Articoli Esame
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FUCHS
Nel lutto il soggetto sperimenta un’ambiguità fra la presenza e l’assenza del deceduto, oltre che fra
presente e passato: di fatto è diviso fra due mondi.
Il mondo cambia profondamente nella sua apparenza, permeato da ciò che ricorda la persona amata,
ora evoca solo dolore e tormento. Tutto ciò che prima apriva un futuro di riconnessione e
riavvicinamento con l’altro, ora porta con sé il sentimento della perdita irrimediabile, creando una
spaccatura nell’essere del soggetto.
Caratteristica importante del lutto è il conflitto della coscienza fra un’intenzione presentificante e
una de-presentificante: durante il lutto si manifesta una sensazione simile all’ansia, che porta alla
percezione di una presenza assente ma minacciosa. Fuchs specifica che nella sua trattazione del
lutto si rivolge alla concezione tipicamente occidentale con il suo portato emotivo-culturale.
RATCLIFFE, RICHARDSON
Di solito si parla di lutto trattando di risposta emozionale alla morte, ma è un concetto estensibile a
qualsiasi perdita di qualcosa di significativo per la persona. Il lutto e la perdita condividono sempre
una struttura fenomenologica: l’esperienza della perdita di alcune possibilità percepite come centrali
per il dispiegarsi della vita di qualcuno. Si parla anche di sterilità, per rendere chiaro come il lutto si
relazioni alle possibilità future e non sia diretto esclusivamente al passato.
Il lutto è un’emozione temporalmente estesa, che incorpora esperienze di vario tipo. Le possibilità
che vengono precluse sono essenziali per la definizione dell’Io.
L’associazione del lutto con l’oggetto “morte di qualcuno” sembra riduttiva: parliamo di rabbia, non
di “rabbia per la fila alla cassa”, quindi il lutto sembrerebbe un’emozione molto più univoca nel
momento in cui viene descritta così. Bisogna quindi definire un oggetto formale cui l’emozione sia
direzionata, e quell’oggetto è la perdita personale ed irrevocabile.
La visione del lutto è stata un po’ oscurata dalla tendenza a leggere il lutto come una reazione ad
una perdita di tipo storico e in modo troppo astratto. Il focus dell’articolo sarà quindi sulla sterilità
proprio per dare concretezza. Nei questionari sottoposti al pubblico, il lutto è la reazione emotiva di
molte donne che non solo sono biologicamente incapaci di avere figli, ma non hanno in generale
avuto figli, identificando l’adozione come una soluzione quasi impraticabile.
Si potrebbe obiettare che il non avere figli non sia una effettiva perdita, perché nulla viene tolto alla
persona: l’emozione del lutto viene però descritta come altrettanto devastante sia che si perda
qualcuno di realmente esistito sia che non ci sia qualcuno che si è già iniziato ad amare e desiderare
ancora prima che arrivasse. Ciò che è perso qui è una possibilità che non era solo possibile, ma
anche anticipata con tanta confidenza tale da non considerare neanche la situazione opposta. Si
potrebbe obiettare che forse più che lutto si stia parlando di major disappointment. Ciò che permette
di parlare di lutto è proprio il fatto che le possibilità che si sono chiuse sono percepite come
essenziali per il senso del Sé, sia di chi si è in questo momento sia di chi si era prima di essere
coscienti della situazione. A questo punto quindi si configura il lutto: limitazione, costrizione e
perdita di qualcosa di identitario. Un Sé immaginato ed anticipato è parte integrante dell’identità del
Sé corrente quindi, nel percepire che alcune cose sono irrimediabilmente precluse, l’identità cambia
profondamente e, quindi, il mondo del soggetto viene ribaltato. In questo ribaltamento sta il
cambiamento identitario: l’organizzazione della vita nel momento presente, il “chi” sono, il sistema
di valori e i piani per il futuro sono parte dell’identità e vengono profondamente alterati.
La nostra identità pratica, contrapposta al senso del semplice poter avere esperienze, è formata da
una serie di etichette normative, nel momento in cui c’è lutto una di queste etichette viene
irrimediabilmente a mancare.
Anche la visione delle cose cambia: le cose ci appaiono importanti a seconda di quanto queste siano
rilevanti per i nostri piani e progetti.
Anche nel momento in cui si comprende che il lutto ha un oggetto od evento concreto, affermare
che sia diretto solamente a quello sarebbe una semplificazione eccessiva, poiché il lutto implica
un’altalenare di molti oggetti, che possono essere racchiusi in un termine ombrello di “perdita di
possibilità”; è inoltre sbagliato affermare che la perdita di possibilità non sia qualcosa di concreto,
perché queste stesse possibilità hanno diversi gradi di concretezza.
Distinzione: i genitori di un adolescente non provano lutto per la perdita del bambino che fu ed il
cambiamento che la crescita comporta, c’è differenza fra possibilità che vengono attualizzate
(crescita del figlio) e negate (morte).
In che modo possiamo conciliare questa visione con quella che cerca di cogliere il positivo, come la
morte vista come fine delle sofferenze di una persona? Nelle situazioni di lutto, il bilanciamento fra
le possibilità mie, nostre e loro può essere molto diverso. Per esempio, quando i figli crescono e
vanno via di casa, un genitore potrebbe soffrire della “sindrome da nido vuoto”, che crea tensione
fra l’attualizzarsi delle possibilità del figlio e la perdita delle possibilità del genitore. In questo
senso, un’esperienza di lutto può convivere con una di gratitudine e addirittura gioia.
La dimensione temporale è complessa: alcuni parlano di “perdita di ricordi che non succederanno
mai”: è persa sia la possibilità che gli eventi accadano, sia la possibilità di ricordarli più avanti.
Come afferma Sartre, noi scegliamo il passato: il modo in cui alcuni eventi ci sono più importanti di
altri, dipende da quali possibilità future sono percepite come centrali nella nostra vita. Una perdita
di esse è quindi un cambiamento nella rilevanza del passato.
Non possiamo definire univocamente il lutto, perché è un termine sotto cui ricadono una
moltitudine di momenti, processi, sensazioni e varietà individuali: per esempio nella morte non è
tutto circoscrivibile al momento della morte effettiva, perché può esservi un’anticipazione del lutto
anche nei momenti precedenti, in cui già si sperimenta il decadimento e la perdita di possibilità in
relazione all’altra persona. Si parla di “lutto anticipativo”: l’esperienza della perdita che avviene
prima della perdita stessa, come ad es. una persona che sta per morire può provare lutto per ciò che
gli altri perderanno per via della sua morte.
Esiste una forma di lutto detta “perdita ambigua” nella quale non si sa esattamente cosa sia
accaduto a ciò che è stato perso. Si resta sempre a metà fra un mondo di possibilità negate e uno in
cui quelle possibilità rimangono.
La complicazione ulteriore avviene proprio per quanto riguarda la mancanza di figli: non esistono
rituali, tombe, normatività e simbologie che permettano di rispondere alla necessità narrativo-
simbolica della persona in lutto, rendendo il sentimento ancora più esclusivo e isolante per la
persona che lo prova: è difficile da comunicare e concettualizzare. Inoltre, la dimensione sociale di
molte forme di lutto è fondamentale, in particolare nel caso della mancanza di figli: essere genitori
impone una serie di codici, performances e norme da seguire.
Altro problema: una persona che perde più cose insieme prova un singolo lutto o una “pila” di
perdite diverse? Sono parti integranti di una stessa situazione, come ad es. la perdita di salute che
porta a perdita di lavoro, quindi di casa, quindi di matrimonio? Il processo del lutto può coinvolgere
l’esperire lutti in modo diverso e in momenti diversi, a volte interrelazionati e a volte no.
Identità secondo Ratcliffe è sistema di relazioni con il mondo, progetti, impegni, che ci definiscono
come persone: identità pratica sono tutte le categorie in cui ci identifichiamo (genere, ruolo
sociale) e che ci pongono in una certa relazione con il mondo, magari anche legate a dei valori. C’è
anche identità narrativa, ovvero la narrazione del Sé in una certa linea temporale. C’è anche un
terzo aspetto, che considera sia il lato emozionale (parte cognitivista) sia il lato fisico-corporeo:
spesso le emozioni stesse ci permettono di conoscerci, poiché reagiamo con un’emozione che non ci
aspettavamo ad un certo evento (es. se scopro di non poter avere figli e reagisco con il lutto, scopro
che quello per me era un valore importante).
Il vuoto identitario della childlessness investe l’Ego, perché non si sente solo l’assenza dei figli ma
anche l’assenza di ciò che io non posso più essere. Il dolore può estendersi anche alla negazione
delle possibilità di questi figli mai nati, a cui viene negato l’essere e quindi le possibilità d’azione.
La dimensione di riconoscimento sociale del dolore è importante perché dà a quel dolore la
legittimità di esistere, se il dolore non è “visibile” è anche difficile da comunicare e da riconoscere
(anche per il soggetto che lo prova) come qualcosa di definito: si soffre per qualcosa che non solo
non viene riconosciuto dall’altro, ma che io stesso ho difficoltà a riconoscere.
Si parla (Doka) di disenfranchised grief per quanto riguarda l’impossibilità di avere figli: è
disenfranchised qualsiasi perdita che non viene riconosciuta dotata di legittimità. Per le persone che
attraversano questo tipo di dolore, spesso la memoria autobiografica e la cosiddetta art of
recollection non sono sufficienti, quindi è utile il supporto di gruppi d’ascolto, in maniera che si
possa creare uno scaffolding per elaborare il lutto nella sua dimensione socio-istituzionale.
La chiusura del futuro nella childlessness è relativa alla chiusura di tutte le speranze che si
investono sul figlio (avrà una famiglia, un buon lavoro, ecc.) e che non potranno mai avvenire: la
perdita investe quindi la mia possibilità e le possibilità del figlio stesso.
La speranza ha un contenuto intenzionale che coinvolge anche un elemento esterno, poiché c’è una
componente attiva (X agisce perché avvenga Y) e una passiva (X spera che avvenga Y ma non può
agire su Y), non per forza in compresenza. C’è differenza fra perdere la speranza e le speranze; la
seconda è relativa maggiormente ad una condizione esistenziale in cui si viene a generare
un’attitude verso la vita nella quale questa diventa priva di senso, perché si perdono completamente
le possibilità. La speranza esistenziale diventa terreno di base per la speranza intenzionale. È
quindi possibile perdere la seconda, ma senza perdere la prima. Non viceversa, perché perdere la
prima significa perdere la seconda. Esiste inoltre per Ratcliffe una speranza radicale, che permane
anche nel momento in cui tutte le altre speranze si perdono. È rivolta a “speranza in qualcosa di
buono”, dove quel “qualcosa” non si sa esattamente che cosa sia. Quando si perde quella, viene
persa la possibilità stessa di sperare in qualcosa.
Le speranze intenzionali sono spesso relative alle possibilità d’azione sul mondo: ad es. vengono
perse tutte le possibilità che implicavano un “noi” nel momento in cui il partner si perde.