si arriva infine alla relazione cercata:
2k
z≥
sin 2 (α )
Si poteva giungere allo stesso risultato applicando il teorema di de l’Hopital all’espressione del
numero minimo di denti per due ruote.
BOZZA 101
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Dove a0 indica il valore limite dell’addendum per il quale non si ha interferenza, d0 indica il valore
limite del dedendum per il quale non si ha interferenza, x indica lo spostamento della dentiera
utensile, sia poi z0 il numero di denti minimo della ruota.
Come visto in precedenza, per una ruota, con proporzionamento normale, che ingrani con una
dentiera vale la relazione:
a 0 = R0 sin 2 (α )
Ricordando la definizione del modulo:
2 R0
m=
z0
si può scrivere:
mz 0
a0 = sin 2 (α )
2
moltiplicando ambo i membri per 1/m si ricava infine la relazione:
a0 z 0
= sin 2 (α ) .
m 2
Per le ruote corrette non si avrà interferenza se sarà verificata la condizione:
a z
≤ sin 2 (α )
m 2
sottraendo membro a membro a0 da a si ottiene:
a0 − a z 0 − z
≤ sin 2 (α )
m 2
Per la ruota la differenza a0-a può essere scritta come:
a0 − a = − x
che porta alla relazione finale:
x z0 − z
≥ sin 2 (α )
m 2
Quest’ultima relazione permette, nel caso si abbia una ruota con un numero di denti z (con z<z0) di
calcolare lo spostamento x della dentiera utensile per evitare interferenza durante il taglio.
BOZZA 102
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• Il contatto tra due generici denti è graduale: inizia in un punto, continua su dei segmenti e
termina ancora in un punto. Ciò implica minori urti e quindi un incremento del rendimento.
• L’arco di ingranamento risulta incrementato della quantità l ⋅ tg (β b ) ; questo porta ad un
l ⋅ tg (β b )
aumento dell’arco di azione di ; questo porta un vantaggio nella condizione di
cos(α )
continuità del moto.
BOZZA 104
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BOZZA 105
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semplificando si ha:
r
tg (β ) = tg (β b )
ρ
ricordando che:
ρ = r ⋅ cos(α )
si può scrivere, infine, la relazione cercata:
tg (β b )
tg (β ) = .
cos(α )
Esiste anche una relazione tra modulo normale (mn) e modulo periferico (m); riferendoci alla figura
73 si può scrivere:
mn = m ⋅ cos(β )
BOZZA 106
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α 1 = cos t
α 2 = cos t
quindi le primitive del moto relativo sono due coni rotondi di vertice comune O e aventi aperture ω1
e ω2. Si può quindi pensare di prendere, come superfici coniugate, dei tronchi di cono ottenendo
così ruote di frizione coniche. Tali ruote di frizione presenteranno però gli stessi inconvenienti visti
nel caso di trasmissione per assi paralleli.
BOZZA 107
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BOZZA 108
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Il taglio dei denti viene eseguito quasi sempre attraverso metodi per inviluppo: durante il taglio la
ruota utensile (detta anche dentiera utensile) e la ruota in lavorazione ingranano fra loro , vi sono
poi anche i moti di avvicinamento e di taglio.
Uno dei problemi delle dentature è rappresentato dalle deformazioni determinate dai trattamenti
termici a cui è sottoposto il materiale impiegato nella produzione. Per ovviare il mezzo più efficace
è la rettifica finale dei denti, ma si deve tener presente che questo è un procedimento costoso. Un
metodo meno costoso per eliminare le tensioni residue, normalmente utilizzato in campo
automobilistico, è la sbarratura. Tale lavorazione viene effettuata prima dei trattamenti termici,
mediante un’apposita ruota utensile sbarbatrice la quale asporta un sottilissimo strato superficiale.
Analizziamo ora i principali acciai impiegati nella costruzione delle ruote dentate. Le caratteristiche
che questi devono avere sono:
• Elevata resistenza all’usura e alla fatica hertziana (pitting)
• Elevata resistenza alla fatica per flessione alla base dei denti
• Elevata resistenza all’urto
• Buona lavorabilità per asportazione di truciolo
• Attitudine ai trattamenti termici superficiali
Le famiglie di acciai comunemente impiegate sono:
• Acciai da cementazione
• Acciai per tempra superficiale
• Acciai da nitrurazione
Tutti e tre questi trattamenti termici producono strati superficiali di elevata durezza, che accrescono
la resistenza all’usura.
La cementazione seguita dalla tempra è il trattamento più usato per ottenere la necessaria durezza
superficiale della dentatura. Essa consiste in un arricchimento superficiale di carbonio, per cui dopo
il procedimento di tempra il dente presenta una superficie dura, mantenendo un cuore tenero. Altro
trattamento usato è la carbonitrurazione. Gli acciai usati in prevalenza sono:
• Acciai al CrNi
• Acciai al NiCrMo
• Acciai al MNCR
• Acciai al CrMo
Sono però largamente usati anche acciai da bonifica, con trattamento finale di tempra superficiale, il
loro impiego è consigliato per ruote di grande diametro, quando i trattamenti di cementazione e
tempra produrrebbero eccessive deformazioni.
Alcuni degli acciai da bonifica utilizzati sono:
• 40NiCrMo3
• 41CrMo4
• C43
• C48
Nel caso si voglia prediligere la resistenza ad usura rispetto alla resistenza a flessione si può
utilizzare l’indurimento per nitrurazione. Questo è ottenuto mediante la formazione di uno strato di
nitruri di alluminio, cromo, vanadio e nitruri di ferro.
BOZZA 109
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La prima cosa da fare è cercare un valore dell’interasse ottimale per il funzionamento delle due
ruote. Solitamente tale valore viene determinato per tentativi, noi faremo l’ipotesi che il valore
ottimale dell’interasse sia:
• i = 100 mm
Una volta noto il valore di i si può scrivere il seguente sistema nelle incognite R1e R2, raggi delle
due ruote:
R1 + R2 = i
R1
=τ
R2
da cui si ricava:
R1 = 25mm
R2 = 75mm
BOZZA 110
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2
z1 ≥
sin 2 (α )
e porta a:
z1 ≥ 18
Fissiamo quindi z1=18 e calcoliamo il modulo:
2R 2 ⋅ 25
m= 1 = = 2.8mm
z1 18
questo valore del modulo non rientra fra quelli normalizzati, scegliamo quindi il valore
normalizzato che più si avvicina:
m = 2.5mm
Scelto m si ricava il numero dei denti delle due ruote dentate:
2R 2 ⋅ 25
z1 = 1 = = 20
m 2.5
z
z 2 = 1 = 60
τ
Una volta determinate le caratteristiche geometriche delle due ruote passiamo alle verifiche a
flessione ed a usura.
La coppia C1 agente sulla ruota motrice è data da:
60
C1 = P ⋅ = 25 N ⋅ m
2πn
la forza scambiata da due denti è scomponibile in una azione radiale F ed in una azione tangenziale
T:
C
T = 1 = 1000 N
R1
F = T ⋅ tg (α ) = 364 N
Per il calcolo della resistenza a flessione (convenzionalmente si trascurano azioni di taglio e sforzo
normale) si suppone il dente assimilabile ad una trave incastrata con carico a sbalzo, si fa inoltre
l’ipotesi cautelativa che vi sia una sola coppia di denti in presa.
La formula utilizzata per la verifica è la formula di Lewis espressa da:
T ≤ σ amm ⋅ y ⋅ m ⋅ b
in cui:
• y è detto coefficiente di Lewis e si trova gabellato in funzione del numero di denti e
dell’angolo di pressione. Nel nostro caso si ha: y = 0.341
• σamm è la tensione ammissibile del materiale impiegato per realizzare le ruote. Nel nostro
caso scegliamo un acciaio legato da bonifica con un valore della tensione ammissibile pari a
200 N/mm2. Per tener conto del sovraccarico dinamico si introduce un coefficiente di
riduzione della tensione ammissibile, dato da:
A
δ =
A+v
dove:
2πn m
v= R1 = 3.9
60 s
è il valore della velocità periferica della prima ruota; mentre A è un coefficiente che può
essere paria 6 o 3 rispettivamente per ingranaggi precisi o poco precisi. Nel nostro caso
assumiamo A = 6, si ha così:
δ = 0 .6
BOZZA 111
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T ≤ p amm
2
⋅ f ⋅m⋅b
dove:
• p amm è il valore ammissibile della pressione nel contatto tra i denti; per l’acciaio scelto in
precedenza si può porre:
N
p amm = 500
mm 2
• f è un coefficiente pari a:
sin (2α ) z1 ⋅ z 2
f = ⋅
0 .7 ⋅ E ( z 1 + z 2 )
nell’ipotesi che entrambe le ruote siano realizzate con lo stesso materiale. E è il modulo di
N
Young dell’acciaio e vale 2 ⋅ 10 5 . Nel nostro caso si ha che:
mm 2
mm 2
f = 8.6 ⋅ 10 −5
N
Introducendo questi valori nella formula della verifica ad usura si ricava:
b ≥ 19mm
Dovendo la ruota essere in grado di resistere ad entrambi i tipi di sollecitazioni si prende come
valore minimo dello spessore:
b = 19mm
BOZZA 112
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8. Rotismi
Sono meccanismi formati da ruote dentate e coppie rotoidali, si dividono in:
• Ordinari: se gli assi delle ruote sono fissi rispetto al telaio;
• Epicicloidali: se uno o più assi sono mobili rispetto al telaio.
ω2 z1
τ12 = =
ω1 z2
ω z
τ23 = 3 = 2
ω2 z3
ω ωω
τ = 3 = 3 2 =τ12τ23
ω1 ω1 ω2
BOZZA 113
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Se gli alberi intermedi portano due ruote (es. b e c), le velocità angolari delle ruote montate sullo
stesso albero sono uguali, quindi:
ω2 ω4 ω6 ω
τ= ...... n
ω1 ω3 ω5 ω n −1
! e cioè τ è dato dal prodotto dei rapporti di trasmissione delle ruote che ingranano tra loro.
ω 1
3
2
5 4
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3
2
BOZZA 115
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per determinare τo , fissiamo il portatreno e valutiamo il rapporto di trasmissione del rotismo reso
z1
ordinario con la ruota 1 movente e la 2 cedente attraverso il numero di denti, τ o = −
z2
! il meno è dovuto al fatto che le due ruote ruotano in verso opposto.
Sostituendo τo si trova il rapporto tra le velocità angolare del satellite e quella del portasatellite:
ω 2 z1 + z2
=
ωp z2
Consideriamo ora il rotismo epicicloidale in figura 84.
3 2 3 2
4 4
1 1
Figura 84: Schema del rotismo epicicloidale (sinistra) e del corrispondente rotismo reso
ordinario (destra)
ωp τ
= o ;
ω1 τ o − 1
z1 ωp z1
se fisso il portatreno, τ o = − per cui: = .
z3 ω1 z1 + z3
Il rapporto di trasmissione del rotismo reso ordinario (sempre in figura 84, stessa catena
cinematica!) con cedente ruota 3 e movente ruota 1 vale in valore assoluto:
z1
τo =
z3
Si può quindi notare che il rotismo epicicloidale permette di realizzare un rapporto tra cedente e
movente più piccolo del rotismo ordinario, inoltre nell’epicicloidale la ruota a dentatura interna è
fissa, quindi risulta una costruzione più compatta.
I rotismi con due gradi di libertà sono in generale dei meccanismi con un movente e due cedenti,
sono chiamati anche rotismi differenziali, come quelli riportati in figura 85.
BOZZA 116
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BOZZA 117
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ω3 + ω1
La ruota 3 tende ad accelerare, la ruota 1 a decelerare ma vale sempre ω p =
2
BOZZA 118
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La prima equazione garantisce l’uguaglianza tra la massa della biella e quella del nuovo sistema a
masse concentrate, la seconda garantisce l’uguaglianza tra le posizioni dei baricentri dei due sistemi
e la terza l’uguaglianza tra i momenti di inerzia.
Risolvendo il sistema (si tratta di un semplice sistema algebrico di tre equazioni in tre incognite), e
indicando con l la lunghezza della biella (a+b=l) si ottiene:
Jb
mP = al
Jb
m M = (2)
bl
Jb
mGb = mb − ab
Si osserva che i valori delle masse di sostituzione dipendono ovviamente dalla geometria della
biella, nel caso in cui questa possa essere rappresentata con un parallelepipedo di lunghezza l e
larghezza c risulta:
BOZZA 119
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1 l 2 + c 2 mb c 2 mb
mP = mM = mb = 1 + ≅
12 l2 6 l 2 6
2 (3)
mb 2
mGb = mb − 2 = mb
6 3
La biella può essere anche sostituita da un sistema costituito da due masse mP ed mM,posizionate nei
punti M e P e da un momento di inerzia fittizio11 J0 . Per calcolare i valori delle due masse e del
momento di inerzia impostiamo il seguente sistema:
mP + mM = mb
(4)
m P a + m M b = 0
m P a + m M b + J 0 = J b
2 2
Anche in questo caso si tratta di un semplice sistema algebrico di tre equazioni in tre incognite,
dalla cui risoluzione si ottiene:
b
mP = mb l
(5)
a
mM = mb
l
J 0 = J b − mb ab
Nel caso in cui la biella possa essere rappresentata per mezzo di un parallelepipedo si ottiene:
b
mP = mb l
(6)
a
m
M = m b
l
l2
J 0 = −mb
6
Si osserva che in questo caso il momento di inerzia fittizio J0 risulta negativo.
11
lo definiamo momento di inerzia fittizio nel senso che ad esso non corrisponde una effettiva distribuzione di massa, si
tratta di un parametro di tipo algebrico, che può assumere anche valore negativo, cosa che non si può mai verificare per
i momenti d’inerzia “reali”.
BOZZA 120
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2 2 2
il primo termine è dato dalla massa concentrata mM, posizionata sul punto M, la sua velocità
sarà quindi pari a ωr, il secondo termine è dovuto alla massa mP, posizionata sul punto P e
quindi caratterizzata da una velocità vp uguale a quella del pistone, il terzo termine infine è
dovuto al momento di inerzia J0, con β indichiamo la velocità angolare della manovella.
Per il teorema dei seni risulta:
sin β sin θ
=
r l
r
sin β = sin θ = λ sin θ (13)
l
Derivando entrambi i membri rispetto al tempo si ottiene:
β cos β = λω cos θ
cos θ
β = λω ≅ λω cos θ
cos β (14)
Il termine dell’energia potenziale che dipende dal momento di inerzia J0 può quindi essere
riscritto in questo modo:
J 0 β 2 = J 0 λ2ω 2 cos 2 θ = J 0 λ2ω 2 (1 − sin 2 θ ) =
(15)
= J 0 λ2ω 2 − J 0 λ2ω 2 sin 2 θ
12
Per la dimostrazione dell’equazione (8) si rimanda al capitolo sui sistemi articolati
BOZZA 121
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Il primo termine della (15) può essere considerato insieme all’energia cinetica della
manovella e della massa mM (energia cinetica delle masse rotanti), mentre il secondo può
essere considerato insieme alla massa del pistone e alla massa mP.
In definitiva, l’energia cinetica del sistema è data da:
1 λ2 2
1
( )
T = J m + m M r 2 + J 0 λ2 ω 2 + m p + m P − J 0 2 v p
2 2
(16)
r
La (1.16) può essere riscritta mettendo in evidenza il termine dovuto alle masse rotanti e quello
dovuto alle masse alterne:
T = Tr + Ta (17.1)
Tr =
1
2
( )
J m + m M r 2 + J 0 λ2 ω 2 (17.2)
1 λ2 2 (17.3)
Ta = m p + m P − J 0 2 v p
2 r
Si osserva che il termine dovuto alle masse rotanti risulta costante se la velocità di rotazione ω è
costante.
Riscriviamo la (1.16) esplicitando la velocità angolare della manovella:
1 λ2 v p
2
( )
T = J m + m M r 2 + J 0 λ2 + m p + m P − J 0 2 2 ω 2 =
2 r ω
(18)
1 λ2 2 2 2
2
( 2 2
)
= J m + m M r + J 0 λ + m p + m P − J 0 2 λ sin θ ω =
r
1
= [J r + J a (θ )]ω 2
2
Avendo indicato con Jr e Ja (che risulta funzione di θ ):
(
J r = J m + m M r 2 + J 0 λ2 ) (19.1)
λ2
J a (θ ) = m p + m P − J 0 2 λ2 sin 2 θ (19.2)
r
Si osserva che, anche se la velocità angolare della manovella è costante, l’energia cinetica non è
costante. Questi meccanismi non possono pertanto funzionare a regime assoluto (con energia
cinetica costante), ma solamente a regime periodico.
Scriviamo quindi l’equazione di Lagrange, prendendo θ come variabile lagrangiana:
d ∂T ∂T
− = M (θ , t ) (20)
dt ∂θ ∂θ
Esplicitiamo le derivate a primo membro:
1
∂ [J r + J a (θ )]θ 2
d ∂T d 2 = 1 [J + J (θ )]θ
= 2 r a (21.1)
dt ∂θ dt ∂θ
∂T 1 ∂J a (θ ) 2
= θ (21.2)
∂θ 2 ∂θ
BOZZA 122
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A secondo membro è presente il momento delle forze esterne non conservative, ridotto alla
coordinata lagrangiana θ , supponiamo che sul manovellismo agisca una forza F sul pistone (nei
motori alternativi è la forza sviluppata dalla combustione nel cilindro) e una coppia resistente τ
sulla manovella (Figura 89).
Figura 89: Manovellismo di spinta centrato, forze e coppie agenti sul sistema.
Per ridurre la forza F alla coordinata lagrangiana θ ricordiamo che:
Fv p = C rid ω
vp
C rid = F (22)
ω
vp
Il rapporto può essere determinato con la costruzione grafica riportata in Figura 90. Per
ω
maggiori dettagli sulla costruzione grafica si rimanda al capitolo sui sistemi articolati.
Figura 90: Manovellismo di spinta centrato, costruzione grafica della velocità del piede
di biella.
BOZZA 123
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Figura 91: Motore alternativo monocilindrico, forze e coppie agenti sul sistema a) forza
nel cilindro e coppia resistente, b) forze che agiscono sul telaio, c)forze che agiscono sul
manovellismo
Le macchine alternative sono caratterizzate da alcuni elementi che si muovono di moto rotatorio (le
manovelle), altre di moto traslatorio alternato (i pistoni) e altri di moto rototraslatorio (le bielle).
Abbiamo visto nei paragrafi precedenti che l’energia cinetica del sistema non è costante quando la
velocità angolare della manovella è costante e questi sistemi non possono funzionare a regime
assoluto.
Il telaio è soggetto a forze caratterizzate da un andamento periodico e che quindi possono generare
vibrazioni potenzialmente in grado di alterare la funzionalità e l’integrità della macchina (possono
provocare, ad esempio, sollecitazioni di fatica).
Obiettivo del BILANCIAMENTO delle macchine alternative è quello di ridurre più possibile
oppure, nella migliore delle ipotesi annullare, le forze di tipo alternativo che dal cinematismo si
scaricano sul telaio.
Un motore si dice quindi bilanciato quando sul telaio non si scaricano forze di tipo periodico dal
cinematismo.
Consideriamo quindi un motore alternativo monocilindrico, funzionante a regime (con velocità ω di
rotazione della manovella costante). Analizziamo le forze che agiscono sul manovellismo (figura 91
c)):
• una forza –F esercitata dalla pressione nel cilindro sulla testa del pistone;
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− N ⋅ PO = −τ − J 0 β (39)
Analizziamo in dettaglio la forza alterna, definita nella (30):
Fa = (m p + mP )a p
ricordiamo, dall’analisi della cinematica del manovellismo di spinta, che l’accelerazione del pistone
può essere approssimata per mezzo della seguente espressione:
a p = rω 2 (cosθ + λ cos 2θ ) (40)
Per cui la forza alterna sarà data da:
Fa = (m p + mP )rω 2 (cosθ + λ cos 2θ ) (41)
Definiamo quindi la forza alterna del primo ordine:
Fa = (m p + mP )rω 2 cosθ (42)
I
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M M
r r
G
O
c
O
G’
c’
Figura 92: Bilanciamento delle forze rotanti a) sistema non bilanciato: il baricentro è
interno al segmento OM b) il sistema è bilanciato se il nuovo baricentro G’ è a distanza
m
c' = M r da O
mm
La forza rotante può essere bilanciata inserendo opportuni contrappesi (spesso integrati sull’albero
motore, vedi Figura 93), con una distribuzione di massa tale da soddisfare l’equazione (45).
IC ID
Questa forza può essere vista come la risultante di due forze Fa e Fa con modulo pari a:
Fa = Fa = (m p + m P )rω 2
IC ID 1 (46)
2
rotanti, con velocità pari a ω e -ω rispettivamente intorno ad O (vedi Figura 94) e coincidenti per
θ = 0.
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IC
Figura 94: Scomposizione della forza alterna nella componente rotante Fa e in quella
ID
controrotante Fa
IC
La componente rotante Fa può essere considerata insieme alla forza rotante definita
nell’equazione (29) e quindi dimensionando in modo opportuno il contrappeso sull’albero motore.
Per eliminare la componente controrotante occorrerebbe un contrappeso controrotante. Tale
soluzione comporta un albero aggiuntivo, che ruota con velocità opposta a quella dell’albero
motore, incrementando così la complessità progettuale, gli ingombri e i costi del motore. Nei motori
monocilindrici, soprattutto se di grossa cilindrata (come ad esempio quelli impiegati nelle moto da
enduro), l’impiego del contralbero è indispensabile, a causa delle elevate masse in gioco.
La forza alterna del secondo ordine ha modulo pari a:
Fa = (m p + mP )rω 2 λ cos 2θ (43)
II
IIC IID
e può essere vista come la somma di due forze Fa e Fa con modulo pari a:
Fa = Fa = (m p + m P )rω 2 λ
IIC IID 1 (47)
2
rotanti con velocità pari a 2ω e − 2ω .
Il bilanciamento della forza alterna del secondo ordine richiederebbe dei contrappesi su alberi
rotanti a velocità doppia rispetto a quella dell’albero motore. Il suo modulo risulta comunque
limitato rispetto a quello della forza del primo ordine (dato che è moltiplicato per λ , che assume
valori minori di 1, tipicamente circa 1:2.5). La sua frequenza risulta invece doppia rispetto a quella
della forza del primo ordine.
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[
X alt = ∑i =1 malt rω 2 (cosθ i + λ cos 2θ i )
n
] (55)
In seguito verificheremo che le condizioni che garantiscono il bilanciamento delle forze alterne del
primo ordine automaticamente garantiscono anche il bilanciamento delle forze rotanti.
Affinché anche le forze alterne del primo ordine siano equilibrate è necessario che:
∑i =1 cosθ i = 0 (57)
n
Affinché anche le forze alterne del secondo ordine siano equilibrate è necessario che:
∑i =1 cos 2θ i = 0 (58)
n
Affinché anche i momenti generati dalle forze alterne del primo ordine siano equilibrati è necessario
che:
∑i =1 z i cosθ i = 0 (59)
n
Affinché anche i momenti generati dalle forze alterne del secondo ordine siano equilibrati è
necessario che:
∑i =1 z i cos 2θ i = 0 (60)
n
Gli sfasamenti tra le manovelle devono essere tali da rendere più uniforme possibile la coppia
durante tutto l’arco di un giro. Indichiamo con δi lo sfasamento dell’i-esima manovella rispetto alla
prima, in modo da avere:
θ i = θ1 + δ i
Per un motore a due tempi dovrà risultare:
2π 13 2π (61)
δ i − δ i −1 = oppure anche δ i = (i − 1) con i = 1,2, , N (N numero dei cilindri)
N N
Mentre per un motore a quattro tempi:
4π 4π (62)
δ i − δ i −1 = oppure anche δ i = (i − 1) con i = 1,2, , N (N numero dei cilindri)
N N
Le condizioni per il bilanciamento del motore si possono quindi riscrivere in questo modo:
∑i =1 cos(θ 1 + δ i ) = cosθ1 ∑i =1 cos δ i − sin θ1 ∑i=1 sin δ i =0 (63)
n n n
∑ (68)
n
i =1
sin δ i = 0
∑ (69)
n
i =1
cos 2δ i = 0
∑ (70)
n
i =1
sin 2δ i = 0
13
Nella equazione (61), così come in quella (62) si intende esplicitare la necessità, per motivi di funzionamento
termodinamico e di continuità del moto, che le fasi dei vari cilindri del motore si susseguano con una certa regolarità
(ad es. è chiaro che non è bene che lo scoppio avvenga simultaneamente in tutti i cilindri). Tuttavia non è assolutamente
necessario che l’indice i sia collegato alla effettiva disposizione dei cilindri lungo l’albero a camme (ovvero, gli
sfasamenti dei vari manovellismi si calcolano con le (61) o (62), ma poi la disposizione ottimale dei vari cilindri lungo
l’albero a gomiti viene decisa esclusivamente sulla base delle esigenze meccaniche di bilanciamento).
BOZZA 130
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∑ (71)
n
i =1 i
z cos δ i = 0
∑ (72)
n
z sin δ i = 0
i =1 i
∑ (73)
n
i =1 i
z cos 2δ i = 0
∑ (74)
n
z sin 2δ i = 0
i =1 i
Si osserva che imponendo l’annullamento delle forze alterne del primo ordine (condizioni (67) e
(68) automaticamente si impone anche l’annullamento delle forze rotanti. Infatti la componente
lungo x della forza rotante è pari a:
[ ] (
X rot = ∑i =1 mrot rω 2 cosθ i = mrot rω 2 cosθ 1 ∑i =1 cos δ i − sin θ 1 ∑i =1 sin δ i
n n n
)
(75)
Mentre la componente lungo y delle forze rotanti è pari a:
[ ] (
Yrot = ∑i =1 mrot rω 2 sin θ i = mrot rω 2 cosθ 1 ∑i =1 sin δ i + sin θ 1 ∑i =1 cos δ i
n n n
) (76)
Si osserva quindi che se le relazioni (67) (68) sono verificate, automaticamente risulta anche:
X rot = 0
Yrot = 0
Analizziamo quindi alcuni esempi di motori alternativi monocilindrici.
BOZZA 131
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Figura 98: Motore con tre cilindri a due tempi: disposizione delle manovelle.
Analizziamo le forze alterne del primo ordine:
2 4 3 3
sin δ 1 + sin δ 2 + sin δ 3 = sin 0 + sin π + sin π = 0 + − =0
3 3 2 2
2 4 1 1
cos δ 1 + cos δ 2 + cos δ 3 = cos 0 + cos π + cos π = 1 − − = 0
3 3 2 2
Le forze alterne del primo ordine risultano quindi bilanciate.
Analizziamo le forze alterne del secondo ordine:
4 8 3 3
sin 2δ 1 + sin 2δ 2 + sin 2δ 3 = sin 0 + sin π + sin π = 0 − + =0
3 3 2 2
BOZZA 135
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4 8 1 1
cos 2δ 1 + cos 2δ 2 + cos 2δ 3 = cos 0 + cos π + cos π = 1 − − = 0
3 3 2 2
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Figura 99: Motore con quattro cilindri a due tempi: disposizione delle manovelle.
Analizziamo le forze alterne del primo ordine:
sin δ 1 + sin δ 2 + sin δ 3 + sin δ 4 = 0
cos δ 1 + cos δ 2 + cos δ 3 + cos δ 4 = 0
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Figura 100: Motore con quattro cilindri a quattro tempi: disposizione delle manovelle.
Analizziamo le forze alterne del primo ordine:
sin δ 1 + sin δ 2 + sin δ 3 + sin δ 4 = 0
cos δ 1 + cos δ 2 + cos δ 3 + cos δ 4 = 0
Le forze alterne del primo ordine risultano quindi bilanciate.
Analizziamo le forze alterne del secondo ordine:
sin 2δ 1 + sin 2δ 2 + sin 2δ 3 + sin 2δ 4 = 0
cos 2δ 1 + cos 2δ 2 + cos 2δ 3 + cos 2δ 4 ≠ 0
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Osservazione:
E’ immediato verificare che nei motori in cui il piano medio risulta piano di simmetria (motore con
due cilindri a quattro tempi, motore con quattro cilindri a quattro tempi) i momenti delle forze
alterne, sia del primo che del secondo ordine si annullano.
Esercizio proposto
Esercizio proposto
14
Le equazioni differenziali che regolano la dinamica del sistema saranno del tipo Ax (t ) + Bx (t ) + Cx (t ) = f (t ) con
A, B e C costanti e f(t) funzione nota. La soluzione dell’equazione differenziale è la funzione incognita x(t).
BOZZA 140
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• Il comportamento a regime del sistema è viceversa quella parte del comportamento che non
si estingue (ed anzi rimane inalterata se la forzante è periodica) finché la forzante non cessi
oppure vari il suo contributo.
Per quanto riguarda le azioni forzanti, ci si riferirà sempre a forzanti di tipo armonico15 in quanto,
come già visto nel modulo di analisi armonica, tutte le funzioni di interesse tecnico (forzanti
periodiche e transitorie) possono essere espresse in termini di sommatorie o integrali di funzioni
armoniche. Poiché inoltre le equazioni sono esclusivamente lineari, è possibile sfruttare il principio
di sovrapposizione degli effetti, per cui lo studio esclusivo di tale tipo di funzione forzante non
risulta riduttivo. Nel caso di una forzante non armonica, si scompone quindi la forzante stessa nelle
sue componenti armoniche (f1, f2,….., fi) e si trovano le soluzioni delle equazioni del sistema
sottoposto alle singole componenti armoniche (x1, x2,….., xi); la soluzione generale è la somma
delle soluzioni del sistema sottoposto alle singole componenti armoniche x=x1+x2+…..+xi.
Nel caso in cui le equazioni differenziali non fossero lineari, per la conoscenza completa del
comportamento del sistema, è necessario fare ricorso a tecniche più avanzate. Tuttavia, per ottenere
una prima stima del comportamento del sistema, potrebbe essere utile effettuare una linearizzazione
del sistema attraverso lo sviluppo in serie di Taylor arrestato al primo termine. Il comportamento
del sistema linearizzato sarà tanto più simile a quello del sistema originale (non lineare), quanto più
piccola sarà l’entità degli spostamenti nell’intorno della posizione di equilibrio.
15
Per indicare una funzione armonica, si farà da qui in poi riferimento alla notazione esponenziale già introdotta nel
modulo di Analisi Armonica. L’introduzione della notazione esponenziale, e quindi dei numeri complessi, semplifica
notevolmente la risoluzione delle equazioni differenziali, inoltre sottoporre il sistema alla forzante f0=A⋅cos(ωt), è del
tutto equivalente (e quindi fornisce la medesima soluzione, sia i termini di ampiezza che di fase) a sottoporre il sistema
alla forzante f0= A⋅eιωt.
16
Se il moto non è puramente traslatorio questa equazione è ancora valida, ma descrive esclusivamente il moto del
baricentro del corpo. Per lo studio completo del moto del corpo è necessario introdurre altre equazioni che permettono
di descrivere il moto di rotazione del corpo attorno al suo baricentro.
17
In pratica il Principio si sintetizza nel fatto di poter utilizzare anche per la dinamica le stesse leggi della statica,
avendo la cura di introdurre le cosiddette azioni di inerzia o forze apparenti.
BOZZA 141
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x0 x
x(t)
Fel
x0 x
x(t)
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Tuttavia, se si prende la posizione di equilibrio (statico) come origine del sistema di riferimento,
allora x0=0, e quindi si ottiene la più classica forma:
Fel=-kx.18
Va tuttavia rimarcato che in questo caso (diversamente da quanto scritto in precedenza), la variabile
x(t) rappresenta lo spostamento del corpo rispetto alla posizione di equilibrio, e non più
semplicemente la posizione del corpo rispetto ad un riferimento qualsiasi.
Il caso più comune di forza elastica è quello della forza sviluppata da una molla a spirale (a patto
che non sia né troppo compressa né troppo allungata). E’ proprio da questo componente che trae
origine il simbolo grafico convenzionale per tale tipo di forze.
A B
Da quanto detto in precedenza risulta chiaro che la forza sviluppata da un tale elemento è
proporzionale tramite la costante di elasticità k (N/m) alla distanza tra gli estremi indicati con le
lettere A e B.
x
xB B
B
xB xB B
x0 x0 x0
A A
xA A xA xA
O
Molla a riposo Molla compressa Molla tesa
La molla possiede una propria lunghezza a riposo indicata in questo caso con x0. Le forze generate
dalla molla e scambiate con i corpi ad essa connessi in corrispondenza degli estremi hanno versi
opposti a seconda che la distanza tra gli estremi A e B sia superiore (molla tesa) o inferiore (molla
compressa) alla lunghezza a riposo.
E’ facile verificare che la forza scambiata in corrispondenza dell’estremo B varrà:
Fel B=-k(xB-xA-x0).
Poiché inoltre si è già detto che le componenti costanti non influenzano la dinamica del sistema,
solo per quello che riguarda il comportamento dinamico, è anche possibile scrivere:
Fel B=-k(xB-xA).
Inoltre solo nel caso in cui l’estremo A sia fisso (xA costante) è possibile scrivere
Fel B=-k xB.
Soltanto nel caso in cui con s si intenda la deformazione della molla rispetto alle sue condizioni a
riposo, è sempre possibile indicare la forza elastica di una molla tramite:
18
In ogni caso si è già detto come le forze costanti (o le componenti costanti delle forze) non determinano variazioni del
comportamento dinamico del sistema, ma solo della sua posizione di equilibrio. Se si osserva quindi la forma più
completa della forza elastica Fel(t)=-k(x(t)-x0), si ha anche che Fel(t)=-k x(t)+ k x0. La seconda parte delle forza elastica
(k x0) risulta quindi costante e può essere trascurata se interessa esclusivamente l’analisi del comportamento dinamico
del sistema. Se viceversa interessa anche la determinazione della posizione di equilibrio, anche la parte costante deve
essere considerata.
BOZZA 143
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Fel B=-k s.
E’ infine utile ricordare che una forza elastica è anche conservativa: per deformare la molla è
necessario compiere lavoro (fornire energia) che viene accumulata come energia potenziale (di
deformazione). Tale energia può essere trasformata in energia cinetica (durante il moto) e viene
restituita integralmente se si riporta la molla alla sua lunghezza di riposo in condizioni di velocità
nulla.
A B
Poiché anche tale forza tende ad opporsi alla variazione della velocità di deformazione, ed in
analogia a quanto già detto per la forza elastica, se si indica con s la distanza tra gli occhielli A e B
dello smorzatore, la forza di smorzamento viscoso vale quindi
Fsm vis = -c s ,
oppure anche
Fsm vis = -c(v B - v A ) = -c(x B - x A ) .
Se l’occhiello A è fisso, e se si indica con x la posizione dell’occhiello B, la forza che lo smorzatore
applica al corpo adiacente in corrispondenza dell’occhiello B vale:
Fsm vis B = -c x .
Se si fa l’ipotesi di spostamenti armonici del tipo x=x0 eiωt, si ha allora:
(
x = iω x0 e iωt . )
Poiché inoltre è anche i=eiπ/2 e (-1)=eiπ,
( ) ( )
x = iω x0 e iωt = e iπ / 2 ω x0 e iωt = ωx0 e i (ωt +π / 2 ) ;
quindi
Fsm vis B = -c ωx0 e i (ωt +π / 2 ) = e iπ c ωx0 e i (ωt +π / 2 ) = c ωx0 e i (ωt +3 / 2π ) = c ωx0 e i (ωt −π / 2 ) ;
BOZZA 144
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da cui si osserva che la forza di smorzamento viscoso è sfasata di 3/2π (ovvero anche di π/2 in
ritardo), e quindi in quadratura rispetto agli spostamenti.
Si osservi inoltre che a parità di ampiezza di spostamenti (a parità di x0), la forza smorzante
aumenta linearmente con la pulsazione degli spostamenti stessi.
Se quindi il sistema compie vibrazioni caratterizzate da frequenze molto basse (spostamenti quasi-
statici), a volte può anche essere accettabile trascurare tali forze. Se viceversa gli spostamenti sono
caratterizzati da frequenze piuttosto elevate, non considerare tali forze può portare ad errori del tutto
inaccettabili.
Si aggiunge infine che non è possibile definire un limite unico per differenziare le frequenze “alte”
o “basse”: il tutto dipende dall’insieme delle caratteristiche del sistema, tra cui massa e rigidezza.
c k
Un corpo rigido di massa m è collegato a un basamento fisso tramite una molla di costante di
rigidezza k e uno smorzatore viscoso di costante c. Il corpo rigido può solo compiere traslazioni
nella direzione verticale per cui, per descriverne il moto, si sceglie di utilizzare un sistema di
riferimento inerziale monoassiale x, rivolto verso l’alto, e con origine in corrispondenza del
baricentro del corpo nella posizione di equilibrio del sistema, supposta nota.
In questo caso, poiché non sono presenti forzanti e uno degli estremi sia dello smorzatore che della
molla sono fissi (al basamento), l’equazione che regola le vibrazioni del sistema è:
mx = − kx − cx , ovvero mx + cx + kx = 0 .
Prima osservazione: è chiaro che la soluzione x(t)=0 soddisfa l’equazione differenziale, il che
giustifica il fatto, noto a tutti, che un corpo non sottoposto ad alcuna forzante può rimanere fermo
nella sua posizione di equilibrio.
Tuttavia vedremo che questa non è l’unica soluzione possibile, in quanto non è detto che all’istante
iniziale (per t=0) il corpo si trovi nella posizione di equilibrio (x=0) e con velocità nulla ( x = 0 ). Se
infatti la posizione iniziale oppure la velocità sono non nulle, è evidente che il sistema si muoverà,
tendendo peraltro a ritornare sempre nella sua posizione di equilibrio.
BOZZA 145
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Il modo con cui il sistema, ovvero il corpo di massa m, cercherà di ritornare nella sua posizione di
equilibrio, sarà completamente individuato attraverso lo studio dell’equazione differenziale lineare
mx + cx + kx = 0 .
Seconda osservazione: qualora il sistema di riferimento non avesse origine in corrispondenza del
baricentro bel corpo rigido, e qualora la posizione di equilibrio statico del sistema (sotto l’azione del
solo peso) non fosse a priori nota, le equazioni del sistema ed il relativo schema potrebbero essere le
seguenti:
c k
mx + cx + k ( x − x0 ) = − mg
con x0 lunghezza a riposo della molla e g accelerazione di gravità.
Con una piccola trasformazione algebrica si ottiene la seguente equazione:
mx + cx + kx = − mg + kx0 ,
il cui primo membro è esattamente identico alla equazione precedente, mentre a secondo membro
l’equazione presenta un termine forzante costante. E’ noto a tutti che la soluzione di una equazione
differenziale completa è sostituita dalla somma delle infinite soluzioni della equazione omogenea
( mx + cx + kx = 0 ), la stessa che si sarebbe dovuta risolvere con il sistema di riferimento
baricentrico e trascurando la forza peso), con una unica soluzione dell’equazione completa
( mx + cx + kx = − mg + kx0 ).
E’ altresì evidente che la soluzione
mg
x(t) = x0 − = costante
k
soddisfa perfettamente l’equazione differenziale (si osservi che se x(t)=costante allora x = x = 0 ).
Da ciò si evince che, considerando un sistema di riferimento generico e non trascurando la forza
peso (e come questa, tutte le forze costanti), si ottengono le stesse soluzioni che avremmo potuto
trovare con un riferimento baricentrico e trascurando la forza peso, a meno di una costante additiva.
Tale termine costante (un termine che quindi non viene generalmente tenuto in considerazione nello
studio dinamico del sistema), altro non è che la posizione di equilibrio del sistema sottoposto alla
forza peso. In pratica tale termine ci dice che le vibrazioni del punto in cui si connettono massa e
molla, avverranno nell’intorno si una posizione posta di mg/k metri al di sotto della posizione in cui
si troverebbe lo stesso punto della molla in condizioni di assenza di peso (in condizioni di riposo).
La grandezza mg/k viene generalmente indicata come deflessione statica della molla. Tale
grandezza si può trovare ancor più facilmente facendo riferimento alle equazioni della statica
applicate alla molla, per cui devono farsi equilibrio la forza elastica generata dalla molla e la forza
peso agente sulla stessa (kx=mg da cui x=mg/k).
BOZZA 146
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19
In effetti se l’equazione caratteristica ha una soluzione doppia (λ=λ1=λ2), la soluzione generale è una combinazione
delle due funzioni x1 = e λt e x2 = te λt .
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λ1t λ2 t
c
− t i 21m
4 mk −c 2 t
1
− i
4 mk −c 2 t
x(t ) = Ae + Be =e 2m
⋅ Ae
+ Be 2m
.
La parte dell’ultimo membro tra parentesi quadre, sfruttando formulazioni simili alle Formule di
Eulero20 (in cui si ricade direttamente se A=B), può essere inoltre riscritta nella seguente forma:
i 21m
4 mk − c 2 t
1
− i
4 mk − c 2 t 1
Ae
+ Be 2m
= X 0 sin 4mk − c 2 t + ϕ ,
2m
in cui le due costanti X0 e ϕ dipendono esclusivamente dalle due costanti arbitrarie A e B, e quindi
sono arbitrarie anch’esse. Naturalmente tali costanti potranno essere determinate con la conoscenza
delle condizioni iniziali (posizione e velocità della massa nell’istante t=0).
A questo punto la soluzione generale dell’equazione differenziale può essere espressa nella sua
forma definitiva:
c
− t
1
x(t ) = X 0 e 2m
⋅ sin 4mk − c 2 t + ϕ ,
2m
in cui, si può notare, sono scomparsi i numeri complessi, utilizzati solo come strumento per la
risoluzione dell’equazione differenziale.
20
Vedi modulo di Analisi Armonica.
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10
Posizione (m) 2
-
2
-
4
-
6
-
8
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Tempo (s)
Dalla forma matematica della soluzione si possono quindi trarre le seguenti conclusioni:
• Il moto libero è un moto oscillatorio smorzato;
c
− t
2m
• L’ampiezza delle oscillazioni, determinata dal termine X 0 e , è decrescente con il
tempo in dipendenza dalla massa e dallo smorzamento del sistema. Poiché l’ampiezza tende
a zero con il tempo, si evince che il sistema compie oscillazioni smorzate (che diminuiscono
di ampiezza con il tempo) nell’intorno della posizione di equilibrio;
• Mentre l’ampiezza e la fase delle oscillazioni dipendono dalle condizioni iniziali, la
pulsazione del moto libero è una costante dipendente unicamente dalle caratteristiche del
sistema. Essa prende il nome di pulsazione propria del sistema:
1 4mk c2 k c2 k c2 m k c2
ωp = 4mk − c 2 = − = − = 1 − = 1 − .
2m 4m 2 4m 2 m 4m 2 m 4m 2 k m 4km
Si osservi appena che è evidente che la soluzione per cui X0=0 (derivante dal caso in cui A=B=0)
soddisfa l’equazione; questa soluzione, detta soluzione banale, ci conferma il fatto, di comune
esperienza, che un sistema non sottoposto a forze può rimanere fermo.
21
In effetti la pulsazione naturale ωn non è rigorosamente adimensionale (ha dimensioni dell’inverso di un tempo), ma
tale denominazione ha una origine puramente storica.
BOZZA 149
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pulsazione propria (e anche alla pulsazione di risonanza, che verrà introdotta nel seguito) di un
sistema simile a quello preso in esame, ma privo di smorzamento (c=0).
Il fattore di smorzamento viscoso, come risulta evidente dalla stessa definizione, è un numero puro
che indica il rapporto tra lo smorzamento effettivamente presente nel sistema, e quello critico. Se si
ricorda il significato dello smorzamento critico, si evince che solo sistemi caratterizzati da un
fattore di smorzamento viscoso minore di 1, sono caratterizzati da un comportamento libero di tipo
oscillante.
Introducendo tali parametri (che sono apparentemente complessi, ma caratterizzano completamente
il moto libero del sistema al pari delle costanti m, k e c, con il vantaggio di essere solo 2 invece di
3), la soluzione del moto libero del sistema può essere riscritta come:
(
x(t ) = X 0 e −ξω nt ⋅ sin ω n 1 − ξ 2 t + ϕ ; )
e quindi la pulsazione propria varrà:
1 k c2
ωp = 4mk − c =
2
1− = ωn 1−ξ 2 .
2m m 4km
Dalla precedente si può anche notare, come già anticipato in precedenza, che qualora il sistema sia
privo di smorzamento (se c=0, allora è anche ξ=0), i valori numerici della pulsazione propria e della
pulsazione naturale coincidono22.
Sempre nel caso in cui il sistema fosse privo di smorzamento, allora la soluzione del moto libero del
sistema è:
x(t ) = X 0 ⋅ sin (ω n t + ϕ ) ,
da cui si ritrova il fatto che, in assenza di forze smorzanti, un sistema spostato dalla sua posizione di
equilibrio continuerà a vibrare all’infinito attorno a tale posizione, con vibrazioni ad ampiezza e
frequenza rigidamente costanti.
Smorzamento ξ=0.1 Smorzamento ξ=0.5
1.5 1.5
1 1
0.5 0.5
0 0
-0.5 -0.5
-1 -1
-1.5 -1.5
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Spostamento
22
Coincidono solo i valori numerici, ma non il significato: la pulsazione propria è una grandezza che caratterizza
completamente il moto libero del sistema (è l’unica pulsazione a cui il sistema può vibrare). La pulsazione naturale è
invece solo un valore numerico.
BOZZA 150
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8 2
6 1
4
0
2
-1
0
-2
-2
-3
-4
-4
-6
-8 -5
-10 -6
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Velocità
8 2
6 1
4
0
2
-1
0
-2
-2
-3
-4
-4
-6
-8 -5
-10 -6
-0.8 -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2
Diagramma spostamento-velocità
23
In realtà la presenza dell’esponenziale negativa comporta uno spostamento dei massimi verso sinistra, rispetto
all’istante in cui il seno assume il valore unitario. Tuttavia tale spostamento è quasi sempre di entità trascurabile, ed è
tanto più piccolo quanto minore è lo smorzamento del sistema.
BOZZA 151
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Il logaritmo del rapporto delle ampiezze delle vibrazioni in corrispondenza di due massimi
successivi (appunto detto decremento logaritmico) è quindi dipendente esclusivamente dal fattore di
smorzamento viscoso. Noto quindi il valore del decremento (da prove sperimentali), è possibile
ricavare il fattore di smorzamento viscoso con la precisione desiderata attraverso tecniche di calcolo
numerico. Una volta calcolato di fattore di smorzamento viscoso ξ, noti i valori della massa e della
rigidezza, è possibile ricavare il valore della costante di smorzamento viscoso c.
Tuttavia, se il lo smorzamento del sistema è relativamente basso, allora il termine 1 − ξ 2 può
essere confuso con l’unità24; in tale caso è possibile ottenere una più semplice espressione dello
smorzamento del sistema (anche se approssimata):
x(t ) 2πξ 1 x(t1 ) km x(t1 )
ln 1 = ≅ 2πξ ⇒ ξ ≅ ln ⇒ c ≅ ln .
x(t 2 ) 1−ξ 2 2π x(t 2 ) π x(t 2 )
La misura del valore del decremento logaritmico semplice (rapporto delle ampiezze delle vibrazioni
in corrispondenza di due massimi successivi) nei sistemi con poco smorzamento spesso è affetta da
un notevole imprecisione. Infatti se il sistema è poco smorzato le ampiezze delle vibrazioni in
corrispondenza di due massimi successivi sono molto simili tra loro, e gli errori che inevitabilmente
si commettono quando si vanno ad effettuare le misure possono influenzare pesantemente il
risultato.
In questo caso, invece di considerare due massimi successivi, è sufficiente considerare un punto di
massimo in corrispondenza dell’istante t1, e un altro massimo in corrispondenza dell’istante tn
distanziato dal primo di n periodi. Il numero n che può ritenersi ottimale varia da caso a caso, ma
per essere sicuri che gli errori di misura delle ampiezze non influenzino troppo il risultato, il
rapporto x(t1)/x(tn) dovrebbe essere decisamente superiore all’unità (già un valore pari a 3 è
comunque più che soddisfacente).
In questo caso si avrà quindi che:
x (t n ) = X 0 e −ξω ntn = X 0 e −ξω n ( t1 + nT ) = X 0 e −ξω n t1 e −ξω n nT ;
ed anche:
x(t ) X 0 e −ξω n t1
2π 2πnξ
ln 1 = ln
−ξω n t1 −ξω n nT
( )
= ln −ξω nT = ln eξω n nT = ξω n nT = ξω n n
1
= .
x(t n ) X 0e e e n ωn 1− ξ 2 1−ξ 2
Naturalmente anche in questo caso, se lo smorzamento è sufficientemente basso, si avrà anche la
formulazione approssimata:
x(t ) 2πnξ 1 x(t ) km x(t1 )
ln 1 = ≅ 2nπξ ⇒ ξ ≅ ln 1 ⇒ c ≅ ln .
x(t n ) 1−ξ 2 2nπ x(t n ) nπ x(t n )
24
Sistemi meccanici con fattori di smorzamento pari a 0.2-0.3, sono di solito considerati notevolmente smorzati. Anche
in questi casi comunque tale approssimazione è ampiamente giustificata infatti:
per ξ=0.2 1 − ξ 2 = 1 − 0.2 2 = 1 − 0.04 = 0.96 = 0.9798 (errore del 2.02 %)
per ξ=0.3 1 − ξ 2 = 1 − 0.3 2 = 1 − 0.09 = 0.91 = 0.9539 (errore del 4.61 %)
BOZZA 152
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10
4
Posizione (m)
-2
-4
-6
-8
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Tempo (s)
c k
Un corpo rigido di massa m è collegato a un basamento fisso tramite una molla di costante di
rigidezza k e uno smorzatore viscoso di costante c. Il corpo rigido può solo compiere traslazioni
nella direzione verticale e si sceglie di utilizzare un sistema di riferimento inerziale monoassiale x,
rivolto verso l’alto, e con origine in corrispondenza del baricentro del corpo nella posizione di
equilibrio del sistema.
In questo caso è presente una forzante armonica che supporremo di pulsazione generica ω e
ampiezza generica F0 A seconda che si vogliano utilizzare i numeri complessi (la notazione
esponenziale) oppure ci si voglia limitare ai numeri reali, la forzante può essere espressa nelle due
forme seguenti:
F(t)=F0cos(ω t);
F(t)=F0eiωt.
In ogni caso, poiché il basamento è fisso, l’equazione che regola le vibrazioni del sistema è:
mx = − kx − cx + F (t ) , ovvero mx + cx + kx = F (t ) .
BOZZA 153
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E’ noto comunque che tutte le soluzioni di una equazione differenziale completa si ottengono
sommando a tutte le soluzioni dell’equazione omogenea associata, una qualsiasi soluzione della
equazione completa.
Per quanto concerne l’equazione omogenea associata, ovvero:
mx + cx + kx = 0 ,
le sue soluzioni sono già state studiate in precedenza, laddove si è ricercato il comportamento libero
del sistema. In tale occasione si è visto che le vibrazioni che soddisfano la precedente equazione
sono smorzate; queste quindi (ad eccezione del caso in cui non vi sia alcuno smorzamento), in un
tempo più o meno lungo tendono ad annullarsi. E’ proprio per tale motivo che tale parte della
soluzione del sistema forzato viene chiamata soluzione di transitorio, o più semplicemente
transitorio.
Da quanto detto in precedenza si ha che nei primi istanti del moto del sistema,le vibrazioni sono
ottenibili come somma del transitorio e della soluzione particolare. Con il passare del tempo il
transitorio tende ad estinguersi, e quindi dopo un certo periodo (in dipendenza dallo smorzamento)
le vibrazioni forzate sono costituite esclusivamente dalla soluzione particolare. Tale soluzione
permarrà inalterata, senza estinguersi, finché non intervengano variazioni della forzante. Per tali
motivi la soluzione particolare dell’equazione di moto costituisce il comportamento a regime del
sistema.
10 10 15
Transitorio Regime
8 8
10
6
6
+
4
4 5
2
2
0 0
0
-2
-2
-4
= -5
Risposta
-4 -6
-10
-6 -8
-8
0 5 10 15
-10
0 5 10 15
completa -15
0 5 10 15
Da adesso in poi quando si parlerà di comportamento forzato, si farà implicito riferimento al solo al
comportamento a regime. Tuttavia deve sempre essere tenuto in mente la sottile differenza
concettuale tra queste due espressioni, che si può evidenziare - anche in maniera eclatante – nei
primi istanti di moto del sistema.
10.7.1. Moto forzato del sistema senza l’utilizzo dei numeri complessi
Per far comprendere l’utilità dell’utilizzo della notazione complessa (fasoriale), si ritiene
interessante mostrare i passi che dovrebbero essere compiuti per risolvere con il metodo classico la
semplice equazione differenziale ordinaria, del secondo ordine, che regola il moto forzato di un
sistema ad 1 GdL con smorzamento viscoso.
L’equazione è dunque:
mx + cx + kx = F0 cos(ωt ) .
E’ noto che se una funzione x(t) è effettivamente una soluzione dell’equazione differenziale, questa,
introdotta nell’equazione stessa insieme alle sue derivate, deve dar luogo ad una identità.
Poiché la forzante è una funzione armonica con pulsazione ω, anche sfruttando le proprietà di
linearità del sistema, è facile comprendere come si possa ragionevolmente supporre che anche le
vibrazioni del sistema saranno armoniche alla medesima frequenza, ma probabilmente sfasate
rispetto alla forzante a causa della presenza dello smorzamento.
Quindi non resta che verificare le condizioni per cui una funzione x(t)=X0cos(ωt+φ) risulti
effettivamente soluzione della equazione differenziale. Sulla base di queste considerazioni sarà
possibile determinare l’ampiezza delle vibrazioni e lo sfasamento rispetto alla forzante, ovvero le 2
costanti X0 e φ.
In ogni caso, se x(t)=X0cos(ωt+φ) fosse effettivamente soluzione del sistema, risulterebbero anche:
x (t) = − ωX 0 sin( ω t + φ ) ;
BOZZA 154
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x(t) = −ω 2 X 0 cos(ωt + φ ) .
Inserendo e precedenti all’interno dell’equazione differenziale si ha quindi:
( )
m − ω 2 X 0 cos(ωt + φ ) + c ( −ωX 0 sin(ωt + φ )) + k (X 0 cos(ωt + φ ) ) = F0 cos(ωt ) ;
ovvero
( )
X 0 ( −ω 2 m + k ) ⋅ cos(ωt + φ ) − ωc ⋅ sin(ωt + φ ) = F0 cos(ωt ) .
E’ a questo punto necessario investigare le condizioni su X0 e φ che rendono la precedente
equazione verificata in ogni istante.
Per fare ciò è necessario ricorrere alle formule che esprimono il seno e coseno della somma degli
angoli in funzione degli angoli stessi:
cos (ωt + φ ) = cos (ωt ) ⋅ cos (φ ) − sin (ωt ) ⋅ sin (φ ) ;
sin (ωt + φ ) = sin (ωt ) ⋅ cos (φ ) + cos (ωt ) ⋅ sin (φ ) .
Da queste si ottiene:
( −ω 2 m + k ) ⋅ (cos (ωt ) ⋅ cos (φ ) − sin (ωt ) ⋅ sin (φ ) ) − ωc ⋅ (sin(ωt ) ⋅ cos (φ ) + cos (ωt ) ⋅ sin(φ ) ) =
F
= 0 cos (ωt );
X0
ovvero:
F0
( −ω m + k ) cos (φ ) − ωc ⋅ sin(φ ) −
2
[ ]
⋅ cos (ωt ) − ( −ω m + k ) ⋅ sin (φ ) + ωc ⋅ cos (φ ) sin(ωt ) = 0 .
X0
2
Dalla precedente, per ottenere una identità (∀t), si ricava:
F0
( −ω 2
m + k ) cos ( φ ) − ω c ⋅ sin(φ ) =
X0
( −ω 2 m + k ) ⋅ sin (φ ) + ωc ⋅ cos (φ ) = 0 ;
quadrando e sommando membro a membro si ottiene:
2
F
(−ω m + k ) + (ωc) ⋅ = 0 .
2 2 2
X0
Effettuando infine la radice quadrata della relazione precedente si ottiene:
F0
⋅ X0 = ;
(−ω 2 m + k ) 2 + (ωc) 2
ovvero una relazione che permette di conoscere l’ampiezza delle oscillazioni in funzione delle
caratteristiche del sistema e dell’ampiezza e pulsazione della forzante.
Deve tuttavia essere individuata anche la fase φ delle oscillazioni. Utilizzando soltanto la seconda
equazione del sistema si potrebbe ottenere direttamente:
ωc ωc ωc
tan (φ ) = − ⇒ φ = arctan − = − arctan
k − ω 2m k −ω m
2
k −ω m .
2
Tuttavia si ricordi che la funzione tangente è periodica di π, ciò significa che il valore dello
sfasamento φ, utilizzando la precedente potrebbe essere individuato a meno di π, ovvero a meno del
segno.
Per eliminare questa incertezza è necessario sfruttare entrambe le equazioni del sistema, ad esempio
ricavando il coseno della fase (il coseno, a differenza della tangente, è periodica di 2π). Così
facendo si otterrebbe:
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ω 2c 2 F0 F0 (−ω 2 m + k )
( −ω 2
m + k ) + ⋅ cos (φ ) = ⇒ cos (φ ) =
(−ω 2 m + k ) X0 X 0 (−ω 2 m + k ) + ω 2 c 2 .
Sfruttando la precedente, da sola o associata a quella individuata in precedenza (la formula con il
coseno potrebbe essere utilizzata solo per scegliere il segno di φ), è possibile determinare
completamente modulo e fase delle vibrazioni del sistema.
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Se si suppone nulla la fase della forzante (e quindi F0 è un numero reale positivo), si ha che |F0|=F0
e fase(F0)=0 , quindi le precedenti, ricavate con molta più facilità rispetto al caso in cui si sono
utilizzati i soli numeri reali, forniscono gli stessi risultati trovati in precedenza.
10.8. Ricettanza
Da quanto visto sopra si è potuto dimostrare che, note le caratteristiche del sistema (m, k e c), e note
anche quelle della forza armonica (F0 e ω), è possibile trovare ampiezza e fase delle vibrazioni
forzate (nella fase di comportamento a regime) tramite la seguente relazione:
1
X 0 = F0 .
(k − mω 2 ) + icω
Dividendo entrambi i membri della precedente relazione per F0 è possibile ottenere una funzione
complessa della variabile reale ω che riveste una notevole importanza nello studio dei sistemi
vibranti. Tale funzione, che rientra nella categoria più generale delle Funzioni di Risposta in
Frequenza (FRFs - Frequency Response Functions) o anche delle Funzioni di Trasferimento (TFs -
Transfer Functions), viene generalmente indicata con il simbolo α(ω) e prende il nome di
Ricettanza del sistema:
X0 1
α (ω ) = (ω ) = .
F0 (k − mω 2 ) + icω
Il significato fisico della ricettanza appare subito ovvio, infatti se si pensa di imporre al sistema
vibrante una forzante armonica, di pulsazione generica ω e di modulo unitario (F0=1), il modulo e
la fase delle vibrazioni che ne conseguono nella fase di regime sono rappresentate infatti dalla
ricettanza stessa.
L’utilità della ricettanza è ancora più evidente in quanto, sfruttando anche le proprietà di linearità,
se sul sistema agisce una forza armonica di ampiezza F0 e di pulsazione ω note, la ricettanza ci
consente di trovare immediatamente la soluzione a regime del sistema, senza risolvere alcuna
equazione differenziale.
L’ampiezza delle vibrazioni risultanti sarà pari a F0 volte l’ampiezza della funzione di ricettanza
calcolata in ω. Il modulo della ricettanza corrisponde infatti all’ampiezza delle vibrazioni se la
forzante fosse unitaria, poiché quindi la forza effettivamente agente sul sistema è F0 volte quella
unitaria, anche le vibrazioni che ne conseguono sono F0 volte quelle calcolate tramite la Ricettanza.
La fase delle vibrazioni inoltre sarà semplicemente la fase della funzione di ricettanza calcolata in
ω.
E tutto ciò qualunque siano F0 e ω.
Inoltre, sfruttando in maniera più completa le proprietà di linearità del sistema, se la forzante F(t) è
di tipo generico (non necessariamente armonica), indicando con F0(ω) la sua Trasformata di Fourier
(o meglio, il suo contenuto in frequenza), allora si ha che effettuando semplicemente il prodotto tra
la ricettanza e il contenuto in frequenza della forzante, si ottiene direttamente il contenuto in
frequenza delle vibrazioni risultanti. In parole povere:
X 0 (ω ) = α (ω ) F0 (ω ) .
Questa semplice operazione è in generale più che sufficiente ad un ingegnere per verificare la
confacenza della risposta di un sistema meccanico alle specifiche di progetto. Se però interessasse
la determinazione esatta dell’andamento temporale delle vibrazioni del sistema sottoposto alla forza
generica F(t), una volta ottenuto il contenuto in frequenza completo delle vibrazioni (in termini di
modulo e fase, visto che X0(ω) è una funzione complessa), è sufficiente effettuare l’AntiTrasformata
di Fourier26 per ottenere il risultato desiderato:
26
Vedi modulo di Analisi Armonica.
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−1
X 0 (ω ) F
→ x(t ) .
( AntiTrasformata di Fourier )
Della ricettanza è possibile dare una formulazione che coinvolge i parametri dimensionali già
precedentemente introdotti. Dividendo numeratore e denominatore per lo stesso numero k, si ottiene
infatti con facili passaggi algebrici:
1
X0 k 1 1
α (ω ) = (ω ) = =
F0 m 2 c
− ω + ω
k ω2 ω .
1 i 1 − 2 + i 2ξ
k k ωn ωn
In pratica quindi la risposta del sistema dipende dalla rigidezza, dal fattore di smorzamento viscoso,
e dal rapporto tra la pulsazione della forzante e la pulsazione naturale (ω/ωn).
2
-2
Parte immaginaria
Parte reale
-4
-1
-2
-3 -6
-1 0 1 2 -1 0 1 2
10 10 10 10 10 10 10 10
Pulsazione (rad/s) Pulsazione (rad/s)
Tale rappresentazione è però assai di rado utilizzata in campo ingegneristico. Di solito si preferisce
infatti rappresentare la ricettanza (e tutte le altra FRFs) plottandone su due grafici sovrapposti il
modulo e la fase. Se poi si sceglie di rappresentare la variabile indipendente in scala logaritmica (in
base 10) e il modulo della ricettanza in scala Decibel (dB – in pratica un logaritmo in base 1/20),
allora tale rappresentazione viene detta Diagramma di Bode.
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-60 0
-20
-70
-40
-80 -60
Modulo (dB)
Fase (deg)
-80
-90
-100
-100 -120
-140
-110
-160
-120 -180
-1 0 1 2 -1 0 1 2
10 10 10 10 10 10 10 10
Pulsazione (rad/s) Pulsazione (rad/s)
In alcuni testi più datati, sfruttando la notazione con i parametri dimensionali, e ponendo some
variabile indipendente il rapporto (ω/ωn), si trovano degli interessanti Diagrammi di Bode della
ricettanza (diagrammata a meno del fattore moltiplicativo 1/k). Questi grafici, sono interessanti
perché ci mostrano come a meno della costante 1/k, e in funzione del rapporto (ω/ωn), tutti i
Diagrammi di Bode della ricettanza di tutti i sistemi con 1 GdL e smorzamento viscoso, dipendono
unicamente dal parametro di smorzamento viscoso.
In teoria quindi basta sapere la rigidezza del sistema, il suo smorzamento (adimensionale) ed avere
sotto mano un unico Diagramma di Bode, per poter risolvere con un semplice righello e una
calcolatrice un qualsiasi problema di dinamica di sistemi con un solo grado di libertà.
Ai tempi moderni la notevole diffusione degli strumenti informatici e di software specializzato
permette di poter rapidamente tracciate il diagramma di Bode specifico per ogni possibile sistema
meccanico (in Matlab basta una sola istruzione), ma questi diagrammi rivestono ancora una
notevole importanza didattica.
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x
m
x-y
c k
y=Y0e iω t
…
Per dimensionare uno strumento sismico affinché funzioni da sismografo si avrà che l’ingresso del
sistema sarà lo spostamento del basamento y, mentre l’uscita sarà il grafico su carta (x-y). Come
spostamenti si considerano solo funzioni armoniche, in quanto è comunque possibile scomporre il
generico tipo di spostamento in somme o integrali di spostamenti armonici, e sfruttando le proprietà
di linearità del sistema trovare così la soluzione.
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Per determinare le equazioni di moto del sistema, poiché il basamento si muove, basta osservare che
le forze esercitate da molla e smorzatore dipendono dalla loro deformazione (x-y) e velocità di
deformazione (x-y) . Si ha quindi che:
mx = −k ( x-y ) − c( x-y ) ;
Si noti che, anche in questo caso l’equazione è lineare.
Da quanto detto in precedenza si dovrà verificare quando la seguente relazione:
I0 I 0 e i ωt i (t ) y (t ) Y0 e iωt Y0 Y0
(ω ) = = = = = e i ωt = (ω ) .
U0 U 0e iω t
u (t ) (x − y )(t ) ( iω t
X 0 (ω )e − Y0 e iω t
)( X 0 (ω ) − Y0 ) ( X 0 − Y0 )
Si ha infatti che se y(t)=i(t) è una funzione armonica di pulsazione ω, per la linearità del sistema
anche x(t) dovrà essere armonica alla stessa frequenza (l’ampiezza delle oscillazioni assolute della
massa naturalmente sarà funzione della pulsazione ω), e così pure l’uscita u(t), essendo somma di
due funzioni armoniche alla medesima frequenza.
Inserendo nell’equazione di moto le ipotesi sugli spostamenti si ha che:
− ω 2 mX 0 e iω t = − k ( X 0 -Y 0 )e iω t − ic ω ( X 0 -Y 0 )e iω t ;
da cui si ha che la relazione seguente deve sempre essere verificata:
− ω 2 mX 0 + icω ( X 0 -Y0 ) + k ( X 0 -Y0 ) = 0 .
Ma dalle precedenti risulta anche:
Y0 = I 0 , U 0 = X 0 − Y0 → X 0 = U 0 + Y0 ,
per cui la precedente relazione si può riscrivere come segue:
− ω 2 m(U 0 + I 0 ) + icωU 0 + kU 0 = 0 .
Da cui seguono direttamente:
− ω 2 mU 0 + icωU 0 + kU 0 = ω 2 mI 0 ;
U0 ω 2m I0 k − ω 2 m + icω
(ω ) = e (ω ) = .
I0 − ω 2 m + icω + k U 0 ω 2m
Da questa relazione discende immediatamente che il rapporto tra ingresso e uscita dello strumento
sismico non può mai essere costante, ma si rivela una funzione della pulsazione ω. Se quindi uno
strumento così fatto non può essere un perfetto strumento di misura, è possibile trovare un campo di
frequenze per cui il sistema si comporti praticamente come tale (con errori massimi controllabili, ad
es. 1-2% della lettura). Inoltre, con la conoscenza delle precedenti relazioni, è anche possibile
adattare tale intervallo di frequenze, che viene detto campo di linearità dello strumento, alle
esigenze della specifica operazione di misura.
In ogni caso, per fare si che uno dei precedenti rapporti (ad es. il primo) sia pressoché costante, è
necessario che il numeratore risulti dello stesso ordine del denominatore. D’altra parte il numeratore
del rapporto U0/I0 è evidentemente del secondo ordine, e nessuna manipolazione algebrica potrà
cambiare tale fatto. Per quanto riguarda il denominatore, esso è invece la somma di 3 termini: del
secondo e primo ordine rispetto alla pulsazione, e un termine costante. Se il termine del secondo
ordine fosse ‘dominante’ rispetto agli altri due, allora anche il denominatore sarebbe, senza
commettere errori troppo elevati, assimilabile ad un termine del secondo ordine, per cui si avrebbe:
U0 ω 2m ω 2m
se ω m>>cω e ω m>>k →
2 2 (ω ) = ≅ = −1 .
I0 − ω 2 m + icω + k − ω 2 m
D’altronde le precedenti condizioni si esplicitano anche in:
k
ω 2 m >> k → ω 2 >> = ω n2 ;
m
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ovvero tale condizione equivale a dire che lo strumento si comporta bene come sismografo se le
pulsazioni caratteristiche degli spostamenti del terreno sono molto maggiori della pulsazione
naturale del sistema. Inoltre, se l’obiettivo è di abbassare al massimo tale limite, è opportuno
costruire un sismografo con bassa rigidezza e una grande massa.
L’altra condizione (ω2m>>cω ) può essere molto bene soddisfatta se si limita al massimo lo
smorzamento del sistema, al limite imponendo c=0. Quando parleremo dell’accelerometro si capirà
anche come una scelta di questo tipo potrebbe non essere ottimale, ma comunque questo è di solito
quello che si ricerca effettivamente per i sismografi.
In pratica, se queste condizioni sono soddisfatte, il rapporto tra ingresso e uscita vale –1, il che
significa che sul tracciato sulla carta si ritroverà l’esatto diagramma degli spostamenti del terreno,
ma rovesciato (ad es. il massimo innalzamento del terreno, corrisponde al minimo del tracciato).
La precedente osservazione si giustifica con il fatto che se la massa è grande, e rigidezza piccola, lo
smorzamento nullo, gli spostamenti del terreno non riescono ad eccitare a sufficienza la massa
(attraverso la molla e lo smorzatore), per cui questa, dotata tra l’altro di grande inerzia, funge da
riferimento inerziale (fisso). Quindi in pratica la massa con il pennino sono praticamente fissi nello
spazio, mentre il terreno con la carta si muovono sotto di essi. E’ per questo che il diagramma su
carta è una perfetta riproduzione rovesciata degli spostamenti del terreno.
Tutti i sismografi seguono queste indicazioni generali sulle caratteristiche meccaniche (massa,
rigidezza e spostamento), ma una realizzazione che segua fedelmente il nostro schema in effetti non
può soddisfare le normali esigenze di misura. Infatti se volessimo andare a misurare con precisione
spostamenti caratterizzati dalla frequenza di 1 Hz, si avrebbe che essendo ω =2πf=2π⋅1=2π rad/s,
la pulsazione naturale del sistema dovrebbe essere molto inferiore a tale valore. Imponendo ad
esempio ωn =2 rad/s, valore che poi non è tanto più piccolo della pulsazione degli spostamenti del
terreno, si avrebbe:
k
2= → k = 4m .
m
Se la massa del sismografo fosse ad esempio 1 kg, allora la rigidezza della molla dovrebbe essere di
4 N/m (che è un valore estremamente basso). I problemi derivano dal fatto che se pensiamo di porre
una massa di 1 kg sopra una molla di 4 N/m, vuol dire esercitare su essa una forza pari a m⋅g≅10 N,
il che determina una compressione della molla di ben 2.5 m (pari alla deflessione statica (mg)/k). In
pratica quindi, se il sismografo per funzionare bene deve avere un basso valore della sua pulsazione
naturale, allora il valore m/k deve essere alto, e quindi notevole anche la sua deflessione statica.
E’ per tale motivo che difficilmente si vedrà un sismografo costituito da una massa posta sopra una
molla ad elica come nel nostro modello, tuttavia tutti i sismografi saranno sistemi con una notevole
massa, uno smorzamento quasi nullo, e una rigidezza molto, molto bassa nel senso del moto.
Si è inoltre individuata anche la curva caratteristica dello strumento, ovvero la legge27:
U0 ω 2m
(ω ) = .
I0 − ω 2 m + icω + k
Tale funzione non è altro che una nuova Funzione di Risposta in Frequenza (o di Trasferimento) del
sistema. Si può inoltre facilmente osservare che a meno del termine moltiplicativo (-m), tale FRF è
identica alla inertanza. Gli andamenti asintotici sono quindi gli stessi, anche se il diagramma del
modulo sarà traslato verso l’alto della quantità 20log10(m), mentre la presenza del segno meno (-) ci
fa capire come la fase di tale funzione darà sfasata di π rispetto a quella dell’inertanza.
Si può quindi notare come, dai ragionamenti svolti in precedenza, come la zona delle ω ‘alte’ sia
quella ottimale per il funzionamento dello strumento; lo stesso avremmo potuto capirlo
27
In effetti la curva caratteristica sarebbe la funzione inversa (I 0 U 0 )(ω ) , ma si è scelto di ragionare sulla funzione
su riportata per la sua somiglianza con l’inertanza. Se poi si conosce l’andamento di una funzione, trovare l’andamento
della reciproca è un esercizio molto semplice.
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semplicemente analizzando il diagramma di Bode (diagramma del modulo). Troviamo infatti che la
zona delle alte frequenze è caratterizzata da un asintoto orizzontale, il che ci fa capire come più la
pulsazione cresce, più il rapporto tra uscita e ingresso tende ad un valore costante.
20
10
0
Modulo (Uo/Io)
-10
-20
-30
-40
0 1 2 3
10 10 10 10
Pulsazione (rad/s)
…
Per quanto riguarda l’accelerometro, lo schema di riferimento per lo strumento è lo stesso, e quindi
pure l’equazione di moto è la stessa. Varia invece la grandezza che si vuole misurare, ovvero
l’ingresso che deve essere riportato tramite un diagramma perfettamente proporzionale sul grafico
su carta (x-y). Anche in questo caso si considerano solo spostamenti armonici, peri i quali risulta:
x (t ) = X 0 e iωt e x (t ) = −ω 2 X 0 e iωt = −ω 2 x (t ) .
Si ha quindi che per quello che riguarda l’uscita dello strumento, non ci sono differenze rispetto al
caso del sismografo:
u (t ) = ( x − y )(t ) = ( X 0 − Y0 )e iωt = U 0 e iωt .
Nel caso dell’accelerometro invece l’ingresso sarà l’accelerazione per cui si avrà:
i (t ) = y (t ) = −ω 2Y0 e iωt = (−ω 2Y0 )e iωt = I 0 e iωt .
Dalle pretendenti si avrà quindi:
I0 I 0 e iω t i (t ) y (t ) − ω 2Y0 e iωt − ω 2Y0 iω t − ω 2Y0
(ω ) = = = = = e = (ω ) ,
U0 U 0 e iωt u (t ) (x − y )(t ) (
X 0 (ω )e iωt − Y0 e iωt )
( X 0 (ω ) − Y0 ) ( X 0 − Y0 )
con la quale si potrebbe già concludere poiché, a meno del termine –ω2, la precedente funzione la si
era determinata già nel caso del sismografo.
In ogni caso si è già detto che l’equazione di moto è sempre la seguente:
mx = −k ( x-y ) − c( x-y ) .
Dall’equazione di moto, inserendo le ipotesi fatte sugli spostamenti, si ottengono ancora:
− ω 2 mX 0 e iωt = −k ( X 0 -Y0 )e iωt − icω ( X 0 -Y0 )e iωt ;
− ω 2 mX 0 + icω ( X 0 -Y0 ) + k ( X 0 -Y0 ) = 0 .
Ma dalle precedenti risulta anche:
I0
− ω 2Y0 = I 0 , U 0 = X 0 − Y0 → X 0 = U 0 + Y0 = U 0 − ,
ω2
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-20
-30
-40
Modulo (Uo/Io)
-50
-60
-70
-80
-2 -1 0 1 2
10 10 10 10 10
Pulsazione (rad/s)
Tuttavia si è già accennato al fatto che la scelta di annullare lo smorzamento del sistema non è
quella ottimale. Considerando infatti il modulo della funzione caratteristica dell’accelerometro si ha
che:
U0 m m
(ω ) = = .
I0 (k − ω m) + (cω ) 2 2 2
k 2 + ω 4 m 2 − 2kmω 2 + c 2ω 2
Per fare sì che il precedente rapporto sia costante, le condizioni ottimali risultano infatti:
• k2>>ω4m2 (del tutto equivalente a k>>ω2m, relazione già trovata in precedenza);
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forza scaricata sul terreno in assenza di sospensione (se il macchinario fosse fissato direttamente sul
terreno). Naturalmente la sospensione funziona bene se il modulo del rapporto è inferiore ad 1
(FO>FT), e tanto meglio quanto più basso è tale rapporto.
FO ei ω t
x
m
c k
FT ei ω t
Dallo studio della precedente funzione (e soprattutto del relativo diagramma di Bode) si può
determinare il grado di efficienza della sospensione.
Si lascia allo studente determinare i diagrammi asintotici sul diagramma di Bode, ma si premettono
alcune osservazioni:
• per forze statiche (ω=0) il rapporto vale 1, ovvero se la forza applicata alla massa è costante,
la stessa forza si scarica sul terreno (è in pratica il principio di azione e reazione);
• anche quando (|k-mω2|=k) il modulo del rapporto vale ancora 1. Ciò equivale a dire:
mω2=2k, ovvero anche (ω/ωn)=√2≅0.707…;
• per pulsazioni comprese tra 0 e √2ωn, la funzione assume un massimo tanto più alto quanto
minore è lo smorzamento;
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Se quindi la pulsazione della forzante si mantiene costantemente superiore a un certo limite, per
aumentare l’efficacia della sospensione è necessario ridurre al minimo lo smorzamento; viceversa
se la pulsazione può variare e scendere a valori inferiori a √2ωn, l’assenza di smorzamento potrebbe
indurre una inaccettabile amplificazione della forza trasmessa al terreno.
Inoltre è evidente che le sospensioni elastiche funzionano egregiamente alle frequenze alte, mentre
possono essere deleterie per forzanti caratterizzate da basse frequenze. Per ampliare il campo di
funzionamento potrebbe essere utile ridurre la rigidezza della sospensione (visto che un aumento
della massa non è di solito né praticabile né auspicabile), tuttavia una riduzione della rigidezza
comporta l’aumento della deflessione statica della molla e consente alla massa di effettuare
vibrazioni con ampiezza decisamente maggiore.
…
Nel caso in cui si voglia diminuire l’ampiezza delle vibrazioni trasmesse da un basamento mobile
(con spostamenti armonici) ad una massa, si adotta come indice di efficienza il rapporto XO/YO tra
gli spostamenti della massa e quelli del basamento (uguali a quelli della massa in assenza di
sospensione). Naturalmente la sospensione funziona bene se il modulo del rapporto è inferiore ad 1
(YO>XO), e tanto meglio quanto più basso è tale rapporto.
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m XO ei ω t
c k
YO eiω t
Appare del tutto evidente che l’espressione dell’efficienza della sospensione ha la medesima
espressione di quella ricavata nel caso precedente. Il diagramma di Bode e i relativi andamenti
saranno quindi gli stessi, come pure le considerazioni che ne conseguono.
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