Idealismo Definizione

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IDEALISMO

Per idealismo, nel linguaggio corrente, si intende un modo di pensare e di agire basato sulle convinzioni
ideali e non sulle convenienze pratiche. In questo senso, idealista è colui il quale rimane fedele alle proprie
idee, anche se ciò gli procura ‒ nella realtà ‒ svantaggi o insuccessi. Anche nel linguaggio filosofico il
termine idealismo è legato al ruolo cruciale delle idee. Esso è stato usato in due diversi significati: per
indicare quelle filosofie che ritengono dubbia o inesistente la realtà esterna (idealismo gnoseologico); oppure
per indicare un'importante corrente della filosofia ottocentesca (idealismo tedesco), che interpreta la realtà
come manifestazione di un principio infinito di carattere ideale

Il punto di partenza dell'idealismo tedesco è rappresentato dall'eredità kantiana e, in particolare, dal


problema della cosa in sé. Kant aveva affermato che noi conosciamo le cose come ci appaiono (fenomeni) e
non le cose come sono (cose in sé). Il nostro apparato percettivo e le nostre categorie intellettuali sono come
occhiali di cui non possiamo liberarci: ed è soltanto per il loro tramite che possiamo conoscere la realtà
esterna. È proprio il soggetto, con le sue categorie, a conferire universalità e necessità ai fenomeni. Quanto
alle cose in sé stesse, esse rimangono irraggiungibili, dal momento che il soggetto non può uscire da sé
stesso. Ma questo non significa che la realtà esterna sia dubbia o inesistente: per Kant la realtà esterna esiste
ed è l'inizio di ogni processo conoscitivo.
Tale conclusione fu criticata da alcuni seguaci di Kant, i quali misero in luce come il maestro sarebbe
rimasto a metà strada tra idealismo e realismo. Per un verso, Kant aveva compreso che tutto dipende dall'io,
ossia dalla soggettività (idealismo); per un altro verso, però, era rimasto prigioniero della posizione opposta,
quella secondo cui la realtà esiste indipendentemente dal soggetto (realismo). Liberarsi una volta per tutte da
questa oggettività indipendente dal soggetto e proclamare l'assolutezza di quest'ultimo fu il passo ulteriore
compiuto dai filosofi idealisti. Una volta abolita la cosa in sé, scompariva qualsiasi realtà estranea al
soggetto: quest'ultimo non era più, come in Kant, un'entità finita che dà ordine alla realtà per il tramite delle
sue categorie, ma un'entità infinita che crea tutta la realtà. Dal piano gnoseologico (cioè ponendoci la
domanda "come conosciamo?") ci si era ormai spostati al piano ontologico (per rispondere alla domanda
"cosa è la realtà?"). I filosofi idealisti, del resto, volevano elaborare una dottrina della realtà, non una teoria
di come giungiamo a conoscerla.
La natura dell'idealismo tedesco
Anche se l'idealismo tedesco si sviluppa dalla discussione di un problema lasciato aperto da Kant, esso in
realtà riflette una disposizione intellettuale e morale completamente diversa. Il pensiero di Kant
rappresentava il culmine della filosofia moderna, che aveva fatto del problema della conoscenza il problema
filosofico per eccellenza, giungendo a fissare precisi limiti alle capacità della ragione umana. I filosofi
idealisti sono invece dominati dall'insofferenza verso tali limiti e dall'aspirazione a ricostruire un sistema
filosofico onnicomprensivo, che superi il dualismo tipicamente moderno tra finito e infinito, tra mondo e
Dio, raggiungendo l'Assoluto. Nonostante la complessità delle tematiche e l'uso di un linguaggio molto
difficile, la filosofia idealistica ebbe ampia risonanza, perché essa nasceva in realtà dalla coscienza acuta e
drammatica dei problemi storici, politici e morali del suo tempo.
Non a caso, l'iniziatore di questa scuola ‒ Johann Gottlieb Fichte (vissuto tra la seconda metà del Settecento
e i primi decenni dell'Ottocento) ‒ presenta il suo pensiero come il corrispettivo filosofico della Rivoluzione
francese: come quest'ultima ha liberato "l'uomo dalle catene esterne", così la sua filosofia "lo libera dei ceppi
delle cose in sé, dell'influenza esterna" e lo consacra come essere libero e indipendente. Il realismo, nella
prospettiva di Fichte, non è solo una dottrina della conoscenza, ma un modo di essere: sostenere che il
mondo esterno esiste in modo indipendente dal soggetto significa rinunciare alla nostra missione di esseri
liberi, chiamati a trasformare il mondo e non a rassegnarsi fatalisticamente a esso. "Un carattere fiacco di
natura o infiacchito e piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato o dalla servitù spirituale ‒ scrive Fichte ‒
non potrà mai elevarsi all'idealismo".
Le diverse concezioni dell'Assoluto
Per i filosofi idealisti tutta la realtà è espressione di un principio infinito, avente carattere ideale, che viene
denominato in vario modo: Io, Idea, Spirito, Ragione e così via. L'uso della lettera maiuscola indica come
non si tratti dell'io, delle idee o della ragione individuali, ma di entità sovra-individuali, che coincidono con
la totalità o Assoluto. Questo Assoluto, però, non è un'entità trascendente ‒ come il Dio cristiano, che sta al
di là del mondo e presenta caratteri opposti a esso (infinito contro finito) ‒ bensì un'entità immanente, che
coincide col mondo stesso. Inoltre, l'Assoluto non è qualcosa di immobile, sottratto all'azione del tempo, ma
un processo dinamico la cui molla sta nell'urto tra gli opposti.
Siamo giunti così al tema cruciale della dialettica, di cui gli idealisti danno interpretazioni diverse, dalle quali
discendono differenti concezioni dell'Assoluto. Per Fichte l'Io genera continuamente un non-Io (il mondo),
perché soltanto la presenza di un ostacolo permette all'uomo di realizzarsi in quanto uomo, ossia in quanto
essere che ‒ lottando contro le inclinazioni naturali ‒ afferma la sua libertà. Per Fichte, però, l'Infinito rimane
soltanto un dover-essere, un orizzonte verso il quale l'io finito tende in uno sforzo continuo di
approssimazione.
Per il secondo grande protagonista dell'idealismo ‒ Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (18°-19° secolo) ‒ il
mondo o natura non può essere considerato un semplice ostacolo, una sorta di scena approntata soltanto
perché l'Io si realizzi: in questo esasperato soggettivismo, l'idealismo fichtiano rivela di essere l'ultimo erede
della "misera età cartesiana", caratterizzata dalla scissione tra spirito e natura. La filosofia, secondo
Schelling, deve invece mostrare come spirito e natura siano originariamente uniti: l'Assoluto è precisamente
questa unità indifferenziata degli opposti (dalla quale tutto deriva e alla quale tutto tende), unità che può
essere colta soltanto da un'intuizione intellettuale, come quella cha ha luogo nell'opera d'arte.
Celeberrima la battuta di Hegel ‒ l'ultimo e forse il più grande degli idealisti ‒ sull'Assoluto di Schelling,
paragonato a quella "notte in cui tutte le vacche sono nere". L'Assoluto non è un'unità indifferenziata, per
Hegel, bensì l'incessante trama dialettica della realtà, il continuo processo di differenziazione tramite le
contraddizioni, che ha nella storia il suo grandioso teatro.

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