Lisciani-Petrini - Merleau-Ponty Attività:Passività

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ENRICA LIS CIANI-PETRINI

(Universita degli Studi di Salerno, Italia)

ATTIVITAIPASSIVITA: L'INVISIBILE DI MERLEAU·PONTY

Premessa

Se c'e un "filo rosso" che percorre I'inlero lavoro di Merleau-Ponty -


dai primissimi esordi I sino aile Notes de cours e agli inediti che il filosofo
andava stendendo ancora nei primi mesi del 196]2, quando una morte im-
provvisa 10 colse - tale "filo rosso" e quello che si preannuncia fin dalle
pagine de La struttura del cornportamento: la retrocessione ad una visione
globale della realta come "sistema di concordanze", retto flon da "cose",
"oggetti articolati" 0 "sostanze", rna piuttosto da "linee di jor2O". In altri
termini, il filosofo francese mira a conseguire una visione del mondo non
piLI come "realta sostanziale" che possa "servire da fondamento ontologico
aile strutture percettive" (SC, 236) e neppure come astratto tessuto logico
di idee, bensl come sisterna di relazioni. "Una sinfonia" (SC, 226) - dice
anche Merleau-Ponty, con una metafora molto significativa (che comincia
a far intravedere il ruolo e I'importanza che rivestira per lui i\ continuo
confronto con I' esperienza artistica). Un sistema ill cui e da cui nascono
non solo i comportamenti e Ie dinamiche intersoggettive, rna - qui il punto
decisivo, come vedremo - gli stessi corpi, gli stessi enti.
Questo, dunque, il "programma" fin dall'inizio di Merleau-Ponty. Pro-
gramma a prima vista non inaudito e neanche lanto originale. Sembrerebbe.
Perche si potrebbe obiettare che in esso, andando al nocciolo, non sembra
esserci nulla di tanto nuovo rispelto aile tesi di fondo di tutto l'arco filoso-
fico tradizionale (gia per Platone - a non dire poi di Hegel - la sostanza,
ossia la realta, e "fatta" dalle "determinazioni" ovvero dalle "relazioni" ac-
eidentali); Ie quali tesi apparirebbero tutt'al piLI semplieemente rimaneggia-
Ie secondo sollecitazioni husserliane, che all' epoea dei lavori iniziali di
Merleau-Ponty si andavano diffondendo nell'ambito fenomenologico fran-
cese1. E tuttavia Ie cose non stanno affatto cos!. A partire dai primi scritti
merleau-pontiani si intuisce che il rilosofo vuol pensare, stringere in un
nodo inedito qua\cosa di ancora irrisolto e problematico. Insomma, dobbia-
mo prendere sul serio quel suo tendere ad una visione della realta non piu
sostanziale rna fatta esc/usil'amellle di "collcordanze" relaziollali. Perche
qui davvero si nasconde, per usare un'espressione piLI tarda di Merleau-
Ponty, una "nuova ontologia". Nella quale 10 stesso concetto tradizionale di
relazione. cosl come quelli di "tempo", "spazio", "materia", "corpo", "spi-

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rito", "identita", "sensibilita" ecc. - entrati secolarmente nelle nostre abitu-
dini mentali e pratiche - subiscono un completo mutamento. Qui si fa cos1
davvero evidente con quale compito arduo, con quali urgenze di pensiero
cruciali del nostro tempo MerIcau-Pony si stava misurando, a qualc altezza
speculativa egli seppe portarsi, in particolare nella fase ultima del suo lavo-
ro filosofico. Cia che tra I'altro spiega per un verso il continuo confronto di
Merleau-Ponty con la scienza del proprio tempo, dovuto alia necessita per
lui - non accessoria rna del tutto intrinseca al proprio percorso e a quanta
lui si prefiggeva - di riportare la domanda sulla physis, ossia di avviare una
nuova comprensione della realta4 • E pcr un altro spiega anche la perdurante
e del tutto essenziale attenzione di Merleau-Ponty (non dovuta insomma ad
un semplice gusto personale) per l'arte del primo Novecento, che trova in
au tori come Cezanne, Klee, Proust, rna anche Debussy e Webern, acuti si-
smografi di quella "dissoluzione radicaie"5 della visione del mondo tradi-
zionaie, sulla quale la filosofia ancora si sta interrogando. Non a caso del
resto, in un brevissimo accenno del Visibile e l'invisibile troviamo questa
significativa annotazione: "Ia musica atonale = I' equivalente della filosofia
dell 'Essere di indivisione" (VI, 232) - (per es. sarebbe molto interessante
vedere - rna questo fuoriesce dai limiti delle presenti considerazioni -
come nella musica di Webern sia possibile ritrovare quel medesimo dispie-
gamento di "cosmi relazionali" a cui lentamente accede Merleau-Ponty).

Come "una sinfonia "...

Se si considera l'attacco che apre la Fenomellologia della percezione, si


capisce subito quale direzione il lavoro di Merleau-Ponty imbocca e quali
sono i nodi problematici intorno ai quali esso si dipanera.
La particolare intonazione del discorso merleau-pontiano si fa gia senti-
re in un passaggio nodale: "L'orizzonte e cia che assicura I'identita dell'og-
getto [... J. Vedere significa entrare in un univcrso di esseri che si mostrano
[... J. In altri termini: guardare un oggetto significa venire ad abitarlo, e da
qui cogliere tutte Ie cose secondo la faccia che gJi rivolgono [ ... J. Ogni og-
getto e pertanto 10 specchio di tutti gli altri. [ ... J. 10 posso quindi vedere un
oggetto in quanta gli oggetti formano un sistema 0 un mondo, e ciascuno di
essi dispone degli altri attorno a se come spettatori dei suoi as petti nascosti
[ ... ]. Ogni mia visione di un oggetto si ripete istantaneamente fra tutti gli
oggetti del mondo che sonG colti come coesistenti: ciascuno di essi infaui e
tutto cia che gli altri ne 'vedono'" (FP, 114-115; corso mio).
Passaggio, dicevo, nodale. In csso, infatti, Merleau-Ponty non si limita a
rihadire l'idea del mondo come "orizzonte trascendentale" (ovvero come

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Ego cogito universale), a partire dal quale (come gia in Husserl) e fissata
l'identita di ogni singolo ente. Qui e detto qualcosa di piLI e di determinan-
te: che Ie identita !lon sono il risultato di una relazione fra clementi gia
dati. Com' era per iI pensiero cartesiano e post -cartesiano, e com' e tutt' ora,
va detto, non solo per il senso comune rna anche per un perdurante pensie-
ro ingenuamente "realista" e "sostanzialista" - per il quale devono gia esi-
stere Ie sostanze realmente date, affinche poi dalla loro relazione reciproca
scaluriscano i diversi as petti delle cose. Nelle righe appena lette, invece, e
configurato tutt'altro: che ogni identita nasce per e dalla relazione con
tutte Ie altre ("ciascuno ecia che tutti gli altri ne vedono").
In queste prime pagine della Fenomenologia, invero, non c'e piLI che un
abhozzo. II cui potenziale teorico si dispieghera soltanto con Ie ricerche
successive - in pat1icolare in quel testo gravido di futuro (cioe di ancora
impensato) che e II visihile e l'invisihile .
Punto di partenza diventa il "caso particolare" delle mani che si toccano
- non a caso al ccntro anchc dell' attcnzione di Husserl 6 e ripreso da quesli
(rna gia, come si sa, ben nota al pensiero filosofico da Teofrasto a Condil-
lac fino a Sartre) - che Merleau-Ponty sottopone pera ad appprofondimen-
to decisivo. Questo "fenomeno" infatti, secondo lui, mette sotto gli occhi in
modo illuminante una "reversihilita" nella quale e contenuta la chi ave di
volta per capire quel "sistema di visione", costitutivo del mondo come
"orizzontc" di enti che "si guardano" e "si specchiano" fra loro.
Come gia aveva osservato Husser!, nel momento in cui la mann dcstra
toccante si sente toccata dalla mana sinistra, constata che la propria idcntita
senziente (cioe attiva) emerge non da se stessa, hensf dalla mallo sinistra-
la quale mann sinistra ncl frattempo c diventata "mano toccante", trasfor-
mando reciprocamente la mann destra in "cosa fisica" toccata. Ma la mann
sinistra, nel divcntare di rimando toccante, scopre a sua volta che la propria
attivita senziente dipende da quella stessa mann destra ora toccala. Insolll-
rna il "caso particolarc" delle Illani che si toccano evidenzia un "raddoppia-
menlo", per il quale ogni mann C, contelllporanealllente, "soggetto-ogget-
to". Soggetto per s6 e oggetto per l'altro da s6. Ma dello COSI pera e ancora
troppo poco e troppo facile, perche sarebbe come ammettere che ci sia
un'identita 0 almeno una "faccia" compiutamente determinata come "per
s6" e un' identi ta 0 un' altra "faccia" com pi utamente determinata come
"altro da sC" 0 "in s6". Laddove sono proprio questi schemi che ora per
Merleau-Ponty non reggono piLI. Infatti il "raddoppiamento" cui ci fa assi-
stere il fenomeno delle mani che si toccano ci fa scoprire ben altro. E cioe:
se la mana destra divcnta soggetto attivo esclusivamente per la mann sini-
stra, vale a dire in virtLI di una specie di "rimbalzo" 0 di "rinvio" su di se
proveniente dal suo correlato - e se 10 stesso vale per quest'ultimo, ossia

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per la mana sinistra - allora cio significa non solo che ciascun polo relazio-
nale trova la propria identitn per {'allro e a partire dall'altro, rna soprattutto
che l'identita di ciascun polo relazionale nasce da "una specie di riflessio-
ne"7 che si esercita senza interruzione dall'uno all'altro polo. II che allora
fa intravedere un tipo di relazione completamente inedita: non piLI "un rap-
porto a senso unico" (S, 219) di un soggetto verso un oggeUo, entrambi
pre-dati (com'era ancora in un sistema cartesiano 0 post-cartesiano), bens)
un rapporto reversibile, dove l'uno e l'altro polo si scambiano continua-
mente i ruoli (Ie "facce"). Di piLI - e sopraUu\to: dove i poli letteralmente
!lon ci SOlW, non esistono (non possono esistere) prima della relazione stes-
sa (visto che ci sono, esistono esclusivamente l'uno per altro, dunque per la
relazione). Sicche c il processo relazionale che istituisce la loro identitit "II
corpo senziente e il corpo sentito", leggiamo ne II visibile e l'invisibile,
"sono come due segmenti di un unico percorso circolare" (VI, 154). E an-
cora: "C'e inserimento reciproco e intreccio dell'uno sull'altro. 0 meglio:
se, com'e necessalio. si rinuncia al pensiero fatlo di piani e prospettive [=
di identita gin date] ci sono due circoli 0 due vortici" (VI, 155). Insomma:
c'e - come si diceva prima - un rinvio incessante dall'uno all'altro polo,
dato che J'uno e 'fatto', istituito, per e dall'altro. Una specie di "doppio
cappio"g dove - si legge in una nota di lavoro di Merleau-Ponty - "non c'e
identita, ne non-idenlila [ ... , rna solo] inlerno ed esterno che ruota I'uno at-
torno all'altro [... e] che e 'nessuno'" (VI, 275). In tal senso ciascun ente e
davvero "Ineinallder" (VI, 278 e passim): "uno 'dentro' I'altro", "nello
stesso modo in cui - cito ancora da1 VI - su due specchi prospicienti nasco-
no due serie indefinite di immagini racchiuse \'una nell'altra, che non ap-
partengono veramente a nessuna delle due superfici, giacche ciascuna non
e se non la replica dell'altra, che quindi fanno coppia, una coppia [= una re-
lazione] piu reale di ciascuna di esse"(VI, 155; corso mio).
Ecco allora perche, come si preannunciava pili sopra: "Cio che c'c, non
sono delle cose identiche a se stesse, che in seguito si offrirebbero" al reci-
proco contalto, rna un aprirsi istantaneo e reciproco l'una all' altra, pcr cui il
toccarsi "ci sembra provenire da esse" come se fossero gin dapprima date
(VI, 147-8). Insomma, "prima" della relazione, "prima" del toccarsi/sentir-
si non c'e affatto - e non puo esserci - nessun toccato/sentito e nessun toc-
cante/senziente. Nessuna identita precostituita.
Ma non c'l; neppure - e qui la questione giunge al suo risultato vero -
non c'e neppure La re/azione slessa. Dato che, evidentemente, essa sorge a
sua volta (e non puo non sorgere, essendo appllnto 'relazione') solo con i
poli relazionali.
Qui all ora si apre - secondo quanto Merleau-Ponty si prefiggeva - lIno sce-
nario ontologico veramente nuovo, che fa vacillare, fa "vibrare, fino a di-

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sgiungcrle Ie nostre evidenze abituali"(VI, 122), fino a capovolgerc il nostro
modo comune di vedere, c dove effettivamcnte non possono pill fungere i
concetti di "sostanza", "materia", "spazio", "tempo" ecc. Perc he la realta si
presenta ora come uno squademamento di relazioni, una "propagazione" di
"rijlessi": come "I'esplosione" istantanea di "uno spazio topologico" (VI,
225) all'intemo del quale soltanto si da cio che poi chiamiamo "tempo", "ma-
teria" ecc. Insomma la reaIta si presenta come "una sinfonia" - secondo quella
lontana intuizione di Merleau-Ponty, che, quasi ancora solo alitante presagio,
fece la sua prima comparsa ne La struttura del comportamento.

In questo quadro speculativo trova allora la sua vera ragione teorica la tra-
sposizione del discorso - nato come si e visto sui piano della tangibilita - al
piano della visibilita, e si capisce perche la realta, giunti a questa punto, non
puo esser concepita chc come un "sistema di visione": "Visibilita" (VI, 155 e
passim). Non per una deriva 0 una acquiescenza fenomenologica da cui Mer-
leau-Ponty non avrcbbe saputo liberarsi 9 , ma perche ora il mondo si rivela let-
teralmente costituito di "irradiazioni speculari", di "architetture" di "riflessi".
La visione percio, a questo liveIlo, non ha pill niente a che fare con un certo
senso 0 un certo organo delI'uomo, non e pill una questione antropologica 0
tcoretica, 0 un "fatto empirico" - ma riveste ormai un ruolo, "un significato"
essenzialmente e primariamente "ontologico" (VI, 267). La visione umana ne
c solo "una variante nolevole", che ha il pregio di melterci sul\a strada della
sua scoperta.
E difatti, proprio guardando a quest' ultima, possiamo "constatare - sostie-
ne Merleau-Ponty - che colui che vede puo possedere il visibile solo se ne C
posseduto, solo se /Ie e" (VI, 151). COS! come, per converso: "La pellicola su-
pcrficialc del visibile non e se non per la mia visione e per il mio corpo" (VI,
155). Sicche "Ie cose non sono pill in se" ma "esistono solo in fonda a questi
raggi [oo.J emessi nel segreto della mia came" (VI, 133). Ma reciprocarnente io
non esisto pill "per me" e come un "in sC" definito, bensl come il "punto
zero", il "fuoco virtuale", e dunque "il nucleo d'assenza" (cf. VI, 230, 242), in
cui "s'incrociano" i "raggi del mondo", dando figura a quell"'apparenza", a
quell"'estratto speculare" che io sono. 0 per meglio dire: che corrisponde a
cio che viene chiamato "io".
Ecco come la visione, il comportamento visivo dell'uomo - filosoficamen-
te pensato - ci immette in tutt'altro ordinc di problemi e scopcrte, e ei mostra
perche il mondo e un sistema di oggetti che "si guardano" e "si specchiano"
fra loro (come veniva detto nella Fenomenologia)IO. Ma non basta. Proprio
questo riconoscimento, centrato suI fatto che ogni ente 'e' per tutti gli altri che
"10 guardano", fa capire che cos'e mondo e come c'e mondo. In breve, perche
esso non e "un insieme oggettivo organizzato sinteticamente", rna un sistema

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di "equivalenze" (VI, 253-4). Infatti "cia che c'e, e tutta un'architettura, tutta
una 'stratificazione' di fenomeni, tutta una serie di 'livelli d'essere', che si dif-
ferenziano mediante I'avvolgimento del visibile" (VI, 133). Insomma, cia che
c'e - ed e questa che nominiamo "mondo" - e tutta una rete di relazioni, l'una
rinviante (riflettente) su\J"altra, l'una esistente per I'altra. E dove gli "indivi-
dui", gli esseri, Ie cose, ormai non sono aItro che i "punti zero", i centri "del
tutto virtuali", attomo ai quaJi si intersecano tali giochi di riflessi - dando cosl
luogo alia loro "immagine", aJla loro "apparenza". Percio: "Non c'e una posi-
zione della spazio e del tempo che non dipenda daJle altre, che non sia una va-
riante delle altre, come queste di essa; non c'e un individuo che non sia rap-
presentativo di una specie 0 di una famiglia di esseri, che non abbia e non sia
un certO stile, un certo modo di amministrare I'amhito spaziale e temporale
che gli compete, di pronunciarlo, di articolarlo, di irradiare attomo ad un cen-
tro del tutto vi1tuale" (VI, 133-134; corso mio).
Un passaggio di Paul ClaudeJ, in particolare, su cui Merleau-Ponty lorna ri-
petute volte - evidentemente trovando in esso uno spunto di pensiero vicino a
quanto lui si sforzava di disegnare - offre una descrizione sinteticamente feli-
ce di questa "inerenza": '''Da un momenta all'altro un uomo raddrizza la
testa, fiuta, ascolta, considera, riconosce la propria posizione: pensa, sospira e,
prendendo I'orologio dalla tasca collocata contro la costola, guarda l'ora.
Dove sono? e Che ora e? ecco, fra noi e il mondo, la domanda inesauribile.. .'.
L'orologio e la carta geografica non Ie danno che una parvenza di risposta:
essi ci indicano come cia che noi stiamo vivendo si situi in rapporto al corso
degli astri 0 a quello di una giomata umana, 0 in rapporto a luoghi che hanno
un nome". Quegli interrogativi sono percia inesauribili, commenta ancora
Merleau-Ponty, "soprattutto perche la domanda chc sorge qui non mira, in
fondo, a sapere in quale luogo di uno spazio, preso come dato, e a quale ora di
un tempo, preso come dato, ci troviamo, rna anzitutto qual e questa nostro
vincolo indistruttibile con Ie ore e i luoghi, [... ] questa installazione continua
fra di esse, in virtu della quale, primariamente, e necessario che io inerisca a
un tempo, a un luogo, quaJi che siano" (VI, 139)
Sotto questa luce la stessa percezione, qual e ordinariamente intesa, muta il
proprio senso e diventa quell"'impresa perpetua di rilevamento di noi stessi
sulle costellazioni del mondo, e delle cose sul1e nostre dimensioni" (VI, 123).
dovuta all"'innesto" di tutti gli enti fra lora. L'assoluto rilievo teorico che la
percezione riceve, fin dagli esordi, nel discorso di Merleau-Ponty raggiunge
allora in questo quadro speculativo la sua spiegazione finale e il suo significa-
to veramente essenziale. Una "percezione", evidentemente, che non ha (pili)
"nulla di umano" (per usare Ie ce1eberrime parole di Husserl), e nulla di "em-
pirico", rna e chiamata cosl se non "per equivoco" (come dice sempre Hus-
serl) , almeno per "metafora"", dato che nomina piuttosto quell'intimo "ser-

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peggiamento"12, che si propaga fra tutti gli enti del mondo e che fa Sl che cia-
scuno di loro sia in un rapporto di reciproco "inserimento". Di "Einfiihlung"
(VI, 260).
Lungo questa declivio ontologico Merlcau-Ponty puo allora arrivare a par-
lare - con un 'altra metafora - di "came del mondo". Espressione cmica di una
profonda capacita di suggestione, che non vuole alludere - precisa bene e ri-
petutamente il filosofo - a nessuna "materia" primordiale (VI, 285), a nessun
"ilozoismo" (VI, 262) e a nessun "antropologismo" (VI, 275), rna piuttosto,
nella sua forza metafOlica, dire solo che ogni corpo e "eminentemente percipi"
in quanta "e qualcosa di Esser-visto" (VI, 262), ossia: "riflette" (VI, 260).
Dunque, quell'espressione sta a ribadire che la realta e una "fitta tram a" di "ri-
f1essi" dove "non e' e nessuna linea che sia 'reale'" (VI, 211).
Un passaggio fra i pio arditi del Visibile e /'invisihile - la cui stessa formu-
lazione assai concentrata e percio vagamente eriptica e la dimostrazione pio
evidentc dello sforzo speculativo che Merleau-Ponty andava compiendo -
conferma quanta or ora si diceva: "La carne c fenomeno di specchio [... J.
Spccchio = realizzazione di un Bild della cosa [... ] = estrazione deIl'essenza
della cosa, della pellicola dell'Essere 0 della sua 'Apparenza' - Toecarsi, ve-
dersi e ottenere da se un simile estratto specularc. [... J. La proiezione visiva
del mondo in me da intendere non come rapporto intraoggettivo cose-mio
corpo. Ma [... J come caso pio sorprendcnte dello scarto che esiste al1'interno
di ogni senso e che fa di esso 'cine Art der Reflexiol1 [una specie di ril1essio-
ne]," (VI, 267).
"Fenomeno di speechio", linee di cui nessuna e "realc", "cstratti spccula-
ri" ... Tutto un vocabolario che ci conduce davanti ad una vera e propria "dc-
f1agrazionc dell'Essere" (OS, 227), ovvero al riconoscimento dell"'infonda-
tczza" del reale. Qui e veramente segnato un "eongedo per semprc" da Carte-
sio e dalla visione tradizionale delle cose. Perc he giunti a questa punto, ogni
qualsivoglia tentativo di "lissione" della realta, cioe di reperire un punto di
partenza, un aneoraggio stabile, un'origine 0 un inizio fondativo viene meno.
Sc ogni ente e un plesso rclazionale, c se ogni relazione e un inarrcstabile
gioco di ritlessi "irreali", impossibile dire dove il eircolo si ehiude, dove la
realta si fcrma, dove I'esscrc delle eose si "trova" 0 su chc cosa si fonda.
II primo, quasi inavvertito indizio 10 forniscc proprio quel fcnomeno delle
mani ehe si toceano, suI quale pereio Merleau-Ponty tanto insiste. E suI quale
ritoma in un passaggio significativo, ehe aneora una volta dimostra come que-
sto fenomeno rappresenti nello svolgimento di pensiero di Merleau-Ponty uno
snodo teorieo fondamentale. TanC c che ora ei fa accedcrc all' ultima, dcliniti-
va "soglia" della "nuova ontologia" merleau-pontiana.
"AlI'inizio abbiamo parlato sommariamcnte di una rcversibilita del ve-
denle e del visibi1c, del toceante e del toccato. E ora di sottolinearc che si

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tratta di una reversibilita sempre imminente e mai realizzata di fatto. La
mia mana sinistra e sempre suI punto di toccare la destra intenta a toccare
Ie cose, ma io non giungo mai aI/a coincidenza, essa si eclissa nel momen-
to di reaiizzarsi, e ci troviamo sempre di fronte a questa aIternativa: 0 vera-
mente la mia mana destra passa nella condizione di toccato, rna allora la
sua presa suI mondo si interrompe, - oppure la conserva, rna e allora che io
non la tocco veramente, in se stessa, e con la mia mano sinistra ne palpo
solo I'involucro esteriore" (VI, 163; corso mio). II pas so ribadisce che e im-
possibile trovare 'Tidentita", I"'essere" in se della mano destra toccata:
essa sara sempre e solo cio che "ne ritlette" la mano sinistra, la quale a sua
volta sara sempre cio che "ne riflette" la mana destra. Ogni "rifles so" rin-
via all'altro, e questa ad un altro ancora, in un gioco infinito e inarrestabile
di reciproci "innesti". Esattamente come I'uomo di Claude I puo Sl tirare
fuori dal taschino I'orologio e considerare dove e in che ora si trova, rna in
realta si trova assorbito in un'impresa "inesauribile", perche questi punti di
riferimento a loro volta si innestano su altri e questi ultimi su altri ancora, e
COS) via - all'infinito.
Ma allora proprio qui, a questa punto, si apre un processo letteralmente
"vertiginoso". Infatti quegli "eventi-riferimento" e quelle "Iocalita" a cui ci
ancoriamo, su cui ci innestiamo - come or ora si diceva - "ci rinviano ad
aItri, e la risposta ci soddisfa solo perche non vi facciamo attenzione e ci
crediamo 'a casa nostra'. [Ma la domanda] rinascerebbe, e sarebbe effetti-
vamente inesauribile, quasi insensata, se volessimo situare a loro volta i
nostri livelli, misurare i nostri campioni, se chiedessimo: rna dov'e il
mondo stesso? e perche io sono io? che eta ho veramente? sono veramente
I'unico a essere me? non ho in quaIche luogo un duplicato, un geme\lo?
Queste domande, [... ] [che in genere si fanno] nel momento in cui la vita e
minacciata. mettol/o a nuda il profondo movimento in virtu del quale siamo
installati /lei mondo" e sorgono da que\la "domanda centrale che e noi stes-
si, [da] quell'appello alla totalita al quale nessull essere oggettivo da ri-
sposta" (VI, 123-124; corSo mio). Cioe da que\l'esigenza di comprendere la
totalita nella quale siamo (impresa sempre tentata, rna sempre fall ita, da\le
filosofie del "survo/" e de\lo sguardo "kosmoteoretico"), che e del tutto ir-
realizzabile - perche quella totalita e cio in cui gia da sempre siamo com-
presi e che ci e gia da semprc data.
Ecco allora che qui, in queste ultime considerazioni e lambito il confine
estremo suI quale puo sporgersi tutta questa ritlessione. In esse ritornano,
in forma indiretta, "i problemi ultirni" dell'''irritlesso'' e della "passivita".
Ed anzi, proprio questa approdo finale 'vertiginoso' chiarisce perche fin
daIl'inizio Merleau-Ponty concentri la sua attenzione suI tema husserliano
dell"'irriflesso", ovvero delle "sintesi passive". Sulla scia aperta da Husserl

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e che fanno appunto segno verso qualcosa di "enigmatico" - come ebbe a
dire, lavorando su Husserl con una interpretazione magistrale, 10 stesso
Merleau-Ponty.13 La ragione e che esattamente qui il pensiero arriva a scor-
gere il risvolto profondamente abissale l4 del reale. Quello suI quale, appun-
to, alia fine converge tutta la meditazione di Merleau-Ponty.
Cerchiamo di seguire quest' ultimo "giro" della ritlessione merleau-pon-
tiana.
Se c vero che il mondo c un dispiegamento di ritlessi, per cui tutti gli
enti ne sana (nel doppio sen so che gfi sono inerenti e sono per tale ineren-
za) e ogni ente e "innestato" in uno specifico "punto virtuale" di tutta que-
sta trama relazionale, tuttavia: nessuna riflessione potra mai portare dentro
di se perche cie) accade, e perche questa trama c 'e. Questo e "10 sfondo
d'irritlesso" che non puo mai essere portato dentro il cono di luce della ri-
tlessione. E "f'invisibile" - il vero, abissale invisibile - a cui e Ietteralmen-
te 'sospeso' tutto il gioco dei visibililinvisibili dispiegati nel e dal mondo.
E 10 squadernarsi del mondo, il "fra" che s'instaura nelle relazioni (instau-
randole) - rna in se "per principio inaccessibile" (VI, 140). Di pili: che
deve restare inaccessibile, affinche il mondo sia (cogliere il 'prima' del
mondo, infatti, significherebbe dissolverlo). Per questo cio che si afferra e
sempre e solo 10 "spettacolo del mondo", delle relazioni in atto - rna mai
quell"'apertura al mondo", quell'istantanea "esplosione", che e giil sempre
"qui", di fatto senza mai veramente 'esserci', e "che ci sfuggira nel mo-
mento in cui 10 sforzo rillessivo cerca di captarla" (VI, 60). Rispetto alIa
qua1e percio it pensiero non puo che arrivare sempre "in ritardo" (VI, 59):
"postfestum" (VI, 69).
Alia base di tulte Ie relazioni di mondo, in definitiva, c'e una "sintesi" di
esse gia scm pre data, cioe una passivita ehe va ripensata in riferimento
all'attivita, ossia aile relazioni in alto nel reale, proprio per capire a fondo
queste ultime. Ossia, per comprenderne I'assoluta insostanzialitiL Ebbene,
it punto alia leltera 'cruciale' della questione - eio che davvero ci dil la mi-
sura di quanto Merleau-Ponty si stesse portando audaeemente fuori dalle
soluzioni tradizionali della filosofia (da Aristotele a Hegel) sta in cio: che
non si traUa ne di pensare la passivita come un rinnovata trascendenza ir-
raggiungibile, una sorta di "substrato" permanente e possibilitante addossa-
to alia trama deIle realizzazioni mondane (la "materia prima", ovvero la
"potenza" di Aristotele per intenderci); rna non si tratta neppure di pensare
l' attivita (la trama relazionale), dispiegata daIla ritlessione nel mondo,
come un universo trasparente e autosufficiente. Si tralta piuttosto di pensa-
re l"incrocio' fra Ie due, il rinvio inseparabile dall'una all'altra. Su questo
Merleau-Ponty e di una assoluta lucidita. "In realta" egli scrive in un pas-
saggio fondamentale "e certo che ogni tentativo per collegare una passivitil

177
a una attivita conduce 0 a estendere la passivita alJ'insieme, cio che equiva-
Ie a distaccarci daJl'Essere, giacche, mancando un contalto di me con me,
in ogni operazione di conoscenza io sono abbandonato ad una organizza-
zione dei miei pensieri Ie premesse deJla quale mi sono celate [... ], oppure
a restaurare neJl'insieme I'attivitii". Appunto contro tutto cio egli continua
sostenendo: "Si tratta di riconsiderare Ie nozioni solidali dell'attivo e del
passivo, in modo tale che esse non ci pongano piu di fronte all'antinomia di
una filosofia che da conto dell'essere e della verita, rna che non tiene conto
del mondo, e di una filosofia che tiene con to del mondo, rna che ci sradica
dall' essere e daJla verita" (VI, 67). In altri termini si traUa di stare in queJla
rotazione "contraddittoria" a cui il pensiero, la riflessione non puo sottrarsi:
il continuo ri-tlettersi fra 10 spazio di mondo entro cui ogni volta essa si di-
spiega, e 10 sfondo del proprio darsi, del proprio "even to" (FP, 18). Evento
che la ragione, il pensiero passivarriente intuisce, rna daJla cui impossibile
accessibilita e costantemente rinviato dentro di se, dentro il proprio limite.
Si tralta insomma di quel vertiginoso sporgersi suI bordo del mondo per
pensare illimite del mondo stesso, della ragione, del pensiero.
In tal senso Merleau-Ponty precisa: "Cio che qui proponiamo e opponia-
mo alia ricerca deJl'essenza non e il ritomo aJl'immediato, la coincidenza,
la fusione effettiva con I'esistente, la ricerca di un'intcgrita origin aria, di un
segreto perduto a da ritrovare, che annullerebbe Ie nostre domande e anzi
metterebbe sotto accusa il nostro linguaggio. Se la coincidenza e perduta,
non e lin caso, se I'Essere e nascosto, cio e proprio una peculiarita deJl'Es-
sere e nessuno svelamento ce 10 fara comprendere" (VI, 140). Percio oc-
corre piuttosto "passare ad un tipo di certezza che non ci restituira mai il
'c'e' del mondo" (VI, 61), e che consistera in "una operazione diversa
daJla conversione ritlessiva, piu fondamentale di quest'ultima" (IV, 63), in
quanto muove dalla consapevolezza che I'origine del mondo c inafferrabi-
Ie, ed essa puo essere solo patita - ricevuta - come qualcosa chc gia sem-
pre c'e senza pero che questa possa essere portato a ritlessione, a rappre-
sentazione.
e
II chc significa: il mondo, l'essere in atto "sospeso" ad un "movente",
ad una "possibilita" - ad una "potenza", per dirla nei termini classici aristo-
telici (che insieme fanno capire quale "gigantomachia" Merleau-Ponty
avesse ingaggiato, Forse piu di quanta egli stesso non Fosse consapevole: si
trattava di pensare fuori, oltre la soluzione offerta da Aristotele e che ac-
compagna per intern la cultura, la filosofia occidentale)ls - una potenza, di-
cevo, "per principio" nascosta alia ritlessione dalla rijlessione stessa, in
quanto questa e, e non puo che essere, nel mondo. Una "potenza" che per-
cio e patita dal pensiero nel suo stesso non poter andare oltre se medesimo
e nel dover di continuo ricadere dentro di se. Dentro il mondo. Qui, nell 'in-

178
potenza della ragionc, del mondo, si intra-vedc la "potenza", la "passiviHl",
che Ii delimita - e, COSt, Ii fa essere. Qui veramente MerIeau-Ponty ci da,
come lui stesso dice, "un'altra nozione di possibile: non piu come un altro
attuaIc eventualc [che e la soluzione di AristoteIe], rna come un ingrediente
del mondo attuaIc stcsso" (LSN, 103; sott. mio). Ma dunque una "passi-
vita", una "potenza" che il pensiero, il mondo, I'''attivita'' nOll ha "fuori" di
s6, in una trascedenza irraggiungibile, ma porta delltro di se, come il suo
piu proprio, interno altro da se. Ecco perch6 MerIeau-Ponty a ragione puo
affcmlare: "La filosofia non ha mai parlato - io non dico della passivita:
noi non siamo degli etTetti - rna dirci della passivita della Ilostra attivita"
(VI, 235; corso mio).
Nasce inevitahilmcnte da qui, da queslo complesso ordine di considera-
zioni. I'intento di individuare una nuova fomla di ritlcssione, di pensiero.
"Noi non proponiamo di interrompere la filosofia riflessiva dopo aver esor-
dito nella stesso modo [... ], rna di esordire diversamcnte" (VI, 68). Si tratta
di avviare un nuovo atteggiamento filosofico, "una specie di superr(flessio-
ne che tenga canto anche di se stessa" (VI, 63). Tale dunque da non preten-
dere di uscire dal mondo per coglieme l'origine 0 il fondamento, rna che,
grazie ad una specie di "diplopia" (VI, 138), ad un doppio c simultaneo
movimento "dell'uscire da s6 e del rientrare in s6" (VI, 142), sia in grado di
rendcrsi conto che sempre e solo nel mondo - come dire: sempre c solo
all'inlcrno di sc stcssa - puo cogliere cio che e "prima" del mondo, e
"prima" di se stessa.
Ed e a questo punto, suI Iimitare di questo 'congedo' dalla filosofia tra-
dizionaIc, a cui Merleau-Ponly andava coraggiosamente lavorandll in quei
fervidi anni a cavallo fra il '50 e il '60, che gJi scende dalla penna una delle
sue pagine piu belle: "I'originario esplode, e la filosofia deve accompagna-
re questa esplosione, questa non-coincidenza, questa differenziazione [... ].
Cio chc c'e, non e una coincidcnza di principio 0 presuntiva e una non-
coincidenza di ratto, una verita scadente 0 mancata, ma una [... ] coinciden-
za da lontano, uno scarto, quaIcosa come un 'errore buono'. E a propos ito
del linguaggio che si vedrebbe, nel modo migliore, come non si deve e
come si deve ritomare aile cose stesse. Se noi sogniamo di ritrovare, per
coincidcnza, il mondo naturale 0 il tempo, di essere identicamentc il punto
oche vediamo Jaggiu [ ... ], allora illinguaggio e una potenza d'errore, giac-
che recide il tessuto continuo che ci unisce vitalmcnte alle cose e al passa-
to, e si installa fra questo e noi come uno schermo. II filosofo parla, ma e
una sua debolezza [ ... ]: egli dovrebbe tacere, coincidere in silenzio, e rag-
giungere nell'Essere una filosofia che vi c gia fatta. Viceversa, tutto avvie-
ne come se egli volesse tradurre in parole un certo silenzio che e in lui e
che egli ascolta. La sua intera 'opera' e questo sforzo assurdo. II filosofo

179
scriveva per dire il suo contatto con I'Essere: rna non I'ha detto, e non po-
trebbe dirlo, gicche questo contatto e tacito, Allora ricornincia"." (VI, 142-
143).
Ecco: il filosofo ricornincia. Ricornincia "sernpre di nuovo" a interrogar-
si e a tentare di descrivere il gesto che ogni volta "strappa la parola al silen-
zio per riconsegnarla al rnondo"16, proprio perche e risospinto di continuo,
dalla rete di relazioni, dal rnondo - dal suo stesso corpo - nei quali sernpre
si trova a vivere e a pensare, verso la "dornanda inesauribile" sulla loro
inaccessibile provenienza. E dei quali percio puo solo patire la 'consegna'.
Un patire in virtu del qua\e ci troviarno tutti presi in un 'unica "vibrazione
ontologica" (VI, 134) - in un unico "trernito"17. In un solo, irnrnenso "re-
spiro" 18.
Qui la piu autentica "passione" del filosofo. Edell' artista. Del filosofo e
dell'artista solo? 0 non piuttosto, e da sernpre, dell'uorno in generale?

II rif1csso sui mare si forma quando il sole s'abbassa: dall'orizzontc una macchia
abbagliante si spinge fino alia costa, fatta di tanti luccichii che ondeggiano [... ].
E I'ora in cui il signor Palomar, uomo tardivo, fa la sua nuotata serale. Entra
nell'acqua, si stacca dalla riva, e il rif1esso del sole diventa una spada scintillante
[... ]. II signor Palomar nuola sott'acqua; emerge; ecco ]a spada! Un giorno un oc-
chin uscl dal mare, e la spada era gia Ii ad attendcrlo, pote finalmente sfoggiare
tutta la snellezza della sua punta acuta e il suo fulgore scintillante. Erano fatti
l'una per l'altro, spada e occhio: e forse non la nascita dell'occhio ha fatto nascere
la spada rna viccvcrsa, perchc la spada non potcva fare a menD di un occhio che la
guardasse al suo vertice.
II signor Palomar pensa al mondo senza di lui: que\lo sterminato prima della
sua nascita, e quello ben piu oscuro di dopo la sua morte; cerca d'immaginare il
mondo prima degli occhi, di qualsiasi occhio; e un mondo che domani per cata-
strofe 0 lenta corrosione resti cieco. Chc cosa avvienc (avvenne, avverra) mai in
quel mondo? Puntuale un dardo di luce parte dal sole, si riflette sui mare calmo,
scintilla nel tremolio dell'acqua, ed ccco [... ] ad un tratto un occhio, una moltitudi-
ne di occhi fiorisce, 0 rifiorisce ... ([talo Calvino).

Enrica Lisciani-Petrini

180
Note

Si pensi, per es., ai primi articoli del filosofo, adesso raccolti in Parcours (Paris
1996).
Le opcre di Mcrlcau-Ponty verranno citate, nella loro traduzione italiana, con la
sigla seguita immediatamente dal numero della pagina:
La s{rurtura del comportamento (Paris 1938; tr. it. Milano 1965) - SC;
Fenomenologia della percezione (Paris 1947; If. it. Milano 1980') - FP;
II visibile e l'illvisibile (Paris, 1965; tr. it. Milano 1994) - VI;
L 'occhio e 10 spirito (Paris 1964; tr. it. Milano 1979) - OS.
2 L'intera produzione di Merleau-Ponty da alcuni anni e oggetto di una feconda at-
tenzione, che ha portato alia pubblicazione di divcrsi testi non dati aile stampe dal
filosofo. innanzitutto sono stati pubblicati in volume i riassunti dei corsi che Mer-
leau-Ponty ha tenuto dal 1952 al 1960 prcsso i\ prestigioso "College de France", e
che il filosofo stcsso redigcva alia finc dell'anno per l"'annuario" del Collegio:
Resumes de cours [College de France, /952·1960] (Paris 1968). La traduzione
italiana - Linguaggio, storia natura, (Milano 1996) - differiscc dal testa francese
pcrche contiene anchc Ie "notc preparatorie" di Merleau-Ponty al suo ultimo, im-
portante corso (improvvisamcnte intcrrotto dalla prematura morte del filosofo - e
per questo non ne esiste il "riassunto"); "Filosofia e non fiIosofia dopo Hegel".
Quindi sono stati scoperti gli appunti presi da alcuni uditori anonimi ai corsi che
Merleau-Ponty ha tenuto suI tema della "natura" nel 1956-57 c nel J957-58, puh-
blicali. insieme aile "note preparatorie" di Merleau-Ponty al corso del 1959-60 suI
medesimo argomento, in La nature, Notes. Cours du College de France (Paris
1995), tr. it. La natura (Milano 1996). Altre "note preparatorie" sono ora pubbli-
cate in Notes de cours. /959·/96/ (Paris 1996) insieme a degli "annexes" inediti.
A proposito di questi ultimi, sono ancora in via di riordino tematico, in attesa di
vedere completamente la luce, i celeberrimi "inediti" di Merleau-Ponty, contenuti
in sette "bolles" depositate dalla sig.ra Suzanne Merleau-Ponty presso la "Bi-
bliothcque Nationale de Paris" (ma di assai difficile acccssibilita), una parte dei
quaJi vcnne puhblicata da C. Lefort gia nelJ'edizione dcl Visibile e l'invisibile e
appunto nelle eitate Notes de cours.
3 Sull'argomento si vedano R. Ronchi, Bergsollfilosojo dell'interpretazione, Geno-
va 1993, in part. il capitolo iniziale e 'luello intitolato "MerIeau-Ponty lettore di
Bergson"; E. Lisciani-Petrini, Merleau·PontyIBergson: un dialogo "se jaisant",
in "II Pensiero", J993, pp. 68-93.
4 Su questo punto efr. Ie analisi che Merlcau-Ponty andava conducendo con i corsi
sulla "natura" (vedi qui alia nota 2), in un eonfronto serrato e diretto con Ie piu
imporlanti acquisizioni dclla scienza contemporanea.
5 Per questa espressione, cfr. Th. W. Adorno, Filosofia della lIlusica modema, tr.
it., Torino 19756 , pp. 22-24. L'importanza del eonfronto di Merleau-Ponty con ta-
lune esperienze artistiche dcl primo Novecento c stata ampiamente analizzata da
M. Carbone. Ai confini dell'esjirimibile. Merleau-Ponty a partire da Cezanne e da
Proust, Milano 1990; id., II sensibile e l'eccedenle. Mondo estefico, arte,
pensiero, Milano 1996 (in part. pp. 41-127). Si veda anche E. Lisciani-Petrini.
L'invisibile di Cezanne, in "II Pensiero", 1997/1, pp. 23-34.
6 efr. E. Husser!, Idee per una jenomenoiogia pura e per una filosofia jellomenolo-
gica, tr. it. (in tre voll.) Torino 19762, vol. II, p. 539 ss.
7 Questa espressione, citata sovente da Merleall-Ponty, "utilizzata da HlIsserl- pre-

) 81
cisa il curatore della tr. it. del VisibiLe e l'invisibiLe: Mauro Carbone - in riferi-
mento al corpo proprio, nelle Meditalioni cartesiane, compare nella versione fran-
cese di tale opera (efr. Meditations cartesiennes, Paris 1947, p. 81), rna e stata
espunta neltesto tedesco (efr. Cartesiallische Meditationen und Pariser Vortrdge,
L' Aia 1950, p. 128) e quindi nelle traduzioni italiane" (VI, p. 209).
8 Per questa espressione efr. C. Sini, Il silenl.io e la parola. Luoghi e confini del sa-
pere per un uomo planetario, Genova 1989, p. 29. In questo testa Sini dedica pa-
gine importanti a Merleau-Ponty. Per il complesso delle argomentazioni svolte in
questa parte del mio lavoro sono da tenere presenti anche, della stesso autore, in
particolare: Immagini di verita. Dal segllo af simbulo, Milano 1985 e I segni
dell'anima, Roma-Bari 1989.
9 Questa critica e stata mossa a Merleau-Ponty per es. da Castoriadis, nel capitolo
"Merleau-Ponty et Ie poids de I'heritage ontologique", in AA.VV., Leibhaftige
Vernullft (a cura di A. Metraux e B. Waldenfels), MUnchen 1986, ried. in C. Ca-
storiadis, Fait et 11 faire. Paris 1997 (p. 158 ss); e da J.-F. Lyotard, in Discours,
Figure, Paris 1971.
10 Questo tema fondamentale del pensiero merleau-pontiano e al centro della rifles-
sione di 1. Lacan, in Il semillario, Libro XI. I quattro concetti Iondalllentali della
psicoanalisi (1964), tr. it. Torino 1979, pp. 69-121. AII'argomento dedica osserva-
zioni molto fini anche P. A. Rovatli. in Abitare fa dislanza, Milano 1994, in part.
pp.54-67.
11 Per quanta riguarda Ie espressioni di Husserl, cfr. La crisi delle scienze europee e
La IenomenoLogia trascendentale, tr. it. Milano 1983 2, p. 210. Sull'uso della me-
tafora in filosofia, come strumento linguistico che secondo Merleau-Ponty "mette
capo il piu energicamente possibile all'Essere" (in effetti non dicendolo) efr. VI,
pp. 122. 143.
12 Cfr. VI, pp. 210-211. In realta I'espressione e tratta da Bergson.
13 Cfr. Segni, tr. it. Milano 1964, p. 213. Sulla "sottile bellezza" delle analisi dedica-
te da Merleau-Ponty a Husserl, cfr. E. Levinas, Dell'intersoggettivita. Note su
Maurice MerLeau-Puntv, in "aut aut", nn. 232-3, 1989, p. 142. Un esame ap-
profondito del rap porto fra Merleau-Ponty e Husser! e condotto da S. Mancini, in
Sempre di nuovo. Merleau-Pontye fa diafettica del/'espressiolle, Milano 1987, in
part. pp. 209-264.
14 In un passo assai significativo del Visibife e L'invisibile (p. 262) si legge: "Il pro-
gredire dell'interrogazione verso il centro non e movimento del condizionato
verso 1a condizione, del fondato verso il Grund: il preteso Grund e Abgrund. Ma
l'abisso che cosl si scopre non e una certa assenza di fondo, bensl il sorgere di una
Hoheit che regge dall'alto (cfr. M. Heidegger, Ullterwegs lur Sprache), cioe di
una negativita che viene al mondo". 11 riferimento - precisano i curatori: C. Lefort
e M. Carbone - e al passo di In cammino verso illinguaggio di Heidegger (tr. it.
Milano 1973, p. 29) che suona: "II linguaggio e i1linguaggio. 11 linguaggio parla.
Se ci lasciamo cadere nell'abisso evocato da questa affermazione, non precipitia-
mo nel vuoto. Cadiamo in un'altezza, la cui altitudine apre una profondita".
15 Infatti, com'e noto, Aristotele - nel tentativo di spiegare il movimento, e dunque
il divenire della (\a possibilita chc si dia la) realta stessa - ricorre al concetto di
dYllamis. E tuttavia proprio nel condurre questa ricerca, Aristotelc si rende canto
che per poter comprendere davvero il movimento dovrebbe tenere illsieme la po-
tenza (la dynamis) e I'atto (I' energheia), perche il movimento non si spiega ne
con la sola potenza, ne con il solo atto, dato che sembra essere piuttosto "atto-in-

182
potenza". Esito paradossale e contraddittorio che rende impossibile spiegare la so-
stanza stessa, ossia la realta (infatti "se questo fosse vero, nessuna realta esistereb-
be, giacche sarebbe possibile che tutte Ie cose avessero la potenza di esistere senza
pero esisterc real mente"). Sicchc Aristotcle e costretto ad affermare il primato
dell'atto sulla potenza (cfr. Metafisica, libro lambda, 6, 1071 b-I072a): prolet'rm
energheia dynameos diventa cos1 il principio-base della filosofia aristotelica. Ri-
sultato - decisivo pcr i destini della filosofia e del pensicro occidentale stesso - e
che da questo momenta non verra mai pill messa in discussione I'antecendenza
dell'Essere (della sostanza) come etemo Presente sugli enti e suI divenirc. Affin-
che vi sia divenire, passaggio, movimento occorre che - prima - ci sia I'atto, la
sostanza. Infatti , conclude Aristotele, "anche se noi accettassimo Ie opinioni dei
teologi, i quali fanno generare tutte Ie cose dalla notte, 0 Ie teorie dei naturalisti,
secondo cui 'tutte Ic cose sono insiemc', si verrebbe a riscontrare la medesima im-
possibilita [ ... ] da cib consegue che il caos e la notte non poterono affatto durare
per un tempo illimitato, rna che Ie medcsime cose sono scmpre csistite, 0 ciclica-
mente, 0 in altro modo" (ib.; corso mio). Su questa punto fondamentale pcr ia
comprensione di Aristotele e della sua influenza suI pensiero succcssivo cfr. V.
Vitiello, Elogio della spazio. Ermeneutica e lopologia, Milano 1994, pp. 31-39.
Da tutto cio si capisce dunque quanta sia determinante un pensiero, oggi, che vo-
glia riconsiderare il problema della "potenza" e del "possibile". A questo livello a
me pare si sia spinto Merleau-Ponty. Questa e la convinzione anche di R. Barha-
ras, nel bel saggio La potenza del visibile. Merleau-Ponty e Aristotele, in "Chia-
smi", n° I, pp. 11-26. Delio stesso autore, per una rilcttura del rapporto
sensihile/idea in Merleau-Ponty, cfr. De ['etre du phhlOlIlclle. Sur l'ontologie de
Merleau-Ponty, Paris 1991.
16 C. Sini, II silenzio e la parola, cit., in part. p. 24.
17 Questa metafora e tralta dalla espressione "die Erzitterung des Seins [il tremito
d'essere]" utilizzata da Heidcgger nell'opera nella quale, com'e noto, il filosofo
Iiteneva di avcr raggiunto i risultati pill importanti del suo pcnsiero: Beitrage zur
Philosophie. (VO/ll Ereignis), Frankfurt a. M. 1989, p. 21 c passim.
18 Questa espressione viene - significativamcnte - utilizzata sia da R. M. Rilke nei
Sonetten all Orpheus, sia da P. Roulez in Releves d'apprenli, Paris 1966. In
quest'ultimo caso, per indicare la modalita veramente nuova conseguita dalla
"nuova musica", a partire da Debussy.

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