L'umanità in Tempi Bui - Riassunto

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Hannah Arendt

Il pensiero di Lessing ruota attorno all'importanza del rapporto con il mondo e della fraternità
umana. Egli sosteneva che l'onore e i doveri nei confronti del mondo sono legati, e che il genio è
spinto nella vita pubblica per i suoi doni. Lessing vedeva nella compassione un'affinità umana, ma
era turbato dal carattere egualitario della compassione. Inoltre, riteneva che la fraternità fosse il
compimento della compassione. Lessing si preoccupava della libertà e della critica nel senso di
prendere posizione per il mondo, e credeva che il pensiero libero non dovesse essere dominato
dalla ragione o dalla costrizione. Inoltre, riteneva che la fraternità trovasse spazio naturale tra i
paria, ma che non fosse trasmissibile o acquistabile da chi non era dei paria.

La storia conosce molti periodi in cui lo spazio pubblico si oscura e il mondo diventa così
incerto che le persone non chiedono più alla politica se non di prestare la dovuta attenzione ai
loro interessi vitali e alla loro libertà privata. Li si può chiamare “tempi bui” (Brecht). Coloro
che hanno vissuto e che si sono formati in tali epoche probabilmente sono sempre stati inclini
a disprezzare il mondo e lo spazio pubblico, a ignorarli per quanto possibile e anche a saltare
al di là, per poi ritrovarsi al di qua – come se il mondo non fosse che una facciata dietro la
quale le persone possono nascondersi – al fine di arrivare a una mutua intesa con i loro simili
senza considerazione per il mondo che sta tra di essi. In epoche di questo genere, se le cose
vanno bene, si sviluppa un tipo particolare di umanità […]

Nel XVIII secolo il massimo e più efficace sostenitore di questo tipo di umanità fu Rousseau,
per il quale la natura umana comune a tutti i tipi di uomini non si manifesta nella ragione, ma
nella compassione, nella ripugnanza innata, come affermava, a veder soffrire un nostro simile
[…] Nello spirito della Rivoluzione francese, che faceva riferimento alle sue idee, egli vedeva
nella fraternité il compimento dell’umanità […]

È vero che tale umanità diventa inevitabile quando i tempi per alcuni gruppi umani si
oscurano al punto che non è più questione né di teoria né di libera decisione per ritirarsi dal
mondo. L’umanità nella forma della fraternità fa inevitabilmente la sua comparsa nella storia
presso i popoli perseguitati e i gruppi ridotti in schiavitù. Nel XVIII secolo doveva essere
pressoché naturale scoprirla tra gli ebrei, allora nuovi arrivati nei circoli letterari. Questo tipo
di umanità è il grande privilegio dei popoli paria; è il vantaggio che i paria di questo mondo
possono avere sempre e in tutte le circostanze sugli altri. È un privilegio pagato caro; spesso
accompagnato da una perdita del mondo tanto radicale, da un’atrofia tanto terrificante di tutti
gli organi per mezzo dei quali entriamo in corrispondenza con esso – dal senso comune con
cui ci orientiamo in un mondo condiviso con gli altri al senso della bellezza o al gusto, con cui
amiamo il mondo – che nei casi estremi, in cui la condizione di paria si è prolungata per secoli,
possiamo parlare di reale acosmia. E l’acosmia, purtroppo, è sempre una forma di barbarie.

In tale umanità, per così dire organicamente sviluppata, tutto avviene come se sotto la
pressione della persecuzione i perseguitati si avvicinassero talmente gli uni agli altri da
provocare la scomparsa dello spazio intermedio che abbiamo chiamato mondo […]

Ciò provoca un calore tra le relazioni umane che può colpire chi è entrato in contatto con quei
gruppi come un fenomeno quasi fisico. È ovvio che non voglio affatto negare che il calore dei
perseguitati sia qualcosa di grande. Nel suo pieno sviluppo, può generare una bontà e una
gentilezza di cui altrimenti gli esseri umani sono difficilmente capaci. Spesso è anche sorgente
di una vitalità, di una gioia per il semplice fatto di essere vivi, che induce a pensare che la vita
raggiunga la sua pienezza solo presso coloro che, dal punto di vista del mondo, sono gli
umiliati e gli offesi […]
L’umanità creata dalla fraternità si adatta difficilmente a chi non appartiene al novero degli
umiliati e degli offesi e non può parteciparvi se non mediante la compassione. Il calore dei
popoli paria non può legittimamente estendersi a coloro che solidarizzano con essi: poiché
una diversa posizione nel mondo fa pesare su di essi una responsabilità verso il mondo che
vieta loro di condividere l’insofferenza dei paria. È vero però che in tempi bui il calore, che
presso i paria è sostituto della luce, esercita un grande fascino su tutti coloro che si
vergognano del mondo così come è, al punto di voler rifugiarsi nell’invisibilità. E
nell’invisibilità, in quell’oscurità in cui, essendo nascosti, non si ha nemmeno più bisogno di
vedere il mondo visibile, solo il calore e la fraternità degli uomini stipati gli uni contro gli altri
possono compensare la misteriosa irrealtà che contraddistingue le relazioni umane ogni volta
che esse si sviluppano nell’acosmia assoluta e senza essere collegate a un mondo comune a
tutti. È facile, in un tale stato di assenza di mondo e di irrealtà, concludere che l’elemento
comune a tutti gli uomini non è il mondo ma la “natura umana” di questo o quel tipo, a
seconda dell’interprete. Poco importa che si metta l’accento sulla ragione, identica per tutti gli
uomini, o su una sensibilità riscontrabile in tutti come la capacità di compatire. Il razionalismo
e il sentimentalismo del XVIII secolo sono solo due aspetti di una stessa situazione; entrambi
possono condurre in egual misura all’entusiastico eccesso in cui gli individui si sentono legati
da vincoli di fraternità con tutti gli uomini. Razionalità e sentimentalismo non furono peraltro
che sostituti psicologici, localizzati nell’invisibile, del mondo comune visibile, allora perduto.
In effetti la “natura umana” e il corrispondente sentimento di umanità si manifestano solo
nell’oscurità e non possono quindi venire individuati nel mondo. Inoltre, in condizioni di
visibilità si dissolvono nel nulla come fantasmi. L’umanità degli umiliati e offesi non è mai
sopravvissuta all’ora della liberazione neppure per un minuto. Ciò non vuol dire che non abbia
alcun significato, poiché essa rende sopportabile l’umiliazione, bensì che in termini politici è
assolutamente irrilevante.

Nel momento in cui scriveva tutto questo, Arendt non poteva sapere quanto le sue
osservazioni sarebbero state calzanti nel 2018. Negli ultimi cent’anni pressoché tutti gli
avvenimenti politici significativi hanno portato al moltiplicarsi di nuove categorie di
profughi, un fenomeno apparentemente destinato a ripetersi senza fine. Nel saggio del
1951 dal titolo Le origini del totalitarismo, Arendt scrive riferendosi ai profughi: « La
disgrazia degli individui senza status giuridico non consiste nell’essere privati della
vita, della libertà, del perseguimento della felicità, dell’eguaglianza di fronte alla legge
e della libertà di opinione, ma nel non appartenere più ad alcuna comunità » . La
perdita della comunità comporta l’espulsione dall’umanità stessa. Appellarsi ai diritti
umani in astratto non serve in assenza di istituzioni che garantiscano efficacemente tali
diritti. Il più fondamentale dei diritti è il “diritto di avere diritti”.

Il saggio Verità e politica, pubblicato nel 1967, potrebbe essere stato scritto ieri.
L’analisi che Arendt fa della menzogna sistematica e del pericolo che essa rappresenta
per la verità fattuale calza a pennello. Poiché le verità fattuali sono contingenti e di
conseguenza il loro opposto è possibile, è fin troppo facile distruggere la verità fattuale
sostituendola con “alternative facts”, ossia realtà alternative. In Verità e politica scrive:
«La libertà di opinione è una farsa a meno che l’informazione fattuale non venga
garantita e i fatti stessi siano sottratti alla disputa». Purtroppo una delle tecniche più
fortunate per sfumare la differenza tra verità e falsità è spacciare qualsiasi verità come
una semplice opinione: quello che avviene più o meno quotidianamente a opera
dell’amministrazione Trump.
Oggi i leader politici seguono con grande successo una prassi eclatante dei regimi
totalitari di un tempo, creano cioè un mondo fittizio di realtà alternative. Arendt
individua un rischio ancora peggiore: « Il risultato di una coerente e totale sostituzione
di menzogne alla verità non è che ora le menzogne saranno accettate come verità e che
la verità sarà denigrata come menzogna, ma che il senso grazie al quale ci orientiamo
nel mondo — e la categoria di verità versus falsità è tra i mezzi mentali che servono a
tal fine — viene distrutto». Le possibilità di mentire diventano illimitate e spesso
incontrano scarsa resistenza. Molti progressisti restano sconcertati dall’indifferenza
del pubblico di fronte alle bugie smascherate in base alla verifica dei fatti. Ma Arendt
aveva capito come funziona davvero la propaganda. Le masse «si lasciano convincere
non dai fatti, neppure dai fatti inventati, ma soltanto dalla compattezza del sistema che
promette di abbracciarle come una sua parte». Gli individui che si sentono negletti e
dimenticati anelano a una narrazione — anche fittizia — che dia un senso all’ansia che
provano e prometta una sorta di redenzione. I leader autoritari traggono enormi
vantaggi sfruttando queste ansie e inventando una storia a cui la gente vuole credere.
Una storia inventata che promette di risolvere i problemi di ciascuno ha molta più
presa rispetto ai fatti e alle tesi “razionali”.

Arendt non era una Cassandra. Non si è limitata a denunciare i rischi politici, ma ha
elaborato un concetto preciso della dignità della politica. Grazie alla nostra capacità di
agire, siamo sempre in grado di dare vita a un rinnovamento. Il fulcro del pensiero di
Arendt è proprio la necessità di assumersi la responsabilità della nostra vita politica.
La sua difesa della dignità della politica rappresenta un metro di giudizio
importantissimo per molti di noi a fronte della situazione odierna, che vede diminuite
le opportunità di partecipazione, di agire di concerto e di impegnarsi in un dibattito
autentico tra pari. Dobbiamo resistere alla tentazione di tirarci fuori dalla politica
pensando che non si possa fare nulla contro le brutture, gli inganni e la corruzione di
oggi. Per tutta la vita Arendt si è proposta di affrontare e comprendere davvero il buio
dei nostri tempi, senza perdere di vista la possibilità di trascendenza e di
illuminazione. Noi dovremmo avere lo stesso proposito.

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