Liberty a Milano
«La borghesia industriale in particolare [...] sembrava badare a crearsi, con il nuovo stile, una sua tradizione, e manifestare insieme la larghezza dei propri mezzi senza cadere nello sfoggio triviale»
Con liberty a Milano si usa indicare l'esperienza dell'omonimo stile diffusosi nella città ambrosiana tra i primi anni del Novecento e lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1915. Fu infatti nel capoluogo lombardo che lo stile liberty trovò, grazie allo stretto legame con la rampante borghesia industriale dell'epoca, un fertile terreno per un rapido sviluppo che lo vide spaziare dalle influenze dell'art nouveau floreale francese allo jugendstil tedesco e all'eclettismo[2].
Inquadramento storico e caratteristiche generali
Con l'Esposizione Nazionale del 1881, a vent'anni dall'Unità della nazione, la città di Milano si consacrò definitivamente come il principale polo industriale italiano. La città vide la formazione di una nuova classe borghese emergente legata all'industria e al commercio e formata da capimastri, possidenti e imprenditori che in pochi decenni avrebbe affiancato in agiatezza e importanza l'antica nobiltà cittadina[3].
All'inizio del XX secolo quindi la classe borghese, ormai divenuta padrona della vita sociale ed economica della città, trovò nello stile liberty, novità proveniente dalla Francia ed introdotta in Italia nell'Esposizione di Torino del 1902, il proprio specifico status symbol e l'occasione per mostrare la propria potenza e nello stesso tempo sottolineare il netto distacco dalla classe nobiliare e dalle sue dimore neoclassiche e barocche[4]: questo legame quasi esclusivo fra la nuova classe dominante e il nuovo stile architettonico e il netto distacco dai modelli architettonici della "vecchia" classe aristocratica appaiono quantomai evidenti quando si osservi che, mentre la nuova borghesia innalzava dimore à la page seguendo i nuovi dettami del liberty, nello stesso periodo le tradizionali e più conservatrici committenze legate al vecchio mondo finanziario ed ecclesiastico - su tutte spiccano le nuove sedi bancarie nella zona di piazza Cordusio - rimanevano invece legate all'ormai decadente e più conservatore stile eclettico in voga nell'Ottocento[5].
A dare un'ulteriore spinta allo sviluppo del liberty fu l'Esposizione internazionale milanese del 1906 che vide nascere in stile decine di padiglioni nella sede della mostra e costruzioni pubbliche e non che l'esposizione contribuì a erigere, decretando così la definitiva consacrazione del liberty a stile artistico dominante[6]. Sebbene molto articolata e differenziata, l'esperienza liberty milanese mostra nel suo complesso alcuni punti e novità comuni: ricorrente è la decorazione dell'edificio, in ferro battuto o cemento decorativo, a tema floreale o del mondo animale; mentre a livello strutturale si segnala l'uso del cemento armato. Comune è invece il ricorso alla pittura sulle pareti degli edifici, spesso con piastrelle in ceramica, e di cariatidi ed erme mutuate dall'architettura dei palazzi nobiliari milanesi[7]. Al contrario, nonostante un ricchissimo campionario di arti applicate liberty sviluppatesi in città, l'architettura e la decorazione d'interni stentarono ad uniformarsi al nuovo stile e salvo rari episodi furono comunque dominati da stilemi tardo eclettici[8].
Raggiunto il suo culmine nel 1906, il liberty milanese vide le prime contaminazioni con l'architettura eclettica, che divennero sempre più forti fino agli anni della prima guerra mondiale, dopo i quali il liberty sopravvisse solo in piccole influenze nell'edilizia minore, mentre il gusto della borghesia industriale confluì spontaneamente verso l'art déco[9][10].
Edilizia privata
La stagione milanese dello stile liberty fu inaugurata con la costruzione di palazzo Castiglioni terminata nel 1903 su progetto di Giuseppe Sommaruga, successivamente tra i maggiori interpreti del modernismo in Italia. Il palazzo, decorato con sculture in cemento a tema floreale e composizioni in ferro battuto tipiche del nuovo stile, si distacca dall'art nouveau classica per le forme monumentali e l'uso di elementi classici come i putti, mutuati dai vicini palazzi nobiliari in cui dominano le forme neoclassiche[11]. Il palazzo, considerato tra i più alti esempi di liberty italiano ed eretto in una delle più eleganti e nobili vie di Milano, rimarca ancora più nettamente lo status della nuova classe borghese e introduce prepotentemente in città l'uso del cemento come elemento scultoreo[12][13]. Il "segnale di rottura" lanciato alla vecchia classe dirigente fu ancor più forte grazie all'inserimento ai lati dell'ingresso di due statue raffiguranti due donne svestite ritratte in pose decisamente audaci: le statue suscitarono grande scandalo al punto che il palazzo venne ribattezzato dai milanesi la ca' di ciapp (la casa delle chiappe, con preciso riferimento al posteriore nudo delle due donne raffigurate) e l'architetto fu costretto a rimuoverle e trasferirle nell'allora periferica villa Faccanoni, ottimo esempio di villa suburbana liberty progettata sempre dal Sommaruga e in cui vengono ripresi le sculture di putti e il motivo delle finestre a colonna dell'ultimo piano di palazzo Castiglioni[14].
Altro interprete di primo piano nel liberty milanese fu Giovanni Battista Bossi che ha nella casa Galimberti la sua più celebre opera: il palazzo presenta una ricchissima decorazione della facciata con piastrelle in ceramica dipinte con forme umane ed elementi vegetali con elaborati contrasti cromatici. Degni di nota sono anche i balconi decorati realizzati in cemento o i balconcini a baldacchino in ferro battuto[15]. A pochi metri di distanza si trova la Casa Guazzoni, sempre del Bossi, che pur conservando la stile tipicamente floreale della facciata presenta una decorazione completamente incentrata sulla scultura con elaborati apparati di putti, figure femminili e forme vegetali realizzati sempre in cemento e ferro battuto con balconi sovrapposti[16]. Lo stesso architetto realizzò infine casa Alessio, più simile allo stile della Secessione viennese con le sue rigide geometrie e la fascia verticale in corrispondenza dell'ingresso[17].
Esempio quantomai raro di autocommittenza fu casa Campanini, fabbricata dall'architetto e imprenditore edile Alfredo Campanini come propria abitazione nel 1904. La composizione della facciata mostra a livello generale una forte ispirazione al lavoro del Sommaruga, in particolare per le sculture di figure femminili all'ingresso, omaggio esplicito al portale del palazzo Castiglioni. Il classico portone d'ingresso in legno è qui sostituito con un cancello in ferro battuto a motivi vegetali, stesso motivo dei balconi, realizzato da Alessandro Mazzucotelli: sempre suoi sono altri elementi decorativi in ferro battuto che, unitamente agli affreschi e vetrate colorate, costituiscono una decorazione interna tipicamente liberty senza segno di influenze eclettiche, cosa non comune in molte altre architetture coeve cittadine[18].
Slegata dalla logica di creazione di nuove zone di abitazione dedicata alla classe borghese, casa Ferrario sorse a partire dal 1902 su progetto di Ernesto Pirovano in via Spadari, una delle vie più centrali e antiche di Milano. Le notorietà di questo palazzo, di impianto ancora sostanzialmente tradizionale e relativamente sobrio negli altri elementi,[19] è dovuta alle decorazioni in ferro battuto dei balconi sovrapposti con motivi a spirale e decorazione floreale con mensole a forma di grifone, anche in questo caso realizzate dal Mazzucotelli, considerato tra i maggiori artisti del ferro battuto in Italia[20].
Contrapposto al filone floreale del liberty milanese capeggiato dal Sommaruga si possono citare la Casa Donzelli di Ulisse Stacchini, dove nonostante le chiare influenze del maestro Sommaruga si nota una composizione con linee austere tipiche del liberty di area tedesca, e la casa Agostoni dove alcuni elementi tipici del liberty come il tema naturale e la scultura in cemento vengono affiancati ad un'impostazione della facciata tipicamente ottocentesca e ad elementi classicheggianti come bassorilievi[21].
Assieme alle abitazioni per l'alta borghesia sorsero a Milano un gran numero di abitazioni in stile liberty per la piccola e media classe borghese. Questi edifici, non potendo disporre dei budget elevati, furono decorati con ceramiche e statue in cemento industriali eseguite in serie, decorazioni in ferro battuto più semplici e particolare attenzione alla riduzione degli spazi comuni non strettamente necessari: esempi di questo tipo di committenza sono casa Dugnani e casa Biraghi, in cui spiccano le maioliche a tema floreale realizzate in serie dalla Richard Ginori[22].
Un filone particolare dell'edilizia borghese sono gli edifici deputati ad uso misto abitazione/attività industriale o commerciale: si può citare ad esempio casa Laugier, costruita per la famiglia valdostana Laugier per ospitare oltre alla abitazione la farmacia di famiglia. Il palazzo fu costruito dall'architetto Antonio Tagliaferri in forme ispirate all'art nouveau viennese e ricorre a tutte le tipiche decorazioni, seppur in maniera bilanciata, tipiche del liberty italiano come formelle, cemento e ferro battuto a comporre forme derivate dal regno animale e vegetale. La decorazione è tuttavia più sobria e ricorre a mattoni in cotto tipici del rinascimento lombardo tipico della via[23][24].
Di puro uso commerciale furono i Magazzini Contratti costruiti nel 1903 su progetto di Luigi Broggi: l'utilizzo dell'allora innovativo cemento armato permise la realizzazione della struttura portante in semplici colonne e di conseguenza le ampie vetrate con parapetti in ferro battuto che caratterizzano il palazzo. Del tutto simile sono i Magazzini Bonomi, anch'essi realizzati con ampie finestre, balconi in ferro battuto e colonnine in ghisa[25][26]. Oltre alla tipologia commerciale si trovano anche edifici un tempo adibiti a fabbrica: benché meno comuni che in provincia e per gran parte demoliti per lasciare spazio ad edifici residenziali, tra questi si possono citare l'ex ditta Gondrand e l'ex ditta Cusini di Cesare Mazzocchi, in cui vengono riproposte le linee liberty e i finestroni dei Magazzini Contratti in maniera più sobria a coniugare le esigenze estetiche con quelle di contenimento dei costi di un edificio industriale[27].
Si possono infine citare opere dedicate ad altre attività terziarie: tra i più celebri esempi si possono citare la facciata dell'ex hotel Trianon caratterizzata da elaboratissime decorazioni con finestroni e putti che lasciano trasparire pesanti influenze neobarocche, stile più tardi ripreso in casa Tosi di Alfredo Campanini[28][29]. Da segnalare infine l'ex cinema Dumont, fabbricato con decorazioni floreali destinato ad ospitare un cinematografo, fu tra i primi edifici in Italia progettati appositamente per lo scopo[30][31].
Edilizia popolare e pubblica e il liberty minore
La grande crescita industriale della città di Milano ebbe come conseguenza, oltre alla costruzione di elaborate e raffinate dimore borghesi, il continuo arrivo in città di masse di lavoratori prevalentemente appartenenti al proletariato: nel 1901 quasi il 60%, circa 280 000 persone, della popolazione milanese apparteneva alla classe operaia. Da un lato la crescente necessità di abitazioni a prezzi calmierati per le classi meno abbienti, dall'altro l'occasione dell'Esposizione internazionale che si sarebbe tenuta in città nel 1906, suggerirono alle autorità cittadine di redigere uno dei primi piani articolati di edilizia popolare della città[32][3].
Fu in quest'occasione che venne realizzato in via Solari il Primo quartiere popolare della Società Umanitaria su progetto dell'architetto Giovanni Broglio: tra le prime realizzazioni di edilizia sociale della città, oltre che una delle prime applicazioni del modernismo nell'edilizia popolare, il progetto prevedeva 11 edifici su 4 piani, per un totale di 240 appartamenti dotati di bagni privati con acqua potabile destinati ad accogliere complessivamente un migliaio di persone. La pigione massima per gli appartamenti più grandi era di 100 lire mensili (poco meno di 350 euro attualizzati al 2006)[33]. Il progetto non poteva naturalmente presentare le elaborate e costose decorazioni delle case liberty borghesi, perciò il Broglio adottò elementi decorativi uguali e realizzati in serie industrialmente: talvolta si ricorre al termine liberty minore nel definire questo stile che, a fronte di possibilità di spesa decisamente minore, consentiva comunque una decorazione architettonica diffusa seppur omogenea e non troppo elaborata[34].
Altro esempio di edilizia popolare nello stesso periodo fu il quartiere Ripamonti, sebbene al contrario del caso precedente la decorazione sia quasi nulla eccezion fatta per gli elementi in ferro battuto. In generale, tra il 1905 e il 1912 la quota di superficie dedicata ad interventi di edilizia popolare fu di poco superiore al 6% del totale, numero che a dispetto della frequenza con cui il problema veniva discusso non contribuì a migliorare sensibilmente la questione degli alloggi per le famiglie meno abbienti[35]. Intervento ancora di tipo differente fu la realizzazione del primo nucleo del villaggio dei Giornalisti, fondato nei primi anni del '900 da una cooperativa di appartenenti al mondo della pubblicistica, che aveva come obiettivo la costruzione di alloggi dedicati alla piccola borghesia, esclusa dai piani di edilizia popolare ma non abbastanza abbiente da permettersi lussuosi palazzi liberty nel centro. Il risultato fu la costruzione di villette in uno stile liberty a metà tra il ricco stile dell'alta borghesia e la semplicità degli alloggi popolari[36].
Non dedicato all'abitazione ma pur sempre di uso pubblico fu il nuovo mercato ortofrutticolo milanese a partire dal 1908. Dell'antico complesso, oggi per gran parte convertito in parco, rimane l'edificio chiamato comunemente palazzina Liberty con ampie vetrate con ferro battuto e decorazione in piastrelle di ceramica della ditta Gregori[37][38].
L'esposizione internazionale del 1906
Nel 1906 Milano ospitò l'edizione dell'esposizione internazionale dedicata al mondo dei trasporti in occasione dell'inaugurazione del traforo del Sempione. Oltre alle novità di tipo tecnologico, l'esposizione fu il banco di prova definitivo ed un eccezionale occasione per mostrare il nuovo stile modernista[39]. Tra i vari padiglioni tecnologici furono infatti inserite tappe meno tecniche per attirare un pubblico più numeroso, tra cui padiglioni dedicati alle belle arti che dovevano servire come vetrina per i progressi mostrati in campo artistico dall'Italia. Tra le varie opere scomparse si segnalano l'ingresso che riproduceva in forme liberty l'ingresso del traforo del Sempione e la stazione ferroviaria costruita sul luogo dell'esposizione per l'evento realizzata in ghisa, ferri battuti e ampie vetrate[40].
Dei 225 edifici progettati per l'occasione, gran parte vengono eretti in stile liberty, specie i padiglioni espositivi per gran parte progettati dal giovane architetto toscano Orsino Bongi. Alla fine dell'esposizione la quasi totalità dei padiglioni fu demolita, eccezion fatta per il padiglione dedicato alla piscicoltura, successivamente adibito ad acquario cittadino. L'edificio, progettato dall'architetto Sebastiano Locati, fu costruito per ospitare una nuova attrazione in campo scientifico, costituendo un'inedita tipologia che si discostava da edificio commerciali, residenziali o religiosi. Il mondo sottomarino funse da perfetta ispirazione per l'edificio liberty: fregi e ceramiche rappresentanti la vita sottomarina e sculture di animali marini sono disposte sulla parete esterna del complesso di forma circolare. All'ingresso è infine presente una fontana con Nettuno e un ippopotamo[41][42].
Scultura
Accanto alla tradizionale scultura in marmo e pietra, il liberty portò ad un grande sviluppo della scultura in ferro battuto e in cemento[43].
Il ferro battuto trovò il suo migliore interprete in Alessandro Mazzucotelli, il quale portò la lavorazione di questo materiale da semplice elemento decorativo a vera e propria arte[44]. Capolavoro milanese del Mazzucotelli è sicuramente il cosiddetto Cancello delle farfalle di Casa Moneta, opera che racchiude tutti gli stilemi della declinazione ambrosiana del liberty: i motivi geometrici ed ordinati della parte inferiore mutano rapidamente in complessi intrecci che danno vita a foglie e alle due farfalle, che grazie al dinamismo della composizione sembrano librarsi in volo annullando quasi la pesantezza del ferro[45].
Il mastro ferraio realizzò ad ogni modo un elevatissimo numero di opere sparse per la città, integrate con l'architettura circostante come nel caso dei balconi di casa Ferrario, o semplicemente ornamentali come la cancellata di casa Campanini, la cancellata del villino Maria Luisa o lo Scalone delle rose di Casa Morganti. Non ultimo, non è certo da ignorare l'attività del Mazzucotelli nelle arti applicate e nei monumenti del cimitero monumentale di Milano[46].
Fu proprio in quest'ultimo che si sviluppò il più importante laboratorio in città di scultura liberty legata all'architettura: scultura che come nel caso dell'architettura si fuse in maniera più o meno accentuata con temi eclettici e decò. Così come per i palazzi, la borghesia milanese dell'epoca trovò infatti nella scultura funebre un ulteriore elemento per aumentare il proprio prestigio[34].
Tra le edicole più famose del cimitero vi è sicuramente l'Edicola Toscanini, realizzata in marmo di Carrara da Leonardo Bistolfi: la realizzazione consiste in un semplice monumento dalla forma di parallelepipedo con decorazione i bassorilievo rappresentanti figure allegoriche della vita del defunto con linee ispirate allo jugendstil tedesco, la cui ordinata e geometrica composizione riesce a coniugarsi con le linee e le sinuosità di un liberty più floreale[47]. Tra gli esempi di liberty floreale si trova invece l'Edicola Giudici progettata da Paolo Mezzanotte in cui l'elemento decorativo è costituito dal bronzo fuso modellato in forme di rose e rami appassiti realizzato dai fratelli Rigola: il tema floreale del liberty viene adattato al tema cimiteriale. Il monumento viene completato da un mosaico sempre a tema floreale[48].
Più originale ed esuberante è l'Edicola Origgi, esempio di scultura in cemento che sviluppa la sua struttura nell'incrocio tra linee rette e curve a terminare in una cupola: tema dominante nelle decorazioni dell'edicola, sempre il tema floreale, dove dominano foglie di palma, girasoli e semi di papavero[49]. Altre edicole degne di nota in stile floreale sono l'Edicola Suffert con bassorilievi in bronzo con angeli ed iris di Alfredo Sassi e l'Edicola Croci decorata con una delle rare sculture in bronzo del Mazzucotelli solitamente dedito al ferro battuto[50].
Influenze eclettiche e decadenza del liberty
Dopo aver raggiunto il massimo splendore con l'esposizione del 1906, il liberty milanese iniziò un periodo di reciproche influenze con l'eclettismo, mai del tutto scomparso in committenze diverse da quella borghese[9].
Accanto a una vera e proprio rifioritura di architetture neorinascimentali e neomedievale con leggere influenze liberty, come il castello Cova realizzato nel 1910, si possono trovare casi contrari, come il villino Maria Luisa, realizzato con decorazione a mosaico in cui temi neogotici e neorinascimentali convivono con mosaici a tema floreale e una cancellata di Alessandro Mazzucotelli tra i migliori esempi di scultura in ferro della città[51]. Un altro celebre esempio di questa tendenza è data nella casa Berri Meregalli e nel palazzo Berri Meregalli di Giulio Arata realizzato nel 1911, dove si incontra una commistione di stili classici accanto a temi liberty: il bugnato ruvido e lo sviluppo verticale della costruzione rimandano all'architettura neogotica, l'interno decorato a mosaici ricorda l'architettura bizantina di Ravenna, mentre i ferri battuti del Mazzucotelli e la sfilata di statue di vari animali riportano ai temi dell'art nouveau floreale[52].
All'alba della prima guerra mondiale quindi, questo stile liberty contaminato passò dall'essere espressione di modernità ad essere pesantemente criticato come vecchio e superato anche a causa del pesante uso di elementi classici considerati da tempo sorpassati. La stazione centrale di Milano, sorta a partire dal 1924 ormai in un tardo stile eclettico con le sue decorazioni dèco con influenze liberty, viene considerata come la conclusione effettiva del liberty a Milano che avrebbe lascito spazio all'art dèco e allo stile Novecento[53][54].
Note
- ^ citata in Grandi, p. 82.
- ^ Bossaglia, pp. 12-14.
- ^ a b Gualdoni, p. 35.
- ^ Ogliari, p. 9.
- ^ Speziali, p. 21.
- ^ Ogliari, p. 14.
- ^ Ogliari, p. 13.
- ^ Grandi, p. 81.
- ^ a b Melano, pg. 121.
- ^ Grandi, p. 87.
- ^ Casero, pp. 16-17.
- ^ Lopez, p. 39.
- ^ Roiter, p. 2.
- ^ Lopez, p. 43.
- ^ Casero, p. 19.
- ^ Speziali, p. 25.
- ^ Casero, p. 20.
- ^ Speziali, p. 29.
- ^ Galleni, Daniele, PIROVANO, Ernesto, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- ^ Speziali, p. 22.
- ^ Casero, pp. 26-27.
- ^ Lopez, p. 76.
- ^ Casero, p. 25.
- ^ Lanza, pp. 66-67.
- ^ Casero, pp. 29-30.
- ^ Lopez, p. 48.
- ^ Casero, p. 31.
- ^ Lopez, p. 46.
- ^ Casero, p. 24.
- ^ Cinema Dumont (ex), su lombardiabeniculturali.it. URL consultato il 5-9-2016.
- ^ Lopez, p. 68.
- ^ Colombo, p. 19.
- ^ Colombo, p. 16.
- ^ a b Roiter, p. 1.
- ^ Casero, p. 52.
- ^ Ogliari, p. 38.
- ^ Ogliari, p. 31.
- ^ Lopez, p. 92.
- ^ Casero, p. 15.
- ^ Ogliari, pp. 15-16.
- ^ Lopez, p. 94.
- ^ Ogliari, p. 17.
- ^ Bossaglia, p. 11.
- ^ Ogliari, p. 24.
- ^ Lanza, pp. 44-45.
- ^ Ogliari, p. 25.
- ^ Casero, p. 58.
- ^ Ogliari, p. 53.
- ^ Ogliari, p. 54.
- ^ Casero, p. 59.
- ^ Ogliari, p. 35.
- ^ Melano, pp. 122-123.
- ^ Gualdoni, p. 100.
- ^ Melano, p. 116.
Bibliografia
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- Cristina Casero, Liberty, Déco e stile Novecento, Milano, Nodo Libri, 2000, ISBN 88-7185-076-9.
- Claudio Colombo, Quando l'Umanitaria era in via Solari: 1906, il primo quartiere operaio, a cura di Archivio Storico della Società Umanitaria, Robecchino con Induno, Raccolto Edizioni, 2006, ISBN non esistente.
- Maurizio Grandi, Attilio Pracchi, Milano: guida all'architettura moderna, Bologna, Zanichelli, 1991, ISBN 88-08-05210-9.
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- Francesco Ogliari, Roberto Bagnera, Milano liberty, Pavia, Edizioni Selecta, 2006, ISBN 88-7332-162-3.
- Fulvio Roiter, Milano in liberty, Milano, edizioni Celip, 1993, ISBN non esistente.
- Andrea Speziali (a cura di), Italian Liberty : una nuova stagione dell'art nouveau, Forlì, Cartacanta, 2015, ISBN 978-88-96629-65-9.
Voci correlate
Liberty in Italia
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