ESISTENZA E ATTIVITÀ DEL MONDO DEMONIACO Catechesi A Cura Dell
ESISTENZA E ATTIVITÀ DEL MONDO DEMONIACO Catechesi A Cura Dell
ESISTENZA E ATTIVITÀ DEL MONDO DEMONIACO Catechesi A Cura Dell
Introduzione
Nella Sacra Scrittura, Satana e i demoni sono chiaramente presentati non come “un simbolo” del
male, né figure mitiche, né personificazioni del male o del peccato, né allegorie, ma esseri reali e
spirituali, cioè non dotati di un corpo come gli uomini: «angeli creati buoni da Dio, che si sono
trasformati in malvagi, perché con libera scelta, hanno rifiutato Dio e il suo Regno»[1]. Il loro
intelletto e la loro volontà sono protesi totalmente al male e agiscono cercando di propagare anche
nel mondo umano la loro stessa scelta per il male con il fine di separare gli uomini da Dio e per fare
questo sfruttano la possibilità che hanno d’interferire con la vita degli esseri umani ad un duplice
livello: con un’azione ordinaria, tentandoli, cioè, al male e con un’azione che è definita
straordinaria, perché più rara e perché si manifesta talvolta con effetti visibili e percepibili. Secondo
le varie forme con cui un essere umano è soggetto a questa azione del demonio, è definito con
l’espressione “posseduto dal demonio” o “indemoniato”, oppure “vessato” od “ossesso” dal
demonio. Per gli oggetti e i luoghi si usa invece il termine “infestazione diabolica”. Tali termini
però non sono del tutto adeguati e si prestano a dei fraintendimenti, in quanto non si riferiscono a
una persona che agisce liberamente, sia pure dietro suggestione del maligno, operando il
male[2]. Sarebbe auspicabile pertanto che si usasse la terminologia “disturbi spirituali” in quanto
non siamo davanti a mali di origine patologica, psicologica o psichiatrica, ma a mali di natura
spirituale, cioè provocati da esseri spirituali maligni per mezzo di un’azione che non è la semplice
tentazione.
Tuttavia non essendo stati per ora ancora proposti altri termini per esprimere le varie forme dei
disturbi spirituali, continueremo nel corso di questa catechesi a usare il termine «possessione,
vessazione ed ossessione diabolica» per le persone e «infestazione diabolica» per i luoghi.
Specificheremo nel corso della trattazione che cosa si intende per ciascuna di essa.
La possessione diabolica descritta nei Vangeli è distinta dalle malattie fisiche e psichiche
Gesù durante i tre anni della sua missione pubblica ha annunciato il Regno di Dio, ha guarito gli
infermi dalle malattie e ha liberato dal demonio coloro che erano da essi tormentati. La forma più
grave di tale aggressione diabolica è quella che compare, appunto, nei Vangeli- e che definiamo
«possessione diabolica» e chi la subisce lo definiamo talvolta e impropriamente con il termine
“indemoniato”.
La possessione diabolica non è una malattia fisica o psichica, ma una reale azione di uno spirito
demoniaco (o anche più di uno) che subentra con il suo dominio dispotico, brutale e violento,
servendosi del corpo della sua vittima, costretta a parlare e a muoversi come quello spirito o quegli
spiriti vogliono, senza potergli resistere.
Nei Vangeli si evidenzia chiaramente la differenza dell’atteggiamento di Gesù quando guarisce da
una malattia e quando invece libera un indemoniato. Quando la persona era ammalata, Gesù si
rivolgeva direttamente e benignamente al malato e lo guariva; se invece gli si presentava un
indemoniato, Gesù si rivolgeva con determinazione a qualcun altro, distinguendolo dalla persona
stessa, e con un comando imperativo gli ordinava di lasciarla e di non tormentarla più.
Nell’episodio dell’indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, Gesù non disse: «Taci», ma con
comando imperativo disse: «Taci ed esci da quell’uomo!» (Mc 1,25). Quando si trovò davanti a
quell’uomo che vagava tra i sepolcri, urlando e percuotendosi con pietre, Gesù non parlò a lui, ma si
rivolse direttamente a qualcun altro, che aveva ridotto quell’uomo in tale miserevole condizione e
con comando imperativo, esclamò: «Esci, spirito impuro da quest’uomo!» (Mc 5,8).
Quando gli portarono quel ragazzo, che i discepoli non erano riusciti a liberare e che il padre
presentò a Gesù supplicandolo di liberarlo, Gesù non disse al ragazzo: «Sii guarito e va in pace»,
ma: «Spirito muto e sordo, io ti ordino, esci da lui e non vi rientrare più!» (cfr. Mc 9,25). Gesù
cacciando via il demonio con un comando imperativo, rivela chiaramente che quel ragazzo era
dominato totalmente da una presenza demoniaca che gli bloccava la parola e l’udito.
Nei Vangeli, soprattutto nei vangeli di Matteo e Marco, la distinzione tra guarigione di una persona
da una malattia e la liberazione di una persona da una possessione diabolica è indicata non solo dal
diverso atteggiamento che assume Gesù, ma anche dal comportamento che la persona tormentata
dal demonio, ha nei suoi confronti. A differenza dei semplici ammalati, i quali supplicano Gesù di
guarirli, una voce rabbiosa, manifesta terrore e chiede di non essere mandato via dal corpo di quella
persona; la persona cade a terra prostrata come da una forza contro la quale è impotente. Se
quell’essere estraneo alla persona è interrogato da Gesù circa il suo nome, è costretto a rispondere:
«Il mio nome è Legione [-gli rispose-] perché siamo in molti» (Mc 5,9). Dimostra inoltre di
conoscere l’identità di Gesù e teme di essere abbattuto da Lui. Nella sinagoga di Cafarnao esclama:
«Basta! Che vuoi da noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?» (Lc 4, 34; cfr. anche Mc 1, 24).
Attraverso quell’uomo che vagava nei sepolcri urlando, dice: «Che vuoi da me Gesù Figlio del Dio
Altissimo? Ti prego, non tormentarmi!» (Lc 8, 28).
In ambito cristiano la distinzione tra queste due condizioni, malattia e possessione diabolica, era, a
livello di principi, ben presente fin dall’inizio del cammino ecclesiale, come si può evincere dagli
stessi Evangelisti, assai fermi nel distinguere tra malattie provocate da fattori naturali e azioni
straordinarie del demonio. La Chiesa Cattolica ha pertanto sin dal principio distinto tra possessione
diabolica e malattia mentale/ stato di disagio psichico.
I Vangeli, dunque, pongono una distinzione tra coloro che sono malati e coloro che invece sono
tormentati da uno o più spiriti demoniaci. Questi, infatti, a differenza dei malati rivelano con dei
segni inequivocabili, la presenza di uno o più esseri intelligenti estranei a loro stessi. Quali sono
questi segni? La persona innanzitutto perde la coscienza di sé. La “coscienza” nel senso della
presenza a sé stessa, dell’“autopercezione” sembra scomparire, sostituita temporaneamente da un
essere estraneo che controlla la persona totalmente e pieno d’ira, urla rabbiosamente, provoca forti
convulsioni e contorcimenti nel corpo della sua vittima, ne altera i tratti somatici, mostra di
conoscere cose occulte, produce in essa una forza al di fuori della norma, che non corrisponde né
all’età né alle condizioni di quella persona, la vessa fisicamente, servendosi delle sue stesse membra
e si contraddistingue per una peculiare manifestazione di incontenibile odio e avversione nei
confronti di Cristo Gesù di cui dimostra di conoscere l’identità.
I racconti relativi agli esorcismi di Gesù, indicano chiaramente che i demoni conoscevano la vera
identità di Gesù, ignorata dai suoi contemporanei e dalle stesse persone che i demoni tormentavano.
Nei Vangeli vediamo che i demoni, con grande turbamento e timore, gridando con forza,
esclamavano attraverso gli esseri umani che essi possedevano: «Io so chi tu sei: il Santo di Dio!»
(Mc 1,24); il «Figlio di Dio (Mc 3,11) e il «Figlio dell’Altissimo» (Mc 5,7). Inoltre sapevano anche
che Gesù era venuto a distruggere il loro regno: «Sei venuto a rovinarci!» (Mc 1,24). Tale
conoscenza non è contraddetta da Gesù, ma riconosciuta valida (Mc 1,34; 3,12) e confermata da
altri passi in cui l’identità di Gesù è indicata con gli stessi termini (cfr. Mc 1,11; 9,7; 15,39). La
proibizione di parlare, imposta da Gesù ai demoni, non era diretta contro quanto essi affermavano,
ma piuttosto contro il modo di manifestarlo, perché i demoni anticipavano quella rivelazione sulla
sua identità che Egli stesso voleva manifestare poco per volta, affinché non fosse compromesso
l’esito della sua missione (si tratta del cosiddetto “segreto messianico”).
Gesù, dunque, nella sua vita terrena si è confrontato e ha lottato contro le due forme di azione del
demonio: quella ordinaria e quella straordinaria.
L’azione ordinaria l’ha affrontata restando fedele al progetto del Padre quando Satana lo ha tentato
nei quaranta giorni del deserto, quando Satana lo ha combattuto nelle opposizioni crescenti che
suscitava tra i capi del popolo nei suoi confronti e infine quando lo ha tentato mentre moriva in
croce.
L’azione straordinaria l’ha invece affrontata attraverso gli esorcismi. Gesù ha in particolare rivelato
il significato e l’importanza fondamentale degli esorcismi, dicendo: «Se [invece] io scaccio i
demoni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio» (Lc 11, 20). Con queste parole Gesù
ha affermato che la sua attività di cacciare il demonio è il segno della venuta del Regno di Dio tra
gli uomini. Piegando immediatamente la prepotenza dei demoni, Gesù conferma l’origine divina del
suo potere e del suo insegnamento e dimostra, dunque, di essere il Messia Salvatore, venuto a
portare il Regno di Dio sulla terra, per infrangere la tirannia di Satana sull’umanità. Gli stessi
demoni -come abbiamo visto leggendo gli episodi evangelici- sono costretti, loro malgrado, a
confermarlo, confessando che egli è venuto a distruggere il loro regno. Nonostante continuino
tuttora a essere attivi nel mondo, per la rovina degli uomini, la loro sconfitta è già assicurata.
Arriverà, infatti, come il Signore stesso ci ha preannunciato, il giorno e l’ora della loro disfatta
totale: il Regno di Dio trionferà per sempre sul regno di Satana e sorgerà un nuovo mondo. Nel suo
ministero di esorcista, Gesù ci fa intravedere i primi bagliori dell’avvento di quell’alba radiosa, in
cui gli spiriti demoniaci non avranno più alcun potere sugli uomini.
«Gesù non si è adeguato a una mentalità, che credeva erroneamente all’esistenza del diavolo e dei
demoni. L’atteggiamento di Gesù nei confronti del giudaismo del suo tempo è stato quello di una
vigorosa libertà, l’ha portato a rifiutare o a superare alcuni punti, non di rado di capitale importanza,
quali: la modalità concreta del monoteismo giudaico (che è di solitudine anziché di comunione),
l’intangibilità e il primato della legge sull’uomo, l’assolutizzazione del particolarismo israelitico, il
messianismo politico e nazionalista, la rigida connessione del peccato con la sofferenza, la
sopravvalutazione della purezza legale, la possibilità del divorzio e altro ancora. Nel contesto di una
tale libertà, si può dire a colpo sicuro che, qualora Gesù non fosse stato convinto della realtà e
dell’importanza della demonologia, sostenuta dall’ebraismo, non avrebbe mancato di lasciarla
cadere come qualunque delle altre dottrine da lui contestate. E, invece, i testi ci mostrano che Gesù
ha, sì ampiamente ridimensionato la dottrina del diavolo, propria del suo tempo e del suo ambiente
ma, nel contempo, l’ha fermamente mantenuta e, anzi, gli ha conferito uno sviluppo di gran lunga
superiore a quello dell’Antico Testamento, sempre collegandola con l’interpretazione della propria
missione. Dunque, era davvero persuaso di un dato reale e rilevante»[3].
«C’è, poi, da riflettere sulla famosa disputa su Belzebù, riportata dai Sinottici (cf Mt 12,22-29; Mc
3,22-30; Lc 11,14-22), allorché un gruppo di farisei, in occasione della liberazione di un
indemoniato, rivolse a Gesù l’accusa di scacciare i demoni in nome del principe dei demoni. Per
controbattere l’accusa, bastava che Gesù si ponesse dalla parte di Sadducei, che negavano
l’esistenza degli spiriti maligni, e spiegare ai farisei che i propri esorcismi non erano altro che
semplice attività di guarigione dei malati. Invece, Gesù scelse la strada più difficile: confutò
l’obiezione dei farisei, ma confermò la loro credenza nell’esistenza e nell’attività dei demoni. E,
così facendo, non fece altro che moltiplicare i suoi avversari: farisei per un verso e sadducei per
l’altro»[4].
Se si prova a leggere qualche nota di commento ad alcuni testi evangelici, si rimane vivamente
sorpresi da certe espressioni ambigue: “presso gli ebrei si aveva la convinzione che le malattie
mentali fossero causate da una presenza diabolica”. In pratica, si contraddice nel commento al
Vangelo quanto è scritto nel Vangelo stesso. Chi accetta acriticamente questi “suggerimenti”,
finisce con il recepire un Vangelo molto diverso da quello trasmessoci dagli apostoli. Secondo
quanto questi teologi cercano sottilmente d’insinuare, la possessione non sarebbe altro che una
particolare forma espressiva – o, al massimo, una forma di creduloneria – mediante la quale, 2000
anni fa, gli ebrei indicavano, in realtà, dei normali ammalati di mente. Quest’affermazione, non
supportata da alcun elemento a favore, per quanto semplicistica sia, ai nostri tempi ha trovato
facilmente spazio e credito, contaminando la teologia. Essa, però, trova un ostacolo insormontabile
nelle precise parole di Gesù: «Andate a dire a quella volpe (di Erode): “Ecco, io scaccio i demoni e
compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito” (Lc. 13, 32)». Per lungo tempo
alcuni teologi hanno introdotto nei commenti ai Vangeli, delle considerazioni fuorvianti che hanno
danneggiato pesantemente la pastorale della Chiesa in questo campo, consegnando in tal modo tanti
fratelli e sorelle bisognose di questo ministero a cure psichiatriche di cui non avevano bisogno,
aggravando così ulteriormente la loro sofferenza.
Il ritenere che Gesù si sia ingannato, o per lo meno che si sia adattato al linguaggio, alla mentalità e
alle credenze del tempo, chiamando opera del demonio quello che era semplicemente effetto di
isteria o di turbe psichiche di origine naturale, significa negare la divinità stessa di Gesù Cristo.
Colui che è «Via, Verità e Vita» (Gv 14,6), venuto a rendere testimonianza alla Verità (cfr. Gv
18,37), non poteva ingannare i suoi uditori, facendo loro credere il falso per il vero. Egli, che era
venuto «per distruggere le opere del diavolo» (1 Gv 3,8) e che affidava ai suoi discepoli il compito
di cacciare i demoni, non poteva lasciar dubbi su una verità così importante e fondamentale. San
Giovanni Paolo II, ricordò durante l’Udienza Generale di mercoledì 3 giugno 1998, che «una tipica
attività di Cristo è proprio quella dell’esorcista». Cristo era esorcista e il Vangelo stesso testimonia
numerose liberazioni che egli ha operato a beneficio dei posseduti. In una catechesi di vari anni
prima, nell’Udienza del 20 agosto 1986, sullo stesso tema il Papa aveva affermato:
«Alla vittoria di Cristo sul diavolo partecipa la Chiesa: Cristo, infatti, ha dato ai suoi discepoli il
potere di cacciare i demoni (cfr. Mt 10,1 e par.). La Chiesa esercita tale potere vittorioso mediante
la fede in Cristo e la preghiera (cfr. Mc 9,29; Mt 17,19-20), che in casi specifici può assumere la
forma dell’esorcismo».
Tutti sappiamo, inoltre, come Papa Francesco, sin dall’inizio del suo Pontificato, nelle sue omelie,
nelle catechesi nel corso delle Udienze Generali e in vari discorsi, abbia spesso fatto esplicita
allusione all’opera del demonio tra gli uomini.
«Alla luce di tali decisive constatazioni non fa meraviglia che la tradizione della Chiesa, sulla realtà
e l’importanza della lotta contro il “principe di questo mondo”, rappresenti uno dei casi più massicci
di continuità che la storia abbia mai registrato. A cominciare dal Concilio di Nicea e poi di
Costantinopoli del secolo IV, per arrivare al Concilio Lateranense IV del secolo XIII, papi e vescovi
presero posizione contro una dottrina, il dualismo, che faceva di Satana una sorta di secondo Dio,
indipendente e contrario al vero Dio. Nulla sarebbe stato più facile ed efficace per sconfiggere
quell’errore che identificava il diavolo con il peccato. Ma i Padri Conciliari non misero
minimamente in discussione la realtà di Satana»[5].
Ai nostri giorni, il Magistero della Chiesa e i Papi sino a Papa Francesco avrebbero potuto fare
propria l’identificazione del diavolo con il male, sostenuto da quei settori della teologia
contemporanea che si appellano alla fedeltà allo spirito del tempo in nome del dialogo tra fede e
cultura, raccomandato dal Vaticano II. E, invece, sfidano il dileggio degli oppositori e dichiarano
precisamente l’opposto.
Che i Papi sfidino il dileggio di coloro che negano l’esistenza del diavolo e dei demoni risulta,
infine, dalla promulgazione del Rito degli esorcismi. Un testo liturgico del genere che senso
avrebbe, se il diavolo e i demoni non dovessero esistere? Tutto ciò è segno evidente che i Papi
ritengono intangibile questo dato.
«Questa continuità di pronunciamenti, esistente entro evidenti cambiamenti epocali di sensibilità -fa
notare Gozzelino- prova che la dottrina del Magistero della Chiesa sul diavolo e i demoni non
dipende dal semplice fatto che fino al secolo XVIII la presenza del diavolo non conoscesse
oppositori di sorta. Dipende, invece, da una adesione di fede a ciò che Dio ha rivelato»[6].
Alla luce dell’insegnamento della Sacra Scrittura, di Cristo e della Chiesa, che abbiamo presentato,
dobbiamo senza mezzi termini affermare che chi insegna che il demonio non esiste, che non esiste
alcuna possessione diabolica e che gli esorcismi sono soltanto un retaggio del passato della Chiesa,
è in aperta discordanza con la Rivelazione, con il Vangelo e con il Magistero della Chiesa. Dio ci
ha infatti rivelato la reale esistenza di Satana e degli spiriti demoniaci al suo servizio, una verità
sempre insegnata dalla Chiesa e mai negata nella storia del cristianesimo.
Nel 1975 la Congregazione per la Dottrina della Fede, circa l’esistenza del Demonio e il suo potere
di tentare e di possedere gli uomini, raccomandava vivamente la lettura di un testo commissionato a
un esperto e pubblicato sull’Osservatore Romano il 26 giugno 1975. Il testo è riportato anche
nell’Enchiridion Vaticanum, vol. V, pag. 830-879 (1974-1976) ed è intitolato: Fede e
demonologia. In esso, si afferma, tra l’altro:
«Nel corso dei secoli l’esistenza dei demoni non è mai stata fatta oggetto di una definizione
esplicita e solenne del Magistero della Chiesa, ma “la ragione è che la questione non fu mai posta in
questi termini, perché gli eretici e i fedeli, ugualmente fondandosi sulla Sacra Scrittura, erano
d’accordo nel riconoscere la loro esistenza e i loro principali misfatti. Per questo, oggi, quando è
messa in dubbio la realtà demoniaca, è necessario riferirsi alla fede costante e universale della
Chiesa alla sua fonte maggiore: l’insegnamento di Cristo. È nella dottrina del Vangelo, infatti, e nel
cuore della fede vissuta che l’esistenza del mondo demoniaco si rivela come un dato dogmatico”».
Ricordiamo anche le parole del Papa san Giovanni Paolo II, quando si recò al Santuario di San
Michele a Monte Sant’Angelo sul Gargano:
«Questa lotta contro il demonio che contraddistingue la figura dell’Arcangelo Michele, è attuale
anche oggi; perché il demonio è tuttora vivo e operante nel mondo. Infatti il male che è in esso, il
disordine che si riscontra nella società, l’incoerenza dell’uomo, la frattura interiore della quale è
vittima non sono solo le conseguenze del peccato originale, ma anche l’effetto dell’azione
infestatrice e oscura di Satana»[7].
Qualche anno prima, il suo predecessore, il Papa Paolo VI, oggi beato, in una udienza del mercoledì
aveva dichiarato:
«Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e
pervertitore. Terribile realtà, misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed
ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente»[8].
Il Magistero della Chiesa afferma la reale esistenza del mondo demoniaco, richiamandosi alla Sacra
Scrittura, e ci ricorda che gli esorcismi di Gesù, che troviamo descritti nei Vangeli, sono stati
raccolti dalla Tradizione vivente della Chiesa stessa. Se Gesù non avesse cacciato i demoni, gli
esorcismi non sarebbero mai entrati nella pratica della liturgia della Chiesa. Del resto, non avrebbe
senso un rituale degli esorcismi senza l’esistenza del demonio. La Chiesa, infatti, non
promulgherebbe un testo liturgico nel quale «si ordina in nome di Dio ai demòni di stare lontani e
di non nuocere alle creature umane»[9] se essi non esistessero. È noto il detto: «La legge del
pregare è legge del credere» (Lex orandi, lex credendi)[10]. Il libro liturgico dell’esorcismo, in
questo senso, costituisce una particolare testimonianza circa l’esistenza del demonio e la sua attività
malefica: la liturgia della Chiesa, infatti, è espressione concreta della fede vissuta.
Nel Proemio, che introduce le Premesse Generali del più recente testo liturgico del Rito degli
esorcismi e preghiere per circostanze particolari, promulgato dalla «Santa Sede» è riportata una
mirabile sintesi demonologica che, utilizzando tutte le definizioni della Sacra Scrittura sulla realtà
demoniaca, rende evidente un profilo preciso di Satana e degli altri spiriti maligni al suo servizio.
Lo riportiamo di seguito:
«Nella storia della salvezza sono presenti creature angeliche, alcune delle quali servono il progetto
divino e offrono un misterioso e potente aiuto alla Chiesa; altre, invece, decadute dalla loro
originaria dignità e chiamate diaboliche, si oppongono alla volontà e all’azione salvifica di Dio,
realizzata in Cristo, e cercano di associare l’uomo alla loro ribellione a Dio (CCC nn. 332,391,414,
2851). Nelle Sacre Scritture il Diavolo e i demoni sono indicati con nomi diversi, dei quali alcuni
indicano in certo modo la loro natura e il loro comportamento (CCC nn. 391-395, 397). Il Diavolo,
detto anche Satana, è chiamato serpente antico e drago. È lui che seduce il mondo intero e combatte
contro coloro che osservano i comandamenti di Dio e possiedono la testimonianza di Gesù (Ap 12,
9). 17). È detto nemico degli uomini (1 Pt 5, 8) e omicida fin dal principio (cfr Gv 8, 44) per aver
reso l’uomo, con il peccato, soggetto alla morte. Con le sue insidie induce l’uomo a disobbedire a
Dio, per questo è detto Maligno e Tentatore (cfr Mt 4, 3 e 26, 36-44), menzognero e padre della
menzogna (cfr Gv 8, 44), colui che agisce con astuzia e falsità, come attestano la seduzione dei
progenitori (cfr Gen 3, 4). 13), il tentativo di distogliere Gesù dalla missione ricevuta dal Padre (cfr
Mt 4, 1-11; Mc 1, 13; Lc 4, 1-13) e il suo mascherarsi da angelo di luce (cfr 2 Cor 11, 14). È detto
anche principe di questo mondo (cfr Gv 12, 31; 14, 30), cioè signore di quel mondo che è in potere
del Maligno (cfr 1 Gv 5, 19) e non ha conosciuto la luce vera (cfr Gv 1, 9-10). Il suo potere è
indicato come potere delle tenebre (cfr Lc 22, 53; Col 1, 13) per l’odio che egli porta alla Luce, che
è Cristo, e per lo sforzo di attrarre gli uomini alle proprie tenebre. Il Diavolo e i demoni, coalizzati
insieme per opporsi alla sovranità di Dio (cfr Gd 6), hanno ricevuto una condanna (cfr 2 Pt 2, 4) e
costituiscono l’esercito degli spiriti del Male (cfr Ef 6, 12). Benché creati come esseri spirituali, essi
hanno peccato e sono anche definiti angeli di Satana (cfr Mt 25, 41; 2 Cor 12, 7; Ap 12, 7). 9). Ciò
può insinuare che dal loro maligno signore sia stata a essi affidata una qualche particolare missione
(CCC n. 394). L’intero operato di questi spiriti immondi, malvagi, seduttori (cfr Mt l0, 1; Mc 5, 8;
Lc 6, 18. 11, 26; At 8, 7; 1 Tm 4, 1; Ap 18, 2) è stato distrutto dalla vittoria del Figlio di Dio (cfr 1
Gv 3, 8). Anche se “tutta intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze
delle tenebre che durerà fino all’ultimo giorno” (Conc. Vaticano II, Cost. pastorale sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo, Gaudium et spes, n. 37), Cristo, grazie al suo mistero pasquale di morte e
risurrezione, «ci ha strappati dalla schiavitù di Satana e del peccato» (ibidem, n. 22) annientando il
loro dominio e liberando tutte le cose dal contagio del male. E siccome l’azione devastante e ostile
del Diavolo e dei demoni coinvolge persone, cose, luoghi, manifestandosi in modi diversi, la
Chiesa, sempre cosciente che “i giorni sono cattivi” (Ef 5, 16), ha pregato e prega perché gli uomini
siano liberati dalle insidie del Maligno»[11].
La Conferenza Episcopale Italiana [CEI], traducendo questo testo liturgico dal latino in italiano, ha
riportato prima del Proemio anche una sua Presentazione nella quale tra l’altro afferma:
«Il discepolo di Cristo, alla luce del Vangelo e dell’insegnamento della Chiesa, crede che il Maligno
e i demoni esistono e agiscono nella storia personale e comunitaria degli uomini»[12].
E subito dopo aver affermato l’esistenza e l’azione del demonio, la CEI aggiunge:
«Il Vangelo descrive l’opera di Gesù come una lotta contro Satana (cfr Mc 1,23-28; 32-34.39; 3,22-
30 e passim). Anche la vita dei suoi discepoli comporta una battaglia che “non è contro creature
fatte di sangue e di carne ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di
tenebra, contro gli spiriti del male” (Ef 6, 12)»[13].
NOTE:
[2] L’azione ordinaria e più estesa dei demoni fra gli uomini è quella ordinaria, cioè la tentazione: il
nostro nemico cerca di sedurci con le realtà sensibili, agendo sui nostri sensi esterni (vista, tatto,
udito, odorato, gusto) e su quelli interni (memoria, immaginazione e intelletto). In tal modo egli
prova a sollecitare il consenso della nostra libera volontà al male, con lo scopo di provocare e
rafforzare sempre più in noi una dipendenza morale da lui. La sua è «un’opera di seduzione: egli
tenta d’insinuarsi nell’intimo, nella interiorità della persona e di spingerla al male influendo sulla
sua libera volontà. Sotto questo punto di vista il demonio influenza la persona lasciandola libera e
ottenendo quindi il suo consenso». Ciò che la persona compie in queste condizioni lo fa
responsabilmente, proprio perché “lo vuol fare”. Nella Presentazione della CEI del “Rito degli
esorcismi e preghiere per circostanze particolari” si dice: «Satana riesce a impadronirsi davvero
dell’uomo in ciò che ha di più intimo e prezioso quando questi, con atto libero e personale, si mette
in suo potere con il peccato». Per questo la vigilanza deve essere esercitata soprattutto nei confronti
dell’azione ordinaria di Satana, con la quale egli continua a tentare gli uomini al male. Proprio la
tentazione è il pericolo più grave e dannoso, in quanto si oppone direttamente al disegno salvifico e
all’edificazione del Regno. Il credente vigila, perciò, per non essere ingannato e prega ogni giorno
con le parole suggerite da Gesù: «Padre, non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal Male»
(Mt. 6,13). Sarebbe quindi da stolti prestare tanta attenzione all’eventuale presenza del Maligno in
alcuni fenomeni insoliti e non preoccuparsi affatto della realtà quotidiana della tentazione e del
peccato, in cui Satana, «omicida fin dal principio» e «padre della menzogna» (Gv. 8, 44), è
sicuramente all’opera» (Conferenza Episcopale Italiana “Rito degli esorcismi e preghiere per
circostanze particolari”, Presentazione n.°7).
[3] Cfr. G. Gozzelino, Alla radice della pratica esorcistica. Problemi e compiti dell’odierna
demonologia cristiana, in «Rivista liturgica», n.6, novembre-dicembre 2000, pagg. 865-866.
[9] «Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari», Libreria Editrice Vaticana, 2001,
Decreto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
[10] Anche il rituale dell’esorcismo costituisce nella Chiesa una particolare testimonianza
sull’esistenza del demonio e sulla sua attività malefica. La frase citata si trova nel libro di San
Prospero d’Aquitania, scritto negli anni 435-442: De vocazione omnium gentium, 1, 12 (PL 51 664)
e ripreso poi dal papa Celestino I nello scritto: Indiculus 8 (DH 246). Si può dunque parlare anche
di argomento liturgico per l’esistenza di Satana; su questo aspetto si sofferma il già citato testo
raccomandato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede: Les formes multiples de la
superstition, 26 giugno 1975; versione italiana pubblicata su L’Osservatore Romano del medesimo
giorno e riportato con il titolo: Fede e demonologia nell’Enchiridion Vaticanum, vol. V, pag. 830-
879 (1974-1976).
[11] Cfr Proemio, Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari, Libreria Editrice
Vaticana, 2001, pag. 17.
[12] «Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari», Libreria Editrice Vaticana,
2001, Presentazione, a cura della CEI, par. 5, pag 10.
I settantadue discepoli, mandati da Gesù ad annunciare la venuta del Regno di Dio, tornarono pieni
di gioia, stupiti e ammirati per gli effetti benefici della loro missione, e dissero: «Signore, anche i
demoni si sottomettono a noi nel tuo nome». Gesù rispose: «Vedevo Satana[1] precipitare dal cielo
come una folgore[2]» (cfr. Lc 10,17-18). I Padri della Chiesa intuirono che queste parole di Gesù
non si riferivano soltanto all’ingresso del Regno di Dio fra gli uomini – e alla conseguente fine,
ormai imminente, del potere tirannico esercitato da Satana sulla umanità –. Esse intendevano anche
rievocare un avvenimento ben preciso: la caduta iniziale di Satana e degli altri angeli ribelli,
insieme con lui. La loro sconfitta si rinnova in ogni vittoria riportata dai discepoli sul nemico, fino
alla sua totale e definitiva disfatta. Questa vittoria è opera di Gesù Cristo stesso e si realizza nel suo
Nome: pronunciato dai suoi discepoli con fede, il Nome santo di Gesù costituisce la forza che fa
precipitare nell’annientamento il potere di Satana estendendo così anche al mondo umano la
sconfitta di Satana e degli angeli ribelli, avvenuta nel mondo angelico.
Molti Padri della Chiesa hanno inoltre riconosciuto, in queste parole di Gesù, un esplicito
riferimento al testo del profeta Isaia 14,12-15, che, nella versione ebraica, dice, al v. 12: «Come mai
sei caduto dal cielo, stella splendente del mattino, figlio dell’aurora?»[3]. Nel testo latino della
Vulgata si legge: «Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora?» che corrisponde al
testo della LXX (Settanta)[4] «heosfóros» cioè «portatore di luce». Prosegue poi il testo nella
versione ebraica: «Come mai sei stato steso a terra, signore dei popoli? (v. 12b). Eppure tu pensavi:
“Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nelle parti
più remote del settentrione (v. 13). Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale
all’Altissimo” (v. 14). E invece sei stato precipitato nell’inferno, nelle profondità dell’abisso (v.
15)». A cominciare dai Padri, la predicazione cristiana, basandosi sulle parole di Gesù: «Vedevo
Satana precipitare dal cielo come una folgore», si è servita di quel testo profetico per illustrare la
caduta degli angeli ribelli. Le parole, rivolte da Isaia al re di Babilonia, furono infatti riferite anche
al primo degli angeli, chiamato con il nome di Lucifero, proprio per indicare la condizione di Satana
precedente alla sua irrimediabile caduta. I Padri insegnavano che, come il re di Babilonia per la sua
superbia è passato dal suo grande splendore al disonore della sua nuova condizione, così, quello
che era l’angelo più luminoso creato da Dio, è passato dalla grazia e dall’amicizia con Dio allo
stato di dannazione, con la perdita di tutto il suo affascinante splendore, per aver voluto essere
come Dio, ma contro Dio.
Perché quell’angelo, poi decaduto, che era all’inizio il più luminoso fra tutti, fu chiamato dai Padri
Lucifer? La versione latina della Sacra Scrittura, la Vulgata, sin dall’inizio ha tradotto l’espressione
ebraica hêlēl di Isaia 14,12, che vuol dire splendente[5], con lucifer, termine latino che vuol dire
portatore di luce. Il pianeta Venere la sera, dopo il tramonto del sole, era chiamato dai greci
hésperos, dai latini hésperus o vesper, mentre per lo splendore che assume al mattino prima
dell’alba, era chiamato dai greci heosfóros e dai latini lucifer. I Padri della Chiesa hanno fatto
questa analogia: come nel cielo di mattina poco prima del levar del sole vediamo splendere più di
qualsiasi stella il pianeta Venere, allo stesso modo, fra gli angeli, ve ne era uno che prima della sua
caduta splendeva in bellezza più di ogni altro fra gli angeli di Dio. Fu a seguito di quest’analogia
che vari Padri della Chiesa applicarono il termine Lucifer a quello che era il più luminoso degli
angeli, poi ribellatosi a Dio. Tale appellativo gli venne attribuito nella tradizione cristiana come il
suo nome proprio, ma tale denominazione non si riscontra espressamente nella Sacra Scrittura.
Lucifer (in italiano Lucifero), più che un vero e proprio nome del diavolo, è una immagine quanto
mai espressiva per indicare quello che all’inizio era il più stupendo angelo creato da Dio, divenuto
successivamente, per sua libera scelta, il capo degli spiriti angelici ribelli a Dio. Numerosi teologi e
Padri della Chiesa (Origene, Tertulliano, Cipriano, Ambrogio, Cirillo Alessandrino, ecc.)
adoperarono il termine Lucifer, che di per sé esprime una condizione felice, per indicare Satana, che
nel Nuovo Testamento è presentato come capo dei demoni, i quali lo aiutano nella sua azione
perniciosa in mezzo agli uomini. Il nome Lucifer, così, venne ad avere un senso malefico.
Un altro testo, nel quale la tradizione cristiana ha ravvisato un riferimento esplicito alla caduta degli
angeli, è il capitolo 28, vv. 11-15.17 del profeta Ezechiele, dove leggiamo: «Figlio dell’uomo,
intona un lamento sul principe di Tiro e digli: Così dice il Signore Dio: Tu eri un modello di
perfezione, pieno di sapienza, perfetto in bellezza; in Eden, giardino di Dio, tu eri coperto d’ogni
pietra preziosa. (…). Eri come un cherubino protettore, ad ali spiegate; io ti posi sul monte santo di
Dio e camminavi in mezzo a pietre di fuoco. Perfetto tu eri nella tua condotta, da quando sei stato
creato, finché fu trovata in te l’iniquità. Il tuo cuore si era inorgoglito per la tua bellezza, la tua
saggezza si era corrotta a causa del tuo splendore: ti ho gettato a terra e ti ho posto davanti ai re,
perché ti vedano». Per spontaneo adattamento, molti Padri della Chiesa hanno spesso applicato
anche questo passo della Sacra Scrittura alla caduta di Lucifero e degli altri angeli ribelli. In questo
testo, Ezechiele si riferiva al re di Tiro profetizzando la sua caduta[6] e lo paragonava nel suo
splendore a un «cherubino protettore ad ali spiegate». Molti Padri hanno visto, in questo cherubino,
l’immagine del primo degli angeli che, dallo stato del suo primitivo splendore, cadde per propria
colpa nel disonore e nella vergogna della sua nuova situazione; mentre, nelle «pietre di fuoco» in
mezzo alle quali camminava, di cui parla Ezechiele, hanno scorto una allusione agli altri angeli, che
lo hanno seguito nella sua ribellione contro Dio.
Esaltandosi per lo splendore e la perfezione della natura spirituale ricevuta da Dio nella creazione,
Lucifero che – in virtù della sua intelligenza, cosa comune a tutti gli angeli, poteva conoscere la
verità e il bene in modo più perfetto, di quanto non sia possibile all’uomo – invece di accettare la
propria condizione con docile obbedienza, tramite un atto di una volontà libera, decise di voltare le
spalle a Dio contro la verità della conoscenza che aveva di Lui quale suo Bene totale e definitivo.
In altri termini, Lucifero ha scelto contro la Grazia, ha opposto un rifiuto al suo Creatore, spinto da
un senso di falsa autosufficienza e presunzione di sostituirsi a Dio nel governo del mondo spirituale
e materiale, pretendendo con superbia quella preminenza e quegli onori che spettano solo a Dio;
esigendo per sé l’adorazione, che è dovuta esclusivamente a Dio. Lucifero pertanto si pose in un
atteggiamento di avversione nei confronti di Dio, che si manifestò con un’aperta ribellione
proponendo se stesso, in alternativa a Dio, davanti a tutti gli angeli. Il libro dell’Apocalisse ci rivela
che un terzo degli angeli fu persuaso da Lucifero decidendo di seguirlo nella rivolta ed eleggendolo
come loro capo e signore al posto di Dio (cfr. Ap 12,4). Dopo questa decisione scaturì in lui e negli
angeli che lo seguirono, un odio permanente verso Dio.
Passiamo al Vangelo secondo Giovanni, capitolo 8, v. 44. Gesù dice: «Egli [il diavolo] era omicida
fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice
ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna». Con queste parole Gesù vuol dire che
il diavolo, sin da principio, non è stato dalla parte della verità e della vita: sin dall’inizio, infatti, ha
rifiutato Dio, uccidendo così la vita di Dio in se stesso e ora, per invidia, cerca di ucciderla anche
negli uomini. La falsità ha origine in lui e quindi appartiene a lui, perché, sin dall’inizio, ha
affermato la pretesa menzognera di poter essere come Dio in contrapposizione al vero Dio. Il
diavolo ha sempre cercato il proprio interesse e la propria grandezza e non l’amorevole e umile
servizio, come ha fatto Gesù quando è venuto nel mondo. Il diavolo ha perseverato nel peccato e
tuttora persevera. Il suo non è un peccato commesso nel passato e limitato a quella originaria
disobbedienza contro Dio: è una colpa nella quale egli, insieme agli altri angeli ribelli, persevera
sempre e si è confermato per tutta l’eternità. Satana e i suoi alleati, pervertitisi, sono essi stessi
agenti di perversione[7]. La Sacra Scrittura attesta questa azione corruttrice di Satana fin dall’inizio
della storia degli uomini dove egli, cominciando dai nostri progenitori, cerca in tutti i modi «di
trapiantare lo stesso atteggiamento di rivalità, di insubordinazione o di opposizione a Dio, che è
diventato quasi la motivazione di tutta la sua esistenza» (cfr. San Giovanni Paolo II, Udienza
Generale del 13 agosto 1986).
Anche nella Prima lettera di Giovanni, al capitolo 3, v. 8, si afferma che il diavolo è peccatore sin
dall’inizio. Scrive infatti Giovanni: «Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché da principio
il diavolo è peccatore». In qualunque modo si vogliano intendere le parole «da principio» (dal
principio della creazione degli angeli o dal principio della creazione degli uomini), quello che
risulta evidente è che il diavolo è definito «peccatore» e padre e causa di peccato.
UN DUPLICE GIUDIZIO
Nella Lettera di Giuda e nella Seconda lettera di Pietro troviamo dei riferimenti molto espliciti
riguardo la caduta degli angeli. Al v. 6 della Lettera di Giuda leggiamo: «E tiene in catene eterne,
nelle tenebre, per il giudizio del grande giorno, gli angeli che non conservarono il loro grado, ma
abbandonarono la propria dimora». Nella Seconda lettera di Pietro, al capitolo 2, v. 4, leggiamo:
«Dio infatti non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò in abissi tenebrosi,
tenendoli prigionieri per il giudizio». Giuda (Taddeo) ci presenta gli angeli nel loro «grado» iniziale
e poi nella perdita di tale grado, cioè di tale dignità; Pietro parla espressamente di un loro peccato.
La caduta degli angeli ribelli risulta, perciò, da questi testi come una realtà generalmente accettata
nella Chiesa, ma già conosciuta e accolta anche nella fede di una gran parte della comunità
giudaica. Pietro, infatti, nella sua Seconda lettera – come pure Giuda Taddeo nella sua Epistola –
scrive alle comunità cristiane della prima generazione, di matrice giudaica, evidentemente ben
informate su questo avvenimento. Sembra inoltre indubbio, secondo questi passi, che agli angeli
ribelli sia riservato un duplice giudizio: uno già avvenuto subito dopo la loro colpa; il secondo
(nella stessa direzione del primo) definitivo, alla fine del mondo. Giuda Taddeo infatti dice che Dio
«li tiene in catene eterne, nelle tenebre per il giudizio del gran giorno»; e in maniera analoga Pietro
dice: «Serbandoli per il giudizio».
Un altro passo della Sacra Scrittura, nel quale la tradizione cristiana ha riconosciuto la descrizione
della caduta degli angeli ribelli, è il testo del libro dell’Apocalisse, al capitolo 12, vv. 7-9, dove ci
viene rivelato che «Scoppiò (quindi) una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano
contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto
per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che
seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli». È questo l’unico
testo della Sacra Scrittura dove siamo informati che alla ribellione del drago – cioè di Satana e degli
angeli suoi alleati – seguì la reazione degli angeli rimasti fedeli a Dio, con a capo Michele, in
ebraico «Mi-cha-El», che significa «Chi come Dio?». Sappiamo che il nome dei singoli angeli
indica per noi la loro specifica missione nei nostri confronti e della creazione in genere. Essendosi
questo angelo mostrato al grido di Mi-cha-El, il più ardito e il primo a lottare per l’onore di Dio, fu
posto da Dio a capo delle schiere celesti.
Il suo nome, Mi-cha-El, esprime nel medesimo tempo sia un grido di amore e di fedeltà nei
confronti di Dio, sia di umile e profonda riconoscenza nei confronti della Sua infinita grandezza e
bontà. In tal modo Michele si contrappone alla superbia e alla sfrontata presunzione di Satana, che
sta affermando di essere come Dio, senza esserlo realmente. Mi-cha-El, Chi come Dio? è quindi
anche un’affermazione di verità su Dio, che Satana vuole negare.
Il nome Mi-cha-El, infine, descrive anche il compito di Michele nell’ordine della creazione: egli
combatté e combatte tuttora contro Satana ricordandogli che nessuno è come Dio. Questo passo
dell’Apocalisse, riguarda, pertanto, certamente un evento del passato, ma anche un avvenimento che
continua nel presente e si estende al futuro: come già nel mondo angelico Michele condusse la
lotta contro Satana e lo debellò (Ap 12, 9), così sta avvenendo ora pure sulla terra[8].
Sempre nel libro dell’Apocalisse, al capitolo 12, vv 3-4, leggiamo: «Allora apparve un altro segno
nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda
trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra». Secondo la maggior parte degli
esegeti[9] l’immagine di un terzo delle stelle del cielo, trascinate giù dalla coda del drago,
rappresenta la caduta degli angeli cattivi, che hanno seguito Satana[10]. Dando uno sguardo
complessivo ai testi che abbiamo esaminati, risulta chiara e ben fondata, nella Sacra Scrittura, la
rivelazione della caduta degli angeli[11].
Riferendosi al libro della Sapienza (2,24), dove si dice che «per l’invidia del diavolo la morte è
entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono», alcuni Padri – come san
Cipriano, san Gregorio Nisseno e sant’Ambrogio – ritennero che il motivo della colpa dei demoni
andasse ricercata nell’invidia verso Adamo, creato a immagine di Dio. Lucifero e gli angeli a lui
solidali sarebbero stati gelosi, nei nostri riguardi, perché non sopportavano l’idea che gli uomini,
creati con una natura che essi consideravano inferiore alla loro – essendo composta di spirito e di
materia – fossero creati a immagine di Dio. E, per di più, gli angeli avrebbero dovuto servire non
solo Dio, ma anche gli uomini! In seguito, però, prevalse progressivamente la convinzione che il
motivo della colpa di Lucifero dovesse ricercarsi nella compiacenza disordinata della propria
perfezione. Tale versione fu sostenuta, tra gli altri, da sant’Agostino e da san Gregorio Magno:
Lucifero e gli altri angeli ribelli si sarebbero insuperbiti, perché non accettarono la loro condizione
di creature. A questo atteggiamento negativo, seguì poi l’invidia nei nostri confronti. Infatti,
divenendo da angeli demoni, vorrebbero impedire a tutti gli uomini di raggiungere la beatitudine
eterna – che essi hanno colpevolmente perso per sempre – e trascinarli alla dannazione con loro[12].
L’invidia, dunque, è sicuramente una spinta irresistibile nei demoni, ma gli autori cristiani sono
quasi tutti concordi nell’affermare che la caduta degli angeli ribelli è avvenuta innanzitutto per
superbia. Ciò appare chiaro già nei due testi dell’Apocalisse, che abbiamo sopra esaminato.
In un altro passo della Sacra Scrittura – tratto dalla Prima lettera di san Paolo a Timoteo – troviamo
una prova ulteriore che avvalora l’ipotesi del «peccato di superbia» commesso dagli angeli.
Enumerando le qualità necessarie a coloro che esercitano un ministero nella Chiesa, l’Apostolo
afferma che un vescovo non deve essere qualcuno che si è convertito da poco alla fede
cristiana, «perché accecato dall’orgoglio, non cada nella stessa condanna del diavolo» (1Tm 3,6).
Con queste parole san Paolo dice chiaramente che il diavolo fu condannato per superbia e chi
monta in superbia si fa simile al diavolo, cadendo di conseguenza nella sua stessa condanna.
Quindi, alla luce della Sacra Scrittura, siamo autorizzati a ritenere che il peccato degli angeli ribelli
sia stato un peccato di superbia: essa è la radice della loro colpa ed è anche la radice del peccato dei
nostri progenitori. Secondo san Tommaso, come vedremo, la superbia si manifesta in un desiderio
disordinato della propria eccellenza. La tradizione cristiana ha considerato la superbia il primo e il
principale dei vizi capitali, da cui si originano, nella vita dell’uomo, tutti gli altri. «Principio della
superbia infatti è il peccato; chi ne è posseduto diffonde cose orribili» (Sir 10,13).
L’INGANNO DI SATANA
Per molti teologi anche le parole che il serpente rivolse a Eva: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa
che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il
bene e il male» (Gen 3,5), rivelano che l’essenza del peccato degli angeli è stata la superbia. Satana,
infatti, inganna i nostri progenitori con la menzogna, insinuando che, se avessero disubbidito a Dio
e negato la loro dipendenza dal loro Creatore, sarebbero stati come Dio. In realtà l’obiettivo di
Satana era quello di sottrarre gli uomini al vero Dio, per condurli sotto il suo potere. Nel piano di
Dio i primi uomini erano già a immagine e somiglianza di Dio, ma erano chiamati con tutti gli
uomini a divenire ancora più simili a Lui (cfr. 1Gv 3,1-4). Quindi «sareste come Dio» non è una
proposta del tutto falsa perché gli uomini sono chiamati da Dio a raggiungere questa similitudine,
ma il diavolo ha giocato e gioca su questa verità, per proporre una via ingannevole che in realtà non
porta al raggiungimento della somiglianza con Dio.
UNA CONFERMA NELLE PAROLE DEL MAGNIFICAT?
Vari autori cristiani ritengono che vi sia una ulteriore conferma, a sostegno del peccato di superbia
da parte del capo degli angeli ribelli, nelle parole del Magnificat: «Ha spiegato la potenza del suo
braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha
innalzato gli umili» (Lc 1,51-52). La Vergine Maria si riferirebbe qui non solo alla superbia
dell’uomo, ma innanzitutto alla superbia del diavolo. Nella Omelia II sull’Annunciazione, composta
tra il VI e il VII secolo e attribuita a Gregorio taumaturgo, vescovo di Cesarea nel Ponto,
commentando le parole «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore» l’autore dice: «Cioè ha
disperso lo stesso diavolo e tutti i demoni che militano con lui. Egli (il diavolo) infatti era
sicuramente superbo nel suo cuore dal momento che osò dire: “Salirò sulle regioni superiori delle
nubi, al di sopra delle stelle di Dio, mi farò uguale all’Altissimo” (Is 14,14). Come poi di fatto Dio
lo ha disperso, il profeta lo dichiarò in seguito, quando affermò: “E invece sei stato precipitato
nell’inferno” (Is 14,15), e così pure tutti i tuoi eserciti».
Gli angeli sono esseri puramente spirituali, cioè non costituiti come noi uomini di materia e spirito,
ma di solo spirito, non sono pertanto condizionati, né limitati dalla mediazione della conoscenza
attraverso i sensi, come invece avviene in noi e perciò sono consapevoli della grandezza dell’Essere
infinito di Dio. La scelta fatta da Lucifero e dagli altri angeli ribelli, fu pertanto totale, definitiva e
irreversibile.
Il motivo di questa scelta radicale contro Dio appare come follia, ma è spiegato dall’accecamento
prodotto dalla sopravvalutazione della perfezione del proprio essere, che spinse prima Lucifero, poi
gli altri spiriti che lo seguirono, a preferire se stessi al punto di negare l’eccellenza dell’essere di
Dio, che esigeva un atto di libera amorevole riconoscenza della propria dipendenza da Lui.
Il loro peccato è quindi irremissibile, non perché Dio non offre loro la sua misericordia, ma perché
non vogliono e non possono chiedere perdono. Essi vogliono fermamente quello che hanno scelto:
un rifiuto netto, cosciente e irrevocabile dell’amore e della misericordia di Dio[13].
Si comprende allora il motivo per cui tra i sette sacramenti, quello più odiato dai demoni è il
sacramento della Confessione, perché quando riconosciamo con umiltà e sincerità i nostri peccati e
li confessiamo, facciamo quello che essi nella loro smisurata superbia non vogliono fare e mai
faranno: umiliarsi davanti a Dio, riconoscere che Dio è il Creatore e il Signore e noi siamo sue
creature. Noi invece riconoscendo che Dio è il nostro Creatore e che in Gesù Redentore, ci offre il
suo infinito amore e la sua infinita misericordia, confessiamo umilmente i nostri peccati e
chiedendo perdono, gli manifestiamo al contempo il proposito sincero di non volerci arrendere ai
nostri peccati, e di volerli combattere per non farli più, ecco allora che troveremo sempre Gesù
misericordioso con le sue braccia spalancate per accoglierci nel suo cuore, perdonarci e darci forza
per la nostra battaglia contro il male.
LUCIFERO E GLI ANGELI CHE LO HANNO SEGUITO NON HANNO ACCETTATO CHE
LA LORO CREAZIONE, DA PARTE DI DIO, FOSSE SUBORDINATA ALLA SUA ETERNA
DECISIONE DI FARSI UOMO
Alcuni autorevoli autori cristiani, seguenti ai Padri della Chiesa, affermano che Lucifero montò in
superbia quando Dio gli rivelò anticipatamente di voler assumere la natura umana. Lucifero volendo
essere lui al centro dell’universo e considerando la nostra natura umana inferiore alla sua natura
angelica, non accettò la scelta di Dio di volersi incarnare nell’umanità e di conseguenza non accettò
nemmeno che la Donna, dalla quale Dio sarebbe nato come vero uomo, fosse elevata al di sopra
delle creature umane e angeliche, diventando così Regina degli uomini e degli angeli.
Spesso, noi esorcisti, mentre celebriamo il ministero di liberazione che la Chiesa ci ha affidato,
sentiamo i demoni protestare insistentemente, pieni di odio e di rabbia nei confronti di Dio, perché
non tollerano che Dio stesso si sia fatto uomo in Cristo, assumendo la nostra natura umana, che essi
considerano inferiore alla loro natura angelica. E non tollerano che la sua Madre, benché costituita,
come ogni creatura umana, di spirito e materia cioè di anima e corpo, sia stata elevata al di sopra
degli angeli, che sono spiriti senza materia. I demoni, infatti, disprezzano la materia, da loro
valutata come qualcosa di basso e di inferiore, e non accettano che sia stata invece così nobilitata da
Dio.
Essi non hanno accettato che la loro creazione, da parte di Dio, fosse subordinata alla sua eterna
decisione di farsi uomo, mediante l’Incarnazione; di entrare cioè nel mondo della materia, dello
spazio e del tempo per rendere gli uomini partecipi della divina natura. La creazione degli angeli, da
parte di Dio, fu orientata infatti, fin dall’inizio, verso la sintesi del mondo materiale e spirituale,
costituita appunto dall’Uomo. L’incontro di queste due dimensioni – materiale e spirituale –
avrebbe avuto al suo centro l’avvenimento dell’Incarnazione: il Verbo di Dio avrebbe preso carne,
per mezzo della Vergine Maria, e si sarebbe fatto uomo. Nel progetto di Dio, quindi, è il Verbo, la
seconda Persona della Santissima Trinità, il Figlio – che prende carne e si fa uomo – a dare
consistenza e significato a tutto l’universo, compresi gli angeli stessi. Dio, però, sapeva che
Lucifero e una parte degli angeli non avrebbe accettato ciò; sapeva che essi avrebbero usato del
dono della libertà per rifiutare Lui e il suo progetto d’amore su tutta la creazione, introducendo in
essa il male, che nella creazione originaria non c’era. Per questo, sin dagli inizi della creazione, Dio
stabilì che l’Incarnazione del Verbo sarebbe stata anche redentiva, al fine di salvare le creature
umane. Mentre creava, quindi, Dio pensava al Figlio fatto uomo – cioè Cristo Gesù – come
Redentore e alla Madre sua, cooperatrice con il Figlio Redentore.
Non si può attribuire a Dio l’ingresso del male nel mondo: da lui non può mai venire il male, né egli
può essere considerato “causa” del male ma causa creativa di esseri liberi. L’origine del male va
fatta risalire piuttosto alla libertà limitata, sia degli angeli sia degli uomini: essa, poiché finita, è
esposta al fallimento, come osservano Sant’Agostino e S. Tommaso d’Aquino. Per impedire il
male, Dio avrebbe dovuto creare degli esseri privi di libertà e d’intelligenza: ma, in questo modo,
avrebbe negato loro la capacità di compiere il bene con consapevolezza. La libertà esige, invece, la
possibilità di scegliere o di non scegliere il bene: e anche il Bene supremo, che è Dio. Se
consideriamo la nostra esperienza umana, dobbiamo riconoscere che ogni autentico legame affettivo
non può fondarsi sulla costrizione: l’amore è vero se proviene da una libera scelta. Dio, che è
amore, per ottenere l’amore delle sue creature si espone addirittura al rischio del loro insensato
rifiuto. Proprio perché è amore, Dio non può stabilire né verso gli angeli né verso gli uomini
rapporti di padronanza o di sudditanza: l’amore di Dio, o lo si accoglie liberamente o non lo si
accoglie. La disponibilità all’amore unisce le creature angeliche e umane a Dio, portandole a
raggiungere la felicità eterna: ma questa accoglienza, questa apertura all’amore di Dio è sempre un
movimento interiore libero e volontario della creatura. Dio non può imporci l’amore per Lui,
perché nel momento in cui lo imponesse, non potrebbe più essere amore. Ecco perché ha dovuto
crearci liberi: per darci la possibilità di aprirci al suo amore e così poter partecipare della sua natura
divina e conseguire la beatitudine eterna. Se avesse creato gli angeli e gli uomini senza libertà,
sarebbero stati incapaci di amare e quindi incapaci di conseguire il fine stesso della loro esistenza,
che è l’amore perfetto, nella felicità eterna della visione beatifica di Dio-Trinità.
Della libertà, però, è possibile un uso santo e corretto o un riprovevole abuso: Dio non poteva -per i
motivi sopra esposti- costringerci a un uso positivo di essa, escludendo la possibilità che ce ne
servissimo male. Il disordine consiste nella drammatica scelta dell’angelo o dell’uomo di impugnare
la propria libertà per opporsi a lui, rifiutando il suo amore o l’amore delle altre creature. È
quest’atteggiamento che orienta l’angelo e l’uomo verso la perdizione eterna. Senza libertà, dunque,
non ci si può salvare: o ci si salva liberamente o ci si perde liberamente. Ecco perché Dio, pur
volendo per tutte le sue creature la beatitudine eterna, ha dovuto rendere possibile anche la
perdizione eterna. Egli non predestina, però, nessuno all’inferno: è la creatura stessa che sceglie,
liberamente, uno stato di perdizione.
Senza dubbio, vi sono uomini che, approfittando della libertà che lui ha dato loro, la usano per
offenderlo e credono di poter essere felici senza di lui. Dio ci ama così tanto da rispettare la nostra
libertà, anche se decidiamo di allontanarci da lui per tutta l’eternità e quindi di odiarlo per sempre.
Nell’istante in cui Lucifero e gli altri angeli ribelli decisero di opporsi a Dio, di costituire un loro
regno anti divino e di essere gli eterni nemici di Dio, avvenne in loro una immediata orribile
trasformazione. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCCC) al n. 74, in relazione
a questa metamorfosi così si esprime: «angeli creati buoni da Dio, si sono trasformati in malvagi,
perché, con libera e irrevocabile scelta, hanno rifiutato Dio e il suo Regno, dando così origine
all’Inferno».
Da quel momento Lucifero pur conservando la sua natura angelica, non fu più portatore della luce e
della bellezza di Dio, diventando un essere mostruoso, manifestando in sé il massimo dell’orrore al
quale sia mai giunta la creatura distaccatasi dal Creatore. In questa nuova e tremenda condizione la
Sacra Scrittura gli attribuisce diversi nomi: «Diavolo, Satana, Maligno, Tentatore, serpente antico,
drago». Gli angeli ribelli che lo hanno seguito li definisce invece con termini quali: «spiriti maligni,
spiriti immondi, demoni».
Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCCC) al n. 74 – già citato – prosegue
dicendo: «Tutta l’opera dei demoni in mezzo agli uomini è tentare di associarli alla loro ribellione
contro Dio». In che modo essi cercano di associare noi uomini alla loro stessa ribellione contro
Dio? Cercando di persuaderci a stravolgere il criterio del bene e del male che Dio ci ha dettato. Dio
solo conosce perfettamente ciò che è vero e buono per noi e in forza del suo stesso amore ce lo
propone nei Comandamenti. Scriveva Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis splendor: «La legge
di Dio, non attenua, né tanto meno elimina la libertà dell’uomo, al contrario la garantisce e la
promuove» (n. 35). Satana, invece, quando disse alla prima coppia umana: «Sarete come Dio, se
farete quello che io vi dico» insinuò e continua ancora a oggi a insinuare all’uomo, la menzogna che
sarà felice e realizzato se seguirà un percorso diverso da quello da Dio indicato. Partendo dalla
verità del fine per cui Dio ha creato l’uomo e cioè «raggiungere la similitudine con Lui per
partecipazione alla sua natura divina, in Cristo, e per mezzo di Cristo», Satana con perfidia e
inganno presenta all’uomo il raggiungimento di tale similitudine non per la via della grazia e
dell’amore gratuito di Dio in Cristo, ma attraverso innumerevoli e ingannevoli vie che in realtà
suscitano ribellione e opposizione a Dio perché accendono nell’uomo il desiderio di voler diventare
come Dio, ma senza Dio, giungendo così al punto di considerarsi illusoriamente egli stesso Dio al
posto di Dio. E così l’uomo assolutizza se stesso, perché giunge a credere falsamente, di potersi
sostituire all’assoluto divino[14].
Poter essere come Dio, ma senza Dio, è la grande menzogna con cui Satana tenta gli uomini di ogni
tempo, con lo scopo, in realtà, di staccarli da Dio per portarli all’eterna rovina. Non potendo
combattere direttamente Dio, Satana vuole vendicarsi su di lui sottraendogli noi suoi figli, affinché
anche noi perdiamo per sempre ciò che lui e gli altri angeli ribelli hanno perso per sempre.
Ribadiamo che gli angeli ribelli sanno che -differentemente da loro, che per la propria natura
angelica, attraverso un solo atto decisero di se stessi in maniera irreversibile- gli uomini non
stabiliscono con un sola scelta la loro destinazione ultima, perché la natura umana ha bisogno di
molti atti per giungere ad essere a favore o contro Dio per sempre[15].
Satana, quindi, durante tutto il corso della vita terrena degli uomini sa che deve sforzarsi di tentare
noi uomini per orientare le nostre scelte in direzione opposta al nostro vero bene, pertanto come
operò nel mondo angelico affinché gli angeli non accettassero con riconoscenza Dio, loro Creatore,
come Capo e Signore, e si propose ad essi in alternativa a Lui, così ora egli cerca di proporsi agli
uomini, attraverso l’inganno del peccato, come loro capo e signore. Tutto il suo agire tra gli uomini
è finalizzato a impedire che la natura umana si unisca alla natura divina, impedire che l’uomo si
unisca a Dio o se è già unito, che si separi da Lui. Inoltre ritiene che maggiore sia il numero delle
persone che riesce a portare al peccato e a perseverare in esso, più possa estendersi il suo dominio
nel mondo intero.
Si tenga presente che per tentarci egli si serve di due potenti alleati, che usa come due armi:
1) la nostra natura umana che in conseguenza del peccato originale fu inclinata verso il male;
2) il mondo, inteso nel senso morale, cioè l’influenza perniciosa che proviene dagli uomini che
vivono nel peccato e lo diffondono nella società.
Dio è venuto in nostro aiuto mandando il suo Figlio Gesù Cristo nel mondo per redimerci dal
peccato e liberarci dal potere di Satana.
Per quanto nel mondo seguiteranno sino alla fine dei tempi a manifestarsi le conseguenze del
peccato originale, grazie però alla Redenzione operata da Gesù, gli uomini hanno la possibilità di
giungere alla salvezza eterna in Paradiso, pertanto, anche se Satana e i demoni rimangono sempre
attivi nel mondo, non possono nuocere alla nostra anima se noi non acconsentiamo volontariamente
al peccato che essi ci suggeriscono.
Per quanto la loro opera di seduzione e di persecuzione sia piena d’insidie, quando ci tentano noi
possiamo vincerli con la grazia che Cristo ci ha meritati con la sua Incarnazione, Morte e
Risurrezione che otteniamo attraverso la nostra comunione con Lui per mezzo della preghiera, dei
sacramenti e della nostra personale adesione ai suoi insegnamenti attraverso i quali, ci vengono
donati gli stessi sentimenti del suo Cuore. Tale grazia, nella misura in cui è da noi accolta, ci rende
partecipe della stessa vittoria di Cristo su Satana che così diventa anche la nostra vittoria. Questo è
anche il motivo per cui Dio lascia che gli spiriti demoniaci siano ancora attivi nel mondo: Dio
permette la loro azione nei nostri confronti perché attraverso la nostra resistenza ci dà l’occasione di
attualizzare nella nostra vita la vittoria del Figlio e di progredire spiritualmente con atti di virtù.
Abbiamo così l’occasione per purificarci e crescere in una comunione sempre più stretta con Dio,
avanzando nel cammino di santità. Resistendo alle tentazioni, noi ne traiamo, quindi, un beneficio
spirituale perché con la grazia di Cristo, resistendo e respingendole, anziché essere motivo di caduta
nel peccato, diventano occasioni di rafforzamento nella virtù e di progresso spirituale.
In tal modo i demoni divengono loro malgrado servi del Signore, o piuttosto suoi schiavi: «È per
fare più grandi i nostri meriti, più pure e più alte le nostre virtù, più rapido il nostro cammino verso
di Lui, che Dio permette al diavolo di tentarci e di metterci alla prova» (cfr. San Tommaso
D’Aquino, Commento alla lettera agli Ebrei, 12, 6). «Se vi domandano perché Dio abbia lasciato
sussistere il demonio (dopo la sua ribellione), rispondete: Dio l’ha lasciato perché, lungi dal nuocere
agli uomini attenti e vigilanti, il demonio divenga loro utile. Non certo per il fatto della sua volontà,
che è perversa, ma grazie alla coraggiosa resistenza di coloro che fanno volgere la sua malizia a loro
vantaggio» (San Giovanni Crisostomo, Terza omelia sui demoni). La nostra reazione, contro
l’azione del demonio, diventa un mezzo di progresso spirituale.
Insegnava Paolo VI in una sua catechesi: «Quale difesa, quale rimedio opporre all’azione del
demonio? …Tutto ciò che ci difende dal peccato ci ripara per ciò stesso dall’invisibile nemico. La
grazia è la difesa decisiva. L’innocenza assume un aspetto di fortezza. E poi ciascuno ricorda
quanto la pedagogia apostolica abbia simboleggiato nell’armatura d’un soldato le virtù che possono
rendere invulnerabile il cristiano (cfr. Rom. 13, 1-2 ; Ef. 6, 11, 14, 17; 1 Ts. 5; 8). Il cristiano
dev’essere militante; dev’essere vigilante e forte (1 Pt. 5, 8); e deve talvolta ricorrere a qualche
esercizio ascetico speciale per allontanare certe incursioni diaboliche; Gesù lo insegna indicando il
rimedio «nella preghiera e nel digiuno» (Mc. 9, 29). E l’Apostolo suggerisce la linea maestra da
tenere: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci nel bene il male» (Rom. 12, 21; Mt. 13, 29) (Paolo
VI Udienza Generale 15 novembre 1972).
«Questa inevitabile lotta è quindi da interpretarsi come una realtà estremamente positiva. Proprio
questo conflitto è il luogo della nostra purificazione e della nostra crescita spirituale, in tal modo
impariamo a conoscere noi stessi nella nostra debolezza e Dio nella sua infinita misericordia. È, in
definitiva, il modo scelto da Dio per la nostra trasfigurazione e la nostra glorificazione. Ma la lotta
spirituale del cristiano, pur essendo talvolta dura, non è mai la guerra disperata di chi si batte in
solitudine, alla cieca, senza nessuna certezza circa l’esito dello scontro. È la lotta di chi combatte
con assoluta certezza che la vittoria è assicurata, perché il Signore è risorto: “Non piangere più;
ecco, ha vinto il Leone della tribù di Giuda” (Ap 5, 1). Così, non combattiamo da soli con le nostre
forze, ma con il Signore che ci dice: “ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza” (2 Cor 12, 9) e la nostra arma principale non è la naturale fermezza del
carattere o l’abilità umana, ma la fede, questa totale adesione a Cristo che ci permette anche nei
momenti peggiori, di abbandonarci con fiducia cieca a Colui che non ci abbandonerà. «Tutto posso
in Colui che mi dà la forza» (Fil 4, 13). Ed ancora: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò
paura?” (Sal 26,1). Il cristiano dunque lotta con energia, chiamato com’è a resistere “fino al sangue
nella lotta contro il peccato” (Eb 12,4). Lo fa però con cuore tranquillo e la lotta è tanto più efficace
quanto più il suo cuore dimora nella pace. Perché è proprio questa pace interiore che gli permette di
lottare non con le proprie forze -che verrebbero meno- ma con quelle di Dio»[16]. «È unicamente la
grazia di Dio che ci darà la vittoria e la sua azione sarà tanto più potente e rapida, se sapremo
mantenere l’anima nostra in pace ed abbandonarci con fiducia nelle mani del Padre»[17].
NOTE:
[1] Quando, nel Vangelo, Cristo pronuncia la parola Satana, si sta chiaramente riferendo a un essere
angelico, che Lui stesso riconosce come capo e condottiero degli angeli ribelli. Nel testo di Matteo,
giunto a noi nella sua versione greca (nel quale l’evangelista usa indistintamente il termine Satana o
il termine diavolo), al momento del Giudizio finale Gesù esclama: «Via, lontano da me, maledetti,
nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25,41). Diavolo o Satana indicano
lo stesso essere, mentre l’espressione «i suoi angeli» si riferisce piuttosto ai demoni posti al suo
servizio. Il libro dell’Apocalisse lo conferma pienamente quando, al capitolo 12, vv. 7-9, dice: «Il
drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il
grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra,
fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli». Questi testi, dunque, rivelano con chiarezza
che esiste un condottiero degli angeli ribelli, chiamato da Gesù e da tutta la Sacra Scrittura Satana.
[2] «Come una folgore» suggerisce l’idea di una caduta istantanea, dirompente e inarrestabile.
[3] Alcuni traducono solo: «Come mai sei caduto dal cielo, stella splendente dell’aurora?». La
recente edizione della Sacra Bibbia della CEI (Conferenza episcopale Italiana) a cura della UELCI
(Unione Editori E Librai Cattolici Italiani), 2008, traduce: «Come mai sei caduto dal cielo, astro del
mattino, figlio dell’aurora? ».
[4] È la raccolta dei libri dell’Antico Testamento (AT) scritti in greco. Si dice «Settanta» perché
secondo la tradizione giudaica antica (cfr Lettera di Aristea) sono 70 (o 72) i traduttori incaricati di
scrivere il Pentateuco in lingua greca dal faraone Tolomeo II Filadelfo, intorno al 250 a.C., ad
Alessandria d’Egitto. Tale traduzione venne a far parte – secondo la tradizione – della biblioteca di
Alessandria. In seguito il nome Settanta (LXX) fu applicato anche alla traduzione in greco degli
altri libri della Bibbia ebraica e ai libri dell’A.T. che ci sono pervenuti solo in lingua greca.
[5] Il suo significato ha a che fare con lo splendore, però potrebbe forse anche essere un nome
proprio usato per indicare Venere, il più luminoso astro della sera, che ancora brilla più degli altri,
al mattino, poco prima dell’alba.
[6] Storicamente tale caduta non si è verificata. Ezechiele stesso, però, o comunque la sua scuola,
sente il bisogno di attribuire alla parola divina, un riferimento al fatto che anche il re di Tiro -come
ogni uomo- finirà nell’Ade. Origene, d’altra parte, nota che i termini usati da Ezechiele sembrano
superare, poeticamente e profeticamente, tutto ciò che potrebbe essere detto d’un sovrano terreno e
prospetta, perciò, la possibilità che Ezechiele si riferisse in maniera diretta al capo degli angeli
ribelli.
[7] Il beato papa Paolo VI ha sintetizzato tutto questo nelle due note espressioni attribuite a Satana:
«pervertito e pervertitore».
[8] Alla sconfitta di Satana si accenna, come abbiamo già visto, in Lc 10,18 e in Gv 12, 31. In
quest’ultimo passo Giovanni riporta le parole di Gesù: «Ora è il giudizio di questo mondo; ora il
principe di questo mondo sarà gettato fuori ». Pur continuando la battaglia tra Dio e Satana, il Cristo
morto e risorto è il segno dell’inizio di quella vittoria su Satana, che si compirà pienamente alla fine
dei tempi. Cristo morto e risorto segna la fine del potere di Satana sugli uomini e l’inizio di un
mondo nuovo.
[9] Cfr. La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna 1974, p. 2642; L’Apocalisse,
commenti a cura di C. Doglio, in La Bibbia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 19962, p. 3105;
Bibbia TOB (Traduction Oecuménique de la Bible), Elledici, Leumann-Torino 1992, p. 2888 (con
richiamo anche a p. 2883).
[10] L’azione di abbattere le stelle appartiene al linguaggio apocalittico (cfr. per es. nell’Antico
Testamento Dan 8,10) e, in questo caso, evoca la caduta degli angeli come nel settenario delle
trombe (Ap 8,7-11). Cfr. anche Ap 9,1ss.: « Il quinto angelo suonò la tromba: vidi un astro caduto
dal cielo sulla terra; egli aprì il pozzo dell’Abisso… »; il brano termina con questo versetto: « Il loro
re [delle cavallette, nda] era l’angelo dell’abisso, che in ebraico si chiama Abáddon cioè Perdizione,
[o anche distruzione, nda], in greco Apóllyon, cioè Sterminatore [o anche distruttore, nda] » (il
testo biblico greco riporta: “Il loro re era l’Angelo dell’abisso che in ebraico si chiama Abáddon e
in greco si chiama Apóllyon”, Ap 9,11).
[11] Dobbiamo dire che nell’Antico Testamento non si pone direttamente la domanda circa
l’origine di Satana, ma si presenta soltanto la sua azione nefasta e devastatrice nel mondo. Il Nuovo
Testamento, invece, chiarisce la radice della condotta di Satana e dei demoni suoi alleati,
rivelandoci che si tratta di angeli decaduti.
[12] Satana è un termine che deriva dall’ebraico sātān, che significa «avversario, nemico,
persecutore, accusatore, calunniatore»: in greco è chiamato diábolos (diavolo, alla lettera «uno che
scaglia qualcosa in mezzo, uno che si getta di traverso »), nel senso di « separare, dividere ». Il
diavolo e i demoni, divorati dall’invidia nei confronti degli uomini, non perseguono altro fine se
non quello di «separarci da Dio, dividerci da Lui, farci perdere la comunione con Lui e la felicità
eterna».
[13] Nell’istante in cui Lucifero e gli altri angeli ribelli decisero di opporsi a Dio, scelsero anche di
rimanere per sempre in tale opposizione, senza ritornare sulla loro decisione. La natura angelica è
tale che attraverso un solo atto decide di se stessa in maniera irreversibile. Quando un angelo prende
una decisione è definitiva, per cui aderisce in maniera irremovibile alla sua scelta e non può
cambiarla più proprio per la sua natura completamente spirituale.
[14] «L’uomo incomincia la sua storia di peccato quando non riconosce più il Signore come suo
Creatore, e vuole essere lui stesso a decidere, in totale indipendenza, ciò che è bene e ciò che è
male. «Voi diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gn 3,5): questa è la prima
tentazione, a cui fanno eco tutte le altre tentazioni, alle quali l’uomo è più facilmente inclinato a
cedere per le ferite della caduta originale» (Veritatis splendor, n. 102).
[15] La natura umana, in altri termini, non è capace, come quella angelica, di arrivare attraverso un
solo atto alla bontà assoluta o alla perversione inconvertibile. Ecco perché il peccato della prima
coppia umana pur essendo stato gravissimo, non è stato un male irrimediabile per Adamo ed Eva e
per gli uomini venuti dopo di loro. Nel peccato originale ci sono delle attenuanti: 1°) Adamo ed Eva
furono tentati, cioè ci fu un tentatore che li ingannò. 2°) In quanto esseri umani e quindi composti di
anima e corpo, non erano capaci con un solo atto di operare una scelta radicale e irreparabile del
male come lo è invece per un puro spirito. Il peccato commesso dai progenitori, quindi, pur nella
sua gravità e con tutte le conseguenze dolorosissime che ne derivarono, lasciò ad essi e a tutti gli
altri uomini che sarebbero venuti dopo di loro il margine alla conversione, la possibilità di
ravvedersi. Tale possibilità sappiamo che non è più attuabile per l’uomo solo dopo la morte.
[16] Jacques Philippe, La pace del cuore; Edizioni Dehoniane Bologna, 2000, pag. 11-12.
Papa Francesco, in data 17 marzo 2017, ha ricevuto in udienza i partecipanti al «XXVIII Corso sul
Foro Interno» promosso dalla Penitenzieria Apostolica. Egli ha tra l’altro detto:
«Il discernimento è necessario anche perché, chi si avvicina al confessionale, può provenire dalle
più disparate situazioni; potrebbe avere anche disturbi spirituali, la cui natura deve essere
sottoposta ad attento discernimento, tenendo conto di tutte le circostanze esistenziali, ecclesiali,
naturali e soprannaturali. Laddove il confessore si rendesse conto della presenza di veri e propri
disturbi spirituali – che possono anche essere in larga parte psichici, e ciò deve essere verificato
attraverso una sana collaborazione con le scienze umane –, non dovrà esitare a fare riferimento a
coloro che, nella diocesi, sono incaricati di questo delicato e necessario ministero, vale a dire gli
esorcisti. Ma questi devono essere scelti con molta cura e molta prudenza».
Siamo grati a Papa Francesco di aver ricordato, durante l’udienza, che laddove il confessore – vale a
dire ogni parroco o qualsiasi sacerdote in cura d’anime, anche non parroco, come ogni sacerdote
che amministra il sacramento della Confessione nelle basiliche e nei santuari- rilevasse la presenza
di disturbi spirituali reali nel fedele che si confessa, non dovrà esitare a fare riferimento agli
esorcisti della diocesi, indirizzandoli ad essi, per quanto di loro competenza.
Alla luce di questo invito di Papa Francesco, ci sembra opportuno che ogni Vescovo promuova
incontri di aggiornamento pastorale nella formazione permanente dei sacerdoti, nel corso dei quali,
alla luce della Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa, ribadire la reale esistenza del mondo
demoniaco e affidare a un sacerdote esorcista di riprovata esperienza, il compito di istruire i
sacerdoti della diocesi sui criteri utili per un primo discernimento, al fine di comprendere se le
vicende, i segni, i sintomi, i fenomeni che i fedeli descrivono o manifestano siano da attribuire a una
reale azione straordinaria del demonio, per cui sia necessario l’intervento della Chiesa mediante il
rito dell’“esorcismo maggiore”.
Il previo filtro dei confessori e dei sacerdoti in cura d’anime favorirebbe anche un alleggerimento
del peso dei sacerdoti esorcisti; non è più pensabile infatti che gli esorcisti siano gli unici incaricati
al primo discernimento che può e deve essere fatto da ogni sacerdote, in modo che, attraverso la
loro accurata analisi, all’esorcista siano indirizzate solo quelle persone in situazioni tali da aver
bisogno realmente del suo specifico ministero.
Ringraziamo papa Francesco anche di aver dichiarato che i sacerdoti esorcisti però «devono essere
scelti con molta cura e molta prudenza». L’Associazione Internazionale Esorcisti (AIE), il cui
Statuto è stato approvato dalla Santa Sede il 13 giugno 2014, informando costantemente di ogni sua
iniziativa la Congregazione per il Clero, organizza incontri di formazione con i Vescovi e il clero
delle varie diocesi del mondo, su loro richiesta. L’Associazione Internazionale Esorcisti inoltre
offre a tutti gli esorcisti del mondo una formazione permanente. Il dilagare del grave fenomeno
“occultismo”, che sta danneggiando le nuove generazioni sul piano psicologico, morale e spirituale,
esige che l’esorcista -per quanto agisca già in virtù del mandato ricevuto, in comunione con il
proprio Vescovo- non sia isolato rispetto agli altri confratelli impegnati in questo campo: gli stessi
esorcisti avvertono il bisogno di una sempre più stretta unione fra di loro e la necessità di
incontrarsi periodicamente per approfondire la formazione personale, per condividere le proprie
esperienze, per stringere una più stretta fraternità sacerdotale e per vivere momenti di preghiera in
comune. Il fine è certamente quello di aiutarsi e di sostenersi reciprocamente nel ministero,
sostenendo in maniera sempre più efficace i fratelli e le sorelle tribolati dal maligno.
Inoltre, al fine di favorire i contatti e l’unità tra gli esorcisti e garantirne la formazione permanente,
oltre i momenti “ufficiali” d’incontro, cura una «Lettera Circolare», che viene inoltrata ai soci in
versione digitale, alcune volte durante l’anno, nelle diverse lingue, con informazioni e avvisi vari,
riguardanti la vita dell’Associazione; una rivista periodica dal titolo: «Quaderni AIE», a cura della
Redazione stessa dell’AIE, con articoli su temi relativi al ministero degli esorcismi, con
approfondimenti, aggiornamenti e interventi di alcuni confratelli sacerdoti. Ai membri
dell’Associazione inoltre sono inviati, in versione digitale, anche gli Atti dei Convegni annuali.
Ringraziamo infine Papa Francesco anche per l’accenno a una sana collaborazione con le scienze
umane, in riferimento al discernimento dei disturbi di origine incerta. Tale collaborazione, segnalata
anche tra gli obiettivi dell’AIE nello Statuto (art. 3.6), è già in atto da tempo.
L’AIE infatti promuove la collaborazione con esperti in medicina e in psichiatria, di vita cristiana
esemplare e competenti nelle realtà spirituali cristiane, che ovviamente non possono sostituirsi al
ministero di esorcista, ma possono essere in alcune circostanze di aiuto ad esso. Il ricorso alla
collaborazione delle persone esperte in medicina e psichiatria non è obbligatorio, non è sempre ed
in ogni caso, ma solo quando il caso non è chiaro e si presta a diverse interpretazioni.
La collaborazione tra esorcisti, psicologi e psichiatri è necessaria anche perché si possono verificare
casi in cui gli esperti in medicina o in psichiatria diagnosticano una patologia in concomitanza con
una eventuale attività straordinaria del maligno; talvolta infatti una patologia non solo psichica, ma
anche fisica, repellente ad ogni terapia che normalmente è in grado di guarirla, può essere causata
da un’azione spirituale malefica, come si evince anche dal Vangelo (cf. Lc 13,10-16). In ultima
analisi è l’esorcista che, avvalendosi dei criteri di sua competenza, acquisirà la certezza morale circa
la presenza o meno di una eventuale attività straordinaria del maligno.
Il testo integrale dell’Udienza Pontificia ai partecipanti può essere letto sul sito:
http://www.penitenzieria.va
alla voce:
[1] Cf. «Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Rito degli esorcismi e
preghiere per circostanze particolari, Prænotanda, n. 16».