Fagioli
Fagioli
Fagioli
PRIMA PARTE
Questo lavoro è una analisi critica, ma allo stesso tempo un work in progress
nei confronti di un fenomeno gruppale complesso come quello dell’analisi
collettiva. Ritengo che quanto emergerà da questa analisi potrà essere riferibile
ed utilizzabile anche per altre situazioni gruppali affini.
Il lavoro si divide in quattro parti: questa è la prima ad essere posta sul sito, a
breve seguiranno le altre.
Chi è interessato può inviare considerazioni, riflessioni critiche (forse sarebbe
opportuno aspettare almeno la seconda parte) a [email protected].
Il materiale ricevuto verrà inserito in un’apposita sezione: sarebbe preferibile
che i vari interventi fossero firmati; comunque, se validi, saranno accettati
anche quelli con uno pseudonimo.
Una riflessione meditata ma critica sulla teoria e sulla prassi di M. Fagioli, quindi in ultima
analisi sulla storia dell’analisi collettiva é utile e doverosa: perché dal momento che essa si
definisce attività di psicoterapia ci riguarda, perché iniziata nel 1975 è tuttora attiva, mostrando
una continuità che non si identifica necessariamente – come sempre è stato sostenuto – con la
validità, ma soprattutto perché in questi ultimi anni sembra mostrare evidenti segni di una
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involuzione. Involuzione che apre ad alcuni quesiti fondamentali: la natura di tale involuzione,
se queste modificazioni erano inevitabili e se era possibile intravederne dei segni fin dagli inizi.
Domande importanti la cui risposta può essere utile per comprendere un fenomeno gruppale
sicuramente singolare, ma anche per estendere eventuali conclusioni ad altre dinamiche gruppali
Non si tratta quindi di una critica, ma di un’analisi critica sulla base di ciò che è documentato o
che è di dominio pubblico. Mi sono già occupato precedentemente (vedi ad esempio: “Passato e
presente” su questo sito) di questa esperienza, però il mio è stato un interesse parziale perché
limitato soprattutto ad alcuni eventi iniziali e finali. Nel presente lavoro cercherò di fare
un’analisi che sia la più completa possibile, attenta alle motivazioni, alla modalità di sviluppo,
alla prassi ed alla coerenza di questa con la teoria, così come si é evidenziata nel corso del
psicoterapia di gruppo, ma a quale modalità fra le tante codificate, essa appartiene? Quale è la
Alcuni Autori si sono occupati di questo argomento ed hanno cercato di evidenziarne alcune
peculiarità: ricordo fra questi A. Armando, G.Lago e A. Seta. Ricordo che L. A. Armando ha
scritto nel 1997, un ponderoso volume, ma soprattutto ha avuto il merito di attivare una
discussione molto vivace sul suo blog che costituisce attualmente una fonte di informazione
importante, perché evidenzia eventi che altrimenti sarebbero rimasti nell’ambito del
pettegolezzo.
A questo punto mi sembra necessario precisare le motivazioni di questo mio lavoro, il tipo di
conoscenze che ho di questo fenomeno, la metodologia che userò. Per quanto riguarda le
motivazioni ricordo che ho una responsabilità, perlomeno di tipo intellettuale, avendo, come
responsabile del Servizio Psichiatrico dell’Università di Roma sito in Via di Villa Massimo,
aperto a M. Fagioli la possibilità di iniziare e proseguire questa attività dal 1975 al 1980.
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Successivamente dopo una separazione durata circa un decennio, è iniziata una seconda fase di
esperienze diverse: confronto che, durato alcuni anni e comunque in maniera saltuaria, ha
trovato poi un suo sbocco nel libro “Il processo terapeutico in psicoterapia”. Lo stile del
parte di Fagioli, sempre più autoreferenziali e dogmatiche che poco avevano a che fare con
distacco, che si è attuato comunque nel 2002 per motivi che ho esposto pubblicamente (vedi su
questo sito “Lettere aperta a M. Fagioli). Mi sono soffermato brevemente su questi aspetti, non
solo per sottolineare la mia motivazione di base -cioè rendere conto sia dei motivi del mio
consenso, sia dei motivi del mio successivo dissenso che ritengo essere un debito di onestà
intellettuale - , ma anche perché è da questo punto di osservazione che oggi posso fare
commenti o esprimere giudizi su eventi che ho vissuto direttamente ed in prima persona. Debbo
sottolineare che non ho mai partecipato all’analisi collettiva per cui potrò attenermi
partecipanti hanno riferito come testimonianza di eventi di cui sono stati testimoni oculari.
Qual è il metodo che seguirò? La complessità del problema non rende possibile l’uso di una
metodologia unitaria (come ad esempio quella storiografica, sociologica, di analisi dei gruppi, di
psicodinamica, etc). E’ stato necessario utilizzare gli strumenti di più di una disciplina per avere
Bisogna tener conto che i fattori in gioco sono numerosi. Dobbiamo esaminare un iter lungo e
complesso di un gruppo molto ampio, di un gruppo aperto e pertanto non sempre facilmente
definibile: è inevitabile quindi che nel mio lavoro siano stati utilizzati elementi che provengono
dalla psicodinamica dei gruppi, dalla sociologia, dalla psicologia evolutiva e dalla
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ripetutamente da Fagioli e dai suoi seguaci, come attività fondamentalmente di tipo
psicoterapeutico: pertanto bisognerà considerare in questa ottica , quali sono le metodiche della
gestione del gruppo, il tipo di relazione che si instaura tra terapeuta e paziente, eventuali
altre prassi, sempre di gruppo, conosciute e codificate. Anche se questa esperienza viene
proposta come totalmente nuova ed originale, questo non rende impossibile confrontarla con
altre metodologie che sono ampliamente praticate e codificate da decenni. Ripeto che per quanto
questo gruppo si ponga come attività di tipo anche culturale, rimane pur sempre un gruppo di
complesso perché, a quanto afferma Fagioli, in questo gruppo non si svolge solo attività di
psicoterapia, ma anche attività di formazione. Ben sappiamo che il problema delle formazione
in psicoterapia è stato fin dalla nascita della psicoanalisi, uno dei problemi più dibattuti e
controversi. Tra l’altro non bisogna dimenticare che in Italia esiste una specifica legge - la
56/89- che dispone in numerosi articoli tutte le procedure perché il processo di formazione in
Questo gruppo è condotto da una persona che ha avuto ed ha tuttora il ruolo peculiare di guida e
come questo “capo” si pone nei confronti del gruppo: come leader carismatico, come terapeuta
un po’ fuori dalle regole, oppure con altre modalità che esamineremo successivamente.
Dovremmo quindi ricorrere anche agli strumenti della sociologia e della psicologia sociale per
È inoltre importante comprendere quali sono le modalità relazionali che legano il gruppo al
terapeuta. Voglio sottolineare che questo è un aspetto spesso trascurato, invece è un fenomeno
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Questo fenomeno sarà trattato successivamente in maniera articolata.
Comunque credo che tutta questa complessità debba essere inserita e letta alla luce di alcuni
principi fondamentali della psicologia evolutiva e della teoria delle relazioni d’oggetto,
utilizzando due principi fondamentali. Noi sappiamo che ogni individuo, come anche ogni
gruppo, ha una sua nascita, una sua crescita, un suo sviluppo che può essere più o meno
armonioso o disturbato a seconda di una serie di eventi relazionali che sono cruciali sia al
momento iniziale della formazione, sia nei momenti topici dello sviluppo, momenti che io
definisco “crisi”. Le “crisi” sono state studiate prevalentemente nella psicodinamica individuale,
ma possono essere trasposte, con qualche variante, anche ai gruppi. Considero come crisi quelle
tappe evolutive significative ove c’è un passaggio verso nuove situazioni intrapsichiche ed
interpersonali, più valide e mature: questi momenti da altri Autori vengono definiti come
momenti “finestra”. Cioè momenti ove il passaggio evolutivo è reso possibile non solo dalle
modalità dei precedenti stadi evolutivi, ma anche dal supporto ambientale ed interpersonale che
Il secondo elemento, strettamente collegato al primo, è che lo sviluppo deve essere letto anche
nell’ottica delle fasi del ciclo vitale: questo vale sia per gli individui nell’arco della loro vita, sia
per i gruppi purché non siano estemporanei. Per ciclo vitale si intende i vari stadi e passaggi, in
parte scelti in parte inevitabili che corrispondono a momenti di cambiamento importanti che
mettono alla prova la validità dell’individuo o del gruppo. Posso affermare con sicurezza,
confortato dalla clinica, ma anche dagli studi e dalle osservazioni di numerosi Autori, che ogni
qual volta c’é una tappa importante del ciclo vitale, che ovviamente comporta un cambiamento
di struttura e di status, se questa tappa non è affrontata in modo adeguato e sano, può
comportare una fissazione e quindi una distorsione della struttura psichica dell’individuo o del
gruppo che non sempre si evidenzia al momento, ma può rendersi visibile con il passare del
tempo.
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La prima tesi che cercherò di dimostrare è che in questo gruppo per diversi motivi che
esamineremo successivamente, ci sono stati cambiamenti legati sia alle diverse fasi di sviluppo
che a momenti del ciclo vitale che possono aver comportato cambiamenti non propriamente
evolutivi.
Come dicevo prima l’esperienza nasce nel 1975 ed è tuttora attiva: si tratta di un lungo periodo
che suddividerò in quattro stadi: tale suddivisione ha una sua logica perchè corrisponde a
quattro momenti del ciclo vitale del gruppo, quando ci sono stati eventi o sono state imboccate
strade che possono aver portato ad una involuzione o che forse hanno solo evidenziato aspetti
Per una corretta lettura di questo lavoro bisogna tener presente due fattori fondamentali. Come
ogni suddivisone ovviamente è riduttiva e bisogna tener presente che i passaggi non sono mai
così repentini ed immediati: o forse meglio, possiamo dire che la visibilità degli effetti può
evidenziarsi piuttosto tardi quando questi si sono trasformati da momenti effimeri in aspetti
strutturali; inoltre è evidente che possiamo trovare ancora tracce della fasi precedenti in quelle
successive.
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COPERTURA IDEOLOGICA DELL’ASPIRAZIONE AL POTERE.( Approfondirò questo
Come ogni descrizione di eventi così complessi , la mia descrizione potrà essere riduttiva o
carente anche per elementi importanti. Il mio scopo è tracciare un percorso, descrivere le varie
fasi, i motivi dei cambiamenti, la loro natura e gli effetti successivi: considero questo lavoro
come un work in progress soprattutto perché ritengo che eventuali interventi di lettori potranno
Propongo di suddividere l’intero percorso di questo evento in quattro stadi che saranno
successivamente descritti.
A. Il movimento (1975-1980)
B. L’istituzione (1980-1990)
C. La chiesa (1990-2000)
D. La casta (2000-?)
Partire dal presente vuol dire innanzitutto rispondere ad un ovvia domanda: perché scrivere un
Credo che i motivi siano fondamentalmente due. Il primo è che nel tempo sono comparsi
articoli e riflessioni critiche circa questo movimento. Il secondo è che da un blog (quello di A.
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Armando) in pochi mesi sono emerse centinaia di testimonianze circa la prassi ed i
del movimento, ma soprattutto ha fatto emergere perplessità rispetto ad un fenomeno che era
sempre stato molto compatto ed inaccessibile a qualsiasi critica. L’ipotesi che l’ingresso in
politica è il fatto nuovo che potrebbe far comprendere alcuni eventi di questi ultimi tempi, non è
da me condivisa. Io ritengo che sia riduttivo parlarne come di un fenomeno nuovo ,perché ci
sono stati altri momenti di apertura alla politica e sempre con le stesse modalità: utilizzare una
credenziale molto specifica ostentata come un viatico, per un’accettazione completa da parte
della politica. Egli si presenta con la credenziale di essere il creatore di una teoria che ha dato
luogo ad una prassi (analisi collettiva) che sono riuscite a trasformare la follia in sanità mentale:
ricordo che il concetto di sanità mentale per Fagioli è sempre stato una sorta status simbol. Dal
momento che ci si presenta in politica, utilizzando appunto credenziali che derivano dall’attività
di psicoterapia, è evidente che in molti hanno cominciato a chiedersi quali garanzie potesse
offrire Fagioli a sostegno di queste sue apodittiche affermazioni. In altri termini è emerso il
problema di una reale validazione di questa attività psicoterapica, dal momento che non ce ne è
stata mai una. Infatti a parte pubblicazioni provenienti direttamente da Fagioli o da alcuni suoi
collaboratori, che come sappiamo sono quasi sempre scritte dallo stesso Fagioli, non esistono
assolutamente prove o comunque elementi tali da provare la validità del metodo, se non
Può costituire tutto questo una prova? Si può affermare con sicurezza che non esiste alcun tipo
di prova, non dico di tipo scientifico nel senso della Evidence-based Medicine, ma nemmeno
delle più elementari metodologie utilizzate per valutare l’efficacia delle psicoterapie. Inoltre,
si evidenzia dal blog che nell’arco di qualche mese ha raccolto centinaia di testimonianze a dir
poco stupefacenti.
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È da questo insieme di elementi, tutti abbastanza recenti, che nasce lo stimolo a rileggere il
percorso di questo movimento e provare a raccontare un’altra storia. Dico “altra storia” perché
non costituisce certamente una prova di validità le affermazioni positive di molti dei diretti
interessati, e soprattutto perché la storia scritta da A. Armando, non solo giunge fino al 1996,
ma si configura come un’operazione troppo di parte e che attualmente andrebbe integrata con
tutti i suoi scritti posteriori, per lo meno quelli a partire dal 2004 in poi pur rimanendo un
Nel ritornare al presente, vorrei proporre una tesi alternativa a quella attualmente più accettata
che ritiene l’ingresso di Fagioli in politica come qualcosa di strano e di estraneo alla sua figura
ed al suo progetto di cura-formazione-ricerca. Io ritengo invece che questa apertura alla politica,
sia una conseguenza inevitabile, perché ritengo che l’azione e lo scopo di Fagioli sia stato , e da
ampi gruppi. Il ricorrere allo strumento della psicoanalisi, perlomeno agli inizi, anche se poi è
necessità. Una strategia, dal momento che negli anni ’70 la psicoanalisi, pur nelle sue numerose
varianti, rimaneva un sapere di livello superiore ed era molto richiesta, perché sembrava
un’identità poco presentabile (potremmo dire genericamente il ceto abbiente della piccola e
media borghesia). Si trattava di persone che cercavano un senso alla loro esistenza, carpendo la
conoscenza delle dinamiche psichiche, visto che le ideologie politiche avevano fornite scarse e
spesso pericolose risposte. Ma soprattutto è importante tener presente che negli anni ’70
emergeva sempre più forte il problema del desiderio e della realizzazione personale, dal
Una necessità perché la psicoanalisi era l’unico strumento teorico e tecnico di cui Fagioli era
realmente in possesso.
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Ovviamente come in tutti i movimenti che sono profondamente millenaristici ed utopici, ma
stranamente anche integralisti e totalitari, la discrepanza tra l’Ideale dell’Io e l’Io (inteso come
Quindi come vedremo l’apertura dei gruppi a Villa Massimo (che corrisponde alla stadio
definito “il movimento”) era una risposta ai bisogni personali, socio-culturali e politici di una
vasta utenza e rappresentava pertanto un’operazione politica, tra l’altro ben riuscita, perlomeno
per un certo periodo. Per questo non condivido l’opinione di quanti affermano che qualcosa è
cominciato a cambiare perché Fagioli si è aperto alla politica: questa era una tendenza
inevitabile, uno scopo da sempre perseguito, che si è evidenziata con tutta chiarezza in questi
ultimi due anni. Ovviamente la politica ha delle leggi molto diverse da quelle utilizzate per
senso migliore della parola, come non sono accettabili posizioni acritiche, dogmatiche e di
autoreferenzialità assoluta.
Ma le perplessità e quindi le critiche erano iniziate anche prima, forse in maniera poco evidente,
quando molta gente che per decenni si era sentita ripetere che uno degli scopi fondamentali di
quel gruppo era quello di contrastare l’”istituzione” (perché causa di follia), si accorge che
Fagioli comincia un’apertura chiara e senza ambiguità con l’istituzione universitaria. Nel
passato la relazione di Fagioli con l’istituzione universitaria era sempre stata proposta nei
termini che la sua presenza portava benefici e possibilità di ricerca all’istituzione universitaria,
che quindi in maniera più o meno esplicita era squalificata. L’istituzione universitaria poteva sì
essere utilizzata in certi momenti, ma sempre mantenendo un rapporto molto distaccato: come a
dire cha al massimo era possibile un flirt. Ma questo flirt si è trasformato in matrimonio, un
matrimonio che legittimava il riconoscimento di un genio incompreso che, a suo dire era stato
“universitaria” di Fagioli presso l’Università di Chieti. Università che viene, questa volta,
considerata come valida perché gli offre identità e riconoscimento. Non dobbiamo dimenticare
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che in un modo o nell’altro Fagioli era stato allontanato da due istituzioni: prima quella
psicoanalitica e poi quella universitaria romana. Certamente egli aveva ampiamente contribuito
a questo risultato, ma anche certamente questo rappresentava per lui una grave ferita
narcisistica.
vero volto che era prima nascosto dalla maschera di colui che irrideva l’istituzione e ne
criticava i limiti, ma che l’utilizzava, come aveva detto Mattei, ai suoi tempi, “come un taxi”.
Con questa operazione, si presenta invece come una persona che si integra perfettamente
che questo movimento sia stato l’inizio del primo passo falso: evidenziando quanto fosse poco
universitaria.
E di fronte a questa contraddizione così palese, era lecito che le persone più attente
cominciassero a porsi domande e mostrare perplessità: anche quelle che fino ad allora erano
rimaste cieche e sorde anche di fronte a cambiamenti così radicali nei confronti di posizioni che
avevano costituito una sorta di cavallo di battaglia. Rispetto a queste inversioni, ne ricordo due
vengono ad un tratto accettate come se niente fosse, soprattutto senza alcuna motivazione
vengono cambiate e “invertite”, è necessario che ci sia una spiegazione di questo cambiamento.
E questo non c’è mai stato. Come non erano mai state giustificate nel passato quelle posizioni,
così non vengono spiegate ora i cambiamenti. Ma tutto questo finisce per intaccare la credibilità
e l’attendibilità ed apre il varco al dubbio della critica. Ben sappiamo che in un gruppo
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Inoltre dobbiamo ricordare un altro comportamento di pubblico dominio che riguarda l’acquisto
e la gestione di un settimanale. C’era una volta un settimanale intitolato “Avvenimenti”, che era
stato acquistato e trasformato in “Left”. In questa operazione viene fuori tutta l’arroganza di
Fagioli che dimostra di come egli utilizza il potere. Questo episodio ha allertato anche molte
persone che prima erano completamente all’oscuro del fenomeno Fagioli. Sicuramente le
modalità con le quali è stata gestita tutta questa operazione, l’arroganza nel conflitto con i
direttori (ricordo in particolare G. Chiesa) hanno rivelato come Fagioli gestisca il potere dal
momento che ne ha la possibilità, potere che fino ad allora era stato agito solo nell’ambito
ristretto dell’analisi collettiva. E sicuramente questa operazione “di potere” rientra in una
strategia più ampia che è quella di rinsaldare ed aumentare tale potere: non dimentichiamo che
Fagioli è già proprietario e da anni di una testata “Il sogno della farfalla” che è una rivista di
psichiatria e psicoterapia e quindi è funzionale alla sua attività specifica. Ma Left è un giornale
politico e pertanto fa parte di una strategia diversa. Ritornerò su questo argomento anche perché
Comunque, per comprendere alcuni fenomeni attuali, debbo ancora una volta sottolineare, “la
d’Annunzio di Chieti-Pescara? Intanto bisogna ricordare che questo insegnamento (dopo che
Fagioli per decenni ha squalificato questa disciplina) è collocato all’interno della Facoltà di
Scienze della Formazione (che nulla ha a che fare con Medicina e Chirurgia che per decenni è
stata ritenuta da Fagioli l’unica metodologia valida per l’approccio alla malattia mentale) e
precisamente nel Dipartimento di “Scienze delle Professioni Educative” che corrisponde alla
vecchia Pedagogia.
Quindi va chiarito che questo insegnamento non avviene né nell’ambito della Facoltà di
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molti. Si tratta di un Dipartimento di Pedagogia:con tutto il rispetto per questa disciplina mi
Comunque le lezioni di Chieti, creano un clima che ricorda il famoso film di J. Travolta “La
febbre del sabato sera”, che ovviamente cambieremo in “La febbre del sabato mattina”. Fagioli
riesce a trascinarsi una folla di seguaci nell’aula dell’Università di Chieti, con grande fastidio
degli studenti-paganti (cioè quelli veri) che spesso non trovano posto perché l’aula è già tutta
occupata. E sempre questi stessi studenti-paganti saranno ancora più insoddisfatti, quando agli
esami saranno costretti a recitare alcune nozioni stereotipate che sono il condensato del Fagioli-
pensiero. Comunque da queste lezioni egli trae un libro che più o meno consapevolmente
sembra voler infondere il brivido di una nota canzone “Voglio una vita spericolata”. In effetti il
titolo è “Una vita irrazionale”, certamente più contenuto rispetto alla canzone di V. Rossi, ma
che soprattutto non corrisponde affatto, al contrario del cantante , alle caratteristiche reali di chi
l’ha scritta. In verità nelle azioni di Fagioli c’è veramente poco di irrazionale, anzi tutto è curato
credenziali che Fagioli si era autocostruito nel proporsi come l’unico in grado di curare la follia,
l’unico ad aver fatto una scoperta rivoluzionaria, in grado di poter far luce sulla psiche umana.
E così Fagioli, munito di questo passaporto, cerca di esportare in politica quella esperienza che
gli derivava da un ambito molto più ristretto che era quello dell’attività psicoterapeutica. Ma
collettiva? Come mai non c’era mai stato un confronto con altri orientamenti nel campo della
psicoterapia? Come mai non erano mai stati pubblicati lavori riguardanti la tecnica di quella
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Per decenni Fagioli aveva voluto occultare la realtà della sua pratica psicoterapeutica con
sosteneva che quel lavoro avveniva “nel suo studio privato” e quindi egli non era obbligato e
nemmeno tenuto a render conto di come e di cosa facesse. Sempre secondo il Fagioli, il rispetto
del setting (?) e il rispetto della deontologia (?) erano sufficienti a salvaguardare la sua prassi da
Comunque questo insegnamento presso l’Università di Chieti viene vissuto e proposto come
ampiamente.
dinamica molto ambivalente, per lo meno per quanto attiene il rapporto con l’Università di
Roma “la Sapienza”. Da una parte era importante e vitale, perlomeno nei primi tempi, che egli
forse anche perché non ne aveva mai ricevuto un riconoscimento ufficiale. A questo proposito
bisogna fare una precisazione. Fagioli ha sempre parlato di una sua attività universitaria e di una
ricerca universitaria. Ma attività universitaria vuol dire far parte dell’istituzione, anche se
momentaneamente, mentre ricerca universitaria vuol dire che essa deve essere formulata,
spiegata nei fini e nei mezzi e soprattutto deve essere riconosciuta dagli organi istituzionali.
Posso affermare con sicurezza e con cognizione di causa che tutto questo non c’è mai stato.
Fagioli ha svolto la sua esperienza pratica in un locale sede dell’Istituto di Psichiatria e solo
perché ospite del sottoscritto in qualità di Dirigente di tale Servizio. Ovviamente per farla
accettare ai membri del Consiglio di Istituto, ho sempre dovuto asserire che ero io direttamente
interessato a quella esperienza pratica: era l’unico modo per renderla possibile e plausibile.
Anche se questo verrà falsificato da Fagioli, si potrebbe dire come al solito; e dopo qualche
tempo sarò accusato di aver tentato di appropriarmi di quella esperienza. Per quanto riguarda
l’attività di ricerca, devo precisare che nei fatti non è mai esistita, perché Fagioli si è rifiutato di
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fornire un minimo di programma, di finalità e di procedura, rendendo impossibile qualsiasi
Questo atteggiamento era anche finalizzato a far sì che egli potesse, all’interno del suo gruppo,
asserire che egli non aveva nulla a che fare con l’istituzione universitaria e che anzi, come mi
hanno riferito, più di una volta avrebbe affermato che si era rifiutato di accettare un colloquio
richiesto dal Direttore dell’Istituto Prof. Reda. Ipotesi assurda. Reda mal tollerava questa
come Direttore dell’Istituto, più volte mi chiese e poi mi ingiunse di far chiudere quell’attività e
quando io continuai con testardaggine a chiederne i motivi, egli convocò il Consiglio di Istituto.
In tale consiglio, proprio per rispondere alla mia domanda ed eliminare qualsiasi mia resistenza,
fu proposto ai vari componenti il quesito se quella esperienza potesse configurarsi come una
ricerca. Il parere fu molto netto e deciso: mancava qualsiasi requisito. Il gruppo era aperto e
quindi mancava qualsiasi esplicitazione delle modalità di reclutamento dei soggetti. Non veniva
fatta alcuna diagnosi dei partecipanti. Gli obiettivi non erano affatto esplicitati, a parte una
generica dizione di “cura”. Non erano definiti i criteri della procedura. Non esisteva alcuna
possibilità di valutare i drop out e soprattutto gli esiti di quella cura. Quindi a quella “ricerca”
mancavano tutti i requisiti perché potesse definirsi tale. Pertanto di fronte a contestazioni così
puntuali ed alla assoluta impossibilità di poter difendere quella situazione, il Consiglio d’Istituto
Se sottolineo queste tematiche è solo per chiarire che, pur ritenendo interessante quella
esperienza, debbo riconoscere che essa era assolutamente priva di qualsiasi caratteristica che la
potesse qualificare minimamente come una ricerca. Ma nella mia ingenuità e curiosità e diciamo
pure preso dall’entusiasmo che caratterizzava quegli anni, ritenni e quindi accettai che fosse
inevitabile rompere le regole e opporsi alla “istituzione”, per far emergere qualcosa di nuovo e
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Ma questa totale mancanza di rispetto delle regole, anzi questa ostentata opposizione che poteva
avere una giustificazione nella fase iniziale, diciamo nella fase “rivoluzionaria”, nel tempo si è
dimostrata essere strutturale e funzionale. Era così possibile mantenere quella patina di
gruppo e quindi risultava utile a Fagioli anche quando egli si era ampiamente inserito
Pertanto retrospettivamente cambia anche la mia prospettiva con la quale avevo giudicato ed in
Credo sia necessario descrivere brevemente quali furono le caratteristiche dei primi anni ‘70,
perché dell’inizio di questa attività, tra gli anni 75-80, che ho definito “il movimento” (vedi
dopo).
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Possiamo ritenere che i primi anni ’70 rappresentano la logica conseguenza dei cambiamenti
culturali ed economici avvenuti negli anni precedenti, in particolare intorno al periodo 68-70.
Questi anni segnarono il culmine di una serie di cambiamenti radicali che non avendo trovato
sbocco in alcuna attuazione politica e civile, possiamo definire come una “rivoluzione
mancata”. Ma cos’è una rivoluzione, perlomeno come la conosciamo dalla storia? Sicuramente
ne esistono modalità diverse: per rivoluzione, nel senso più classico, intendiamo la distruzione
di un sistema di potere e l’insediamento di uno nuovo. Esso in genere avviene nell’arco di pochi
riformismo avanzato che impedisce l’esplodere di un vero e proprio conflitto ( ad esempio come
quella Inglese). A volte invece la rivoluzione è un gesto disperato che non ha alcun progetto se
Ma c’è anche la rivoluzione mancata, quando pur essendoci tutti i presupposti non si riesce a
agli inizi degli anni ’70: “nessuno comanda, nessuno ubbidisce” sembrava essere lo slogan più
appropriato. Per cui assistiamo ad una serie di movimenti, senza una precisa direzione e senza
emancipazione e di trasformazione che in Italia era cominciata ad emergere con il periodo del
A queste spinte autoctone si sommarono una serie di influenze provenienti sia dall’ovest
(movimenti radicali degli USA) che dall’est (Cina comunista) che comportarono un’ancora più
rapida situazione di caos, anche perché spesso queste influenze venivano mal integrate
all’interno del nostro sistema culturale e dei costumi. Per meglio comprendere l’incoerenza di
questa crescita culturale basti pensare a quanto avveniva nel campo della psichiatria e della
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Per maggiore chiarezza bisogna sottolineare che in Italia non sono mai avvenute vere
rivoluzioni e per una serie di motivi l’Italia rimane la terra del compromesso. E questo aspetto è
emerso ancora una volta e con maggiore evidenza negli anni ’70. Nei due decenni precedenti
quadruplicazione del reddito nazionale, il trasferimento del 20% della popolazione dalla
campagna alla città, un’alfabetizzazione di massa, aiutata anche dalla televisione, ma comunque
confusa e disordinata. E soprattutto un nuovo tipo di cultura che aveva referenti nelle culture
dell’ovest e dell’est, in parte anche dalla cultura europea dalle quali eravamo stati isolati
acculturazione, spesso di tipo utopico-permissiva, si scontrò ben presto con una realtà piena di
contraddizioni e con una struttura sociale assolutamente instabile. La crisi della famiglia
convenzionale, che non era sopravvissuta alla troppo rapida transizione da una società agraria ad
una industriale, la stessa chiesa che era pervasa da un’area sempre più estesa di dissenso, il
collasso della istruzione di massa, l’incapacità dei partiti politici di gestire una situazione che
doveva avere come sbocco necessario o una rivoluzione o una massiccia situazione di
trasformazione.
Come al solito non ci fu né l’una né l’altra: un comodo e pigro consociativismo politico, portò
ad una situazione che non trovando alcuno sbocco, si mantenne permanentemente conflittuale.
Ci furono sicuramente anche dei cambiamenti: come ad esempio la battaglia per il divorzio o
quella per la legge 194: quest’ultima promulgata nel ’70 divenne definitiva con il Referendum
del ’74. Ma al solito la legislazione avveniva in tutti gli altri campi, con ritardi enormi rispetto
alle motivazioni ed alle aspettative di una società che stava evolvendo velocemente.
Comunque accanto a questo enorme ritardo sul piano politico-istituzionale, si formò per
reazione un insieme di gruppi che chiedono riforme rapide ed incisive: tutto questo si manifesta
a macchia di leopardo e con la caratteristica di collegamenti tra situazioni molto diverse come
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quella degli operai e degli studenti. Ci sono alle spalle, nei primi ani ’70, circa due decenni di
una prosperità economica senza esempi nella storia italiana e si diffonde tra le masse un’ovvia
aspettativa che tutto questo, non solo duri ma diventi sempre più esteso, che comportò
un’esplosione generale dei beni di consumo e dei servizi: ma ben presto ci si accorse che le
risorse non erano in grado di poter esaudire tali prospettive. I primi segnali di queste
contraddizioni si avvertirono nell’autunno caldo del ’69, quando la politica salariale dei
sindacati e le politiche industriali entrarono in conflitto. Ma nel frattempo altri fenomeni erano
avvenuti: come la liberalizzazione degli scambi e l’apertura dei mercati che da una parte
favoriva l’economia, ma questa rimanendo con una bassa produttività, diventava sempre meno
competitiva con quella estera, il che si rifletteva sui livelli salariali molto bassi e su una
Si apre quindi un divario tra aspirazioni e capacità produttive dilacerante e per molti versi
Comunque su questa anomalia di fondo si inseriscono due eventi che renderanno la situazione
italiana ancora più a rischio: sia sul piano economico che su quello politico. La guerra arabo-
israeliana del ’73 con la conseguente crisi del petrolio che innesca il problema della nostra
fragilità energetica e quindi della dipendenza da fonti esterne, ma che apre anche ad una
inflazione dilagante. Ben sappiamo che un’inflazione a due cifre è sempre sintomo di una
situazione di rischio per la stabilità di una nazione. Non a caso cominciano le stagioni delle
stragi e dei tentativi di colpo di stato: anche se spesso questi ultimi, rispetto alla tragica realtà
delle stragi, sono da operetta. Ci troviamo in una situazione che oscilla tra aspettative di tipo
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Ma c’è anche un altro fenomeno non meno importante. Le aspettative delle persone non
riguardano più solo i bisogni materiali che seppur a rischio, continuano ad esistere e sono
evidenti. Le aspettative delle persone si rivolgono a qualcosa di più importante: potremmo dire
I cambiamenti economici avevano creato un clima culturale molto peculiare e che potremmo
definire di tipo utopico-libertario-edonistico, senza che nessuno però fosse in grado di fornire
una griglia di lettura o di prassi adeguata. Per questo ogni gruppo cercava una propria strada e
certamente una delle più percorse fu quella della autoconoscenza, della consapevolezza, della
Dinanzi all’eclisse di una cultura critica, in parte già limitata, in parte distrutta dai movimenti di
contestazione viene meno quel sano dubbio che attenua l’urto fra le certezze propagandate da
varie ideologie che però restavano pur sempre visionarie ed una visione del mondo che ci fa
comprendere che la risoluzione dei problemi umani e della storia umana non obbediscono a
Ovviamente non è che l’ideologia sia negativa: ma bisogna distinguere tra l’ideologia che eccita
il fanatismo, rispetto a quella che stimola la fantasia, la conoscenza che accetta i limiti senza
Inoltre aumentava sempre più il bisogno compulsivo di una risposta, quanto più le risposte
Un esempio eclatante fu il marxismo letto e seguito nelle versioni più diverse: da quello
esistenzialista, fino alla confusione della psicoanalisi con il marxismo. Molti coltivano
sociologo e l’economista. Non c’è necessità di leggere o studiare questi testi sempre citati, di
averne una conoscenza, basta una generica attenzione alla libertà, ad una società ugualitaria,
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senza mai soffermarsi sulle difficoltà oggettive necessarie per arrivare ad un vero comunismo.
Probabilmente il pensiero marxista offre un “panteismo ottimistico” che se non è filtrato da una
conoscenza approfondita porta inevitabilmente ad una deriva utopistica. E non è un caso che
molti di questi delusi dai modesti risultati finiscono poi per scegliere le vie del misticismo e
dell’Oriente.
Ovviamente l’area in cui questo tipo di cultura, oscillante tra l’azione politica immediata e le
“In Italia la tendenza è favorita dalla alienazione in cui versa la classe operaia della conoscenza,
quasi un milione di studenti universitari avviati con estrema irresponsabilità a sostare sempre
più numerosi in quello stadio della vita tra l’adolescenza e l’età adulta che è il limbo
universitario, senza incontrare più le barriere della selezione, ma senza le basi materiali e
esplosive, in cui spesso la cultura critica non ha più valore. Che fare di queste moltitudini? Si
possono mobilitare al servizio duna rivoluzione permanente, manipolare e scagliare con spirito
partito avverso secondo il modello maoista? Il gioco è rischioso poiché in Italia gli effetti
Inoltre la forza egemone che dovrebbe essere il vero depositario del pensiero marxista (il PCI) è
centro da una parte, dall’altra con la contestazione operaia e il permanente tentativo del
superamento a sinistra dei movimenti, per essere in grado di gestire un passaggio ad una corretta
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Ma la prima metà degli anni ’70 non è solo questo: ci sono enormi potenzialità che chiedono
una guida. Le richieste dei movimenti di protesta erano ampiamente valide, inoltre c’era una
mobilitazione che insieme alla socializzazione delle lotte rende palese che c’è un profondo
cambiamento culturale e politico soprattutto nelle generazioni più recenti. I movimenti degli
Entrano i scena nuovi soggetti sociali che estendono le ragioni della contestazione all’intera
dimensione della vita: chiedono di conferire senso e autonomia creativa alla vita; il lavoro e la
politica non sono più il campo esclusivo delle loro richieste. Un esempio eclatante è da una
Comunque su tutto prevale la ricerca di un’identità, o di una nuova identità,di una nuova
La non risposta a queste attese porterà inevitabilmente alcuni di questi movimenti a privilegiare
la sola contestazione che ben presto aprirà al linguaggio della violenza e dal linguaggio alla
violenza agìta.
Comunque il dato più rappresentativo è che le aspettative delle persone non riguardano più i
bisogni materiali, che seppur a volte carenti ed a rischio, si pensi alla disoccupazione e
all’inflazione galoppante, sono pur sempre presenti. Le aspettative sono rivolte a qualcosa di più
importante: a cercare un senso nuovo alla propria esistenza, un benessere che sia
all’interno di un gruppo, perché gli obiettivi raggiunti possano essere condivisibili da tutti. Il
Ed è in questo ampio ventaglio di richieste che dobbiamo situare l’apertura dei seminari di
Fagioli. Egli intuisce la possibilità di poter gestire e governare queste aspettative: e lo fa con lo
strumento che meglio conosce. Quello della cura psicoanalitica che però dal momento che viene
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La strategia sarà quella di proporre una teoria che possa esplicitare questo bisogno di comunità,
Ma bisognava tener presente di quali domande poteva farsi carico e di che tipo di risposta reale
necessario individuare ulteriori fattori che rendessero possibile la coesione di quel gruppo.
Comunque bisogna ricordare che in quegli anni tutti quelli che si occupavano di psichiatria o di
psicoterapia erano alla ricerca di nuove modalità di approccio, di nuove tecniche. Sul piano dei
gruppi ricordiamo dalle terapie esperenziali alle comunità terapeutiche, ai T-group, etc. Alcuni
Credo che in parte i primi anni di quello stadio definito “il movimento”, hanno funzionato sulla
base di una metodologia creata funzionalmente rispetto alle tematiche e alle dinamiche in corso:
ovviamente non poteva non esserci un aspetto autoritario che vedremo prenderà il sopravvento
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Credo sia necessario proporre anche una breve panoramica della situazione della psichiatria e della
Nel 1950, in occasione del Congresso Internazionale di Psichiatria di Parigi, il comitato scientifico
invitò A. Puca, Direttore del manicomio di Aversa, a stilare una relazione sul “contributo italiano
Compito non semplice ma che l’interessato portò a termine con onestà intellettuale, anche se con
non, potevano essere ritenuti competenti in questa particolare branca della psichiatria.
Sicuramente un indagine storico-bibliografica avrebbe dato risultati più validi, anche perché molti
biologico e ciò spiega le grandi resistenze opposte ad ogni indirizzo psicologico e le tardive
accettazioni di interpretazioni psicoanalitiche nel quadro patogenetico non solo delle psicosi, ma
pur anche delle nevrosi…Tutta la medicina psichiatrica in Italia è ancora saldamente ancorata a
psicologica”.1
Comunque le conclusioni del Puca rimangono valide se applicate al mondo accademico ed a quello
di matrice cattolica o comunque di destra, il che finiva per comprendere una parte importante ed
Fortunatamente in questo mare stagnante cominciavano ad emergere, come piccole isole, punti di
aggregazione, sia nell’ambito della cultura laica e della sinistra emergente, che si interessava a tutto
ciò che riguardasse l’argomento psicoanalisi, ma soprattutto nel campo degli addetti ai lavori, che
erano interessati ad avere nuovi strumenti per comprendere la natura della malattia mentale e
1
A.Puca, Rapporto del contributo italiano per il Congresso Internazionale di Psichiatria (Parigi 18-20 Settembre 1950).
Il Lavoro Psichiatrico, Vol.VIII, 1951, pp.83-95.
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trovare possibili interventi alternativi a quelli biologici allora dominanti come l’ESK-
terapia,l’insulinoterapia etc..
Così dal 1945 in poi in Italia si assiste ad un fenomeno singolare che è necessario segnalare perché
sarà alla base sia dei futuri sviluppi che dei successivi fallimenti della psichiatria. Terminata con la
fine della guerra, quell’autarchia che era stata principalmente culturale più che economica,
improvvisamente in Italia si verificò un’esplosione di interesse per la psicoanalisi che era stata
emarginata dal clima culturale dominato dalla chiesa cattolica e dallo storicismo.
Come in tutte le situazioni molto arretrate, economicamente e/o culturalmente, che quando si
sviluppano presentano una crescita esponenziale, così avvenne in Italia ove la mancanza di valide
tradizioni in campo psicologico, fu sopperita da una valanga di traduzioni. Sorsero nuove case
editrici che si occupavano solo di questo settore o altre, già conosciute ed affermate, fondavano
apposite collane. Cominciaro a circolare gli scritti di Freud e dei freudiani; ma accanto a questi,
soprattutto provenienti dagli Stati Uniti, furono tradotti autori che, seppur in maniera parziale,
Questo rese possibile recuperare il tempo perduto: per cui in Italia la critica a Freud, seppur molto
parziale, veniva conosciuta tramite vari autori: fra questi ricordo in primo luogo H.S.Sullivan e W.
Reich.
La vasta produzione editoriale non era diretta solo agli addetti ai lavori, ma anche ad una vasta
fascia che potremmo genericamente definire di intellettuali. Fu in quel momento che si cominciò a
coniugare Marx con Freud: nella sinistra emergente l’intellettuale ed il politico intravidero in queste
Si costituì un magma ribollente e confusionario che come un’onda lunga, attraversò i decenni
successivi, provocando devastazioni di non poco conto, per arenarsi sull’ultima spiaggia della
famosa Legge 180 che nel 1978 sanciva, per legge, l’inesistenza della malattia mentale. Logica
ideologizzato” che erano riusciti a creare la più totale mistificazione equiparando, e quindi
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confondendo i bisogni materiali con le esigenze psichiche, l’autonomia economica con la libertà
Ma intorno alla fine degli anni ‘60 cominciava ad emergere accanto all’intellettuale ed al politico
(interessati alla psichiatria), anche una nuova figura che possiamo definire “il tecnico”: operatori
che nel privato o nel pubblico cercavano nuove strade e nuove prassi per affrontare la malattia
mentale ed ovviamente erano interessati a ciò che era assolutamente nuovo e privo di tradizioni:
cioè la psicoterapia.
Si tratta di operatori che a contatto quotidiano con la grave sofferenza psichica, cercavano nuove
modalità e nuove tecniche di approccio alle psicosi: il tecnico-psichiatra costituirà l’embrione (non
E molti di questi nel desiderio e nella necessità di apprendere direttamente dall’esperienza e non
solo dai libri, si recarono in Svizzera, Germania, Francia: alcuni si fermarono, altri tornarono più o
meno entusiasti, ma comunque con una visione più aperta ed un bagaglio culturale in più.
Si formarono gruppi di ricerca e di lavoro: uno dei più significativi fu certamente il “Centro Studi di
Psicoterapia di Milano” che organizzerà numerosi corsi di aggiornamento per fornire alle nuove
leve di psichiatri, che diventavano sempre più numerosi, la possibilità di poter conoscere nuove
Sulla scena comparvero personaggi noti e meno noti, molti dei quali continueranno ad essere
presenti ed attivi soprattutto nell’ambito della psicoterapia, anche se con percorsi diversi.
Dal 1963 in poi la psicoanalisi e la psichiatria verranno utilizzate come grimaldello per cercare di
aprire le porte della storia e cambiare il mondo. In quel periodo compare una sorta di mutazione
genetica: lo “psichiatra politico” nato all’interno di un ben strano accoppiamento tra l’intellettuale
diventato “organico” ed il tecnico che masochisticamente mette in crisi quel poco che sa fare, per
avventurarsi sul piano estremamente pericoloso della trasformazione del sociale. E’ un’onda lunga
che attraverserà, come vedremo, la psichiatria italiana fino ed oltre gli anni ’80. Su questo periodo
molto è stato scritto, per cui non mi sembra utile ritornarci sopra, ma forse è utile ricordare qual’era
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In un primo momento emerge la necessità di collegare le lotte operaie con quelle cosiddette
“antistituzionali”.
La funzione dell’intellettuale è ben definita dal seguente passo: “… Chi voglia essere un
intellettuale organicamente collegato alla classe operaia, non trova via facile, deve creare con la
resistenze esterne di una società oppressiva, ma anche entrando in un rapporto dialettico con il
movimento dei lavoratori”. E’ ovvio che quando si parla di intellettuale ci si riferisce allo psichiatra
come intellettuale dato che questo brano è tratto dalle conclusioni di G.Berlinguer al Congresso
tenuto presso l’Istituto Gramsci dal titolo “Psicologia, Psichiatria e Rapporti di potere”2.
Sorge l’ideologia dei “bisogni”; sull’antinomia potere borghese vs bisogni negati si cerca
inutilmente una possibile “cura” con risultati di questo tipo. Vi riporto un breve stralcio di un caso
“…Storificare Anita evidentemente non significa raccontarci la sua storia, ma capire con lei i
meccanismi feroci o manipolatori della repressione subita, la qualità della sua sofferenza, i bisogni
di cui è portatrice e le motivazioni storiche e culturali per cui non possono essere soddisfatti. Tutto
questo implica una critica ai modelli e ai valori che dominano la società dello scambio e, nel caso
Come vedremo il ruolo di tecnico per lo psichiatra diventerà talmente conflittuale che si potrà
risolvere solo con l’annullamento di quel minimo di capacità operative – terapeutiche che egli aveva
“…Ancora una volta con Anita abbiamo sperimentato come l’uso delle tecniche, così come è
articolato e conosciuto, non si realizza mai all’interno della continuità della contraddizione salute-
malattia; quest’ultima non viene assunta come uno dei poli della contraddizione. Non solo, ma tale
uso delle tecniche psichiatriche, con modalità falsamente neutrali, legittima l’operazione tra il
campo di chi è ‘sano’, ossia il terapeuta possessore delle tecniche (e con lui tutto il mondo dei sani),
2
Atti dell’Istituto Gramsci, Psicologia, Psichiatria e Rapporti di potere, Editori Riuniti, Roma 1971,p.278
3
A.Gaglio, E.Sarli, Bisogni e pratica psichiatrica, aut- aut, n°162, Nov.-Dic. 1977, pp.71-73
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e il ‘malato’. All’interno di questa separazione vengono teorizzati come improponibili ed
l’assistito.”
Cosa sia poi successo a questa “Anita”, non è difficile da immaginare, un po’ meno cosa sia
Ma accanto a questa ideologia, roboante, spesso violenta, sicuramente dominante nel panorama
culturale della psichiatria italiana, fortunatamente altri portavano avanti, silenziosamente, un lavoro
di ricerca per dare una risposta a quelle problematiche che come dicevo si erano rese già evidenti
“Problemi di psicoterapia”; e nel 1963 il II Corso è dedicato a “La psicoterapia delle psicosi
Partecipano nomi illustri e meno illustri, il dibattito comincia: si intravedono già posizioni
chiaramente diverse.
Nello stesso anno F. Basaglia, esperto di Rorschach e studioso di fenomenologia, escluso dalla
terna dei vincitori alla Cattedra di psichiatria per i soliti giochi di potere accademico, viene esiliato
a Gorizia. Qui egli dà inizio alla prima Comunità Terapeutica Italiana all’interno di un manicomio.
«La comunità terapeutica è un luogo nel quale tutti i componenti (e ciò è importante)–
malati, infermieri, medici – sono uniti in un impegno totale dove le contraddizioni della realtà
Due dati importanti. Da una parte la necessità di svelare e superare le contraddizioni, che sarà poi
il tema dominante della contestazione. Dall’altra emerge però la contraddizione di colui che
propone di superare le contraddizioni: la creazione di una comunità di uguali, perché sono aboliti i
ruoli istituzionali, sarebbe lo strumento terapeutico. Ma è evidente che in una comunità di uguali, è
impossibile che qualcuno sia curante e qualche altro curato. Al massimo può attivarsi lo spirito
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Pur nelle contraddizioni teoriche, comunque l’opera di Basaglia è un sasso nella palude, un sasso
Nell’aprile del 1964 si apre il Convegno Nazionale di Psichiatria Sociale (notate la finezza:
psichiatrico accademico, che comprende ormai come sia inevitabile cambiare la struttura
manicomiale ed identifica nel modello francese della Psichiatria di Settore, l’unica strategia
possibile.
I fautori del Settore e quelli della Comunità Terapeutica entrano rapidamente in conflitto: i secondi
«Il potere degli alienisti, poi degli psichiatri, non aveva alla fine, dentro le mura, che un limite;
l’incredulità mostrata dagli alienisti per le pratiche dei loro confratelli. Si ricordi Esquirol che
elencava con spavento le ricette dei suoi predecessori, e poi Morel obbligato a far abbattere le celle
chiara delle certezze psichiatriche consiste nel credere che l’altro si sbaglia».
Per alcuni anni queste posizioni si contrappongono: contrapposizione non più ristretta ad una
minoranza di psichiatri. Infatti, anche sotto l’effetto dei prodromi della contestazione, la psichiatria
comincia a divenire argomento di dibattiti pubblici: nel 1967 sotto la pressione dell’opinione
pubblica viene emanato uno stralcio della legge Mariotti, che ammette la possibilità del ricovero
Molti sono convinti che la psichiatria deve cambiare: ma come e in che modo, quali strategie
usare?
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Sorgono profeti di ogni tipo: si afferma tutto e il contrario di tutto.
innumerevoli, quando si decide di lottare contro qualcosa che per definizione non esiste e non è
psichiatri bussarono alla porta dell’Istituto di Psicoanalisi per chiedere conoscenza e quindi
l’analisi didattica.Ma ben presto ci sembrò una situazione troppo limitata e limitante: in fondo
eravamo abituati a discutere di tutto e su tutto e sicuramente non riuscivamo a prendere sul serio
Un gruppo di allievi e di colleghi più esperti cominciano a riunirsi attivamente per discutere:
questo gruppo presentava due caratteristiche comuni. Provenivamo tutti da istituzioni pubbliche o
comunque di prima linea (ospedali psichiatrici, cliniche private, clinica universitaria ecc.) ed
queste situazioni.
Ci si riuniva alternativamente, alla fine del lavoro, negli studi dei vari colleghi: iniziarono lunghe
discussioni dalle quali emersero sempre più chiaramente i nodi della psicoanalisi. In primo luogo
quello dell’analisi didattica come non-analisi, ma sterile catechismo volto solo a perpetuare
l’istituzione stessa.
Da parte mia avevo cercato di fare quanto altri tentavano di fare in vario modo e con alterne vicende:
portare la psicoterapia nel sociale, senza confondere però il sociale con lo psichico. Era quindi
In viale di Villa Massimo dal 1971 avevo iniziato a svolgere la psicoterapia analitica breve.
Era un tentativo parziale perché cercava di ovviare solo ad alcuni aspetti negativi del trattamento
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In breve tempo il gruppo aumentò a circa 15 psicoterapeuti che si dedicavano, gratuitamente a questa
attività.
più una operazione fallimentare: il tentativo di modificare lo statuto, e quindi il meccanismo della
formazione, fu boicottato. Ma il problema non era solo il potere della formazione che era poi la tesi
Nell’ambito della psichiatria e della psicoterapia ormai affacciatasi nel panorama italiano si possono
cura del paziente utilizzando quella base di assistenzialismo di stampo cattolico sempre presente in
Italia. Il paziente non viene considerato come un soggetto, ma come un oggetto da assistere.
b) Dall’altro lato, quasi speculare, ma antitetica a questa situazione c’è quella che privilegia
trattamenti basati su numerose metodiche e tecniche spesso importate dagli USA. Nomi altisonanti e
fantasiosi non riescono a nascondere la mancanza assoluta di qualsiasi metodo scientifico. Questo
ristaurarsi sulle antiche posizioni: ovvero riaprire il connubio con la neurologia. Unica differenza che
questo orientamento non si chiamerà più neuropsichiatria, ma sarà nobilitato dal nome di
neurobiologia.
d) Ed infine bisogna, accennare ad una “strana” situazione che, a metà fra l’universitario ed il privato
A partire dagli anni Settanta cominciano a delinearsi dei gruppi che cercano nell’impegno
“terapeutico” e nella clinica in generale, la validità e la riprova di quanto hanno appreso dai testi.
Fondamentale sarà la gestione della psicoterapia sia in ambito privato che pubblico.
L’uscire dal chiuso dello studio e dover affrontare il disagio psichico nel sociale e non già il disagio
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inevitabilmente metterà in crisi molte acquisizioni sia teoriche che pratiche della psicoanalisi. Non a
caso bersaglio privilegiato delle critiche di un gruppo di psicoanalisti che, dopo una lunga
Questa conflittualità tra una teoria ed una prassi apprese nel privato (la psicoanalisi) e l’impossibilità
di poterla estendere o comunque applicare in contesti più ampi e diversi, porterà alla formazione di
La crisi del setting porterà inevitabilmente a cambiamenti in seno alla stessa teoria psicoanalitica.
E pertanto agli inizi degli anni ’70 inizia un vasto fermento che sarà dominato fondamentalmente
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Come abbiamo visto nella prima metà degli anni ’70 c’era un intenso, spesso caotico fermento nel
campo della psichiatria: ma altrettanto, seppur con modalità diverse avveniva nel campo della
psicoanalisi.
stagnati dell’Istituto di Psicoanalisi di Roma si erano cominciate a muovere. Era nata una
contestazione interna che metteva in crisi soprattutto le modalità dell’analisi didattica ed il “potere”
dell’Istituto di Psicoanalisi. Ci furono una serie di lunghe e tormentate discussioni che finirono con
il determinare l’uscita, nel marzo del 1974, del libro “Il potere della psicoanalisi”. Il libro non era
psicoanalitica, cercando di proporne dei possibili rimedi. Questo libro si incrociava però anche con
quelli scritti nel contempo dal Fagioli che invece contestava in maniera molto assertiva la teoria e la
Dobbiamo tener presente che negli istituti di psicoanalisi di tutto il mondo da sempre erano esistite
correnti e contestazioni teoriche, anche di notevole entità. Basti ricordare l’Istituto di Londra dove
hanno convissuto per decenni tre gruppi assolutamente diversi ed in conflitto permanente fra di
loro. Essi erano stati definiti come gruppo A che era capeggiato dalla Klein e dai kleiniani, gruppo
B capeggiato da Anna Freud ,più tradizionale, ed infine un gruppo intermedio definito appunto
Middle Group che finì per dar luogo ad una corrente, quella delle relazioni oggettuali che era ben
all’interno di quell’Istituto, possiamo vedere che esistono posizioni teoriche assolutamente diverse
Quindi il problema che suscitavano i libri di Fagioli non era tanto legato alla novità o alla
contestazione, quanto piuttosto alle modalità molto dure e sprezzanti che egli utilizzava
nell’attaccare sia la psicoanalisi che gli psicoanalisti. Gli scritti di Fagioli oltre a presentare una
netta diversità sul piano della teoria, presentavano anche affermazioni molto pesanti perché
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sprezzanti, totalmente gratuite perché non argomentate, nei confronti di Freud e di altri psicoanalisti
Quando il comitato dell’ Istituto cominciò a prendere posizioni difensive numerose erano le
conflittualità e non solo di ordine teorico. Gli venivano contestate anche “talune iniziative – assunte
da Fagioli – verso alcuni allievi, tendenti a screditare le supervisioni in corso presso didatti e a
sostituirle con proprie supervisioni o con confuse supervisioni di gruppo” (Dalla relazione dei Probi
convocazione ai vari firmatari del libro “Il potere della psicoanalisi”, ma soprattutto chiederà
spiegazioni a M. Fagioli e ad Armando, che a differenza degli altri firmatari che erano allievi, erano
A questa lettera di convocazione Fagioli risponde con un’altra, sicuramente argomentata ed arguta,
con la quale sostanzialmente rifiuta la convocazione stessa. Questo gesto diventerà successivamente
una sorta di bandiera per dimostrare quanto Fagioli fosse assolutamente “incorruttibile”. In realtà
semplicemente una richiesta di delucidazioni circa i comportamenti e gli scritti di M. Fagioli. Per
dare una visione più completa e realistica mi sembra opportuno riportare quanto il Collegio dei
Probi Viri, dopo il rifiuto alla convocazione, riterrà opportuno contestare a Fagioli.
come questa: “La frase della regola fondamentale esce dalla bocca
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percorre tanta parte dei suoi libri: secondo Fagioli chiunque non pratichi
non implica alcun giudizio di valore circa l’efficacia euristica delle sue
Onestamente a me non sembra che ci siano affermazioni violente o di espulsione: a me sembra che
dialettica. Ma tutto questo non sembra interessare Fagioli. Così continua la relazione.
dovere di sospendere ogni giudizio; ma dal quale S.P.I. non può esimersi
identità.
Non può andare invece senza risposta l’accusa che la procedura avviata
nei loro confronti sia una caccia alle streghe o un processo a Socrate.
della S.P.I. – con un atto che supplirebbe alla loro mancanza di coerenza
Si dovrà solo sapere, e questo è un diritto della S.P.I., che la loro attività
epistolare o no.
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Se, infatti, tutto è violenza (quello che fanno gli altri: la selezione,
ecc…), niente è violenza (di ciò che faccio io): posso scrivere e
soci della S.P.I. Può essere gravoso, certo, accettare che dei colleghi
autarchia.»
Il Collegio dei Probi Viri (a norma dell’Art. 6 dello Statuto e dell’art. 9 del Regolamento) propone
all’Assemblea di esprimersi con voto sulla compatibilità dell’operato dei soci prof. A. Armando e
Siamo, nel febbraio del ’76. Come si può osservare la posizione della S.P.I. è quella di evidenziare
stesso alla Società Italiana di Psicoanalisi. Questa posizione della S.P.I. non mi sembra che abbia
nulla a che fare con quanto è stato proposto nella mitobiografia del personaggio, dove si racconta
quest’argomento, perché come vedremo, questo tema della cacciata, in una sorta di meccanismo
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psicodinamico molto singolare(identificazione con l’aggressore) verrà agìto continuamente da
Fagioli nell’ambito dei suoi seminari come il massimo della minaccia (e spesso dell’esecuzione) di
Ma evidentemente questa “espulsione” che risulta essere stata ampiamente cercata e voluta, come
sempre ha una funzione ben precisa, funzione che L. A. Armando così riferisce: “Prima del
febbraio 1976 l’interesse per l’oggetto da parte del pubblico sempre più vasto dei cultori di
psicoanalisi, era stato esiguo. Dopo l’espulsione e grazie ad essa comparivano invece diversi
articoli tra quello di S. Rossetti su “L’Espresso” che riporteremo nel prossimo capitolo”. (L. A.
Mi sembra utile sottolineare questa frase che ripeto probabilmente l’Autore propone
candidamente,ma sicuramente per Fagioli era l’effetto voluto: la cacciata come pubblicità. Con
molta sincerità debbo dire che tutto questo non mi era molto visibile in quegli anni: anch’io avevo
vissuto “l’espulsione” come un atto grave nei confronti di Fagioli e poiché questa possibilità era
nell’aria già da molti mesi prima, come in una sorta di gesto” riparatorio,” avevo offerto a Fagioli
Nel settembre del 1975 avevo invitato M. Fagioli a svolgere un’attività di supervisione per gli
psichiatri e gli specializzandi che operavano in quel centro. Nei primi due mesi partecipai anch’io,
poi senza alcun preavviso, Fagioli cominciò ad aprire lo spazio ad una serie di persone esterne che
nulla avevano a che fare con la supervisione, cominciando così quella che poi diventerà un’attività
di psicoterapia di gruppo. Non ritenni allora che questo fosse una sorta di colpo di mano,
comunque a distanza di tempo, non posso non rileggere in quel cambiamento che, ripeto non mi
era stato affatto comunicato né tanto meno concordato, uno dei tanti gesti di prepotenza da parte di
Fagioli. E la tecnica sarà sempre uguale nel tempo: mettere gli altri di fronte al fatto compiuto,
rendendo spesso impossibile una qualsiasi contestazione. Pertanto in quel momento considerai
questo cambiamento come accettabile e dal momento che la supervisione era stata trasformata in
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una psicoterapia di gruppo, mi sembrò corretto non essere più presente all’interno di quell’attività,
Così inizia quello che ho definito “Il movimento” che riguarda i primi cinque anni di attività in Via
di Villa Massimo.(Questo ed altro materiale sarà posto sul sito nei prossimi giorni.)
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