Donato Bilancia
Donato Bilancia
Donato Bilancia
Introduzione……………………………………………………………………….. p. 2
Conclusioni………………………………………………………………………… » 118
Bibliografia………………………………………………………………………… » 123
1
INTRODUZIONE
Nel corso della sua evoluzione l’uomo, in funzione del vivere civile e
naturali, limitando parte dei propri impulsi ancestrali; l’incivilimento, infatti, lungi
La vita civile, in sostanza - o meglio l’ordine imposto sul disordine (così come
di scambiare parte della sua felicità per una sorta di, seppure illusoria, sicurezza.
carceri, si aggirano per le strade, nei titoli di giornale e sotto la luce dei riflettori;
l’essere diventati cittadini del mondo, infatti, ovvero l’aver accettato norme e
regole individuali e collettive che hanno determinato l’esistere della società, non
ha salvato l’uomo da se stesso e neppure dalla paura dell’altro. Anzi, nella sua
moderno, ad uso e consumo di una popolazione sempre più vasta, l’uomo ha perso
2
disperazione erratiche, alla ricerca disperata di sfoghi. La vita è satura di cupe
afflizioni e sinistre premonizioni, ancor più temute per la loro non – specificità, i
loro contorni indistinti e le loro radici nascoste» (Ivi, p. 22); fondamentale per la
diffusione di un tale stato d’animo è stata la nascita e lo sviluppo dei media che,
delle fobie e delle ossessioni di una civiltà che sembra giunta al punto di non
ritorno.
emittenti televisive informano il cittadino su quanto accade nel mondo e non c’è
notizia che non indugi sugli aspetti più inquietanti di un fatto e che non cerchi di
instillare sentimenti forti e spesso allarmanti; la maggior parte delle volte, per
all’uomo sociale, chiuso nel giardino delle sue precarie sicurezze, che poco o
vita, ma non è così; i media, infatti, rappresentano, oggi più che mai – in un
sorta di «voce della coscienza» a cui il cittadino si affida non solo per essere
informato su quanto accade, ma per adottare un certo punto di vista sulle cose, per
comprendere i propri simili e per sapersi muovere tra di loro. Parlare degli
uomini, però, significa affrontare tematiche, per quanto pratiche e tecniche, che
3
sempre hanno a che fare con l’ «universo» delle emozioni, un universo nel quale
pare emblematica in questo senso; la ricostruzione della storia del serial killer
fornisce una chiaro esempio del rapporto esistente tra media e, in questo caso, la
paura. Dal primo omicidio sino all’ultimo, infatti, le pagine dei giornali e
diffondere un certo panico tra i cittadini, trasfondendo, con i propri titoli riportati
sceneggiatori dei mezzi di comunicazione tanto che, come sottolinea Bauman, nel
suo Dentro la globalizzazione, «se si giudicasse lo stato di una società dalle forme
spettacolari con cui viene rappresentata – come per lo più facciamo, che lo si
voglia o no ammettere con noi stessi e gli altri – dovremmo fare ancora altre
eccedere di gran lunga il numero delle persone già detenute» e aggiunge «la vita
umana nel suo complesso sembrerebbe navigare nella stretta gola tra la minaccia
rapporto stabilitosi tra i media e la paura nella costruzione del caso Bilancia, è
stata strutturata in tre capitoli. Nel primo, si parte dalla ricostruzione storico –
4
letteraria della figura del “mostro”, con incursioni nel mondo del cinema e della
simile in tutto e per tutto a chiunque di noi – e per questo più mostruoso - come
nella vicenda, appunto, di Donato Bilancia. La seconda parte del primo capitolo,
quindi, entra nello specifico del tema e, utilizzando come fonte primaria gli
sociologici connessi alla vicenda del serial killer ligure; si tenterà, infatti, di
famiglia e, più in generale, la società nel suo insieme. Determinante sarà l’analisi
criminalità alla luce delle condizioni insite nella struttura sociale, come pure le più
5
comprensione dello stretto rapporto esistente tra società e criminalità. Come nel
dedicato al caso Bilancia e, alla luce del quadro di riferimento esposto nella prima
“inquietudine” e di “tensione”.
coinvolti nelle indagini del serial killer ligure, al modo in cui queste vissero
anche al loro interno. Dall’analisi dei giornali, principale fonte del capitolo, - in
emerge senza dubbio una forte “tensione” tra investigatori e forze dell’ordine, una
tensione che non tese neppure a diminuire dopo l’arresto di Bilancia, avvenuta il 6
6
CAPITOLO I
tutto ciò che appare estremo e deviante, anche i “mostri” 1 sono diventati
esperti di teratologia (dal greco logos, discorso, e téras, cosa mostruosa)2, dediti,
1
L’etimologia del termine “mostro” è oscura, sembra tuttavia derivare da moneo, ammonisco, o
da monstro, esibisco. Il termine latino Monstru(m), di origine indeuropea, stava a significare
“segno divino degli dei, fenomeno contro natura, prodigio”.
2
Cfr. F. CORDAI, voce «Teratologia», in Enciclopedia Italiana, vol. XXXIII, Utet, Torino, 1992, pp. 545 - 548.
3
Per un approfondimento, si veda: G. CUBONI, La teratologia vegetale e i problemi di biologia
moderna, in «Riv. di scienze biologiche», 1900.
4
Montaigne, ad esempio, interrogandosi sul significato che avevano le alterazioni della natura
costituite dai mostri, aveva concluso che Dio comprendeva nella propria opera anche le creature
per noi più orrende (Citazione riportata da F. GIOVANNINI, I mostri, Castelvecchi, Roma, 1999, p.
6).
7
A differenza dei pagani, che consideravano le nascite anomale come
nascite nel sistema di spiegazione totale costruito dai Padri della Chiesa secondo i
quali alcune cose dovevano essere lasciate alla fede; si sostenne, allora, che
l’esistenza dei mostri poteva essere interpretata secondo tre modi diversi: come
segno della collera di Dio, provocata dal peccato; come modo per ricordare che
presagi per il bene dell’umanità5. Queste tre ragioni, però, spiegavano l’esistenza
dei mostri non «eziologicamente», con riferimento a ciò che li aveva generati, ma
quelle derivanti dalla filosofia antica - Aristotele aveva sostenuto che i nati
deformi erano lusus naturae, ossia scherzi di natura, e pertanto mostrabili a scopo
di lucro6 - e ancora alla fine del Cinquecento la teratologia si trovò ad oscillare tra
volte, in popolari compendi nelle diverse lingue volgari, si diffusero delle vere e
5
L. FIEDLER, Freaks. Miti e immagini dell’io segreto, Garzanti, Milano, 1982, pp. 237 - 238.
6
ARISTOTELE, De generatione animalium, Oxonii e Typographes Clarendoniano, 1965.
8
tradizione più antica, dove si confondevano mistificazioni evidenti, figure
altro. Si dovette attendere i primi dell’Ottocento perché alle mostruosità del corpo
Dracula e i vampiri11.
7
Di tale aspetto si è interessato Ambroise Paré che nel suo Mostri e prodigi (Editrice Salerno,
Roma, 1996) indaga sulla differenza tra i mostri creati dalla fantasia, con i tanti intrecci tra umano
e bestiale (uomini - vitello, uomini - cane, ecc.) e contemporaneamente cerca le cause naturali dei
parti mostruosi, individuando, tra l’altro, i cattivi comportamenti delle madri.
8
Pensiamo a La Bottega dell’antiquario di Charles Dickens (Rizzoli, Milano, 1959) dove Quilip,
«simile a un goblin», rappresenta il dwarf (nano) come satiro perverso e persecutore di donne, e la
piccola Nell, «simile a una fata» il midget (nano) come piccolo elfo.
9
Si tratta del Frankenstein partorito dalla fantasia letteraria di Mary Shelley nel 1818 che diede
inizio ad un mito che doveva caricarsi di ulteriori significati simbolici, dal rapporto tra l’uomo e la
scienza, alla solitudine della diversità. Il mito si dilatò immediatamente dalla letteratura al teatro e
infine al cinema, dove era destinato a trovare la sua consacrazione maggiore. La versione
cinematografica più famosa è quella che vede come protagonista Boris Karloff diretto da J. Searle
Dawley nel 1910.
10
Col termine freak si intende «un nano acondroplastico (...) e un gigante acromegalico (...) o due
fratelli siamesi congiunti da una membrana carnosa sullo sterno e una persona deforme per
disfunzioni ghiandolari (...) o deficienze cromosomiche (...). Anche un focomelico vittima del
Talidomide è un freak, ma non lo è un «mutilé» a causa di un incidente stradale. Un freak è nato
così, spesso è incurabile e muore prematuramente...» ( L. DEL BALDO, Vita da freaks, in «Duel», n.
21, 1995); tuttavia il cinema ha aggiunto a questi freaks per nascita anche altri mostri senza alcuna
origine soprannaturale: si pensi al gobbo di Notre Dame, protagonista del romanzo di Victor Hugo,
ripreso sugli schermi con The Unchback of Notre Dame diretto da Wallace Worsley e interpretato
da Lon Chaney (T. MORA, Storia del cinema dell’orrore, vol. 1, Fanucci, Roma, 1977, p. 104), ma
soprattutto dal film Freaks (tratto dal racconto Spurs di Clarence «Tod» Robbins) diretto da Tod
Browning nel 1932 che per la prima volta portò sugli schermi attori autenticamente affetti da
sindromi deformanti.
11
Nato letterariamente nel 1897, grazie al romanzo di Bram Stoker, il personaggio di Dracula si
ispirava ad un principe transilvano del Quattrocento, Vlad Tepes, l’Impalatore.
9
Se verso la fine dell’Ottocento la nascita della psicoanalisi relegò il
oggetto di studio di una disciplina volta all’analisi dei processi mentali inconsci,
col passare del tempo, la diffusione massiccia dei media e l’imporsi di una società
come sostiene Giovannini «...non si può negare che il mostro evochi terrori
dalla tradizione popolare alla letteratura 12, dal teatro al cinema, infine dal fumetto
alla televisione al computer - per cui «per capire questa lunga storia del mostruoso
quali l’orrido, e ciò che produce terrore, siano da sempre temi che affascinano le
masse; uno studio di tal fatta, naturalmente, non potrebbe esulare dall’analisi di
Cinematograficamente sarà il Dracula di Tod Browning (1931), prodotto dalla Universal, a
lasciare un segno indelebile nella storia del cinema fantastico (Per un approfondimento, si veda: S.
ROSENTHAL, Tod Browning, Tantivy Press, London, 1975, pp. 33 - 35). Secondo recenti studi
sociologici Frankenstein (il mostro che non vorremmo mai essere, perché orrido sofferente, senza
amore) sarebbe l’incarnazione del proletariato, mentre Dracula (il mostro che vorremmo tutti
essere, perché immortale, potente e seduttivo), rappresenta il simbolo dell’aristocrazia. Si veda, a
tale proposito, F. MORETTI, Dialettica della paura, in «Calibano», n. 2, 1978.
12
Citiamo, ad esempio, le Metamorfosi di Ovidio (a cura di E. Oddone, Bompiani, Milano, 1988)
dove l’autore, affrontando l’idea della metamorfosi come mutamento mirabile per intervento
divino o magico, racconta in ducento quarantasei favole dal Caos primordiale all’innamoramento
di Narciso, dal combattimento tra Perseo, figlio della pioggia d’oro, e Medusa la pietrificatrice,
fino alla trasformazione di Giulio Cesare in stella.
13
F. GIOVANNINI, op. cit., p. 7.
14
Fine ultimo della teratologia sociale dovrebbe essere proprio quello di considerare il fantastico e
il mostruoso come «una sfida ad affrontare il nuovo: il diverso, il multiforme, il grazioso come il
mostruoso», così si esprime R. RUNCINI, Il sigillo del poeta, Solfanelli, Chieti, 1991, p. 110. Tra gli
autori recenti che si sono occupati di teratologia sociale: GREGORY A. WALLER, The Living and the
Undead, University of Illinois Press, Urbana, Chicago, 1986.
10
quella letteratura e di quel cinema di genere che dall’Ottocento in poi si sono fatti
tutto ciò che è deforme, mostruoso e deviante, anche se questo tipo di produzioni
che hanno fatto del mostro un vero e proprio protagonista epocale - senza aver la
pretesa di risultare esaustivi, data la vastità della materia - sembra interessante una
breve digressione sul concetto di «crisi» in quanto tale concetto può fornire una
ottenuto sugli schermi da Dracula nel 1931, ad esempio, dimostra che le paure
sociali e politiche prodotte dalla Grande Crisi del ‘29 indussero il pubblico a
cercare brividi fantastici nel regno dell’immaginario; non a caso nei due decenni
mostro tuttora insediate nel nostro immaginario 16. La crisi economica del ‘29,
15
Tale giudizio negativo, tuttavia, non è stato condiviso all’unanimità e vi sono stati studiosi, come
Alberto Abruzzese, che hanno tentato di andare oltre il prodotto finito, cercando di spiegare il
«non - detto» dell’immaginario mostruoso, di evidenziare i significati latenti di storie, solo
apparentemente, di puro intrattenimento. Per un approfondimento A. ABRUZZESE, La grande
scimmia, Napoleone, Roma, 1980.
16
«La crisi di Wall Street del ‘29 infrange troppo bruscamente l’illusione hooveriana della
“prosperità all’angolo della strada” in cui si era cullata “l’età del jazz”, la beata società borghese
degli anni Venti. Ora i disoccupati si vedono ovunque, la realtà operaia diventa per la prima volta
rilevante agli occhi dell’uomo americano. Negli anni che precedono l’avvento di Roosevelt e la
nascita della politica del “New Deal”, gli smarrimenti, gli incubi e le preoccupazioni degli
americani trovano una singolare corrispondenza nel parallelo sviluppo di due filoni, il “gangster
film” e “l’horror film”; e non sarà arrischiato scorgervi due facce, la cronachistica e la fantastica,
del medesimo mondo spirituale». Così E. G. LAURA, Quando Los Angeles si chiamava Hollywood.
Cinema americano tra le due guerre, Bulzoni, Roma, 1996, p. 294.
17
Ricordiamo che tra il 1918 e il 1944 si assistette al crollo degli imperi centrali e alla sparizione
dei vecchi equilibri di potere. In America iniziò un periodo di forte instabilità economica,
caratterizzato dalla crescente disoccupazione, dalla recessione, dall’aumento degli scioperi, dalle
occupazioni delle fabbriche, mentre l’Europa era per lo più sotto l’egida di regimi autoritari. Per
un commento critico sulla Grande crisi si veda M. BAUMONT, La faillite de la paix (1918 - 1939),
Press Universitaires de France, Paris, 1951, pp. 399 - 400, il quale afferma che «Una dislocazione
così completa della società si spiega attraverso un cumulo di cause non tutte di ordine economico.
La crisi si scompone in un intreccio di crisi sovrapposte [...] il nazionalismo economico fa strage,
11
impossessò dei mostri inventati dalla grande letteratura gotica del Settecento e
un preciso momento storico, per quanto la loro origine fosse molto più antica -
dall’Europa e alla casa produttrice Universal - e ognuno dei quattro mostri classici
due grande tabù delle culture occidentali, ovvero il sesso e la morte, Frankestein
mentre le fluttuazioni delle monete e dei cambi esercitano una influenza perturbatrice sul
commercio internazionale, aggiungendo contemporaneamente altre cause ed altri effetti al
disordine universale».
18
La letteratura era stata fortemente turbata dalle grandi spedizioni archeologiche ottocentesche e
aveva offerto qualche racconto importante. Ricordiamo il racconto satirico di Edgar Allan Poe,
Some Words with a Mummy, o il drammatico Le roman de la momie di Théophile Gautier (1858) e
il macabro Le pied de la momie del 1863. L’esordio delle mummie sulle schermo, invece, si deve a
Georges Méliès con Cleopatre del 1899; la versione più famosa, tuttavia, resta ancora una volta
quella interpretata nel 1932 da Boris Karloff, The Mummy, la cui regia fu affidata a Karl Freund.
19
Di uomini lupo ci parlano le Metamorfosi di Ovidio e il Satyricon di Petronio, poi la
superstizione popolare diffuse questa leggenda, inventando fantasiosi delitti operati dai lupi
mannari, ma la scienza già nel IV secolo dopo Cristo era capace di vedere nella licantropia solo un
comportamento malato, mettendola in relazione con quella che veniva definita «la melancolia».
Poi, col Medioevo tutto cambia, si comincia a relegare la licantropia e la demonologia e si
diffonde la credenza che gli stregone possano trasformarsi in lupi; secondo la teratologia moderna,
il licantropo è l’unico mostro che lo è solo periodicamente (per un approfondimento sul fenomeno
M. COTTONE, In compagnia dei lupi: il fenomeno della licantropia, Atti del convegno Psichiatria,
magia, medicina popolare, Ferentino, 14 - 16 novembre 1991). Cinematograficamente le prime
versioni sono The Werewolf del 1913 e The White Wolf del 1914, entrambi basati su leggende
indiane, poi quella del 1932 voluta dalla Universal, The Werewolf of London, interpretata da Henry
Hull.
12
illimitato; la Mummia, l’angoscia dei pericoli che vengono dal passato e l’Uomo
ricadute sia di ordine economico che politico e sociale - fatto che indusse a
sostenere la teoria di una «crisi permanente» del capitalismo nella sua fase
nuovi mostri. Non a caso, del resto, il Novecento, è stato recentemente definito da
Carlo Panzani, “il secolo della paura”20, definizione in parte anticipata dal
settimanale «La città futura» che aveva intitolato Il secolo dei mostri un estratto
Nagasaki inaugurò gli anni di una nuova paura, quella dell’invasione e del nemico
pellicole horror22; gli anni Cinquanta, però, furono anche gli anni della passione di
EC Comics americani, una passione che doveva proseguire a lungo, basti pensare
al recente successo della popolarissima serie «Dylan Dog» della Bonelli Editore e
20
C. PINZANI,Il secolo della paura, Editori Riuniti, Roma, 1998.
21
Il saggio è riportato in «La città futura», 19 aprile 1978.
22
F. GIOVANNINI, op. cit., p. 11.
13
successo che ancora oggi ottengono i remake di tutti i mostri risorti o nati nei
decenni passati, o alle serie come «X - Files», dove compaiono dagli alieni alle
donne bestia, fino a creature ispirate senza dubbio alla letteratura e al cinema del
essere “altro” da noi, una variabile alla normalità – come avveniva per i “mostri”
femminile, noi e l’altro; a tale proposito Umberto Eco ha affermato che «il mostro
disforico) contro i valori positivi (conforme, buono, bello, euforico) 24, e se é vero
che oggi il mostro tende a perdere una forma precisa e a diventare proteico e
capace di inocularsi nei corpi “normali” 25, in ultima analisi la sua mostruosità è
23
U. ECO, Il nostro mostro quotidiano , in «Apocalittici e integrati», Bompiani, Milano, 1987, p.
384.
24
O. CALABRESE, Il mostro instabile, in «Eroi del nostro tempo», a cura di F. Adornato, Bari ,
Laterza, 1986.
25
Sono soprattutto le pellicole di fantascienza, a partire dalla fine degli anni Settanta - a dare
espressione a questo tipo di fobia. Prima di Alien (diretto da Ridley Scott nel 1979), i mostri erano
totalmente altro dallo spettatore, addirittura simili a insetti giganti; con Alien, invece, gli alieni
hanno il volto di uomini perché entrano nei corpi e si impadroniscono dei corpi umani. Il mostro
diventa parte dell’uomo, anche quando la sua provenienza è spaziale. Con Alien la conquista dello
spazio torna ad essere un inferno, dove grosse bestiacce spaziali si inoculano nei corpi degli
astronauti; situazione simile è quella proposta da John Carpenter in The Thing dove una «cosa»,
che non ha sostanza, in continua trasformazione è capace di produrre mutazioni orribili in chi la
ospita, sia esso un cane o un uomo. Entrambe le pellicole hanno figliato numerosi discendenti,
dimostrando che il vero mostro alieno proposto dal cinema di fine millennio ha proprio la
caratteristica di inocularsi nei corpi umani per possederli: «come un serial killer», scrive
Giovannini, «anche il mostro alieno assume il nostro volto, o quello del vicino di casa» ( F.
GIOVANNINI, op. cit., pp. 223 - 225). Per un’introduzione agli alieni nella narrativa di science
fiction, si veda la voce «Alieni e mutanti» in F. Giovannini - M. Minincangeli, Storia del romanzo
14
sempre connotata da quei valori negativi. Ma la colpa superiore a tutte le altre
risiede nel fatto che il mostro é improduttivo, non partecipa ai valori e alla
necessità di mercato, i freaks, non a caso, sono visibili solo quando fanno la
questua nelle strade del pianeta: mutilati, storpi, “anormali”, devono chiedere
l’elemosina, perché non sono abili alle esigenze della qualità totale. Mentre il
differenza del mostro classico, che era chiuso nel circolo vizioso
nell’epoca del look, il cui recupero passa attraverso una definizione del guardabile
integrale»26.
dalla Bestia al gobbo Quasimodo, nel complesso il mostro non ha perso a tutt’oggi
di fantascienza, Castelvecchi, Roma, 1998; per un approfondimento sui film di alieni che invadono
la Terra, invece, F. CASAGRANDE - NAPOLIN, Attacco alieno! Guida al cinema d’invasione
spaziale. 1950 - 1970, Tunnel, Bologna, 1998.
26
M. W. BRUNO, Necrologio per la civiltà delle immagini , in «Videoculture di fine secolo»,
Napoli, Liguori, 1989.
15
il suo impatto trasgressivo e contro ogni perbenismo “politically correct” i mostri
lezione del film Freaks di Tod Browning, dove i mostri formano una comunità
affatto omologare.
Se, in passato, il mostro tendeva ad essere “altro” dai noi, col passare del
tempo si è fatta sempre più presente l’idea che il mostro sia “tra” noi e “in” noi;
idea, del resto, già anticipata dai racconti letterari incentrati sul doppio, nelle sue
varianti dello specchio e del gemello sconosciuto, come Dottor Jeckill e Mister
Stephen King che, come sottolinea Ornella Volta nei suoi indimenticabili libri sui
27
Negli ultimi decenni, tuttavia, è stato fatto qualche tentativo di trasformare i mostri in eroi
positivi sensibili e sofferenti, si veda il romanzo Cabal di Clive Barker, dove l’autore sembra
parteggiare per la comunità di esseri mostruosi che vivono nel buio.
16
oggetto domestico, in un’automobile, nel vecchietto che abita a pochi passi da
noi»28.
partire dagli anni Venti - il protagonista del film divenne il mostro stesso; si
trattava per lo più di pellicole dove il mostro non era l’antagonista dell’eroe, ma il
e a provocare sciagure. A quel punto non era più necessario che il mostro
presentasse una deformità fisica29, anzi, essendo un uomo tra tanti, divenne quasi
necessario che il suo volto si confondesse nella massa, che non fosse distinguibile
atroci che violavano la norma nel senso morale e giuridico del termine, ma anche
il serial killer, l’assassino seriale della cronaca, spogliato ormai delle “meraviglie”
uguale a chiunque. Oltre ai media, però, l’ingresso dei mostri nel quotidiano è
stato confermato dal dilagare di alcuni videogiochi e di alcuni giochi da tavolo che
Magic, gioco di carte disponibile anche in CD - ROM, «La creatura con i poteri
28
Citazione riportata da F. GIOVANNINI, op. cit., p. 17.
29
In passato il mostro letterario o cinematografico indossava una maschera (il Fantasma
dell’Opera ne aveva una di cuoio o di porcellana, Dracula si fingeva un tranquillo gentiluomo
transilvano) per non subire lo sguardo del normale, tuttavia, prima o poi, doveva soccombere al
disvelamento (il gesto dello smascheramento nel caso del Fantasma dell’Opera o nella rivelazione
del vampiro quando Dracula viene scoperto perché, ad esempio non si riflette negli specchi). La
figura del mostro, inoltre, pone il problema del guardabile, nel senso che si è attratti dalla sua
visione nonostante si sia consapevoli che questa desterà in noi orrore e raccapriccio. Scrive a
proposito Herbert Marcuse «A me sembra che la testa di Medusa sia il simbolo eterno più
adeguato dell’arte: il terrore come bellezza; il terrore colto nella forma gratificante dell’effetto
magnifico» (H. MARCUSE, Critica della società repressiva, Feltrinelli, Milano, 1968, p. 146). Il
mostro, in altre parole, suscita orrore ma, contemporaneamente affascina.
17
più terrificanti sei tu!», oppure allo slogan di Dungeon Keeper, «In una
totalmente assoggettati ai tuoi voleri. Distruggi tutti gli eroi. Essere cattivi non è
“mostruosa” del proprio corpo diventa una scelta da indossare e da esibire (si
pensi alla moda del piercing e del tatuaggio). Il fatto che i mostri siano
fantastico e la realtà: non è insolito, infatti, leggere articoli o ascoltare servizi che
cadaveri trapiantati su uomini vivi. A tale proposito Giovannini sostiene che «Se
può dire che l’invasione è già avvenuta: gli alieni sono tra noi e cercano di
appunto i serial killer? Secondo Christian Vogel «il male e in particolare la sua
18
l’assassinio come divertimento: non vi è dubbio che tutto questo è tipico e
specifico dell’uomo, perché non si è mai osservato nulla di più simile in alcun
nascosta, e, comunque, costringerci a prendere atto della sua diversità. Già nel
1965 Domenico Paolella sostenne che il cinema fantastico è «la psicanalisi dei
Vittorio Spinazzola si spinse oltre affermando che «Il cinema possiede una forte
tedeschi: i loro mostri preconizzavano l’avvento del nazismo, dicendo alla gente
che la bestia era in loro, dentro di loro, e stava per nascere. Le forze rappresentate
19
scegliere d’identificarsi con lui e provare l’emozione di vedere con i suoi occhi, il
sono ormai “visibili” solo al cinema, mentre nella realtà sembrano scomparsi;
utilizzandola a piacere ora per stupire ora per provocare, e soprattutto il cinema si
sia fatto portavoce delle sua gesta, tuttavia anche nella realtà - e sembra che negli
figura di uomo la cui mente malata, o forse naturalmente portata al male, riesce a
ricordarci che i mostri non sono solo il parto di una mente fantasiosa, e che, con i
suoi omicidi efferati, desta le masse dal loro sonno mediatico dove tutto e
possibile e risolvibile. Si tratta dei serial killer, persone per lo più insospettabili,
hanno offerto materiale a numerosi sceneggiatori di successo che hanno dato vita
a numerosi personaggi (ricordiamo il caso del mostro di Dussendorf, che nel film
M di Fritz Lang divenne il Peter Lorre dello schermo) 35 verso cui il pubblico ha
34
F. GIOVANNINI,
op. cit., p. 21.
35
Fu proprio Lang uno dei pionieri del cosiddetto cinema “alla lama di coltello” - che ebbe negli
anni Cinquanta le sue vere origini, grazie all’avvento del colore e alla minore censura
cinematografica - e che ha visto recentemente tra i suoi frequentatori più illustri registi come Brian
de Palma, John Carpenter o l’italiano Dario Argento. Prima di loro, comunque, vanno citati autori
come Castle, Lewis e Bava che, partendo dal sobrio Hitchcock, si fecero antesignani di un genere
20
mostrato (e continua a farlo) una crescente condiscendenza dovuta, forse, al loro
scelta seriale dei produttori (si pensi a Michael Meyers, l’assassino di Halloween,
la notte delle streghe, il cui successo venne ripetuto dalla sere Venerdì 13 è
recentemente da Scream).
caratterizza la maggior parte degli omicidi seriali, è non solo alla base
del successo dei film, dei serial televisivi e delle pubblicazioni dell’horror. A tale
proposito, infatti, Ponti e Fornati, autori de Il fascino del Male, affermano che si
tratta di «un binomio esplosivo, niente di meglio per suscitare in tante persone
proibite»36 ma aggiungono anche che «i serial killer non sono poi così tanto
diversi da noi. Solo un poco, si sono guastati [...] ma non sono “bestiali”, non
sono “inumani”, non sono, dunque, dei folli [...]. ci affascinano, quindi. [...] siamo
attirati da questa violenza, dal binomio sesso e morte, perché fa parte di noi,
persone “normali”»37.
che col tempo verrà portato alle estreme conseguenze, per arrivare, poi, negli anni Settanta
all’horror inglese di Pete Walker, che inserì il moderno maniaco omicida dentro atmosfere gotiche
in film come La casa del peccato mortale (1975) e Chi vive in quella casa ? (1977). Gli anni
Ottanta, in seguito, - pur ripescando nei mostri del passato (dai licantropi ai fantasmi) - offriranno
molti assassini inediti, facilitati in questo dall’uso del lattice e delle nuove tecnologie elettroniche,
e inaugureranno un filone più realistico, fatto di delitti concreti commessi da uomini concreti;
Dario Argento, ad esempio, dopo alcune incursioni nel paranormale con Suspiria e Inferno,
passerà a film come Tenebre (1982) e Trauma (1993) dove l’omicida è un maniaco reale. Per un
approfondimento si veda F. GIOVANNINI, Serial killer. Guida ai grandi assassini nella storia del
cinema, Datanews, Roma, 1994.
36
G. PONTI - U. FORNARI, Il fascino del Male, Mondadori, Milano, 1995, p. 8.
37
Ibidem, p. 15. A tale proposito Fromm scrive che «il comportamento aggressivo dell’uomo
deriva da un istinto innato, programmato filogeneticamente, che cerca di scaricarsi ed aspetta
l’occasione propizia per esprimersi» . E. FROMM, Anatomia della distruttività umana, Mondadori,
Milano, 1975, p. 18.
21
Vediamo, dunque, di ricostruire la biografia di un uomo “quasi” normale,
di un “mostro contemporaneo”, le cui azioni criminali, con l’ausilio dei media che
Negli ultimi dieci anni il serial killer ha attirato l’attenzione non solo in
ritrovata con sempre maggiore regolarità nella letteratura poliziesca e nei thriller
fino a diventare una figura quasi predominante nella cinematografia: tra i grandi
protagonisti del cosiddetto cinema “alla lama di coltello” - che deve, però, il suo
successo al celebre racconto di Robert Bloch Yours Truly, Jack the Ripper
vero serial killer del cinema, però, è Norman Bates, a cui diede volto l’attore
al personaggio di Bates, con un’identità precisa, marcata, dal volto ben evidente,
negli anni Settanta (precisamente nel 1974) si sostituì il serial killer senza volto, il
38
La prima versione cinematografica è del 1924, dal titolo Tre amori fantastici, di Paul Leni con
Werner Krauss, in seguito ricordiamo la versione di Alfred Hitchcock del 1927, The Lodger (Il
pensionante) con Ivor Novello.
22
caso più eclatante è quello di Leatherface, in Non aprire quella porta (The Texas
Carpenter per il suo film Halloween (1978). Anche in questo caso come per
Leatherface, l’assassino non aveva un volto e non parlava, e così pure sarà per
Jason, l’omicida di Venerdì 13, uscito nelle sale nel 1980 sotto la regia di Sean
dedicati alle sue imprese omicide, maschere in lattice con le sue fattezze 39; grazie
pluripremiato Il silenzio degli Innocenti. Lecter non ebbe più bisogno di trucchi
sul viso per apparire orribile, gli bastava fissare la cinepresa con gli occhi celesti e
sbarrati dell’attore Anthony Hopkins, e anche i macabri rituali del delitto non
venivano mostrati allo spettatore ma quasi sempre solo suggeriti: sembra, come
osserva Giovannini, che «a fine millennio non serva più rendere visibile la paura
nel cinema, i nostri terrori sono già tanto visibili nella cronaca di ogni giorno, nei
telegiornali e nella vita quotidiana»40 e Donato Bilancia, il serial killer reale che ha
Il fatto che i serial killer siano entrati, in qualche modo, nella coscienza
della gente come eroi popolari è, a detta di Joel Norris, dovuto al fatto che questi
39
A tale proposito Rober Englund ha sostenuto che «Alla base del successo di Freddy credo vi sia
il fatto che si tratta di un essere sovversivo con una certa sensibilità punk. Freddy è diventato un
simbolo: in camera si affiggono suoi poster. Credo che sia a causa del suo look [...]. Tutti questi
elementi si alleano all’aspetto illusione /realtà del film...». Un sucess a double tranchant, in
«Venerdì 13», n. 6, dicembre 1988.
40
F. GIOVANNINI, op.ult.cit., p. 15.
23
pluriomicidi sono affascinanti in quanto «attraenti, carismatici e spesso
Firenze), sia alla procura della Repubblica sia alla Corte di Assise, nelle quali si
può leggere tutta la simpatia e la solidarietà che una parte dell’opinione pubblica
genovese Francesco Baccini scrisse una canzone, Jack, che «metteva in guardia
dalla caccia alle streghe, dalla voglia di trovare un mostro a tutti i costi»43, in
America le cose si spinsero ben oltre e intorno a Charles Manson, che sgozzò
l’attrice Sharon Tate e altre sei persone a Los Angeles, nacque un vero e proprio
culto. Così, mentre Jeffrey Dahmer stava uccidendo e mangiando le sue vittime
sessuale e che attua i propri crimini spinto da una forza incomprensibile dove
spesso di fronte a delitti che non hanno un movente e non dispone di alcun indizio
41
J. NORRIS, Serial Killers, The Growing Menace, New York, 1989, in Y. C. OATES, Serial Killer,
Serial Killer, su «La Rivista dei Libri», Milano, giugno, 1994.
42
R. DI CARO, Caro mostro, ti voglio bene in «L’Espresso», 22 luglio 1994.
43
Intervista a Francesco Baccini, La mia ballata per un innocente, in «La Stampa», 3 novembre
1994, p. 13.
24
concreto44. Come scrive Stéphane Bourgoin, in definitiva, «al classico mass
murderer e allo spree killer non interessa l’identità delle vittime: massacrano
motivo della scelta, mentre in realtà una razionalità malata lega un omicidio con
l’altro; e ricostruendo la storia di Donato Bilancia attraverso gli articoli apparsi sui
quotidiani non si può che concordare con tale definizione perché - come vedremo
colpirono la riviera ligure, in seguito gli inquirenti scoprirono che l’unico filo
conduttore che li teneva uniti si trovava proprio nella mente del loro artefice46.
Attraverso gli articoli delle più note testate nazionali, così come i servizi della
è possibile ricostruire sia la storia del caso Donato Bilancia, sia la biografia di
dall’ottobre ’97, morti a cui per lungo tempo non si riuscì a dare un colpevole. Gli
subito di costruire l’identikit del possibile assassino e sulle pagine dei giornali
Sebbene non si sapesse ancora nulla di Bilancia, né se gli omicidi fossero legati
tra loro, la stampa si appropriò del caso e cominciò a riempire le pagine dei
44
S. BOURGOIN, La follia dei mostri, Mondadori, Milano, 1995, pp. 13 - 14.
45
Ibidem, p. 6.
46
Tra gli altri casi eclatanti di serial killer italiani ricordiamo il così detto «mostro di Firenze»,
Luigi Chiatti, l’assassino di Foligno e l’assassino di prostitute, in Piemonte, Giancarlo Giudice.
25
quotidiani con titoli e articoli dal tono inquietante. Da subito, infatti, si poté
nel mondo delle prostitute», «Panico sui treni dopo il nuovo omicidio del serial -
Killer», «Una mercedes 190 blu notte si aggira nella Liguria seminando terrore»,
«La calibro 38, una pistola abbastanza comune, colpisce con precisione».
Visto il reiterarsi dei delitti, molte furono le ipotesi avanzate tra cui se vi
congiunta di più individui o di una guerra tra bande per il controllo della
che solo una parte delle vittime fosse legata ad ambienti criminali, rese il lavoro
mistero attorno all’intera faccenda, fino a quando un nome tra tanti sembrò
Chi era Donato Bilancia? Dai giornali e dai servizi TV emerge l’identikit
mostrandolo nudo alle cuginette; anche in età adulta Bilancia aveva vissuto
Bilancia aveva lavorato per poco tempo per un’assicurazione e poi aveva
26
incominciato a guadagnarsi da vivere con espedienti di ogni tipo dalle rapine in
banca a quelle di appartamenti e ville, attività illecite che gli garantivano, però, un
somme di denaro. Prima che il suo nome fosse abbinato agli omicidi del “treno”,
nella sua fedina penale si poteva leggere una denuncia per tentato stupro nei
confronti di una commessa e una denuncia per minaccia di morte con una calibro
38.
rivelerà un vero e proprio serial killer; attraverso stralci di articoli apparsi, prima
colpisce per la dimensione del carattere del titolo, che sembra invitare alla lettura,
e per alcune affermazioni come quella relativa alla «dinamica della duplice
47
In «Corriere Mercantile», del 28 ottobre 1997.
27
esecuzione» che, suggerendo l’idea di un omicidio ben programmato, suscitano
dei media, che gli diedero particolare risalto. Tanto clamore, tuttavia, si spense
48
M. DI SALVO, Omicidio alla casa del boia, in «Il Secolo XIX», del 2 novembre 1997.
28
Freddato con due colpi per meno di dieci milioni.
Nessun indizio.
VENTIMIGLIA- Ancora sangue in Liguria. Dopo i
delitti di Genova, un omicidio a Ventimiglia
altrettanto feroce. Questa volta è toccato a un
cambiavalute: ucciso con due colpi di grosso
calibro per un bottino che dovrebbe essere
inferiore ai dieci milioni. Luciano Marro, 48
anni è stato assassinato come in un brutto film
[...]. Due colpi. Ma forse, prima della
colluttazione, è comparso un coltello: lo
farebbero pensare alcune ferite sulle mani della
vittima [...]. Degli autori del colpo si sa poco,
per non dire niente. [...]. L’uomo è stato
trovato a terra, in un gran lago di sangue [...].
Colpo da sbandati? Da tossicomani? Da malavita
albanese? L’assassino è arrivato dalla Francia?
Domande senza risposta. Scavando un po’ più a
fondo, si scopre che un minimo di preparazione al
colpo c’é stata. [...]. Gli hanno sparato due
volte anche se è chiaro che dopo il primo colpo -
in pieno petto il cambiavalute era già spacciato:
lo testimonia un lungo schizzo di sangue, davanti
alla cassaforte. Perché sparargli allora anche
alla schiena? Quindi l’assassino ha ucciso
apparentemente senza motivo, non certo per la
paura di essere scoperto: tra il delitto e
l’allarme è passato anzi quasi un quarto d’ora.
[...].Tutto fa pensare a una rapina finita male,
a un pazzo dal grilletto facile che gira con la
"38" in tasca. Colpirà ancora? ...49.
teorie, sospetti, indizi e, soprattutto, tanti interrogativi che, restando lettera muta,
che vi sia una connessione tra i delitti del treno, degli orefici e quello di Roberta
Neri, una donna che aveva piazzato dei videopoker a Genova. Spunta il nome di
49
F. LANTERI, Freddato con due colpi per meno di dieci milioni. Nessun indizio, in «Il Secolo
XIX»,del 15 novembre 1997.
29
Parenti50, un boss del Ponente genovese legato al giro delle scommesse
spaventata e i servizi giornalistici, che si erano occupati dei tre delitti, erano
media i quali, a loro volta, non si preoccuparono per aumentare i propri lettori e il
inquietante.
50
«Un boss del Ponente dietro le esecuzioni a Genova e in Sardegna. La questura nega un legame
tra i fatti di sangue. Ma la Criminalpol segue proprio questa ipotesi di lavoro. E i carabinieri
individuano le "macchinette" di Parenti».
30
appunti la coincidenza che per ora è solo
tale...51.
sospetta” per attirare l’attenzione del lettore e suscitare in lui un vivido senso di
attesa; il sottotitolo, poi, che insinua una connessione col delitto degli orefici,
aumenta la suspense e sembra teso a far crescere la curiosità del lettore. Tra tante
supposizioni, però, emerge una sola certezza, ovvero che l’arma utilizzata è una
IL DELITTO DELL’AUTOSTRADA.
Ritrovato tra Arenzano e Cogoleto il cadavere di
una sconosciuta avvolto in plaid.
Uccisa a botte e gettata dall’auto
Unico indizio un tatuaggio e una pista che
conduce a Verona. Il corpo della vittima è
segnato da vistose ecchimosi ma, per il momento,
resta ancora qualche incertezza sulle cause della
morte. Con ogni probabilità il corpo è stato
abbandonato durante la notte.
GENOVA. L’hanno trovato in un canale di scolo, a
due passi dal guardrail dell’autostrada. Avvolto
da capo a piedi in un copriletto a fiori,
sdrucito e liso c’era il corpo senza vita di una
donna. Trentacinque - quaranta anni, maglione
nero e fuseaux multicolore, né scarpe, né calze.
Era bruna, giovane, e magra, con le unghie curate
e nessun segno che possa ricondurla al mondo
disperato e terribile della droga. Nessun
documento e una sola traccia, un tatuaggio sul
polso della mano sinistra: «Amo Pippo», e una
data quella del 10 maggio ‘84. E’ stata una
telefonata a mettere la polizia sull’avviso
[...]. E’ una piazzola quasi nascosta, che si
apre all’improvviso tra i due tunnel, luogo
appartato, teatro di mille incontri clandestini e
di buchi clandestini. [...]. C’è il cadavere di
una donna lì sotto col volto tumefatto e una
profonda ferita che le attraversa la fronte.
[...]. Sono tutti convinti che sia un omicidio.
[...] non c’è un foro di proiettile, non c’è il
taglio di lama. Unico di sospetto, quello di un
brutale pestaggio. Una feroce punizione, avvenuta
51
M. MENDUNI, Il delitto dell’ascensore, in «Il Secolo XIX», del 30 gennaio 1998.
31
lontano, chissà dove. Poi [...] il timore di un
nuovo omicidio che insanguina Genova. Il numero
sei degli ultimi tre mesi, una catena di sangue
che non ha ancora una sola risposta. Il duplice
delitto di piazza Cavour, il massacro dei due
anziani orafi di via Monticelli. E ancora il
metronotte Giangiorgio Canu , freddato con un
colpo alla testa in un ascensore del ricco
quartiere di Castelletto .Ora, e pare davvero
un’altra storia, il cadavere misterioso ritrovato
in una squallida piazzola di autostrada...52.
il punto della situazione ricordando che dall’ottobre ‘97 al 3 febbraio del ‘98 sei
morti hanno colpito la Liguria, finita al centro di una spirale omicida che non
52
In «Il Secolo XIX», del 10 marzo 1998.
32
a terra, praticamente tutto concentrato alla base
del cranio [...].
Il giallo, insomma, è terribilmente intricato.
[...] Forse, qualche risposta potrà fornirla
l’autopsia in programma oggi a Savona...53.
Arenzano e Cogoleto. Alcuni particolari, come la coperta posata sul corpo della
Bazzoni.
Siamo alla fine di febbraio ‘98: tre prostitute sono state uccise. I giornali
riportano con dovizia di particolari i delitti e sul fatto che esiste ormai la certezza
di un legame stretto tra tutti e tre i casi: stessa arma, stesso tipo di proiettile, stessa
53
M. CALANDRI, Riviera della morte, in «la Repubblica», del 30 marzo 1998.
54
F. PIN, Uccisa con un colpo alla testa. Torna il killer delle prostitute, in «Il Secolo XIX», del 5
aprile 1998.
33
modalità d’esecuzione. Oltre a ciò le tre vittime sono tutte ragazze di bell’aspetto.
L’idea che si tratti di un unico pluriomicida prende sempre più campo nelle menti
sospetti. Dopo tante morti femminili, però, ecco che una nuova uccisione, quella
del movente. Il fatto che Cartisano fosse un pregiudicato, e per di più con
su tutte), vendetta, personale, una donna la causa. Nel merito la polizia non si
profila l’idea di un gruppo che mira al totale domino di questo commercio o crisi
55
M. PREVE, Con due colpi di pistola, In «Il Lavoro», suppl. di «la Repubblica», del 10 aprile
1998.
34
tra i componenti dello stesso. I giornali indugiano sui particolari più macabri
catena di delitti non sembra riuscire a trovare un movente che regga o, ancora
Liguria sembrava poter trovare una qualche risposta, la morte dell’anziana Rossi
sembra del tutto inspiegabile. L’arma è un coltello, non più una pistola, la vittima
un’anziana non più una prostituta né tantomeno qualcuno legato al mondo della
35
A Pietra Ligure è stato trovato il cadavere di un
albanese di 21 anni. La scia di sangue iniziata
nel febbraio del ‘97
Un assassino per sei lucciole
Anche Kristina uccisa con una P 38.
Un maniaco o il racket?
PIETRA LIGURE. Il brigadiere ha scavato con le
mani nella terra fresca, e delicatamente ha
estratto un proiettile. Di calibro 38,
naturalmente. E’ quello che lunedì notte, ha
ucciso Kristina Valla, 21 anni, prostituta
albanese trovata cadavere ieri nelle campagne di
Pietra Ligure. Costretta ad inginocchiarsi ai
piedi di un ulivo e "giustiziata" con un colpo
pistola alla nuca: come Stela, Ljudmila, Tessy.
Kristina è la quarta ragazza di strada ammazzata
in meno di un mese, lungo la Riviera Savonese:
con un’arma apparentemente uguale, e un rito
ossessivamente ripetitivo da costringere Rodolfo
Venezia, questore di Savona, ad ammettere che
«quella del serial killer è l’ipotesi
investigativa più probabile». Qualcuno già
disegna un identikit del presunto «giustiziere»:
un uomo tra i cinquanta e i sessant’anni, vestito
elegantemente, al volante di un’auto di grossa
cilindrata. [...] Un solo «giallo» è stato
risolto: quello di Anna Giunti, sgozzata nel suo
monolocale di Andora da un cliente [...] Dicono
che Kristina fosse stata legata sentimentalmente
ad un pregiudicato albanese [...]. L’ipotesi
potrebbe sposarsi con tre degli ultimi omicidi:
quello di Stela Truya […] LJudmila Zubkova […] e
di Kristina, appunto. Ma il teorema crolla
davanti al quarto delitto, quello del 29 marzo:
Tessy Adodo aveva 28 anni, era nigeriana e solo
saltuariamente divideva la strada giovani
albanesi...57.
non viene ancora del tutto abbandonata. Sebbene non ci siano ancora prove
insistenza nei propri lettori e nel proprio pubblico l’idea che a commettere la fitta
57
In «Il Corriere Mercantile», del 16 aprile 1998.
36
serie di omicidi sia un unico omicida, un serial killer, per l’appunto. Ed è
soprattutto nella scelta dei titoli, del tipo «Dopo l’ultimo omicidio, caccia aperta
al serial killer delle lucciole. Scatta il terrore» che i giornalisti, puntando sulla
migliaia di lettori. Gli elementi del miglior thriller ci sono tutti: l’anonimo e
clima di paura tra i cittadini, d’altro canto sembrò voler rassicurare sul fatto che se
esisteva un “mostro”, questo sceglieva le sue vittime tra coloro che vivevano ai
margini e che, dunque, gli onesti cittadini non avevano nulla da temere58.
L’idea che fosse stata un’unica mano a commettere gli omicidi si impose
alle menti degli inquirenti soprattutto per il fatto che le tecniche utilizzate erano
sempre le stesse e, soprattutto, per la presenza quasi costante di una calibro 38. Si
prostitute che per la ragazza uccisa sul treno che percorreva la tratta Genova -
L’omicidio della donna uccisa sul treno è, in ordine cronologico, uno degli
58
Interessante a tale proposito il reportage dal titolo «Viaggio tra le prostitute che si sentono
sempre meno sicure. Quelle vite a rischio».
37
quarto sul treno ad Albenga, dove si era recata per rendere omaggio alla salma di
uno zio morto, due ore dopo ne era stato ritrovato il cadavere nella toilette del
treno. La donna era stata uccisa con un colpo di pistola alla testa.
uccisioni che per due anni avevano gettato la Liguria nel terrore; in quest’ultimo
Bilancia, ben presto, finì in prima pagina. Il “mostro”, insomma, era stato
catturato.
59
In «Il Secolo XIX», del 20 aprile 1998.
38
CAPITOLO II
DONATO BILANCIA
tipo sociale che possono essere individuati alla base di una trasformazione da
circonda. Può accadere, infatti, che, pur senza giungere a specifiche punizioni, la
60
S. HALLER, Gli aspetto criminologici della devianza criminologica, in A. QUADRIO, A. M.
CLERICI, M. SIMIONATO (a cura di), Psicologia e problemi giuridici, Giuffré, Milano, 2000, pp. 147
– 148.
39
più la frattura fra il “diverso” e il resto del gruppo stesso. Questo tipo di dinamica
calarsi abitualmente e stabilmente nel ruolo di “emarginato”, che per il resto della
discosta dalla norme di un gruppo e che, oltre al discredito per l’individuo che lo
talmente tante e numerose definizioni che riguardano i vari tipi di devianza che
unico sistema per avere un quadro più chiaro della situazione: esistono – secondo
Nella prima categoria rientra l’individuo che contrasta con le norme relative al
l’eretico, il traditore); nella terza l’individuo che infrange le norme giuridiche (ad
40
valori culturali dominanti (ad esempio il punk, lo skean - head, il tossicomane, il
barbone)61.
atti devianti, basandosi sulla distinzione tra accettazione o rifiuto delle mete e
delle norme proprie di una cultura, distingue cinque modi di adattamento alla
dell’accettazione o meno dei mezzi leciti necessari per raggiungere gli obbiettivi
l’unica risposta non deviante, comporta l’accettazione sia delle mete di una
un primo tipo di devianza. Essa, infatti, comporta l’accettazione sia delle mete di
una società che dei mezzi istituzionalizzati per raggiungerli. L’innovatore usa
tecniche o sistemi nuovi, spesso non legittimi, per ottenere la ricchezza (è spesso
criminale).
regole alla lettera e finisce per soffocare ogni iniziativa sotto un mare di cartaccia,
rischiando, così, di perdere di vista l’obbiettivo finale del suo compito, ovvero il
profitto. La rinuncia consiste nel rifiuto sia delle mete che dei mezzi. Troviamo in
61
Per un approfondimento si veda S. DINITZ, R. R. DYNERS e A. C. CLARKE, Deviance, Oxford
University Press, New York, 1969.
41
comporta il rifiuto sia delle mete che dei mezzi che vengono però sostituiti con
un tentativo di risposta alle richieste della società; il ladro, ad esempio, non rifiuta
il successo finanziario, anzi lo persegue con lo stesso entusiasmo del giovane che
parte dal presupposto che le cause della devianza siano di origine sociologica;
come vedremo in seguito esistono numerose altre ipotesi circa le cause che
generano la “devianza”, ma a questo risulta più utile alla fine della nostra
trattazione sottolineare il fatto che esiste anche una netta distinzione tra atto
costituisce una categoria speciale di comportamento che viola norme basilari della
Anche in questo caso, a seconda del tipo di norma che è stata infranta, si
quelli che infrangono le norme giuridiche e, infine, quelli che infrangono le norme
62
R. MERTON, Teoria e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, 1966.
63
A. K. CLOWARD e L. E OHLIN, Teoria delle bande delinquenti in America, Laterza, Bari, 1968.
42
Da questa categorizzazione appare evidente che non sarebbe corretto
deviante, dall’altro determina, nei confronti della persona definita in tal modo, un
processo di rifiuto sociale che può arrivare a sfociare in misure informali quali il
la condanna e l’incarcerazione64.
delinquenza non sono una realtà a sé stante, ma una realtà costruita socialmente;
“devianza” e contesto sociale, e, infatti, fu solo intorno alla metà del XIX secolo,
indusse gli studiosi a tentare di individuare quali altre caratteristiche del sistema
43
relazione. Prima di passare all’analisi diretta del caso Bilancia, dunque, ci pare
per il punto di partenza, offrono una base teorica fondamentale per tentare di
Tra la pletora di teorie a riguardo - tra cui ricordiamo quella che individua
44
trattazione quelle teorie che considerano la delinquenza come un insieme di
ritengono che l’individuo sia, innanzitutto, mosso da istanze sociali più che
interpersonali, dalle interazioni con gli altri. La personalità, in altre parole, non
interpersonali che si organizzano nella vita umana. Tra i tanti teorici che
un processo, in gran parte inconscio per il soggetto, che dura tutta la vita, ma che
trovarono anche in Melanie Klein un’appassionata teorica. Se da una parte la psicoanalisi ha
dimostrato che anche le azioni colpose, non intenzionali, in verità sono ben motivate, dall’altra
parte ha rilevato che i motivi «reali» del delitto possono essere diversi dai motivi «apparenti» e che
non vi è necessariamente omogeneità tra il tipo del delitto ed i motivi che lo provocano. La
psicoanalisi quindi ha permesso di superare alcuni pregiudizi relativi al delinquente ed ha fornito
contributi illuminanti sulla motivazione di alcuni delitti: essa tuttavia non permette di capire le
cause della delinquenza in generale né di affrontare i principali problemi della criminalità. Per un
approfondimento si rimanda a: F. ALEXANDER – H. STAUB, Il delinquente, il suo giudice e il
pubblico, Giuffrè, Milano, 1948; T. REIK, L’impulso a confessare, Feltrinelli, Milano, 1967 (Ia ed.
1945 – 1959); M. KLEIN, Angoscia e senso di colpa, in Scritti 1921 – 1958, Boringhieri, Torino,
1978 (Ia ed. 1930); S. FREUD, I delinquenti per senso di colpa, in S. FREUD, Alcuni tipi di carattere
tratti dal lavoro psicoanalitico, in Opere di Sigmund Freud, Boringhieri, Torino, 1976 (Ia ed.
1906), vol. VIII, pp. 651 – 652.
45
trova una tappa fondamentale sul finire dell’adolescenza poiché successivamente
di fondo da parte delle figure parentali e di altre figure significative nei confronti
convincimento di aver messo al mondo una «pecora nera», in seguito dai suoi
insegnanti e dai suoi educatori che lo classificano tra gli scolari cattivi, i soggetti
delinquente abituale68.
anche qualche gratificazione perché trova in essa dei vantaggi compensatori (non
assumere una serie di condizioni dalle quali per lui risulta più facile derivare un
che meno si vorrebbe (ma si teme e ci si aspetta) che lui divenga (cioè un
68
E. H. ERIKSON, Gioventù e crisi di identità, Armando, Roma, 1974.
46
delinquente, un criminale) anziché lottare per un sentimento di realtà in ruoli
accettabili che però appaiono irraggiungibili. In tal modo, l’individuo che si sta
antisociali per trovare un’approvazione, una consistenza che gli è rifiutata dal
resto della società. È dunque attraverso un complesso sviluppo psico - sociale che
citiamo, uno dei primi, la sociologia fenomenologica che, avendo una finalità
nel cui ambito tali fatti si verificano. In generale si considera che l’aumento della
criminalità si accompagni alla crisi della cultura contadina. Quanto alla tipologia
risulta che i delitti contro il patrimonio e, tra questi, il furto, sono quelli più
69
N. MAILLOUX, La personalità del delinquente anormale e la ricerca contemporanea, in
«Archivio di psicologia neurologia e psichiatria», (1962), anno XXIII, 2; ID., Delinquenza e
ripetizione compulsiva, in «Archivio di psicologia neurologia e psichiatria», (1964), anno XXV, 1.
70
S. HALLER, op. cit., in cit., p. 160.
47
Altro indirizzo è quello delimitato dalla cosiddetta “teoria delle aree
affronta il problema della criminalità secondo una prospettiva ecologica per cui, in
importante nella genesi della criminalità, almeno nelle modalità che si realizzano
in rete.
culturali di una società ed irregolarità dei suoi membri. Secondo tale prospettiva i
che espone gli individui al rischio della condotta criminosa. Secondo questa
perdita di efficacia degli abituali sistemi di controllo sociale che, confluendo nel
concetto di «cultura», causa l’insorgere del conflitto fra i sistemi culturali diversi e
71
Ricordiamo che tale teoria venne formulata per la prima volta dalla Scuola di Sociologia di
Chicago e che pose in crisi il modello sociologico classico fino all’epoca imperante. Cfr. A. DAL
LAGO, op. cit., pp. 91 – 103; per la Scuola di Chicago in particolare si veda U. HANNERZ,
Raccontare la città, Il Mulino, Bologna, 1993.
48
una società dove i valori sono profondamente diversi e, spesso, anche in forte
contrasto con i loro; conseguentemente a ciò tali soggetti vedono posti in crisi i
interpersonale con altri individui già criminali. Esiste, cioè, una sorta di
persone con le quali si viene a contatto e con il genere della loro cultura: tale
senso opposto, a quello tramite il quale si apprende il rispetto delle norme legali.
Discorso del tutto simile può essere fatto per le teorie della “identificazione
49
momento storico ed è tale da poter essere considerata in qualche modo funzionale
al miglioramento e allo sviluppo della società; uno dei fattori preponderanti nei
provoca uno stato di eccessive aspirazioni che non tutti possono realizzare. Questo
infrazione74.
mete sociali prescritte e le norme che regolano l’accesso a tali mete) e la struttura
74
Durkheim, cercando all’interno stesso dei fattori sociali i principi analitici (non derivandoli
quindi da formalizzazioni quantitative né da costanti biologiche o antropologiche) riuscì a
costruire una prima interpretazione sociologica dei fenomeni di devianza nella società industriale e
riuscì a superare le debolezze insite nelle prime teorie sociologiche, che cercavano di descrivere il
rapporto tra ordine e disorganizzazione sociale (come nel caso della statistica morale), e delle
teorie criminologiche, antropologiche o positiviste, le quali si erano rivelate incapaci di produrre
un modello complessivo di società. A. DAL LAGO, La produzione della devianza, Ombre Corte,
Verona, 2000, p. 65.
75
É. DURKHEIM, Il suicidio, UTET, Torino, 1969
50
Per Merton, invece, l’anomia non è relativa soltanto a periodi di
costante del sistema sociale di tipo americano la cui meta è il successo economico
gruppi favoriti in partenza. Tale teoria, però, che di fatto è applicabile a tutti i tipi
società o in determinati gruppi sociali siano presenti una certa quantità e un certo
tipo di delinquenza76.
teorici pongono come premessa il fatto che le norme e la loro applicazione non
teorie relative al crimine non cercano più di comprendere perché gli individui
delinquenza viene definita, prodotta e utilizzata dalla società e dal potere. Gli
76
S. HALLER,
op. cit., in cit., pp. 163.
77
Si veda su questo punto lo studio condotto da S. HESTER – P. EGLIN, Sociologica del crimine,
Piero Manni, Lecce, 1992, pp. 31 – 63.
51
studiosi che più di altri diedero un notevole impulso a questo nuovo approccio di
Erikson78
indirizzo il criminale altro non è primariamente se non colui che viene definito
«etichettato» come tale dalla società o meglio ancora dagli organi ufficiali di
controllo79.
mette in atto questo dato comportamento, e i membri della società che ne vengono
alle norme del gruppo. L’autore, partendo, dal presupposto che la devianza non è
78
S. CIAPPI – S. BECUCCI, op. cit., pp. 66 – 75.
79
S. HALLER, op. cit., in cit., p. 164.
52
cui infrazione costituisce la devianza, arriva a definire deviante « un soggetto al
Becker «una transazione che si attua tra un gruppo sociale ed un individuo che è
stigmatizzazione e di esclusione.
del deviante che, a suo dire, va intesa come una sequenza di movimenti da una
interesse verso la persona che commette un solo atto deviante, bensì nei confronti
tempo e che fa della devianza un modo di vita. La prima tappa di una carriera
deviante consiste, quindi, nel compiere un atto che viola una certa norma senza la
80
H. S. BECKER, Outsiders, The Free Press, New York, 1967; anche ID, The other side, The Free
Press, New York, 1966.
53
quali in qualche modo entra in relazione. L’etichetta di deviante, o come lo
come era considerato, non è più meritevole di far parte della società, viene
rigettato da essa, gli vengono vietati gli accessi alle occupazioni legittime e viene
quindi spinto di necessità a continuare nella strada appena iniziata perché altre
strade gli sono, di fatto, precluse. La terza tappa si verifica allorché il soggetto, in
oppure vi partecipi già: questo momento interviene dopo una profonda crisi di
pur essendone l’autore, non riconosce come proprio o meglio considera estraneo
al proprio Io, mentre la secondaria investe quei casi nei quali il soggetto
81
E. GOFFMAN, Stigma. L'identità negata, Laterza, Bari, 1970.
82
E. M. LEMERT, Devianza, problemi sociali e forme di controllo, Giuffré, Milano, 1981.
54
deviante secondario sarebbe, per Lemert, una persona la cui vita e la cui identità
perché il soggetto che si conforma alle norme trovi in essa un termine di paragone
negativo e la conferma del proprio status di cittadino che è «nel giusto»; dall’altro
valori col timore che i suoi rapporti interni possano venire modificati
sociale per il male commesso, col vantaggio di non fare percepire come devianti
55
altre condotte, parimenti dannose per la società, ma che sono proprie delle classi
provenienza sociale. Anche Shoham rileva che lo stigma del crimine ha differenti
effetti sui criminali provenienti da diverse classi sociali. Sia la magistratura che la
all’origine etnica, e non solo al reato o alla personalità del delinquente: le norme e
83
S. HALLER, op. cit.,
in cit., p. 167.
84
Per M. LE BLANC,
La réaction sociale a la delinquence juvenile. Une analyse stigmatique, in
«Acta criminologica», (1971), 4, p. 113; per S. SHOHAM, Labelling deviant behaviour, Happer and
Row, New York, 1981.
56
considerato dalla società e trattato come delinquente solo colui che è stato
concretamente punito, non colui che non è stato raggiunto dalla azione punibile
appaiono statisticamente significativa col reato. Questo lavoro è stato fatto sia da
eziologico, mentre per altri non hanno saputo dimostrare il ruolo causale86.
perché i fattori rilevante portino a delinquere; i loro risultati, dunque, non vanno
85
S. HALLER, op. cit., in cit., p. 167.
86
E. GLUECK e S. GLUECK, Nuove frontiere della criminologia, Giuffrè, Milano, 1971; S. DINITZ, R.
R. DYNERS e A. C. CLARKE, Deviance, Oxford University Press, New York, 1969.
57
interpretati in chiave etiologica ma possono offrire utili elementi per la diagnosi e
possono essere distinte in due categorie: quelle che studiano la devianza primaria
causa della devianza primaria e dei motivi che hanno condotto l’individuo alla
della criminalità in certi periodi storici, in quanto tali fluttuazioni sono spiegabili
58
sociale postulato come ottimale e turbato così dalla malattia come dalla
che rispondono al senso comune e alla generale esperienza umana, non essendo
individuali e fattori ambientali che può ben essere espressa dalla seguente
inversa, nel senso che l’ambiente sociale può favorire il comportamento criminale
attraverso un’ottica nuova, un’ottica che tenga conto di tutti quei fattori che
59
comprendere quanto abbia influito il contesto familiare o culturale nel quale
questo serial killer si è ritagliato il proprio spazio. Secondo Dal Lago «nella
pare interessante inserire un terzo elemento di analisi, ovvero i media, nel senso
“mostro” mediatico.
La ricerca alle radici del «male» ha, da sempre, costituito uno fra i
problemi che hanno più angustiato l’uomo, un problema cui sono state date
secoli scrittori e filosofi furono attratti dal fenomeno criminoso come entità
naturale ancor prima che giuridica: Platone considerava il crimine come sintomo
irrazionale del crimine, San Tommaso, pur attribuendo alle passioni umane la
maggior parte dei crimini, non trascurò di considerare la miseria quale fattore
60
sfondo sociale ed economico. Oggi, le teorie criminologiche – raccogliendo
innumerevoli crimini non può più essere considerato solo un uomo portato al
“deviato” per l’appunto. Oltre a ciò, grazie allo stretto rapporto esistente tra
Ovvero, siamo in grado di sapere chi sia Donato Bilancia e cosa sia realmente
distorcere la realtà ed è noto che «la cronaca nera si occupa eccessivamente del
eclatante.
Alla luce di quanto detto, dunque, partendo dalla carta stampata - e più
61
dell’omicida genovese, tentando, questa volta, di evidenziare in che modo i
professionisti del settore abbiano fatto sì che Bilancia e paura diventassero per i
All’inizio del caso, quando ancora il volto e il nome del pluri - omicida
non erano altro che uno tra i tanti possibili, i giornali cominciarono a trattare
nonostante fossero numerosi gli interrogativi che non potevano ancora trovare
comune: si trattava di paura91, una sensazione sulla quale i mass – media capirono
di poter indugiare. Era ovvio, infatti, che ci si trovava di fronte a uno di quei casi
che potevano far aumentare notevolmente la tiratura dei giornali. I mass media,
allora - che avrebbero naturalmente potuto adottare diversi approcci - optarono per
quello più clamoroso, e iniziarono a registrare, passo dopo passo, i misfatti del
91
In psicologia la paura viene definita «è un’emozione che colpisce in misura variabile ogni essere
umano lasciando molto spesso delle tracce indelebili nella sua mente, tracce che possono
riemergere in forma più o meno drammatica sia a livello cosciente che nei sogni. La paura è
un’emozione che può generare dei grossi problemi di adattamento e che in casi estremi può dare la
morte alla persona che ne è vittima….». A. OLIVERIO FERRARIS, Psicologia della paura,
Boringhieri, Torino,1980, p. 13.
62
della gente alla vigilia del week - end
festivo, un lungo ponte che parte da oggi,
vigilia del 25 aprile. Si sa, lo conferma la
lunga scia di delitti, che il killer delle
donne ama uccidere proprio nei giorni di festa
o in quelli che li precedono. E così è allarme,
in Liguria. Magistrati e investigatori, ieri,
hanno vissuto un’altra giornata di vertici, di
incontri. Alla fine, la prima novità. La
pistola che, nel febbraio di un anno fa, uccise
Donika, prostituta albanese nella piana di
Albenga, sarebbe una 38 compatibile con quella
usata dal killer delle donne. L’avrebbero
confermato gli esami balistici. Nulla di più,
svelano gli investigatori. Sono molte le
schegge che potrebbero portare all’assassino.
Sette identikit, intanto, per cercare di
anticiparlo e bloccarlo. Ma uno viene, per ora,
considerato più importante degli altri. Ha il
volto di un uomo di mezz’età, 50 – 55 anni,
capelli lisci, portati da un lato, occhi
segnati. Lo ha descritto così Lorena, il viado
sudamericano ferito a Novi Ligure la notte del
24 marzo, quando a morire sono stati due
metronotte, giustiziati con un colpo di
pistola, calibro 38, perché accorsi alle sue
urla. Lorena, il viado, è il testimone più
prezioso, per il momento. L’uomo che Lorena ha
descritto sarebbe stato riconosciuto, sabato
notte, da una prostituta di Genova, in via
Gramsci. Straniera anche lei, nigeriana. Era
strano, quel cliente, a bordo di una Mercedes
scura, la donna si è spaventata, non è salita.
Sempre Lorena, il viado, dovrebbe aver visto la
foto di S. L. il commerciante di 43 anni,
fermato l’altra sera alla Spezia, riconosciuto
da un’altra prostituta, nigeriana che era stata
costretta da lui a un rapporto sotto la
minaccia di una pistola, calibro 38, e poi era
stata rapinata. L’arresto, chiesto dal pm
spezzino Silvio Franz, è stato convalidato dal
gip, Diana Brusacà, per rapina e violenza
carnale. Ci sono sospetti, l'uomo potrebbe non
avere un alibi per la catena degli otto
delitti. Per ora, comunque, nessuno lo collega
al killer.
Molti i particolari inquietanti nella vita di S.
L., molto alto - 1 m e 85, 1 metro e 90; robusto,
cintura nera di karatè, capelli scuri e
brizzolati. Lui, fermato a bordo di una Opel
bianca, ha un fratello che potrebbe avere a
disposizione una Mercedes scura. Si pensa subito
ad un collegamento possibile con il serial killer
63
ma gli investigatori, poco dopo precisano che il
rapinatore fa parte di un altro dossier. Non
c’entra con il killer delle donne. Intanto, la
caccia dell’assassino, fa finire in carcere a
Genova, Sergio Truglio, 34 anni, operaio. Due
lucciole albanesi lo hanno riconosciuto come
l’uomo che, durante le feste di Pasqua, le ha
aggredite e violentate, minacciandole con un
coltello. Sono soddisfatti gli investigatori,
perché le ragazze extracomunitarie, hanno
superato il timore di essere rispedite in patria,
e parlano. Si sono coalizzate contro chi le
uccide. Uccide loro le ragazze dalla vita normale
come Maria Angela Rubino, l’ultima vittima92.
predominare in tutta la vicenda. Si trattava della “paura” più volte citata e dei suoi
nel senso che pareva voler rinfrancare quante non appartenessero a quel mondo e
universo parallelo, una dimensione dove le persone “normali” non avessero nulla
che lo firmano si spingono oltre e, alla fine, quando ormai pare indubbio che il
in nessun racket, non è una prostituta ma una donna normale, una come tante.
Ecco, allora, che i due professionisti della penna si trasformano in due abili
92
M. PREVE – W. VALLI, L’assassino del metronotte al centro dell’inchiesta, in «La Repubblica»,
del 24 aprile 1998.
64
venditori, due venditori di “paura” aiutati, in questo, da una lunga tradizione che
indissolubile94. Parole come sfiducia e paura sono diventate delle realtà che
le città, pura restando «una unità di luogo» corrispondono sempre meno «ad
un’unità di tempo» per cui la città «si polverizza in una eterogeneità di regime e di
di “paura nella città”, immagini, come scrive la Landuzzi, «facili da proporre alle
93
In realtà le considerazioni critiche nei confronti del vivere urbano risalgono ai primi del XIX
secolo quando la crescente industrializzazione e l’immigrazione dalle campagne alle città,
portarono ad una vera e propria sfiducia e indifferenza, se non quando rifiuto, nei confronti delle
città. Dalle analisi di Booth, di Malthus e di Engels emersero i carattere di invivibilità che
contraddistinguevano le metropoli di allora, mentre M. White delineò una città dannosa alla salute,
alla libertà, alla morale degli uomini (per un approfondimento a riguardo, G. AMENDOLA, La città
postmoderna. Magie e paura della metropoli contemporanea, Laterza, Bari, 1997).
94
Douglas parla di rischio come forme di simbolizzazione presente in ogni società, non solo
nell’attuale e aggiunge che esso costituisce una presenza necessaria alla formazione stessa della
cultura sociale. M. DOUGLAS, Come percepiamo il rischio, Feltrinelli, Milano, 1991, p. 8.
95
C. LANDUZZI, L’inquietudine urbana, Franco Angeli, Milano, 1999, p. 9.
65
ansie dei nuovi ceti urbani in lotta per conservare reddito e status nella
Col caso del serial killer ligure, dunque, i giornalisti non fecero altro che
cavalcare un’inquietudine latente, già presente nel tessuto urbano nelle sue
dell’iceberg. Bilancia, infatti, divenne una tra le tante «presenze inquietanti che
Durante i delitti liguri, quindi, prima che gli inquirenti giungessero alla
progressivo aumento di insicurezza. Nei vari articoli apparsi sui quotidiani, infatti,
gli aspetti pericolosi della vita non vennero collegati, solo ed esclusivamente, alla
possibile, il proprio stile di vita, evitando, per iniziare, col prendere il treno o a
96
Ibidem, p. 10.
97
Ibidem, pp. 10 – 11.
98
A. BOLLONI – R. BISI – R. SETTE, Criminalità e devianza: sfida per la sicurezza e la qualità della
vita, in Dipartimento di Sociologia – Università di Bologna (a cura di), Parabole sociale tra
certezze e incertezze, Franco Angeli, Milano, 1998.
66
alla fine ha rinunciato alle ferie ed è tornata
come ogni giorno dietro alla sua scrivania in un
ufficio della Provincia. A spaventarsi non è
stata lei ma la sua compagna di viaggio: «Sua
madre vede troppi telegiornali» dice seccata. Al
momento di fare le valigie è scoppiata in lacrime
e non ha smesso finché la figlia non le ha
promesso di disdire la vacanza. La sindrome del
mostro cambia le abitudini dei genovesi?
L’abbiamo chiesto per strada, alla stazione nei
negozi del centro. Per molti è un argomento
lontano dicono di aver letto sul giornale, di
aver sentito alla Tv ma «paura» no, basta un po’
più d’attenzione a chi siede accanto e ad ogni
costo sfuggire i viaggi solitari. Donatella
lavora a Celle, vive a Boccadasse ed è una
pendolare a tutti gli effetti. Fa la commessa in
un negozio di vestiti ed «il treno della paura»
le tocca prenderlo due volte al giorno, compresi
i sabati, e ogni tanto la domenica mattina, anche
volendo le sue abitudini non le può proprio
cambiare: non ha la patente né la macchina. La
paura? «Beh, rido di me stessa – confessa - ma
quando lo scompartimento resta un po' troppo
vuoto non sono affatto tranquilla». Qualcuno a
sentirsi chiedere del killer scoppia in una
risata: «Quei mostri dei miei colleghi li
incontro ogni mattina!». Altri addirittura si
impauriscono sentendosi fermare alla stazione.«E'
curioso», dice Elisa, aspirante commercialista
appena scesa da un Intercity proveniente da
Rapallo, dove lavora presso uno studio - «prima,
salendo sul treno, camminavo a lungo prima di
sedermi, cercavo il posto più riservato,
camminavo fino alla prima carrozza. Ora non lo
faccio più, a costo di stare in piedi me ne sto
al centro». Sara lavora nel porto antico e vive a
Sestri Levante. Molto spesso prima si fermava un
paio d’ore dopo il lavoro per chiaccherare con
gli amici di fronte ad un aperitivo. Adesso no,
si mette d’accordo con le sue colleghe e prendono
tutte insieme lo stesso treno, «nessuno dice
apertamente perché, ma è ovvio .... prima
succedeva di rado che fossimo tutte sullo stesso
treno». Paola, fa la sociologa, ed è un
giramondo. Lavora spesso all'estero, gira in
treno ed in aereo. In molti - racconta - le
invidiano il lavoro, sempre in giro, in una
settimana tre Stati, ma adesso, «se vedo qualche
persona che mi piace poco sussulto, poi dico che
no, non può essere, figuriamoci se queste cose
possono capitare proprio a me».Paola è bionda e
porta i capelli legati dietro la nuca, o meglio
67
li portava così: «se li sciolgo sembrano più
chiari, ho letto che il mostro preferisce le
brune». Sonia ha aperto un negozietto d’oggetti
d'antiquariato nel centro storico, spesso siede
lì da sola, legge o disegna nuovi oggetti per il
suo negozio e, confessa, «un po' di paura ogni
tanto le viene». Ci sono momenti che non passa
nessuno qui davanti e quasi quasi Sonia
chiuderebbe prima delle sette. Anche i soliti
spacciatori che bazzicano in zona le danno meno
fastidio del solito. La signora Luisa gironzola
tra gli stand della Festa dell'Unità. «Come
faccio ad andare a S. Margherita?» chiede.
«Prenda il treno», le risponde un venditore di
dolci. «No, il treno non lo prendo, fossi matta,
voglio sapere come si va in autobus». «Anch’io ho
paura!» - sbotta una signora, anche lei a spasso
tra gli stand della Festa dell'unità. «Dovevo
andare a trovare mia figlia che vive a Milano, le
ho telefonato: se vuole vedermi venga qui lei»99.
modificarono dopo il susseguirsi di vittime sui treni: ci fu chi, magari per paura
prendere il treno, chi, quasi per esorcizzare la paura, sfoderò un’insolita ironia. La
nuovo sentimento che si era accampato nella mente di molte. Tutte le donne,
età classe sociale e quant’altro, vennero toccate dal soffio della paura, si insinuò in
loro il timore di poter incontrare il killer dei treni, l’uomo che prediligeva le
“paura”, questa sensazione di disagio che le accompagnava lungo l’arco della loro
99
P. BOZZANO, Così cambia il modo di viaggiare, in «Il Lavoro», suppl. di «la Repubblica», del 23
aprile 1998.
68
suggestione, un prodotto della mente o aveva un sapore squisitamente
69
borghese». E l’identikit del serial killer? Ve
l’hanno mostrato»? «No, non ce l’hanno fatto
vedere. D’altra parte non siamo poliziotti».
Il “regionale” è sul binario. Saliamo insieme
agli altri passeggeri. Sono per la maggior parte
giovani, studenti, più donne che uomini. C'è pure
un giovanissimo violinista che frequenta il
conservatorio Paganini. E c’è un’allegra e
vociante scolaresca, una ventina di ragazzetti
sui 7 - 8 anni accompagnati da insegnanti e da
qualche genitore. Il clima è da scampagnata, il
fine settimana rende tutti più rilassati. La
prima vettura, con i sedili di plastica quasi
completamente imbrattati di scritte, è
assolutamente vuoto. Sulla seconda e terza non
più di una decina di persone. A centro treno,
invece, una folla. Sapremo più tardi, quando
scenderemo a Savona, che hanno viaggiato 370
passeggeri. Ed ecco il primo particolare
inquietante: la porta della toilette del quarto
vagone, pur pieno di gente, è spalancata. Un
caso? Forse no, forse qualcuno l’ha aperta e la
lasciata così per prudenza. Anche quella del
quinto vagone. Le altre no. Ma, quando il
capotreno ci passa davanti, gira la maniglia e le
controlla ad una ad una. Nel sesto vagone, tre
persone. Tra cui la signora Maria, pensionata, di
Pegli. Signora, non ha paura di viaggiare da sola
? «No. Certo che se fosse sera... Invece sono
preoccupata per mia figlia Patrizia. Fa
l'infermiera e prende il treno in ore più
pericolose. Quando sta per uscire le dico sempre:
stai attenta, mettiti nella prima carrozza dove
c’è il capotreno». Tre ragazze sui 16 anni stanno
per scendere ad Arenzano. Ridono e scherzano, si
bisbigliano qualcosa all'orecchio. Ma poi uno di
loro sbotta: «Sia chiaro: io domani sera ci vado
in discoteca a Genova. Ma solo se venite anche
voi. A tornare indietro da sola non ci penso
proprio». «Va bene, va bene Marina. Domani
veniamo con te, stai tranquilla». L’arrivo a
Savona è in perfetto orario. Ecco Giacomo e
Claudio, i ferrovieri: «Nessun problema, avete
visto?».
Il tempo di un caffè al bar della stazione e si
torna indietro. Con l'interregionale Ventimiglia
– Genova - Milano delle 17,05. Sul quale
incontriamo un conduttore donna. Che, due ore
dopo, sarà in servizio sul Brignole - Ventimiglia
delle ore 19. Proprio il “locale” su cui, sabato
18 aprile, è stata assassinata Maria Angela
Rubino. E, lo ammette, ha proprio paura100.
100
N. PIRITO, Sui convogli dei pendolari, in «Il Secolo XIX», del 25 aprile 1998.
70
É evidente che “l’universo treno” cambiò: la polizia pullulava nelle
killer, probabilmente, non si faceva neppure diretto riferimento ma era chiaro che
bisogno di essere protetti. I media, non c’è dubbio, lavorarono bene: il killer dei
treni non passò inosservato, non si trattò di un caso sporadico come tanti che
Bilancia, era già presente tra la gente, soprattutto tra le donne, e in questa
media la fecero da padrone. Indicarono cosa provare, “paura”, istruirono sul cosa
fare “aggregarsi”, stimolarono la fantasia con racconti di donne sole che non
prodotto di una lunga lotta contro la paura, paura intesa come continua sfida,
71
una reazione istintiva, non è affatto priva di utilità, ma che «spaventi eccessivi o
che, stretta nella morsa di una negatività protratta può sviluppare fobie e
conseguenze del loro agire, si potrebbe rispondere che sì, in un certo qual senso
furono consapevoli che insistere troppo avrebbe potuto avere effetti devastanti sul
tessuto sociale e, proprio in funzione di questo la “paura del killer” venne sbattuta
che i lettori si sentissero parte “della vicenda del mostro dei treni” ma non
delle “lucciole”, a quello dei “vicoli”, a quello delle donne “solitarie” che
Naturalmente non tutti gli operatori della carta stampata aderirono a questa
logica per certi aspetti perversa, a questo discorso mediatico che mentre cercava di
metterti in guardi dal “mostro” reale tentava di crearti dei “mostri” dentro,
facendo leva su paure ancestrali, su stereotipi che poi tanto stereotipi non sono.
101
A. OLIVERIO FERRARIS, op. cit., p. 131.
72
Tra le tante si levò quella che si può definire “una voce solitaria”, una sorta di
73
precauzioni (non si sa mai), e ci scherzano sopra
perché fischiare nel buio scalda comunque il
cuore. Ma se la vaga inquietudine - il senso di
essere un po' più al centro del mirino di quanto
non si sia abitualmente in città violente, in
periferie degradate, in notti illuminate solo dai
bagliori delle tv oltre le finestre e, troppo
spesso, anche a casa propria- è oggi oggetto di
cronaca sui treni, non bisogna enfatizzare. Né
andare oltre. Perché la nostra paura sul treno,
oggi dominata, esorcizzata, quella vera che viene
dal profondo di un passato femminile, e quella
sciocca che viene dalla superficie di notizie di
cronaca troppo allarmistiche, è qualcosa di
nostro. Non va deposta come omaggio, ai piedi di
nessun "mostro" - perché non è affatto sua, non
gli appartiene, appartiene invece alla nostra
storia - e male fanno i giornali a prestarsi a
questo gioco. C’è di più. Ci vuole rispetto per
la paura violenta e feroce e disperata di
Elisabetta Zoppetti e Maria Angela Rubino, che si
sono trovate davanti all’odio e hanno pensato ai
loro figli prima di morire. Quindi non giochiamo
più al gioco del "signora lei ha paura"? perché
ci insulta. E non abbiamo bisogno, specialmente
in questo momento di essere insultate. E' chiaro
che questo gioco piace giocarlo soprattutto agli
uomini. Infatti, alzi la mano chi non ha guardato
uno dei sette identikit del killer e non ha detto
a un amico: sembri proprio tu. E quell'amico si è
messo a ridere. Perché se la violenza ricaccia la
donna nel suo destino di "vittima, innalza invece
l’uomo al suo duplice ruolo, quello di forte
protettore e di lupo cattivo. Quello che ti
protegge, e quello che devi temere. Tutto questo
produce – oggi - il serial killer. Ma non è
veramente lui a produrlo. Perché - anche lui -
non è che il prodotto di molte violenze, prodotto
di città indifferenti e di facili umiliazioni,
probabile prodotto di violenze private. Sia
chiaro; il fatto che sia forse stato - in una sua
stagione - una vittima, non ne fa un carnefice
meno nero. Ne dimostra, invece, la debolezza.
L’estrema debolezza. Che non è delle donne. Che
sono forti. Ed è per questo che - da sempre-
vengono uccise102.
102
E. DELLA CASA, Rispettate l’angoscia delle donne, in «Il Secolo XIX», 26 aprile 1998.
74
all’inquietudine, al non –riposo, alla tensione interna e costante» e, come spiega
Delpierre, che «la vita dell’essere inquieto non può essere indifferente, apatica o
vegetativa, l’inquieto non può gustare veramente nella loro pienezza i piaceri più
centro della sua vita»103. È risaputo, infatti, senza ricorrere all’aiuto di alcuna
ben presto, l’ostile; può accadere che anche gli oggetti più banali del mondo, le
mondo…»104.
vittime, a non abbassare le guardia. Perché l’omicida - nel frattempo - non era più
un semplice assassino, ma era diventato un serial killer, uno, in altre parole, che
imporglierlo. Non c’era quindi da stare tranquille e il caso aveva ormai assunto
una tale rilevanza che anche Internet se ne era impossessato: il serial killer era
103
G. DELPIERRE, Affrontare l’inquietudine, Cittadella Editrice, Perugia, 1971, pp. 11 –12.
104
Ibidem, p. 12.
75
Anche un sito Internet per studiare i delitti.
Killer in rete. E sui treni non viene meno il clima di diffidenza
reciproca tra i passeggeri.
Infine sono le partite a scacchi che si giocano
in questi giorni, in queste notti, sui treni che
percorrono la rete ligure. Tra i viaggiatori,
anche se di vista ormai ci si conosce da sempre,
ci si radiografa ora vicendevolmente con fasulla
noncuranza: alla ricerca di un tic, di
un’incertezza che rappresenti un passo falso
verso l’autosgretolarsi. Mille e mille occhi
hanno le donne sole, gli uomini, sono loro adesso
a trovarsi in imbarazzo. Basta raggiungere
l’atrio per fumarsi una beata sigaretta, andare
durante la corsa di vagone in vagone alla ricerca
di una persona cui si era dato appuntamento sullo
stesso convoglio, uscire sgarbatamente da una
toilette o peggio ancora tentare d’aprirne la
porta trovandola già chiusa, per diventare
puntaspilli delle peggiori illazioni. Ad
altissimo voltaggio sono sguardi e gesti degli
agenti in borghese, che consumano incessantemente
i corridoi delle carrozze alla ricerca di un uomo
che somigli al fantasma di Jean Gabin, che da
Genova manca dal '48, quando girò al Molo "Au
delà des grilles". I poliziotti in divisa e i
ferrovieri scremano intanto con pazienza
decrescente l'alluvione di sospetti recapitata a
voce dai passeggeri. Numerose e preoccupate sono
state, nei giorni scorsi, le segnalazioni giunte
agli uffici della polizia ferroviaria delle
stazioni di Principe e Brignole, formulate da
persone che sostenevano di aver riconosciuto
l’uomo della ricostruzione grafica: ogni pista è
stata verificata, fino a constatarne l’assoluta
inconsistenza: a formare pian piano il quadro di
un’au-tentica e comprensibile psicosi. Basta
ormai una lampadina che salta inondando di buio
lo scompartimento, una porta che sbatte a emulare
il sordo schiocco di una revolverata, per
incrinare una tranquillità ingannevole come la
superficie ghiacciata di un lago, immagine di
quiete pronta a spezzarsi da un momento all'altro
con effetti drammatici. All’imbrunire i convogli
si spopolano, le poche donne (dalle giovani
studentesse alle signore anziane) in viaggio si
raggomitolano nei posti nei pressi del
controllore come i gatti d’inverno il caminetto.
E si rivela pleonastica la precauzione di
sbarrare, nei convogli "a rischio" come il
famigerato diretto 2888 Genova - Ventimiglia, gli
ingressi delle carrozze di coda per indurre il
più possibile i viaggiatori a un salutare, anzi
76
salvifico affollamento. La frequentazione,
infatti, è sensibilmente calata.«Si, qualcuno ha
detto pure - spiegavano una di queste sere due
"Interrailers" dirette in Costa Azzurra -che
potrebbe trattarsi di un ferroviere, e che la
divisa gli servirebbe per meglio mimetizzarsi. Ma
questa ci sembra proprio un’ipotesi estrema». Per
lo scorso fine settimana, la Smith & Wesson del
carnefice ha riposato nella sua custodia, ma il
suo proprietario sta forse rifornendo una volta
ancora il caricatore, con quelle pallottole di
piombo "dolce" che rappresentano un’incongruenza
anche semantica, in vista di un primo maggio fin
d’ora allarmante Il lungo soliloquio con le carte
degli identikit, l'articolato dominio dei
riscontri informatici desunti dal traffico degli
sportelli bancari automatici e dai tabulati
radiotelefonici, il calcolo delle perizie
balistiche e ribonucleiche, non hanno finora
contribuito a creare nelle persone non già la
convinzione ma nemmeno la speranza che
l'assassino abbia deciso di fermarsi. E nel
labirinto di riflessioni e ipotesi formulati da
inquirenti, inviati, psichiatri, sociologi e
altri in qualche modo titolati a dire dell’anima
e delle sue devianze, spicca adesso un sito
Internet, quello di cui riferiamo a parte.
L’impressione è che, allo stato, gli inquirenti
non dispongano neppure delle certezze sufficienti
per attribuire un tratto unificante alla
misteriosa figura che terrorizza le donne liguri.
«Ne dovrà ancora combinare qualcuna - dicono un
po' tutti, nelle carrozze affollate da e per le
Riviere - perché lo scoprano». «O forse» -
sostengono altri- «si fermerà qui». Difficile,
però, che una mente così contorta non si risolva
a "rilanciare". «Ma potrebbe cambiare
completamente scenario» azzardano altri. Tra le
autorità di pubblica sicurezza, circola anche
un’ipotesi preoccupante: che l’assassino tornerà
a colpire, con le stesse modalità fatali a
Elisabetta Zoppetti e Maria Angela Rubino, non
appena la tensione si sarà allentata e le forze
dell’ordine avranno abbassato la guardia.
Prospettiva impensabile, almeno a breve termine.
Ma l’uomo dal volto scavato dell'attore francese,
i lineamenti sempre rannuvolati da una Gitane
sfiltrata, potrebbe non avere fretta105.
105
In «Corriere Mercantile», del 28 aprile 1998.
77
Nonostante tutto, una cosa era certa: ogni donna era una probabile vittima
e ogni uomo un possibile assassino. Potere dei media. Viaggiare in treno era
Sul mostro dei treni si erano ormai sprecate ipotesi e si erano teorizzati
mondo astratto, inesistente – troppo lontano dalla vita di tutti - i giornali tornarono
alla carica.
PAURA
Ragazza barricata sull'interregionale
Ora sui treni regna il panico: è l'effetto scontato della psicosi del serial
killer.
Ieri mattina, poco dopo le nove, a Ronco Scrivia,
una carrozza dell’interregionale 2535 da Novara
per Brignole era completamente al buio. Succede
spesso sui treni, come sanno bene pendolari e
ferrovieri. Succede con grande frequenza anche
sugli espressi della notte per il Sud, alle cui
linee le Ferrovie riservano il materiale più
scadente e le condizioni di massima insicurezza.
In circostanze normali, i viaggiatori aspettano,
più o meno tranquilli che la luce ritorni prima
che i ladri, altra presenza garantita su certi
convogli, entrino in azione. Ma sono giornate di
speciale inquietudine e una defaillance delle
lampadine può essere vissuta come un dramma.
L’impianto elettrico dell’interregionale da
Novara era saltato in pieno giorno, ma i
viaggiatori se ne sono accorti soltanto quando il
treno il treno ha imboccato le prime gallerie.
«Non funzionavano nemmeno le luci di emergenza.
C’era un silenzio irreale e le donne erano
106
Si veda Donne: vittime non riconosciute, per un approfondimento relativo al silenzio delle
donne come vittime e alla cultura che sostiene tale impostazione. In C. SMART, Donne, crimine e
criminologia, Armando, Roma, 1981, pp. 200 – 202.
78
terrorizzate» - racconta Pellegrino Testa, 63
anni, ex marittimo. Alcune si sono spostate nel
corridoio, altre hanno cambiato carrozza. E Maria
G, 35 anni, pendolare e impiegata, racconta: «Ho
cercato di non restare da sola, ma ammetto che
fino a quando il treno non è arrivato a Brignole,
ho avuto paura». Anche perché il percorso da
Ronco a Brignole è praticamente tutto in
galleria. Altro esempio di psicosi
sull’interregionale 2198 da Genova a Ventimiglia
(ore 22,30 - 0,55). Una ragazza sulla trentina si
è barricata in uno scompartimento legando la
maniglia della porta con una robusta corda di cui
si era evidentemente premunita alla partenza.
Statura media, capelli biondi a caschetto,
vestita in maniera elegante, ha completato le sue
misure di autodifesa da un ipotetico aggressore
tirando completamente le tendine. Un viaggiatore,
Claudio Giraldi, 27 anni, di Ventimiglia, che era
salito a Sanremo, mentre il treno si avvicinava
alla stazione di confine si è messo a passeggiare
nel corridoio e vedendo lo scompartimento
bloccato e chiuso dalla tendina con l’aria
spaventata.
«Preoccupato degli ultimi fatti di cronaca – è
lui stesso a raccontare – ho pensato che fosse
successo qualcosa. Allora ho tentato di aprire la
porta scorrevole per accertarmi di chi stesse
viaggiando, ma l’ingresso dello scompartimento
era stato bloccato dall’interno. Ho bussato un
paio di volte. Dopo qualche istante una ragazza
si è affacciata dalla tendina con l’aria
spaventata. Io le ho chiesto scusa per averla
disturbata e mi sono allontanato, ma mentre stavo
parlando ho intravisto una corda che avvolgeva le
maniglie della porta». Legittima la paura di lei,
pericolosa la curiosità di lui che poteva essere
equivocata magari da qualche poliziotto (vero) in
servizio sul treno. Della notizia, che è stata
data in questi termini dall’agenzia Ansa, non è
al corrente la Polizia ferroviaria di
Ventimiglia. «E’ grave» - commenta il comandante
Sergio Moroni - «che nessuno ci abbia segnalato
il fatto». Quasi sicuramente questa ragazza si
sarà chiusa dentro lo scompartimento, in attesa
di arrivare a Ventimiglia, per paura di
incontrare qualche malintenzionato, ma chi ci
dice che non si sia chiusa dentro per scappare da
qualcuno? Probabilmente, il viaggiatore che ha
assistito al fatto lo avrà preso come un
comportamento normale, considerati gli ultimi
episodi di cronaca, ma anche i particolari futili
79
e scontati per le indagini possono rivelarsi
determinanti. Invito entrambi a farsi vivi107.
Ciò che avvenne sulla tratta Genova – Ventimiglia, durante la notte, - una
porta con una robusta corda, la storia dell’uomo che tenta di aprire la porta, gli
sguardi atterriti di lui e lei barricata dentro - sembrano gli elementi di un film. La
reazione della ragazza è di paura, di quella paura che può «influire in modo
determinante sulla personalità […] per il potere inibitorio o scatenante che può
per cui «la persona spaventata tende a fissare la propria attenzione principalmente
sulle situazioni e sugli aspetti ansiogeni della realtà di cui ingigantisce la portata.
La persona spaventata può quindi avere serie difficoltà non soltanto a controllare
gli aspetti rilevanti di una data situazione e nel considerare, in un modo che
80
serial killer che ha ucciso quattro prostitute in
riviera e due metronotte a Novi Ligure. Il viado
Lorena, scampato al delitto di Novi, l’avrebbe
già riconosciuto. E l’uomo avrebbe cominciato a
confessare almeno alcuni dei delitti contestati.
E' anche l'assassino dei treni? Non ci sono
conferme, ma anche per gli omicidi di Elisabetta
Zoppetti e di Maria Angela Rubino esistono
pesanti sospetti su di lui.
Per esempio: la sera dell’ultimo delitto, alle
20, è entrato al Casinò di Sanremo. Potrebbe
essere uscito in tempo per salire, sul Genova -
Ventimiglia, uccidere la Rubino, scendere a
Bordighera e tornare indietro in taxi. Bilancia
abita a Cogoleto, a seicento metri dal luogo in
cui il 29 marzo è stata uccisa la "lucciola"
nigeriana Evelin "Tessy" Edoghaie, l’omicidio per
cui è stato firmato l’ordine di cattura. A circa
ottocento da dove è stata uccisa Stela Truya, la
prima prostituta assassinata il 9 marzo scorso.
Bilancia, difeso da Enrico Franchini, è stato
fermato dai carabinieri ieri a mezzogiorno: alle
17 è uscito dal comando dell’Arma, con un
cappuccio che gli celava il volto, per essere
trasferito in carcere. Nella sua abitazione è
stata sequestrata una pistola. Stessa sorte per
la sua auto, una Mercedes scura. La sua vita è
segnata anche da una grande tragedia: il suicidio
del fratello Michele, lanciatosi sotto il treno a
Pegli nell’87, insieme al figlio Davide di 4
anni. Formalmente l'arresto di Bilancia è
avvenuto per l’omicidio della nigeriana uccisa il
29 marzo a Cogoleto. Per questo oggi comparirà
davanti ai giudici di Genova. Ma lo aspettano
quelli di altre quattro procure per la serie di
delitti109.
Il tono trionfalistico con cui alcuni quotidiani del maggio ’98 aprirono a
lettere cubitali la loro edizione fu il segnale della svolta riguardante il caso del
killer dei treni: da quel momento il pluri - omicida non sarebbe più stato un’ombra
quasi, qualunque. La tensione che per mesi aveva tenuto all’erta inquirenti, forze
dell’ordine e, soprattutto, che aveva invaso i pensieri e le vite dei liguri finalmente
109
S.F., Clamorosa svolta grazie alle testimonianze, in «Il Secolo XIX», del 7 maggio 1998.
81
sembrava volta a scemare. Finita l’era della paura e dei perché senza risposta,
una nuova incredibile, e quasi inesauribile, vena: Bilancia da mostro seriale iniziò
sprecarono fiumi di parole per tentare di dare un motivo a tanta crudeltà, forse la
nel senso che assunse un nuovo volto. In molti articoli, dopo la sua cattura, infatti,
entrò, allora, nel regno del male, quello mitologico, filosofico e psicologico,
per farne un nuovo incredibile scenario. Quasi tutti i giornali di quel periodo
che esulasse dalla società intera: su un punto, infatti, non vi erano dubbi. Bilancia
era diverso dagli altri, era qualcosa di “altro”, un “altro”, però, - e questa fu la
d’una linea oltre la quale una sfera ne riconosce un’altra, cioè la percepisce come
irriducibile a sé, sia che non riesca a ridurla, sia che non lo voglia. Nell’incontro
82
certezza, o addirittura si dissolve, il fronte cade e viene sostituito da una linea più
violata da un’infezione che viene da fuori; in questo nuovo contesto «La paura
privata del suo specchio unitario, non si rappresenta più a se stessa, non si dà più
si stabilizza alcuno “stato d’indifferenza” che tracci una linea certa fra il dentro e
il fuori. Piuttosto, il nemico è alle porte»111 e, nel caso Bilancia, queste erano state
abbattute.
giorno in pretura” dove vennero trasmessi alcuni brani del suo interrogatorio; un
fosse stato raccontato qualche giorno prima dallo stesso in un bar, come se si
degli operatori del settore mediatico nei confronti di Bilancia prima e dopo
l’arresto: prima, infatti, era prevalsa la tendenza a non voler esporsi troppo, ma
111
Ibidem, p. 148.
83
subito dopo l’arresto la liberazione dall’incubo era sembrato più facile lasciarsi
112
Si trattava di Rosanna Piturro.
84
1a intervistata : «Cerco di non rimanere da
sola».
2a intervistata : «Ho paura a salire di notte, ma
non di giorno, perché già ci sono i soliti
malintenzionati, ci sono meno controlli, il
killer ha più facilità d'agire».
3a intervistata : «E' meglio non dare confidenza
agli estranei perché si può avvicinare il
probabile criminale».
4a intervistata : «Non mi sento più tranquilla.
Un maniaco si aggira sui treni, ci sono pochi
controlli. Possibile che gli agenti non
aumentano. A noi passeggeri nessuno ci pensa».
5a intervista: «Si sta facendo del terrorismo
psicologico Che sarà mai!».
Nel servizio le reazioni di panico si alternano
al tentativo di sdrammatizzare la tensione
ironizzando. Curiose le risposte di donne che si
ritenevano brutte: «Meno male Non solo il suo
tipo. Sono contenta di non essere tanto bella».
verde istituito appositamente dai carabinieri per segnalare ogni più piccolo
a controllare le segnalazioni ritenute più probabili, trovarono che per lo più erano
infondate. Dai vari servizi emerge che molti cittadini erano stati chiamati a
rilasciare un identikit del sospettato e che erano stati adottati dei provvedimenti
85
varie testate giornalistiche, la maggior parte dei servizi puntarono, sì, a raccontare
stessa.
altrimenti si può definire un uomo che con freddezza e spietata lucidità uccide a
ripetizione vittime innocenti senza provare alcun rimorso e senza mostrare alcun
pentimento. Di fronte a tutto ciò, allora, i media avrebbero potuto trattare la storia
in modo diverso? Certo è che giornali e televisioni si gettarono sul caso come su
una vena aurifera e tentarono di sfruttarla a piene mani: Bilancia, infatti, fornì il
sopite in un chissà dove del nostro inconscio, tenute a freno da quella che
ogni muro eretto a sua difesa, ecco che improvvisamente, come un fiume in piena,
tutte le paure del passato e del futuro si affollano nella mente, riemergono con
Bilancia: hanno concorso senza dubbio a tenere per mesi col fiato sospeso lettori e
da orride figure i cui volti, spesso dai contorni sbiaditi, hanno trovato per una
86
CAPITOLO III
KILLER LIGURE
del 1997 gettò inizialmente gli inquirenti nel caos più totale; l’uccisione di
mondo della malavita, poi, però, l’omicidio degli sposini in Via degli Orefici, di
cancellò la validità delle piste fino a quel momento seguite e impose una nuova
linea investigativa.
dati interessanti relativi allo “stato d’animo” degli inquirenti dopo la morte della
113
Servizio Telecity, Omicidio prostituta Pietra Ligure, del 14 aprile 1998.
87
sicure… Prima si trova l'assassino e meglio é per
tutti114.
Se a lungo si era ritenuto che la pista della guerra tra bande potesse essere
serial – killer, infatti, si faceva sempre più insistente mentre perdeva consistenza
114
Ivi, Omicidio intercity Chiavari – Venezia, del 04/1998.
88
la pista del serial killer è battuta ma senza
alcun punto di riferimento»115.
gettato dei dubbi su questa ipotesi in quanto faceva pensare ad una qualche
connessione tra le varie vittime116; solo dopo le morti sui treni, comunque, apparve
chiaro che i delitti avevano una matrice comune: stessa arma, stessa brutale
soluzione almeno in tempi brevi. Di questo fatto gli inquirenti furono consapevoli
da subito ma, d’altra parte, pur non avendo – almeno inizialmente – alcuna pista
media sulla catena di delitti che non sembrava destinata a spegnersi velocemente.
Con le uccisioni avvenute sui treni, inoltre, il caso del “serial – killer”
tra gli inquirenti, soprattutto la “paura” di non riuscire a dare risposte certe in
tempi brevi, prima che il killer colpisse ancora. La strategia dell’omicida, infatti,
non era ancora delineata, troppi gli indizi e troppe le piste da seguire; dopo
89
coltellate. Lei ha aperto la porta. Conosceva
il suo carnefice. Dopo essersi introdotto in
casa l'ha uccisa e poi ha rubato. (…) Gli
inquirenti scandagliano tutti gli ambienti che
frequentava la pensionata117.
sera, si intensificarono i fermi e gli interrogatori delle persone già schedate. L’idea
che un unico uomo fosse l’artefice di tutto e che potesse colpire ancora, forse su
far fronte all’ondata di panico che si era diffusa tra i viaggiatori dei treni e i
117
Telecity, Omicidio Lamberti, dell’aprile 1998.
118
Ivi, Polizia ferroviaria, intervista al dottor Maurizio Zaffino, dell’aprile 1998.
119
Ivi, N° verde per serial killer, dell’aprile 1998
90
testimonianze e possibili indizi; molte le telefonate di uomini e donne, di alcune
l’episodio del convoglio fermato dai carabinieri sulla tratta Milano – Ventimiglia,
dove una viaggiatrice aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine: il tutto si
intentato.
molteplici. D’altra parte «lo» o «gli» assassini non sembravano avere un movente
unico e anche la scelta delle vittime non davano l’impressione di seguire una
qualche logica. Troppe le vittime e troppo diverse tra loro. Sebbene l’idea di un
indagini.
quanto avvenne in seguito per il vertice tra le cinque procure di Genova, Savona,
strategia d’azione - questa non diede esito positivo. Dal meeting delle cinque
dallo sforzo coniugato delle cinque procure, inoltre, emerse l’idea di istituire un
numero verde affinché quei cittadini, che avessero remore a rivolgersi ai numeri
91
dell’arma, potessero fornire informazioni utili relative al caso e collaborare con le
duplice obiettivo di far sentire i cittadini più protetti ma anche di aiutare le forze
dimostrò da subito poco perseguibile, anche perché dalle liste potevano emergere
solo dati incompleti. L’idea, invece, di un conflitto sanguinario tra clan rivali per
il controllo del business della prostituzione parve a lungo la pista più percorribile:
senza alcuna remora. Tuttavia, come sottolinearono gli stessi investigatori, «lungo
Dopo che i primi risultati delle perizie balistiche accertarono una certa
“compatibilità” tra il revolver che aveva freddato nella toilette dell’Intercity 630
ucciso Maria Angela Rubino, dipendente di una ditta di pulizie francese, sul
92
cambiamento anche nell’atteggiamento delle forze dell’ordine. Apparve chiaro,
«qualcuno di loro può aver visto in faccia il serial killer e ha invitato i cittadini a
le centinaia di segnalazioni giunte in quei giorni da mezza Italia, oltre che dalla
Quando ormai sembrò chiaro che il killer delle prostitute e l’omicida che
aveva ucciso le donne sui treni erano la stessa persona le indagini assunsero un
ritmo più frenetico, il lavoro degli inquirenti si fece ancora più serrato così come i
nella speranza di catturare il serial killer, ma molti si rivelarono dei veri e propri
“buchi nell’acqua”.
121
Parallelamente alle iniziative degli investigatori e delle forze dell’ordine, sorgono anche delle
iniziative private come quelle del movimento Diritti Civili che rese noto, attraverso le parole del
coordinatore del movimento Franco Corbelli, di avere istituito una taglia di 20 milioni sul «serial
killer». S. F., Una taglia sul serial killer, in «La Gazzetta del Lunedì», 20 aprile 98.
122
S. F., C’è chi ha visto il serial killer. Appello del questore: «Aiutateci», in «La Gazzetta del
Lunedì», del 20 aprile 98.
123
M. CALANDRI e C. FUSANI, Non salite in treno, in «la Repubblica», del 22/04/1998.
93
Una pistola, tanti sospetti.
La Spezia: rapinò una lucciola, arrestato
professionista.
È accusato di aver rapinato una prostituta
obbligandola poi, pistola in pugno, ad avere un
rapporto orale. Adesso Giuseppe Lo Torto, 43
anni, procacciatore d’affari spezzino, è in
carcere e sulla lista dei sospettati nella
vicenda del serial killer dei treni. […] Falso
allarme. Il pazzo criminale, disegnato dagli
identikit che i magistrati non hanno ancora
voluto rendere pubblici, è un uomo di mezza
età, capelli brizzolati. […] E l’altra notte,
nel centro storico di Varazze, località al
confine tra le province di Genova e Savona, i
carabinieri della compagnia di Savona e della
stazione locale hanno fatto irruzione
nell’appar-tamento di un cinquantenne
considerato “sospetto” […]. La sua posizione è
stata chiarita…124.
chiudendo, tuttavia gli inquirenti sapevano che ci sarebbe voluto ancora del tempo
prima che il volto del serial killer assumesse le fattezze di un uomo reale. A tale
94
sanremese non ha nessuna voglia di rincorrere
improvvisati Sherlock Holmes, o di alimentare
improbabili scoop. Identico concetto ribadisce il
questore di Imperia Nicola Cavaliere: «Lavoriamo
soprattutto sulle telefonate, procediamo a
faticose verifiche di minimi particolari. Il
resto sono frottole»125.
dell’anno in cui numerosa era l’affluenza sui treni. Su sollecitazione del ministero
Torino, Milano, Firenze e Genova. Questo perché si temeva che il «serial killer»
potesse uscire dai confini liguri; qualcuno, naturalmente, storse il naso alle
che la situazione potesse avere ripercussioni negative sul normale flusso che in
costantemente sulla sicurezza dei cittadini. In questo senso i media, che fino a
questo momento grande parte avevano avuto nel diffondere un discreto panico tra
125
C. DONZELLA, Solo cinque passeggeri hanno visto Maria Angela in treno, in «Il Secolo XIX»,
del 23 aprile 1998.
126
I. VILLA, Sull’Intercity La Spezia – Venezia il fantasma di Elisabetta, in «Il secolo XIX», del 26
aprile 1998.
95
la popolazione, si operarono affinché i cittadini sapessero che qualcuno vegliava
limitato a elementi oggettivi; fino a questo punto, infatti, non c’erano iscritti sul
registro degli indagati. Se, infatti, le prime perizie dicevano che la calibro 38 era
stata usata per Novi, per due prostitute (Ljudmila Zuskova e Mena Valbona) e per
della pistola. Gli inquirenti, insomma, navigano solo su delle ipotesi e su nessuna
127
Da un servizio di Telecity, Omicidio Intercity Chiavari – Venezia.
128
B. VIANI, cit.
96
viaggiatori era ormai un dato certo, furono gli stessi agenti a percepirla e a
raccontarla.
della paura”, non solo la Polizia scientifica faceva un nuovo sopralluogo (che durò
otto ore) sul vagone dove era stata uccisa Maria Angela Rubino ma anche i
corrispondeva all’identikit diffuso dalla polizia. In quei giorni, infatti, tra le tante
testimonianze sul delitto di Ventimiglia, molte del tutto infondate, la polizia mise
che, avendo rifiutato di avere un rapporto non protetto con il cliente – killer, si era
probabilmente salvato130. Secondo Lorenza il killer era una sorta di Jean Gabin,
129
S. F.,
Killer in rete, in «Corriere Mercantile», del 28 aprile 1998.
130
La testimonianza di Lorenza fu fondamentale agli investigatori non solo per definire l’identikit
di Bilancia ma anche per collegare la morte dei due metronotte, Gualino e Randò, nel parco della
villa Barbellotta, e quella dell’altro metronotte Canu, ucciso a Genova nell’ascensore di un palazzo
di corso Armellini il 25 gennaio. M. MENDUNI, Indagini fra i metronotte. Qualcosa lega i gialli di
Novi e Genova, in «Il Secolo XIX», del 30 aprile 1998.
97
che da Genova mancava dal ’48, quando girò al Molo “Au delà des grilles”: si
grazie a questo identikit che gli investigatori poterono riaprire le inchieste sui
delitti del ’97, tra i quali quello di Donika Hoxholari, prostituta di 21 anni uccisa
ad Albenga131.
rito del colpo di pistola alla nuca e della porta della toilette chiusa dall’esterno con
trattava di un unico individuo. Dopo aver brancolato nel buio per mesi, dopo aver
caldeggiato a lungo l’ipotesi della guerra tra bande, dopo ben diciannove omicidi
serial killer, finalmente la morte dell’ultima vittima fornì agli inquirenti le risposte
da tempo cercate.
131
La diffusione dell’identikit sulla maggior parte dei quotidiani, però, concorse ad aumentare la
psicosi del “mostro”. Tra le tante telefonate arrivate a Secolo XIX ricordiamo, ad esempio, quella
di un pendolare di Varazze, impiegato a Genova, abituale viaggiatore sui treni, che diceva: «Sono
alto e brizzolato ogni giorno sento gli occhi puntati su di me». B. VIANI, cit.
98
polizia: il dirigente della criminalpol Gaetano
Chiusolo e tre quarti della squadra mobile132.
La situazione, ormai, era arrivata al culmine. Dopo aver dato un volto al
mostro, un imperativo incombeva sugli inquirenti: stanarlo e porre fine alla catena
lavorato per la procura di Firenze nelle indagini sul caso Pacciani e i “compagni di
Cogoleto il 29 marzo. Un colpo alla nuca, dopo essere stata ferita ad una gamba
per bloccarne il disperato tentativo di fuga. Uno dei proiettili era stato recuperato
ed era diventato uno degli elementi più utili nelle mani degli inquirenti per le
era quella di costruire con precisione la figura, i possibili scenari in cui aveva
continuava a serpeggiava tra passeggeri e anche tra gli agenti in borghese che
capace di diffondere una vera e propria psicosi, quella del “mostro”. Dopo
l’uccisione di Maria Angela Rubino, però, e in vista del ponte del 1° maggio,
132
M. DI SALVO – M. MENDUNI, Due impronte coincidono. Al setaccio il treno di Ventimiglia, il
killer s’è tradito, in «Il Secolo XIX», del 30 aprile 1998.
99
definito «ponte della paura», anche le forze dell’ordine decisero di cambiare
tattica:
il panico tra gli abituée dei treni. Molti, come riporteranno numerosi articoli di
seppure con moderato ottimismo, tentò di tornare sui propri passi, rassicurando
133
Ivi.
134
Telecity, Giorni di paura, del 5 giugno 1998.
100
che le indagini proseguivano con alacrità e a ritmo serrato; sempre Telecity mandò
evidenziò quanto le forze dell’ordine avessero vissuto tutta la faccenda con una
degli inquirenti e delle forze dell’ordine era stata massima – tanto che addirittura
“paura” fu un sentimento diffuso non solo tra i cittadini ma anche tra gli
inquirenti. Certo si trattava di una “paura” diversa, di una tensione più che altro,
135
Id., Numero verde per serial killer, del 5 luglio 1998.
136
Id., Intervista al Maggiore Ricciarelli, del 5 luglio 1998.
101
ma di una tensione forte che tenne a lungo tutti col fiato sospeso. La pressione
investigatori, delle vittime scampate alla morte e dei cittadini riuscì a stanare il
“mostro” e a dargli il volto di Donato Bilancia, un uomo definito dai più “del tutto
normale”. Se per i cittadini la sua cattura fu la fine di un incubo, per gli inquirenti
iniziò una nuova fase: quella della ricostruzione e della ricerca del movente. La
del caso Bilancia, ovvero la disamina del perché un uomo dall’apparenza tanto
normale abbia dovuto macchiarsi di crimini tanto efferati, pare invece opportuno
ripercorrere con maggior attenzione le tappe che condussero gli inquirenti alla sua
identificazione e al suo arresto. Questo perché l’analisi della dinamica dei fatti ci
102
offre l’opportunità di capire quale sia stato il ruolo effettivo degli investigatori e
in che tipo di “clima” sociale si trovarono a dover operare. È vero infatti che,
pure le forze istituzionali poste in campo nella ricerca del serial killer non furono
del tutto indenni dalla tensione, che non possiamo nel loro caso definire vera e
fortemente indiziato di altri otto omicidi, fu formalmente arrestato. Uscito dal suo
domicilio nel quartiere di Marassi, attorno alle undici e un’ora più tardi, mentre si
trovava nel piazzale davanti all’ospedale San Martino (dove si era recato per un
tenente Crocifisso Giordano fecero scattare le manette ai suoi polsi 137. Dopo aver
Franco e Roberto, entrambi capelloni, si resero subito conto che il presunto killer,
a differenza delle altre volte, non aveva il rigonfiamento sotto la tuta e che quindi
non era armato. A quel punto lanciarono il segnale concordato ai loro colleghi che
scortata da altre macchine, si allontanò a sirena spiegata a tutta velocità verso gli
137
Dopo l’arresto il maggiore Ricciarelli rilascerà un’interessante intervista a Wanda Valli dove
ripercorrerà le tappe fondamentali dell’inchiesta. W. VALLI, Io, carabiniere anti – killer così ho
preso quell’uomo, in «la Repubblica», dell’8 maggio 1998.
103
uffici di Via Gobetti138; lì venne notificato a Bilancia l’ordine di custodia cautelare
firmato dal giudice delle indagini preliminari Anna Ivaldi su richiesta del pubblico
In effetti Donato Bilancia non era l’unico indiziato ma rientrava nella rosa
di tre sospetti seguiti da alcune settimane dal nucleo operativo dei carabinieri. Su
della sezione omicidi, però, avevano deciso di seguire, con i loro uomini, i
movimenti delle tre persone sospettate fino a quando il gip decise di firmare
Il terrore per una minaccia che sembrava sempre più imprevedibile, oscura
essere conclusa e con essa, come scrisse Marco Menduni «la catena di sangue»140.
chiaro e identificare in Bilancia il killer che aveva seminato il panico per mesi; il
pochi dubbi a riguardo e, infatti, i tre magistrati savonesi che durante le indagini si
erano occupati del serial killer (oltre al procuratore e ai sostituti Greco e Landolfi)
Sangalli de «Il Secolo XIX» di una certa tensione all’interno degli inquirenti:
138
M. DI SALVO, «Davide era bellissimo aveva gli occhi azzurri come i miei», in «Il Secolo XIX»,
dell’8 maggio 1998.
139
M. DI SALVO, L’ultima notte di libertà, in «Il Secolo XIX», del 7 maggio 1998.
140
M. MENDUNI, Primavera di sangue, in «Il Secolo XIX», del 7 maggio 1998.
104
dalla sua dichiarazione, infatti, apparve chiara una sorta di rivendicazione di
quattro prostitute e dei due metronotte di Novi Ligure, alla domanda se fosse
sempre lui il killer dei treni la risposta restò a lungo un secco «no comment» 142; tra
i tanti interrogativi che si affastellano nella mente uno si imponeva con maggiore
insistenza, ovvero quali fossero realmente gli elementi che incastravano Bilancia.
Bilancia l’assassino anche di Anna Maria Rubino, la donna trovata morta nella
di voler rileggere alla luce delle caratteristiche di Bilancia gli omicidi degli orefici
141
R. SANGALLI, E adesso Savona rivendica l’inchiesta, in «Il Secolo XIX», del 7 maggio 1998.
142
M. MENDUNI – M. DI SALVO, Preso. È la fine dell’incubo, in «Il Secolo XIX», del 7 maggio
1998.
143
Ivi.
105
di Marassi, dei coniugi Parenti di Piazza Matteotti, del metronotte Giangiorgio
Canu144.
meno si rivelò il clima dopo il suo arresto. Il giorno immediatamente dopo la sua
144
Ivi.
145
M. ZINOLA, Cominciò rubando panettoni, per la madre era un figlio perduto, in «Il Secolo
XIX», del 7 maggio 1998.
146
F. PIN, Il capotreno e il tassista possono inchiodare l’assassino, in «Il Secolo XIX», del 7
maggio 1998.
106
Una delle maggiori difficoltà incontrate dagli inquirenti fu il silenzio – per
lo meno iniziale - dei possibili testimoni: da una parte il silenzio delle lucciole,
impaurite e schiacciate dalla loro illegalità, tanto che ci vollero settimane per far
raccontare a due di loro che, negli stessi giorni dell’omicidio di Tessy, erano
balzate giù da un auto dopo essere state minacciate da un cliente (Bilancia?, pare
di sì) armato di una pistola alla Foce 147, dall’altra quella dei passeggeri che
viaggiarono con Maria Angela Rubino, nessuno dei quali come commentò il
come osservarono Marco Menduni e Marcello Zinola, in tutte le grandi partite, c’è
un momento preciso in cui la sorte inizia a far l’occhiolino a uno dei due
contendenti.
107
terra, con un trucco (un militare, in un bar, si finse uno squinternato veggente)
riuscirono a porta via la tazzina di caffè dove aveva appena bevuto, fino a quando
arrivò la svolta150 e il Cis di Parma poté confermare che “coincideva tutto”: il Dna
dei reperti del pedinamento, di quelli trovati nella Kadett, del liquido seminale sul
corpo della sventurata nigeriana. Dopo che Bilancia venne bloccato, quindi,
scattarono le perquisizioni151.
150
C. AUGIAS, E la svolta dell’indagine arrivò da una tazzina, in «la Repubblica», dell’8 maggio
1998.
151
Il presunto serial killer aveva la possibilità di nascondersi bene. Oltre alla casa dei genitori a
Cogoleto e alla sua in via Montaldo e con un altro ingresso in via del Fossato, aveva a disposizione
una serie di piccoli appartamenti. Alloggi di proprietà di sue amiche che gli prestavano casa
quando ne aveva bisogno. Si trattava di quattro appartamentini: uno si trova nel quartiere di San
Martino, l’altro a Borgoratti e due pied – à – térre nei vicoli de centro storico. Gli investigatori
dell’Arma, dopo l’arresto, hanno perquisito anche queste abitazioni che erano state controllate
esternamente, quando seguivano i movimenti dell’indagato. B. VIANI, Sei alloggi in città, in «Il
Secolo XIX», dell’8 maggio 1998.
152
M. MENDUNI – M. ZINOLA, Lo ha riconosciuto tre volte, cit.
108
affermava: «Se mia moglie mi chiedesse: posso viaggiare sicura in treno
risponderei di sì». Più moderato nelle sue risposte il procuratore Meloni153 che alla
domanda se fosse Bilancia il killer dei treni, ancora rispondeva: «No, ma non
perché sia no, ma perché aspettiamo ancora i risultati ufficiali delle perizie»154.
donne uccise sui treni diventò evidente; un super – teste, infatti, per l’omicidio del
Donato Bilancia anche per quattro dei cinque delitti che avevano insanguinato il
Ponente ligure tra il novembre e l’aprile passato. Uno dopo l’altro, i tasselli
Luciano Marro (il 13 novembre 1997) ed Enzo Gorni (il 20 marzo scorso), della
153
Gli altri colleghi di Meloni erano Scolastico (Savona), Galliano (Sanremo), Brusco
(Alessandria), Pascucci (Verona).
154
Ivi.
155
C. DONZELLA – M. ZINOLA, E’ lui l’assassino della riviera, in «Il Secolo XIX», del 9 maggio
1998.
109
ventimigliese Maria Angela Rubino sul treno diretto 2888 la sera del 18 aprile, del
Gli inquirenti, come non mai, si ritrovarono a dover lavorare sotto il fuoco
possibili complici di Bilancia. Ora dopo ora gli indizi e i riscontri raccolti dai
convergono su Bilancia e lo indichino sempre sui luoghi dei delitti tra Sanremo e
alle 19,30 del 20 marzo, sempre con una calibro 38, che aveva incrociato
quale il killer aveva preso il treno a Sanremo, dopo essere uscito dal casinò, e
infatti, riescono a risalire ad un testimone che sostiene di aver visto Bilancia salire
sul diretto 2888 proprio alla stazione della città dei fiori156.
Castellaro, freddato con tre colpi di pistola calibro 38 alle 22 e 20 del 20 aprile
inquirenti hanno ipotizzato che Donato Bilancia, al volante della sua Mercedes e
156
La sua testimonianza, a questo punto, va ad aggiungersi a quelle dei due ferrovieri che hanno
descritto il presunto assassino quando è sceso dal treno in movimento alla stazione di Bordighera e
a quella del tassista Giuseppe Fontana. C. DONZELLA, C’è un testimone per l’omicidio, in «Il
Secolo XIX», del 9 maggio 1998.
110
diretto al casinò, si sarebbe accorto di essere senza benzina e, approfittando di uno
milioni, per proseguire poi sulla corsa Genova - Ventimiglia, uscendo al castello
ma sebbene gli indizi scarseggiassero gli inquirenti scoprirono che Bilancia aveva
cambiato soldi sia nella sua agenzia che in quella di Gorni, nei giorni precedenti i
sempre calibro 38 - in ottimo stato, con quelli recuperati nei luoghi degli altri
A questo punto delle indagini, però, non solo le perizie accusavano Donato
dal quale Bilancia aveva acquistato la Mercedes blu notte158. Anche numerosi
157
C. DONZELLA – M. ZINOLA, E’ lui l’assassino della riviera, cit.
158
M. ZINOLA, Voleva cambiare la Mercedes, in «Il Secolo XIX», del 9 maggio 1998.
111
Bilancia. Da Albenga a Siena a Pavia, passando per Cremona e Mantova, i
fascicoli che vennero riletti furono decine, perché troppe le analogie con le donne
assassinate dal serial killer ligure. Sebbene “cautela” fosse ancora la parola
d’ordine tra gli inquirenti, che dicevano di non voler trasformare Bilancia nella
«madre di tutti gli omicidi»159, tuttavia, tra tanti interrogativi, sembrava emergere
catturato.
era accaduto, se stavano bene «perché sono vecchi e malandati». Radio fante da
Marassi sostenne che Bilancia avrebbe detto ad una guardia «Tutti quegli omicidi
non li ho mai commessi io»160. Bilancia, detenuto nel centro clinico, venne posto
in stato di totale isolamento; tanto che la direzione del carcere negò a due
infatti, temettero che eventuali complici di Bilancia potessero fare azioni ritorsive
159
S. F., Il giallo della lettera in latino. Gli investigatori indagano su un omicidio a Siena, in «Il
Secolo XIX», del 9 maggio 1998.
160
Ivi.
112
Cogoleto: «Rischiate di mettere a repentaglio la vita dei testi o di tappare la
L’omicidio Parenti - Scotto era quello più inquietante per le modalità del
ucciso. Difficile pensare che l’assassino avesse agito da solo. La polizia aveva
recuperato i proiettili utilizzati (calibro 38), le impronte lasciate sul nastro adesivo
161
M. ZINOLA, Non uccideva da solo, in «Il Secolo XIX», del 10 maggio 1998.
162
Ivi.
113
via del gioco d'azzardo. Un filone che il Pm
Pinto aveva lasciato aperto come possibile
collegamento tra l'omicidio del metronotte Canu e
quello degli orefici. In carcere Bilancia aveva
conosciuto elementi di spessore della mala
genovese - lo confermano i Pm genovesi - come
Chiti, Dongo e altri163.
domanda se potesse non essere Bilancia il killer che aveva terrorizzato la Liguria,
emergere un sorriso.
febbraio dello anno precedente in una serra di Albenga, il caso sembrava ormai
concluso. Il 15 maggio 1998 la maggior parte dei giornali che si erano occupati
del caso riportarono a lettere cubitali la notizia della confessione di Bilancia «Ho
sarebbe svolto presso palazzo di giustizia anziché in una caserma dei carabinieri.
163
Ivi.
164
R. SANGALLO, Gli indizi lo inchiodano, da «Il Secolo XIX», del 10 maggio 1998.
114
Emerse così che la lunga scia di sangue lasciata dal serial killer ligure
sarebbe iniziata nel febbraio del 1997 con l’omicidio della prostituta albanese
Dopo aver riempito per ben un anno le pagine di cronaca nera, dopo aver
neppure gli inquirenti erano riusciti totalmente a sfuggire a questa logica del
“media”.
115
CONCLUSIONI
Come scrive Bauman nel suo La società dell’incertezza, «La paura non è
certo una novità per la vita umana»; l’umanità, infatti, l’ha conosciuta fin dai suoi
esordi e nel corso della sua evoluzione «ogni epoca della storia si è differenziata
dalle altre per avere conosciuto forme particolari di paura; o piuttosto, ogni epoca
99). Sopra ogni altra, però, impera quella che potremmo definire la madre di tutte
rifiuta l’idea della propria fine, diversamente l’uomo non può sfuggire a tutte le
di un altrove lontano, dove ogni confine pare aver perso i propri contorni, la paura
passato, infatti, quando la società era un insieme di valori e regole ben precise,
116
«ristrutturazione», «perdono la loro forza normativa e semplicemente non ci sono
sua libertà individuale, a quella libertà ancestrale che gli permetteva di dare libero
sfogo agli istinti più nascosti. È da tempo, infatti, che agli esseri umani non è
concesso perseguire tutto quello che desiderano dal profondo nel cuore, e neppure
di farlo nel modo desiderato: gli istinti sono stati tenuti a freno o del tutto
dato inizio ad un intimo disagio psichico, alla diffusione delle nevrosi e a un forte
senso di ribellione.
cui deriva una paura che può essere facilmente attribuita alle cause sbagliate e può
determinare azioni palesemente irrilevanti rispetto alla causa vera. Proprio perché
contro i quali sia possibile intraprendere un’azione difensiva (o, meglio ancora
avere) nella società attuale un ruolo fondamentale; giornali e net – work, infatti,
117
sono diventati dei veri e propri head – hunter, ovvero cacciatori di teste da
pagina», sembra sintetizzare in uno slogan la filosofia fatta propria dai media i
Non è raro, infatti, che una notizia o un caso vengano proposti e affrontati
in modo tale da far sorgere la netta sensazione che sia impossibile contrastare o
condizione sociale o mini la certezza delle nostre prospettive future. Nel caso
Bilancia, ad esempio, anche le figure degli inquirenti, dei «tutori della legge»,
fonte di garanzia di sicurezza e tema ampiamente trattato dai media per l’interesse
incredibile spettacolo, nella storia, come scrive Bauman nel suo citato Dentro la
detective che rischiano la propria vita perché il resto di noi possa dormire in pace»
(Ivi, p. 130) uno spettacolo che, però, continua l’autore, «dirotta l’attenzione del
di riflettere sulle ragioni per cui si continui a sentirci insicuri, persi e spaventati
Ma anche gli inquirenti, così come è avvenuto per i cittadini comuni, sono
stati attirati nella rete della “paura” e della “tensione” e hanno dato vita, nelle
118
pagine dei giornali e nei resoconti spesso concitati dei telecronisti, a storie «di
ordinaria follia» con il loro indagare incessante, senza sosta, contro tutto e contro
tutti, nella ricerca di quello che sembrava essere l’incarnazione stessa del male,
ovvero Donato Bilancia; un uomo sicuramente fuori dalla norma, ma pur sempre
un individuo nato e cresciuto all’interno di una precisa società con i suoi ritmi e le
mondo.
Vero è, pure, che nel caso Bilancia, non sempre i toni sono stati concitati,
alcune voci, infatti, si sono levate dal coro di quanti volevano tenere alta la
tensione, non tanto per diritto di cronaca quanto per aumentare la tiratura dei
giornali o per catturare più audience possibile, e hanno opposto alla logica della
paura quella del buon senso, del vivere civile, seguendo un codice deontologico
apparentemente scomparso. Non che la massa dei lettori, naturalmente, sia priva
di qualunque senso critico e del tutto incapace o indifesa nei confronti dell’attacco
frontale dei media, tuttavia non si può negare che oggi più che mai i media
informazioni sempre più libero da vincoli spaziali e temporali, sempre più libero,
nuove.
119
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