E. Spinazzola Definitivo
E. Spinazzola Definitivo
E. Spinazzola Definitivo
“Da Gramsci mi è venuto il principio cardine che i gusti e le preferenze della gente comune vanno esaminati con serietà”
Spinazzola considerava Gramsci come un grande maestro.
E’ evidente l’imprinting gramsciano: l’attenzione al singolo individuo anche non specialista della letteratura – poiché non
intellettuale – ma appartenente al popolo. L’attenzione di Gramsci per gli interessi sociali.
Sia per Spinazzola che per Gramsci il ruolo dell’intellettuale è molto importante, ma Spinazzola lo declina in termini letterari.
Dunque se con Gramsci:
intellettuali = fanno politica - popolo = andrà al voto per fare la rivoluzione
Con Spinazzola avremo:
intellettuali = sono i critici letterari
popolo = non solo il popolo genericamente inteso ma sono il pubblico di lettori
La citazione di Spinazzola qua sopra riportata va immaginata dentro il perimetro della letteratura e della critica letteraria. La
funzione pedagogica viene dunque ad essere propria dei critici letterari che spiegano la letteratura al popolo e non degli intellettuali
che spiegano la politica.
Un altro elemento che trasforma il popolo in lettori è una concezione della letteratura non come gesto che riguarda solo i pochi colti
che possono usufruire delle opere più importanti del mondo occidentale – quindi non solo i lettori di Proust, Joyce e Virginia Wolf,
della poesia– bensì tutti i lettori.
Spinazzola sviluppa delle linee teoriche muovendo da Gramsci: concentrandosi sul lettore egli chiarisce la necessità di una
pedagogia della letteratura nonché il bisogno di una critica che deve orientare i lettori. La costante attenzione per ogni tipo di
lettore, di testo e sull’editoria ha fatto di Spinazzola un pioniere degli studi della paraletteratura.
L’attenzione al rapporto lettori-testi ha spinto Spinazzola a studiare alcuni autori che scrivevano ponendosi il problema del pubblico
come Emilio de Marchi e Manzoni. Studiò anche opere molto più complesse come quelle di De Roberto, Pirandello e Tomasi.
In ultima analisi, l’attenzione gramsciana di Spinazzola per il pubblico non è tanto di tipo politico quanto di tipo estetico – in una
concezione della letteratura come gratificazione e forma di intrattenimento e non di certo come gesto specialistico.
Questa concezione di letteratura ad oggi è normale ma negli anni ’60 (a 30 anni dalle considerazioni di Gramsci), risultava essere un
approccio alla letteratura molto isolato.
Spinazzola ha rappresentato un unicuum all’interno del mondo critico-letterario italiano.
In fondo ancora oggi la critica letteraria continua a considerare la letteratura come una tradizione da conservare e di cui portare in
salvo gli esemplari migliori, quelli più complessi, più nuovi/sperimentali.
Il critico è portato a confrontarsi con queste “vette” per spiegarle a sé stesso e agli altri.
Per Spinazzola il ruolo del critico non è di analizzare le opere che interessano a lui e agli altri specialisti (di letteratura, cultura e arte)
bensì quello di interessarsi dei gusti della gente, di ciò che ama e legge.
Prospettiva storica.
Come aveva già anticipato Gramsci, tutto ciò in Italia non accade, in particolare si faccia riferimento alla sua riflessione degli anni
’20-’30 sui romanzi d’appendice.
Recuperando Gramsci per la sua attenzione ai gusti dei molti, Spinazzola nota che negli anni ’60 in Italia c’è una rivoluzione sul piano
economico: un enorme aumento del benessere che ha portato l’Italia nella zona dei paesi più ricchi del mondo (da paese agricolo
che era).
Una delle conseguenze – massificazione della scuola. Infatti, non dovendo più passare una vita a lavorare i campi molti si
trasferirono nelle città per lavorare nelle fabbriche, avere orari di lavoro più brevi e guadagnando anche sensibilmente di più. Tutto
questo portava le persone ad essere disponibili sul piano della scolarizzazione e in seconda battura ad una crescita del livello
culturale medio degli italiani.
Conseguenze economiche in primo luogo, poi sociali e culturali.
Si assiste ad una rottura dell’unità del pubblico tradizionale, a specchio del declino dell’idea di letteratura univoca e assoluta
com’era stata imposta dai critici tradizionali.
Questa profonda trasformazione della società coincide, dal piano storico, con una democratizzazione dell’istituzione letteraria.
Diventa un fatto letterario: aumenta il numero di persone che potenzialmente possono decidere di utilizzare la letteratura come
strumento di svago – all’epoca c’erano pochi svaghi per la fantasia, cinema e lettura –.
La lettura non è una dimensione solo individuale, perchè si costruisce a partire da relazioni intersoggettive, anzitutto in base a
linguaggi e codici che sono un patrimonio collettivo – sono condivisi -: è sempre esperienza di interiorizzazione e socializzazione.
La rivoluzione (arrivata in ritardo in Italia) = per la prima volta in Italia c’è stato un pubblico davvero vasto che era disponibile a
leggere i libri – romanzi ma non solo – per svagarsi.
Dalla seconda metà del ‘900 i lettori erano più numerosi che mai nella storia dell’Italia, anche se tutt’ora gli italiani leggono
veramente poco.
Ne “Le articolazioni del pubblico novecentesco” Spinazzola nota il fenomeno di “espansione verso il basso del pubblico librario”,
causata dall’ampiamento della scolarizzazione e all’acculturazione seppur sensibile.
Di fronte a questo fenomeno la critica letteraria ufficiale ha reagito come se si trattasse di “catastrofismo apocalittico”. Vedevano le
sorti della letteratura in grave pericolo, principalmente perché all’aumento del pubblico è inevitabilmente stato contrapposto un
aumento dei prodotti letterari disponibili sul mercato.
I critici sono dunque rimasti nella loro posizione di vita culturale tradizionalmente elitaria.
Da questo punto di vista non si può parlare di rivoluzione quanto più di involuzione degenerativa.
a. scolarizzazione – b. l’editoria si è resa conto che c’era un grosso guadagno potenziale – c. più pubblicazioni e d. (dal pov dei critici)
abbassamento della qualità.
Ma che cosa si pubblicava? Testi e romanzi che i letterati consideravano scadenti sul piano della qualità, che avrebbero investito il
mercato di prodotti infimi rovinando il nome della letteratura.
Da una parte infatti c’era l’editoria che voleva guadagnare e dall’altra c’era il pubblico, tutt’altro che specializzato, che
inevitabilmente non poteva avere che delle attese pigre di livello basso.
I critici volevano e dovevano difendere il campo letterario italiano dalle schifezze, difendere la Letteratura dalla letteratura.
E questo fenomeno si andava peggiorando proporzionalmente all’aumento del pubblico.
Dove gli altri vedevano un’invasione fangosa Spinazzola vedeva un arricchente differenziazione dell’offerta letteraria – è come dire
“ce n’è per tutti”-.
Il campo letterario italiano, da sempre d’èlite e popolato di opere solo per il pubblico colto, finalmente si dinamizza e si riempie di
prodotti che sono alla portata di tutti – tutto ciò che possono comprendere e che li diverta-.
Spinazzola insiste molto sul fatto che la letteratura sia un gesto di divertimento, di appagamento estetico e non necessariamente
un’esperienza esistenziale che chiarisce le sorti del lettore a sé stesso e del mondo al medesimo lettore.
Muove da un punto gramsciano dunque: tutti sono dei potenziali intellettuali; anche se Spinazzola lo declina dalla politica alla
letteratura.
Spinazzola richiama i suoi colleghi a realismo e concretezza. La letteratura non è solo le grandi opere dei manuali ma è anche e
soprattutto variegata e completa. Del resto la differenziazione di esigenze si verifica non solo da lettore a lettore ma anche
all’interno del singolo lettore.
Si veda inoltre l’applicazione qui del materialismo storico: l’aumento del benessere - è una questione economica – diventa una
mutazione sul piano sovrastrutturale – scolarizzazione e culturalizzazione di massa - e questo ha un’ulteriore conseguenza ad un
altro livello sovrastrutturale ma evidentemente inferiore: l’espansione del pubblico novecentesco della letteratura. Analisi storica
marxista.
L’altro elemento è il ruolo che la critica letteraria dovrebbe avere secondo Spinazzola. I critici, convinti che saranno sommersi da una
marea fangosa, vogliono individuare le opere importanti e metterle in salvo.
La posizione gramsciana di Spinazzola crede invece che questa nuova faccia della letteratura non sia affatto una marea fangosa e
che anzi la letteratura si sia finalmente dinamizzata e stratificata.
La funzione del critico spinazzoliano è dunque quella di occuparsi, leggere, studiare e scrivere sul romanzo che sta primo in classifica,
quello di successo. Questo perché solo conoscendo le opere che piacciono al popolo può svolgere la sua funzione di guida di questo.
Solo occupandosi dei gusti della maggioranza può suggerire a questa che cosa dentro le opere che leggono loro vale effettivamente
la pena di leggere.
Il presupposto da cui muove Spinazzola è che anche dentro le opere che vendono molto e non sono considerate dai critici ci sia della
qualità, che va misurata e riconosciuta.
E’ ovvio che non tutte le opere di successo hanno la stessa qualità: il critico deve conoscerle approdando così alla sua nuova
funzione sociale: immergersi in questo “fango” e scegliere, suggerendo poi al lettori non specialisti, che cosa è importante e che
cosa no.
Il critico che si occupa di ciò che piace alla gente viene ascoltato. Il critico che si occupa invece di generi elitari come la poesia perde
il contatto fondamentale con la realtà.
Si parta dal presupposto che l’editoria, anche oggi, permette di conoscere solo ciò che vuole pubblicare (al di là delle pubblicazioni
online).
Allora i critici pensavano che se l’editoria diventava sempre meno uno strumento culturale e sempre più un’impresa il cui scopo era
solo quello di guadagnare, è chiaro che darà sempre più spazio a quei testi che promettono con la loro semplicità e affabilità di
raggiungere un grande pubblico e vendere molto.
Per le opere difficili come quelle di Gadda non ci sarà più spazio.
Effettivamente, perché pubblicare un libro che vende poco?
La denuncia dei critici riguardava il fatto che l’editoria si sarebbe trasformata in uno strumento di guadagno e non più uno
strumento di diffusione di cultura.
Questo era il problema denunciato allora e molto di più oggi (la situazione è molto complicata per via della qualità di ciò che si
pubblica proprio perché la possibilità da parte del critico di prendere parola sta sempre venendo meno).
Spinazzola muove invece dal presupposto che i gusti estetici in fondo hanno un carattere inevitabilmente relativo e non assoluto e
che dunque le gerarchie di autorevolezza non devono essere un totem non scalfibile. Secondo Spinazzola i critici si preoccupano
troppo e hanno una posizione troppo rigida. Questi devono cercare di godersi questa “meravigliosa vacanza” in cui c’è divertimento
per tutti.
L’habitat che si è creato con questa editoria che spinge sui prodotti che piacciono al maggior numero di persone possibili è l’habitat
naturale del romanzo – di certo non della poesia-.
Nella sua carriera Spinazzola non si è mai interessato di poesia, piuttosto del romanzo proprio per il presupposto di Gramsci
(piacciono alla gente = devo interessarmene).
Tutto ciò che è in versi ha un carattere sperimentale proprio della iper-letteratura. Questo perché nella ricerca stilistica vince
inevitabilmente sull’intrattenimento del pubblico – è un gesto di pura scelta estetica. Ma ciò non significa che la letteratura sia bella
– a volte si pubblicano delle grandi schifezze-.
Una domanda viene naturale: c’è qualcuno oggi che ascolta veramente un critico letterario che si occupa del primo libro in
classifica? Forse no. I critici hanno perso qualsiasi platea - ha perso interesse.
Di conseguenza: la forma che Spinazzola ha proposto con tanta forza in quegli anni ancora esiste? Probabilmente no, l’opinione del
critico non ha più ragione di esistere poiché rimpiazzata dalla recensione online del comune utente.
Per dirlo in termini spinazzoliani: è cresciuto il coefficiente di democraticità, la democratizzazione del sistema letterario italiano; lo
specialismo ha perso.
Manca il rapporto con chi ne sa un po’ di più e che può spiegare un concetto con un po’ più di cognizione di causa.
Ne ricaviamo una visione di cultura odierna più scivolosa, di abbassamento del livello delle risposte critiche a proposito delle nostre
esperienze culturali. A una ventina d’anni dalle suggestioni di Spinazzola la questione è ulteriormente peggiorata, seppur egli stesso
era molto ottimista riguardo il futuro della letteratura.
La politica viene dopo: i politici non sono una causa ma una conseguenza. Quelli che svalutano la cultura e ostentano ignoranza
annusano i tempi, vogliono voti e sfruttano il popolo in quel modo. L’ignoranza prende molti più voti della cultura perché lo slogan
che arriva in 7 secondi è vincente.
Si è ormai capito che la maggioranza di noi trova la complessità un problema e la semplicità un valore. A forza di insistere su questo
è successo che l’ignoranza è diventata un valore e la conoscenza un disvalore, una noia, un aggiungere problemi su problemi (si
sente ignorante chi più sa).
Lo spazio per la complessità sta progressivamente diminuendo.
In un mondo in cui dobbiamo essere consumatori e non cittadini – che si informa e pensa – è più facile gestire un consumatore.
Spinazzola analizza i testi con una complessa metodologia: utilizza strumenti di indagine formale e al tempo stesso coglie le
dinamiche storico-sociali che i testi chiamano in causa. Muove sempre dal presupposto che la letteratura sia un complesso
meccanismo comunicativo, in cui le forme scelte dall’autore hanno a che fare con molteplici variabili: la personalità e la cultura
dell’autore, la tradizione letteraria, il pubblico, l’editoria (senza la quale i libri non avrebbero ragione di esistere).
Negli ultimi decenni del XIX e i primi del XX si avviano le cosiddette poetiche di trasgressione permanente che danno luogo a una
strategia di sperimentalismo ad oltranza da cui nasceranno il modernismo e le avanguardie propriamente dette.
Partendo da d’Annunzio, le prime avanguardie, il neorealismo e poi la neoavanguardia – tutti movimenti degli anni ’60 che fin dal
nome si rifacevano alla difficoltà posta dalle avanguardie nelle loro opere – mettendoli in relazione al pubblico che li leggeva.
Nel corso di tutto il ‘900 è venuta imponendosi una concezione della letterarietà d’indole relazionale, comprensiva dei testi destinati
all’appagamento estetico.
Ma si prenda atto dell’esistenza anche della relativizzazione dei valori estetici = concepimento in modo diverso dai singoli lettori e
dalle fasce di pubblico.
La democratizzazione dell’istituzione letteraria rinvia alla convivenza di una pluralità di pubblico – stratificato verticalmente e
articolato orizzontalmente -. Per comprenderne la natura si deve far riferimento alle modifiche intervenute nel sistema dei generi,
come canali deputati di contatto fra lettori e scrittori.
Lungo il corso del ‘900 prende infatti piede una distinzione forte tra pubblico della poesia e pubblico della prosa:
della poesia = pubblico omologato specialisticamente
della prosa (preferita dal popolo)= molte differenziazioni interne, rese note attraverso anche una gamma di generi capaci di
incontrare le esigenze più diverse.
Ogni tanto però germinano da parti della prosa opere che riescono a unificare tutte le fasce di pubblico.
Con il tempo ottengono sempre più consensi le tecniche narrative che dinamizzano i tempi di lettura, tagliando le pause descrittive
ad esempio. Seguire una narrazione di questo tipo esige un’attenzione maggiore: il lettore non ha a disposizione tempi morti
durante i quali assimilare ciò che gli è stato trasmesso.
La pagina deve parlare al lettore con una concretezza di suggestioni sensoriali simile all’immagine filmica.
Il vero sbocco di questa tendenza modernizzante è il fumetto, prodotto di mero svago destinato primariamente ad un pubblico
infantile.
Dunque nel secondo ‘900 l’istituzione letteraria subisce un’inedita crescita del pubblico, di attese e di richieste da parte di questo
medesimo gruppo. Per Spinazzola tutte queste richieste e attese sono legittime e di un pubblico poco colto a cui i prodotti culturali
in voga fino a quel momento non potevano rispondere perché erano troppo difficili o dei sottoprodotti indegni che non portavano
ad alcuna crescita politica (Gramsci) e nemmeno estetica (Spinazzola).
In questa grossa crescita di prodotti Spinazzola vede del positivo: diminuzione dei sottoprodotti e aumento di una dignitosa
letteratura di intrattenimento che può esaudire i desideri di un pubblico che legge poco. Ci vede un aumento di democrazia.
Sul finire del secolo la prosa è l’asse portante per via del polimorfismo versatile: tutto è in divenire e c’è posto per tutti – pluralismo
-.
Non si può però pensare che ogni articolazione costituisca di per sé un tutto indifferenziato. Al suo interno vi sono evidenti
differenziazioni fra chi ha acquisito una certa confidenza con la parola scritta e chi invece si colloca alla periferia del sistema
letterario.
Si tratta dunque di opere molto complesse sul piano formale-stilistico ed estremamente originali, almeno nelle intenzioni.
Essendo così strutturate esse inevitabilmente si rivolgono ad un pubblico d’èlite, se non direttamente agli specialisti della
letteratura.
Si nomini anche il fatto che le suddivisioni di genere tendono a venire meno nella super-letteratura. Non si tratta mai qui di
letteratura di genere (giallo, rosa, thriller): non vince il genere letterario di appartenenza ma vince l’individualità dell’autore –
proprio perché è fondamentale il canone dell’originalità.
Se è necessario essere originali difficilmente si scriverà un romanzo facilmente riconducibile ad un certo genere poiché il grado di
originalità è inevitabilmente più basso.
Non conoscono limite di genere.
Si tratta di autori che il popolo non può conoscere perché non è specialista della letteratura.
2. LETTERATURA ISTITUZIONALE
Testi che non si rivolgono più agli specialisti della letteratura: sono destinati ad un pubblico scolarizzato – relativamente colto.
L’aggettivo “istituzionale” si riferisce all’istituzione, cioè la scuola, che ci ha resi avvezzi alla cultura.
In campo prosastico ne deriva una situazione molto variegata: romanzo storico, di costume, psicologico, di formazione che si
collocano tutti in una linea di continuità evolutiva rispetto ai classici della modernità sette-ottocentesca. Gli autori sono noti al
pubblico scolarizzato.
Secondo Spinazzola in questo settore si trovano anzitutto i romanzi che si rifanno alla modernità tra Manzoni e il grande romanzo
realista francese (in particolare questo ha molta influenza sull’Italia – Stendhal, Zolà, Balzac ….-.
A questo proposito Spinazzola cita Leonardo, Shasha, Umberto Eco, Levi, Moravia, Morante.
Questa articolazione rappresenta il luogo elettivo per l’insorgere dei best seller d’autore. Le classifiche offrono uno strumento per
individuare gli scrittori degni di rispetto, che hanno saputo dialogare con un pubblico largo, non illitterato e consapevole delle
preoccupazioni del tempo, senza compromettere il proprio prestigio.
3. LETTERATURA DI INTRATTENIMENTO
Pubblico molto ampio – persone che leggono al di fuori della scuola e dello specialismo-.
Vi è una forte semplificazione sul piano della forma, dello stile e della scrittura – opere più facili.
E’ netto il genere letterario d’appartenenza e anzi è questo un punto di partenza imprescindibile.
A questo livello Spinazzola mette gramscianamente anche tutti quegli scrittori-giornalisti che scrivono opere non di mero
intrattenimento narrativo ma opere dalle quali si può imparare qualcosa di concreto. Sono dunque opere che si leggono con lo
scopo di incrementare la conoscenza su un certo argomento.
Vengono dunque a far parte di questo livello anche le biografie, autobiografie di personaggi importanti, libri dei giornalisti, libri dei
politici, satira, umorismo, parodia – tra realtà e storia-.
Un mix di intrattenimento e di volontà di imparare, comunque ad un livello facilmente accessibile ad un pubblico scolarizzato anche
solo in parte.
Torna il discorso del nazional-popolare di Gramsci: è come se per un attimo abbandonassimo la letteratura – si riprenda l’esempio di
Piero Angela e di Gramsci che qui rientrano a pennello-.
Sono opere destinate ad un grande pubblico, facilmente fruibili e che insegnano qualcosa con un certo rigore.
Lo si trova in edicola in pubblicazioni periodiche piuttosto che in libreria: fumetti, fotoromanzi (ora non tanto diffusi), il romanzo
rosa (gli Harmony), il romanzo western e anche quello pornografico.
In particolare il fumetto risponde alle nuove esigenze moderne: velocizzare la lettura.
Il fumetto – genere misto per eccellenza - inoltre ha un linguaggio verbale sovrastato da quello iconico, con la successione di
immagini visive i cui nessi sono poco curati dalla verosimiglianza realistica.
Si tratta di scritti molto specifici che le case editrici hanno tentato per via del grande pubblico potenzialmente interessato a questo
genere.
Molto spesso non si sa chi siano gli autori e nemmeno ci si pone il problema di saperlo: molti autori scrivevano con uno pseudonimo
per la vergogna.
La critica letteraria ufficiale non prende in considerazione queste opere, considerate come prodotti banali, volgari, ripetitivi e uguali,
mancanti di originalità.
L’obiettivo delle opere della para-letteratura è, secondo la critica, quello di eccitare le pulsioni più elementari, più incontrollabili dei
loro fruitori e per questo sarebbero dei sottoprodotti.
Al contrario Spinazzola ritiene che in questo ghetto sub-letterario non tutto stia allo stesso livello. Vi sono delle opere del tutto
amorfe e statiche, certo, ma ce ne sono altre che possono essere prese in considerazione e non del tutto condannate.
Si tratta dunque di opere tutt’altro che sprovvedute - un allargamento della letteratura – e i critici sono chiamati da Spinazzola a
svolgere il loro lavoro – affrontare la critica senza alcun pregiudizio né nel romanzo né nel lettore.
Anche qua l’atteggiamento alla para-letteratura di Spinazzola è gramsciano. Come Gramsci auspicava che ci fosse una
paraletteratura di dignità, allo stesso modo Spinazzola parte dal presupposto proprio che vi sia dignità nelle opere letterarie e che
valga la pena di essere conosciute se ricevono successo, proprio perché il critico deve occuparsi di ciò che è.
Ogni esperienza di lettura, dunque di bello, è ugualmente legittima.
Spinazzola non si occupa del romanzo d’appendice perché al suo tempo non esiste più, ma se esistesse ancora, sarebbe nella para-
letteratura.
Il concetto di genere letterario è fondamentale: sono modelli conosciuti e imitabili, agiscono come codici interiorizzati che
consentono di produrre nuove strutture ma comunque simili. Sono i fattori basilari di continuità del sistema letterario.
Ma con apparente paradosso i generi letterari operano come luogo di innovazione. E’ sullo sfondo di regole trasgredite che si
percepisce l’innovazione e inoltre l’affermazione di un nuovo genere letterario testimonia che si sta consolidando un cambiamento
nel modo di percepire la letteratura.
Il romanzo in particolare, come super-genere della modernità, ha dato luogo a una rivoluzione: Spinazzola osserva una progressiva
radicalizzazione della tensione al nuovo (che sorregge un po’ tutta la modernità).
L’affermazione del romanzo risponde ad ampi bisogni sociali, al formarsi di un pubblico diverso e ampio e di una nuova editoria.