App Unti
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Bucoliche= edoghe
Genere -> tra forma e contenuti. Deve essere noto al lettore per poter passare da un livello denotativo a
uno connotativo. È un modo per strutturare un sistema letterario, una volta utilizzati gli strumenti di un
genere è possibile poi compiere un’ibridazione, soprattutto in età augustea. Gli autori in età augustea anno
di riferimento i modelli greci e i modelli latini (sviluppati in età arcaica e repubblicana). La letteratura latina
nasce dalla letteratura greca, al punto da poter esserne considerata una sezione scritta in una lingua
diversa. L’unica eccezione è la satira. Quando Virgilio scrive l’Eneide ha sì come modello Omero ma anche
Ennio (Annales). Quello che rende davvero grande la letteratura augustea è quella di dialogare con due
diversi sistemi modello. Questo crea la possibilità di un genere Host (es. bucolica) e un genere ospitato che
va ad arricchirlo. Una grande qualità del periodo augusteo è l’essere consapevoli dei generi ereditati,
tenendone a mente i confini permeabili.
La prima opera latina, Odusia è una traduzione di un’opera greca. Il sistema letterario latino è fondato sulla
tradizione, vertere. Un’operazione di traduzione letteraria e non letterale, è un atto creativo. Il rapporto poi
diventa quello dell’Aemulatio ovvero dell’assimilazione e del superamento del modello, una forma
agonistica. Tradurre un testo significa non trasporne il contenuto ma trasporne lo stile, adattandolo a un
sistema culturale e stilistico diverso (Come faccio a ottenere un effetto equivalente?). Il latino è un sistema
linguistico letterario che lavora molto sulle figure di suono proprio per compensare dove si trova
l’irriproducibile.
Partendo dal presupposto romantico dell’originalità la ricerca delle fonti era funzionale a dare esteticità
all’opera. Meno fonti vengono presentate più l’opera è godibile.
Il punto di vista degli antichi è quello di un’operazione intertestuale riconoscibile che dovrebbe richiamare
l’attenzione del lettore esperto e non di un plagio/semplice copia. Livello denotativo -> connotativo
reminiscenze= come se fosse una scelta inconsapevole, un’espressione è semplicemente poetica per natura
senza voler rimandare sinceramente a nessun altro autore
Allusioni= l’autore allude al modello perché vuole far scattare il riconoscimento del modello nel lettore per
aggiungere significato all’opera.
È più corretto come abbiamo già detto parlare quindi di intertestualità (J. Kristeva):
il lettore coglie empiricamente la compresenza di uno o più testi in un altro e sta unicamente a lui
riconoscerli e interpretarli senza tenere in conto la volontà dell’autore. L’interprete ha il compito di
interpretare e riconoscere la funzione dell’intertestualità, strumento dell’autore. Connotativo -> denotativo
Conte -Barchiesi: ogni testo letterario si configura come assimilazione e assorbimento di altri testi,
soprattutto come trasformazione di quelli. Di fatto un’opera può essere letta solo in connessione con altri
modelli, o contro di loro. La somiglianza testuale è spia di un’intenzione da ricostruire: intertestualità deve
assolvere a una fuzione.
In questa prospettiva noi trattiamo l’allusione come un tropo, una figura retorica. Crea uno iato, un
distacco tra la parola e il referente. Sostituisce il proprio con l’improprio, crea uno scollamento tra la parola
e la sua natura. Un significato ulteriore si produce tra il soggetto e l’oggetto. La figura retorica quindi serve
a creare uno spazio per lo sforzo ermeneutico del lettore. Ha quindi una funzione connotativa, cioè che
produce un incremento di significato. L’allusione punta all’identificazione ma al contrario del tropo attira
l’attenzione sullo scarto.
Es. Nel terzo libro dell’Eneide, Enea incontra Andromaca. Andromaca come figura letteraria e mitica è
continuamente rivolta al passato, non riesce a superare il lutto di Ettore. Credendo che anche Enea sia
morto pensa di essere defunta anche lei e dice “se la luce generatrice di vita se ne è andata, dov’è Ettore?”
In Dante nel decimo canto dell’Inferno, Dante personaggio incontra Cavalcante Cavalcanti “Se per questo
cieco carcere vai per altezza d’ingegno, mio figlio dov’è?”
Le due situazioni non sono identiche ma sono analoghe, la battuta è la stessa e si carica dell’ansia e
dell’angoscia dell’Andromaca Virgiliana per un lettore attento
Catullo vuole tornare sulla tomba del fratello a rendere l’ultimo saluto come Odisseo che vuole tornare a
casa. Entrambi volevano arrivare in un luogo ma non hanno potuto farlo
Foscolo, In morte del fratello Giovanni fa una ripresa esemplare del modello Catulliano. Entrambi vogliono
raggiungere la tomba del fratello defunto. Deluso a voi le palme tendo -> ripresa di Virgilio (palme
desiderose)
La Filosofia a Roma: le origini
La filosofia non nasce a Roma, nasce in Grecia. Arriva a Roma verosimilmente attraverso la mediazione del
popolo etrusco e poi tra il terzo e secondo secolo avanti Cristo attraverso le conquiste romane. Avviene un
contatto diretto tra i due sistemi (rappresentato dalle commedie di Terenzio) che non sono perfettamente
integrati. I romani colgono i pregi della paideia ma anche i pericoli della cultura greca (filo ellenisti vs
conservatori). Nasce quindi il dibattito tra le élite culturali su come integrare la cultura ellenica senza
distaccarsi dal Mos Maiorum. Il contatto più diretto può essere quindi trovato alla metà del secondo secolo:
Ennio (239-139): epicharmus, una traduzione di alcuni detti sentenziosi di contenuto etico morale e
filosofico. Euhemerus, giunta in prosa probabilmente un riassunto tardo antico. Proemio Annales
con esplicito riferimento alla metempsicosi pitagorica
168 a.C. – Battaglia di PIDNA -> Emilio paolo porta a Roma la biblioteca del re Perso
155 a.C. – Ambasceria ateniese composta da tre filosofi Carneade, Diogene di Babilonia e Critolao.
Cicerone ci racconta questo momento e denota come questo abbia creato stupore da parte dei
giovani quando Carneade mette in piedi argomentazioni con e contro la giustizia
Quando Roma entra in contatto in maniera continuativa con la cultura greca necessariamente entra in
contatto con la filosofia ellenistica -> Accademia, Peritato, Stoà, Giardino. Le ultime due influenzeranno
Roma soprattutto sul piano etico.
opere politiche (54-52 momento storico preciso in cui cicerone torna dall’esilio e cerca di trovare
spazio per la sua politica ma non lo trova e scrive queste opere in cui fa capire che la repubblica
romana è in pericolo e serve una figura forte che lo guidi senza cambiare niente = augusto instaura
una monarchia ma rimane tutto uguale)
retoriche (84-44 affrontano tutta la vita di cicerone oratore, contraltare rispetto alla produzione
oratoria, cicerone avvocato riflette sempre sulla retorica e questo gli fa produrre opere retoriche)
Filosofiche (46-44 entriamo negli anni della dittatura di cesare e scrive come un matto perché
avendo le mani legato sul piano politico cerca di agire politicamente attraverso la filosofia filosofia
in funzione della politica).
Cicerone e Lucrezio sono grandi autori i cui si sono conservate le opere ma anche Varrone e nigidio figulo
hanno svolto un ruolo importante. Facciamo riferimento a una letteratura che in parte è andata perduta.
La produzione oratoria e retorica di Cicerone, come le epistole è un tipo di scrittura che lo accompagna
attraverso tutta la sua biografia. Il primo tempo invece della sua produzione filosofica nasce in seguito
all’esilio e durante Giulio Cesare. Cicerone adotta la forma del dialogo (modello Platone) con tendenza alla
dimensione monologica. Questo è evidente soprattutto nell’opere dell’età cesariana ES. De natura deorum,
dialogo a tema teologico, Cicerone riflette sulla natura degli dei da tre diverse prospettive teologiche.
Ognuno dei protagonisti esprime in un libro esclusivamente il proprio punto di vista. ES De Divinazione,
Quinto Cicerone a favore della divinazione VS Cicerone denuncia la divinazione come mero strumento
politico.
27/09/2022
La poesia didascalica
Lucrezio, contemporaneo di Cicerone sceglie di scrivere di filosofia utilizzando la poesia didascalica. Il
metro è l’esametro (condiviso con la poesia epica). Protagonista della poesia didascalica è la situazione
didattica, maestro che istruisce un interlocutore spesso chiaramente definito. La struttura del poema
didascalico è varia, può essere un singolo libro o un insieme di più libri. Esiodo (VIII-VII a.C.) è l’inventore
della poesia didascalica dopo di lui si sviluppano due filoni:
1. tradizione filosofica sistematica (VI-V a.C.), quando il poema didascalico è impiegato per esporre
un’intera dottrina filosofica (Parmenide, Senofane).
2. Tradizione catalogica (IV-III), non c’è un sistema filosofico che viene esposto in maniera integrale
ma un argomento specifico di carattere tecnico analizzato analiticamente, una rassegna degli
elementi che appartengono a una determinata categoria.
Notizia probabilmente falsa, di natura autoschediastica cioè quando da un’opera dell’autore ricaviamo
informazioni sulla biografia di un autore. Il riferimento alla follia probabilmente legato a una tradizione che
si consolida in età imperiale tra gli autori cristiani, non parlando di una follia a livello clinico ma folli sono le
sue idee. Lucrezio professa un sistema filosofico di tipo materialista che entra inevitabilmente in rotta di
collisione con gli ideali cristiani. Il filtro d’amore probabilmente è una confusione relativa a una
testimonianza di Locullo che morì vittima proprio di questo filtro. Cicerone in una lettera al fratello Quinto
si esprime molto positivamente riguardo a dei passi di Lucrezio dicendo che c’è talento innato e ars
retorica, da qui forse l’assunto che Cicerone fosse editore di Lucrezio.
Lucrezio quindi risulta poeta maledetto ante litteram avendo risonanza anche nel panorama critico
1. 2 libri fisica
2. 2 libri antropologia
3. 2 libri cosmo
Struttura sorvegliata che permette una climax, elementi minimi del microcosmo e elementi massimi del
cosmo passano attraverso l’uomo. Lucrezio procede per gradi, illustra prima la fisica atomica (l’esistenza e
la forma degli atomi e il vuoto. Gli atomi si muovono nel vuoto e il loro movimento è guidato dai movimenti
di vita e movimenti di morte. Questi due movimenti costantemente si implicano perché le cose sono
destinate a morire ma gli elementi minimi no, continueranno a ricomporsi all’infinito nel tempo di infiniti
universi).
Nel primo libro di ogni coppia si pone una legge e nel secondo il suo corollario. L’elemento strutturale che ci
dà la conferma della volontà di creare delle diadi da parte di Lucrezio è l’elogio di Epicuro presente in ogni
proemio dei libri dispari. Nel primo Epicuro è un uomo, nel secondo è padre e nel terzo è un Dio,
chiaramente in collegamento grazie a una climax ascendente.
A questa prima struttura se ne sovrappone una seconda che divide i primi tre libri dagli ultimi tre. Questa
struttura nasce a partire dal quarto libro dove è inserito un poema eminentemente meta-letterario
all’interno del quale nasce la celebre metafora del miele e della medicina utilizzata per spiegare la scelta
della forma poetica. La poesia è come il miele, è dolce ma non cura e la filosofia di Epicuro è la medicina
amara ma benefica. Epicuro non criticava la poesia e tantomeno la bandiva ma ne sottolineava la
pericolosità perché agisce non sulla ragione ma sui sentimenti degli uomini, può convincere facilmente del
falso. È per questo che Epicuro e la maggior parte degli autori epicurei sceglie la prosa.
La
Le ripetizioni in Lucrezio sono da riportare alla formularità omerica (quindi tecnico-mnemonica) per creare
delle connessioni tra le varie sezioni dell’opera, sono funzionalizzate e sono una scelta deliberata. Stessa
cosa avviene proemio del primo libro in cui utilizza uno stilema della poesia epica (invocazione alla Dea) ma
la rifunzionalizzata filosoficamente parlando sottoforma del piacere degli uomini e degli dei. È l’ipostasi di
un concetto filosofico.
La critica Lucreziana invece evidenzia anche basandosi sulla nota biografica che si tratti invece di elementi
aggiunti da mani di terzi e che indicano quindi l’incompletezza dell’opera.
Per Epicuro gli dei esistono ma vivono negli universi che stanno in mezzo (intermundia), universi infiniti
nello spazio e nel tempo. Nelle zone vuote tra questi vivono gli idei, esistenti ma lontani dagli uomini: inutili
amarli o temerli, sono piuttosto paradigma della dottrina del benessere.
(1-7) Secondo elogio di Epicuro, vediamo in atto l’introduzione di un genere guest (innodica) in un genere
host (didascalica). Poesia innodica ->l’uso della seconda persona singolare a cui ci si rivolge personalmente.
Interiezione (-O).
Antitesi luce/tenebre il polo positivo Epicuro e il polo negativo superstizione. Figure di suono!!
(2) tema del Primus (anche nel primo elogio), il primo filosofo che ha scoperta la verità.
(3-4) Lucrezio vuole seguire le orme del maestro in maniera pedissequa, non vuole gareggiare ma vuole
seguirlo. Imitatio > emulatio. Per rafforzare l’idea di fedeltà contribuisce anche la disposizione incatenata
degli elementi, le orme del maestro e i passi di Lucrezio (ordo verborum) si confondono.
(5-6) variazione sinonimica nell’espressione del desiderio. Condizione espressa attraverso due immagini
metaforiche, una tradizionale una innovativa. I cigni sono l’uccello poetico per antonomasia (mito di apollo)
mentre appunto vitello e cavallo sono attestati sono a Lucrezio. I nomi di uccello sono giustapposti nella
sequenza ma divisi da enjambement.
(7) “fortis equi vis” è un epicismo. Stilema omerico, forma connotata che va contro il linguaggio naturale
28/09/2022
Nel proemio del sesto e ultimo libro si trova il quarto elogio di Epicuro. Dato anomalo perché il numero del
libro è pari e la climax è già completata. Questo proemio però nasce con il proposito di dare una
conclusione e si tratta
Nel quinto libro del De Rerum Natura si parla del cosmo e nel sesto si parla dell’evoluzione dell’uomo e
della civiltà e l’elogio di Epicuro è la somma vetta della storia dell’umanità perché Epicuro è colui che l’ha
salvata.
Questo elogio è inserito nel più lungo elogio di Atene (patria di Epicuro anche se anagraficamente
incorretto) come la patria che salvato l’uomo attraverso l’agricoltura e le leggi.
Nel finale del sesto libro è trattata la peste d’Atene che per secoli ha rappresentato un vero enigma. Come
è possibile dopo aver parlato della salvezza dell’umanità arrivare a una brusca rottura del discorso? La
conclusione arriva all’improvviso e per questo diventa efficacissima. Un’ipotesi che spesso viene riesumata
dalla critica è che questo finale sia prova di incompletezza tanto quanto le ripetizioni.
Confrontando invece questo finale con il proemio del sesto libro (Atene all’inizio del libro e Atene alla fine),
appaiono due eventi rovesciati cronologicamente. All’inizio viene presentata la nascita di Epicuro (III-IV sec.
a.C.) mentre la peste è del 430-431 a.C. quindi successiva. L’implicito è che la peste di Atene non è la fine
della città, non si dissolve con la peste. Atene prosegue la propria storia al punto paradossale di raggiungere
il proprio apice un secolo e mezzo dopo con la filosofia di Epicuro. Questo rivela una lettura ciclica, il finale
si legge e si comprende a partire dal proemio del primo libro (inno a Venere primaverile che riporta
ciclicamente alla vita VS evento di morte) -> Moti di vita VS Moti di morte
Il poema diventa rappresentazione iconica della realtà. La peste di Atene ha piena ragione di essere per
suggerire a un lettore attento la chiave di lettura ciclica che conferisce la totale comprensione della filosofia
Epicurea.
Il problema fondamentale di Lucrezio è spiegare ciò che non è percettibile attraverso i sensi e per spiegarlo
ricorre all’analogia, che ci permette di passare dal noto all’ignoto. L’analogia più famosa del De Rerum
Natura è quella tra gli atomi e le lettere dell’alfabeto come analoghi corrispettivi. Questa analogia non ha
solo funzione di immagine utile per capire un concetto ma giustifica la scelta di Lucrezio di scrivere un
poema sulla natura perché parole e le cose seguono le stesse leggi. È possibile scrivere un poema che sia
specchio della natura.
(14) Immagine che evoca il mito di Atena che nasce dalla mente di Zeus, sfrutta un’immagine mitologica
tradizionale ma in modo razionale. Dalla mente del filosofo nasce la ratio. Vociferari= vox + fero -> dire a
gran voce, urlare tradizionalmente associato alla nascita di Atena (nata urlando pronta alla battaglia. Il
contenuto della ratio è la natura delle cose (Ratio)
(16-17) due verbi iniziali dei versi -> disperdere. Una volta ascoltata la dottrina di Epicuro c’è una
liberazione dai timori che schiacciano l’animo (timore Dei/morte) e poi la liberazione dello sguardo che
arriva a guardare l’universo. Disposizione chiastica dei due verbi, espedienti retorici per far imprimere il
concetto. “Todo video” etc. -> Lucrezio in un’espressione così semplice dice molto, inne/res due concetti
fondamentali di Epicuro, atomi e vuoto. Implicitamente dice che non ci sono gli Dei. Geri Res è una clausola
piuttosto rilevata dalla struttura di sillabo più monosillabo, qui dice che le cose si muovono (manca il
complemento d’agente) per loro stessa natura. In quest’espressione c’è comunque affermata la negazione
della causalità divina. Verbo “video” -> verbo concreto ma visione mentale, questo universo che si spalanca
difronte ai nostri occhi si spalanca in realtà davanti a quelli della mente.
(20-24) Nei versi successivi Lucrezio descrive le conseguenze di questa visione universale.
Per capire questo passo dobbiamo prendere il sesto libro dell’Odissea perché ci troviamo difronte a
un’intertestualità esemplare richiamo attraverso dei precisi richiami lessicali. È proprio la sequenza degli
agenti atmosferici a confermare la iuntura omerica. Per realizzare il calco omerico -> innhubilus composto
latino su calco greco. L’obbiettivo di questo richiamo è riposto nel fatto che gli dei omerici sono beati e
incarnano tutti i vizi oltre le virtù degli uomini e interferiscono nella loro vita, questa è una menzogna e i
veri dei sono solo quelli che si possono vedere solo dopo la dottrina di Epicuro. È la ragione per cui secondo
Epicuro sono il modello analogico a cui tendere perché atarassici. Gli Dei omerici sono quindi in una sede
beata e incorruttibile che però si tormentano, diversa è l’immagine degli dei di Lucrezio.
Nel testo greco “giorno dopo giorno vivono lieti li dei -> tempore in ullo il soggetto sono gli Dei ma nel testo
latino è la natura, che con le sue leggi è superiore agli dei e anzi consente a gli stessi di avere la loro natura
impossibile e eterna. Intertestualità per marcare uno scarto tra i due segmenti.
(25) at contra -> movimento avversativo at= avversativa più forte del latino at + contra= ma per contro/al
contrario. L’opposizione qui è ribadita dal medesimo verbo (verso 23), marca quest’antitesi. Si mostra la
natura degli dei ma non si mostrano gli inferi.
Quamqunque -> relativo distributivo, termine sintetico + termine analitico. Ogni cosa ma nelle sue singole
manifestazioni.
La dottrina di Epicuro crea questa frattura nella metafisica antica, esistono i luoghi celesti ma non i luoghi
della dannazione. Esistono però le cose.
(30) Retecta esta -> tectum= tetto. Scoperchiare, svelare togliendo una copertura
(31-40) Lucrezio sfrutta l’esibizione del nesso logico soprattutto in incipit di esametro per mostrare il
procedere dell’argomentazione. Sommario di due libri e anticipazione del terzo libro, tipico di Lucrezio.
Infatti “Doqui” è al perfetto. “Exordia” è uno dei termini che Lucrezio ha a disposizione per parlare degli
atomi. Lucrezio evita “atomus” ma utilizza una serie di sinonimi princhipia/primordia/exordia -> elementi
primi. Ha spiegato la natura degli animi e dice che sono diversi tra loro per la loro forma. “sua sponte” ->
due valori: ribadire in maniera implicita l’assenza di causalità divina, il secondo il cliname -> inclinazione,
scontro tra gli atomi.
Animus vs anima -> nel terzo libro descrive la natura della psico umana ma facendo distinzione animus=
razionale, nel petto dell’essere umano. Anima= principio vitale e disperso per tutto il corpo umano, regola
le percezioni sensoriali.
Il primo obbiettivo di Lucrezio nel terzo libro è quindi quello di spiegare l’anima, come composto di atomi
(come ogni cosa soggetta ad aggregazione/disgregazione) e di conseguenza con la morte del corpo si
verifica anche la morte dell’anima. La conseguenza del materialismo è la negazione dell’immortalità
dell’anima. Il secondo obbiettivo è quello di dimostrare l’inconsistenza della morte, quando noi ci siamo
non c’è lei e quando c’è lei non ci siamo noi. Il fine è quindi scacciare (37, acherontis) il timore della morte
che vela ogni cosa del nero colore della morte (39-40) che non lascia nessun piacere limpido e puro.
“Turbat” -> nel senso che insozza, rende opaco.
[…] Lucrezio mostra come il timore della morte pervada la vita degli uomini corrompendola. Tutti i principali
vizi umani (sete di potere, ambizione, avidità etc.) non siano altro che risposte al timore della morte.
Timore della morte come meccanismo di difesa inconscio dall’angoscia ontologica della morte.
(79) Parte conclusiva della galleria di mali umani. “Ergo” -> come preposizione con il genitivo per indicare
un complemento di causa.
(79-86) Lucrezio mette in campo una serie di termini nel campo del timore. Chi pensa al suicidio dimentica
che la fonte di quest’angoscia mortale è proprio il timore della morte quindi non può essere assolto dalla
stessa. Se da un lato Epicuro predica l’astensione della vita politica di certo non predica l’autonomia del
sapiens, vincoli affettivi che legano persone che attengono alla stessa scuola filosofica
(84) Pietas -> senso religioso politico. “Parentis” -> accusativo plurale concordato con “caros”
03/10/22
(87-) questa sequenza fino al verso conclusivo si trova ripetuta già nel secondo libro e nel sesto. (55-61 //
44-) l’uso della ripetitività viene sfruttata per la fine del proemio a quella sezione successiva […]. La
similitudine = elemento metaletterario
Associazione tra gli uomini che non si sono ancora convertiti all’epicureismo e i bambini che sono
sospettosi/impauriti e devono essere guidati per il superamento delle loro paure. Lucrezio dispiega termini
che appartengono alla sfera semantica della paura che funzionano come variazioni sinonimiche. L’ultima
sequenza, che ricorre nel finale di quattro proemi su sei, fa capire che siamo alla conclusione del
ragionamento: “questo terrore (altro termine della sfera semantica della paura) dell’animo e queste
tenebre (riferimento alla paura) è necessario che li mandino via non i raggi del sole ma la natura ” ritorna in
conclusione l’opposizione luce / tenebre che è un riferimento tra ignoranza e conoscenza e ci dimostra che
non è la luce del sole che ci dà salvezza ma è la conoscenza e contemplazione della natura (alla
contemplazione deve subentrare la conoscenza, dall’ammirazione ci deve essere la riduzione alla
conoscenza passaggio fondamentale per Lucrezio)
(931-934) “933” qui si introduce la prosopopea = viene subito connotata la natura dell’uomo (è destinato a
morire). Già come si introduce (suono e verbi) l’accusa della natura verso l’uomo è di non aver capito il
valore della morte (quid es quod = di solito della prosa, qui usato in valore poetico); c’è anche l’idea
dell’indugiare, dell’essere attaccati troppo alla vita; per Lucrezio è un male perché non si capisce il valore
della morte, la morte è qualcosa che ci libera dal dolore di viverla.
(935-944)
“935-943” Se hai vissuto una vita felice allora dovresti comunicarti sazio, non c’è più niente da aggiungere,
non ci sono più beni
“937” immagine di tradizione platonico dell’animo umano come vaso forato (usata anche da Seneca
soprattutto in relazione alla memoria, animo incapace di trattenere le cose) usata per l’eterna
insoddisfazione dell’uomo, il nostro desiderio non riesce mai ad avere una sua pienezza.
“940-944” si guarda la visione opposta di chi ha vissuto una vita difficile. Nell’alternativa se hai vissuto male
perché vuoi saziarti di altri mali? esci (muori) liberati da questi mali
(945-952) “945-946” “infatti non è nulla ciò che io posso inventare e escogitare per farti piacere
(letteralmente)” non vale nulla quello che la natura può creare perché le cose della natura sono sempre
uguali a sé stesse, la natura segue leggi che hanno in sé questa idea di eterno ritorno, non c’è niente di
nuovo che ci potrà dare gioia, ci sarà sempre un ritorno delle cose
“947-950” il concetto è ribadito: le cose sono sempre uguali a sé stesse, prolungare la propria vita non
significa poter vedere cose nuove (si capisce dalla ripresa “eadem sunt omnia semper” eadem è un
aggettivo determinativo e il suo valore proprio indica l’identità, mentre ipse ha valore enfatico e segnala
una differenze/separazione)
“951-952” Lucrezio riprende parola e si pone una domanda retorica. Lessico giuridico per dare coerenza a
questa immagine come se fosse una scena da tribunale dove la natura ha ruolo di accusatore (nisi = di solito
è congiunzione di protasi negativa di un periodo ipotetico, qui di fatto ha valore quasi dell’effetto di
introdurre una sostantiva // si = di solito introduce la protasi di un periodo ipotetico, qui tradotto con anche
se perché siamo davanti ad una concessiva? ipotetica? perché dopo c’è tamen)
(963-) “963-965” qui Lucrezio richiama le teorie atomistiche esposte nei primi due libri: il fatto che tutto il
reale è formato da atomi quindi tutto il reale è formato da movimenti dove il vecchio è portato via dal
nuovo […40]
polictoto = serve a rafforzare l’idea che da altri aggregati se ne formi uno nuovo
“966-969” qui c’è l’espressione che funziona come un […] (baratrum anticipa l’inferno concepito come una
fossa). Nulla è dato agli inferi perché c’è bisogno (opus est) di materia affinché si formano le generazioni
successive (crescant appartiene […]).
Lucrezio sta spiegando che in questo movimento di continua nascita/morte è coinvolta ogni cosa che ha
preceduto e che ci seguirà, qualsiasi cosa ha fatto e farà la stessa fine.
“970-971” alla fine di un ragionamento di Lucrezio solitamente si trova un epifonema (frase sentenziosa
memorabile che dà la sintesi di quello che si è appena detto) e qui usa “mancipio usu // nulli omnibus” cioè
la vita è data a tutti in uso, a nessuno in possesso
“972-977” voltati al passato e pensa al tempo che c’è stato prima di te e che non è niente per noi. la nostra
anima non si può rapportare all’eterno, siamo una sequenza che vive/agisce che non ha impatto verso
quello che c’è stato prima e che ci sarà dopo. Questo è per Lucrezio motivo di consolazione.
se guardi nello specchio del passato non si mostra nulla di spaventoso, anzi si mostra più tranquillo di
qualsiasi sogno. Altro elemento che Lucrezio porta per affrontare quello che c’è dopo la morte
(il primo non ci può essere un luogo di dannazione eterna perché la materia che ci forma serve al cosmo per
formare nuova vita
il secondo è che l’inferno è qualcosa che ti immagini nel tuo futuro ma il tuo futuro è uguale al tuo passato,
se non ‘ce stato prima non ci sarà dopo)
“978-986” profundus = senza fondo, nel passato è visto come un infinito spaventoso (mentre altum era la
visione positiva della profondità).
1) Tantalo non teme il sasso che lo sovrasta, ma in realtà è l’insensato timore degli dei minaccia in vita gli
esseri mortali e temono quel destino che la sorte potrebbe portare a ciascuno. La razionalistica del mito di
tantalo che qui è riportata da Lucrezio in una variante secondaria e la sceglie perché è quella che funziona
meglio per l’interpretazione razionalistica che propone, il masso per analogia raffigura la paura degli dei.
Lucrezio associa alla religione (che aveva valenza positiva, religione sociale) la superstizione (=ciò che sta
sopra, che sovrasta…valenza negativa, religione popolare)
2) “” si passa al secondo dannato: Tizio. Ne gli uccelli lo assaltano ne possono trovare sotto il suo petto
qualcosa da frugare per l’eternità subito dopo spiega il perché, smonta razionalmente il mito perché dice:
e per quanto tizio si stenda con l’immensa grandezza del suo copro, qui (la grandezza) da sola mettiamo che
copra tutta quanta la sfera della terra, anche in questo caso non potrà sopportare un dolore eterno e non
potrà offrire per sempre cibo dal proprio corpo. Lo smonta dimostrando che sebbene tizio che è un gigante,
fosse dotato di un corpo straordinariamente grande tuttavia nemmeno con un corpo esagerato come
ipotizza non sarebbe possibile soffrire u dolore eterno perché nessuna creatura vivente può viver
eternamente e non potrebbe offrire cibo per l’eternità con il suo corpo perché mangiato dagli uccelli si
perderebbe. Subito dopo da l’interpretazione allegorica del mito: tizio diventa immagine tipologica di chi
soffre le pene d’amore (uccelli metaforici, lo divora il soffocamento / stretta al cuore). Tizio viene soffocato
dal suo desiderio.
3) “995” dannato Sisifo. Simbolo della brama di potere, qui rappresentata dall’immagine dei fasci e delle
scure (simbolo del potere militare). Spiega il perché con il nan dichiarativo inseguire un potere che è
senza valore e non mai dato per davvero (non esiste davvero un potere di fronte alle leggi della natura) è
come spingere sopra un monte inclinato una roccia che ci fa continuamente sforzare. Abbiamo un’ipallage
= quando c’è un accordo morfologico tra due termini che non accorda con un senso logico (nitor? Nixor? È il
frequentativo e indica un’azione ripetuta, in questo caso in eterno). A questo sforzo corrisponde la pena di
chi soffre questa brama di potere politico.
05/10/22
Mito della danaidi -> condannate a riempire d’acqua anfore forate, vengono continuamente frustrate da
questo compito impossibile. Lo stesso avviene nella nostra volontà secondo Lucrezio, desideri insoddisfabili
di porci dubbi irrisolvibili.
(1003) Deinde
Natura dell’anima ingrata -> lacanianamente mai contenta, desiderio insoddisfabile per sua stessa natura.
(1005) Tempora annorum -> plurale, le stagioni ritornano ciclicamente. Per far capire come la frustrazione
del nostro animo sia aspra viene confrontata con la natura, che ciclicamente ci dà dei beni che mai però ci
saziano. Abbiamo un bisogno continuo. Circum (avverbio) -> circolarità
(1010) Protestus -> forma arcaica, corrisponde al passivo dell’indicativo presente alla terza persona
singolare. Espressione di valore impersonale.
(1011) insensatezza della paura dell’inferno. Lascia il lettore proseguire con la logica, anche Cerbero è solo
un’immagine
(1015) Insignibus insignis -> fa capire come la pena sia generata dal peccato
10/10/22
Lun 17 no lezione
Elementi di natura diatribica nel finale del terzo libro. La diatriba è una modalità di comunicazione filosofica
che si diffonde in età ellenistica, si incontra nello stoicismo (Seneca) e nell’epicureismo. Lucrezio sta
adattando dei moduli tipici della diatriba. Es l’uso della sermochinatio -> forma di finto dialogato che si crea
quando l’autore si rivolge direttamente all’interlocutore. Registro stilistico relativamente basso, nasce
insieme alla scuola cinica, efficace e minimale sul piano della discussione. Prosopopea (della natura) e uso
dell’elenco:
Lucrezio innesta elementi bassi in un contesto stilisticamente alto. In Lucrezio c’è la paradossale
conciliazione di due opposti, dalla diatriba al sublime. Registro il più alto possibile perché alto è il contenuto
della propria filosofia, richiede un lettore capace di andare oltre l’ovvio e oltre il noto. I contenuti della
filosofia di Lucrezio vanno oltre i confini. Lo si vede bene nella sezione dedicata ai morti illustri, sezione
connotata in senso epico. Intertestualità piuttosto marcata con gli annali di Ennio. Richiamo puntuale a un
determinato ipotesto con l’obbiettivo di riprendere la grande tradizione epica nazionale, quella che ha
consacrato la storia di Roma.
(1034) Scipione -> uso enfatico del patronimico al posto del nome (Scipiadas)
Ansia esistenziale che si concretizza nel cambiare costantemente luogo. L’aristocrazia romana aveva in
genere tre abitazioni, fuggire da sé stessi per ritrovarsi nella stessa situazione.
(1076-1079) -> Denique= valore conclusivo. Evidenziare l’eccessivo desiderio di vita come male, “tanta” =
eccesso “mala” = effetto. Pericoli incerti perché ancora non ci sono, non ne abbiamo la certezza. Siamo in
un perenne stato di angoscia perché temiamo. Bocca spalancata -> nella condizione di desiderare un
qualcosa.
Nel finale Lucrezio sposta l’accento sull’immaginare il tempo dopo di noi. Dopo di noi ci sarà una non
esistenza eterna e quindi per definizione irriducibile, inscalfibile dalla nostra morte. Questo vuole essere un
invito all’uomo di liberarsi dal timor mortis e una paradossale consolazione alla vita. Se la vita è felice
fisiologicamente non ci può essere altro biologicamente parlando, il corpo morirà e ce ne andremo. Se la
vita è stata triste la morte ci libererà. Rivalutare il senso della morte e della fine in chiave consolatoria, per
Lucrezio è inutile pensare alla morte perché significa anticiparla, vivere qui quello che lo aspetta dopo.
Rivalutazione della morte come qualcosa di indipendente da noi e una rivalutazione della vita, che non
dev’essere inzozzata dal colore nero della morte.
Sperimenta tre diversi generi, il dialogo, il trattato e la lettera. La differenza tra queste forme è molto più
sfumata di quello che non sembrerebbe. La struttura dialogica in Seneca è ormai completamente obliterata,
non è un dialogo ma un monologo, Seneca si rivolge continuamente al suo destinatario. Quella che
sentiamo è sempre la voce di Seneca, quella dell’interlocutore viene evocata solo tramite l’Occupatio
(contraddizione che potrebbe essere evidenziata).
È quasi impossibile capire la cronologia interna dei dialoghi senecani. È probabile che si tratti comunque di
opere scritte prima del ’62, quando vive sotto tre imperatori e con loro ha un pessimo rapporto: soprattutto
con Nerone. Nella prima fase del suo principato è una sorta di mentore che lo accompagna nelle scelte
politiche fino alla morte di Agrippina, quando Nerone scegli di adottare un potere autocratico. Seneca
capisce che i tempi sono cambiati e nel ’62 chiede di ritirarsi a vita privata. Seneca vive in un’epoca in cui lo
stoicismo si è già contaminato, il punto fondamentale dello stoicismo per Seneca è che il saggio non esiste
nel reale ma è un’ideale a cui si tende. Il compito del filosofo è camminare in tensione a questo ideale senza
raggiungerlo. Il filosofo stoico deve concretamente agire nella vita politica (vs epicureo non interviene).
Ritirarsi a vita privata vuol dire quindi tradire la propria scuola filosofica.
Dopo questa data sono datati due trattati. I dialoghi sono brevi, i trattati sono più strutturati.
11/10/22
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L’esame di letteratura latina non si supera a testate. E’ soltanto un percorso di terribile frustrazione che non
fa bene a nessuno.
Lo stile di Seneca è drammatico. L’andamento drammatico è così intenso perché attrae, c’è un dinamismo e
un’attrazione tra due forze: linguaggio dell’interiorità e predicazione.
Il latino è una lingua che fatica a creare nuove parole. Seneca si trova nella condizione, dato il contenuto
etico morale, a dover creare una lingua adatta a parlare dell’anima, dell’interiorità.
Sul piano lessicale fa un utilizzo traslato del lessico tecnico già esistente per definire l’interiorità. Attinge agli
ambiti lessicali del giuridico, economico, militare e medico. L’effetto di questa soluzione è significativo sul
piano letterale, c’è una reificazione dell’interiorità: termini che rimandano a referenti concreti che però
caratterizzano l’astratto.
Un altro connotato del linguaggio di Seneca è l’uso del riflessivo. Seneca sente il bisogno di segnare quando
l’anima agisce consapevolmente su sé stessa, al medio-passivo si associa il riflessivo perifrastico proprio per
questo motivo (principio dell’epistole per es.). Il riflessivo può essere diretto (pronome personale ->
oggetto) ma anche indiretto (il soggetto è oggetto della propria azione ma è anche il referente che trae
vantaggio dalla propria azione).
Le figure retoriche preferite da Seneca sono le strutture ripetitive e le figure di opposizione. Anafora,
correzione avversativa, correzione asindetica e il “immo” correttivo (non questo, anzi quello).
Per Seneca c’è una circolarità tra l’apprendere e l’insegnare, movimenti che si innervano l’un l’altro.
(profectus, avanzare) Quando si trova a insegnare trova di nuovo motivo di meditazione.
E’ un lavoro del singolo ma sempre sotto questo scambio fruttuoso con i propri compagni di viaggio. Si
propone come guida, lui nel cammino non è arrivato ma è più avanti. Ma è proprio nell’essere guida che
trova la spinta per proseguire nel cammino.
Lettera 63
Lettera di consolazione, indirizzata a Lucillo per la morte dell’amico Flacco. Anche le lettere 93 e 99 sono di
consolazione.
Si apre con la classica forma di saluto, è l’aspetto formale (insieme alla formula di congedo) che segnala la
natura di lettera di questo testo. Le lettere a Lucilio sono strutturate in modo da formare una serie, spesso
lo stesso Seneca le concatena internamente una con l’altra sempre per segnare la crescita e il percorso. Le
prime lettere sono più brevi e affrontano temi di base, dopo prendono la forma di piccolo trattato a volte
anche di contenuto tecnico. Uno dei temi fondamentali nel trattamento del dolore è quello della misura e
del limite. Seneca già dall’incipit da alla lettera una struttura chiastica (verbo alla prima persona singolare in
chiusa e preceduto dall’accusativo più infinito). Le frasi sono franche e giustapposte, semplice il valore
sintattico.
Illud -> permette lo spostamento a sinistra dell’elemento che si vuole focalizzare, anticiparlo.
Per gli stoici e fondamentale accettare il destino, guidano quelli che li seguono e trascinano quelli che si
oppongono.
(Nec sicci – plorandum) Doppia antitesi, nella prima frase c’è un’opposizione tra i due estremi. Va bene
piangere ma l’esibizione del dolore no.
Nell’animo umano c’è questa sorta di perversione di esibire il dolore, per attirare l’attenzione degli altri.
[3] Obliviscar -> congiuntivo di tipo dubitativo, è folle ciò che viene chiesto. Ancora c’è l’idea che sia
l’esibizione del dolore l’elemento che dilata il dolore oltre i suoi naturali confini