Fantasticheria
Fantasticheria
Fantasticheria
In questa novella, pubblicata per la prima volta nel 1879 su una rivista e poi inserita l’anno
successivo nella raccolta Vita dei campi, il discorso teorico sull’arte del narrare è mescolato alla
narrazione e non è privo di contraddizioni. Il narratore dichiara infatti la propria intenzione di
rappresentare dall’interno il mondo degli umili, facendosi piccolo come loro; tuttavia la
descrizione di quel mondo appare ancora ispirata ai toni sentimentali della narrativa tradizionale.
Struttura della novella particolare: il narratore si rivolge in prima persona a una dama
dell’alta società del Nord Italia, e le ricorda il viaggio compiuto insieme nel villaggio siciliano
di Aci Trezza, da cui ella si era voluta allontanare dopo soli due giorni, annoiata dalla monotonia
della vita dei contadini e dei pescatori.
Vi siete mai trovata, dopo una pioggia di autunno, a sbaragliare un esercito di formiche,
tracciando sbadatamente il nome del vostro ultimo ballerino sulla sabbia del viale? Qualcuna di
quelle povere bestioline sarà rimasta attaccata alla ghiera del vostro ombrellino, torcendosi di
spasimo; ma tutte le altre, dopo cinque minuti di panico e di viavai, saranno tornate ad
aggrapparsi disperatamente al loro monticello bruno. - Voi non ci tornereste davvero, e nemmen
io; - ma per poter comprendere siffatta caparbietà, che è per certi aspetti eroica, bisogna farci
piccini anche noi, chiudere tutto l'orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole
cause che fanno battere i piccoli cuori. Volete metterci un occhio anche voi, a cotesta lente? voi
che guardate la vita dall'altro lato del cannocchiale? Lo spettacolo vi parrà strano, e perciò forse
vi divertirà.
Il narratore mostra di comprendere le ragioni della sua amica, tuttavia manifesta il proposito di
comprendere quella diversità e di descriverla in un’opera letteraria: l’intento del narratore è di
capire. Per avvicinarsi a una vita tanto diversa e intendere le ragioni per cui quei popolani restano
legati alle loro case come le formiche al loro formicaio, occorre assumere la prospettiva delle
persone che ci vivono (farci piccini anche noi), limitare il campo di osservazione (chiudere tutto
l’orizzonte tra due zolle) e prestare attenzione al minimo particolare (guardare al microscopio).
Vi ricordate anche di quel vecchietto che stava al timone della nostra barca? Voi gli dovete
questo tributo di riconoscenza, perché egli vi ha impedito dieci volte di bagnarvi le vostre belle
calze azzurre. Ora è morto laggiù, all'ospedale della città, il povero diavolo, in una gran corsia
tutta bianca, fra dei lenzuoli bianchi, masticando del pane bianco, servito dalle bianche mani
delle suore di carità, le quali non avevano altro difetto che di non saper capire i meschini guai che
il poveretto biascicava nel suo dialetto semibarbaro. Ma se avesse potuto desiderare qualche cosa,
egli avrebbe voluto morire in quel cantuccio nero, vicino al focolare, dove tanti anni era stata la
sua cuccia «sotto le sue tegole», tanto che quando lo portarono via piangeva, guaiolando come
fanno i vecchi.
Egli era vissuto sempre fra quei quattro sassi, e di faccia a quel mare bello e traditore, col quale
dové lottare ogni giorno per trarre da esso tanto da campare la vita e non lasciargli le ossa;
eppure in quei momenti in cui si godeva cheto cheto la sua «occhiata di sole» accoccolato sulla
pedagna della barca, coi ginocchi fra le braccia, non avrebbe voltato la testa per vedervi, ed
avreste cercato invano in quelli occhi attoniti il riflesso più superbo della vostra bellezza; come
quando tante fronti altere s'inchinano a farvi ala nei saloni splendenti, e vi specchiate negli occhi
invidiosi delle vostre migliori amiche.
La vita è ricca, come vedete, nella sua inesauribile varietà; e voi potete godervi senza scrupoli
quella parte di ricchezza che è toccata a voi, a modo vostro. Quella ragazza, per esempio, che
faceva capolino dietro i vasi di basilico, quando il fruscìo della vostra veste metteva in
rivoluzione la viuzza, se vedeva un altro viso notissimo alla finestra di faccia, sorrideva come se
fosse stata vestita di seta anch'essa. Chi sa quali povere gioie sognava su quel davanzale, dietro
quel basilico odoroso, cogli occhi intenti in quell'altra casa coronata di tralci di vite? E il riso dei
suoi occhi non sarebbe andato a finire in lagrime amare, là, nella città grande, lontana dai sassi
che l'avevano vista nascere e la conoscevano, se il suo nonno non fosse morto all'ospedale, e suo
padre non si fosse annegato, e tutta la sua famiglia non fosse stata dispersa da un colpo di vento
che vi aveva soffiato sopra - un colpo di vento funesto, che avea trasportato uno dei suoi fratelli
fin nelle carceri di Pantelleria - «nei guai!» come dicono laggiù. Miglior sorte toccò a quelli che
morirono; a Lissa l'uno, il più grande, quello che vi sembrava un David di rame, ritto colla sua
fiocina in pugno, e illuminato bruscamente dalla fiamma dell'ellera. Grande e grosso com'era, si
faceva di brace anch'esso quando gli fissaste in volto i vostri occhi arditi; nondimeno è morto da
buon marinaio, sulla verga di trinchetto, fermo al sartiame, levando in alto il berretto, e salutando
un'ultima volta la bandiera col suo maschio e selvaggio grido d'isolano; l'altro, quell'uomo che
sull'isolotto non osava toccarvi il piede per liberarlo dal lacciuolo teso ai conigli, nel quale
v'eravate impigliata da stordita che siete, si perdé in una fosca notte d'inverno, solo, fra i cavalloni
scatenati, quando fra la barca e il lido, dove stavano ad aspettarlo i suoi, andando di qua e di là
come pazzi, c'erano sessanta miglia di tenebre e di tempesta. Voi non avreste potuto immaginare di
qual disperato e tetro coraggio fosse capace per lottare contro tal morte quell'uomo che lasciavasi
intimidire dal capolavoro del vostro calzolaio.
Nel testo sono abbozzati i personaggi principali dei Malavoglia: si riconoscono il vecchio Padron
‘Ntoni, la Longa, il giovane ‘Ntoni, Mena, Lia, Luca, Bastianazzo. Ma siamo ancora molto lontani
dal romanzo: qui manca il “coro” del paese, importante nella struttura narrativa dei Malavoglia, e
che, in opposizione alla famiglia protagonista, rappresenterà il negativo della lotta per la vita,
l’egoismo, la logica dell’utile. Qui il mondo rurale è ancora idealizzato, non visto in maniera
pessimistica nelle sue reali componenti.
- Insomma l'ideale dell'ostrica! - direte voi. - Proprio l'ideale dell'ostrica! E noi non abbiamo altro
motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi -.
Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha
lasciati cadere, mentre seminava principi di qua e duchesse di là, questa rassegnazione coraggiosa
ad una vita di stenti, questa religione della famiglia, che si riverbera sul mestiere, sulla casa, e sui
sassi che la circondano, mi sembrano - forse pel quarto d'ora - cose serissime e rispettabilissime
anch'esse.
Sembrami che le irrequietudini del pensiero vagabondo s'addormenterebbero dolcemente nella
pace serena di quei sentimenti miti, semplici, che si succedono calmi e inalterati di generazione in
generazione.
Quei popolani sono esposti alla miseria, agli eventi avversi della vita, eppure restano tenacemente
attaccati alla loro terra, alle loro tradizioni, come le ostriche al loro scoglio. Il narratore rivolge alla
povera gente uno sguardo al tempo stesso estraneo e partecipe: paragona gli abitanti di Aci
Trezza a degli animali (prima alle formiche, poi alle ostriche), ma mostra anche rispetto per la
loro rassegnazione coraggiosa e per il loro attaccamento al lavoro, alla casa, alla famiglia, al
paese (la religione della famiglia). È ancora visibile in questa descrizione una idealizzazione della
vita dei popolani, a cui vengono attribuiti sentimenti miti, semplici.
Mi è parso ora di leggere una fatale necessità nelle tenaci affezioni dei deboli, nell'istinto che
hanno i piccoli di stringersi fra loro per resistere alle tempeste della vita, e ho cercato di decifrare
il dramma modesto e ignoto che deve aver sgominati gli attori plebei che conoscemmo insieme. Un
dramma che qualche volta forse vi racconterò, e di cui parmi tutto il nodo debba consistere in ciò:
- che allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle
staccarsi dai suoi per vaghezza dell'ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il
mondo; il mondo, da pesce vorace ch'egli è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui.
Infine, il narratore dichiara che il legame degli umili con la terra e la famiglia è un naturale e
necessario istinto di sopravvivenza per proteggersi dalle tempeste della vita, e tenta una
spiegazione delle disgrazie accadute ad alcuni di loro: quelli che hanno cercato di uscire dal
guscio protettivo del villaggio per curiosità o desiderio di migliorare la propria condizione
sono i più deboli, imprudenti ed egoisti, e il mondo li ha puniti come un pesce vorace. La
conclusione della novella esprime dunque una visione statica della società: poiché nessuno può
migliorare davvero la propria condizione, tanto vale accettare pazientemente il proprio destino e
aiutarsi come si può, stringendosi con i propri simili, senza sperare in alcun miglioramento.