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Carlo Scarpa 1906-1978
Carlo Scarpa, architetto e designer, nacque a Venezia nel 1906, si diplomò in
architettura all'Accademia di belle arti nel 1926 e tra il 1932 al 1947 lavorò per la vetreria di Murano Venini, di cui fu anche direttore artistico. Nel corso della sua attività professionale seppe coniugare magistralmente una sapiente e raffinata conoscenza artigianale con istanze formali neoplastiche o razionaliste, non prive di suggestioni organiche wrightiane. Si occupò prevalentemente di allestimenti museali e di mostre (nel 1956 ottenne il premio Olivetti per l'opera svolta in campo museografico); di restauro di complessi monumentali, nonché della realizzazione di abitazioni private e negozi. Tra i suoi interventi più rilevanti la mostra di Paul Klee (1948) alla biennale di Venezia (istituzione con cui collaborò ripetutamente), di Antonello da Messina (1953), di Wright alla triennale di Milano (1960); l’ampliamento della Gipsoteca Canoviana a Possagno (1956-57), la sistemazione della fondazione Querini Stampalia (piano terra e giardino, 1961-65) a Venezia, il restauro del museo di Castelvecchio a Verona (1958- 1974). Morì a Sendai nel 1978; nel 2001 lo Stato italiano acquisì il suo archivio (conservato a Treviso nel Centro Carlo Scarpa – online www.centrocarloscarpa.it).
Gipsoteca Canoviana, Possagno 1955-1957
Museo di Castelvecchio, Verona 1956-1964 Possagno, Mausoleo di Antonio Canova Del museo fa parte anche la casa dell'artista che, oltre agli arredi, raccoglie le opere La Gipsoteca canoviana si trova a Possagno, in pittoriche (oli su tela e tempere), alcuni provincia di Treviso, ed è ospitata in un ampio edificio disegni e incisioni e il giardino, tuttora a forma basilicale nel quale sono esposti i modelli in coltivato secondo le modalità e con le gesso, bozzetti in terracotta e marmi dell’artista essenze arboree del tardo Settecento, nel Antonio Canova (1757-1822).. quale vive ancora una grande "pignera", un La Gipsoteca fu voluta dal fratellastro dell'artista, Giovanni Battista Sartori (1775-1858) per raccogliere i modelli in gesso, i bozzetti in terracotta, alcuni marmi che si trovavano nello studio dell'artista a Roma al momento della sua morte (1822). Quattro anni dopo, nel 1826, chiuso lo studio romano, trasferì tutto il materiale a Possagno e affidò all’architetto veneziano Francesco Lazzari (1791-1871) il progetto dell’edificio realizzato nel 1836; La Gipsoteca permette di conoscere la tecnica lavorativa di Canova, le cui opere nascevano da un lungo e metodico studio, dal disegno all’argilla, dal gesso al marmo. Il modello in gesso, in particolare, veniva realizzato con una colata in un calco ricavato dalla precedente opera in argilla; nel gesso venivano applicate le "repère", i chiodini di bronzo tuttora visibili nelle statue di Possagno, che consentivano - con un apposito pantografo - di trasferire le misure e le proporzioni dal gesso al marmo. Le opere di Canova danneggiate durante la prima guerra mondiale Alla metà degli anni Cinquanta, la Soprintendenza ai Monumenti del Veneto, su incarico dello Stato, che si assumeva l’onere del costo di una nuova struttura destinata ad accogliere le opere di Canova. Di concerto con il Soprintendente alle Gallerie e alle Opere d’Arte a Venezia e nel Veneto, Vittorio Moschini, decise di costruire un nuovo padiglione della Gipsoteca di Possagno e di affidare l’incarico della progettazione e della sistemazione a Carlo Scarpa. Obiettivo del progetto era quello di valorizzare tutto il patrimonio canoviano non esposto, giacente nel deposito, e, soprattutto, predisporre un’opportuna esposizione per i bozzetti in gesso ed in terracotta. L’architetto riuscì a mettere in atto una scenografica rappresentazione nel disporre quegli assoluti capolavori d’arte coreograficamente e distribuendoli su lucidi livelli sfalsati, collocati all’interno di un involucro architettonico che – come scrisse Francesco Dal Co - “consente alla luce di filtrare dall’alto, col compito di dosare sul palcoscenico una stupefacente, mutevole luminosità, al cui servizio pone un apparato strutturale semplificato e sorprendentemente asciutto”. “Il problema che dovevo affrontare – racconta lo stesso Scarpa - nella sistemazione della Gipsoteca era la luce: si trattava non di quadri, ma di sculture, e le sculture non erano di marmo o di legno, ma di gesso, materiale amorfo che non soffre solo delle intemperie ma che ha anche bisogno di luce, e quindi ha la necessità di un posto al sole. E il sole, movendosi su una scultura, non dà mai effetti negativi”. Alla fine del 1956 Carlo Scarpa aveva predisposto l’intero progetto della nuova sede espositiva, che oggi costituisce il Qui lo “spazio e la luce” diventano elementi essenziali, capaci di valorizzare in maniera magistrale le sculture di Antonio Canova: le figure femminili sdraiate: Dirce, la Ninfa, la Najade; Le grazie ed Amore e Psiche, due Danzatrici e la storica rappresentazione di George Washington. Museo di Castelvecchio, Verona 1956-1964, 1966-1968 e 1975
Il Museo di Castelvecchio a Verona si
trova all'interno del complesso della fortezza scaligera di Castelvecchio, che rimase caserma dall’unità al 1924, anno in cui, grazie ad Antonio Avena, direttore dei musei civici, e a Ferdinando Forlati, architetto della Soprintendenza, venne realizzato un restauro in stile medievale e adattato a sede delle collezioni civiche veronesi. Ampiamente bombardato durante le seconda guerra mondiale (incursione aerea del 4 gennaio 1945), Nel 1956 Licisco Magagnato (Vicenza 1921- Venezia 1987) fu nominato direttore dei musei civici veronesi; il cambio di direzione significò un forte mutamento di indirizzo culturale, Magagnato avviò, infatti, un ambizioso programma di riassetto della rete museale, con il riordino delle collezioni e, al tempo stesso, il restauro delle principali sedi museali, tra cui Castelvecchio affidato a Carlo Scarpa nel 1957. A quella data l’architetto aveva già avuto modo di allestire alcuni tra i più prestigiosi musei italiani: le Gallerie dell’Accademia e il Museo Correr a Venezia, la palermitana Galleria Regionale di Sicilia a Palazzo Abatellis, gli Uffizi a Firenze (alcune sale con Giovanni Michelucci e Ignazio Gardella e il Gabinetto dei Disegni con Edoardo Detti), la Gipsoteca Canoviana a Possagno, oltre a numerosi allestimenti di mostre d’arte per le Biennali di Venezia. Nel restauro del castello scaligero (iniziato nel 1958, con l’allestimento di una mostra Da Altichiero a Pisanello), l’architetto mette a punto un metodo di lavoro che risulta esemplare. Partendo dal riconoscimento delle aggiunte arbitrarie, provvede ad alcune necessarie demolizioni per mettere in evidenza le parti originali mediante particolari accorgimenti come finestre aperte nel pavimento o tagli che consentono la lettura delle successive stratificazioni del monumento. A ciò si affianca il concepimento di un unitario percorso museale, talora felicemente interrotto da escursioni verso l’esterno, e completato da un sistema allestitivo essenziale e rigoroso che crea connessioni visive tra le opere, come nell’esposizione della statua equestre di Cangrande I della Scala, sicuramente l’espressione più alta dell’intero intervento. Del tutto nuovi e di grande impatto formale risultano gli accostamenti di materiali antichi, come la pietra e il legno, con quelli moderni come il calcestruzzo lasciato a vista o Collocazione provvisoria della statua equestre di Cangrande della Scala nel cortile della Reggia, su basamento piramidale di epoca aveniana, mostra Da Altichiero a Pisanello, 1958 (archivio Scarpa) Il primo intervento riguardò la Reggia, l’incarico a Scarpa venne dato nel 1956 in occasione della preparazione della mostra Da Altichiero a Pisanello. I lavori di questa fase si conclusero nel 1958, durante i lavori emersero parti antiche che vennero rese visibili al pubblico, furono inoltre realizzati i solai, i pavimenti e le scale, fu steso un intonaco di calce grezza e predisposto il nuovo sistema di illuminazione.
Scala di raccordo tra il primo e il secondo piano dell'ala della
Reggia; struttura in ferro con gradini in tavole di noce Mansonia; pavimento in marmo Clauzetto; zoccolo-battiscopa in pietra San Gottardo come raccordo tra il piano del pavimento e le pareti, Salone al primo piano dell'ala della Reggia in una sistemazione successiva; pareti con intonaco bianco calce; pavimento in marmo Clauzetto; zoccolo- battiscopa in pietra San Gottardo; croci stazionali del primo Quattrocento di un seguace del Guariento, provenienti dalle chiese di San Zeno e di Sant'Elena di Verona, disposte leggermente oblique e poggianti su un piedistallo in tufo; a destra, di spalle, "San Giovanni Battista" del Maestro di Sant'Anastasia; in fondo, la "Dormitio Virginis" di Michele Giambono, su un parallelepipedo di marmo verde Alpi finito a martellina, mostra Da Altichiero a Pisanello, 1958 (archivio Scarpa) Sala quarta al secondo piano dell'ala della Reggia; pavimento in tavole di noce Mansonia con cordolo sagomato in tufo vicentino lungo il perimetro; pareti con intonaco a calce grezza leggermente velato in grigio; da destra, "San Girolamo in un paesaggio" di Bono da Ferrara e "Madonna in trono col Bambino" di Pisanello, esposti su aste rotanti in ferro, fissate con un perno a pavimento per consentirne la rotazione; posizionata ad angolo, tavola con "Madonna col Bambino" di Gentile da Fabriano collocata su un cavalletto in palissandro e teak; a parete, tavole scorniciate appartenenti al "Polittico di Valle Romita" di Gentile da Fabriano, mostra Da Altichiero a Pisanello, 1958 (archivio Scarpa) Salone al secondo piano della Reggia; pavimento in tavole di noce Mansonia con cordolo sagomato in tufo vicentino lungo il perimetro; soffitti lignei a cassettoni, lasciati originari del XVI secolo; alle pareti, lacerti di affreschi medievali riquadrati da un fondo di intonaco a calce ribassato di un paio di mm rispetto alla superficie dipinta; in fondo, la collocazione temporanea dell'affresco staccato con "San Giorgio e la principessa" di Pisanello, montato su un telaio di tubi innocenti e posato a Nella seconda fase i lavori proseguirono nell'edificio ottocentesco presente nella Corte d'Armi, che da allora viene chiamato ala della Galleria. Al suo interno è presente un'infilata di sette grandi sale, che vengono illuminate da grandi finestre bifore e trifore in stile gotico, che furono inserite durante i restauri degli anni venti, e che sono collegate tra loro da passaggi a volta. Una prima fase del restauro della Galleria vide l'eliminazione dei falsi affreschi e l'intonacatura sobria degli interni. I lavori furono rallentati dai numerosi rinvenimenti archeologici, che costrinsero l’architetto a modificare il suo progetto iniziale. I lavori più Le scelte di Scarpa, coraggiose e innovative, portarono a una nuova concezione museologica e allestitiva; tra le opere più significative quelle al piano terra della Galleria, per la quale l'architetto veneto, in accordo con il direttore, dispose sculture non famose, ma significative espressioni dell’arte veronese, come una vasca, un sarcofago e un frammento mutilati, la cui vitalità è data dalla materia color rosa e avorio. Altre soluzioni espositive riguardarono la Madonna col Bambino collocata su uno sfondo color "rosso Mondrian", posta nella sala centrale e sorretta da una semplice mensola in ferro non trattato, oppure la collocazione della Santa Cecilia e della Crocefissione, oltre all'allestimento di piccoli oggetti di oreficeria nel sacello. pareti con intonaco a calce grezza leggermente velato in grigio Porta del Morbio e sistemazione scelta da Scarpa per la Statua di Cangrande Tra le scelte allestitive di Scarpa, della Scala su magistrale fu inoltre la basamento di sistemazione della statua calcestruzzo equestre di Cangrande I, che precedentemente si trovava presso le arche scaligere, sopra la chiesa di Santa Maria Antica, dove fu sostituita da una copia. A destra scala sfalsata, Castelvecc hio La parte finale dell’intervento riguardò il giardino, nel quale l’architetto dispose sul prato a forma rettangolare due siepi che accompagnano, con una leggere salita, il visitatore verso l'ingresso del museo. Particolare importanza ebbero nella realizzazione del progetto le scelte dei materiali propri dell’architettura moderna (ciottoli, tufo e mattoni, ferro, cemento armato ecc.) accostati ai materiali più tradizionali. Molti gli interventi in pietra di Prun usata